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Full text of "Archivio"

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IS 


HGlItQ  SOCIGTff  ROmiRl 
PITRIH 


ARCHIVIO 


della 


R.   Società   Romana 


di  Storia  Patria 


Volume  XI. 


Roma 

nella    Sede    della    Società 

alla   Biblioteca   Valllcelliana 


1888 


Roma,  Forzani  e  C,  tip.  del  Senato. 


Memorie  della  Vita  e  degli  Scritti 


DEL 


CARDINALE  GIUSEPPE  ANTONIO  SALA 


'lusEPPE  Antonio  Maria  di  Gian  Domenico  Sala 
e  di  Antonia  Maria  Corda,  nato  in  B aceno,  co- 
mune dell'  alto  Novarese  nella  valle  Antigono 
presso  al  fiume  Toce,  il  io  febbraio  17 17,  si  trasferì  gio- 
vinetto in  Roma,  dove,  conseguito  un  modesto  impiego 
nella  dogana,  ammogliossi  ad  Anna  Sacchetti,  romana,  che 
fecelo  padre  di  sette  figliuoli  :  tre  maschi,  Domenico,  Gio- 
vanni, Giuseppe  Antonio;  e  quattro  femmine,  Teresa, 
Maria  Caterina,  Rosalba,  Gertrude. 

Nessuna  speciale  notizia  dei  due  coniugi  ho  io  potuto 
ritrarre  dalle  memorie  domestiche  ;  ma  se  è  vero  che  dalla 
bontà  dei  frutti  si  argomenta  quella  dell'albero,  posto  mente 
all'ottima  riuscita,  che  fecero  tutti  e  sette  i  nominati  fi- 
gliuoli, può  con  certezza  affermarsi  che  eglino  possederono 
per  eccellenza  la  difficile  arte  dell'educare.  La  quale,  an- 
coraché di  piccola  apparenza,  e  ordinarìamente  poco  o 
nulla  avvertita,  dovrebbe  essere  tenuta  in  altissimo  pregio 
dai  veraci  estimatori  delle  cose.  E  se  ai  maestri  delle  arti 
danno  bella  fama  le  figure  d'uomini  perfettamente  dipinte 
o  scolpite;  molto  maggiore  dovrebbero  acquistarla  ai  propri 


G.  Cugnoni 


genitori  quei  figliuoli,  che  per  una  retta  e  savia  educa- 
zione divennero  compiuti  esemplari  di  virtù  morali  e  ci- 
vili. E  come  il  merito  di  qualsivoglia  impresa  cresce  a 
misura  della  scarsezza  de'  mezzi  ch'altri  s'ebbe  a  condurla; 
cosi  al  Sala  ed  alla  Sacchetti  è  da  assegnare  il  maggior 
vanto  di  ottimi  educatori:  da  che,  sforniti  in  tutto  d'ogni 
bene  di  fortuna,  con  la  sola  virtù  dell'animo  riuscirono 
ad  apprestare  alla  loro  prole  vita  onorata  ed  agiatissima. 

Domenico,  nato  il  29  maggio  1747,  notissimo  nella 
curia  sotto  la  denominazione  di  abate  Sala,  per  la  divisa 
chericale,  che,  sebbene  non  sacerdote,  sempre,  anche  dopo 
uscita  di  moda,  costantemente  indossò;  com'ebbe  com- 
piuti gli  studi  di  diritto  civile  e  canonico,  prese  a  trattare 
presso  le  congregazioni  e  i  dicasteri  della  Sede  romana  i 
negozi  ecclesiastici  in  servizio  di  monsignor  Pier  Antonio 
Tioli,  a  cui  per  tale  effetto  faceano  capo  le  principali  dio- 
cesi della  Germania.  Fu  questo  il  suo  primo  passo  in  quella 
splendida  e  ricca  carriera,  che,  schiusagli  da  benigna  for- 
tuna, egli  seppe  percorrere  con  tanta  lode.  E  la  fortuna 
gli  fu  benigna  per  questa  maniera.  Soleva  il  suo  padre 
sgabellare  e  condurre  in  casa  al  Tioli  gh  spessi  doni,  spe- 
cialmente di  vini,  che  giungeangH  da  più  parti;  e  poiché 
in  tale  faccenda  usava  diUgenza,  e  facea  pruova  di  onestà, 
s'acquistò  tra  breve  la  stima  e  l'amicizia  del  prelato,  e  ne 
chiamò  sul  figliuolo  la  protezione.  La  quale  cangiossi  ben 
presto  in  paterno  affetto  :  perchè  il  Tioli,  tiratosi  in  casa 
il  giovane  Domenico,  in  lui  le  proprie  cose  e  tutto  se 
stesso  abbandonò.  E  in  ultimo,  divenuto  presso  che  cieco, 
avvisando  non  lontana  la  sua  fine,  rinunziategli  le  proprie 
clientele,  lo  institui  erede  di  tutto  il  suo  avere  (i).  Frat- 

(i)  Testamentum  Bo.  Me.  R.  P.  D.  Petri  Antonii  Tioli  apertum  et 
publicatum  die  20  novemhris  ly^ó  in  Actis  Francisci  Oliveri  Cur.  Cap. 
Not.  Intorno  alla  vita  ed  agli  studi  di  questo  dotto  ed  erudito  prelato 
sono  da  consultare  le  Notizie  della  Vita  e  delle  Miscellanee  di  Monsi- 
gnor Pietro   Antonio  Tioli,  nato  in  Crevalcuore  a*  ic)  maggio  i'ji2,  de- 


T)ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  OA.  Sala  7 

tanto  Domenico,  perfettamente  addestratosi  nel  maneggio 
degli  affari  ecclesiastici,  consegui  nella  Dateria  apostolica  i 
due  rilevanti  uffici  di  amministratore  delle  Componende, 
e  di  depositario  dei  Vacabili,  e  poi  gli  altri  di  uditore  del 
cardinale  prò -datario,  di  succollettore  de'  Quindenni  e 
delle  Mezze  annate,  e  di  sostituto  della  Via  de  Curia.  Ma 
più  assai  che  nell'esercizio  di  tali  uffici,  se  ne  valsero  per 
la  suprema  direzione  di  quel  dicastero  i  pontefici  Pio  VI, 
Pio  VII,  Leone  XII  (i),  Pio  Vili  e  Gregorio  XVI,  consi- 
gliandosi con  lui  intorno  alle  materie  di  maggiore  impor- 
tanza. Perchè  in  Roma,  ove  corresi  facilmente  alle  arguzie 
(fosse  invidia,  o  meraviglia  di  cosi  soverchia  autorità),  veniva 
soprannominato  il  Papa  nero  (2).  Negli  anni  1798  e  1799, 
durante  la  cattura  di  Pio  VI,  giovò  grandemente  d'opera 
e  di  consiglio  monsignor  Michele  Di  Pietro,  lasciato  in 
Roma  dal  papa  come  suo  delegato  apostolico  con  pie- 
nezza di  poteri  per  l'amministrazione  de'  negozi  spirituali. 
Nell'ottobre-  del  1798  portossi  a  Firenze,  ove  era  soste- 
nuto il  pontefice,  per  sottoporre  al  suo  giudizio  un  dise- 

funio  in  Roma  a'  20  nov.  iy^6,  Cameriere  segreto  di  S.  S.  e  Segretario 
della  S.  C.  de'  Confini  delia  Stato  ecclesiastico,  raccolte  da  Francesco 
Cancellieri  con  i  catalogi  delle  materie  contenute  in  ciascuno  de'  }6  Vo- 
lumi lasciati  alla  Biblioteca  del  SS.  Salvatore  de'  Canonici  Lateranensi 
di  Bologna  (Pesaro,  Nobili,  1826,  in-8°);  scritte  e  pubblicate  per 
commissione  ed  a  spese  di  Domenico  Sala,  secondo  è  detto  a  pag.  iv 
e  156  di  quel  libro. 

(i)  Leone  XII  aveagli  singolare  affetto,  e  invitavalo  spesso  con 
biglietti  confidenziali  a  ber  seco  il  caffè.  Possedeva  il  Sala  una  vigna 
fuori  della  porta  Angelica  sulla  via  Trionfale;  Leone  spesso  gliene 
dimandava;  e  quegli  un  giorno  risposegli  tutto  conturbato:  -  Padre 
santo,  in  quel  povero  mio  terreno  si  è  testò  cacciata  una  pestilenza 
d'animaletti  voraci,  che  mi  mangiano  ogni  cosa.  -  Il  papa  smascellò 
dalle  risa  ;  egli  stesso  avca  fatto  recare  in  più  sacchi,  da  non  so  quale 
suo  podere,  gran  numero  di  porcellini  d'India,  ordinando  che  si  get- 
tassero nella  vigna  del  Sala. 

(2)  Motteggiavasi  pure  sul  suo  cognome,  e  dicevasi  che  per  giun- 
gere al  papa,  bisognava  passar  per  la  Sala. 


G.  Cugnoni 


gno  di  bolla  da  provvedere,  nel  caso  di  sede  vacante, 
alla  sicura  e  sollecita  elezione  del  nuovo  capo  della 
Chiesa  (i).  E  quel  disegno  fu  approvato,  e  la  bolla  spe- 
dita, la  quale  tra  breve  riusci  opportunissima.  Che,  morto 
Pio  VI,  bisognò  adunare  il  conclave  in  Venezia.  E  per- 
chè quel  caso  destava  dubbi  e  incertezze,  fu  il  Sala  invi- 
tato dal  collegio  de'  cardinali  a  recarsi  colà,  per  avviare 
co'  suoi  consigli  le  cose  a  buon  fine  (2). 

(i)  Baldassarri,  Relaiione  delle  avversità  e  patimenti  del  glorioso 
papa  Pio  Vly  ecc.,  3^  ediz.  (Modena,  Soliani,  1840-43),  III,  148.  - 
G.  A.  Sala,  Diario  Romano^  II,  78  seg. 

(2)  Due  lettere  di  Domenico  Sala  a  suo  fratello  Giuseppe  Antonio 
sul  conclave  di  Venezia  del  1799: 

I. 

«  Venezia,  7  decembre  1799. 
«  I  cardinali  stanno  benissimo,  e  pare  che  non  abbiano  sofferto 
«  niente.  Ambiscono  al  papato,  alla  segreteria  di  Stato,  ecc.,  come 
«  se  fosse  30  anni  sono,  e  veggo  che  il  gran  flagello  sofferto  non  ha 
«prodotto  in  loro  alcun  cangiamento.  I  partiti  sono,  in  34  cardinali, 
«  quattro  o  cinque,  uno  diverso  dall'altro,  né  sembra  che  per  ora  pos- 
«  sano  avvicinarsi.  Si  aspetta  a  momenti  il  card.  Herzan,  il  quale  si 
«  dice  partito  da  Vienna  nel  di  28  dello  scorso  mese.  Si  vuole  ch'egli 
«  porti  la  parola  dell'  imperatore,  e  che  alla  di  lui  venuta  si  determini 
«  l'elezione,  ma  io  non  lo  spero,  seppure  non  si  vorrà  ubbidire  cieca- 
«  mente  alla  volontà  della  Maestà  Sua.  Il  card.  Ruffo  fa  un'ottima 
«  figura,  e  si  conduce  come  un  cardinale  che  abbia  fatti  cinque  o  sei 
«  conclavi.  Tutti  gli  fanno  corte,  ed  egli  corrisponde  con  altrettanta 
«  gentilezza.  Egli  non  pensa  neppur  per  sogno  per  sé,  ma  pensa  di 
«  fare  il  piacere  dei  suoi  sovrani,  e  di  dare  alla  Chiesa  un  capo  de- 
«  gno  di  esserlo.  In  tanta  divisione  di  pareri,  io  non  saprei  preve- 
«  dere  chi  sarà.  I  maggiori  voti  finora  sono  per  Gerdil.  Dopo  aver 
«  veduto  varie  volte  alla  sfuggita  Antonelli,  l'altra  sera  fui  da  lui. 
«Il  di  lui  contegno  però  non  piace  ad  alcuno,  essendo  appreso  da 
«  tutti  per  un  soverchiatore  e  per  un  despota.  Egli  é  attaccato  al 
«  partito  degli  Spagnuoli,  e  per  questo  motivo  ancora  è  guardato  di 
«  mal  occhio.  Ruffo  per  altro  non  gli  si  mostra  disgustato,  e  non 
«sarebbe  lontano  dal  dargli  il  voto,  quando  altri  vi  concorressero. 
«  Caprara  dice  ad  ognuno,  che  non  vuole  il  papato,  e  sta  in  ritiro. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala  9 

Nel  decembre  del  1799,  allorquando  i  Napoletani  eb- 
bero occupato  Roma,  venne  a  lui  fatto  di  ricovrare  il  ce- 
lebre codice  Vaticano  222^  («  Terenzio  di  lettere  maiu- 
«  scole  con  scolii  in  lettera  longobardica;  fu  del  Bembo;  in 

«  Dugnani  fa  il  disinvolto,  ma  si  crede  che  la  corte  imperiale  sia 
«  per  lui.  Vincenti  aspira  alla  segreteria  di  Stato,  e  Antonelli  dice  che 
«  non  vi  è  sogetto  megliore  di  lui  per  un  tal  impiego.  Tutti  gli  altri 
«  poi  vanno  dove  son  guidati,  e  forse  a  lungo  giuoco  fra  i  Valenti, 
«  i  Calcagnini,  gli  Honorati,  i  Depetris  sarà  il  papa.  Intanto  però 
«  che  tutti  questi  porporati  smaniano  in  questa  conclusione,  non  si 
«  ha  sicurezza  alcuna  della  restituzione  dello  Stato,  né  intero,  né  in 
«  parte,  non  per  colpa  della  corte  di  Napoli,  ma  di  qualcun'altra,  e 
«  se  il  papa  si  facesse  oggi,  dimani  non  avrebbe  da  mangiare.  Ruffo 
«  ha  pensato  ad  un  ripiego,  ed  a  me  sembra  buono  e  riuscibile.  Si 
«  tenterà,  ed  avendo  quell'esito,  che  si  é  proposto,  si  combineranno 
«  molte  cose,  che  ora  paiono  diametralmente  opposte.  Non  ve  lo 
«  confido,  perché  vi  vorrebbe  troppo  a  spiegarvelo,  e  perché  non  vo- 
ce glio  arrischiarlo  in  una  carta  ». 

II. 

«Venezia,  28  decembre  1799. 
«  Sono  terminate  le  feste  Natalizie,  ma  non  é  terminato  il  con- 
fi clave,  come  ci  avevano  fatto  sperare.  Ora  ci  lusingano  che  non 
«  passerà  la  metà  di  gennaro.  Staremo  a  vedere.  Frattanto  é  curioso 
«  il  sentire  che  tra  i  colleghi  vi  sono  impegni  e  contrasti  per  le  ca- 
«  riche  di  segretario  di  Stato,  ed  altre.  Parimenti  si  tratta  di  distri- 
«buzione  di  cariche  prelatizie.  Oh  vedete  come  stiamo.  Il  Signore 
«  ci  aiuti.  È  stato  scritto  a  Vienna  per  sapere  come  abbia  a  rego- 
«  larsi  il  trattamento  di  formalità  col  nuovo  papa,  al  quale  diversi 
«buoni  cattolici  di  questi  contorni  vanno  preparando  donativi  di 
«arredi  sagri.  Lo  credereste?  ne  era  venuta  un  po' di  voglia  a 
«Gio:  Francesco,  ma  poi  gli  è  passata,  e  per  opera  di  Busca  si  è 
«  unito  al  partito  Braschi,  il  quale  avrebbe  voluto  Chiaramonti,  ma 
«  ha  dovuto  conoscere  di  non  potervi  riuscire.  Di  Gcrdil  non  si  parla 
«  più.  Per  Bellisomi  non  si  é  conchiuso  interamente.  Ora  per  opera 
«  del  Senogallicse  si  tratta  per  Mattei,  ma  sembra  clic  non  vi  si 
«riuscirà,  e  che  probabilmente  la  faccenda  terminerà  in  Bellisomi, 
«  avendone  Braschi  preso  molto  impegno.  Oh  vedete  il  grand'uomo 
«  che  può  dar  tanto  peso  ad  affare  di  simil  rilievo  !  In  qualunque 
«modo  seguita  a  tenersi  per  certo  la  stabilita   ripristinazione  della 


IO  G.  Cugnoni 


«  pergamena  in  4°  -  Fulv.  Orsìnus  «),  che  con  altri  molti 
era  stato  rubato    da   quelle  indisciplinate  soldatesche  (i). 

Nella  invasione  francese  del  1809,  mentre  affaccenda- 
vasi  di  nascosto  a  spedire  le  materie  ecclesiastiche  presso 
la  delegazione  apostolica  istituita  da  Pio  VII  per  fino  a 
che  durasse  la  sua  deportazione,  venuto  in  sospetto  alla 
polizia,  fu  preso  e  rinchiuso  nel  forte  di  Finestrelle  (2). 

Ricomposte  le  cose,  tornò  in  Roma,  e  dicono  che, 
premio  a  tanta  fede  ed  operosità,  gH  fosse  offerta  la  por- 
pora cardinalizia,  e  ch'egli  la  rifiutasse  (3).  La  qual  cosa  è 
assai  verisimile,  considerata  la  sua  naturale  avversione  a 
quanto  sentisse  di  grandigia  e  di  fasto,  anche  più  là  di 
quello  s'avvenisse  al  suo  grado  e  alle  sue  ricchezze.  Delle 
quali  fu  sempre  dispensatore  larghissimo  ai  bisognosi  :  co- 
sicché, dopo  la  sua  morte,  tenuto  ragione  dei  pingui  asse- 


(c  Compagnia.  Eccovi  detto  tutto  in  succinto,  senza  starsi  a  difFon- 
«  dere  nel  raccontare  i  soliti  inutili  pettegolezzi.  Il  maresciallo  da 
«  vari  giorni  guarda  il  letto  con  febre  a  S.  Giorgio,  ed  ivi  al  mezzo- 
«  giorno  fa  gli  onori  della  casa  e  della  tavola  la  marescialessa.  Non 
(c  ridete,  perchè  in  cose  serie  non  conviene  scherzare.  Tutti  questi 
((  prelati  però,  in  seguito  degli  avvertimenti  di  Scotti,  si  astengono 
«  da  farsi  mai  vedere  con  alcuna  signora,  e  compariscono  sempre  in 
((  sola  unione  fra  loro,  cosicché  se  alcuno  frequenta  qualche  casa 
«  veneziana,  non  se  ne  sa  nulla,  e  almeno  si  salva  l'apparenza  ». 

(i)  Ciò  rilevasi  dalla  seguente  nota  segnata  neli'antiguardo  di  esso 
codice  :  «  Furto  sublatus  mense  octob.  an.  MDCCXCIX.  Sed  multa 
«  a  me  diligentia  perquisitus  beneficio  egregii  viri  Dominici  Salae 
«  Bibliothecae  restitutus  idibus  decemb.  eiusdem  anni.  Cai.  Marini  a 
«  Bihl  Vat.  )). 

(2)  Baldassarri,  op.  cit..  Ili,  148,  in  nota.  -  Pacca,  Memorie 
storiche,  ecc.  (Roma,  Bourliè,  1830),  pag.  218. 

(3)  In  un  bighetto  di  monsignor  Baccili  a  Giuseppe  Antonio  Sala, 
dei  22  decembre  181 5,  si  legge:  «  ...  ed  ho  soggiunto  che  dovea  egli 
«  (il  card,  segretario  di  Stato)  far  riflettere  al  papa  i  meriti  esimi  del 
«  sig.  abb.  Domenico,  quali  dovevano  porsi  a  carico  riguardo  alla 
«  vostra  persona,  subito  che  il  medesimo  non  aveva  avuto  ne  voleva 
«  quei  compensi,  che  gli  erano  giustamente  dovuti  ». 


T>ella  vita  e  degli  scritti  di  G;  oA.  Sala         1 1 

gni  da  lui  per  lunghi  anni  goduti;  dei  ricchi  proventi  delle 
agenzie  ecclesiastiche,  massimamente  di  quelle  delle  diocesi 
elettorali  della  Germania;  della  non  tenue  eredità  del  Tioli; 
e  dei  molti  e  preziosi  donativi  venutigli  sì  da  lasciti  testa- 
mentari, e  si  dalla  munificenza  di  quei  sovrani,  coi  quali, 
dopo  il  1814,  la  Sede  romana  conchiuse,  per  gli  uffici  di 
lui,  solenni  concordati  :  si  trovò  dell'ingente  patrimonio  ap- 
pena un  modesto  avanzo,  e  questo  pure  per  la  maggior  parte 
legato  al  suo  erede  a  titolo  di  usufrutto,  da  ricadérne  in 
ultimo  la  proprietà  a  stabile  beneficio  di  pii  instituti  (i). 

Visse  Domenico  presso  ad  85  anni;  morì  il  12  feb- 
braio 1832.  Il  suo  corpo  riposa  in  S.  Ignazio,  avanti  l'al- 
tare della  Vergine,  presso  alla  sepoltura  del  suo  amico  e 
benefattore  monsignor  Pier  Antonio  Tioli  (2). 

Giovanni,  nato  il  25  ottobre  175^,  fu  abiHssimo  ra- 
gioniere (3)  e  dedito  ai  traffichi,  donde  raccolse  non  me- 
diocre fortuna.  Esercitò  l'importante  ufficio  di  computista 
del  Buon  governo  ;  amministrò  con  autorità  di  viceprincipe 
il  patrimonio  Rospigliosi,  cui  di  scadente  tornò  floridissimo. 
Tolse  in  moglie  Violante  Donasi,  e  n'ebbe  cinque  figliuoli. 
Luigi,  Pietro,  Clementina,  Teresa,  Maria.  Visse  78  anni, 
morì  il  12  gennaio  1835,  fu  tumulato  in  S.  Maria  in  Via, 
nella  sua  sepoltura  gentilizia. 

Delle  quattro  femmine.  Teresa,  nata  il  19  novem- 
bre 1748,  e  Rosalba,  nata  l'ii  aprile  1754,  abbracciarono  la 
vita  monastica:  Caterina,  nata  il  24  settembre  1750,  ma- 
ritatasi il  7  giugno  1772  a  Baldassare  di  Giacomo  Cugnoni, 

(i)  Breve  notiiia  dell' ab.  Domenico  Sala  scritta  dal  cardinale  Giu- 
seppe Antonio  Sala  suo  fratello  ed  erede  fiduciario,  nel  voi.  IV  degli 
Scritti  di  Giuseppe  Antonio  Sala,  pubblicati  sugli  autografi  da  G.  Cu- 
gnoni. 

(2)  Con  questa  umile  scritta  :  «  Ossa  |  Dominici  •  Sala  |  Vixit  •  An.  • 
«  LXXXIV  •  M.  •  Vili  •  D.  •  XIV  I  Obiit  •  Pridie  •  Idus  •  Fcbruar.  • 
«  An.  •  MDCCCXXXII  ]  Orate  •  Pro  •  Eo  ». 

(3)  Baldassarri,  op.  cit.  I,  141. 


12  G.  Cugnoni 


romano,  agiato  mercatante  con  legni  da  trasporto  in  sul 
mare:  fu  madre  di  dieci  figliuoli (i);  visse  82  anni,  fu  se- 
polta in  S.  Marco  :  Gertrude,  nata  il  4  gennaro  1759,  moglie 
a  Giovanni  Battista  Apolloni  di  Anagni,  fu  madre  di  una 
sola  figliuola,  Anna  contessa  Cimara,  e  morì  in  Roma  il 
13  marzo  1829. 

Giuseppe  Antonio,  che  è  il  principale  soggetto  di  que- 

(i)  Tra  questi  Vàleriano,  il  mio  santissimo  genitore,  il  quale  di' 
sé  e  della  famiglia  mi  lasciò  scritte  le  seguenti  memorie: 

«  Io  sono  figlio  di  Baldassarre  Cugnoni  e  Maria  Catarina  Sala. 
«  Di  mio  padre,  che  perdetti  nell'età  infantile,  non  posso  darne  spe- 
«  ciali  notizie,  e  più  perchè  un  incendio  brugiò  tutte  le  carte  di  fa- 
ce miglia.  Egli  esercitava  la  mercatura,  ed  aveva  molto  viaggiato  oltre 
«  mare;  era  unico  di  sua  casa  in  Roma,  e  godeva  una  stima  e  re- 
«  putazione  di  somma  onestà  e  galantomismo.  Morì  in  età  di  circa 
«  45  anni,  e  fu  sepolto  in  S.  Catarina  della  Rota,  essendo  la  nostra  abi- 
«  tazione  nel  palazzo  Varese  a  strada  Giulia.  Lasciò  4  figli  di  dieci, 
«  cioè  due  femine,  che  sono  morte  di  fresca  età,  una  monaca,  e  l'altra 
«  educanda  nel  monastero  di  S.  Margarita  di  Narni.  L'altro  maschio, 
«  cioè  l'ultimo  figlio,  anche  egli  morì  di  circa  3  anni.  Io  sono  nato 
«  nell'agosto  1784,  battezzato  in  S.  Lorenzo  e  Damaso. 

«  Mia  madre  fu  figlia  di  Giuseppe  ed  Anna  Sala,  entrambi  di  santa 
et  vita.  Aveva  3  fratelli,  cioè  l'ab.  Domenico,  che  fu  poi  amministra- 
«  tore  delle  Componende,  oltre  altre  molte  attribuzioni  ;  Giovanni  in 
«  ultimo  computista  del  Buon  Governo,  e  Giuseppe  Antonio,  che, 
«  dopo  una  carriera  laboriosa,  fu  creato  cardinale  da  Gregorio  XVI, 
«  e  mori  prefetto  dei  Vescovi  e  Regolari  nel  giugno  1839. 

«  Questi  zii,  segnatamente  il  primo,  dopo  la  morte  di  mio  padre 
«  si  presero  cura  della  mia  educazione  civile  e  religiosa  ;  di  essi  an- 
ce che  nel  sepolcro  conserverò  memoria  per  le  straordinarie  obbliga- 
te zioni,  che  loro  professo. 

((  In  età  di  circa  7  in  8  anni  fui  posto  nel  seminario  di  Veroli,  che 
«  molto  in  allora  fioriva,  e  vi  stetti  cinque  anni  e  pochi  mesi,  da  dove 
«  uscii  per  la  chiusura  di  detto  seminario  in  circostanza  della  famige- 
«  rata  repubblica  romana.  Sino  circa  al  termine  della  medesima  stetti 
«  in  Anagni  in  casa  di  una  zia  Geltrude  Sala  Appolloni.  Tornato  in 
«  Roma  continuai  li  studi  sino  al  corso  di  matematica.  Contempora- 
«  neamente  fui  fatto  scrittore  di  Minor  Grazia,  e  dopo  qualche  tempo 
c<  fui  nominato  cadetto  nel  corpo  del  Genio;  ma  per  essere  stato  de- 


^elia  vita  e  degli  scìHtti  di  G.  oA.  Sala        13 

ste  memorie,  nacque  ai  27  d'ottobre  del  17^2.  Studiò  let- 
tere e  filosofia  nel  Collegio  Romano,  e  teologia  nella 
Scuola  domenicana  in  S.  Maria  sopra  Minerva,  donde  a 
19  anni  usci  addottorato.  Divenuto  sacerdote,  attese  per 
qualche  tempo,  insieme  col  fratello  Domenico,  sotto  la  di- 
rezione di  monsignor  Pier  Antonio  Tioli,  al  maneggio  de' 
negozi  ecelesiastici,  e  ne  prese  tale  perizia,  da  riuscire,  tut- 


te stinato  in  Ancona,  dovetti  rinunziare  per  riguardo  di  mia  madre, 
«  ed  anche  perchè  era  troppo  giovane. 

«  Nel  181 1  fui  nominato  coadiutore  a  Francesco  Cenciarelli,  cap- 
«  pellano  segretario  di  Minor  Grazia. 

«  Dopo  l'invasione  francese  nel  18 14,  per  esser  morto  il  mio  coa- 
«  diuto,  entrai  nell'esercizio  libero  di  detto  ufficio  ;  inoltre  fui  nomi- 
«  nato  scrittore  apostolico  e  de' brevi.  Nel  182 1  fui  fatto  coadiutore 
«  di  D.  Francesco  Lavizzari,  scrittore  di  Via  Secreta  e  di  Curia,  e 
«  nel  1835,  per  morte  del  medesimo,  entrai  nel  libero  esercizio  di 
«  detto  ufficio. 

«  Nel  1821  sposai  Angela  Silvi  di  Leprignano,  dalla  quale  ebbi 
«  tre  figli.  La  medesima,  dopo  cinque  anni  e  due  mesi  di  matrimonio, 
«  cessò  di  vivere,  dopo  breve  malattia,  il  22  decembre  1826.  Non 
«  occorre  dire  con  qual  mio  rammarico  per  le  sue  buone  qualità. 
«  Fu  sepolta  in  S.  Marco. 

«  Il  mio  primo  figlio  Ignazio  nacque  ai  19  agosto  1822.  Il  secondo 
«  figlio  Giuseppe  nacque  il  2  maggio  1824.  Il  terzo  figlio  Tommaso, 
«  nato  il  dì  7  marzo  1826,  nel  1832,  il  7  ottobre,  cessò  di  vivere,  in 
«  età  di  6  anni,  nelle  mie  braccia,  dopo  due  giorni  di  malattia  inflam- 
«  matoria  nel  cervello. 

«  Restato  vedovo,  cosi  volli  rimanere  per  occuparmi  dell'educa- 
«  zione  de' figli;  ed  ho  procurato  di  darla  loro  prima  cristiana,  poi 
«  civile.  Posso  dire  che,  con  la  grazia  di  Dio,  mi  hanno  corrisposto  ». 

Fin  qui  il  mio  padre  amatissimo,  il  quale  morì  il  5  maggio  1861, 
e  fu  sepolto  nel  ricinto  scoperto  tra  la  via  in  Velabro  e  la  chiesa  di 
S.  Teodoro,  con  questa  iscrizione  :  «  Valerianus  •  Balthass.  •  F.  *  Cu- 
«  gnonius  I  Inter  •  Sodales  •  Sacri  •  Cordis  •  Jesu  [  Cognomento  *  Her- 
«  menegildus  |  VII  •  Id.  •  Aug.  •  A.  •  MDCCCXV  •  Supra  •  Numerum  • 
«  Adlectus  I  IV  •  Non.  •  Mai  •  A.  •  MDCCCXXVI  •  In  •  Oblatorum  • 
«  Coetum  •  Cooptatus  |  In  •  Conditorio  *  Quod  •  Sibi  •  Vivens  •  Com- 
«  paravit  |  Depositus  •  Est  •  Non.  •  Mai  •  A.  •  MDCCCLXI  |  Annos  • 
«  Natus  •  LXXVII  |  Requiem  •  Aeternam  |  Dona  •  Ei  •  Domine  ». 


14  G.  Cugnoni 


tor  giovane,  uno  dei  più  destri  e  prudenti  ufficiali  della 
curia  papale.  Perchè  molto  si  giovò  del  senno  e  dell'opera 
sua  monsignor  Michele  Di  Pietro  allorquando,  nel  biennio 
1798- 1799,  tenne  in  Roma,  come  già  di  sopra  accennai, 
con  pienissima  autorità  di  delegato  apostoHco,  le  veci  del- 
l'esulante pontéfice.  E  sebbene,  pel  segreto  procedere  di 
quella  amministrazione,  niun  fatto  possa  addursi  in  prova 
della  efficacia  e  della  prudenza,  onde  Giuseppe  Antonio  vi 
si  adoperò;  tuttavia  ne  rimane  non  dubbia  testimonianza 
nel  seguente  paragrafo  di  lettera,  in  data  24  settembre 
1798,  del  Di  Pietro  a  monsignor  Spina,  uno  de'  compagni 
d'esilio  del  papa  in  Firenze:  «  Non  mi  dilungo  questa 
«  volta,  giacché  nel  prossimo  ottobre  passerà  per  Firenze 
«  il  comune  amico  (i),  e  con  il  medesimo  rimarrà  più 
«  facile  a  viva  voce  con  Lei  lo  schiarimento  di  qualunque 
«  difficoltà.  Ella  lo  conosce  benissimo,  pure  ad  onore  della 
«  verità  debbo  attestare  del  di  lui  sincero  zelo  per  la  catto- 
«  lica  religione,  del  di  lui  disinteresse ,  eh'  è  veramente 
«singolare,  della  di  lui  onestà,  abilità  e  attività.  Debbo 
«  confessare,  che  se  non  si  fosse  costantemente  prestato 
«  unitamente  al  di  lui  degnissimo  fratello  canonico  pel 
«  disbrigo  degli  affari,  che  sono  innumerabili,  o  avrei  ào- 
o  vuto  soccombere,  o  avrei  dovuto  arrenarmi.  Questa 
u  ingenua  confessione,  e  questo  tenuissimo  tributo  di  gra- 
((  titudine,  che  ora  rendo  a  questi  due  ben  degni  ed  im- 
<(  pareggiabili  fratelli,  desidererei  che  lo  comunicasse  al 
«  S.  Padre,  giacché  é  troppo  giusto  che  si  sappia  dal  capo 
«  della  Chiesa  chi  costantemente  ha  travagliato  e  travaglia 
«  con  sommo  vantaggio  per  il  disbrigo  degh  affari  eccle- 
«  siastici;  né  io  voglio  farmi  bello  colle  penne  altrui  ».  E 
il  30  dello  stesso  mese  lo  Spina  rispondeagU:  «  Ho  fatto 
«  risaltare  a  S.  Santità  il  merito  di  codesto  degnissimo  si- 

(i)  Cioè  l'ab.  Domenico  Sala,  che,  come  già  dissi,  nell'ottobre 
del  1798  recossi  a  Firenze. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  dA.  Sala  1 5 

((  gnor  ab.  Sala,  e  del  fratello  canonico,  riferendogli  alla 
«  lettera  il  contenuto  nella  stimatissima  sua.  Son  persuaso 
«  che  S.  Santità  gli  dà  tutto  il  valore  che  merita  ».  E  di 
nuovo  il  Di  Pietro  allo  Spina,  ai  io  del  seguente  ottobre: 
«  Sensibile  oltremodo  al  favore  da  Lei  compartitomi  nel 
«  partecipare  al  S.  Padre  i  meriti  dei  due  fratelli  Sala,  vengo 
«  a  contestarle  le  sincere  mie  obbligazioni  » . 

Da  questo  esercizio,  tutto  proprio  del  suo  ministero,  vol- 
gendo talora  l'ingegno  alla  considerazione  degli  uomini  e 
delle  cose,  prese  altresì  nelle  faccende  civili  e  nelle  ammi- 
nistrative non  comune  perizia;  secondo  che  può  rilevarsi 
dall'accurato  e  giudizioso  Diario,  che  egli  in  quel  tempo 
venne  scrivendo.  Comprende  questo  l' intiera  epoca  repub- 
bHcana,  dalla  uccisione  del  Duphot,  seguita  il  28  settem- 
bre 1797,  sino  all'ingresso  dell'esercito  napoletano  in  Roma, 
avvenuto  nello  scorcio  del  1799.  Lavoro  diligentissimo  e, 
sebbene  di  sua  natura  sconnesso,  non  privo  di  una  certa 
uniformità,  che  seppe  dargli  l'autore,  richiamando  di  con- 
tinuo il  disparato  racconto  alle  norme  immutabili  del  vero 
e  dell'onesto.  Per  tal  modo  la  narrazione  de'  fatti  viene 
d'ordinario  accompagnata  dai  giudizi  dello  scrittore,  alla 
cui  perspicacia  niente  sfugge,  che  sia  degno  di  nota.  E  per- 
tanto gli  occulti  legami  degH  effetti  con  le  cause,  i  torbidi 
aggiramenti  delle  fazioni,  la  ragione  delle  leggi,  i  processi 
amministrativi,  le  probabilità  delle  guerre  e  delle  paci:  tutto 
egli  discute  e  sottopone  allo  sguardo  dei  lettori  dal  lato  più 
vivo  e  smagliante.  Infiniti  gli  episodi  di  ogni  genere,  dal 
tragico  al  comico,  dal  sacro  e  maestoso  allo  scurrile  e  ple- 
beo. Onde  varietà  piacevolissima,  che  compensa  la  minu- 
tezza spesso  soverchia  del  racconto,  e  che  ti  rende  penoso 
il  doverne  sospendere  la  lettura.  Il  cronista  è  tutto  odio 
pe'  Francesi,  tutto  amore  pel  papa;  ma  l'odio  e  l'amore  non 
gli  fanno  velo  al  giudizio,  nò  lo  sviano  dalla  veracità;  e 
spesso  loda  i  nemici,  e  ancor  più  spesso  biasima  gli  amici. 
«  Il  papa  (scrive  sotto  il  io  luglio  1798),  che  infelicemente 


i6  G.  Cugnoni 


«  non  ha  attorno,  se  non  se  de'  familiari  buffoni,  spedisce 
«  dalla  Certosa  di  Firenze  grazie  in  abbondanza.  Li  rescritti 
«  vengono  firmati  e  muniti  di  sigillo  da  quel  buon  uomo 
«  di  monsignor  Odescalchi,  nunzio  apostolico  in  Firenze, 
«e  si  fanno  delle  bestialità  dell'ottanta  ».  E  ai  io  del  mese 
seguente:  «  Fra  le  molte  disgrazie  dell'attuale  pontificato 
«  dee  contarsi  per  principalissima  quella  di  avere  il  papa 
«  avuto  sempre  attorno  de'  birbanti,  o  per  lo  meno  de'  scioc- 
((  chi,  motivo  per  cui  si  fecero  tante  grazie  arbitrarie  con 
«  disdoro  del  principato  e  della  Chiesa.  Una  tale  disgrazia 
«  continua  anche  a  Firenze,  perchè  qualche  famigliare  di 
«  Sua  Santità  seguita  ad  avere  il  medesimo  influsso,  e  mon- 
«  signor  Odescalchi,  nunzio  apostoHco,  che  spedisce  e  sot- 
«  toscrive  rescritti,  è  un  vero  bufalo,  che  nulla  intende  di 
«tali  materie  ».  In  mezzo  all'amarezza  delle  pubbliche  tri- 
bolazioni, confessa  ingenuamente  e  con  enfasi  (i)  «  scor- 
«  gersi  evidentissimamente  la  verga  piena  di  occhi,  che  va 
«  sferzando  qua  e  là.  Il  principato  e  la  Chiesa  avevano  bi- 
«  sogno  di  grandi  riforme,  non  servivano  più  puntelli  per 
«  sostenere  la  fabbrica  cadente,  e  il  Signore  vuole  atterrarla 
«  del  tutto  per  poi  innalzare  un  nuovo  edifizio.  Penserà 
«  egli  a  scegliere  que'  materiali,  che  potranno  mettersi  di 
«bel  nuovo  in  opera,  escludendo  gl'inutili  calcinacci  e  i 
«legnami  atti  solamente  per  il  fuoco».  E  altrove  (2): 
«  Non  v'  ha  dubbio  che  Dio  vuole  una  generale  riforma, 
«  massime  nelle  persone  a  lui  consagrate,  e  sembra  che 
«  forse  non  giunga  ad  ottenerla,  se  prima  non  si  faccia  la 
«separazione  delle  paglie  inutili  dall'eletto  frumento  ».  E 
cosi  via  via  in  più  luoghi.  Né  la  risparmia  pure  talvolta, 
allo  stesso  papa,  come  quando  scrive  (3)  :  «  Si  acchiude 
«  copia  delle  facoltà  accordate  dal  S.  Padre  ai  vescovi  del 


(i)  23  marzo  1798. 

(2)  1°  settembre  1798. 

(3)  2  ottobre  1798. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  cA.  Sala        17 

«  regno  di  Napoli.  Questa  concessione  è  irregolarissima 
«  per  mille  riflessi,  ma  la  cosa  è  fatta,  e  non  sarà  facile  il 
«  tornare  indietro  ».  In  conclusione,  lo  scrittore  è  un  catto- 
lico romano  di  buona  fede  e  disinteressato,  che  si  sforza  a 
tutt'uomo  di  difendere  i  grandi  principi  morali  rappresentati 
dal  papato  ;  e  nel  furor  della  mischia  avventa  i  suoi  colpi 
non  meno  agli  avversari,  che  ai  compagni  d'arme,  ove  ne 
ravvisi  di  dannosi  o  per  tristezza,  o  per  egoismo,  o  per  dap- 
pocaggine. Ne  venga  quel  che  ne  può  ;  egh  nulla  teme,  nulla 
spera;  e  però  non  saprebbe  bramare  altro  conforto  oltre 
quello  della  coscienza  d'aver  compiuto  il  proprio  dovere. 

Con  quale  intendimento  togliesse  egli  a  scrivere  questo 
Diario,  non  si  potrebbe  accertare.  Che  sebbene  per  una 
parte  la  diligenza,  ond'è  condotto,  e  l'importanza  dei  do- 
cumenti inseritivi  farebbe  supporre  nell'autore  il  proposito 
di  divulgarlo;  per  l'altra,  la  troppo  schietta  esposizione 
de'  fatti,  la  severità  de'  giudizi,  l'acerbità  delle  invettive, 
l'acutezza  dei  sarcasmi,  e  soprattutto  la  liberissima  censura 
de'  personaggi  d'ogni  fatta  e  condizione,  avrebbero  per- 
suaso qualunque  uomo,  anche  mezzanamente  prudente,  dal 
pur  mostrarlo  a  chicchessia.  Ma  quello,  che  non  potea  fare 
l'autore,  lo  avrebbe  un  giorno  potuto  far  altri;  ed  egli 
stesso  l'accenna  là,  dove  toccando  dell'anno  repubWicano 
sostituito  per  legge  al  volgare,  scrive  (i):  «  Noi  però  se- 
«  guiteremo  a  servirci  dell'era  volgare,  lusingandoci  che 
«  se  questi  fogU  dovranno  un  giorno  servire  a  qualche  uso, 
«  sarà  ita  in  allora  in  oblivione  l'era  francese,  e  quella  na- 
«  zione  sarà  divenuta  l'oggetto  dell'esecrazione  e  dell'ob- 
«  brobrio  di  tutto  l'universo,  che  ricorderà  perpetuamente  li 
«  mali  incalcolabili  da  essa  fatti  alla  Chiesa  e  all'umanità». 

Alcuni  paragrafi  di  questo  Diario  scrisse  pure  separa- 
tamente in  latino,  non  so  se  per  uso  di  quella  Hngua,  o 
per  spedirli  a  modo  di  avvisi  alla  corte   papale,  o  altrove. 

(i)  22  settembre  1798. 
Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  2 


i8  G.  Cu g no f li 


L'esercizio  continuato  per  oltre  due  anni  di  registrare 
giorno  per  giorno  la  storia  di  tempi  smisuratamente  fe- 
condi de'  più  strani  e  svariati  avvenimenti,  come  obbliga- 
valo  ad  acuire  l'ingegno  e  il  giudizio  nella  investigazione 
e  nell'apprezzamento  degli  uomini  e  delle  cose  ;  cosi  gli  fu 
d'utile  apparecchio  a  quella  vita  operosa,  a  cui  naturalmente 
portavalo  la  sua  fervida  e  generosa  indole,  e  nella  quale 
miselo  indi  a  poco  una  propizia  congiuntura. 

Era  Giuseppe  Antonio,  come  egli  stesso  ci  fa  sapere  (i), 
stimato  assai  ed  amato  da  Giovanni  Battista  Caprara,  cardi- 
nale «  di  grandi  lumi  e  di  grandi  cognizioni  politiche  »  (2). 
Per  la  qual  cosa,  allorché  questi  nel  1801  mosse  per  Pa- 
rigi con  autorità  di  legato  a  latere,  per  mettere  ad  esecu- 
zione il  concordato  fra  la  Santa  Sede  e  la  Repubblica 
francese,  se  lo  menò  seco  con  ufficio  di  segretario  della 
legazione.  Sebbene  quel  concordato  fosse  già  stato  con- 
cluso, in  quanto  alla  sostanza,  per  opera  specialmente  del 
cardinale  Ercole  Consalvi  (3);  tuttavia  avverte  il  Thei- 
ner  (4),  che  la  più  difficile  e  travagliosa  faccenda  fu  il 
mandarlo  ad  esecuzione,  e  che  a  tanto  richiedevasi  appunto 
l'abilità  e  l'autorevolezza  del  Caprara,  dottissimo  nella 
scienza  de'  canoni,  e  molto  versato  ne'  maneggi  ecclesia- 
stici pel  lungo  uso  avutone  come  consultore  delle  varie 
congregazioni  romane.  Sì  dunque  per  la  difficoltà  dell'im- 
presa, e  si  pel  grande  valore  del  Caprara,  la  scelta  del  Sala 
non  potè  muovere  altronde,  che  dalla  fama  della  dottrina 
e  della  prudenza  sua. 

Giunto  a  Parigi  il  4  d'ottobre  del  1801,  vi  rimase  circa 
tre  anni,  quanti  ne  andarono  per  l'avviamento  e  la  conclu- 
sione di  quel  trattato.  E  sebbene  la  gloria  d'averlo  menato 

(i)  Diario  in  principio. 

(2)  Ivi. 

(3)  Mémoires  du  card.  Consalvi,  par  J.  Crétineau-Joly,  I,  291  seg. 

(4)  Histoire  des  deux  Concordats  de  la  Répuhlique  Frangaise  et  de  la 
République  Cisalpine,  I,  314. 


T>ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  (lA.  Sala        19 

a  buon  fine  sia  del  Caprara,  tuttavia  il  merito  e  la  fatica  fu 
in  gran  parte  del  Sala  (i).  La  cui  voce  nelle  discussioni, 
che  sui  diversi  articoli  si  venivano  a  mano  a  mano  facendo 
tra  i  rappresentanti  del  pontefice  e  quelli  del  primo  console, 
risonò  sempre  autorevolissima,  anche  allora,  che,  in  oppo- 
sizione alla  soverchia  condescendenza  del  Caprara  (2), 
contrapponeasi  alle  eccessive  esigenze  del   Bonaparte  (3). 


(i)  Da  alcuni  riscontri  fatti  da  me  fare  negli  archivi  nazionali  di 
Parigi  (sez.  ammin.)  risulta:  1°  che  le  più  delle  lettere,  delle  con- 
sultazioni, dei  voti  e  delle  altre  scritture  relative  a  quel  Concordato,  o 
sono  di  pugno  del  Sala,  o,  se  copiate  da  altra  mano,  recano  in  mar- 
gine la  nota  «  par  mgr.  Sala  »;  2°  che  nel  febbraio  1803,  infermatosi 
il  cardinale  legato,  e  poco  stante  anche  l'uditore  monsignor  Mazio, 
egli  compiè  per  più  mesi  consecutivi  le  veci  dell'uno  e  dell'altro, 
anco  in  ordine  a  materie  di  sommo  rilievo  ;  3°  che  in  tutto  il  tempo 
di  quella  legazione,  vescovi,  sacerdoti  e  regolari  delle  varie  provincie 
della  Francia  facevano  capo  a  lui  direttamente  per  la  trattazione  delle 
più  ardue  faccende,  e  per  la  soluzione  dei  dubbi  più  intricati  ;  4°  che 
spesso  i  maneggi  di  maggiore  importanza  passavano  tra  lui  ed  il  mi- 
nistro Portalis.  Così  che  dal  tutto  insieme  si  pare  che  l'avviamento 
e  la  conclusione  di  quel  malagevolissimo  trattato  fu  per  la  maggior 
parte  opera  del  Sala. 

(2)  «  Communemente  il  Caprara  era  riputato  uomo  di  molta  po- 
litica mondana,  ma  povero  di  prudenza  e  fermezza  evangelica.  Che 
se  Pio  VII  lo  mandò  nel  1801  legato  a  latere  in  Francia,  ciò  avvenne 
perchè  il  Bonaparte  fece  sapere  che  tale  si  era  il  suo  desiderio  e  vo- 
lontà. Uno,  che  appartenne  a  quella  legazione,  mi  diceva,  che  quando 
il  cardinale  era  esortato  a  mostrar  animo  forte  e  costante  nel  trat- 
tare col  primo  console  e  suoi  ministri,  si  schermiva  rispondendo: 
Questi  signori  sono  come  le  caraffe:  se  le  urtiamo,  si  rompono  ».  (Bal- 
DASSARRi,  op.  cit.  IV,  25,  in  nota).  Un  esempio  del  contrapporsi  del 
Sala  al  Caprara  può  vedersi  nel  documento  I,  pubblicato  dal  D'Hus- 
SON VILLE  a  pag.  522  seg.  del  voi.  I  dell'opera  L'Église  Romaine  et  le 
premier  Empire,  1800-1814. 

(3)  L'Artaud  (Histoire  du  pape  Pie  VII,  II,  1 50)  cosi  scrive  su 
tal  proposito  :  «  Ce  cardinal  (Caprara)  avit  eu  autrefois  auprès  de 
lui  monsignor  Sala  et  monsignor  Mazio,  hommes  de  beaucoup  de 
talent:  ccs  fidèles  sujcts  du  pape  s'attachoient  à  faire  exècuter  avec 
régularité  les  ordres  de  Rome,  et  s'opposoient,  quand'ils  le  pouvoient, 


20  G.  Cugnoni 


Il  quale,  dicono,  talvolta  minacciosamente  se  ne  sdegnasse; 
come  quando,  afferrato  un  calamaio,  fece  atto  di  scagliar- 
glielo in  volto;  o  percotendo  furiosamente  col  pugno  sopra 
un  deschetto,  ne  fece  balzar  vìa  una  ricca  porcellana;  o 
additatogli  fra  due  busti  di  marmo  uno  spazio  vuoto  :  «  lo 
riempirò  (disse)  col  tuo  capo  reciso  »  (i).  Lampi  d'ira  su- 
bitanei senza  effetto  ;  ma  che  pure  tanto  a  Giuseppe  An- 
tonio sturbarono  il  sangue,  da  fargliene  ribollire  per  la  cute 
un  triste  uniore,  che  poi  tormentollo  per  tutta  la  vita. 
Nondimeno  Napoleone  avealo  in  pregio  per  la  dottrina  e 
il  pronto  ingegno,  e  talora  ingiungeva  al  Caprara  d'andare 
a  lui  in  sua  compagnia,  per  averne  l'avviso  su  qualche  im- 
portante materia,  che  volesse  di  per  se  stesso  mettere  in 
discussione  (2).  Anche  mostravasegH  gentile,  volendolo 
ogni  sera  a  giocar  seco,  e  in  segno  di  famiHare  affetto  con- 
traffaceane  il  cognome,  chiamandolo  Scala. 

Cessata   quella  legazione,  fu  trattenuto   in   Parigi    da 
Pio  VII,  andato  allora  a  quella  corte  per  incoronare  e  be- 

à  ce  que  le  cardinal  outrepassàt  ses  pleins  pouvoirs  dé-jà  assez  éten- 
dus.  A  Paris,  on  n'avoit  pas  tarde  à  reconnoitre  surtout  le  dévoument 
inexorable  de  monsignor  Sala,  personage  à  la  fois  doué  de  qualités 
aimables  dans  la  société,  et  d'une  habilité  éprouvée  dans  les  afFaires 
graves.  Monsignor  Lazzarini  et  M.  l'abbé  de  Rossi  avoient  remplacé 
ces  prélats  :  le  Gouvernement  frangais  s'applaudissoit  d'avoir  éloigné 
deux  austères  contradicteurs;  mais  il  en  étoit  resulté  que  la  confiance 
du  pape  dans  le  légat  avoit  été  altère,  quoiqu'il  regu  encore  par 
fois  de  bons  conseils  de  ses  nouveaux  secretaires  ».  Veggasi  la  «  Ré- 
clamation  du  cardinal  Caprara  contre  les  Articles  organiques,  adres- 
sée  à  M.  de  Talleyrand,  ministre  des  affaires  extérieures  »,  lavoro  in 
gran  parte  del  Sala,  nell'opera  Étude  historique  et  juridique  sur  le  Con- 
cordai de  1801  d'après  hs  documents  officiels,  par  M.  l'abbé  Joly  (Paris, 
1881),  pag.  187  segg. 

(i)  Una  simigliarne  minaccia  di  Napoleone  è  registrata  dal  Daudet 
a  pag.  171  dell'opera  Le  card.  Consalvi:  «  Si  je  ne  fais  pas  sauter  la 
téte  de  dessus  les  épaules  de  quelques-uns  de  ces  prétres,  on  n'ac- 
commodera  jamais  les  affaires  ». 

(2)  V.  D'HussoNViLLE,,  op.  e  loc.  cit. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala         21 

ned;re  il  Bonaparte,  fattosi,  di  primo  console,  imperatore. 
Cosi  aggregato  al  seguito  papale,  entrò  a  parte  della  solenne 
cerimonia,  e  nel  ritorno  fu,  per  speciale  mandato  del  pon- 
tefice, nominato  commissario  delle  grazie  spirituali,  che 
lungo  quel  viaggio  si  verrebbero  dispensando. 

Restituitosi  in  patria,  pareva  che,  in  giusta  ricompensa 
di  tanto  zelo  e  travaglio,  non  dovesse  mancargli  un  qual- 
che grado  onorifico  nella  curia,  o  nella  corte  ;  ma  fosse  la 
sua  natura  franca  di  soverchio  e  non  curante,  fosse  geloso 
sospetto  di  chi  in  Roma  suole  fabbricare  di  simiglianti  for- 
tune; fu  lasciato  con  le  nere  divise,  come  n'era  partito,  e 
senza  carica  o  benefizio  di  sorta.  Né  egli  se  ne  disgustò  ;  e 
anzi,  profittando  dell'ozio  inaspettato,  riprese  vogHosamente 
i  suoi  studi  e  le  usate  occupazioni.  Fra  le  quali  quella  di 
scrittore  di  bolle  e  di  brevi  nella  Dateria  ;  uffici  conferitigli 
fino  dal  1791.  E  nell'Epifania  del  1807,  come  pro-rescri- 
bendario  degli  scrittori  apostoHci,  presentò  al  papa,  in  nome 
di  quel  collegio,  la  consueta  offerta  di  cento  scudi  d'oro 
entro  pisside  d'argento,  accompagnando  la  cerimonia  con 
breve  discorso  latino  (i). 

Nell'anno  1809,  vedendosi  Pio  VII  stretto  ogni  dì  più 
e  minacciato  dalla  francese  violenza,  per  porre  in  salvo  ad 
ogni  peggior  caso  il  hbero  esercizio  della  potestà  spirituale, 
istituì  in  Roma  una  delegazione  apostolica.  In  questa  Giu- 
seppe Antonio  ebbe  l'ufficio  di  segretario;  ma  fu  breve  il 
servigio,  che  insieme  col  fratello  Domenico  le  potè  rendere. 
Imperocché  non  appena,  deportato  il  pontefice,  la  detta 
delegazione  cominciò  ad  agire,  «  fummo  (egli  scrive  (2)  ) 
«  entrambi  compresi  nel  numero  delle  persone  messe  in 
«  arresto  e  destinate  a  partire  per  Reims,  dove  si  suppo- 
«  ncva  che  verrebbe  fissata  la  residenza  del  papa  e  si  sa- 


(i)  Diario  di  Roma,  n.  4,  14  gennaio   1807.  -  Moroni,  Dizionario 
di  eritdiiione  ecclesiastica,  LXI,  311. 

(2)  Breve  notizia  dcll'abb.  D.  Saia,  ecc.  cit. 


22  G.  Qignoni 


«rebbero  aperte  le  segreterie  ecclesiastiche.  Ebbimo  a  pe- 
ce nare  non  poco  per  esentarcene  e  per  rimanere  in  libertà. 
«  Aggravandosi  vieppiù  le  circostanze,  e  vedendoci  esposti 
«  ad  ulteriori  disastri,  fu  preso  il  partito  di  allontanarsi  da 
«  Roma,  rifugiandoci  a  Cascia.  Trascorso  però  qualche 
«  mese,  e  dietro  il  suggerimento  di  qualche  amico  autore- 
«  vole,  il  quale  scriveva  che  io  non  dovevo  pensare  al  ri- 
«  torno  ;  ma  che  per  Tab.  Sala  non  vi  era  che  temere,  ad 
«  onta  delle  persuasioni  e  preghiere  del  nostro  ospite  e 
«mie,  volle  il  mio  fratello  dare  ascolto  all'amico  ». 

Durante  il  soggiorno  in  Cascia  menò  vita  affannosa  e 
raminga,  sapendosi  codiato  dalla  polizia  francese,  e  insino 
una  volta,  per  scamparne,  dovè  travestirsi  da  pastore.  In 
mezzo  però  a  tanta  ansia  ed  incertezza  non  lasciava  di  spe- 
dire a  quando  a  quando  lettere  d' informazione  a  Savona, 
dove  stava  rilegato  il  pontefice,  per  tenerlo  avvisato  di 
quanto  stimava  dovesse  maggiormente  importargH.  E  per 
evitare  ogni  inciampo,  segnate  le  lettere  con  mentite  so- 
prascritte, mandavale  impostare  ne'  circostanti  paeselli  da 
infinti  accattoni.  Finalmente,  giudicando  maggior  sicurtà 
l'uscire  dello  Stato  papale,  si  riparò  a  Firenze,  dove,  preso 
stanza  nella  villa  Salviati  presso  a  Fiesole^  se  ne  rimase 
fino  al  ricomporsi  delle  pubbliche  cose,  cioè  per  oltre  a 
quattro  anni. 

Nella  tranquillità  di  quel  lungo  ozio  compose  da  prima, 
per  commissione  venutagliene  di  Francia  dal  cardinal  Mi- 
chele Di  Pietro,  una  scrittura  apologetica  in  sostegno  di 
quei  cardinali,  che  si  erano  testé  rifiutati  di  assistere  al 
solenne  rito,  col  quale  Napoleone,  dopo  aver  ripudiata  la 
prima  moglie,  disposossì  a  Maria  Luisa  d'Austria.  Il  que- 
sito, che  lo  scrittore  si  propone,  è:  «  Se  fosse  lecito  ai  car- 
«  dinali  assistere  alla  sacra  cerimonia  del  matrimonio  ».  Per 
rispondervi  adeguatamente,  egli  imprende  una  serie  di  ri- 
flessioni sui  «  monumenti  della  storia  ecclesiastica  relativi 
«alle  cause  matrimoniali  dei  monarchi  »,  e  ne  rileva: 


'T)ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala  23 

1.  Che  le  dette  cause  «  sono  state  sempre  giudicate 
«  e  terminate  coli' autorità  della  Santa  Sede,  o  del  papa 
«  istesso  a  Roma,  o  da  commissari  da  lui  delegati  sul 
«  luogo  »  ; 

2.  «  Che  il  diritto  di  giudicare  definitivamente  tali 
«  cause  è  stato  da  tutti,  siccome  costantemente,  cosi  uni- 
«  versalmente  riconosciuto,  e  primieramente  dai  monarchi 
«  stessi  »  ; 

3.  Che  tale  diritto  «  fu  dai  romani  pontefici  non  solo 
((  riconosciuto  in  se  stessi,  ma  costantemente  e  gagharda- 
«  mente  sostenuto,  ancorché  in  alcuni  casi  si  dovessero  alla 
«  loro  saviezza  affacciare  delle  terribili  e  travagliose  conse- 
«  guenze  della  loro  fermezza  »  ; 

4.  Che  è  evidente  «  il  consenso  costante  e  universale 
«  dei  vescovi,  e  specialmente  de'  gallicani,  in  riconoscere 
«questo  diritto  primitivo  della  Santa  Sede». 

Da  queste  premesse  deduconsi  tre  conseguenze: 

i^  «  Che  la  consuetudine  invalsa  nella  Chiesa  di  giu- 
((  dicare  dette  cause  coli' autorità  apostolica,  primieramente 
«  è,  non  solo  da  un  tempo  maggiore  di  ogni  memoria, 
«  quale  è  richiesto  dal  gius  canonico  per  passare  in  legge 
«  e  stabilire  un  diritto  ;  ma  antica  di  dieci  secoli,  senza  che 
«  né  prima  dell'ottavo,  né  durante  il  corso  dei  secoU  di 
«  mezzo  fino  al  presente,  si  trovi  alcun  accertato  esempio 
«  in  contrario  »  ; 

2''  «  Che  non  vi  può  essere  possesso  più  pacifico  di 
«  quello  che  da  tanti  secoH,  e  senza  interruzione,  gode  la 
«  Santa  Sede  di  giudicare  di  simiH  cause,  giacche  i  sommi 
«  pontefici  hanno  esercitato  un  simile  giudizio  anche  in 
«  prima  istanza,  e  per  volontaria  sottomissione  de'  monar- 
«  chi  stessi,  o  certamente  senza  richiamo  di  loro,  o  de'  ve- 
ce scovi  »  ; 

3*  «  Che,  o  si  guardi  la  somma  importanza  delle 
«  cause  matrimoniali  de'  monarchi  rapporto  non  meno  agli 
((  Stati  che   alla   religione,  o  la  solennità  grande,  con  cui 


2  4  ^«  Cugnoni 


«  furono  ordinariamente  giudicate,  debbono  esse  riguardarsi 
«  come  cause  maggiori^  e  perciò  come  spettanti  esclusiva- 
«  mente  al  papa,  secondo  i  noti  principi  del  gius  canonico 
«  e  la  dichiarazione  di  Celestino  III  nella  decretale,  ove 
«  dice,  tra  le  altre  cose,  parlando  del  divorzio  di  Lotario  : 
«  Nonne  hoc  negotiiim  de  praecipuis,  et  niagis  arduis  unum 
«  esse  dignoscitur,  utpote  quod  inter  eximias  et  regales  per- 
ii sonas  ?  » 

Segue  poi  l'esposizione  giuridica,  la  quale  fondasi  sul 
Tridentino  e  sull'autorità  d'alcuni  scrittori  posteriori,  lon- 
tanissimi dal  sospetto  di  parzialità  verso  la  Santa  Sede. 
Donde  risulta  la  nullità  canonica  del  giudizio  del  divorzio 
in  proposito,  profferito  dalla  uffixialìtà  di  Parigi,  dichiarata 
competente  da  una  deputazione  di  pochi  vescovi. 

«  In  vista  di  queste  riflessioni  (conchiude  l'autore)  non 
«  dubitano  i  cardinali  non  intervenuti  che  possa  trovarsi 
«  alcuno,  il  quale  non  trovi  e  fondata  e  necessaria  la  loro 
«  condotta.  Malgrado  però  l'evidenza  colla  quale  essi  cre- 
«  dettero  di  dovere  operare,  come  han  fatto,  non  intendono 
«  in  alcun  modo  di  erigersi  in  censori  della  condotta  di- 
ce versa  di  quelli  fra'  loro  colleghi,  che  sono  intervenuti, 
«  essendo  questo  un  giudizio  che  appartiene  al  solo  capo 
«  della  Chiesa.  Né  similmente  hanno  inteso  di  mischiarsi 
«  nel  merito  intrinseco  della  gran  causa,  di  cui  si  tratta,  né 
«  di  farsene  essi  giudici  ». 

Dà  compimento  al  lavoro  un  «  elenco  delle  cause  ma- 
«  trimoniali  di  monarchi  e  d'altri  principi,  delle  quali  prese 
«  cognizione  la  Santa  Sede,  dal  secolo  viii  al  xviii  » .  Il 
quale  elenco  riesce  ad-  una  serie  di  riscontri  storici  a  rin- 
calzo delle  materie  antecedentemente  trattate. 

Sebbene  lo  scritto  sia  di  piccola  mole,  pure  é  facile  in- 
dovinare il  faticoso  apparecchio,  che  dovette  precederlo; 
occorrendo  di  stabilire  un  principio  intorno  ad  argomento 
non  mai  fino  allora  venuto  in  discussione.  La  qual  cosa 
non  potea  farsi  senza  una  profonda  perizia  del  diritto  ca- 


T>ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala         25 

nonico,  ed  una  minuta  ed  esatta  notizia  di  tutta  quanta  la 
storia  ecclesiastica  (i). 

Scrittura  ben  d'altra  lena  e  d'altro  pregio,  sì  per  la  im- 
portanza e  la  vastità  del  tema,  e  si  pel  grande  possesso,  col 
quale  ei  seppe  condurla,  è  il  suo  Piano  di  riforma.  Già  fino 
dalla  prima  occupazione  francese,  come  di  sopra  accennai, 
era  egli  persuaso  che  «  il  principato  e  la  Chiesa  avevano 
((  bisogno  di  grandi  riforme  »  (2),  «  massime  nelle  persone 
((  a  Dio  consacrate  »  (3).  E  pertanto  fin  da  quel  tempo 
era  venuto  agitando  m  mente  l'avviluppato  e  geloso  dise- 
gno, ad  esso  rivolgendo,  quasi  a  centro,  gl'intendimenti 
delle  sue  speculazioni,  e  i  risultamenti  pratici  della  sua  ope- 
rosità. Era  questo  un  continuato  lavorìo  di  paragoni  fra  i 
principi  ed  i  fatti,  dal  quale  dovea  venir  fuori,  quando  che 
fosse,  un  tutto  compatto  ed  armonico,  senza  sdruciture  né 
ammaccamenti,  e  tale,  da  ravvisarsene,  non  che  possibile, 
necessaria  l'attuazione. 

Le  teoriche  di  Platone,  del  Campanella  e  del  Moro  do- 
veano  essere  adunque  escluse  da  uno  scritto  vólto  unica- 
mente alla  pratica,  e  col  quale  si  tentava  di  ridonare  ad 
una  gloriosa  decaduta  istituzione  lo  smarrito  aspetto  e  la 
natia  virtù,  acconciandola  nella  parte  mutabile  ai  sani  avan- 
zamenti del  viver  civile;  sicché  il  suo  rinnovamento  non 
riuscisse  né  ad  un  semplice  indietreggiar^  all' antico,^  né  ad 
un  riciso  accostarsi  al  novello:  ma  piuttosto  fosse  un  giusto 
temperamento  dell'una  cosa  e  dell'altra. 

Con  questi  avvisi  ed  apprestamenti,  tostoché  previde 
non  lontana  la  fine  della  cattività  del  pontefice,  pose  mano 
all'opera,  e,  sebbene  privo  di  Hbri,  e  nella  malferma  con- 

(i)  Nelle  Memorie,  sul  matrimonio  delV imperatore  Napoleone  e  del- 
l'arciduchessa d'Austria,  pubblicate  dal  Crétineau-Joly  (a  pag.416  e 
segg.  delle  sopra  citate  Mémoires  du  card.  Consalvi)  sono  brevemente 
riportate  le  principali  deduzioni  di  questo  scritto  del  Sala. 

(2)  Diario,  23  marzo  1798. 

(3)  Ivi,  1°  settembre  1798. 


26  G.  Cugnoni 


dizione  di  un  vivere  incerto  e  peregrino,  tra  il  febbraio  ed 
il  marzo  del  1814  ebbela  menata  a  compimento.  Spedito 
il  manoscritto  al  fratello  Domenico  in  Roma,  questi,  fat- 
tolo copiare,  glielo  rimandò  in  Bologna  (i),  dove   Giu- 

(i)  Ciò  si  raccoglie  da  alcune  lettere  scritte  nell'aprile  del  18 14 
dal  fratello  Domenico  a  Giuseppe  Antonio  in  Bologna.  Ecco  i  pa- 
ragrafi di  esse  lettere,  i  quali  a  ciò  si  riferiscono  : 

«  Roma,  19  aprile  18 14,  -  V'informai  già  di  avere  ricevuta  la 
«  cassettina  coi  vostri  scritti,  li  quali  presentemente  si  vanno  copiando, 
«  ed  io  li  vado  gustando  di  mano  in  mano,  innanzi  di  darli  a  copiare  ». 

«  Roma,  25  aprile  1814.  -  Raccomando  il  piego  all'ottimo  Car- 
«  luccio,  al  quale  insieme  mando  una  cassettina  con  entro...  la  copia 
«  della  metà  del  volume  sulla  Riforma  sino  all'articolo  riguardante  le 
«  monache,  cui  succederà  quello  delle  congregazioni,  che  attualmente 
«si  sta  copiando...  Mando  nella  cassettina,  quando  il  buon  Carluccio 
«  possa  inoltrarvela,  la  metà  del  lavoro  copiato  sinora,  e  non  lascio  di 
«  insistere  perchè  si  compisca  al  più  presto  possibile.  Se  aveste  fretta 
«di  ricevere  l'altra  metà,  bisognerebbe  che  io  prendessi  il  partito  di 
«  farla  copiare  da  due  caratteri  ». 

«  Roma,  29  aprile  18 14.  -  Per  secondare  le  vostre  premure  com- 
«  muni  al  compagno,  vi  trasmetto  la  copia  di  altri  otto  quinterni  con- 
«  cernenti  la  Riforma,  e  vado  sollecitando  il  lavoro  del  rimanente  ». 

E  nella  medesima  corrispondenza  epistolare  sono  notevoli  i  se- 
guenti periodi,  che  si  riferiscono  all'uno  o  all'altro  articolo  di  questo 
lavoro  : 

«  Roma,  19  aprile  1814.  -  Sembra  pure  che  con  facilità  qualche 
«  persona  laica  incominci  a  rimettere  in  uso  il  vecchio  suo  abito  d'a- 
«bate;  onde  ve  lo  avverto,  perchè  sarebbe  necessario  impedirlo  al 
«  primo  momento  che  se  ne  abbia  libero  campo  ».  (V.  nel  Piano  di 
«  Riforma  l'articolo  VII,  DelVabatismo). 

«  Roma,  3  maggio  18 14.  -  Per  quello  che  concerne  la  riassun- 
«  zione  dell'abito  d'abate,  intesi  di  suggerire  il  mettervi  qualche  osta- 
te colo  quando  siasi  qui  stabilito  il  Governo  pontificio  ». 

Col  XIII  articolo  del  Piano  di  Riforma  {Vescovi  e  vescovati)  con- 
suona  il  passo  seguente  della  lettera  medesima: 

«  Osserverò  tutte  le  carte  trasmesse  dal  nunzio  di  Vienna,  sapendo 
«  già  che  i  processi  stanno  in  mano  dell'abate  Adorni.  Mi  persuado 
«però  che  il  padrone  (cioè  il  papa)  abbia  già  adottato  e  voglia  inco- 
«  minciare  a  mettere  subito  in  esecuzione  il  necessario  sistema  di  ben 
«  conoscere  le  personali  qualità  di  ciascun  nominato,  innanzi  di  farlo 


T)ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA,  Sala  27 

seppe  Antonio  erasi  di  que'  giorni  recato  ad  ossequiare 
Pio  VII  tornato  libero;  e  quivi  a  lui  lo  consegnò. 

Di  questo  suo  lavoro,  che  è  come  dire  un  primo  ed  af- 
frettato abbozzo  dell'altro,  di  cui  appresso  discorrerò,  non 

«  vescovo  ;  altrimenti  si  continuerebbe  a  rimanere  soggetti  allo  stesso 
«  pericolo  di  prima,  di  avere  cattivi  vescovi  con  gravissimo  pregiudizio 
«  della  Chiesa,  giacché  i  processi  sono  pur  troppo  ridotti  a  poco  più 
«  di  una  semplice  formalità.  Quindi  voglio  immaginarmi  che  già  il  lo- 
«  dato  padrone  avrà  incaricato,  ma  con  forte  premura,  il  suddetto  buon 
«  nunzio  di  Vienna  a  praticare  le  opportune,  diligenti,  scrupolose  in- 
«  dagini  per  assicurarsi  di  ogni  precisa  qualità  di  ciascun  nominato, 
((  E  questo  sistema  sarà  indispensabile  venga  applicato  a  tutti  singoli 
«  casi,  facendo  il  padrone  conoscere  chiaramente,  che  non  farà  vescovi, 
«  se  non  saranno  preventivamente  a  lui  cogniti  li  loro  requisiti  ». 

In  ordine  alla  riforma  degli  uffici  della  Dateria  e  della  Cancel- 
leria apostolica,  Domenico  andava  assai  più  in  là  di  Giuseppe  An- 
tonio, e  cosi  gliene  scriveva: 

«  Roma,  19  aprile  181 4. 

«  Trattasi  di  avere  a  fare  un  novello  impianto  per  la  Dateria  e 
«  per  la  Cancelleria,  e  quindi  trattasi  di  una  responsabilità  di  non 
«piccola  conseguenza;  digiuni  saranno  i  nuovi  datario,  sottodatario 
«  e  per  ohitiwt  :  tutti  di  qua  suppongono  che  io  abbia  ad  indossarmi 
«l'intero  peso  della  faccenda,  lo  che  mi  rammarica  sempreppiù  ;  il 
«  mio  impiego  potrebbe  riguardarsi  come  svanito,  se  non  esistono  più 
«  vacabih,  li  quali  producevano  due  terzi  de'  miei  emolumenti  ;  e  se 
«  non  si  pagheranno  le  tasse  della  Componenda,  dal  quale  ufficio  ri- 
«  tiravo  l'altro  terzo  ;  e  non  avendo  gran  premura  del  mio  interesse 
«m'immaginava  di  aver  luogo  a  tentare  di  scusarmi  da  brighe  ul- 
«  teriori,  specialmente  se  avesse  a  considerarsi  come  divenuta  super- 
«  flua  la  carica  di  amministratore,  per  la  cessazione  delle  sue  con- 
«  suete  incombenze.  Voi  sapete  che  di  abilità  si  sta  scarsissimi,  e  che 
«  d'altronde  il  principale  scopo  di  ciascuno  ò  di  lucrare,  e  forse  anco 
«  di  non  contentarsi  del  poco.  Sta  a  vedere  come  penserà  il  nuovo 
«  superiore  del  tribunale,  e  sopra  tutto  quale  sarà  la  volontà  del  pa- 
«  drone.  In  qualunque  modo  anderà  la  faccenda,  non  dimcntiche- 
«  rommi  dell'obbligo  di  dovere  ubbidire  sino  a  quel  tempo,  a  cui  sa- 
«  ranno  per  giungere  le  mie  forze,  se  ne  otterrò  l'aiuto  dal  c'cìn. 

«  Voi  conoscete  che  nella  mia  bottega  regna  molta  ii;m)iaii/.a  non 
«  disgiunta  da  ugual  pretensione.  Nel  nuovo  imitiamo  sarebbe  neces- 


28  G.  Ciignoni 


posso  dare  che  brevi  e  scarsissimi  cenni;  quando  l'unico 
esemplare  (quello  appunto  offerto  a  Pio  VII)  rinvenuto 
lo  scorso  anno  neirarcliivio  Vaticano  ;  mentre  veniasi,  con 
regolare  permesso  delF  eminentissimo  prefetto  cardinale 
Hergenroether,  trascrivendo  in  mio  servizio;  fu  d'improv- 
viso sottratto  da  un  ministro  secondario  del  luogo,  senza 
darmene  né  meno  avviso.  Ne  dirò  pertanto  quel  poco  che 
potei  raccogliere  nel  picciol  tempo  che  mi  fu  dato  di  esa- 
minarlo. È  un  volume  in  forma  di  4°,  di  pagine  22^,  le- 
gato in  marrocchino  rosso  sbiadito,  con  lo  stemma  di 
Pio  VII  impresso  d'oro  sul  lato  anteriore  della  cartella. 
Intitolasi  «  Piano  istruttivo  di  riforma  per  lo  spirituale  e 
«temporale,  dedicato  a  Pio  VII  ».  La  prima  carta  ha  una 
lunga  iscrizione  latina  di  dedica  al  Pontefice  (i).  È  diviso 
in  due  parti,  là  prima  per  le  materie  concernenti  lo   spi- 

«  sario  vi  fosse  un  superiore,  il  quale  si  compiacesse  dare  ascolto,  e 
«  poi  sostenesse  e  tenesse  forte. 

<c  Ho  letto  il  vostro  laboriosissimo  lavoro  sopra  la  Riforma,  dal 
«  quale  confido  sarete  per  riportare  la  lode  corrispondente.  In  un  solo 
«  oggetto  non  combiniamo  insieme  pienamente,  cioè  in  quello  riguarda  le 
«  tasse.  A  me  sta  fitto  in  testa,  che  per  ripristinare  stabilmente  il  credito 
«  della  S.  Sede  sia  indispensabile  levare  affatto  di  mano  ai  nemici  quel- 
«  l'arma  dell'interesse,  della  quale  si  sono  serviti  a  nostro  incalcolabile 
«  danno.  Quando  il  sommo  pontefice  non  esiga  più  un  soldo  per  veruna 
«  concessione,  dando  gratis  tutto  ciò  che  gratis  ricevette,  parmi 
«  che  potrà  parlare  assai  franco,  accordare  le  grafie  soltanto  a  ragion  ve- 
«  duta,  non  derogare  con  tanta  frequen:(a  alle  leggi  della  Chiesa,  e  non 
«  temere  ne  i  piccoli  ne  i  grandi.  Tal  è  pure  il  desiderio  di  tutti  quelli  che 
«  conoscono  il  mondo  e  che  s' interessano  pel  bene  della  Chiesa  ». 

(i)  Eccone  il  tenore:  «  Pio  VII  P.  O.  M.  |  Orthodoxae  Fidei  | 
«  Clypeo  I  Catholicae  Disciplinae  |  Strenuo  Servatori  |  Pietatis  Hurai- 
«  litatis  Patientiae  |  Sed  Et  Invictae  Constantiae  |  Hac  Tempestate  | 
«  Prototypo  I  Ut  Quod  Verbo  Et  Exemplo  |  Ad  Rei  Christianae  | 
«  Munimen  Et  Decorem  j  Ad  Utramque  Potestatem  |  Enixe  Vindi- 
ce candam  |  Coepit  Opus  |  Ad  Ecclesiae  Quoque  Universae  |  Dupli- 
ce cem  Reformationem  |  Ipse  Perficiat  |  Inter  Filios  Subditos  Dioece- 
cc  sanos  Et  Famulos  |  Minimus  |  Haec  Ocyus  Dicare  Confidit  |  Anno 
ce  Domini  MDCCCXIV  ». 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  OA,  Sala        29 

rituale,  la  seconda  per  quelle  risguardanti  il  temporale. 
Quella  è  distesa  in  XXXII  articoli,  questa  in  XLIV.  Le 
rubriche  degli  uni  e  degli  altri  sono  accennate  in  due  se- 
parati indici  a  questo  modo  : 


INDICE 

DEGLI  ARTICOLI   DEL   PIANO   ISTRUTTIVO 
SPETTANTI   ALLO    SPIRITUALE. 

Prefazione  relativa  ad  ambedue  i  volumi  sullo  Spirituale  e  Temporale. 
I.  Concìlio  ecumenico,  e  quando.  Riforma  sulle  tracce  dell'ultimo 

Trentino,  miitatis  mutanàis. 
IL  Cardinali,  Legati,  Nunzi,  Arcivescovi,  ecc. 

III.  Basiliche,  Capitoli,  Collegiate. 

IV.  Scuole  pubbliche  ed  Università  di  studi. 

V.  Clero  secolare  antico  e  nuovo. 

VI.  Censori  ed  Ispettori  ecclesiastici  o  secolari  in  ogni  Parrocchia,  ecc. 

VII.  Educazione  pubblica  e  privata. 
Vili.  Meretrici  e  Lenoni. 

IX.  Monaci,  Frati,  Monache,  Congregazioni,  Oblate,  Conservatori  e 
Confraternite. 

X.  Concistoro  ogni  settimana,  almeno  ogni  15  giorni,  ove  si  agitino 

le  cose  di  rilievo. 

XI.  S.  Offizio. 

XII.  Penitenziaria. 

XIII.  Dataria,  Cancellerìa,  Vacabili  e  Segretaria  de'  Brevi. 

XIV.  Propaganda,  Collegi  esteri,  oltramontani. 

XV.  Congregazioni  e  Segretarie  del  ConciUo,  Vescovi  e  Regolari,  ecc. 

XVI.  Famiglia  pontificia,  de'  Cardinali  e  Prelati  di   carica.  Cappella 
Pontificia. 

XVII.  Elemosinarla  e  sue  attribuzioni. 

XVIII.  Dottrina  cristiana,  ecc. 

XIX.  Tributi  sacri,  o  Laudem?,  ecc. 

XX.  Patronati  e  Nomine  ecclesiastiche. 

XXI.  Chiese,  loro  manutenzione,  ecc. 

XXII.  Ebrei. 

XXIII.  Famiglie  oziose,  Vagabondi,  ecc..  Bettole,  che  fomentano  vizi. 

XXIV.  Scuola  agraria  e  Collegi  rurali. 

XXV.  Ospedali  pubblici  e  nazionali. 


30  G.  Ciignoni 


XXVI.  Cause  ecclesiastiche  e  S.  Ruota. 

XXVII.  Seminari,  Collegi,  Orfanotrofi,  Ospizi. 

XXVIII.  Carcerati"  e  Case  di  correzione. 

XXIX.  Monte'  di  Pietà,  Usure. 

XXX.  Gente  di  campagna,  loro  religiosa  cultura, 

XXXI.  Artisti  di  ogni  specie,  e  loro  Università  per  il  suddetto  og- 
getto. 

XXXII.  Soldati,  Sbirri,  Arti  vili  ed  infami  per  il  suddetto  oggetto. 


INDICE 

DEGLI   ARTICOLI   DEL   PIANO   ISTRUTTIVO 
SPETTANTI  AL   TEMPORALE. 

I.  Segretaria  di  Stato  e  sue  attribuzioni. 

II.  Governo  in  Roma  e  nello  Stato,  ecc. 

III.  Buon  governo,  ecc.,  Consulta. 

IV.  Curia  e  suoi  abusi  da  togliersi. 

V.  Difesa  e  sue  attribuzioni,  ecc.  Soldatesca. 

VI.  Dogana  alli  confini...  Macinato,  qcc. 

VII.  Giustizia  pronta,  esemplare,  imparziale. 

Vili.  Annona  per  impedire  i  monopoli,  e  distruzione  del  Commercio 
libero,  dannoso  allo  Stato  ecclesiastico. 

IX.  Grascia  per  il  suddetto  effetto  e  prezzi  stabiliti  ogni  anno,  ecc. 

X.  Bagarini  dannosissimi  estirpati   e   perseguitati   come  gli  assas- 
sini, ecc. 

XI.  Venditori  di  ogni  specie   da  soggettarsi  a  frequenti  improvisi 
esami,  ecc. 

XII.  Pene  corporali  e  pecuniarie. 

XIII.  Beni  camerali  e  allodiali,  tee. 

XIV.  Teatri  e  Spettacoli  di  giramondi. 

XV.  Fabbriche  utili  e  necessarie,  e  sale. 

XVI.  Monumenti  pubblici  antichi  e  moderni. 

XVII.  Conserva  ed  utile  giro  delle  acque, 

XVIII.  Poste  per  la  pronta  corrispondenza,  ecc. 

XIX.  Feste  pubbHche  popolari  utili,  tee. 

XX.  Vigilanza  sullì  forastieri,  ecc. 

XXI.  Soldatesca,  proporzionata  allo  Stato  eccl. 

XXII.  Curia  di  Campidoglio,  tee.  Tributi. 

XXIII.  Belle  arti  lodate,  fomentate,  ecc. 

XXIV.  Distinzioni  e  premi  alla  virtù,  ecc. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  OA.  Sala        3 1 


XXV.  Agricoltura  aiutata,  ecc.  (T.  nel  1°  Tomo  Scuola  agraria,  n.24). 

XXVI.  Generi  esteri  necessari,  utili,  dannosi. 

XXVII.  Librai  da  assoggettarsi  ad  improviso  esame,  ecc. 

XXVIII.  Prammatica  nel  vestiario,  q,cc. 

XXIX.  Gabelle  straordinarie,  ecc. 

XXX.  Galere  necessarie  per  respingere  i  corsari,  ecc. 

XXXI.  Udienza  pubblica  da  darsi  colle  debite  cautele,  ecc. 

XXXII.  Bilancio  diligente,  Reddiconti,  ecc. 

XXXIII.  Franchigie  e  giurisdiz.  che  fomentano  i  vizi,  ecc. 

XXXIV.  Ceto  di  mezzo  da  purgarsi  e  mantenere  come  il  più  neces- 
sario alla  sussistenza  dello  Stato  eccl. 

XXXV.  Volgo  da  tenersi  in  dovere,  ecc. 

XXXVI.  Maestri  e  Maestre  di  Roma. 

XXXVII.  Ciechi  e  Storpi  e  Poveri,  ecc. 

XXXVIII.  Fabbriche  ed  arti  perniciose  alla  salute,  tee. 

XXXIX.  Medici,  Chirurghi,  Litotomi,  Dentisti,  ecc. 
XL.  Armi  e  giochi  da  proibire. 

XLI.  Caccie  e  strade  riservate  incommode,  tee. 
XLII.  Riattamento  e  manutenz.  di  strade,  ecc. 
XLIII.  Spurgo  delle  strade,  tee. 
XLIV.  Conclusione  dell'Opera  e  Protesta  dell'Autore. 


Che  Pio  VII,  pontefice  d' intendimenti  rettissimi  e 
conciliativi,  non  avversasse  mai  le  proposte  di  ragionevoli 
riforme  cosi  del  governo  della  Chiesa,  come  di  quello 
dello  Stato,  non  è  da  mettere  in  dubbio;  soprattutto  per 
la  scelta  da  lui  fatta,  insin  da  principio,  di  Ercole  Consalvi 
a  segretario  di  Stato  ;  uomo  destrissimo  in  ogni  più  arduo 
maneggio,  ed  in  quel  tempo  (come  che  poscia  mutasse 
d'avviso)  promotore  prudente  di  utili  mutamenti  nella 
pubblica  amministrazione.  E  già  al  Chiaramonti,  non  ap- 
pena uscito  papa  dal  conclave  di  Venezia,  fu  presentato 
un  Piano  di  riforma,  che  dato  da  esso  ad  esaminare  al 
cardinale  Leonardo  Antonelli,  questi  ne  distese  un  rapporto 
assai  favorevole.  «  Giunto  il  S.  Padre  a  Roma  (racconta 
«  il  nostro  Giuseppe  Antonio  (i)  )  mostrossi  inclinatissimo 

(i)  Nel  proemio  al  Piano  di  riforma,  ecc. 


32  G.  Cugnoni 


«  airesecLizione  della  riforma,  e  incominciò  a  scegliere  vari 
«  soggetti,  che  formar  dovevano  una  particolar  Congrega- 
«  zione  per  discutere  i  diversi  articoli,  da  sottoporsi  in  se- 
«  guito  al  giudizio  di  Sua  Santità.  Intanto  prevalendo  gli 
«  antichi  metodi,  e  radicandosi  nuovamente  quegli  abusi, 
«  che  ognuno  sperava  di  vedere  emendati,  si  frapposero 
«  alla  riforma  ostacoli  pressoché  insormontabili,  e  succe- 
«  dendosi  ben  presto  gli  uni  agli  altri  affari  gravissimi,  e 
«  disgustosissimi,  andò  affatto  in  dimenticanza  un'opera 
«  cotanto  necessaria  e  salutare  per  la  Chiesa  non  meno, 
«che  per  lo  Stato  ».  Ammaestrato  il  Sala  da  così  triste 
esperienza,  perchè  il  suo  tentativo  non  tornasse  in  nulla, 
ben  sapendo  che  il  ferro  vuol  essere  battuto  mentre  eh'  è 
caldo,  non  appena  tornato  in  Roma,  tolse  a  riordinare  ed 
allargare  quel  suo  lavoro  da  cima  a  fondo,  con  animo  di 
venirlo  a  mano  a  mano  divolgando  per  la  stampa;  ma 
presto  se  ne  dovè  rimanere  (i). 


(i)  Antonio  Coppi,  a  pag.  72  del  Discorso  sul  Consiglio  e  Senato 
di  Roma,  attribuisce  questo  lavoro  «  all'abate  Domenico  Sala,  pro- 
«  fondo  conoscitore  delle  cose  e  delle  persone  romane  «.  Il  quale, 
«  rinchiuso  per  alcuni  anni  a  Fenestrelle  col  card.  Pacca,  aveva  me- 
«  ditato  lungamente  con  quel  dotto  porporato  sugli  antichi  difetti  del 
«  governo  e  sulla  necessità  di  ripararvi.  Ed  allorquando  era  immì- 
«  nente  il  ristabilimento  del  pontificio  dominio,  compilò  un  vasto  pro- 
te  getto,  nel  quale,  con  semplicità  evangelica  e  libertà  assoluta,  de- 
ce scrisse  gli  antichi  difetti  e  propose  le  opportune  riforme  ».  Ciò  in 
parte  è  vero,  e  in  parte  no.  Non  è  vero  che  il  lavoro  accennato  sia 
di  Domenico;  ben  però  è  vero  che  questi  nella  prigionia  di  Fene- 
strelle aveva  meditato  lungamente  col  card.  Pacca  sugli  antichi  di- 
fetti del  governo  e  sulla  necessità  di  ripararvi.  Infatti  in  una  sua 
Ossequiosissima  relazione  di  fatti,  del  6  marzo  18 14,  al  pontefice  Pio  VII, 
egli  così  scriveva:  «  Mi  astengo  dall'entrare  in  altri  qual  si  siano 
«  dettagli  ;  massimechè  sono  persuaso  avrà  il  degnissimo  sig.  cardi- 
«  naie  Pacca,  secondochè  si  era  proposto,  communicati  distesamente 
«  alla  Santità  Vostra  tutti  quei  lunghi  discorsi,  che  nel  biennale  spa- 
«zio  della  nostra  dimora  (in  Fenestrelle)  erano  tra  noi  stati  fatti 
«sopra  lo  sconvolgimento  universale  delle  materie  ecclesiastiche  in 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  Gì  Sala         33 

Del  quale  venendo  io  ora  a  proporre  un  breve  sunto, 
debbo  di  necessità  ristringermi  a  quella  parte,  che  ne  fu 
pubblicata;  non  essendomi  avvenuto,  per  diligenze  e  ri- 
cerche fattene,  di  trovarne  e  leggerne  la  rimanente  ma- 
noscritta. Nondimeno  anche  i  parziali  cenni  che  posso 
darne  saranno  sufficienti  al  discreto  lettore  per  intendere 
ed  apprezzare  il  valore  dell'opera. 

L'esemplare  da  me  veduto  (cosa  di  estrema  rarità,  per  la 
ragione,  che  a  suo  luogo  dirò)  è  in  quarto,  di  pagine  202, 
senza  frontispizio,  e  comprende,  oltre  la  lettera  dedicatoria 
al  pontefice,  il  proemio   e  i  diciassette  seguenti  articoli: 

I.  Necessità  della  riforma  —  II.  Difetti  del  nostro  sistema  — 
III.  Si  sciolgono  le  obiezioni  contrarie  al  piano  di  riforma  —  IV.  Di- 
sposizioni  preliminari    della   riforma   —   V.    Basi   della   riforma  — 

«tutta  l'Europa;  sopra  la  necessità  di  prendere  cognizioni  esattedi 
«tutto  innanzi  di  por  le  mani  in  qualsiasi  cosa;  sopra  le  molte  av- 
«  vertenze,  diligenze  ed  esami  da  praticarsi  indispensabilmente  prima 
«  di  procedere  alla  conferma  di  alcun  vescovo  novello  ;  sopra  la  con- 
«  gruenza  di  non  riassumere  la  spedizione  di  qualsivoglia  affare,  se 
«  non  dopo  restituitasi  Vostra  Santità  alla  sua  sede,  ripristinata  la 
«  Curia  romana,  e  acquistate  le  corrispondenti  notizie  ;  sopra  la  con- 
«  venienza  di  far  uso  sul  bel  principio  di  bolle  e  di  brevi,  secondo 
«  lo  stile,  per  non  pergiudicare  al  decoro  della  S.  Sede,  e  all'oppor- 
«  tuna  intelligenza  delle  antiche  cartapecore,  non  omettendo  le  giuste 
«  istanze  per  ricuperare  gli  archivi  ecclesiastici  trasportati  in  Fran- 
(c  eia  entro  tante  casse  sino  al  numero  di  quasi  tremila,  una  gran 
«  parte  delle  quali  s' ignora  qual  destino  abbia  avuto  ;  sopra  il  biso- 
«  gno  di  allontanare  ogni  vista  d'interesse,  per  così  togliere  agli 
«  inimici  della  Santa  Sede  quell'unica  arma,  di  cui  si  sono  serviti  con 
«  tanta  malignità  (V.  la  nota  a  pag.  26-28  in  fine)  ;  sopra  l'avvertenza 
«  di  non  lasciarsi  prendere  dalle  domande  di  chicchessia  per  il  peri- 
«  colo,  che  non  avvenisse  quello,  che  non  fosse  per  tornar  bene;  sopra 
«  lo  accettare  bensì  in  ogni  luogo  qualunque  istanza,  ma,  fuori  di 
«  quelle  concernenti  benedizioni  ed  assoluzioni,  ritenere  tutte  le  altre 
«per  aspettare  a  disbrigarle  opportunamente  in  Roma;  sopra  le 
<  molte  riflessioni  da  aversi  sott'occhio  nella  nuova  sistemazione  del 
«clero  secolare  e  del  regolare  di  entrambi  i  sessi;  e  finalmente 
«  sopra  mille  altre  cose  di  simil  natura  ». 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria   Voi.  XI.  3 


34  O.  Cugnoni 


VI.  Separazione  dello  spirituale  dal  temporale  —  VII.  Dell'abatismo 

—  Vili.  Cariche  —  IX.  Franchigie  —  X.  Uffizi  delle  poste  straniere 

—  XI.  Dritti  feudali  —  XII.  Sacro  Collegio  —  XIII.  Vescovi  e  ve- 
scovati —  XIV.  Prelatura  —  XV.  Clero   secolare  —  XVI.  Regolari 

—  XVII.  Monache. 

La  lettera  dedicatoria  e  il  proemio  sono  rappiccature 
fatte  allo  scritto  nel  punto  di  metterlo  a  stampa,  e  vi  si 
celebra  la  liberazione  del  pontefice.  Del  quale  desideratis- 
simo  avvenimento  rallegrasi  Fautore,  e  coglie  la  gaia  oc- 
casione per  offerirgli,  in  segno  della  sua  esultanza,  il  «  te- 
«  nue  parto  del  suo  scarso  ingegno.  Esso,  per  l'argomento, 
«  sul  quale  si  raggira,  non  sarà  forse  del  tutto  indegno 
(c  de'  suoi  benefìci  sguardi,  ed  è  certamente  conforme  alle 
«  sue  mire  )>.  La  clemenza  di  Sua  Santità  «  dia  un  gene- 
((  roso  perdono  al  suo  ardire,  e  degnisi  accogliere  la  sua 
((  offerta,  come  il  denaro  della  vedova  evangelica  » .  Egli 
nel  deporla  a'  suoi  SS.  piedi  Taccompagna  colla  protesta 
del  gran  dottore  Agostino:  «  Haec  ad  tuam  potissimum 
«  dirigo  Sanctitatem,  non  tam  discenda,  quam  examinanda, 
«  et  ubi  forsitan  aliquid  displicuerit,  emendanda  constituo  » . 

Nel  proemio  si  accennano  le  due  ragioni,  che  indus- 
sero l'autore  alla  pubblicazione  dello  scritto.  E  queste  sono 
in  primo  luogo  il  debito  di  gratitudine  verso  la  Provvi- 
denza per  l'improvvisa  cessazione  de' mali,  che  afflissero 
la  Chiesa  e  lo  Stato.  Gratitudine  non  già  di  parole,  ma  di 
fatti;  poiché  «  poco  sarebbe,  se,  dopo  aver  fatto  risonare 
«  i  sacri  tempi  degli  armoniosi  canti  dell'  inno  ambrosiano, 
«  divenuto  omai  un  cantico  di  moda,  indegnamente  pro- 
«fanato  a  questa  nostra  età...,  ci  contentassimo  di  sterili 
«  voci,  mettendo  in  oblio  l'ampiezza  delle  grazie  ricevute, 
«  e  il  debito  di  corrispondervi  più  co'  fatti,  che  colle  pa- 
ce role  )).  E  questi  fatti  si  riassumono  nella  «grande  opera 
((  di  quella  universale  riforma,  che  Iddio  vuole  da  noi,  e 
«  che  tutti  i  buoni  ardentemente  sospirano  » .  Alla  quale 
desiderando  egli  di  concorrere,  secondo  la  sua  sufficienza. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala         3S 


mise  «  a  profitto  l'ozio  del  suo  ritiro  per  segnare  in  questi 
«  fogli  alcune  traccie,  le  quali  servir  possano  di  qualche 
«  norma  a  chi  dovrà  occuparsi  di  proposito  di  tale  impor- 
<(  tantissimo  oggetto...,  e  stimerà  abbondantemente  com- 
((  pensata  la  sua  fatica,  quante  volte  serva  questa  di  stimolo 
«  a  sollecitare  e  a  condurre  al  suo  termine  quel  felice 
«  cambiamento  di  cose,  che  rinnovar  deve  la  faccia  del 
«  cristianesimo,  e  ricondurre  tra  i  popoli  fedeU  la  perduta 
<(  pace  e  prosperità  ».  In  secondo  luogo,  «  per  secondare  la 
«  inclinazione,  che  a  così  fatta  emenda  ebbe  dimostrata  sin 
«  dai  primordi  del  suo  pontificato  il  S.  Padre  Pio  VII.  Al 
«  quale,  appena  eletto  pontefice,  fu  presentato  in  Venezia 
((  un  Piano  di  riforma  »,  secondo  che  testé  qui  sopra  ac- 
cennai. Il  quale  per  altro  messo  tra  breve  in  dimenticanza; 
^a  tale  trascuratezza  «  non  sarebbe  forse  temerità  l'asserire, 
((  doversi  principalmente  ripetere  la  dolorosa  catastrofe  dei 
<(  mali,  che  si  sono  aggravati  sopra  di  noi,  e  non  essendosi 
<c  per  parte  nostra  esibita  alcuna  emenda,  si  è  veduta  let- 
«  teralmente  avverata  la  divina  minaccia  :  Si  aiitem  in  judi- 
«  ciis  mas  non  ambulaverint  :  et  mandata  mea  non  custodierint: 
avisitabo  in  virga  iniqtiitates  eortim:  et  in  verberihus  peccata 
«  eoriim  (i).  Iddio  con  un'ammirabile  condotta,  mista  di 
«  severità  e  d' indulgenza,  tentò  ridurci  sul  buon  sentiero. 
«  Giunti  i  nostri  demeriti  al  colmo  della  misura,  aggravata 
«  est  manns  Domini  (2)  sotto  il  pontificato  della  S.  M.  di 
«  Pio  VI,  in  tutta  quella  estensione,  che  è  inutile  di  qui  àtt- 
«  tagliare,  conservandone  ognuno  di  noi  ancor  viva  la  me- 
((  moria  » .  In  tanta  disperazione  di  cose  «  ecco  che  all'  im- 
«  provviso  facta  est  tranquillitas  magna  (3).  Per  un  vero 
((  prodigio  in  breve  tempo  rimane  libera  l' Italia,  si  aduna 
<(  il  conclave  in  Venezia,  viene  dato  alla  Chiesa  il  suo  legit- 


(i)  Psal  LXXXVIII,  31,  seg. 

{2)  Judic.  I,  35. 

(3)  Matth.  Vili,  26. 


3^  G.   Cu g noni 


«  timo  capo...  E  forsechè  questi  lieti  principi  sarebbero  stati 
((  coronati  da  più  felici  successi,  se  in  luogo  di  corrispondere, 
«  non  si  fossero  messi  de' nuovi  ostacoli  alle  divine  miseri- 
«  cordie.  Credeva  il  pubblico  ed  aspettavano  con  impazienza 
«  i  buoni,  che  dopo  le  dure  lezioni  avute  nel  corso  della 
«  democrazia,  incomincierebbe  un  nuovo  ordine  di  cose, 
«  tanto  nel  sistema  religioso,  quanto  nel  sistema  politico. 
«  L'uno  e  gli  altri  però  rimasero  delusi.  Tranne  alcune  ri- 
«  forme,  più  apparenti,  che  sostanziali,  più  economiche, 
«  che  ecclesiastiche,  ripullularono  ben  presto  gli  antichi  di- 
((  sordini,  e  ve  se  ne  aggiunsero  de'  nuovi...  Gli  antichi 
«  abusi  risorsero,  e  forse  anche  si  accrebbero,  né  si  volle 
«  rinunziare  a  quei  sistemi,  che  contribuivano  a  fomentarli, 
((  e  che  l'esperienza  aveva  mostrati  evidentemente  difettosi  )>. 
E  toccata  alcuna  cosa  di  questi,  soggiunge  :  «  Io  parlo  di 
«  fatti  notissimi...  e  quantunque  li  rammemori  con  estremo 
«  dolore,  non  posso  tacerli,  per  non  tradire  la  verità,  e  per 
«  non  defraudare  il  mio  assunto  di  quanto  può  esser  con- 
ce ducente  allo  scopo,  che  mi  sono  prefisso  ».  Lamentato 
poi  il  deterioramento  del  costume  pubblico,  la  profanazione 
delle  chiese,  la  trasgressione  delle  feste,  gli  «  enormi  ag- 
«  gravi  più  a  profitto  di  pochi  particolari  favoriti,  che  a  ristoro 
«  dell'esausto  erario  »,  conchiude:  «  che  se  vennero  con- 
«  dotte  a  buon  termine  alcune  operazioni  giudicate  utili, 
«  come  quella  del  conguaglio  della  moneta^  e  l'altra  del 
«libero  commercio;  riguardando  esse  unicamente  oggetti 
«  temporah,  aggravano  i  nostri  torti,  facendo  conoscer  sem- 
«  pre  meglio  la  poca  premura  per  gli  oggetti  spirituali,  che 
«  sono  di  molto  maggior  importanza  » . 

Nel  I  articolo  (^Necessità  della  riforma)  inquietalo  il 
dubbio,  che  «  trattandosi  di  un'impresa  assai  vasta  ed  im- 
«  barazzante,  ed  esigendosi  in  conseguenza  cuor  grande  e 
«  risoluto  per  eseguirla,  si  metta  mano  all'opera  con  poca 
«  energia,  e  si  lasci  imperfetta,  sia  per  la  scelta  de'  mezzi 
«  poco  efficaci,  sia  per  l' impegno  di  provvedere  piuttosto 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  qA,  Sala         37 

<(  al  temporale,  che  allo  spirituale  ».  Il  qual  dubbio,  ove  si 
avverasse,  «  il  suo  lavoro  sarebbe  perduto,  e  in  breve  tempo 
«si  riprodurrebbero  tutti  gl'inconvenienti  di  prima  ».  E 
pertanto  «  ad  aggiungere  ulteriori  eccitamenti,  che  diano 
«l'ultimo  impulso  ad  eseguire  l'impresa  »,  avvertito  «  che 
«  i  mali  da  noi  fin  qui  sofferti  furono  un  manifesto  ca- 
«  stigo  »,  e  ((  che  non  cesserà  il  flagello,  e  tornerei  ben 
«  presto  a  scaricarsi  sopra  di  noi,  quando  non  lo  allonta- 
<(  niamo  con  una  sincera  e  stabile  emenda  »;  dimostra  la 
necessità  di  «  una  riforma  universale,  che  incominci  dal 
«santuario,  e  si  estenda  a  tutte  le  classi  ».  Per  lo  passato 
«  si  ebbero  più  in  vista  i  danni  temporali,  che  gli  spirituali, 
«  e  allora  soltanto  incominciossi  a  pensar  di  proposito  alle 
«  ferite  fatte  alla  Chiesa,  quando  si  vide  imminente  la  per- 
«  dita  della  temporalità.  Il  ceto  ecclesiastico  non  si  prese 
«  grande  premura  né  di  riformarsi,  né  di  dare  al  popolo 
«  l'esempio  di  una  verace  e  soHda  penitenza.  A  prevenir 
«  dunque  ulteriori  castighi,  conviene  anteporre  la  gloria  di 
«  Dio  e  gl'interessi  della  religione  a  qualunque  umano  van- 
«taggio;  si  deve  incominciare  la  riforma  dal  santuario, 
«  bisogna  correggere  i  costumi  del  popolo,  e  ridurlo  ad 
«  un  miglior  ordine  e  ad  una  stabile  emenda  ».  Aggiungasi 
che  «  l'opinione  de'  grandi  e  de'  popoli,  rapporto  a  Roma, 
«  non  é  più  quella  di  prima.  Presso  i  cattoHci  delle  con- 
«  trade  più  remote  era  un  tempo  comunissima  l'opinione, 
«  che  il  dominio  pontificio,  e  Roma  singolarmente,  fosse 
«  una  terra  di  angioli  »,  supponendosi  «  che  i  papi,  per 
«  l'accoppiamento  delle  due  supreme  potestà,  riuscir  do- 
<(  vesserò  meglio  di  qualunque  sovrano  a  rendere  i  loro 
«  Stati  il  modello  della  religiosità  e  del  buon  ordine  ».  Or, 
poiché  questa  opinione  é  «  vulnerata  e  diminuita  »,  ci  bi- 
sogna «  per  il  vantaggio  della  Chiesa,  e  per  il  decoro  della 
«  S.  Sede  »  riacquistarla.  Dimostrata  cosi  la  necessità  della 
riforma,  ne  piglia  a  svolgere  e  dichiarare  il  concetto.  E 
innanzi  tutto,  per  chiudere  la  bocca  a  que'  curiali  di  mala 


3  8  G.  Cugnoni 


fede,  che  oltremodo  gelosi  di  certi  loro  materiali,  e  spesso 
abusivi,  interessi,  si  affannano  a  gridare  allo  scandalo  ogni 
qual  volta  sentono  parlar  di  riforma;  protesta  che  egli  non 
intende  «  di  parlare  dell'edifizio  immobile  della  Chiesa, 
((  contro  del  quale  portae  Inferi  non  praevalehunt,  essendo 
«  fabbricato  super  fundamentum  Apostolonim,  et  prophetarum, 
«  ipso  summo  angulari  lapide  Christo  Jesuy)-,  sì  solo  dell'im- 
pianto delle  cose  «  romane  rapporto  alla  doppia  ammini- 
«  strazione,  ecclesiastica  e  politica  » .  Alla  guisa  di  abile  e 
savio  architetto,  non  intende  egli  di  gittare  tutto  a  terra 
resistente  edifizio,  per  novamente  rifabbricarlo;  che  anzi 
ne  riconosce  «  le  basi  non  difettose  »  né  «  vacillanti  »,  es- 
sendo concorsi  «  a  formarle  i  canoni  de'  concili  e  le  costi- 
((  tuzioni  pontificie  per  gH  oggetti  ecclesiastici  :  e  per  gli 
«  oggetti  temporali,  leggi  e  regolamenti,  se  non  «  del 
«  tutto  perfetti,  nel  sostanziale  però  e  nel  loro  complesso 
«  dettati  dalla  giustizia  e  dalla  vista  del  pubblico  bene  ».  Egli 
«  soltanto  farassi  a  «  considerare  parte  a  parte  la  fabbrica 
«  su  taH  basi  innalzata,  per  rintracciare  le  cause,  che,  ren- 
«  dendo  imperfetta  e  vacillante  la  sua  struttura,  produssero 
«  in  fine  quel  rumoroso  diroccamento  dell'edifizio,  che  ar- 
ce recò  tanti  danni,  e  costò  tante  lacrime;  e  avanzerà  poi  le 
«  sue  idee  sulle  regole  da  osservarsi,  e  sulle  cautele  da 
«  praticarsi,  per  erigerne  un  nuovo  più  ordinato  e  più  so- 
«  lido  ». 

Nel  II  articolo  (^Difetti  del  nostro  sistema)  riduce  tutti  i 
difetti  degl'  invalsi  pubblici  reggimenti  ai  seguenti  : 

1.  «  All'aver  confuso  il  sacro  col  profano; 

2.  a  Al  non  aver  voluto  mai  emendare  molti  sbagli 
«  con  quella  magra  ragione:  Si  é  fatto  sempre  cosi; 

3.  «  All'aver  adottato  la  massima:  Badiamo  di  non  far 
^<- peggio,  ed  all'averla  portata  tant' oltre,  che  meritamente 
«  venne  caratterizzata  da  molti  per  l'eresia  de' nostri  tempi; 

4.  «  All'aver  perduto  o  dimenticato  la  scienza  di  co- 
«  noscere  gli  uomini  ». 


T)ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        39 

Ne  deduce  «  quindi  la  conseguenza,  che,  per  non  ca- 
«  dere  negli  antichi  errori,  bisogna  indispensabilmente  : 

1.  «Separare  lo  spirituale  dal  temporale; 

2.  «  Correggere  quanto  vi  è  di  abusivo,  senza  arre- 
«  starsi  per  de'  piccoli  pretesti,  e  segnatamente  per  la  con- 
ce traria  consuetudine; 

3.  «  Bandire  afflitto,  massime  nelle  cose  ecclesiasti- 
«  che,  ogni  male  appreso  timore,  e  qualunque  soverchia 
((  condiscendenza  ; 

4.  «  Imparare  a  conoscere  bene  a  fondo  gli  uomini, 
«  e  provvedere  non  le  persone,  ma  le  cariche  » . 

Circa  al  separare  lo  spirituale  dal  temporale,  osserva  che 
«  il  sommo  pontefice  riunisce  in  sé  la  doppia  rappresen- 
«  tanza  di  capo  della  Chiesa,  e  di  sovrano  temporale 
«  de'  suoi  Stati.  La  prima  prerogativa  è  essenziale  ed  ine- 
«  reme  al  suo  carattere.  La  seconda  è  accidentale  ed  ac- 
ce cessoria.  Quella  deve  spiccare  sopra  di  questa,  l'una  non 
«  deve  mescolarsi  coli' altra.  Ne  siegue  dunque,  per  legit- 
((  tima  conseguenza,  che  se  tali  qualità  sono  tra  loro  di- 
te stinte,  non  abbiano  insieme  a  confondersi  ». 

Del  pretesto  della  contraria  consuetudine  dimostra  la  fal- 
lacia da  ciò,  che  «  la  Chiesa  ha  derogato  più  volte  con 
«  savissima  economia  all'antica  discipHna,  anche  in  punti 
«  di  gravissima  importanza  »,  e  che  non  pochi  de'  presenti 
ordinamenti  della  curia  papale  non  sono  poi  tanto  antichi 
«  quanto  forse  si  vorrebbe  far  credere  » . 

Di  «  quel  sistema  di  paura  e  di  soverchia  condescen- 
«  denza  adottato  infelicemente  quasi  regola  invariabile  » 
negh  ultimi  tempi,  afferma,  essere  esso  un  grande  errore, 
che  «  ripete  principalmente  la  sua  origine  da  una  strana 
((  confusione  d' idee,  per  cui,  adattando  agH  affliri  di  Chiesa 
((  i  principi  della  mondana  politica,  abbiamo,  senza  avve- 
«  darcene,  cooperato  di  mano  nostra  ai  disegni  de*  nemici 
«  della  religione  e  della  S.  Sede...  Abbiamo  anche  confuso 
«  bene  spesso  lo  spirituale  col  temporale,  sacrificando  quello 


40  ^'  Cu g noni 


«  per  la  lusinga  di  sostenere  questo,  e  cosi  perdemmo  l'ano 
((  e  l'altro  ». 

La  scicii'^a  degli  uomini,  a  essenzialmente  necessaria  in 
«  chi  presiede,  e  dalla  quale  dipende  in  gran  parte  il  buon 
((  ordine  e  la  felicità  pubblica,  come  deve  interessare  qua- 
«  lunque  ben  regolare  governo  ;  cosi  dev'essere  propria  in 
«  un  modo  specialissimo  del  governo  pontificio,  il  quale 
<(  abbraccia,  oltre  gli  oggetti  temporali,  anche  i  spirituali  ». 
E  questa  scienza  la  considera  l'autore  sotto  due  aspetti. 
((  Il  primo  consiste  nell'escludere  tutti  i  soggetti  immeri- 
«  tevoli  e  nel  prescegliere  le  persone  di  merito;  il  secondo 
«  nel  saper  assegnare  a  ciascheduno  il  suo  luogo.  Posti 
«  questi  principi  (conclude),  a  me  sembra  che  già  da  molto 
«  tempo  si  fosse  o  perduta,  o  dimenticata  la  scienza  degli 
«  uomini  »,  e  ne  adduce  in  pruova,  con  liberissime  parole, 
nomi  e  fatti  recenti. 

Nel  III  articolo  (Si  sciolgono  le  ohie^toni  contrarie  al 
piano  di  riforma^  indovinando  le  opposizioni,  «  che  o  per 
«  la  loro  apparente  ragionevolezza,  o  per  il  peso,  che  fos- 
«  sero  per  attaccarvi  le  persone  impegnate  a  sostenere  gU 
((  antichi  abusi,  potrebbero  attraversare,  e  forse  anche  ro- 
«  vesciare  del  tutto  l'opera  importantissima  della  riforma  »; 
le  riduce  ai  seguenti  capi  : 

1.  «  Tutte  le  novità  sono  pericolose,  massime  in 
«  materie  ecclesiastiche,  e  molto  più  in  un'epoca,  nella 
((  quale  si  sono  veduti  li  tristi  effetti  del  rovesciamento 
((  degU  antichi  sistemi. 

2.  «  È  cosa  oltremodo  difficile  l' indurre  gli  uomini 
«  a  rinunziare  alle  vecchie  abitudini,  segnatamente  se  siano 
«  conformi  al  loro  genio  ed  ai  loro  interessi. 

3.  «  Essendo  il  papa  un  principe  ecclesiastico,  ed 
«  essendo  lo  Stato,  che  egli  gode,  la  dote  della  Chiesa 
«  romana,   non    vi    è    alcun   inconveniente    che   si    serva 


«  ne'  diversi   rami   di  amministrazione    di  soggetti   eccle- 
«  siastici,  essendo   anzi    conforme  ai  sacri  canoni  che  li 


^clla  l'ita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        41 

«  vescovi  ed  i  chierici    amministrino   il  patrimonio   della 
«  Chiesa. 

4.  «  Il  cambiare  con  forza  e  tutt'ad  un  colpo  sistemi 
«inveterati,  urta  l'opinione  pubbHca;  l'adoperare  rimedi 
«  troppo  forti,  è  un  inasprire  la  piaga  invece  di  curarla  ; 
«  il  pretendere  l'ottimo  ed  il  perfetto  nelle  cose  umane,  è 
((  una  chimera. 

5.  ((  Eseguendosi  la  riforma  nel  modo,  che  viene 
«  progettata,  verremmo  a  confessare  pubbHcamente  da  per 
((  noi  stessi  i  nostri  torti,  e  in  vari  articoli  ci  faremmo  imi- 
te  tatori  dei  sistemi  francesi,  che  sono  e  saranno  in  odio 
((  perpetuo  presso  tutti  quei  popoli  che  ebbero  la  disgrazia 
«  di  sperimentarli  » . 

Passando  poi  a  ribattere  ad  una  ad  una  le  cinque  op- 
posizioni, scrive:  «  La  prima  difficohà  è  più  apparente, 
((  che  reale.  Se  si  tratti  di  materie  ecclesiastiche,  io  sono 
((  allenissimo  dal  proporre  nuovi  sistemi.  Intendo  anzi  di 
((  richiamar  le  cose  agli  antichi  principi,  ogni  qual  volta 
((  siano  quelH  in  contraddizione  coi  più  recenti  regolamenti. 
((  Se  poi  si  tratti  di  oggetti  di  altra  natura,  non  è  mio  im- 
((  pegno  di  rovesciare  le  basi  del  nostro  governo,  ma  di 
«  consolidarle  per  mezzo  di  una  più  savia  amministra- 
«  zione,  e  di  una  miglior  scelta  d'idonei  ministri;  non  il 
«  cambiare  legislazione,  ma  il  perfezionarla  con  toglierne 
«  i  difetti,  e  col  renderle  quel  vigore,  che  aveva  perduto  o 
((  per  le  calamità  de'  tempi,  o  per  l'abuso  degli  uomini. 

«  Neppur  la  seconda  difficoltà  può  recare  imbarazzo. 
«  E  pur  troppo  vero  che  gli  uomini  difficilmente  rinunziano 
«  alle  antiche  abitudini,  massime  quando  ne  cavano  partito 
«  per  i  loro  vantaggi.  Ma  è  vero  altresì,  che  già  vi  hanno 
<(  dovuto  rinunciare  per  la  forza  delle  ultime  vicende,  ed 
«  e  vero  egualmente  che  le  abitudini  da  distruggersi,  se 
((  sono  care  ed  utili  a  qualche  ceto  di  persone,  sono  disap- 
((  provate  dal  pubblico,  e  riescono  pregiudizievoli  ad  altre 
«  classi.  Se  gli  ecclesiastici  non  continueranno  ad  esercitare 


42  G.  Ciig 


moni 


((  certi  impieghi,  questa  privazione  sembrerà  loro  alquanto 
((  dura  ;  ma  i  laici  all'opposto  ne  goderanno,  e  cesserà  la 
«  doglianza,  che  li  preti  vogliono  tutto  per  loro.  Se  l'erario 
«  del  principe  incasserà  le  sue  rendite  senza  fiirne  ingoiare 
«  la  miglior  parte  dagli  affittuari  camerali;  gli  appaltatori 
«  grideranno,  ma  il  popolo  esulterà  nel  vedersi  libero  da 
«  tante  avarìe.  Se  cesserà  la  collusione  dei  tribunali,  se  pe- 
ce rirà  eternamente  il  regno  della  sbirraglia,  se  verranno 
((  abolite  le  franchigie  ed  eliminati  tanti  altri  abusi;  è  ben 
((  d'aspettarsi  i  reclami  di  chi  vorrebbe  perpetuare  le  liti, 
«  e  non  pagar  mai  li  debiti,  i  clamori  degl'  ingordi  satelliti, 
«  le  querele  dei  diplomatici  e  de'  potentati  ;  ma  si  udiranno 
«  in  confronto  le  universali  benedizioni  per  la  pronta  ed 
«  imparziale  amministrazione  della  giustizia,  per  la  cessa- 
((  zione  di  mille  strapazzi  ed  aggravi  a  danno  de'  poveri, 
«per  veder  tolta  l'impunità  ai  delitti  e  cacciate  in  bando 
«  le  soperchierie  e  le  prepotenze.  Resta  decidere  se  voglia 
«  preferirsi  il  privato  interesse  per  non  ascoltare  doglianze 
«  passeggiere  e  irragionevoli  di  pochi,  o  non  piuttosto 
«  promuovere  il  pubblico  bene  per  non  opporsi  alli  giusti 
«  e  perpetui  lamenti  delle  moltitudini. 

«  Per  rispondere  alla  terza  difficoltà  è  necessario  fissar 
((  bene  lo  stato  della  questione.  Io  credo  che  passi  una  no- 
ce tabilissima  differenza  tra  i  patrimoni  ordinari  delle  chiese, 
c<  consistenti  in  fondi,  decime,  oblazioni,  il  di  cui  prodotto 
c(  serve  al  mantenimento  del  divin  culto,  al  sostentamento 
c(  de'  vescovi  e  de'  sacri  ministri,  al  sollievo  de'  pupilli,  delle 
ce  vedove  e  de'  poveri  ;  e  il  patrimonio  attuale  della  Chiesa 
«  romana,  costituito  da  un  dominio  temporale,  cui  vanno 
c(  annesse  tutte  le  prerogative  di  un'assoluta  sovranità.  Il 
ce  primo  caso  è  contemplato  dai  canoni,  e  riguarda  un'am- 
ce  ministrazione  né  molto  vasta,  né  imbarazzante.  Il  secondo 
ce  caso  però  non  solo  é  molto  diverso  dal  primo,  ma  non 
ce  può  nemmeno  equipararsi  all'antico  stato  della  Chiesa 
ce  romana,  quando  cioè  possedeva  anche   in  lontane  parti 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  (òi.  Sala        43 

«  vastissimi  fondi,  senza  però  avere  de'  popoli,  che  le  ap- 
«  partenessero  a  titolo  di  sovranità. 

«  Poche  parole  sono  sufficienti  a  dileguare  la  quarta 
«difficoltà:  imperciocché  li  cambiamenti  di  un  inveterato 
«  sistema  allora  soltanto  urtano  la  pubblica  opinione,  quando 
«  prendono  di  fronte  un  ordine  di  cose  o  realmente  van- 
«  taggioso,  o  riputato  tale  dalla  maggior  parte.  Siccome 
«  però  alla  moltitudine  poco  importa  che  i  giudici  siano 
«  ecclesiastici  o  laici,  purché  venga  amministrata  la  giusti- 
«  zia  ;  che  gì'  impieghi  vengano  assegnati  piuttosto  agU  uni 
«  che  agli  altri  ;  che  si  lasci  o  si  tolga  il  giro  delle  cariche, 
«  quante  volte  si  vegga  premiato  il  merito  e  promosso  il 
«  pubblico  bene;  e  siccome  le  persone  illuminate  conoscono 
«  i  difetti,  e  ne  desiderano  l'emenda:  così  non  è  a  temersi 
«  alcun  urto  pregiudizievole.  Quanto  poi  é  vero  che  i  ri- 
«  medi  troppo  forti  inaspriscono  talvolta  la  piaga,  invece 
«  di  curarla,  altrettanto  é  certo  che  i  mali  invecchiati  esi- 
«  gono  bene  spesso  ferro  e  fuoco,  onde  non  degenerino  in 
«  cancrene  insanabiU.  I  palliativi  poco  o  nulla  giovano,  ed 
«  é  perciò  che  io  suggerisco  di  dare  alla  radice  del  male, 
«  affinché  non  ripulluli  dopo  breve  tempo. 

«  Mi  spedisco  pur  brevemente  dell'ultima  difficohà.  Io 
«  trovo  scritto  nei  proverbi  :  Justus  prior  est  accusator  sui  : 
«  e  so  che  l' ingenua  confessione  de'  propri  errori  concilia 
«  stima  ed  applauso,  anziché  discredito  e  biasimo.  Alla  per- 
«  fine  errare  humaiium  est,  e  siccome  molti  de'  nostri  sbagli 
«  sono  abbastanza  noti,  cosi  quando  anche  avessimo  ad 
«  incontrare  delle  critiche  nel  correggerli,  sarebbero  queste 
«  più  miti  e  meno  durevoli  di  quelle  incontreremmo  se  ci 
«  ostinassimo  a  sostenere  gli  antichi  difetti  del  nostro  si- 
«  stema.  Quanto  poi  all'  imitazione  degli  altri  sistemi,  io 
«  non  mi  arresto  per  le  difficoltà  proposte,  e  considerando 
«  le  cose  in  se  stesse,  senza  cercarne  gli  autori,  prendo  il 
«  buono  e  l'utile  ovunque  lo  trovi  ». 

Nel  IV  articolo  (jyisposi:(ioni  preliminari  per  la  riforma). 


44  ^-  Cugnoni 


premesso  che  «  il  primo  mezzo  essenzialissimo  per  ese- 
«  gli  ire  la  riforma  consiste  nella  scelta  de'  soggetti,  che 
«  dovranno  occuparsi  di  questo  importante  affare  »,  vuole 
che  per  le  materie  ecclesiastiche  sia  commesso  l'incarico 
a  sacerdoti  «  i  più  distinti  per  dottrina,  per  esemplarità, 
«  per  cognizioni  pratiche  » .  Giacche  «  una  scienza  ordina- 
«  ria  non  sarebbe  sufficiente  all'  intento  ;  una  virtù  me- 
«  diocre  non  concilierebbe  il  credito  troppo  necessario  in 
«  chi  è  destinato  a  promuovere  la  riforma;  e  le  sole  co- 
((  gnizioni  speculative,  senza  le  pratiche,  non  riempireb- 
<(  bero  l'oggetto.  Per  gh  oggetti  temporaH  potranno  as- 
ce sumersi  indistintamente  ecclesiastici  e  laici,  dotati  di 
«  probità  e  versati  nelle  materie  legali,  politiche  ed  econo- 
«  miche  ».  Per  render  poi  meno  malagevole  l'attuazione 
della  riforma,  propone  di  «  prevenire  immediatamente  la 
«  ripristin azione  di  alcuni  degH  antichi  abusi,  che  sarebbe 
«poi  troppo  difficile  di  estirpare  »,  e  suggerisce  «  varie 
«  altre  provvidenze,  che  appianino  la  strada  »  da  battere, 
per  giungere  alla  meta. 

Nel  V  articolo  (Basi  della  riforma),  dopo  aver  breve- 
mente esposto  il  disegno  del  nuovo  edifizio,  ch'egli  accin- 
gesi  ad  innalzare,  osserva  che,  trattandosi  di  oggetti  spiri- 
tuali, gU  si  potrebbe  opporre  «  la  dottrina  di  Paolo  apostolo: 
«  Fundamentum  alitid  nemo  potest  ponerc,  praeter  id,  quod  po- 
«  situm  est,  quod  est  Chrìstus  Jesus.  E  tosto  soggiunge  :  «  Ma 
a  Dio  mi  guardi  dalla  sacrilega  temerità  di  toccare  questo 
«fondamento  divino,  che  rimarrà  saldo  ed  immobile  sino 
«  alla  consumazione  dei  secoli.  Siccome  però  il  medesimo 
«  apostolo  soggiunge  :  Si  quis  autem  super aedificat  super 
v^  fundamentum  hoc,  aurum,  argentum,  lapides  pretiosos,  Ugna, 
(.(.foenum,  stipulam,  uniuscujusque  opus  manifestum  erit:  Dies 
«  enlm  Domini  declarahit,  quia  in  igne  revelabitur  :  et  unius- 
«  cujusque  opus  manserit,  quod  superaedificaverit:  mercedem  ac- 
«  cipiet.  Si  cujus  opus  arserit  detrimentum  patietur ;  cosi  non  può 
«  essere  giustamente  riprensibile  un  lavoro  diretto  ad  edifi- 


^clla  vita  e  degli  scrìtti  di  G.  oA.  Sala        45 

<(  care  sullo  accennato  fondamento  aiirunij  argentum,  ìapides 
«  pretiosoSj  e  ad  escludere  dalla  nuova  fabbrica  tutte  quelle 
«  altre  materie,  che  potrebbero  essere  consumate  dal  fuoco. 
«  Si  aggiunge  che  il  nostro  edifizio,  simile  ad  una  reggia, 
((  la  quale,  oltre  all'abitazione  del  principe,  racchiude  tante 
«  altre  parti  destinate  ad  albergare  la  sua  corte,  e  a  molti 
«  e  diversi  usi,  servir  deve  a  non  pochi  oggetti  o  affatto 
«  estranei,  o  non  essenzialmente  connessi  con  quella  fab- 
«  brica  immobile  che  a  ninno  è  lecito  di  variare.  Dovendo 
«  quindi  il  mio  piano  estendersi  ad  una  serie  ben  lunga  di 
«  articoH  di  ogni  specie,  se  troverommi  forzato  alcuna  volta 
«  a  proporre  un  tal  cambiamento  di  sistema,  cosicché  venga 
((  qualche  parte  della  mistica  flibbrica  a  riedificarsi  fino  dai 
«  fondamenti  ;  non  per  questo  potrà  condannarsi  il  mio 
«  lavoro,  e  sarà  all'opposto  esente  da  ogni  censura,  e  me- 
((  ritevole  di  lode,  quando  concorrano  a  giustificarlo  la  ne- 
«  cessità  o  l'utiHtà  ». 

Fin  qui  il  lavoro  è  tutto  d'apparecchio.  Lo  svolgimento 
ordinato  della  materia  comincia  dall'articolo  VI,  il  quale  è 
dato  all'argomento  più  importante  e  fondamentale  dell'o- 
pera, cioè  la  Separazione  dello  spirituale  dal  temporale.  In 
proposito  di  che,  sebbene  ravvisi  l'autore  per  «  una  dispo- 
«  sizione  ammirabile  della  divina  Provvidenza,  che  il  ro- 
«  mano  pontefice  riunisse  alla  dignità  di  capo  della  Chiesa 
«  il  grado  di  principe  sovrano  assoluto  »;  nondimeno  av- 
verte «  che  la  temporalità  non  è  in  alcun  modo  essenziale, 
«  anzi  è  affatto  distinta  dalla  spiritualità  ».  Donde  consegue: 

1.  «  Che  gli  affari  spirituali  formar  debbono  il  prin- 
«  cipalissimo  oggetto  ed  impegnare  le  cure  più  assidue  del 
«  romano  pontefice,  cosicché  non  rimangano  giammai  po- 
«  sposti  agh  oggetti  temporali. 

2.  «  Che  in  tutto  deve  singolarmente  risplenderc  la 
«  modestia  e  la  gravità  ecclesiastica,  onde  chiaro  apparisca, 
«che  la  sovranità  temporale  si  considera  come  un  acces- 
«  serio,  e  si  fa  servire  unicamente  al  maggior  decoro  della 


46  G.  Cugnoni 


«  dignità  pontificia,  senza  fasto  e  senza  ostentazione,  e  al 
«  maggior  vantaggio  della  Chiesa,  senza  vista  d' ingrandi- 
<(  mento  e  di  altri  mondani  interessi. 

3.  «  Che  per  ottenere  la  bramata  separazione  dello 
«  spirituale  dal  temporale  bisogna  stabilire  la  massima,  che 
«  tutte  le  cariche  di  loro  natura  secolari  vengano  conferite 
<(  ai  laici. 

4.  «  Che  sarebbe  conveniente  che  negli  atti  risguar- 
«  danti  la  temporalità  si  procedesse  sempre  con  forme  di- 
ce verse  da  quelle  si  adoperano  per  gli  oggetti  ecclesiastici. 
«Nel  Bollano  s'incontrano  tante  bolle  relative  ai  pubblici 
<(  dazi,  agli  statuti  di  corpi  d'arti  e  collegi,  e  ad  altre  cose, 
«  che  nulla  hanno  che  fare  collo  spirituale.  Come  ci  entra 
<(  qui  il  titolo  :  Servus,  servorum  Dei,  l'assoluzione  dalle  cen- 
«  sure,  Ad  effectum  praesentium  consequendum,  il  decreto  irri- 
«  tante  :  Indignationem  Omnipotentis  Dei  ac  Beatorum  Petri  et 
(.(.  Pauli  Apostolorum  ejus  se  noverit  incursurum  ?  Quando  il 
«  sommo  pontefice  agisce  come  capo  della  Chiesa,  parli  da 
«  papa;  quando  esercita  atti  di  sovranità,  parli  da  principe. 
«  Cosi  dalle  stesse  forme  estrinseche  renderassi  manifesto 
((  che,  senza  confondere  le  due  potestà,  si  assegna  a  cia- 
((  scuna  il  suo  luogo  ». 

Nel  VII  articolo  (Dell' ah atisnio)  toglie  a  screditare  la 
«mascherata  dell' abatismo»,  cioè  l'invalsa  moda  dell'abito 
ecclesiastico  «  abusivamente  adottato  da  tanti  laici  »,  la 
quale  «  contribuisce  in  qualche  modo  a  confondere  lo  spi- 
«  rituale  col  temporale  ». 

Neir  Vili  articolo  {Cariche^  vengono  considerate  le  ca- 
riche «  sotto  due  aspetti,  cioè  in  quanto  alla  diversità  loro, 
«  e  in  quanto  alla  scelta  de'  soggetti  che  debbono  eserci- 
«  tarle  ».  Per  ciò,  che  è  della  loro  diversità,  riferendosi 
questa  «  alla  stabilita  separazione  dello  spirituale  dal  tem- 
«  porale,  dovrà  fissarsi  colla  possibile  sollecitudine  quali 
«  siano  gl'impieghi,  che  rimarranno  agli  ecclesiastici,  e  quali, 
«  che  apparterranno  ai  laici  » .  E  del  numero  di  questi  se- 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        47 

condi  dovrebbero  essere,  per  avviso  dell'autore,  «  tutti  i 
<(  governi,  incominciando  da  quello  di  Roma  ;  tutte  le 
«  aziende  economiche,  non  escluso  il  tesorierato  ;  tutta  la 
«  giudicatura  criminale,  buona  parte  della  giudicatura  ci- 
«  vile  )).  In  ordine  poi  «  alla  scelta  dei  soggetti  che  deb- 
«  bono  esercitare  »  le  cariche  sì  ecclesiastiche  e  si  laiche, 
sebbene  Fautore  non  si  faccia  a  trattarne  separatamente  in 
questo  articolo,  tuttavia  dalla  somma  del  discorso  si  rac- 
coglie essere  suo  intendimento,  che,  attribuite  le  prime  ai 
sacerdoti,  le  più  importanti  delle  seconde  vengano  confe- 
rite ai  laici,  tenendo  ragione  non  pure  della  loro  idoneità, 
ma  ancora  dei  loro  natali. 

Negli  articoli  IX,  X  e  XI  {Franchigie  -  Uffici  delle  poste 
straniere  -  Diritti  feudali)  si  caldeggia  l'abolizione  degli 
odiosi  avanzi  d'una  età  barbarica,  e,  a  guarentire  la  spedi- 
tezza e  la  credenza,  massime  per  le  faccende  di  Stato,  del 
commercio  epistolare,  si  propugna  l'annullamento  de'  cor- 
rieri nazionah,  per  mezzo  de'  quaU  a  quel  tempo  «  si  fa- 
«  ceva  tutto  il  carteggio  cogli  esteri  » . 

L'articolo  XII  {Sacro  collegio)  si  aggira  sulla  riforma 
dei  cardinah,  giusta  le  norme  prescritte  dai  decreti  del  Tri- 
dentino, ai  quali  «  se  si  fosse  tenuto  dietro  costantemente, 
«  non  si  sarebbero  commessi  degH  errori  assai  pregiudizievoli 
«alla  scelta  dei  cardinali,  ne  sarebbe  accaduto  che  nella 
«  distribuzione  de'  cappelli  si  contemplassero  de'  soggetti 
«  poco  idonei,  se  non  anche  del  tutto  immeritevoH  ». 

Similmente  nell'articolo  XIII  {Vescovi  e  vescovati)  col- 
l'autorità  del  Tridentino  si  richiamano  in  vigore  gli  antichi 
metodi  usati  dalla  Chiesa  nell'elezione  de'  pastori,  e  minu- 
tissimamente si  annoverano  le  rare  doti  di  virtù  e  di  dot- 
trina a  questi  necessarie. 

Argomento  del  XIV  articolo  ò  la  Prelatura,  La  quale 
«  quantunque  non  formi  una  classe  a  parte  nell'ecclesiastica 
«  gerarchia  ;  pure  essendo  specialmente  addetta  al  servizio 
«  della  S.  Sede,  e  godendo  di  molte  onorificenze  e  privi- 


48  G.  Ciignoni 


«  legi,  deve  riguardarsi  come  un  ceto  distinto  nel  clero, 
«  tanto  più  che  rimane  sempre  illustrata  da  buon  numero 
«  di  soggetti  ragguardevoli  per  nascita  e  per  merito,  ed  è 
«  solita  fornire  quasi  tutti  i  candidati  pel  rimpiazzo  de'  posti 
«  vacanti  nel  sacro  collegio  ».  Dei  tre  modi,  pe'quali  con- 
seguesi  il  grado  prelatizio,  cioè:  «  per  compra,  per  processo, 
«  per  grazia  »,  l'autore  vuole  a  eliminato  affatto  il  primo  », 
conservati  il  secondo  ed  il  terzo;  ma  in  quanto  al  secondo 
non  in  modo  che  «  il  processo  si  riduca  ad  una  formalità 
«  di  poco  momento  »,  né  che,  in  ordine  al  terzo,  la  grazia 
cada  sopra  persone  immeritevoli,  «  osservando  la  regola  di 
«  Pio  II:  Dignitatibus  viri  danài,  non  viris  dignitates  ».  Enu- 
merate poi  le  cariche  prelatizie,  che  dovrebbero  essere  tras- 
formate in  laiche,  propone  de' compensi  pel  ceto,  che  ne 
verrebbe  spogliato.  E  per  ultimo  ragiona  de'  nunzi,  della 
somma  importanza  del  loro  ufficio,  e  però  della  molta  di- 
ligenza, che  è  da  usare  nel  trasceglierli. 

Nell'articolo  XV  si  tratta  della  riforma  del  Clero  secolare, 
che  l'autore  divide  «  in  cinque  classi  »,  cioè:  «,i.  Capitoli 
«  delle  basiliche  e  delle  collegiate;  2.  Parrochi;  3.  Confes- 
«  sori  e  predicatori;  4.  Impiegati  nelle  sagrestie  e  in  altre 
«  incombenze,  che  non  sono  contrarie  alla  professione  ec- 
ce clesiastica;  5.  La  residuale  turba  di  quelli,  che  non  avendo 
«  alcun  legame,  per  cui  siano  impegnati  ad  una  determinata 
«  occupazione  in  servizio  della  Chiesa,  o  ne  assumono  di 
«  quelle  contrarie  ai  sacri  canoni,  o  passano  la  loro  vita 
«  senza  far  nulla  ».  Annovera  di  ciascuna  classe  i  difetti  e 
gli  abusi,  e  ne  suggerisce  l'emenda.  «  Si  tacciano  giusta- 
«  mente  (pglì  scrive)  vari  de'  nostri  capitoli  di  una  soverchia 
«  precipitazione  nel  salmeggiare,  di  una  somma  negligenza 
«  nell'esercìtare  le  sacre  funzioni,  di  un  indecente  contegno 
«  di  assistere  al  coro».  Nota  «  quell'aria  di  dissipamento, 
«  colla  quale  alcuni  canonici  o  passeggiano,  o  parlano,  aspet- 
«  tando  il  segno  del  coro  »;  ne  addita  «  altri  sdraiati  con 
«  ributtevole  indecenza,  altri  taciturni  nel  tempo  che  dovreb- 


T>ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        49 

«  bero  cantare,  altri  occupati  in  discorrere  coi  loro  vicini, 
«  altri  trascuratissimi  nel  ministrare  all'altare . . .  Nell'afFac- 
«  ciarsi  a  qualche  coro,  dando  semplicemente  un'occhiata 
«  a  queUi  che  seggono  più  alto,  si  direbbe  che  vi  stanno 
«  come  dominantes  in  cleris,  e  che  il  grado  più  distinto  e  la 
«  rendita  più  pingue  danno  loro  un'esenzione  da  ogni  legge, 
«  e  un  diritto  di  scaricare  tutfto  il  peso  dell'ufficiatura  su 
i(  chi  siede  più  basso.  Se  la  cosa  deve  andare  cosi,  tor- 
«  nerebbe  meglio  il  riempire  li  staUi  di  belle  statue  vestite 
«  in  abito  corale,  e  l'appHcare  le  rendite  ad  usi  più  pii.  Ecco 
«  come  sono  trattate  le  funzioni  le  più  auguste,  come  sono 
((  edificati  i  fedeli,  com'è  servitala  Chiesa.  Che  meravigha 
«  poi,  se  per  que'canali  medesimi,  pe'quali  dovrebbero  scen- 
«  dere  le  celesti  benedizioni,  si  schiudono  sopra  del  popolo 
«  i  vasi  della  collera  divina  ?  » 

Vuole  i  parrochi  scelti  fra  i  sacerdoti  più  dotti  ed  esem- 
plari, provveduti  di  sufficienti  rendite,  e  posti  in  grado  «  di 
«  star  poco  attaccati  agl'incerti,  e  che  la  loro  sussistenza 
«  non  dipendesse  in  gran  parte  dagli  emolumenti  de'  batte- 
«  simi,  de' matrimoni  e  de' funerali  ». 

Biasima  «  certi  predicatori  alla  moda,  che  rassomigHando 
«  niibes  sino  aqua,  quae  a  ventis  circumferuntur,  predicano  se 
«  medesimi  in  suhlimìtate  scrmonum,  in  vece  di  predicare 
«  Jesum  Christum,  et  hunc  Crucifixum,  e  trasformano  i  per- 
«  gami  in  cattedre  accademiche,  e  poco  meno  che  in  palchi 
«  scenici  »;  e  certi  altri,  che,  sebbene  «  pieni  di  zelo  e  di 
«  buone  intenzioni  »,  sono  »  cosi  scarsi  di  scienza,  e  cosi 
«  infelici  nel  dire,  che  propriamente  fanno  pietà  ». 

Scopre  tra  i  confessori  «  lupi  divoratori  delle  anime  »,  e 
vuole  bandito  da  questo  ceto  chi  non  abbia  «  le  tre  qualità 
«  desunte  dal  Salmista,  bonitatem,  et  disciplinam  et  scientiam  ». 

«  Degli  ecclesiastici  addetti  in  buon  numero  alle  segre- 
«  terie  delle  Congregazioni,  o  applicati  ad  altre  incombenze, 
«  che  riguardano  il  servizio  della  Chiesa,  o  almeno  non 
«  siano  proibite  dai  sacri  canoni  »,  avverte  che  «  sarebbe 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  4 


jo  G.  Cugnonì 


«  assai  meglio,  che  certe' incombenze  si  abbandonassero  in- 
«  teramente  ai  laici  »:  e  nota  «  che  in  passato  a  molti  fa- 
ce ceva  impressione  il  vedere  un  prete  nella  segreteria  de' 
<(  Luoghi  di  Monte  :  un  altro  in  quella  del  Buon  governo  ; 
«  un  altro  in  quella  delle  Finanze  ». 

Dei  rimanenti  preti,  «  che  senza  rendere  alcun  servizio 
«  alla  Chiesa,  eccettuato  TufEzio,  che  recitano  per  disobligo, 
((  e  la  messa,  che  celebrano  per  interesse;  o  fanno  cose, 
((  che  far  non  dovrebbero,  o  fanno  il  grandissimo  nulla  », 
vitupera  T  inutile  vita,  nega  loro  ogni  benefizio,  e  giunge 
perfino  a  domandare,  se  non  si  abbia  ragione  «  di  asserire, 
«  che  il  soverchio  numero  di  ecclesiastici  reca  pregiudizio, 
«  anziché  vantaggio  ».  Ad  evitare  taU  disordini  consiglia 
ai  vescovi  la  severità  nelle  ordinazioni,  e  la  retta  educazione 
de' chierici  ne' seminari  diocesani. 

Nell'articolo  XVI,  destinato  alla  riforma  àQ  Regolari, 
dopo  una  triste  pittura  della  rilassatezza  introdottasi  ne' 
chiostri,  stabilisce  «  due  principi  :  il  primo,  che  li  disordini 
«  delle  comunità  religiose  erano  giunti  a  tal  punto,  da  me- 
«  ritare  che  Iddio  le  annientasse,  come  in  gran  parte  se- 
«  guitò  (i);  il  secondo,  che  siccome  sta  scritto  iratus  es, 

(i)  Su  questo  medesimo  proposito  scrive  nel  suo  Diario,  sotto 
il  IO  settembre  1798:  «  Per  questo  tanti  servi  di  Dio  hanno  asse- 
«  rito  costantemente  già  da  più  anni,  che  sovrastavano  grandi  flagelli, 
«  massime  per  le  colpe  dei  preti,  frati  e  monache  ».  Le  cose  esposte 
e  discusse  dal  Sala  in  questo  XVI  articolo  (Regolari)  e  nel  succes- 
sivo XVII  (Monache)  consuonano  mirabilmente  con  quelle,  che 
Giulio  Cesare  Cordara  venne  svolgendo,  intorno  allo  stesso  ar- 
gomento, nel  suo  scritto  De.  profectione  Pii  VI  Pont.  Max.  ad  aulam 
Vindolonensem,  pubblicato  dal  P.  Giuseppe  Boero  della  Compagnia  di 
Gesù.  Se  non  che  l'editore,  (debbo  queste  indicazioni  al  mio  amico 
march.  Gaetano  Ferraioli)  non  so  se  o  per  difetto  dell'esemplare, 
dal  quale  trascrisse,  o  a  bello  studio,  non  ne  mise  a  stampa  il 
luogo,  al  quale  si  riferisce  questa  mia  osservazione,  e  che  però 
parmi  opportuno  di  qui  trascrivere  dal  ms.  della  biblioteca  Vallicel- 
liana  segnato  R.  93  :  ed  è  l'esemplare  che,  offerto  da  Francesco 
Cancellieri  a  Pio  VI,  dopo  la  dispersione  della  privata  biblioteca  di 


niella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        51 

«  etmisertus  es  nohis ;  così  dobbiamo  sperare  ch'egli  favorisca 
«  propizio  r  impresa  della  ripristinazione,  quante  volte  nel- 
((  l'effettuarla  si  abbia  in  mira  unicamente  la  sua  maggior 
«  gloria  e  il  vantaggio  della  Chiesa  ».  Al  quale  scopo  puossi 
giungere  per  una  sola  via,  quella,  cioè,  di  cercare  «  d' in- 
«  dovinare  ciò,  che  farebbero  K  santi  fondatori,  se  tornas- 
«  sero  al  mondo  ».  E  questo  sforzasi  di  fare  l'autore  con 
pieno  e  minuto  discorso. 

quel  pontefice,  acquistato  da  Ruggero  Falzacappa,  prete  dell'oratorio, 
fu  da  esso*,  morendo,  legato  a  quella  insigne  biblioteca.  Il  luogo  si 
rappicca  alla  pag.  145  dell'edizione  del  Boero,  dopo  le  parole  hene- 
fìciis  augendi,  ed  è  come  segue: 

«  At  plus  nimio  excrevisse  memoria  nostra  Franciscanorum,  sive 
«  Observantium,  sive  Reformatorum,  sive  quos  Cappuccinos  nomi- 
«  nant  numerum,  sunt  qui  putant  :  nec  vana,  uti  reor,  eorum  opinio 
«  est.  Duplex  certe  malum  inde  manat  in  publicum.  Alterum,  quod 
«  sumptu  publico  alendi  sunt,  subtrahiturque  saepe  liberis,  aut  pau- 
«  perioribus  quod  in  eos  confertur.  Alterum,  quod  agri  magnam 
«  partem  sine  cultura,  artesque  ad  socialis  vitae  usum  institutae  sine 
«  operis  relinquuntur.  Non  enim  in  hos  ferme  ordines  nisi  proletarii, 
«  ac  capite  censi  immigrare  sunt  soliti,  ex  agricolarum  vel  .opificum 
«  plerique  gente,  homines  demum  ad  tolerandam  labore  vitam  nati. 
«  Ex  hoc  autem  genere  hominum  nunquam  petitores,  et  candidati 
«  desunt,  qui,  si  certam  pecuniam  ferunt,  facile  admittuntur.  Atque  illi 
«  quidem  sacram  cum  petunt  tunicam,  nihil  praeter  Dei  famulatum, 
«  vitamque  sanctiorem  et  salutem  animae  sempiternam  praetendunt. 
«  At  ipsa  re,  vel  commodo,  vel  ambitione  plerique  ducuntur.  Nimirum 
a  paupertatem  voluntariam  vovebunt,  ea  tamen  lege,  ut  panem  cum  ob- 
«  sonio  nunquam  in  omni  vita  desiderent;  et  paupertatem  necessariam 
«  eamque  severiorem  relinquent  domi.  Vestem  induent  e  crasso  ru- 
«  dique  panno,  nihilo  meliorem  habituri  si  viverent  Inter  suos.  Com- 
»  modius  ad  extremum  ducunt  nocte  concubia  consurgere  ad  psal- 
«  lendas  divinas  laudes  in  tempio,  quam  ardente  sole  boves  exstimulare 
«  et  aratrum  in  agro  ducere,  aut  laborem  assiduum,  diu  noctuque 
«  insudare  super  incudem,  aliamve  inter  sellularios  artem  exercere. 
«  Haec  fere  prima  sanctae  vocationis  causa.  Majores  etiam  illecebras 
«  habet  ambitio.  In  ilio  namque  sacro  ac  venerabili  amictu  instar 
«  nobilium  omnes  sunt.  Itaque  claras  amicitias  cum  potentioribus  jun- 
«  gunt,  ac  matronarum  saepe  raensae  accumbunt  li,  quorum  germani 


52  G.  Cu g noni 


Circa  la  riforma  delle  Monache,  che  è  la  materia  del- 
Tarticolo  XVII,  ed  ultimo  della  parte  del  Piano  stampata, 
scrive:  «  Il  primo  articolo  essenzialissimo  è  quello  delle 
«  vestizioni.  Anche  ne'  monasteri  si  offrono  delle  vittime 
«  deboli  ed  imperfette,  e  quel  che  è  peggio,  si  consumano 
«  de'  sacrifizi,  non  già  volontari,  ma  forzati.  Una  monaca 
«  senza  vocazione  è  il  tormento  di  se  stessa  e  dell'  intera 
«  comunità.  Parrebbe  che  questo  caso  fosse  quasi  impossi- 

«  fratres  aut  strigili  fricant  equos  in  stabulo,  aut  caligas  in  taberna 
«  consarcinant.  Quid  vero  si  quem  in  coenobio  magistratum,  si  quam 
«  praefecturam  adepti  sint  ?  Supercilium  tollunt,  aequales  alios  suos 
«  et  consanguineos  vix  obtutu  dignantur.  Superbiam  hausisse  diceres 
«  in  schola  humilitatis.  Num  proinde  coenobia  supprimenda  ?  Minime 
«gentium.  At  multis  partibus  minuendum  coenobitarum  numerum 
«  prudens  quisque  facile  opinabitur.  Habenda  ratio  utilitatis,  quam 
«  sive  sacris  ministrandis,  sive  divino  serendo  verbo  in  commune  fe- 
ce runt.  At  si  pauciores  idem  possunt,  cur  ita  multi  sint  cum  tanto 
«  civitatis  onere,  ac  reipublicae  detrimento?  Exiguum  Jesuitarum  col- 
«  legium,  duodenum,  ut  summum,  capitum,  plus  fere  praestabat  po- 
«  pulo,  quam  istiusmodi  cucuUatorum  quinquageni,  aut  eo  amplius. 
«  Cur  non  ergo  certus  eorum  numerus  prò  modo  cujusque  civitatis 
«  praefiniatur  ?  Id  si  cum  debita  auctoritate  fìat,  nemini  credo  vi- 
ce deatur  incongruum. 

«  Jam  locus  ipse  me  admonet  ut,  quando  de  coenobitis  hactenus 
«  dictum  est,  nunc  etiam  de  sacris  virginibus  panca  dicam.  Namque 
«  earum  quoque  plura  coenobia  Caesar  suppressit.  Visum  id  multis 
«  inhumanum,  in  eo  praesertim  principe,  qui  sua  Consilia  omnia  in 
«  bonum  humanitatis  se  dirigere  profìtetur.  Et  si  enim  multae  e  junio- 
«  ribus  ex  arcto  in  apertum  perquam  libenter  exierint,  ast  aliae  senio 
«  consumptae,  atque  Inter  suas  auctoritatem  adeptae,  sive  alia  in  coe- 
«  nobia,  sive  paternas  in  domos  migrare  cogerentur,  rem  indignissime 
«  accepere,  contemptui  videlicet  futurae  in  posterum,  aut  magnam 
«  molestiarum  molem  laturae,  quae  pacate  hactenus  in  suo  mona- 
«  sterio  nec  indecore  vixerant.  Num  vero  id  etiam,  pontifìce  assen- 
te tiente,  factum?  Incertum:  non  tamen,  si  certas  conditiones  adjicias, 
«  incredibile.  Sane  ultra  modum  multiplicata  sacrarum  virginum  mo- 
«  nasteria  cernimus.  Civitatem  invenias,  ubi  capitum  millia  haud  plura 
«  decem,  aut  duodecim,  monasteria  quindennis  non  pauciora  nume- 
te  rantur.  Horum  minui  tantisper  numerum,  abs  re  certe  non  erat; 


belici  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala        S3 

<(  bile  ad  accadere;  eppure  accade  più  di  sovente  di  quello 
«  che  alcuni  pensano.  Simile  disordine  non  è  nuovo,  ma 
<(  pure  dovrebbe  essere  cessato  dopo  gli  anatemi  fulminati 
«  dal  Tridentino  contro  coloro,  i  quali  quomodocumque  coe- 
«  gerint  aìiquam  virgmem,  vel  vìduam,  aut  aliam  quamcumqtie 
«  mulierem  invitam,  praeterquam  hi  casibus  a  jure  expressis,  ad 
«  ingrediendtim  monasteriiimj  vel  ad  suscipiendum  hahitum  cu- 
«  JHSCiimque  relìgionis,  vel  ad  emìttendam  professionem;  quiqiie 

«  modo  optio  detur  virginibus  eligendi  quod  malint,  sive  alìud  in  mo- 
«  nasterium  transeundi,  sive  paternam  in  domum  revertendi,  et  salva 
«  singulis  honeste  vivendi  conditio  sit.  Ipsas  enim  virgines  nimis 
«  crebro,  ac  nimis  facile  sacra  inter  claustra  recipi,  atque  ad  solemnem 
«  votorum  nuncupationem  admitti  multi  putant,  utque  variabilis  est 
«  Ecclesiae  disciplina,  nonnihil  temperandum  hodie  ejusmodi  consue- 
«  tudinem  arbitrantur.  Quid  enim?  puella  annorum  vix  decem,  dum 
«  sacras  inter  virgines  nutritur,  vel  amitae  cujusdam  blanditiis,  mu- 
te nusculisque  capta,  vel  ipsa  socialis,  et  innocentis  vitae  hilaritate  pel- 
«  lecta,  per  causam  sacrarum  exercitationum,  insolita  pellente  aetate, 
«  facile  pronunciat,  velie  se  quoque  vitam  coelibem  in  eodem  mo- 
«  nasterio  vivere,  idque  palam  evulgat;  quod  semel  imprudenti  exci- 
«  dit,  id  postmodum  revocare  grandiusculae  verecundia  est.  Subit 
«  interea  rei  familiaris  angustia ,  honestarum  conditionum  infre- 
«  quentia.  Quo  magis  a  matrimonio  deterreantur,  nuptarum  saepe 
«  molestias,  et  casus  calamitosos  sibi  narrari  audit.  Quid  vis?  Ut 
«  primum  per  aetatem  licet,  ne  sibi  minus  constare  videatur,  nec  pa- 
«  rentum  spem  eludat,  et  vota,  sacrum  velamen  suscipit,  et  cum  in- 
«  genti  apparatu  solemnibus  se  votis  obstringit.  Cunctis  videlicet  hu- 
«  manae  vitae  oblectamentis  momento  nuncium  remittit,  seque  intra 
«  angustum  ambitum  murorum  includit  ea  lege,  ut  inde  pedem  ef- 
«  ferre  nunquam  in  omni  vita  possit,  idque  praeter  amictum  rudem, 
«  victum  tenuem,  et  severiorem  saepe  ordinis  disciplinam,  cui  in 
aperpetuum  se  subjicit:  legem  denique  moUis  et  rerum  inexperta 
«  virguncula  sibi  imponit,  humanis  prope  majorem  viribus,  et  quae 
«  miracull  instar  haberetur,  nisi  esset  frequens,  et  quotidie  oculis  ob- 
«  vcrsaretur.  Quid  vero  si  decursu  temporis  vitae  ejus,  et  carceris  sa- 
«  tietas  subeat?  Quid  si  arder  ille  primus  pietatis,  quo  nihil  facilius, 
«  refrixerit?  NuUumnc  locum  esse  regressui?  et  idcirco  doloro,  ac  rabie 
«  misera  contabescat  ?  Haec  mihi  cogitanti,  vcnicbat  aliquando  in 
«  mentem  opinari,  ferendam  a  pontifice  legcm,  in  morcsquc  inducen- 


54  G.  Cugnoni 


«  consilium,  auxilium,  vel  favorem  dederint  ;  quique  scientes 
«  eam  non  sponte  ingredi  monastcrinm,  aut  habitum  suscipere, 
«  aut  professionem  emittere,  quoquomodo  eidem  actui  vel  prae- 
«  scntianij  vel  consensum,  vel  auctoritatem  interposuerint.  Quanti 
«  si  bevono  di  queste  scomuniche,  non  escluse  le  monache! 
«  Vi  sono  di  quelle,  che  si  affezionano  soverchiamente  a 
«  qualche  giovane  educanda,  e  cercano  d' indurla  ad  ab- 
«  bracciare  la  vita  monastica,  dipingendolene  tutto  il  buono, 
«  e  nascondendolene  tutto  l'arduo  e  tutto  Tamaro,  che  vi 
«  si  trova.  La  fanciulla,  che  talvolta  usci  di  casa  prima  di 
«  arrivare  agli  anni  della  discrezione,  che  nulla  sa  di  mondo, 
«  e  che  s'immagina  che  l'esser  monaca  consista  nel  portare 
«  l'abito,  nel  cantare  in  coro,  e  nel  mangiar  paste  ;  si  lascia 
«  facilmente  persuadere,  ed  eccola  già  con  una  vocazione 
«  decisa,  e  con  un  fervore  straordinario.  Entra  in  prova,  e 
«  viene  trattata  con  molta  indulgenza;  incomincia  il  novi- 
«  ziato  e  vi  trova  una  maestra,  che  la  lascia  fare  a  suo  modo, 
«  e  se  mostrasi  malcontenta  per  qualche  poco  di  rigore,  le 
«  dice,  che  da  professa  non  avrà  più  legame,  e  sarà  più 
«  libera.  Nello  scrutinio  passa  a  pieni  voti,  perchè  le  pro- 

«dam,  ne  qua  deinceps  puella  sese  votorum  sacramento  obligaret, 
«nisi  ad  quìnquennium.  Hoc  evoluto  spatio,  si  constaret  animus,  ad 
«  aliud  quìnquennium  vota  protraheret,  deinde  ad  aliud,  donec  annum 
«  aetatis  quintum  supra  trigesimum  esset  supergressa,  ac  tum  demum, 
«  si  vellet,  se  obstringeret  in  perpetuum.  Sic,  ajebam,  huic  fluxae  pa- 
«  riter,  atque  aeternae  earum  felicitati  provisum  iri.  Ut  minimum  non- 
«  nihil  emolliendum  existimabam  durum  illud  votum,  quo  se  nunquam 
«  extra  claustrum  pedem  elaturas  spondent.  Permittendum  ut  certa  intra 
«  annum  die  prodire  possint  in  publicum,  circuire  tempia,  consangui- 
«  neos  invisere.  Exemplum  Urbe  praebuit  Benedictus  XIV,  eoque  pri- 
«  vilegio  etiam  nunc  nonnullum  monasterium  aditur.  Cur  non  etiam 
«  matrem  sororesque  identidem,  cum  bona  antistitis  venia,  ad  se  intra 
«  claustrum  admittant  ?  Id  satis  bonis  vìrginibus  ad  solatium,  ac  leni- 
«  mentum  aerumnosae  vitae  futurum,  effecturosque  dies  paucos,  ut  toto 
«  anno  vivant  sua  sorte  contentae.Verum  de  bis  viderit  Summus  Pon- 
te tifex,  cui  Christian!  gregis  cura  commissa. 
«  Ceterum  non  est,  etc.  ». 


^ella  pita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala         ^^ 

«  tettrici  la  spalleggiano,  il  monastero  ha  bisogno  di  sog- 
«  getti,  ed  essendo  in  fondo  una  buona  ragazza,  si  spera 
«  che  poi  diventi  una  buona  monaca.  Cosi  F  infelice  pre- 
ce nunzia  li  voti  solenni,  e  quando  non  è  più  tempo  si  ac- 
«  corge  di  essere  stata  tradita,  e  si  affligge  e  si  dispera  senza 
«  rimedio.  Certe  fanciulle  poi,  immolate  dal  dispotismo  e 
«  dalla  barbarie  de' loro  parenti,  non  possono  nascondere 
«  il  malcontento  e  T  angustia,  in  cui  si  trovano  ;  eppure 
«  vengono  ricevute  ed  ammesse  alla  vestizione  e  alla  pro- 
«  fessione  ».  Ad  impedire  questa  carnificina  di  anime  in- 
nocenti, vuole  l'autore,  che  «  non  isdegnino  i  vescovi  di 
«  esplorare  essi  stessi  le  monacande,  tutte  le  volte  che  pios- 
«  sono,  e  trovandosi  impediti,  ne  affidino  l' incarico  ad  ec- 
ce clesiastici  dotti  e  sperimentati;  esclusi  sempre  quelli,  che 
«  abbiano  dei  rapporti  col  monastero,  in  cui  rimangono  le 
«  postulanti.  E  che  in  tutti  i  monasteri,  prima  de'  scrutini 
«  per  le  vestizioni  e  professioni,  si  leggano  tradotti  in  lingua 
«  volgare  »  i  decreti  del  Tridentino  risguardanti  questa 
materia.  «  Il  fulmine  delle  scomuniche  atterrirebbe  le  mo- 
«  nache,  né  più  s'indurrebbero  a  dare  il  voto  senza  piena 
«  cognizione  di  causa,  e  molto  meno  per  umani  riguardi  ». 
Dopo  ciò  l'autore  si  fa  a  discorrere  de'  mezzi  da  risvegliare 
ne'  monasteri  lo  spirito  di  osservanza  e  di  fervore,  allun- 
gando specialmente  il  ragionamento  sulla  scelta  de'confes- 
sori,  e  sulla  severità  della  clausura. 

Tale  è  in  iscorcio  la  parte  stampata  del  lavoro  del  Sala. 
La  quale,  come  prima  fu  divulgata,  da  altri  venne  messa 
in  cielo,  da  altri  rabbiosamente  maledetta;  secondochè 
l'affetto  alla  religione  e  al  pubblico  bene,  ovvero  il  privato 
interesse  gli  uni  e  gli  altri  diversamente  stimolava.  E  giun- 
tone rumore,  certo  per  opera  di  qualche  maligno,  insino 
a  Vienna,  dove  il  cardinale  Ercole  Consalvi  era  di  que* 
giorni  a  congresso  coi  deputati  delle  principali  potenze 
d'Europa;  quegli,  alla  cui  assoluta  balla  stavano  allora  le 
cose  dello  Stato,  comandò  che  senza  indugio  venisse  im- 


^6  G.  Ciignoni 


pedita  la  diffusione  della  stampa,  e  si  adoperasse  ogni  pos- 
sibile diligenza  per  ricovrarne  gli  esemplari  già  sparsi  (i). 

(Continua) 


G.    CUGNONI. 


(i)  Nell'archivio  Vaticano  trascrissi  da  un  fascicoletto  (nella  cui 
coperta  è  notato  di  pugno  del  Sala:  1814  -  Piano  di  Riforma  -  So- 
spensione del  proseguimento  della  stampa,  e  ritiro  de'  fogli  già  distribuiti) 
le  seguenti  lettere,  che  coUegansi  con  questo  fatto. 

I. 
(c  18  luglio  1814.  —  A.  C.  —  Sua  Eminenza  (il  card.  Bartolomeo 
«  Pacca)  desidera  dentro  la  mattinata  di  domani  di  parlarvi.  Mi  ha 
«  ordinato  perciò  di  darvene  un  cenno.  Lo  eseguisco,  vi  abbraccio, 
«  e  sono  di  cuore  —  AfF.mo  amico  S.  Mauri  ». 

II. 

«  C.  F.  —  Potete  facilmente  immaginarvi  che  anco  la  mia  umanità 
«  non  ha  potuto  non  risentirsene.  Conviene  alzare  gli  occhi  al  cielo 
«  e  tranquillizzarsi  lo  spirito  col  riflesso,  che  appunto  le  buone  opere 
«  sono  compensate  dal  mondo  in  tal  guisa. 

«  Voi  non  ignorate  che  il  pensiero  del  ritiro  è  in  me  nato  non 
«  adesso,  ma  dapprima,  e  forsechè  penserò  a  realizzarlo,  se  mi  riu- 
«  scirà.  Rispetto  a  voi  però  nelle  attuali  circostanze  non  mi  sembre- 
«  rebbe  opportuno  il  nudrire  simili  idee:  conviene  aspettare  il  tempo, 
«  che  suol  dare  consiglio. 

«  Procurate  di  quietarvi,  e  nella  Congregazione  di  dimani  sera 
«  mostrarvi  disinvolto,  lasciando  correre  l'acqua  dove  vogliono,  ba- 
«  standovi  il   testimonio  della  buona   coscienza   ed  il  desiderio  del 

«  bene,  che  non  permette  Dio  che  si  ottenga Addio,  addio  — 

«Li  20  luglio  1814  —  (Domenico  Sala)». 

III. 

«  21  luglio  1814.  —  A.  e.  —  Ho  ricevuto  la  Raccolta,  e  la  let- 
«  tera  acclusami. 

«  Siate  tranquillissimo  sul  vostro  affare.  Sono  stato  dagli  E.mi  So- 
ft maglia,  e  Litta.  Il  primo  mi  ha  detto,  che  il  parlar  chiaro  giova 
«  all'affare,  e  non  nuoce  quando  si  mantiene  il  segreto,  come  è  incul- 
«  cato  ;  il  med.  ha  desiderato  di  non  restituir  le  stampe,  e  mi  ha 
«  detto,  che  ne  avrebbe  parlato  questa  sera  col  Card.  Pacca  ;  il  se- 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala  57 


«  condo  me  le  ha  restituite,  e  vi  assicuro,  che  si  è  lodato  del  vostro 
«  zelo,  ma  avrebbe  desiderato  che  la  materia  non  si  fosse  stampata 
a  per  il  timore  che  possa  andare  nelle  mani  dei  nostri  nemici.  Non 
«  sto  a  riferirvi  quello,  che  io  ho  detto.  Sicuramente  ho  corrisposto 
«  ai  sentimenti  della  nostra  amicizia.  Non  ho  potuto  andar  da  Mattei. 
«  Il  Card.  (Pacca)  mi  ha  detto  che  da  questo  Porporato  sarà  cura 
«  sua  di  ritirar  le  stampe.  Non  vi  è  dubbio  che  sarebbe  stata  più 
«semplice  la  via  che  m'indicate  per  riaverle  nelle  mani,  ma  a  que- 
«  st'ora  ci  vuol  pazienza. 

«  Amico,  scrivo  tanto  a  rotta  di  collo,  che  non  so  quel  che  scrivo. 
«  Le  faccende  dopo  l'arrivo  di  Giovannino  (il  cameriere  del  cardi- 
«  naie  Consalvi)  mi  strozzano.  Vi  abbraccio.  Addio  —  Aff.mo  amico 
«  V.  S.  M.  (Mauri)  ». 


EVOLUZIONE  DEL  TIPO  DI  ROMA 

nelle  rappresentanze  figurate  dell'  antichità  classica 


§  I.  —  Introduzione. 


LQ 


•Jrj^  F^P^^'UTTE  le  antiche  rappresentanze  simboliche,  ed  in 
f^i  WjA  ispecie  le  effigie  delle  divinità,  hanno  subito,  come 
b=^  gS^  era  naturale,  una  modificazione  progressiva  se- 
condo la  modificazione  progressiva  delle  idee  e  dei  senti- 
menti. Cosi,  per  esempio,  il  tipo  di  Pallade  che  noi  troviamo 
nei  primordi  dell'arte  greca  immaginato  da  Omero  come 
la  vergine  guerriera  che  gode  delle  battaglie  (i)  e  nelle 
sculture  corrispondentemente  figurata  in  atto  di  7ipó|jiaxos, 
o  mentre  scaglia  il  dardo,  passa  poi,  coli'  ingentilirsi  del- 
l'animo greco,  dalla  forza  fisica  alla  più  nobile  espressione 
della  forza  intellettuale,  diviene  cioè  protettrice  delle  arti  (2) 
ed  assume  per  suoi  emblemi  persino  il  fuso  e  la  rócca  (3). 

(i)  'AsmvatTi  Xaoadooi;:  Omero,  Jìiade,  XIII,  128. 

(2)  Cosi  nel  concetto  greco,  essendo  Pallade  figlia  di  Giove,  l'arte 
è  quasi  nipote  a  Dio,  come  nel  concetto  Dantesco  : 

Vostr'arte  a  Dio  quasi  ò  nipote. 

Inf.,  XI,  ICS- 

(3)  MOLLER,  Handbuch  der  Arch.,  §  370. 


6o  qA.   Tarisotti 


Ora  si  poteva  ben  supporre  che  anche  il  tipo  di  Roma  si 
fosse  cambiato  secondo  il  cambiare  de' tempi,  ed  è  però 
importante  lo  studio  di  tali  trasformazioni.  Inflitti  nel  corso 
di  questo  lavoro  noi  vedremo  come  l'effigie  di  Roma,  che 
sul  principio  ha  tale  rassomiglianza  con  quella  di  Pallade, 
da  dover  dar  luogo  a  non  poche  false  interpretazioni  ed  a 
contestazioni  tra  gli  archeologi,  si  discosta  in  seguito  da 
essa  tanto  da  non  potersi  più  affatto  dubitare  della  sua  iden- 
tità; e  progredendo  ancora  si  riavvicina  di  nuovo  alla  Pal- 
lade pacifica,  anzi  si  sostituisce  quasi  ad  essa,  e  finalmente, 
dopo  il  tempo  costantiniano,  si  stacca  dalla  simbolica  pa- 
gana, assumendo  gli  emblemi  cristiani.  Tutta  l'evoluzione 
completa  ci  mostra  adunque,  dirò  così,  la  grande  sintesi 
della  storia,  mentre  le  piccole  e  direi  quasi  accidentah  de- 
viazioni dal  tipo,  le  quali  noi  verremo  via  via  notando,  ci 
riportano  ai  parziaH  avvenimenti  di  cui  sono  immagine  fe- 
dele. Ma  tutte  queste  osservazioni  saranno  fatte  più  diste- 
samente a  loro  posto  :  intanto  è  necessario  di  fare  qualche 
osservazione  generale  sul  presente  lavoro.  E  primieramente 
quanto  alla  sua  utilità  non  è  necessario  spendere  molte  pa- 
role, essendo  fuor  di  dubbio  che  la  retta  intelligenza  della 
storia  di  un  popolo  e  del  suo  carattere  riceve  luce  grandis- 
sima dallo  studio  dei  monumenti  figurati.  Si  potrebbe  piut- 
tosto dubitare  se  convenga  far  un  tale  studio  sul  tipo  di 
Roma,  pensando  che  altri,  assai  più  valente,  ha  già  trattato 
lo  stesso  soggetto.  Ed  infatti  lo  stesso  pensiero  era  venuto 
anche  a  me,  quando,  già  fatta  una  parte  di  questo  lavoro, 
mi  capitò  r  indicazione  di  un  opuscolo  del  dotto  Federico 
Kenner  intitolato  appunto  Die  Roma-  Typen.  Ma  quando,  dopo 
molte  ricerche,  potei  averne  una  delle  ultime  copie,  essendo 
l'edizione  pressoché  esaurita,  dovetti  convincermi  che,  non 
ostante  la  dottrina  dell'autore  e  le  sue  acute  ed  erudite  os- 
servazioni, il  suo  lavoro  era  deficiente  per  difetto  di  mate- 
riali e  poteva  bensì  servir  di  guida  allo  studio  del  tipo  di 
Roma,  specialmente  per  ciò  che  riguarda  le  origini,  ma  era 


Evoliiiione  del  tipo  di  ^oma  6i 

ben  lontano  dall' esaurire  le  ricerche  che  possono  farsi  su 
quell'importante  argomento,  particolarmente  riguardo  al- 
l'evoluzione di  esso  tipo  durante  il  corso  della  storia  romana 
nel  tempo  della  repubbhca  e,  ciò  che  è  da  notarsi  assai 
più, nel  tempo  imperiale.  Il  Kenner,  alla  p.  4,  così  si  esprime: 
«  lo  studio  dei  monumenti  si  poggia  principalmente  sulla 
«  numismatica  »,  e  basta  questa  frase  per  essere  sicuri 
che  il  suo  lavoro  si  basa  unicamente  sulla  numismatica: 
io  credo  invece  che  si  debba  certamente  tener  conto  del 
materiale  monetario,  ma  primieramente  che  esso  non 
debba  essere  la  sola  fonte;  secondariamente  che  ciascuna 
classe  di  tipi  debba  essere  giudicata  tenendo  conto  del  luogo, 
della  circostanza  in  cui  fu  coniata  e  della  persona  che  aveva 
il  maneggio  della  pubblica  cosa  al  prodursi  di  ciascun  tipo. 
Che  non  debba  essere  la  sola  fonte  risulta  chiaro,  se  si  ri- 
fletta che  l'impressione  di  una  moneta  è  cosa  puramente 
ufliciale,  e  che  perciò  la  determinazione  di  un  tipo  non  di- 
pende unicamente  dal  sentimento  dell'artista,  ma  segue  ne- 
cessariamente, almeno  in  parte,  quello  che  correva  già  sulle 
monete  del  tempo  precedente.  All'opposto,  la  produzione 
artistica  è  spontanea,  senza  vincoli  di  sorta  e  rappresenta 
perciò  il  modo  di  sentire  dell'artista,  che  è,  specialmente 
nell'antichità,  interprete  di  quello  del  popolo.  Potremo  perciò 
essere  sicuri  che  i  cambiamenti  di  tipo  non  vanno  dalle 
monete  all'arte  figurata,  ma  da  questa  alla  numismatica,  e 
per  conseguenza,  seguendo  esse  la  trasformazione  e  non 
iniziandola,  non  potranno  mai  esser  preferite  ai  monumenti 
d'altra  specie.  Ho  detto  in  secondo  luogo  che  le  monete 
vanno  giudicate  tenendo  conto  delle  circostanze  di  tempo, 
di  luogo  e  di  persona:  e  qui  ritorna  lo  stesso  argomento, 
LMacchè  la  moneta,  essendo  cosa  ufficiale,  ci  darà  la  indica- 
zione di  un  fitto,  ma  non  l'apprezzamento  che  il  popolo 
portava  su  di  esso.  E  per  citare  un  esempio,  una  moneta 
di  Galba  ci  rappresenta  Roma  in  ginocchio  dinanzi  all'im- 
peratore stante  che  la  solleva  colla  destra  ;  ed  intorno  v'  è 


62  (3^.  Tarìsotti 


scritto:  ROMA  RESTIT  (i);  ora  qual  valore  possiamo  noi 
attribuire  a  questa  rappresentanza  se  pensiamo  che  il  popolo 
non  poteva  davvero  credere  che  Galba  fosse  il  restitutor 
Urbis  ?  Ecco  forse  la  cagione  che  ha  fatto  sì  che  nel  lavoro 
del  Kenner  la  parte  che  tratta  del  tempo  repubblicano  pro- 
ceda abbastanza  bene,  mentre  nella  parte  imperiale  si  è  tro- 
vato costretto  a  fare  grandi  classificazioni  della  immensa 
varietà  di  tipi  che  si  incontrano,  aggruppandoli  secondo  la 
somiglianza  loro  e  secondo  le  leggende;  sicché  si  perde 
intieramente  di  vista  lo  svolgimento  storico  e  razionale  della 
figura  di  Roma.  A  noi,  all'opposto,  che  vogliamo  seguitare 
questo  filo  e  conoscere  qual  fu  il  concetto  che  il  popolo 
romano  ebbe  di  sé  stesso,  dai  suoi  primordi  fino  alla  caduta 
dell'  impero,  concetto  che  forma  poi  l'addentellato  colle  idee 
medioevali  e  moderne,  «  a  noi  »  dico  «  convien  tenere  altro 
viaggio  ».  Noi  adunque  considereremo  tutte  le  manife- 
stazioni del  pensiero  artistico  e  reHgioso,  senza  per  questo 
trascurare  le  impronte  monetarie,  ma  giudicandole  per  quel 
che  esse  possono  valere  a  dare  un'  idea  del  sentimento 
popolare.  Avremo  riguardo,  cioè,  al  fatto  che  può  aver  ca- 
gionato una  data  impronta  monetaria,  il  quale  può  essere 
notevole  come  circostanza  storica  speciale,  senza  costituire 
perciò  da  sé  solo  nel  tipo  e  nell'  idea  di  Roma  quel  muta- 
mento che  é  invece  il  risultato  di  molti  avvenimenti  e  di 
molte  idee  nuove  che  entrano  in  circolazione,  le  quali  non 
possono  dar  luogo  ad  una  notevole  modificazione  se  non 
dopo  un  lungo  tratto  di  tempo.  Ma  non  per  tutto  il  corso 
della  storia  romana  potremo  aver  sott'occhio  altri  monu- 
menti oltre  alle  impronte  monetarie  ;  anzi,  per  tutto  il  tempo 
della  repubblica  e  per  alcuni  periodi  speciaH  durante  l' im- 
pero, non  abbiamo  che  quelle  ;  questa  mancanza  però  non 
porta  tanto  danno  allo  studio  quanto  potrebbe  a  prima  vista 
sembrare.  Infatti,  nei  primi  tempi   della  repubblica,   cioè 


(i)   Thes.  Morelianus,  Num.  imp.,  tav.  v,  12. 


Epolu^wne  del  tipo  di  ^^oma  6^ 

quando  si  stabilisce  dapprima  il  tipo  di  Roma,  non  v'era 
una  tradizione  o  consuetudine  artistica  né  altre  cause  le 
quali  impedissero  che  il  tipo,  qual  era  nella  mente  di  tutti, 
a  cagione  delle  comuni  leggende,  fosse  liberamente  e  fe- 
delmente effigiato  con  quella  ingenuità  propria  delle  civiltà 
nascenti. 

Nella  seconda  metà  della  repubblica  poi,  che  prepara  la 
crisi  per  cui  dalla  forma  libera  si  passò  a  quella  della  mo- 
narchia, il  tipo  si  mantiene  uguale,  come  uguali  alle  prece- 
denti restarono  tutte  le  forme  di  governo,  intanto  che  però 
si  maturava  il  rivolgimento  che  doveva  dar  luogo  alla  nuova 
Roma  ed  alla  nuova  costituzione. 

Nel  tempo  dell'impero  la  consuetudine  artistica  e  l'es- 
sersi perduta  la  fede  sincera  delle  antiche  leggende  contri- 
buirono a  rendere  convenzionali  o  false  le  impronte  mo- 
netarie, dando  loro  da  un  lato  un  carattere  fisso  ed  ufficiale 
per  cui  non  seguivano  più  la  tradizione  in  tutti  suoi  atteg- 
giamenti, e  dall'altro  aggiungendo  alla  figura  determinazioni 
svariate  che  erano  effetto  dell'adulazione  o  di  altre  cause 
estrinseche,  invece  di  corrispondere  al  sentimento  popolare. 

Ma  se  il  nostro  studio,  nella  parte  che  riguarda  l' impero, 
si  stacca  da  quello  del  già  citato  Kenner,  e  pel  metodo  e 
pei  materiali,  nella  prima  parte  non  ci  potremo  contentare 
di  citarlo  qua  e  là,  ma  dovremo  fare  una  breve  ed  esatta 
esposizione  delle  sue  idee  e  delle  sue  conclusioni  perchè  si 
possa  poi  più  pienamente  istituire  il  confronto  in  tutti  quei 
punti  dove  esse  sono  differenti  dalle  nostre. 

Il  Kenner  adunque  considera  in  primo  luogo  la  tendenza 
dei  Romani  alle  astrazioni  mitologiche,  ed  osserva  che  la  più 
alta  di  queste  astrazioni,  cioè  il  genius,  era  per  essi  la  di- 
vinità (i).  Il  tipo  di  Roma  perciò  si  sviluppò  sotto  l'azione 
di  due  leggi:  i°  il  genio  dello  Stato  che  rappresentava  l' idea 
astratta  di  esso;  2°  il  ìnomento  plastico,  come  egli  lo  chiama, 

(i)  Op.  cit.,  p.  4. 


64  C^-  "Pan'sotti 


che  dA  corpo  e  vita  a  questo  genio.  La  prima  idea  dello 
Stato,  tutta  appoggiata  alla  famiglia,  si  allarga  e  si  rafforza 
al  tempo  delle  guerre  sannitiche  e  delle  guerre  di  Pirro.  Le 
virtù  domestiche  dell'economia  e  della  unione  stretta  dei 
vari  membri  sotto  al  capo  di  famiglia,  divennero  le  virtù 
politiche  della  sapienza  di  Stato  e  della  forza  guerriera. 
Finalmente  lo  Stato  romano  si  fa  il  centro  dei  popoli  ita- 
lici, protettore  della  loro  nazionalità  contro  gli  stranieri  e 
stabilisce  la  sua  potenza  accentrata  strettamente  e  fortemente 
in  Roma  e  felice  e  rispettata  al  di  fuori.  A  questo  si  rilega, 
sempre  secondo  il  citato  autore,  lo  sviluppo  dei  vari  culti 
di  Fortuna,  Mens,  Concordia,  Salus,  Honor,  Virtus,  Vi- 
ctoria, ecc.,  nelle  quali  si  trova,  come  diviso  fra  tutti,  il 
genio  dello  Stato.  L'aver  Roma  riunito,  al  tempo  di  Pirro, 
insieme  ai  popoli  italici  anche  i  popoli  greci  fu  cagione  che 
ella  da  questi  prendesse  la  forma  colla  quale  rivesti  il  suo 
genio.  La  Pallade  Poliade  di  Atene  e  la  Corinzia,  dopo  le 
ultime  trasformazioni  subite  dall'arte  greca  al  tempo  ales- 
sandrino, poterono  ben  passare  ad  essere  protettrici  di  città 
e  servire  per  le  impronte  monetarie:  sicché  per  essere  il 
culto  di  Pallade  sparso  per  la  Grecia  e  per  le  colonie,  le  mo- 
nete delle  città  della  Magna  Grecia  ebbero  nel  diritto  la 
testa  di  Pallade  Poliade  o  sul  rovescio  la  figura  di  Pallade 
Corinzia.  A  questo  contribuì  anche  la  tradizione  di  UHsse 
rapitore  del  Palladio,  e  di  Enea  diffusa  generalmente  per 
ritaUa  e  i  racconti  di  Dionigi  di  Alicarnasso,  di  Servio,  di 
Pesto,  Qcc.  fecero  sì  che  la  testa  di  Pallade  Poliade  passasse 
anche  sulle  monete  romane  a  figurare  il  genio  della  città  (i). 
Questa  prima  effìgie  dei  diritti  delle  monete  non  è  però  da 
prendere  come  divinità,  ma  come  segno  della  città,  e  perciò, 

(i)  «  Die  Romasagen  beweisen  nun,  dass  diese  mythologische 
«  Form  einer  Stadtgottheit,  nàmlich  die  in  Athen  organisch  entwickelte 
«  und  als  Vorbild  von  Stadtgottheiten  weithin  verbreitete  Polias,  im 
«  Bereiche  griechischer  Auffassung  auch  auf  die  Roma  als  Genius 
«  der  Stadt  Rom,  ùbergegangen  sei  ».  Op.  cit.,  p.  io. 


Epoluiione  del  tipo  di  ^l{oma  6^ 

agli  occhi  del  Kenner,  essa  ha  un  significato  più  storico  che 
mitologico  ed  è  perciò  nulla  più  che  la  città  abitata  dai 
Romani.  Inoltre  le  teste  poste  sui  diritti  delle  monete  ri- 
masero più  o  meno  sempre  uguaH  ;  ma  i  rovesci,  che  por- 
tavano l'intera  figura,  presentano  molti  cambiamenti  ed  è 
su  questi  che  principalmente  bisogna  fermar  l'attenzione  (i). 
Fatte  poi  brevi  osservazioni  sulle  monete  barbariche  di 
Spagna  e  di  Gallia,  dice  che  esse  portano  il  medesimo  capo 
sul  diritto,  perchè  la  somiglianza  colle  monete  romane  dava 
credito  alle  loro  nei  lontani  confini.  Finalmente  osserva  che 
il  tempo  fra  Pirro  e  le  guerre  di  Sulla  è  della  massima  im- 
portanza per  la  rappresentanza  di  Roma  e  spiega  la  scom- 
parsa quasi  totale  dell'  immagine  di  Roma  dalle  monete  di 
quel  tempo  col  dire  che  l'idea  dello  Stato  era  rimasta  offu- 
scata dietro  la  confusione  e  l'agitazione  dei  partiti,  ma  era 
per  rinascere  con  nuove  forme  e  che  così  il  capo  di  Roma 
scomparì  dalle  monete  per  ritornare  più  tardi  come  divinità. 
Negli  ultimi  tempi  della  repubblica  le  conquiste  estese  ave- 
vano turbato  il  sentimento  di  nazionahtà  italica  degli  an- 
tichi tempi  :  una  monarchia  che  comprendesse  tutto  il  mondo 
conosciuto  era  lo  scopo  proprio  del  tempo,  e  questo  scopo, 
essendo  riuscito  ai  Romani  meglio  che  a  qualunque  altro 
popolo,  fece  sì  che  alla  perdita  della  nazionalità  si  opponesse 
in  qualche  modo  una  reazione  dello  spirito  romano  fondata 
sulla  forma.  Cosi  la  rappresentanza  di  Roma  sostituì  il  mondo 
delle  divinità  degli  altri  popoli.  Questo  stesso  movimento 
continuato  negli  ultimi  due  secoli  della  repubblica  fece 
cambiare  aspetto  alla  famiglia,  la  cui  importanza  fu  assai 
limitata,  e  fece  sparire  il  partito  nazionale.  La  trasformazione 
delle  città  italiche  e  la  plebe,  divenuta  vero  partito,  diedero 
origine  ad  una  nuova  divisione  (fella  società,  nella  quale  non 
ebbero  importanza  che  tre  classi  ;  senatori,  commercianti  e 
soldati.  All'amor  patrìo  si  sostituì  T  interesse  personale  e  per 

(0  Op.  cit.,  p.  15. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  fiUna.  \'ol.  XI.  5 


66      ■  Q/l.  Tansottt 


niun  altro  scopo  si  fecero  le  agitazioni  politiche  che  per 
salire  al  potere  ed  aver  in  mano  i  beni  dello  Stato.  Tutto 
ciò  doveva  produrre  naturalmente  una  certa  noncuranza 
della  costituzione,  e  perciò  far  entrare  nell'allegoria  il  mo- 
mento ufficiale  (i). 

Ma  in  mezzo  a  tutto  questo  rivolgimento  essendo  ri- 
masto lo  spirito  guerresco,  era  naturale  che  la  forma  più 
conveniente  della  quale  fu  rivestita  V  idea  allegorica  dello 
Stato  fosse  quella  di  un'eroina  contraddistinta  da  emblemi 
militari.  Tuttavia  anche  lo  spirito  guerresco  si  era  cambiato 
e  mentre  per  l' innanzi  era  una  conseguenza  dell'amor  patrio 
e  della  conservazione  della  propria  indipendenza,  divenne 
poi  la  guerra  un'arte,  la  vittoria  non  più  del  paese  ma  di 
un  partito  ed  un  obbligo  dei  soldati.  Di  qui  nacque  l' idea 
di  un  destino  che  assicurasse  a  Roma  continui  trionfi,  ed 
essendo  costante  la  fortuna  dei  Romani,  e  non  interrotta  la 
serie  delle  loro  vittorie,  la  dea  di  esse  divenne  un  attributo 
costante  dì  Roma:  finché  quando  lo  Stato  fu  riunito  nelle  mani 
di  un  solo,  la  Fortuna  fu  tutt'uno  col  suo  governo.  Da  ul- 
timo le  religioni  e  le  divinità  di  tutti  i  popoli  conquistati, 
trasportate  in  Roma  ed  in  certo  modo  riconosciute  ufficial- 
mente, mentre  perdettero  la  loro  nazionalità,  servirono  a 
stringere  sempre  più  i  popoli  stessi  al  dominio  romano.  Cosi 
queste  stesse  divinità  nelle  loro  rappresentanze  partecipa- 
vano, per  cosi  dire,  dell'autorità  dello  Stato,  ciò  che  atte- 
stava che  le  religioni  dei  vari  popoli  erano  anche  religioni 
ufficiali,  ma  attestava  ancora  che  essi  popoli  erano  allo  Stato 
soggetti,  e  da  questa  doppia  significazione  delle  allegoriche 
rappresentanze  delle  divinità  straniere  prese  le  mosse  Y al- 
legoria ufficiale  'dello  Stato  e  dell'imperatore  (2).  Tracciata 
cosi  a  grandi  linee  la  strada  percorsa  dall'allegoria,  torna  il 
Kenner  ad  esaminare  le  singole  specie  di  rappresentanze  per 


(i)  Op.  cit.,  p.  19. 
(2)  Op.  cit.,  p.  21. 


Evoliiiione  del  tipo  di  ^oma  6j 

dimostrare  come  esattamente  esse  corrispondano  alle  idee 
da  loro  simboleggiate.  E  primieramente  egli  considera  la 
figura  intera  di  Roma  quale  apparisce  sulle  monete  :  e  come 
ha  già  dimostrato  la  connessione  che  esiste  tra  il  capo  di 
Roma  delle  monete  consolari  e  quello  di  Pallade  Ippia  delle 
monete  greche,  cosi  opina  che  l'intera  figura  di  Roma  sia 
stata  presa  dalla  figura  di  Pallade  Ippia  che  con  vari  sim- 
boli s' incontra  sulle  monete  delle  città  rappresentata  come 
divinità  eroica.  Questa  appHcazione  è  resa  facile  dal  fatto 
che  la  testa  di  Pallade,  appunto  a  cagione  di  questa  sua  va- 
rietà di  simboli,  aveva  finito  per  perdere  il  suo  significato 
speciale  ed  assumere  quello  di  fondatrice  di  città.  Di  più  gli 
autori  nei  racconti  delle  fondazioni  delle  varie  città  confu- 
sero le  fondatrici  con  ninfe  ed  amazzoni,  le  quali  però  non 
erano  le  stesse  che  quelle  della  Cappadocia,  ma  riunivano 
in  sé  stesse  lo  spirito  guerresco  di  quelle  con  ciò  che  rima- 
neva ancora  dei  caratteri  della  Pallade  Poliade.  In  questo 
modo  anche  le  prime  figure  di  Roma  sono  prese  da  queste 
amazzoni  o  ninfe,  e  ciò  con  tanta  maggiore  convenienza 
considerando  il  carattere  guerresco  della  città  e  della  sup- 
posta fondatrice^ che  segui  nella  figura  il  tipo  della  amaz- 
zone di  Fidia  o  di  Sosicle. 

Considerate  così  le  cose,  il  Kenner  divide  le  monete 
della  repubblica  in  due  gruppi:  alcune  non  mostrano  che 
una  rappresentanza  della  città;  altre  si  rilegano  a  memorie 
storiche.  In  quelle  del  primo  gruppo  è  Roma  considerata 
come  divinità  locale  protettrice  della  città  e  come  tale  effi- 
-giata,  cioè  sedente  con  armi,  con  corto  abito,  e  colla  mam- 
mella destra  o  sinistra  scoperta.  In  quelle  del  secondo  gruppo 
ci  si  mostrano  invece  diversi  avvenimenti,  poiché  secondo 
i  casi  Roma  apparisce  come  guerresca,  o  come  vittoriosa, 
o  come  pacifica,  qcc.  Da  ultimo  lo  stesso  autore  osserva 
che  la  figura  di  Roma,  anche  nel  suo  massimo  sviluppo, 
non  ebbe  mai  \;ilore  di  divinità.  La  sua  superiorità  come 
Stato  e  come  cultura  non  era  ancora  generalmente  sentita 


^8  qA.  Tarisotti 


e,  poggiando  su  ciò  la  divinità  di  Roma,  ne  derivò  che  essa 
fu  solò  potenza  materiale  e  superiorità  di  forza  alla  quale  i 
popoli  necessariamente  sottostavano  :  e  perciò  fu  una  divi- 
nità meramente  terrestre  e  senza  alcuna  idealità. 

Bastano  queste  poche  parole  sul  modo  che  il  Kenner 
ha  tenuto  nel  corso  di  questa  trattazione,  per  intendere  su- 
bito che  egli  prima  delinea,  per  così  dire,  una' storia  ideale 
e  razionale  delle  modificazioni  che  l'allegoria  subì  necessa- 
riamente secondo  le  diverse  condizioni  dello  Stato  romano 
e  poi  procura  di  mettere  d'accordo  le  conclusioni  tratte  dalla 
teoria  coi  tipi  che  si  incontrano  sulle  varie  monete. 

Certamente  le  idee  fondamentali  circa  il  primo  sviluppo 
dell'allegoria  presso  i  Romani  e  del  significato  tutto  patrio 
che  avevano  le  prime  divinità  latine  di  Mens,  Concordia, 
Honor,  Virtus,  qcc.  non  si  possono  mettere  in  dubbio  : 
ma  non  è  cosi  di  tutto  il  resto.  Abbiamo  veduto  come 
il  Kenner  dica,  che  la  forma  onde  fu  rivestita  la  prima  idea 
allegorica  di  Roma  fu  data  dal  contatto  coi  popoli  greci  (i). 
Ora  questa  giusta  osservazione  è  da  lui  connessa  colle  altre 
sulle  trasformazioni  del  tipo  greco  di  Pallade  Poliade  ed 
il  passaggio  che  ella  fa  a  significare  una  divinità  protet- 
trice di  città  :  e  similmente  egli  conclude  col  dire  che,  in 
forza  di  questa  mutazione,  la  testa  di  Pallade  passò  a  rap- 
presentare Roma  sulle  prime  monete  della  repubblica,  cioè 
che  quella  testa  fu  l'espressione  figurata  del  genius  dell'al- 
legoria astratta. 

La  verità  di  questa  conclusione  ci  sembra  assai  discu- 
tibile, a  cagione  della  incertezza  del  significato  che  si  deve 
attribuire  alla  testa  colla  galea  alata,  che  forma  il  distintivo 
del  diritto  delle  monete  romane  dei  primi  secoli  e  di  molte 
altre  monete  italiche.  Non  dissimuleremo  la  gravità  della 
questione  nella  quale  ci  è  d'uopo  entrare  in  questo  mo- 


(i)  Op.  cit.,  p.  7. 


Evoliiiione  del  tipo  di  ^J{oina  6^ 

mento:  Olivieri  (i),  Eckhel  (2),  Aldini  (3),  Mommsen  (4), 
Cavedoni  (5),  Klùgmann  (^6),  Friedlander  (7),  Zoega  (8) 
la  esaminarono  già  con  risultati  differenti,  e  sarebbe  te- 
merità il  pretendere  di  definirla;  noi  non  aspiriamo  a  tanto: 
solo  chiediamo  che  ci  sia  permesso  di  esprimere  una  no- 
stra opinione,  la  quale,  concordando  in  parte  con  alcune 
delle  già  espresse,  ne  differisce  solo  perchè  tende  a  togHere 
alla  suddetta  testa  quel  significato  preciso  e  sicuro  che 
gli  archeologi  delle  due  parti  le  hanno  voluto  dare.  Rias- 
sumiamo qui  in  poche  parole  la  questione  secondo  che 
dice  FAldini.  Dal  tempo  dell'Orsino,  che  aveva  detto:  «  Ar- 
<(  genti  notae  antiquiores  fuerunt  Romae  galeatae  imago  ex 
«  una  parte  et  Castorum  signa  equitantium  ex  altera  »,  tutti 
gli  archeologi,  sicuri  su  questa  autorità,  avevano  attribuito 
alla  dea  Roma,  ossia  al  genio  della  città,  la  testa  muUebre 
armata  di  galea  alata  ed  adorna  il  collo  di  monili.  Anni- 
bale degli  Abati  Olivieri,  trovando  questa  medesima  testa 
sopra  una  moneta  sannitica  del  tempo  della  guerra  sociale, 
dubitò  che  potesse  simboleggiare  Roma,  ma  non  trasse 
nessuna  conclusione. 

L' Eckhel  (9),  poi,  riprendendo  gli  argomenti  dell'Oli- 
vieri ed  aggiungendone  altri,  dichiarò  invece  che  l'effigie 
della  moneta  sannitica,  come  anche  quelle  romane,  rap- 
presentavano Pallade  vincitrice.  Questa  interpretazione, 
accettata   dal   Mionnet  (io),  dal  Sestini  (n),  dallo  Zan- 

(i)  Saggi  accademici  di  Cortona,  IV,  133. 

(2)  Doctr.  num.  vet.,  V,  84. 

(3)  Sul  tipo  prim.  delle  moti,  della  rep.  rom.,  p.  201  e  sgg. 

(4)  Gesch.,  d.  rom.  Mun^wesen,  p.  287. 

(5)  Num.  Fmnc,  p.  26. 

(6)  Vefigie  di  Roma  sui  tipi  monetali  più  antichi,  p.  46  e  sgg. 

(7)  Uebersicht,  p.  185. 

(8)  Bassorilievi,  I,  143,  n.  $. 

(9)  Op.  cit.,  proleg. 
(io)  Catalogo  univ. 

(11)  Catalogo  del  museo  Fontana. 


70  C^.  Varisotti 


noni  (i),  dal  D'Ailly  (2)  e  dal  Cohen  (3),  lasciò  sospesi  tut- 
tavia lo  Schiassi  (4),  il  Cavedoni  (5)  e  il  Borghesi  (^),  che 
abbandonarono  l'antica  denominazione  di  testa  di  Roma  ga- 
leata,  sostituendo  ad  essa  quella  di  «  solita  testa  con  galea 
alata  »,  invece  di  quella  eckheliana  di  caput  Palladis  ga- 
leatum.  Erano  a  questo  punto  le  cose,  quando  l'Aldini  (7), 
opponendosi  all'Olivieri  ed  all'  Eckhel,  credè  con  argomenti 
riconosciuti  poco  convincenti  anche  dal  Kenner,  suo  stesso 
fautore  (8),  poter  dimostrare  che  quella  tanto  disputata 
testa  fosse  invece  di  Roma.  Il  Kenner,  in  una  lunga  e  dotta 
nota  (9),  torna  a  rivangare  la  questione,  stabilendo  che, 
sebbene  il  capo  galeato  simboleggi  Roma,  fu  in  origine 
Pallade  Poliade.  Inflitti,  se  per  ispiegare  il  citato  tipo  san- 
nitico  l'Aldini  potè  dire  che  era  naturale  il  capo  di  Roma 
su  quella  moneta,  perchè  i  Sanniti  lottavano  solo  con  un 
partito,  che  negava  loro  la  cittadinanza  (io),  non  si  potrebbe 
ripetere  altrettanto,  né  si  potrebbe  trovare  un  qualunque 
appiglio  per  le  monete  greche  diTurio  (i  i),  Metaponto  (12), 
Velia  (13),  Camarina  (14)  ed  anche  di  altre  città  (15),  che 
hanno  lo  stesso  capo  di  Pallade  Poliade,  a  cui  è  stata  ag- 

(i)  Notii.  dei  den.  trovati  a  Fiesole. 

(2)  Rech.  sur  la  mon.  rom. 

(3)  Descript,  gen. 

(4)  Ritrov.  di  med.  cons. 

(5)  Ragguaglio. 

(6)  Osserv.  num. 

(7)  Op.  cit ,  p.  5  e  sgg. 

(8)  Op.  cit.,  p.  II,  n.  3:  «Aldini  dessen  Beweìsgrunde  dafùr 
«  dass  dieser  der  Kopf  der  Roma  sei  eben  nicht  sehr  einleuchtend  und 
«  uberzeugend  sind  ». 

(9)  Op.  cit.,  p.  II,  n.  3. 
(io)  Op.  cit.,  p.  7. 

(11)  V.  Carelli,  Num.  It.  vet.,  tav.  clxvii,  27. 

(12)  Ivi,  tav.  cLvi,  136. 

(13)  Ivi,  tav.  cxxxix,  43-45. 

(14)  PooLE,  Catalogue  of  greek  coins,  p.  40. 

(i-j)  Il  Kenner  cita  anche  le  città  di  Eraclea  Brutti!  e  Siracusa. 


Evoluzione  del  tipo  di  ^oma  71 

giunta  l'ala  sull'elmo,  cosa  che  ha  fatto  subito  pensare  che 
sopra  quei  tipi  si  modellassero  gli  artisti  che  coniavano  in 
Roma  (i).  Inoltre,  lo  stesso  autore  dell'opuscolo  Die  Roma- 
Typen  crede  ragionevolmente  che  l'aggiunta  delle  ali  sul- 
l'elmo sia  in  relazione  coU'arte  etrusca,  già  per  tanti  rap- 
porti corrispondente  allo  stile  corinzio,  e  nella  quale  le 
ali  erano  segno  di  protezione  divina.  Quanto  agli  altri  or- 
namenti osserva  che  la  Poliade  eginetica  e  quella  di  Fidia, 
come  anche  quella  delle  monete  italiche,  essendo  conside- 
rata come  dea  protettrice  di  città,  aveva  naturalmente  tutti 
quegli  ornamenti  dei  quali  i  popoli  che  la  toglievano  a 
loro  patrona  erano  vaghissimi,  come  moniU,  collane  e  si- 
mili (2).  Gli  unici  cambiamenti  essenziali,  evidentemente 
fatti  a  bella  pòsta,  per  dare  al  tipo  di  Pallade  il  significato 
di  divinità  tutelare  (3)  invece  di  quello  di  divinità  olim- 
pica, sono  lo  sguardo  audace  e  bellicoso  dell'effigie  delle 
monete,  invece  che  dimesso  e  tranquillo  di  Minerva,  e  la 
bocca  larga  e  dura  in  cambio  di  quella  sottile  e  sorridente 
di  questa:  mentre  la  vera  Pallade  rivien  fuori,  anche  sulle 
monete  romane,  coli' egida  e  senza  ali  sull'elmo.  Tutto 
questo  è  assai  ragionevole,  ma  dimostra  solo  che  il  capo 
di  Minerva  sulle  monete  greche  aveva  assunto  questo  si- 
gnificato di  dea  tutelare  della  città:  ma  i  Romani,  che  non 
avevano  assistito  alla  trasformazione  di  quel  tipo,  potevano 
intenderlo  allo  stesso  modo  ?  Dove  sono  le  prove  per  di- 
mostrare che  sulle  monete  romane  esso  passò  a  significare 
Roma  ?  O  piuttosto,  considerando  che  mai  la  figura  di 
Roma  ebbe  elmo  alato,  e  fino  a  tempi  assai  tardi  non  ebbe 
ornato  di  sorta,  non  siamo  piuttosto  persuasi  che  quella 
impronta  delle  monete  greche,  trasportata  in  Roma  dovette 
restare,  per  dir  cosi,  estranea  al  sentimento  del  popolo  ro- 

(i)  MoMMSEN,  Gesch.  der  ròm.  Mun^w.,  IV.  Abschnitt,  p.  294. 

(2)  Kenner,  loc.  cit. 

(3)  Ivi. 


72  G^.  ^arisotti 


mano  ?  Alla  prima  di  queste  osservazioni,  accennata  già 
dall'Olivieri,  risponde  l'Aldini  (i)  domandando  «  dove  si 
«  abbiano  altri  monumenti  di  scultura  romani  del  quinto 
«  secolo,  allorquando  fu  immaginato  quel  primo  tipo  sic- 
«  come  proprio  e  generale  alla  moneta  di  argento  per  la 
«prima  volta  fabbricata  nella  romana  repubblica  ».  Ma  c'è 
bisogno  forse  di  ricorrere  alla  scultura  ?  Non  vediamo  su- 
bito appresso  alle  prime  emissioni  di  quadrigati  e  bigati 
venir  fuori  la  figura  intera  di  Roma  colla  galea  senza  ali 
e  senza  ornamenti  al  collo?  La  testa  del  diritto  non  ha 
dunque  nulla  che  fare  con  quella  della  figura  del  rovescio. 
Ed  è  anche  naturale  che  il  capo  colla  galea  alata  venisse 
ad  ornare  le  monete  di  Roma,  poiché  gli  artisti  greci  che 
le  coniarono  seguirono  il  modello  che  avevano  sott'occhio, 
cioè  quelle  che  essi  stessi  usavano  :  ma  il  popolo  che  ri- 
ceveva e  si  serviva  di  queste  monete,  doveva  dare  a  quella 
testa  solo  il  significato  di  un  puro  simbolo  monetario.  Si 
potrebbe  anzi  a  questo  proposito  congetturare  che,  come  le 
città  della  Spagna  (2)  e  di  altre  provincie  assunsero  più 
tardi  questo  tipo,  perchè,  corrispondendo  a  quello  usato 
in  Roma,  dava  credito  alle  loro  monete  (3),  così  Roma 
abbia  preso  ella  medesima  alla  sua  volta  la  testa  della  Pal- 
lade  Poliade  delle  città  greche  perchè  il  denario  della  na- 
scente repubblica  acquistasse  quella  sicurezza  e  quel  cre- 
dito che  aveva  quello  dei  fiorenti  empori  commerciali  della 
Magna  Grecia.  È  anzi  da  osservare  che  le  monete  di  ar- 
gento furono  per  la  prima  volta  coniate  in  Roma  nel  48^ 
d.  R.  (4),  cioè  dopo  la  presa  di  Taranto,  quando  la  repuh* 

(i)  Op.  cit.,  p.  6. 

(2)  Valentia,  Carmo  e  Sagunto.  V.  Mommsen,  R.  G.,  I,  495,  II,  280; 
Florez,  Medallas  de  las  colonias  de.  Espana,  tav.  lxv,  15,  lxviii,  5-8; 
MioNNET,  Descript,  des  mon.  atti.,  I,  nn.  55,  8,  i,  io;  Ackermann, 
Ancient  coins  Hispania,  p.  113. 

(3)  Secondo  che  osserva  il  Kenner,  op.  cit.,  p.  16. 

(4)  Liv.  Epit.  XV;  Plin.,  Hist.  nat.,  XXXIII,  3,  44;  Mommsen, 
Gesch.  der  ròm.  Mun:(w.,  IV,  4,  p.  300. 


Epoluiione  del  tipo  di  T{oma  73 

blica  romana  era  in  pieno  possesso  delle  città  della  Magna 
Grecia,  ed  anche  per  questo  riguardo  era  naturale  che  da 
loro  prendesse  il  suo  tipo  monetario.  Né  vale  dire  che  quelle 
città  fossero  allora  in  decadenza,  perchè  cosi  non  era  di 
tutte:  Taranto,  per  esempio,  era  ancora  abbastanza  pro- 
spera, ed  anche  qualche  sua  moneta  ha  per  impronta  la 
testa  coir  elmo  alato  (i),  e  se  questa  è  non  tanto  comune, 
ciò  non  può  far  difficoltà,  dovendosi  supporre  che  i  Romani 
scegliessero  un  tipo  che  non  fosse  speciale  di  questa  o 
quella  città,  ma  comune  a  quasi  tutte,  come  quello  della 
Pallade  Poliade  coli'  elmo  alato.  Inoltre  le  varie  monete 
greche  che  nel  diritto  avevano  cosi  una  rappresentanza  co- 
mune, si  distinsero  Funa  dall'altra  pel  rovescio,  sul  quale 
si  riunirono  i  significati  allegorici  e  gli  emblemi  caratte- 
ristici di  ciascuna  città.  Mi  sembra  adunque  che  nella  ri- 
soluzione della  questione  della  così  detta  testa  di  Roma 
sia  di  grande  importanza  il  tener  conto  dei  rovesci,  la  qual 
cosa  non  credo  che  sia  stata  notata  da  altri. 

Ed  invero  la  relazione  intima  che  corre  tra  il  diritto  ed 
il  rovescio  di  una  moneta  non  si  può  negare  :  cosi  quando 
una  nota  caratteristica  od  una  leggenda  non  entra  più  da 
un  lato,  si  trasporta  sull'altro,  come  avvenne  allo  stesso 
nome  ROMA,  che  dovette  abbandonare  il  suo  vero  posto 
nel  rovescio  e  fu  scritto  spesso  sul  diritto  sotto  una  testa 
di  Giano  o  di  ApoUine.  Ora,  posta  una  tal  relazione,  chi 
non  vede  come  il  vero  emblema  allegorico  di  una  moneta 
romana,  per  es.  dell'  aes  grave,  sia  riposto  nella  prora  di 
nave  e  non  nella  insignificante  testa  del  diritto  ?  Sul  ro- 
vescio si  scrissero  i  nomi  delle  città  e  si  incisero  tutti  i 
simboli  relativi  alla  loro  posizione  geografica,  al  loro  com- 
mercio, alla  loro  ricchezza  e  cosi  via,  mentre  il  diritto  restò 
in  genere  occupato  dalla  testa  delle  divinità.  Cosi,  nelle  mo- 
nete greche,  il  delfino,  il  fascio  di  spiche,  l'eroe    TAPAi] 

(i)  Carelli,  op.  cit.,  tav.  cxvi,  249. 


74 


Gf.  Tarìsotti 


non  sono  essi  segni  assai  più  espressivi  di  una  testa  di 
Giove  o  di  Paliade  ?  Lo  stesso  fatto  si  ripetè  ancora  sulle 
monete  romane  imperiali,  il  cui  diritto  fu  intieramente  oc- 
cupato dalla  testa  dell'imperatore,  mentre  sull'altro  lato 
furono  effigiati  gli  avvenimenti  principali  del  tempo  :  e  con- 
giarì  ed  edificazioni  di  templi  e  spedizioni  militari  e  am- 
bascerie e  giuochi  nel  circo  formano,  colle  loro  figure, 
importantissime  pagine  di  storia.  Se  una  moneta  adunque 
di  Turio  o  di  Metaponto  ci  offire  sul  diritto  quella  me- 
desima testa  che  troviamo  sopra  un  denario  romano,  po- 
tremo noi  dare  ad  essa  un  significato  in  qualunque  modo 
simbolico  ?  Certamente  no  :  Turio,  Taranto,  Metaponto, 
Camarina  e  le  altre,  quantunque  si  distinguano  realmente 
pei  rovesci,  essendo  tutte  città  greche,  mantengono  tut- 
tavia un  legame  comune  nella  testa  di  Paliade  Poliade  o 
di  una  qualunque  divinità  loro  comune  protettrice,  che 
risalga  in  certo  modo  a  quella:  mentre  per  Roma  non  si 
può  dire  altrettanto,  si  perchè  i  Romani  sentivano  poca  o 
ninna  relazione  con  Paliade,  e  si  perchè  la  vera  personi- 
ficazione della  città  ed  il  vero  genio  di  Roma  si  svilup- 
pano poi  in  modo  assai  differente  e  meglio  rispondente  al 
loro  sentimento  nazionale.  E  neppur  si  può  dire,  come  il 
Kenner,  che  quella  testa  indichi  la  città  abitata  dai  Ro- 
mani (i),  perchè  nessun  simbolo  topografico  indica  che 
essa  sia  Roma  piuttosto  che  un'altra  città  e  perchè  ad  una 
originaria  immagine  di  divinità  accennano  chiaramente  le 
ali  sull'elmo  ed  il  fiero  carattere  della  testa  stessa.  Dunque 
dovremo  dire  che  essa,  trasportata  sulle  monete  romane,  se 
non  ha  ripreso  l'antico  significato  di  Paliade,  non  abbia 

(i)  «  Mochte  Roma  immerhin  den  Helm,  das  Haar,  den  Schmuck' 
«  der  Pallas  haben,  sie  war  deshalb  doch  nicht  mehr  in  der  Auffas- 
«  sung  der  Ròmer,  als  die  Stadt,  in  der  sie  wohnten,  oder  hòchstens 
«  noch  die  Stadt  Rom  gegenùber  von  Italien  ».  Op.  cit.,  p.  14.  Non  so 
come  tragga  questa  conclusione  mentre  questa  testa  non  ha  nulla  di 
nazionale,  ed  è  ripetuta  anche  sulle  monete  di  altre  città  d' Italia. 


Epolu\ione  del  tipo  di  T{oma  75 

avuto  alcun  significato  inteso  verarfiente  dal  popolo,  ma 
sia  stato  invece,  ripetiamolo  ancora,  un  puro  simbolo  mo- 
netario messo  là  come  conseguenza  di  una  lunga  tradizione 
esclusivamente  artistica  (i). 

Ma  ciò  che  ha  tratto  in  errore  gli  archeologi  si  è,  a 
parer  mio,  Tessersi  sviluppata  poi  la  personificazione  di 
Roma  colla  galea  in  capo;  circostanza  che  ha  fatto  loro 
rilegare  due  figure  affatto  differenti;  cioè,  Tuna  con  elmo 
alato  in  capo  e  con  cimiero  ed  intorno  al  collo  monili  ed 
altri  ornamenti,  cose  tutte  che  accennano  ad  un  vestiario 
dell'intera  persona  corrispondente  alla  ricca  acconciatura 
del  capo;  l'altra  invece  che  ha  qualche  volta  il  capo  sco- 
perto, ovvero  coperto  con  un  berretto  firigio  o  con  un  sem- 
plicissimo elmo  basso  e  senza  cimiero  e  vestita  poi  in  modo 
rozzamente  guerriero.  Per  lo  contrario  le  altre  cittcì  che 
nelle  loro  rare  personificazioni  non  ebbero  figura  guerriera 
non  fecero  venire  in  mente  ad  alcuno  che  potessero  avere 
qualsiasi  relazione  col  capo  di  Pallade  Poliade.  Finalmente, 
anche  lo  stesso  Kenner  osserva  (2)  che  le  teste  dei  diritti 
restarono  sempre  uguali  e  che  è  sulle  intere  figure  del  ro- 
vescio che  bisogna  fermar  l'attenzione  per  lo  studio  dei 
cambiamenti  del  tipo  di  Roma  che  seguono  quelli  dell'alle- 
goria e  dell'  ideale  politico  del  popolo,  ed  io  aggiungo  che 
questo  fatto  ci  dimostra  ancora  una  voha  che  la  testa  dei 
diritti  delle  monete  non  rappresenta  Roma,  tanto  più  che 
col  progredire  dello  Stato  romano  quell'antico  capo  termina 
per  iscomparire  dalle  sue  monete.  Dopo  di  che,  flicendo 
tesoro  dell'osservazione  dell'autore  tedesco,  entreremo  senza 


(i)  Non  istaremo  qui  a  ripetere  gli  eccellenti  argomenti  addotti 
dal  Klùgmann  per  dimostrare  che  la  testa  coll'elmo  alato  non  può 
avere  la  significazione  di  Roma;  ci  limiteremo  perciò  a  rimandare 
alla  p.  46  e  sgg.  del  suo  lavoro  già  citato,  dove  egli  esamina  la  que- 
stione con  sicurezza  e  precisione  straordinaria. 

(2)  Op.  cit.,  p.  15. 


7^  QA.  Tan'sotti 


più  a  parlare  dello  sviluppo  della  figura  intera  di  Roma, 
delle  sue  caratteristiche  e  della  sua  origine. 


§  2.  —  Origine  del  tipo 
e  suo  svolgimento  sopra  i  denari  repubblicani. 

Un  fatto  abbastanza  strano  si.  è  quello  di  trovare  dap- 
prima personificata  Roma  nelle  città  greche  dell'  ItaUa  e 
dell'Asia  Minore  (i),  tra  le  quali  Smirne  le  aveva  già 
dal  559  di  R.  innalzato  un  tempio  (2).  La  cagione  di 
questo  fatto  mi  sembra  si  possa  giustamente  attribuire,  se- 
condo che  osserva  anche  il  Preller  (3),  all'avere  le  città 
greche  dell'Asia  Minore  volto  lo  sguardo  a  Roma  per  averne 
appoggio,  seguendo  l'esempio  di  Rodi  e  dei  re  di  Pergamo; 
tanto  più  che  il  secondo  tempio  alzato  in  onore  di  Roma 
da  un'altra  città  greca,  Alabanda,  fu  in  seguito  ad  un'am- 
basceria spedita  a  Roma  per  la  guerra  che  alcune  città  ave- 
vano intrapreso  contro  Perseo.  Quanto  alla  dedicazione  di 
questi  templi,  siccome  il  culto  di  Roma  ebbe  poi  uno  svi- 
luppo sino  ai  tempi  tardi,  ne  faremo  oggetto  di  un  capitolo 
speciale.  Per  ora,  accontentandoci  di  questo  cenno  che  è 
in  relazione  colla  figura  di  una  moneta  dei  Locri  epizefiri 
che  esamineremo  più  tardi,  vediamo  qual  fosse  e  donde 
fosse  presa  la  figura  di  Roma.  È  noto  che  essa  fu  dapprima 
personificata  sotto  le  sembianze  di  una  donna  con  corta  tu- 
nica succinta  che  lasciava  scoperta  una  mammella,  ordina- 
riamente la  destra,  con  una  piccola  e  sempHce  galea  in  capo, 
parazonio  al  fianco  ed  asta  in  mano.  Generalmente  seduta, 
Roma  aveva  aspetto  tranquillo,  benché,  come  si  è  potuto 


(i)  Sestimi,  Dòscrii-   d'alcuno  tned.   del  prìnc.   di  Dan.,   p.  XIX, 
tav.  II,  8. 

(2)  Tacito,  Ann.^  IV,  56. 

(3)  Ròm.Myth.,  I,  353  e  sgg. 


Evoluitone  del  tipo  di  ^oma  jj 

vedere,  si  le  sue  vesti  che  il  suo  trono,  spesso  formato  da 
un  mucchio  di  armi,  la  indichino  eminentemente  guerriera. 
Due  sono  i  tipi  dai  quali  si  vorrebbe  far  derivare  questa 
primitiva  figura  di  Roma:  l'uno,  secondo  il  Kenner  (i), 
dalla  amazzone  di  Fidia;  l'altra,  secondo  il  Cavedoni  (2), 
dalle  figure  rappresentanti  TEtolia,  impresse  sulle  monete 
di  quella  regione  al  tempo  delle  ultime  sue  lotte  per  l' in- 
dipendenza. Esaminiamo  ambedue  queste  opinioni. 

Il  Kenner  crede  che  la  figura  di  Pallade  Ippia,  perduto 
ogni  significato  speciale  tranne  quello  di  fondatrice  e  pro- 
tettrice di  città,  fosse  confusa  con  quella  delle  ninfe  od 
amazzoni,  le  quali,  anche  secondo  la  leggenda,  erano  fon- 
datrici di  città,  e. che  alla  rappresentanza  di  questo  concetto 
abbia  servito  di  tipo  l'amazzone  di  Fidia,  dalla  quale  derivò 
cosi  anche  la  figura  di  Roma.  Ora  io  non  so  quale  ana- 
logia possa  avere  la  Pallade  con  una  eroina  essenzialmente 
umana  e  come  la  figura  della  dea  olimpica  possa  passare 
poi  in  quella  di  un'amazzone,  e  per  quanto  sia  maggiore 
la  relazione  che  corre  tra  questa  e  la  figura  di  Roma  di 
quella  che  corre  tra  Pallade  e  la  stessa  figura  di  Roma,  non 
credo  tuttavia  che  a  rigore  si  possa  dire  che  questa  sia  de- 
rivata dall'amazzone  di  Fidia.  Infatti  l'amazzone  fidiaca  (3) 
ovvero  quella  creduta  un'  imitazione  dell'altra  di  Poli- 
cleto  (4)  hanno  veramente  una  corta  tunica  che  non  giunge 
a  coprire  le  ginocchia  e  nuda  la  mammella  destra,  ma,  se 
bene  guardiamo,  differenti  tutte  le  altre  parti  del  vestiario. 
L'elmo  è  più  stretto  al  capo  che  non  quello  di  Roma,  e, 
mentre  questa  ha  calzari  assai  alti,  le  amazzoni  non  hanno 
che  una  piccola  cinghia  che  involge  il  tallone  sinistro  per 
adattarvi  lo  sprone  :  nelle  armi  poi  nessuna  rassomiglianza  : 
non  scudo  rotondo  come  Roma,  ma  pelta,  non  asta  e  para- 

(i)  Op.  cit.,  p.  22. 

(2)  Ka^^.,  p.  157  ;  Spicihg.,  p.  74. 

(3)  WiESELER,  Alias  in  K.  O.  MùlUr  Handb.  Taf.  xxxi,  tomo  I. 

(4)  PlRANESi,  Race,  di  statue,  n.  3. 


yS  «M.  Tarisoitt 


zonio  ma  scure:  la  figura  poi  è  sempre  in  movimento  conci- 
tato mentre  Roma  è  sempre  in  riposo.  Tutte  queste  parti- 
colarità dell'azione  e  delle  armi  sono,  è  vero,  accessori,  ma 
tali  da  cambiare  interamente  il  carattere  di  una  figura.  Ed 
infatti,  se  si  faccia  astrazione  da  tali  accessori,  che  cosa  resta 
di  comune  nelle  due  figure  ?  La  sola  tunica  corta  e  la  mam- 
mella scoperta.  Ma  questa  coincidenza  dei  tipi  non  basta 
per  concludere  che  necessariamente  Funo  è  derivato  dal- 
l'altro. Senza  bisogno  di  ricorrere  ad  alcun  tipo  anteriore, 
gH  operai,  gli  schiavi,  i  marinai  non  erano  tutti  vestiti  della 
tunica  è^wfJit?  ?  Vulcano  stesso  e  qualche  volta  Ercole  non 
hanno  il  petto  scoperto  dalla  parte  destra  ?  E  qual'  altra  po- 
trebbe essere  la  cagione  di  ciò  se  non  che  gli  operai  e  gli 
eroi  e  cosi  anche  le  eroine,  avendo  continuo  bisogno  di 
agire  liberamente  colla  destra,  lasciavano  da  quel  lato  di  ap- 
puntare la  tunica  sulla  spalla  ?  Né  alcuna  difficoltà  può  fare 
che  anche  le  donne  usassero  di  un  tal  mezzo  per  rendere 
spediti  i  loro  movimenti,  giacché  quelle  che  cosi  si  rappre- 
sentano sono  eroine,  cioè  donne  di  sentimenti  assai  virili. 
Una  tal  foggia  di  vestire  è  dunque  necessario  attributo  di 
chi  s' immagina  come  attivo  e  guerriero,  ed  appunto  come 
tale  é  immaginata  Roma  che,  lungi  dall' aver  carattere  di- 
vino, è  invece  essenzialmente  eroica.  Anzi  mi  parrebbe  assai 
coerente  ai  racconti  che  ci  fanno  gli  antichi  di  una  Roma 
figlia  di  Telemaco  o  figUa  di  Ulisse  o  moglie  di  Enea  o  di 
Ascanio,  immaginata  come  una  matrona  guerriera  che  ha 
col  suo  braccio  aiutato  lo  stabihrsi  dei  profughi  Troiani  sul 
suolo  latino,  ha,  in  una  parola,  veramente  combattuto,  e  dopo 
le  vittorie  si  è  tranquillamente  assisa  sulle  spogHe  de' vin- 
citori (i).  Si  potrebbe  però  opporre  che  anche  Minerva, 
benché  abbia  carattere  essenzialmente  guerriero,  non  ha 
mai  né  il  petto  nudo  né  la  tunica  corta  e  che  perciò  queste 


(i)  Per  altre  leggende  relative  al  nome  di  Roma  ed  alla  vita  del- 
l'eroina, V.  Atto  Vannucci,  St.  dell' It.  ani,  I,  567  e  sg.,  nota  h. 


Epohipone  del  tipo  di  '^{oma  79 

non  sieno  caratteristiche  necessarie  di  una  figura  guerriera. 
Ma  quest'unica  figura  di  Minerva  non  segue  il  tipo  generale 
per  molte  e  potentissime  ragioni.  E  primieramente  quanta 
distanza  tra  Minerva  e  Roma  !  La  distinzione  che  si  è  fatta 
di  dèi  e  semidei  non  risponde  forse  a  qualche  cosa  di  vero 
neir  intima  natura  della  mitologia  greca  ?  Non  faremo  dun- 
que alcuna  differenza  tra  una  delle  più  potenti  divinità  olim- 
piche, figlia  dello  stesso  Giove,  ed  una  eroina  tutta  terre- 
stre, figha  di  un  mortale  e  che  pure  in  istretta  relazione 
cogli  dèi  acquistò  l'immortalità  coli' opera  del  suo  braccio? 
Minerva  inoltre  è  vergine,  e  come  tale  le  sue  vesti,  il  suo 
portamento  debbono  essere  essenzialmente  modesti.  Se  poi 
queste  considerazioni  sul  concetto  di  Pallade  non  dessero 
abbastanza  ragione  della  differenza  della  sua  figura  da  quella 
di  Roma,  altre  considerazioni  di  fatto  non  saranno  di  minor 
peso.  Possiamo  dire  infatti  con  tutta  certezza  che  Minerva 
non  ha  bisogno  dell'abito  amazzonico  perchè,  sebbene  guer- 
riera ed  amante  di  battaglie,  non  combatte  mai  coi  mezzi 
umani.  A  lei  basta  di  scuotere  l'egida  e  di  mostrarla  al 
nemico  perchè  esso  cada;  fra  le  mani  di  lei  l'asta  è  un  puro 
simbolo  di  divinità,  ma  giammai  se  ne  serve  per  colpire 
Essa  e  cosi  tutte  le  divinità  nei  poemi  omerici  sono,  per  dir 
così,  nel  punto  più  umano  della  loro  evoluzione:  da  quelli 
in  poi  si  vanno  sempre  più  divinizzando;  ebbene,  consi- 
deriamo Minerva  uqW Iliade  e  vedremo  quante  volte  e  come 
essa  combatta. 

Pallade,  figura  principalissima  del  poema  di  Omero,  è 
menzionata  in  esso  più  di  trenta  volte:  fino  dal  principio 
scende  non  vista  e  prende  per  le  chiome  Achille  impeden- 
dogli di  scagharsi  sopra  Agamennone  (i)  e  nello  stesso 
libro  è  ricordata  come  colei  che,  insieme  a  Giunone  e  Net- 
tuno, tentò  di  legar  Giove  (2)  :  comparisce  poi  allorché  in- 


(i)  Lib.  I,  V.  194. 
(2)  Ivi,  397. 


8o  qA.  Tarisotti 


duce  Ulisse  ad  opporsi  ai  Greci  fuggenti  (i)  e  nel  libro  IV, 
prendendo  la  figura  di  Laodoco,  persuade  Pandaro  a  rom- 
pere i  trattati  scagliando  uno  strale  a  Menelao  (2).  Fino  a 
questo  punto  la  dea  dalle  luci  azzurre  prende  parte  all'azione 
de'  Greci  solo  come  consigliera,  ma  nel  libro  V  si  pone  a 
fianco  di  Diomede  e  gli  fa  fare  prove  di  valore  tali  che 
l'àp^aTsca  del  figlio  di  Tideo  si  può  dire  in  sostanza  che  sia 
quella  di  Pallade.  La  protezione  della  dea  comincia  sino 
dal  principio  del  canto,  là  dove  si  dice  che  infuse  vigore  a 
Diomede  (3)  e  poi,  alle  preghiere  dell'eroe,  gh  ridonò  Tagi- 
htà  giovanile  :  finalmente,  non  contenta  di  proteggerlo 
dall'alto  dell'  Olimpo,  si  presenta  a  lui  sotto  sembianze 
umane  (4)  e  lo  conforta  e  lo  inanimisce  a  tal  segno  che 
egh  ferisce  la  stessa  Venere,  di  che  Pallade  poi  ride  in  cielo. 
Ma  volgendo  a  male  le  cose  dei  Greci,  torna  di  nuovo  nel 
campo  e  sale  sul  carro  con  Diomede  (5).  Qui  veramente 
si  potrebbe  aspettare  che  ella  vibrasse  la  sua  lancia  immor- 
tale per  abbattere  i  Troiani  e  per  cacciare  dalle  loro  schiere 
l'impetuoso  Marte:  ma  no;  Omero  ha  avuto  cura  di  dirci 
che  prima  di  scendere  in  terra  si  è  gettata  sulle  spalle  la 
terribile  egida  col  mostruoso  capo  della  Gorgone  (6).  In- 
fatti, come  avevamo  già  detto,  è  con  queste  prodigiose  armi 
che  ella  combatte,  e  quando  Diomede  viene  alle  prese  con 
Marte,  neppur  allora  ella  scaglia  l'asta,  ma  si  contenta  di 
sviare  il  colpo  dell'avversario  e  di  dirigere  quello  del  suo 
fedele  (7),  sicché  il  ferito  dio,  senza  che  ella  abbia  tirato 
un  sol  colpo,  fugge  tostamente  all'  Olimpo.  L'azione  di  Mi- 
nerva nel  libro  VII  ed  Vili  ha  luogo  in  cielo  ed  è  solo 

(i)  Lib.  II,  V.  173. 

(2)  Lib.  IV,  V.  86. 

(3)  Lib.  V,  V.  I. 

(4)  Ivi,  121. 

(5)  Ivi,  837. 

(6)  Ivi,  738. 

(7)  Ivi,  853. 


Evoliiiione  del  tipo  di  ^o?7ta 


nel  libro  XVII  (i)  che  scende  di  nuovo  in  terra,  ma  anche 
qui  per  rianimare  i  Greci  onde  restino  vincitori  nella  lotta 
impegnatasi  sul  cadavere  di  Patroclo.  Finalmente,  dopo  aver 
nel  libro  XIX  ristorato  con  ambrosia  Achille,  nel  libro  XX 
ritorna  in  terra  e  vi  continua  a  combattere  pe'  Greci:  ma 
anche  questa  volta  nel  solito  modo,  cioè  sviando  il  colpo 
che  Ettore  aveva  scagliato  ad  Achille  (2),  e  da  ultimo  ella 
stessa  scaglia  addosso  a  Marte  un  sasso  (3)  e  colpisce  poi 
colla  mano  Venere  che  era  andata  per  soccorrere  il  caduto 
dio  (4).  Sono  questi  i  soli  colpi  che  ella  vibra  e  sempre 
contro  immortali  :  ed  è  anzi  da  osservarsi  che  le  armi  non 
sono  che  un  simbolo  della  forza  di  Pallade,  perchè  non  ne 
usa  mai. 

Tutta  questa  digressione  sul  modo  di  combattere  di 
xMinerva  non  sembrerà  troppo  lunga  ove  si  consideri  di 
quale  importanza  fosse  stabilire  una  differenza  tra  le  ninfe 
od  amazzoni  terrestri  e  la  invitta  figlia  di  Giove  e  che  per 
conseguenza  Tessere  essa  interamente  armata  ed  interamente 
vestita  non  può  opporsi  a  ciò  che  dicevamo  per  T  innanzi, 
che,  cioè,  lo  stesso  concetto  di  una  persona  che  solo  attenda 
a  menar  le  mani  è  necessariamente  unito  colFidea  di  una 
succinta  veste  e  che  lasci  liberi  i  moti  della  destra. 

Quanto  all'opinione  già  accennata  del  Cavedoni,  secondo 
la  quale  il  tipo  di  Roma  avrebbe  preso  le  mosse  da  quello 
delT  Etolia,  sebbene  tra  le  due  figure  si  riscontrino  parec- 
chie differenze,  tuttavia  è  assai  probabile  che  il  monetario 
romano  abbia  tratto  il  suo  tipo  dalle  monete  etoliche  (5). 
Su  di  queste  è  impressa  adunque  F  Etolia  sedente  sopra  una 
congerie  di  scudi,  coll'asta  nella  destra,  il  parazonio  al  fianco, 
ed  una  piccola  immagine  della  Vittoria  nella  sinistra,  col 

(i)  Lib.  XVII,  V.  544. 

(2)  Lib.  XX,  V.  438. 

(3)  Lib.  XXI,  V.  405. 

(4)  Ivi,  424. 

(5)  KlOgmann,  op.  cit.,  p.  17. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  6 


82  qA.  Tartsottt 


braccio  disteso  in  atto  di  incoronare.  Le  differenze  che  il 
Klùgmann  trova  tra  questo  tipo  e  quello  di  Roma  sono 
costituite  principalmente  dall'essere  Roma,  dice  egli,  in  at- 
teggiamento più  modesto,  e  dal  reggere  l'asta  colla  sinistra 
ed  in  modo  piuttosto  proprio  di  un  pastore  che  di  un  guer- 
riero. Ma  tali  osservazioni  possono  farsi  solo  sul  denario 
che  egli  considera  (i),  nel  quale  Roma  è  figurata  con  abito 
piuttosto  lungo  e  perciò  non  corrispondente  a  quello  del- 
l' Etolia  e  coir  asta  a  traverso  sul  braccio  sinistro,  ma  non 
sugli  altri  e  specialmente  su  quelli  coniati  in  Nicomedia  da 
Papirio  Carbone  (2),  i  quali  ci  fanno  vedere  in  quella  vece 
Roma  sedente  su  spoglie  con  asta  nella  sinistra  e  Vittoria 
nella  destra  e  su  moltissime  altre  del  tempo  più  tardo.  La 
vera  differenza  che  mi  sembra  che  corra  tra  la  figura  del- 
l' Etolia  e  quella  di  Roma  è  nella  copertura  del  capo  :  quella 
porta  la  causia,  ciò  che  ha  fatto  pensare  sia  un'allusione 
alla  celebre  caccia  del  cinghiale  CaHdonio:  questa  invece 
ha  quasi  sempre  la  galea,  se  si  eccettuino  alcuni  pochi  de- 
nari nei  quali  è  a  capo  scoperto.  Per  ispiegare  questa  diffe- 
renza però  si  può  assai  facilmente  congetturare  che  in  queste 
prime  monete  dove  Roma  è  a  capo  scoperto  si  sia  presa 
la  figura  dell' Etolia  togliendole  la  causia  non  adatta  a  si- 
gnificare Roma,  e  che  subito  dopo  vi  sia  stata  sostituita 
la  galea  come  assai  più  corrispondente  a  tutto  il  carattere 
guerresco  della  città  ed  al  resto  della  sua  figura. 

Ed  ora,  considerata  l'origine  del  tipo  di  Roma,  possiamo 
passare  a  far  qualche  osservazione  sopra  le  singole  rappre- 
sentanze del  tempo  repubblicano. 

La  prima  che  incontriamo,  secondo  che  già  abbiamo 
detto,  non  è  su  moneta  romana,  ma  sopra  un  didrachmon 
dei  Locri  epizefiri  che,  secondo  il  Klùgmann,  rimonta  al- 
l'anno 548  di  R.  (3).  In  questa  moneta  Roma  è  espressa 

(i)  Riportato  anche  dal  Morelli,  Num.  v&t.,  «  Fani.  ine.  »,tav.  i,n.  7. 

(2)  Morelli,  'Nim.  vet.,  «  Papiria  »,  lett.  C,  D,  E,  F. 

(3)  Op.  cit.,  p.  9. 


Epolu^ione  del  tipo  di  T{oma  83 

in  modo  affatto  differente  da  come  fu  poi  effigiata  sui  de- 
nari romani  e  dirò  anzi  che  mi  par  di  vedere  meno  adatta 
a  significare  Roma  questa  figura  che  le  altre.  Infatti  essa 
è  vestita  con  un  lungo  chitone  e  seduta  sopra  una  sedia 
presso  cui  è  uno  scudo:  su  questo  ella  appoggia  il  braccio 
destro  ed  ha  al  fianco  sinistro  il  parazonio:  incontro  a  lei 
un'altra  donna  in  piedi  le  pone  in  capo  una  corona:  dietro 
la  prima  è  scritto  PQMH  e  dietro  l'altra  IIISTIS.  Il  con- 
cetto della  figura  di  Roma  in  questa  moneta  il  Klùgmann 
lo  crede,  giustamente  mi  pare,  desunto  dal  tipo  della  Mi- 
nerva pacifica  e  per  questa  ragione  mi  sembra  che  questo 
tipo  non  abbia  quella  forza  e  quell'espressione  speciale  che 
caratterizza  Roma  nelle  altre  rappresentanze.  La  presenza 
poi  della  IIiaTL?  è  spiegata  assai  bene  come  un  attributo  dei 
Romani  ricordato  anche  in  quelle  poche  parole  che  Plu- 
tarco ci  riporta  (r)  dell'inno  che  i  Calcidesi  cantarono  in 
onore  di  Flaminino  ;  cosi  anche  Diodoro  (2),  a  proposito 
dei  fatti  che  forse  furono  cagione  del  conio  del  didrach- 
mon,  dice  che  i  Locri  invocarono  Tr]V  xwv  TwfJiaLWV  ufaxtv 
perchè  riparassero  ai  danni  loro  arrecati  da  Pleminio  (3). 
A  questo  tipo  si  rannodano  bene  quelle  rappresentanze  assai 
più  tarde  nelle  quaH  Roma  ha  un  carattere  più  spiccata- 
mente divino;  ma  lo  sviluppo  vero  della  figura  di  Roma 
è  nei  suoi  primordi  tutt'altro.  Già  nel  secondo  periodo  mo- 
netario, secondo  la  divisione  del  Mommsen  (4),  cioè  quello 
che  corre  dal  ^00  al  620  di  Roma,  comparisce  sul  rovescio 
dei  denari  la  lupa  lattante  i  gemelli  sotto  il  fico  ruminale, 
presso  l'albero  il  pastore  Faustolo  che  mira  il  prodigio  ap- 
poggiandosi al  pedo,  e  sui  rami  tre  uccelli  (5).  Questa  non 

(i)  Flam.,  16. 

(2)  Lib.  XXVII,  5. 

(3)  Livio  (XXIX,  6-9,  16-21)  fa  dire  all'ambasciatore  de' Locri 
al  Senato:  «  ad  vos  vestramque  fidem  supplices  confugimus  ». 

(4)  Gesch.  der  ròm.  Mun^w. 

($)  Cohen,  xxxiii,  «  Pompeia  »;  Mommsen,  op.  cit.,  p.  55 1,  n.  1 59. 


84  O^.  Tarisotti 


e  che  una  preparazione  di  una  compiuta  immagine  della  leg- 
genda romana,  la  quale  si  trova  effigiata  più  tardi  sopra  alcuni 
denari  anonimi  della  quarta  epoca  (^40-^50  di  R.),  dei  quali 
abbiamo  già  dato  qualche  cenno  di  sopra.  In  essi  (i)  Roma 
lunga  è  seduta  sopra  una  congerie  di  scudi  ed  è  vestita  con 
tunica  (2)  :  ha  in  capo  il  berretto  frigio  e  regge  colla  si- 
nistra Tasta  alquanto  penduta  come  fosse  un  bastone  pa- 
storale: innanzi  ai  piedi  la  lupa  colla  testa  rivolta  verso 
di  lei  allatta  i  gemelli  e  nel  campo  due  uccelli  volano  in 
senso  opposto  verso  la  figura  di  Roma.  Sebbene  sia  giu- 
stissima l'osservazione  del  Kenner  (3)  a  riguardo  di  questo 
tipo,  là  dove  dice  che  la  lupa  è  cosa  interamente  staccata 
dal  resto  perchè  essa  non  è  che  il  simbolo  del  monetario, 
tuttavia  questo  uso   di   porre  l'emblema  della  propria  fa- 
miglia, già  quasi   abbandonato    nella  terza  epoca,  è  stato 
assai  opportunamente  richiamato  in  vigore  in  questa  rap- 
presentanza (4).  Così,  riguardo  ai  due  uccelH  volanti  nel 
campo  del  denario,  il  Klùgmann  (5)  li  vuole  posti  là  per 
un  fine  puramente  artistico,  cioè  per  empire  quello  spazio 
che  altrimenti  sarebbe  rimasto  troppo  vuoto  :  e  sia  pure 
cosi,  ma  questo  è  certo   tuttavia    che  non  si  poteva  con 
maggiore  pienezza  esprimere  in  poche  figure  tutta  la  leg- 
genda di  Roma.  Il  berretto  frigio,  la  lupa,  gli  uccelli  ed 
il  modo  affatto  speciale  col  quale  Roma  regge  qui  l'asta 
ci  fanno  pensare  alla  leggenda  troiana,  al  miracoloso  al- 
lattamento dei  gemelli,  alla  scoperta  di  Faustolo  e  final- 
mente all'augurio   di    Romolo.   GH   scudi  poi  sui  quali  è 
seduta  Roma  ci  continuano,  per   dir  cosi,    la  storia  e  ci 

(i)  Cohen,  tav.   xliii,   n.    14   incerti  ;  Riccio,  tav.  lxxi,  n.   5  ; 
Morelli,  Num.,  «  Farti,  ine.  »,  tav.  i,  n.  7. 

(2)  Per  la  piccolezza  del  tipo  non  si  può  distinguere  se  abbia  il 
petto  nudo. 

(3)  Op.  cit.,  p.  22,  n.  4. 

(4)  Cf.  anche  il  Klùgmann,  op.  cit.,  p.  15. 

(5)  Op.  cit.,  p.  16. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^oma  85 


mostrano  l'effetto  dell'augurio  di  Romolo,  cioè  la  potenza 
militare  che  derivò  da  quello  e  fu  cagione  della  gloria  di 
Roma.  Anche  la  lupa  (i),  sebbene  stia  per  sua  mossa  con- 
sueta col  capo  rivolto  all'  indietro,  mi  fa  supporre  che  non 
a  caso  in  questo  tipo  si  volga  a  Roma:  poiché,  essendo  il 
lupo  l'animale  sacro  a  Marte  e  Roma  figlia  di  questo 
nume  (2),  è  giusto  che  la  lupa  volga  a  lei  la  testa,  quasi 
aspettando  un  comando.  A  questo  tipo  si  rannoda  anche 
bene  ciò  che  narra  Licofrone  (3),  il  quale  presenta  Roma 
quasi  come  una  sibilla  o  profetessa  consigliera  di  Evandro. 

Ma,  se  bene  si  considera,,  dalla  rappresentanza  del  di- 
drachmon  alla  presente,  anzi  che  procedere,  si  è  flitto  un 
passo  indietro:  dalla  Roma  coronata  da  Pistis  ed  altera- 
mente seduta  in  posizione  simile  a  quella  di  Minerva,  siamo 
passati  ad  una  semplice  figura  che  non  ha  superbi  emblemi 
di  corone.  Niun' altra  può  essere,  a  mio  parere,  la  cagione 
di  ciò  che  Tessere  quel  tipo  coniato  da  stranieri  che  cer- 
cavano di  adulare  la  potente  città  e  cattivarsene  così  la 
protezione,  mentre  questo,  sebbene  sia  lavorato  da  mani 
straniere,  dovendo  aver  corso  in  Roma  stessa,  esprime  il 
sentimento  grande  che  il  popolo  aveva  di  sé  e  dei  suoi 
destini,  senza  pretendere  tuttavia  di  innalzarsi  al  grado  di 
divinità. 

Ma  questi  destini  di  Roma  si  vanno  mano  a  mano  av- 
verando: l'una  appresso  all'altra  le  città  cadono  sotto  il  suo 
dominio  ed  ella  esce  dalla  lotta  sempre  più  potente,  sempre 


(i)  Tre  sono  le  posizioni  della  lupa  sui  moaumenti  romani:  at- 
teggiamento d' indifferenza  :  atteggiamento  di  vigilanza:  atteggiamento 
di  maternità.  Così  e  più  diffusamente  il  Tomassetti,  Musaico  mar- 
moreo del  principe  Colonna,  Roma,  tip.  della  R.  Acc.  dei  Lincei,  1886. 
Bull.  dell'Ut.  Arch.,  v.  I. 

(2)  Cf.  per  questa  idea  anche  l'inno  eì?  Pwixnv  attribuito  a  Me- 
limno.  V.  Hainebach,  Specimen  script.  Grcuc.  min.,  p.  9  ;  Stobeo, 
VII,   13. 

(3)  Cassandra,  v.  1253. 


86  Q^.  Tarisotti 


più  grande  :  cosi  nelle  rappresentanze  Roma  assume  figura 
ed  officio  sempre  più  nobile.  Infatti  subito  appresso  al  de- 
nario  anonimo,  di  cui  abbiamo  già  parlato,  troviamo  nella 
stessa  q^iarta  epoca  il  denario  di  M.  Fourius  L.  F.  che  ha 
sul  rovescio  Phili  Roma  ed  una  donna  galeata  e  stolata 
che  colla  destra  pone  una  corona  sopra  un  trofeo  di  armi 
galliche  mentre  colla  sinistra  regge  lo  scettro  (i).  Questo 
tipo,  nel  quale  Roma  fa  le  veci  di  Vittoria,  serve  poi  come 
di  passaggio  a  quelli  che  seguono.  È  mirabile  pertanto  il 
vedere  con  quanta  gradazione  si  passi  da  una  rappresen- 
tanza all'altra.  In  un  denario  della  ge?ts  Cornelia  coniato 
circa  alla  metà  del  periodo  quinto,  Roma  è  in  piedi  col- 
Telmo  in  capo  e  la  lancia  in  mano  ed  è  coronata  dal  genio 
del  popolo  romano  figurato  in  un  giovane  seminudo  che 
colla  destra  pone  l'alloro  sulla  testa  di  Roma,  mentre  nel- 
l'altra mano  ha  il  corno  dell'abbondanza  (2).  In  questo 
tipo  adunque  Roma  ha  fatto  un  gran  passo  :  invece  di 
coronare,  essa  stessa  è  coronata  :  non  però  da  Vittoria,  ma 
dal  proprio  genio.  Si  potrebbe  perciò  interpretare  questa 
rappresentanza  dicendo  che  ella  in  certo  modo  si  incorona 
da  sé.  Finalmente  nello  stesso  periodo  le  famiglie  Caecilia 
e  Poblicia  pongono  sui  denari  loro  la  figura  di  Roma,  quasi 
riassumendo  tutte  quelle  precedenti,  e  la  rappresentano  se- 
duta sopra  armi,  con  elmo  in  capo  e  parazonio  al  fianco, 
colla  lancia  e  coronata  dalla  Vittoria  (3).  Tutte  queste  rap- 
presentanze, comechè  coniate  quasi  nello  stesso  tempo,  ci 
fanno  vedere  come  per  gradi  il  concetto  di  Roma  s'an- 
dasse aumentando  in  corrispondenza  cogli  avvenimenti.  Da 
quando  s'era  cominciato  a  coniare  l'argento,  infatti,  s'erano 
fatti  grandi  passi.  La  distruzione  di  Cartagine,  di  Corinto, 
di  Numanzia  avevano  enormemente  ingrandito  il  dominio 

(i)  Morelli,  Thes.,  «  Furia»,  III;  Cohen,  tav.  xix,  «  Furia»,  3. 

(2)  Cohen,  tav.  xiv,  «  Cornelia  »,  nn.  5  e  6. 

(3)  Cohen,  tav.  vm,  «  Caecilia  »,   n.  4,  tav.  xxxm,  «  Poblicia  », 
nn.  5  e  6. 


Evoluiione  del  tipo  di  '\F{oma  87 

della  repubblica  :  negli  ultimi  tempi  poi  la  guerra  Giugur- 
tina  e  la  gloriosa  vittoria  di  Mario  sui  Cimbri  e  sui  Teu- 
toni avevano  compiutamente  assodato  le  conquiste  già  fatte. 
Ma  nuove  condizioni  si  erano  venute  preparando  intanto, 
le  quali  dovevano  ritardare  la  dilatazione  maggiore  della 
potenza  romana.  I  rapporti  dell'Italia  con  Roma  intorno 
a  quel  tempo  erano  tali  che  non  era  più  possibile  evitare 
una  grande  lotta.  L' Italia  che  era  stata  tanta  parte  della 
forza  di  Roma  in  tutte  le  sue  ultime  vittorie  reclamava 
pei  suoi  servigi  una  giusta  ricompensa.  Perchè  gli  alleati, 
cosi  chiamati  con  un  nome  che  mentiva  la  loro  vera  con- 
dizione di  soggetti  a  Roma,  mentre  avevano  si  grande- 
mente contribuito  a  ridurre  in  provincie  tanti  paesi,  non 
dovevano  avere  quella  parte  che  loro  spettava  nel  governo 
dello  Stato  ?  Era  possibile  che  il  nome  ed  i  diritti  di  cit- 
tadino romano  restassero  ancora  prerogativa  solo  di  una 
piccola  parte  del  popolo  mentre  tutti  colle  loro  forze  ave- 
vano aiutato  Roma  nelle  conquiste  ?  Ed  essi  già,  col  desi- 
derio e  colla  sicurezza  che  dà  il  diritto,  la  consideravano 
come  patria  comune  e  come  tale  volevano  che  fosse  loro 
riconosciuta  dal  Senato,  anche  a  costo  di  dover  sostenere 
le  loro  ragioni  con  una  guerra.  E  la  guerra  infatti  scoppiò 
feroce,  ostinata,  terribile  più  di  quelle  combattute  cogU  stra- 
nieri, siccome  guerra  civile.  Non  è  necessario  dire  che 
accenniamo  a  quel  grande  rivolgimento  italico  che  fu  la 
guerra  sociale  :  e  non  poteva  essere  a  meno  che  un  av- 
venimento di  tanta  importanza  non  si  riflettesse  anche 
nell'arte  figurata.  Le  monete  di  quel  tempo  sono  piene  di 
simboli  relativi  alla  lotta:  si  combatteva  con  tutto  ed  il 
Morelli  stesso  esprime  quest'idea  in  quelle  parole:  «  Romani 
«  non  armis  tantum  sed  et  nummorum  typis  contra  Italos 
«  usi  sunt  atque  suam  suae  omnibus  Italiae  civitatibus  prae- 
((  rogativam expresserunt  »  (i).  Noi  ci  contenteremo 

(i)  V.  MoR.,  Thes.,  p.  460.  Benché,  a  dir  vero,  egli  dica  queste  pa- 


88  C/^.  Tarisotii 


di  notare  i  tipi  più  cospicui  :  ed  in  primo  luogo  osserviamo 
che  nelle  monete  romane,  le  quali  hanno  qualche  allusione 
alla  guerra  sociale,  Roma  non  indossa  più  il  suo  consueto 
abito  amazzonico,  ma  è  vestita  di  toga.  Kon  si  poteva  im- 
maginare una  più  felice  trasformazione  del  tipo:  poiché  chi 
considera  l' importanza  che  aveva  presso  i  Romani  la  fog- 
gia del  vestire  (i)  e  quale  stretta  attinenza  essa  aveva, 
dirò  cosi,  colla  condizione  giuridica  di  una  persona,  s'av- 
vedrà di  leggieri  che  lo  scopo  degli  alleati  italici  nel  soste- 
nere la  guerra  sociale  si  poteva  ridurre  alla  conquista  della 
toga.  La  toga  infatti  fu,  sino  a  tempi  abbastanza  tardi,  il 
distintivo  del  civis  :  nessun  altro  poteva  indossarla,  mentre 
per  lui  era  un  dovere  (2).  Il  poter  portare  la  toga  adunque 
significava  la  possibilità  di  aspirare  alle  cariche  e  di  poter 
percorrere  il  cursus  honorum  e  perciò  di  poter  prendere  parte 
al  governo  della  repubblica. 

E  che  cosa  chiedevano  di  più  i  popoli  itaUci?  Ma  Roma, 
che  voleva  serbare  a  sé  tutti  questi  diritti,  indossa  la  toga 
nel  tempo  della  guerra  sociale  per  affermarli  propri  e  per 
dimostrare  ancora  che  ella  combatte  appunto  per  ciò  che 
abbiano  solo  i  suoi  figli  la  piena  civitas.  Un'altra  osserva- 
zione importante  si  può  fare  sull'essere  Roma  in  questo 
tempo  rappresentata  assai  più  spesso  in  piedi,  con  atteggia- 
mento più  fiero  e  con  tutte  le  armi,  cioè  elmo,  scudo, 
lancia  e  parazonio:  circostanze  le  quaU  accennano  ad  un 
passaggio  dal  carattere  di  tranquilla  dominazione  ad  uno 
assai  più  bellicoso.  L' Italia,  all'  incontro,  rappresentata  di 
solito  come  una  giovane  inerme  col  capo  cinto  di  spiche 
ed  il  corno  dell'abbondanza  tra  le  mani,  diviene  alla  sua 

role  a  riguardo  di  una  moneta  anteriore  alla  guerra  Marsica,  tuttavia 
r  idea  resta  sempre  giusta. 

(i)  Importanza  che  si  è  mantenuta  sino,  si  può  dire,  ai  giorni 
nostri. 

(2)  Servio,  ad  Aen.,  I,  282  ;  Plin.,  Epist.  IV,  1 1  ;  Orazio,  Odi,  III, 
n.  5,  V.   IO. 


Evolu-{ione  del  tipo  di  Roma  89 

volta  guerriera  ed  usurpa  in  tutto  la  figura  di  Roma.  Non 
poche  monete  sannitiche  (i)  la  mostrano  seduta  su  scudi 
con  asta  e  parazonio  e  colla  galea  in  capo:  d'altronde  la 
leggenda  ITALIA  non  ci  lascia  dubbio  sulla  interpretazione 
della  figura.  Anche  Libertas  è  espressa  in  modo  simile,  salvo 
che  col  piede  sinistro  calca  un  globo,  quasi  a  significare 
che  quella  stessa  libertà  che  gli  alleati  volevano  per  sé  stessi, 
volevano  anche  per  tutti.  Un'altra  moneta  dei  confederati 
porta  impresso  un  simbolo  abbastanza  significativo  sul  ro- 
vescio, cioè  un  bue  che  colle  corna  dà  addosso  ad  una 
lupa  gracile  (2).  Ognun  sa  come  il  bue  od  il  vitello  siano 
l'emblema  dell' ItaHa:  ora  il  vederlo  in  lotta  con  una  gra- 
cile lupa  ci  fa  chiaramente  intendere  quanto  fossero  con- 
sapevoH  della  loro  forza  gU  alleati  italici,  i  quali  cosi  giudi- 
cavano che  la  potenza  della  lupa,  cioè  di  Roma,  perduto  il 
loro  appoggio,  sarebbesi  ridotta  a  ben  poca  cosa.  Un'altra 
moneta  di  famigUa  incerta  (3)  compie  il  quadro  della  lotta  : 
in  essa  Roma  in  piedi,  cinto  il  capo  di  galea  ed  appoggiata 
all'asta,  indossa  la  toga  e  col  pie  sinistro  calpesta  la  gamba 
di  un  bue  che  giace  presso  di  lei: 


et  laevo  pressit  pede 

exanimem  (4). 

Da  questa  bella  composizione  che  ci  mette  in  mezzo 
agH  odi  della  guerra  (5),  passiamo  ad  altre  monete  nelle 
quali  con  non  minore  evidenza  è  rappresentata  la  conclu- 
sione della  pace.   Sul   diritto  di  queste   i   capi    congiunti 


(r)  Carelli,  N.  V.  L,  «  Num.  foed.  belli  Marsici  »,  25,  26,  27,  28. 

(2)  Carelli,  ivi,  n.  2. 

(3)  Morelli,  Thes.,  «  Fara.  ine.  »,  tav.  i,  n.  4. 

(4)  Viro.  Aen.,  X,  495. 

(5)  Altre  monete  ci  indicano  avvenimenti  della  guerra  stessa:  in 
quella,  p.  e.,  pubblicata  dal  Friedlander,  OsL  Muti.,  p.  84,  tavv.  10,  13, 
due  guerrieri  che  si  stringono  la  mano  fanno  pensare  all'alleanza  dei 
confederati  con  Mitridate. 


90  C^.  T^arisotti 


dell'  Onore  e  della  Virtù,  questa  armata  di  elmo,  quello 
adorno  di  corona  d'alloro,  sembrano  come  corrispondere 
l'una  all'Italia,  l'altra  a  Roma  (i),  le  cui  figure  sono  sul 
diritto  :  ed  insieme  forse  alludono  al  tempio  innalzato  da 
Mario.  Nel  diritto  adunque  delle  monete  di  cui  discorriamo 
è  celebrata  la  Virtù,  cioè  il  valore  guerriero  di  Roma,  e 
r  Onore,  cioè  il  decoro  che  Roma  stessa  riceve  dall'  Italia. 
Il  rovescio  di  questi  denari  ce  la  mostra  in  forma  di  una 
giovane  vestita  di  stola  col  corno  dell'abbondanza  in  mano 
e  che  stringe  la  destra  a  Roma,  la  quale  ha  ripreso  l'antico 
abito  succinto,  ha  deposto  scudo  e  lancia  e  tiene  nella  si- 
nistra uno  scettro  come  simbolo  d'imperio  (2).  Cosi  Roma 
ed  Italia  stringendosi  in  alleanza  si  promettono  un  reciproco 
aiuto  :  quella  assicurando  a  questa  l'assistenza  sua  forte,  e 
questa  concedendole  di  ricambio  tutta  la  sua  ubertosità.  Due 
nuovi  simboli  però  compariscono  in  questa  moneta  :  dietro 
l'Italia  il  caduceo  che  serve  a  ribadire  l'idea  della  pace: 
giacché,  secondo  che  osserva  il  Klùgmann  (3),  esso  non  è 
solo  attributo  di  Mercurio,  ma  eziandio  della  Pace.  Sotto  il 
piede  destro  di  Roma  poi  è  disegnato  un  globo  :  attributo 
nuovo,  ma  che  diviene  quindi  innanzi  frequentissimo.  Il 
tempo  in  cui  fu  battuto  il  denario  or  ora  esaminato  non 
si  può  determinare  esattamente,  essendo  incerto  a  qual  gente 
appartenessero  i  due  monetali  Cordus  e  KaUnuSj  i  cui  nomi 
si  trovano  scritti  quello  sul  diritto  e  questo  sul  rovescio  della 
moneta.  Tuttavia,  dopo  una  serie  di  congetture  abbastanza 
probabili,  il  Klùgmann  (4)  conclude  che  Kaleniis  potrebbe 
essere  quello  stesso  0.  Fufiiis  0.  F.  0.  N.^  il  quale  sarebbe 
stato  triumviro  monetale  circa   nel  6Si    di  R.  e  tribuno 

(i)  Anche  il  Visconti  osserva  ciie  la  figura  di  Roma  è  la  stessa 
che  quella  di  Virtus:  ed  è  realmente  cosi,  se  non  che  con  altri  distin- 
tivi diviene  Virtus  populi  romani. 

(2)  Morelli,   Thes.,  «  Fufia  »,  I,  «  Mucia  »,  I. 

(3)  Op.  cit.,  p.  34. 

(4)  Op.  cit.,  p.  30. 


Evoluiione  del  tipo  dì  ^0J7ìa  91 

del  popolo  nel  ^93  di  R.  e  console  nel  707  di  R.  Questa 
data  assegnata  al  denario  non  sarà  certo  troppo  recente  se 
si  considera  che  una  moneta  che  spira  in  tutto  pace  e  con- 
cordia non  si  può  supporre  coniata  se  non  dopo  termi- 
nate le  guerre  civili  che  furono  come  un  funesto  seguito 
della  guerra  Marsica.  Ora,  quanto  alla  parte  formale,  giusta 
mi  pare  l'osservazione  del  Klùgmann,  secondo  cui  l'idea 
del  globo  sarebbe  derivata  da  quello  che  è  attributo  costante 
della  musa  Urania,  la  cui  statua  si  ammirava  nel  palazzo  di 
Pirro.  Quanto  airallegoria  è  assai  facile  ammettere  che, 
pacificate  le  cose  interne,  la  repubbUca  sentivasi  forte  nei 
domini  di  recente  acquistati  e  coli' amicizia  di  Nicomede  III 
di  Bitinia  poneva  un  piede  nell'Asia.  Inoltre,  circa  allo  stesso 
tempo,  si  preparavano  le  guerre  Mitridatiche,  colle  quali  la 
repubblica  si  estese  su  que'  regni  che  erano  l'avanzo  dell'an- 
tico imperio  di  Alessandro.  Essa  perciò  si  sentiva  erede  di 
quella  vasta  monarchia  e  dominatrice  del  mondo. 

Lentuìus  P.  f.  L.  n.  ha  introdotto,  forse  pel  primo,  questo 
segno  del  globo  sulle  monete  romane,  ponendolo  però  sotto 
il  piede  del  genio  del  popolo  ;  ed  anche  Cw.  Cornelius  Len- 
tuìus MarceìUnus  aveva  posto  il  mondo  sul  rovescio  di  alcuni 
suoi  denari  in  mezzo  ad  altri  simboli  (i).  Ma  l'emissione 
di  questi  denari,  anche  secondo  le  congetture  del  Klùgmann, 
cadrebbe  circa  dal  681  al  ^83  di  R.,  per  essersi  trovati  al- 
cuni di  essi  nei  ripostigli  di  Roncofreddo  e  Frascarolo  (2). 
Una  tale  frequenza  adunque  di  monete  collo  stesso  simbolo 
di  imperio  ci  dimostra  come  questa  idea  allora  nascesse  od 
almeno  cominciasse  a  dominare  la  mente  del  popolo,  sicché 
esso  allargò  il  significato  delle  tradizioni  circa  la  sua  origine 
divina  e  i  suoi  gloriosi  destini,  congiungendo  il  sentimento 
di  sé  stesso,  fatto  potente  dalle  recenti  vittorie,  ali*  idea  del 
dominio  del  mondo.  Né  mi  sembra  che  si  possa  ammettere 


(i)  Klùgmanm,  op.  cit.,  p.  30. 
(2)  Ivi,  loc.  cit. 


92  qA,  l^arisotti 


ciò  che  dice  il  Kemier  (i),  il  quale  interpreta  questo  segno 
del  globo  come  una  millanteria,  poiché,  oltre  ad  essere  ri- 
pugnante al  carattere  positivo  de'  Romani,  non  sarebbe  stata 
sanzionata  dallo  Stato  coll'esprimerla  sulle  monete.  La  spie- 
gazione storica  mi  sembra  invece  assai  più  probabile  per 
la  ragione  che,  sebbene  il  principio  della  potenza  di  Roma 
sia  stata  la  distruzione  di  Cartagine,  tuttavia,  per  coloro 
che  erano  parte  de'  fritti,  che  noi  oggi  consideriamo  come 
compiuti,  la  cosa  andava  in  modo  assai  differente.  Essi  do- 
vettero aprire  gli  occhi  sulle  sorti  della  repubblica  assai 
tardi,  quando,  cioè,  compiendosi  gli  effetti  di  quelle  cause 
che  già  da  tempo  erano  avvenute,  si  trovarono  d'un  tratto 
potenti  in  tanti  paesi  diversi  e  lontani  dall'  Italia.  Infatti,  il 
globo  e  la  vittoria  e  lo  scettro  in  cambio  dell'asta,  tre  em- 
blemi che  d'ora  in  poi  divengono  frequentissimi,  accen- 
nano chiaramente  ad  una  trasformazione  del  concetto  di 
Roma,  da  quello  guerriero  a  quello  di  dominatrice  e  regina. 
Un'altra  caratteristica  è  il  ritorno  delle  leggende  che  ci 
mostra  il  legame  tra  la  origine  divina  della  città  e  il  suo 
destino  (2).  Un  denario  di  C.  Egnatius  Maxsumus  Cu.  f, 
Cn.  n,  ci  mostra  Roma  con  tunica  e  manto  e  colle  solite 
armi:  l' intera  figura  è  disegnata  di  faccia,  in  piedi,  e  colla 
gamba  sinistra  sopra  una  testa  di  lupo,  mentre  accanto  a 
lei  sta  Venere  vestita  in  modo  simile,  salvo  che  senza  elmo 
in  capo.  Questa  seconda  figura  è  caratterizzata  da  Cupido, 
che  è  disegnato  tra  le  due  e  vólto  verso  Venere  :  ai  lati 
esterni  poi  dell'  intero  gruppo  due  remi  infissi  in  prora  di 
nave  (3),  a  riguardo  della  qual  composizione  osserva  il 
Klùgmann  che  Roma  qui  è  sostituita  a  suo  padre  e  perciò 

(i)  Op.  cit.,  p.  2zl. 

(2)  Sebbene  un  poco  più  tardi  del  tempo  di  cui  discorriamo,  mo- 
strano questo  ritorno  all'antico  anche  alcuni  denari  di  Sesto  Pompeo 
(MoR.,  Thes.,  «Pompeia  »,  tav.  iii,  n.  5),  il  rovescio  dei  quali  mostra  la 
rappresentanza  della  lupa  e  di  Faustolo  che  abbiamo  già  considerato. 

(3)  Cohen,  «  Egnatia  »,  xvii,  i,  2,  3. 


Evoluiione  del  tipo  di  1{oma  93 


fa  le  veci  di  Marte  (i).  Quanto  al  remo  infisso  nella  prora 
di  nave  potrebbe  essere  si  un'allusione  alle  recenti  vittorie 
navali  sui  pirati  come  un  ritorno  all'antico  simbolo  dell'asse. 
Il  nome  di  questo  monetario  è  citato  da  Cicerone  ad  At- 
tico (2)  e  sembra  che  vivesse  nel  704  di  R.  Anche  sui  de- 
nari- di  Sex.  Nonius  Sufenas  Roma  comparisce  di  nuovo  se- 
duta sopra  una  lorica,  colle  solite  armi  e  le  soHte  vesti,  e 
coronata  dalla  Vittoria,  la  quale  colla  sinistra  regge  una 
palma  (3).  La  presenza  della  Vittoria  però  ha  in  questo 
tipo  una  importanza  differente  :  poiché,  mentre  è  un  attri- 
buto di  Roma,  risponde  anche  alla  leggenda  PR.  L.  V.  P.  F., 
concordemente  interpretata  dal  Pighio  e  dal  Mommsen  (4) 
come  praetor  hidos  Victorìae  primus  fecit.  S'allude  perciò  ai 
giuochi  istituiti  dopo  la  vittoria  di  Sulla  alla  porta  Col- 
lina (5)  avvenuta  nel  672  di  R.,  ma  la  moneta  sarebbe  stata 
coniata  circa  nel  ^92  di  R.  essendosi  ritrovata  nel  ripostigho 
di  Compito  che  risale  al  6^6  di  R.  (6),  Ma  nel  denario  qui 
sopra  riportato,  forse  per  gli  avvenimenti  differenti  a  cui 
accenna,  mancano  gli  emblemi  del  globo  e  dello  scettro  che 
sopra  alcuni  quinari  di  T.  Carisio  (7),  circa  del  tempo  di 
Giulio  Cesare,  sono  rimessi  in  vigore  :  sopra  altri  poi  dello 
stesso  monetario  (8),  il  rovescio  porta  un  globo,  una  de- 
cempeda,  un  timone  ed  un  corno  di  abbondanza  in  mezzo 
ad  una  corona  di  alloro.  Finalmente  nei  denari  di  C.  Fibkis 
Pausa  C.  f.  C.  n.  (monetario  nel  711)  (9)  troviamo  i  soliti 


(i)  Op.  cit.,  p.  40,  oltre  il  chiaro  accenno  alla  leggenda  troiana. 

(2)  XIII,  34. 

(3)  Cohen,  «  Nonia  »,  xxix. 

(4)  Op.  cit.,  p.  625,  n.  265. 

(5)  Appiano,  De  Bello,  civ.,  XCIII,  94;  Plut.,  Sulla,  XXIX,  30; 
Vell.  Pat.,  II,  27. 

(6)  KlDgmann,  op.  cit.,  p.  43, 

(7)  Ivi,  op.  cit.,  p.  44. 

(8)  Morelli,  «  Carisia  »,  vi. 

(9)  Ivi,  «  Vibia  »,  2. 


94  G^-  T^arisotti 


attributi  dati  a  Roma  incoronata  dalla  Vittoria  volante  verso 
di  lei.  Quest'ultima  forma,  usata  assai  spesso  anche  con 
altre  divinità,  non  è  che  un  modo  per  dare  maggior  im- 
portanza alla  figura  che  deve  essere  incoronata  :  poiché, 
mentre  nella  forma  che  abbiamo  riscontrato  prima,  Vittoria 
rende^  questo  onore  a  Roma,  restando  però  pur  sempre 
uguale  a  lei,  in  quest'ultima  maniera  si  fa  di  Vittoria  una 
messaggiera  spedita  da  Giove,  divinità  nicefora  per  eccel- 
lenza (i),  per  deporre  l'alloro  sulla  testa  di  Roma.  Questa 
idea  della  differenza  di  grado  è  messa  maggiormente  in 
chiaro  dall' osservare  che  presso  gli  antichi  l'eccellenza  di 
un  nume  sopra  i  mortali  era  significata  dalla  maggiore  sta- 
tura loro  o  dal  maggior  loro  peso  e  simili  (2).  Altre  va- 
riazioni meno  importanti  nella  figura  di  Roma  si  trovano 
sulle  recenti  monete  autonome  dell'Asia  Minore  e  special- 
mente su  quelle  di  Bitinia,  Amiso  e  Nicomedia,  nelle  quali 
ella  conserva  il  suo  tipo  consueto,  ma  prende  anche  alcuni 
attributi  che  si  potrebbero  dire  locali.  Così,  per  esempio, 
alcune  monete  di  Nicomedia  e  di  Bitinia,  coniate  sotto  Pa- 
pirio  Carbone  (3),  mostrano  sul  rovescio  Roma  che  intorno 
alla  galea  ha  una  corona  d'edera,  attributo  poco  conveniente 
per  lei  cui  spetta  piuttosto  la  corona  d'alloro,  ma  tuttavia 
facilmente  spiegabile  se  si  pensi  al  culto  speciale  che  i  Ni- 
comedi  avevano  per  Bacco.  Infatti  il  diritto  della  stessa  mo- 
neta è  occupato  dalle  teste  congiunte  di  Ercole  e  Bacco,  e 

(i)  La  statua  di  Giove  olimpico  aveva  in  mano  una  piccola  Vit- 
toria che  faceva  atto  di  incoronarlo:  la  parola  d'ordine  dei  Greci  alla 
battaglia  di  Cunassa  era  Csù;  crwTrip  xaì  Nìxvi  (Senof.,  Anah.,  I,  viii,  16). 

(2)  Ì^QÌV Iliade,  Marte,  caduto,  occupa  sette  jugeri  (Ih,  XXI,  407) 
e  quando  Minerva  salisce  sul  carro  di  Diomede  ne  fa  scricchiolare 
l'asse  (11,  V,  839). 

^jÀ^ct.  o'I^^Qi.yj.  cpr-^tvo;  à^o)V 

Bpt^ocuvTi  Ssivriv  -^àp   Sc-^s-v  Ssòv  avSpa  T'àpt<TTOv. 

Anche  i  Dioscuri  superano  di  mezza  la  persona  i  loro  cavalli. 

(3)  Morelli,  Thes.,  «  Papiria  »,  C,  D,  E,  F. 


Evoliiiione  del  tipo  di  ^{oma  95 

mentre  questo  rappresenta  il  culto  patrio,  quello  si  riferisce 
assai  convenientemente,  siccome  emblema  della  forza,  alla 
figura  di  Roma  che  campeggia  nel  rovescio. 

Riassumendo  ora  tutte  le  osservazioni  fatte  sin  qui  in  uno 
sguardo  generale,  possiamo  stabilire  i  seguenti  punti  capitali: 

I.  La  figura  di  Roma  si  sviluppa  prima  fuori  della  città 
e  sotto  forme  assai  vicine  a  quelle  della  Pallade  pacifera. 

IL  La  personificazione  della  città  prende,  per  dir  cosi, 
nuovo  nascimento  in  Roma,  conformandosi  a  tradizioni  na- 
zionali, ed  assume  una  figura  che  ad  esse  accenna.  Il  suo 
tipo  adunque  ebbe  dapprima  in  Roma  un  significato  esclu- 
sivamente mitico  e  leggendario  e  tutto  alludente  alle  prime 
origini  del  popolo,  delle  quali  fu  come  una  sintesi  figurata. 

III.  Roma,  benché  riiai  in  movimento  concitato,  con- 
servò sempre  carattere  guerriero  e  la  sua  allegoria  passò 
dalla  espressione  dei  vaticini,  che  promettevano  a  lei  guerre 
gloriose  e  trionfi,  all'espressione  delle  guerre  stesse  e  dei 
felici  loro  esiti,  rappresentati  dai  trofei,  dalle  corone  e  dal 
primo  apparire  di  Vittoria  insieme  con  Roma. 

IV.  Finalmente  la  riflessione  portata  sugli  avveni- 
menti stringe  ancor  più  il  legame  tra  le  antiche  tradizioni 
e  i  fatti  avvenuti  :  e  questo  è  mostrato  dal  tornare  per  un 
momento  alla  espressione  delle  leggende  e  poi  di  nuovo  a 
Roma.  Questa  riflessione  che  il  popolo  romano  portò  su 
sé  stesso,  mentre  s'accorgeva  della  veridicità  delle  promesse 
divine  insieme  coi  trionfi  degH  ultimi  tempi  della  repub- 
blica, diedero  nuovo  carattere  alla  figura  di  Roma.  Essa, 
cioè,  restò  tuttavia  guerriera,  ma  crebbe  a  segno  tale  in  di- 
gnità che  acquistò  il  maestoso  carattere  di  regina.  Ciò  fu 
come  la  preparazione  al  futuro  suo  trasformarsi  in  divinità: 
ma  sino  ad  ora  però  nulla  si  trova  nella  sua  figura  che  ac- 
cenni a  qualche  cosa  di  divino  :  ella  non  è  altro  che  la 
personificazione  della  città  e  della  repubblica. 

Quanto  alle  figure  speciali,   il  Kenner  stabilisce  due 
gruppi,  l'uno  nel  quale  Roma  è  divinità  locale,  l'altro  che 


9^  QA,  Tarisolti 


comprende  le  allusioni  ai  vari  fritti' storici.  Ma  io  credo  che 
si  abbia  a  restringere  assai  il  significato  di  divinità  in  questo 
caso,  che,  cioè,  Roma  sia  divinità  locale,  come  lo  è,  per 
esempio,  il  Tevere,  cioè  collo  stretto  valore  di  personifi- 
cazione e  come  tale  riunisca  in  se  anche  l'idea  dell'antica 
eroina  progenitrice  della  schiatta  romana.  Il  gruppo  che  il 
Kenner  poi  dice  formato  di  tutte  quelle  figure  che  accen- 
nano ad  avvenimenti  storici  mi  sembra  poi  che  sia  tutt'uno 
colla  personificazione  della  città.  In  altre  parole,  siccome 
molti  avvenimenti  formano  poco  a  poco  nuove  condizioni, 
sicché,  come  loro  conseguenza,  avviene  un  qualche  rivol- 
gimento che  tutte  le  riassume  e  le  sintetizza,  cosi  i  vari 
tipi  che  alludono  ai  differenti  fatti  storici  precedono  e  pre- 
parano la  formazione  del  nuovo  tipo  di  Roma  vittoriosa  e 
dominatrice. 

E  poiché  siamo  tornati  a  parlare  del  lavoro  del  Kenner, 
quel  che  egli  dice  dell'aver  il  popolo  romano  perduto  il 
sentimento  di  nazionalità  in  seguito  alle  conquiste  (i)  mi 
sembra  che  s'abbia  a  trasportare  al  tempo  in  cui  i  popoli 
già  conquistati  cominciarono  a  mescolarsi  ed  a  fondersi 
in  Roma.  Cosi  è  vero  ciò  che  egli  dice  della  trasformazione 
della  società  romana  e  della  perdita  degli  ideali  politici, 
ma  mi  sembra  affrettata  la  conclusione  che  egli  ne  trae 
che,  cioè,  questi  rivolgimenti  portarono  nell'allegoria  il 
momento  ufficiale  (2).  Invece  mi  sembra  che  la  figura  di 
Roma,  fino  alle  ultime  che  abbiamo  considerato,  conservi 
ancora  assai  di  vita  e  di  significato  :  mentre  quella  osser- 
vazione si  può  fare  giustamente  sulle  monete  del  tempo 
imperiale. 

Ed  ora,  prima  di  abbandonare  questa  trattazione,  note- 
remo come  la  figura  che  il  Kreuzer  attribuisce  a  Roma, 
per  essere   troppo   comprensiva,  non   risponde  ad  alcuna 


(i)  Op.  cit.,  p.  20. 
(2)  Op.  cit.,  p.  19. 


Evoluitone  del  tipo  di  ^I{oma  97 

rappresentanza  speciale.  Egli  la  descrive  con  elmo  e  spada, 
sedente  sopra  i  sette  colli,  con  una  lupa  lattante  i  gemelli 
presso  di  lei  e  più  lungi  il  Tevere  :  il  qual  tipo  è  come  una 
riunione  dei  differenti  emblemi  di  molte  figure  senza  essere 
nessuna  di  (Quelle,  e  per  ciò  stesso  è  assai  vago  ed  inde- 
terminato (i). 


IL 

IL  CULTO  DELLA  DEA  ROMA. 

Poiché  i  templi  eretti  in  onore  di  Roma  ebbero  una 
storia,  e  poiché  lo  sviluppo  di  questo  culto  ha,  come  é 
naturale,  stretta  relazione  coi  vari  mutamenti  del  tipo  che 
noi  ci  siamo  proposti  di  studiare,  credo  opportuno  tener 
parola  di  esso  culto  e  delle  sue  manifestazioni  in  un  capi- 
tolo speciale.  Quanto  alla  convenienza  del  porre  questa 
trattazione  dopo  lo  studio  sulle  rappresentanze  repubblicane 
e  prima  di  quello  sulle  imperiali,  mi  hanno  indotto  a  ciò 
due  ragioni.  In  primo  luogo  la  storia  dei  templi  comincia 
prima  delle  più  antiche  figure  sulle  monete  e  termina,  si 
può  dire,  al  secondo  secolo  dell'era  volgare;  perciò  è  na- 
turale trattare  di  questo  soggetto  tra  la  repubblica  e  T  im- 
pero: in  secondo  luogo  il  culto  di  Roma  ha  servito  per 
dare  alla  sua  figura  un  carattere  speciale  che  riunisce  in  sé 
quello  dei  tipi  precedenti  e  forma  il  passaggio  alla  figura 
del  tempo  imperiale. 

Il  Kenner,  che  nella  fine  del  suo  lavoro  dedica  poche 
parole  al  soggetto  che  imprendiamo  a  trattare,  si  contenta 
di  enumerare  i  templi  eretti  alla  dea  Roma  senza  ricercare 
quali  fossero  le  cagioni  di  un  tal  culto  e  quale  importanza 

(i)  Symholik  una  Mythologicj  p.  846. 
Archivio  delta  R.  Società  romana  dittoria  patria.  Voi.  XI.  7 


98  qA.  Tarisotti 

esso  abbia  nella  storia  si  del  tipo  di  Roma  e  si  del  popolo 
romano. 

Il  Klùgmann  ne  fa  un  breve  cenno  sul  principio  del 
suo  opuscolo,  ma  più  vi  si  diffonde  il  Preller  nella  sua  ci- 
tata opera  sulla  mitologia  romana.  Noi  ci  restringeremo 
alle  cose  di  maggior  importanza,  senza  però  perder  d'occhio 
il  nostro  scopo,  cioè  di  conoscere  quale  influenza  ebbe  il 
culto  di  Roma  sulle  modificazioni  del  tipo  di  essa  nelle 
rappresentanze  figurate. 

Racconta  Plutarco  (i)  che  il  console  Flaminino  diede 
la  libertà  alle  città  greche  dell'Asia,  e  subito  appresso  sog- 
giunge (2)  che  nella  città  di  Calcide  si  cantava  anche  ai 
suoi  tempi  un  inno  in  onore  di  Flaminio  che  terminava 
colle  seguenti  parole  : 

xàv  [Ac-^aXsuxTOTarav   opscoi^  cp'jXdcrastv 

uÀXtzztz  )coupai 

^rva  [jÀ-^as  'Pwaav  ts  Tìton  s'  àf/.a  "^Ptóu.a'cov  re  tticttiv 

Iris  Tlaiàv   w  Ti'xs   awrep. 

Tacito  (3),  dopo  aver  parlato  delle  undici  città  dell'Asia 
che  si  disputavano  l'onore  di  erigere  un  tempio  a  Tiberio, 
dice  che  quelli  che  avevano  migliori  ragioni  erano  gli 
Smirnei  e  i  Sardiani  :  quelli  tra  gli  altri  loro  meriti  adduce- 
vano  «  se  primos  templum  urbis  Romae  statuisse  M.  Porcio 
«  consule  magnis  quidem  iam  populi  romani  rebus,  nondum 
((  tamen  ad  summum  elatis,  stante  adhuc  punica  urbe  et 
«  validis  per  Asiam  regibus  ».  Confrontando  adunque  i  rac- 
conti di  Plutarco  e  di  Tacito,  non  potremo  dubitare  che 
il  tempio  sia  stato  innalzato  dagli  Smirnei  nell'occasione 
del  fatto  di  Flaminino. 

Nel  582   di  R.  poi  la  città  di  Alabanda  nella   Caria, 


(i)  Flam.,  12. 

(2)  Ivi,  16. 

(0  Ann.,  IV,  56. 


Epo! untone  del  tipo  dì  ^oma  99 

stretta  con  altre  in  guerra  contro  Perseo,  mandò  un'am- 
basceria a  Roma,  e  i  legati  portano  come  un  vanto  della 
loro  patria  l'aver  eretto  un  tempio  alla  dea  Roma  e  l'aver 
istituito  giuochi  annui  in  onore  di  lei  (i),  i  quali  saranno 
assai  probabilmente  quelli  che  spesso  troviamo  menzionati 
col  nome  di  Twfiatà  (2).  Dopo  questi  templi  un'  iscrizione 
del  comune  dei  Liei  (3)  ora  perduta  sembra  offrire  al  Se- 
nato, a  Giove  Capitolino  e  al  popolo  romano  una  statua 
di  Roma  o  qualche  altro  anatema  simile.  Altre  iscrizioni  (4) 
parlano  di  onoranze  rese  al  popolo  romano,  ma  poche 
con  tanta  precisione  ci  dicono  gH  onori  fatti  a  Roma  ed  al 
suo  simulacro,  come  quella  trovata  a  Milo  presso  il  teatro  (5). 
Il  testo  di  questa  iscrizione  merita  di  essere  trascritto: 

OAHMOSOMAAIQNETIMASEN 

TANPQMANEIKONIXAAKEAI 

KAISTEOANQIXPrSEQI 

APETHSENEKAKAIETEP 

rESIASTASEISEATTON 

nOATANBHS  SQKPATEIS 
EnOIHSEN 

Da  questa  adunque  sappiamo  che  la  popolazione  di  Milo 
pei  soliti  benefìci  di  Roma  le  aveva  innalzato  una  statua  di 
bronzo  e  le  aveva  dedicato  una  corona  d'oro  :  e  sappiamo 
ancora  che  il  lavoro  fu  eseguito  da  Pollante  Socrateo,  nome 
finora  ignoto  nella  storia  dell'arte. 


(1)  «  Templum  urbis  Romae  se  fccisse,  ludosquc  anniversarios 
«  ei  divae  constituisse  ».  Livio,  XLIII,  6. 

(2)  Cf.  Preller,  Rom.  Myth.y  II,  p.  354. 

(3)  C.  /.  L.,  VI,  I,  373.  Aux^wv  TÒ  xoivòv  xoy.taàagvov  tt^v  irarpiav 
òtiu.ojtpaTtav  t:^,v 'Próainv  Au  KaireToX'a)  xal  T'Ò  5ry.w  twv  'Pwy.aiwv  àperi^; 
ittMH  xai  eùvoi'a?  xal  eùjp-yeaia;  rr;  eie  tì  xoivò'^  tò  Auxtwv. 

(4)  C.  /.  L.,  VI,  374. 

(5)  Bull,  deli' Ist.,  1860,  p.  56. 


00  «^-  ^arisotti 


Il  culto  di  Roma  era  adunque  già  tanto  fiorente  prima 
di  Augusto  (i)  che  il  popolo  di  Milo,  non  certo  tra  i 
primi  dei  greci,  erigeva  in  onore  di  lei  un  si  ricco  monu- 
mento. In  Roma  invece  neppure  la  più  lontana  idea  di 
culto,  e  così  le  impronte  monetarie  rappresentanti  Roma 
cominciano  presso  i  Locri  epizefiri,  cioè  presso  Greci.  La 
cagione  di  un  fiuto  cosi  strano  mi  sembra  si  possa  assai 
facilmente  ritrovare  nelle  condizioni  dei  popoli  ellenici  in 
quel  tempo. 

La  caduta  delle  libertà  al  tempo  di  Filippo  e  di  Ales- 
sandro, la  corruzione  dei  tempi  che  seguirono,  le  lotte,  lo 
stabilirsi  delle  grandi  monarchie  bruttate  dal  fasto  orien- 
tale, avevano  dato  ai  Greci  quel  carattere  di  servilismo  che 
non  perdettero  più  di  poi.  Finché  essi  respinsero  i  Persiani 
mantenendosi  nei  limiti  propri,  conservarono  il  loro  spirito 
nazionale;  quando  invasero  le  terre  orientali  e  si  mescola- 
rono coi  barbari  e  da  loro  accettarono  usanze  e  modi,  ne 
ebbero  quello  stesso  danno  per  evitare  il  quale  avevano 
combattuto  Leonida  e  Aristide  e  Temistocle;  perdettero 
cioè  lo  spirito  di  libertà  e  quel  santo  orgogHo  di  Greci,  e 
furono  pronti  a  genuflettersi  innanzi  ad  un  mortale. 

Chi  non  ricorda  le  basse  e  vergognose  adulazioni  di 
cui  furono  oggetto  Antigono  e  Demetrio  Poliorcete  ?  Il 
sacro  peana  trasportato  ad  onorare  un  uomo,  e  il  tempio 
divenuto  comune  segno  del  culto  per  mortali  ed  immor- 
tali. In  simili  eccessi  ancora  si  intende  assai  bene  come 
dovessero  andare  assai  più  innanzi  i  Greci  d'Asia  siccome 
quelli  che  avevano  sempre  avuto  più  somiglianza  cogli 
orientali.  Perciò  il  culto  prestato  a  Roma  dovette  fiorire 
assai  presto  presso  tutti  quei  popoli  sì  per  T  importanza  che 
aveva  per  essi  l'amicizia  di  Roma  e  sì  perchè,  come  dice 

(i)  Il  Mommsen  crede  che  l'iscrizione  di  Milo  sia  del  tempo 
della  repubblica,  perchè  se  fosse  stata  dei  tempi  imperiali  avrebbero 
i  cittadini  di  Milo  unito  alla  statua  di  Roma  quella  di  Augusto. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^oma  loi 

il  Kliigmann,  «  le  idee  elleniche  si  combinavano  in  modo 
«  singolare  col  culto  monarchico  »  (i).  Ma  il  grande  svi- 
luppo di  esso  ebbe  luogo  al  tempo  di  Augusto  :  allora  in- 
finite città  eressero  templi  in  onore  di  Roma,  e  finalmente 
ne  sorse  uno  nella  stessa  capitale  dell'  impero.  La  cagione 
però  di  questo  nuovo  movimento  non  fu  solo  il  servilismo 
greco,  bensì  anche  il  senno  politico  dell'accorto  Ottaviano. 
Infatti,  allorché  Augusto  sali  al  trono,  permise  alle  città 
che  lo  richiedevano  già  da  lungo  tempo,  di  innalzare  templi 
al  divo  Giulio  od  a  sé,  purché  fossero  comuni  anche  alla 
dea  Roma.    Questa  importante  notizia  ci  è  data  da  Sue- 
tonio  (2),  il  quale   aggiunge   poi  che  in    città  fu    sempre 
alieno  dal  concedere  questo  permesso.  Ecco  le  parole  dello 
storico  :  «  tempia...  in  nulla  provincia  nisi  communia  suo 
<(  Romaeque  nomini  recepit  :  nam  in  Urbe  quidem  perti- 
«  nacissime  abstinuit  hoc  honore  ».  Non  é  difficile  inten- 
dere la  cagione  di  questo  suo  ostinato   rifiuto.  Egli  che 
cercava  di  illudere  il  popolo  dando  a  credere  di  voler  es- 
sere un  semplice  cittadino,  non  poteva  permettere  che  gH 
si  erigessero  templi  in  città.  Ma  per  le  provincie  la  cosa 
era  ben  differente  :  là  Augusto  rappresentava,  per  cosi  dire, 
il  popolo  romano;  l'astuto  imperatore  perciò  volle  mettere 
a  profitto  la  servilità  greca  che  gli  offriva  onori  divini,  ac- 
cettandoli solo  alla  condizione  che  il  proprio  tempio  fosse 
il  medesimo  che  quello  della  dea  Roma.  Così  egli  strinse 
la  propria  persona  alla  personificazione  dello  Stato,  ciò  che 
assodava  sempre  più  il  suo  potere,  poiché  lusingava  l'or- 
goglio romano  facendogli  credere  che  nella  persona  del- 
l'imperatore si  venerasse  davvero  il  popolo  stesso  che  era 
da  quello  rappresentato,  e  nella  dea  Roma  la  repubblica 
alla  quale   nessuno  certo  rifuggiva  dal  tributare  i  massimi 


(r)  Klugmann,  op.    cit.,  p.   7,  e  cf.  anclic  il   Preli.i-r,  op.  cit. 
^l  354. 

(2)  Octav.,  52,  e  Tacito,  Ann.,  I,  io;  IV,  37. 


102  G^.  ^art sotti 


onori.  Fu  adunque  in  seguito  a  questo  sapiente  permesso 
di  Augusto  che  nelle  provincie  sorsero  templi  a  lui  sacri 
ed  alla  dea  Roma,  ed  in  quelle  città  dove  esisteva  già  un 
tempio  ad  essa  fu  aggiunto  nella  cella  il  simulacro  dell'  im- 
peratore. Una  preziosa  iscrizione  (i)  ci  fa  sapere  che  il 
decreto  col  quale  fu  permesso  agli  Asiani  di  celebrare  il 
natalizio  di  Augusto  fu  fatto  da  Paolo  Massimo,  proconsole 
in  quella  provincia  dopo  Fu  a.  C,  anno  in  cui  era  stato 
console,  ed  è  importante  ricordare  un  tal  personaggio  che 
ci  richiama  alla  mente  forse  il  padre  di  quello  di  cui  parla 
Orazio  con  tanta  lode  (2). 

Il  permesso  di  Augusto  ebbe  subito  effetto  nella  città 
di  Pergamo  (3),  dove  sorse  un  tempio  dedicato  TcafA-o  xal 
SspaaTw,  mentre  le  monete  della  città  presentano  Roma 
turrita  coli'  iscrizione  6EAN  PQMHN  e  cosi  più  tardi,  al 
tempo  di  Traiano,  sulle  monete  della  stessa  Pergamo  è 
rappresentato  un  tempio  con  Augusto  armato  di  asta  e  co- 
ronato dalla  dea  Roma,  che  ha  tra  le  mani  il  corno  del- 
l'abbondanza ed  intorno  la  leggenda  PQMHi  KAI  SEBA- 
2TQi  (4).  Dione  Cassio  racconta  che  la  stessa  conces- 
sione fu  fatta  ad  Efeso  e  a  Nicea,  che  eressero  templi  a 
GiuHo  ed  alla  dea  Roma,  e  che  gli  Asiani  potevano  tribu- 
tare onori  divini  ad  Augusto  ed  alla  dea  Roma  nel  capo- 
luogo della  provincia,  cioè  a  Pergamo,  e  i  Bitini  a  Nico- 
media  (5).  E  molte  monete,  infatti,  portano  impresso  un 
tempio  colle  parole  communitas  Asiae  (6). 

L'esempio  di  queste  fu  seguito  poi  da  quasi  tutte  le 
altre  città  principaH  delle  provincie  dell'  impero.  Milasa  (7), 

(i)  C  L  Gr.  Ili,  3902 Z^. 

(2)  Lib.  IV,  ode  I,  vv.  io,  11. 

(3)  Tacito,  Ann.,  IV,  37. 

(4)  ECKHEL,  D.  N.,  VI,    lOI. 

(5)  LI,  20. 

(6)  Cohen,  «  Med.  imp,  Octav.  Aug.  »,  n.  34. 

(7)  Caylus,  Ree.  d'antiq.,  II,  189-190;  C.  I.  Gr.,  II,  n.  2696. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^I{oma  103 

Cuma  (i),  e  poi  i  Nysacenses  (2),  e  i  Cizicieni  (3), 
tutti  edificarono  templi  in  onore  delle  stesse  due  divi- 
nità. Le  città  di  Galazia,  cioè,  Ancira,  Pessinus,  Ta- 
vium,  ecc.,  chiesero  di  essere  chiamate  Sepaaxai,  ed  il  co- 
mune dei  Calati  ebbe  il  sacerdozio  del  tempio  di  Augusto 
costituito  nella  loro  capitale,  cioè  Ancira  (4),  la  dedicazione 
del  qual  sacrario  ebbe  luogo  circa  9  anni  dopo  l'era  vol- 
gare. A  Cesarea  poi,  Erode  fece  edificare  un  tempio  assai 
sontuoso,  nel  quale  Augusto  era  effigiato  sotto  le  sembianze 
di  Giove  Olimpico,  e  la  dea  Roma  sotto  quelle  di  Giunone 
argiva  (5),  ed  a  questo  proposito  è  da  notare  il  riscontro 
tra  la  figura  di  Ottaviano  e  quel  che  racconta  Suetonio  del 
padre  di  lui,  che,  essendo  in  Tracia,  vide  in  sogno  suo  fi- 
glio simile  in  tutto  a  Giove  Olimpico  (6).  Un  altro  tempio 
splendido,  di  forma  rotonda  e  con  un  peristilio  di  12  co- 
lonne, sorse  in  Atene:  esso  anzi  restò  in  piedi  sino  al  tempo 
di  Maometto  II  (7).  Né  è  da  credere  che  la  divinizzazione 
di  Augusto  e  Roma  si  limitasse  alle  città  dell'Asia:  anzi 
poco  a  poco  si  propagò  per  tutte  le  provincie  dell'  impero 
e  basta  dare  un'occhiata  al  C.  I.  L.,  per  convincersi  che 
la  Spagna  (8),  il  Norico,  la  Pannonia  (9),  l'Africa  muni- 


(i)  C.  I.  Gr.,  II,  n.  3524  ó  hri[J.o<i  Kaioapt  Ssoo  uifT)  ae^aaTo  h^yii^v. 
;v,j-ylaT<i)  xat  3eà  'Ptóu-Yl,  e  CayLUS,  Ioc.   cit. 

(2)  C.  I.  Gr.,  II,  2943. 

(3)  Tacito,  Ann.,  IV,  36;  Dione,  LVII,  24. 

(4)  ZuMPT,  Mon.  Ancyr.,  p.  4  e  sgg.  L'iscrizione  diceva:  TAAA 
'mN[T]0[KOINON  -  lE]  PASAMENON  -  0EQi  lEBAITlli  -  KAI  0EAi 
PtiMHi.  C.  /.  O.,  Ili,  4039. 

(5)  Gius.  Flav.,  Antiq.  lud.,  XV,  13  ;  De  Bello  lud.,  I,  21,  7. 

(6)  Octav.,  94. 

(7)  Beulé,  L'Acrop.  d'Athènes,  II,  pi.  i,  p.  206.  L'iscrizione  di 
questo  tempio  ò  nel  Corpus  del  Boekh.,  I,  n.  278. 

(8)  C.  /.  L.,  II,  750.  Questa  provincia  chiese  il  permesso  a  Ti- 
berio. V.  Tacito,  Ann.,  I,  78. 

(9)  C.  I.  L,  Ili,  3368-5443. 


104  ^'  T^^^^isoiti 


cipale  (i)  e  la  Gallia  (2)  avevano  anche  esse  siffatti  templi 
e  sacerdozi.  Sappiamo  anzi  che  a  Lugdunio  v'era  un  tempio 
per  tutta  la  comunità  dei  Galli,  ed  un'ara  coli'  iscrizione 
di  60  popoli;  che  esso  fu  dedicato  nel  742  di  R.,  e  ne  fu 
fatto  sacerdote  C.  Giulio  Vercondaridubio  di  nazione 
Eduo  (3):  secondo  Dione,  però,  la  festa  di  Augusto  cele- 
bravasi  già  da  due  anni  anni  a  Lugdunio  (4).  Quanto  al- 
l' Itaha,  lo  stesso  storico  dice  che  Augusto  non  v'ebbe  mai 
culto  (5).  Ma  questa  notizia  è  errata,  poiché  il  tempio  di 
Fola  d' Istria,  dedicato  ROMAE  ET  AUGUSTO  GAE- 
SARI  DIVI  F.  PATRI  PATRIAE,  fu  fatto,  forse,  mentre 
egli  era  vivo  (^),  ed  altrettanto  possiamo  supporre  per 
Verona,  Pavia,  Brescia,  Trento  (7),  Sorrento  (8),  Ostia  (9) 
e  Terracina  (io),  delle  quali  sappiamo  che  avevano  altari  e 
sacerdoti  in  onore  di  lui.  A  Napoli,  anzi,  si  celebravano 
anche  giuochi  (n),  e  possiamo  ben  credere  che  per  l'Italia 
si  serbasse  la  stessa  legge  che  per  le  provincie,  che,  cioè, 
il  caesareiim  dovesse  avere  anche  l'immagine  di  Roma. 

Dall'altro  canto  erra  anche  Aurelio  Vittore,  il  quale  af- 
ferma che  non  solo  nelle  provincie,  ma  anche  in  Roma  si 


(i)  C.  /.  L.,  Vili,  1091. 

(2)  Strabone,  IV"  p.  m.  292,  e  Suet.,  Claud.,  2;  Dione,  LIV,  32. 
Per  il  culto  di  Roma  ed  Augusto  nelle  provincie  v.  anche  Ephemeris 
epigraphica,  l,  200  e  sgg. 

(3)  Stradone,  Suet.  e  Dione,  Ioc.  cit.,  e  Livio,  ep.  L,  137. 

(4)  Questo  tempio  si  vede  effigiato  ^opra  una  moneta  di  Lione 
e  le  colonne  dell'altare  ancora  esistenti,  segate  in  due  pezzi,  servono 
ora  come  pilastri  per  sorreggere  la  vòlta  del  coro  nella  chiesa  di  Aisnay. 
V.  MiLLiN,  Gal.  mit.,  664,  clxxxviii. 

(5)  Dione,  LI,  20. 

(6)  EcKHEL,  D.  N.,  VI,  135. 

(7)  C.  I.  L.,  V,  parte  I,  n.  5036. 

(8)  Ivi,  X,  688. 

(9)  Orelli,  7172-7174. 

(io)  C.  L  L.,  X,  parte  I,  6805. 
(11)  Preller,  op.  cit-,  p.  355 


Evoluiione  del  tipo  di  T{oma  105 

ebbero  templi  ad  Augusto,  vivente  lo  stesso  monarca  (i), 
notizia  che  è  smentita  da  tutti  gli  altri  scrittori  (2). 

Morto  Augusto^  però,  si  cominciò  dal  consacrare  la 
casa  dove  era  nato  (3),  e  poi  la  casa  a  Nola  dove  aveva 
cessato  di  vivere  (4),  e  Tiberio  e  Livia  gli  edificarono  un 
tempio  nella  regione  X  (5).  Questo  sacrario,  a  somiglianza 
di  quelli  delle  provincie,  ebbe  anch'esso  le  due  immagini 
di  Roma  e  di  Augusto?  Esso  è  sempre  chiamato  iempliun 
Augusti  siccome  quelH  delle  provincie  benché  avessero  anche 
la  dea  Roma,  ed  è  perciò  opinione  comune  che  a  lui  solo 
forse  consacrato,  tuttavia  è  notevole  che  le  medaglie  di 
Tiberio  e  di  Caligola  l'uno  dei  quali  cominciò  l'edificio  e 
l'altro  lo  dedicò,  hanno  un  tempio  colla  scritta  ROM.  ET 
AUG.  (6).  Sappiamo  ancora  che  nell'  incendio  neroniano, 
il  tempio  fu  distrutto  e  poi  subito  riedificato.  Quanto  alle 
persone  che  vi  si  veneravano,  v'è  chi  dice  che  vi  fu  ado- 
rata anche  Livia  (7)  la  quale  sarebbe  stata  posta  nel  tempio 
da  Claudio,  ma  sul  primo  ella  non  fu  che  sacerdotessa  (8). 
Una  moneta  di  Antonino  Pio  accenna  evidentemente  al 
restauro  flitto  al  tempio  di  Augusto,  mostrando  nel  ro- 
vescio un  tempio  ad  otto  colonne  con  due  figure  nel- 
l' interno  ed  intorno  le  parole  TEMPL.  DIV.  AVO. 
REST.   COS.    IIIL    S.  C.  (9).  Un    esemplare    del  pro- 

(i)  Hist.  abh.,  parte  II,  i,  §  6. 

(2)  In  Roma  invece  i  poeti  chiamavano  nume  Augusto  (Ovidio, 
Ars  amandi,  III,  vili,  51;  Orazio,  IV,  5),  uso  che  si  perpetuò  poi 
e  contro  il  quale  si  scagliò  Marziale,  Vili,  15. 

(3)  SuETON.,  Ociav.,  5. 

(4)  EcKHEL,  D.  N.,  VI,  125. 

(5)  Plin.,  Hist.  Nat.,  XII,  19;  Dio.,  LXI,  46,  42;  Muratori,  he, 
p.  CLXXvii,  n.  I  ;  Becker,  Thopo^raphie,  p.  430. 

(6)  Cohen,  I,  «  Calig.  »,  nn.  18,  19,  20;  w  Tib.  »,  nn.  39,40,41, 
42,  43»  44,  45»  46. 

(7)  Muratori,  loc.  cit.  ;  Dìo.,  LX,  5. 

(8)  Eckhel,  D.  N.,  vi,  125. 

(9)  Cohen,  II,  797.  Antonino  in  questa  moneta  ha  la  XXII  po- 
testà tribunizia. 


io6  qA.  Tarisottì 


spetto  deir  antico  tempio  lo  abbiamo  forse  in  quel  ri- 
lievo che  esisteva  altre  volte  alla  villa  Medici,  e  del  quale 
non  si  vede  oggi  che  una  copia  gettata  in  gesso.  Esso  è 
composto  di  una  gradinata,  sulla  quale  si  innalzano  otto 
colonne  corinzie,  che  sorreggono  un  timpano  ornato  ai 
lati  da  Vittorie  :  tra  le  figure  del  frontone  v'è  una  Venere 
che  ricorda  la  famiglia  di  Augusto  (i).  Una  figura  barbata 
nel  mezzo  ha  fatto  credere  che  si  trattasse  del  tempio  in- 
nalzato da  Adriano,  ma  quello  era  decastilo,  come  vedremo 
più  tardi.  Il  prospetto  di  un  altro  di  tali  templi,  ma  posteriore 
ad  Antonino,  è  rappresentato  in  un  piccolo  rilievo  edito  nella 
Archàologìsche  Zdtiing  (2),  di  cui  diamo  una  riproduzione 
alla  tav.  I  (V.  in  fine).  Esso  è  annesso  alla  base  di  una  statua 
della  Galleria  delle  Statue  al  museo  Chiaramontì  (3).  Seb- 
bene il  lavoro  sia  pessimo  ed  accenni  appunto  ad  un'età 
anche  posteriore  a  quella  degh  Antonini,  l' importanza  di 
questo  marmo  non  è  piccola.  Sopra  una  gradinata,  indicata 
da  linee,  s'innalzano  le  sei  colonne  che  sorreggono  il  fron- 
tone :  neir  interno  si  vedono  i  due  simulacri  posti  nelle 
celle:  quello  alla  sinistra  di  chi  guarda  si  riconosce  subito 
per  Roma,  dal  capo  galeato,  dalla  corta  tunica  e  dalla  mam- 
mella destra  scoperta  :  la  dea  si  appoggia  colla  sinistra  sullo 
scudo  e  colla  destra  sull'asta.  L'altra  divinità  è  col  capo  tur- 
rito ed  il  corno  dell'abbondanza  nella  mano  sinistra  ed  è 
in  generale  creduta  Fortuna;  non  si  potrebbe  supporre  esser 
essa  Livia  sotto  le  sembianze  di  una  Tyche,  ovvero  della 
Magna  Mater?  L'artista  per  amore  di  simmetria  avrebbe 
in  tal  caso  sostituito  ad  Augusto  l' immagine  di  Roma. 
Oltre  il  caesareum,  che  sappiamo  essere  stato  costruito 

(i)  ZoEGA,  app.,  381,  37;  Bull,  deirist.,  1853,  ^4^5  ^^^^^^-  deU'Ist., 
V,  40;  Annali  dell' IsL,  1852,  358;  Codex  Cohurgensis,  467,  38. 

(2)  Voi.  V,  p.  49,  tav.  4.  L' illustratore  propone  come  congettura 
la  interpretazione  delle  lettere  che  si  vedono  ai  lati,  così  :  IN  HAC 
AEDe  saBINI  MATerni  luDI  LOCANTUr. 

(3)  La  statua  è  segnata  col  n.  401. 


Evoluiione  del  tipo  dì  l^ma  107 

nel  bosco  dei  fratelli  Arvali,  troviamo  menzionato  anche  mi 
tempìum  Romae  et  Augusti,  ovvero  solamente  Romac,  nel 
fóro,  e  precisamente  facente  parte  di  quel  gruppo  di  tre  edi- 
fici, che  oggi  formano  la  chiesa  de'  Ss.  Cosma  e  Damiano. 
Ma  questa  denominazione  di  tempìum  Urbis  sembra  che 
sia  assai  tarda  e  non  abbia  a  che  far  nulla  col  culto  della  dea, 
essendo  forse  originata  dall'essere  stata  affissa,  nei  tempi 
di  Severo,  sulle  pareti  di  quel  monumento  la  pianta  mar- 
morea, i  cui  avanzi  sono  oggi  al  Campidoglio,  la  quale  rap- 
presenta appunto  la  città  ai  tempi  Severiani  (i). 

Ma  col  procedere  del  tempo  la  divinizzazione  di  Roma 
fece  ancora  un  passo  di  più  :  in  tutti  i  templi  che  abMamo 
sinora  veduto,  essa  dea  era  ancora  assai  terrena,  anzi  unita 
nel  culto  ad  un  mortale,  mentre  più  tardi  essa  divenne  una 
divinità  di  ordine  superiore. 

Adriano  le  innalzò  l'ultimo  e  più  magnifico  tempio,  co- 
mune anche  alla  figlia  stessa  di  Giove,  a  quella  Venere,  dalla 
quale  Roma  in  certo  modo  ripeteva  la  sua  origine.  Di 
questo  splendido  edificio,  ideato,  come  credesi,  dallo  stesso 
imperatore,  rimangono  oggi  pochi  avanzi  presso  la  chiesa 
di  Santa  Francesca  Romana  al  Foro.  Sarebbe  cosa  troppo 
lunga  il  parlare  qui  distesamente  dell'edificio  Adrianeo  e 
perciò,  piuttosto  che  darne  qualche  cenno  generale,  riman- 
diamo il  lettore  ad  un  recente  ed  accurato  lavoro  di  un  pen- 
sionato dell' AccademiaNazionale  di  Francia,  il  signor  Laloux, 
il  quale  si  è  nuovamente  occupato  della  restaurazione  di 
quell'importante  monumento  (2). 

De'  simulacri  che  si  veneravano  in  tutti  questi  tempH 
non  ci  rimane  disgraziatamente  nulla,  ma  sino  ad  un  certo 

(i)  De  Rossr,  Boll,  d'arch.  crisi,  a.  1867,*  p.  62  e  sgg.  ;  Lancian'I, 
Boll,  comm.,   1882,  p.  48  e  sgg. 

(2)  Mélanges  d'arch.,  1872,  III- IV.  -  V.  anche  il  rilievo  che  si  crede 
una  copia  del  tempio  di  Adriano.  Canina,  Edijìi.,  II,  tav.  lii,  i,  ecc. 
Un  frammento  del  fregio  di  questo  tempio  esiste  in  Roma  presso  lo 
scalpellino  Viti. 


io8  G^.  Tarisotti 


punto  però  ci  è  possibile  di  fare  delle  congetture  abbastanza 
fondate. 

In  primo  luogo  le  immagini  che  dovettero  essere  con- 
sacrate alla  dea  Roma  nelle  città  di  Smirne  e  Alabanda  sin 
dal  tempo  della  repubblica  assai  probabilmente  ebbero  una 
figura  simile  a  quella  di  Pallade,  non  essendo  ancora  co- 
minciata una  personificazione  della  città  di  indole  più  na- 
zionale. Infatti  nel  didrachmon  dei   Locri  cpizefiri,  di  cui 
abbiamo  già  parlato,  Roma  ha  un  lungo  chitone  e  siede 
appoggiando  il  braccio  destro  sopra  lo  scudo  in  una  posi- 
tura simile  a  quella  che  spesso  ha  Minerva  pacifica.  Più 
tardi  poi  nei  templi  delle  città  dell'Asia  Minore  la  dea  Roma 
fu  rappresentata  variamente  secondo  i  culti  locali:  sicché 
ella  ebbe  la  figura  di  una  Tyche  o  della  Magna  Mater  e  per- 
sino di  Giunone  argiva  (i).  Ma  tutte  queste  rappresentanze 
ebbero  quasi  sempre  un  fondo  comune  che  si  riferisce  al 
tipo  della  moneta  di  C  Vihiiis  C.  f.  C.  n.  Pausa,  che  ab- 
biamo già  esaminato.  Infatti  sulle  monete  di  Papirio  Car- 
bone a  Nicomedia,  Roma  difì^erisce  da  quella  di  Fìbhis  Pausa 
solo  perchè  tiene  ella  stessa  in  mano  la  figura  della  Vittoria 
e  perchè  ha  sulla  galea  una  corona  di  edera.  Così  in  quelle 
monete  coniate  da  C.  Cecilie  Cornuto  ad  Amiso,  Roma  ha 
la  stessa  figura  del  denario  di  Vibio,  salvo  che  calpesta  una 
galea  invece   del  globo  (2)  e  neppur  molta  differenza  si 
riscontra  in  un  denario  coloniale  di  Augusto  (3).  Finalmente 
una  statuetta  del  museo  Pio  dementino  illustrata  dal  Vi- 
sconti (4)  rappresenta  la  dea  Roma  nella  solita  maniera, 
cioè  sedente  sopra  una  corazza  con  un  corto  abito  e  col 
petto  a  destra  nudo,  un  piccolo  elmo  in  capo  e  colla  mano 
sinistra  poggiata  sul  parazonio^  mentre  colla  destra  ora  so- 


(i)  Preller,  op.  cit.,  II,  355;  Gius.  Flavio,  loc.  cit. 

(2)  Morelli,  Thes.,  «Caecilia»,  B. 

(3)  Ivi,  «  Plotia  ». 

(4)  Museo  Pio  CUnimtìno^  II,   15. 


EpoI unione  del  tipo  dì  ^oma  109 

stieiie  un'asta  evidentemente  mal  sostituita  ad  una  Vittoria 
sul  globo,  come  osserva  lo  stesso  Visconti  (i).  Questa  figura, 
che  concorda  cosi  bene  colle  altre  già  osservate,  mi  sembra 
che  ci  possa  dare  un' idea  della  immagine  di  Roma  nei  templi 
deiritaHa  e  delle  provincie  occidentah,  poiché,  confrontando 
quella  statuetta  colla  figura  del  bassorilievo  vaticano  già  ci- 
tato, le  troveremo  abbastanza  corrispondenti  tra  loro  :  perciò, 
considerando  che  ai  tempi  degU  Antonini  la  personifica- 
zione della  città  aveva  assunto  forme  differenti,  come  ve- 
dremo in  seguito,  potremo  ragionevolmente  credere  che 
in  quel  rilievo  si  sia  resa  l'effigie  di  Roma  come  era  in  qual- 
cuno dei  templi  suddetti.  Anche  simile  a  questa  fu  pro- 
babilmente il  s'igìium  reipubìicae^  di  cui  parlano  gli  storici  (2)  ; 
anzi,  osserva  il  Klùgmann  (3),  che,  come  il  Giove  di 
Ohmpia  aveva  in  mano  una  piccola  immagine  della  Vittoria, 
riferendosi  esso  strettamente  ai  giuochi,  cosi  il  Giove  Capi- 
tolino avesse  invece  quella  di  Roma,  quasi  come  fosse  il 
Palladio  ;  alla  quale  idea  accenna  anche  chiaramente  Dione 
Cassio. 

Ma  nel  tempio  innalzato  da  Adriano  la  dea  dovette 
essere  figurata  in  modo  assai  differente.  L'apogeo  a  cui  era 
giunta  la  potenza  romana  e  l'apoteosi  di  Roma  personifi- 
cata, che  già  durando  da  qualche  tempo  cominciò  necessa- 
riamente allora  ad  essere  meglio  compresa  e  più  sentita 
dal  popolo,  fecero  sì  che  ella  assunse  un'apparenza  assai 
più  maestosa.  Di  questo  cambiamento  del  tipo  dovremo 
parlare  più  particolarmente  in  appresso:  per  ora  basti  il  dire 
che  le  figure  del  tempio  di  Adriano  hanno  un  lungo  chi- 
tone, il  petto  coperto,  ed  invece  della  piccola  galea,  un 
grande  elmo  con  ricco  cimiero  e  con  una  specie  di  Stefana 
sul  dinanzi,  che  ha  l'apparenza  di  una  cinta  di  torri.  In  tal 


(i)  Loc.  cit. 

(2)  Su.ETON  ,  (>.!u..,  94;  Dio.  Cass.,  XLV,  2. 

(3)  Op.  clt.,  p.  9. 


no  C^.  Tarisottt 


guisa  è  rappresentata  nella  famosa  pittura  Barberiniana  (i), 
la  quale,  non  a  torto,  si  ritiene  aver  stretta  relazione  col 
simulacro  di  Roma  posto  nel  tempio  del  Foro. 

Riepilogando  ora  ciò  che  è  stato  detto  in  questo  capi- 
tolo, faremo  dei  templi  innalzati  in  onore  della  dea  Roma 
tre  classi: 

La  prima,  composta  di  quelli  antichissimi  di  Smirne  e 
di  Alabanda  colla  dea  simile  nell'aspetto  a  Minerva  o  me- 
glio alla  effigie  del  didrachmon  dei  Locri  epizefìri;  e  questi 
non  hanno  nessun  significato  veramente  reUgioso,  ma  solo 
uno  scopo  politico.  Essi,  cioè,  ci  dimostrano  non  che  sin- 
cera venerazione  fosse  sentita  per  la  dea  Roma  dai  popoli 
greci,  ma  piuttosto  ci  attestano  l'uso  frequentissimo  del- 
l'apoteosi con  che  quelli  cercavano,  servilmente  adulando, 
di  rendersi  benevolo  altrui. 

La  seconda  classe  è  composta  di  tutti  gli  innumerevoH 
templi  sorti  nell'età  di  Augusto  e  dei  suoi  primi  successori, 
Tiberio,  Caligola  e  Claudio.  In  questa  seconda  fase  le  im- 
magini della  divinità  hanno  avuto  assai  probabilmente  co- 
muni le  linee  generali  :  cioè  corto  abito  che  lascia  il  petto 
ignudo  da  una  parte,  alti  calzari  ai  piedi,  semplice  galea  in 
capo  e  lo  scettro  o  il  parazonio  o  l'asta  da  una  mano  e  la 
Vittoria  coronante  dall'altra.  La  qual  rappresentanza  ha  ab- 
bandonato, come  si  vede,  il  tipo  del  didrachmon  di  Locri, 
che  non  aveva  nulla  di  nazionale,  sostituendogli  quel  tipo 
che  abbiamo  veduto  svolgersi  poco  a  poco  nel  tempo  della 
repubbUca  fino  ad  acquistare  la  maestà  necessaria  per  es- 
sere una  figura  da  porsi  in  un  tempio.  Quanto  al  signifi- 
cato morale  di  questa  nuova  classe  di  templi,  abbiamo  già 
osservato  che  anche  questo  è  un  culto  puramente  formale 
che  non  corrisponde  ad  alcuna  idealità  (2)  ;  ma  che  fu  sug- 

(i)  MiLLiN,  Gal.  Mith.,  660,  clxxx;  Bunsen,  Beschr.  der  Stadt. 
Rom.,  Ili,  pane  II,  436,  e  così  la  statua  della  tav.  iii,  che  è  pure  di 
tempo  certamente  posteriore  ad  Adriano. 

(2)  Cf.  il  Kenner,  op.  cit.,  p.  25. 


Evolii'{ione  del  tipo  di  ^oma  iii 


gerito  dal  senno  politico  di  Ottaviano,  il  quale  profittò  del 
servilismo  dei  popoli  per  stringerli  maggiormente  alla  sog- 
gezione della  repubblica,  e  nello  stesso  tempo  legare  alla 
sua  persona  il  concetto  di  rappresentante  della  repubblica 
stessa. 

Da  ultimo  l'estrema  fase  del  culto  di  Roma,  dataci  dal 
tempio  di  Adriano,  ci  mostra  quanto  fosse  cambiato  il  sen- 
timento del  popolo,  assumendo  la  figura  della  dea  carattere 
più  ideale.  Sarebbe  vano  cercare  uno  scopo  politico  nella 
costruzione  del  tempio  di  Venere  e  Roma,  che  anzi  esso  ri- 
sponde invece  alle  nuove  idee  del  popolo.  La  persuasione 
che  una  divinità  in  cielo  rappresenti,  per  dir  così,  la  Roma 
della  terra,  domina  l'animo  di  tutti.  Essa  si  collega  col 
titolo  di  eterna  che  allora  per  la  prima  volta  vien  dato  alla 
città.  Questo  nuovo  appellativo,  che  ha  la  sua  origine  dalla 
discendenza  divina  della  dea  Roma,  trova  un  bel  riscontro 
nell'unione  del  culto  di  essa  con  Venere  ed  è  nello  stesso 
tempo  la  radice  da  cui  germogHarono  poi  le  personifica- 
zioni fatte  da  Claudi  ano  (i)  e  dagli  altri  poeti  tardi  e  le 
leggende  di  cui  è  pieno  il  medio  evo.  Di  queste  cose  con- 
verrà tornar  a  parlare  con  maggior  ampiezza  quando  trat- 
teremo in  particolare  la  trasformazione  del  tipo  al  tempo 
di  Adriano.  Ci  basta  intanto  di  averle  accennate  per  mo- 
strare il  legame  che  esiste  tra  questo  nuovo  tempio  e  la 
figura  che  noi  crediamo  più  conveniente  alle  nuove  condi- 
zioni, cioè  una  Roma  che  torna  ad  essere  in  tutto  assai 
simile  a  Minerva,  ma  con  aspetto  matronale,  altero  ed  assai 
più  fiero  di  quella. 


(i)  Claudiano,  De  huHÌih.  Stilic,  II,  270  e  sgg. 


112  QA.  T^ar {sotti 


III. 

L' IMPERO. 

Seguendo  il  sistema  che  abbiamo  tenuto  sinora,  con- 
verrà innanzi  tutto  dare  un  breve  cenno  del  modo  che  il 
Kenner  tiene  nello  studio  del  tipo  di  Roma  durante  il  tempo 
dell'  impero. 

Egli,  dopo  fatte  breve  osservazioni  sulle  mutate  condi- 
zioni dell'allegoria,  col  procedere  degli  anni  da  Augusto  in 
poi,  conclude  col  dire  che  la  figura  di  Roma  assume  tre  tipi 
principali.  Il  primo  di  dominatrice  (Herrschende),  attorno 
al  quale  aggruppa  tutti  i  passi  di  autori  che  la  descrivono 
come  regina  gentium  e  tutte  le  rappresentanze  delle  monete 
che  similmente  le  danno  gU  attributi  della  dominazione, 
cioè  l'asta  pura,  il  globo  e,  secondo  la  sua  opinione,  anche 
la  figura  di  Giunone.  Il  secondo  tipo  è  di  Roma  genitrice 
o  nutrice  (Nàhrende),  attorno  al  quale  aggruppa  nello  stesso 
modo  espressioni  di  molti  scrittori  che  la  denominano  tale,  e 
fa  loro  corrispondere  le  monete  imperiali  che  portano  la 
figura  di  Roma  con  alcuno  di  tali  emblemi,  come  per  esempio 
il  corno  dell'abbondanza  o  le  spiche.  In  terzo  luogo  egli 
pone  il  tipo  di  Roma  combattente  (Wehrende)  che  richiama 
assai  da  vicino  quello  dell'epoca  repubblicana,  cogli  stessi 
attributi  e  lo  stesso  aspetto  bellicoso.  È  da  notare  però  che 
in  questa  divisione  egli  non  tiene  alcun  conto  delle  diffe- 
renze di  tempo  e  però  mette  insieme  indifferentemente  tutte 
le  monete  da  Augusto  fino  all'età  barbarica,  le  quali  presen- 
tano caratteri  taU  che  le  facciano  corrispondere  ad  uno  ov- 
vero ad  un  altro  dei  tipi  stabifiti. 


Evolu:^ione  del  tipo  di  ^oma  113 

Ora,  un  tal  metodo,  come  si  vede,  potrà  essere  utilissimo 
per  ordinare  sistematicamente  le  impronte  imperiali  che  rap- 
presentino l'effigie  di  Roma,  ma  non  mi  sembra  che  sia  il 
più  acconcio  per  porre  in  rilievo  lo  sviluppo  e  lo  svolgi- 
mento storico  che  l'effigie  stessa  ha  subito.  Questo  difetto, 
del  resto,  è  una  necessaria  conseguenza  dell'aver  fondato  lo 
studio  unicamente  sulle  monete  :  e  già,  come  avevamo  os- 
servato fin  dal  principio,  per  tutto  il  tempo  della  repubblica, 
esse  sono  sufficienti  per  formarsi  un  concetto  esatto  della 
rappresentanza  di  Roma  ed  anche  del  suo  svolgimento, 
perchè  questo  segue  più  da  vicino  il  progredire  delle  idee 
e  dei  sentimenti  del  popolo,  mentre,  nel  tempo  dell'  impero, 
la  varietà  e  la  confusione  dei  tipi  è  tale,  che  sarebbe  assai 
difficile  mettervi  un  ordine,  se  non  ci  venisse  in  aiuto  l'arte 
figurata. 

Con  un  tale  sussidio  adunque  ci  proveremo  noi  di  ve- 
dere quale  è  il  tipo  che  predomina  in  ciascuna  età,  e  quali 
sono  le  ragioni  per  le  quali  esso  meglio  corrisponde  alle 
condizioni  del  tempo. 

L' impero,  per  conseguenza,  resterà  diviso  in  tre  grandi 
periodi  che  rappresentano  le  tre  grandi  mutazioni  della  so- 
cietà romana  e  corrispondentemente  della  rappresentanza  di 
Roma.  Il  primo  da  Augusto  ad  Adriano,  cioè  lo  stabilirsi  del- 
l'impero e  il  suo  consolidamento;  il  secondo  dagli  Antonini 
a  Costantino,  cioè  il  periodo  filosofico  ed  il  principio  della 
decadenza;  il  terzo  ed  ultimo  da  Costantino  alla  caduta  del- 
l' impero  occidentale,  cioè  la  traslazione  della  sede,  lo  sta- 
bilirsi della  nuova  Roma  e  perciò  il  nascimento  di  una  nuova 
personificazione  e  le  ultime  trasformazioni  della  figura  del- 
l'antica prima  di  quelle  delle  età  barbariche  e  del  medio  evo. 

§  I.  —  Da  Augusto  ad  Adriano. 

La  figura  della  dea  Roma  comparisce  cosi  raramente 
nelle  impronte  augustce,  che  si  starebbe  a  cattivo  partito 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  XI.  8 


114  ^'  ^arisotti 


volendosi  fare  un'  idea  della  trasformazione  di  quel  tipo  du- 
rante l'accennato  periodo  di  tempo,  se  non  vi  fossero  altre 
rappresentanze.  Tuttavia  la  moneta  di  Amiso,  di  cui  abbiamo 
già  parlato  innanzi,  ed  altre  portate  dal  Morelli  (i)  ce  la  mo- 
strano ancora  secondo  il  tipo  consueto,  cioè  colla  veste 
amazzonica  e  colle  solite  armi  :  una  differenza  però  è  da  notare 
in  ciò,  che  ella  ha  in  questi  tipi  quasi  costantemente  una  piccola 
immagine  della  Vittoria  nella  mano.  Nella  moneta  di  C.  Vi- 
bius  Pausa  la  figura  della  Vittoria  era  divenuta  assai  piccola 
ed  incoronava  Roma  volando;  ora  è  addirittura  un  suo  attri- 
buto. La  dea  Roma  adunque  prende  l'aspetto  di  divinità 
nicefora,  ciò  che  la  pone  subito  in  un  grado  più  elevato 
della  semplice  personificazione  della  città.  Ma  questa  circo- 
stanza sarebbe  di  ben  poco  valore,  se  nel  resto  la  rappre- 
sentanza non  avesse  acquistato  una  maggiore  dignità.  Per 
mettere  in  chiaro  quest'  idea  ci  serviremo  di  un  bassorilievo 
che  si  conserva  nel  cortile  del  palazzo  Mattei  in  Roma  e 
che  fu  già  pubblicato  dal  Winckelmann  e  da  Raoul  Rochette 
ed  oggetto  di  vive  discussioni.  Ultimamente  però  il  Reif- 
ferscheid  e  il  Lùbbert  (2),  che  se  ne  occuparono,  mi  sembra 
che  abbiano  posto  fine  alla  controversia. 

La  rappresentanza  di  questo  rilievo  è  come  divisa  in 
due  nel  senso  della  lunghezza.  Nel  mezzo,  in  basso,  giace 
una  figura  di  donna  seminuda  che  dorme,  verso  la  quale  si 
avanza  da  sinistra  un  giovane,  anche  esso  nudo,  colFelmo 
in  capo  :  nel  fondo  il  dio  del  sonno  sporgendo  fuori,  sembra 
versare  da  un  corno  un  qualche  sonnifero  sulla  vergine 
perchè  non  si  desti.  Alla  destra  di  questo  gruppo,  pure  in 
basso,  giace  la  dea  Teìlus  volta  di  spalle  e  coronata  di  spiche, 

(i)  Tbes.  num.  imp.,  tav.  xliii,  19,  20:  Testa  di  Germanico  a  s. 
t  Roma  seduta  su  trono  a  s.  con  Vittoria  coronante  nella  s.  e  para- 
zonio  nella  d.  con  abito  succinto  exerta  mamma,  tav.  xlvi,  4,  5  :  Testa 
di  Augusto  laureata  a  d.  SEBASTOI  KTIITHI  ^  KAAZOMENIiiN  ;  Roma 
stame  galeata  con  abito  amazzonico,  scudo  nella  s.  e  asta  nella  d. 

(2)  Mem.  deirist.  di  corr.  arch.,  II,  143,  464.. 


Evoluzione  del  tipo  di  T{oma  115 

e  alla  sinistra  un  dio  marino  generalmente  chiamato  Oceano. 
Al  disopra  di  questo  siede  il  Tevere  col  remo  in  mano,  e  al- 
l'estremità sinistra  il  quadro  è  compiuto  da  una  figura  fem- 
minile seminuda  in  piedi.  Nella  parte  superiore  poi,  una  corona 
di  divinità  sono  come  spettatrici  del  fatto.  Per  ispiegare  il 
presente  rilievo  furono  tratte  in  campo  naturalmente  la  leg- 
genda di  Peleo  e  Teti,  quella  di  iMarte  e  Venere  e  quella 
di  Marte  e  Rea  Silvia.  Quest'ultima  è  sostenuta  dal  Lùb- 
bert  (i)  ed  il  Reifferscheid  (2)  dal  genere  del  lavoro  e  dalla 
unione  della  divinità  si  fa  strada  all'idea  che  il  rilievo  sia 
dell'età  di  Augusto.  Alla  destra  adunque,  nella  parte  supe- 
riore, siede  maestosa  Giunone  colla  stephane  in  capo  e  lo 
scettro  in  mano;  appresso  a  lei  da  sinistra  una  figura  di 
donna  coli' elmo  in  capo,  che  non  si  può  scambiare  con 
Minerva  (la  cui  immagine  che  segue  è  caratterizzata  da  un 
albero  di  olivo  a  cui  si  appoggia  e  dal  serpente)  e  che  perciò 
è  interpretata  come  Roma.  Essa  non  è  solo  spettatrice  del 
fatto,  ma  in  certo  modo  vi  prende  parte  rivolgendosi  a  Giu- 
none perchè  protegga  il  connubio  dei  genitori  di  Romolo. 
Alla  sinistra  di  Minerva  è  Vulcano  colla  exomis  e  la  face 
ed  accanto  a  lui  due  figure,  d'una  delle  quali  si  vede  solo 
la  testa,  che  il  Reifferscheid  crede  Liher  e  Libera, 

Continuando  appresso  poi  alla  sinistra  di  Marte,  Apollo, 
poi  Diana  appoggiata  ad  un  albero  di  alloro  in  corrispon- 
denza con  Minerva,  poi  Mercurio  e  Vesta,  tutti  caratteriz- 
zati dai  loro  attributi.  Questa  interpretazione,  che  è  quella 
del  Reifferscheid,  mi  sembra  la  più  probabile  ed  assai  giusta 
l'osservazione  che  egli  fii  sopra  l'unione  di  queste  divinità. 
Egli  dice  :  «  Questa  riunione  di  dei  è  formata  da  quelli  del 
((  Palatino  e  quelli  dell'Aventino  che,  insieme  col  dio  Tevere, 
e  ci  si  offrono  come  spettatori  e  testimoni  dell'avvenimento 
<'  più  solenne  per  la  città  di  Roma  ». 


(i)  ycm.  J.ÌÌ'Ll.,  Il,   14-;. 
(2)  Ivi,  464. 


ir^  qA.  Tarisotti 


Noi  aggiungeremo  che  il  vedere  Roma  tra  queste  divi- 
nità è  una  particolarità  assai  nuova  e  che  sorprende  gran- 
demente ;  tuttavia  non  parrà  strano  se  si  pensa  che  tutti  quei 
numi  essendo  scesi  in  terra  per  proteggere  colla  loro  pre- 
senza il  congiungimento  di  Marte  con  Rea  Silvia,  è  natu- 
rale che  ad  essi  si  unisca  quella  Roma  che  vedemmo  già 
immaginata  come  moglie  di  Ascanio  e  perciò  progenitrice 
di  Rea  e  protettrice  di  lei,  del  suo  figlio  e  della  città  da  lui 
fondata.  Ma  anche  più  conveniente  si  vede  essere  la  figura 
di  Roma  in  questa  composizione  poiché  tutti  quei  numi 
hanno  in  tal  caso  semplice  carattere  di  personificazione  del 
Palatino,  dell'Aventino  e  del  Tevere  e  perciò  ella  stessa  resta 
al  grado  di  personificazione  dell'intera  città.  Quanto  all'es- 
sere Roma  qui  completamente  vestita,  ciò  può  derivare  o 
dall'averle  voluto  dare  l'artista  una  figura  più  maestosa  do- 
vendola porre  insieme  cogli  altri  numi,  ovvero  da  alcune 
altre  rappresentanze  della  età  di  Augusto  che  ce  la  mostrano 
pure  interamente  coperta  perchè  figurano  Livia  sotto  le  sem- 
bianze di  Roma. 

Tali  sono  le  due  preziose  gemme  del  Gabinetto  impe- 
•riale  di  Vienna  (i),  la  prima  delle  quali  rappresenta  nella 
parte  inferiore  fatti  allusivi  alla  vita  di  Augusto  e  nella  parte 
superiore  Augusto  seduto  a  destra  sotto  le  sembianze  di 
Giove,  collo  scettro  nella  mano  sinistra  ed  incoronato  dal 
di  dietro  da  Cibele,  presso  cui  è  Nettuno,  per  indicare  così 
che  Augusto  signoreggia  la  terra  ed  il  mare.  Alla  sua  destra 
siede  Livia  sotto  le  effigie  della  dea  Roma  col  capo  coperto 
di  ricco  elmo,  vestita  di  lungo  chitone,  coli' asta  nella  de- 
stra ed  il  parazonio  nella  sinistra.  Da  questa  parte  segue 
Germanico  in  piedi  vestito  militarmente,  poi  Tiberio  togato 
sul  carro:  una  figura  seminuda  che  si  appoggia  al  trono 
dell'  imperatore  è  creduta  dall'  Eckhel  Agrippina.  L' altra 
gemma  ci  fa  vedere  le  sole  due  immagini  di  Augusto  e 


(i)  Eckhel,  Cboix  des pierres  gravées,  tavv,  i,  il 


Epolujione  del  tipo  di  ^I{oma  117 

Livia;  egli  simile  a  Giove  Olimpico  col  doppio  corno  nella 
destra  e  lo  scettro  nella  sinistra;  ella  simile  alla  dea  Roma, 
vestita  come  nell'altra  gemma  e  colle  mani  poggiate  sopra 
uno  scudo  che  regge  sulle  ginocchia.  Anche  il  dotto  illu- 
stratore del  Gabinetto  imperiale  osserva  che  l'artista  le  ha 
dato  qui  un  abito  più  decente  dovendo  ella  rappresentare 
Livia.  Che  questo  costume  però  non  sia  stato  seguito  di 
poi,  ce  lo  mostrano  le  altre  rappresentanze  che  si  possono 
assegnare  a  questo  medesimo  tempo.  Tra  le  monete  dei 
Cesari  quelle  che  più  frequentemente  portano  sul  rovescio 
la  figura  di  Roma  sono  le  Neroniane.  In  esse  la  dea  è  quale 
l'abbiamo  già  veduta  in  abito  succinto,  seduta  sopra  un  muc- 
chio di  armi  e  colla  Vittoria  nella  destra  (i)  ed  oltre  a  queste 
monete  la  stessa  effigie  è  posta  in  un  bassorilievo  di  villa 
Medici  edito  dal  Bartoli  (2).  Il  soggetto  sembra  che  siano 
i  vicennali  di  qualche  imperatore  la  cui  persona  manca.  Roma 
è  la  figura  principale  e  siede  maestosamente  volta  verso  de- 
stra, vestita  col  suo  solito  costume  di  amazzone,  reggendo 
colla  destra  uno  scettro  sormontato  da  un'aquila  che  stringe 
negli  artigli  i  fulmini.  Un'altra  figura  di  donna  alla  destra 
del  rilievo,  intieramente  vestita  e  col  capo  cinto  di  torri,  sta 
inginocchiata  in  atto  supplichevole  innanzi  ad  una  donna 
che  scrive  sopra  uno  scudo 

VOTIS     ^    X 
ET    XX    ^ 

la  quale  è  certamente  una  Vittoria.  Alla  destra  pure  del 
rilievo  si  allontana  un  uomo  calvo  ed  imberbe,  vestito  con 
una  specie  di  lunga  clamide,  colla  lancia  sul  braccio  sinistro 
e  la  destra  sul  petto  :  ma  di  questa  figura,  che  Zoega  crede 


(i)  Cohen,  «  Med.  imp.  Neron.  »,  nn.  52,  53,  54,  150,  190,  197, 
199,  200-205,  219-240,  262,  263,  264. 

(2)  Admir.  Urbis  Romae,  12,  13  ;  Zoega,  app.,  381,  32. 


ii8  <3^.  Tarisolti 


interamente  moderna,  assai  poco  di  certo  è  antico  :  forse  il 
collo,  la  parte  inferiore  del  capo  e  la  lancia  colla  spalla  si- 
nistra: ma  quello  che  è  rimasto  della  testa  ci  basta  per 
poter  affermare  che  la  rappresentanza  è  anteriore  ad  Adriano, 
essendo  un  uomo  imberbe.  Quanto  s'accordi  in  questo  ri- 
lievo l'effigie  di  Roma  con  quelle  che  sono  sulle  monete 
di  Nerone  non  è  a  dire,  poiché  non  solo  le  vesti,  ma  eziandio 
gli  attributi  e  la  posizione  e  la  dignità  dello  sguardo  con- 
cordano in  tal  modo  da  farci  intendere  chiaramente  esser 
questo  il  vero  tipo  che  si  mantenne  costante  in  tutto  quel 
lungo  periodo  che  corre  da  Augusto  ad  Adriano,  Ma  anche 
meglio  conviene  colle  monete  Neroniane  la  statuetta  del 
museo  Pio  dementino  (i),  della  quale  abbiamo  già  parlato. 
Questa  osservazione,  Eitta  già  dal  Bunsen  nella  Beschrei- 
bung  (2),  lo  porta  alla  conclusione  abbastanza  giusta  di  porre 
nella  mano  sinistra  della  detta  figura  una  Vittoria  o  forse 
megho  un  globo  sormontato  dalla  Vittoria,  in  luogo  dello 
scettro  di  cui  l'ha  insignita  il  moderno  restauratore. 

Poste  le  quali  cose,  ogniqualvolta  noi  troveremo  l'effigie 
di  Roma  in  questo  aspetto,  potremo  ascrivere  la  rappresen- 
tanza con  grande  probabilità  ai  primi  tempi  dell'impero, 
semprechè  il  genere  del  lavoro  o  qualche  altra  circostanza 
non  la  dimostri  di  altra  età.  Crederei  perciò  anteriore  ad 
Adriano  il  frammento  di  sarcofago  che  si  conserva  nel  pa- 
lazzo Camuccini  in-Roma.  Per  quanto  mutilato,  si  può  ri- 
conoscere un  lavoro  non  cattivo,  ma  non  è  possibile  inter- 
pretare sicuramente  l'azione  rappresentata,  se  non  forse 
essa  sia  un  sacrificio.  La  figura  meglio  conservata  è  anche 
qui  quella  di  Roma  che  siede  a  destra,  questa  volta  sopra 
una  roccia  (3)  colle  vesti  consuete  e  lo  scettro  nella  mano 
sinistra.  Presso  di  lei  un  fanciullo  con  veste  barbara,  poi 


(i)  Visconti,  M.  P.  CI,  II,  15. 

(2)  Voi.  II,  II,  251. 

(3)  Cf.  la  moneta  di  Vespasiano:  Cohen,  I,  315,  nn.  375  a  376. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^^oma  119 


un  avanzo  di  figura  militare  forse  sacrificante,  ed  un'altra 
figura  virile  con  tunica  e  mantello,  di  cui  mancano  pure 
le  estremità.  Non  è  questo  il  luogo  di  proporre  una  resti- 
tuzione di  questo  avanzo  nel  quale  la  effìgie  di  Roma  non 
ha  subito  alcuna  modificazione,  ma  crediamo  utile  di  aver 
tratto  fuori  un  tal  monumento,  essendo  assai  raro  il  tro- 
vare la  dea  Roma  rappresentata  sui  sarcofaghi,  e  però  al- 
lorché vi  si  vede,  si  può  concludere  con  qualche  probabilità 
che  il  sepolcro  abbia  chiuso  le  spoglie  di  un  qualche  il- 
lustre personaggio,  poiché  ella  di  solito  trovasi  effigiata 
insieme  o  coi  numi  ovvero  colle  persone  della  famiglia 
imperiale. 

Un  altro  monumento  che,  sebbene  manchi  di  ogni  em- 
blema, possiamo  ascrivere  al  miglior  periodo  dell'arte,  é  il 
celebre  busto  Borghesiano,  del  quale  ammirato  oltre  ogni 
credere  il  Visconti  dice  (i):  «  I  capelli  che  si  mostrano 
«  sulle  tempie  fuori  della  celata  sono  lavorati  con  molto 
«  gusto,  quasi  in  quella  foggia  che  osservasi  nei  lavori  di 
«  bronzo.  I  lineamenti  del  volto  e  i  contorni  tutti  sono 
«  disegnati  con  somma  intelligenza  e  con  una  certa  finezza 
«  che  ci  fa  comprendere  non  aver  fiorito  l'artefice  in  quei 
«  tempi,  quando  il  lusso  della  capitale  ammolliva  e  cor- 
«  rompeva  le  arti  della  vinta  ed  ammirata  Grecia».  Che 
in  questa  testa  sia  rappresentata  Roma  e  non  Minerva  si 
riconosce  chiaramente  dalle  due  lupe  scolpite,  una  per  cia- 
scun lato  dell'elmo,  dallo  sguardo  fiero  e  superbo  che  di- 
stingue in  modo  sicuro  l'una  divinità  dall'altra;  ed  a  questo 
proposito  il  Visconti  stesso  (2)  riferisce  le  idee  del  Win- 
kelmann  e  dice  che  secondo  questo  autore  «  i  distintivi 
«  del  volto  di  Pallade  sono  la  serietà  scevra  da  ogni  de- 
«  bolezza  del  sesso  che  sembra  aver  dominato  Amore  me- 
«  desimo,  una  immagine   di   pudor  virginale  che   dà   un 


(1)  Moti,  scelli  Borghesiuni,  tav.  xxxiii,  257. 

(2)  Musco  Chiaramonti,  121. 


120  C^.  T^artsotti 


«  certo  abbassamento  alle  luci  come  chi  tranquillamente 
«  medita,  quando  Roma,  altera  dominatrice  del  mondo,  gira 
«all'opposto  franche  le  luci  e  mostra  un'aria  feroce». 

Terminata  la  famiglia  dei  Cesari,  l'impero  è  preso  per 
breve  tempo  da  Galba,  il  quale  sembra  si  credesse  ripara- 
tore dei  guasti  fatti  alla  città  dall'incendio  neroniano  e 
delle  sevizie  sofferte  dai  cittadini  sotto  il  governo  dello 
stesso  Nerone,  tanto  sono  frequenti  le  monete  che  ci  mo- 
strano al  diritto  la  testa  di  Galba  e  dall'altra  parte  la  figura 
di  Roma  inginocchiata  dinanzi  all'  imperatore  che  la  sol- 
leva, ed  intorno  scritte  le  parole:  ROMA  RESTITVTA, 
ovvero  anche  con  altre  rappresentanze,  ROMA  RENASCES 
od  anche  RENASCENS  e  spesso  in  piedi  con  abito  mili- 
tare (i).  Cosi  per  la  prima  volta  vediamo  Roma  in  posi- 
zione umile  :  una  moneta,  in  cui  si  accenna  forse  quali  fos- 
sero questi  benefici  fatti  da  Galba  alla  città,  la  mostra  vestita 
militarmente  colla  scritta:  ROMA  R.  XL,  che  il  Morelli 
interpreta  per  remissae  quadr agesimae  (2). 

Queste  stesse  rappresentanze  restituite  da  Vitellio  (3) 
e  poi  da  Vespasiano  (4)  non  sono  certo  da  tenersi  in  gran 
conto:  tuttavia  è  da  notare  che  il  tipo  tradizionale  non  si 
perde,  anzi  continua  con  qualche  piccola  modificazione 
su  quelle  monete  che  mostrano  Roma  seduta,  con  un  ramo 
di  alloro  fra  le  mani  e  le  parole  ROMA  VICTRIX  (5). 


(i)  Cohen,  «  Med.  imp.  Galba  »,  nn.  3,  4,  55-59,  60-64,  65-67. 
VICTRIX,  nn.  68-71.  Così  Roma  in  abito  militare  e  in  piedi,  nn.  191- 
200,  ROMA  RESTI,  n.  201. 

(2)  Morelli,  loc.  cit ,  iii,  3,  4. 

(3)  Morelli,  op.  cit.,  «  Vit.  num.  arg.  et  aur.  »,  11,  9;  iii,  3,  4; 
IV,  2,  3. 

(4)  Cohen,  op.  cit.,  «  Vesp.  »,  n.  424,  ROMA  RESURGES  S.  C. 
In  questa  moneta  Roma  è  presentata  a  Vespasiano  da  Minerva. 

(5)  Morelli,  op.  cit.,  «  Galba»,  v,  15,  16;  vii,  20,  23;  «  Vitelli! 
num.  arg.  »,  in,  9,  io;  «  ex  aere  magno  »,  ni,  2;  «  ex  aere  medio  », 
IX,  i;  «Vespasiani»,  vni,  5,  6;  xi,  io;  xii,  7,  8. 


Epolw^tone  del  tipo  di  ^^oma  121 

Ma  sebbene  la  Roma  victrix  posta  su  questi  tipi  abbia, 
come  significato  storico,  ben  poca  importanza,  come  anche 
la  Roma  restitiita,  pure  queste  deviazioni  dal  tipo  antico 
sono  da  notare  perchè  servono  come  di  passaggio  ad  una 
nuova  rappresentanza.  Primieramente  l'essere  Roma  in  abito 
militare  concorda  assai  bene  cogli  imperatori  militari  che 
seguirono  la  famigha  dei  Cesari:  in  secondo  luogo  la  sua 
figura  che  abbiamo  veduto  sinora  sedente  siccome  si  con- 
veniva ad  una  personificazione  di  città,  ora,  per  circostanze 
accidentali,  ho  preso  atteggiamenti  vari  e  la  vedremo  conti- 
nuare per  qualche  tempo  ad  essere  rappresentata  cosi.  Questo 
mostra  che  ella  non  esprime  più  solo  la  città  o  lo  Stato,  ma 
che  la  sua  figura,  atteggiandosi  con  movenze  ed  atti  vari, 
acquista  una  vera  personalità.  Lasciando  da  parte  le  monete 
di  Tito  che  continuano  l'antica  tradizione  artistica,  l'arte  figu- 
rata ci  fa  vedere  questa  mutazione  della  rappresentanza  che 
corrisponde  naturalmente  ad  una  maggiore  idealità  nel  con- 
cetto. Sull'arco  di  Tito  vi  sono  due  figure  di  Roma  :  1'  una 
sulla  chiave,  daha  parte  che  guarda  l'anfiteatro  Flavio,  l'altra 
nell'interno.  La  prima  è  stante  e  coll'asta  in  mano  e  non 
ha  per  noi  grande  importanza,  essendo  una  figura  di  pura 
decorazione  e  seguendo  perciò  il  tipo  delle  monete:  l'altra 
invece,  vestita  forse  anche  essa  come  la  prima  (i),  precede 
il  carro  su  cui  sta  Tito  trionfante  e  coronato  dalla  Vit- 
toria (2)'.  Questa  nuova  movenza  è  dunque  quella  che  dà 
alla  figura  un  significato  simbolico  nuovo.  Quella  che  con- 
duce il  carro  del  trionfiitore  non  può  essere  ne  la  città, 
né  lo  Stato,  giacche  sarebbe  una  assai  strana  personifica- 
zione :  né  si  potrebbe  intendere  come  la  città  conduca 
dentro  la  città  l'imperatore.  Dunque  la  Roma  rappresen- 
tata in  quell'atteggiamento  dovrà  essere  una  vera  divinità, 
una  Roma  celeste  che  dall'Olimpo  regola  i  destini  della 


(i)  Non  si  può  riconoscere  essendo  guasta  la  figura. 
(2)  Rossini,  Archi  trionfali,  tavv.  xxxvi,  xxxiv. 


122  (ì4.  T^  ari  sotti 


Roma  terrestre,  ne  protegge  la  vita  e  la  ricolma  di  glorie 
e  di  trionfi.  Non  possiamo  perciò  accettare  quelle  parole 
del  Kenner  (i)  colle  quali  egli  afferma  che  durante  l'im- 
pero ogni  aura  di  idealità  spari  dalla  personificazione  di 
Roma  e  ciò  perchè  l'idea  del  genius,  da  cui  prima  ella  era 
animata,  passò  ad  incarnarsi  neh'  imperatore.  E  ciò  è  vero, 
ma  appunto  perchè  questi  divenne  il  genius  populi  romani 
anche  la  personificazione  di  Roma  crebbe  in  idealità,  av- 
viandosi ad  essere  una  vera  dea  nel  sentimento  del  popolo, 
come  avvenne  più  tardi.  Possiamo  dire  per  conseguenza 
che,  anzi,  quanto  più  il  popolo  col  progredire  dell'  impero 
restava  escluso  dalla  vita  politica,  quanto  più  la  città  per- 
deva la  sua  fisionomia  caratteristica,  a  cagione  della  me- 
scolanza dei  popoli,  ed  era  soggetta  alle  dolorose  vicende 
dei  continui  mutamenti  di  governanti,  tanto  più  gli  affetti 
si  concentrarono  su  questa  Roma  ideale  che  si  vagheggiava 
splendida  e  felice,  maestosamente  assisa  tra  i  celesti  e  che 
scendeva  di  quando  in  quando  in  terra  a  far  sentire  il  suo 
spirito  divino  aleggiante  tra  le  bassezze  umane.  Ne  questa 
mutazione  del  sentimento  del  popolo  poteva  osservarsi  li- 
mitandosi allo  studio  delle  impronte  monetarie,  giacché 
anche  i  conii  di  Domiziano  (2)  e  Traiano  (3)  sono  presso 
a  poco  uguaH  agli  altri  già  asservati. 

Di  quest'ultimo  però  abbiamo  un  importante  ritorno 
agli  antichi  concetti  nella  restituzione  di  quel  denario  re- 
pubblicano sul  quale  è  Roma  seduta  in  mezzo  ai  due  av- 
voltoi e  la  lupa  sul  dinanzi  (4).  E  qual  valore  abbia  questa 


(i)  «  Nur  diese  Verànderung  ist  zu  bemerken,  die  in  der  Auffas- 
«  sung  ihres  (Romas)  Gedankenkreises  vor  sich  ging,  dass  selbst  der 
«  noch  so  geringe  ideale  Hauch  aus  dem  Inhalte  ihrer  raytholo^ischen 
«  Formen  entschwand  sowie  die  Idee  des  Genius  auf  den  Imperator 
«  ùberging  »,  p.  29. 

(2)  Morelli,  op.  cit.,  Lxvir,  nn.  15,  16. 

(3)  Cohen,  «  Med.  imp.  Trajan.  »,  nn.  68,  69,  204,  217,  289,  q.cc. 

(4)  Cohen,  «  Med.  cons.  »,  tav.  xlv,  n.  18,  p.  340,  n.  13. 


Evoluiione  del  tipo  di  l^oma  123 

figura,  ripristinata  al  tempo  di  Traiano,  cioè  nel  periodo 
più  felice  deir  impero,  quando  il  dominio  romano  aveva 
raggiunto  la  sua  massima  ampiezza  e  i  vaticini  antichi  si 
erano  interamente  avverati,  ognuno  lo  può  vedere.  Cosi, 
senza  uscire  dai  tipi  fin  allora  usati,  fu  rimesso  in  vigore 
quello  che,  dando  alla  figura  di  Roma  un  carattere  «cosi 
mistico,  s'accordava  in  modo  singolare  col  sentimento  del 
popolo. 

Anche  sugli  archi  eretti  in  onore  di  Traiano  si  vede 
più  di  una  volta  effigiata  Roma.  Il  bassorilievo,  che  fini 
poi  per  adornare  l'arco  di  Costantino  (i),  ci  mostra  alla 
destra  la  battagUa  ed  alla  sinistra  la  figura  dell'imperatore 
coronato  dalla  Vittoria,  e  presso  di  lui  Roma  in  piedi  colla 
galea  in  capo  e  col  corto  abito  succinto.  Essa  regge  colla 
destra  un  frammento  di  asta  e  colla  sinistra  un  oggetto 
che  il  Rossini  dice  confusamente  accennato,  mentre  il  Bel- 
lori (2)  lo  definisce  un  parazonio.  Questo,  che  è  un  sim- 
bolo tutto  militare,  l'abbiamo  veduto  scomparire  da  che 
la  figura  ha  assunto  come  emblemi  lo  scettro  ed  il  globo: 
sarebbe  perciò  abbastanza  strano  il  trovarlo  di  nuovo  in 
questa  rappresentanza:  ma  siccome  in  essa  Roma  sembra 
scesa  in  terra  ad  assistere  Traiano  nella  battaglia,  si  può 
supporre  che  abbia  ripreso  le  antiche  sue  armi. 

L'arco  di  Traiano  in  Benevento  (3)  porta  sulla  chiave 
la  figura  di  Roma  con  tunica  e  paludamento,  col  globo 
nella  destra  ed  asta  nella  sinistra.  Questo  emblema  del 
dominio  terrestre,  che  prima  era  sotto  i  piedi  di  lei,  ora, 
posto  nelle  sue  mani,  ci  fa  vedere  con  quanta  maggiore 
tranquillità  ella  domina  ora  il  mondo:  poiché,  invece  di 
tenerlo  soggetto  a  sé  colla  forza,  ne  mostra  il  possesso 
sorreggendolo  colla  mano  con  quella  sicurezza  di   chi   si 


(i)  Rossini,  op.  cit.,  tav.  lxx;  gran  bassorilievo  di  Traiano. 

(2)  Bellori,  Archi  trionfali,  tav.  xlii. 

(3)  Rossini,  op.  cit.,  tav.  xl. 


124  ^-  Sansoni 


fida  della  propria  potenza  divina:  e  si  noti  che  questo 
emblema  non  più  si  vede  sotto  di  lei.  Nello  stesso  arco 
il  Rossini  (i)  crede  di  vedere  effigiata  Roma  sotto  la  figura 
di  Berecinzia  che  assiste  ad  una  distribuzione  di  grani,  ma 
io  non  riconosco  alcun  tratto  caratteristico  in  essa  che 
possa  farla  ravvisare.  Ma  se  anche  qui  fosse  rappresentata 
Roma,  sarebbe  necessariamente  la  divinità  ispiratrice  del 
generoso  atto  all'imperatore. 


§  2.  Da  Adriano,  a  Costantino. 

Giunto  al  massimo  splendore  l' impero,  anche  la  rap- 
presentanza di  Roma  sali  al  massimo  grado  di  idealità  e 
di  magnificenza.  Al  tempo  di  Adriano  Roma  era  già  di- 
venuta il  centro  dove  tendevano  e  dove  si  mescolavano 
tutte  le  nazioni  della  terra;  allora  si  accentuò  quella  sua 
caratteristica  che  la  distinse  anche  ai  tempi  moderni,  che, 
cioè,  se  ella  non  fu  madre  di  tutti  gli  artisti  e  poeti,  ne 
fu  però  la  maestra  e  Y  ispiratrice. 

Di  tutte  quelle  città  che  vantavano  origine  divina  nes- 
suna certo  era  stretta  cogli  dei  da  legami  tanto  forti  quanto 
Roma,  il  cui  principio  si  rannodava  a  Venere  e  Marte.  Di 
tutte  quelle  città  nessuna  era  ormai  più  Hbera  :  molte  di- 
strutte: nessuna  cosi  potente,  così  illustre,  cosi  grande.  Di 
tutte  quelle  città  nessuna  aveva  verificato  in  sé  in  modo  così 
pieno  le  promesse  divine  quanto  Roma.  Essa  aveva  come 
data  una  riprova  della  sua  discendenza  da  Marte  coll'aver 
soggiogato  il  mondo  :  da  circa  nove  secoli  il  nome  romano, 
prima  oscuro  e  ristretto,  si  era  continuamente  andato  allar- 
gando fino  a  non  conoscere  più  limiti:  né  per  questo  era 
scemata  T  intensità  del  potere  magico  che  ella  operava  sugli 

(i)  Op.  cit.,  tavv.  xxxvin-XLm,  tav,  iii  dell'Arco. 


Evoluiione  del  tipo  di  'T{oma  125 

animi:  anzi  colla  sua  grandezza  aveva,  per  dire  così,  rim- 
piccolito il  mondo  : 

«  Gentibus  est  aliis  tellus  data  limite  certo 
«  Romanae  spatium  est  urbis  et  orbis  idem  » 

aveva  già  cantato  Ovidio  (i)  quando  si  preparava  il  do- 
minio universale  di  Roma:  ma  al  tempo  di  Adriano  quel 
sentimento  era  di  tutti. 

L'antichità  adunque  a  cui  rimontavano  le  prime  me- 
morie romane  e  le  sue  glorie  contribuivano  a  colpire  forte- 
mente la  fantasia  del  popolo  ed  a  dare  alle  cose  un  certo  colo- 
rito mistico  che  portava  naturalmente  alla  venerazione  (2). 

Intanto  però  gli  uomini  avevano  poco  a  poco  perduta 
interamente  la  fede,  sentivano  dentro  di  sé  un  vuoto  ter- 
ribile. Il  nome  della  patria,  gli  ideali  politici  avevano  ces- 
sato già  da  molto  tempo  di  far'  battere  i  cuori. 

Gli  dei  dell'Olimpo  erano  caduti  l'uno  appresso  del- 
l'altro e  le  misteriose  divinità  orientali  avevano  finito  per 
essere  esse  pure  vuoti  nomi  e  non  avevano  fatto  altro  che 
accentuare  la  tendenza  dei  Romani  alla  superstizione.  La 
filosofia  aveva  invaso  le  menti  di  tutti,  e  stoici  e  platonici 
ed  epicurei  cercavano  tutti  un  ideale,  senza  però  poterlo 
raggiungere  mai.  D'altra  parte  gli  uomini  avevano  bisogno 
di  una  fede  che  tenesse  luogo  di  quella  politica  e  religiosa, 
ed  a  ciò,  non  bastando  né  le  vecchie  tradizioni  della  mito- 
logia greca  né  la  filosofia,  bastò  appunto  la  superstizione. 
Perciò,  mentre  in  Roma  si  accalcavano  nuovi  riti  e  nuove 
forme  di  culti,  la  superstizione  divenne  gigante  e  divenne 

(i)  Fasti,  II,  V.  683. 

(2)  Confronta  ciò  che  narra  S.  Agostino  {De  haeresibus,  VII)  di 
una  donna  della  setta  carpocraziana  che  adorava  Cristo  ed  Omero: 
nò  essa  comprendeva  certamente  Teccellenza  poetica  de!  cantore  di 
Troia,  ma  sì  la  lontananza  del  tempo  e  sì  la  grandezza  delle  cose  da 
lui  narrate  riempivano  l'animo  di  lei  di  tanta  ammirazione  verso  quel- 
l'uomo che  ella  si  piegava  naturalmente  ad  adorarlo. 


126  C^.  Tarisoiti 


comune  e  ferma  la  credenza  della  misteriosa  predestinazione 
di  Roma. 

In  questo  stesso  tempo,  quasi  come  conseguenza  degli 
altri  appellativi  che  ebbero  vigore  sotto  Vespasiano  e  sotto 
Tito,  vien  fuori  quello  di  Roma  aeterna  (i),  nome  che  ci 
fa  vedere  che,  sebbene  fossero  dimenticate  o  derise  le  an- 
tiche favole,  ne  restavano  tuttavia  gli  effetti.  Cosi  ciò  che 
prima  era  un  vago  presentimento  divenne  certezza  :  oscure 
e  lontane  erano  le  origini  di  Roma  e  misterioso  e  fanta- 
stico se  ne  presentiva  l'avvenire  :  questo  però  era  certo  tut- 
tavia che  ella  non  doveva  perire.  Un  soffio  divino  aveva 
improntato  su  di  lei  un  carattere  di  eternità,  ponendola 
cosi  d'un  tratto  fuori  della  legge  comune  della  mutazione 
e  distruzione  di  tutte  le  cose.  Nel  medio  evo  si  disse  : 
<(  Quamdiu  stat  Colysaeus  stat  et  Roma:  quando  cadjt 
«  Colysaeus  cadet  et  Roma*:  quando,  cadet  Roma  cadet  et 
«  mundus  »  (2). 

Ora  questa  idea  trova  le  sue  radici  nella  Roma  eterna 
di  Adriano ,  e  già  Tacito  (3),  allorché  riferisce  l'editto  di 
Tiberio  per  far  cessare  il  popolo  dalle  lamentazioni  per  la 
morte  di  Germanico,  fa  dire  all'imperatore:  «  Principes 
(c  mortales,  rempublicam  aeternam  esse  ».  Lo  storico,  pieno 
anche  esso  della  superstizione  comune  per  questa  grande 
idea  di  Roma,  trasporta  i  tempi  di  Tiberio  ai  suoi,  e  sup- 
pone che  nelle  moltitudini  di  quella  remota  età  un  accenno 
alla  eterna  potenza  della  repubbhca  avrebbe  fatto  tanta  im- 
pressione quanta  al  tempo  in  cui  egli  scriveva. 

Roma  adunque,  che  sì  nella  letteratura  che  nell'arte 
aveva  dapprima  rappresentato  la  città  fondata  da  Romolo 
e  poi  lo  Stato,  come  abbiamo  veduto  a  proposito   del  $•- 

(i)  Preller,  op.  cit.,  p.  357.  Cf.  anche  il  medaglione  del  musco 
Tiepolo  coU'epigrafe:  «  Urbs  Roma  aeterna  ». 

(2)  Graf,  Roma  nella  memoria,  nella  immagina:(ione  del  medio  evo, 
I,  119-120,  n.  31. 

(3)  Ann.,  Ili,  6,  e  cf.  anche  il  Graf,  II,  xxii. 


Evoluii one  del  tipo  di  T{oma  ii'j 

gnum  reipuhlicae  di  Suetonio  ,  divenne  una  vera  divi- 
nità. Cosi  quella  Roma  che  aveva  da  eroina  combattuto  a 
fianco  di  Romolo,  di  Camillo,  di  Scipione  e  di  Cesare, 
aveva  abbandonato  la  terra  e  proteggeva  dal  cielo  colla 
sua  mente  quello  Stato,  cui  colla  forza  del  suo  braccio  ella 
aveva  dato  la  vita.  Tale  sarebbe  stata  la  leggenda  di  Roma 
se  i  poeti  l'avessero  cantata,  o  meglio  tale  essa  fu  quale  ci 
è  messa  innanzi  dall'arte;  nò  si  dovrà  trascurare  di  tenerne 
conto,  pensando  che  è  utile  conoscere  tutte  le  leggende  di 
un  popolo,  anche  quelle  che  non  si  sono  completamente 
svolte,  ma  di  cui  possediamo  tutti  gU  elementi.  Di  più, 
poiché  anche  l'arte  è  una  ve^te  particolare  del  pensiero,  si 
dovranno  dire  vere  leggende  anche  quelle  che  non  ci  sono 
narrate  che  dal  marmo  (i). 

Certamente  però  pei  Romani,  la  cui  religione  era  subor- 
dinata alla  poHtica,  dovette  acquistare  un  gran  valore  una 
divinità  che  riuniva  in  sé  anche  l' idea  dello  Stato. 

Ma  mentre  gli  altri  dei  furono  dapprima  adorati  per 
vero  sentimento  religioso  e  terminarono  per  essere  pure 
forme  e  puri  simboH  della  religione  ufficiale,  Roma  all'op- 
posto, che  cominciò  coll'essere  solo  un'allegoria  esprimente 
la  città  di  Romolo  ed  il  popolo  romano,  terminò  per  avere 
un  sincero  culto  allorché  prese  origine  la  leggenda  della 
sua  eternità  e  de'  suoi  destini  celesti. 

La  trasformazione  di  questi  sentimenti  si  riflette  nella 
forma  in  più  modi:  ma  in  generale  si  può  dire  che  la  fi- 
gura di  Roma  assume  in  questo  tempo  un  carattere  assai 
più  dignitoso  e  veramente  divino,  sicché  si  raccosta  molto 
più  nelle  vesti  e  nella  maestà  a  Minerva.  Due  sole  cose 
però  la  distinguono  da  lei  :  l'atteggiamento  fiero  e  superbo 

(i)  Anche  la  letteratura  però  tratta  in  certo  modo  la  Icggeniia  d" 
Roma  assai  spesso.  Livio,  I,  6,  fa  predire  da  Romolo  a  Procolo  i  de- 
stini della  città;  cosi  Claudiano  (Ice.  cit.)  e  Sidonio  Apollinare 
(paneg.  ad  Majorianum)\  Viro.,  Aen.,  I,  v.  278;  Servio,  ad  Aen.,  !X, 
V.  188;  RuTiLio  NuMAZiANO,  Hitur.,  I,  V.  13}. 


128  qA,  Tarisotti 


del  volto  ed  il  carattere  matronale  della  persona.  La  di- 
stingue ancora  la  foggia  speciale  delFelmo  che  ha  sul  di- 
nanzi un  ornamento  simile  ora  ad  un  diadema,  ora  ad  una 
cinta  di  torri.  Le  vesti  di  cui  è  coperta  poi  sono  quasi 
sempre  tunica  talare  e  manto,  e  le  armi  Tasta  pura,  sim- 
bolo di  divinità,  e  lo  scudo  in  luogo  del  parazonio,  sim- 
bolo di  virtù  militare.  Finalmente  ella  siede  assai  più  spesso 
sopra  un  trono  che  sopra  un  mucchio  di  armi,  come 
nelle  figure  dei  tempi  precedenti.  Ed  infatti  è  assai  più 
proprio  per  lei,  divenuta  dea,  un  trono  come  quello  degli 
altri  numi  di  quello  che  una  congerie  di  armi  che  le  si 
addice  meglio  quando  è  immaginata  come  Roma  ergane. 

La  figura  di  Roma  era  dapprima  necessariamente  se- 
dente per  un  significato  tutto  materiale,  non  convenendo 
che  una  personificazione  di  cittcà  fosse  rappresentata  in 
altro  modo  :  in  seguito  però,  staccandosi  da  questo  signi- 
ficato materiale,  prese  atteggiamenti  propri  di  una  per- 
sona, ed  ora  finalmente  torna  ad  essere  quasi  sempre  se- 
duta perchè  questa  posizione  è  propria  di  una  divinità 
superiore. 

Potremo  prendere  come  tipo  di  una  tale  rappresen- 
tanza della  dea  Roma  la  famosa  pittura  Barberiniana.  Sarà 
inutile  ripetere  la  storia  del  ritrovamento  (i)  di  essa  presso 
il  battistero  del  Laterano,  circostanza  che  diede  origine  alla 
opinione  che  appartenesse  al  secolo  iv:  ma  il  Bunsen 
pensa  che  invece  debba  ascriversi  ad  un  tempo  migliore 
per  le  arti  (2),  e  cosi  anche  il  Winckelmann  (3)  ed  il 
Preller    (4),    il   quale    non   sembra  lontano    dall'accettare 

(i)  Avvenuto  il  7  aprile  1655,  secondo  che  il  Wickelmann  vide 
in  una  lettera  ms.  del  comm.  del  Pozzo  a  Nicolò  Heinsio,  ed  anche 
secondo  ciò  che  è  scritto  sulla  copia  che  ne  fu  mandata  a  Ferdi- 
nando III. 

(2)  Bunsen,  Beschreihung,  III,  11,  436. 

(3)  Storia  delle  arti,  II,  408. 

(4)  Op.  cit.,  II,  357,  n.  3. 


Epoluiione  del  tipo  di  ^oma  129 

r  idea  del  von  Duhn  che  suppone  la  pittura  fatta  sotto  il 
diretto   influsso   del  tempio  di  Venere  e  Roma.  È  inutile 
ancora  spender  parole  a  descriverla,  mentre  basta  solo  dare 
un'occhiata   alle  riproduzioni  che  ne  sono  state  fatte  (i) 
per  convincersi  che  questa  pittura,  benché  più  moderna- 
mente restaurata,  se  non  è  del  tempo  costantiniano  è  cer- 
tamente posteriore  ad  Adriano  e  perciò  ci  può  servire  per 
riconoscere  le  altre  rappresentanze  posteriori  a  quell'impe- 
ratore. Infatti  parecchie  statue  presentano  tal  somiglianza 
coir  accennato  monumento   Barberiniano  che  non  si  può 
a  meno  di  riconoscere  che  debbano  appartenere  circa  al 
medesimo  tempo.  Tale  è,  per  esempio,  una  statua  di  gran- 
dezza naturale  posta  all'ingresso  della  villa  Medici.  Il  sog- 
getto del  lavoro  è  certamente  la  personificazione  di  Roma: 
le  vesti  sono  di  marmo  grigio,  mentre  le  parti  scoperte  sono 
di  marmo  bianco.  Ad  onta  dei  numerosi  restauri,  essendo  di 
lavoro  assai  buono,  ne  diamo  in  fine  una  riproduzione  (2). 
Nella  stessa  villa  Medici  v'è  un'altra  statua,  ma  di  gran- 
dezza colossale,  all'estremità  della  gran  piazza  che  prospetta  il 
casino  (3).  Lo  Zoega  dice  che  questa  è  V unica  statua  grande 
di  Roma,  poiché  le  altre,  secondo  lui,  sarebbero  invece  Mi- 
nerva a  cagione  dell'egida  (4).  Ma  in  primo  luogo  più  di 
un'altra  rappresentanza,  come  quella  citata  di  sopra,  non  ha 
sopra  di  sé  un  tale  ornamento,  e  se  sopra  alcuna  esso  si  ritrova, 
ciò  non  può  fare  alcuna  difficoltà.  L'egida  essendo  passata 
ad  ornare  le  corazze  degli   imperatori,  poteva   benissimo 
stare  sul  petto  di  Roma,  e  cosi  é  che  io  crederei  che  il  si- 
mulacro posto  sulla  fontana  di  Campidogho  sia  veramente 
questa  dea,  mentre  questa  opinione  fu  contrastata  appunto 
a  cagione  dell'egida.  In  secondo  luogo,  se  anche  questo 


(i)  Archuologische  Zeitung,  anno   1885,  p.  23,  tav.  4. 

(2)  Tav.  II. 

(3)  Edita  dal  Baltard,  La  villa  Méàicis  à  Rome. 

(4)  Bassoril,  I,  150. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


ijo  qA.  Tarisotti 


attributo  di  Minerva  si  trova  sul  petto  di  Roma,  restano 
sempre  le  altre  caratteristiche  che  impediscono  di  scambiare 
una  dea  coU'altra.  Il  Bunsen  (i),  parlando  della  statua  co- 
lossale di  villa  Medici,  chiama  inverosimile  la  supposizione 
dello  Zoega  (2),  secondo  cui  esso  sarebbe  una  copia  di 
quello  del  tempio  di  Adriano.  Ad  ogni  modo  sarebbe  una 
copia  assai  tarda,  ma  la  posizione  stranamente  raggomito- 
lata della  figura  dà  ragione  al  Bunsen.  Piuttosto  potreb- 
bero credersi  tali  l'altra  già  citata  di  villa  Medici  o  quella 
che  è  sotto  il  portico  in  fondo  al  cortile  del  palazzo  dei 
Conservatori  (3),  o  l'altra  semi-colossale  che  prospetta  lo 
ingresso  del  palazzo  di  villa  Albani  dalla  parte  interna  (4). 
Anche  questa  ha  le  vesti  di  marmo  bigio  ed  il  resto  di 
marmo  bianco;  ma  di  queste  parti  solo  la  testa  sembra 
antica,  e  forse  neppure  essa  appartiene  alla  statua  (5). 
Alle  rappresentanze  di  cui  ci  siamo  or  ora  occupati  e  che 
non  hanno  indosso  l'egida,  conviene  contrapporne  un'altra 
che  più  non  esiste  in  Roma,  essendo  stata  da  poco  traspor- 
tata ad  Arsoli.  Essa  adornava  il  piazzale  della  villa  Massimo 
ed  era  creduta  rappresentare  la  Giustizia,  mancandole  gli 
attributi  che  doveva  aver  nelle  mani.  L' insieme  di  questa 
figura  però  non  può  lasciar  dubbio  che  ella  non  sia  Roma 
e,  per  ciò  che  poco  più  innanzi  abbiamo  detto,  non  può 
far  difficoltà  a  questa  interpretazione  la  testa  di  Medusa 
onde  è  ornata  la  corazza  di  cui  la  dea  è  coperta. 

Del  resto,  ciò  che  riferisce  Flaminio  Vacca  nelle  sue 
memorie  (6)  non  saprei  se  si  debba  attribuire  a  questa  od 
all'altra  statua   colossale  di  villa  Medici:  poiché  quel  dih- 

(i)  Op.  cit.,  Ili,  li,  602. 

(2)  Bassorilievi,  I,  141  e  sgg. 

(3)  Edita  dal  Montagnani,  Mttseo  Capitolino,  tav.  11,  2$. 

(4)  Quantunque    di  lavoro   non    eccellente,  è   migliore  di  quella 
colossale  edita  dal  Baltard. 

(5)  V.  tav.  III  in  fine. 

(6)  N.  41.       • 


Evoluzione  del  tipo  di  T{oma  131 

gente  raccoglitore  ci  fa  sapere  clie  quella  che  fu  trovata 
sulla  piazza  del  Quirinale  fu  comperata  dal  card,  di  Ferrara, 
«  che  la  condusse  nel  suo  giardino  presso  Monte  Cavallo  ». 
Questo  giardino  fu  poi  espropriato  da  Gregorio  XIII  per 
farvi  quello  annesso  al  palazzo  pontificio,  perciò  questa 
statua  fu  probabilmente  allora  mandata  in  dono  piuttosto 
che  venduta.  Resterebbe  perciò  a  sapere  se  fu  regalata  al 
card.  Medici  ovvero  al  card.  Montalto  che  fu  quegli  che 
fece  fare  il  piazzale  della  villa  alle  Terme  e  vi  fece  erigere 
quel  monumento  (i). 

Le  monete  di  Adriano  ci  dimostrano  ancora  una  volta 
come  non  si  debba  fidare  intieramente  sulle  loro  rappre- 
sentanze. Il  cambiare  di  un  tipo  è  cosa  di  tanta  importanza 
che  deve  naturalmente  accadere  con  una  certa  difficoltà. 
Cosi  è  che  sulle  monete  si  trova  ancora  spesso  Roma  in 
abito  succinto  (2)  ed  inoltre  con  abito  talare,  ma  con  una 
mammella  scoperta  (3),  circostanza  che  ci  fa  subito  inten- 
dere come,  per  trasportare  sulle  monete  l'effigie  di  Roma 
qual'era  data  dall'arte,  le  si  aggiungeva  il  segno  del  petto 
ignudo  che,  richiamando  alla  memoria  l'antico  tipo,  la  ren- 
deva riconoscibile  a  chiunque.  Del  resto  non  mancano  anche 
monete  sulle  quali  Roma  ha  in  tutto  e  per  tutto  la  figura 
stessa  che  abbiamo  veduto  nelle  statue  di  villa  Albani  e  di 
villa  Medici  (4),*  anzi  in  alcuni  casi  ha  anche  un  ramo  di 
ulivo  tra  le  mani,  siccome  attributo  di  eternità  (5),  ov- 
vero l'appellativo  di  felix  (6).  Resterebbero  perciò  alcuni 
pochi   tipi   nei  quali  è  figurata  indubbiamente  Roma  con 


(i)  Massimo,  Noti:(ìe  istoriche  della  villa  Massimo.  In  quel  volume 
è  anche  edita  la  statua  di  cui  si  parla. 

(2)  Cohen,  op.  cit.,  «  Adrian.  »,  nn.  79-84,  95,  ecc. 

(3)  Cohen,  «Med.  imp.  Adrian.  »,  nn.  714,  715. 

(4)  Ivi,  nn.  1097,  1106. 

(5)  Ivi,  n.  1304. 

(6)  Ivi,  n.  714. 


M2  qA.  l^arisotti 


abito  succinto  (i)  :  in  due  di  essi  però  si  capisce  subito  la 
ragione  del  ritorno  all'antico  tipo,  giacche  si  celebra  il  ri- 
torno di  Adriano  cui  Roma  va  a  stringere  la  destra,  e  perciò 
diviene  nuovamente  la  personificazione  della  città  ;  il  terzo 
poi  esce  addirittura  dalle  forme  consuete,  poiché  in  esso 
Roma  ha  tra  le  mani  il  corno  dell'abbondanza,  attributo 
rarissimo  e  che  allude  in  genere  a  qualche  spedizione  di 
grani.  Né  si  deve  credere  poi  che  la  trasformazione  del  tipo 
sia  così  generale  da  non  ammettere  eccezioni:  si  intende 
bene  che  la  varia  mente  dell'artista  od  il  vario  scopo  a  cui 
serviva  il  lavoro  poteva  modificare  in  tutto  od  in  parte  la 
figura  stessa  :  cosi,  p.  e.,  il  bassorilievo  che  si  conserva  nella 
villa  Albani  (2)  è  una  di  tali  eccezioni.  Noi  però  non  cre- 
diamo opportuno  di  diffonderci  a  parlare  di  quel  monumento 
illustrato  gicà  dallo  Zoega  (3)  e  del  quale  pei  numerosi  restauri 
è  difficile  dire  con  sicurezza  qual  parte  sia  certamente  antica. 
Anche  altre  figure  dei  tempi  successivi  ritornano  pure 
al  tipo  antico,  senza  però  perdere  quella  dignità  che  ave- 
vano acquistata  coll'accostarsi  a  Minerva  nella  recente  tra- 
sformazione come  quella  del  musaico  marmoreo  del  principe 
Colonna  edita  ed  illustrata  del  Tomassetti.  Un'altra  di  queste 
è  effigiata  sopra  una  base  che  si  conserva  alla  villa  Pam- 
phili  in  Roma  (4),  edita  ed  illustrata  dal  Winkelmann  (5) 
e  poi  in  modo  più  preciso  e  sicuro  dal  Kòhler  (6).  Questi, 
oltre  al  riconoscere  una  base  in  luogo  di  un'ara,  ha  poi 
dato  una  giusta  interpretazione  alle  figure  che  vi  sono 
scolpite  secondo  che  si  poteva  pei  guasti  loro.  L'impera- 
tore Antonino  Pio,    adunque,  togato  e  coronato   d'alloro 

(i)  Cohen,  nn.  79,  95. 

(2)  BuNSEN,  Bòschr.,  Ili,  11,  472. 

(3)  Zoega,  BassorilUvi,  I,  tav.  31. 

(4)  Bunsen,  op.  cit.,  Ili,  III,  632, 

(5)  Mon.  iriòd.,  parte  III,  233. 

(6)  Ann.  delV Ist.,  anno  1863,  p.  197;  Mon.  dell' IsU,  VI  e  VII^ 
tav.  Lxxvi,  1-3,  e  in  modo  alquanto  differente  dal  Purgold,  Mise, 
Capii.,  1879,  22.  Cf.  anche  Zoega,  App.,  355. 


Evolu\ione  del  tipo  di  ^oma  133 

sorregge  colla  sinistra  una  specie  di  scettro  che  termina 
con  una  piccola  mezza  figura  che  il  Bunsen  crede  un 
penate.  Alla  sinistra  dell'imperatore  la  figura  di  Roma 
rappresentata  con  abito  succinto,  coli'  elmo  in  capo, 
colla  metà  del  petto  scoperta  e  cogli  alti  suoi  calzari  ai 
piedi.  Appresso  a  lei  un'altra  figura  muliebre  che  il  Win- 
kelmann  e  il  Kòhler  sono  pure  concordi  nel  credere  Juno 
Laniivina  a  cagione  della  pelle  di  capra  che  le  ricopre  le 
spalle,  dello  scudo  che  ha  nella  sinistra  e,  come  dice  il 
Kòhler,  «di  una  certa  rigidezza  arcaica  nell'attitudine». 
Dall'altra  parte  di  Antonino  segue  Marte  colla  lancia  nella 
sinistra,  il  parazonio  nella  destra,  la  clamide  e  lo  scudo 
poggiato  in  terra  :  dopo  Marte,  Venere  (forse  Venus  geni- 
trix)  col  diadema  in  capo  e  l'asta  nella  sinistra  (i)."  Dal- 
l'altro lato  di  Venere  è  una  Vittoria  colla  palma  nella  mano 
ed  appresso  uno  spazio  vuoto,  poi  una  figura  virile  im- 
berbe, poi  anche  un'altra  di  cui  sono  rimasti  appena  i  con- 
torni e  poi  ancora  un  personaggio  togato.  Nello  spazio 
vuoto,  le  traccie  rimastevi  essendo  troppo  basse  per  un 
uomo,  si  suppone  che  vi  fosse  scolpito  un  trofeo  :  le  altre 
persone,  poco  riconoscibili,  specialmente  quella  di  mezzo, 
sono  probabilmente  appartenenti  alla  famiglia  di  Antonino 
cioè  M.  Aurelio,  L.  Vero  e  Commodo.  Ora  se  noi  ripen- 
siamo l'insieme  di  questa  composizione,  non  crederemo 
certo  che  la  figura  di  Roma  abbia  perduto  di  dignità  as- 
sumendo qui  il  suo  antico  costume  amazzonico,  essendo 
anzi  ella  nobilitata  dal  trovarsi  in  unione  colle  maggiori 
divinità  dell'Olimpo.  Dirò  di  più  che  è  naturale  che  in 
questo  rilievo  ella  abbia  ripreso  il  suo  tipo  primitivo,  poiché 
stando  insieme  con  altre  effigie  di  numi  era  necessario  che 
un  chiaro  segno  la  distinguesse.  Cosi  nell'altro  rilievo  che 
abbiamo  già  accennato  della  villa  Albani  nulla  toglie  alla 


(i)  WiNKELMANN,  Mon.  i/ied.,  I,  37,  parlando  di  Venere  celeste 
dice  che  aveva  per  suo  attributo  l'asta  e  che  perciò  era  detta  "E-yx"»?* 


134  C^-  ^arìsotti 


maestà  della  figura  la  veste,  essendo  ella  assisa  presso  un 
tempio,  evidentemente  eretto  in  suo  onore  e  che,  sebbene 
sia  assai  restaurato,  pure  è  indicato  da  un  avanzo  di  co- 
lonna che  è  antico. 

Lascio  ora  da  parte  un  altro  bassorilievo  di  villa  Albani, 
rappresentante  un  congiario  di  Antonino  Pio  (i),  perchè 
in  esso  la  figura  che  dicesi  di  Roma  è  espressa-  in  tal  guisa 
da  rendere  assai  poco  probabile  quella  interpretazione.  Essa 
non  ha  elmo  in  capo  e  sta  nell'atto  di  togliersi  il  balteo, 
circostanza  che,  secondo  il  Blessig  (2),  alluderebbero  alla 
pace  di  cui  godette  lo  Stato  romano  sotto  T  impero  di 
Antonino;  ma  noi  abbiamo  veduto  che  Roma,  anche  pa- 
cificamente rappresentata  cogli  ulivi,  colle  palme  e  colla 
cornucopia,  non  depone  mai  l'elmetto  che  è  la  sua  caratte- 
ristica principale. 

Ci  resta  perciò  da  esaminare  l'apoteosi  di  Antonino  scol- 
pita nella  base  della  colonna  a  lui  innalzata  da  M.  Aurelio, 
bassorilievo  che  si  conserva  nel  giardino  della  Pigna 
al  Vaticano  (3).  Antonino  e  Faustina  sono  portati  in 
cielo  da  un  genio,  forse  dell'eternità,  che  ha  nella  si- 
nistra il  globo  su  cui  è  scolpito  lo  zodiaco.  In  basso  a 
sinistra  v'è  una  figura  seminuda  che  il  Visconti  assai  ra- 
gionevolmente crede  il  genio  del  Campo  Marzio  poiché  è 
caratterizzato  dall'obelisco  per  rammentare  «  il  luogo  dove 
si  fecero  le  esequie  dell'  imperatore  » .  A  destra  poi  anche 
in  basso  Roma  quasi  giacente  poggia  i  piedi  sopra  armi  di 
vario  genere  ed  è  vestita  precisamente  come  abbiamo  ve- 
duto sopra  qualche  moneta  di  Adriano,  cioè  coli' abito  ta- 
lare, ma  colla  metà  del  petto  ignuda. 

Questa  foggia  di  rappresentanza  è,  come  abbiamo  accen- 
nato, una  specie  di  conciliazione  tra  la  vecchia  e  la  nuova 


(i)  Blessig,  Ann.  ddl'Ist.,  1844,  p.  115  ;  Mon.  dell' Ist.,  IV,  tav.  iv. 

(2)  Ann.  ddl'Ist.,  1844,  P-   ^55;  ^on.  dell' Ist.,  IV,  iv. 

(3)  Visconti,  Museo  Pio  dementino,  V,  tav.  29. 


Evoluzione  del  tipo  di  T^ma  135 

forma.  Del  resto  sulle  monete  di  Amonino  Pio  Roma  (i) 
ha  sempre  la  lunga  veste  e  qualche  volta  ha  persino  tra 
le  mani  il  palladio,  cioè  il  sacro  segno  della  città  (2).  Cosi 
anche  su  quelle  di  Commodo,  il  quale  forse,  per  la  sua 
pretensione  della  Roma  commodiana,  ebbe  una  predile- 
zione speciale  per  la  personificazione  di  lei  (3).  In  alcuni 
tipi  quest'  imperatore  unisce  sempre  più  la  propria  persona 
colla  dea  Roma,  ora  facendosi  da  essa  consegnare  il  globo, 
ora  restituendo  il  tipo  adrianeo  ddYadventus  Augusti,  nel 
quale  ella  strìnge  la  mano  dell'imperatore,  ora  poi  allu- 
dendo ad  una  prosperità  annonaria  che  non  sembra  però 
fosse  molto  grande  sotto  il  suo  impero.  Infatti  le  monete 
di  Commodo  pongono  spesso  tra  le  mani  di  Roma  un 
corno  di  dovizie,  ciò  che  farebbe  credere  a  grandi  opere 
fatte  da  quel  principe  pel  benessere  della  città,  mentre  Lam- 
pridio  (4)  dice  solo  che  «  classem  africanam  instituit  quae 
«  subsidio  esset  si  forte  Alexandriae  frumenta  cessassent  » . 
Una  insigne  rappresentanza  che  ci  mostra  di  nuovo 
Roma  coU'abito  di  amazzone  è  quella  che  figura  sul  basso- 
rilievo che  si  trova  ora  al  palazzo  de'  Conservatori,  e  che 
in  altri  tempi  decorava  l'arco  di  M.  Aurelio,  demolito  da 
Alessandro  VII  nel  1662  (5).  Senza  diffondermi  a  parlare 
lungamente  della  composizione  di  questo  rilievo  abbastanza 
conosciuto,  noterò  solo  che  anche  qui  assai  opportunamente 
la  figura  di  Roma  riprende  il  tipo  antico.  Infatti,  secondo 

(i)  Cohen,  n.  1029. 

(2)  Cohen,  «Ant.  »,  n.  934. 

(3)  Cohen,  «  Commodo»,  n.  857.  Roma  seduta  a  d.  con  asta  e 
Vittoria;  la  Pace  incontro,  seduta  con  ramo  di  ulivo  e  corno  d'abbon- 
danza e  in  mezzo  un  tripode  su  cui  Commodo  sacrifica  velato  in  piedi 
a  s.  Incontro  a  lui  due  giovani  di  cui  uno  suona  la  doppia  tibia.  Vedi 
anche  il  n.  513-562.  Roma  sed.  a  s.  su  corazza  con  scudo  accanto 
regge  colla  s.  una  cornucopia  e  colla  d.  dà  un  globo  a  Commodo  stante 
coronato  da  Vittoria  ;  al  secondo  piano  Felicità  stante  a  s.  con  caduceo. 

(4)  Commodus,  XVII. 

(5)  Rossini,  Archi  trionfali,  tav.  xlix;  Bartoli,  Admir.,  tav.  6. 


13^  C^.  Tansotii 


quel  che  dice  il  Bartoli,  l'arco  fu  innalzato  quando,  per  la 
morte  di  L.  Vero,  M.  Aurelio  restò  solo  a  governare  T  im- 
pero: e  però  in  quella  scultura  è  il  popolo  romano  che 
consegna  a  lui  il  globo  (i). 

Dall'altra  parte  al  concetto,  non  di  un'azione  fatta  dal 
popolo  o  dal  Senato,  ma  di  un'onoranza  resa  alla  dea, 
corrisponde  opportunamente  il  tipo  di  divinità,  come  ve- 
diamo sopra  alcuni  medaglioni  clipeati  di  L.  Vero  (2)  sui 
quali  a  Roma,  assisa  e  vestita  di  tunica  talare,  l' imperatore, 
che  rappresenta  il  popolo  ed  il  Senato,  offre,  standole  in 
piedi  dinanzi,  un  ramo,  mentre  a  tergo  della  dea  è  una 
Vittoria  in  atto  di  coronarla.  Da  notare  è  pure  che  T  im- 
peratore in  piedi  è  appena  alto  quanto  Roma  sedente,  ciò 
che  potrebbe  essere  l'espressione  della  dignità  di  lei  signi- 
ficata, secondo  il  costume,  dalla  sproporzione  di  altezza. 

Un  tal  genere  di  rappresentanze,  che  piacquero  tanto 
agU  Antonini,  si  riscontrano  ancora  sotto  Severo  e  Cara- 
calla:  ma  per  la  decadenza  dell'arte,  che  già  si  fa  sentire 
abbastanza  forte,  o  perchè  si  andasse  perdendo  quel  certo 
gusto  antico  che  con  ogni  figura  esprime  un'  idea,  la  rap- 
presentanza di  Roma  diviene  confusa  ed  incerta  e  prepara 
in  certo  modo  la  strada  a  quella  del  tempo  Costantiniano. 
Sull'arco  di  Settimio  Severo  ella  è  effigiata  una  volta  nella 
chiave  (3)  con  corazza  ed  elmo  alato,  strano  ritorno  a 
quelle  antiche  teste  repubblicane,  ed  un'altra  volta  nel  grande 
bassorilievo  che  rappresenta  la  pompa  trionfale  (4).  In 
questo  siede  ella  col  globo  nella  mano  sinistra  ed  a  lei  sono 
condotti  tutti   gli  schiavi  barbari  che  le  si  inginocchiano 

(i)  Altri  bassorilievi  di  archi  trionfali,  che  sono  al  cortile  di  Bel- 
vedere, ripetono  il  solito  concetto  di  Roma  che  conduce  il  carro 
del  trionfatore.  V.  Bunsen,  Beschr.,  II,   154. 

(2)  Boll,  della  Com.  arch.  mun.,  1877,  p.  79,  tavv.  vi-vii;  Cohen,  III, 
14,  n.  92. 

(3)  Rossini,  op.  cit.,  tav.  lvi. 

(4)  Ivi,  LV. 


EpoI unione  del  tipo  di  T{oma  i^j 

dinanzi  supplichevoli.  Orbene,  in  altri  tempi  dell'arte  la  ' 
figura  di  Roma  non  avrebbe  mancato  di  avere  qui  aspetto 
divino  ed  invece  ella  ha  la  corta  tunica  ed  il  seno  scoperto; 
ma  la  decadenza  artistica  andava  sempre  più  galoppando  e 
l'idea  della  grandezza  di  Roma  continua  ancora  ad  accre- 
scersi, ma  non  sono  più  le  sue  figure  che  ce  la  esprimono, 
sono  invece  i  titoli  che  le  si  danno. 

Abbiamo  veduto  la  Oeà  P(jl)[ji7]  dei  templi  augustei  e 
poi  la  Roma  victrix  di  Galba  e  Vespasiano  e  poi  la  aeterna 
e  la  felix  di  Adriano  ed  i  titoli  votivi  in  cui  ella  è  posta 
insieme  colle  massime  divinità,  come  l'iscrizione  di  Locri  (i): 
Jovi  opt.  max.  diìs  deahusqiie  immortalihus  et  Romae  aeternae. 
Ora  non  poteva  venir  fuori  che  un  appellativo  spiccata- 
mente divino  e  cosi  avvenne  :  l' Urbs  sacra  Augustoriim  no- 
strorum  (2)  compì  la  serie  dei  titoli  dati  a  Roma  e  ne  portò 
al  massimo  l'apoteosi.  Questo  nome  di  sacra  dato  alla  città 
fu  come  il  principio  di  tutti  quei  titoli  che  ebbero  origine 
sotto  Diocleziano,  quando  la  Corte  prese  un  carattere  cosi 
orientale  che  tutto  ciò  che  aveva  attinenza  coli' imperatore 
fu  detto  sacro.  Ma  la  città  aveva  già  da  molto  tempo  rice- 
vuto questo  onore,  e  certo  se  ancora  l'espressione  figurata 
di  un'  idea  fosse  stata  naturale  o  possibile,  non  sarebbe 
mancata  una  forma,  la  quale  avesse  fissato  sulla  rappresen- 
tanza di  Roma  questa  parola  di  sacra,  che  conteneva  in  sé 
le  due  idee  della  divinità  e  della  fatale  eternità  (3).  Ma  in 

(i)  MoMMSEN,  /.  N.,  n.  8. 

(2)  Boll,  della  Com.  arch.  mun.,  1882,  p.  48. 

(3)  Le  monete  di  Severo  e  Caracalla  (Cohen,  «  Severo  »,  nn.  605, 
610.  «Roma  col  Palladio»,  n.  613.  «  Caracalla  »  nn.  548-552.  Roma 
aeterna  col  Palladio,  n.  554)  portano  la  effigie  di  Roma  colla  leg 
genda:  Restitutori  Urbis,  che  non  è  vana  millanteria,  ma  una  lode  che 
si  addice  bene  tanto  a  Severo  che  a  Caracalla,  secondo  quel  che  dice 
Sparziano  («  Sev.  »,  23)  che  «  Romae  omnes  aedes  publicae  quae  vitio 
«  temporum  labebantur  instauravit,  nusquam  prope  suo  nomine  ad- 
«  scripto,  scrvatis  tamcn  ubique  titulis  conditorum  ».  Nella  serie  delle 
monete  poi  degli  altri  imperatori  merita  solo  di  essere  menzionata  una 


ijS  qA.  Tarisotti 


tutto  quel  tempo  che  corre  appunto  da  Severo  a  Diocle- 
ziano, l'abbassarsi  dello  spirito  della  romanità,  il  sentimento 
della  propria  decadenza,  attestato  anche  dagh  scrittori  là 
dove  raccontano  che  nel  circo  spesso  si  levava  un  lamento 
senza  alcuna  ragione,  preparavano  la  società  alle  nuove 
condizioni  che  dovevano  sorgere  in  seguito  al  grande  ri- 
volgimento costantiniano  (i). 

Possiamo  adunque  concludere  in  generale,  riassumendo 
quello  che  è  stato  detto  in  questo  capitolo,  che  la  personi- 
ficazione di  Roma,  quando  assume  la  forma  di  divinità,  ha 
tutti  quei  caratteri  che  esprimono  un  tal  grado  maestoso, 
cioè  l'abito  talare,  l'asta  pura  e  qualche  volta  persino  l'egida; 
quando  poi  è  rappresentata  in  azione,  torna  ad  essere  ve- 
stita da  amazzone;  ma  in  alcuni  casi  questa  foggia  di  ve- 
stire non  toglie  nulla  alla  dignità  della  figura,  la  quale  invece 
è  nobilitata  dal  resto  della  composizione  o  da  qualche  altra 
circostanza. 

§  4.  —  Da  Costantino  alla  caduta  dell' lmpero. 

L'editto  di  Milano  fu  il  segno  della  caduta  dello  splen- 
dido edificio  del  paganesimo  già  da  gran  tempo  preparata  : 
con  esso  rovinò  ancora  il  sentimento  classico  che  era  in- 
tieramente fondato  su  quello.  Infatti,  quando  nel  rinasci- 
mento lo  studio  dell'antichità  portò  l'entusiasmo  pel  clas- 
sicismo, si  ritornò  per  quanto  fu  possibile  al  paganesimo. 
Al   tempo  di   Costantino    adunque   la   società  fu  mutata 


di  Giulio  Filippo,  il  quale,  nell'occasione  del  millenario  di  Roma,  resti- 
tuisce acconciamente  il  tipo  e  la  leggenda  di  Romae  aeternae  (Cohen, 
«Filippo  »,  n,  164,  e  la  Lupa  con  Romolo  e  Remo,  n.  177.  Saecu- 
lares  Augg.).  Degli  altri  imperatori  basterà  dire  che  si  trova  sulle  loro 
monete  Roma  rappresentata  frequentemente  secondo  il  tipo  adrianeo 
e  qualche  volta  secondo  il  tipo  antico,  sebbene  un  po'  contrafatta 
(V.  Cohen,  agli  imperatori  dopo  Giulio  Filippo). 

(i)  Preller,  op.  cit.,  parte  II,  p.  358  e  Dione  Cassio,  LXXII,  15. 


Epolii\ione  del  tipo  di  ^^ma  139 

dalle  basi  e  si  cominciò  a  prepararne  una  nuova  che 
rinsanguata  poi  e  rimescolata  dai  barbari,  doveva  essere 
in  seguito  la  società  medioevale.  È  per  questa  condizione 
di  cose  che,  se  l'arte  continuò,  nell'ultimo  secolo  dello  im- 
pero, ad  esprimere  idee  antiche,  usurpò  bensì  forme  clas- 
siche, ma  senza  alcun  significato  e  senza  alcuna  corrispon- 
denza tra  esse  e  lo  spirito  si  dell'artista  e  si  del  popolo.  Da 
ciò  ebbe  origine  necessariamente  un  simbolismo  afflitto 
convenzionale  per  indicare  il  significato  allegorico  di  una 
rappresentanza  :  l'arte  cioè  divenne  una  specie  di  linguaggio 
geroglifico  che  per  mezzo  di  segni  rappresentò  e  caratte- 
rizzò le  varie  idee.  Questo  stesso  fatto  avvenne,  come  era 
naturale,  anche  alla  figura  di  Roma,  e  se  per  l' innanzi  la 
O-eà  Tcó{jiyj  del  tempo  di  Augusto  o  la  Roma  aeterna  di  Adriano 
si  riconoscevano,  oltreché  dai  simboli,  anche  dall'  insieme 
della  persona  e  dall'atteggiamento,  allora  essa  divenne  né 
più  né  meno  che  una  figura  di  donna  colFabito  e  con  tutto 
l'ornato  proprio  degli  ultimi  tempi  imperiali,  caratterizzato 
da  alcuni  segni  fissi,  i  quali,  se  per  avventura  mancano,  è 
assai  diffìcile  riconoscere  Roma  invece  di  un'altra  figura. 
Non  è  meraviglia  adunque  se,  mentre  negh  ultimi  secoK 
la  leggenda  di  Roma  continua  sempre,  anzi  per  la  deca- 
denza politica  e  per  le  tendenze  mistiche,  resta  sempre  più 
separata  dalle  cose  terrene,  le  rappresentanze  abbiano  poca 
relazione  con  essa.  Non  tenendo  conto  adunque  di  quella 
base  che  si  conserva  al  Palatino,  illustrata  dall' Helbig  (i), 
nella  quale  la  figura  di  Roma,  più  delle  altre  guasta,  è  poco 
riconoscibile,  l'unica  figura  di  qualche  importanza  si  é  quella 
che  adorna  la  chiave  grande  dell'arco  di  Costantino  (2). 
Questa  immagine  che  più  di  un'altra  volta  abbiamo  trovato 
come  ornamento  degli  archi,  è  qui  effigiata  col  tipo  più 


(i)  Abhandl.   des   Mùnchen  Akad.,     1880,   p.    493,   ed  edito  dalla 
Sachs.  Ber.,  1868,  tav.  iv. 

(2)  Rossini,  op.  cit ,  tav.  lxx. 


140  Q^.  ^ansotti 


tardo,  cioè  collo  scettro  e  col  globo,  in  abito  talare  e  se- 
dente, posizione  poco  adatta  per  essere  la  figura  posta  sulla 
chiave  di  un  arco.  Questa  rappresentanza  perciò  segue  in- 
teramente il  tipo  derivante  dalla  Roma  aeterna  e  niente  altro 
la  pone  in  relazione  con  Costantino  all' infuori  dell'essere 
sopra  un  monumento  a  lui  dedicato. 

Ma  i  due  grandi  avvenimenti  dell'editto  del  321  e  della 
traslazione  della  sede  sono  il  tratto  caratteristico  del  tempo  : 
la  figura  di  Roma  perciò,  priva  quasi  di  significato  finche 
non  ha  relazione  con  quei  due  fatti,  diviene  una  completa 
sintesi  storica  di  quel  periodo  quando  con  essi  si  collega  (i). 
Ma  si  per  la  decadenza  dell'arte  e  si  perchè  ambedue  gli 
avvenimenti  hanno  carattere  ufficiale,  converrà  cercarne  il 
riscontro  sulle  monete.  Sulle  monete  di  Costantino  si  tro- 
vano bensì  emblemi  religiosi,  ma  anche  impronte  affatto 
pagane  e  la  figura  di  Roma  costantemente  con  aspetto  pa- 
gano (2).  La  ragione  di  ciò  è  abbastanza  chiara.  Primiera- 
mente il  riconoscimento  della  religione  cristiana  era  troppo 
recente  per  poter  d'un  tratto  trasformare  una  divinità  pa- 
gana in  una  figura  cristiana,  tanto  più  essendo  l'idea  di 
Roma  ancora  assai  strettamente  collegata  colle  antiche  cre- 
denze :  secondariamente  poi,  essendo  il  pontefice,  cioè  il  rap- 
presentante della  religione  cristiana,  una  delle  cagioni  che 
spinsero  Costantino  a  partire  da  Roma  per  non  trovarsi  di 
fronte  ad  una  autorità  che  non  si  poteva  sapere  fin  dove 
sarebbe  giunta,  non  doveva  far  piacere  all'  imperatore  stesso 
di  mettere  in  relazione  intima  tra  loro  Roma  e  gli  emblemi 
cristiani,  con  che  si  sarebbe  potuto  credere  che  non  solo  di 
fatto,  ma  che  anche  nel  diritto  Roma  fosse  abbandonata  al 

(i)  La  figura  dell'arco  come  anche  l' intero  edificio  a  nulla  ac 
cennava  delle  mutate  condizioni  religiose,  poiché  le  parole  QUOD 
INSTINCTV  DIVINITATIS  dell'iscrizione  sono  state  aggiunte  dopo 
sopra  altre,  delle  quali  ancora  si  vede  qualche  segno. 

(2)  Cohen,  VI,  121,  n.  176,  e  77,  nn.  i,  2,  3,  4,  5,  6,  7,  8,  9,  io, 
II,  12,  13,  14. 


Evoluzione  del  tipo  di  Q{oma  141 

pontefice.  Tra  i  suoi  successori  però  il  primo  che  dia  em- 
blemi religiosi  alla  personificazione  di  Roma  è  Nep oziano  (i) 
ed  anche  questo  è  abbastanza  naturale.  I  figli  di  Costantino 
seguono  la  politica  paterna,  ma  Nepoziano,  il  cui  brevissimo 
impero  non  fu  che  una  lotta  contro  Magnenzio,  si  servi  di 
quella  trasformazione  del  tipo  per  metterla  in  rapporto  colla 
propria  causa.  Magnenzio  infatti  era  considerato  come  ribelle, 
mentre  il  suo  competitore  si  rannodava  alla  famiglia  di  Co- 
stantino. Quello  sosteneva  in  certo  modo  il  paganesimo, 
giacché  le  sue  monete  hanno  impronte  pagane  (2),  Nepo- 
ziano invece,  appunto  perchè  nipote  di  Costantino,  per  con- 
trapporsi all'altro  si  presenta  come  campione  del  cristiane- 
simo: finalmente  la  lotta  non  ebbe  altro  scopo  che  il  possesso 
di  Roma,  perciò  mentre  V  uno  mostrava  in  suo  dominio  la 
Roma  pagana,  l'altro  la  ostentava  sua  e  cristiana,  ponendole 
in  mano  il  globo  sormontato  dalla  croce. 

Tra  i  successori,  più  tardi  però,  la  rappresentanza  va 
diventando  poco  a  poco  assai  più  comune  e  le  monete 
di  Valente  (3),  Valentiniano  II  (4),  Teodosio  (5),  Valenti- 
niano  III  (6)  e  Massimo  (7)  mostrano  Roma  figurata  come 
una  matrona  con  tutti  gli  ornamenti  propri  del  tempo  e  col 
solo  elmo  che  resta  degli  antichi  emblemi  militari,  e  che 
sorregge  tra  le  mani  ora  il  labaro,  ora  uno  scudo  sormon- 
tato dal  monogramma  y^,  ora  il  globo  sormontato  dallo 
stesso  monogramma  ed  ora  finalmente,  benché  elhi  sorregga 
il  semplice  globo,  il  segno  y^  è  posto  nel  campo  della  mo- 
neta. Questi  cambiamenti  del  tipo  ci  pongono  d'un  tratto 

(i)  Cohen,  VI,  322,  n.  i. 

(2)  Ivi,  324,  n.  41,  e  sulle  sue  medaglie  spesso  il  labaro  e  senza 

(3)  Cohen,  VI,  413,  n.  24. 

(4)  Ivi,  446,  n.  35,  e  VII,  405  addiz. 

(5)  EcKHEL,  Catalogo,  n.  65. 

(6)  Cohen,  VI,  503,  nn.  3,  4,  e  506,  n.  22. 

(7)  Ivi,  467,11.  13. 


142  <yl.  T^arisotti 


in  mezzo  al  cristianesimo  già  potente,  non  solo,  ma  ancora 
in  mezzo  alle  leggende  che  dal  cristianesimo  sorsero  rela- 
tive a  Roma.  Infatti,  come  noi  abbiamo  considerato  la  Roma 
di  Adriano  siccome  espressione  dell'indistruttibilità  della  ca- 
pitale dell'impero,  così  questa  che  sul  globo  ha  posto  la 
croce  si  collega  assai  bene  con  un'altra  leggenda  che  corre 
parallelamente  alla  prima  per  tutto  il  medio  evo  e  giunge 
anzi  colla  sua  influenza  fino  ai  tempi  moderni,  la  quale  fa 
di  Roma  il  necessario  centro  della  cristianità.  Dante  (i)  e 
molti  altri  scrittori  di  tutta  l'età  media  accennano  frequen- 
tissimamente all'essere  la  città  di  Romolo  predestinata  a 
dominare  il  mondo  perchè  poi  fosse  degna  sede  del  cristia- 
nesimo. Ma  se  con  questo  fatto  religioso  si  avvantaggiava 
r  ideahtà  di  Roma,  coli' altro  di  natura  schiettamente  politica 
la  città  vera  e  materiale  andava  totalmente  in  ruina:  ed  il 
non  trovar  traccia  nelle  rappresentanze  di  questa  decadenza 
ci  dimostra  che  si  figurava  non  la  Roma  materiale,  ma  la 
ideale.  Accanto  ad  essa  però,  e  di  un  tratto  fatta  nobile  quanto 
quella,  sorse  un'altra  figura,  quella  di  Costantinopoli.  Troppo 
dovremmo  allontanarci  dal  tema  se  volessimo  parlare  mi- 
nutamente di  questa  nuova  rappresentanza;  ma  noi  ci  limi- 
teremo a  notare  le  differenze  che  distinguono  dall'antica  la 
nuova  Roma.  Questa  ha  il  capo  coperto  spesso  da  una  cinta 
di  torri,  ovvero  qualche  volta  da  un  elmo,  cinto  però  sempre 
di  torri:  la  lunga  tunica  ed  il  manto,  i  monili  e  gli  adorna- 
menti come  l'altra  e  finalmente  ha  quasi  sempre  sotto  i  piedi 
una  prora  di  nave  (2).  Questo  simbolo  che  abbiamo  veduto 


(1)  La  quale  e  '1  quale  a  voler,  dir  lo  vero, 
Fur  stabiliti  per  lo  loco  santo 

U'  siede  il  successor  del  maggior  Piero. 

(/«/.,  e.  II,  22). 

Cf.  anche  Santa  Caterina  da  Siena,  che,  scrivendo  ad  Urbano  VI 
perchè  torni  in  Roma,  dice  :  «  qui  è  il  capo  e  il  principio  della  nostra 
fede  ».  V.  lett.  XXII,  capo  ii. 

(2)  Cohen,  VI,  «  Med.  imp.  »,  175,  n.  i  ;  176,  n.  6. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^l^ma  143 

una  volta  in  una  moneta  repubblicana  era  un  segno  affatto 
estraneo  alla  figura  e  che  non  aveva  relazione  se  non  con 
qualche  fatto  accidentale  a  cui  si  voleva  alludere. 

Ma  nella  personificazione  di  CostantinopoH  invece  la 
prora  di  nave  è  quasi  una  parte  integrale  e  non  può  avere 
altro  significato  che  quello  di  dimostrare  la  postura  delia  città 
sedente  sul  mare  e  regina  di  esso.  Tali  sono  le  caratteri- 
stiche della  rappresentanza  di  Costantinopoli;  ma  del  resto 
le  figure  delle  due  Rome  non  sono  quasi  mai  separate  Y  una 
dall'altra,  ma  spesso  siedono  ai  lati  di  uno  scudo  su  cui 
sono  scritti  i  vicennali  dell'imperatore  (i).  Qualche  volta 
poi  a  queste  due  si  aggiungono  le  personificazioni  delle  altre 
grandi  metropoli  dell'impero,  cioè  Alessandria  ed  Antiochia. 

Cosi  fii  fatto  su  quei  pomi  di  una  lettiga  ritrovati  al- 
l'Esquilino  nel  1793  (2),  nei  quali  Roma  è  caratterizzata  dal- 
l'asta e  lo  scudo,  Costantinopoli  dalla  cornucopia,  altro  sim- 
bolo frequente  nei  medaglioni  (3)  e  dalla  patera  ed  in  quella 
vece  la  prora  di  nave  insieme  aile  frutta  e  spiche  sono  pas- 
sate ad  indicare  Alessandria,  mentre  Antiochia  ha  la  sua 
solita  figura  dei  medaglioni  (4)  e  delle  statue  (5)  coll'Oronte 
sotto  i  piedi.  È  da  notare  che  di  queste  quattro  personifi- 
cazioni solo  le  due  Rome  hanno  l'elmo  in  capo,  mentre  le 
altre  due  sono  turrite  ;  la  qual  differenza  abbiamo  già  osser- 
vato che  è  costante  per  distinguere  Roma  dalle  altre  città; 
in  questo  caso  però,  trovandosi  le  due  capitali  a  riscontro 
di  Alessandria  ed  Antiochia,  prendono  come  simbolo  co- 
mune l'elmo,  il  quale  non  sarebbe  in  giusta  regola  proprio 
altro  che  di  Roma.  Il  Visconti  inoltre  nel  luogo  istesso  fa 

(i)  Cohen,  VI,  251,  n.  39,6  279,11.  34,  ed  altrove  spesso,  ovvero 
le  due  Rome  reggono  uno  scudo  col  y^  (Ivi,  413,  n.  24). 

(2)  Visconti,  «  Lettera  sopra  un'antica  argenteria  »,  Opere  varie, 
I,  226  e  sgg. 

(3;  Cohen,  V,  176,  n.  6. 

(4)  Ivi,  VI,  365,  n.  54. 

($)  Museo  Pio  Clem.,  III,  tav.  XLVi. 


144  ^'  ^a^^ìsottì 


importanti  osservazioni  sull'uso  delle  immagini  delle  cittcà 
dell'impero  e  nota  come  queste  figure  facessero  parte  in 
certa  maniera  delle  decorazioni  ed  insegne  di  coloro  che 
esercitavano  le  primarie  magistrature  e  cita  ancora  le  mi- 
niature aggiunte  ai  codici  della  Notitia  dignìtatum  la  tavola 
Peutingeriana  con  Roma,  Costantinopoli  ed  Antiochia  (i) 
simili  alle  già  esposte  ed  un  altro  manoscritto  che  conte- 
neva lo  stesso  calendario  del  codice  Vindobonense,  ma  con 
maggior  numero  di  miniature,  tra  cui  le  immagini  di  Roma, 
Costantinopoli,  Alessandria  e  Treveri.  Ma  importanza  assai 
maggiore  hanno  per  noi  le  figure  dei  dittici  consolari,  le 
quali,  quantunque  posteriori  alla  caduta  dell'impero,  pos- 
sono servire  di  congiunzione  tra  lo  studio  presente  ed  un 
altro  che  se  ne  potrebbe  fare  sulle  rappresentanze  di  Roma 
nel  medio  evo. 

Né  sarà  meraviglia  che  da  Costantino  siamo  subito  pas- 
sati alla  caduta  dell'impero,  poiché  basta  guardare  le  mo- 
nete di  Teodosio  (2),  di  Arcadio  (3)  e  di  Onorio  (4),  per 
persuadersi  che  nessuna  variazione  importante  era  avvenuta 
nel  tipo. 

Poche  osservazioni  adunque  faremo  sulle  figure  dei  dit- 
tici consolari,  essendoci  impossibile,  senza  uscire  dai  Hmiti, 
fare  uno  studio  completo  su  di  essi. 

Le  figure  di  Roma  e  Costantinopoli  su  questo  genere 
di  monumenti  non  sono  che  accessori,  poiché,  general- 
mente parlando,  stanno  ai  lati  del  console  insignito  dei 
distintivi  della  sua  dignità,  cioè  subarmellare  tunica  pal- 
mata, toga  pietà  e  trahea,  e  colla  mappa  circense  tra  le 
mani.  Infatti  al  dare  il  segno  nei  giuochi  o  poco  più  si 
erano  ridotte  le  attribuzioni  dei  consoli.  Le  figure  delle 
due    città  non  istavano  più    sedenti,  ma  in  piedi,  e  Co- 


(i)  Desjardins,  Table  de.  Peutinger. 

(2)  Cohen,  VI,  «  Teodosio  ». 

(3)  Sabatier,  Monete  hi:(antine. 

(4)  Cohen,  VI,  «  Onorio  ». 


Evolu\ìone  del  tipo  di  ^^oma  145 

stantinopoli  quasi  sempre  caratterizzata  dal  corno  dell' ab- 
bondanza, Roma  ora  dai  fasci  consolari,  ora  dal  globo, 
ora  dallo  scettro  (i).  Le  loro  vesti  sono  le  stesse,  a  riserva 
dell'elmo,  il  quale,  quando  è  sul  capo  di  Costantinopoli, 
ha  un  maggior  numero  di  quelle  sporgenze  che  danno 
al  dinanzi  di  esso  l'apparenza  di  un  diadema.  Del  rima- 
nente in  ambedue  le  figure  lunghe  sono  le  vesti  sino  ai 
piedi  ed  adorne  di  palme  e  ricami  :  il  petto  ornato  di  bulle 
pendenti,  ed  i  capelli  e  le  orecchie  ed  il  collo  di  ogni 
sorta  di  gioielli.  In  tanta  confusione  di  simboli  gU  artisti 
ebbero  ricorso  alle  antiche  figure  di  Roma  per  far  si  che 
ella  si  distinguesse  dalla  nuova,  e  pur  mantenendo  il  pom- 
poso vestiario,  scolpirono  la  parte  superiore  di  esso,  come 
se  fosse  tirata  su  a  bella  posta  per  lasciare  scoperta  una 
mammella,  artificio,  se  si  vuole,  poco  bello,  ma  decisivo 
per  distinguere  una  figura  dall'altra. 

Cosi,  mentre  nelle  antiche  figure  amazzoniche  il  petto 
di  Roma  è  da  una  parte  scoperto  perchè  la  tunica  non  è 
afiìbbiata  su  di  una  spalla,  la  quale  perciò  resta  anche 
ignuda,  in  queste  la  spalla  è  coperta  e  l'abito  sollevato 
precisamente  all'altezza  della  mammella.  Non  è  a  dire 
però  quanto  questa  circostanza  sia  ripugnante  colla  pom- 
posità di  quelle  goffe  immagini. 

Sopra  uno  dei  dittici  illustrati  dal  Cori,  e  precisamente 
su  quello  del  museo  Riccardiano  di  Firenze  (2),  merita 
che  fermiamo  l'attenzione  più  in  particolare  per  la  inesat- 
tezza che  mi  sembra  riscontrare  nelle  osservazioni  del  ci- 
tato autore. 

Il  dittico  è  diviso  in  due  parti  :  a  sinistra  di  chi  guarda 
è  una  figura  muliebre  stante  con  galea  ornala  di  grande 
cresta  e  di  corona  di  alloro:  è  vestita  di  abito  che  dalla 

(i)  GoRi,  Diitici,  II,  tav.  20;  tav.  17,  18  e  tav.  2;  I,  tav.  ix; 
Meyer,  Zwei  Antike  Elfenbeintafehiy  20;  Meyer,  in  fine,  n.  18;  Boll, 
dell' Ist.,  185 1,  82. 

(2)  GoRi,  Dittici,  II,  177,  III. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  io 


1^6  qA.  Tarisotti 


vita  le  scende  ai  piedi,  e  di  una  piccola  clamide  affibbiata 
da  una  borchia  con  due  uniones  sulla  spalla  destra  e  sol- 
levata da  un  lato  per  lasciare  ignuda  la  mammella.  Ha 
nella  mano  destra  uno  scettro  terminante  in  due  pigne  e 
coir  altra  sorregge  un  lembo  della  clamide  sul  quale  poggia 
il  globo  sormontato  dalla  Vittoria  con  ramo  e  corona. 
L'altra  figura  alla  destra  di  chi  riguarda  è  turrita,  ha  un 
collare  al  collo  e  bulle  ed  uniones,  un  lungo  abito  cinto 
sotto  il  petto  da  uno  strofio  da  cui  pendono  pure  gioielli 
ed  una  veste  talare.  Nella  mano  sinistra  regge  un  piccolo 
scettro  e  nella  destra  il  corno  dell'abbondanza:  sulla  spalla 
sinistra  poi  di  questa  figura  è  un  amorino. 

L'opinione  del  Gori  su  questo  dittico  è  che  esso  sia 
stato  fatto  in  occasione  del  natale  di  Costantinopoli,  e  ciò 
non  so  con  qual  fondamento;  ma  quel  che  è  peggio  si 
è  che  egli  chiama  CostantinopoH  la  prima  delle  due  figure 
da  noi  descritte  e  Roma  la  seconda,  dicendo  che,  sebbene 
il  segno  della  mammella  ignuda  sia  proprio  di  Roma,  tut- 
tavia non  si  può  dubitare  che  quella  sia  Costantinopoli, 
essendo  alla  destra  dell'altra. 

Fin  qui  mi  sembra  che  per  porre  le  cose  nel  loro  vero 
essere  non  si  dovrebbe  far  altro  che  rovesciare  la  sua  in- 
terpretazione, ma  e'  è  ancora  di  più. 

Il  Gori  dice:  «  Christianis  imperatoribus  regnantibus 
«  Victoriae  simulacrum  omnem  exuit  superstitionem  quod 
«  ut  apertius  ostenderetur  cum  ea  vel  Dominicam  criicem 
«  vel  laharum  Christi  monogrammate  ornatum  et  alia  Chri- 
«  stianae  religionis  mystica  simbola  coniunxerunt  » .  Ma  in 
questo  dittico  invece  non  e'  è  nulla  di  tutto  ciò,  anzi  la 
figura  della  Vittoria  ha  in  tutto  gli  attributi  delle  rappre- 
sentanze pagane  e  pagano  è  anche  l'amorino.  Di  più,  l'altra 
figura,  che  egli  riconosce  effigiata  come  Fortuna  Urbis  e 
turrita  come  Cibele,  sarebbe,  secondo  il  Gori  stesso,  quella 
a  cui  Adriano  innalzò  il  tempio,  e  l'amorino  alluderebbe 
alla  Venere  che  era  insieme  con  Roma  nel  suddetto  tempio. 


Evoluiione  del  tipo  di  ^oj?ia  147 

«  Igitur  Inter  utramque  imaginem  magnum  vides  di- 
«  scrimen  quo  Roma  heic  sculpta  est,  quia  antiqua  paga- 
«  nici  cultus  tempora  designantur  Romae  imagini  conve- 
«  niunt,  omnia  vero  imagini  Costantinopoleos  ea  aptantur 
«  ornamenta  quae  sedi  Christìanorum  imperatorum  haud 
((  dedecere  creditum  est  ».  Se  osserviamo  invece  le  figure 
descritte  sono  tutte  due  piene  di  simboli  pagani,  quali  e 
l'Amore  e  l'acconciatura  da  Cibele  e  le  palme  che  partono 
dallo  scettro  e  la  Vittoria  sul  globo.  Da  tutto  ciò  per 
conseguenza  mi  sembra  che  si  debba  concludere  che  il 
dittico  sia  anteriore  agli  imperatori  cristiani,  ed  allora  la 
figura  dal  petto  ignudo  potrebbe  rappresentare  Roma;  l'altra, 
che  non  potrebbe  più  essere  CostantinopoH,  sarebbe  invece 
un'  imperatrice  sotto  le  sembianze  di  Cibele.  Né  potrebbe 
far  difficoltà  che  vi  fosse  la  figura  dell'imperatrice  e  non 
quella  dell'imperatore,  giacché  lo  stesso  Cori  osserva: 
«  fortasse  etiam  hoc  monumentum  antiquius  esse  potuit 
<(  polyptychon  adeoque  vel  imperatoris  vel  consulis  ima- 
<(  gines  praeferre  in  aliis  duabus  tabulis  quae  periere  ». 
Dall'esame  poi  dei  verticilli  che  sono  rimasti  attaccati  a 
queste  due  tavole,  conclude  che,  presentandosi  esso  chiuso, 
il  primo  luogo  era  tenuto  da  quella  che  egli  chiama  Roma, 
e  ciò  dice  che  sarebbe  cosa  naturale  perché  seguirebbe 
l'ordine  della  loro  fondazione,  ed  anche  questo  non  solo 
non  si  può  ammettere,  ma  viene  a  convaHdare  la  nostra 
congettura.  Infatti,  ancorché  le  due  effìgie  rappresentassero 
Roma  e  Costantinopoli,  questa  dovrebbe  essere  sempre 
gerarchicamente  anteposta  all'altra:  e  perciò  giusto  sarebbe 
interpretare  come  noi  avevamo  detto  per  Costantinopoli  la 
figura  turrita  e  per  Roma  l'altra.  Se  poi  si  vogha  ammet- 
tere in  quella  eflBgiata  un'imperatrice  sotto  le  forme  di 
Cibele,  anche  questo  porterebbe  di  porla  al  primo  posto 
ed  al  secondo  Roma. 

Diamo   ora   uno   sguardo   generale  su  tuttociò   che  è 
stato  detto  sin  dal  principio. 


148  qA.  Tarisotti 


Ricordiamo  che  la  figura  di  Roma  ha  origine  primie- 
ramente su  suolo  straniero,  e  perciò  senza  alcuna  relazione 
colle  tradizioni  patrie.  Si  sviluppò  in  seguito  in  Roma,  ed 
in  modo  più  consentaneo  a  quelle  leggende,  ma  senza 
altro  significato  che  quello  di  personificazione  o  di  eroina 
fondatrice  della  città.  Cominciò  poi  ad  essere  coronata 
dalla  Vittoria  e  poi  a  prendere  simboli  di  dominazione, 
quali  il  globo  sotto  i  piedi.  A  queste  rappresentanze  segue 
una  prima  divinizzazione  al  tempo  di  Augusto  (non  te- 
nendo conto  di  quelle  anteriori  e  non  nazionali  di  Efeso 
e  di  Alabanda)  e  dei  suoi  immediati  successori,  che  non 
ha  alcuna  corrispondenza  coi  sentimenti  del  popolo,  ma 
che  portò  come  effetto  la  mutazione  di  alcuni  simboli, 
come  sarebbe  quello  del  globo  tra  le  mani  e  della  Vittoria 
pure  posta  come  attributo:  e  la  sostituzione  in  generale 
degli  emblemi  di  tranquillo  dominio  a  quelli  di  pura  forza. 
Dipoi  Roma  è  chiamata  victrix  ed  aeterna,  ed  ha  luogo 
una  seconda  divinizzazione  consentita  dallo  spirito  del 
tempo  ed  il  principio  del  suo  significato  mistico:  in  con- 
seguenza ella  assume  aspetto  e  simboH  di  vera  divinità. 
Ancora  più  innanzi  riceve  l'appellativo  di  sacra,  e  final- 
mente prende  gH  emblemi  della  religione  cristiana,  dive- 
nendo cosi  un  essere  di  natura  assai  incerta,  siccome  è 
quella  di  Clan  diano  e  degU  altri  poeti  di  quel  tempo. 

Essa  al  cadere  dell'  impero  resta  una  figura  che  non 
può  essere  più  pagana,  ma  non  essendo  propriamente  cri- 
stiana e  mantenendo  tuttavia  tutto  il  suo  carattere  mistico, 
si  va  a  confondere  colle  nuove  superstizioni,  le  quali  sono 
avanzi  delle  antiche  divinità  che  il  popolo  non  ha  ancora 
abbandonato,  ma  ha  riadattato,  e,  per  quanto  era  possi- 
bile, conciliato  colle  nuove  idee  cristiane. 


Alberto  Parisotti. 


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imperiale^  il  suo  curator  ;  e  tale  apparisce  Gn.  Mimatius  Aure- 
lius  Bassus  in  lapide  di  Mentana^  ora  al  Vaticano  (i).  Altre 
menzioni  di  essa  sono  in  bolli  figulini  (2)  perchè  parecchie 
officine  dollari  sorgevano  presso  cotesta  via,  come,  ed 
anche  più,  vedremo  ora  nella  Salaria.  Con  tal  nome  passò 
negli  atti  cristiani  e  pontifici  (3)  ;  coerentemente  alle  altre 
fonti  topografiche  del  medio  evo  (4);  e  si  mantenne  im- 
mune da  corruzioni  tentate  da  qualche  sognatore  di  etimo- 
logie (5),  finché  riapparve  colla  sua  classica  doppia  deno- 
minazione (6),  Nel  secolo  xv  il  nome  figidensis  diede  causa 
all'errore  che  derivasse  dalle  officine  delle  figuline  (7). 
L'antica  via  Nomentana  partiva  dalla  porta  Collina  del 
recinto  Serviano,  le  cui  vestigia  furon  vedute  nell'anno 
1872,  quando  si  posero  le  fondamenta  del  palazzo  delle 
Finanze  (8);  e    nel  posteriore   recinto  Aurelianèo  usciva 


(i)C./.L.,  XIV,  3955. 

(2)  Marini  G.,  Iscri\.  ant.  dollari,  nn.  375-376  con  nota  del  profes- 
sore Dressel;  Bull  Arch.  Comunah,  1873,  p.  247. 

(3)  Martirologio,  cod.  di  Berna,  via  Nomentana  in  De  Rossi,  Bull. 
Crist.f  i87i,p.  106;  diploma  di  Sergio  I  in  s.  Susanna,  idem,  ivi,  1870, 
p.  116.  Cf.  Liher  pontificalis  in  AUxandro  :  il  miglior  testo  è  Numen- 
tana;  così  il  Duchesne,  Lib.  p.,  p.  127,  323,  332,  cioè  in  Honorio,  in 
Theodoro,  ecc.  Del  resto  è  una  corruzione  ovvia  e  di  nessuna  im- 
portanza, ma  che  fu  avvertita  dal  Marini  {Iscrix.  dol.,  n.  376). 

(4)  Regionarii,  in  Urlichs,  Cod.  top.  u.  R.,  p.  24-25  ;  codice  Vien- 
nese 85,  fol.  58,  ivi,  p.  51.  Itinerario  Eìnsidlense,  ivi,  p.  70  (via  numen- 
tana);  Epìtome  Salishurgense,  ivi,  p.  84  (via  numtana). 

(5)  «  Numentana  via  est...  a  more  denominationum  portae  per 
«  Numam  qui  clemens  fuit,  per  quam  itur  ad  eum  :  in  qua  via  invenie- 
«  bantur  omnia  bona  Numae  regis  w.  Anon.  Magliabecchiano.  Cf.  Ur- 
lichs cit.,  p.  152. 

(6)  Cf.  Urlichs  cit,  p.  45. 

(7)  Il  primo  ad  errare  in  ciò  fu  I'Albertino.  Del  resto  non  fa 
d'uopo  insistere  su  questa  opinione  già  smentita  abbastanza  ;  cf.  Broc- 
chi, Stato  fisico  del  suolo  di  Roma, p.  96;  Mariììi,  Iscri:;^.  dol.,  ad  n.  375,  ecc. 

(8)  Canevari  Raffaele,  Noti:(ie  sulle  fondazioni,  qcc.  in  Atti  dei 
Lincei,  serie  II,  v.  11,  1875.  Cf.  Lanciani  in  Bull.  Arch.  Com.,  1876, 


niella  Campagna  Romana  151 

dalla  sua  omonima  porta,  che  tuttora  esiste  sulla  destra 
della  porta  Pia,  cioè  di  Pio. IV.  Continuava  il  suo  cammino 
entro  il  moderno  quartiere,  già  villa  Patrizi,  a  destra  della 
via  moderna,  come  hanno  dimostrato  le  recenti  scoperte 
del  suo  lastricato  e  de'  numerosi  sepolcri  che  la  fiancheg- 
giavano (i)  ;  e  giungeva  a  Nomento,  donde  si  volgeva,  come 
ancora  al  presente,  verso  la  via  Salaria,  nella  quale  essa  ha 
fine.  Ne  appariscono  vestigia  in  più  luoghi;  ma  il  tratto  più 
lungo  e  meglio  conservato  è  sulla  metà  della  strada,  presso 
la  tenuta  di  Casenuove, 

La  via  Salaria,  costruita  nella  valle  intermedia  tra  il 
Quirinale  ed  il  colle  degH  orti  (Pincio),  ha  fasti  archeologici 
e  storici  degni  di  nota;  ha  menzioni  epigrafiche  del  curator, 
ch'ebbe,  come  una  delle  maggiori  (2),  e  di  luoghi  posti 
vicino  ad  essa  (3)  ;  ha  memorie  singolarissime,  incomin- 
ciando dal  nome  che  ne  addita  la  vetustà,  siccome  quello  che 
non  derivò  da  un  autore,  né  da  un  paese,  ma  dai  commercio 
del  sale  colla  Sabina  (4).  Un'altra  memoria  speciale  fu  quella 

p.  166  sg.,  che  determina  a  m.  70,55  la  distanza  dell'antica  Nomen- 
tana  dalla  via  Venti  Settembre. 

(i)  Alcune  prove  dell'andamento  della  via  a  destra  della  moderna, 
entro  il  perimetro  delle  mura  attuali,  veggansi  in  De  Rossi,  J5m//.  Crisi., 
1869,  pp.  94-95. Fuori  il  perimetro  suddetto,  cf.  Notizie  degli  scavi,  1884, 
p.  347;  1885,  pp.  226,  251,  528;  1886,  pp.  52-53,  ecc.;  Bull.  Arch.  Com., 

1886,  p.    156,   GCC. 

(2)  Lapide  ostiense  di  C.  Sahucius  Maior  Caecilianus...  curai,  viae 
Salar.,  ecc.  ìhWilmanns,  1196.  Un  altro  Q.  Licinius  (Attius)  Modesiinus 
Laheo  è  in  lapide  Veliterna,  in  C.  I.  L.,  XIV,  2405. 

(3)  C.  I.  L.,  VI,  II 99  (la  iscrizione  del  ponte  Salario  di  Narsete). 
Numerose,  più  che  sulla  via  Nomentana,  sono  le  iscrizioni  doliari  col 
nome  di  questa  via.  Cf.  Marini  cit.  (indice,  p.  542)  e  specialmente  il 
n.947  colla  indicazione /m/ìm^F^/Zx  de  via  Salaria,  ecc.  e  un  comento  del 
citato  autore  alla  p.  130.  Le  figline  della  via  Salaria  ebbero  una  grande 
importanza.  Altre  menzioni  sono  in  Bull.  Arch.  Com.,  1876,  p.  116; 
1883,  p.204;  in  Archivio  di  sioria  pairia,  IX,  31,  ecc.  Un  iabularius  viac 
Salariae  i  noto  nell'epigrafia  (Donati  ad  Mur.,  329,  6). 

(4)  Pesto,  5.  K.  Cf.  Nibbv,  Analisi  dei  ditti,  di  R.,  Ili,  632,  ecc.  Una 


152  G.  Tomassetti 


del  Incus  tra  l'Aniene  ed  il  Tevere,  ove  i  Romani  si  nasco- 
sero dopo  la  tremenda  sconfitta  àdVAllia,  onde  lucana  fu- 
rono detti  i  giuochi  che  vi  si  celebravano  (i).Varrone  assegna 
un'ahra  origine  a  questi  giuochi,  dei  quali  i  calendari  romani 
fanno  menzione  ai  19  di  lugUo  (2).  Sulla  Salaria  fu  la  tomba 
di  Mario;  su  di  essa  sorgevano  importanti  città;  cose  che 
verremo  brevemente  illustrando  nel  corso  di  questo  lavoro. 
La  denominazione  della  via  Salaria  rimase  intatta  negli  atti 
cristiani,  pontifici  ed,  in  genere,  del  medio  evo  fino  all'età 
moderna.  Per  la  qual  circostanza,  non  avendo  avuto  luogo 
alcuna  corruzione  onomastica  degna  di  nota,  né  alcuna  equi- 
vocazione, io  posso  fare  a  meno  di  annoverare  le  relative 
fonti,  che  verrò  invece  ricordando  ai  singoH  luoghi.  L'an- 
damento di  essa  fu  dalla  porta  CoUina  del  recinto  Ser- 
viano,  attraverso  il  quartiere  ora  costruito  sulla  proprietà  già 
Spithòver,  in  linea  diretta  verso  la  porta  Salaria  del  recinto 
AureUanèo,  alla  quale  corrisponde  esattamente  la  moderna  ; 
e  quindi  seguiva  quasi  la  via  attuale,  pochissimo  più  sulla 
destra;  procedeva  per  dieciotto  miglia  romane  fino  2.à.Eretum, 
la  prima  stazione  dell'itinerario  relativo,  e  quindi  ad  novas 
tra  Correse  e  Rieti  e,  dopo  altre  dieci,  perveniva  ad  Hatria  nel 
Piceno.  Lo  esaltare  l'importanza  strategica  e  storica  di  una 
via,  che  attraversava  la  Sabina  e  tutta  l' Italia,  in  linea  quasi 
retta,  mi  sembra  superfluo  (3).  Non  dovette  mai  essere  in- 
recente monografia  sulla  via  Salaria  è  di  Castelli  Giuseppe,  La 
via  consolare  Salaria  Roma  -  Reale  -  Ascidum  -  Adriaticum  con  carta  iti- 
neraria del  Piceno;  Ascoli  Pie,  1886.  Egli  rovescia  il  viaggio  del  sale 
pei  Sabini,  che  rilevasi  dalle  parole  di  Pesto,  e  sostiene  che  i  Sabini 
lo  traevano  dalle  saline  Picene  (p.  11).  Aggiungasi  alla  bibliografia 
della  via  Salaria  anche  lo  studio  del  general  Filippo  Qerroti,  P^r  ««a 
ferrovia  Roma- Ascoli- Adriatico,  nella  quale  si  discutono  le  storiche 
memorie  della  via. 

(i)  Pesto,  Epit.,  p.  119. 

(2)  Varrone,  De  l.  l,  V,  8.  Cf.  Mommsen  in  C.  /.  L.,  I,  397,  che 
lascia  la  quistione  insoluta, 

(3)  Della  tomba  di  Mario  accenna  Lugano,  Phars.,  2°,  che  venne 


^ella  Campagna  ^l{omana  153 

terrotta  la  cura  di  questa  via,  come  rilevo  dalla  storia  ric- 
chissima delle  contrade  adiacenti;  e  rammento  che  nel- 
l'anno 1392  s'impiegarono  al  ristauro  della  via  Salaria  le 
gabelle  di  Ripa  e  di  Ripetta  (i). 

Una  via  molto  breve  si  apre  a  sinistra  della  via  Salaria, 
e  la  dirò  via  Pinciana,  come  è  nominata  nella  pianta  del 
suburbano  del  Censo  del  1839,  perchè  vi  si  accedeva  anche 
dalla  porta  omonima,  che  peraltro  non  è  nota  nella  let- 
teratura anteriore  a  Procopio,  siccome  porta  secondaria  (2). 
Nei  documenti  del  medio  evo  essa  ha  nomQ Pinciana,  cornei 
fondi  adiacenti  vengono  indicati /om  portam  Pincianam  (3). 
Credo  che  anticamente  dovesse  nominarsi  Salaria  vetus,  via 
indicata  nelle  fonti  agiografiche  e  cimiteriali  (4),  ed  il  cui 

violata  per  ordine  di  Siila,  il  quale  fece  gittar  nell'Aniene  prossimo  le 
reliquie  del  suo  nemico  (Cicerone,  De  leg.,  II,  22  ;  Val.  Mass.,  IV,  11,  i). 
Della  densità  dei  sepolcri  su  questa  via  fa  ricordo  Prudenzio  :  den- 
sisque  Salaria  bustis  (conira  Symm.  I  in  spect.)  e  ne  facciamo  noi  dolo- 
rosa sperienza,  che  ci  siamo  stancati  di  fare  una  nota  delle  epigrafi 
venute  in  luce  sui  margini  della  Salaria  !  E  che  dirò  dei  fasti  cristiani 
della  via?  Una  scoperta  di  sepolcri  cristiani  avvenuta  sulla  Salaria 
nel  maggio  del  1578,  nella  vigna  Sanchez,  ha  dato  origine  agli  studi 
del  Bosio,  creatore  dell'archeologia  cristiana.  (De  Rossi,  R.  S.,  I, 
p.  .12).  Un  solo  epitafio  della  martire  Severa  diede  campo  al  Lupi  di 
scrivere,  nel  secolo  scorso,  un  libro,  che  è  una  piccola  enciclopedia 
archeologica.  Otto  pontefici  romani  furono  tumulati  sulla  sola  via 
Salaria,  ed  uno  solo  (s.  Alessandro)  sulla  via  Nomentana. 
(i)  Gregorovius,  Storia  di  R.  nel  m.  evo,  XII,  e  4,  §  i. 

(2)  NiBBY,  R.  A.,  I,  142.  . 

(3)  Nella  topografia  detta  Malmesburiense,  Urlichs  cit.,  p.  87, 
dove  si  dice  che  quando  pervenit  ad  Salariam  nomen  perdit;  nell'itine- 
rario Einsidlense,  idem,  p.  67.  È  certo  che  il  nome  Pinciana,  prove- 
niente dalla  domus  della  gens  Pincia  sul  colle  degli  orti,  non  può  es- 
sere anteriore  al  secolo  quarto. 

(4)  Cf.  l'indice  Chigiano  delle  catacombe  segnalato  dal  prof.  Giorgi 
Ign.\zio  al  comm.  De  Rossi  (Bull.  Crist.,  1878,  p.  46),  ove  si  legge: 
«  cymiterium  basillc  ad  sanctum  hcrmetem  via  Salaria  vetere  ». 
Un'altra  menzione  in  un  codice  di  Pistoia,  ecc.  Cf.  De  Rossi,  Roma 
sotterranea,  I,  131.  Il  Nibby  impugnò  già  quel  nome  di  Salaria  vetus, 


154  ^'  'domasse Iti 


andamento,  tra  le  vigne,  fu  indicato  nel  secolo  scorso  (i) 
dalla  porta  Pinciana  perla  YÌgii^dQ'Domenicani,YÌgn3,Pallotta, 
poi  De  Rossi,  poi  l'antico  clivo  del  cocomero,  vigne  dei  collegi 
Germanico  e  Romano  (ora  del  Seminario  Romano),  e  che 
giunge  da  sinistra  fino  alla  Flaminia  e  dalla  destra  fino  ai 
prati  del  ponte  Salario  (2).  Si  tratta  dunque  di  un'antica  via 
che  nel  primo  tronco  poteva  essere  una  Salaria  primitiva, 
cioè  fino  al  sito  detto  le  tre  Madonne,  da  un'osteria  cosi 
denominata,  dove  un  bivio  ci  conduce  a  destra  verso  il 
ponte  Salario,  a  sinistra  verso  il  clivus  Cucumeris  e  i  Pa- 


e  disse  che  la  sua  apertura  è  contemporanea  a  quella  della  porta 
Pinciana  (nel  Nardini,  IV,  83);  ma  ciò  è  falso,  perchè  la  porta 
invece  apparisce  costruita  secondo  la  obliquità  di  essa  via. 

(i)  Nel  Giornale  d&' Letterati,  1750,  in  Fea,  Miscellanea,  11,  p.  100. 
Vi  si  descrivono  monumenti  ed  iscrizioni  scavati  allora  nella  vigna 
Del  Cinque,  dirimpetto  all'altra  De  Rossi. 

(2)  La  contrada  del  clivus  cucumeris,  posta  in  sito  ameno,  elevato, 
detta  perciò  anche  capitìnianum,  dovette  contenere  ville,  fondi,  sepolcri 
anteriori  ai  cimiteri  cristiani  di  s.  Ermete  e  di  s.  Pamfilo,  che  quivi 
erano  sotterra.  Infatti  vi  si  trovarono  pitture  pagane,  marmi  e  iscri- 
zioni. Quivi  furono,  tra  il  cinque  ed  il  seicento,  la  vigna  del  barbiere 
di  Giulio  III,  le  vigne  Garosi,  Amiani,  De  Bovis  ed  altre,  tutte  ricche 
di  monumenti  antichi.  Questo  luogo  portò  anche  il  nome  septem  co- 
lumhas  o  palumhas  indovinato  dal  De  Rossi  su  falsa  lezione  dei  mar- 
tirologi, confermato  poi  splendidamente  dall'indice  Chigiano  dei 
cimiteri  suburbani.  Tanto  questo  nome  quanto  l' altro  del  cocomero 
derivarono  al  certo  da  marmi  antichi  adornanti  qualche  cancello  o 
qualche  monumento.  Ardisco  anche  di  definire  il  cocomero  per  una 
pigna  od  altro  ornamento  di  forma  analoga  sopra  una  calotta  o  tetto 
circolare,  noto  partito  artistico  degli  antichi.  E  lo  deduco  da  notizie 
del  medio  evo,  che  ho  trovato  nel  libro  dei  compendi  del  monistero 
di  s.  Silvestro  (Archivio  di  Stato),  cioè  in  2  enfiteusi  del  13 13  e  13 14, 
ed  in  una  vendita  del  1354,  riguardanti  vigne  in  trullo  cocumeris 
o  cocummario.  Così  in  quella  serie  ho  trovato  una  massa  de  vestiario 
dominico  confinante  con  Gapitiniano,  santa  Colomba  e  chiesa  di  s.  Fi- 
lippo, tutti  nomi  storici  del  sito,  anche  l'ultimo,  eh' è  rimasto  al 
viottolo  dei  Parioli. 


^ella  Campagna  ^l{omana 


^55 


rioli  (i).  Era  questa  via  antica  e  publica  la  sola  che  po- 
teva aprirsi,  e  si  è  sempre  mantenuta  publica,  a  sinistra 
della  Salaria  (2).  Le  tracce  del  lastricato  del  cìiviis,    che 

(i)  Questo  cenno  lineare  potrà  servire  di  schiarimento  a  questa 
digressione  topografica. 


PORTA 
flNCIANA 
VILLA 

LUDOVISI 


PORTA 
SALARIA 


(2)  Non  mi  sembrano  solidi  gli  argomenti  letterari  e  topografici 
addotti  dal  eh.  prof.  Meucci,  nella  memoria  a  stampa  sulla  quistione 
della  villa  Borghese,  per  provare  che  il  principe  Borghese  chiuse 
una  via  publica  nell'  ingrandire  la  villa.  Non  potè  venire  in  possesso 


1^6  G,  Tomassetti 


fu  detto  del  cocomero  nella  bassa  età,  si  scorgono  tuttora 
nel  viottolo  dei  PariolL 

Detto  ciò  sulle  tre  vie  in  generale,  riassumerò  i  fasti 
delle  tre  porte  Nomentana,  Salaria  e  Pinciana,  e  quindi 
uscirò  nella  campagna  già  verdeggiante  e  solitaria;  ora, 
per  le  nuove  costruzioni  suburbane,  popolata  e  romorosa. 

La  porta  Nomentana  conservò  il  nome  della  via,  anche 
nell'età  media,  come  rilevasi  dalle  fonti  relative;  ma  nel- 
l'ultimo periodo  acquistò  i  nomi  de  domina,  di  5.  Agnese 
e  di  5.  Costanza,  dalle  due  sante  sepolte  sulla  via  (i),  di 
Cartidaria,  di  Viminale,  di  Cornelia  (2).  Più  officiale  restò 
il  nome  di  S.  Agnese  soltanto,  che  vediamo  in  atti  del  se- 
colo XVI  (3),  quando  mutò  nome  e  posto  per  munificenza 

che  di  vie  campestri  consorziali;  ma  l'unica  via  publica,  la  Pinciana, 
fu  dai  Borghese  lasciata  libera;  ed  anzi  la  villa  ebbe  sempre  il 
nome  di  Pinciana  (cf.  la  pianta  del  Nolli)  dall'ingresso  che  se  ne 
apriva  su  quella  via,  il  quale  esiste  tuttora;  e  dall'estendersi  della 
villa  lungo  il  lato  sinistro  di  essa. 

(i)  Lih.  pont.  in  Innocentio.  Cf.  Duchesne,  II,  223,  colla  notizia 
del  comm.  De  Rossi  sul  dazio  della  porta  stessa  nel  secolo  quinto, 
ceduto  dalla  proprietaria  Vestina  ad  uso  pio.  Altre  fonti  in  Urlichs, 
pp.  70,  88;  nella  Graphia  è  detta  mòtana,  probabile  sinonimia  di  collina; 
ma  io  preferisco  di  crederla  errata  per  nomtana,  ivi,  pp.  115, 127.  Nella 
polistoria  del  Cavallini,  insieme  ad  errori  popolari  cagionati  dalla 
corruzione  numentana,  si  trovano  i  due  altri  nomi  ch'ebbe  questa  porta, 
cioè  de  domina  e  sanctae  Agnetis  et  Conslantiae,  ivi,  p.  142.  Il  nome 
de  domina  (s.  Agnese  stessa)  anche  tradotto,  cioè  della  donna,  si  con- 
servò nel  secolo  xiv  e  xv  (il  castello  di  Monte  Gentile  è  detto  posìtum 
extra  portam  domne  in  una  sentenza  del  1388  dell'archivio  di  S.  Maria 
Maggiore;  Adinolfi,  Roma  ne.lV età  di  meno,  I,  107).  Cosi  pure  è 
chiamata  la  porta  da  Antonio  Di  Pietro  in  Muratori,  R.  I.  S.,  XXIV, 
981.  Cosi  nel  registro  di  Ambrogio  Spannocchi  tesoriere  pontificio 
del  1454  nell'Archivio  di  Stato. 

(2)  Cf.  Adinolfi,  op.  e  1.  cit. 

(3)  Nelle  carte  del  Mochi,  nell'archivio  dell'Annunziata,  t.  121, 
f.  94.  Nelle  piante  del  Bufalini  porta  pure  il  nome  di  S.  Agnese. 
Nelle  piante  anteriori,  la  porta  è  segnata  col  nome  'Numentana,  nelle 
più  antiche   (secolo    xiii),  con  questo   e   S.   Agnese  insieme   nelle 


Della  Campagna  T{omana  157 


di  Pio  IV  (i).  Destinata  a  singolari  vicende,  questa  porta 
Pia  rimase  incompiuta,  come  può  vedersi  riprodotta  nella 
bella  tavola  dell' architetto  Luigi  Ricciardelli  {Cedute  delle 
porte  e  mura  di  Roma  disegnate  ed  incise  all'acqua  forte, 
Vanno  i8]2),  e  in  quella  di  William  Geli  (tav.  IX  :  Le  mura 
di  Roma,  ecc.),  finché  fu  a'  giorni  nostri  fatta  compiere  da 
Pio  IX  con  disegno  del  conte  Vespignani.  Finalmente 
ha  sofferto  un'ultima  trasformazione  di  semplice  ristauro 
nel  prospetto  esterno,  colla  remozione  delle  statue  di 
s.  Alessandro  e  di  s.  Agnese,  dopo  i  danni  ricevuti  nella 
memorabile  giornata  del  20  settembre  1870,  quando 
sulla  sinistra  di  essa  porta  è  stata  aperta  la  breccia  dal- 
l'esercito italiano.  Ne  fu  questa  la  prima  breccia  di  porta 
Pia.  Un'altra,  quando  la  porta  era  detta  della  donna,  cioè 
nel  140^,  fu  aperta  dai  Colonnesi,  ma  sulla  destra  di 
chi  esce,  dalla  parte  che  guarda  il  castro  Pretorio,  contro 
gli  Orsini.  L'episodio  sanguinoso,  causato  dalla  guerra  civile 
provocata  dal  re  Ladislao  di  Napoli,  fini  colla  vittoria  di 
Paolo  Orsini,  che  ne  abusò,  facendo  mozzare  il  capo  a 
Riccardo  Sanguigni,  uno  dei  capitani  fatti  prigionieri  (2). 


posteriori,  con  S.  Agnesa  soltanto  nel  panorama  di  Mantova  (edizione 
De  Rossi,  Piante  di  Roma).  Noto  il  nome  Viminalis  segnatovi  cogli 
altri  due  nella  pianta  Rediana  del  1474  (ivi,  tav.  iv). 

(i)  Veggasi  il  motu-proprio  di  Pio  IV  in  Bicci,  Notiiia  della  fa- 
miglia Boccapaduli,  p.  230,  dal  quale  risulta  che  volle  il  papa  dare 
alla  porta  il  suo  nome,  e  ne  fece  custode  un  conte  Ranieri,  col  per- 
messo di  costruirvi  un  albergo  a  sue  spese.  Le  medaglie,  altre  parti- 
colarità relative  a  questa  porta,  e  la  giusta  critica  fattane  dal  Milizia 
colla  menzione  della  satira  di  Michelangelo  Buonarroti  sull'origine 
del  pontefice,  veggansi  riassunte  in  Nibby,  R.  A.,  I,  143.  La  nota  delle 
spese  e  degli  artisti  che  vi  lavorarono  è  nel  protocollo  di  ser  Ot- 
tavio Gracco  nell'Archivio  di  Stato  in  Roma,  ed  è  stato  pubblicato 
dal  Gotti  neUa  Vita  di  Michelangelo. 

(2)  Diario  di  Antonio  di  Pietro  in  Muratori,  R.  J.  S.,  XXIV,  981. 
La  porta  Nomcntana  ha  pure  i  suoi  fasti  nell'epigrafia  romana,  nella 
lapide  dei  sodales  serrenses  (Ann.  dell' Istit.,   1868,  p.    387),  e  nel  se- 


158  G.  Tomassettt 


Della  porta  Salaria  più  brevemente  dirò,  che  il  nome 
di  essa  rimase  invariato,  tanto  negli  itinerari  religiosi, 
quanto  nei  documenti  (i).  Notissima  quanto  infausta  è 
la  memoria  dell'entrata  che  per  essa  fece  Alarico  nel- 
l'anno 410  (2).  Per  essa  fece  una  vigorosa  sortita,  con  soli 
200  soldati,  un  tal  Traiano,  uffiziale  di  Belisario  nella  guerra 
gotica  famosa  (3).  Delle  due  torri  del  tempo  di  Onorio,  che 
la  difendevano,  restava  una  soltanto  e  smantellata;  dell'al- 
tra soltanto  uno  stilobate  rettilineo  e  un  pezzo  del  corpo, 
come  può  vedersi  nel  disegno  del  Geli  citato  (tav.  viii 
della  monografia  suddetta).  Avendo  anche  questa  porta 
subito  gravi  danni  nella  giornata  del  20  settembre  1870, 
fu  finita  di  demolire,  e  quindi  ricostruita  con  disegno  del 
conte  Vespignani,  nel  1873.  In  quella  occasione  torna- 
rono alla  luce  parecchi  antichi  sepolcri  già  incorporati 
nelle  mura  di  Aureliano  (4).  Fu  con  essi,  dirò  quasi,  inau- 
gurata la  serie    copiosissima  delle  iscrizioni  e   delle  me- 


polcro  degli  Haterii,  scoperto  dal  maggiore  austriaco   Zamboni   nel 
1826  sulla  destra  della  porta  (Memorie  Romane,  III,  p.  456). 

(i)  Urlichs  cit.,  pp.  71,  87,  quae  (porta)  modo  sancii  Silvestri  dici- 
tur  (nell'itinerario  Malmesburiense,  che  è  del  settimo  secolo),  pp,  115, 
127,  142  (è  il  Cavallini  che  dopo  l'etimologia  dal  sale,  ne  propone 
una  da  solitaria!),  p.  151  (è  l'anonimo  Magliabecchiano  che  fa  deri- 
vare Salaria  dal  fiume  Allia  !!....)  Nelle  piante  in  genere  è  tracciata 
col  suo  nome;  in  quella  del  cod.  Vat.  i960  è  posta  dietro  il  Vaticano, 
ed  è  detta  quae  vadit  ad...  Sabenam  (De  Rossi  cit.,  tav.  i)  ;  nella  Re- 
diana, porta  anche  il  nome  di  Quirinalis  (tav.  iv)  nel  panorama  di 
Mantova  è  notata  porta  Salare. 

(2)  Procopio,  G.  Vand.,  I,  2. 

(3)  Procopio,  G.  Got.,  I,  27, 

(4)  Alcuni  spettavano  alla  gens  Cornelia;  uno  all'undicenne  poeta 
Q.  Sulpicius  Maximus,  il  cui  poema  estemporaneo  greco,  recitato  nei 
certami  Capitolini  istituiti  da  Domiziano,  è  inciso  ai  lati  della  sua 
statua.  Si  conserva  nel  museo  Capitolino  (cf.  Visconti  C.  L.,  //  se- 
polcro di  Q.  Sulpicio  Massimo,  ecc.). 


"Della  Campagna  ^I(omana  159 


morie   monumentali  di  questa   via,  che   formerebbero  un 
ricco  volume,  ove  fossero  raccolte  ed  illustrate  (i). 

Della  porta  Pinciana,  il  cui  nome  si  trova  in  qualche 
scrittore  medievale  attribuito  anche  alla  porta  Flaminia  (2), 
ripeterò  che  dovette  la  sua  fama  a  Belisario,  quantunque 
il  nome  procopiano   di    Belisaria  voglia  da  alcuno  attri- 


(i)  Questo  corpo  dovrebbe  incominciarsi  col  notare  i  monumenti 
scoperti  sul  tronco  ora  intramuraneo  della  via,  cioè  della  villa  già 
Bonaparte,  già  Valenti  Gonzga.  Q.uivi  sono  stati  trovati  i  sepolcri  dei 
Calpurnii  Pisoni  Frugi,  Liciniani  (Not.  scavi,  1874,  p.  394).  Che  i  Pi- 
soni  Frugi  possedessero  presso  questo  luogo  lo  deduco  anche  da  una 
iscrizione  rinvenuta  fuori  la  porta  Nomentana  che  ricorda  19  termini 
posti  da  Scribonianus  e  Fiso  Frugi  ex  depalatiom  T.  Fìavii  Vespasiani 
arbitri  (Creili,  3689).  Altri  Calpurnii  giacevano  da  queste  parti.  Una 
lapidetta  di  due  loro  liberti  si  vede  murata  presso  la  io*  torre  esterna 
delle  mura,  a  sinistra  dopo  la  porta.  Nella  villa  suddetta  stavano 
7  bellissimi  sarcofagi  scolpiti  (Not.  cit.,  1885,  p.  43  sgg.  (Cf.  Me- 
langes  della  Scuola  francese  ih  R.,  1885,  avril).  E  che  dirò  delle  vigne 
di  Gabriele  Vacca,  poi  dell'antiquario  Flaminio  e  di  Muti  nelle  sue 
memorie  illustrate  (mem.  nn.  59,  58),  poi  Borioni,  poi  parte  della  villa 
Ludovisi;  e  di  questa  villa  monumentale,  ora  scomparsa,  e  superstite 
ora  in  un  album  dì  vedute,  donato  al  Comune  di  Roma  dal  suo  pro- 
prietario principe  d.  Ugo  Boncompagni? 

Il  comm.  Lanciani  ha  testé,  provato  la  esistenza^  nel  sito  della  vigna 
già  Vacca,  del  tempio  di  Venere  Ericina,  che  propone  essere  tutt'uno 
con  quello  di  Venere  hortorum  Saìlustianorum,  nota  per  monumenti  epi- 
grafici (Buìl.Arch.  Com.,  1888,  pp.  i-ii).  Egli  osserva  che  Aureliano 
non  alterò  il  margine  sinistro  della  via  Salaria  nel  fare  il  suo  recinto  ; 
che  quivi  giungevano  gli  orti  Sallustiani,  e  che  infatti  non  vi  sono 
stati  rinvenuti  sepolcri,  mentre  dal  lato  opposto  ne  sono  apparsi  nu- 
merosi. Egli  ha  ricordato  altri  titoH  epigrafici  dì  Saììustii  sparsi  su 
questa  zona  finitima  agli  orti  famosi;  e  finalmente  ha  fatto  notare  che 
il  tratto  delle  mura  tra  la  porta  Salaria  e  la  Pinciana  non  può  essere 
opera  di  Belisario,  come  oggi  si  crede,  ma  ofl"re  il  più  conservato 
esemplare  della  cinta  Aureliana.  Del  luogo  ad  nuccm,  delle  due  vie 
Salarie  e  di  altre  topografiche  notizie  promette  di  dare  ulteriori  e 
definitive  spiegazioni,  che  attendiamo  ansiosamente. 

(2)  WiDO,  Fcrrariensis  in  Wattekich,   Vitac  poiit.  RR.,  I,  462. 


i6o  G.  Tomassetti 


buirsi  alla  Salaria  (i).  Del  resto  la  porta  Pinciana  nel  se- 
colo ottavo  era  chiusa  (2)  ;  anzi  fu  allora  appunto  chiusa, 
perchè  nel  secolo  antecedente  venne  indicata,  quantunque 
col  nome  storpiato  in  Por  ciana  e  Portitiana,  dall' anonimo 
descrittore  inserito  da  Guglielmo  di  Malmesbury  nel  suo 
noto  libro  (3).  Dovette  poi  essere  riaperta,  perchè  della 
chiusura  non  fan  cenno  scrittori  di  età  posteriore  al  1200  (4). 
Un  altro  argomento  per  dimostrarne  la  riapertura  è  la  con- 
tinua indicazione  che  se  ne  trova  nelle  note  catastali  e  no- 
tariH  del  secolo  xiv,  come  poi  vedremo,  di  fondi  situati 
fuori  di  essa.  Non  solo  dalla  frequenza  della  via  relativa 
esterna  dovette  esser  suggerita  tale  riapertura,  ma  ancora 
dal  fatto  che  le  gabelle  della  porta  del  Popolo  spettavano 
al  monistero  di  s.  Silvestro;  e  perciò  l'erario  publico  aveva, 
presso  la  riva  sinistra  del  Tevere,  questa  sola  porta.  Infatti 
nell'elenco  relativo  di  Ambrogio  Spannocchi  tesoriere  pon- 
tificio dell'  anno  1454,  ch'è  nell'Archivio  di  Stato,  è  ta- 
ciuta la  porta  del  Popolo,  e  messa  la  Pinciana  come 
aperta  (5).  Nell'anno  1808  è  stata  chiusa  (6);  ed  ora  è 
stata  riaperta  (7).   Finirò   col  rilevarne   il  pregio  storico. 


(i)  Cfr.  Jordan,  Topogr.  der  Stadi  Rom,  I,  354,  nota. 

(2)  Urlichs,  Itinerario  Einsidhnse,  p.  78. 

(3)  Urlichs,  p.  87. 

(4)  Ivi,  pp.  115,  127,  142  (è  il  Cavallini  che  deduce  il  nome  da 
pignaclum,  cioè  pinnacolo:  poi  accenna  alla  casa  dei  Cornelii  quivi 
presso  situata).  Essa  è  taciuta  nell'anonimo  Magliabecchiano,  p.  151. 

(5)  Non  dissimulo  una  difficoltà,  che  mi  si  potrebbe  opporre,  del 
trovarsi,  cioè,  talvolta  chiamata  Pinciana  la  porta  del  Popolo.  Ma 
questa  era  una  denominazione  erronea  poco  probabile  in  un  docu- 
mento ufficiale  amministrativo  ,  come  il  registro  del  tesoriere. 

(6)  Che  sotto  Adriano  VI  era  aperta,  e  ne  erano  custodi  Gio. 
Batt.  degli  Ubaldi  e  Tomaso  Guerrieri  lo  trovo  nelle  carte  del  Mochi 
all'Annunziata,  t.  121,  f.  194. 

(7)  In  occasione  della  riapertura  di  essa  porta,  tra  i  marmi  della 
soglia  n'è  stato  rimosso  uno  che  ha  EROTIDi  in  grandi  lettere;  si 
vede  che  apparteneva  a  qualche  sepolcro  {Bull.  Com.,  1888,  p.  41). 


^ella  Campagna  Romana  i6i 

conservando  essa  la  croce  equilatera,  nella  chiave  dell'arco, 
e  le  sue  forme  delFetà  di  Belisario,  al  quale  si  riferiva  il 
motto  date  obulum  Belisario  graffito  già  sopra  una  pietra  in 
basso  a  destra  di  chi  entra,  e  che  spetta  ad  età  moderna, 
quando  si  è  sparsa  la  favola  della  cecità  e  mendicità  del 
famoso  duce  bizantino. 

Oltrepassate  le  antiche  mura  di  Roma,  dovendo  io  il- 
lustrare il  primo  tratto  della  zona  già  suburbana,  ora  quasi 
tutta  abitata,  voglio  liberarmi  dalla  storia  di  quella  con- 
trada intermedia  tra  le  vie  Pinciana  e  Salaria  nuova,  ch'è 
breve,  affinchè  Y  itinerario  che  segue  proceda  più  spedita- 
mente. 

(Continua) 

G.   TOMASSETTI. 


Archivio  delh  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ 


Assemblea  del  ^o  aprile  i88y. 

Presenti,  signori  O.  Tommasini,  presidente,  U.  Bal- 
zani, A.  Corvisieri,  G.  Cugnoni,  B.  Fontana,  C.  Mazzi, 
E.  Monaci,  G.  Levi. 

Letto  e  approvato  il  verbale  della  seduta  precedente 
(30  dicembre  188^)  il  Presidente  compie  il  doloroso  do- 
vere di  commemorare  due  illustri  stranieri,  benemeriti  degli 
studi  e  dell'  Italia,  il  socio  barone  Alfredo  von  Reumont, 
e  il  dottore  Guglielmo  von  Henzen.  Del  Reumont  ricorda 
il  lungo  soggiorno  in  Italia,  e  i  molti  importanti  lavori 
di  storia  italiana,  e  l'assidua  collaborazione  \\q\Y  Archivio 
storico  italiano,  e  nelY Archivio  della  Società  nostra.  Nel  Con- 
siglio comunale  della  capitale  del  regno  vennero  comme- 
morati gli  altissimi  pregi  del  Reumont  verso  gli  studi  ita- 
liani ;  alla  sua  tomba  fu  mandato  il  saluto  di  Roma,  a  cui 
si  associa  riverente  la  Società  nostra. 

Il  valore  scientifico,  l'operosità,  le  virtù  del  compianto 
Segretario  dell'  Istituto  archeologico  germanico  non  hanno 
certo  bisogno  di  essere  ricordate  ai  convenuti.  Una  par- 
ticolar  prova  di  affetto  verso  questa  Società  era  la  cortese 
premura  con  cui  egli  non  mancò  mai  d' intervenire  alle 
riunioni  sociali.  Il  presidente  ricorda  anche  la  recente  per- 
dita di  un  egregio  cultore  della  storia  in  Italia,  il  prof.  Age- 
nore Gclli,  direttore  dQÌV Archivio  storico  italiano. 

Il  Pri.sidente  poi  comunica  una  lettera  del  socio  profes- 


164  Q/^iti  della  Società 

sore  T.  von  Sickel  che  ringrazia  pel  telegramma  inviatogli 
dalla  Società  in  occasione  del  suo  sessagesimo. 

Viene  infine  presentato  il  consuntivo  dell'anno  188^. 

Procedutosi  alla  nomina  dei  sindacatori  di  detto  bilancio 
vennero  eletti  a  unanimità  i  soci  signori  A.  Corvisieri  e 
B.  Fontana. 


Preparazione  del  Codex  Diplomaticus  Urbis  Romae. 

Nel  dicembre  1887  la  Presidenza  inviò  ai  soci  il  se- 
guente schema  per  la  preparazione  del  Coàtx  Diplomaticus 
Urbis  Romae  : 

In  seguito  alla  deliberazione  dell'Istituto  storico  italiano  del 
31  maggio  1887  (Bulldtino,  n.  3,  p.  31),  la  R.  Società  Romana  di  storia 
patria  è  chiamata  a  preparare  la  pubblicazione  del  Codex  Diploma- 
ticus Urbis;  il  quale  invito,  se  corrisponde  a  un  antico"  proposito 
della  Società  stessa,  l'affida  che  non  saranno  per  mancare  i  mezzi  per 
attuarlo. 

Desiderando  di  procedere  col  concorso  di  tutti  i  soci  a  stabilire 
le  basi  e  le  linee  principali  dell'opera,  il  Consiglio  direttivo  propone 
alla  considerazione  dei  colleghi  i  seguenti  punti,  intorno  ai  quali  è 
necessario  di  venire  a  certa  determinazione: 

1°  Tempo.  Si  propone  dì  partire  da  Gregorio  Magno,  con  ri- 
serva di  risalire,  se  le  indagini  daranno  frutto,  fino  al  trasporto  della 
sede  dell'Impero  a  Costantinopoli; 

2°  Luogo.  Roma,  l'Agro   Romano,   il  Ducatus,  il  Comitatus  et 
Districtus,  e  i  comuni  collegati  con  il  comune  di  Roma,  salvo  a  deli- 
berare sull'esatto  limite  topografico,  quando  sia  raccolto  il  materiale; 
3°  Oggetto.  Storia  civile  e  storia  ecclesiastica,  in  quanto  la 
storia  della  Chiesa  sia  congiunta  direttamente  colla  storia  della  città; 

4°  Per  DOCUMENTI  storici  da  comprendere  nel  Codice  Diplo- 
matico s'intendono: 

a)  tutti  gli  atti  pubblici  (documenti  storici  propriamente  detti  e  giu- 
ridici) ; 

l)  quelli  privati  che  hanno  attinenze  dirette  colla  storia  della  città 
e  la  genealogia  delle  famiglie; 

e)  i  monumenti  narrativi  in  quanto  diano  notizia  di  documenti 
storici  o  di  particolari  condizioni  e  vicende  della  costituzione  civile  e 
politica  della  città; 


oAtti  della  Società  1^5 


5°  Gli  spogli  si  dovrebbero  condurre  sopra  le  fonti  edite  e  le 
manoscritte.  Si  sottomette  ai  soci  una  nota  delle  principali  opere  a 
stampa,  e  dei  principali  fondi  manoscritti  di  archivi  e  di  biblioteche, 
con  preghiera: 

a)  di  dare  ulteriori  indicazioni  di  fonti; 

l)  di  indicare  se  il  socio  intende  di  partecipare  al  lavoro,  e  in  tal 
caso  di  determinare  quale  parte  di  spogli  assuma  per  sé  ; 

6°  Intendendo  il  socio  di  collaborare  al  Codex  Diplomaticus  Urbis, 
è  pregato  di  dichiarare,  se  oltre  il  lavoro  di  spoglio,  sia  disposto  a 
far  quello  della  collazione  e  dell'esame  dei  singoli  documenti. 

La  preparazione  del  Codex  Diplomaticus  Urlis  darà  occasione  a 
predisporre  VHisioria  Urbis  Diplomatica,  che  potrà  venir  pubblicata 
come  appendice,  nella  quale  si  raccoglieranno  ancora  tutti  quegli 
altri  documenti  che  possono  illustrare  il  costume,  l'arte  e  la  coltura 
della  città. 

Fonti  edite. 

Regesti  Pontifici  (Jaffè,  Potthast,  Berger,  Benedettini,  ecc.). 

Regesti  Imperiali  (Bòhmer,  Mùlbacher,  Stumpf-Brentano,  ecc.). 

Regesti  di  Farfa,  Subiaco,  Tivoli,  ecc. 

Codici  diplomatici  (Lùnig,  Dumont,  Leibnitz,  Marini,  Troya,  Huillard- 
Bréholles,  Cenni,  Theiner,  Funi,  ecc.,  ecc.). 

Acta  Imperli  inedita. 

Epistolae  Romanorum  Pontificum. 

Collezioni  storiche  (Muratori,  Bouquet,  Pertz,  Chronicles  &  Memo- 
rials,  ecc.). 

Vitae  Pontificum  Romanorum. 

Annalisti  (Baronie,  Rainaldi,  Tillemont,  Muratori,  lahrbilcher  der  deut- 
schen  Gescbichte,  ecc.).  Annali  Benedettini  (Mabillon),  Camaldo- 
lesi (Mittarelli),  Francescani  (Waddingo),  ecc. 

Concini  (Labbc,  Mansi,  ecc.);  Diritto  Canonico,  AnaUcta  Juris  Pon- 
tificii, ecc. 

Patrologia. 

Leggi  imperiali. 

Statuti  municipali. 

Bollandisti,  Acta  Sanctorum,  Storie  delle  famiglie,  dei  magistrati,  di 
luoghi  pii,  chiese,  monasteri,  ospedali. 

Jlinera,  viaggi  ed  esplorazioni  d'archìvi  e  biblioteche  (Montfaucon, 
Blume,  Bethmann,  Pflugk-Harttung,  ecc.). 

Cataloghi  d'archivi  e  biblioteche;  Repertori  (Potthast,  Chevalier, 
Oesterley). 


i66  Q^tti  della  Società 


Fonti  manoscritte. 

Archivio  di  Stato:  Carte,  diplomi,  registri  camerali,  atti  dei  notai, 
statuti,  ecc. 

Archivio  Storico  Comunale:  Carte  e  statuti. 

Archivio  Vaticano  :  Diplomi,  carte,  regesti,  libri  dei  censi,  conti,  ecc. 

Archivi  d'ospedali,  di  famiglie  romane,  di  congregazioni,  capitoli,  cor- 
porazioni, ecc. 

Biblioteche  dello  Stato,  del  Comune,  Chigiana,  Barberini,  ecc. 

Biblioteca  Vaticana. 

Archivi  della  provincia,  dei  comuni,  notarili,  qcc. 

Lo  schema  essendo  stato  discusso  ed  approvato  nel!' as- 
semblea generale  dell' 8  gennaio  1888,  venne  diramata  la 
circolare  che  segue: 

In  seguito  all'approvazione  dello  schema  per  la  preparazione  del 
Codòx  Diplomaticus  UrUs,  il  Consiglio  direttivo  della  R.  Società  Ro- 
mana di  storia  patria  invita  i  suoi  soci  a  voler  dichiarare  a  tenore 
dell'art.  5°  e  6°  dello  schema  stesso  quale  parte  intendono  di  assu- 
mere del  lavoro  sia  di  spoglio,  sia  di  collazione  e  d'esame  de'  do- 
cumenti. 

È  naturale  che  ciascuno  preferisca  quel  limite  cronologico  e  quella 
qualità  di  ricerche  che  coincide  coli'  indirizzo  de'  particolari  suoi  studi. 
Ma  necessita  che  non  vi  sia  né  parte  di  lavoro  inconsapevolmente 
duplicata,  né  parte  omessa.  E  dove  è  bisogno  di  larga  comparteci- 
pazione di  opera,  sarà  bene  che  questa  si  consegua  indirizzando  il 
corso  pratico  di  metodologia  della  storia  alla  preparazione  del  Codex 
Diplomaticus  Urbis. 

Si  pregano  pertanto  i  soci  a  far  pervenire  alla  sede  sociale,  prima 
del  giorno  26  del  corrente  mese,  la  dichiarazione  che  il  Consiglio 
direttivo  per  sua  norma  richiede;  avvertendo  che,  dopo  la  detta  di- 
chiarazione, verranno  distribuite  ai  singoli  soci  le  schede  apposite, 
le  quali,  contraddistinte  colle  iniziali  del  socio,  saranno  testimonio 
del  contributo  di  ciascuno  all'opera  sociale,  e  serviranno  anche  di 
fondamento  a  determinare  il  concorso  che  l'Istituto  storico  italiano 
accorderà  a  questa. 

(Segue  scheda). 

A  dar  sollecito  conto  della  cooperazione  dei  singoli 
soci  a  questa  importante  impresa  d'indole  veramente  so- 
ciale si  aprirà  nQÌY Archivio  una  rubrica  apposita. 


Q/ltti  della  Società  i6j 


R.  Società  Romana  di  Storia  Patria. 


Prodotti  e  Spese  deiranno  1886. 

PRODOTTI. 

Dal  Ministero  della  pubblica  istruzione  per  sovvenzione 

ordinaria L.  2,000  — 

Dal  suddetto  per  sovvenzione  straordinaria 2,000  — 

Dal  suddetto  per  incoraggiamento  pei  Facsimili  e  Diplomi 

imperiali  e  reali 3,000  — 

Dal  Comune  di  Roma  per  sovvenzione 2,000  — 

Dai  signori  soci  contribuenti 2,615  25 

Interessi  sulla  Rendita  e  sul  fondo  di  cassa 91  40 

Valore  d' inventario  dei  libri  ricevuti  in  dono  ....  1,500  — 

Simile  dei  mobili  acquistati 100  — 

L.  13,306  65 

SPESE. 

Spese  pel  personale L.  766  — 

Id.    accessorie  alle  pubblicazioni: 

Stampa L.     6,114  88 

Spedizione  e  posta     ...       .       287  25 

6,401  43 

Spese  diverse  d'amministrazione 178  20 

Id.          per  la  Biblioteca  Vallicelliana      ....  649  55 

Mobili  e  acconcimi 326  — 

Spese  casuali  e  di  esigenza 443  ^5 

L.  8,764  33 


RIASSUNTO. 

Somma  dei  prodotti L.  13,306  65 

Id.      delle  spese    .......     .  8,764  33 

L.  4,542  32 


1^8  oAtti  della  Società 


Stato  attivo  e  passivo  della  Società 
chiuso  al  3i  mar-^o  i88y. 

PASSIVO. 

Credito  del  conto  avanzi  e  disavanzi  per  esuberanza  at- 
tiva della  gestione  dell'anno  precedente    .     .     .     .  L.  20,104  05 

Creditori  diversi 500  — 

Esuberanza  dell'entrata  sull'uscita  1886 4>542  32 

L.  25,146  37 

ATTIVO. 

Debitori  diversi 2,575  — 

Titoli  di  credito 1,000  — 

Mobili 1,^31  _ 

Biblioteca  e  deposito  delle  pubblicazioni  sociali      .     .     .  11,984  — 

Resto  di  cassa 79656  37 

L.  25,146  37 


Roma,  20  maggio  1887. 

I  sottoscritti,  trovando  regolare  in  ogni  sua  parte  il  Consuntivo 
della  R.  Società  Romana  di  Storia  Patria  per  l'anno  1886,  ne  pro- 
pongono l'approvazio^^e. 

Firmati:  Alessandro  Corvisieri 
Bartolommeo  Fontana. 


BIBLIOGRAFIA 


D/  Karl  Korber.  Beitràge  zjir  romischen  Mun:(kunde  :  I.  Ein 
ròmischer  Silbermùnzen-Fund  aus  der  Mitte  des  3  Jahr- 
hunderts  n.  Chr.  —  II.  Unedierte  ròmische  Mùnzen 
aus  der  stàdtischen  Sammlung  in  Mainz  (Mainz,  1887; 
programma  ginnasiale). 

I. 

Nella  prima  parte  (pp.  1-18),  l'A.  dà  notizia  di  un  ripostiglio  di 
monete  romane  imperiali  rinvenutosi  casualmente  nell'agosto  1886 
dentro  la  città  di  Magonza,  facendosi  lo  scavo  di  un  pozzo.  Le  mo- 
nete si  trovarono  contenute  in  vaso  di  terracotta,  e,  rotto  il  vaso,  se 
ne  numerarono  ben  3220;  ma,  come  purtroppo  avviene  il  più  delle 
volte  in  tali  trovamenti,  gli  scopritori,  per  meglio  sottrarle  ai  diritti 
del  proprietario  del  fondo,  le  mandarono  a  vendere  fuori  di  città,  e 
cosi  un  buon  terzo  del  ripostiglio  andò  perduto.  Il  proprietario,  si- 
gnor F.  Mùller,  riuscì  nondimeno  a  ricuperarne  n.  1676,  e  le  presentò 
al  direttore  del  Gabinetto'numismatico  di  Magonza,  sig.  D/  Welke, 
il  quale  fu  sollecito  di  acquistarle  per  quel  Gabinetto.  Ivi  il  nostro  A. 
potè  studiarle  ed  esaminarle,  compilarne  il  catalogo  ed  aggiunger- 
vene  anzi  altre  195  da  lui  potute  ripescare  presso  gli  antiquari  ed  i 
privati  cittadini.  Cosi  il  catalogo  del  sig.  Korber  comprende  effettiva- 
mente n.  1871  pezzi.  Ei  divise  queste  monete  secondo  le  specie  in 
denari  (corona  laureata)  ed  antoniniani  (corona  radiata),  e  le  classi- 
ficò con  la  scorta  della  2^  edizione  del  Cohen  (Description  des  mon- 
naies  impériales)  seguendo  il  sistema  tenuto  dall'Hettner  nella  descri- 
zione di  un  simile  ripostiglio  pubblicata  nella  IVesd.  Zeitschrift,  VI,  131. 

Sono  tutte  monete  di  biglione  (bianco  e  nero);  i  denari  sono  in 
numero  di  539  e  vanno  da  Antonino  Pio  a  Gordiano  III;  gli  anto- 
niniani sono  in  numero  di  1332  e  vanno  da  Caracalla,  il  creatore 
della  specie,  a  Gallieno  e  Postumo.  I  denari  per  la  più  parte  appar- 
tengono a  Settimio  Severo  (pezzi  55),  Elagabalo  (pezzi  114)  ed  Ales- 
sandro Severo  (pezzi  168);  gli  antoniniani  a  Gordiano  III  (545),  Fi- 
lippo I  (289),  Filippo  II  (63),  Traiano  Decio  (loi)  e  Treboniano 


lyo 


bibliografia 


Gallo  (89).  I  due  antoniniani  di  restituzione  di  Traiano  e  Commodo, 
meglio  che  a  capo  lista,  potevano  addirittura  riferirsi  a  Gallieno.  Per 
comodo  e  maggior  interesse  degli  studiosi  ho  creduto  opportuno  di 
ricavare  il  seguente  specchio  quantitativo  di  tutto  il  ripostiglio: 

Imperatori  Denari     Antoniniani 

Antonino  Pio 2  — 

Commodo 2  — 

Crispina i  — 

Pertinace i  — 

Didio  Giuliano i  — 

Pescennio i  — 

Albino 2  — 

Settimio  Severo 55  — 

Julia  Domna 15  4 

Caracalla 19  8 

Plautina 2  — 

Geta 3  — 

Macrino 3  — 

Elagabalo 114  7 

Julia  Paola 4  — 

Aquilia  Severa 4  — 

Julia  Soemia 9  — 

Julia  Mesa ^t,  i 

Alessandro  Severo 168  2 

Orbiana 2  — 

Julia  Mammea 31  — 

Massimino  Trace 33  — 

Massimo i  — 

Balbino —  4 

Pupieno —  6 

Gordiano  III   . 9  545 

Filippo  I —  289 

Ottacilla —  58 

Filippo  II —  63 

Traiano  Decio —  loi 

Etruscilla —  27 

Erennio  Etrusco —  15 

Ostiliano —  3 

Treboniano  Gallo —  89 

Volusiano —  63 

Emiliano —  4 

Valeriano * —  12 

Mariniana —  i 

Gallieno —  22 

Solonina —  3 

Postumo < —  4 

Restituzione  a  Traiano —  i 

Id.          a  Coramodo —  i 

Incuso  R.  DIANA  LVCIFERA.     .     .  i  — 

Incerte 13  2 

Totale    .    .    .  539  n-  1332  =  1871  pezzi. 


bibliografia  iji 


Le  varietà  descritte  dal  signor  Kòrber  ascendono  a  ben  500  nu- 
meri. Fra  le  varietà  non  descritte  nella  2"  ed.  del  Cohen  e  segnalate 
coi  numeri  similari  del  Cohen  ^  messi  in  parentesi  quadra,  noto:  tre 
denari  di  Settimio  Severo  [230,  321,  324];  uno  di  Caracalla  [120]; 
tre  di  Elagabalo  [50,  lor,  109];  uno  di  Julia  Mesa  [7];  uno  di  Ales- 
sandro Severo  [57];  uno  di  Massimino  Trace  [46];  —  due  anto ni- 
ni ani  di  Gordiano  Pio  [98,  98];  uno  di  Filippo  II  [86];  uno  di 
Traiano  Decio  [m];  uno  di  Erennio  [20];  uno  di  Gallo  [67],  e  uno 
di  Volusiano  [48].  Sono  tutte  piccole  varietà  di  tipo  o.  di  leggenda  ; 
ma  non  prive  d'interesse. 

Il  den.  IMP  ANTONINVS  PIVS  AVG )(LIBERALITAS  AVG  II, 
attribuito  dall'A.  all'imp.  Caracalla  (ved.  p.  17  sg.),  io  dubito  molto 
non  s'abbia  a  mantenere  piuttosto  ad  Elagabalo,  del  quale  è  noto  il 
corrispondente  quinario  Cohen  ^,  Elagabale  n.  81.  Gli  argomenti  con 
cui  l'A.  si  sforza  di  rivendicare  a  Caracalla  questa  moneta,  e  due  altre 
della  2^  liberalità  inesattamente  descritte  dal  Vaillant  (Cohen  ^,  Ca- 
racalla nn.  119,  120),  non  mi  persuadono.  Il  tipo  fanciullesco  della 
testa  corrispondente  più  a  Caracalla  che  ad  Elagabalo  è  il  principale 
argomento  dell'A.;  ma  trattandosi  di  due  imperadori  di  tratti  fisio- 
nomici poco  diversi,  l'uno  cugino  dell'altro  e  fatti  Augusti  l'uno  al- 
l'età di  IO  e  l'altro  all'età  di  14  anni,  non  mi  pare  che  l'argomento 
fisionomico  possa  bastare  per  istabilirvi  sopra  tutta  una  conseguenza 
storica.  Per  lo  meno  sarebbe  d'uopo  che  questa  dififerenza  fisiono- 
mica nei  tipi  della  2"  liberalità  di  Elagabalo  fosse  confortata  da  una 
buona  serie  di  esempì,  e  non  sopra  l'eccezione  dell'A.  Tutte  le  ra- 
gioni analogiche  e  storiche  stanno  in  favore  dell'attribuzione  ad 
Elagabalo. 

Il  den.  VOTA  PVBLICA  di  Elagabalo  [n.  306]  è  ugualissimo  a 
quello  descritto  dal  Cohen  ^  al  detto  numero,  per  cui  non  veggo  la 
ragione  della  parentesi  quadra. 

Il  den.  LIBERTAS  AVG  di  Elagabalo  messo  in  dubbio  dall'A. 
mi  par  più  probabile  e  verisimile  appartenga  a  Caracalla,  e  sia  una 
varietà  del  n.  143  Cohen  ^. 

Quanto  agli  antoniniani  di  Gordiano  Pio  [n.  173]  PAX  AV 
GVSTI  (io  esemplari)  non  sono  in  niun  modo  diversi  da  quelli  de- 
scritti nella  i*^  ed.  del  Cohen,  IV,  132,  n.  70,  e  che  nella  2^  ed.  si 
si  diedero  con  leggenda  errata  PAX  AVGVST  invece  di  PAX  AV 
GVSTI. 

Lo  stesso  sbaglio  si  verifica  per  gli  antoniniani  di  Filippo  I  AE- 
QVITAS  AVGG  [n.  9  e  12],  che  nella  2"*  ed.  del  Cohen  sono  errati 
nella  leggenda,  mentre  sono  esattamente  descritti  nella  i'^  ed.,  IV,  176, 
nn.  8  e  io. 

A  tal  proposito  non  posso  dispensarmi  di  mettere  in  guardia  tutti 
i  descrittori  di  monete  imperiali  romane,  affinchò  non  sieno  facili  ad 
ammettere  le  varietà  nuove,  fidandosi  della  esattezza  della  seconda 
edizione  del  Cohen,  edizione  la  quale  in  effetto  è  invece  molto  meno 
esatta  della  prima.  Ebbi  ad  avvedermi  di  questo  imperdonabile  di- 


172  bibliografìa 


felto  studiando  testò  particolarmente  le  monete  di  Traiano  (V.  nel 
2°  voi.  del  Museo  italiano  di  antichità  classica  il  mio  scritto  Di  alcuni 
riposticrli  di  monete  romane,  p.  316  sgg,),  ma  pur  troppo  vado  consta- 
tatido  che  il  difetto  si  estende  a  tutta  l'opera.  Appena  si  può  imma- 
ginare di  quali  e  quanti  errori  nel  campo  numismatico  e  storico 
potrebbe  esser  fonte  la  nuova  edizione  dell'unico  nostro  grande  re- 
pertorio delle  monete  romane  imperiali,  se  il  solerte  suo  attuale 
curatore  non  affida  a  collaboratori  competenti  e  coscienziosi  la  revi- 
sione dell'intera  opera,  e  ritarda  la  pubblicazione  del  desideratissimo 
errata-corrige  (i). 

Ritornando  al  nostro  A.,  piacemi  dichiarare  che  egli,  con  la  pub- 
blicazione del  ripostiglio  di  Magonza  ha  per  certo  reso  un  segnalato 
servizio  alla  scienza  numismatica;  una  scienza  la  quale  è  diventata  più 
degna  emula  dell'epigrafia  e  più  utile  ancella  della  storia  dal  giorno 
in  cui  Cavedoni  e  Mommsen  hanno  insegnato  al  mondo  di  quali  e 
quanti  risultati  storici  può  esser  fonte  e  scaturigine  un  semplice  ri- 
postiglio di  monete.  Per  questa  scienza  è  certamente  più  importante 
la  descrizione  di  un  ripostiglio  nuovo  che  non  quella  di  molti  pezzi 
inediti  e  rari  ;  ma  acciocché  i  risultati  che  si  traggono  dall'esame 
di  un  ripostiglio  sieno  sicuri  e  fecondi  convien  che  il  descrittore  sia 
accurato  fino  allo  scrupolo,  e  non  dimentichi  due  principali  avver- 
tenze. Prima  avvertenza  è  quella  di  assicurare  che  le  monete  di  un 
dato  ripostiglio  non  sono  andate  mescolate  con  altre  sporadiche  :  se- 
conda avvertenza  è  quella  di  annotare  diligentemente  lo  stato  di 
conservazione  dei  pezzi  ed  il  loro  stato  relativo  di  freschezza. 

Il  nostro  A.  non  ebbe  la  prima  avvertenza,  perchè  non  distinse 
nel  suo  catalogo  le  195  monete  che  egli  rinvenne  in  possesso  di  al- 
cuni antiquari,  da  quelle  spettanti  al  gruppo  originale  ricuperato  dal 
sig.  F.  MùUer.  Sulla  origine  di  quelle  195  monete  è  sempre  lecito 
avere  qualche  dubbio,  mentre  le  altre,  costituenti  la  massa  principale, 
presentavano  una  sicura  garanzia  che  fossero  appartenute  tutte  senza 
eccezione  al  ripostiglio  di  che  si  tratta.  Non  ebbe  la  seconda  avver- 
tenza al  punto  da  non  far  nemmeno  cenno  dello  stato  di  freschezza 
delle  ultime  monete  del  ripostiglio.  Se  l'A.  avesse  riguardato  allo 
stato  di  freschezza  dei  pezzi  spettanti  ai  due  ultimi  imperatori  del  ri- 
postiglio, Gallieno  e  Postumo,  egli  avrebbe  avuto  modo  di  control- 
lare efficacemente  e  stringentemente  la  sua  stessa  opinione  circa  la 
data  probabile  del  nascondimento  del  tesoretto.  Qjaesta  data  egli  a 
p.  5  la  ricava  dall'esame  delle  monete  di  Postumo,  e  segnatamente 
dall'ant.  Cohen  ^  n.  261  recante  il  cos.  Ili  (TR  P  COS  IH  PP)  e  di 
data  estensibile  dall'anno  260  al  266.  Egli  si  ferma  preferibilmente 
all'anno  261,  vista  la  scarsità  delle  monete  di  Postumo  in  un  trova- 
mento  dove  si  era  in  diritto  di  aspettarsele  abbondantissime;  ma  l'os- 

(i)  È  da  sperare  che  la  I.  Accademia  di  Berlino,  la  quale  ci  ha  liberato  una  buona 
volta  dagli  errori  del  dilettantismo  epigrafico  col  Corpus  inscriplionum,  vorrà  por  mano 
a  liberarci  altresì  dai  non  meno  gravi  errori  del  dilettantismo  numismatico  col  promes- 
soci Corpus  nummoruin. 


'Bibliografia  173 


servazione  del  Mommsen  (Geschichte  d.  rómische  Milnztvesens,  p.  775, 
nota  809)  relativa  alla  incetta  ed  alla  scelta  che  si  faceva  nel  sec.  iii 
delle  specie  monetarie  meno  scadenti  per  parte  dei  tesoreggiatori,  lo 
fa  rimanere  perplesso  e  titubante  anche  verso  questa  data. 

In  tale  incertezza  è  chiaro  che  potrebbe  vincere  il  dubbio  o  far 
pesare  la  bilancia  appunto  l'osservazione  intorno  allo  stato  di  fre- 
schezza delle  ultime  specie  tesoreggiate.  Se,  per  esempio,  si  potrà  con- 
statare che  le  ultime  monete  di  Valeriano  (nn.  36,  71,  208)  riferibili 
agli  anni  257-260  (Cf.  Brock,  Zeitschr.  f.  Num.,  1876,  pp.  5  e  loi)  corri- 
spondono per  il  grado  di  freschezza  alle  piìi  fresche  monete  di  Gal- 
lieno e  Postumo,  ecco  che  si  avrebbe  una  bella  prova  in  favore  della 
conclusione  cronologica  cui  arriva  il  nostro  A.;  ma  se  le  ultime  mo- 
nete di  Gallieno  (nn.  751,  936,  940,  1173,  1309)  e  quelle  di  Postumo 
fossero  invece  relativamente  usate  e  non  mostrassero  in  niun  caso 
l'asprezza  o  le  sbaveggiature  del  conio  recente,  avremmo  per  con- 
verso un  assai  attendibile  argomento  per  ricondurre  la  data  del  ri- 
postiglio verso  il  267,  che  è  l'anno  dell'assedio  di  Magonza,  operato 
dallo  stesso  imperatore  Postumo  contro  il  nuovo  usurpatore  Leliano 
(Eutr.,  IX,  9).  In  tal  caso  il  tesoretto  di  Magonza  verrebbe  a  coin- 
cidere con  un  fatto  storico  speciale,  e  la  ragione  del  suo  nascondi- 
mento non  sarebbe  più  da  cercare  in  qualche  ignoto  avvenimento 
politico  o  militare. 

Confido  che  il  nostro  A.,  il  quale  si  è  reso  benemerito  delle  ri- 
cerche storiche  pubblicando  un  così  notevole  ed  interessante  ripo- 
stiglio di  monete,  avrà  modo  ed  agio  di  sopperire  agli  osservati 
difetti  di  descrizione,  e  potrà  ancora  fornirci  il  catalogo  riveduto  del 
ripostiglio,  accompagnato  dalle  desiderate  note  di  freschezza.  Intanto, 
dovendo  rimanere  nel  dubbio,  posso  persuadermi  che,  anche  in  prin- 
cipio del  burrascoso  e  contrastato  regno  di  Postumo,  non  fossero  man- 
cate in  Magonza,  come  su  tutta  la  strada  di  Cologna,  occasioni  ripe- 
tute di  panico  e  di  terrore  per  la  guerra  che  Gallieno  fu  costretto  di 
dichiarare  all'usurpatore  delle  GaUie  e  suo  competitore. 

II. 

Nella  seconda  parte  del  suo  scritto  (pp.  18-23)  l'A.  descrive  una 
bella  serie  di  monete  romane  imperiali  esistenti  nel  Gabinetto  di  Ma- 
gonza  e  non  descritte  nella  2^  ed.  del  Cohen.  La  descrizione  è  fatta 
col  medesimo  sistema,  cioè  riportando  le  leggende  in  cui  si  osserva 
qualche  differenza  e  rilevando  le  divergenze  di  tipo.  La  descrizione  ò 
generalmente  esatta,  e  ninna  particolarità  degna  di  nota  parmi  essere 
sfuggita  al  vigile  suo  occhio. 

Le  monete  descritte  in  questa  seconda  parte  cominciano  da  Au- 
gusto e  finiscono  con  Massimiano  Erculeo:  sono  ben  141  varietà  che 
l'A.  segnala  come  mancanti  nella  detta  edizione  del  Cohen;  ma,  al 
solito,  c'è  da  temere  che  alcune  differenze  dipendano  dalle  inesattezze 
del  testo  curato  dal  Feuardent,  né  io  ho  agio  di  farne  per  intero  la 


174  bibliografia 


verifica.  Fra  le  monete  descritte  dal  sig.  Kòrber  ve  ne  hanno  parec- 
chie che  io  stesso  verificai  mancanti  al  Cohen,  sia  nel  mio  Ripostiglio 
della  Venera  pubblicato  negli  Atti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  voi.  IV, 
sia  nel  più  recente  mio  scritto:  Di  alcuni  ripostigli  di  monete  romane 
citato  di  sopra.  Quasi  tutte  le  monete  che  il  Kòrber  riporta  come 
inedite  da  Aureliano  in  poi  furono  da  me  pure  descritte  nel  Riposti- 
glio della  Venera,  un  ripostiglio  composto  di  ben  46,442  pezzi  (V.  la 
giunta  nel  Mus.  Ital,  II,  1 1 5"),  tutti  appartenenti  alla  seconda  metà 
del  sec.  in  d.  C.  e  che  il  sig.  Feuardent  non  si  curò  altrimenti  di  spo- 
gliare per  la  nuova  edizione  dei  tomi  V  e  VI  dell'opera  del  Cohen. 
Del  pari  i  denari  di  Vespasiano,  che  il  Kòrber  aggiungerebbe  alla 
pag.  375  del  voi.  IlCohen^,  sono  descritti  anche  da  me  fra  le  mo- 
nete del  ripostiglio  di  Roma,  Mus.  Ital.,  II,  43,  nn.  51-4,  43,  n.  50. 
Relativamente  alle  altre  varietà  descritte  dal  Kòrber  trovo  degne 
di  speciale  attenzione  le  seguenti: 

1°  Un  dupondio  od  asse  di  Augusto  insignito  di  doppia  con- 
tromarca, quella  di  Tiberio:  TIB  A/G,  e  quella  di  Nerone:   IM^  N. 

—  Intorno  a  tali  contromarche  vedansi  le  mie  osservazioni  nel 
Mus.  Ital.,  II,  57  sgg.  Oltre  gli  scritti  ivi  citati,  si  confronti  De 
Saulcy:  Les  contromarques  monétaires  à  l'epoque  du  haut  empire^  nella 
Revue  numismatique,  1869-70,  p.  300. 

2°  Tutte  le  monete  di  Traiano,  specialmente  dopo  lo  studio 
storico  e  cronologico  cui  le  assoggettai  nel  Mus.  Ital.,  II,  81  sgg. 

—  Il  den.  simile  al  n.  394  Cohen  ^  con  COS  VI  merita  conferma! 
Sarebbe  il  primo  tipo  del  Bonus  Eventus  apparso  dopo  quelli  battuti 
per  l'occasione  delle  guerre  daciche  (V.  op.  cit.,  p.  105). 

—  Il  medio  bronzo  IMP  CAES  NER  TRAIANO  OPTIMO  AVO 
GER  etc.  SENATVS  POPVLVSQVE  ROMANVS  SC  con  due 
insegne  dell'  esercito,  particolarmente  interessante  perchè  non  era 
finora  conosciuto  nessun  tipo  del  bronzo  degli  anni  113-114  col  tipo 
militare  delle  insegne  (V,  op.  cit.,  p.  83  e  p.  92). 

3°  Una  moneta  ibrida  di  Giulia  Domna  (IVLIA  AVGVSTA) 
col  tipo  del  rovescio  :  PRINC  IVVENT 

4"  Un  sesterzio  di  Massimo  (MAXIMVS  CAES  GERM)  col 
rovescio  preso  da  un  sesterzio  di  Alessandro  Severo  (Cohen  ^  n.  441). 

5°  Un  antoniniano  di  Volusiano,  col  nome  del  gentilizio  er- 
rato :  VI(j  (sic)  invece  di  VIB.  La  terza  lettera  sbagliata,  rovescia  e 
capovolta,  farebbe  per  poco  sospettare  l'uso  delle  lettere  mobili  nella 
monetazione  del  secolo  iii,  se  in  questo  tempo  non  fossero  frequenti 
errori  monetari  anche  piìi  strani.  Parecchi  errori  simili  sulle  monete 
di  Probo  furono  segnalati  dal  Missong  (V.  Numismatische  Zeitschrift  di 
Vienna,  IX,  anno  1877,  pp.  1-20,  estr.  :  Stempelfehler  und  Correcturen 
auf  Mùnien  des  Kaiser  Probus,  Taf.  IV). 

(Firenze). 

Luigi  A.  Milani. 


'\Bibliografia  175 


Heim  (Baurath)  und  Velke  W.  Die  ròmische  Rheinbriicke 
bei  Main^  nel  Festgabe  der  Generalversammlung  des  Ge- 
sammtvereins  der  deutschen  Geschichts  und  Alterthums-Ve- 
Teine  zu  Main^  am  jj  bis  16  Sept,  18 Sj,  p.  1^9  sgg. 

Il  Governo  tedesco  diede  ordine,  nell'anno  1880,  che  venissero 
rimosse  le  pile  dell'antico  ponte  romano  giacenti  nel  fondo  del  Reno 
fra  Magonza  e  Kastel.  Si  prevedeva  da  tutti  gli  archeologi  un  buon 
risultato  di  notizie  e  di  oggetti  da  cotesto  lavoro  ;  né  le  loro  speranze 
sono  rimaste  deluse.  In  questa  monografia  del  eh.  Heim  abbiamo 
una  dotta  relazione  tecnica  su  tali  scoperte,  nella  quale,  riassumendo 
le  cognizioni  che  si  avevano  sul  ponte  fino  dal  1847,  e  componendole 
colle  attuali,  egli  ne  forma  un  lavoro,  quantunque  breve,  abbastanza 
completo.  Incomincia  egli  col  ricordare  la  falsa  opinione,  formatasi 
dopo  il  1855,  che  attribuiva  quell'insigne  monumento  all'età  caro- 
lingia. Descrive  poi  il  metodo  adoperato  nelle  lavorazioni  subacquee, 
ed  in  tre  tavole,  in  calce  allo  scritto,  ne  porge  una  eccellente  grafica 
riproduzione.  I  piloni  del  ponte  erano  undici.  Ora  l'autore  riferisce  le 
particolari  scoperte  avvenute  in  ciascuno,  colle  misure  esattissime, 
come,  p.  e.,  i  numeri  incisi  sui  pali  rotondi  di  quercia,  ond'  erano 
formate  le  grandi  palizzate  dell' undecimo  pilone  (p.  174).  Singolari, 
sotto  l'aspetto  epigrafico,  vi  sono  le  cifre  IICXXI  e  6XXIKI.  In  un 
palo  del  decimo  pilone  v'è  il  numero  ZXVII;  in  uno  del  sesto  vi 
è  IIIX,  che  a  noi  sembra  scritto  a  rovescio  per  XIII  ;  in  uno  del  quinto 
pilone  v'è  IXXIK. 

Importantissime  scoperte  sono:  un  mazzuolo  di  quercia  trovato 
nel  settimo  pilone,  nel  quale  si  legge:  L  .  VALE  .  LEG .  XIII;  e  un 
sigillo  di  ferro  con  LEG  .  XXII .  A^Toniniana. 

Passa  l'autore  a  mostrare  la  costruzione  dei  fondamenti  delle  pile 
(p.  187)  colla  fedeltà  indispensabile  in  una  tecnica  descrizione. 

Accenna  quindi  alle  cose  quivi  rinvenute  (p.  196).  Vi  sono  pietre 
quadrate,  alcune  scritte,  alcune  anche  ornate  di  rilievi  decorativi,  rin- 
venute, la  maggior  parte,  presso  le  testate  del  ponte.  Vi  sono,  oltre 
i  sigilli  già  ricordati,  alcune  ascie,  alcune  monete  di  bronzo,  uno  scal- 
pello ed  un  pezzo  di  catena. 

Segue,  nella  seconda  parte  di  questo  lavoro,  la  relazione  del  si- 
gnor W.  Velcke,  la  quale  riguarda  la  parte  archeologica  e  storica 
delle  scoperte  avvenute.  Essa  forma  una  pregevole  monografia  in 
complemento  di  ciò  che  il  Lehne,  il  Grimm,  lo  Schneider  ed  il  Pòll- 
niz  hanno  scritto  sul  ponte  romano  di  Magonza.  Accurati  disegni  lito- 
grafici degli  arnesi  e  dei  sigilli  descritti  in  questa  monografia  ci  per- 
mettono di  possederne  gli  esemplari.  Fra  le  pietre  scritte  noteremo 
quella  col  titolo  ansato,  che  ha: 

LEG   •   XIIII 

G    •   M    •  V 

•>-G-VELSI-SECV 


176  bibliografia 


edito  giù  dal  Keller  e  dall'  Hùbner  {gemina,  mart'ia,  victrix  ò  notis- 
sima appellazione  della  XIV  legione).  Oltre  la  nota  delle  sculture  e 
degli  oggetti  rinvenuti,  il  Velke  porge  breve  ed  importante  esame 
sulla  cronologia  del  ponte,  manifestando  la  ben  fondata  opinione,  che 
precisamente  tra  gli  anni  70  e  100,  se  ne  facessero  le  fondazioni  ;  che 
sotto  Domiziano  fosse  costruito  dalla  legione  XIV,  non  dalla  XXII, 
come  pensò  1'  Hùbner.  Seguendo  la  storia  delle  guerre  romano-germa- 
niche sotto  i  Flavii,  egli  dimostra  questa  successione  di  epoche. 
Spiega  come  vi  si  trovi  una  menzione  della  legione  XVI,  cioè  perchè 
spettante  all'epoca  delle  fondazioni  di  un  ponte  primitivo  anteriore  a 
Caligola  (stando  sotto  i  primi  Cesari  quella  legione  a  Magonza),  ed 
infatti  rinvenuta  in  luogo  profondo  e  intermedio  ai  piloni.  Prova 
finalmente  che  alla  legione  XXII,  dell'età  di  Caracalla  (Antoniniana) 
non  deve  attribuirsi  che  un'opera  di  riparazione.  Le  sette  tavole  che 
illustrano  i  due  lavori  dell' Heim  e  del  Velke  sono  precedute  da  una 
riproduzione  di  un  piombo  edito  dal  Fròhner,  rappresentante  il  ripe- 
tuto ponte  romano,  colle  due  città  di  Magonza  e  di  Castellum  sulle 
due  opposte  rive  del  Reno.  G.  T. 

Keller  d/  J.  Die  neuen  rómischen  Inschriften  des  Miiseums  :(u 
Main^.  Zweiter  Nachtrag  x^im  Becker' schen  Katalog.  (In 
Festgabe  der  generalversammliing  der  detitschen  Geschichts- 
und  Alterthums-Fereine  :(u  Main^^  an  i)  bis  16  Sept.  i88y. 
Mainz,  von  Zabern,  1887). 

Come  apparisce  dal  titolo  della  monografia  stessa,  il  signor  dot- 
tor prof.  Keller  porge  in  essa  un  catalogo  delle  iscrizioni  romane 
pervenute  nel  museo  di  Magonza,  dopo  la  pubblicazione  della  prima 
appendice  al  catalogo  del  Becker,  la  quale  fu  edita  nel  1883.  Pre- 
cedono la  nuova  appendice  alcune  osservazioni  e  rettifiche  alla 
prima.  La  nuova  pertanto  contiene  38  lapidi  e  un  diploma  militare 
(in  bronzo),  ordinate  per  classi  conforme  al  catalogo  originale.  Cia- 
scheduna iscrizione  è  accompagnata  dalla  relativa  U^jone,  e  da  qualche 
sobrio  e  ponderato  comento.  Per  non  avere  adoperato  tipi  epigrafici 
è  stato  obbhgato  l'autore  ad  aggiungervi  anche  taluni  schiarimenti 
sulle  lettere  connesse  o  irregolari.  Vi  abbondano  le  lapidi  della  le- 
gione XXII,  molte  militari,  dedicatorie  in  onore  degl'imperatori  e 
di  divinità.  Alcune  hanno  singolare  importanza  epigrafica,  sì  per  le 
cose  in  esse  ricordate:  p.  e.  legioni  xxii  ...  honoris  virtutisq.  causa  ci- 
vitas  Treverorum  in  ohsidione  ah  ea  defensa  (p.  142),  come  per  le  for- 
mole  epigrafiche,  p.  e.  :  honori  aquilae  legionis  XXII,  tee.  La  maggior 
parte  di  queste  epigrafi  spetta  alla  legione  XXII,  eh'  era  di  presidio 
a  Magonza.  Vi  sono  parecchie  date  consolari,  che  arrecano  pregio 
a  questa  serie,  degli  anni  cioè  205,  213,  214,  242,  ecc.  Alcune  di  que- 
ste date  danno  luogo  a  ricerche;  come,  p.  e.,  quella  del  205  ci  sem- 
brerebbe piuttosto  spettare  al  206.  Importantissimo  è   quel  console 


bibliografia  177 


per  la  terza  volta  A.  Didius  Gallus  (p.  134)  nella  tavola  di  bronzo 
votiva  a  Kemetona,  insieme  colla  consorte  indicata  epigraficamente: 
Attica  ejus.  Noto  nella  storia  come  uomo  ricoperto  d'onori  (copia  ho- 
noriim  in  Tacito,  Agric.  14  -  come  curator  aqiiarum  in  un  cippo  aqua- 
rio di  Roma,  Bull,  dell' Istìt.  1869,  p.  213)  sarà  ora  registrato  nella  serie 
dei  consoli  dell'età  di  Tiberio.  Un  frammento  di  lezione  e  di  restitu- 
zione difficile  ci  sembra  quello  trovato  nel  febraro  1887  (p.  143)  dell'età 
degli  Antonini,  come  rilevasi  dalla  residua  parola  NIAN  giustamente 
supplita  in  Antoniì^lKì^ai,  come  soprannome  della  legione  suddetta. 

Delle  iscrizioni  sepolcrali  presentate  in  questa  pregevole  mono- 
grafia, è  ragguardevole  il  cippo  di  C.  Faltoniiis  Secimdus,  milite  della 
legione  stessa  XXII,  di  Tortona,  la  cui  figura  è  scolpita  nel  cippo 
medesimo,  in  singolarissimo  abito  civile,  con  due  servi,  forse  come  il 
Keller  osserva  (p.  146),  l'uno  vestiarius,  l'altro  tahellariiis.  Una  riprodu- 
zione eliotipica  di  questo  bel  monumento  adorna  il  volume  nel  principio. 

Noteremo  finalmente  la  singolare  coincidenza  del  diploma  mili- 
tare (tabulae  honestae  missionis)  del  solito  tipo,  che  chiude  la  serie  di 
cui  parliamo  (p.  157),  poiché  in  esso  fu  riconosciuta  la  seconda  ta- 
voletta di  quello  già  esistente  a  Worms  (cf.  Mommsen  nella  Ephemeris 
epigraphica,  V,  632).  G,  T. 

Tommaso  Sandonnini.  Della  venuta  di  Calvino  in  Italia 
e  di  alcuni  documenti  relativi  a  Renata  di  Francia.  —  To- 
rino, fratelli  Bocca,  1887,  p.  1-33.  {Rivista  storica  ita- 
liana, IV,  III,  anno  1887). 

Il  Sandonnini  avendo  veduto  che  coloro  i  quali  hanno  studiato 
l'episodio  di  Renata  di  Francia  hanno  promesso  più  lunghi  lavori,  ma 
si  sono  limitati  a  brevi  pubblicazioni,  pubblica  anch'egli  alcune  no- 
tizie sulla  Renata.  Ma  egli,  ricordando  le  pubbUcazioni  àtW Archivio 
della  Società  Romana  di  storia  patria,  e  avvertendone  l' importanza, 
dichiara  insieme,  che  dalle  promesse  di  scrittori,  che  sì  limitarono  a 
pubblicare  brevi  e  staccate  memorie,  fu  distolto  da  un  lavoro  che 
aveva  vagheggiato. 

Sull'importanza  dei  nostri  documenti  non  sembra  cadere  disputa. 
Ma  il  Sandonnini  prima  di  pubblicare  i  suoi,  usciti  da  Modena  come 
molti  dei  nostri,  si  prova  a  demolire  le  nostre  conchiusioni  con  un 
seguito  di  ragionamenti,  dai  quali  sembrerebbe  ch'egli  non  tien  ragione 
della  grande  opera  del  Corpus  refortnatorum,  in  cui  tutti  sono  confu- 
tati, contro  coloro  che  per  primi  li  produssero.  Non  ispcnderemo 
adunque  molte  parole,  rimandando  ai  Prolegomeni  di  quell'opera  chi 
avesse  vaghezza  di  conoscere  il  valore  degli  argomenti  risuscitati  dal 
Sandonnini  (i).  Che  la  questione  principale  si  risolve  nel  sapere,  se 

(1)  Corpus  refotm.,  tom.  29,  Prol.  caput  II,  fol.  xxiii. 

Il  titolo  del  capitolo  secondo  è  questo:  «  Editionem  insdtutionis  latinam  anni  1536 
omnium  primam  fuisse  demonstratur ». 

È  contro  questa  serie  ordinata  che  deve  disputare  il  Sandonnini,  prima  che  contro  di  noi. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria  Voi.  XI.  la 


178  "Bibliograjia 


l'edizione  della  Istituzione  della  religione  cristiana  del  1536  fosse  o  no 
l'edizione  prima,  o  ve  ne  fossero  altre  anteriori.  Se  ve  ne  furono  altre 
anteriori  certamente  le  nostre  conclusioni  vacillerebbero  in  qualche 
parte,  non  però  in  tutte;  ma  poiché  il  Sandonnini  afferma  di  avere 
molte  prove  di  ciò,  noi  diciamo,  che,  come  prove,  ne  egli,  nò  altri, 
non  ne  produssero  neppure  una  finora  di  buona  lega. 

È  inesatto,  intanto,  ciò  che  afferma  il  Sandonnini,  che  l'edizione 
del  15 36  porti  per  data  della  prefazione  il  1535.  Non  può  essere  cfubbio 
che  non  sia  stata  scritta  nel  1535,  ma  in  quell'edizione  l'anno  è  stato 
omesso.  È  del  tutto  erroneo  che  «  le  altre  edizioni  fatte  mentre  era 
«  ancora  in  vita  l'autore  corrispondevano  tutte  più  o  meno  a  quella 
«  del  1536»  (i).  L'edizione  immediata  del  1539  è  già  più  lunga:  la  prima 
edizione  occupa  nel  Corpus  252  colonne;  le  sei  edizioni  successive, 
cioè  fino  al  1554,  composte  in  una,  ne  occupano  900;  quella  del  1559 
ne  occupa  11 18.  La  prima  edizione  adunque,  di  252  colonne,  è  un 
vero  enchiridion.  Se  poi  il  Sandonnini  pensa  che  avanti  la  edizione  la- 
tina del  1536  (egli  non  lo  dice,  ma  lo  dicono  gli  autori  ch'egli  può 
avere  consultato)  ve  ne  sia  una  francese,  Calvino  stesso,  nell'edizione 
del  1541,  dice,  che  tradusse  il  suo  lavoro,  per  non  defraudarne  co 
loro  che  di  latino  non  sanno.  Non  arriviamo  a  capire  come  egli  in 
terpreti  dalle  parole  quum  nemo  sciverit  me  authorem  esse,  che  l'edizione 
del  1536,  essendo  la  prima,  dovesse  essere  anonima;  e  non  troviamo 
chi  più  vi  si  fermi.  Martianus  Lucanius,  od  Espeville  che  Calvino  si 
chiamasse,  mette  il  suo  vero  norne  sull'edizione  del  1536  e  si  allon- 
tana da  Basilea  :  qual  necessità  di  allontanarsi  se  l'edizione  fosse  stata 
anonima  ? 

Ma  queste  cose  sono  tutte  dette.  Quanto  al  viaggio  di  Calvino, 
che  il  Sandonnini  nega,  al  Masi,  essere  stato  fatto  per  le  Alpi  deiGri- 
gioni,  egli  lo  fa  procedere  verso  la  valle  di  Aosta,  per  induzioni  tutte 
sue.  Nell'archivio  modenese  da  cui  il  Sandonnini  ha  tratti  i  suoi  prin- 
cipali documenti,  a  noi  non  ignoti,  sta  la  prova  e  la  riprova,  che  gli 
ambasciatori  estensi,  quelli  di  Venezia,  quelli  di  Toscana  e  quelli  di 
Urbino  non  battevano  quella  via,  durante  la  guerra,  per  recarsi,  vuol 
saperlo  dove  il  Sandonnini  ?  a  Lione,  Figurarsi  poi  a  Basilea  e  ad 
Argentorato,  andando  e  tornando,  se  non  era  più  comodo  (diremo 
anche  per  dove  passavano)  per  Peschiera  e  per  la  Bernina. 

Nega  il  Sandonnini  la  presenza  di  Calvino  a  Ferrara,  dove  noi 
l'abbiamo  messa.  Per  quanto  fermissima  ipotesi,  la  nostra,  e  avvalo- 
rabile  da  nuovi  argomenti,  è  sempre  cosa  facile  l'opinamento  con- 
trario, e  spesso  fa  ciò  il  Sandonnini.  Ma  egli  erra  di  sicuro  col  Marot, 
quando  dice  che  «  allude  certamente  al  Marot  il  dispaccio  4  ottobre  1 5  36 
«  del  residente  estense  a  Venezia  »  (2)  :  il  segretario  era  il  Cornillau  e 
allusioni  al  Marot  da  Venezia  non  ve  ne  sono,  se  tutti  non  abbiamo 
visitato  quei  dispacci,  che  crediamo  di  sì.  Il  Marot  è  annunziato  al 


(i)  Sandonnini,  loc.  cit.,  5. 
(2)  Id.,  ibid.,  II.   .   ■ 


"Bibliografia  179 


venire  a  Ferrara,  e  al  ritorno  a  Ginevra  :  sul  soggiorno  a  Venezia  si- 
lenzio completo. 

Ci  dispiace  poi  ch'egli  muti  i  termini  delle  nostre  conchiusioni: 
noi  non  abbiam  mai  scritto  che  Calvino  «  arrivasse  a  Ferrara  il  2  3  marzo 
«e  ne  ripartisse  il  14  aprile  del  1536»  (i)  come  cifa  dire  il  Sandon- 
nini.  Noi  abbiamo  concluso  che  entro  quello  spazio  di  22  giorni  vi  si 
doveva  trovare  ;  arrivasse  prima,  o  partisse  dopo,  ciò  poco  importa. 
Il  mettere  becco  sulla  fuga  di  un  francese,  col  designarlo  per  Giovanni 
Soubise,  è  ameno,  poiché  v'  è  certa  notizia  ch'egli  rimase  ancora  a 
Ferrara:  ma  noi  troppo  dovremmo  fermarci  a  cogliere  inesattezze: 
prendiamo  per  quel  che  vale  la  sua  pubblicazione,  e,  se  constateremo 
qualche  documento  che  non  possediamo,  gli  saremo  ben  grati.  Quanto 
al  lavoro  completo,  che  fu  promesso  col  nostro  saggio,  s'egli  vuol 
credere  alla  nostra  parola,  per  tutta  quell'epoca  è  fatto. 

B.  Fontana. 


E.  Stevenson.   Topografia  e  monumenti  di  Roma  nelle  pit- 
ture a  fresco  di  Sisto  V  della  biblioteca  Vaticana. 

Il  quinquennio  del  pontificato  di  Sisto  V  è  per  la  città  di  Roma 
così  pieno  d'opere  arditamente  concepite  e  frettolosamente  eseguite, 
che  lo  storico  è  tratto  a  domandarsi  che  cosa  non  avrebbe  divisato  e 
fatto  il  pontefice  Peretti  se  giovane,  e  non  già  grave  di  sessantaquattro 
anni,  avesse  assunto  il  governo  dello  Stato  ecclesiastico  e  indirizzato 
i  tramutamenti  della  città  di  Roma.  «  Se  avesse  vissuto  pochi  altri 
«  anni  noi  avremmo  la  basilica  (di  s.  Pietro)  non  a  croce  latina  e 
«  colla  fronte  del  Maderno,  ma  a  croce  greca  e  colla  facciata  di  Miche- 
langelo ».  Così  scrive  lo  S.  (a  pp.  22-3),  e  questo  non  sarebbe  stato  pic- 
col  vantaggio.  Ma  la  vera  grandezza  e  lo  squisito  gusto'  dell'arte  che  i 
pontefici  del  rinascimento  avevano  potuto  aggiogare  alla  loro  signoria 
era  venuto  meno.  «  Cesare  Nebbia  e  Gio.  Guerra  -  annota  altrove  l'au- 
«  tore  -  favoriti  dal  pontefice  per  la  rapidità  colla  quale  lavoravano, 
«prendevano  in  certo  modo  l'appalto  delle  pitture;  nei  conti  delle 
«  spese  essi  soli  figurano,  mentre  agli  artisti  che  li  aiutavano  è  dato  il 
«  nome  di  soci  ».  Così  la  nuova  fabbrica  da  lui  divisata  a  congiungere 
le  due  grandi  gallerie  che  vanno  dal  palazzo  pontificio  al  Belvedere, 
non  serve,  come  le  opere  de' tempi  di  Sisto  IV,  di  Paolo  II,  d'Inno- 
cenzo Vili,  di  Giulio  II  e  di  Leone  X,  ad  eccitare  la  fina  ammirazione 
delle  persone  che  sono  al  culmine  della  cultura;  bensì  colpisce  la  mol- 
titudine grossa  coir  aspetto  della  mole,  dei  colori  smaglianti,  cogli  ef- 
fetti che  possono  sperarsi  da  opere  frettolose  e  date  in  appalto.  Ma 
lo  S.  non  entra  in  considerazioni  artistiche  per  questo  rispetto:  bensì 
con  solerte  dottrina  si  fa  a  raccogliere  quanto  ò  possibile  da  quelle 
pitture  per  la  conoscenza  topografica  del  Vatfcano  antico,  e  per  la 

(i)  Sandonnini,  loc.  cit.,  7. 


1 8o  bibliografìa 


storia  della  biblioteca,  integrando  i  dotti  lavori  del  Muntz  e  del  De 
Nolhac.  All'opera  sono  annesse  cinque  tavole  fototipiche,  non  tutte  riu- 
scite egualmente  bene.  La  prima  rappresenta  la  facciata  dell'antica  ba- 
silica Vaticana,  e  l'A.  la  illustra  alle  pp.  8-11  :  «  La  piazza  scorgesi  pa- 
ce rata  a  festa;  arazzi  e  drappi  pendono  dalle  finestre  e  dai  palchi  eretti 
«  per  gli  spettatori  :  suonano  le  tube  (?)  e  tuonano  le  artiglierie,  mentre 
«  la  turba  del  popolo  assiste  plaudente.  Accanto  al  vetusto  ingresso 
«  della  basilica  s' innalza  il  trono  del  pontefice  entro  uno  steccato,  al 
«  cui  ingresso  ò  una  specie  di  arco  trionfale  (?)  decorato  di  festoni 
«  collo  stemma  di  Sisto  V  ».  Nella  tavola  II  riproduce,  da  un  aff'resco 
del  Vasari  nel  palazzo  della  Cancelleria  di  Roma,  l'immagine  dei 
luoghi  e  dello  stato  dei  lavori  quali  si  trovavano  quarant'anni  prima, 
sotto  Paolo  IIL  La  tavola  III  ofì're  in  una  delle  vedute  il  trasporto 
dell'obelisco;  e  presso  la  torre  campanaria  ben  riconosce  lo  S.  rap- 
presentata nella  parte  superiore  d'un  edifizio  parte  del  musaico  giot- 
tesco della  navicella  che  ornava  l'antico  quadriportico.  Descritte  le 
vicende  che  alterarono  il  monumento,  altrove  trasferito  e  restaurato 
più  volte,  lo  S.  ofì're  nel  n.  4  della  tavola  V  un  elemento  assai  antico 
e  pregevole  per  ricostituirne  il  primitivo  aspetto,  tratto  da  un  disegno 
della  biblioteca  Ambrosiana.  «  L'occasione  -  scrive  l'autore  -  mi  in- 
«  duce  a  divulgare  un  frammento  di  musaico  attribuito  a  Giotto  che 
«  è  serbato  a  Banco,  nelle  vicinanze  della  Badia  di  Casamari,  in  una 
«  cappella  privata  »,  quantunque  sull'autenticità  dell'angelo  giottesco 
non  si  avventuri  a  pronunziare  giudizio.  E  questo,  e  la  testa  di  Gre- 
gorio IX,  ch'era  pur  essa  nel  musaico  sotto  al  timpano  all'ingresso 
del  quadriportico;  e  la  testa  d'Innocenzo  III,  la  cui  figura  era  nella 
conca  dell'abside  ed  ora  si  trovano  nella  cappella  della  villa  già 
Conti,  ora  Torlonia,  presso  Poli,  costituiscono  i  tre  frammenti  di  de- 
corazioni musive  scampati  alle  distruzioni,  che  lo  S.  divulga  per  la 
prima  volta  nella  tavola  V  del  presente  scritto.  Nella  parte  inferiore 
della  tavola  III  è  anche  figurata  la  piazza  Colonna,  colle  umili  ba- 
racche e  co' pergolati  che  fanno  cosi  misero  contrasto  colla  grande 
colonna  di  Marco  Aurelio  restaurata  da  Sisto  V.  La  tavola  IV  ripro- 
duce, nella  parte  inferiore,  una  lunetta  con  la  veduta  del  patriarchio 
lateranense  e  degli  annessi  edifici,  divulgata  già  dal  Rasponi  e  dal 
Rohault  de  Fleury;  nella  superiore,  la  pianta  prospettica  di  Roma 
indicante  il  piano  regolatore  della  città  a' tempi  di  Sisto  V;  ad  illu- 
strazione della  quale  lo  S.  reca  fra  le  altre  notizie  quella  della  data 
certa  della  «  desfattura  della  scola  di  Virgilio  houer  Settezonio  »,  le 
cui  spese  figurano  nei  conti  alla  data  de' 15  maggio  1589.  Ora,  tali 
registri  de' conti  che  rivelano  preziosi  ragguagli  intorno  alle  basiliche 
cristiane  ed  agli  antichi  monumenti  di  Roma,  non  pare  che  fossero 
cogniti  al  Tempesti,  furono  trascurati  dall'  Hùbner,  e  lo  S.  U  usò  primo 
e  ne  dette  indicazione. 


"bibliografia  i8i 


Emmanuel  Rodocanachi.  Cola  di  Rienzo  -  Histoire  de 
Rome  de  1342  à  1354.  —  Paris,  A.  Lahure,  imprimeur- 
éditeur,  il 


Cola  di  Rienzo  è  tal  figura  storica  che  non  può  non  esservi  in 
tutti  i  tempi  chi  si  lasci  attrarre  da  essa  potentemente.  Non  è  solo  fra 
gli  artisti  o  i  romanzieri  che  certi  antichi  nomi,  certi  episodi,  certi 
periodi  storici  trovano,  a  preferenza  di  altri,  simpatie  più  vive  ;  anche 
fra  gli  studiosi  e  fra  i  severi  eruditi,  per  i  quali  tutto  dovrebbe  valere 
ugualmente  quanto  si  può  chiamar  fatto  documentato,  v'han  certi 
tèmi,  cui  per  bisogno  inconsciente  dello  spirito  la  rigida  ricerca  obiet- 
tiva si  volge  con  più  intelletto  d'amore.  Mal  giudichiamo  i  freddi  esplo- 
ratori del  passato,  figurandoceli  quasi  atrofizzati  dalle  carte  ingiallite  e 
dalle  logore  pergamene  :  eglino  comprendono,  invece,  come  per  certi 
fatti,  per  certi  rivolgimenti,  per  certe  figure  del  passato  il  lavoro  loro 
non  è  se  non  l'umile  compagno  di  quello  che  spetta  al  filosofo,  al 
politico,  allo  psicologo.  Di  qui  la  straordinaria  attrattiva  di  certi  ar- 
gomenti. 

Tale  si  presenta  quel  periodo  della  storia  medievale  di  Roma  che 
va  dal  1342  al  1354,  nel  quale  la  figura  dell'ultimo  tribuno  domina 
e  campeggia  sovrana,  anche  quando  dobbiamo  andarla  a  ritrovare 
nella  solitudine  di  monte  Maiella  o  nel  triste  carcere  di  Raudnitz. 

Ben  venga  adunque  questo  nuovo  volume  del  signor  Emanuele 
Rodocanachi  su  Cola  di  Rienzo,  che  s'aggiunge  cosi  alla  biografia  di 
Felice  Papencordt,  sintesi  felicissima  di  tutto  quanto  erasi  anterior- 
mente scritto  su  la  storia  del  tribuno.  Questa  Società  di  Storia  patria 
ha  ormai  riunito  e  s'accinge  a  pubbUcare  l'epistolario  di  Cola,  ed  è 
questa  una  ragione  di  più  per  accogliere  con  schietta  soddisfazione 
il  presente  lavoro,  che  serve,  se  non  altro,  a  ravvivare  l'attenzione 
del  pubblico  colto  per  quel  memorabile  decennio  di  storia  romana. 

Se  dicessimo  che  l'opera  del  Rodocanachi  porta  agli  studi  un  con- 
tributo veramente  nuovo,  non  saremmo  nel  vero  e  sorpasseremmo 
forse  gli  stessi  intendimenti  dell'A.  Fonti  nuove,  oltre  quelle,  mano- 
scritte ed  a  stampa,  già  utilizzate  dal  Papencordt,  non  ò  venuto  fatto 
all'A.  di  scoprire,  e  noi  non  gli  moviamo  di  ciò  il  benché  minimo 
rimprovero:  fondamento  principale  della  narrazione  resta  sempre  la 
Vita  dell'anonimo  contemporaneo,  sussidiata  non  tanto  da  varie  cro- 
nache di  città  italiane  e  da  qualche  annalista  ecclesiastico,  quanto  dalle 
lettere  di  Cola  a  noi  pervenute  e  già  in  buona  parte,  benché  assai 
male  e  sparsamente,  pubblicate. 

Questo  il  materiale  che  servì  agli  anteriori  biografi  e  che  per  la 
via  di  essi,  e,  abbiam  motivo  di  credere,  non  per  la  via  dei  mano- 
scritti, venne  a  conoscenza  del  Rodocanachi.  E  ad  aggiungere  però 
ch'egli  ebbe  primo  l'aiuto,  mancato  agli  altri,  della  nota  raccolta  del 
Theincr:  Codex  diplomalicus  domimi  temporalis  Sanctae  Sedis,  stampata 
nel  1862,  della  quale  opportunamente  si  valse  a  meglio  chiarire  i 
rapporti  del  tribuno  colla  Curia  pontificia.   Ciò  solo  basterebbe  a 


1 82  ^ibliografa 


farci  riconoscere  tutt'altro  che  inutile  il  libro,  del  quale  un  breve  e 
sommario  esame  potrà,  crediamo,  non  riuscire  discaro  agli  studiosi. 

La  prima  parte  del  volume  comprende  i  primi  anni  di  Cola,  l'am- 
basciata ad  Avignone,  la  fondazione  del  buono  stato,  la  politica  in- 
terna ed  esterna  del  tribuno  e  la  sua  prima  caduta. 

L'A.,  dando  maggiore  sviluppo  ad  alcune  parti  della  narrazione 
non  interamente  sviluppate  dai  precedenti  biografi,  rifa  con  forma  bril- 
lante la  storia  di  quei  sei  mesi  in  cui  la  potenza  di  Cola  andò  aumen- 
tando con  una  rapidità  uguale  a  quella  con  cui  s'operò  la  sua  prima 
caduta.  Intorno  ai  rapporti  fra  i  Romani  e  la  Curia  d'Avignone,  pare 
all'A.  (e  giustamente)  di  poter  stabilire,  su  la  testimonianza  d'una 
lettera  del  papa  pubblicata  dal  Theiner  (t.  II,  n.  CXXX),  che  le  am- 
basciate a  Clemente  VI  furono  due  e  che  della  prima  non  fece  punto 
parte  Cola  di  Rienzo,  il  quale  soltanto  posteriormente  venne  inviato 
ad  Avignone  (i).  Cola  fu  più  fortunato  di  Stefano  Colonna  e  de'  suoi 
colleghi:  il  27  gennaio  dell'anno  1343,  Clemente  pubblicò  la  bolla 
«  Unigenitus  Dei  Filius  »  e  formulò  i  doveri  imposti  ai  fedeli  che  si 
sarebbero  recati  a  Roma  pel  giubileo  nel  1350.  Rienzo  approfittò  delle 
simpatie  incontrate  in  Avignone  per  parlare  con  grande  veemenza 
contro  i  baroni  romani  e  per  dipingere  al  papa  coi  più  tristi  colori  la 
loro  licenza  e  la  loro  crudeltà.  I  senatori  di  Roma,  Paolo  Conti  e 
Matteo  Orsino,  se  ne  risentirono  aspramente,  e  decretarono  contro 
Cola  le  misure  più  rigorose. 

Fu  allora  che  intervenne  il  papa  colla  lettera  sopra  ricordata,  nella 
quale  difendeva  il  giovane  anlbasciatore  da  ogni  accusa  e  lo  racco- 
mandava alla  benevolenza  dei  suoi  concittadini.  Cosi  Rienzo  potè  tor- 
nare a    Roma  al  sicuro  dalle  rappresaglie  dei  suoi  nemici. 

Ad  Avignone  il  futuro  tribuno  conobbe,  com'è  noto,  il  Petrarca, 
e  da  allora  cominciarono  le  relazioni  fra  l'uno  e  l'altro.  Il  Rodoca- 
nachi  scrive:  «Il  semble  probable  que  Pétrarque  et  Rienzo  lièrent 
«  connaissance  dès  cette  epoque  ;  animés  tous  les  deux  d'une  égale 
«  passion  pour  l' Italie,  ils  durent  s'entretenir  sans  doute  plus  d'une 
«fois  de  leurs  pensées  et  de  leurs  espérances  sur  son  avenir».  Alle 
quali  parole,  assai  scarse  in  verità,  tenuto  conto  degl'intendimenti  del 
volume,  o  noi  c'inganniamo  o  la  forma  dubitativa,  usata  dall' A.,  toglie 
gran  parte  di  valore.  Ci  sia  lecito  pertanto  notare  come  il  Petrarca 
dia  principio  ad  una  sua  lettera  (Lett.  sen^a  titolo,  7),  scritta  dopo  la 
partenza  di  Cola  da  Avignone,  appunto  ricordando  un  lungo  colloquio 
avuto  con  lui  dinanzi  all'antico  tempio  di  Sant'Agricola.  «  Quando 
«  ripenso  -  scrive  il  poeta  -  a  quella  nostra  conversazione,  mi  sento 
«  pieno  di  fuoco  e  d'entusiasmo  ».  Nìun  dubbio  quindi  che  durante 
la  dimora  di  Rienzo  ad  Avignone  (1343)  si  stabilisse  l'affettuosa  ami- 
cizia tra  Cola  ed  il  Petrarca, 

(i)  Ecco  il  luogo  preciso  della  lettera  papale:  «  Cum  autem  per  aliquos  ipsius  Ni- 
«  colai  emulos  vobis,  ut  asserit,  suggestum  extiterit,  licet  falso,  eumdem  Nicolaura  dixisse 
«corani  nobis  aliqua,  que  in  vestrorum  et  eiusdem  Romani  populi  ambassiatorum  dudum 
«  missorum  ad  nostrani  presenc'am  preiudicium  ac  vituperium  redundabant,  etc.  ». 


bibliografia  183 


A  quest'amicizia,  che  esercitò  senza  dubbio  un'  influenza  non  pic- 
cola su  l'indole  dei  rapporti  stabilitisi  dipoi  tra  Cola  divenuto  arbitro 
di  Roma  e  papa  Clemente  VI,  il  Rodocanachi  consacra  iln  intero  ca- 
pitolo, dov'è  opportunamente  esaminata  la  corrispondenza  epistolare 
tenuta  fra  il  Petrarca  e  il  novello  tribuno.  «  Ce  fut  probablement 
«  vers  cette  epoque  -  aggiunge  l'A.  -  que  dans  son  premier  mouve- 
«  ment  d'enthousiasme  le  poète  composa  en  l'honneur  de  Rienzo  la 
«  canzone  célèbre  connue  sous  le  noni  de  Spirito  (sic)  gentile  y^.  E  ri- 
porta una  traduzione  francese  della  canzone,  fatta  dal  signor  Esmé- 
nard  du  Mazet.  Delle  lunghe  e  spesso  anche  dotte  discussioni  cui 
diede  luogo  l'incertezza  del  destinatario  di  quelle  strofe,  il  Rodoca- 
nachi mostra  di  non  essere  affatto  informato,  per  quanto  il  nome  dei 
letterati  che  presero  parte  alla  disputa,  come  il  Carducci,  il  Bartoli, 
il  D'Ovidio  e  molti  altri,  avrebbe  dovuto  non  fargliela  ignorare. 
L'A.  invece  non  giunse  più  oltre  dei  ragionamenti  tenuti  quarant'anni 
fa  da  Zeffirino  Re,  dichiarando  che  dopo  la  sapiente  discussione  di 
questo  erudito  non  si  può  più  mettere  in  dubbio  che  la  canzone  fosse 
realmente  indirizzata  a  Cola  di  Rienzo.  Ora,  noi  non  contestiamo  al 
Rodocanachi  il  diritto  "di  ritenere  una  tale  opinione,  sostenuta  da  va- 
lidissimi argomenti;  ma  non  è  davvero  Zeffirino  Re  che,  tra  i  pro- 
pugnatori di  essa,  abbia  detto  l'ultima  parola.  A  buon  conto,  un  co- 
dice Ashburnhiano,  scoperto  e  segnalato  dal  Bartoli  in  questi  ultimi 
anni,  reca  in  capo  alla  canzone  il  nome  di  Rosone  da  Gubbio,  e  in 
questo  nuovo  fatto  molti  letterati  valenti,  fra  i  quali  il  D'Ovidio,  han 
veduto  una  prova  di  più  della  tesi  già  sostenuta  dal  Carducci,  che 
cioè  il  nome  di  Cola  di  Rienzo  fosse  venuto  in  campo  soltanto  po- 
steriormente per  opera  degli  eruditi  del  cinquecento.  Bisognava  quindi, 
una  volta  entrati  nella  disputa,  ribattere  con  nuove  ragioni  (e  ce  ne 
sono!)  questa  opinione. 

Per  ciò  che  riguarda  i  preparativi  della  rivoluzione  popolare  e  lo 
stabilirsi  del  buono  stato,  i  capitoli  IV  e  V  del  presente  volume  nulla 
aggiungono  all'opera  del  Papencordt,  che  seguono  abbastanza  da  vi- 
cino. La  politica  esterna  del  tribuno  e  le  sue  relazioni  col  resto 
d'Italia  (cap.  Vili  e  IX)  vengono  esposte  dall'A.  con  molta  chia- 
rezza. Non  fa  d'uopo  ricordare  ne'  suoi  particolari  il  piano  di  Cola  : 
egli  voleva  istituire  un'assemblea,  nella  quale  tutte  le  principali  città 
italiane  dovevano  essere  rappresentate  con  egual  numero  di  voti, 
per  discutere  e  risolvere  tutte  le  querele  delle  città  confederate,  esa- 
minare le  questioni  d'interesse  generale  e  rappresentare  l'Italia  di 
fronte  ai  paesi  stranieri.  In  questo  grande  consiglio  egli  avrebbe  tro- 
vato modo  di  dare  a  Roma  il  primato  e  la  preponderanza.  Con  tale 
intendimento  inviò  in  sulla  fine  di  giugno  al  comune  di  Firenze  una 
speciale  ambasceria,  munendo  i  suoi  legati  d'una  lettera  crcJcn/.iale 
che  conservasi,  insieme  a  varie  altre,  in  copia  sincronn,  ncirArchi- 
vio  di  i'irtiizc  (Capiloli  del  Comune,  voi.  XVI)  e  ^ho  tu  già  pubbli- 
cata dal  Gayc  (Curtci^i^io  inedito  d'artisti).  Da  questo  documento  risulta 
che  gli  ambasciatori  furono  quattro,  e  non  cinque,  come  dice  il  Ro- 


1 84  'Bibliografia 


docanachi  (pag.  no),  e  cioè:  Pandolfuccio  di  Guido  de' Franchi, 
Matteo  de'  Beccari  (non  dò'  Becinni,  come  scrive  il  nostro),  Stefanello 
de' Boezi  e  Francesco  de' Baroncelli  (i).  Il  2  luglio  del  1343,  due 
degli  ambasciatori  parlarono,  a  nome  del  tribuno,  avanti  alla  Si- 
gnoria. I  discorsi  di  costoro  -  avverte  l'A.  -  si  trovano  nel  codice  557, 
fondo  italiano,  della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi,  conosciuto  dal 
Papencordt  sotto  l'antica  segnatura  (7778  della  biblioteca  Reale),  ma 
da  lui  non  potuto  consultare  (2):  occorre  però  aggiungere  ch'essi 
trovansi,  tradotti  in  italiano,  anche  nella  cronaca  di  Giovanni  Vil- 
lani (Firenze,  1823;  voi.  Vili,  p.  cxx  e  sgg.).  Il  Rodocanachi  omette 
questa  citazione,  e  dà  in  francese  qualche  passo  dei  discorsi.  Primo 
parlò  Pandolfuccio  (cod.  557,  e.  79),  poscia  il  Baroncelli  (cod.  557, 
e.  80),  e,  il  giorno  seguente,  alla  proposta  di  Tommaso  Corsini  ri- 
spose ancora  Pandolfuccio  (cod.  557,  e.  81  r.). 

Risultato  dell'ambasceria  fu,  com'è  noto,  l'invio  da  parte  della 
Repubblica  fiorentina  di  cento  cavalieri,  e  la  partenza  di  suoi  rappre- 
sentanti alla  volta  di  Roma.  Poco  dopo,  giungevano  a  Rienzo  am- 
basciatori anche  da  Siena,  da  Arezzo,  da  Todi,  da  Spoleto,  da  Rieti, 
da  Pistoia,  da  Foligno,  da  Tivoli,  da  Velletri:  i  signori  del  Nord 
d' Italia  gli  offrivano  doni  preziosi  ;  la  regina  Giovanna  sottoponeva 
al  giudizio  di  lui  la  sua  lite  con  Luigi  d'  Ungheria,  e  perfino  Giovanni 
Paleologo  entrava  in  amichevoli  relazioni  col  capo  del  popolo  ro- 
mano. <(  Per  tal  modo  -  conclude  il  Rodocanachi  -  Cola  seppe  inte- 
«  ressare  alla  rivoluzione  che  s'era  compiuta  in  Roma  tutti  i  popoli 
«d'Italia  e  i  sovrani  d'Europa.  E  mentre  Crescenzio,  Arnaldo  da 
«  Brescia,  Stefano  Porcari,  pur  animati  dallo  stesso  amore  di  libertà, 
«  videro  la  loro  fama  e  i  loro  sforzi  circoscritti  dalle  stesse  mura  della 
«  città,  il  tribuno,  appena  arrivato  al  potere,  si  vide  trattato  da  pari 
«  a  pari  dai  più  potenti  monarchi  ». 

Ma  all'esteriore  potenza  mal  corrispondevano  in  Cola  le  qualità 
psichiche  :  certamente,  la  rapidissima  ascensione  alla  gloria  meno  spe- 
rata apportò  nel  suo  spirito  uno  squilibrio,  che  non  può  sfuggire  a 
chi,  dopo  cinque  e  più  secoli,  cerchi  penetrare  la  storia  intima  di 
quell'anima.  E  a  questa  storia,  non  meno  interessante  di  quella  este- 
riore del  tribunato,  parecchie  fra  le  lettere  di  Cola  servono  assai 
bene.  Ci  basti  ricordarne  una  (3)  ch'egli  diresse  il  15  luglio  1347  a 
un  suo  amico  in  Avignone,  e  in  cui  con  grande  famigliarità  apre 
tutto  l'animo  suo.  Già  il  Papencordt  ne  citò  un  brano,  che  ora  anche 

(i)  Ecco  il  relativo  passo  della  lettera: 

«  .  .  .  .  quedam,  que  corde  gerimus,  vobis  oretenus  exponenda,  nobili  et  strenuo  viro 
«  Pandolfutio  Guidonis  de  Franchis,  domino  Macteo  de  Beccariis  causidico  et  providis 
«  viris  Stephanello  de  Boetiis  et  Francesco  de  Baroncellis,  dilectis  civibus  et  ambaxatori- 
«  bus  nostris,  exibitoribus  harum,  piena  fide  commisimus....  ». 

(2)  Cod.  cartaceo  della  fine  del  secolo  xiv,  con  legatura  del  secolo  passato  in  ma- 
rocchino rosso,  di  108  carte.  Contiene  anche  un'assai  nota  lettera  di  Cola  a'  Viterbesi. 
La  prossima  edizione  dell'epistolario  di  Rienzo,  che  la  Società  Romana  di  Storia  patria 
sta  curando,  darà  l'indice  del  contenuto  di  questo  importante  manoscritto. 

(3)  Cod.  D,  38  della  biblioteca  Nazionale  di  Torino;  carta  175. 


"bibliografia  185 


il  Rodocanachi  riporta  tradotto  in  francese,  traendolo  evidentemente 
dal  precedente  biografo  di  Cola.  Noi  lo  diamo  nel  testo  latino,  quale 
trovasi  nell'unico  codice  che  ce  lo  ha  conservato. 

«  Et  novit  Deus  -  scrive  Cola  all'amico  -  quod  non  ambitio  di- 
ce gnitatis,  ofRcii,  fame,  honoris  vel  aure  mondialis,  quam  semper 
«  aborrivi  sicut  limus,  sed  desiderium  comunis  boni  totius  reipublice 
«  huiusque  sanctissimi  status  induxit  nos  colla  submittere  jugo  adeo 
«  ponderoso  attributo  nostris  humeris  non  ab  homine,  sed  a  deo,  qui 
«  novit  si  officium  istud  fuit  per  nos  precibus  procuratum,  si  officia, 
«  beneficia  et  honores  consanguineis  nostris  contulimus,  si  nobis  pe- 
«  cuniam  cumulamus,  si  a  veritate  recedimus,  si  nobis  vel  heredibus 
«  nostris  facimus  compositiones,  si  in  ciborum  dulcedine  aut  voluptate 
«  aliqua  delectamur,  et  si  quidquam  gerimus  simulatum.  Testis  est 
«  nobis  Deus  de  iis  que  fecimus  et  facimus  pauperibus,  viduis,  or- 
«  phanis  et  pupillis.  Multo  vivebat  quietius  Cola  Laurentii  quam 
«  Tribunus  ». 

Fin  qui  il  Rodocanachi,  che  più  oltre  non  poteva  andare,  serven- 
dosi del  Papencordt  anziché  del  codice  torinese.  Ma  la  lettera  appare 
importante  anche  in  altre  sue  parti.  Sembra  che  l'amico  avesse  scritto 
a  Cola  che  si  diceva  ch'ei  cominciasse  già  ad  aver  paura  del  suo 
nuovo  stato  :  e  Cola  a  smentire  la  falsa  voce  :  «  Ad  id  autem  quod 
«  scribitis  audivisse  quod  incepimus  iam  terreri,  scire  vos  facimus 
«  quod  sic  Spiritus  sanctus,  per  queni  dirigimur  et  fovemur,  facit  ani- 
ce mum  nostrum  fortem,  quod  ulla  discrimina  non  timemus  :  vero  si 
«  totus  mundus  et  homines  sancte  fidei  cristiane  et  perfidiarum  he- 
«braice  et  pagane  contrariarentur  nobis,  non  propter  ea  Urreremury). 
E  più  sotto  :  «  Sed  frustra  tumescunt  maria,  frustra  venti,  frustra  ignis 
«  crepitai  contra  hominem  in  domino  confidentem,  qui,  sicut  mons 
«  Sion,  non  poterit  commoveri  ».  E  chiude  invitando  l'amico  a  tor- 
nare in  Roma,  dove  gli  ha  destinato  un  onorevole  ufficio. 

Quest'altèra  sicurezza  di  sé  stesso  venne  naturalmente  accresciuta 
in  Rienzo  dai  fatti  che  seguirono,  e  specialmente  dal  successo  ch'ei 
riportò  nella  lotta  contro  quel  Giovanni  di  Vico,  che  pareva  assolu- 
tamente invincibile.  Ond'è  che  a  lui  sembrò  facile  sbarazzarsi  d'un 
tratto  dei  principali  baroni  romani  e  che  preparò  loro  il  noto  agguato 
in  un  celebre  banchetto,  del  quale  parla  con  efficace  e  bonaria  sin- 
cerità la  Vita  dell'anonimo.  A  spiegare  quella  veramente  impolitica 
vendetta  di  Cola,  il  Rodocanachi  parla  d'un  sicario,  cui  i  baroni  avreb- 
bero dato  mandato  d'assassinare  il  tribuno,  e  che  invece  fu  scoperto 
e  imprigionato.  L'assassino,  messo  alla  tortura,  avrebbe  svelata  la  con- 
giura e  i  più  potenti  baroni  si  sarebbero  trovati  compromessi.  Da 
questo  fatto  il  tentativo  di  Rienzo  sarebbe  abbastanza  spiegato.  Ma 
noi  non  sappiamo  su  quali  fondamenti  e  da  quali  fonti  l'A.  abbia  nar- 
rato tali  particolari,  dei  quali  la  Vita  non  fa  parola.  C'ò  anche  per- 
venuta una  lettera  di  Cola  a  Rainaldo  Orsini,  notaio  del  papa  (Hoc- 
semius,  Gesta  pont.  Tun^r.,  II,  496),  nella  quale  ei  si  scusa  dell'avere 
a  tradimento  incarcerati  i  baroni,  e  afferma  d'averlo  fatto  soltanto  per 


i8,6  'Bibliografia 


indurli  a  confessare  le  loro  colpe.  «  A  questo  fine  -  egli  scrive  -  il 
«  1 5  di  settembre  mandai  ai  baroni  nel  carcere  alcuni  frati,  i  quali, 
«  ignorando  la  mia  finzione,  e  credendo  eh'  io  avrei  usato  la  maggior 
«  severità,  dissero  loro  :  Il  tribuno  vi  danna  a  morte.  Ed  essi  allora, 
«  credendo  imminente  la  morte,  si  confessarono  colle  lacrime  agli 
«  occhi.  Io  invece  li  trassi  in  presenza  di  tutto  il  popolo,  li  perdonai  e  li 
«  colmai  d'onoranze  ».  Non  c'è  facile  scoprire  setanta  clemenza  fosse 
già  da  prima  nell'intenzione  di  Cola,  o  se  non  piuttosto  gli  fosse 
imposta  (come  pare)  dai  più  influenti  cittadini:  certo  è  però  che, 
qualora  il  tradimento  del  convito  fosse  stato  provocato  da  una  con- 
giura, antecedentemente  ordita  a  fine  di  assassinare  Rienzo,  egli  non 
avrebbe  davvero  omesso  di  dirlo  in  una  lettera  ch'è  appunto  dettata 
in  sua  discolpa  e  per  frenare  il  prevedibile  sdegno  di  Clemente  VI. 

Ma  gli  umori  divenivano  ad  Avignone  sempre  più  contrari  a  Cola  : 
il  capitolo  XIV  del  volume  del  Rodocanachi  parla  appunto  dell'  in- 
tervento della  Curia  pontificia  nelle  cose  di  Roma,  dopo  il  quale  la 
rivolta  degli  Orsini  di  Marino  e  il  combattimento  di  porta  San  Lo- 
renzo furono  pel  tribuno  come  gli  ultimi  lampi  di  gloria,  che  resero 
più  dolorosa  la  sua  caduta. 

Veniamo  così  alla  seconda  parte  del  volume.  Qui  la  figura  di  Cola 
assume  un  carattere  più  mistico,  l'uomo  d'azione  si  fa  asceta,  e  ce- 
lato tra  i  fraticelli  della  Majella  pare  che  altro  non  cerchi  se  non 
d'essere  aff'atto  dimenticato.  Nel  1350  -  anno  del  giubileo  -  egli  de- 
cide di  recarsi  in  Terra  Santa,  ma  la  paura  ne  lo  distoglie  (p.  267). 
Intanto  le  esortazioni  di  fra  Michele  di  Monte  Angelo  tornano  a  com- 
moverlo di  nuovo  e  a  convincerlo  che  l'opera  sua  è  più  che  mai 
necessaria  al  rinnovamento  del  mondo.  Ma  ad  intendere  l'influenza 
che  esercitarono  sull'animo  di  Rienzo  le  predizioni  del  santo  eremita, 
bisognerebbe  che  a  questa  parte  fosse  dato  sviluppo  maggiore  che 
non  le  dia  l'A.:  le  profezie,  ripetute  dal  frate,  si  trovavano  ad  essere 
già  popolari  nel  mondo  medievale  ed  erano  quelle  che  Cirillo,  gene- 
rale dell'ordine  carmelitano  (1192),  aveva  ricevute,  secondo  la  leg- 
genda, in  tavole  d'argento  e  che  circolavano  per  tutto  l'occidente  com- 
mentate dall'abate  Gioacchino  e  da  Gilberto  Cistercense  (1280). 

Il  Rodocanachi,  sorvolando  su  tutto  questo  nucleo  d'idee,  che  pur 
rappresentano  un  portato  così  caratteristico  del  pensiero  medievale, 
non  solo  non  ne  tenta  una  critica  esposizione  o  comparazione,  ma 
s'accontenta  di  tradurre  semplicemente  una  lettera  di  Cola  a  Carlo  IV, 
pubblicata  già  dal  Papencordt,  nella  quale  le  profezie  di  fra  Angelo 
sono  ricordate. 

Incitato  dalla  parola  del  santo  eremita,  ecco  Rienzo  arrivare  im- 
provvisamente a  Praga,  presentarsi  incognito  all'  imperatore,  e  implo- 
rare la  sua  protezione.  Ma  Carlo  IV  doveva  in  gran  parte  la  sua  ele- 
zione al  papa,  e  non  poteva  permettere  che  s'attaccasse,  come  faceva 
Cola,  impunemente  la  persona  stessa  del  pontefice  :  ritenne  quindi 
prigioni,  come  eretici,  Cola  e  i  suoi  compagni  di  viaggio.  Il  periodo 
della  prigionia  (cap.  XXI,  XXJI,  XXIII)  ci  è  specialmente  rappresen- 


'bibliografia  1 87 


tato  dal  carteggio  di  Rienzo  coU'arcivescovo  di  Praga  e  con  Giovanni 
di  Neumark,  canonico  di  Breslavia  e  di  Olmùtz  e  poscia  cancelliere 
dell'Impero:  le  lettere  dirette  da  Cola  a  questi  due  alti  personaggi 
furono  già  nella  massima  parte  fatte  conoscere  dal  Papencordt.  Ma 
le  accuse  d'eresia  portate  contro  Cola  impedivano  tanto  all'uno  quanto 
all'altro  dei  due  ecclesiastici  d' intercedere  per  lui  ;  laonde  egli  pensò 
di  dirigere  all'arcivescovo  una  lunghissima  memoria,  che  intitolò: 
Verus  tribuni  libellus  cantra  scismata  et  herrores.  TI  documento  fu  già 
stampato  dal  Papencordt,  e  il  Rodocanachi  non  fa  che  riassumerne 
i  punti  principah.  Qui  lo  stile  di  Cola  si  fa  più  che  mai  contorto  e 
involuto,  cosicché  l'interpretarne  il  pensiero  riesce  spesso  difficile; 
merita  quindi  d'essere  scusato  l'egregio  A.,  se  non  sempre  intende  a 
dovere  il  linguaggio  dell'esaltato  scrittore.  Veggo  infatti  che  la  chiusa 
della  lunga  lettera  non  è  bene  interpretata  dal  Rodocanachi.  Dopo 
essersi  difeso  dalle  molte  accuse  d'eresia.  Cola  torna  a  citare  la  pro- 
fezia di  Cirillo,  dove  si  parla  appunto  d'un  rigeneratore  che,  dopo 
essere  stato  esaltato  alla  maggior  gloria,  sarebbe  imprigionato  nel- 
l'anno del  giubileo;  ma  la  profezia  è  poscia  illustrata  e  commentata 
con  sì  oscuri  e  prolissi  ragionamenti,  che  indussero  il  Papencordt  a 
risparmiare  la  trascrizione  di  questa  parte  del  manoscritto.  Quindi 
Cola  prosegue  :  «  Non  so  come  stamane  mi  venne  fatto  d' intrattenervi 
«su  questa  profezia:  me  ne  mancava  il  tempo,  non  avevo  né  in- 
«  chiostro  nò  penna  adattata,  e  perciò  scrissi  con  carattere  grossolano 
«  e  con  grossolano  stile.  Se  avessi  avuto  dinanzi  il  testo  della  profezia, 
«  l'avrei  esposta  meglio  di  qualsiasi  glossatore  ...... 

Non  sembra  dunque  giusta  l'interpretazione  del  Rodocanachi,  che 
riassume  questo  punto  così  :  «  En  terminant,  il  s'excuse  de  n'avoir 
«  pu  mieux  écrire  par  suite  du  nianqiie  de  livres  et  de  la  mauvaise  qua- 
«  lite  de  Tenere  ».  Questa  dichiarazione  di  Cola  si  riferisce  soltanto 
all'esposizione  della  profezia  di  Cirillo,  non  potendosi  assolutamente 
l'espressione  :  si  textum  haherem  tradurre  :  se  avessi  avuto  dei  libri. 

Ma  intanto  seguitavano  le  trattative  fra  la  Corte  di  Praga  e  quella 
di  Avignone  per  rimettere  Cola  dinanzi  ai  giudici  ecclesiastici.  Carlo  IV 
esitava,  e  il  pontefice,  poco  abituato  a  veder  l'imperatore  resistere  alla 
sua  volontà,  reclamava  sempre  più  imperiosamente  il  prigioniero. 
Un'ambasciata  fu  finalmente  spedita  da  Carlo  a  Clemente  VI  per  ac- 
cordarsi su  la  partenza  di  Rienzo,  e  ne  fu  capo  lo  stesso  arcivescovo 
di  Praga.  Questo  fatto,  non  segnalato  dagli  storici  e  biografi  antece- 
denti, vicn  dato  come  certo  dal  Rodocanachi,  e  a  noi  manca  il  tempo 
di  controllarlo,  tanto  più  che  nel  relativo  luogo  del  volume  non  si 
trova  nessuna  citazione. 

Il  ritorno  degl'  inviati  troncò  gì'  indugi,  e  tutto  fu  disposto  perchè 
il  prigioniero  di  Raudnitz  fosse  tradotto  alla  Curia  papale.  E  qui  il 
Rodocanachi  apporta  un'importante  rettifica  all'opinione  finora  gene- 
ralmente accolta  intorno  alla  data  della  partenza  di  Cola  da  Praga 
per  Avignone. 

Una  ben  nota  lettera  del  Petrarca  a  Francesco  di  Nello,  scritta 


i88  "Bibliografia 


il  12  agosto  1352,  contiene  le  seguenti  parole:  «  Venit  ad  curiam 
«  ntiper,  imo  vero  non  venit,  sed  captivus  ductus  est,  Nicolaus  Lau- 
«  rentius  »  ecc.  Cola,  dunque,  doveva  essere  probabilmente  giunto 
ad  Avignone  nel  luglio  del  1352,  come  porterebbe  anche  a  credere 
un  breve  passo  della  Cronaca  di  Alberto  Argentinese  (i). 

Tuttavia,  dacché  il  cronista  non  diceva  se  intendesse  parlare  del 
luglio  1352  o  del  luglio  135 1,  il  Papencordt  e  altri  con  lui  si  pro- 
nunziarono pel  '51,  non  lasciandosi  troppo  convincere  da  quel  nuper 
del  Petrarca,  espressione  -  scrive  il  Papencordt  -  assai  vaga  e  inde- 
terminata. Per  contrario,  egli  sosteneva  la  sua  tesi  colle  seguenti  con- 
siderazioni: La  lettera  del  Petrarca  (12  agosto  1352)  è  scritta  indub- 
biamente quando  il  processo  contro  Rienzo  era  già  terminato,  e  quindi, 
se  Cola  arrivò  in  Avignone  ai  primi  di  luglio,  bisognerebbe  conclu- 
dere che  il  processo  non  occupasse  più  di  cinque  o  sei  settimane  : 
il  che,  secondo  il  Papencordt,  è  inverosimile.  Se  invece  ammettiamo 
che  l'andata  da  Praga  in  Avignone  avvenisse  nel  luglio  del  135 1, 
tutto  combina  perfettamente,  perchè,  prima  che  l'esame  finisse  colla 
sentenza,  dovè  trascorrere  quasi  un  anno.  L'argomentazione  del  Pa- 
pencordt appare  già  debole  per  sé  stessa,  dacché  nulla  ci  obbliga  a 
ritenere  indispensabile  una  così  lunga  durata  del  processo,  senza  dire 
che  difficilmente  il  Petrarca  avrebbe  potuto  chiamare  recente  un  fatto 
avvenuto  un  anno  prima.  Ma  il  Rodocanachi  tronca  addirittura  la  que- 
stione, citando  una  lettera  di  Clemente  VI,  in  data  del  24  marzo  1352, 
nella  quale  il  papa  dà  incarico  a  Giovanni  di  Spoleto,  a  Raimondo 
di  Molendinuovo  e'd  a  Ugo  di  Carluccio  di  farsi  consegnare  dall'ar- 
civescovo di  Praga  il  prigioniero  Cola  di  Rienzo,  onde  trasferirlo  da 
Raudnitz  alla  Curia  d'Avignone.  Probabilmente  non  poterono  subito 
i  tre  incaricati  eseguire  il  mandato,  a  cagione  forse  delle  tergiversa- 
zioni dell'imperatore  Carlo  IV;  quindi  Cola  non  arrivò  ad  Avignone 
se  non  ai  primi  di  luglio.  Certo  è,  ad  ogni  modo,  che  ai  24  di 
marzo  1352  egli  trovavasi  ancora  a  Raudnitz,  prigioniero  dell'arci- 
vescovo Ernesto.  Adunque,  la  rettifica  del  Rodocanachi  va  accolta 
definitivamente:  soltanto  egli  avrebbe  potuto  o  trascrivere  intera  la 
lettera  di  Clemente  VI,  o  citare  almeno  la  fonte  da  cui  ne  trasse  la 
notizia. 

Ma  questa  nostra  osservazione  si  collega  in  certa  guisa  al  giu- 
dizio complessivo  che  si  voglia  dare  del  sistema  seguito  dall'autore 
riguardo  alle  citazioni  delle  opere  a  stampa  utilizzate.  Esse  sono  ri- 
cordate soltanto  in  principio  del  volume,  in  una  brevissima  e  som- 
maria bibliografia,  e  poscia,  nel  co"rso  dell'opera,  non  più  citate,  anche 
quando  se  ne  traggano  testualmente  lunghi  brani.  Ora,  un  tale  sistema, 
mentre  lascia  assai  spesso  insoddisfatto  il  lettore  (come  nel  caso  su- 
enunciato  della  lettera  di  Clemente  VI),  induce  anche  l'autore  in  qual- 
che non  lieve  omissione.  E  valga  un  esempio:  a  pag.  233,  il  Rodo- 
canachi riporta,  tradotta  in  francese,  una  lettera  diretta  dal  tribuno 

(i)   «...   Quem  postea  de  mense  julii  Carolus  rex  papae  transmisit ». 


"Bibliografia  189 


alla  comunità  di  Aspra  in  Sabina  il  2  dicembre  1347,  e  non  dice  donde 
l'abbia  tratta.  La  lettera  fu  pubblicata  nel  tomo  XI  della  vecchia  ri- 
vista Biblioteca  italiana,  la  quale  non  è  punto  citata  nella  bibliografia 
sommaria  premessa  al  volume  :  ecco  dunque  che  il  lettore,  anche  vo- 
lendolo, non  può  sapere  la  fonte  d'un  documento  utilizzato  dall'A. 

E  giacché  siamo  su  la  via  del  censurare,  noteremo  qua  e  là  qual- 
che citazione  inesatta  di  nomi,  come  quella  dì  Bertrando  De  Deulx,  ch'è 
invece  De  Deux,  e  di  Ernesto  di  Pardubi^,  ch'è  invece  di  Parbuhiti; 
qualche  nota  ingenua  od  inutile,  come  quella  spesa  a  dirci  che  Assisi 
si  trova  in  Umbria;  qualche  osservazione  che  o  noi  c'inganniamo  0 
può  sembrare  inopportuna  in  un  lavoro  d' indole  storica,  come  quella 
a  p.  285,  dove,  a  proposito  della  predizione  di  Cola  che  gli  avveni- 
menti da  lui  annunziati  si  sarebbero  avverati  fra  un  anno  e  mezzo, 
l'A.  avverte  :  «  C'est  aussi  le  case  de  M.  Auguste  Comte,  qui  indi- 
ce quait  dans  ses  ouvrages  l' epoque  précise  à  laquelle  devait  s'accom- 
«  plir  la  rénovation  du  monde  ». 

Il  capitolo  XIV  narra  la  dimora  di  Cola  in  Avignone  e  l'esito  del 
processo  che  gli  fu  intentato.  Dalla  sua  nuova  residenza  Cola  scrisse 
una  lettera  ai  Romani,  che  comincia  :  «  O  quam  profana  dieta  sunt 
«centra  te,  civitas  Babylonis  !  »,  dov'egli,  collo  stile  più  ampolloso, 
si  paragona  a  un  grand'albero  che  per  la  sua  stessa  altezza  è  più  fa- 
cilmente scosso  dai  venti:  «  Arbor  eminens,  multis  fecunda  ramusculis 
«  ultra  pondus  ipsorum,  prona  est  ventorum  procella  recipere  et  everti  !  » 
Questa  lettera  sembra  all'A.  doversi  ritenere  come  apocrifa,  per  quanto 
egli  (p.  325)  non  dia  ragione  alcuna  di  questa  supposizione.  La  lettera 
si  trova  in  un  importante  Codice  miscellaneo,  contenente  in  gran 
parte  documenti  di  storia  medievale  romana,  e  che  conservasi  nella 
biblioteca  Feliniana  di  Lucca  (Capitolo  della  Metropolitana),  Plu- 
teo Vili,  545.  Il  manoscritto  è  tutto  di  carattere  della  fine  del  quat- 
trocento. Il  Rodocanachi  non  conosce,  dacché  non  la  cita,  la  sede 
del  documento,  e  aff'erma  soltanto  eh'  esso  è  da  ritenersi  come  apo- 
crifo. Ma  noi  non  possiamo  acconciarci  così  facilmente  all'opinione 
dell'egregio  autore. 

Ad  Avignone,  il  processo  di  Cola  fini,  com'  era  a  prevedersi,  con 
una  condanna  capitale;  ma  il  noto  movimento  di  simpatia  sorto 
nella  città  intorno  a  Rienzo  per  essersi  diffusa  la  voce  ch'egli  fosse 
un  grande  poeta  (vedi  la  lettera  del  Petrarca  a  Francesco  di  Nello),  fece 
differire  l'esecuzione  fino  a  tanto  che,  morto  Clemente  VI,  successe 
a  lui  Innocenzo  VI,  al  quale  parve  che  di  Rienzo  avrebbe  potuto 
ancora  efficacemente  valersi  la  Santa  Sede  per  i  suoi  interessi  in 
Italia.  Di  qui  la  missione  del  cardinale  Albornoz,  la  partecipa- 
zione di  Cola  a  quella  missione,  la  sua  nuova  e  fugace  potenza  in 
Roma  e  la  sua  tragica  fine:  dei  quali  avvenimenti  trattano  con  suf- 
ficiente larghezza  gli  ultimi  capitoli  (XXVI-XXIX)  del  libro  del  Ro- 
docanachi. 

Giunti  così  alle  fine  del  volume,  non  muta  l'opinione  che  esprime- 
vamo in  principio,  quando,  pur  facendo  buon  viso  al  lavoro  del  Rodoca- 


190  bibliografia 


nachi,  poco  o  nulla  dicevamo  di  trovarvi,  che  s'aggiungesse  alla  storia 
di  Cola  o  la  modificasse  in  qualche  guisa.  Ci  correva  però  l'obbligo 
di  giustificare,  come  che  fosse,  il  nostro  giudìzio,  e  a  tale  scopo  fu- 
ron  dirette  le  poche  cose  che  siam  venuti  dicendo,  mentre  molte 
altre  dovemmo  ometterne  per  brevità.  Comunque,  a  far  perdonare 
all'A.  la  leggerezza  di  qualche  affermazione,  la  condotta  talvolta  su- 
perficiale delle  ricerche,  la  non  raggiunta  perfezione  del  metodo  po- 
trebbero ragionevolmente  invocarsi  i  suoi  pregi  di  scrittore  efficace 
e  di  brillante  narratore. 

Annibale  Gabrielli. 


Zdekauer  L.  Statutum  potestatis  comunis   Pistoriensis    anni 
MCCLXXXXFL  Milano,  Hoepli,   1888,  p.  Lxv-343. 

Merita  sincero  plauso  l'autore  di  questa  pubblicazione,  condotta 
con  buoni  criteri  e  soda  erudizione.  Lo  Zdekauer  ha  creduto  oppor- 
tuno di  limitare  l'oggetto  della  prefazione  all'esame  del  codice,  e  a 
raccogliere  così  dai  statuti  stessi  che  pubblica,  come  da  altri  docu- 
menti pistoiesi  tutte  le  tracce  della  legislazione  statutaria  in  Pistoia 
dal  secolo  xii  a  xiii,  mostrandoci  così  come  essa  si  sia  venuta  for- 
mando. Si  astiene  di  proposito  da  una  illustrazione  intrinseca  dello 
statuto,  segnalandone  le  difficoltà.  «  Ingens  comparationum  series,  ut 
«  fiat,  necesse  est  ad  interpretanda  quae  propria  et  peculiaria  unius 
«  urbis  esse  videntur  ».  Lo  Zdekauer  ad  ogni  modo  mostra  di  avere  un 
esatto  concetto  di  che  cosa  voglia  essere  l'illustrazione  di  uno  statuto, 
mentre  ha  corredato  il  suo  lavoro  di  copiosi  ed  accurati  indici  ana- 
litici, quanto  indispensabili  altrettanto  troppo  spesso  trascurati  in 
altre  recenti  edizioni.  Merita  anche  di  esser  ripetuto  il  voto  che 
l'A.  fa  nel  dar  ragione  di  aver  ommesso  il  glossario.  L' Italia  non 
può  ne  dovrebbe  ormai  contentarsi  di  fare  addizioni  o  continuazioni 
al  glossario  del  Ducange,  formato  specialmente  su  fonti  francesi. 
Occorre  un'opera  completamente  originale  sulla  latinità  medievale 
italiana,  «  linquenda  semita,  -  com'egli  dice  -  ut  viam  consularem 
assequamur  ». 

I  limiti  di  questa  recensione  non  ci  permettono  che  di  riassu- 
mere assai  succintamente  la  bella  prefazione,  che  movendo  dai  fram- 
menti pistoiesi  del  secolo  xiii  editi  dal  Muratori,  dallo  Zaccaria  e 
dal  Berlan,  mostra  che  ben  24  di  essi  hanno  lasciato  traccia  di  sé  nello 
statuto  Angioino,  mentre  una  rubrica  anteriore,  anche  anteriore  a  detti 
frammenti  (11 5  2),  ci  è  conservata  da  Dino  di  Mugello.  Indi  abbiamo 
leggi  del  II 91,  1206,  1213,  121 7,  1219  relative  alla  pace  di  Pistoia 
con  Bologna  conchiusa  dal  card.  Ugolino  d'Ostia  e  così  via  fino  ad 
uno  statuto  de  casis  non  alienandis  del  1260.  Il  trionfo  di  parte  guelfa 
sotto  Carlo  d'Angiò  modificò  grandemente  l'anteriore  legislazione, 
massime  quanto  al  diritto  pubblico,  e  lo  Zdekauer  crede  che  una  re- 
dazione angioina  che  riferisce  all'anno  1267  abbia  servito  di  base  a 


bibliografia  191 


quella  pervenutaci  del  1296.  Il  prof.  Schupfer  (Rendiconti  dei  Lincei, 
18  marzo  1888)  non  trova  che  gli  indizi  raccolti  dall'A.  per  stabilire  la 
data  del  1267  siano  sufficienti,  ed  inclina  invece  per  il  1272,  trovandosi 
un  frammento  di  carta  pistoiese  del  1321,  che  comincia  così:  «  Hoc 
«  statutum  noviter  factum  correctum  et  emendatum  per  constitutarios 
«  comunis  Pistorii  tempore  dei  et  regis  gratia  honorabilis  potestatis 
«  Pistorii  a.  d.  1272».  Ma  forse  nemmeno  questo  documento  è  de- 
cisivo, mentre  gli  statutari  dovevano  intervenire  anche  per  riforme  di 
singole  leggi.  Ne  abbiamo  la  prova  nelle  deliberazioni  cheprecederono 
e  promossero  lo  statuto  appunto  del  1296,  e  per  le  quali  fu  data  balìa 
al  comune  di  Firenze  di  riformare  la  città  e  popolo  di  Pistoia.  Questi 
statuti  ed  ordinamenti  sono  gli  uni  «  facta  et  condita  per  Gherardum 
(c  Guidi,  preconem  comunis  Pistorii  »  ;  un  altro  successivo  «  per  Cion- 
«  dorum  Lanfranchi  preconem  et  statutarium  comunis  Pistorii  »,  dove 
cotesti  banditori  convertiti  in  legislatori  hanno  l'aria  di  comparse, 
tanto  per  rispettare  la  lettera  della  legge. 

All'autorevole  recensione  dello  Schupfer  rimando  chi  desideri  più 
ampia  notizia  dell'opera,  e  ivi  troverà  importanti  notizie  sugli  ordi- 
namenta  sacrata  et  sacratìssima  che  Pistoia  ebbe  da  Bologna,  e  che  sono 
ciò  che  Firenze  chiamò  gli  ordinamenti  di  giustizia.  Tali  ordinamenti 
già  vigevano  in  Pistoia  quando  eravi  a  podestà  Giano  Della  Bella,  di 
cui  lo  Zdekauer  pubblica  un  importante  documento  (1294,  marzo  16). 
Come  esso  opportunamente  rileva  l'importante  rubrica  (III,  xxiii) 
sulle  fazioni  dei  Bianchi  e  Neri,  così  forse  ricordando  il  nome  di 
Giano  Della  Bella  veniva  in  acconcio  un  cenno  sulle  molte  rubriche 
relative  al  clero,  verso  i  quali  lo  statuto  mostrasi  abbastanza  severo 
per  far  dubitare  che  alcun  poco  in  esse  siavi  traccia  della  mano  del 
Della  Bella,  persecutore  dei  falsi  chierici.  Opera  adunque  del  comune 
di  Firenze  lo  statuto  del  1296  è  naturale  che  molto  s'accosti  a  quello 
fiorentino,  come  appare  dal  confronto  di  molte  rubriche. 


G.  L. 


NOTIZIE 


Il  signor  A.  De  Waal,  rettore  del  campo  santo  teutonico  di  Roma, 
ha  preso  a  pubblicare  una  rassegna  trimestrale,  ad  illustrazione  delle 
antichità  cristiane,  dal  titolo:  Romische  Quartalschrift fùr  christUche  Alter- 
ihumskunde  und  KirchengeschichU. 

È  uscito  in  Milano  il  i°  fascicolo  della  Rivista  italiana  di  numi- 
smatica, diretta  dal  dottor  Solone  Ambrosoli,  nata  a  sostituire  il  Bul- 
lettino  di  numismatica  e  sfragistica  per  la  storia  d' Italia,  che  ha  cessato 
le  sue  pubblicazioni. 

A  Bordeaux  è  venuto  in  luce  un  i°  volume  in-4,  di  pp.  616, 
d' Inscriptions  romaines  de  Bordeaux,  raccolte  da  Camille  Jullian. 

Nell'adunanza  del  18  marzo  la  R.  Deputazione  di  storia  patria 
per  la  Toscana,  l'Umbria  e  le  Marche  approvava  la  pubblicazione 
di  un  Codice  diplomatico  pistoiese  proposta  dal  dottor  L.  Zdekauer. 
Sono  in  corso  di  stampa,  a  cura  della  Deputazione,  il  Libro  di  Mon- 
taperti  di  C.  Paoli,  e  i  Documenti  dell'antica  costituzione  fiorentina  fino 
al  T2^o  pel  prof.  Pietro  Santini. 

Il  fascicolo  8  del  tomo  II  dei  Registres  d' Innocent  IV  contiene 
un  importante  studio  del  signor  E.  Berger  sulle  relazioni  tra  la 
Francia  e  la  Santa  Sede  sotto  il  pontificato  di  quel  papa. 

Il  tomo  VIII  dei  Monumenta  Germaniae  historica,  Scriptores  anti- 
quissimi,  contiene  gli  scritti  di  Sidonio  Apollinare,  pubblicati  da 
Ch.  Luetjohan;  il  tomo  I,  p.  I,  delle  Epistolae  del  registro  di  Gre- 
gorio I  dà  i  libri  1-4,  editi  dal  compianto  nostro  socio  P.  Ewald. 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  13 


194  ^N^tiiie 


Il  13°  fascicolo  della  nuova  edizione  dei  Regesta  pontijìcum  roma- 
norum  del  Jaffé  comprende  gli  anni  1184-1193  (n.  1 5297-1 1038). 

In  occasione  del  giubileo  sacerdotale  del  pontefice,  il  personale 
superiore  addetto  all'Archivio  pontificio  ha  fatto  omaggio  al  papa 
d' un  fascicolo  di  Specimina  palaeografica  regestorum  pontificium  ab  In- 
nocentio  III  ad  Urhanum  V.  —  Sottoscrivono  alla  dedica  il  cardinale 
Hergenròther,  l'abate  Tosti,  monsignore  Delicati,  il  p.  Denifle,  il 
Carini,  ilWenzel,  il  Palmieri  e  Fr.  Hergenròther.  Sono  sessanta  tavole 
di  bellissime  eliotipie  eseguite  dal  Martelli  ;  precede  un  breve  proe- 
mio e  una  succinta  illustrazione  di  ciascuna  tavola.  Il  nostro  Ar- 
chivio terrà  particolare  ragione  di  questa  pubblicazione  importante. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Anzeigen  (Gòttingische  Gelehrte).  1887,  n.  18.  —  Soltau, 
Prolegomena  zu  einer  ròmischen  Chronologie  (Prolegomeni  ad  un 
sistema  dì  cronologia  romana). 

Archiv  fiir  òsterreichische  Geschichte.  Voi.  LXXI. — W.  Hau- 
THALER,  Aus  dcm  Vaticanischen  Regesten,  vornehmlich  zur  Ge- 
schichte der  Erzbischòfe  von  Salzburg  bis  zum  Jabre  1280  (Dai 
registri  Vaticani.  Scelta  di  documenti  e  regesti,  precipuamente  per  la 
storia  dell'arcivescovato  di  Salzburg,  sino  all'anno  1280),  pp.  211-296. 
—  Voi.  LXXII.  B.  ScHROLL,  Urkunden-Regesten  zur  Geschichte 
des  Hospitals  am  Pyrn  in  Oberòsterreich.  (Registri  di  documenti 
perla  storia  dell'ospedale  a  Pyrn  nell'Austria  superiore,  1190-1417). 
-Brevi  di  Celestino  ITI  (nn.  7-8),  d'Innocenzo  IV  (28). 

Archivio  storico  dell'arte.  Fase.  I.  —  A.  Venturi,  Il  Cupido 
di  Michelangelo.  (L'articolo  è  principalmente  rivolto' a  combattere 
le  conclusioni  del  Lange  che  il  Cupido  michelangelesco  possa  esser 
ravvisato  in  quello  del  museo  di  Torino  o  nella  collezione  Obizi 
del  Cataio).  -  E.  Muntz,  L'oreficeria  a  Roma  durante  il  regno  di 
Clemente  VII  (1523-34).  (L'ili.  A.  si  propone  di  far  conoscere  il 
gusto  di  Clemente  VII  e  l'estensione  dei  sacrifizi  che  s'imponeva 
per  l'arte  dell'oreficeria;  di  fornire  nuovi  particolari  biografici  sopra 
orefici  toscani,  lombardi,  romani,  già  cogniti  dalle  memorie  di  Ben- 
venuto Cellini;  e  di  completare  la  storia  degli  orefici  di  Roma).  - 
D.  Gnoi,i,  Le  opere  di  Donatello  in  Roma.  (L'A.  conclude  che  opere 
certe  del  D.  non  rimangono  in  Roma  che  due:  il  ciborio  di  S.  Pietro 
e  la  sepoltura  del  Crivelli  all'Aracoeli).  —  Fase.  II.  A.  Rossi,  La  casa 
e  lo  stemma  di  Raffaello.  -  D.  Gnoli,  Nota  all'articolo  precedente 
(a  conferma  deiropinione  emessa  dal  Gnoli  nella  Nuova  Antologia^ 


1^6  Periodici 


1887,  fase.  XI).  -  Corrado  Ricci,  Lorenzo  da  Viterbo,  pittore,   - 
E.  Muntz,  L'oreficeria  sotto  Clemente  VIL  (Continuazione). 

Archivio  storico  italiano.  Tom.  XX,  fase.  3°,  anno  1887.  — 
G.  Sforza,  Episodi  della  storia  di  Roma  nel  secolo  xviii.  Brani 
inediti  dei  dispacci  degli  agenti  lucchesi  presso  la  corte  papale.  - 
G.  Stocchi,  La  prima  conquista  della  Britannia  per  opera  dei  Ro- 
mani. -  Rassegna.  -  Bibliografia.  -  Notizie  varie. 

Archivio  storico  lombardo.  Anno  XV,  fase.  1°.  —  C.  C,  Diari 
di  Marin  Sanudo.  -  F.  Calvi,  Il  poeta  Giambattista  Martelli  e  le 
battaglie  fra  classici  e  romantici.  -   Varietà.  -  Bibliografia. 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  XII, 
fase.  4°.  —  N.  Barone,  Notizie  storiche  tratte  dai  registri  di  can- 
celleria di  Ladislao  di  Durazzo.  -  M.  Schifa,  Storia  del  principato 
longobardo  in  Salerno.  -  V.  Simoncelli,  Della  prestazione  detta 
calciarium  nei  contratti  agrari  del  medio  evo.  -  B.  Capasso,  I  regi- 
stri angioini  dell'archivio  di  Napoli,  che  erroneamente  si  credettero 
finora  perduti.  -  Rassegna  bibliografica. 

Archivio  veneto.  Tomo  XXXIV,  parte  2*.  —  A.  Della  Ro- 
vere, Dell'  importanza  di  conoscere  le  firme  autografe  dei  pittori.  - 
G.  GiURiATO,  Memorie  venete  nei  monumenti  di  Roma.  -  Aned- 
doti, ecc. 

Atti  della  Società  ligure  di  storia  patria.  Voi.  XVIII.  Ge- 
nova, 1887.  —  Il  secondo  registro  della  Curia  arcivescovile  di  Ge- 
nova trascritto  da  L.  Berretta  e  pubblicato  da  L.  T.  Belgrano. 
(Contiene  qualche  lettera  pontificia  e  sentenze  di  giudici  delegati 
dalla  corte  romana).  —  Voi.  IX,  fase.  I.  Cornelio  Desimoni,  Re- 
gesti delle  lettere  pontificie  dai  più  antichi  tempi  fino  all'avvenimento 
d'Innocenzo  III,  raccolti  ed  illustrati  con  documenti  (26  lettere  ine- 
dite da  Gregorio  VII  a  Innocenzo  III). 

Bibliothèque  de  l'école  des  chartes.  XLVIII,  fase.  VI,  p.  725. 
—  Alexandre  III  et  la  commune  de  Laonnois.  (Ripubblica  la  let- 
tera pontificia  in  data  de' 4  agosto  1179  indicata  col  numero  13460 
nella  nuova  edizione  dei  «  Regesta  pontificum  romanorum  »,  secondo 
l'originale  che  già  appartenne  alla  raccolta  del  signor  Bayle  e  fu  ven- 
duto recentemente  a  Parigi,  notando  come  il  testo  datone  dal  Brial 
nel  Recueil  des  historiens  de  la  France,  XV,  967,  sia  molto  scorretto. 


Periodici  197 


Bulletin  d' histoire  ecclésiastìque  et  d'archeologie  religieuse 
des  diocèses  de  Valence.  A.  VII,  fase.  4-5.  —  Dottor  Francus,  Note 
sulle  commendatone  degli  Antoniniani  a  Aubenas  (pp.  143-52,  169-75). 

Ballettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  XVI,  fase.  3.  —  R.  Lanciani,  Il  campus  salinarum  roma- 
norum.  -  L.  Borsari,  Del  pons  Agrippae  sul  Tevere  fra  le  regioni  XI 
e  XIIIJ.  -  L.  Cantarelli,  Osservazioni  onomatologiche.  -  G.  Gatti, 
Trovamenti  risguardanti  la  topografia  e  la  epigrafia  urbana.  -  C.  L.  Vi- 
sconti, Trovamenti  di  oggetti  d'arte  e  d'antichità  figurata.  -  R.  Lan- 
ciani, Notizie  del  movimento  edilizio  della  città  in  relazione  con 
l'archeologia  e  con  l'arte. 

BuUettino  di  numismatica  e  sfragistica  per  la  storia  d'  I- 
talia.  Voi.  Ili,  n.  4.  —  M.  Santoni,  Un  giulio  inedito  ed  unico  del 
pontefice  Leone  XI.  -  M.  Santoni,  F.  Raffaelli,  La  zecca  di  Ma- 
cerata e  della  provincia  della  Marca. 

Centralblatt  fùr  Bibliothekwesen.  IV,  1887.  —  Drei  italie- 
nische  Handschriftenkataloge,  pp.  xiii-xv  (Catalogo  dei  mss.  della 
chiesa  di  S.  Andrea  della  Valle;  cf.  F.  Novati,  Giorn.  stor.  di  htter. 
ital,  X,  413-414)- 

Giornale  ligustico  di  archeologia,  storia  e  letteratura.  A.  XV, 

fase.  1°  e  2°.  —  L.  De  Feis,  Una  epigrafe  rituale  sacra  a  Giove  Behe- 
leparo. 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  Voi.  X,  fase.  3®. 
—  L.  BiADENE,  I  manoscritti  itahani  della  collezione  Hamilton  nel 
R.  museo  e  nella  R.  biblioteca  di  Berlino.  -   Varietà. 

Jahrbuch  des  kaiserlich  deutschen  archaologischen  Insti- 
tuts.  1887,  voi.  II,  pp.  77.  —  M.  Mayer,  Amazonengruppe  (Bat- 
tagha  delle  Amazzoni,  gruppo  nel  museo  della  villa  Borghese).  - 
E  LòWY,  Zwei  ReHefs  der  Villa  Albani  (Due  rilievi  della  villa  Albani, 
Asclepios,  Hygieia  e  un  adorante). 

Jahrbuch  (Historisches)  im  Auftrage  der  Gòrres-Gesell- 
schaft.  IX,  I  e  2.  —  St.  Ehses,  Die  papstliche  Dckretale  in  dem 
Scheidungsprozesse  Heinrichs  VIII  (La  decretale  pontificia  nel  pro- 
cesso di  divorzio  d'Enrico  VIII),  pp.  28-48.  -  K.  v.  Hòfler,  Ein 
Gedenkblatt  auf  das  Grab  A.  von  Reumont  (Commemorazione  di  Al- 


198  T^er  iodici 


fredo  di  Reumont),  pp.  49-75.  -  Recensioni  delle  opere  :  del  Geigel  F., 
«  Das  italienische  Staatskirchenrecht  »  (Il  diritto  politico-ecclesia- 
stico italiano),  Muny,  Kirschheim.  2"  ediz.;  dello  Scaduto  Fr.,  i.  Gua- 
rentigie pontificie  e  relazioni  tra  Stato  e  Chiesa;  2.  Stato  e  Chiesa 
secondo  fra  Paolo  Sarpi;  3.  Stato  e  Chiesa  sotto  Leopoldo  I  gran- 
duca di  Toscana;  4.  Slato  e  Chiesa  nelle  Due  Sicilie,  dai  Normanni 
ai  giorni  nostri. 

Mittheilungen  des  Instituts  ftìr  osterreichische  Geschichts- 
forschung.  Voi.  IX,  fase.  I.  —  H.  Bresslau,  Papyrus  und  Pergament 
in  der  pàpstlichen  Kanzlei  bis  zur  mitte  des  11  Jahrunderts  (Pa- 
piro e  pergamena  nella  Cancelleria  pontificia  sino  alla  metà  del  se- 
colo xi),  pp.  1-33.  L'articolo  è' un  complemento  ai  lavori  dell' Ewald, 
(N.  A.,  VI,  392;  XI,  327  e  sgg.)  e  del  Delisie  (Bull  histor.  du  Co- 
mite  des  travaux  historiques,  n.  2).  In  appendice  pubblica  una  bolla  di 
Giovanni  XVIII  dall'Archivio  de  la  Corona  de  Aragon  a  Barcelona,  in- 
tegrato con  una  carta  di  S.  Cucuphati.  -  F.  Wickhoff,  Die  «  Mo- 
nasteria  bei  Agnellus  »  (I  «  Monasteria  »  in  Agnellus),  pp.  34-45.  - 
A.  RiEGL,  Die  Holzkalender  des  Mittelalters  und  der  Renaissance 
(I  calendari  di  legno  del  medio  evo  e  del  rinascimento).  -  Piccoli  co- 
municati. -  E.  MùHLBACHER,  Due  diplomi  Carolingi  inediti.  (L'uno 
di  Carlo  III  alla  chiesa  di  Chàlons-sur-Marne,  n.  886,  22  nov. 
L'altro  di  Zuenteboldo  re  alla  chiesa  di  Cambrai,  898,  oct.  3.  Hòr- 
chingen).  -  L.  v.  Heinemann,  Heinrichs  VI,  angeblicher  Pian  einer 
Sàcularisation  des  Kirchenstaates  (Supposto  piano  di  secolarizzazione 
dello  Stato  ecclesiastico  di  Enrico  VIII;  interpretazione  d'un  passo 
dello  «  Speculum  ecclesiae»  di  Giraldo  Cambrense,  dist.  IV,  e.  19), 

Moyen  àge  (Le).  BuUetin  mensuel  d'  histoire  et  de  philologie, 
fase.  3°.  —  G.  Platon,  Recensione  dell'opera  dello  Schupfer  «  L'Al- 
lodio, studi  sulla  proprietà  dei  secoli  barbarici  ».  —  Fase.  4°.  A.  Ma- 
RiGNAN,  Recensione  dell'opera  del  Ficker  «  Die  Darstellung  der  Apo- 
stel  in  der  altchristlichen  Kunst  »  (Le  rappresentazioni  degli  Apostoli 
nell'antica  arte  cristiana). 

Palestra  Atemina.  Voi.  VI,  1888,  fase.  I. —  Moscati,  Il  medio 
evo  e  i  papi. 

Quartalschrift  (Theologische).  —  Weimann,  Ueber  die  Pilger- 
fahrt  der  Silvia  in  das  heilige  Land.  (Sulla  pubblicazione  del  Ga- 
murrini  «S.  Hilarii  tractatus  de  mysteriis  et  hymni  et  S.  Silviae  Aqui- 
tanae  peregrinatio  ad  loca  sancta  »). 


l^er  iodici  199 


Review  (The  english  historical).  —  Balzani  U.,  Recensione 
della  pubblicazione:  «  Gesta  di  Federico  I  in  Italia  »,  edite  da 
E.  Monaci. 

Revue  des  questions  historiques.  XXIII,  fase.  85.  —  Delarc, 
Le  pontificat  d'Alexandre  II.  -  Vacandard,  Saint  Bernard  et  le 
schisme  d'Anaclet  II  en  France. 

Revue  historique.  —  Nel  Bulletin  historique  si  discorre  del  «  Ma- 
nuel des  institutions  romaines  »  del  Bouché-Leclerq  ;  della  traduzione 
dell' Humbert,  del  «  Manuale  »  del  Mommsen  e  Marquardt;  del 
«  Précis  des  institutions  politiques  de  Rome  »  del  Morlot;  delle  note 
di  Leon  Renier  suU'  «  Épigraphie  romaine  »  ;  della  «  Description 
historique  et  chronologique  des  monnaies  de  la  république  romaine 
vulgairement  appelées  consulaires  »  del  Babelon;  delle  «  Mélanges 
d' histoire  du  droit  et  de  critique,  droit  romain  »  di  A.  Esmein.  — 
Fase.  2,  pp.  398  e  sgg.  Recensioni  lusinghiere  delle  opere  del  ge- 
suita P.  Pierling:  «  La  Sorbonne  et  la  Russie  »,  Paris,  Leroux,  1882. 

-  Ant.  Possevini,  Missio  moscovitica,  id.  ibid.,  1882.  -  Rome  et  Mo- 
scou,  id,  ibid.,  1883.  "  Préliminaires  de  la  trève  de  1582,  id.  ibid,  1884. 

-  Le  Saint-Siège,  la  Pologne  et  Moscou,  id.  ibid.,  1885.  -  Un  arbi- 
trage  pontificai  au  xvi^  siede  (par  Méthode  Lerpigny),  Bruxelles 
et  Paris.  -  Bathory  et  Possevino,  Documents  inédits  publiés  et  an- 
notés,  Paris,  Leroux,  1887. 

Revue  (Nouvelle)  historique  de  droit  fran9ais  et  étranger. 

XII,  fase.  I.  —  Fournier,  La  question  des  fausses  décrétales.  (A  so- 
stegno dell'opinione  emessa  dal  Simson,  accettata  dal  Duchesne  e 
dall' Havet,  persevera  a  provare  che  l'opera  dei  falsificatori  di  Mans, 
nell'interesse  del  vescovo  Aidrico,  e  le  compilazioni  isidoriane  por- 
tano l'impronta  dell'officina  medesima;  e  che  gli  operai  dell'officina 
appartenevano  al  gruppo  dei  chierici  che  contornavano  Aldrieo).  - 

-  Recensione  dell'opera  dell' Humbert  «  Essai  sur  les  finances  et  la 
eomptabilitc  publique  chez  les  Romains  ».  —  Fase.  II.  A.  Esmein, 
Le  serment  promissoire  dans  le  droit  canonique. 

Rivista  storica  italiana.  Anno  IV,  fase.  4°.  —  G.  Paolucci, 
L'idea  di  Arnaldo  da  Brescia  nella  riforma  di  Roma. 

Studies  (Johns  Hopkins  University).  Serie  V,  XII. — A.  White, 
European  schools  of  history  and  polities  (Scuole  europee  di  politica 
e  di  storia).  Pag.  18  parla  dell'università  di  Roma. 


200  T^eriodìci 


Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  Anno  Vili,  fase.  3° 
e  4°.  —  I.  Alibrandi,  Osservazioni  giuridiche  sopra*  un  ricorso  de' 
monaci  di  Grottaferrata  al  pontefice  Innocenzo  II.  -  G.  Tomassetti, 
Note  storico-topografiche  ai  documenti  editi  dall'Istituto  Austriaco 
(Campagna  romana).  -  C.  Calisse,  id.  (Patrimonio  di  S.  Pietro  in 
Tuscia).  -  De  Nolhac,  Les  correspondants  d'Aide  Manuce.  Maté- 
riaux  nouveaux  d' histoire  littéraire.  -  Cenni  bibliografici.  C.  No- 
cella, Le  iscrizioni  graffite  nell'escubitorio  della  settima  coorte  dei 
Vigili.  -  L.  DucHESNE,  Notes  sur  la  topographie  de  Rome  au  moyen- 
àge.  -  P.  Allard,  Les  dernières  persécutions  du  iii«  siècle  d'après 
les  documents  archéologiques.  -  Karl  Zangemeister,  Theodor 
MoMMSEN  als  Schriftsteller.  Verzeichniss  seiner  bis  jetzt  erschienenen 
Bùcher  und  Abhandlungen  (Indice  de'  libri  e  delle  dissertazioni 
finora  pubblicate  dal  Mommsen).  -  Documenti.  G.  Gatti,  Statuti 
dei  mercanti  di  Roma.  (Compimento  della  Prefazione  e  dell'  intero 
volume). 

Taschenbuch  (Historisches).  1888.  —  Noeldechen,  TertuUian 
und  die  ròmische  Kaiser  (Tertulliano  e  gl'imperatori  romani).  - 
Maurenbrecher,  Le  deliberazioni  del  concilio  di  Trento. 

Zeitschrift  fiir  katholìsche  Theologie.  1887,  fase.  IV. —  Grisar, 
Paralipomena  zur  Honorischen  Frage  (Paralipomeni  sulla  questione 
dell'eresia  di  papa  Onorio).  -  Kolberg,  Verfassung,  Cultus  und  Di- 
sciplin  der  christlichen  Kirche  nach  den  Schriften  Tertullians  (Am- 
ministrazione, culto  e  disciplina  della  Chiesa  cristiana  secondo  gli 
scritti  di  Tertulliano).  -  Ehrle,  Controversie  sull'origine  dell'ordine 
francescano. 

Zeitschrift  fur  romanische  Philologie.  X.  —  Pakscher,  Aus 
einem  Katalog  des  F.  Ursinus  (Da  un  catalogo  di  Fulvio  Orsino). 

Zeitschrift  (Historische).  XXIII,  fase.  I.  —  Simson,  Die  Ent- 
stehung  der  pseudo-isidorischen  Fàlschungen  in  Le  Mans  (L'origine 
delle  falsificazioni  pseudo-isidoriane  in  Le  Mans).  -  Altmann,  Die 
Wahl  Albrechts  II  zum  ròmischen  Kaiser  (La  elezione  di  Alberto  II 
a  imperatore  romano). 


PUBBLICAZIONI 

RELATIVE    ALLA    STORIA    DI    ROMA 


1.  Adams  H.  C.  The  history  of  the  Jews  from  the  War  with  Rome 
to  the  present  time.  Loiiàon,  Religious  Tract.  Society,  1887. 

2.  Ademollo  A,     Gorilla  olimpica. 

Firen'^e,  tip.  C.  Ademollo  e  C,  1887. 

3.  Ademollo  A.  I  teatri  a  Roma  nel  secolo  decimosettimo.  Me- 
morie sincrone,  inedite  o  non  conosciute  di  fatti  ed  artisti  tea- 
trali, librettisti,  commediografi  e  musicisti,  cronologicamente  or- 
dinate per  servire  alla  storia  del  Teatro  italiano. 

Roma,  L.  Pasqualucci  editore,  1888. 

4.  Album  Carando  J.  Sépultures  galloises,  gallo-romaines  et 
mérovingiennes  de  la  ville  d'Ancy,  Ceyenil,  Maast  et  Violaine.  « 

Saint- Quintin,  Poette,  1887. 

5.  Aloysius.     Souvenir  d'un  voyage  à  Rome  et  en  Italie. 

Annecy,  Ahry,  1887. 

6.  Amalfitano  F.  Delle  relazioni  politico-religiose  fra  gli  abbati 
antichi  e  moderni  del  monastero  dei  Ss.  Vincenzo  ed  Anastasio 
alle  Acque  Salvie  di  Roma  e  la  comunità  di  Orbetello;  e  del- 
l'emolumento al  predicatore  della  quaresima  nella  pro-cattedrale 
dell'abbazia.  Memoria.  Grosseto^  tip.  F.  Pero:(^o,  1887. 

7.  Angeletti  F.     I  gladiatori.  Roma  e  Giudea. 

Roma,  Perino,   1887. 

8.  Armellini  M.  Le  chiese  di  Roma  dalle  loro  origini  sino  al 
secolo  XVI.  Roma,  tip.  edit.  Romana,  1887. 

9.  Balan  P.  Clemente  VII  e  l'Italia  dei  suoi  tempi.  Studio  sto- 
rico (estratto  dalla  Scuola  cattolica,  anni  1884- 188 5- 1886  e  1887. 

Milano,  tip.  di  Serafino  Ghe:^:^,  1887. 


202     T^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  T{oma 

10.  Baumgarten  H.  Ròmische  Triumphe  (Trionfi  romani).  (Co- 
stituisce la  2*  dispensa  delle  Flugschriften  des  Evangelischen  Bandes). 

Halle,  Sirien,  1887. 

11.  Bergsoé  G.     L'amphithéàtre  des  Flaviens. 

Poitiers,  Oudin,  1887. 

12.  Bersezio  V.    Roma,  la  capitale  d' Italia.  Disp.  XX,  pp.  457-480. 

Milano,  fratelli  Treves,  1888. 

13.  Bertolini.     I  Celeres  ed  il  Tribiinus  celerum. 

Roma,  Loescher,  1887. 

14.  Bertolotti  a.  Divertimenti  pubblici  nelle  feste  religiose  del 
secolo  XVIII  dentro  e  fuori  le  porte  di  Roma;  ricerche  nell'ar- 
chivio di  Stato  romano.  (Estr.  dal  giornale  II  Buonarroti,  serie  III, 
voi.  2°,  quad.  x-xi,  1887). 

15.  Bertrand  A,  C.  Conduite  du  pape  vis-à-vis  de  la  France  et 
de  TAUemagne.  Discours.  Tours,  impr.  Bertrand,  1887. 

16.  Beyschlag  W.  Der  Friedensschluss  zwischen  Deutschland  und 
Rom  (La  conclusione  della  pace  tra  la  Germania  e  Roma). 

Hallen,  Strien,  1887. 

17.  BiRTH  T.    De  Romae  urbis  nomine  sive  de  robore  romano. 

Marburg,  Elwert's  Verlag,  1887. 

18.  Blancard  L.  Théorie  de  la  monnaie  romane  au  iii^  siècle 
après  Jesus  Christ.  Marseille,  impr.  Barlatier-Feissat,  1887. 

19.  BlummerH.  Technologie  und  Terminologie  der  Gewerbe  und 
Kunste  bei  Griechen  und  Ròmern  (Tecnologia  dell'arte  e  dei 
mestieri  presso  i  Greci  e  i  Romani).  Voi.  4°,  sez.  2^ 

Leipzig,   Teubner,  1887. 

20.  Bocker  F.  Damme  als  der  mutmassliche  Schauplatz  der  Va- 
russchlacht,  sowie  der  Kàmpfe  bei  den  «  Pontes  longi  in  Jahre  15 
und  der  Ròmer  mit  den  Germanen  am  Agrivarierwalle  in  Jahr  16  » 
(Damme  ;  probabile  luogo  della  sconfitta  di  Varo,  ecc.) 

Koln,  Bachen  in  Comm.,  1887. 

21.  BoNANNi  T.  Le  legislazioni  dell'antico  diritto  romano  (ammi- 
nistrativa-finanziaria-giudiziaria)  poste  in  relazione  con  le  legisla- 
zioni napoletana  ed  italiana;  relazione  archivistica  dell'anno  1886- 
1887.  Aquila,  stab.  tip.  Grossi. 

22.  BoRGEAUD  C.  Histoire  du  plébiscite.  Le  plébiscìte  dans  l'an- 
tiquité.  Grece  et  Rome.  Genève,  Georg,  1887. 


Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  ^J^oma     203 

23.  Bosio  G.    Roma  intangibile. 

Roma,  tip.  dell' istituto  Gould,  1887. 

24.  Brucht  H.  Geschìchte  der  catholische  Kirche  in  i9Jahrhundert 
(Storia  della  Chiesa  cattolica  nel  secolo  xix).  I.  Gesch.  d.  cath 
Kirche  i.  Deutscht.  Magon:(a,  Kircheinn 

25.  Bruns  C.  G.  Fontes  juris  romani  antiqui,  edidit  C.  G.  Bruns 
Editio  quinta,  una  Theodori  Mommseni. 

Frihurgi  in  Brisgavia,  1887 

26.  BuDiNGER  M.  Zeit  und  Schicksal  bei  Ròmern  und  Westariern 
(Tempo  e  fato  presso  i  Romani  e  gli  Arii  occidentali)  ;  studio  di 
storia  universale.  Wien,  Gerold's  Sohn  in  Comm.j  1887 

27.  BuET  C.     Notre  sainte-père  le  pape  Leon  XIIL 

Tours,  liirairie  Marne  et  fils,  1887 

28.  BuNGENER  F.    Pape  et  Concile  au  xix^  siècle.  Nouvelle  édition 

Paris,  Lévy,   1888 

29.  Campi  L.     Tombe  romane  presso  Cles. 

Trento,  tip.  edit.  di  Giuseppe  Marietti,  1887 

30.  Carle  G.  Le  origini  della  proprietà  quiritaria  presso  le  gent 
del  Lazio.  Nota.  (Estr.  dagli  Atti  della  R.  Accademia  delle  scien:(e 
di  Torino).  Torino,  stamp.  Reale,  1887 

31.  Carr  a.  The  Church  and  the  roman  Empire  (La  Chiesa  e 
l'Impero  romano).  London,  1877 

32.  Chin'iq.uy  C.  Fifty  years  in  the  Church  of  Rome  (Cinquan 
t'anni  nella  Chiesa  di  Roma).  New  edition  corrected  and  revised, 
wich  introductory  note  by  G.  R.  Badenoch. 

London,  Protestant  literature  depository,  1887. 

33.  Chotard  H.  Le  pape  Pie  VII  à  Savone,  d'après  les  minutes 
des  lettres  inédites  du  general  Berthier  au  prince  Borghése  et 
d'après  les  mómoires  inédites  de  Al.  de  Lebzeltern  conseiller  d'am- 
bassade  autrichien. 

Paris,  impr.  et  libr.  Plon,  Kotirrit  et  C,  1887. 

34.  Chroust  a.  Beitràge  zur  Geschichte  Ludwigs  des  Bayerns 
und  sciner  Zeit  (Contributo  alla  storia  di  Ludovico  il  Bavaro  e 
del  suo  tempo).  Parte  i^  (Comprende  il  viaggio  di  Ludovico  a 
Roma,  1327-29). 

35.  Ciampi  I.  Opuscoli  vari  storici  e  critici  (pubblicati  dal  Casta- 
gnola). Imola,  Galeati,  1887. 


204    T^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^l\oma 


36.  Claretta  G.  I  Genovesi  alla  Corte  di  Roma  negl'  anni  lut- 
tuosi delle  loro  controversie  con  Luigi  XIV  (1678-1685).  Nota 
storica  ed  anedottica.  (Estr.  dal  Giornale  ligustico,  fase,  di  gen- 
naio e  febbraio  1887).  Genova,  tip.  Sordo-muti. 

37.  Clementis  V  Papae  Regestum  ex  Vaticanis  archetypis  SS. 
•D.  N.  Leonis  XIII  pontificis  maximi  iussu  et  munificentia  nunc 
primum  editum  cura  et  studio  monachorum  ordinis  S.  Benedicti. 
Annus  sextus.  (Regestorum  voi,  LVIII). 

Roma,  ex  typ.  Vaticana,  1887. 

38.  CoGLiOLO  P.  Manuale  delle  fonti  del  diritto  romano  secondo 
i  risultati  della  più  recente  critica  filologica  e  giuridica.  Parte  2^. 

Torino,   Unione  tipografico-editrice,  1887. 

39.  Cooper  A.  N.  A  walk  to  Rome;  being  a  journey  on  foot 
of74i  miles,  from  Yorskskire  to  Rome  (Passeggiata  sino  a  Roma 
dall' Yorkshire,  741  miglia).  London,  Simphird,  1887. 

40.  CosNEAU.     De  romanis  viis  in  Numidia. 

Paris,  Hachette  et  C,  1887. 

41.  Cristofori.    Le  tombe  dei  papi  in  Viterbo. 

Siena,  tip.  S.  Bernardino,  1887. 

42.  Decker  (De)  P.  La  Chiesa  e  l'ordine  sociale  cristiano.  Prima 
traduzione  italiana  autorizzata  dall'autore. 

Firenx_e,  Ciardi,   1888. 

43.  Deriege  F.     I  misteri  di  Roma.  Roma,  Artero,  1887. 

44.  DuBOis  C.  V.  Droit  romain:  du  droit  latin;  droit  frangais: 
de  la  nationalité  d'origine.  Paris,  impr.  et  libr.  Lefort,  1887. 

45.  DucHESNE  L.  Le  Liber  pontificalis;  texte,  introduction  et  com- 
mentaire.  T.  1°.  Paris,   Thorin. 

46.  DucouRTiEUX  P.  Découvertes  faites  sur  l'emplacement  de  la 
ville  gallo-romaine  à  Limoges  en  1886. 

Limoges,  impr.  V.  Ducourtieux,  1887. 

47.  DuRUY  V.    Petite  histoire  romaine.  Nouvelle  édition. 

Paris,  impr.  Lahure,  1887. 

48.  EiDAM  H.  Ausgrabungen  ròmischen  Ueberreste  in  und  um 
Gunzenhausen  (Scavi  romani  in  Gunzenhausen  e  nei  dintorni). 
(Dalla  Festschrift  :Qir  Begrussung,  des  XV III  Kongresses  des  deutschen 
Antbropologischen  Gesellschaft  in  Nurherg).     Nurberg,  Ebner,  1887. 


Tiibblicaiionì  relative  alla  storia  di  ^I{oma     205 

49.  Ferrerò  E.  Di  alcune  iscrizioni  romane  nella  valle  di  Susa. 
(Negli  Atti  della  R.  Accademia  delle  scien-^e  di  Torino,  voi.  XXIII, 
disp.  2^-3^). 

50.  Fetger  C.  a.  Voruntersuchung  zu  einer  Géschichte  des  Pon- 
tifikats  Alexanders  II  (Indagini  preparatorie  ad  una  storia  del 
pontificato  d'Alessandro  II).  Strassi).,  Diss.,  1887.  (Heir.). 

51.  Filippi  G.  Il  comune  di  Firenze  ed  il  ritorno  della  Santa  Sede 
in  Roma  nell'anno  1367.  (Estr.  dalla  Miscellanea  di  storia  italiana, 
S.  II,  XI  [xxvi],  387). 

Torino,  stamp.  Reale  della  ditta  G.  B.  Paravia  e  C. 

52.  Fleury.  Pélerinage  à  Rome  en  1869,  ou  notes  sur  l'Italie. 
5™®  édition.  Tours,  Marne  et  fils,  1887. 

53.  Flora  ou  une  martyre  à  Rome.  Traduit  de  l' anglais,  avec 
autorisation  exclusive  de  l'auteur.  T.  I. 

Mayenne,  impr.  Ne^an,  1887. 

54.  Fontana  I.  Les  églises  de  Rome  les  plus  illustres  et  plus  vé- 
nérées  et  recueil  des  mosaiques  de  la  primitive  epoque.  Voi.  I, 
disp.  i.  Torino,  1887. 

55.  Friedrich).  Géschichte  der  Vatic.  Konzils  (Storia  del  concilio 
Vaticano).  III  voi.  ult.  XVI-XVII,  p.  1258.  Bonn,  Neuger. 

56.  Gattinelli  G.  Vittoria  Colonna  e  Michelangelo.  (Nel  Teatro 
Drammatico,  voi.  II,  «  Opere  postume  »).        Roma,  Squarci,  1887. 

57.  Gebhardt  B.  Adrian  von  Corneto.  Ein  Beitrag  zur  Géschichte 
der  Curie  und  der  Renaissance. 

Breslau,  Preuss  e  funger,  1887. 

58.  Giacchi  V.  Amori  e  costumi  latini.  Studi.  Seconda  impres- 
sione. Città  di  Castello,  stah.  tip.  S.  Lapi,  1887. 

59.  Gomme  L.  Romano-british  remains  (Reliquie  romano-britan- 
niche), voi  2. 

60.  GouRRAiGNE  L.  G.    Histoire  romaine,  rcsumòs  et  récits. 

Bordeaux,  impr.  V.  Riffaud,  1887. 

61.  Grethen  R.  Die  polìtischen  Beziehungen  Clemens  VII  zu 
Karl  V  in  den  Jahren  1523-1527  (Le  relazioni  politiche  tra  Cle- 
menle  VII  e  Carlo  V).  Hannover,  Brandes,  1887. 

2.    Hare  A.  J.  C.    Walks  in  Rome  (Passeggiate  per  Roma).  1 2*  ediz. 

London,  Smith  and  Elder,  1887. 


2o6    "Piibblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^^oma 

63.  Harnach  a.    Lehrbuch  der  Dogmengeschichte  (Dottrina  della 
storia  dei  dogmi).    Voi.  2".  Freiburg  in  Breisg,  Mohes. 

64.  Hartmann  L.  M.  De  exilio  apud  Romanos  inde  ab  initio  bel- 
lorum  civilium  usque  ad  Severi  Alexandri  principatum. 

Berlin,  Gartner,  1887. 

65.  Hauthaler  P.  Aus  den  Vaticanischen  Regesten  (Dai  regesti 
Vaticani).  ^,  JVien,  Gerold. 

66.  Hergenròther  F.  (Card).  Konziliengeschichte  nach  d.  Quel- 
len  bearbeitet  (Storia  dei  concili  composta  secondo  le  sue  fonti), 
V.  Hefele,  fortges.  v.  Vili.  Bd.  Freib.  i-B.,  Herder. 

67.  Hertzberg  G.  F.     Storia  della  Grecia  e  di  Roma.    Disp.  Vili. 

Milano,  L.  Vallar  ài,  editore,  1888. 

68.  Herzog  F.  Geschichte  und  System  der  ròmischen  Staatsver- 
fassung  (Storia  e  sistema  della  costituzione  romana).  2  voi.  Die 
Kaiserzeit  von  der  Diktatur  Càsars  bis  zum  Regierungsantrict 
Dioclesians.  Parte  i^.  Geschichtliche  Uebersicht. 

Leipzig,   Teubner,   1887. 

69.  HocK  C.  F.  Histoire  du  pape  Sylvestre  II  et  de  son  siècle. 
Traduite  de  l'allemand  et  enrichie  de  notes  et  de  documents  iné- 
dits  par  J.  M.  Axinger.  Paris,  Debécourt,  s.  a. 

70.  Huebner  (De)  A,  Sisto  V  dietro  la  scorta  delle  corrispondenze 
diplomatiche  inedite  tratte  dagli  archivi  di  Stato  del  Vaticano, 
di  Simancas,  di  Venezia,  di  Parigi,  di  Vienna  e  di  Firenze.  Ver- 
sione dal  francese  del  p.  m.  Filippo  Gattari  consentita  dall'autore. 
Voi.  I.  Roma,  Salviucci,  1887. 

71.  Ideville  (D')  H.  Le  comte  Pellegrino  Rossi,  sa  vie,  son  oeuvre, 
sa  mort  (1787- 1848).  Paris,  impr.  Chaix,  1887. 

72.  Imagine  (L')  di  S.  Maria  di  Grotta  Ferrata.  Memoria  storica 
per  il  secondo  centenario  della  coronazione. 

Roma,  tip.  poliglotta  della  S.  C.  di  Propaganda  fide,  1887. 

73.  I  sommi  pontefici  e  Lucca.  Ricordi  storici  in  epigrafi. 

Lucca,  tip.  arciv.  S.  Paolino,  1887. 

74.  Jacquelin  F.  Le  conseil  des  empereurs  romains  en  droit 
romain,  la  commission  départemental  en  droit  francais. 

Poitiers,  impr.  Oudin,   1887. 

75.  Jaffé  P.  Regesta  pontificum  romanorum  ab  condita  ecclesia 
ad  annum  post  Christum  natum  M.  C.  XCVIII.  Ed.  II  correctam 


^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^I(oma    207 

et  auctam  auspiciis  prof.  Guil.  Wattenbachii  curaverunt  S.  Loev- 
venfeld,  F.  Kaltenbrunner,  P.  Ewald.  Fase.  12. 

Leip^g,  Veit  und  C,  1887. 

76.  Janvier.  Le  eulte  de  la  sainte  face  à  Saint-Pierre  du  Vatican 
et  en  d'autres  lieux  célèbres.  Notices  istoriques.  4™®  édition. 

Tours,  impr.  Juliot,  1887. 

77.  Kraus  F.  Z.     Kirchengeschichte  (Storia  della  Chiesa). 

Tr eviri f  Lint:;^    1887. 

78.  Kuhn  A.  Rom,  die  Denkmàler  des  christlichen  und  des  heid- 
nischen.  Rom  in  Wort  und  Bìld  (I  monumenti  plastici  ed  epigra- 
fici di  Roma  pagana  e  cristiana).  Einsiedeln,  Bmziger,  1887. 

79.  Lagréze  (De)  G.  B.     Les  catacombes  de  Rome. 

Mesnil,  impr.  Firmin-Didot ;  Paris,  librairie  Firmin-Didot,   1887. 

80.  Laigue  (De)  L.  Constantin-le-Grand  et  sa  mère  Hélène.  Tra- 
duction  d'un  roman-légende  de  la  décadence  latine. 

Roma,  For'^ani  e  C,  1887. 

81.  Landucci  L.  Stoiia  del  diritto  romano  dalle  origini  fino  a  Giu- 
stiniano. '  Padua,  Sacchetto,  1886-87. 

82.  Largaiolli  D.  Della  politica  religiosa  di  Giuliano  imperatore 
e  degli  studi  critici  più  recenti. 

Piacenza,  tip.  Marchesotti  e  C,  1887. 

83.  Léotard  E.  Les  guerres  Puniques.  Legon  d'ouverture  du  cours 
d'histoire  romaine.     Lyon,  impr.  et  librairie  Vilte  et  Perrusel,  1887. 

84.  Lettre  (La)  du  pape  et  l'Italie  officielle. 

Paris,  impr.  Doumolin  A.  e  C.  et  librairie  Perrin  et  C,    1887. 

85.  LiEL  H.  F.  J.  Die  Darstellungen  der  allerseligsten  Jungfrau 
und  Gottesgebàrerin  Maria  auf  den  Kunstdenkmàlern  der  Kata- 
komben  (La  rappresentazioue  della  Beatissima  Vergine  Maria  nei 
monumenti  artistici  delle  catacombe). 

Freiburg,  B.  B.  Herder,   1887. 

86.  Langlois  e.  Les  registres  de  Nicolas  IV.  Recueil  des  bulles 
de  ce  pape  publióes  ou  analysées  d'apròs  Ics  mss.  originaux  des 
archives  du  Vatican.  Paris,  Thorin. 

87.  LoN'iGO  M.  Costituzione  dell'archìvio  Vaticano  e  suo  primo 
indice,  sotto  il  pontificato  di  Paolo  V.  Manoscritto  inedito  di  Mi- 
chele Lonigo.  (Negli  Sludi  e  documenti  di  storia  e  diritto^  Vili,  fa- 
scicoli 1-2.  Pubblicato  da  F.  Gasparolo). 


2o8     Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  ^oma 


Lerpigny  M.     Un  arbitrage  pontificai  au  xvi°  siòcle. 

Bruxelles  et  Paris,  s.  d. 

LuGARi  G.  B.  Le  catacombe,  ossia  il  sepolcreto  apostolico  del- 
l'Appia  descritto  ed  illustrato.  Roma,  Befafii,  1888. 

Manfrin  P.     Gli  Ebrei  sotto  la  dominazione  romana.  Voi.  I. 

Roma,  fratelli  Bocca,  1888. 

Manning  a.  True  story  of  the  Vatican  council  (Storia  del 
concilio  Vaticano),  3.  ediz.  London,  Burns  and  Oates,  1887. 

Marcellino  (Padre)  da  Civezza.  Il  romano  pontificato  nella 
storia  d'Italia.  Firenze,  Ricci,  1887. 

Marchetti  R.     Sulle  acque  di  Roma  antiche  e  moderne. 

Roma,  tip.  A.  Sinimberghi,  1887. 

Maréchal  e.  Histoire  de  la  civilisation  ancienne,  Orient,  Grece, 
Rome.  Paris,  impr.  et  lihrairie  Delalain,  1887. 

MARQ.UARDT  J.  L'amministrazione  pubblica  romana,  tradotta 
sulla  2^  edizione  tedesca  dall' avv.  Ezio  Solaini.  Voi.  I.  (Organiz- 
zazione dei  domini  romani).  Firen:(e,  G.  Pellas  Uh,  edit. 


96.  Marciuardt  J.  und  Mommsen  T.  Handbuch  der  ròmischen 
Alterthumer  (Manuale  dell'antichità  romana).  Voi.  Ili,  i*  parte. 
Ròmisches  Staatrecht.  Leipzig,  Hir^el,  1887. 

97.  Martens  W.  Die  Besetzung  des  pàpstlichen  Stuhls  unter  des 
Kaisern  Heinrich  III  und  Heinrich  IV  (L'occupazione  della  Sede 
papale  sotto  gl'imperatori  Enrico  III  ed  Enrico  IV). 

Freiburg  i.  B.,  1886.  (Mohr). 

98.  Marucchi  O.  Nuova  descrizione  della  casa  delle  Vestali  e  degli 
edifizi  annessi  secondo  il  resultato  dei  più  recenti  scavi. 

Roma,  tip.  A.  Befani,   1887. 

99.  Maschke  R.  Der  Freiheitsprozess  im  klassischen  Altertum, 
insbesondere  der  Prozess  um  Virginia  (Il  giudizio  della  libertà  • 
nell'antichità  classica  e  particolarmente  il  giudizio  di  Virginia). 

100.  Mayerhoefer  a.  Geschichtlich-topographische  Studien  uber 
das  alte  Rom  (Studi  storico-topografici  sull'antica  Roma). 

Muncken,  Lindauer,   1887. 

loi.  Mazegger  B.  Ròmer-funde  in  Obermais  bei  Meran  und  die 
alta  Maja-Feste  (Scoperte  romane  ad  Obermais  presso  Meran  e 
l'antica  fortezza  di  Maja).  Meran,  Potxelheryer,  1887. 


Pubblicazioni  relatipe  alla  storia  di  1{oma     209 

102.  Memorie  sopra  la  vita  e  virtù  del  sac.  Pier  Filippo  Strozzi 
canonico  della  basilica  di  Santa  Maria  Maggiore,  raccolte  da  un 
religioso  della  Compagnia  di  Gesù.  2^  edizione. 

Roma,  tip.  Guerra  e  Mirri,  1887. 

103.  Merchier  a.  Essai  sur  le  gouvernement  de  l'Église  au  temps 
de  Charlemagne.  (Estratto  dal  T.  Vili,  4^  sèrie  des  Mémoires  de 
la  Société  acad.  de  St-Quintin).  St-Quintin,  itnp.  Poette. 

104.  Merlino  G.  E.  Clemente  V  e  fra  Dolcino.  (Nel  Museo  sto- 
rico-ariisiico  Vahesiano,  III,  8). 

105.  MicHELis  F.  Die  katolische  Reformbewegung  und  das  vati- 
kaniscke  Concil  (Il  movimento  di  riforma  cattolica  e  il  concilio 
Vaticano).  Nach  der  Urschrift  d.  merewigten.  Prof.  Dr.  Fr.  M.,  he- 
rausgegeben  v.  Dr.  Adoph  Kohut.  Giessen,  Roth,  1887. 

106.  Mitro  VIE  B.     Una  lettera  di  Pio  IX  a  Carlo  Alberto. 

Trieste,  tip.  di  Giovanni  Balestra. 

1 07.  MoMMSEN  T.  et  MARauARDT  J.  Manuel  des  antiquités  romaines. 
Tom.  I.  Le  droit  public  romain.  Traduit  par.  P.  F.  Girard. 

Paris,   Thorin,  1887. 

108.  MoNTLÉON  (De)  C.  L'Église  et  le  droit  romain;  études  histo- 
riques.  Bar-le-Duc,  impr.  Schorderet  et  C.;  Paris,  au  bureau 

de  V Association  catholique,  1887. 

109.  MoNTLÉON  (De)  C.  L'Église  et  le  droit  romain;  études  histo- 
riques.  Paris,  impr.  Devàlois;  lihrairie  Poussielgue,  1887. 

no.  Monumenta  Vaticana  historiam  regni  Hungariae  illustrantia. 
Series  I.  Tom.  I,  cont.:  Rationes  collectorum  pontifìciorum  in 
Hungaria,  1 281- 13 75.  Budapest,  Rath,  1887. 

111.  Moscatelli  A.  Le  unioni  e  i  figli  illegittimi  nel  diritto  ro- 
mano. Contributo  alia  storia  della  famiglia  e  del  diritto  romano. 

Bologna,  tip.  Fava  e  Garagnani,  1887. 

112.  Nacher  J.  Die  ròmischen  Militarstrassen  und  Handelswege 
in  Sudwestdeutschland,  in  Elsass-Lothringen  und  der  Schweiz 
(Strade  militari  e  commerciali  romane  nella  Germania  meridioc- 
cidentale,  in  Alsazia-Lorena  e  nella  Svizzera). 

Strassburg,  Noiviel  in  Comm.,  1887. 

113.  Neuhaus  J.  C.  Die  Sagen  von  den  Gòttern  und  Helden  der 
Griechen  und  Ròmer  (Le  tradizioni  degli  dei  e  degli  eroi  de' 
Greci  e  de'  Romani).  2.  Auflage.  Dusseldorf,  Schwann. 

Archivio  della  H.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  14 


210     l^iibblica\ioni  relative  alla  storia  di  ^oma 


114.  Nocella  C.  Le  iscrizioni  graffite  nell' escubitorio  della  set- 
tima coorte  dei  Vigili.  Interpretazione. 

Roma,  Forcarli  e  C,  1887. 

115.  NoLHAC  (De)  P.  La  bibliothcque  de  Fulvio  Orsini.  Contribu- 
tions  à  r  histoire  des  collections  d' Italie  et  à  l'étude  de  la  Re- 
naissance. Paris,   Vieweg,  1887. 

116.  Opera  Patrum  Apostolicorum  edidit  Franciscus  Xaverius  Funk. 
Voi.  I,  editio  nova:  doctrina  duodecim  Apostolorum  adaucta. 
Voi.  IL  Clementis  Rom.  epistulae  de  Virginitate  ejusdemque  mar- 
tyrium;  Epistulae  pseudo-Ignatii,  Ignatii  martyria  tria;  Vaticanum 
a  S.  Methaphrasta  conscriptum,  latinum;  Papié  et  seniorum  apud 
Irenaeum  fragmenta;  Policarpi  vita.  Tuhinga,  1881-87. 

117.  O'  Relly  B.  Life  of  the  pope  Leo  XIII.  (Traduzioni  anche 
in  tedesco  e  francese  di  quest'opera  adulatoria  e  faziosa). 

London,  Low,  1887. 

1 18.  PiGNATA  G.  Avventure  di  Giuseppe  Pìgnata  fuggito  dalle  car- 
ceri dell'  Inquisizione  di  Roma.  Traduzione  e  prefazione  di  Olindo 
Guerrini.  Città  di  Castello,  stab.  tip.  S.  Lapi  edit.,  1887. 

119.  Pilliers  (Des)  P.  La  cour  de  Rome  et  les  trois  derniers  évé- 
ques  de  Saint-Claude,  6^  edizione.         Cbamhéry,  Menard,  1887. 

120.  Pio  vii.  Motuproprio  in  data  2  agosto  1822  sul  lago  Trasi- 
meno e  Perugino.  (Riprodotto  dall'originale  stampato  in  Roma 
nel  1822  presso  Poggioli  stampatore  della  R.  C.  A.). 

Castiglione  del  Lago,  tip.  G.  Caponi  e  C,  1887. 

121.  Piombanti  G.    Biografie  popolari  dei  papi  dedicate  agli  Italiani. 

Livorno,  tip.  G.  Fabhresci  e  C,  1887. 

122.  Pinzi  C.  Storia  della  città  di  Viterbo  illustrata  con  note  e 
nuovi  documenti  in  gran  parte  inediti.  Volume  I. 

Roma,  tip.  della  Camera  dei  deputati,  1887. 

123.  PLOCQ.UE  A.  Droit  romain:  de  la  condition  de  l'Église  sous 
l'empire  romain;  droit  fran^ais:  de  la  condition  juridique  du 
prétre  catholique. 

Bar-le-Duc,  Contant-Laguerre;  Paris,  lihrairie  Laros  et  Forcel,  1887. 

124.  Prou.  Les  registres  d' Honorius  IV.  Recueil  des  bulles  de 
ce  pape  publiées  ou  analysées  d'après  le  manuscrit  originai  des 
archives  du  Vatican,  fase.  1-3,  Paris,   Thorin,  1886-87. 

125.  Ravioli  C.  I  reduci  dell'epoca  napoleonica  romani  o  statisti 
cogniti  in  servizio  o  in  pensione  al  redattore  delle  presenti  me- 


'\Puhblica'{toni  relative  alla  storia  di  ^T{oma     2 1 1 


morie  con    appendice  di  un  compendio  inedito   di   notizie  sulla 
morte  di  G.  Murat.  Roma,  tip.  Righetti,  1887. 

126.  Resoconto  delle  conferenze  dei  cultori  di  archeologia  cristiana 
in  Roma  dal  1875  al  1887.  Roma,  tip.  ddla  Pace,  1888. 

127.  RoDOCANACHi  E.     Cola  di  Rienzo.  Histoire  de  Rome. 

Paris,  Lahur,  1888. 

128.  Rollano,  Rome,  ses  églises,  ses  monuments,  ses  institutions. 
Lettres  à  un  arai.  8*^  édition,  revue  et  augmentée. 

Toiirs,  Uh.  et  impr.  Marne  et  fils,  1887. 

129.  RoRAi  (Di)  S.     I  tempi  di  papa  Gregorio  VII  e  i  nostri. 

Venezia,  tip.  Gio.  Cecchini,  1887. 

130.  RozwADOWSKi  J.  De  modo  ac  ratione  qua  historici  romani 
numeros  qui  accurate  defìniri  non  poterant  expresserint. 

Cracovia,  1887. 

131.  ScHAEDEL  L.  Plinius  d.  Jungere  u.  Cassiodorus  Senator.  Kri- 
tische  Beitràge  zum  io,  Buch  d.  Briefe  (Plinio  il  Giovane  e  Cas- 
siodoro  senatore.  Saggio  critico).  Barien,  Darmstadt,  1887. 

132.  ScHMiDT  M.  P.  C.  Zur  Geschichte  der  geographischen  Litte- 
ratur  bei  Griechen  und  Ròmern  (Contributo  per  la  storia  della 
letteratura  geografica  presso  i  Greci  e  i  Romani). 

Berlin,  Gartner,  1887. 

133.  ScHNEiDER  J.  Die  alten  Heer  und  Handelswege  der  Germa- 
ner,  Ròmer  und  Franken  in  deutschen  Reiche  (Le  antiche  vie  com- 
merciali e  militari  dei  Romani  e  Franchi  nell'Impero  tedesco). 
Nach  òrtlichen  Untersuchungen  dargestellt.  Dispensa  5*. 

Leipzig,  Z.  O.   Weigel,   1887. 

1 54.  ScHWARZLOSE  K.  Die  Patrimonien  der  ròm.  Kirche  bis  zur 
Grùndung  d.  Kirchenstaates  (I  patrimoni  della  Chiesa  romana 
sino  alla  fondazione  dello  Stato  ecclesiastico). 

Berlino,  Kohlinsky. 

135.  ScHWERDT  F.  J.  Papst  Leo  XIII.  Ein  Blick  auf  scine  Jugend 
und  seine  Dichtungen  (Papa  Leone  XIII.  Sguardo  sulla  sua  gio- 
ventù e  le  sue  poesie). 

Ausburg,  Schimidt's  Sortiment,  1887. 

1 3^1.  SiEMANN  O.  The  mythology  of  Greece  and  Rome.  With  special 
reference  to  its  use  in  art  (Nuova  ediz.  a  cura  di  G.  H.  Bronctie). 

London,  Chapman,  1887. 


212     T^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^oma 

137.  Smith  B.  Rorfia  e  Cartagine.  Le  guerre  Puniche.  Traduzione 
di  Teresa  Amici-Masi.  Con  una  lettera  di  Ruggiero  Bonghi. 

Bologna,  Nicola  Zanichelli,  1888. 

138.  Stocchi  G.     Due  studi  di  storia  romana. 

Firenze,  fratelli  Bocca  edit.  (tip.  dell'  «  Arte  della  Stampa  »),  1 887. 

139.  Sylos  L.     Gli  inizi  e  le  prime  vicende  del  papato  temporale. 
(Nella  Rassegna  Pugliese  di  se,  letL  ed  arti,  voi.  V,  n.'2,  4  febbr.  1888). 

140.  Tammasia  G.     Senato  romano  e  concili  Romani. 

Roma,  1887. 

141.  Tenneroni  a.  Jacopone  da  Todi;  lo  Stahat  Mater  e  Donna 
del  Paradiso.  Studio  su  nuovi  codd.  Todi,  Franchi. 

142.  Teoli  p.  B.  Teatro  istorico  di  Velletri,  insigne  città  e  capo 
dei  Volsci:  opera  riveduta  e  corretta  coll'aggiunta  della  vita  e 
del  ritratto  dell'autore.  Velletri,  Berlini  edit.,  1887. 

143.  Thénedat  H.  Antiquités  romaines  trouvées  par  M.  Payard  à 
Deneuvre  (Meurthe-et-Moselle).  (Estratto  dal  Bulletin  de  la  Société 
nationale  des  antiquaires  de  France). 

Nogent4e-Rotrou,imp.  Daupelcy-Gouver?ieur  ;  Paris,  Klincksieck,  1887. 

144.  Travaglimi  G.    I  papi  cultori  della  poesia. 

Lanciano,   Carahha^  1887, 

145.  TuRR  E.     La  réconciliation  avec  le  pape. 

Paris,  Librairie  nouvelle,  1887. 

146.  Urlichs  L.  V.  Thorwaldsen  in  Rom.  Aus  Wagner's  Papie- 
ren  (Thorwaldsen  in  Roma,  secondo  le 'carte  di  Wagner). 

Wur^burg,  Stahel  in  Comm.,  1887. 

147.  Vasili  P.  La  société  de  Rome.  Édition  augmentée  de  lettres 
inédites.  Septième  edition.  Paris,  Nouvelle  Revue,  1887. 

148.  ViLLENEUVE  (De)  L.  Recherches  sur  la  famille  della  Rovere. 
Contribution  pour  servir  à  1'  histoire  du  pape  Jules  IL 

Rome^  Befani. 

149.  Warga  L.  Geschichte  der  lateinische  Kirche  (Storia  della 
Chiesa  latina),  voi.  II,  làrospatass. 

150     Zeller  J.     Entretiens  sur  l' histoire  du  moyen  àge.  Deuxième 

partie:I.  Chute  des  Carolingiens;  féodalité  et  chevalerie  ;  premiers 

empereurs  allemands ;  premiers  rois  Capétiens;  Sylvestrell;  Gré- 

goire  VII;  Urbain  II;  la  Croisade. 

Coulommiers,  impr.  Brodart  et  Gallois;  Paris,  lihr.  Perrin  et  C,  1887. 


G.  Cugnoni  213 


Memorie  della  Vita  e  degli  Scritti 


CARDINALE   GIUSEPPE  ANTONIO  SALA 


(Continuazione  e  fine,  vedi  pag.  57). 


Fino  dal  1801  il  Consalvi,  per  occasione  del  conclave 
di  Venezia,  avea  preso  ad  avversare  Domenico,  il  fratello 
del  nostro  Giuseppe  Antonio,  il  quale  così  ne  lasciò  me- 
moria (i):  «  I  servigi  da  lui  (da  Domenico)  resi  in  quella 
«  circostanza  (del  conclave)  avrebbero  meritato  un  premio. 
«Egli  però  non  cercava  né  compensi  né  avanzamenti;  ma 
ce  non  doveva  mai  aspettarsi  che  il  suo  zelo  dovesse  par- 
te torire  frutti  amarissimi.  Monsignor  Consalvi,  che  fu  se- 
«  gretario  del  conclave,  e  che  mirava  ad  essere  segretario 
«  di  Stato  e  cardinale,  come  ottenne  non  molto  dopo,  es- 
ce sendo  quello  che  si  mise  alla  testa  degli  affliri  in  Venezia, 
((  e  che  non  istruito  abbastanza  delle  cose  nostre,  avrebbe 
u  commesso  de'  sbagli,  soffri  di  malanimo  di  avere  per 
'.(  correttore  l'abate  Sala,  e  di  dover  cedere  talvolta  al  sen- 
«  timento  di  persona  a  lui  inferiore.  Concepì  quindi  un'av- 
«  versione,  che  si  mantenne  per  lungo  tempo,  e  che  por- 
'(  tollo  a  far  poco  conto  di  lui,  e  ad  usare  nel  nominarlo 
«  epiteti  e  frasi  non  molto  convenienti  >•>  (2).  Or  tale  av- 

(i)  Bròve.  notizia  dell' ab.  D.  Sala  cit. 

(2)  Nelle  citate  Memorie  del  Consalvi  sul  conclave  tenuto  a  Ve- 
//.;/</  (presso  il  Ck/ìTINEAU-Joly,  op.  cit.,  I,  199  seg.)  di  tutto  repe- 
rito da  Domenico  Sala  in  quella  congiuntura  non  v'ha  fiato,  e  non 
e  ne  ricorda  nemmeno  il  nome. 

Arcliirin  della  R.  Società  romana  di  storu  ritin   Voi.  XI.  15 


214  G.  Ciignoni 


versione  del  potente  ministro  dovevasi  naturalmente  allar- 
gare a  Giuseppe  Antonio,  si  perchè  è  naturale  disposizione 
del  cuore  umano  il  confondere  tutte  insieme  le  attenenze 
dell'oggetto  inviso,  e  si  perchè  in  lui  pure  ravvisava,  se 
non  il  correttore  autorevole  e  palese,  certo  il  privato  bia- 
simatore di  certi  suoi  concetti  e  di  alcune  sue  teoriche  in 
opera  di  governo  civile  ed  ecclesiastico.  «  Ecco  perchè 
«(nota  altrove  Giuseppe  Antonio  (i)  )  l'ab.  Sala  non  gli 
«  fu  mai  accetto,  come  non  lo  ero  neppur  io,  parte  per  ri- 
«  verbero  della  contrarietà  al  fratello  maggiore,  parte  perchè 
«  in  più  circostanze  non  convenni  ne'  sentimenti  del  por- 
((  porato  ».  Aggiungasi  a  questo  (2)  «  che  il  card.  Consalvi 
«  all'epoca  della  liberazione  della  sa:  me:  di  Pio  VII  (quando 
«  appunto  il  Sala  divulgava  una  parte  del  suo  Piano  di  ri- 
(<.  forma)  esternava  de'  sentimenti  ben  diversi  da  quelli,  che 
«  aveva  prima  degli  antecedenti  fatalissimi  avvenimenti,  e 
«  pienamente  conformi  alle  giustissime  massime  del  S.  Padre. 
((  Noi  ne  facciamo  testimonianza  di  fatto  proprio  per  i  di- 
ce scorsi  sentiti  da  lui  nel  tempo  del  viaggio  di  Sua  Santità 
«  verso  Roma,  e  segnatamente  nei  giorni  di  trattenimento 
«  in  Fuligno,  da  dove  il  cardinale  ripiegò  per  tornare  in 
«  Francia,  progredendo  in  seguito  a  Londra  e  a  Vienna. 
«  Disgraziatamente  quesjo  giro  fu  causa  che,  lasciandosi 
«  sorprendere  dalla  cabala  dominatrice,  che  infestava  tuttora 
«  i  Gabinetti,  concepisse  quelle  idee,  che  sviluppò  meglio 
((  al  suo  ritorno,  e  che  prepararono  la  strada  a  quei  nuovi 
«  dolorosi  avvenimenti,  che  hanno  poi  sconvolta  tutta  l'Eu- 
«ropa,  e  de' quaH   risentiamo  (scriveva   nel  1833)  ancor 

(i)  Br&v&  notila  cit.  Su  tale  proposito  Gaetano  Moroni,  in  una 
sua  del  21  gennaro  1881,  scriveami  :  «Ma  l'onnipotente  cardinal 
«  Consalvi  geloso  di  alcuni  eminenti  uomini,  o  discrepante  colle  loro 
«  idee  (come  del  p.  Cappellari,  cui  ingiustamente,  e  contro  le  inten- 
«  zioni  di  Pio  VII,  antepose  il  p.  Zurla  poco  conosciuto)  vivamente 
«  avversò,  ecc.  ». 

(2)  Breve,  notizia  cit. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      215 

«  noi  i  tristi  effetti  )>.  Del  quale  sviamento  politico  del  Con- 
salvi fanno  altresì  fede  certissima  le  sue  Memorie^  Per  entro 
alle  quali  egli  espone  ed  afferma  appunto  que'  principi  e 
quelle  massime  di  pubblica    amministrazione,  che    sono, 
come  dire,  il  centro,  attorno  a  cui  si  raggira  ed  agglomera 
tutto  il  lavoro  del  Sala,  da  quello  con  tanta  furia  persegui- 
tato. «  La  Providence  (egli  scrive  (i)  )  a  permis  une  se- 
te conde  chute  du  gouvernement  pontificai,  onze  ans  après 
«  son  rétablissement.    Si  cette  Providence  permettait  une 
((  seconde  résurrection,  il  serait  à  désirer  que  le  nouveau 
«  pouvoir ,  en  trouvant   tout    changé  et  détruit  derechef, 
«  profitàt  de  ce  malheur  pour  en  recueillir  plus  de  fruits 
«  qu'on  n'en  avait  tire  lors  de  la  première  restauration.  En 
«  maintenant  les  constitutions  et  les  bases  du  Saint-Siège, 
((  il  faudrait  d'une  manière  victorieuse  surmonter  tous  les 
«  obstacles  s'opposant  aux  changements,  et  aux  réformes 
«  que  pourraient  avec  raison  exiger  l'antiquité  ou  Taltéra- 
«  tion  de  certaines  institutions,  les  abus  introduits,  les  en- 
«  seignements  de  l'expérience,  la  dìfférence  des  temps,  des 
«  caractères,  des  idées,  et  des  habitudes.  Il  est  permis  de 
«  formuler  les  voeux  à  celui  qui  ne  les  exprime  point  par 
«  mépris  des  choses  anciennes,  par  amour  de  la  nouveauté 
«  ou  par  singularité  d'idées,  mais  qui  ne  souhaite  tout  cela 
«  que  pour  le  plus  grand  bien  du  gouvernement  pontificai, 
«  dont  il  est  si  fier  d'étre  membre,  malgré  son  indignité. 
«  Gouvernement  auquel  il  reste  si  profondément  attaché, 
«qu'il  sacrifierait  pour  lui  jusqu'à  son  existence  ».  Or  con 
questi    generali   concetti  del   Consalvi  non  consuona  ap- 
punto in  tutte  quante  le  sue  parti  il  disegno  di  riforma  del 
Sala,  il  quale,  come  già  abbiamo  notato,  sin  dalle  prime 
mosse  si  protesta,  ch'egli  non  intende  «  di  parlare  dell'e- 
«  difizio   immobile  della  Chiesa  »,  ma  si  solo  «  dell' im- 
«  pianto  delle  cose  »  romane  «  rapporto  alla  doppia  am- 

(i)  Mémoires  cit.,  I,  239.  -  Daudet,  Dipìomates  et  hommes  d'État 
conUmporains,  I,  32. 


21 6  G.  Cngnoni 


«  ministrazione  ecclesiastica  e  politica  »?  Altrove  il  Consalvi 
scrive  (i):  «  En  rétablissant  l'ancien  ordre  de  choses,  il 
«  était  facile  de  tirer  un  bien  de  ce  mal.  Quoique  les  ins- 
«  titutions  du  gouvernement  pontificai  fussent  très-sages, 
«  il  est  cependant  hors  de  doute  qiie  certaines  d'entre  elles 
«  dégénéraient  de  leur  primitive  origine.  On  en  avait  al- 
ce téré,  changé  ou  corrumpu  quelques  autres,  et  il  s'en 
«  trouvait  qui  ne  convenaient  plus  au  temps,  aux  idées 
«  nouvelles  et  aux  nouveaux  usages,  Les  effets  et  les  ten- 
«  dances  de  la  revolution,  survivant  à  la  revolution  elle- 
«  méme,  exigeaient  des  atermoiements  et  des  ménagements, 
((  non  moins  pour  la  stabilite  du  Saint-Siège  qu'il  fallait 
«  restaurer,  que  pour  l'avantage  du  peuple.  Je  pourrais 
((  étendre  et  développer  beaucoup  plus  au  long  cette  thèse, 
«  mais  le  peu  de  calme  dont  je  jouis  et  les  obstacles  dont 
«  j'ai  parie  plus  haut,  sans  compter  d' autres  raisons  excel- 
«  lentes  ressortant  de  la  nature  du  sujet,  s'y  opposent  abso- 
«  lument.  Du  reste,  ce  que  j'ai  dit  suffira  à  tout  lecteur 
«  perspicace  pour  saisir  que  de  très-légitimes  et  de  tròs- 
ce justes  motifs  nous  engageaient  àprofiter  de  la  circonstance 
«  et  à  différer  de  quelque  temps  la  restauration  des  anciennes 
«  formes  gouvernamentales  afin  d'en  modifier  quelques 
«  parties,  du  moins  les  plus  urgentes.  Cela  valait  mieux 
«  que  de  le  rétablir  de  suite  tei  qu'il  était  avant  la  révolu- 
«tion;  et  le  Saint-Pére  lui-méme  émettait  ce  voeu  ». 
De'  quali  avvisi  il  primo  articolo  del  Piano  del  Sala  é  ap- 
punto largo  e  minuto  svolgimento.  Né  diversamente  dal 
Sala  lamenta  il  Consalvi  i  falliti  sforzi  di  quella  particolare 
congregazione,  che  Pio  VII  istituì  ne'  primordi  del  suo 
pontificato,  per  discutere  i  diversi  punti  di  quel  disegno  di 
riforma,  che,  per  frapposizione  di  ostacoli  pressoché  insor- 
montabiH,  andò  affatto  in  dimenticanza.  Sul  quale  proposito 
scrive  il  Consalvi  (2)  :  «  En  méme  temps  que  cette  pro- 

(i)  Mémoires  cit.,  II,  233.  -  Daudet,  op.  cit.,  35. 
(2)  Mémoires  cit.,  235. 


Isella  vita  e  degli  scritti  di  G.  (yl.  Sala       217 

((  rogation  se  régularisait,  on  forma  une  congrégation  com- 
<(  posée  de  plusieurs  cardinaux,  de  quelques  prélats  et  des 
<(  séculiers  les  plus  instruits  et  les  plus  estimés  pour  leur 
«  bon  esprit  et  leur  conduite.  On  les  chargea  de  tracer  un 
<(  pian  pour  la  restauration  du  gouvernement,  fonde  sur  les 
<{  bases  et  sur  les  constitutions  antiques,  mais  adapté  aux 
«  conditions  modem es  ainsi  qu'à  la  nature  des  temps,  en 
((  le  dépouillant  des  vices  ou  des  abus  qui  auraient  pu  se 
«  glisser  dans  Tancien  peu  à  peu  avec  les  années,  comme 
«  il  arrive  à  toutes  les  choses  de  la  terre.  La  congrégation 
«  re(;ut  ordre  de  terminer  son  travail  pour  la  mi-octobre. 
«  Le  provisoire  devait  prendre  fin  le  i  ^^  novembre,  après 
«  l'approbation  du  nouveau  pian  par  le  Saint-Pere,  et  alors 
«  on  remettrait  Tautorité  entre  les  mains  des  prélats...  (i). 
«  Pendant  ce  temps,  la  congrégation  formée  pour  le  réta- 
«  blissement  de  l'autorité  acheva  son  travail,  qui  ne  ré- 
«  pondit  point  entièrement  aux  espérances  concues.  Ce 
«  travail  indiquait  plusieurs  changements  et  certaines  mo- 
te difications  sur  divers  points,  mais  il  ne  réglait  pas  tout, 
«  et  peut-étre  méme  ne  régla-t-il  pas  le  plus  important. 
«  S'il  est  partout  difficile  de  vaincre  les  vieilles  habitudes, 
«  d'opérer  des  réformes  et  d'introduire  des  innovations,  il 
«  faut  avouer  que  cela  le  devient  bien  davantage  à  Rome, 
«  ou,  pour  mieux  dire,  dans  le  regime  pontificai.  Là,  tout 
«  ce  qui  existe  depuis  quelque  temps  est  regardé  avec  une 
«  sorte  de  vénération,  comme  consacré  par  Tantiquité  méme 
«  de  son  institution.  Personne  ne  prend  la  peine  de  rer 
«  marqu'jr  qu'il  est  souvent  faux  que  telles  et  telles  règles 
«  aient  été  établies  dans  l'origiifè  comme  elles  apparaissent 
«  actuellement.  Parfois  méme  il  arrive  qu'elles  sont  alté- 
«  rées,  soit  par  les  abus  dont  nulle  institution  humaine  ne 
«  peut  assez  se  garantir,  soit  par  d'autres  vicissitudes,  soit 
«  par  le  temps  lui-méme.  En  outre,  ce  qui  à  Rome  plus  que 

(l)  Mémoires  cit.,  237. 


2i8  G.  Cugnoni 


«  partout  ailleurs  s'oppose  aux  réformes,  c'est  la  qualité  de 
«  ceux  qui,  dans  ces  réformes,  perdent  quelques  attributs  de 
«  leur  juridiction  ou  d'autres  privilèges.  La  qualité  dont  ils 
«  sont  revétus  fait  qu'il  est  plus  malaisé  de  vaincre  leur  ré- 
«  sistence,  et,  par  ces  justes  considérations,  le  pape  lui-méme 
«  se  trouva  quelquefois  force  d'y  avoir  égard.  Et  c'est  pré- 
«  cisement  en  vue  de  telles  déférences  que  je  ne  puis  pas 
{(  longuement  énumérer  ces  obstacles  et  d'autres  semblables 
«  fourmillant  à  Rome  plus  que  partout  et  s'opposant  à  toute 
«  espèce  d'innovations.  Je  me  tairai  donc  sur  ce  point.  Je 
«  me  bornerai  à  dire  que  le  pian  de  la  congrégation  amenda 
«  quelques  abus,  changea  des  institutions,  en  retrancha  ou 
«  en  ajouta  de  nouvelles,  selon  que  le  permirent  les  obsta- 
«  cles  ci-dessus  indiqués.  Je  dois  avouer  encore  que,  sans 
«  l'efficace  volonté  du  Gouvernement,  qui  insista  avec  ri- 
«  gueur  pour  qu'on  se  mìt  à  ouvrir  la  brèche  aux  réformes, 
«  rien  ne  serait  fait  peut-étre,  car  le  Gouvernement  ne  pon- 
ce vait  pas  agir  seul.  L'opinion  publique  ne  devait  point  fa- 
ce voriser  les  innovations  que  le  Saint-Siège  aurait  édictées 
((  de  son  chef.  Ceux,  auxquels  ces  réformes  n'étaient  point 
((  avantageuses,  et  qui,  en  raison  de  leur  qualité  ou  à  cause 
«  de  leurs  rélations,  aspiraient  à  diriger  l'esprit  public,  an- 
ce raient  su  les  discréditer  dans  les  masses.  La  recente  élé- 
c(  vation  du  premier  ministre,  encore  jeune  et  promu  à  ce 
ce  poste  au  désappointement  de  ceux  qui  l'ambitionnaient, 
ce  la  nouveauté  du  pape  lui-méme,  devaient  fournir  des  ar- 
ie guties  et  des  prétextes  contre  les  modifications  et  les 
ce  changements.  Il  importait  de  les  étayer,  du  moins  en 
ce  apparence,  sur  les  idées,  les  conseils  et  les  réflexions  d'un 
ce  grand  nombre,  c'est-à-dire  d'une  congrégation,  d'après 
ce  l'usage  existant  à  Rome  en  pareli  cas.  Le  pape  lui-méme 
ce  par  suite  de  la  douceur  bien  notoire  de  son  caractère  — 
ce  qu'il  soit  permis  de  produire  respectueusement  cet  autre 
ce  motif  de  la  nécessité  ou  Fon  était  de  recourir  à  une  con- 
ce grégation  dans  cette  affaire  —  le  pape  lui-méme  n' aurait 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      219 

«  peut-étre  pas  pu  tenir  téte  aux  opposants  et  protéger  les 
«  réformes  contre  les  attaques  de  tout  genre  auxquelles  il 
«  aurait  fallu  se  résigner,  si  le  Saìnt-Siège  eùt  agit  seul  et 
«  spontanément.  Il  devint  de  necessitò  absolue  de  se  servir 
<(  d'une  congrégation,  et  une  congrégation  ne  pouvait  den- 
te ner  que  ce  que  Fon  obtint.  On  se  vit  obligé  de  s'en  con- 
ce tenter  :  cela  vaut  mieux  que  rien,  comme  dit  le  proverbe 
«  vulgaire.  Le  pape  approuva  et  sanctionna  le  pian  de  la 
«  congrégation  par  une  bulle  intitulée  :  Sur  le  rétabìissement 
«  du  gouvernement,  et  qui  commence  par  ces  mots  :  Post 
(.(■  diiilurnas  » . 

Adunque  il  Consalvi  si  per  antico  rancore,  e  si  'per  le 
sue  mutate  opinioni  politiche  cadde  nella  contraddizione 
di  perseguitare  nello  scritto  del  Sala  i  propri  concetti  e  le 
proprie  persuasioni,  e  di  perseguitarle  con  tale  veemenza, 
da  impedire  vigorosamente  la  diffusione  di  quel  libro,  e  da 
ordinare,  che  ne  venissero  raccattati  con  minutissima  dili- 
genza gli  esemplari  distribuiti  (i).  Nel  che  fu  cosi  pun- 
tualmente obbedito,  che  all'istante  ne  scomparve  ogni  traccia. 
Sicché  io  a  potere  averne  per  pochi  giorni  sott' occhi  una 
copia,  dovetti  moltiplicare  le  ricerche  per  oltre  a  25  anni. 
Per  tal  modo  il  lavoro  del  Sala,  frutto  di  matura  espe- 
rienza ;  risultamento  di  lunghi  ed  accurati  studi  ;  espressione 
sincera  e  liberissima  d'animo  profondamente  persuaso;  ri- 
medio ai  passati  danni  della  Chiesa  e  dello  Stato  ;  proba- 
bile impedimento  dei  futuri  :  appena  nato  fu  spento,  non 
avanzando  all'autore  né  meno  il  compenso  di  richiamarsi 
dell'  ingiusto  tratto  al  giudizio  del  pubblico,  e  solo  restan- 
dogli da  amaramente  lamentare  quell'  «  andamento  di  cose 

.  (i)  Questo  si  desume  dalla  terza  delle  lettere  superiormente  tra- 
scritte nella  nota  a  pagina  $6.  Raccontavami  poi  su  tal  propo- 
sito Antonio  Coppi,  che  il  Consalvi,  tornato  da  Vienna  in  Roma, 
adoperò  tutte  le  arti,  dalle  cavalleresche  alle  diplomatiche,  per  car- 
pire di  mano  a  certa  gentildonna  russa  una  copia  di  quella  stampa  ; 
ma  che  la  scaltra  signora  non  se  ne  lasciò  punto  cnn;licre. 


220  G.  Cugnoni 


«  (scriveva  nel  1833  (i)  ),  che  afflisse  i  buoni,  e  che  stava 
«  in  aperta  opposizione  alle  massime  esternate  in  principio 
«  dal  Santo  Padre....  Tema  vasto  ed  affliggente,  che  basta 
((  avere  toccato  di  volo,  affinchè  rammentando  la  falsa 
«  strada,  nella  quale  s  impegnò  il  Governo  pontificio,  si  ri- 
«  cordi  altresì  che  il  vento  non  spirava  propizio  per  gli  uo- 
«  mini  sinceramente  attaccati  al  principe  ».  Amari  accenti, 
ma  che  rivelano  una  tal  quale  compiacenza  dello  scrittore 
d'avere  antiveduti  i  tempi,  i  quali  poi,  divenendo  a  mano 
a  mano  più  grossi,  recarono  finalmente,  tra  il  1847  e  il 
1849,  il  tardo,  e  perciò  inutile,  trionfo  delle  riforme  con- 
cepite e  caldeggiate  da  lui  ben  ^^  anni  innanzi. 

Della  parte  inedita  di  questo  Fiano  (la  quale,  se  non 
pel  dettato,  certo  per  la  materia  sopravanzava  di  gran  lunga 
la  stampata  (2)  )  ninno,  per  quanto  io  so,  ebbe  mai  notizia 
certa  e  di  fatto,  salvochè,  in  sin  dalle  prime  mosse  della 
sua  gloriosa  carriera,  il  Santissimo  nostro  Padre  Leone  XIII. 
Questi,  mentre  giovanetto  compieva  in  Roma  nella  nobile 
Accademia  ecclesiastica  gli  studi  teologici  e  legali,  recavasi 
di  frequente  al  Sala,  che  amavalo  di  peculiare  benevo- 
lenza (3).  A  costui  adunque  mostrò  egli  un  giorno  il  vo- 
luminoso manoscritto,  e  appresso  gli  consenti  pure  che  lo 
leggesse,  consegnandogliene  a  tale  effetto  con  grande  cau- 
tela ad  uno  ad  uno  i  quaderni.  I  quaU  recatisi  in  casa  il 
giovane  alunno,  non  pure  leggevali,  ma  con  grande  dili- 
genza li  ricopiava.  E  ciò  fu  doppia  ventura:  Tuna,  che  i 
disegni  del  grande  riformatore  venissero  a  mano  di  chi  un 
giorno  li  avrebbe  potuti  a  suo  senno,  tenendo  conto  della 

(i)  Breve  notii^ia  dell' ah.  D.  Sala  cit. 

(2)  Ciò  si  apprende  dai  due  Indici  di  sopra  recati  del  primo  sbozzo 
di  questo  lavoro,  e  dalle  stesse  parole  dell'autore,  il  quale  nell'arti- 
colo VI  scrive  :  «  Dovendosi  quindi  il  mio  Piano  estendersi  ad  una 
serie  ben  lunga  di  articoli  di  ogni  specie,  ecc.  ». 

(3)  Bonghi  R.,  Leone  XIII  e  l'Italia;  Milano,  Treves,  1878,  227, 
in  nota.  -  Civiltà  Cattolica,  ser.  X,  V,  675.  -  Moroni,  Dt:(.  di  erud. 
ecch.  Indice,  V,  160. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala       221 


varietà  de'  tempi  e  degli  avvenimenti,  colorire;  l'altra,  che, 
smarritosi  poscia  il  manoscritto  originale  dell'opera,  ne  sia 
almeno  rimasta  una  copia  autorevole.  Come  poi  quel 
manoscritto  andasse  smarrito,  è  cosa  in  tutto  misteriosa. 
Che  esso  al  tempo  della  morte  del  Sala  esistesse,  non  è  da 
porre  in  dubbio;  quando  Niccola  Milella, ragguardevole  pre- 
lato della  curia  romana,  asserisce  d'avere  caldamente  pre- 
gato il  cardinale  Lambruschini,  allora  segretario  di  Stato, 
perchè,  raccattatolo  dal  luogo  ove  egU  stesso  (il  Milella), 
per  ordine  del  defunto,  avealo  colle  proprie  sue  mani  poco 
innanzi  collocato,  lo  ponesse  in  salvo,  come  cosa  di  pregio 
inestimabile  ;  e  che  quel  cardinale  pochi  giorni  appresso  gli 
significò  d'averlo  riposto  nella  bibHoteca  Vaticana.  Ma  ogni 
più  diligente  ricerca  ivi  fattane  riusci  a  nulla;  né  megho 
profittarono  le  indagini  usate  nell'archivio  Vaticano. 

Donde  viene  non  Heve  impedimento  a  queste  mie  me- 
morie, mancandomi  cosi  il  modo  da  chiarire  il  valore  di 
Giuseppe  Antonio  ne'  maneggi  giuridici,  politici  ed  ammi- 
nistrativi, ai  quali  appunto  si  riferiva  la  parte  perduta  del- 
l'opera. Valore  certo  non  comune,  come  si  può  argomen- 
tare dai  primi  articoli  di  essa  opera  messi  a  stampa,  e 
meglio  ancora  dalla  qualità  del  suo  ingegno  singolarmente 
pratico;  che  è  il  sommo  pregio  di  chi  pigh  a  trattare  l'arte, 
sopra  tutte  difficile,  dell'ottimo  governare.  Ma  oramai  basti 
di  ciò,  e  riprendiamo  il  filo  dell'  interrotto  racconto. 

Ricomposte  adunque  nei  primi  mesi  del  18 14  le  pub- 
bliche cose,  mosse  Giuseppe  Antonio  incontro  a  Pio  VII, 
che  dopo  cinque  anni  d'indegna  prigionia  tornavasene  a 
Roma.  ((  Lo  raggiunsi  (egli  scrive  (i)  )  a  Bologna,  e  fui 
«  graziosamente  invitato  da  Sua  Santità  a  seguirlo  nel  resto 
<(  del  viaggio,  che,  com'è  ben  noto,  fu  interrotto  da  varie 
((  fermate,  e  non  tanto  brevi  in  Imola  e  in  Cesena  »  (2). 

(r)  lircvc  noti^ui  dell' ah.  D.  Sala  clt. 

(2)    l'enne,  durante  quel  viaggio,  l'ufficio  di  cerimoniere,  a  Com- 
«  prendo  (scrivcvagli  il  fratello  Domenico,  il  25  aprile  1814)  Tacere- 


E  in  Cesena  il  pontefice,  cui  tardava  di  attestargli  la 
sua  riconoscenza  per  lo  zelo  operoso  nei  giorni  della 
prova  addimostrato,  gli  diede,  per  biglietto  privato,  con 
fermato  poi  in  Roma  con  breve,  grado  di  prelato  do- 
mestico e  divisa  di  protonotario  apostolico  (i).  Cosi  fu 
ad  esso  aperta  quella,  che  in  corte  di  Roma  chiamasi  car- 
riera, fuor  della  quale  a  ninno,  d'ordinario,  è  concesso  di 
aspirare  agi'  importanti  uffici,  che  sono  scala  al  cardinalato. 
E  come  non  ragione  di  sangue  o  di  ricchezza,  né  sforzo 
d' intrighi  vel  misero  dentro,  ma  bella  fama  di  virtù  e  di 
dottrina  ;  così  egU  non  vi  si  affi-ettò  per  arti  superbe,  o  per 
vili  raggiri,  ma  gloriosamente  percorsela  col  vigore  dell'a- 
nimo sostenuto  e  guidato  da  sapienza.  Ancora  è  da  notare, 
come  delle  dignità,  alle  quali  di  mano  in  mano  egli  venne 
innalzato,  ninna  fu  di  natura  laicale,  ma  tutte  di  uffici  ec- 
clesiastici. La  qual  cosa  chi  si  conosca  degli  usi  della  curia 
papale,  dove  il  salire  è  per  lo  più  effetto  del  chiedere,  non 
recheralla  al  caso;  ma  vi  ravviserà  il  suo  costante  propo- 
sito a  volere  stabilita  «  la  massima,  che  tutte  le  cariche  di 
((  loro  natura  secolari  vengano  conferite  ai  laici  »  (2). 

E  in  prima  ai  due  modesti  ordinari  uffici  di  correttore 
e  di  datario  della  Sacra  Penitenzieria,  i  quali  l'uno  dopo 
l'altro  portò,  gli  si  aggiunse  lo  straordinario  di  consultore 
di  una  speciale  Congregazione  ordinata  sopra  il  ristabili- 
mento degli  istituti  religiosi  annullati  tutti  dal  dominio 
francese.  Qui  tolse  con  grande  animo  a  propugnare  le 
massime,  che  su  tal  punto  aveva  ampiamente  svolte  negli 

«scimento  dei  vostri  imbarazzi  per  dovere  supplire  anche  da  cerìmo- 
«  niere,  ma  spero  che  il  Signore  Iddio  vi  assisterà,  e  vi  darà  salute». 

(i)  A  questo  proposito  scrivevagli,  il  30  aprile  18 14,  il  fratello 
Domenico:  «  L'amorosa  vostra  dei  22,  cui  ho  trovato  annessa  la 
«  copia  del  grazioso  biglietto  di  decorazione  accordatovi  dal  S.  Pa- 
ce dre,  ecc.  ...  La  cosa  è  valutabile  per  se  stessa,  ma  io  la  valuto 
«  principalmente  per  la  graziosa  maniera,  e  termini  con  cui  è  stata 
«  eseguita  ». 

(2)  Piano  di  riforma,  art.  VI. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA,  Sala         223 

articoli  XVI  e  XVII  del  suo  Piano  di  riforma;  sostenendo, 
doversi  restituire  soltanto  le  professioni  di  prima  regola, 
come  quelle,  che  conformandosi  agi'  intendimenti  de'  loro 
fondatori,  ne  serbano  intero  lo  spirito  e  l'indirizzo;  lad- 
dove le  altre  di  seconda  e  di  terza  mano  non  sono  per  lo 
più  che  rilassamenti  e  snervamenti  di  quelle.  «  Li  disordini 
«  delle  comunità  religiose  (son  sue  parole  (i)  )  erano 
«  giunti  a  tal  punto,  da  meritare  che  Iddio  le  annientasse, 
«  come  in  gran  parte  è  seguito  ».  Per  ripristinarU  a  dovere, 
fa  d'uopo  (c  indovinare  ciò,  che  farebbero  li  santi  fondatori, 
«  se  tornassero  al  mondo  »  (2).  Certo  a  questo  effetto  era 
assai  propizia  congiuntura  il  trovare  distrutta  ogni  cosa, 
tanto  che  a  rifabbricare  non  si  avrebbe  avuto  impaccio 
da'  vecchi  ed  intristiti  ruderi  sopravanzati  all'universale 
ruina.  Ma  né  men  questa  volta  la  sua  voce  non  fu  ascol- 
tata ;  e  monasteri  e  conventi  risorsero  quanti  prima,  e  più 
di  prima;  quasi  che  alla  gloria  di  Dio  e  ai  vantaggi  della 
Chiesa  megUo  i  moki  rilassad,  che  i  pochi  austeri  rispon- 
dessero. 

Frattanto  Pio  VII,  spaurito  dai  noveUi  moti  di  Gioac- 
chino Murat,  che  accintosi  all'impresa  d'Italia  s'era  cac- 
ciato con  forte  soldatesca  nella  Marca  d'Ancona,  fuggì 
segretamente  a  Genova  con  picciol  numero  di  seguaci,  e 
tra  questi  Giuseppe  Antonio  (3).  Narrano  che  coki,  avvi- 
cinandosi la  festività  dell'Ascensione,  il  pontefice,  pressato 
da  alcuni  patrizi  perchè  in  quel  giorno  volesse  assistere 
alla  messa  solenne  in  una  delle  principali  chiese  della  città, 
rimettesse  la  decisione  della  cosa  nel  Sala,  come  in  uomo 


(i)  Piano  di  riforma,  art.  XVI. 

(2)  Ivi.  -  Gaetano  Moroni  (JDii.  d'erud,  eccl,  LX,  239)  dice  che 
i  lavori  fatti  dal  Sala  per  la  riforma  dei  corpi  morali,  furono  depo- 
sitati dopo  la  sua  morte  nella  segreteria  della  S.  Congregazione  dei 
vescovi  e  regolari. 

(3)  Gregorio  XVI  nel  crearlo  cardinale  fece  onorevole  menzione 
di  questo  suo  viaggio. 


224  '  ^'  Cugnoni 


disimpacciato  e  prontissimo  ai  ripieghi;  e  che  questi,  an- 
corché, pel  difetto  degl'infiniti  arredi  e  paramenti  all'au- 
gusto rito  necessari,  giudicassela  soprammodo  difficile; 
pure  confortato  dal  buon  volere  e  dalle  larghe  profferte  di 
que'  signori,  provvide  e  dispose  in  brevissimo  tempo  tutto 
quanto  all'uopo  occorreva:  di  sorte  che  la  solenne  ceri- 
monia fu  celebrata  con  sfoggio  e  magnificenza  inaspet- 
tata (i). 

Appresso  a  questo  tempo  fu  esaminatore  de'  vescovi, 
referendario  delle  due  Segnature,  segretario  della  Congre- 
gazione de'  riti  (2),  e  di  quella  de'  negozi  ecclesiastici 
straordinari. 

Nel  1823  sperimentò  di  nuovo  gli  efl^etti  dell'avver- 
sione del  Consalvi:  che  «  mentre  (egli  scrive  (3)  )  nella 
«promozione  del  1823,  quando,  secondo  il  costume,  avrei 
«  dovuto  muovermi  dalla  Segreteria  dei  riti,  e  tutti  erano 
«  persuasi  del  mio  ascenso  a  quella  del  concilio,  fui  pre- 
ce terito,  e  si  pretese  che  fosse  sufficiente  compenso  e  una 
«  pubblica  testimonianza  della  più  marcata  fiducia  lo  avermi 
«  aggiunta  una  Segreteria  tanto  importante,  quanto  quella 
((  degli  affari  ecclesiastici  straordinari,  e  un  canonicato  di 
«  S.  Maria  Maggiore,  che  né  domandavo  né  volevo,  avendo 
«ricusato  tanto  prima  quello  di  S.  Pietro  ».  Più  tardi  poi 
il  Consalvi   mostrossi  pentito  dell'  indegno  tratto.   «  Non 

(i)  V.  la  Rela:(ione  del  viaggio  di  Pio  VII  a  Genova  del  card.  Bar- 
tolomeo Pacca;  Orvieto,  Pompei.  1844,  41;  e  il  Diario  di  Roma 
13  maggio  181 5. 

(2)  Mons.  Baccili,  che  sin  dal  decembre  del  18 14  sollecitavagli 
dal  papa  l' importante  ufficio  di  segretario  dei  Riti,  scriveagli  ai  22 
del  detto  mese  ed  anno:  «  Non  lascerò  di  fare  il  sollecitatore,  onde 
«  evitare,  re  infecta,  il  ritorno  del  Politico  di  Vienna,  le  cui  ultime 
«  lettere  a'  suoi  amici  assicurano  entro  il  mese  la  sospirata  ventura 
«  di  rivederlo  ».  Ciò  non  ostante,  la  pratica  fu  trascinata  per  molti 
mesi,  e  nel  settembre  del  181 5  il  Consalvi  proprio  fu  quegli  che  gli 
partecipò  quella  elezione. 

(3)  Breve  notizia  dell'ab.  D.  Sala  cit. 


'Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala       225 

«  lascerò  per  altro  (prosegue  il  Sala  (i)  )  di  rimarcare  che 
«  il  cardinal  Consalvi  ne  manifestò  in  seguito  il  suo  ram- 
«  marico,  che  si  mostrò  impegnatissimo  per  affrettare  la 
«  mia  promozione,  che  se  in  fondo  non  mi  amava,  aveva 
«  dichiarato  più  volte  di  stimarmi,  e  me  ne  aveva  dato 
«  frequenti  prove,  consultandomi  in  affari  di  rilievo.  Gli 
«  renderò  inoltre  la  lode,  che  più  volte,  quando  il  mio  sen- 
«  timento  fosse  contrario  al  suo,  si  mostrava  pieghevole 
«  alla  forza  delle  ragioni,  e  smontava  dalla  prima  opinione  ». 
Rara  e  edificante  temperanza  di  discorso  dell'offeso  circa 
l'offensore.  Del  quale  non  lascia  pure  di  notare  il  tardo 
imbonire  inverso  del  fratello  Domenico,  e  di  toccarne  le 
lodi.  «  Quanto  all'ab.  Sala  (egli  continua  (2)  ),  negli  ultimi 
«  tempi  sembrava  che  fosse  divenuto  verso  di  lui  meno 
«  duro  ;  e  poiché  spesse  volte  nella  trattativa  degli  affari 
«  vedevasi  il  cardinale  nella  necessità  di  sentire  persone 
«  esperte,  e  di  aver  notizie  da  uomini,  che  ben  conosces- 
«  sero  le  cose  nostre,  o  a  suggerimento  degli  uffiziali  della 
«  Segreteria  di  Stato,  o  ben  anche  di  proprio  impulso  lo 
«  consultava,  e  gli  scriveva  sempre  in  termini  obbliganti. 
«  Nel  breve  tempo  poi  che  sopravvisse  sotto  il  pontificato 
«  di  Leone  XII,  tanto  a  mio  fratello,  quanto  a  me  nell'in- 
«  contrarci  accidentalmente,  o  nel  recarci  talvolta  a  visi- 
«  tarlo,  ci  ^QCQ  sempre  tutte  le  buone  grazie.  Conchiudo 
«  pertanto,  che  il  card.  Consalvi  in  fondo  era  un  uomo  di 
«  ottime  intenzioni,  e  se  per  mala  sorte  non  si  fosse  lasciato 
«  trasportare  dalla  corrente,  sarebbe  stato  un  egregio  mi- 
te nistro  ;  che  ad  onta  della  diversità  di  opinione  sapeva 
«  conoscere,  e  non  si  ricusava  di  adoperare  le  persone  ver- 
te sate  negli  affari  della  S.  Sede  ;  che  dimostrò  abbastanza 
«  di  essersi  ricreduto  e  di  voler  compensare  i  disgusti  re- 
te cati  a  mio  fratello  ed  a  me  ;  e  che  Dio  si  sarA  voluto 


(i)  Breve  twtiiìu  cit. 
(2)  Ivi 


226  G.  Cugnoni 


<(  servire  del  di  lui  mezzo  per  esercitarci  con  qualche  tri- 
<(  bolazione.  Se  il  desiderio,  che  mostrò  il  cardinale  di  gio- 
((  varmi,  quantunque  tardi,  rimase  senza  effetto,  io  gliene 
((  professo  eguale  riconoscenza,  e  per  parte  dell'  ab.  Sala, 
((  che  nulla  cercava  e  nulla  voleva  da  lui,  sono  persuasis- 
<(  simo  che  aveva  dimenticato  e  perdonato  tutti  i  disgusti 
((  antecedenti,  e  godeva  che  fossero  svanite  le  antiche  ani- 
ce mosità  )) . 

Leone  XII,  che  da  privato  avealo  sempre  avuto  in 
grande  stima  ed  amore,  aprendo,  poco  dopo  la  sua  ele- 
zione, la  visita  apostolica  straordinaria,  se  lo  tolse  a  con- 
visitatore col  grado  di  assessore  (i);  lo  promosse  quindi 
al  segretariato  della  Congregazione  del  conciUo;  commisegli 
di  condurre  il  nuovo  concordato  con  la  Francia,  e  di  av- 
viare le  pratiche  con  la  Corona  di  Sardegna  in  ordine  agH 
assegnamenti  delle  rendite  ai  luoghi  pii  del  Genovesato  e 
del  Piemonte  (2)  ;  lo  nominò  visitatore  di  tutti  gli  spedali 
di  Roma. 

(i)  MoRONi,  Dii.  d'end,  eccl,  XVI,  288. 

(2)  V,  MoRONi  Di^.  d'erud.  eccl.,  XXXV [II,  75.  Di  quanta  briga 
fessegli  tale  maneggio,  può  ricavarsi  dalla  seguente  lettera  comuni- 
catami dall'amico  march.  Gaetano  Ferraioli: 

«  Roma,  19  aprile  1828. 
«  Veneratissimo  sig.  avvocato, 

«  Mi  trovo  veramente  confuso,  e  smarrito.  Possano  ha  scritto  a 
«  un  cardinale  esponendo  che  rimase  estremamente  sorpreso  nel  leg- 
«  gere  gli  articoli,  e  che  lei  disse  che  doveva  essere  o  un  pasticcio 
«  del  Commissionato,  o  un  estratto  del  breve  fatto  da  qualcuno  dor- 
«  mendo.  Aggiunge  che  comunque  siasi  si  deve  concludere  non  es- 
ce sersi  qui  capito,  o  creduto  quanto  fu  esposto,  e  che  le  infedeltà 
«  commesse  nell'esposizione  non  potevano  dar  luogo  a  tali  domande. 
«  Suppone  che  il  Commissionato  partisse  senza  aver  cupito  affatto  il 
«  Piano,  e  che  non  sapendo  alle  obiezioni  contraporre  delle  buone 
«  ragioni,  deve  averne  dette  delle  cattive,  le  quali  sempre  rovinano . 
«  la  causa.  Confessa  che  voleva  impugnare  il  riparto  delle  20  mila 
«  lire  di  fondo,  perchè  oltre  i  missionari  molte  altre  corporazioni  ave- 
«  vano  rendite  per  lo  stesso  titolo  ;  rileva  che  l'abolizione  del  rito 


Della  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      227 


Quest'  ultimo  ufficio,  che  poi  sotto  altri  nomi,  secondo 
il  variare  di  quelle  amministrazioni,  portò  fino  al  termine 
de'  suoi  giorni,  gli  diede  occasione  di  esercitare  la  carità 
verso  de' tribolati.  Istituì  nell'ospedale  di  Sancta  Sanctonim, 
colla  cooperazione  della  principessa  donna  Teresa  Boria, 
la  Regola  delle  suore  ospitaliere,  le  quali  prestassero  alle 
inferme,  cui  quello  spedale  è  destinato,  ogni  maniera  di 
servigi,  insino  a  quelli  della  chirurgia  inferiore.  E  se  n'ebbe 

«Augustano  porterà  dell' inconvenienti  assai  più  gravi  di  quello  si 
«  crede,  e  che  l'aggiunta  al  Capitolo  d'Asti  è  buttata.  Si  duole  che 
«  niente  siasi  fatto  per  la  povera  sede  di  VentimigHa,  né  per  i  censi 
«  inesigibili,  né  per  tante  altre  cose.  Conchiude  che  il  bene  della 
«  Chiesa  esigge  che  siano  esattamente  conservati  gli  articoli  del  rie- 
«  pilogo  della  sposizione,  e  si  mostra  persuaso  che  il  Governo  in 
«  coscienza  non  sia  obligato  a  far  di  più  di  quello  che  propone  di 
«  fare  in  seguito  dell'ultima  sessione. 

«  Inserisce  un  foglio  per  narrare  il  risultato  di  detta  sessione,  ed 
(c  io  ne  soggiungo  l'epilogo. 

«  Bisogna  dire  che  il  Commissionato  mutasse  anche  il  titolo  del 
«progetto,  mentre  Possano  lo  nota  cosi:  —  Traccia  da  servire  per 
«  l'estensione  del  pontificio  breve  circa  i  crediti  della  Chiesa  verso 
«  lo  Stato  del  Piemonte,  ecc.  —  Suppongo  che  gli  articoli  non  siano 
«  stati  cambiati,  e  lei  è  in  grado  di  verificarlo  avendogliene  io  man- 
«  dato  la  copia  :  ma  passiamo  all'epilogo. 

«  Opposizione  di  alcuni  magistrati  sulla  massima  toccante  i  beni, 
«  da  non  potersi  ammettere  senza  pregiudicare  ai  diritti  del  Governo, 
«  sotto  la  cui  dipendenza  si  é  sempre  conservata  l'amministrazione 
«  delle  Opere  pie  laicali.  L'arcivescovo  rammentò  che  Sua  Maestà 
«  fin  da  principio  aveva  esternato  essere  sua  intenzione  che  si  evitasse 
«  d'entrare  in  discussione  di  massime.  Lo  stesso  arcivescovo  e  il  ve- 
«  scovo  di  Possano,  attesa  la  loro  qualità,  non  poterono  assoluta- 
te  mente  prender  parte  nella  discussione.  Il  secondo,  dopo  la  protesta 
«che  i  vescovi,  qualora  s'intendesse  d'impugnare  apertamente  la 
«  massima,  dovrebbero  sostenerla,  aggiunse  che  siccome  lo  scritto 
«  veniva  communicato  al  Congresso  acciò  osservasse  se  potesse  in- 
«  sorgere  qualche  difficoltà,  poteva  questo  naturalmente  rilevare,  che 
«  r  inserzione  di  un  tale  articolo  nel  breve  avrebbe  suscitato  degli 
«  ostacoli  all'accettazione  del  medesimo,  onde  senza  esaminare  se  gli 
«  ostacoli   fossero   ragionevoli,  o  no,  poteva  benissimo  proporre  di 


228  G.  Cuffuont 


in  breve  cosi  ottima  prova,  che,  pochi  anni  dopo,  Leone  XII 
con  motuproprio  del  3  gennaio  182^  riconobbe  solenne- 
mente il  novello  istituto,  e  ordinò  si  allargasse  agli  altri 
ospedali  femminili  della  cittA.  Dettò,  nel  1835,  una  pro- 
posta di  riunione  di  tutti  gli  ospedali  di  Roma,  salvo  quello 
di  S.  Spirito,  da  effettuarsi  «  mediante  un  regolamento,  che 
((  leghi  fra  loro  le  diverse  parti  del  generale  institiito,  e  che 
«abbia  per  base:  1°  di  conservare  a  ciascuno  ospedale  il 
«suo  patrimonio  distinto,  in  modo  però  che  venga  ammi- 
«  nistrato  con  diligente  economia,  e  che  trovandosi  nello 
«  stabilimento  qualche  sopravanzo  di  rendita,  serva  a  ripia- 
«  nare  il  vuoto  di  quegli  ospedali,  che  si  trovassero  in  bi- 
«  sogno,  evitando  così  qualunque  spesa  superflua,  non  che 
«  il  pericolo  di  nuovi  aggravi  al  pubblico  erario:  2°  di  con- 

«  prescindere  da  tale  articolo  per  evitare  se  non  altro  le  lunghezze 
«  che  seco  portano  ognora  gli  ostacoli,  ancorché  poi  in  fine  si  su- 
'c  perino.  Fu  quindi  adottato  di  proporre  una  tale  omissione. 

«Non  si  capirono  varie  cose  degli  altri  articoli.  Per  esempio 
«  perchè  si  dovessero  continuare  le  pensioni  ai  religiosi  rientrati  nelle 
«  case  dotate  :  si  dovè  credere  che  U  senso  dell'articolo  fosse  di  non 
«togliere  maggior  numero  di  pensioni  di  quello  cui  corrispondesse 
«  l'annuo  reddito  della  dotazione,  e  quindi  si  concluse  che  riunendosi 
«  in  qualche  convento  un  numero  di  pensionati  maggiore  di  quello 
«  che  portasse  la  dotazione  assegnata,  si  provvederebbe  colla  conti- 
«  nuazione  delle  pensioni  a  quei  religiosi  che  formassero  l'eccedenza 
«  del  numero. 

«  In  ossequio  della  S.  Sede  si  astenne  il  Congresso  dal  fare  alcun 
«  rilievo  contro  la  distribuzione  delle  lire  20  mila,  e  avendo  il  vescovo 
«  di  Possano  incominciato  a  combattere  la  ragionevolezza  di  tale  di- 
ce stribuzione,  fu  interrotto  concludendosi  unanimemente  che  non  con- 
ce veniva  di  fare  la  menoma  osservazione  sopra  una  cosa  espressa- 
c(  mente  gradita  alla  S.  Sede. 

«  Non  si  capì  l'articolo  sulle  congrue  delle  parrochie,  trovandosi 
«  già  portate  a  500  franchi. 

«  Non  si  capì  neppure  perchè  si  voglia  la  liquidazione  de'  residui 
«  Monti  ex-gesuitici,  qual  obligo  non  passerebbe  giammai  colle  mas- 
cè sime  de'  magistrati  che  ne  pretendono  padrone  il  Governo,  e  l'am- 
ce  mortizazione  di  tali  residui  monti  era  chiesta  in  compenso  di  altre 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      229 


«  servare  le  amministrazioni  particolari,  organizzando  però 
«  una  deputazione  generale  incaricata  di  esaminare  i  pre- 
ce ventivi;  di  sindacare  i  rendiconti  ed  invigilare  sulle  spese 
«  straordinarie;  di  tener  fermi  i  regolamenti  e  le  massime 
«  generali.  Questa  specie  di  unione  contribuirebbe  al  per- 
«  fezionamento  di  un'opera,  che  può  dirsi  della  più  ampia 
«  importanza,  come  quella,  che  tende  al  grande  oggetto  di 
«  procurare  la  salute  spirituale  e  corporale  de'  poveri  in- 
«  fermi».  E  proponeva  all'uopo  le  seguenti  massime. 

i""  ((  Gli  ospedali  di  Roma,  dovendo  considerarsi  come 
«  parti,  le  quali  unite  insieme  completano  l'istituto,  che  ha 
«  per  scopo  di  prestar  soccorso  all'  umanità  languente  per 
«  ogni  specie  di  malattia,  conserveranno  la  divisione  delle 
«  rispettive  attribuzioni  tanto  saggiamente  prescritte  e  san- 
«  zio  nate  nel  breve  della  s.  m.  di  Pio  Vili; 

(c  ragioni  a  cui  il  Governo  rinunzia,  come  si  è  esposto  nel  Piano.  Q,uan- 
«  tunque  la  cosa  si  lasci  alla  coscienza  del  re,  ciò  darebbe  sempre 
«  luogo  a  scrupoli  per  il  religioso  sovrano.  Si  è  quindi  presa  la  de- 
ce terminazione  di  liquidare  altre  30  mila  lire  annue,  assegnandosene 
«  IO  mila  ai  Gesuiti  de'  Ss.  Martiri,  e  riservando  il  resto  per  prove- 
«  dere  alle  domande  giunte  posteriormente  al  Congresso. 

«  Inoltre  si  è  proposto  che  quando  le  pensioni  regolari  saranno 
«  ridotte  ad  annue  lire  800  mila,  si  destineranno  altre  lire  100  mila 
«  per  megliorare  la  condizione  de'  parrochl. 

«  Termina  il  vescovo  dicendo  che  non  ricorda  che  siasi  trattato 
«  d'altro,  e  non  ha  copia  ne  dello  scritto  del  progetto,  né  del  processo 
«  verbale  che  non  ha  per  anche  veduto.  Crede  però  di  non  aver  à\- 
«  menticato  cosa  alcuna  di  sostanza. 

«  Io  vado  consumando  tutto  il  mio  tempo  in  lettere,  e  in  disbrigo 
«  degli  affari  della  giornata,  nò  posso  avere  un  solo  giorno  di  quiete 
«  per  attendere  airultimazione  di  quest'affare  che  mi  fa  perdere  la 
«  testa.  Se  Dio  non  mi  aiuta  sono  perduto. 

«  Riceva  le  assicurazioni  della  costante  stima  e  amicizia  con  cui 
«  sono  a  tutte  prove 

«  D"^°  ObbP"  servitore  e  amico 

«  GlUSEPPANTONIO    SaLA  ». 

«  Sig.  avv.  Ant°  Tosti,  qcc. 
«  Genova  ». 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  Storia  patria.  Voi.  XI  lò 


230  G.  Cugnoni 


2^  ((  Resteranno  ferme  le  deputazioni  speciali  stabilite 
«  nel  suddetto  breve,  come  pure  la  separazione  de'  rispettivi 
«  patrimoni,  scritture,  computisterie  e  ministero.  I  rinvesti- 
«  menti  sia  di  lasciti,  sia  di  capitali  soggetti  a  cambiamento, 
((  sia  di  sopravanzi  che  rimangano  disponibili,  dovranno 
«  farsi  per  conto,  ed  a  nome  dell'ospedale  a  cui  apparten- 
((  gono  ; 

3^  «  Una  deputazione  generale  avrà  cura  di  assegnare 
«  in  principio  d'anno  alle  deputazioni  speciali  la  somma 
«spendibile  a  norma  de'  preventivi  da  essa  approvati;  di 
«  sindacare  i  rendiconti  ;  di  provvedere  alle  spese  straordi- 
«  narie  e  bisogni  imprevisti  ;  di  regolare  i  concorsi  per  for- 
«  mare  la  massa  delle  famiglie  medico-chirurgiche,  e  dare 
<(  i  rimpiazzi  e  movimenti  opportuni  ;  d' invigilare  su  tutto 
«  ciò  che  riguardi  gì'  interessi  comuni  degli  spedali,  e  sul- 
«  r  uniformità  ed  osservanza  delle  massime  e  regolamenti  ; 

4^  «  Le  deputazioni  speciaH  insieme  unite,  coll'ag- 
«  giunta  di  sei  deputati  estranei  alle  deputazioni  particolari, 
«  due  ecclesiastici  e  quattro  laici,  formeranno  la  deputazione 
«  generale,  la  quale  sarà  presieduta  dal  cardinal  presidente 
«  dell'arcispedale  del  SS.  Salvatore  ad  Sancta  Sanctorum, 
«  protettore  dell'  Istituto  delle  suore  ospedaliere.  I  due  ec- 
ce clesiastici  aggiunti  si  occuperanno  particolarmente  di  tutto 
«  ciò  che  riguarda  l'adempimento  dei  legati  pii,  l'assistenza 
«  spirituale  agl'infermi,  la  condotta  religiosa  e  morale  delle 
«  rispettive  famiglie;  due  deputati  laici  saranno  incaricati 
«  della  sorveglianza  sull'amministrazione  de'  beni,  sui  nuovi 
«  affitti,  sull'escussione  de'  debitori,  sulla  regolarità  delle  ri- 
«  scossioni  e  versamenti  :  gli  altri  due  avranno  l' incarico 
«  di  rivedere  i  preventivi  e  consuntivi  e  di  esaminare  le 
«  richieste  straordinarie  che  occorrano  nel  decorso  del- 
«  l'anno  ; 

5^  «  Nelle  generali  adunanze  ciaschedun  deputato  avrà 
«  voto  deliberativo.  Trattandosi  però  gì'  interessi  di  una 
«  deputazione  particolare,  i  membri  che  la   compongono 


T>ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      2 

«  avranno  soltanto  voto  consultivo.  La  votazione  sarà 
«  segreta  ; 

6^  ((  Le  adunanze  della  deputazione  generale  si  ter- 
«  ranno  sei  volte  all'anno,  e  anche  straordinariamente  qua- 
«  lora  lo  esiga  il  bisogno,  nei  giorni  da  stabilirsi  dal  car- 
{(  dinaie  presidente; 

7^  «  Il  segretario  generale  e  assessore  della  depu- 
«  tazione,  per  quelli  aiuti  di  cui  possa  abbisognare,  potrà 
«  servirsi  dell'opera  degli  antichi  impiegati  della  cessata  depu- 
(c  tazione  complessiva  degli  ospedali,  che  trovansi  in  riposo, 
«  e  che  godendo  del  soldo  in  ritiro,  sono  in  obbligo  di 
«  prestarsi  senza  nuovo  appuntamento,  secondo  gli  ordini 
«  che  verranno  dati  su  tal  proposito  dal  cardinale  presi- 
«  dente  ; 

8^  «  Le  deputazioni  speciali  prima  del  cadere  del- 
«  Fanno  esibiranno  il  preventivo  delle  spesa  per  l'anno  pros- 
«  simo.  I  due  deputati  sindacatori  ne  faranno  rapporto  alla 
«  deputazione  generale,  la  quale  stabilirà  la  somma  spen- 
«  dibile; 

9^  «  Le  deputazioni  particolari  amministreranno  libe- 
«  ramente  la  loro  azienda  entro  i  limiti  del  preventivo  ap- 
«  provato.  Dovranno  però  ogni  bimestre  trasmettere  alla 
«  segreteria  generale  lo  stato  di  cassa,  affinchè  la  deputa- 
«  zione  complessiva  confrontandolo  col  preventivo  sia  in 
«  grado  di  conoscere  se  procede  in  regola,  o  se  vi  sia  pe- 
ce ricolo  di  esaurimento  di  fondi  innanzi  tempo  ; 

IO''  «  Ciascuna  deputazione  particolare  presenterà 
((  ogni  anno  il  bilancio  alla  deputazione  generale,  la  quale 
«  cogli  avanzi  di  uno  stabilimento  potrà  supplire  al  deficit 
«  di  un  altro.  Che  se  restino  tuttavia  dalle  somme  libere  e 
«  disponibili,  verranno  queste  erogate  a  profitto  dell'ospe- 
«  dale,  al  quale  appartengono  ; 

1 1  *  «  Di  quelli  oggetti  ch'esigessero  speciali  prò vvi- 
«  denze,  il  cardinale  presidente  ne  farà  relazione  alla  Santità 
«  di  N.  S.  Esso  unitamente  ai  presidenti  delle  deputazioni 


232  G.  Cugnoni 


«  speciali  presenterà  ogni  anno  i  rapporti  e   i   rendiconti 
«  delle  rispettive  amministrazioni  ; 

12°-  «  Queste  disposizioni  riguardano  gli  ospedali  ad 
«  Sancta  Sanctorum,  di  S.  Giacomo  in  Augusta,  di  S.  Gal- 
ee licano,  della  Consolazione  e  di  S.  Rocco,  i  quali  forme- 
«  ranno  T  unione,  di  cui  si  è  parlato  negli  articoli  precedenti. 
«  In  conseguenza  non  saranno  applicabili  all'arcispedale  di 
«  S.  Spirito  e  suoi  annessi,  i  quali  per  se  medesimi  costi- 
«  tuiscono  un  corpo  o  un'azienda  abbastanza  vasta,  né  al- 
ce r Ospizio  de'  convalescenti,  che  trovasi  unito  all'Opera  dei 
«  pellegrini  e  ad  altre  opere  pie  sotto  la  direzione  delFàr- 
<(  chiconfraternita  della  SS.  Trinità. 

«  Le  surriferite  disposizioni,  senza  punto  alterare  la  so- 
ft stanza  del  citato  breve  della  s.  m.  di  Pio  Vili,  contri- 
te buiranno  ad  ottenere  l'esatta  esecuzione,  principalmente 
«  in  quella  parte,  che  ha  rapporto  all'  uniformità  dei  rego- 
«  lamenti  quae  in  valetudinariorum  honum  invecta  sunt,  non 
«  che  ad  assicurare  il  buon  andamento  delle  rispettive  am- 
«  ministrazioni,  e  a  fornire  un  mezzo  facile  e  pronto  per 
«  accorrere  ne'  casi  straordinari  al  bisogno,  in  cui  possono 
«  trovarsi  gli  ospedaH  per  il  momentaneo  rimpiazzo  de'  pro- 
«  fessori  » . 

A  dar  mano  a  questo  disegno  avealo  infervorato  lo 
stesso  papa,  dacché  «  nell'occasione  di  umiliargli  (scriveva 
«  egli,  il  Sala,  all'avv.  Stolz  il  28  settembre  1835)  il  ren- 
«  diconto  dello  stralcio  degli  ospedali  ebbi  campo  di  ram- 
«  mentare  gli  artifizi  che  furono  adoperati  per  indurre  la 
«  s.  m.  di  Pio  Vili  a  distruggere  l'opera  de'  suoi  imme- 
«  diati  antecessori:  ed  esposi  le  conseguenze  dell'attuale 
«  isolamento,  rilevando  in  particolar  modo  i  disordini  del- 
«  l'ospedale  di  S.  Giacomo  e  l'errore  commesso  da  mon- 
«  signor  Fabrizi  col  lasciarlo  in  mano  all'abate  Acquari. 
«  Mostrossi  il  S.  Padre  persuaso  della  soHdità  de'  miei  ri- 
«  lievi,  e  propenso  a  prendere  qualche  misura,  per  riallac- 
«  ciare  1'  unione,  in  modo  però  che  le  amministrazioni  con- 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA,  Sala      233 


«  tinuìno  ad  essere  separate.  Domandai  se  Sua  Santità  mi 
«  avrebbe  permesso  di  umiliarle  qualche  progetto,  ed  ebbi 
«  risposta  affermativa  » .  •  , 

Or  come  il  Sala  in  ogni  cosa  guardava  principalmente 
alla  pratica;  cosi,  a  facilitare  che  il  suo  disegno  venisse  co- 
lorito, minutò  perfino  la  bolla,  con  la  quale  il  papa  gli 
desse  sanzione  (i).  Ma  sopravvenuti  fra  questo  tempo  i 
timori  e  le  minacce  della  pesta  colerica,  bisognò  rivolgere 
gli  studi  e  le  cure  ad  altri  apparecchi:  perchè  la  proposta 
del  Sala  fu  messa  da  banda.  Più  tardi  però  fu  riassunta 
dal  pontefice  Pio  IX  e  mandata  ad  effetto  (2). 

Oltre  questo  lavoro  generale,  ne  {qcq  altri  speciali  per 
le  amministrazioni  separate  degU  ospedaH  di  S,  Spirito,  di 
S.  Giovanni  ad  Sancta  Sanctorum,  e  di  S.    Gallicano  (3). 

A  questi  provvedimenti  radicali  e  duraturi  aggiungeva 
una  continua  ed  esatta  vigilanza  sul  governo  dei  malati. 
Al  qual  uopo  mostravasi  d' improvviso,  quando  in  uno  e 
quando  in  altro  ospedale,  nell'ora  del  mangiare,  ed  assag- 
giava le  vivande;  e  dove  non  le  trovasse  buone  e  nutri- 
tive, ne  rampognava  acremente  ed  in  pubbhco  i  provve- 
ditori e  i  soprastanti.  Egual  modo  tenea  co'  medici  e  co' 
chirurgi,  sorprendendoU  di  sovente  nell'atto  della  visita,  per 
accertarsi  della  loro  puntualità.  Per  le  quaU  sue  diligenze 
avveniva  che  i  meschinelli,  ammalando,  non  abborrissero 
dagli  ospedali,  quasi  da  ricoveri  tristi  e  spietati;  ma  anzi 
di  buona  voglia  vi  si  lasciassero  recare  come  a  stanze  con- 
fortevoli ed  agiate  (4). 


(i)  «  SS.mi  D.  N.  Gregorii  Div.  Prov.  Papae  XVI  Literae  Apo- 
«  stolicae  quibus  nosocomiorum  Urbis  administrationi  prospicitur  : 
Altnae  Urbis  yy^  ecc. 

(2)  Moto  proprio  della  S.  di  N.  S.  papa  Pio  IX  sulla  Commis- 
sione degli  ospedali  di  Roma,  esibito  negli  ntti  dell'Argenti  segretario 
di  Camera  il  giorno  18  settembre  i8$o.  Rom;i,  tip.  della  R.  C.  A.,  1850. 

(3)  MoRONi,  Di^.  d*erud.  eccl,  LX,  239. 

(4)  In  qual  pregio  avesselo  Leone  XII  per  questa  sua  operosità 


234  ^'  Cugnoni 


Degno  altresì  di  memoria  è  il  caso  della  restituzione 
del  vescovato  di  Ginevra,  occorso  sotto  il  pontificato  del 
Della  Genga,  e  menato  a  buon  fine  dalla  prudenza  del  Sala. 
L'abate  Vuarin,  un  parroco  di  Ginevra,  stimando  oppor- 
tuno agl'interessi  religiosi  del  luogo  che  il  cantone  di 
Ginevra,  sottratto  alla  giurisdizione  del  vescovo  di  Losanna, 
venisse  eretto  in  sede  vescovile  ;  ne  fece  proposta  al  pon- 
tefice. La  riuscita  del  maneggio,  per  le  difficoltà  che  ne 
sarebbero  naturalmente  insorte  da  parte  del  diocesano  e  da 
quella  del  Governo  locale,  mostravasi  dubbia  oltremodo  e 
malagevole.  Fu  all'  uopo  ordinata  una  Congregazione,  com- 
posta dei  cardinali  per  senno  e  per  dottrina  più  ragguardevoli  ; 
e  furono  SeveroH,  Della  Somaglia  segretario  di  Stato,  Zurla 
vicario,  Castiglioni  penitenziere  maggiore  e  Pacca.  A  questi 
vennero  aggiunti  don  Mauro  Cappellari,  che  fu  poi  Gre- 
gorio XVI,  come  consultore  teologo,  e  monsignor  Sala 
quale  mediatore  Tra  i  cardinali  e  il  pontefice,  e  fra  questo 
e  il  Vuarin.  Stimava  la  Congregazione,  che  si  dovesse 
adoperare  in  modo  con  quel  vescovo,  da  indurlo  a  spon- 
taneamente rassegnare  il  suo  grado  :  era  d'opinione  il  Vuarin, 
che  decretato  senz'altro  della  Santa  Sede  quello  smembra- 
mento, se  ne  desse  notizia  al  vescovo  con  invito  di  acco- 
glierne sommessamente  la  sentenza.  Il  Sala,  entrato  nell'av- 
viso del  parroco,  riusci  con  rara  destrezza  a  farlo  prevalere. 
Sicché  il  papa,  notificata  per  breve  a  quel  vescovo  la  presa 

nell'amministrazione  ospitaliera,  si  può  ricavare  dai  due  seguenti  bi- 
glietti, scrittigli  dal  fratello  Domenico  : 

A)  «  Il  Cardinale  (Pacca)  ha  riparlato  per  tentare  di  stringere, 
«  anco  perchè  gli  sarebbe  commodo  un  abile  Segretario.  Il  Papa  ha 
«  continuate  le  lodi  e  si  è  mostrato  in  angustie  per  non  aver  di  chi 
«  valersi  nelV oggetto  Spedali,  ed  insieme  ha  mostrato  rammarico  se  non 
«  aderisce  alle  premure  del  Cardinale  ». 

B)  «  Il  Papa  ha  interrogato  il  Cardinale  (Pacca),  il  quale  ha 
«  risposto  proponendo  voi.  Il  Papa  ne  è  convenuto  e  ne  ha  parlato 
«  con  lode.  Ha  soggiunto  però  di  trovarsi  sospeso,  perchè  crederebbe 
«  che  fosse  meglio  deputarvi  Presidente  degli  Ospedali  ». 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  OA.  Sala       235 


decisione,  non  pure  non  l'ebbe  avverso,  ma  anzi  coope- 
ratore (i). 

La  dignità  cardinalizia  ritardatagli  per  gli  accennati  con- 
trasti del  Consalvi,  non  gli  fu  conferita  né  da  Leone  XH 
né  dal  costui  successore  Pio  Vili:  e  sebbene  Funo  e  l'altro 
ne  avessero  fatto  disegno,  non  giunsero  però  in  tempo  da 
porlo  ad  effetto  (2). 

Pio  Vili,  legato  a  lui  per  antica  amicizia,  appresso  alla 
sua  esaltazione  lo  spedi  a  Cingoli,  sua  patria,  per  recare  a' 
suoi  congiunti  la  lieta  novella  (3)  ;  e  alla  chiesa  catte- 
drale di  quella  città  (4),  e  al  santuario  Lauretano  (5)  fece 
tenere,  per  suo  mezzo,  ricchi  donativi. 

Toccava  omai  il  settantesimo  anno,  quando  Grego- 
rio XVI,  nel  suo  primo  concistoro  del  30  settembre  183 1, 
lo  creava  cardinale  dell'ordine  de'  preti,  magnificandone  i 
meriti,  ed  esaltandone  le  virtù  (^).  La  grandezza  del  nuovo 


(i)  Del  Vuarin  V.  Moroni,  jDì:(.  d'erud.  eccL,  XXX,  144-246. 
V.  Bresciani  A.,  L'Ebreo  di  Verona,  cap.  LVI,  Suor  Clara. 

(2)  Il  fratello  Domenico,  il  6  febbraio  1830,  scrivevaglì:  «...  Dal 
«  medesimo  (cardinale  De  Gregorio)  avrete  saputo  che  il  Padrone 
«  (Pio  Vili)  facendo  molti  elogi,  dichiarò  ieri  mattina  al  Card.  Pacca, 
«  e  ier  sera  allo  stesso  Card.  De  Gregorio,  che  vi  riserverà  in  petto, 
«  perchè  questa  volta  non  può  fare  più  di  tre  Cardinali  ». 

E  tre  giorni  appresso  scrivevaglì  :  «  Il  Card.  Pacca  è  venuto  a 
«  dirmi  che  ha  avuto  il  permesso  di  manifestare  che  siete  riservato 
«  in  petto  ». 

Ed  egli  stesso,  Giuseppe  Antonio,  ringraziando  per  iscritto  il  pon- 
tefice Gregorio  XVI,  non  sì  tosto  ne  ebbe  avviso,  della  destinatagli 
dignità  cardinalizia,  cosi  notava  :  «  Se  i  servigi  da  me  debolmente 
«  prestati  alla  S.  Sede  fecero  concepire  ai  due  immediati  suoi  Antc- 
«  cessori  l'idea  di  decorarmi  della  S.  Porpora;  nò  l'uno,  nò  l'altro 
«  giunse  ad  eseguire  i  suoi  disegni  ». 

(3)  MoRONi,  Di:(.  d'erud.  eccl,  LX,  238. 

(4)  Ivi,  XIII,  174. 

(5)  Ivi,  XXXIX,  260. 

(6)  Sanctissimi  D.  N.  Gregorii  div.  prov,  Papae  XVI  Allocutio  habitu 
in  Concistorio  secreto  die  XXX  septembris  MDCCCXXXI;  Romae,  eod. 


2}6  G.  Cugnoni 

stato  non  gli  guastò  l'animo,  né  punto  lo  distolse  dalla 
sua  consueta  operosità.  E  oltre  alla  continua  faccenda,  che 
s'aveva  di  studiare  le  infinite  e  svariate  materie  di  molte 
^acre  Congregazioni  (i),  le  cui  adunanze  costantemente 
frequentava,  recando  nelle  discussioni  tale  lucidezza  d'idee 
e  vigorìa  di  discorso,  che  il  suo  parere  prevaleva  sempre 
su  quello  degli  altri;  era  di  sovente  adoperato  dal  papa 
come  suo  particolar  consigliere  intorno  a  partiti  di  straor- 
dinaria importanza,  o  come  esecutore  di  commissioni  ge- 
lose. Fra  le  quali  è  da  annoverare  la  pubblicazione  dei 
Documenti  relativi  alle  contestazioni  insorte  fra  la  Santa  Sede 


an.,  ex  tip.  R.  C.  A.  Nella  quale  allocuzione  così  il  pontefice  del  Sala 
favellò  : 

«  Quibus  autem  laudibus  Venerabilem  Fratrem  Beryti  Archiepi- 
«  scopum,  et  Apostolicum  Nuntium  Nostrum  (il  card.  Luigi  Lam- 
«  bruschini)  prosequuti  sumus,  iisdem  Dilectum  quoque  Filium  Pro- 
(c  tonotarium  Apostolicum  Josephum  Antonium  Sala  Pontificiae 
«  Congregationis  Tridentinae  Synodi  interpretis  Secretarium  ornamus. 
«  Nam  et  ipse  in  rerum  Ecclesiasticarum  tractatione  triginta  ànnorum 
«  spatìo  scite,  indefesseque  versatus,  dignum  se  reddidit,  quem  S.  R.  E. 
«  Cardinalem  renuntiemus.  Is  enim  comes  datus  Cardinali  Caprarae 
«  Episcopo  Aesino,  quando  Legatus  a  latere  a  Pio  VII  Lutetiam  Pa- 
ce risiorum  missus  fuit,  Legationis  illius  perquam  salebrosae  ac  discri- 
«  minis  plenae  Secretarius;  quo  ingenii  acumine,  qua  sacrarum  rerum 
«  scientia,  qua  fide,  qua  animi  firmitate  eminuerit,  nemo  Vestrum 
«  ignorat.  Nihil  igitur  mirum  Praesulem,  de  quo  agitur,  tanti  a  Summo 
«•Pontifice  Pio  VII  factum  esse,  ut  idem  Pontifex  nunquam  satis  lau- 
«  dandus  eum  itinerum  in  re  trepida  a  se  susceptorum  comitem,  et 
«  lateri  suo  adhaerentem  voluerit.  Congregationum  postea  Sacris  Ri- 
«  tibus  ordinandis,  extraordinariis  Ecclesiae  negotiis  pertractandis, 
«  Tridentinae  Synodo  interpretandae  gradatim  Secretarius,  merita 
«  sibi  ad  sublimem  Cardinalatus  Dignitatem  assequendam,  quae  la- 
«borum  Sedi  Apostolicae  insumptorum  merces  simul  et  praemium 
«  est,  intente  cumulavit  », 

(i)  Le  Sacre  Congregazioni,  fra  i  cui  E.mi  Componenti  venne  an- 
noverato, furono  quelle  del  Concilio,  degli  Affari  ecclesiastici  straor- 
dinari, de' Riti,  per  la  riedificazione  di  S,  Paolo,  della  Residenza  de' 
vescovi,  dell'  Indice,  di  Propaganda,  Particolare  della  Cina. 


^ellà  vita  e  degli  scritti  di  G.  oA.  Sala      237 

ed  il  Governo  francese  dal  1801  al  1814  (i).  Aggiungev'ansi 
a  tutto  questo  i  minori,  e  spesso  fastidiosi  negozi,  che  ve- 
niangli  dai  protettorati  e  dalle  presidenze  d'ordini  regolari, 
di  municipi,  di  pii  istituti,  di  confraternite,  di  accademie  (2)  ; 

(i)  Documenti  relativi  alle  contesta:(ioni  insorte  fra  la  Santa  Sede  ed 
il  Governo  francese.  S'.  1.,  1833-34,  voi.  6. 

(2)  Fu  uno  de'  Protettori  dell'Accademia  teologica  nell'Università 
romana;  socio  delle  Accademie  degli  Aborigeni,  de'  Q.uirini,  de'  Forti, 
di  S.  Luca,  Tiberina,  di  archeologia  e  della  Congregazione  de'  Vir- 
tuosi al  Pantheon;  aggregato  all'Ordine  Certosino,  e  al  Benedettino 
Cassinese.  I  municipi  di  Trevi  nell'Umbria  (5  ottobre  1814),  e  di  Ma- 
telica  nelle  Marche  (26  luglio  1831)  lo  ascrissero  al  loro  patriziato. 
Il  municipio  di  Trevi  volle  così  attestargli  la  sua  gratitudine  «  per 
«  avergli  ottenuta  la  grazia  di  potersi  liberare  dai  tanti  mali,  che  soffre 
«  dalle  devastazioni  di  questi  torrenti  »  (Leti,  della  pubh.  Rappresen- 
tanza di  Trevi,  II  ottobre  1814).  Appresso  (marzo  1819)  aggiunse  il 
Sala  a  quella  città  altro  beneficio.  E  fu  che  con  suo  pieno  consenso 
vennero,  per  l'autorità  di  un  breve  pontificio  del  5  febbraio  18 19, 
«  devoluti  al  Collegio  Lucarini  (del  luogo)  tutti  e  singoli  beni  e  red- 
«  diti,  sì  rustici  che  urbani  e  di  qualunque  altra  specie  essi  siano, 
«  spettanti  al  Priorato  di  S.  Tommaso,  e  tali  e  quali  si  godevano  da 
«  S.  E.  R.ma  Mons.  Giuseppe  Antonio  Sala  domiciliato  in  Roma», 
secondo  che  leggesi  in  un  foglio  privato  del  1°  marzo  18 19,  con  cui 
gli  amministratori  del  Collegio  Lucarini  si  obbligarono,  in  corrispon- 
denza di  tale  cessione,  di  pagare  al  Sala,  finché  vivesse,  l'annuo  ca- 
none di  ducati  215  fissato  nello  stesso  breve.  Del  qual  fatto  è  me- 
moria nella  seguente  iscrizione,  dipinta  in  fresco,  e  omai  in  parte 
scomparsa,  sulla  fronte  di  quella  chiesa  di  S.  Tommaso,  sede  di  quel 
priorato  : 

«  Pio  .  VII  .  P.  M.  [  Parenti  .  optimo  |  Benignissime  .  annuenti  ] 
«  Atque  I  Amplissimo  .  Principi  .  Julio  Card.  Gabriellio  |  Sacrae  . 
«  Congregationis  .  Concili!  .  Praefecto  |  Collegii  .  Lucarini  .  Trebii  | 

«  Patrono  .  praesentissimo  |  Juvanti  ]  Quod  |  Per  .  abdicationem 

«Josephi  .  Ant.  Sala  |  Proton.  Apost.  S.  Kit.  Congr.  A  .  Secretis  j 
«  Patricii  .  Trebiatis  |  Vacans  .  Simp  ....  Beneficium  .  Prior.  |  Tit. 
«  S.  Thomae  .  Apostoli  |  Auditis  .  precibus  .ve  ...  .  Sodalitii  |  Sa- 
«  crorum  .  Stigmatum  .  S.  Francisci  .  Assisicn.  |  Eiusdem  .  Collegii  . 
«  Administratoris  |  Suasioncs  .  scqvvti  |  Antonii  .  Mariae  .  Bovarini  . 
a  patricii  .  Trebiatis  |  Collegii  .  in  .  pracsens  .  Praefecti .  bene  .  de  • 
«  patria  .  mercntis  |  Eidem  .  Collegio pietatc  .  et  .  discìpli- 


238  G,  Cugnoni 


ai  quali  egli,  che  non  era  «  uno  di  que'  porporati,  che 
«  tutto  abbracciano,  e  poco  stringono,  e  si  riducono  a  pre- 
«  stare  il  solo  nome  »  (i),  soleva  attendere  con  studiosa 
premura. 

Ai  12  di  febbraio  del  1832  mortogli  il  fratello  Dome- 
nico, ne  prese  tristezza  indicibile,  oltreché  per  ragione  di 
naturale  affetto,  per  i  molti  obblighi,  che  gli  aveva  come 
a  singolare  benefattore  e  a  spertissimo  maestro.  Ne  scrisse 
una  Breve  notizia  con  animo  di  metterne  in  chiaro  le  virtù 


«  nis  I  Alendam  .  cum  .  canone  .  temporario  |  Atq.  .  onerib  .... 

«  adnexum  .  perpetuo  .  fuerit  [  Rescript  ....  Dat |  Anno  . 

«  MDCCCXIX  I  Sodalitii  |  Prior  |  Et .  Consiliarii  |  Gratiarum  .  actio- 
«  nem  |  Et  .  monumentum  .  lubentes  .  merito  ». 

Quali  i  particolari  servigi,  onde  i  Matelicani  lo  ascrissero  al  loro 
patriziato,  non  m'è  accaduto  di  rintracciare.  Soltanto  in  un  atto  della 
Congrega:(ione  del  libro  d'oro  di  quella  città  trovasi  così  notato: 

«  Matelica,  5  Febraio  183 1.  —  Convocata  la  Cong.ne  del  Libro  di 
«  Oro,  alla  medesima  sono  intervenuti  i  nobili  signori,  ecc.,  ecc.  -  Il 
«  Gonfaloniere  propone  che  il  lustro  della  Città  è  tanto  maggiore, 
«  quanto  maggiore  è  il  numero  de'  rispettabili  patrizi,  che  sono  ascritti 
«  nel  suo  albo.  -  Riflettendo  che  i  Mons.ri  Sala  Giuseppe  Antonio, 
«  segretario  della  Congine  del  Concilio,  e  Grossi  Serafino,  Decano 
«  della  Segnatura,  se  potesse  aversi  l'onore  di  ascriverli  nel  nostro 
«  Libro  di  Oro,  accrescerebbero  lo  splendore  del  nostro  Patriziato  ; 
«  la  Cong.ne  ad  unanimità  prega  la  Magistratura  di  avanzare  supplica 
«  al  nuovo  Sovrano,  onde  si  degni  di  farne  effettuare  la  descrizione 
«  nel  nostro  Libro  suddetto  ». 

(Seguono  le  firme  dei  presenti). 

Spedita  nello  stesso  giorno  al  card,  segretario  di  Stato  la  supplica 
da  presentare  al  pontefice,  quel  cardinale,  con  dispaccio  del  12  feb- 
braio diretto  a  mons.  delegato  di  Macerata,  segnato  col  n.  90,  notificò 
la  sovrana  annuenza;  ma  o  che  quel  dispaccio  non  giungesse  al  suo 
destino,  o  che  quel  delegato  trasandasse  di  dargli  corso;  la  Magistra- 
tura matelicana,  con  lettera  del  19  maggio,  tornò  a  sollecitare  dal 
card,  segretario  di  Stato  la  risoluzione  della  domanda.  Rispose  il 
cardinale  il  28  dello  stesso  mese,  e  chiarita  la  cosa,  segui  l'ascrizione 
del  Sala  al  patriziato  di  Matelica. 

(i)  Appendice  al  progetto  di  riunione  degli  ospedali. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  (yl.  Sala      239 

e  il  valore,  e  di  proteggerne  il  buon  nome  dagF  ingiusti 
assalti  di  nemici  potenti,  e  dalle  vili  suggestioni  di  codardi. 
È  una  serie  di  memorie  alla  buona  «  non  destinate  alla 
«  pubblica  luce,  ma  che  servir  debbono  unicamente  perchè 
«  a  qualunque  evento  se  ne  possano  cavare  i  materiali  a 
«  difendere  T  innocenza  oppressa  e  la  virtù  denigrata  »  (i). 
Non  mancano  però  qua  e  là  d' importanza  anche  sotto  il 
riguardo  storico,  allargandosi  spesso  ad  esporre  ignote  ra- 
gioni di  pubblici  fatti,  e  ad  esplorare  ed  apprezzare  F  indole 
e  la  condotta  di  alti  personaggi.  Alla  narrazione  poi  de' 
casi  del  defunto  fratello,  dalla  culla  al  sepolcro,  fa  seguito 
un  minuto  ragguaglio  delle  ultime  volontà  di  lui,  e  della 
accuratezza  con  cui  lo  scrittore  erede  le  mise  ad  effetto. 
Giunta  non  vuota  di  curiosità,  e  splendido  testimonio  della 
larghezza  e  della  carità  di  Domenico. 

Nel  marzo  del  1834  ^^  surrogato  al  cardinal  Ca- 
prano  nella  prefettura  della  Congregazione  dell'  indice,  e 
nel  novembre  dello  stesso  anno  succedette  al  cardinale  Ode- 
scalchi  in  quella  della  Congregazione  de'  vescovi  e  regolari. 

Nella  primavera  del  1837  era  in  Roma  grande  scon- 
forto e  turbamento  per  le  immense  stragi,  che  il  còlerà 
asiatico  menava  nella  Sicilia  e  nel  NapoHtano,  e  temeasi 
che  da  un  giorno  all'altro  a  noi  si  avventasse.  Era  perciò 
tempo  di  provvedimenti  e  di  sollecitudini  per  impedire  il 
disastro,  o  almeno  per  scemarne  la  veemenza.  La  ordinaria 
Deputazione  di  pubblica  salute  non  parve  a  ciò  sufficiente, 
e  si  credè  più  acconcio  al  bisogno  l' istituire  una  specie 
di  dittatura  sanitaria,  la  quale  con  sovrano  arbitrio  operasse 
franca  e  spedita.  Ma  perchè  riuscisse  a  bene,  voleasene  in- 
vestire personaggio  autorevole,  attivo,  e  soprattutto  assai 
pratico  dei  reggimenti  e  dell'azienda  degli  ospedali.  Qua- 
lità, che  nel  Sala,  come  risulta  dai  fatti  sin  qui  esposti,  so- 
prabbondavano. E  pertanto  su  lui  il  pontefice  riversò  l' im- 

(i)  Brev&  notizia  dell' ah.  D.  Sala  cit. 


menso  carico,  nominandolo  presidente  della  Deputazione 
straordinaria  di  pubblica  incolumità.  Sebbene  riavutosi  di 
recente  da  lunga  e  penosa  malattia,  non  rifiutò  :  e  anzi  senza 
indugio  occupato  l'ufficio,  mise  in  opera  ogni  possibile  mezzo 
per  allontanare  il  crudele  flagello;  ma  tutto  fu  indarno,  e 
d'un  tratto  la  città  si  riempi  di  gemiti  e  di  cadaveri.  Ciò 
non  ostante,  egli  non  si  smarrì  ;  ma  invece  pigliando  animo 
dalla  sventura,  è  incredibile  a  dire  lo  sforzo  di  vita,  nel 
quale  durò  dal  mezzo  agosto  all'ottobre,  quando  maggior- 
mente la  morìa  infuriava.  Consultazioni,  leggi,  provvidenze, 
ricorsi,  ispezioni  senza  fine  né  posa  ;  a  tutto  ponea  mente, 
nulla,  per  lieve  che  fosse,  trasandava.  Recavasi  di  frequente 
ai  ricetti  degli  appestati,  e  con  maravigliosa  sicurezza  fa- 
ceasi  loro  da  presso  per  spiarne  il  trattamento.  Cosi,  com- 
piendo ad  un  tempo  le  parti  di  moderatore  e  di  esecutore, 
tenea  in  offizio  i  medici  e  i  serventi,  e  coli' esempio  ani- 
mavali  a  non  temere. 

Dileguatosi  d'un  tratto  il  morbo  per  le  acque  e  le  fre- 
scure autunnali;  alla  guisa  che  dopo  la  battaglia  suol  le- 
varsi fra  i  vinti  il  rumor  grande  addosso  al  loro  mal  ca- 
pitato condottiere  ;  scagliavansi  dai  maligni  contro  al  Sala 
i  biasimi  e  le  querele  di  mala  amministrazione  de'  capitali, 
di  crudele  abbandono  degli  appestati,  di  difetto  di  medici- 
nali, di  trascurati  nettamenti  e  purgazioni,  e  cento  altre 
accuse  di  tal  fatta  ;  onde  lo  sfrenato  allargarsi  del  male  non 
impedito  a  tempo,  non  curato  a  dovere,  non  distrutto  ne' 
suoi  effetti.  Dicerie  pazze  e  da  non  curare  (i),  come  poi 
pienamente  dimostrò  la  pubblicazione  dello  specchio  di 
tutto  l'operato  in  quei  giorni  dalla  Deputazione  sanitaria 
da  lui  preskduta  (2).  E  il  papa,  per  attestargli  la  sua  appro- 

(i)  V.  il  Diario  di  Roma,  anno  1837,  numeri  75,  85,  86. 

(2)  Statistica  di  coloro  che  furono  presi  dal  cholera  in  Roma  nel- 
l'anno iS^y,  umiliata  alla  Santità  di  Nostro  Signore  papa  Gregorio  XVI 
dalla  Commissione  straordinaria  di  pubblica  incolumità.  Roma,  tipografia 
Camerale,  1838,  in-4°. 


"Della  vita  e  degli  scritti  di  G,  oA.  Sala      241 

vazione,  gli  conferì  la  presidenza  dell'ospedale  di  S.  Gia- 
como in  Augusta,  la  quale  sebbene  brevemente  tenesse, 
tuttavia  non  fu  indarno  per  l'azienda  di  quel  pio  istituto. 
Pigliando  possesso  di  quell'uffizio,  fattiglisi  innanzi  chirurgi 
e  spedaligni  barbuti,  domandò,  ridendo,  se  in  quei  dintorni 
non  fosse  chi  radesse  ;  e  soggiunse  :  non  perseguitare  le 
barbe  (ed  era  la  stagione  da  ciò),  ma  neppure  temerle. 

Appresso  a  questo  tempo  ingrossatiglisi  gli  umori,  fu 
preso  da  uno  straordinario  fastidio.  Inquietavasi  d'ogni  cosa, 
fuggiva  la  conversazione,  rifiutava  il  cibo,  non  poteva  dor- 
mire. Durava  tuttavia  nelle  usate  occupazioni  de'  suoi  uf- 
fici, tra  le  quali  parea  non  sentisse  più  il  male.  Nella  pri- 
mavera del  1839  si  portò,  per  consiglio  de'  medici,  a 
Civitavecchia,  donde,  riavutosi  alcun  poco,  recossi  a  Cor- 
neto  presso  i  signori  Braschi  suoi  amorevolissimi.  Qui  di- 
speratamente aggravatosi,  volle  tornare  in  Roma,  e  vi  fu 
condotto  con  grande  stento,  adagiato  in  una  carrozza  a 
modo  di  letto.  Giuntovi  ai  20  di  giugno,  cadde  imman- 
tinente in  profondissimo  letargo.  Risentitosi  sul  declinare 
del  21,  chiese  e  ricevette  i  sacramenti:  poi,  detto  ai  cir- 
costanti parole  di  molta  edificazione,  perde  il  senno,  né 
più  lo  riacquistò.  Sul  mezzodì  del  23  cessò  di  vivere  in  età 
di  anni  presso  a  77. 

Non  appena  morto,  susurrossi  per .  Roma,  prima  ca- 
gione della  sua  infermità  fosse  stato  un  diverbio  avuto  col 
papa  per  occasione  del  nuovo  segretario  assegnato  alla 
Congregazione  de'  vescovi  e  regolari  da  lui  presieduta  :  e 
contavano  perfino,  che  nel  calor  del  discorso  il  Sala  accen- 
nasse alla  rinuncia  della  porpora,  e  che  Gregorio  gli  rispon- 
desse, che,  posto  il  caso,  l'accetterebbe.  Del  che  forse  altri 
potrebbe  ravvisare  una  riprova  nel  seguente  paragrafo  di 
lettera  scritta  a  Giuseppe  Antonio  dal  cardinal  Lambruschìni 
il  25  aprile  1839:  «  La  prima  medicina  è  l'astinenza  da  ogni 
«  mentale  occupazione,  e  perciò  mi  è  rincresciuto,  dal  piego 
«  che  mi  ha  spedito,  di  vedere  che  Vostra  Eminenza  con- 


242  G.  Cugnoni 


«  tinua  ad  occuparsi  di  affari.  A  suo  tempo  ci  parleremo 
«  meglio,  e  fin  d'ora  le  dico  nella  nostra  vera  ed  antica 
«  amicizia,  che  bisognerà  sgravarsi  di  più  cose,  onde  non 
«  compromettere  una  sanità  veramente  preziosa,  e  che  im- 
«  porta  troppo  di  conservare.  Convengo  che  i  patemi 
«  d'animo  logorano  assai  più  la  vita,  che  non  la  fatica  me- 
<(  desima  :  ma  come  si  fa  ?  Alzar  gli  occhi  al  cielo,  e  cercar 
<(  di  diminuire  l'effetto  colla  rassegnazione.  Io  che  sono  di 
«  fibra  assai  sensibile,  so  cosa  siano  le  interne  afflizioni  e  i 
«  dispiaceri,  quelli  segnatamente  che  non  dovrebbero  aversi, 
<(  e  non  trovo  mighor  rimedio  di  quello  accennato  di  sopra  » . 
Ma  se  pure  la  cosa  passò  di  tal  guisa,  la  vivacità  di  un  di- 
verbio non  dovè  certo  aUenare  l'animo  del  pontefice  da 
chi  con  tanto  studio  ed  affetto  gli  si  era  porto  in  ogni  caso 
consigliere  fedele,  e  validissimo  aiutatore.  In  fatti  Gregorio, 
uditane  la  morte,  se  ne  commosse  altamente  (i),  ed  affermò 
con  enfasi,  che  col  mancare  del  Sala  era  venuto  meno 
V Archivio  ambulante  della  Santa  Sede  (2),  alludendo  per  tal 
motto  all'immensa  copia  del  suo  sapere,  e  alla  prontezza, 
con  la  quale  ad  ogni  più  nuovo  caso  faceane  l'applicazione. 
Che  questa  fu  la  più  speciale  valentia  di  lui,  recare  ad  atto, 
senza  indugio,  i  dettami  della  scienza,  e  trarre  profitto  dagli 
insegnamenti  della  storia.  Onde  fu  uomo  pratico  per  ec- 
cellenza, e  per  questo  appunto  utilissimo  alla  Chiesa  ed  allo 
Stato,  la  quale  e  il  quale  delle  teoriche  e  delle  astrattezze 
non  saprebbero  che  si  fare.  Ma  di  ciò  è  già  detto  abbastanza 
nelle  presenti  Memorie  :  e  ora  piuttosto  è  da  volgere  il  di- 
scorso all'indole  e  ai  costumi  suoi. 

Sorti  Giuseppe  Antonio  da  natura  ingegno  vasto  e  spe- 
dito, cuor  generoso  e  oltre  misura  sensitivo  ;  e  queste  na- 
turali disposizioni,  già  ottime  di  per  sé,  col  lungo  esercizio 
perfezionò.  Negli  studi  sdegnava  la  mediocrità,  e  sforzavasi 


(i)  MoRONi,  Df;(.  di  erud.  eccl,  LX,  240. 
(2)  Ivi,  XIX,  154;  LX,  240. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  cA.  Sala      243 

alla  eccellenza,  e  certo  nei  sacri  la  raggiunse.  Delle  reli- 
giose credenze  tenacissimo,  non  però  aveva  in  sospetto  il 
progredire  della  scienza,  né  mai  si  addisse  a  metodi  e  a 
scole  speciali  per  modo,  da  non  ammettere,  che  fuori  degli 
uni  e  delle  altre  non  si  potesse  investigare  e  raggiungere 
la  verità.  Il  perchè,  sebbene  imbevuto  in  sin  da  giovanetto 
della  filosofia  tomistica,  non  tenne  il  broncio  alla  novella 
del  Rosmini  ;  ma  anzi  non  appena  la  vide  nascere,  e  tosto 
ne  ravvisò  la  convenienza,  e  ne  presenti  vantaggi  alla  fede. 
Ancoraché  dell'arte  dello  scrivere,  colpa  della  falsa  istitu- 
zione d'allora,  mostrisi  in  tutto  digiuno;  pure  nel  suo  det- 
tato trionfa  il  grande  principio  Condillacchiano  del  più  ser- 
rato legamento  delle  idee,  e  in  ninno  scrittore  meglio  che  in 
lui  si  avvera  il  motto,  lo  stile  esser  l'uomo.  In  modo  dal  suo 
spigliato  periodare  trasparisce  quella  schietta  candidezza 
d'animo  ;  onde  mai  non  si  sarebbe  egH  indotto  a  velare  i 
propri  pensieri,  e  a  non  dire  le  cose  altrimenti  da  quello 
che  le  sentiva  (i).  La  quale  incHnazione  congiunta  a  viva- 


(i)  Non  voglio  omettere  su  tal  proposito  di  qui  trascrivere  alcuni 
periodi  di  una  liberissima  memoria,  che  egli  fece  tenere  nel  maggio 
del  1800  al  nuovo  pontefice  Pio  VII: 

«  B.mo  Padre, 
«  Un'anima  oltremodo  sensibile  ai  mali  gravissimi,  che  affliggono 
«  da  tanto  tempo  il  principato  e  la  Chiesa,  aveva  concepito  le  più 
(c  belle  speranze  che  l' innalzamento  della  Santità  Vostra  al  soglio 
«  pontificio  segnar  dovesse  l'epoca  fortunata  di  un  nuovo  ordine  di 
«  cose.  Q,uesta  dolce  lusinga  però  non  incomincia  fin  qui  a  realizzarsi, 
«  e  vi  è  luogo  a  sospettare  fondatamente,  che  le  buone  intenzioni  di 
«  Vostra  Santità  rimangano  vuote  di  effetto,  e  che  tutto  vada  di  male 
«  in  peggio,  quante  volte  la  Santità  Vostra  non  apra  gli  occhi  per 
«  guardarsi  dai  lacci,  che  forse  le  vengono  tesi  da  quelli  stessi,  che 
«  cooperar  dovrebbero  al  comun  vantaggio,  e  alla  gloria  di  Vostra 
«  Santità.  Degnisi  pertanto  dare  un'occhiata  a  questi  brevi  riflessi 
a  usciti  dalla  penna  di  chi  non  arrossisce  di  parlare  il  linguaggio  della 
«  verità,  e  riferisce  soltanto  per  impulso  di  vero  zelo  ciò  che  a  tutti 


244  ^-  Cugnoni 


cita  di  spinti  sovrabbondante,  facealo  di  sovente  aspro  ed 
impetuoso  nel  ragionare  (i);  ma  poi  subito  se  ne  pentiva, 
e  a  chi  avesse  bravato  raddoppiava  i  favori;  perchè  lo  di- 
cevano il  burbero  be?tefico.  Alla  simiglianza  di  Giulio  Agri- 
cola, del  quale  racconta  Tacito,  che  «  fu  da  alcuni  tenuto 


«  è  noto,  quantunque  probabilmente  ignoto  in  gran  parte  alla  Santità 
«  Vostra. 

«Senza  parlare  dell'infinite  dicerie  originate  dal  sapersi  che  nel- 
«  l'ultimo  Conclave  sono  seguiti  li  soliti  pettegolezzi  e  gli  antichi 
«  maneggi,  e  che  i  Cardinali  per  la  maggior  parte  nulla  profittando 
«  delle  grandi  lezioni  date  loro  da  Dio  per  mezzo  delle  passate  cala- 
«  mità,  sono  in  tutto  e  per  tutto  gli  stessi  di  prima,  si  rimarcano  di 
«  volo  le  seguenti  cose. 

«  Le  persone  dabbene  non  cessano  dai  loro  pianti,  e  Roma  non 
«  lascia  di  mormorare,  di  rilevare  che  anco  sotto  l'attuale  pontificato 
«  li  buffoni  hanno  facile  accesso  ;  che  il  regno  de'  Braschi  continuerà 
«  come  per  lo  addietro  ;  che  le  cose  anderanno  di  male  in  peggio. 

«  Ecco,  Beatissimo  Padre,  la  nuda  verità  esposta  con  tanta  mag- 
«  gior  confidenza,  quantochè  si  crede  che  la  Santità  Vostra  ami  di 
«  conoscerla.  Non  isdegni  di  valutare  questi  avvisi,  né  dia  ascolto  agli 
«  adulatori,  o  peso  agli  elogi,  che  le  vengono  tributati.  Non  vi  fu  chi 
«  ne  avesse  più  di  Pio  VI,  eppure  è  noto  quali  fossero  i  clamori,  che 
«  soUevaronsi  contro  di  lui,  massifne  negli  ultimi  anni  del  suo  ponti- 
«ficato.  Roma  aspetta  da  Vostra  Santità  cose  grandi:  che  i  comuni 
«  voti  rimangano  adempiti  ;  che  il  vizio  sia  depresso,  che  la  virtù  ed 
«  il  merito  abbiano  il  premio;  che  venga  per  sempre  chiusa  la  bocca 
«  alla  menzogna  e  all'adulazione,  e  si  ascolti  soltanto  il  linguaggio 
«  della  verità  ». 

(i)  Gaetano  Moroni  in  una  lettera  del  21  gennaio  1881  scriveami: 
«■  Quanto  alla  vivacità  di  spiriti  sovrabbondante,  che  facealo  di  sovente 
V.  aspro  ed  impetuoso  nel  ragionare;  nella  mia  stanza  al  Quirinale,  adia- 
«  cente  alla  pontificia,  n'ebbi  una  prova  notevole  e  personale  in  sul 
«  punto  dello  scoppio  in  Roma  del  colera,  perchè  vivacemente  soste- 
te  nendolo  avvenuto  col  calmo  cardinal  Gamberini,  segretario  per  gli 
«  affari  di  Stato  interni  e  preside  della  Congregazione  speciale  sani- 
«  tarla  di  tutto  lo  Stato  pontificio,  quel  prefetto  di  quella  della  S.  Con- 
ce sulta;  questi  l'impugnava:  essendo  io  solo  tra  loro,  ebbi  timore  che 
«  venissero  alle  mani  1  » 


niella  vita  e  degli  scritti  di  G.  OA,  Sala      245 

«  rotto  nelle  bravate,  come  piacevol  coi  buoni,  così  terribil 
«  contro  a'  malvagi  :  ma  dopo  nulla  di  collera  gli  restava, 
«  né  era  pericolo  ch'ei  si  stesse  più  grosso  :  stimando  aver 
«più  del  buono  l'offendere,  che  l'odiare».  Tuttoché  for- 
nito di  mediocre  fortuna,  cui  non  potè  accrescere  coi  pro- 
venti degli  esercitati  uffici,  perchè  tutti  «  o  di  tenue,  o  di 
((  niun  emolumento  »  (i);  pure  nello  spendere  non  fu  scarso, 
né  venne  mai  meno  al  decoro  del  suo  grado  «  e  fece  sempre 
«  buona  figura,  ed  invalse  Topinione  che  fosse  uno  de'  pre- 
ce lati  più  ricchi  »  (2).  Magnifico  poi  era  in  tutto  ciò,  che 
riferìvasi  al  culto  divino,  per  la  qual  cosa  la  sua  privata  sa- 
grestia d'ori,  d'argenti  e  di  preziosi  paramenti  in  singoiar 
modo  risplendeva.  Pose  insieme  un'assai  copiosa  libreria^ 
che,  morendo,  legò  ai  gesuiti,  e  che  quindi  andò  incorpo- 
rata alla  biblioteca  Vittorio  Emanuele.  Edificò  il  campanile 
di  Santa  Maria  della  Pace,  suo  titolo  cardinalizio;  alla  ba- 
silica Liberiana,  della  quale  fu  prima  canonico,  e  poi  car- 
dinale arciprete  (3),  donò  una  muta  di  candelieri  di  metallo 
dorato  del  valore  di  quattromila  scudi  (4),  e  oltre  la  metà 
del  prezzo  di  un  nobile  baldacchino  del  costo  di  settecento 
scudi.  Usava  'larghissima  carità  ai  bisognosi,  liberalmente 
le  offese  rimetteva,  e  facevasi  pure  talvolta  avvocato  de'  suoi 
offensori;  come  avvenne  di  certo  cameriere,  che,  rubatogli 
ingente  somma  di  danaro,  fu  per  le  sue  autorevoli  premure 
sottratto  alla  galera  e  messo  in  temporaneo  esilio,  durante 
il  quale  sovvenne  l'infelice  famiglia  del  ladro  con  stabile 
assegno  mensile  (5).  Piacevolissimo  nel  conversare,  spes- 


(i)  Breve  notiiia  dell' ab.  Doni.  Sala  cit. 

(2)  Ivi.  -  Abitò  signorilmente  per  lunghi  anni,  in  lino  alla  morte, 
l'intiero  palazzo  Imperiali  nella  via  de'  Barbieri,  composto  di  tre 
grandi  appartamenti  e  stanze  terrene  vastissime. 

(0  MoRONi,  Dii.  d'erud.  eccl,  XII,  133. 

(4)  Ivi. 

(5)  Dalla  seguente  lettera,  del  3  agosto  1835,  a  monsignor  Ciacchi, 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  1 7 


2^6  G,  Cugnoni 


saggiava  in  motti  ed  arguzie,  che  spontanee  gli  correano 
sul  labbro.  Vestiva  netto  ed  elegante,  e  dèlie  foggie  del 

governatore  di  Roma,  raccogliesi  quanto  virtuosamente  il  derubato 
si  facesse  avvocato  del  ladro. 

«  Il  premuroso  interessamento,  che  V.  S.  111. ma  e  R.ma  mi  ha  di- 
ce mostrato  nell'amaro  frangente  del  furto  domestico  da  me  sofferto, 
«  e  nelle  gravi  angustie  che  provai  per  più  mesi,  non  avendo  dati 
«  sufficienti  per  rintracciarne  l'autore,  siccome  eccita  in  me  la  più 
«  viva  gratitudine;  così  m'ispira  la  più  estesa  fiducia  ch'Ella  voglia 
«  prestarmi  la  sua  mano  adjutrice  per  dar  termine  a  questo  disgusto- 
«  sissimo  affare. 

«  Rammenterà  V:  S.  111. ma  e  R.ma  che  la  Santità  di  N.  S.  nel 
«sentire  l'accaduto,  e  nell'essere  ragguagliato  della  mia  dolorosa  po- 
«  sizione,  per  un  tratto  singolarissimo  di  Sovrana  Clemenza,  le  con- 
ce ferì  illimitati  poteri  per  ammettere  al  benefizio  dell'  impunità,  per 
ce  agire  anche  in  via  economica,  e  per  fare  tutto  quello  che  contri- 
cc  buisse  a  sodisfare  i  miei  desideri,  e  a  rendermi  la  perduta  calma. 

«  Il  Reo  Giovanni  Toccaceli,  che  da  molti  anni  trovavasi  al  mio 
c(  servizio  in  qualità  di  Cameriere,  prima  che  si  procedesse  contro  di 
c(  Lui,  mi  fece  giungere  qualche  indizio  per  mezzo  di  Lettere  anonime, 
c(  e  manifestò  apertamente  in  seguito  la  sua  delinquenza  al  mio  Se- 
c(  gretario,  e  anche  a  me,  facendo  poco  dopo  una  eguale  Confessione 
((  innanzi  al  Giudice  Processante. 

«  Le  prove  da  Lui  somministrate  fecero  conoscere  avere  Egli  solo 
ce  commesso  il  furto  senza  alcun  aiuto  di  complici,  e  così  dileguan- 
cc  dosi  ogni  sospetto  su  gli  altri  miei  famigliari,  s'impedì  il  loro  ar- 
ce resto,  al  quale  tanto  ripugnava  il  mio  cuore. 

ee  Sembra  quindi  che  il  Toccaceli  in  forza  delle  promesse,  ch'erangli 
ce  state  fatte,  possa  godere  del  benefizio  dell'impunità. 

ce  Restava  la  seconda  parte,  cioè  il  discarico  del  denaro  involato, 
ce  e  la  restituzione  della  somma  tuttora  esistente  in  potere  del  Reo. 
ce  Non  può  impugnarsi  che  sulle  prime  la  sua  confessione  non  fu  sin- 
ce  cera,  quantunque  si  prestasse  senza  difficoltà  ad  un  atto  legale,  in 
ce  cui  enunciò  l' intero  ammontare  del  furto,  e  obbligossi  alla  restitu- 
ce  zione.  La  renitenza  a  manifestare  tutto  schiettamente  produsse  il  di 
ce  Lui  arresto,  dopo  del  quale  non  tardò  a  svelare  quanto  rimaneva 
ce  tuttora  in  essere,  rendendo  anche  ragione  del  di  più  che  aveva  dis- 
ee  sipato  principalmente  nel  giuoco  del  lotto. 

«Frutto  degl'indizi  dati  dal  Reo  fu  la  ricupera  di  oltre  a  mille 
ce  scudi,  e  l'assicurazione  di  altra  somma  di  poco  inferiore  alla  prima, 
ce  cosicché  verrò  io  a  ricuperare  circa  la  metà  del  danaro  involatomi. 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  CA.  Sala      247 

suo  grado  era  piuttosto  studioso,  e  Gaetano  Moroni  (i) 
notalo  come  uno  degli  ultimi  porporati,  che  indossassero 
l'abito  viatorio  cardinalizio.  Ebbe  mezzana  persona,  volto 
virile  ed  ordinariamente  grave,  carnagione  fresca  e  tendente 
al  bruno,  fronte  alta  e  spaziosa,  morati  i  capelli,  che  al  so- 
praggiungere della  vecchiezza  non  imbiancarono,  folte  e 
prominenti  le  ciglia,  occhio  nereggiante,  vivissimo.  Tutto 
insieme,  allorché  morì,  avea  apparenza  appena  di  cinquan- 
t'anni,  sebbene  ne  contasse  settantasette.  Il  suo  corpo,  im- 
balsamato, dopo  le  consuete  solenni  esequie  in  San  Carlo 


«  Io  considero  questo  articolo  sotto  l'aspetto  di  un  mio  privato 
«  interesse,  e  se  protestai  fin  da  principio  di  esser  pronto  a  ricom- 
«  prare  la  rnia  quiete  a  qualunque  costo;  è  facile  persuadersi  che  non 
«mi  cade  neppure  in  pensiero  d'insistere  per  la  restituzione  totale, 
ce  che  d'altronde  sarebbe  impossibile  ad  ottenersi. 

«  Dunque  il  Fisco  per  questa  parte  rimane  esonerato  da  ulteriori 
«  procedure,  e  se  il  ritardo  dell'  intera  confessione  del  Reo  fu  meri- 
«  tevole  di  castigo,  crederei  che  fosse  punito  abbastanza  mediante  la 
«  detenzione  in  una  segreta,  che  ha  sofferto  sin  qui. 

«  Mi  avanzo  quindi  a  pregare  fervorosamente  che  il  Toccaceli 
«  venga  dimesso  dal  Carcere,  e  solo  ardirei  suggerire,  che  sarebbe 
«  espediente  lo  allontanarlo  da  Roma  anche  per  suo  vantaggio,  mentre 
«  qui  non  troverebbe  come  impiegarsi,  essendo  troppo  conosciuto,  ed 
«  essendosi  troppo  divulgato  il  suo  delitto. 

«  Spero  che  V.  S.  Ill.ma  e  R.ma  sia  per  avvalorare  le  mie  Sup- 
«  pliche,  riportando  dall'Animo  clementissimo  del  S.  Padre  la  grazia 
«  che  imploro,  non  solo  per  quello  spirito  di  mansuetudine  e  di  ca- 
«  rità,  che  tanto  conviene  al  mio  carattere  ;  ma  ben  anche  per  il  mio 
«  proprio  interesse,  avendo  in  questo  triste  avvenimento  troppo  sof- 
«  ferto  il  mio  spirito,  non  senza  notabile  pregiudizio  di  mia  salute. 
«  Ho  positivo  bisogno  di  tranquillizzarmi  pienamente,  e  aspetto  questo 
«  favore  dalla  Sovrana  benignità. 

«  Ella  nel  coadiuvare  l'adempimento  de*  miei  desideri  aggiungerà 
«  un  nuovo  titolo  a  quei  sentimenti  di  distinta  stima  e  di  viva  rico- 
«  noscenza,  con  i  quali  mi  confermo  nel  baciare  di  vero  cuore  le  mani 

«  Ser.*  Vero 
«  G.  A.  Card.  Sala  ». 
(1)  Di:^.  d'erud.  ad,  XLII,  157. 


248  G.  Cugnoni 


a'  Catinari,  fu  deposto  in  Santa  Maria  della  Pace,  suo  titolo 
cardinalizio,  dove  poi  il  nipote  erede  Pietro  Sala  gli  eresse 
dalla  destra  della  porta  principale  del  tempio  onorato  mo- 
numento (i). 

(i)  Ne  dettò  l'elogio  e  la  iscrizione  sepolcrale  il  P.  G.  B.  Rosani 
delle  Scuole  Pie  nel  modo  che  segue: 

«  EUogium  •  Josephi  •  Antonii  •  Sala  |  S  •  R  '  E  •  Presbyteri  •  Car- 
«  dinalis  I  Plumbeo  •  tubo  *  inclusum  •  et  •  cum  •  corpore  •  conditum  | 
«  Josephus  •  Antonius  •  Sala  |  Presbyter  •  Cardinalis  •  titulo  *  Maria  | 
«  Pacifera. 

«  Hic  .  Romae  .  VI  .  Kal.  Novembr.  .  Anno  .  M  .  DCC  .  LXII  . 
«  Josepho  .  Sala  .  et  .  Anna  .  Sacchettia  .  parentibus  .  honestissimis  . 
«  ortus  .  humanioribus  .  litteris  .  ac  .  philosophicis  .  disciplinis  .  in  . 
«  Collegio  .  Romano  .  egregie  .  excultus  .  Theologiae  .  lauream  . 
«  Dominicanis  .  institutoribus  .  summa  .  ingenii .  laude  .  meritus  .  est. 

«  Sacerdotio  .  initiatum  .  et  .  religionis  .  studium  .  unice  .  anhe- 
«  lantem  .  Petrus  .  Antonius  .  Tioli  .  V  .  C  .  a  .  quo  .  summopere . 
«  diligebatur  .  ad  .  negotia  .  ecclesiastica  .  pertractanda  .  usu  .  et  . 
«  exercitatione  .  informabat  .  Quantum  .  vero  .  in  .  illa  .  palestra  . 
«  profecerit  .  comprobavit  .  eventus. 

«  An  .  M  .  DCCC  .  I  .  Adjutor  .  ab  .  actis  .  Card.  .  Joanni .  Bapti- 
«  stae  .  Caprara  .  in  .  Gallias  .  Legato  .  in  .  re  .  tam  .  salebrosa  .  et  . 
«  piena  .  discriminis  .  animo  .  invictissimo  .  adeo  .  perutilem  .  Eccle- 
«  siae  .  Catholicae  .  navavit  .  bperam  .  ut  .  si  .  natio  .  illa  .  civili  . 
«  ab  .  aestu  .  resipiscens  .  avitam  .  religionem  .  retinuit  .  haud  .  sua  . 
«  laudis  .  parte  .  Josephus  .  noster  .  fraudandus  .  sit. 

«  Reversus  .  in  .  patriam  .  dum  .  ad  majora  .  vocabatur  .  sensit  . 
«  tyrannidem  .  Cyrnaei  .  hostis  .  qui  .  Pium  .  VII  .  Romana  .  Sede  . 
«  exturbaverat  .  crudeliter  .  comprehensus  .  coactusque  .  exulare  . 
«  inops  .  errans  ,  gravissimas  .  maximasque  .  toleravit  .  aeruranas  . 
«  Sed  .  animum  .  propositi  .  tenacissimum  .  nec  .  blanditiae  .  nec  . 
«  minae  .  ab  .  adjutanda  .  Ecclesia  .  et .  captivo  .  Pontifice  .  Maximo  . 
«  per  .  epistulas  .  consulendo  .  numquam  .  dimovere  .  potuerunt. 

«  Pace  .  per  .  Principes.  foederatos  .  An  .  M  .  DCCC  .  XIV  . 
«  feliciter  .  parta  .  inter  .  Antistites  .  Urbanos  .  et  .  Basilicae  .  Libe- 
«  rianae  .  Canonicos  .  adlectus  .  difficile  .  dictu  .  est  .  quot .  quantos- 
«  que  .  exhantlaverit  .  labores  .  in  .  Dioecesum  .  calamitatibus  .  re- 
«  parandis  .  in  .  viror.  .  religiosor.  .  Ordinibus  .  restituendis  .  ac  . 
«  reformandis  .  in  .  christianae  .  reipublicae  .  rebus  .  per  .  Orbem  . 
«  prospere  .  componendis  .  quorum  .  omnium  .  pars  .  magna  .  erat  . 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  qA.  Sala      249 


Queste  brevi  Memorie  non  saranno  vuote  di  ammae- 
stramento per  coloro,  che  dedicarono  la  vita  ai  servigi  della 
Chiesa  romana.  Modello  più  acconcio  di  dottrina,  di  zelo  e 
di  disinteressatezza  difficilmente  potrebbe  all'uopo  immagi- 

«  ac  .  moderator  .  Praeter  .  alia  .  quotidiana  .  extra  .  ordinem  .  ne- 
«  gotia  .  fuit  .  a  .  Secretis  .  Sacri  .  Consilii  ,  legitimis  .  ritibus  .  ec- 
ce gnoscendis  .  et  .  Tridentinis  .  decretis  .  interpretandis  .  Quae  .  mu- 
«  nera  .  praeclarissime  .  obivit  .  ac  .  idcirco  .  Pio  .  VII  .  Leoni  .  XII  . 
«  Pio  .  VITI  .  Pontificibus  .  Maximis  .  acceptissimus  .  probatissimus. 

«  Tarn  ,  eximiis  .  ornatum  •  meritis  .  Gregorius  .  XVI  .  P.  .  M.  . 
«  prid. .  Kal.  Octobr. .  Anno  .  M  .  DCCC  .  XXXI  .  in  .  Patrum  .  Car- 
«  dinalium  .  Collegium  .  plaudente  .  toto  .  Orbe  .  Catholico  .  coopta- 
«  vit  .  At  .  purpura  .  fuit  .  praemium  .  virtutis  .  non  .  arrha  .  quietis  . 
«  Nullum  .  ferme  .  fuit  .  in  .  Urbe  .  Sacrum  .  Consilium  .  cui  .  non  . 
«  addictus  .  et  .  in  .  quo  .  plurimi  .  non  .  habita  .  sententia  .  ejus  . 
«  Primum  .  Sacro  .  Consilio  .  Libris  .  notandis  .  deinde  .  Negotiis  . 
«  Episcoporum  .  et  .  Religiosorum  .  Ordinum  .  expediendis  .  sapien- 
«  tissime  .  praefuit .  Valetudinarium  .  depositorum  ,  soUicitudine  .  ac  . 
«  vigilantia  .  refecit  .  Nosocomium  .  Joannianum  .  Lateranense  .  Col- 
te legio  .  Foeminarum  .  a  .  misericordia  .  adauxit  .  deditque.  leges  . 
«  sanctissimas  .  Templum  .  sui .  tituli  .  pretiosa  .  supellectile  .  locu- 
«  pletavit  .  Cholerica  .  pestilitate  .  per  .  Urbem  .  grassante  .  An.  . 
«  M  ,  DCCC  .  XXXVII  .  praepositus  .  publicae  .  incolumitati  .  tuen- 
K  dae  .  ope  .  providentia  .  Consilio  .  fovit  .  aegrotos  .  egenos  .  erexit . 
«  nemini  .  defuit. 

«  Hisce  .  tam  .  diuturnis  .  tam  .  improbis  .  laboribus  .  defatiga- 
«  tus  .  cum  .  pertinax  .  herpes  .  quo  .  jamdiu  .  laborabat  .  ex  .  epider- 
«  mide  .  in  .  interiores  .  corporis  .  partes  .  penitus  .  recessisset .  gravius  . 
«  aegrotare  .  coepit  .  Accedente  .  morbo  .  regio  .  frustra  .  adhibitis  . 
<(  medicae  .  artis  .  praesidiis  .  mortem  .  vitae  .  consentaneam  .  pie  . 
«  sancte  .  fortiter  .  oppetiit  .  ingenti  .  bonorum  .  omnium  .  moerore  . 
«  IX  .  Kal.  Jul.  .  An.  .  M  .  DCCC  .  XXXIX. 

«  Vir  .  nihil  .  ad  .  assentationem  .  omnia  .  ad  .  veritatem  .  lo- 
«  quens  .  piotate  .  in  .  Deum  .  benignitate  .  in  .  egenos  .  innocentia  . 
«  morum  .  scientia  .  divinarum  .  rerum  .  spcctatissimus  .  adversis  . 
«  calamitatum  .  fluctibus  .  immersabilis  .  fulgens  .  intaminatis  .  hono- 
«  ribus  .  in  .  hoc  .  unum  .  semper  .  intcndit  .  ingenium  .  cogitationes  . 
«  curas  .  et  .  operam  .  ut  .  Sedis  .  Apostolicae  .  jura  .  tueretur  .  di- 
«  gnitatem  .  amplificaret. 

«  Salve  .  Coelo  .  recepte  .  salve  .  inclyte  .  Josephe  .  tuorum  .  me- 


250  '  G,  Ciignoni 


narsi.  Non  abbracciò  già  il  Sala  il  sacerdozio  come  scala  a 
salire;  ma  sì  come  arringo  fliticoso,  né  da  altra  speranza 
confortato,  che  di  una  eterna  mercede  di  là  della  tomba. 
Che  se  anche  su  questa  terra  non  gli  mancarono  agi  ed 
onori,  egli  certo  non  li  cercò,  e  anzi  si  può  affermare,  che 
facesse  di  tutto  per  non  averH.  Lontanissimo  dal  simulare 
e  dall'adulare,  le  due  pessime,  più  usate  e  sicure  arti  degli 
ambiziosi;  disse  sempre  con  cristiano  coraggio  tutta  ed 
aperta  la  verità,  a  costo  anche  della  vita.  Non  andò  mai 
a'  versi  de' grandi  (i),  e  fuggi  ogni  mostra  di  troppo  ligia 

(c  moria  .  benefactorum  .  manebit  .  perpetuo  .  infixa  .  animo  .  nostro  . 
«  et  .  dum  .  religio  .  doctrina  .  caritas  .  erunt  .  in  .  honore  .  apud  . 
«  homines  .  nulla  .  unquam  .  de  .  tuis  .  promeritis  .  silebit .  posteritas  . 

«  Epìtaphium  |  Inscriptum  .  tumulo  |  Cardìnalis  .  Sala  [  In  .  tem- 
«  pio  I  Mariae  .  Sanctae  .  a  .  Pace  . 

«  Qvieti  .  et  .  memoriae  |  losephi  .  Antonii  .  Salae  |  S. .  E. .  R.  . 
«  Presbyteri  .  Cardinalis  |  Ingenio  .  doctrina  .  religione  .  pietate  .  in- 
«  signis  I  Qyi  virtvtis  .  ivstitiaeqve  .  propvgnator  .  acerrimvs  |  In*. 
«  Gallica  legatione  .  Card.  .  Caprarae  .  adivtor  |  Apostolicae  .  Sedis  . 
«  ivra  I  Eximìa  .  animi  .  magnitvdine  .  constantia  .  adservit  |  Div- 
«tvrnis  .  laboribus  .per  .  adversa  .  praesertim  .  tempora  |  De  .  Ca- 
«  tholica  .  Ecclesia  ,  egregie  .  meritvs  .  est  |  Plvrimis  .  vrbanis  .  V2.- 
«  letvdinariis  .  regvndis  .  Antistes  .  datvs  |  Stvdiosissimam  .  diligen- 
«  tissimamqve  .  praestitit .  operam  |  A  .  Gregorio  .  XVI  .  Pont.  Max.  | 
«  In  .  Patrvm  .  Cardinalivm  .  CoUegivm  .  cooptatvs  |  Archipresbyter . 
«  Liberianae  .  Basilicae  |  omnibvs  .  fere  .  Sacris  .  Consiliìs  .  adscri- 
«  ptvs  I  Praefvit  .  primvm  .  Sacro  .  Consilio  .  libris  .  notandis  |  Dein  , 
«  alteri  .  negotiis  .  et  consult.  .  Episcopp.  .  et  .  Sodd.  .  Religiosor.  | 
«  Cholerica  .  pestilitate  .  Romani  .  depopvlante  (  Praepositvs  .  pro- 
«  videntissimvs  .  extra  .  ordinem  |  Pvblicae  .  ìncolvmitati  .  tvendae  | 
«  Cvnctis  .  mvnerìbvs  .  honoribvs  .  sancte  .  perfvnctvs  |  Singulari . 
«  in  egenos .  liberalitate  .  enitvit  |  vixit  .  a.  .  LXXVI  .  m.  .  Vili  .  d. . 
«  XXVI  I  Decessit  .  dolor  .  et  .  Ivctvs  .  bonorvm  .  omnìvm  |  IX . 
(c  Kal.  .  Ivi  .  Anno  .  MDCCCXXXVIIII  |  Hoc  .  in  .  tempio  .  sede  . 
«  titvli  .  sui  I  Quod  .  mire  .  dilexit  |  Ac  .  praetiosis  .  omnis  .  generis  . 
«  donariis  .  locvpletavit  |  Condi  .  volvit  |  Petrvs  .  Sala  eqves  .  pa- 
ce truo  .  optimo  .  B.  .  M.  .  P.  .  C.  ». 

(i)  Veggasene  un  esempio  a  pag.  289  del  voi.  XLIX  del  Dix_. 
d'erud.  ecd.  di  Gaetano  Moroni.  In  una  lettera  dell' 8  ottobre  1831 


^ella  vita  e  degli  scritti  di  G.  qA.  Sala       251 

suggezione,  serbando  ognora  in  faccia  all'autorità  o  pregiu- 
dicata, o  prepotente  la  dignità  dell'uomo  e  del  sacerdote. 
E  da  ciò  si  chiarisce  come  un  personaggio  di  cosi  alto  va- 
lore non  fosse  premiato  con  la  porpora  che  settuagenario, 
dopo  essersi  affaticato  per  più  di  quarant'anni  in  prò  della 
Chiesa  e  dello  Stato,  e  in  negozi  di  massima  conseguenza; 
mentre  tanti  altri,  men  degni,  o  disutili,  sono  pressoché 
imberbi  portati  a  volo  a  quell'altezza.  Non  fu  avido  di  ric- 
chezze, e  non  ne  ebbe,  né  si  valse  della  sua  autorità  e  del 
suo  credito  per  fabbricare  tumultuari  patrimoni  ai  con- 
giunti (i):  e  i  modesti  proventi  degli  esercitati  uffici  volse 
sempre  al  decoro  del  suo  grado,  ai  servigi  del  culto,  al 
solHevo  del  prossimo.  Attese  con  diligenza  ed  assiduità  ma- 
ravigliosa  allo  spaccio  degl'  infiniti  e  spesso  gelosissimi  ne- 
gozi si  ordinari  delle  sue  cariche,  e  si  straordinariamente 
commessigli  ;  non  dandoli  punto  a  studiare  a  consulenti  o 
uditori;  ma  di  per  se  stesso  esaminandoli  e  rivoltandoli  per 
ogni  verso  :  e  dove  a  tale  ricerca  gli  venisse  meno  il  giorno, 
proseguivala  nella  notte,  togliendosi  dagli  occhi  il  sonno, 
del  quale  ebbe  sempre  pochissimo  bisogno  ;  come  fu  altresì 
del  cibo,  che  prendeva  scarsissimo,  e  non  bevea  vino.  Per 
tal  modo  accadeva,  che  alle  sue  determinazioni  altri  non 
potesse  far  mai  censura,  e  che  ne'  consigli  delle  Congrega- 
zioni il  suo  voto  sempre  prevalesse.  Lo  che  davagli  fra  i 
colleghi  una  certa  autorità  universalmente  riconosciuta, 
della  quale  però  egli  non  abusava  procedendo  tronfio  e  con 
aria  di  protezione,  come  usano  i  dappoco  fra  le  pieghe  e  gli 


a  mons.  Polidori,  segretario  del  Concistoro,  così  scrive  :  «  Io  nella 
«  mia  piccolezza  mi  glorierò  sempre  di  essere  stato  negligentato, 
«  perchè  nemico  acerrimo  dell'adulazione  e  sostenitore  imperterrito 
«della  verità,  a  fronte  anche  de' potentati  della  terra». 

(i)  Del  suo  modesto  patrimonio,  oltre  ad  alcuni  legati  in  danaro 
ed  in  robe  a  congiunti,  amici,  famigliari,  chiese  e  pii  istituti,  chiamò 
erede  fiduciario,  con  testamento  del  28  ottobre  1833,  il  suo  nipote 
Pietro  Sala. 


252  G.  Cugnoni 


svolazzi  delle  sete  paonazze  e  porporine;  ma  trattava  con 
tutti  alla  buona,  e  spesso  scherzevolmente,  da  parere  tal- 
volta per  poco  rude  e  disadorno.  Sostenuto,  ma  manieroso, 
coi  suggetti;  riservato  coi  supplicanti,  difficilmente  promet- 
teva, ma  difficilmente  pure  non  esaudiva  :  e  morendo  si 
consolò  «  che  non  gli  rimordesse  la  coscienza  di  ninna  vo- 
«  lontaria  ingiustizia  » . 

Cosi,  passando  per  questa  vita,  compiè  Giuseppe  An- 
tonio Sala  le  parti  di  sacerdote  santo  ed  operoso,  al  quale, 
pel  bene  della  Chiesa,  è  desiderabile  che  molti  si  rasso- 
miglino. 


G.  Cugnoni. 


DOCUMENTI  MILANESI 
INTORNO   A  PAOLO    II   E   AL    CARD.   RIARIO 


I.    Cicco  Simoìietta  e  papa  Paolo  II 
(1470- 

I  Cicco  Simonetta  «  per  grandezza  e  per  lunga 
pratica  eccellentissimo  »,  come  ebbe  a  proclamarlo 
il  Machiavelli  (i),  non  occorre  tessere  la  biografia, 
che  ben  note  sono  T  opera  sua  quale  segretario  dei  duchi 
Francesco  e  Galeazzo  Maria  Sforza  e  la  miseranda  fine  sugli 
spalti  del  castello  di  Pavia  nell'ottobre  1480.  Fu  uomo  dot- 
tissimo e  d' una  fedeltà  a  tutta  prova  (2). 

È  però  prezzo  dell'  opera  comunicare  una  importantis- 
sima lettera  diretta  dal  Simonetta,  ai  19  febbraio  1471,  al- 
l' ambasciatore  milanese  Antonio  de'  Bracelli  in  Roma,  colla 
quale  si  scagiona  delle  accuse  mossegli  da  papa  Paolo  IL 

La  lettera  è  lunga,  ma  altrettanto  interessante  per  la 
franchezza  che  ne  traspira,  congiunta  a  talune  particolarità 
finora  rimaste  ignote.  Porta  la  firma  autografa  del  celebre 
segretario  calabrese,  ma  il  testo  della  lettera  è  calligrafia  di 
qualche  addetto  alla  cancelleria  ducale  sforzesca. 


(i)  Ut.  fiorentine,  Vili,  405. 
(2)  ViLLARi,  Machiavelli,  I,  39. 
Archivio  della  R.  Società  romanci  di  stori j  patria.  Voi.  XI. 


18 


254  ^'  ^otta 


I  principali  appunti  mossigli  dal  papa,  e  che  Cicco  ri- 
batte, ci  sembra  vittoriosamente,  erano  di  poca  gratitudine 
verso  Paolo  II  per  i  benefìci  resigli;  di  scemato  interesse 
per  le  cose  pontificie,  e  di  eccitamento  del  duca  Sforza  a 
scrìvere  in  mala  parte  del  papa  al  re  di  Francia.  Rimprove- 
ravaglisi  altresì  d'essere  amico  del  re  Fernando  d'Aragona, 
qualificandolo  degna  razza  di  calabrese,  peggiore  della  na- 
politana  ! 

I  lettori  àdV  Archivio  consultino  attentamente  la  difesa  del 
Simonetta.  Il  documento  gioverà  egualmente  per  la  costui 
biografia  come  per  quella  di  Paolo  II,  morto  pochi  mesi 
dopo  dalla  data  del  documento  (agosto  1471),  e  la  fine  del 
quale  fu  accolta  da'  Veneziani,  suoi  concittadini,  con  gaudio 
fuor  di  misura.  «  Non  si  poterla  dire  quanta  festa  ha  facto 
a  questa  cita  universalmente  de  questa  morte  (scriveva  allo 
«  Sforza  il  suo  oratore  in  Venezia,  Gerardo  Colli,  ai  2  ago- 
«  sto  147 1)  (i),  io  me  ritrovay  qua  ala  sua  creatione,  ma 
«  niente  fu  la  alegreza  de  alora  ad  quella  della  morte.  In 
«  soma  si  havesaro  recuperato  Ne^roponte  non  haveriano  più 
((  craudio  et  ano  scripto  ad  Roma  a  tutj  li  lor  cardinali  amici 
«  vogliano  far  capo  et  ellegere  Niceno  grecho  »  (il  Bessa- 
rione)  (2).  Ma  riuscì  Sisto  IV  savonese. 

Ed  ecco  la  menzionata  giustificazione  di  Cicco  Simo- 
netta. 

Magnifice  et  prestantissime  doctor,  tanquam  frater  honorandissime. 
Ritrovandose  de  presente  la  Magnificentia  Vostra  presso  la  Santità 
de  Nostro  Signore  m  è  parso  confidentemente  darvi  faticha  de  expo- 
nere  alla  Santità  Soa  la  risposta  de  alcune  cose  che  quella  ha  havuto 
ad  dire  con  diverse  persone,  et  in  diversi  tempi,  circa  li  facti  mei, 
comò  intendarete  qui  de  sotto.  Le  quale  cose  ve  sforzareti  fargli  ben 


(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  estere:   Venezia. 

(2)  Per  la  scissura  di  Venezia  con  Paolo  II  (Barbo)  vedi  il  Ma- 
LiPiERi  (Annali  Veneti)  e  gli  altri  autori.  Supponiamo  que'  fatti  a  co- 
noscenza di  chi  ci  legge. 


T*aolo  II  e  il  Card.  T{iario  255 


intendere,  exponendole  con  quella  reverentia  et  humilità  che  se  con- 
vene al  Summo  Pontifice,  et  come  me  rendo  certo  che  per  vostra 
summa  prudentia  sapereti  meglio  exponere  et  dire  che  non  vi  saperla 
mi  scrivere,  né  ricordare. 

El  è  già  bon  pezzo  che  prefata  Santità  ha  dicto  che  quella  è  semper 
stata  ben  disposta  verso  mi  in  compiacerme,  et  che  da  ley  ho  havuto 
molti  benefici]  et  gratie,  et  tra  le  altre  cose  me  haveva  compiaciuto 
gratis  de  una  dispensa  matrimoniale,  quale  non  seria  facta  ad  altri 
per  500  ducati,  ma  che  mi  non  riconosceva  ali  bisogni]  li  suoy  be- 
nefici], cioè  in  non  essere  stato  fautore  alle  cose  soe;  et  che  la  San- 
tità Soa  desijderaria  eh  io  me  disponesse  ad  dare  più  favore  alle  cose 
de  Sancta  Chiesia  et  soe,  che  non  ho  facto  per  el  passato.  Ha  etiamdio 
dicto  chio  ho  dicto  male  de  Soa  Santità  et  che  ho  confortato  questo 
nostro  111."^°  Signore  ad'scrivere  male  de  quella  alla  Maestà  del  Re 
de  Pranza:  et  con  alcuni  altri  ha  havuto  ad  dire  eh  io  son  più  affectio- 
nato  alla  Maestà  del  Re  Ferrando  che  alla  Santità  Soa  ;  et  demum 
che  li  Sicihani  hanno  fama  dessere  cativi,  ma  che  se  impichariano 
per  la  golia,  se  li  Calavresi  non  fuossero  più  cativi  de  loro  etc.  Delle 
quale  cose  ne  ho  preso  non  pocha  admiratione,  perchè  diete  cose 
sono  edificate  et  suggeste  molto  longo  da  la  verità. 

Et  respondendo  prima  alla  parte  che  Soa  Beatitudine  dice  haverme 
facti  de  molti  benefici],  et  tra  H  altri  haverme  compiaciuto  dessa  di- 
spensa matrimoniale  etc.  è  vero:  vedendo  mi  in  simile  caso,  comò 
era  el  mio,  che  1  papa  non  si  rende  difficile  ad  concedere  tale  dispense, 
delle  quale  ne  ha  compiaciuto  et  compiace  ogni  dì  ad  molti,  fu  sup- 
plicato ad  Soa  Santità  che  se  dignasse  dispensare  tale  gratia,  cre- 
dendome  non  dovesse  denegare  quello  che  senza  difficultà  concede 
ad  altri.  La  Soa  Santità  me  tene  in  pratica  el  spacio  circa  sey  mesi, 
mostrandose  alle  volte  bene  disposta,  et  interdum  gli  ingeriva  delle 
difficultate  che  non  accadevano  ad  proposito.  Puoy  dixeche  dovendola 
fare  ne  voleva  mille  ducati,  se  reduxe  deinde  alli  octocenti,  tertio  et 
ultimo  alli  500.  Ex  quo  vedendo  che  ogni  dì  gli  emergeva  qualche 
nova  difficultà,  fu  necessario  che  li  ambaxiatori  del  111.'"^  Sig.""®  no- 
stro, che  ad  quello  tempo  se  ritrovarono  lì,  ne  prendessero  caricho. 
Et  sic  havendo  havuto  la  cosa  in  pendente  tanto  tempo  corno  è  dicto, 
tandem  per  el  mezzo  de  dicti  ambaxiatori  me  concesse  gratis  dieta 
dispensa,  la  quale  per  essere  stata  molto  tempo  in  dilatione,  non  ha 
parturìto  fructo  alcuno,  immo  parturito  el  contrario  del  bisognio.  Che 
quando  l'havessc  facto  al  principio,  come  poteva,  havria  operato  1  ef- 
fecto  suo.  Siche  dove  la  Beatitudine  Soa  se  credeva  haverme  facto 
uno  singulare  et  relevato  beneficio,  tengo  che  per  la  tardità  soa  me 
habia  facto  el  contrario. 


2^6  E.  oMotta 


Appresso  che  la  Santità  Soa  voglia  dire  haverme  compiaciuto  de 
labbadia  de  S.^°  Bartholomeo  de  Pavia  per  uno  de  li  mei  figlioli  (i): 
dico  con  debita  reverentia,  che  de  questo  el  mio  IH.'""  Signore  ha 
supplicato  alla  Santità  Soa,  et  ad  luy  quella  mha  compiaciuta,  siche 
con  bona  venia  de  Soa  Santità  dico  chel  mio  Signore  ne  è  obbligato 
ad  quella,  et  io  ad  Soa  Signoria  et  non  ad  prefata  Santità.  Havria 
ben  havuto  ad  caro  et  reputato  per  gratia  da  Soa  Santità  quando  li- 
beramente me  havesse  conceduto  che  dieta  abbadia  fuosse  conferita 
ad  mio  figliolo  legitimo,  comò  fu  supplicato  prima,  ad  che  havendo 
la  Santità  Soa  facto  difficultà  per  rispecto  della  minorità  desso  mio 
legitimo  (2),  è  vero  che  messer  Augustino  Rosso  1  obtenete  per  Gui- 
dantonio  mio  figliolo  naturale,  ad  questo  effecto  che  Soa  Santità  puoy 
da  lì  ad  uno  pezzo  la  conferesse  ad  dicto  mio  legitimo.  Per  il  che  fu 
reiterata  già  mesi  xviij  la  suplicatione  ad  Soa  Santità  et  quella  me 
fece  respondere  eh  io  vedesse,  che  tucto  quello  che  la  poteva  fare 
circa  ciò,  salva  conscientia,  era  contenta  de  farlo  volontieri.  Fece  fare 
uno  consiglio  examinato  et  sottoscripto  de  mano  de  sette  sive  octo 
doctori  theologhi  et  canonisti,  quali  tucti  concorreno  in  questo  pa- 
rere che  Soa  Santità  può  dare  in  commenda  ad  esso  mio  figliolo  le- 
gitimo dieta  abbadia,  non  obstante  la  minorità,  distribuendo  in  tre 
parte  le  intrate  dessa  abbadia,  quale  è  circa  ducati  seycento:  cioè  la 
terza  parte  alli  monaci  per  el  vivere  suo,  1  altra  parte  per  la  fabrica 
della  chiesa  et  1  altra  terza  parte  ad  esso  mìo  figliolo.  Et  non  havendo 
la  Santità  Soa  fin  qui  facto  altra  expeditione  circa  ciò,  non  so  se  de 
quello  che  facilmente  compiace  ad  altri,  che  è  de  consuetudine  et 
recusa  farlo  ad  me,  debba  mettere  queste  cose  nel  numero  de  li  be- 
nefici] che  quella  dice  havermi  facti.  Confesso  ben  questo:  bavere 
obtenuto  uno  breve  absolutorio  da  Soa  Santità  quale  ho  instato  de 
bavere  solum  prò  forma,  et  non  già  per  robba  che  havesse  may  del 


(i)  Trattasi  di  Guid' Antonio,  figlio  naturale  del  Simonetta,  avuto 
nel  145 1  in  Lodi  da  una  tale  Giacobina. 

Dal  1466  al  1479  ^^  ^^  trova  commendatario  dell'abbazia  di  Brembo 
nel  Lodigiano  e  di  quella  di  S.  Bartolomeo  in  Pavia  (Cfr.  Redaelli, 
«  Biogr.  di  Cicco  Simonetta  »  in  Annali  universali  di  statistica,  di  Mi- 
lano, aprile-giugno  1829,  pp.  276-277). 

(2)  Cicco  Simonetta  si  maritava  nel  1452,  a  42  anni,  con  Elisa- 
betta Visconti,  figlia  di  Gaspare,  segretario  ducale,  ed  ebbe  sette  figli 
in  undici  anni.  Qui  trattasi  d'uno  dei  quattro  maschi:  Gio.  Giacomo, 
Antonio,  Sigismondo  o  Lodovico  (Cfr,  Redaelli,  loc.  cit.,  p.  277; 
LiTTA,  Famiglia  Simonetta). 


T^aolo  II  e  il  Card,  T{iarìo  257 


altruy  illicitamente  né  robbato  ad  homo  che  vive,  né  anche  perchè 
may  commettesse  homicidio  che  fin  qui  non  ho  facto,  né  é  mia  in- 
tentione  de  fare,  ma  de  operare  bene  et  vivere  comò  Christiane  et 
catholico.  Et  benché  de  questi  se  ne  faciagratia  ad  molti,  nondimancho 
ne  resto  obligatissimo  ad  Soa  Santità  quanto  dire  se  possa;  et  così 
vuy  gli  ne  rendereti  condigne  gratie  da  mia  parte. 

Quanto  ad  quello  che  la  Santità  Soa  dica  eh  ella  desyderaria  eh  io 
me  disponesse  ad  dare  più  favore  alle  cose  de  Sancta  Chiesa  et  soe, 
che  non  ho  facto  per  el  passato,  dico  che  voluntieri  io  voria  essere 
de  tale  condlcione  et  auctorità,  che  io  potesse  fare  quello  che  dice 
soa  Santità,  cioè  de  giovare  ad  quella  et  ad  Santa  Chiesa,  chel  faria 
voluntiera,  comò  é  debito  de  caduno  catholico.  Ma  essendo  la  con- 
dlcione mia  minima,  non  vedo  che  1  accade  quello  che  Soa  Santità 
dice.  Et  pure  quello  poco  eh  io  potesse,  potendolo  fare  con  reserva- 
tione  del  honore  et  debito  mio,  lo  faria  volontieri,  comò  è  dicto.  Ben 
debbe  pensare  la  Santità  Soa  che  manegiando  le  cose  eh  io  manegio 
per  rispeeto  al  officio  mio  d  essere  secretarlo,  che  richiede  ut  non  solum 
carcam  culpa,  sed  etiam  suspicione  et  per  essere  feudatario  et  che  ho 
jurato  fidelità  non  una  volta  ma  più  volte,  così  in  mane  del  Sig.''^ 
passato  comò  de  questo,  sono  obstricto  per  tutti  questi  vincuh,  ultra 
la  naturale  fede  et  servitù,  non  dependere  da  altro  luocho  che  da 
qui.  Et  se  io  non  volesse  mutare  la  natura,  me  seria  admodum  im- 
possibile in  eterno  declinare  da  quella  eh  essa  mia  natura  me  ha  in- 
clynato;  et  deinde  li  vineuli  et  oblighi  de  la  fidelità  mia  me  stringono, 
per  essere  io  allevato  et  instrueto  sotto  quello  mio  Signore  et  maestro, 
quale  fu  de  quella  magnanimità,  virtuie  et  prudentia  che  s  è  veduto, 
che  se  può  dire  essere  stato  splendore  de  Italiam,  da  1  excellentia  del 
quale  hebbe  in  instructione  et  commandamento  che  io  non  havesse 
may  dependentia  da  persona  de  questo  mondo  che  da  quella  eh  io 
serviva.  Et  secundum  mandatum  quod  dedit  mihi  pater,  ita  feci,  et 
facio  et  faciam.  Dicendogli  ultra  ciò  quod  ego  sum  Cichus  parvulus, 
Jhesu  Christi  servulus  et  vere  sfortianus,  confidens  semper  in  verbis 
Domini  ubi  dicit  :  euge  serve  fidelis,  quia  in  pauco  fuisti  fidelìs,  super 
multa  te  constituam  etc.  Siche  son  vero  servitore  et  schiavo  del 
111.'"°  Sig.""  duca  Galeaz,  et  non  son  el  vescovo  da  Parma  né  messer 
Angustino  Rosso,  né  altri  che  sa  la  Santità  Soa,  che  non  voglio  no- 
minare per  più  honestà.  Et  questo  basta  quanto  ad  questa  parie. 

Alla  parte  eh  io  habia  dicto  male  de  Soa  Santità  io  non  son  né 
me  tengo  d  essere  reputato  così  lezero,  quod  auderem  ponere  os  in 
celum  però  chel  non  fu  may  mio  costume  de  dire  male  d  homo  che 
viva  et  maxime  della  Santità  Soa,  quale  è  vicario  de  Christo  qui  in 
terra. 


258  E.  adotta 


Alla  parte  eh  io  habia  confortato  el  prelibato  Signore  nostro  ad 
scrivere  male  de  Soa  Santità  al  Sig/^  Re  de  Pranza,  dico  così  che 
sicome  io  non  dixe  may  malo  de  Soa  Santità,  né  hebbe  may  vena 
che  gli  pensasse,  conoscendo  mi  la  perfectissima  dispositione,  fede 
et  devotione  che  de  continuo  ha  portato  et  porta  1  ex^^*  del  Signore 
nostro  verso  Soa  Beatitudine,  molto  mancho  è  da  credere  chio  habia 
persuaso  Soa  Sig."^  ad  scrivere  cosa  alcuna  in  mancho  d  honore  de 
quella  perchè  questo  nostro  111."^°  Sig/'^  è  de  tale  bontà  et  grandeza  din- 
zegno,  et  de  tale  devotione  verso  la  Beatitudine  Soa  che  frustra  la- 
borare  esset,  quando  né  mi  né  altri  volessimo  persuadere  el  contrario. 

Che  prefata  Santità  dica  che  tutti  li  Calavresi  siano  cativi,  perché 
questo  tocha  ad  mi,  respondo  così  che  la  Calabria  é  la  più  fertile  et  la 
megliore  provincia  che  sia  nel  Reame  benché  la  sia  nel  uhima  et  ex- 
trema  parte  de  Italia.  Nondimancho  in  Calabria  gli  ne  sono  et  de 
boni  et  de  cativi,  comò  é  anchora  ad  Vinexia,  ad  Roma,  ad  Napoli 
et  ad  Milano  et  neli  altri  luochi:  pure  io  me  reputo  nel  numero  de 
li  boni,  et  credo  haverne  facto  le  opre  et  professione,  che  ne  pono 
testificare  qualche  parte.  Et  quando  fuosse  licito  ad  fare  compara- 
tione  da  prelato  ad  seculare,  credo  gli  siano  de  tali  prelati  che  quanto 
al  vivere  dirìtamente  et  bonamente,  io  non  seria  stimato  in  questa 
parte  inferiore,  resservando  però  la  sacra  et  grado  spirituale. 

Alla  parte  eh  io  sia  più  affectionato  al  Re  Ferrando  che  ad  Soa 
Santità  é  vero  che  Calabria,  provintia  del  prefato  sig.""^  Re  per  geni- 
tura é  stato,  patria  originaria  ad  messer  Angelo  mio  barba,  ad  mi, 
mei  fratelli  et  tutti  li  altri  de  casa  mia.  Ma  per  essere  puoy  tucti  nuy, 
barba  et  fratelli  et  molti  altri  de  casa  nostra  allevati  usque  ab  ineunte 
etate  in  casa  sforzesca  et  continuati  semper  et  fidelmente  ne  li  ser- 
vitij  suoy,  cioè  esso  messer  Angelo  per  anni  1  iiij°'vel  circa,  et  io 
circa  anni  39  in  40,  havemo  mei  fratelli,  et  mi,  et  altri  de  casa  no- 
stra, che  siamo  de  qua,  renuntiato  ad  quella  patria  né  più  intendemo 
bavere  affare  con  quella,  perché  la  nostra  patria  è  questa  dove  è  la 
casa  sforzesca,  in  la  quale  sinmo  accresciuti  et  allevati:  et  lo  nostro 
bene  è  qui,  et  ubi  bonum  ibi  patria,  ergo  etc. 

Vivente  autem  la  felice  memoria  del  111.'""  qd."^  duca  Francesco, 
la  Maestà  del  Re  dapuoy  chel  reame  fu  reducto  ad  tranquillità,  me 
volse  donare  castelle  et  terre.  Io  non  volse  may  acceptare  tanto  che 
valesse  uno  soldo,  etiam  chel  prefato  sig.''  duca  Francesco  fuosse 
contento,  perché  sicome  io  era  allevo  et  servitore  de  Soa  Sig.''^^  ap- 
presso el  quale,  vindicato  perpetua  patria,  così  etiandio  la  mia  natu- 
rale servitù  et  fermo  proposito,  me  moveva  ad  non  reconoscere  be- 
neficio d  alcuno  altro  principe  né  persona  del  mondo  che  da  Soa 
Signoria,  la  quale  per  soa  benignità  et  liberalità  me  provedete  per 


T^aolo  II  e  il  Card,  ^ario  259 


tale  forma  che  per  quello  et  per  la  gratia  et  amore  che  ho  da  questo 
111.™°  Principe  duca  Galeaz  suo  figliolo  me  trovo,  gratia  Dei,  havere 
tante  facultate  et  beni  de  la  fortuna,  acquistati  con  mie  extreme  fati- 
che et  sudori,  che  ho  da  vivere  honorevolmente  per  mi,  mei  fratelli, 
mei  figlioli  et  tutti  quelli  de  casa  mia. 

Essendo  aduncha  el  longo  habito  convertito  in  natura,  me  seria 
difficile,  immo  impossibile  reconoscere  né  havere  altra  patria,  né  altro 
signore  che  questo  eh  io  servo  de  presente  :  imitando  quello  proverbio 
O  serve  corno  servo,  o  juge  corno  cervo.  Et  quello  mio  signore  passato, 
et  così  questo  presente,  veramente  poteva  dire:  Non  inveni  tantam 
fidem  in  Israel,  et  tu  es  Petrus  et  super  hanc  petram  aedificabo  etc. 
Et  non  me  tribuisco  questo  ad  arrogantia  per  doctrina  né  virtù  che 
habia,  ma  per  una  sincerissima  fede  et  integerrima  devotione  mia,  et 
de  tutti  li  mei  verso  questa  111."^^  Casa,  quali  siamo  stati,  et  siamo 
sinceri  et  neti  et  nullus  nostrorum  unquam  venalis  fuit  etc. 

Dal  altra  parte  credo  habiati  inteso  che  tucta  la  provincia  de  Ca- 
labria si  è  Angiovina,  et  maxime  la  casa  mia  :  et  lo  principe  de  Ros- 
sano per  tale  sospecto  è  deponuto  da  la  signoria  et  da  mancho  da 
quatri  anni  in  qua  per  la  parte  Angiovina  alcuni  de  li  mei  ne  sono 
stati  privati  de  qualche  suoy  beni.  Et  mentre  chel  reame  de  Napoli 
era  posseduto  dal  re  Renato,  nuy  et  tucta  la  casa  nostra  semper  heb- 
bemo  de  grande  honore  et  benefici]  da  Soa  Maestà,  ne  dubito  quando 
quella  fuesse  richiesta,  et  gli  potesse  fare  cosa  grata  et  accepta,  gli 
la  farla  anchora  voluntieri  et  de  bona  voglia,  comò  ad  suoy  carissimi 
servitori  che  gli  sono.  Siche  se  prefata  Santità  tene  questa  opinione 
de  mi,  el  é  tanto  da  longe  dalla  verità  quanto  è  da  qui  in  India,  et 
inganase  molto  del  opinione  soa.  Et  se  non  chel  non  è  lecito  né 
honesto  ad  uno  mio  pare  de  bassa  et  infima  condicione,  come  son 
io,  de  parlare  in  alcuno  obprobrio  de  Signori  né  grandi  Maestri,  par- 
larla taliter  del  dicto  Re  che  non  dubito,  se  maravigliarla  grandemente 
Soa  Santità,  Ma  per  honestà  voglio  tacere. 

De  la  fede  et  devotione  mia  verso  la  Santità  Soa  el  non  é  da  fare 
parole  perché  1  è  cosi  cosa  minima  chel  non  n  é  da  farne  mencione. 
Ma  corno  bon  christiano  et  bon  catholico,  dove  che  me  son  trovato, 
ho  ricordato  sempre  el  bene  et  honore  de  Soa  Santità  et  de  Sancta 
Chiesa  presso  questo  111.'"°  Sig.""^  quantunche  non  è  stato  necessario, 
ne  che  mi  né  che  alcuno  altro  che  gli  staga  appresso  gli  ricordasse 
questo,  perché  da  sé  stesso,  suo  instinctu  et  dispositione,  è  stato  et  é 
dispostissimo  al  bene  et  honore  de  Soa  Santità  et  Sede  Apostolica  : 
et  lo  ha  dimostrato  con  cfTecto  ne  le  cose  de  Arimino,  perché  se  Soa 
Ex."*  non  fuosse  stata  de  quella  dispositione  che  1  era  et  non  ha- 
vesse  facta  la  reparatione  che  i^ct^  so  come  le  cose  de  Sua  Santità 


26o  E.  oMotta 


et  Sancta  Chiesa  in  che  ruina  sarebbeno  andate,  et  la  Santità  Soa  lo 
sa  bene  anchora  ley.  Et  se  questo  Sig/^  mio  fuosse  stato  figHolo  de 
Soa  Santità  o  uno  de  li  cardinali  suoy,  non  so  come  havesse  potuto 
fare  né  operare  più  in  beneficio  de  quello  et  de  Sancta  Chiesa  comò 
fece.  Del  opra  mia  noi  voglio  dire,  perchè  non  me  pare  molto  hone- 
sto.  Ma  perchè  spero  pure  che  questo  mio  ili.™"  sig/^  qualche  volta 
se  havrà  abbochare  con  Soa  Santità  lassarò  et  de  questo  et  de  le 
cose  del  re  Ferrando,  che  1  Ex.^^^  Sua  come  meglio  informatissima  de 
mi  ne  renderà  vero  testimonio  alla  Soa  Santità,  che  son  certo  quando 
1  havrà  inteso  sera  de  contraria  opinione  che  1  è  de  presenti.  Et  perchè 
quella  ha  dicto  più  volte  con  alcuni  che  non  me  sa  intendere,  dico 
quando  la  Santità  Soa  havrà  inteso  tutta  questa  mia  lettera,  me  rendo 
certo  che  quella  restarà  chiara  et  fuori  de  questo  dubio. 

Fin  qui  ho  dicto  in  resposta  de  quelle  cose  che  la  Santità  Soa  s  è 
lamentada  de  mi  :  hora  accadendo  assay  in  proposito,  m  è  parso  non 
tacere  questo  che  io  dirò  adesso,  non  per  querela,  ma  per  una  infor- 
matione  et  commemoratione.  Vivendo  la  recolenda  memoria  de  papa 
Pio,  la  Santità  Soa  ad  intercessione  del  prefato  IH.'"''  Sig.""®  passato 
duca  Francesco,  conferite  labbadia  de  Sancto  Zohanne  de  Fiore  in 
Calabria  ad  uno  mio  nepote  (i):  et  fu  pronunciato  abbate  canonice 
in  pieno  consistono,  et  per  vigore  delle  bolle  fu  messo  alla  posses- 
sione, et  goldetela  pacificamente  per  el  spacio  de  tri  anni.  Sublata 
autem  ex  humanis  la  Beatitudine  Soa,  dicto  mio  nepote  fu  levato  de 
facto  per  el  presente  pontifice  da  la  possessione  ad  instantia  de  uno 
fra  Karlo  Sytaro,  quale  diceva  pretendere  bavere  certe  rason,  benché 
non  n  havesse  alcuna  in  dieta  abbadia,  perché  altre  volte  1  haveva  im- 
petrata falsamente  per  fiorini  cento,  donde  vale  seycento  vel  circa, 
per  il  che  fu  necessitato  ad  piatire  circa  anni  tri  o  quatro,  facendogli 
de  molte  injurie  :  non  volendo  may  concedere  cosa  alcuna,  che  la 
rasone  permettesse,  et  luy  et  tucti  quelli  de  casa  furono  scommuni- 
cati  et  interdicti  per  li  grandi  /avori  che  faceva  Soa  Santità  ad  esso 
fra  Karlo.  Tandem  da  puoy  longo  litigio  et  dispendio  è  stato  de  ne- 
cessità eh  esso  mio  nepote  habia  redemuto  la  rasone  soa  con  dinari 
dati  al  adversario  oltra  el  dispendio  grandissimo  et  strage  che  ha 
havuto.  Pure  ad  questo  prestò  patientia,  veduto  quello  ha  facto  ad 


(i)  Il  nipote  dovrebb'essere  Cesare  Prothospatharo,  di  Calabria, 
forse  figlio  di  Matteo,  fi'atello  di  Cicco  Simonetta,  e  che  quest'ultimo 
ricorda  nel  suo  Diario  (ms.  all'Archivio  di  Stato  milanese)  ai  25  no- 
vembre 1473.  (y-  Redaelli,  loc.  cìt.,  I,  1829,  p.  176  in  nota  e  II, 
p.  267). 


T^aolo  II  e  il  Card,  ^arìo  261 

questo  mio  Signore  che  è  hormai  cinque  o  sey  anni,  che  ha  tenuto 
in  praticha  Soa  Signoria  per  labbadia  de  Chiaravale,  che  è  del  111.'""' 
et  Rev.'""  monsg/®  Ascanio  suo  fratello,  che  non  ha  anchora  potuto 
havere  1  expeditione  de  le  bolle  de  dieta  abbadia  per  suppUcatione 
né  per  instantia  che  habia  saputo  fare.  Siche  havendo  prestato  pa- 
tientia  Soa  Ex."%  non  pare  honesto  ad  mi  de  lamentare  :  el  poria  però 
essere  che  queste  cose  diete  de  sopra  sariano  facte  preter  scientiam 
et  voluntatem  de  Soa  Santità,  nondimancho  quanto  al  effecto,  come 
voglia  se  sia,  esso  mio  nepote  ha  patito  tucti  questi  disturbi],  incom- 
modi  et  dispendi].  Ma  per  certificare  la  Santità  Soa  né  per  questo  né 
per  veruno  altro  rispecto,  per  mi  se  restarà  may  eh  io  non  facia  1  of- 
ficio de  vero  et  bon  servitore,  et  comò  deve  fare  ciascuno  fidele  chri- 
stiano  et  bon  catholico  verso  la  Santità  Soa  et  Santa  Chiesa,  in  tucte 
quelle  cose  che  accaderano  in  beneficio  et  honore  de  Soa  Santità  per 
quello  pocho  ch'io  posso,  con  reservatione  del  honore  et  debito  mio 
corno  è  diete  de  sopra. 

In  questa  mia  lettera  poria  anche  essere  che  harebbe  dicto  qual- 
che cosa  più  che  non  seria  al  bisogno.  Ma  me  confido  tanto  ne  la 
benignità  et  clementia  de  Soa  Santità  et  in  la  prudentia  vostra,  che 
sporzareti  questa  cosa  sì  saviamente  che  la  prefata  Santità  acceptarà 
ogni  cosa  ad  bon  fine,  alli  pedi  de  la  qua!e  me  recommandereti 
humelmente. 

Dat.  Papié  die  xviiii''  februarij   147 1. 

Vester  Cichus  manu  propria, 
f  Ihesus  autem  transiens  per  medium  illorum  ibat.  f 
[A  tergol.  Magnifico  et  prestantissimo  J.  U.  doctori  et  patri  hono- 
randi.^®""°  domno  Antonio  de  Bracellis  consiliario  et.... 

Rome,  cito  (i). 


(i)  Arch.  Milano,  Carteggio  diplomatico,  cartella  n.  331. 


262 


E.  motta 


II.   La  morte  del  cardinale  Riario. 

(1474). 

Al  pari  di  quella  di  Cicco  Simonetta,  anzi  di  più,  presso 
gli  storici  romani,  è  nota  la  vita  di  Pietro  Riario,  cardinale 
di  S.  Sisto  e  nepote  di  papa  Sisto  IV.  La  di  lui  morte, 
come  si  sa,  avvenne  ai  5  gennaio  1474,  nel  bel  fiore  di 
sua  età,  per  eccesso  di  piaceri  o  per  veleno,  come  altri 
dissero.  Ci  sia  concesso  di  non  diffonderci  oltre  intorno 
al  lusso  sfoggiato  dal  Riario  nel  1473  in  Roma,  in  occa- 
sione del  passaggio  di  Eleonora  d'Aragona  (i),  ed  in  Lom- 
bardia, recatovisi  a  trovare  l'alleato  duca  Galeazzo  Maria 
Sforza. 

Interesserà  invece  di  conoscere  una  testimonianza  si- 
cura, e  dell'  epoca,  del  come  spirasse  il  Riario,  e  chi  ce  la 
fornisce,  nel  medesimo  giorno  del  di  lui  decesso  (lettera 
5  gennaio  1474)  è  l' ambasciatore  milanese  presso  il  papa, 
il  protonotario  apostolico  Sagramoro  da  Rimini,  presente 
all'  agonia  del  S.  Sisto. 

Ecco  quanto  scriveva  al  suo  signore  a  Milano: 

111."^°  p.  et  Ex."^®  Sig/^  mio  singularìssimo.  Quando  io  consy- 
dero  ala  gran  perdita  che  questa  matina  ale  XIIJ  bore  ha  fatto  la 
V.  III.'"''  Sig."^  de  uno  sì   sviserato  amico  et  partexano  corno  era 


(i)  Vedi  le  informazioni  curiose  offerte  dal  Corvisieri  in  questo 
Archivio  (I,  IV,  1878  e  X,  1887)  nel  suo  lavoro:  «  Il  trionfo  romano  di 
Eleonora  d'Aragona  nel  giugno  del  1473  ^'-  Diffuso,  degli  storici 
dell'epoca,  il  milanese  Bernardino  Corio. 

Cfr.  altresì  :  Una  cma  carnevalesca  del  cardinale  Pietro  Riario.  Let- 
tera inedita  di  Lodovico  Genovesi  (a  Barbara  di  Brandenburgo,  mar- 
chesa di  Mantova),  2  marzo  1473.  Roma,  Forzani,  pp.  13,  in-8°. 
Opuscolo  per  nozze  Vigo-Magenta, 


Taolo  II  ^  il  Card.  T{iario  263 


el  nostro  Rever."^®  cardinale  de  San  Sisto,  duro  me  è  parso  essere 
quello  che  li  significhi  tal  novella.  Pur  el  mio  debito  voi  così. 

Il  bon  signore  è  morto  cum  tale  contritione  usque  a  1  ultimo 
fiato,  che  sei  fosse  vissò  (vissuto)  semper  in  uno  heremo,  io  non 
credo  che  Riavesse  possuto  farne  più.  La  confessione  sua,  Sua  pre- 
fata Sig.'"'"  non  una  volta  ma  omne  dì  due  o  tre  volte  1  ha  voluta 
fare,  chiamando  spesso  el  veschovo  de  Viterbo  et  adomandandoli 
et  pregandolo  chel  pensasse  se  cosa  alchuna  el  se  recordasse  de  che 
luy  non  havesse  così  ala  memoria.  De  la  comunione  non  bixognia 
dire  che  la  tolse  cum  tale  parole  chel  demostrò  reconoscere  le  gratie 
havute  da  Dio  et  la  fragilità  de  questo  mondo  :  et  sei  stomacho  non 
fosse  stato  così  mal  disposto,  omne  matina  1  haverìa  fatto.  Poi  ve- 
dendosi strengere  da  la  morte  chiamò  tutta  la  famiglia  et  parlò  a 
tutti,  domandandoli  perdono  se  Sua  Rev."'^  Sig.""^^  may  li  havesse  fatto 
offensione,  et  pregandoli  che  quello  amore  che  haveano  portati  al 
corpo,  lo  volesseno  volgere  al  anima,  che  li  seria  più  caro.  Et  disse 
chel  se  adaptava  volontera  ala  volontà  de  Dio,  et  uxò  queste  for- 
male parole:  «  Cupio  dissolvi  et  esse  cum  Christo».  Solo  li  pesava  el 
morire  per  non  havere  possuto  demostrare  a  tutti  li  soy  amici  et  a 
loro  servituri  gratitudine  de  la  loro  fede  et  fatiche,  ma  che  li  las- 
sava in  le  brazze  de  N.  Signore  che  facesse  quello  paresse  ala  sua 
bontà.  Et  ita  fecit.  Et  his  dictis  chiamolli  tutti  ad  uno  ad  uno  se- 
cundum  ordinem  et  baxolli  et  abrazolli,  che  per  Dio,  Signore  mio, 
non  fò  persona  che  non  li  schiattasse  el  core.  Deinde  retornò  ala 
croce  et  racomandandosi  a  Dio  la  strengeva  dicendo  :  «  Domine  mi- 
serere.  mey.  Io  non  so  se  may  più  bavero  tempo  a  baxarti  ».  Post- 
modum  mandò  el  ditto  veschovo  a  pregare  nostro  signore  che  ha- 
vesse per  racomandato  el  Conte  Hyeronimo  et  che  lo  racomandasse 
ala  lU.'"^  Sig."",  et  tanto  più  quanto  sua  prefata  Rev.'"'^  Sig."'^  non  ce 
seria  più.  Et  le  medesime  parole  ha  ditto  a  mi,  dicendo  io  me  ne 
vò  tanto  più  consolato  quanto  io  spero  che  1  amore  del  Signore  ac- 
crescerà verso  el  conte,  manchandoli  io,  et  spero  che  Sua  Ex.^'*  se 
recordarà  de  la  mia  servitù  et  affectione  verso  quelle.  Et  molte  altre 
cose  ha  fatto  et  ditte  in  questo  ultimo  suo,  che  per  Dio  ha  demo- 
stro essere  altro  che  quello  che  1  è  parso  vivente  et  che  altri  1  ha 
giudichato.  Et  fino  al  ultimo  spirito,  el  disse  tre  vo\iQjesu,Jcsu,  mi- 
serere  mey  et  siandoli  letto  el  passio,  quando  el  frate  che  lo  legeva 
diceva  quelle  parole  et  inclynato  capite  emisit  spiritnm,  cosi  luy  cmisit 
ultimum  spiritum.  El  nostro  Varixino  (i)  ha  demostro  in  questo  la 

(i)  Varesino.  Forse  Carlo  Varesino,  famiglio  ducale,  il  cui  nome 
ricorre  spesso   nei  documenti  sforzeschi  dcWArchivio  Milanese.  Nel 


2^4  ^^W       E.  oMotta 


sua  fede  che  may  ha  lassato  Sua  Rev.'"^  Sig."'*  et  cum  tanta  fede  che 
veramente  1  ha  fatto  prova  essere  fidele  et  bono  giovene:  dicolo  per- 
chè 1  è  stato  obediente  ali  comandamenti  che  la  Excellentia  Vostra 
li  havea  fatto  et  in  vita  et  in  morte.  El  povero  Conte  (i)  è  moggio, 
fora  de  sì,  tamen  pur  fa  prova  de  la  sua  virtù  per  non  attristare 
Nostro  Sig."  che  ne  haverà  uno  colpo  excessivo  :  et  ben  li  bexogna 
boni  conforti  etiam  da  la  Sublimità  Vostra  corno  scripsi  a  questi 
di  che  bono  seria  a  farly.  Racomandasi  el  prefato  Conte  a  quella  et 
hammi  pregato  che  io  la  supplichi  che  la  voglia  havere  per  raco- 
mandato  corno  è  sua  ferma  speranza.  Racomandomi  a  ley. 

Rome  v.^  Januarii  1474. 

Servulus  Sacramorus. 
[a  tergo'] 

principi  et  Ex."^°  domino,  domino 

domino  Duci  Mediolani  (2). 


Aggiungiamo,  a  titolo  di  curiosità,  T  informazione  che, 
ai  30  dicembre  1473,  dava  allo  Sforza,  da  Roma,  il  vescovo 
Arcimboldi  (3)  d' una  nuova  e  stupenda  cattedra  fatta  fare 
dal  cardinale  Riario.  Scriveva: 

L  altro  giorno  el  nostro  mons/^  de  Santo  Sixto  ne  ha  dato  un  altro 
disnare  non  mancho  pontificale  che  1  altro,  et  poy  ce  monstre  alcune 
de  le  sue  degne  cose  che  ha.  Tra  le  altre  una  cathedra  che  nova- 
mente  ha  facto  fare,  coperta  de  brochato  doro  cremesino  bellissimo, 
con  li  pomi  d  argento  sopradorato,  et  lavorati  dignamente  et  li  piede 
similiter  d  arzente  dorato  a  forma  de  piedi  de  griffoni  con  le  franze 


novembre-dicembre  1476  accompagnava  Lodovico  il  Moro  e  il  duca 
di  Bari,  fratello  suo,  alla  corte  di  Luigi  XI  di  Francia. 

(i)  Il  conte  Girolamo  Riario  che  aveva  sposato  Catterina,  figlia 
naturale  del  duca  Galeazzo  Maria  Sforza.  Vedi  l'elenco  delle  gioie 
donate  alla  sposa  dal  Riario  (20  gennaio  1473)  ^^  Registro  Missive, 
n.  Ili  A  (Arch.  Milano). 

(2)  Arch.  di  Stato  Milano,  carteggio  diplomatico,  cartella  n.  401. 

(3)  Sua  lettera  in  Carteggio  diplomatico,  cartella  n.  400  (Archivio 
Milano) 


"Paolo  II  e  il  Card,  piarlo  26$ 


d  oro  et  setta  (seta)  bellissime,  et  con  li  chiodeti  in  forma  de  rosete 
dorate,  in  modo  è  una  bellissima  cosa  da  vedere,  et  bastarla  ben  al 
papa  et  1  imperatore. Dice  che  gli  è  constata  ducati,  v*^,  doro.  Et  perchè^ 
essa  cathedra  ha  un  podio  alto  el  sedere,  gli  ha  facto  fare  uno  sca- 
bello  tutto  coperto  de  veluto  carmesino,  per  tenirlo  sotto  li  piedi. 
Un  altra  ne  fa  fare  in  simile  mò  (modo),  et  de  medesimo  pretlo  ma 
el  brochato  sarà  morello.  N  ha  poy  molte  altre,  coperte  de  veluto  de 
diversi  colori  in  modo  è  cosa  maravigliosa  vedere  li  ornamenti  ha 
per  casa. 

Emilio  Motta. 


G.  Tomassetti  267 


DELLA  CAMPAGNA  ROMANA 


(Continuazione,  vedi  pag.  lói). 


Le  memorie  antiche  del  suolo  intermedio  alle  vie  Pin- 
ciana  e  Salaria  spettano  quasi  intieramente  alla  epigrafìa; 
poiché  vi  si  sono  scoperte,  in  ogni  tempo,  numerose  tombe 
con  iscrizioni  (i). 

Le  memorie  del  medio  evo  si  collegano  in  parte  alle 
antiche.  Infatti,  avendo  per  esempio  già  veduto  le  memorie 

(i)  Sono  tutte  riportate  nel  C.  I.  Z,.  nel  voi.  VI,  e  son  troppe 
perchè  io  possa  noverarle:  stanno  adesso  in  gran  parte  nel  giardino 
Aldobrandini  sul  Q.uirinale.  Le  vigne  Nari,  Pelucchi  e  dei  Dome- 
nicani furono  miniere  di  epigrafi  (Fea,  Misceli,  I,  pp.  148,  149;  II, 
p.  i6i,Ye\\jti,  Marmora  Albana,  p.  37,  FicoRO^tiiy  delarvis,  p .  113,  etc; 
C.  cit.,  2501  a  2986,  8408,  8516,  7845  a  7986).  In  quella  Nari  ab- 
bondarono le  militari,  oltre  liberti  dei  Vigellii  e  degli  Ottavii,  il  mo- 
numento dei  Palangii  e,  nella  vigna  già  Del  Cinque,  le  lapidi  dei 
Caninii  (C.  cit.  7987-7996)  Recentemente,  nelle  moderne  fabbrica- 
zioni, se  ne  sono  trovate  ancora  molte  (cf.  Noliiie  de^^li  scavi,  1886, 
pp.  160,  328,  364,  420,  454;  1887,  pp.  21,  74,  118,  147).  Dopo  circa 
60  metri,  in  direzione  della  3*'^  torre  delle  mura  a  sinistra  della  porta 
Salaria,  sono  apparse  le  rovine  del  mausoleo  di  «  M.  lunius  Menander 
«  scriba  libr.  aed.  cur.  princeps  et  q.  »  (Bull.  Com.,  1886,  p.  371). 
L'esistenza  di  un  a(rer  Volusii  Basilidis  ientibus  (sic)  ab  urbe  parte  sini- 
stra sulla  via  Salaria  è  indicata  da  una  iscrizione  (Wilmanns,  n.  310). 
Non  mancarono  in  questa  contrada  epigrafi  cristiane,  come  quella  di- 
ce Hireneus  v.  e.  et  Albinus  e.  p.  »  nella  vigna  dei  Domenicani  (Set- 
tele,  mss.  presso  il  conte  Aless.  Moroni,  n°  16). 


26S  G.  Tomassetti 


epigrafiche  dei  Cornelii  rinvenute  presso  le  mura  di  porta 
Salaria,  non  ci  sarà  difficile  lo  spiegare  il  nome  dì  forma  Cor- 
nelia rimasto  nella  contrada  Pinciana  nell'età  media,  come 
rilevasi  dagli  atti  di  S.  Silvestro  nelF Archivio  di  Stato  (i). 
Altri  nomi  appartengono  alle  memorie  cimiteriali,  ossia  ai 
martiri,  altri  a  memorie  di  famiglie,  altri  a  condizioni  del 
suolo.  Sottopongo  l'elenco  di  questi  nomi  della  contrada 
Pinciana  nel  medio  evo,  limitandomi  ad  annotare  qualche 
menzione  diplomatica  relativa  più  singolare  : 


I.  Canicatorio 

12. 

5.  Romita 

2.  Capitiniano 

13- 

S.  Saturnino 

3.  5.  Ciriaco 

14. 

trullo  Cocumero 

4.  S.  Colomba 

15. 

Valle  0  lovallo 

5.  fonte  Malonome  (?) 

16, 

Falle  dell'oro 

6,  forma  Cornelia 

17. 

Valle  Augusta 

7.  forma  di  S.  Silvestro 

18. 

Valle  Mar^aro 

8.  f or  niello  de  Tedallini 

19. 

Valle  Piscina 

9.  Gorgini  0  Gonchini 

20. 

Vangiarola 

IO.  Porcari  (vicolo  dei) 

21. 

Zoccoli. 

1 1 .  Pantano  di  legno 

Num.  I.  Da  un  atto  di  S.  Silvestro  del  1329,  nel 
quale  apparisce  tra  i  confinanti  del  terreno  Antonio  de'  Te- 

(i)  I  documenti  riguardanti  forma  Cornelia,  ossia  terreni  in  mas- 
sima parte  vignati,  posti  in  tale  contrada,  sono  degli  anni  13 12,  131 5, 
1317,  1322,  1328,  1379.  Per  brevità  ne  riferisco  due  soltanto: 

Tino  procuratore  del  mon.  di  S.  Silv.  in  cap.  concede  nel  13 17 
in  enfìt.  perp.  da  rinnovarsi  ad  ogni  7  anni  col  pagam.  di  5  soldi  pro- 
visini  per  ciascuna  rinnovazione  a  yiaccoc'w  di  Pietro  Sorice  falegname 
(falleniame)  del  rione  Colonna  una  pezza  d'orto  posto  a  FORMA 
CORNELLA  conf.  cogli  eredi  di  Angelo  Peregrino,  con  Pietro  Basi- 
Iella,  cogli  eredi  di  Francesco  di  Paolo  Andrea  e  colla  via  publica, 
col  patto  di  coltivarla  a  vigna  e  coll'annuo  canone  della  quarta  parte 
di  mosto  mondo  ed  acquato  e  di  un  canestro  pieno  di  uva  a  favore 
del  detto  monistero  (Ardi.  S.  Silv.,  fase.  4). 

Suor  Giovanna  Colonna  badessa  etc.  nel  1379  presta  il  consenso 


^ella  Campagna  1{omana  2^9 

dallini  ed  un  rivo;  ciò   che  serve   ad  illustrare   anche  il 
num.  8. 

Num.  2.  Capitinìaniim,  S.  Columha  e  Formellum  sono 
nomi  di  luoghi  che  succedevansi  dal  declivio  dei  Parioìi 
fino  alla  pianura  del  ponte  Salario.  Il  Galletti  ne  ha  trat- 
tato perchè  li  vide  nei  documenti  di  Farfa  (i),  ma  non  ne 
discusse  il  sito,  che  mi  pare  evidente,  dopo  ciò  che  già 
ho  sopra  accennato,  in  proposito  delle  septem  palumbae  e 
del  clivus  Cocumeris,  Il  documento  Farfense  688  determina 
la  distanza  di  S.  Colomba  ed  annessi  foris  ponte-m  Salar ium 
mille  ah  urbe  Roma  passimm;  ma  deve  intendersi  del  fondo, 
e  per  la  via  Salaria  nuova.  Associando  i  nomi  Farfensi  con 
quelli  che  io  trovo  in  un  documento  di  S.  Silv.  del  1258 
(lib.  dei  compendi),  vale  a  dire  :  chiesa  di  5.  Filippo  (super- 
stite ancora  nella  discesa  dei  Par  ioli),  S.  Columha,  fossato, 
Capitinianum  e  massa  de  vestiario  dominico,  mi  convinco  che 
si  tratta  dello  stesso  gruppo  di  fondi,  e  che  essi  occupavano 
tutta  la  discesa  suddetta  fino  al  ponte  ed  anche  forse  oltre 
YAniene.  Sembra  opporsi  a  questa  ipotesi  il  fatto  che  la 
chiesina  esistente  nel  bivio  dei  Parioli  è  dedicata  a  S.  Fi- 
lippo Neri;  e  v'è  anche  la  tradizione,  presso  quei  contadini, 
che  ivi  spesso  il  Neri  si  recasse  a  pregare:  cosa  verosimile 
perchè  il  Neri  frequentava  le  catacombe  cristiane,  e  colà  ve 
n'erano.  Tuttavia  il  nome  di  S.  Filippo  del  documento  Sil- 
vestrino  è  di  quasi  300  anni  più  antico  del  Neri;  forse 
questi  andava  a  venerare  l'omonimo  antico  santo  apostolo; 
e  col  tempo  egli  quivi,  come  altri  altrove,  ha  scacciato  il 
santo  vecchio.  Ciò  che  principalmente  deve  notarsi  fin  da 

alla  vendita  fatta  da  Martino  di  Cola  della  reg.  Colonna  a  Potrò  di 
Giovanni  da  Tivoli  di  due  pezze  di  terreno  situato  in  Roma  fuori 
porta  Pinciana  nel  luogo  detto  FORMA  CORNELLA.  Confini:  beni 
di  Sinibaldo  del  Giudice,  di  Paolo  Panetosto  e  colla  via  publica,  salvo 
l'annua  corrisposta  della  4*  parte  di  mosto  mondo  e  di  un  canestro 
d'uva  (Arch.  di  S.  Silv.,  fase.  26). 

(i)  Galletti,  Gabio  in  Sabina,  p.  128. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  19 


270  G.  Tomassettì 


ora  si  è  la  coincidenza  dei  nomi  Capitignano  e  5.  Colomba 
in  due  latifondi  assai  lontani,  confinanti  col  territorio  di 
Monterotondo  e  di  Mentana,  che  vedremo  al  loro  luogo. 
L'esservi  unito  anche  il  nome  di  5.  Stephanus  dimostra  che 
quel  gruppo  spettava  pure  alla  chiesa  di  S.  Silvestro,  già 
S.  Stefano;  ed  in  tal  modo  si  spiega  ancora  la  ripetizione 
dei  nomi  suddetti  (i). 

(i)  Ancora  una  nota  archeologica  sulla  zona  Pinciana  dei  Pa- 
rioli-; Neil' intemo  di  questa  collina  scorre  l'acqua  Vergine,  che  quindi 
passa  nella  villa  di  Giulio  III,  donde  ritorna  per  Muro  torto  nel  monte 
Pincio.  Sappiamo  anzi  che  questo  speco  romano  dei  Parioli  venne 
mutato  ossia  raccorciato  da  Mario  Frangipani  e  Rutilio  Alberini  nel 
secolo  XVI  (Cassio  Alb.^ Corso  delle  acque  antiche,  I,  p.  136).  I  corsi 
sotterranei  delle  acque  erano  dagli  antichi  additati  sopra  terra  con 
cippi  scritti,  distanti  un  iugero  tra  loro.  Nel  C.  I.  L.  VI  sono  ripor- 
tati tre  cippi  iugerali  dell'acqua  Vergine,  l'uno  d' ignota  provenienza, 
l'altro  della  villa  Medici,  il  terzo  a  Muro  torto,  Vinea  Vallaea  secondo 
il  Fabretti  (Inscr.,  pag.  661).  Osservo  primieramente  che  la  vigna 
Valle  non  era  a  Muro  torto  ma  sui  Parioli,  vicina  a  S.  Filippo,  e  tut- 
tora può  vedersi  il  nome  sul  cancello  CAROLVS  VALLIVS,  e  cor- 
risponde alla  vigna  dei  5  orologi  di  S.  A.  il  principe  Orsini.  Ristabi- 
lita questa  coincidenza,  quel  cippo  collima  benissimo  con  un  altro, 
sfuggito  agli  autori  del  Corpus,  e  che  io  trascrissi  nel  1875  nella 
parte  esterna  del  muro  della  vigna  ora  Telfener,  ove  tuttora  si  vede. 
Lo  lessi  con  molta  difficoltà  per  essere  in  travertino  e  molto  corroso; 
e  lo  pubblico  ora  più  esattamente  che  V Ephemeris'epigraphica  (IV,  282). 

VIRG 
TI  •  C  L  AVD IVS 

5      DRVSI-F  •   CAESAR 
è      AVG-GER^^^NICVS 

PONTIFEXtrM  AXIMVS 

TRIBVNIC-POTESTAT-IIII 
(sic)    COS-II\  IMP   VIII       P    P 

XLV  P • CCXX 

m.  0.74 

È  importante  pel  numero  XLV  a  sinistra,  oltre  quello  ordinario 
dei  CCXX  piedi,  ch'è  la  distanza  di  un  cippo  all'altro.  Se  i  cippi 
ebbero  un  numero  progressivo  dalla  foce  dell'acqua  in  città  il  nu- 


1)ella  Campagna  ^^omana  271 

Num.  3.  Deriva  dal  monistero  di  S.  Ciriaco  in  via 
Lata,  che  vi  possedeva  parecchi  fondi.  I  documenti  relativi 
risalgono  al  1040  (i). 

Num.  4.  Da  un  atto  di  S.  Silvestro  del  1258,  ove  si 
parla  del  casale  massa  de  vestiario  dominico. 

Num.  5.  Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  1330:  essendovi 
tra  i  confinanti  il  monistero  di  S.  Agnese,  suppongo  che 
questo  luogo  stesse  sulla  via  Salaria,  e  che  il  nome  di  via 
Pinciana  vi  sia  stato  apposto  erroneamente  ;  perciò  vi  ho 
aggiunto  nell'elenco  il  segno  dubitativo  (?). 

Num.  6,     Ne  ho  discorso  testé,  prima  dell'elenco. 

Num.  7.  Da  un  atto  del  12^8,  di  S.  Silv.  Sul  monte 
Parioli  era,  naturale  questa  denominazione  dal  possessore. 
V'era  anche  la  grotta  di  5.  Silvestro. 

Num.  8.  Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  132 1.  Veggasi  il 
num.  I .  Si  tratta  di  nota  famiglia  romana.  Un  fondo  posto 
adformam  ruptatn  è  ricordato  con  un  altro  posto  ad  5.  Her- 
metem,  altro  nome  cimiteriale  antico,  in  una  pergamena 
di  S.  Silv.  del  1 172;  ed  altre  vigne  ad  S.  Hermetem  in  altra 
pergamena  del  1198. 

Num.  9.  L'antichità  di  questo  nome  rilevasi  dalle 
bolle  di  Agapito  II  e  di  Giovanni  XII  (2);  e  la  perma- 
nenza di  esso  da  atti  di  S.  Lorenzo  in  Panisperna  del  1284 
(n.  214)  e  di  S.  Silv.  del  135^,  del  1388  e  del  1400,  tro- 
vandosi tra  gli  enfitetui  di  S.  Silv.  un  Oddone  di  Lamentana 
possidente  in  Gorgini  (lib.  dei  compendi). 

Num.  IO.  Da  documento  Capitolino  del  1385  (notaio 
lacobellus  Stephani  de  Caputgallis)  riguardante  una  vigna 

mero  45  non  e  eccessivo  per  un  cippo  quasi  alle  porte  di  essa?  In- 
vecesarebbe  forse  conveniente  se  la  numerazione  incominciava  dalla 
sorgente.  Rimetto  la  discussione  ad  altro  scritto,  come  ancora  la  prova 
che  la  data  del  cippo  debba  essere  l'anno  45  dell'Ora  volgare. 

(i)  Cod.  Vat.  8048,  f.  mod.  23,  119;  Cod.  Vat.  8049,  ^-  "\o^-  52» 
64»  72.  73»  135,  145- 

(2)  Marini,  Papiri,  pp.  39,  46. 


272 


G.  Tomassetti 


di  S,  M.  in  Campo  Marzio  extra  portam  Pincianam  -  al  vicolo 
dclli  Porcari  -  Me  lo  partecipò  il  eh.  signor  Leone  Nar- 
doni.  Non  è  il  solo  possesso  di  questa  celebre  famiglia  in 
questa  parte  della  campagna  romana.  Sulla  via  Nomentana 
ne  vedremo  un  altro. 

Num.   II.     Da  un  atto  di  S.  Silv.  del   123^  (lib.  dei 


compendi). 
Num.  12 
Num.  13 


Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  1350  (ivi). 
Da  documento  Capitolino  (not.  Bern.  Ca- 
putgallis,  del  147^  riguardante  una  vigna  di  S.  Agnese  affit- 
tata ad  un  Cola  Mansi)  comunicatomi  dal  signor  L.  Nar- 
doni  ;  e  dal  testamento  di  Geronima  Pierleoni  vedova 
Cardelli,  nell'archivio  di  S.  M.  in  Campo  Marzio,  donde 
rilevasi  che  Ritozza  Pierleoni,  sua  madre,  vi  possedette 
una  vigna  confinante  colla  via  publica  (Pinciana)  e  che 
questo  luogo  S.  Saturninus  non  doveva  distar  molto  dalle 
mura  (i). 

Num.  14.  Luogo  già  ricordato  nel  clivus  Cucumeris 
delle  fonti  cimiteriali.  Arguisco  che  fosse,  come  ho  accen- 
nato di  sopra,  derivato  da  un  pinnacolo  monumentale,  per- 
chè negH  atti  di  S.  Silv.  del  13 12,  13 13,  1354  trovo  la  in- 
dicazione trullum  Cocumeris  e  trullo  Cociimmario  (Hb.  dei 
compendi);  ed  in  un  documentò  Capitolino  (not.  Caput- 
gallis)  del  147^,  indicatomi  dal  signor  L.  Nardoni,  lo 
trovo  segnato  turre  Cocumero  (è  una  vendita  di  'vigna  dal 
mon.  di  S.  Agnese  ad  un  Sante  Angelucci). 

Num.  15.  La  Valle  o  lo  Vallo j  è  indicato  in  un  docu- 
mento di  S.  Silv.  del  1355  (fase.  23)  e  in  uno  del  1388 
(fase.  2^). 

Num.  16,  Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  1255  (lib.  dei 
compendi).  Il  fondo  relativo  confinava  per  tre  lati  colla 
via  publica. 

Num.  17.     Da  un  atto  di  S.  Silv.  del  1251  (ivi). 


(i)  Cf.  Cod.  Vat.  7931,  f.  mod.  93  sg. 


'Della  Campagna  ^I^omana  273 

Num.  18.  Da  un  atto  Capitolino  (not.  Petrus  lacc- 
he Ili  de  Caputgallis)  del  1463  favoritomi  dal  signor  L.  Nar- 
doni.  Doveva  essere  vicina  aìVAniene,  perchè  spettava  al- 
l'ospedale de'  Ss.  Sanctonim  ;  e  questo  fu  proprietario  fino  ai 
nostri  giorni  della  tenuta  di  ponte  Salano. 

Num.  19.  Da  più  atti  di  S.  Silv.  Nel  più  antico, 
del  II 68,  si  legge  piscina  de  Io.  Laviano,  in  altro  dei  1198 
è  scritto  piscina  soltanto,  in  uno  del  12 14  valle  de  pi- 
scina (lih.  dei  compendi).  L'origine  aquaria  del  nome  è  evi- 
dente. 

Num.  20.  In  un  atto  di  S.  Silv.  del  13 12  è  scritto 
Vargiarola,  in  uno  del  1322  Vangiarola,  in  uno  del  1370 
Dangiarola  (Inventario  di  S.  Silv.  e  fase.  23). 

Num.  21.  Da  documento  Capitolino  (not.  Petrus  de 
Caputgallis)  del  1455  indicatomi  dal  signor  L.  Nardoni. 

In  conclusione,  il  suolo  Pinciano  era  nel  medio  evo 
tutto  vignato  e  solcato  da  rivi  e  viottoli  vicinali,  come 
rilevo  dai  documenti;  e  terminava  nella  gran  pianura  del 
ponte  Salario  suìYAniene. 

Prima  di  riprendere  l' itinerario  dalle  due  porte  Nomen- 
tana  e  Salaria,  per  le  due  vie  principali,  dirò  che  i  fondi 
posti  su  queste  vie,  i  quali  appartennero,  nel  medio  evo, 
alla  Chiesa  romana,  formavano  parte  del  patrimonium  Sa- 
hinense  o  Savinense,  uno  dei  cospicui  patrimoni,  ma  meno 
ricco  di  quello  della  Tuscia. 

Il  nome  classico  della  regione  Sabina  dominò  adunque 
nell'amministrazione  della  romana  curia  per  tutto  il  medio 
evo  (i).  Quali  fossero  i  confini  del  patrimonio  Sabinense, 
entro  il  raggio  delle  30  miglia  che  io  mi  propongo  d'illu- 
strare, non  è  facile  il  definire.  Le  fonti  diplomatiche  pon- 


(i)  Si  mantenne  anche  nel  secolo  xvi  nelle  amministrazioni  reli- 
giose. In  un  atto  del  1583  dell'archivio  di  S.  Silvestro  in  capite,  riguar- 
dante la  tenuta  di  Maìpasso  presso  il  ponte  Salario,  essa  e  indicata  nel 
territorio  Sabinese  (Archivio  di  Stato,  lib.  instrum.  S.  Silv.). 


274  ^'  'domasse ttt 


tificie  antichissime  non  esprimono  gli  estremi  geografici 
con  tale  accuratezza,  che  se  ne  possa  ritrarre  molta  luce. 
Sembra  certo  che  da  questa  parte  fossero  i  patrimonia 
suburbani  cosi  ordinati  ; 


patnm. 
Tusciae 


patnm.  patrim.  patnm.  patnm. 

Sabinense      Tiburttnum      Labicanense      Appiae 


Secondo  le  lettere  di  Adriano  I  (i)  e  il  diploma  di  Lu- 
dovico il  Pio,  Carlomagno  concesse  il  territorio  Sabinense 
a  s.  Pietro  e  successori,  e  pose  i  limiti  fra  i  Reatini  ed  i 
Sabini  (2).  Perciò  su  questa  suddivisione  dell'antico  terri- 
ritorio  Sabino  io  vorrei  appoggiare  una  congettura,  che, 
cioè,  nel  noto  elenco  dei  patrimoni  ecclesiastici  dato  nel 
sinodo  Ravennate,  dopo  il  Traiectanum,  il  Theatinum 
essendovi  la  voce  utrumque  che  precede  il  Sabinense, 
questa  potesse  piuttosto  attribuirsi  al  medesimo  Sabinense. 
che  al  Traiectanum,  come  invece  sembrò  al  Zaccaria. 
Non  veggo  infatti  la  ragione  per  una  duplicità  del  ter- 
ritorio Traiettano,  mentre  ho  ricordato  quella  del  Sabi- 
nense (5).  Comunque  sia  stato  diviso,  era  certamente  un 
patrimonio  assai  ricco  nei  primi  secoli  del  medio  evo;  ed 
oltre  a  numerosi  fondi  amministrati  dalla  curia  pontificia, 

(i)  Cenni,  Monum.  dom.  pont.  I,  p.  384. 

(2)  Zaccaria,  De  rebus  ad  hist.  eccl.  pert.  etc.  II,  p.  152. 

(3)  Il  Gregorovius  (St.  di  R.  nel  m.  e.  V,  6,  §  i)  legge  in  modo  il 
passo  del  sinodo  Ravennate  da  intendere  compresi  i  due  territori  Tihur- 
tinum  e  Theatinum  dentro  il  Sabinense.  Ma  ciò  mi  sembra  improbabile, 
si  perchè  converrebbe  leggere  Reatinum  invece  di  Theatinum,  giacché 
non  potrebbero  associarsi  Tivoli  e  Chieti;  sì  ancora  perchè  v'  è  di 
mezzo  il  Traiectanum.  Q.uanto  poi  alla  promiscua  intitolazione  ch'ebbe 
la  Sabina,  nelle  lettere  pontifìcie,  di  patrimonium  e  territorium,  notata 
già  dal  Cenni  (1.  cit.)  dirò  che  l'una  è  voce  di  ordine  economico, 
l'altra  di  ordine  geografico  ;  ma  l'associazione  geografica  essendo  la 
base  dell'amministrazione,  deve  sempre  aversi  presente  nella  Inter- 


It 


^ella  Campagna  ^T{omana  275 

ne  conteneva  molti  di  S.  Silvestro,  di  S.  Ciriaco  e  special- 
mente del  famoso  cenobio  Farfense,  le  cui  memorie  ci  ser- 
vono di  guida  in  gran  parte  del  nostro  viaggio. 

Il  suolo  attiguo  alle  due  vie  principali,  nell'età  antica, 
fu  occupato  da  suburbana,  o  luoghi  di  temporanea  dimora, 
in  gran  parte  forniti  delle  consuete  tombe,  le  cui  memorie 
tornarono  e  tornano  alla  luce  (i).  La  villa  Patrizi,  aggre- 
gato già  di  più  vigne  di  privati,  che  possono  vedersi  nella 
pianta  del  Bufalini,  a  destra  della  via  Nomentana;  le  vigne 
a  sinistra,  già  Capizucchi,  Lancellotti,  Pitoni,  Pasquali, 
tutte  scomparse  e  trasformate  ora  in  moderni  caseggiati, 
contenevano  ruderi  di  portici,  di  sepolcri,  di  muri  d'ogni 
età.  Le  vigne  Accoramboni,  Ercolani  ed  Orsi  furono  compe- 
rate dal  card.  Alessandro  Albani^  e  tramutate  in  quella  splen- 
dida non  meno  che  deliziosa  signoria,  eh'  è  la  sua  villa,  ora 
del  principe  Torlonia,  la  sola  scampata  finora  nel  rinnova- 
mento generale  (2).  Ma  questo  ha  servito,  in  occasione  dei 

pretazione  dei  testi.  Infatti  nello  stesso  patrimonio  Tiburtino  abbiamo 
una  Massa  Sahinensis  contenente  otto  fondi,  il  cui  nome  geografico 
si  oppone  all'economico  ;  ma  si  spiega  facilmente  per  la  vicinanza. 
Così  troviamo  che  sotto  Gregorio  Magno  il  territorio  Carseolitano  era 
compreso  nell'amministrazione  della  Sabina,  perchè  paese  confinante; 
ma  non  si  potrebbe  dire  altrettanto  di  Rieti  e  di  Traetto.  Cosi  pari- 
menti troviamo  che  nel  secondo  medio  evo,  cioè  nel  secolo  xiv, 
quando  diminuiva  grandemente  la  importanza  statistica  e  politica 
della  regione  Sabina,  che  decade  insensibilmente  sempre,  e  cresceva 
al  contrario  quella  della  Tuscia,  il  rettore  óqì  patrimonium  Tusciae, 
ch'era  il  meno  lontano  ed  il  più  potente,  riceveva  l'appello  quale 
Comes  Sahinensis  (Theiner,  Codex  dipi.  II,  p.  94  ed  altrove). 

(i)  Ad  un  trar  di  pietra  della  porta  Nomentana  fu  scoperta  la 
lapide  arcaica  pregevolissima  di  L.  Aurelius  Hermia  lanius  de  colle 
Viminali  (C.  /.  L.  I,  loii);  poco  lungi,  il  cippo  importante  di  Cai- 
purnia  llias  Eborensis  (C.  cit.  VI,  14234),  ov'cra  la  vigna  Giani,  a 
sinistra. 

(2)  Questa  ricchissima  raccoha  di  antichità  greche  e  romane  ed 
ancora  egizie,  quantunque  in  parte  impoverita,  alla  quale  ha  recente- 
mente il  principe  Torlonia  aggiunto  un  museo  di  gessi,  per  lo  studio 


2'j6  G.  Tomassettì 


lavori  necessari,  a  farci  conoscere  molte  particolarità  del 
suolo  antico  (i).  Di  tutte  le  scoperte  avvenute  nel  primo 
tratto  della  via  Salaria,  nel  tempo  decorso  (2)  e  nell'odierno, 
principale  si  è  quella  del  mausoleo  rotondo  di  M.  Lucilius 
Paetus,  di  34  metri  di  diametro,  apparso  nella  villa  Bertone, 

dell'arte  antica  figurata,  è  stata  illustrata  in  opere  numerose  del  Win- 
ckelmann,  del  Zoega,  del  Visconti,  del  Morcelli  e  di  altri  archeologi. 
Le  monografie  speciali,  che  riguardano  la  collezione  Albani-Torlo- 
nia,  sono: 

Venuti  Rodulfino,  Marmora  Albana  sive  in  duas  inscriptiones  già- 
diatorias,  etc.  conjecturae.  Romae,  1756. 

Marini  Gaetano,  Iscrixiotii  antiche  delle  ville  e  de' palaci  Albani, 
raccolte  e  pubblicate  con  note.  Roma,  1785.  (Contiene  anche  le  iscri- 
zioni delle  altre  case  Albani). 

Anonimo  (Fea  Carlo),  Indicazione  antiquaria  per  la  villa  subur- 
bana  dell' ecc.**"^  casa  Albani,  ed.  2^.  Roma,  1803. 

BuNSEN  in  Beschreibung  der  Stadi  Rom.  Stuttgart  und  Tubingen,  1838, 
III  b.,  p.  455  e  sgg. 

Morcelli-Fea-Visconti,  La  villa  Albani  ora  Torlonia  descritta, 
ed.  2^  Roma,  1869. 

(i)  Una  via  normale  alla  Nomentana,  oltre  le  tracce  di  questa, 
è  stata  scoperta  nell'area  già  Patrizi  (Nat.  Scavi  1886,  pp.  52  e  53). 
Importante  vi  è  stata  la  scoperta  del  sepolcro  ante-augustèo  dei  Rabirii 
(ivi,  p.  156),  di  L.  Laevius  Asiaticus,  dei  Munatii,  di  C.  Clodius  Diony- 
sius,  ecc.  (pp.  160,  209  e  235).  Altre  scoperte  ivi  registrano  le  Not. 
cit.  (1887,  p.  328).  V'erano  anche  sepolcri  cristiani,  noti  da  qualche 
tempo  (De  Rossi,  Bull.  1868,  p.  32),  e  il  cimitero  di  S.  Nicomede, 
che  possedette  un  horticellum  im  via  Nomentana  secondo  gli  atti  nei 
BoUandisti. 

(2)  Tra  le  lapidi  esistenti  già  nella  vigna  Gangalandi,  poi  Della 
Porta,  contigua  già  alla  villa  Albani,  vi  è  quella  proveniente  dal  foro 
boario  (De  Rossi,  Ara  Massima,  p.  14).  Anche  di  recente  si  è  trovata 
vicino  alla  porta  Salaria  un'importante  lapide  di  provenienza  urbana 
(Not.  cit.  1885,  p.  476).  Nei  prati  già  degli  Antoniani  francesi  di  Vienne, 
contigui  anch'essi  alla  villa  Albani,  poi  vigna  Carcano,  fu  scoperto 
il  rilievo  di  Euripide,  ora  nel  museo  Albani.  Quivi  era  il  cimitero 
di  Massimo  ad  sanctam  Felicitatem,  e  l'aveva  già  determinato  il 
De  Rossi;  e  le  odierne  scoperte  l'hanno  confermato.  Tra  queste  v' è 
un  dipinto  rappresentante  S.  Felicità  coi  sette  figliuoli  (cf.  De  Rossi, 
Bull.  1885,  p.  149). 


niella  Campagna  Romana  277 

nell'anno  1883,  dagli  archeologi  descritto,  ma  non  ancora 
pubblicato  con  disegni  (i).  Auguriamoci  che  sia  conser- 
vato per  l'avvenire;  poiché  per  l'età  e  per  la  forma  esso  è 
degno  confronto,  nella  campagna  romana,  di  quelli  di  Me- 
tella  e  di  Cotta  sulla  via  Appia.  Nel  coperchio  di  un  sar- 
cofago ritrovato  presso  il  monumento  è  inciso: 

PETRO  —  LILLVTI   PAVLO 

che  significa  aver  questo  sarcofago  servito  di  tomba  ad 
un  Pietro  Paolo  Lilhiti  nel  medio  evo  (2). 

Tra  le  vie  Nomentana  e  Salaria,  in  questo  primo  tronco 
quasi  parallele,  si  estende  una  valletta  profonda,  che  si  può 
limitare,  verso  Roma,  dal  cosi  detto  vicolo  Alberoni,  e  verso 
la  campagna  dal  vicolo  di  5.  Agnese,  due  viottoli  che  con- 
giungono le  due  vie  da  questo  punto  fino  alla  valle  del- 
l'Aniene.  Nel  fondo  della  valletta  corre  la  così  detta  mar- 
rana di  S,  Agnese  che  sbocca  nelY Aniene  quasi  ad  egual 
distanza  dai  due  ponti  Nomentano  e  Salario.  Questa  val- 
letta ha  pur  essa  la  sua  storia  :  vi  si  rinvennero  vestigia 
di  fonificazioni  arcaiche  simili  a  quelle  dell' ^^^^r^  di  Servio 
Tullio,  e  rehtti  di  terrecotte  pure  arcaiche  (3).  Da  un 
documento  Tiburtino  del  982  rilevasi  che  ebbe  nome  ager 
Velisci,  nome  arcaico  significante  palude  ed  acqua  in  ge- 

(i)  Cf.  Not.  cit.  1885,  pp.  189,  225  e  253;  1886,  pp.  54,2096  235. 
Vi  si  sono  rinvenuti  attorno  sepolcri  numerosi  con  quasi  200  tra  iscri- 
zioni e  frammenti  di  età  posteriore  all'augustèa,  eh'  è  quella  del 
mausoleo.  L'interno  di  questo  si  è  trovato  scavato,  adoperato  per 
tombe  cristiane  e  sconvolto  in  età  moderna. 

(2)  Un'ultima  notizia  epigrafica  su  cotesto  sito,  ov'era  nel  se- 
colo XVII  la  vigna  Buratti,  già  dei  Gavotti.  In  un  gradino  della  casa 
del  giardiniere  lesse  il  p.  Lupi  un  importante  frammento  relativo  al 
ius  monumenti  (Dissertai,  ed.  Zaccaria,  II,  p.  167). 

(3)  Le  rinvenne  il  cav.  Michele  Stef.  De  Rossi  nell'orlo  di  que- 
sto cratere  (vigna  Crostarosa).  Cf.  Bull.  Comunale  1883,  p.  256.  Era 
dunque  un  sito  fortificato  attorno  come  prossimo  tanto  alla  città, 
quanto  a  nemici  pericolosi  nell'antichissima  età. 


G.  Tomasseiti 


nere  (i).  Al  qual  nome  fa  egregio  riscontro  l'altro  di  ad 
capream  dato  allo  stesso  luogo  in  una  iscrizione  cristiana 
relativa  al  coemeterinm  maius,  ch'era  costì,  e  precisamente 
VOstrianum,  presso  S.  Agnese,  decorato  della  leggenda  ubi 
Petrus  bapti^abat,  perciò  principalissimo  nelle  tradizioni 
religiose  di  Roma  (2).  Altro  riscontro  rileviamo  dalla  in- 
titolazione ad  nymphas  (forse  anche  lymphas)  del  suddetto 
cimitero  nelle  fonti  storiche  relative  (3). 

Sul  margine  destro  di  questa  valle,  cioè  sulla  via  No- 
mentana,  abbiamo  a  sinistra  la  villa  già  Alberoni,  la  vigna 
Nataletti,  la  vigna  Casalini  e  poi  le  monumentali  chiese 
di  S.  Agnese  e  S.  Costanza;  a  destra  la  villa  Lucernari,  ora 
ridotta  a  villini,  la  villa  Torlonia  (già  in  parte  Lucernari) 
in  questo  secolo  adornata  con  opere  monumentali  dall'ora 
estinto  principe  D.  Alessandro  (4),  le  ville  Mirafiori  già 
Lepri,  Ferrari  e  Malatesta,  e  le  vigne  Lezzani  e  De  Solis. 


(i)  Bruzza  L.  in  Bull,  del  De  Rossi  1882,  p.  96. 

(2)  De  Rossi  in  Bull.  Cornuti.  1883,  p.  224  e  sgg.  Questa  notizia 
ha  servito^  al  De  Rossi  per  abbattere  la  vecchia  opinione,  che  la  pa- 
lude Caprea,  ove  si  disse  scomparso  Romolo,  fosse  nel  campo  Marzio 
(presso  il  Pantheon),  e  per  supporla  nella  valle  di  S.  Agnese.  Ci  sem- 
bra persuasivo  il  suo  ragionamento  nel  campo  letterario,  ossia  delle 
fonti.  Anche  la  storia,  per  quanto  oscurata  dalle  leggende,  ci  può 
far  balenare  uno  scontro  fra  Sabini  e  Latini  sulla  via  Nomentana, 
seguito  dalla  scomparsa  di  Romolo  e  dalla  elezione  del  secondo  re 
sabino.  Anche  la  corrispondenza  topografica  del  tempio  di  Quirino, 
sul  colle  omonimo,  colla  via  Nomentana  non  ci  sembra  estranea  a 
questo  fatto. 

(3)  De  Rossi,  Bull.  A.  Crisi.  1876,  p.  150;  Armellini  M.,  5^o/>^r/a 
della  cripta  di  s.  Emerm^iana.  Roma,  1877,  p.  11. 

(4)  Tra  le  magnifiche  opere  dal  principe  Torlonia  fatte  eseguire 
nella  sua  villa  Nomentana  si  veggono  i  due  obelischi  in  onore  di  suo 
padre  D.  Giovanni  e  di  Anna  Maria  Sforza  sua  madre,  fatti  tagliare 
nelle  cave  di  Baveno,  trasportare  per  acqua  fino  all'Aniene,  cioè  alla 
prossima  riva  di  Saccopastore,  coU'opera  del  comm.  Cialdi,  nel  1839; 
ed  incisevi  le  iscrizioni  geroglifiche  dettate  dal  p.  Ungarelli,  final- 
mente innalzati  coU'opera  del  Carnevali.  Cf.  Pignotti  Leonini  An- 


niella  Campagna  ^T^mana  279 

Sul  margine  sinistro  della  valle  medesima,  cioè  sulla 
via  Salaria,  abbiamo  le  vigne  già  Della  Porta  e  Filoma- 
rino, che  fronteggiano  la  villa  già  Potenziani  ora  Telfener. 
Anche  in  questa  parte  della  via,  la  contrada  è  stata  ricca 
di  epigrafi  sepolcrali,  in  occasione  dei  lavori  edilizi  quivi 
eseguiti  (i).  Nel  primo  medio  evo  fu  abitata  questa  re- 
gione ;  come  rilevasi  dalla  notizia  della  basilica  di  S.  Fe- 
licità quivi  esistente  nel  secolo  quinto,  quando  veniva  da 
Bonifazio  I  fornita  di  suppellettili,  e  quindi  doveva  esser 
frequentata  (2). 

(Continua) 

G.    TOMASSETTI. 


TONIO,  Gli  ohelischi  eretti  nella  villa  sulla  via  Nomentana  del  principe 
D.  Alessandro  Torlonia,  Roma,  1842  ;  Gasparoni  Francesco,  Sugli 
ohelischi  Torlonia  nella  villa  'Nomentana,  ragionamento  stor.- critico, 
Roma,  1842.  Una  medaglia  incisa  dal  Girometti  e  fregiata  di  epigrafe 
dettata  dal  p,  Marchi  è  pure  monumento  di  questo  fatto,  che  deliziò 
il  popolo  romano  nell'anno  1840,  e  forni  occasione  a  poeti,  letterati 
e  disegnatori  per  farsi  onore.  Un  sonetto  del  Visconti  (Pietro  Ercole), 
amico  del  principe,  porgeva  il  confronto  degli  obelischi  egizi  in 
Roma,  trofei  di  battaglie,  e  questi,  simboli  d'amor  filiale  : 

In  lei  (Roma)  d'un  figlio  sol  l'amore  eguaglia 
L'opre  di  tanta  gloria  e  tanto  impero. 

(i)  Cf.  Bull.  Comunale  1886,  pp.  331,  372  e  sgg.  Vi  si  rinvennero  le 
memorie  dei  liberti  degli  Appulei.  Cf  Not.  Scavi  1885,  p.  528;  1886, 
pp,  364  a  404;  1887,  pp.  21,  74,  191,  328  e  sgg.  Importante  v'  è  stato 
il  sepolcreto  dei  curatores  della  tribù  Follia  {Bull.  Comun.  1887, 
p.  187,  ecc.). 

Prima  di  lasciare  questo  primo  tronco  della  Salaria  ricorderò 
agli  studiosi  di  epigrafia  come  da  falsa  lezione  di  un  epitaffio  cristiano 
il  p.  Paoli  ricavasse  un  libro,  per  dimostrare  che  quivi  era  sepolto 
Felice  II  papa  (che  invece  stava  sulla  via  Portuense).  Fu  un  con- 
flitto serio  dell'autore  col  Marini,  Tiraboschi  e  Oderici,  che  lo  con- 
futarono con  ardore  superiore  al  valore  della  cosa.  (Cf.  De  Rossi, 
Inscript.  Christ.  I,  p.  177). 

(2)  Liber  pontificaliif  ed.  Duchesne,  in  Bonifatio,  p.  227-228. 


VARIETÀ 


Iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  di  S.  Stefano  dei  Mori, 


Nel  voi.  IX  di  questo  Archìvio  il  prof.  Guidi,  publi- 
cando  due  lettere  che  si  riferiscono  alla  prima  stampa  del 
Nuovo  Testamento  in  etiopico  fatta  in  Roma  nel  1548-49, 
ricordava  Tasfa  Sion  ed  altri  abissini  che  dimorarono  nel 
convento  di  S.  Stefano,  per  cagion  loro  detto  «  dei  mori  » 
e  dei  quali  si  leggono  li  epitaffi  nella  chiesa.  Di  tali  epi- 
taffi parte  sono  in  latino,  e  questi  furono  già  publicati, 
parte  sono  in  geez  ed  in  arabo  ancora  sconosciuti.  Così 
mi  è  parso  di  fare  cosa  gradita  tanto  agli  studiosi  delle  cose 
orientali  quanto  agli  amatori  di  curiosità  romane  publi- 
cando  queste  iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  ancora  esistenti 
in  S.  Stefano. 

Da  assai  tempo  la  chiesa  e  il  convento  di  S.  Stefano 
furon  dai  papi  concessi  agli  abissini;  ma  intorno  alla  data 
di  questa  concessione,  e,  quindi,  al  nome  del  pontefice  da 
cui  fu  fatta  non  sono  d'accordo  coloro  che  scrivono  sul- 
l'argomento: cosi  TAlfarano  dice  che  Sisto  IV  (1471-84) 
ristorò  il  monastero  e  lo  consegnò  agli  abissini;  e  il  Piazza 
(^Opere  pie  di  Roma,  p.  123)  che  Clemente  VII  nel  1525 
concesse  agli  abissini  S.  Stefano  e  una  casa  contigua;  e, 
infine,  H.  Salt,  nel  suo  Viaggio  in  Abissinia  (II,  p.  274,  n.)^ 
ritiene  la  fondazione  del  convento  per  gli  abissini  in  Roma 
esser  avvenuta  al  tempo  del  viaggio  in  Europa  di  Zaga-Zabo, 


282  F,  Gallina 


che  parti  dall' Abissinia  con  D.  Roderigo  de  Lima  e  con 
TAlvarez  nel  152^;  ma  nessuna  prova  è  recata  a  sostegno 
di  queste  affermazioni. 

Opinione  più  comune  è  che  l'edificatore  dell'ospizio 
per  gli  abissini  sia  stato  Alessandro  III;  e  così  scrivono 
TAlveri  (Roma  in  ogni  stato),  il  Nibby  {Roma  nel  18)8, 
p.  726),  e  il  Forcella  nelle  brevi  notizie  sulla  chiesa  di  S.  Ste- 
fano che  precedono  le  iscrizioni  (VI,  p.  307),  e  ultima- 
mente anche  rArmellini  (Chiese  di  Roma,  p.  ^22).  E  questa 
ipotesi  fu  fatta  la  prima  volta  dal  Baronio  quando  pu- 
blicò  (ex  Rogerii  Annalihus  Anglicanis)  la  lettera  di  Ales- 
sandro III  :  «  Charissimo  in  Christo  filio  illustri  et  magni- 
«  fico  Indorum  regi  sacerdotum  sanctissimo....  Qcc.n.  Ma  il 
Ludolf  che  si  occupa  di  tale  questione,  tanto  nella  Historia 
(lib.  Ili,  e.  9),  quanto  nel  Comentario  (ad  lib.  Ili,  n.  9^), 
dice  che  il  Baronio  è  in  errore  quando  crede  la  lettera  di 
Alessandro  III  diretta  al  Prete  Janni;  e  asserisce  che  il 
tenore  della  lettera  stessa  nulla  contiene  circa  la  chiesa  e 
il  convento  di  S.  Stefano,  (i) 

Più  recentemente  FAssemani,  in  una  importante  disser- 
tazione publicata  dal  Mai  nella  Scriptorum  veterum  nova 
collectioy  V,  riporta  l'opinione  del  Baronio,  ma  crede  «  più 
«  verisimile  che  i  monaci  abissini  non  abbiano  ottenuta  la 
«  chiesa  di  S.  Stefano  che  da  Eugenio  IV,  dopo  il  concilio 
«  Fiorentino,  a  cui  vennero  da  Gerusalemme  e  dall'  Egitto 

«  molti  monaci  abissini  e  copti »,  e  allo  stesso 

papa  Eugenio  IV  aveva  già  attribuita  tale  concessione  il 
PanciroU  nei  Tesori  nascosti,  p.  54^.  Il  Bruce  e  il  Salt  più 
sopra  citato  scrivono  che,  per  volontà  del  re  Zara-Ja*qob, 
Nicodemo,   superiore   del    convento   abissino  di  Gerusa- 


(i)  Anzi  R.  Basset  negli  Etudes  sur  Vhistoire  d'Ethiopie  (Parigi, 
1882)  scrive  :  «  . . .  questo  documento  è  probabilmente  apocrifo,  come 
«  r  ha  dimostrato  lo  Zarncke  »  (Commentatio  de  epistola  Akxandri 
papae  III,  ecc.;  Lipsiae,  1875). 


V aitici  à  283 


lemme,  mandò  l'abate  Andrea  ed  altri  religiosi  al  concilio 
di  Firenze,  e  il  Bruce  (i)  aggiunge  (II,  p.  73)  che  Zara- 
Ja'qob  ottenne  il  consenso  del  papa  per  stabilire  a  Roma 
un  convento  di  abissini.  Ma  qualunque  parte  abbia  avuta 
in  ciò  Zara-Ja'qob  (del  quale  il  Ludolf  dice  :  «  ab  Ecclesia 
«  Romana  alienum  fuisse  »  (2),  è  certo  che  gli  abissini  ven- 
nero al  concilio;  e  se  n'ha  memoria,  oltre  che  negli  atti 
del  concilio,  nei  versi  che  si  leggono  sulle  porte  della 
basilica  di  S.  Pietro  fatte  da  Eugenio  IV,  e  in  un  quadro 
del  Vaticano,  nel  quale  Gregorio,  l'amico  del  Ludolf,  «  po- 
«  pulares  suos  agnoverat  ». 

Ora  se  aache  l' ipotesi  del  Baronio  è  da  escludersi 
(come  pare  veramente)  essendo  poco  fondata,  invece  si 
hanno  prove  della  dimora  di  abissini  a  S.  Stefano  non 
molto  tempo  dopo  il  concilio  di  Firenze,  cosi  che  sembra 
ragionevole  ritenere  che,  nell'occasione  della  venuta  degli 
abissini  al  concilio,  fosse  da  Eugenio  IV  il  monastero  di 
S.  Stefano  destinato  per  sede  agli  abissini  stessi. 

Dice  il  Gibbon  :  «  Circondati  da  nemici  della  loro  reli- 
<(  gione,  gli  Etiopi  stettero  circa  un  millennio  dimentichi 
«  del  resto  del  mondo,  dal  -quale  essi  stessi  erano  dimen- 
«  ticati  »  ;  ma  la  venuta  di  religiosi  abissini  al  concilio  Fio- 
rentino e  le  relazioni  che  i  Portoghesi  strinsero  con  l'Etiopia 
tornarono  a  stabilire  continue  comunicazioni  fra  1'  Europa 
e  questo  unico  Stato  cristiano  d'Africa.  Poi  fu  intrapresa  la 
conversione  dell' Abissinia  dalla  eresia  monofisita  alla  fede 
cattolica  :  cosi  dal  principio  del  xvi  secolo  si  mantennero 
i  monaci  abissini  (ricevendo  anche  gli  alimenti  dal  palazzo 
Apostolico)  nel  convento  di  S.  Stefano  sino  verso  la  fine 
del  secolo  xvii. 

(i)  È  noto  che  il  Bruce  inserì  nella  narrazione  del  suo  viaggio 
gli  annali  d' Abissinia  tratti  da  un  testo  ge'ez. 

(2)  Del  resto  per  ciò  che  rignarda  Zara-Ja*qob  e  i  suoi  istituti 
ecclesiastici  vedi  Dillmann,  Ueber  die  Re^icnui  :,  ./r.  dcs  Kònigs  Zar'a- 
Ja*qob. 


284  F.  Gallina 


Poi,  essendo  morti  quelli  che  vi  erano,  e  non  venen- 
dovene  altri  (i),  fu  la  chiesa  data  in  cura  a  D.  Matteo 
Naironi  maronita.  Nel  1705,  da  Clemente  XI  fu  fatto  cap- 
pellano e  rettore  perpetuo  di  S.  Stefano  Tabate  Campana, 
il  quale  mori  nel  1729  lasciando  la  carica  alFEm.  Ansidei, 
già  destinatogli  a  coadiutore  con  futura  successione  fin 
dal  1724.  Frattanto,  dice  TAssemani  nella  Controversia 
coptica  già  citata_,  copti  ed  abissini  (chiamati  a  Roma 
dalla  Congregazione  di  Propaganda  Fide)  domandavano 
di  esser  reintegrati  nel  possesso  della  loro  chiesa  :  e  morto 
nel  1730  TAnsidei,  l'ottennero.  Clemente  XII  confermò  la 
concessione  del  monastero  e  gli  alimenti,  e  con  breve  del 
15  gennaio  173 1  stabili  che  gli  abissini  di  S.  Stefano  di- 
pendessero in  perpetuo  dalla  S.  Congregazione  di  Propa- 
ganda Fide,  e  deputò  a  rettore  ed  amministratore  del  con- 
vento l'Assemani.  Nel  1732  altri  copti  giungevano  a  Roma 
e  nel  1807  vi  arrivava  Giorgio  Galabbada,  che  fu  l'ultimo 
ospite  di  S.  Stefano,  e  vi  morì. 

In  breve:  gli  abissini,  ricevuta,  assai  probabilmente  da 
Eugenio  IV,  la  chiesa  di  S.  Stefano  col  convento,  vi  stet- 
tero per  circa  due  secoli;  e  in  loro  mancanza  la  chiesa  fu 
data  ad  altri,  fino  a  che,  nel  1730,  ne  furono  gli  abissini, 
insieme  coi  copti,  reintegrati  in  possesso. 

Sarebbe  certo  importante  publicare  tutte  le  notizie  che 
si  possano  raccogliere  intorno  ai  religiosi  abissini  e  copti 
che  furono  a  Roma,  e  le  memorie  che  di  loro  rimangono; 
al  quale  scopo  gioverebbero  le  postille  che  si  leggono  nei 


(i)  Il  LuDOLF  nel  Coment.,  che  fu  publicato  nel  i69i,dice  della 
chiesa:  «  Hoc  tempore  alii  clerici  eam  possident,  ex  quo  nulli  Habes- 
«  sini  amplius  Romam  venerunt  ». 

Gli  Etiopi  che  giungevano  a  Roma  venivano  spesso  da  Gerusa- 
lemme; tuttavia  a  lasciare  senza  ospiti  il  convento  di  Roma  influì 
certo  anche  questo  :  che  l' impresa  della  conversione  degli  Etiopi 
era  fallita  proprio  quando,  sul  finire  del  regno  di  Susnejos,  sembrava 
compiuta. 


Varietà  285 


codd.  Etiop.  della  Vaticana;  ma  mi  limito  per  ora,  come 
ho  detto,  a  publicare  le  iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  di 
S.  Stefano.  Le  più  antiche  sono  le  etiopiche;  le  arabe  sono 
solamente  del  secolo  scorso,  perchè,  come  è  detto  più  sopra, 
solo  allora  dimorarono  nel  monastero  dei  copti  (i);  una 
sola  iscrizione  ha  una  riga  di  copto. 

Le  iscrizioni  etiopiche  contengono  qualche  errore,  ma 
più  numerose  sono  le  inesattezze  di  scrittura,  assai  frequenti 
nei  mss.  Etiopici  (2),  e  derivate  dalla  pronuncia  del  tempo, 
quali  sarebbero  : 

a)  lo  scambio  delle  vocali  e  ed  a;  ad  esempio:  l'iscri- 
zione I  ha  ''m  per  'ama,  e  subito  dopo  ha  mahrat  per  m'hrat; 
cosi  le  iscrizioni  II  e  III  hanno  entrambe  l'harwó  per  z^lz'rwo  : 

h)  lo  scambio  delle  gutturaU  h,  h  e  h  ;  per  esempio  : 
luarha  per  warha  (iscrizione  III)  e  hahta  per  hahta  (iscri- 
zione IV); 

e)  lo  scambio  di  s  con  s:  nalisi  per  nahase  (iscri- 
zione I); 

d)  lo  scambio  di  h  ed  m:  ^abana  per  pantana  (iscri- 
zione III). 

Ecco  ora,  nella  seguente  pagina,  la  più  antica  delle 
iscrizioni. 


(1)  Tuttavia  anteriore  a  questo  tempo  è  l'iscrizione  latina  d 
«  Musa  Franciscus  Afferia,  filius  principis  Libiae  »,  morto  nel  1626 
Essa  fu  riportata  dall'Alveri  e  dal  Gualdi,  e  da  questo  la  tolse  il  For 
cella. 

(2)  Nel  cod.  Et.  ms.  GLI  del  British  Museum,  uno  dei  monaci  d: 
S.  Stefano,  Habta  Miryam,  di  cui  si  parla  più  sotto,  dA  chiare  prove 
delle  scarse  nozioni  di  ortografia  che  egli  possedeva. 


Archivio  delia  li.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


286 

F.  Gallina 

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Varietà  287 


Cloe: 


Qui  è  sepolto  Tasfa  Sion  etiope  [sacrifizio 

prete  :  ricordatelo  nelle  vostre  preghiere  e  nel  vostro  santo 
per  Cristo  e  per  la  Madre  di  Gesù  -  Amen, 
mori  il  18  di  nahasè  (agosto)  nell'anno  di  grazia  1550  (i). 

TasflT-Sion  era  monaco  dell'ordine  di  Takla  Haimanót, 
e  fu,  senza  dubbio,  il  più  distinto  di  quanti  abissini  dimo- 
rarono a  Roma.  Di  lui  conservano  memoria  alcuni  codici 
Etiopici  Vaticani;  nel  codice  XXIX,  per  esempio,  si  parla 
di  una  specie  di  sinodo  fatto  dai  monaci  di  S.  Stefano 
sulle  regole  interne  del  convento:  Tasfà-Sion,  che  vi  prese 
parte,  è  chiamato  manfìfr  'ahà  Tasfà  S'yon. 

Paolo  Giovio  (il  quale,  come  è  noto,  da  lui  (2)  ebbe 
le  notizie  intorno  alFAbissinia  che  egli  pose  nel  lib.  XVIII 
della  sua  storia)  lo  chiama  :  «  huomo  d' honorato  et  illu- 
«  stre  ingegno  »  e  di  lui  dice  che  :  «  possedendo  molte 
<(  lingue,  rendutosi   frate,  in   Roma  imparò  benissimo   la 


(i)  Nel  computo  degli  anni  dalla  nascita  di  Cristo,  gli  abissini  si 
trovano  in  ritardo  di  circa  sette  anni  dal  computo  nostro.  Ma  chi 
scrisse  l'epigrafe  etiopica  di  Tasfà  Sion  adottò  il  millesimo  della  iscri- 
zione latina  (MDL);  e  forse  volle  anche  adottarne  la  data  del  mese, 
che  è  28  di  agosto,  ma  per  errore  scrisse  invece  18.  Suppongo  que- 
sto perchè  il  18  di  nahasè  non  corrispondeva  punto  ai  28  di  agosto 
del  calendario  Giuliano. 

Q.UÌ  non  sarà  inopportuna  una  breve  notizia  sul  calendario  etiopico: 
L'anno  etiopico  consta  di  dodici  mesi,  di  trenta  giorni  ciascuno,  e  di 
un  tredicesimo  mese  detto  PSguetnSn,  cioè  aggiunto,  il  quale  ha  sei 
giorni  nell'anno  bisestile,  che  porta  il  nome  di  «  anno  di  S.  Luca  », 
e  cinque  giorni  nei  tre  anni  successivi,  che  portano  i  nomi  degli  altri  tre 
evangelisti.  Nel  secolo  presente  l'anno  etiopico  comincia  il  io  settem- 
bre del  nostro  calendario;  ma  l'anno  che  segue  a  quello  di  S.  Luca 
comincia  l'ii  settembre,  perchè, come  s'è  detto,  nell'anno  di  S.  Luca 
il  mese  PUguentSn  ha  sei  giorni. 

(2)  Ed  anche  dal  comentario  che  P.  Alvaro  lasciò  scritto  del  suo 
viaggio. 


288  F.  Gallina 


«  lingua  nostra,  e  ad  alcuni  uomini  curiosi  insegnava 
«  l'abissina  ». 

Probabilmente  egli  ebbe  parte  nel  tentativo  di  con- 
versione della  sua  patria,  se,  come  credo,  è  di  lui  che  parla 
il  Salt  dove  dice  che  «  le  istanze  di  un  degnissimo  prete 
«.abissino,  chiamato  Pietro,  condussero  Ignazio,  il  fonda- 
«  tore  della  C.  di  G.,  ad  intraprendere  la  conversione  del- 
«  TAbissinia »  (II,  p.  27^);  anche  lo  Harris  ac- 
cenna, senza  farne  il  nome,  ad  un  abissino  che  in  Roma 
ispirò  al  Loyola  Fidea  della  conversione  dell' Abissinia.  Ma 
il  maggior  titolo  ch'egli  ebbe  ad  esser  rammentato  dai 
posteri  fu  la  stampa  da  lui  fatta  del  Nuovo  Testamento 
in  etiopico,  che  non  dovette  essere  facile  lavoro  :  le  dif- 
ficoltà che  bisognò  vincere  sono  adombrate  nelle  parole 
che  stanno  in  capo  al  libro,  e  che  il  Ludolf  riporta  : 

«  O  padri  miei,  o  fratelli  miei,  non  vogliate  male  in- 
«  terpretare  gli  errori  di  questa  (edizione):  poiché  coloro 
«  che  la  stamparono  non  sapevan  leggere;  e  noi  non 
«  sapevamo  stampare  :  cosi  che  essi  aiutaron  noi,  e  noi 
«  aiutammo  loro  come  il  cieco  aiuta  il  cieco.  Perciò  per- 
«  donateceli ...... 

E  né  pure  fu  fatica  iterile,  poiché,  dice  Paolo  Giovio, 
gli  abissini,  che  per  divozione  venivano  da  Gerusalemme 
a  Roma,  solevano  i  libri  della  S.  Scrittura  stampati  in 
Roma  «  per  un  gran  miracolo  portare  a  casa  loro».  Certo, 
come  dice  la  iscrizione  latina,  avrebbe  Tasfa-Sion  fatto  più 
cose,  se  non  glielo  togheva  la  morte  che  lo  colse  all'età  di 
soH  quarantadue  anni. 

Dopo  l'iscrizione  di  Tasfa-Sion,  per  ordine  di  tempo, 
vengono  due  iscrizioni  del  1599  (i). 


(i)  L'iscrizione  di  «  Pater  frater  Marcus  aetiops  »,  morto  nel  1582, 
è  solo  latina.  Essa  fu  già  stampata  dall' Alveri  e  dal  Forcella. 


Varietà  289 


II. 

n  t>  r  /*>  :  n^A-  ^  'n 

♦  /ì  ^  :  A  0  :  /  ^  #  -n 

^i\I  :a  f^  r.  r  ft  'n 

Ricordatelo  nelle  vostre  preghiere 

pellegrini  -  qui  è  se 

polto  padre  Ja'qob 

figlio  del  padre  nostro  Eustazio  (jnonaco  delVordine  di  Eu- 

nell'anno  1599  [stazio) 

dalla  nascita  di  Cristo 

fino  a         in  Marco  .... 

Non  saprei  spiegare  le  ultime  parole  di  questa  iscrizione 
se  non  come  facenti  parte  di  una  frase  simile  a  quella  che 
si  legge  nella  iscrizione  seguente  ;  e  tuttavia  la  lapide  non 
mostra  di  essere  stata  rotta. 

Un  Qasis  Ja*qob,  che  è  probabilmente  colui  che  ò  no- 
minato in  questa  epigrafe,  è  ricordato  in  postille  dei  codd. 
Et.  Vatic.  V,  VII,  XXIV  e  XXXVI. 

II,  1.  I.  Per  :(^k*riud        5.  ?tr  yTistatyTis      7.  Per  'amiha 


290  F.  Gallina 


In  questa  iscrizione,  e  nella  seguente,  sono  nominati  i 
due  principali  ordini  monastici  di  Abissinia,  cioè  quello 
di  Takla  Haimanòt  e  quello  di  Eustazio. 

III. 

:<fò  (DI  %n9  f)(!)Cuao:y 

Ricordatelo  o  fratelli  nostri  pellegrini 

qui  è  sepolto  Zaccaria  etio 

pe  del  paese  di  Dawarò 

figlio  del  nostro  padre  Takla  Hàimanot 

nell'anno  di  grazia  1599 

dalla  nascita  di  Cristo 

fino  a  che  mori  nel  tempo  di  Marco  {iielYanno  di  S.  Marco) 

evangelista  nel  mese  di  maggabit  (rnar^o). 

Ili,  1.  I.  Per  i^trwò     2.  Per  :(akàryas      6.  Per  ''mudata      7.  ha- 
lamana  mdrqòs        8.  Per  hawarha  maggabit 


Varietà  291 


IV. 

^rcDAÒ^  ^'{Soo:}  <t>g  /\cm  ^  /i  ^,  fo  .  q>  ^ 
n  c  r  :  "H  P  -.A  0  :  *!  m  C  P-  >»  •.  h  a  ?  t  • 
CDA    n:  (h    fi    t:  ^  C    f    ?o   '  ti    Pt^-i.> 

/^     *>!    '.    ero    >     /*    /^    .*   ^     0  ^    ;  u/    r  jp  ; 
7    p  :  aj     3     f    ù/    0 

fi     °%      1   : 

Padre  Takla  Hàymanót  di  Dabra  Dima  pellegrino  di  Ge- 

e  dopo  di  essa  venne  a  Roma  per  [rusalemme 

visitare  S.  Pietro  e  Paolo. 

e  morì  il  12  di  maskarram  (settembre) 

e  l'abbiamo  sepolto  qui  (noi)  padre  Gregorio  di  Layad 

e  padre  Habta  Maryàm  di  Dabra  Guba'e 

(e)  padre  Antonio  di  Taqùsa. 

Fratelli  nostri  pellegrini,  se 

verrete  dopo  di  noi 

ricordatelo  nelle  vostre  preghiere 

questo  monaco  dabbene. 

1649 
dalla  nascita 
di  Gristo  Signor  nostro 
Amen. 

IV,  1.  I.   Per  na-^acli       6.  Per  huhlu         7.  Per  antjn's        S.  Per 
abawina         14.  Per  /Wslós 


292  F.  Gallina 


Questa  iscrizione  ha  il  pregio  di  recare  i  nomi  di  alcuni 
abissini  conosciuti  dal  Ludolf  quando  fu  a  Roma  nel  1^49. 

Il  P.  Gregorio  di  questa  iscrizione  e  quello  con  cui 
il  Ludolf  strinse  amicizia,  che  andò  poi  a  trovarlo  in 
Germania,  e  del  cui  aiuto  egU  si  giovò  per  scrivere  la 
sua  Historia,  ecc.,  sono  assai  probabilmente  la  stessa  per- 
sona, benché  nella  iscrizione  sia  detto  :(a  Layad,  e  nel 
Ludolf  invece:  '"mbeta  'amhàra  'mmakana  s'iàsè. 

Del  P.  Antonio  di  Taqùsà  dice  il  Ludolf:  «  Antonius 
«  d'Andrade,  patre  Lusitano  et  matre  Habessina,  Takuessae 
((  in  Dembea  natus  ...... 

Il  P.  Habta  Maryam  pure  è  ricordato  dal  Ludolf;  e 
copiato  da  lui  è  il  cod.  Et.  ms.  GLI  del  British  Museum. 

V. 

'iìtSy-'ntP-nHtM'MChtfyS'ìf  CD 
^  vro^xh?  wn©  e*  >:MP>»  nd^-<romj-^p 

CD  C-f^CT^:  K.^  7'rt^hc;oA:J«PVW7/)Ci-A 

V,  1.  2.  L'iscrizione  precedente  ha  guha'é  2.  L'iscrizione  prece- 
dente lia  dahra  dima         11.  Per  t^r 


Varatela  293 


Ecco  ricordiamo  noi  padre  Habta  Màryam  di  Dabra 
Gùbà'è  e  padre  Takla  Haymanjt  di  Dabra  Dima 
pellegrini,  che  per  questa  chiesa  la  quale 
ci  diedero  i  papi  antichi  quando  la  trovammo 
vetusta  e  rovinosa  ci  siamo  adoperati  molto  per  essa 
e  l'abbiamo   restaurata   col  nostro  denaro,  che  è  circa  la 

[somma  di  400 
e   70    piastre.   Non   crediate,  fratelli  nostri,  che    abbiamo 

[fatto  {ciò) 
per  gloriarci  ma  perchè  ci  ricordiate  nelle  vostre  preghiere, 
nell'anno   1^38  dalla  nascita  di  Cristo 
Signor  nostro,  a  lui  gloria.  Sepoltura  di  P.  Habta 
Màryam  la  cui  morte  fu  il  14  del  mese  di  Ter  (^gennaio) 
nell'anno   1(354  ^^  Nostro  Signore. 

Vengono    ora   alcune  iscrizioni  arabe.  La   prima  riga 
della  iscrizione  VII  è  scritta  in  copto. 

VI. 

Hadà  darìh  gad  yil'asaf  min  madinet  gir  gì 
Questo  è  il  sepolcro  di  Gad  Joasaf  della  città   di  Girge. 

VII. 

Makarios  pkigdmanos  (i)  ou  pimonachos  agibthios 

Macario  egumeno  e  monaco  egizio. 

'al-qass  maqàryùsraìs  dér  'as-saydah  'aUmuhannà 
hibarryat  slhat  '  eli  adi  f ima  ha'd 
sàr  rais  dcr  mar  'estafànùs 
'aUmuìuiuiia  bidcr  'ai-ì)abas  waqad 
tanayyaha  fi  yóm.  2y  fi  sahr  ti'sriii  'dt-idiiì 
—  n40  —     (2) 

(i)  sic. 

(2)  Il  I"orcclla  legge  la  data  della  iscrizione  latina  così  :  MDCCXI. 


294  ^'  Gallina 


Prete  Macario  superiore  del  convento  della  Vergine,  detto 
«  del  deserto  di  Sceti  »  il  quale  di  poi 
divenne  superiore  del  convento  di  S.  Stefano 
detto  «  convento  degli  Abissini  ».  Ed  egli 
morì  il  di  27  del  mese  di  novembre 
—  1740  — 

Questo  P.  Macario  (chiamato  dall' Assemani  Macario 
Asmalla')  è  uno  dei  due  monaci  copti  che  nel  febbraio  1730 
furono  introdotti  nel  monastero  di  S.  Stefano.  L'iscrizione 
latina  dice  che  egli  mori  in  età  di  anni  CVII  e  mesi  vii. 

Vili. 

'ahunà  'al-qass  yuhanna  'al-haha'sy  raheb  mar  'anWnyós  min 

[madinet  danhyat  min  mudun  'al-hahas 

'atà  'ila  rùmyat  fi  'l-yóm  'ar-ràh"  min  sahr  ti'srin' awwal  1^4^ 

[waaqama  bihadà  'al-mahall  wàhad 

waialatin  sanai  zva'sahrain  watanayyahafì  'lyóm  'at-talai  'asar 

[min  sahr  kànun  'awwal 
ij8o  wakàn  lahu  min  'aWomr  talàtat  tua  sittin  sanai  hakadà 

[kaiaba  bilìàtini 
' al-munstnyùr  'asiafànUs  Borga  kaiim  fna^ma"  'iniisàr  'Vimàn 

Yhnuqaddas, 

Padre  Giovanni  abissino  monaco  di  S.  Antonio  del  paese 

[di  Denba  (uno)  fra  i  paesi  d'Abissinia 

venne  a  Roma  il  di  quattro  del  mese  di  ottobre  1749  e 

[stette  in  questo  luogo 
trentun  anni  e  due  mesi,  e  mori  il  di  13  del  mese  di  di- 

[cembre 
1780.  Ed  aveva  l'età  di  7^  anni.  Cosi  ha  scritto  in  latino  (i). 
mons.  Stefano  Borgia  segretario  della  Gong,  di  Prop.  Fide. 

Vili,  1.  5.  Probabilmente  per  katib'  asrar.  L'iscrizione  latina  ha:  a 
secretis. 

(i)  Questa  iscrizione  è  preceduta  da  quella  latina  già  publicata 
dal  Forcella. 


Varietà  295 


Giorgio  Galabbada,  morto  nel  1845,  non  ha  epitaffio 
in  etiopico:  non  essendoselo  preparato  da  sé  stesso  quando 
viveva,  non  ebbe  poi  alcuno  che  glielo  scrivesse.  L'iscri- 
zione latina  si  legge,  come  le  altre,  nel  tomo  VI  del  For- 
cella. 


F.  Gallina. 


2^6  qA.  Liiiio,  9^.  ^Henier 


^l^lapone  inedita  sulla  morte  del  duca  di  Gandia. 


L'omicidio  avvenuto  in  Roma  nella  notte  dal  14  al 
15  giugno  1497  impressionò  grandemente  tutti  i  contem- 
poranei. Si  trattava  della  morte  di  un  personaggio  rag- 
guardevole, di  uno  dei  figli  di  papa  Alessandro  VI^  Gio- 
vanni duca  di  Gandia,  e  il  delitto  era  stato  perpetrato  con 
tanta  circospezione  e  tanto  mistero  che  ben  presto  si  sup- 
pose dovesse  esservi  sotto  un  antefatto  borgiano  nefando. 
La  voce  che  incolpava  Cesare  Borgia,  prima  buccinata  in 
segreto,  non  tardò  ad  essere  riferita  come  cosa  certa  dagli 
ambasciatori  e  quindi,  affermata  dai  migHori  storici,  passò 
in  giudicato  (i). 

Parecchie   sono   le    ragioni    che  militano  a   favore  di 
questa  supposizione   divenuta  affermazione  recisa;  poten-' 
tissime  fra  queste  la  natura  dell'uomo,  la  sua  sfrenata  am- 
bizione, il  vantaggio  che  a  lui  veniva  dalla  morte  del  fra- 
tello primogenito,  il  contegno  del  papa,  che  dopo  essersi 

(i)  Cfr.  Gregorovius,  Storia  ài  Roma,  VII,  474-75;  Alvisi,  Ce- 
sare. Borgia  duca  di  Romagna;  Imola,  1878,  pp.  44-45.  Il  Giraldi 
CiNTio  è  da  aggiungersi  al  novero  di  quelli  che  incolparono  Cesare 
del  fratricidio. ,  È  noto  come  nella  novella  10^  della  IX  decade  degli 
Ecatommiti  egli  riferisce,  sotto  falsi  nomi  di  persone  e  di  luoghi,  i 
fatti  dei  Borgia.  Quivi  è  detto  di  Timorico,  sotto  cui  si  cela  il  Va- 
lentino :  «  E  fra  molti  segni  della  sua  crudeltà,  ne  diede  uno  orri- 
«  bile  sopramodo;  però  che  avendo  questi  un  fratello,  e  parendogli 
«  che  Eutico  (cioè  Alessandro  VI)  lo  tenesse  in  maggior  stima,  che 
«  lui,  fingendo  Timorico  di  amarlo  singolarmente,  egli,  insieme  con 
«  alcuni  altri  malvagi,  lo  tagliarono  crudelmente  a  pezzi  ».  Cfr.  D'An- 
cona,   Varietà  storiche  e  letterarie,  II,  239. 


Varietà  297 


in  sulle  prime  scalmanato  a  cercare  il  reo,  finiva  col  sep- 
pellire la  cosa  nel  più  tenebroso  silenzio. 

Ma  se  queste  ed  altre  ragioni  sono  forti,  indubitato  è 
d'altra  parte  che  a  quanti  si  trovavano  in  Roma  all'epoca 
del  triste  flitto  non  venne  dapprima  alcun  sospetto  del 
firatricidìo. 

Noi  possediamo  relazioni  sincrone,  estese  e  per  ogni 
rispetto  attendibili,  quella  lunga  e  piena  di  particolari  che 
è  nel  prezioso  diario  borgiano  di  Giovanni  Burcardo  (i)  ; 
quella  che  il  residente  veneto  scrisse  il  17  giugno  alla  Si- 
gnoria di  Venezia,  che  venne  riferita  dal  Malipiero  (2)  e 
con  qualche  variante  dal  Sanudo  (3)  ;  una  lettera  latina  del 
16  giugno,  parimenti  recata  dal  Sanudo  (4);  il  rapporto 
del  17  giugno  con  cui  Alessandro  Bracci,  ambasciatore 
fiorentino,  informava  il  suo  governo  dell'accaduto  (5);  la 
lettera  infine  che  il  cardinale  Ascanio  Sforza  scriveva  il 
16  giugno  al  fratello  Ludovico  il  Moro  (6),  In  nessuna 
di  tali  relazioni  è  pure  un  motto  che  si  riferisca  a  Cesare, 
ne  diverso  è  il  risultato  se  consultiamo  le  cronache  del 
jtempo,  la  napolitana,  la  leccese,  la  ferrarese,  la  fiorentina 
del  Cambi,  la  modenese  del  Lancellotti  (7).  Eppure  in 
tutti  è  desiderio  sommo  di  scoprire  il  reo,  e  varie  e  di- 
scordi supposizioni  si  fimno.  I  primi  sospetti  si  aggirarono 
intorno  agli  Orsini  e  al  cardinale  Ascanio  Sforza  (8): 
Alessandro  VI  rassicurò    quest'ultimo,  che  si  era  con  ra- 


(i)  Johannis   Burchardi  [Diarinm,    ed.   Thuasne,  voi.   II;  Parigi, 
1884,  pp.  387-90. 

(2)  Annali  veneti,  in  Arch.  star.  Hai.  VII,  I,  489-9 1. 

(3)  Diarii,   I,  658-60. 

(4)  Diarii,  I,  657-58. 

(5)  Documento  edito  dal  Thuasne  in  Diarìiun  Burcìianli,  11,669-70. 

(6)  La  trasse   dallo   archivio    di   Modena  il  Gregorovius,  VII, 
465  n. 

(7)  Alvisi,  op.  cit.,  p.  34  n. 

(8)  Sanudo,  I,  652. 


298  (l4.  Lu^to,  7^.  ^eiiier 

gione  impaurito  (i),  ma  trasse  in  seguito  profitto  da  quelle 
dicerie  per  la  sua  politica  contro  gli  Orsini  (2).  Più  te- 
nace fu  la  voce  che  accusava  Giovanni  Sforza  di  Pesaro, 
r  infelice  marito  di  Lucrezia,  che  in  quel  medesimo  anno 
1497  doveva  veder  sciolto  il  suo  infausto  matrimonio.  La 
lettera  riferita  dal  Malipiero  reca  :  «  Si  dice  che  'l  signor 
((  Giovanni  Sforza,  signor  di  Pesaro,  ha  fatto  questo  ef- 
((  fetto,  perchè  il  duca  usava  con  la  sorela,  sua  consorte, 
«  la  qual  è  fiola  del  papa,  ma  d'un' altra  donna».  Qui 
vediamo  già  formarsi  quella  leggenda  degH  amori  ince- 
stuosi di  Lucrezia  coi  fratelli,  che  trovò  poi  nel  Matarazzo 
il  più  grossolano  interprete  (3).  Secondo  il  Matarazzo,  lo 
assassinio  viene  commesso  in  casa  di  una  meretrice  per 
mano  di  Giovanni  Sforza  e  de'  suoi  seguaci  (4).  Né  a 
queste  sole  persone  si  fermavano  i  sospetti.  V  era  chi  ti- 
rava in  mezzo  il  conte  Antonio  Maria  della  Mirandola, 
perchè  il  duca,  che  corteggiava  una  figlia  di  lui,  era  stato 
ucciso  non  molto  discosto  dalla  casa  sua  (5),  e  v'  era  chi 
ne  faceva  carico  al  principe  di  Squillace  e  persino  al  duca 
d'Urbino  (^).  Non  uno  pensava  al  Valentino. 

Su  quali  prove  di  fatto  riposa  la  terribile  accusa  di  fra- 
tricidio lanciata   contro  di  lui  ?  D'onde  mosse  quella  per- 


(i)  Lettera  del  Bracci  in  data  23  giugno,  pubblicata  dal  Thuasne, 
II,  672. 

(2)  Lettere  di  Manfredo  dei  Manfredi,  oratore  estense  a  Firenze, 
del  12  agosto  e  22  die.  1497.  Vedi  Cappelli,  Fra  Girolamo  Savo- 
narola, in  Atti  e  mem.  di  Parma  e  Modena,  IV,  385  e  396. 

(3)  Vedi  in  Gregorovius,  Lucrezia  Borgia  (Firenze,  1874,  p.  105), 
ciò  'che  deva  pensarsi  di  tali  enormità. 

(4)  Arch.  stor.  Hai.  XVI,  i,  70-72. 

(5)  Lettera  17  giugno  del  Bracci. 

(6)  Secondo  il  Sanudo  (I,  653),  il  papa  avrebbe  detto  nel  conci- 
storo del  19  giugno  :  «  L'è  sta  divulgato  l'habbifato  amazar  el  signor 
«  di  Pexaro;  ne  semo  certi  non  esser  vero.  Del  principe  de  Squilazi 
«  fratello  dil  prefatto  ducha,  minime.  Dil  ducha  de  Urbino  etiam 
«  semo  chiari.  Idio  perdoni  chi  è  stato  !  » 


Varietà  299 


suasione  che  fu  tanto  potente  da  indurre  sette  anni  dopo 
i  giudici  del  famigerato  Micheletto,  sicario  di  Cesare,  a 
chiedergli  conto,  tra  gli  altri  assassini,  anche  di  quello  del 
duca  di  Gandia?  (i)  Da  dove  nacque  quella  diceria  che 
divenne  cosi  presto  storia  e  romanzo  ?  (2)  Il  Gregorovius, 
che  è  pur  cosi  alieno  dalla  leggenda  borgiana,  è  costretto 
a  dire  :  «  Stando  all'opinione  universale  di  quel  tempo,  e 
«  tenendo  conto  di  tutte  le  ragioni  di  probabilità.  Cesare 
((  fu  l'assassino  di  suo  fratello  »  (3).  L'opinione,  osserve- 
remo noi,  divenne  universale  soltanto  parecchi  anni  dopo 
la  uccisione  del  duca;  le  ragioni  di  probabiHtà  vi  furono 
e  vi  sono;  ma  badiamo  bene  che  esse  indussero  troppe 
volte  in  errore  e  che  i  Borgia  ebbero  sempre  giudici  poco 
sereni.  Disperando  oramai  di  trovare  la  prova,  noi  cre- 
diamo che  il  processo  indiziario  vada  rifatto. 

A  questo  scopo  tornerà  forse  non  inutile  un'altra  rela- 
zione sincrona,  sino  a  qui  rimasta  inedita,  che  concorda 
in  quasi  tutto  con  quelle  sopra  citate,  sì  nella  esposizione 
del  fatto,  si  nel  riferimento  delle  dicerie  che  corsero  in- 
torno al  suo  autore.  È  tratta  dall'archivio  Gonzaga  di 
Mantova  ed  è  scritta  al  marchese  Francesco  dall'oratore 
mantovano  a  Roma.  La  conobbe  il  Gregorovius  e  ne  recò 


(i)  Secondo  un  dispaccio  del  Giustinian  del  31  maggio  1504. 
Vedi  Gregorovius,  Vili,  34. 

(2)  Curiosissima  ò  la  narrazione  romanzesca  che  dà  del  fatto  una 
vita  ms.  di  Alessandro  VI  citata  dal  Leti,  Vita  di  Cesare  Borgia; 
Milano,  1853,  pp.  198-200  n.  Quivi  Cesare  e  Giovanni  cenano  col 
padre  presso  Vannozza.  Poi  Alessandro  viene  accompagnato  alla 
sua  stanza  e  i  due  fratelli  escono.  Avviatisi  verso  ponte  S.  Angelo, 
si  fa  loro  incontro  un  frate  che  chiede  l'elemosina,  a  cui  Cesare  fa 
segno  che  il  compagno  è  il  fratel  suo,  e  allora  il  frate  gli  salta  al 
collo,  lo  strozza,  lo  spoglia  e  lo  getta  nel  vicino  Tevere.  -  La  fonte 
ò  delle  più  torbide,  ma  qualunque  sia  il  tempo  in  che  fu  inventata 
tale  storiella,  attesta  il  lavorio  della  leggenda. 

(3)  Lucrezia,  p.  102. 


3 00  qA.  Liiiio,  9^.  T\enier 

appena  un  passo  nella  Storia  di  Roma  (i),  designando 
Fautore  col  solo  prenome  di  Job.  Caroìiis.  Era  questi  Gian 
Carlo  Scalona,  ambasciatore  a  Roma  dal  1495  al  1497, 
adoperato  poi  dal  xMarchese  in  altre  importanti  missioni 
all'estero,  e  in  uffici  primari  nelFamministrazione  interna. 
Lo  Scalona,  ne'  molti  dispacci  che  di  lui  si  conservano, 
ci  appare  un  osservatore  acuto,  diligente,  imparziale  ;  e  la 
sua  parola  ha  perciò  del  valore  anche  in  una  faccenda  te- 
nebrosa, come  questa,  nella  quale  è  a  desiderare  che  ven- 
gano poste  alla  luce  tutte  le  testimonianze  genuine  e  di- 
rette. 

A.  Luzio, 
R.  Renier. 


Ill.mo  et  Ex.mo  signor  mio.  Mercori  p.  p.  circa  le  xx  bore  parti- 
rono di  pallazo  lì  R.mi  monsignori  cardinali  de  Valenza,  Borgia  et 
ducha  de  Gandia,  et  andoreno  de  compagnia  a  cenare  ad  una  vigna 
de  M^  Vanoza,  matre  del  prefato  cardinale  de  Valenza  et  ducha. 
Doppo  cena  sul  tardo  et  quasi  nocte,  venero  in  Roma,  e  gionti  presso 
Ponte  S.  Angelo  il  ducha  solo  prese  licentia  da  li  cardinali  excu- 
sandose  haver  ordine  in  certo  loco  dove  havea  andar  solo.  Li  car- 
dinali fecero  tuto  il  possibile  per  non  lassarlo  andar  solo  et  similiter 
fecero  prova  alcuni  suoi  servitori,  unde  che  non  fue  remedio  che  '1 
volesse  compagnia.  Cussi  partito,  chiamoe  un  suo  staffiero  coman- 
dandoli che  andasse  a  la  camera  sua  a  pallazo  a  tuor  certe  sue  ar- 
mature da  nocte,  cum  le  quali  havesse  a  venire  ad  aspectarlo  in 
piaza  Judea.  Il  staffiero  come  obediente  partì  ad  exequire  la  commis- 
sione del  ducha,  et  in  lo  andar  a  pallazo  fue  asalito,  et  datoli  al- 
cune puncte  cum  nullo  male  perchè  era  forte.  Non  stette  per  questo 
che  '1  staffiero  ritornoe  al  luoco  ordinato  cum  le  armature  ordinate, 
e  stattovi  per  un  pezo  non  vedendo  il  patrone  tornosene  a  casa,  pen- 
sando che  '1  ducha,  comò  era  qualche  volta  suo  costume,  fusse  re- 
stato a  dormire  in  casa  de  qualche  donna  de  respecto.  Doppo  che  '1 
ducha  ebbe  parlato  a  questo  suo  staffiero,  fue  visto  saHrli  un  in  croppa, 
che  era  a  cavallo  a  mulla,  et  questo  tale  era  incapuzato  negro,  per 
il  che   se   presume   che  '1  fusse  un  ordine  dato  per  trapelarlo  come 

(i)  VII,  pp.  463  e  466  n. 


Varietà  301 


hanno  facto.  Li  cardinali  stettero  più  volte  ad  aspectarlo  al  ponte, 
dove  havea  il  ducha  promisso  de  ritornare,  et  vedendo  che  '1  non 
comparea,  cum  qualche  anxietà  et  dubio  de  mente  andoreno  a  pallazo  ; 
siche  la  cosa  per  tuto  heri  fin  a  le  xx  hore  stette  cussi  sopita,  persua- 
dendose  ogniuno  che  '1  fusse  restato  in  qualche  loco  in  apiacere.  A  le 
XXI  hore  il  papa  domanda  instantemente  d'esso  ducha  et  manda  a  le 
camere  sue  a  sapere  che  è  de  lui.  Alcuni  suoi  compagni  homini  da 
conto  che  erano  in  diete  camere  non  sapeano  che  respondere,  et 
chiamati  dal  papa  dubitoreno  andare.  Unde  che  Sua  Beatitudine 
mandoe  per  Valenza  et  per  Borgia,  interogandoli  cum  grandi  pro- 
teste che  li  dicessero  che  era  del  ducha.  Essi  apertamente  li  dis- 
sero il  tuto  come  scrivo  :  hoc  audito  il  papa  volsi  intendere  se  l'era 
morto  o  non;  che  se  era  morto,  disse  sapeva  l'origine  et  la  causa. 
Loro  non  sapéro  dire  altro,  se  non  quello  haveano  visto  et  intieso 
dal  staffiero  che  fue  mandato  dal  ducha  a  pigliare  l'armatura  da 
nocte,  —  Hoggi,  facto  giorno,  che  la  nocte  passata  non  se  era  facto 
altro  che  tramar  per  ogni  via  per  haverne  spia,  se  intesi  per  rela- 
tione  de  un  schiavone  marinaro  che  era  cum  lo  navilio  suo  a  la 
ripa  del  Populo,  non  troppo  distante  da  la  porta  del  Populo,  et  era 
posto  per  dormire,  che  '1  mercori  circa  le  quatro  hore  de  nocte  per 
una  parte  de  la  nave  dove  era  vide  proximarse  a  la  ripa  un  homo 
de  mediocre  statura  a  cavallo  ad  un  cavallo  liardo,  che  havea  in 
croppa  una  cosa  in  forma  de  uno  grande  fardello,  et  che  sentite 
un  grande  strepito  de  strapozare  ne  l'acqua,  e  intese  dire  ad  una 
voce  formalmente:  «  creditu  che '1  sia  andato  a  fondo?  »  et  quello 
tale  respondere:  «  signor  si  ».  Cussi  il  papa  questa  mane  fin  a  le  xviii 
hore  è  facto  piscatore  del  figlio  ;  che  a  tal  hora  è  sta'  ritrovato  in- 
volto in  un  saco  cum  la  gola  tagliata  et  li  brazi  et  cosse  ferite  in 
li  pessetti  mortalmente.  È  gitato  in  lo  luoco  dove  se  gitano  li  letami 
a  Roma,  da  quello  canto. 

Se  fanno  vari]  comcnti  sopra  questo  caso  ad  ogni  modo  do- 
lendo ;  chi  imputa  siano  stati  Viterbesi  per  queste  seditione  loro,  che 
a  loro  forsi  pare  de  patire  per  poca  provisione  o  culpa  del  ponte- 
fice; alcuni  danno  colpa  che  per  essere  questi  signori  alquanto  di- 
solti  la  nocte  in  voler  femine  de  Romani  non  sia  stato  conducto  a 
la  trapola  da  qualchuno  iniuriato  ne  l'honore;  chi  la  dice  ad  un 
modo,  chi  ad  un  altro. 

Per  quanto  io  habia  potuto  investigare  da  persone  di  qualche 
credito  in  casa  d'esso  ducha  et  de  Valenza,  la  cosa,  se  non  è  facta, 
è  facta  fare  o  consultata  cum  persone  che  ha  denti  longi;  e  questo 
judicio  non  se  fa  senza  fundamento  et  qualche  colore.  Doppo  che 
Ascanio  è  convaliuto,  sono  pur  stati  alcuni  termini  fra  questi  signori, 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  21 


302  qA.  Liiiio,  9^.  'I(enìer 


maxime  Valenza  et  ducha,  che  Borgia  non  intra  in  simile  scara 
muza;  e  s'è  dicto  che  se  Ascanio  mancava  et  fusse  morto  de  v< 
neno  non  imputava  altro  che  Valenza.  Ultra  questo  havendo  Sfoi 
cino  questa  quadragesima  passata  facto  amazare  un  signore  spagnolo" 
in  casa  de  una  femina  cortesana,  o  ferire  a  morte,  siche  se  ne  morse 
in  pochi  zorni,  la  cosa  stette  tanto  tacita  et  cum  nulla  demonstra- 
tione  che  circha  un  mese  questo  ducha  m-anibus  proprijs  piglioe  de 
nocte  alcuni  stafiferi  de  Sforcino  et  condusseli  in  presone  come  quelli 
che  haveano  ferito  a  morte  esso  signore  spagnolo,  et  il  zorno  se- 
quente  circa  le  xx  fuoreno  irapicati  a  li  merli  de  Torre  de  Nona 
senza  alcuno  respecto,  ancora  che  Ascanio  per  mezo  de  l'oratore 
ducale  facesse  ogni  prova  presso  N.  S.  per  liberarli  et  camparli. 
Come  è  dicto  fuoreno  impicati  suxo  li  ochij  a  l'amico,  quale  doppo 
etiam  personalmente  se  n'è  dogUuto,  e  talmente  che '1  papa  se  è 
sforzato  reconciliare  il  ducha  cum  Ascanio  et  cum  Sforzino,  cum 
termini  dal  canto  del  ducha  di  chieder  venia  ad  Ascanio,  et  Sfor- 
zino al  ducha  ;  tamen  se  crede  per  certo  che  in  secreto  dal  canto 
de  Ascanio  li  fusse  più  pensiero  di  vendetta  che  dispositione  de  re- 
mettere. 

Se  scià  poi  certo  che  esso  ducha  era  inamorato  et  pazzo  de  la 
figlia  del  conte  Ant"  Maria  de  la  Mirandula  et  che  cum  questo  mezo 
sia  stato  tirato  a  la  trapela,  perchè  il  loco  dove  è  sta'  submerso  non 
è  troppo  distante  da  la  casa  del  conte.  E  poi  lo  mercore  nocte  fue 
ritrovata  la  mulla  d'esso  ducha  voda  che  erava  da  la  casa  del  conte 
verso  casa  de  Parma;  e  pigliata  da  alcuni  che  passavano  e  con- 
ducta  presso  la  casa  del  conte,  trovose  dui  armati  acostati  a  li  muri 
d'esso  conte,  a  li  quali  fue  domandato  se  la  mulla  era  loro,  che 
prima  dissero  si,  ma  domandatoli  il  contrasigno  de  la  mulla  non 
sapéro  dire  altro  se  non  che  havea  la  sella  picola,  e  facendo  quelli 
tali  che  haveano  ritrovato  la  mulla  renitentia  de  darla  per  quello 
solo  signo  de  la  sella,  quelli  armati  resposero  che  li  lassavano  la 
mulla  et  si  andassero  per  li  facti  loro. 

Quello  tale  che  salite  in  croppa  al  ducha  se-  pensa  e  presume 
fusse  uno  Jaches  de  casa  de  Ascanio,  cum  lo  quale  se  era  per  il 
passato  facto  grande  instantia  che  '1  pigliasse  per  mogliere  la  figlia 
del  conte  Antonio  et  mài  non  havea  vogliuto  attenderli.  E  pur  in 
questo  ultimo  del  caso  de  Ascanio  li  furono  lassati  per  testamento 
dece  mille  ducati  se  la  pigliava  ;  casu  che  non,  non  havea  se  non 
quattromille. 

Fin  qua  queste  sono  le  più  millitante  coniecture  che  siano,  ben- 
ché ancora  se  suspichi  da  qualchuno  del  signor  de  Pesaro,  et  in  li 
denti  del  ducha  de  Urbino. 


Varietà  303 


Il  papa  per  quanto  se  debbe  consyderare  è  de  la  pezor  voglia 
che  fusse  mai,  e  non  se  può  pensare  che  non  ne  succeda  qualche 
grande  inconveniente,  secondo  che  la  cosa  se  andarà  verificando  a 
la  zornata.  Se  stima,  et  quasi  non  può  essere  altramente  secondo  il 
dire  di  cui  l' ha  visto  morto,  che  collui  che  li  salite  in  croppa  ama- 
zasse  esso  ducha  cum  lo  suo  pistorese  che  l'havea  dreto  et  che '1 
non  intrasse  in  casa  veruna.  Del  successo  V.  Ex.  sarà  copiosamente 
advisata.  Raccomandome  in  buona  gratia  de  V.  Ex. 

Romae,  xvi  junij  1497. 

S.tor 
Jo.  Carolus  (Scalona). 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ 


Corso  pratico  di  Metodologia  della  storia 


Trascriiione  d' un  rotula  membranaceo  contenente  un 
esame  testimoniale  circa  i  diritti  delTabbadia  di 
Far  fa  su  Montefalcone, 

Lasciato  cortesemente  in  deposito  presso  la  R.  Società 
romana  di  storia  patria  un  rotulo  membranaceo  del  se- 
colo XIII,  noi  avemmo  agio  di  trascriverlo,  ed  ora  lo  pub- 
blichiamo, non  mancando  di  qualche  interesse,  perchè  si 
riferisce  ad  una  questione  dibattutasi  tra  una  forte  città  ed 
una  potentissima  badia. 

Il  rotolo  consiste  di  nove  fogli  di  pergamena  cuciti 
insieme,  scritti  da  un  sol  lato,  in  carattere  minuscolo,  tutto 
di  una  sola  mano. 

Esso  è  nondimeno  frammentario  e  doveva  essere  molto 
più  voluminoso,  a  quanto  si  può  giudicare  dall'importanza 
delle  due  parti  e  della  questione,  e  dal  poco  che  nel  fram- 
mento esistente  si  contiene. 

Il  testo  comprende  Tesame  di  alcuni  testimoni  in  un 
giudizio  tra  la  badia  di  Farfa  e  la  città  di  Fermo  sul  pos- 
sesso del  castello  e  della  terra  di  Montefiilcone. 

La  biella  (li  I^arfa  sin  da  tempo  remotissimo  ebbe  nelle 
Marche  amj)i  possedimenti,  che  costituirono  il  Prcsidalo 
l-'iirjrìi:,r.  La  prima  memoria  di  un  possesso  nelle  Marche 
risale  al  secolo  vili,  nel  qual  tempo  la  badia  possedeva  già 
il  monastero  di  S.  Ippolito  nel  territorio  di  Fermo,  dove 


^o6  Q/ìtti  della  Società 

mori  l'abbate  Guaiidelperto  o  Vandelperto.  Sulla  fine  del 
secolo  IX,  per  sfuggire  alle  scorrerie  de'  Saraceni,  i  monaci 
di  Farfii,  guidati  dall'abbate  Pietro,  si  ritirarono  nella  Marca, 
sul  monte  Matenano,  dove  poi  sorse  la  terra  di  Santa  Vit- 
toria, che  prese  questo  nome  quando  l'abbate  Ratfredo,  tor- 
nato in  Sabina  e  ricostruito  l'antico  monastero,  mandò  in 
compenso  al  monte  Matenano  il  corpo  di  santa  Vittoria  (i). 

Questo  abbate  Ratfredo,  che  probabilmente  fu  in  carica 
dal  929  al  93^,  acquistò  il  castello  di  Montefalcone,  «  cur- 
«  tem  videlicet  quae  mons  Falconis  dicitur —  dato  pretio 
«  noviter  comparavit  »  (2). 

Un  atto  importante  relativo  a  Montefalcone  è  quello 
pel  quale  Matteo  abbate  del  monastero  Farfense,  «  con- 
ce sentientibus  fratribus»,  concedeva  nel  maggio  1214  agli 
abitanti  di  quel  castello,  in  compenso  della  loro  fedeltà,  di 
eleggersi  un  Consiglio,  il  podestà,  il  giudice,  i  massari,  i 
notai,  di  fare  statuti  pel  regolamento  del  proprio  comune  (3). 
Nel  12 14  adunque  il  castello  di  Montefalcone  era  in  possesso 
della  badia  di  Farfa.  Ma  troviamo  più  tardi  una  bolla  di 
papa  Innocenzo  IV  a  Gerardo  Cossadoca,  rettore  della 
Marca  anconetana,  sulla  restituzione  al  comune  della  città 
di  Fermo  del  castello  di  Montefalcone,  occupato  da  alcuni 
cittadini    fermani  (4).  Questa  è  datata  da  Anagni,  il  do- 

(i)  Chron.  Farj.  nel  Muratori,  II,  parte  2^,  343. 

(2)  Ivi,  455. 

(3)  V.  il  n.  57  nel  Sommario  cronologico  di  carie  fermane  anteriori 
al  secolo  xiv,  inserito  nel  tomo  IV  dei  Documenti  di  storia  italiana  pub- 
blicati a  cura  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  la  Toscana, 
Umbria  e  Marche;  nonché  il  n.  io  del  supplemento  al  Codice  diplo- 
matico di  S.  Vittoria  (Colucci,  Antichità  picene,  XXXI).  Il  nome 
di  Matteo  dato  ad  un  abbate  di  Farfa  vivente  nel  12 14  non  coinci- 
derebbe col  catalogo  Muratoriano  (VII,  parte  2^,  p.  298),  secondo 
il  quale  dal  1191  al  1235  sarebbe  stato  abbate  Pandolfo.  Ma,  come 
vedremo,  è  molto  difficile  poter  precisare  la  successione  degli  abbati 
in  quel  tempo. 

(4)  Sommario  cronologico  di  carte  fermane  nel  cit.  voi.  IV  dei  Do- 
cumenti, n.  225. 


oAtti  della  Società  307 

dicesimo  anno  (1254)  ^^^  pontificato  di  Innocenzo  IV. 
Adunque  nell'intervallo  di  tempo  fra  il  12 14  e  il  1254 
Montefalcone  fu  occupato  dalla  città  di  Fermo,  e  da  essa 
tenuto  in  modo  da  potersi  poi  rivolgere  al  pontefice  e  far 
constare  il  proprio  diritto  per  ottenerne  la  restituzione. 

Fermo,  che,  dopo  la  sconfitta  del  marchese  Marcoaldo 
d'Anninuccio  nel  1 199  (i),  aveva  cominciato  a  governarsi  a 
comune,  aveva  con  varia  vicenda  aderito  ai  due  partiti  guelfo 
e  ghibellino,  riconoscendo  spontaneamente  il  più  forte  e 
sottraendosi  in  tal  modo  ai  pericoli  della  resistenza,  otte- 
nendo anzi  la  conferma  de'  privilegi  già  avuti  ed  altri  nuovi. 
Cosi  Fermo  nel  1208  riconosceva  il  dominio  di  Ottone  IV, 
nel  12 14  passava  con  Aldobrandino  d'Este  al  partito  guelfo, 
nel  1224  si  assoggettava  spontaneamente  al  proprio  ve- 
scovo, nel  1242  riconosceva  a  signore  Federico  II  (2),  e 
nel  1249  ritornava  all'obbedienza  de' pontefici  (3). 

In  tal  modo,  quando  nel  1254  Innocenzo  IV  scriveva 
al  rettore  della  Marca  perchè  il  castello  di  Montefalcone 
fosse  restituito  ai  Fermani,  questi  da  pochi  anni  erano  tornati 
sotto  il  dominio  della  Chiesa;  né  dovevano  molto  rimanervi, 
che  nel  1258  mandarono  ambasciatori  a  re  Manfredi,  e  ot- 
tenutane la  conferma  de'  privilegi,  a  lui  si  sottomisero.  E  di 
Manfredi  abbiamo  un  atto  nel  quale  egli  conferma  al  comune 
di  Fermo  «  iura  et  iurisdicionem  quam  et  quae  curia  nostra 
«  habet  in  castro  Mariani . . .  castro  Montisfalconis  ...»  (4). 

Con  questi  fatti  si  collega  il  nostro  documento.  Come 
abbiam  detto,  esso  contiene  un  esame  testimoniale:  in 
quel  che  a  noi  è  pervenuto  sono  comprese  le  deposizioni 
di  undici  testimoni;  del  primo  però  non  abbiamo  che  le 
risposte  agli  ultimi  sei  articoli  dell'  interrogatorio,  e  rimane 

(i)  Compagnoni,  Re^^ia  pie,  p.  79. 
.  (2)  Sulla  sottomissione  di  Fermo  all'  imperatore  Federico,  vcggasi 
HuiLLARD  Bréholles,  Hìst.  diplotu.  Fridcr.  II,  VI,  790  e  sg. 

(3)  Fracassetti,  Noliiie  storiche  della  città  di  Fermo. 

(4)  WiNKELMANN  G.,  Actu  imperii  inedita  saeculi  xiii,  I,  414. 


3o8  oAttì  della  Società 

ignoto  il  nome  del  teste.  Le  deposizioni  degli  altri  dieci 
testimoni  sono  complete. 

L' interrogatorio  ebbe  luogo  in  vari  giorni  :  nel  primo 
giorno  furono  raccolte  le  deposizioni  del  primo  teste,  di  cui 
ignoriamo  il  nome,  e  dei  testi  Rainaldo  di  Benedetto  da 
Force,  Berardo  cappellano  di  Santa  Maria  Nova  in  Force  e 
Beraldo  di  Benazano  da  Settecarpine  ;  in  un  altro  giorno, 
die  XI  marta,  VII  mdictionis,  furono  sentiti  Mainardo,  cap- 
pellano di  S.  Biasio  da  Teramo,  Gualtieri  di  Enrico  da 
Force  e  Bono  di  Meliorato  da  Teramo;  die  XV  martii, 
furono  sentiti  Rainoldo  monaco  di  S.  Catervo  da  Tolentino 
e  Giacomo  priore  di  Santa  Maria  da  Offida;  die  XVI  martii 
fu  sentito  Pietro  di  Nicola  da  Monte  di  Nove,  con  la  cui 
deposizione  termina  il  frammento. 

Le  deposizioni  furono  fatte  presenti  le  parti  e  innanzi 
al  rettore,  che  senza  dubbio  è  il  rettore  pontificio  della 
Marca,  ma  di  questo  manca  il  nome,  che  certamente  do- 
veva essere  in  testa  al  manoscritto^  perchè  al  principio  di 
di  ogni  deposizione  troviamo  che  questa  è  fatta  «  coram 
«  rectore  prefato  » . 

Gli  articoli  dell'  interrogatorio  sono  dodici  ;  e,  salvo 
l'ultimo,  tutti  mirano  a  stabilire  il  possesso  del  castello  di 
Montefalcone  da  parte  della  badia  farfense. 

Nel  primo  articolo  si  domanda  chi  era  in  possesso  del- 
l'abbazia farfense  nella  Marca  e  del  castello  di  Montefalcone 
prima  dell'invasione  di  Federico  II  imperatore,  come  si 
esercitava  questo  possesso  e  per  quanto  tempo  fu  esercitato. 
Su' questo  articolo  le  risposte  dei  testi  sono  pienamente  con- 
cordi. L'abbazia  farfense  nella  Marca  e  il  castello  di  Montefal- 
cone prima  dell'  invasione  di  Federico  erano  in  possesso  degli 
abbati,  di  cui  vengono  ricordati  Matteo  di  Subiaco,  Enrico 
di  Cosseiano,  Gentile,  Matteo  di  Arsoli.  Di  questi  abbati 
non  è  possibile  stabiHre  con  sicurezza  la  data,  perchè  regna 
una  grande  incertezza  su  questo  periodo  di  tempo  nella 
storia  della  badia  farfense  nella  Marca. 


oAtti  della  Società  309 

Tuttavia  si  può  assegnare,  con  probabilità  di  essere 
molto  vicini  al  vero,  al  governo  dell'abbate  Matteo  di  Su- 
biaco  il  periodo  di  tempo  dal  1238  al  1242;  all'abbate 
Enrico  di  Cosseiano,  dal  1242  al  1243;  all'abbate  Gentile, 
dal  1247  al  1250;  all'abbate  Matteo  d'Arsoli,  dal  1250 
al  1257  (0*  La  successione  degli  abbati  non  fu  sempre 
continua;  ma  dopo  la  morte  di  alcuni  di  essi  la  carica 
rimase  vacante.  I  testi,  rispondendo  all'undecimo  articolo 
dell'  interrogatorio,  depongono  concordemente  che  da  oltre 
trent'anni  e  dopo  l' invasione  dell'esercito  imperiale  vi  fu- 
rono ad  intervalli  interruzioni  nella  successione  degli  abbati 
per  un  periodo  di  sette  a  dieci  anni.  L'ultimo  teste,  Pietro 
di  Nicola  da  Monte  di  Nove,  ricorda  che  le  vacanze  avven- 
nero per  la  morte  dell'abbate  Stefano,  per  la  deposizione  del- 
l'abbate Nicola  e  per  la  morte  dell'abbate  Peregrino.  Il  go- 
verno dell'abbate  Stemmo  può  fissarsi  tra  il  1245  e  il  1247, 
quello  dell'abbate  Nicola  tra  il  1259  ^  i^  ^^^^  (^^59" 
12^0,  secondo  il  Colucci),  e  quello  dell'abate  Peregrino 
tra  il  12^1  e  il  1277  (12^0-1275,  secondo  il  Colucci). 

Questa  parte  delle  deposizioni,  sulle  vacanze  dell'abbazia, 
sarà  utile,  come  vedremo,  per  stabilire  la  data  dell'  inter- 
rogatorio. 

Tornando  ora  alle  deposizioni  sul  primo  articolo,  ab- 
biamo veduto  che  queste  sono  concordi  nello  stabilire  il 
possesso  degli  abati  di  Farfa  sul  castello  di  Montefalcone 
prima  dell'  invasione  di  Federico.  Il  possesso  era  vero  do- 
minio pieno  ed  assoluto  sui  beni  della  badia,  con  giurisdi- 


(i)  Queste  date  le  abbiamo  desunte:  i**  Dal  catalogo  pubblicato 
dal  Muratori  (v.  II,  parte  II,  p.  298);  2"  Dall'elenco  degli  abbati 
pubblicato  nelle  «  Memorie  storiche  dell'antica  badia  di  Farfa  »  (Co- 
lucci, Antich.  pie.  XXXI);  3**  Dagli  Annales  sacri  et  imperialis  Moti. 
Farf.  di  Gregorio  Urrano,  manoscritto  esistente  nella  bibl.  Vitt. 
Eman.  di  Roma  (fondo  Mon.  Farf.  XXXVII-31),  lavoro  questo  re- 
cente, perchò  non  rimonta  oltre  la  metà  del  secolo  xvii,  ma  fatto 
da  un  monaco  della  badia  e  quindi  su  materiali  abbondanti  e  sicuri. 


3  IO  oAtti  della  Società 

zione  su  tutte  le  cause  civili  e  criminali.  Il  dominio  era 
esercitato  per  mezzo  di  vicari,  come  si  vede  dalle  risposte 
al  secondo  articolo;  e  questi  erano  due,  uno  per  la  giuris- 
dizione temporale,  ed  uno  per  la  spirituale.  Al  tempo  del- 
l'invasione, o  poco  prima,  era  vicario  per  la  giurisdizione 
temporale  Fildesmido  da  Mollano. 

Gli  abbati  possedevano  tutta  l'abbazia,  e  gli  uomini  e 
i  vassalli  dell'abbazia  e  de'  castelli  soggetti,  ne'  quali  tene- 
vano gastaldi  o  visconti.  La  giurisdizione  penale  si  esten- 
deva fino  alla  pena  di  morte,  «  etiam  quo  ad  sanguinem 
«  et  capitalis  pene  impositionem  »,  e  taluni  testi  ricordano 
vari  supplizi  corporali,  come  l'accecamento.  E  la  natura  e 
i  limiti  del  dominio  degli  abbati  e  della  rappresentanza  affi- 
data ai  vicari,  la  quale  era  amplissima,  perchè  essi  facevano 
«  quod  faciunt  domini  »,  «  que  dominus  et  comes  facit  in 
«sua  terra  et  in  suis  vassallis  »,  formano  l'argomento  del 
terzo  articolo. 

Il  quarto  articolo  tende  a  stabilire  i  nomi  di  parecchi 
vicari  e  il  tempo  in  cui  esercitarono  il  loro  ufficio.  Rica- 
viamo che  Gentile  di  Attone  da  Force  e  Fildesmido  da  Mo- 
llano furono  vicari  prima  dell'invasione;  gli  altri  che  ven- 
gono nominati  da'  testimoni  lo  furono  in  tempi  diversi.  Il 
nome  di  Fildesmido  (o  Fildesmindo)  di  Mollano  si  ritrova 
in  qualche  carta  del  tempo:  così  sappiamo  che  Gregorio  IX 
comandò  nel  1230  a  Filippo  vescovo  di  Fermo  di  conoscere 
e  giudicare  la  controversia  tra  il  comune  di  Camerino  e 
Fildesmido  sopra  il  castello  di  Morico  (i). 

E  il  Colucci  (2)  pubbhca  l'atto  di  concordia  intervenuto 
il  5  maggio  1247  tra  Fildesmido  di  Mollano  e  Balignano, 
Corrado  e  Giberto  di  Giovanni  sopra  il  Poggio  di  S.  Co- 
stanzo. 

Fra  i  vicari  menzionati  da  vari  testimoni  vi  è  Alber- 


(i)  Catalani,  Ecclesìa  Firmana,  p.  178. 
(2)  Antichità  picene,  XIX,  xxvi. 


CAtti  delia  Società  311 

tino  figlio  del  conte  Alberto  de  Exmirillo,  del  quale  il  teste 
Brunoro  di  Silvestro  da  Force  dice  che  possedeva  in  Mon- 
tefalcone  quosdam  vassallos  e  che  faciebat  fideìitatem  all'abate. 

Di  un  altro  de'  vicari  nominati  troviamo  tracce  nelle  carte 
de'  tempi,  di  Arpinello  figlio  del  quondam  Giberto  della  Valle, 
il  quale  con  atto  dell'  8  novembre  1258  vendè  al  comune  di 
Amandola  il  Poggio,  ossia  castello  delle  Valli,  e  il  borgo 
di  detto  Poggio,  con  tutti  i  vassalli  (i). 

Il  quinto  articolo  si  riferisce  al  modo  pel  quale  l'abbazia 
venne  privata  del  suo  territorio  e  del  castello  di  Monte- 
falcone.  I  testimoni  sono  tutti  concordi  nel  rispondere  che 
la  spogliazione  avvenne  a  causa  dell'invasione  delle  solda- 
tesche di  Federico  imperatore.  Rainaldo  d'Acquaviva,  nunzio 
del  re  Enzo,  con  forte  mano  di  saraceni  e  di  tedeschi  venne 
al  castello  di  Force,  dove  era  l'abbate  Matteo  di  Subiaco,  il 
quale  non  volle  prestargU  obbedienza  e  dovette  fuggire, 
«  recessit  de  ipso  castro  plorando  »  ;  e  così  quegli  rimase 
padrone  del  territorio,  «  et  tunc  privatum  fuit  dictum  mo- 
«  nasterium  de  tota  dieta  possessione  »,  e  gli  abitanti  «  fe- 
ce cerunt  mandata  eius  )).  L'imperatore  non  venne  perso- 
nalmente contro  l'abbazia,  ma  uno  de'  testi,  Gualtiero  di  En- 
rico da  Force,  depone  di  averlo  veduto  all'assedio  di  Ascoli. 

Ora  noi  sappiamo  che  l'esercito  imperiale  assediò  e  prese 
Ascoli  nel  1242  (2),  ma  il  re  Enzo  aveva  già  invaso  la 
Marca  nel  settembre  1239  (3),  e  nel  novembre  si  trovava 
nel  territorio  di  Macerata  e  assediava  Montecchio  (4). 

(i)  Appendice  diplomatica  II  della  terra  di  S.  Ginesio  (Colucci, 
Antichità  picene,  XXIV,  p.  20). 

(2)  Riccardo  di  S.  Germano  (nel  Muratori,  VII,  1049-E, 
1050-B). 

(3)  «  HenricusrexGallurac  naturalis  filius  imperatoris  in  Marchiani 
«  Anconitanam  venit,  centra  qucm  mittitur  a  Gregorio  papa  Joanncs 
«de  Columna  cardinalis,  mense  octob.  (anno  MCCXXXIX)  ».  Rice. 
DI  S.  Germano  nel  Muratori,  VII,  1043. 

(4)  Compagnoni,  Reggia  picena,  pp.  102,  103;  ove  si  riporta  il 
testo  dell'atto  «  datum  in  castris  in  obsidione  Monteclae,  1239,  mense 


312  oAtti  della  Società 

L'occupazione  del  territorio  dell'abbazia  farfense,  ese- 
guita da  una  masnada  (come  dice  il  nostro  manoscritto) 
di  tedeschi  e  di  saraceni  comandati  da  Rainaldo  di  Acqua- 
viva,  deve  esser  quindi  avvenuta  tra  la  fine  del  1239  e 
il  1242,  mentre  era  abbate  Matteo  di  Subiaco,  come  depon- 
gono concordemente  tutti  i  testi;  e  infatti  un  Matteo,  come 
abbiamo  veduto,  era  abbate  nel  1238,  e  probabilmente  lo  fu 
fino  al  1242,  nel  qual  anno  si  trova  come  abbate  Enrico,  il 
quale,  non  trovandosene  altro  di  questo  nome,  deve  essere 
r  Enrico  di  Cosseiano  ricordato  da'  testi  nelle  risposte  al 
primo  articolo. 

Siccome  però  dalla  deposizione  di  Beraldo  domini  Bo- 
naxani  di  Settecarpine  rileviamo  che  Rainaldo  era  nunzio 
del  re  Enzo,  la  sua  invasione  nel  territorio  dell'abbazia  si 
può  riferire  al  tempo  in  cui  il  re  Enzo  entrò  nella  Marca 
spingendosi  oltre  Macerata,  cioè  all'autunno  o  all'  inverno 
del  1239(1).  E  questo  ci  vien  meglio  confermato  dalla 
deposizione  di  Gualtiero  di  Enrico  da  Force,  che  riferisce 
appunto  all'esercito  di  tedeschi  e  di  saraceni  comandato  da 
Enzo  l'occupazione  dell'abbazia. 

Rainaldo  d'Acquaviva,  dopo  aver  cacciato  dal  castello 
di  Force  l'abbate  Matteo,  si  diresse  lo  stesso  giorno  alla 
chiesa  di  San  Januario  verso  il  castello  di  Montefalcone,  ed 
ivi  ricevè  gli  uomini  di  questo  castello  a  far  atto  d'ob'bedienza 
(deposizione  di  Brunoro  di  Silverio  da  Force). 


«  novembris  »  col  quale  «  Henricus  Dei  et  imperiali  gratia  rex  Tur- 
«  rium  et  Galluris  et  domini  imperatoris  filius  sacri  imperii  totius 
«  Italiae  legatus  »,  conferiva  alla  città  di  Macerata  alcune  immunità 
e  diritti. 

(i)  Nello  stesso  anno  1239  Rainaldo  era  stato  compreso  fra  i 
baroni  abruzzesi  ai  quali  furono  affidati  da  Federico  II  i  prigioni  lom- 
bardi (HuillardBréholles,  Hist.  dipi.  Frider.II,  V,  611).  Nel  1240  era 
inviato  come  capitano  a  Viterbo  (v.  il  Chronicon  di  Riccardo  di  San 
Germano  nel  Muratori,  VII,  1028-B;  e  I'Huillard  Bréholles, 
V>  779)  '•>  s  fu  poi  potestà  di  Cremona  (Huillard  Bréholles,  V,  1070). 


oAtti  della  Società  313 

Il  comune  di  Fermo,  il  quale,  come  abbiamo  visto,  nel 
1242,  dopo  l'assedio  di  Ascoli,  si  era  dato  alla  devozione 
dell'imperatore,  approfittando  certo  di  un  momento  in  cui 
le  forze  de'  Guelfi  erano  oppresse  dagli  imperiali,  dovette 
occupare  Montefalcone,  e  lo  tenne,  secondo  le  testimo- 
r^ianze  raccolte  nel  nostro  manoscritto,  relative  all'arti- 
colo settimo,  per  venti  anni.  Per  meglio  tenere  il  ca- 
stello, i  Permani  vi  costruirono  una  torre  e  un  girone,  o 
recinto  di  mura;  ma  non  pare  che  il  loro  dominio  si  esten- 
desse molto  al  di  là  del  castello,  perchè  i  «  servitia  debi- 
talia  »   furono  prestati  ancora  all'abate. 

Ritornata  Fermo  nel  1249  alla  devozione  del  pontefice, 
previa  la  conferma  de'  privilegi  ottenuti  dall'imperatore  nel 
1242,  Gerardo,  vescovo  di  Fermo  (i),  pose  mano  tosto 
perchè  fossero  restituiti  alla  Chiesa  i  castelli  tolti  nell'  inva- 
sione di  Federico;  insieme  al  comune  di  Fermo  ricorse  a 
Innocenzo  IV,  e  questi,  il  24  novembre  125 1,  scriveva  al 
rettore  della  Marca  di  dare  aiuto  al  vescovo  e  al  comune  (2). 
Fermo  però  non  restituiva  alla  badia  Farfense  il  castello  di 
Montefalcone,  che  anzi,  come  abbiamo  visto,  nel  1254  ^^^ 
nocenzo  IV  scriveva  al  rettore  perchè  il  castello  occupato 
da  alcuni  cittadini  fermani  fosse  restituito  al  comune,  il 
quale  aveva  già  concesso  la  cittadinanza  agli  abitanti  di 
Montefalcone  nel  1251  (3). 

Partito  l'abbate  Matteo,  rimase  il  monaco  Nicola  di 
Puzzallia  come  vicario,  e,  «  cum  gereret  offìcium  vicaria- 
«  tus  »,  venne  un  certo  Salomone,  il  quale  prese  a  coman- 
dare a  nome  dell'  imperatore,  cosicché  Nicola  per  timore 
si  allontanò.  Questo  Nicola  fu  poi  abbate  anche  lui,  dal 
1259  fino  al    12^1,  o  sino  al  1260,   secondo  il   Colucci, 


(1)  Dal  1250  (e  forse  dal  1251)  al  1272  (Gams,  Serics  epp.  p.  692). 

(2)  Catalani,  De  Ecclesia  Firmana,  p.  180. 

(3)  V.  n.  186  nel  già  citato  regesto  Fermano,  pubblicato  dal  De 

MlNICIS. 


314  Q^tli  della  Società 

e  perciò  nelle  deposizioni  (che  sono,  come  vedremo,  po- 
steriori) si  dice  di  lui  olim  abbas,  E  durante  il  vicariato  di 
Nicola  il  castello  di  Montefiilcone  passò  al  rettore  della 
Marca.  Il  modo  in  cui  si  operò  questo  passaggio  forma 
l'argomento  del  sesto  articolo  dell' interrogatorio.  Il  castello 
di  Montefalcone  era  stato  occupato  dai  signori  di  Smerlilo, 
i  quali,  sulla  richiesta  di  Nicola  di  Puzzallia,  a  lui  lo  resti- 
tuirono, e  Nicola  vi  andò  personalmente  e  ne  prese  possesso. 

Dalla  deposizione  particolareggiata  del  teste  Giacomo, 
priore  di  Santa  Maria  di  Offida,  parrebbe  che  quando  Ni- 
cola ebbe  dai  signori  di  Smerlilo  il  castello  di  Montefal- 
cone, e  quando  questo  fu  poi  fatto  occupare  dal  rettore 
della  Marca,  egli  fosse  già  abbate  del  monastero.  Ma  la 
consegna  del  castello  a  Nicola  fu  anteriore  all'occupazione 
fattane  dal  rettore,  che  era  Gerardo  Cossadoca,  e  questa 
non  può  essere  posta  oltre  il  1254  ^  ^^55^  ^^^^  4^'^^  tempo 
Gerardo  era  vescovo  di  Verona.  Nicola  invece  divenne 
abbate  solo  nel  1259,  secondo  l'attestazione  conforme  delle 
tre  fonti  da  noi  citate  sulla  cronologia  degli  abbati  far- 
fensi,  le  quali  portano  come  abbate  in  quel  tempo  (dal 
1250  al  1257)  ^^^  Matteo,  che  è  ricordato  dai  testi  col 
nome  di  Matteo  d'Arsoli.  Ci  sembra  quindi  doversi  rite- 
nere che  in  quel  tempo  Nicola  fosse  soltanto  vicario  per 
l'abbate  nella  Marca;  ma,  essendo  poi  divenuto  abbate,  il 
teste,  parlando  di  lui,  gli  dà  quel  titolo,  benché  deponga 
su  fatti  avvenuti  anteriormente  alla  dignità  ottenuta  da 
Nicola. 

I  signori  di  Smerlilo  e  di  Montepassillo,  che  qui  tro- 
viamo citati,  erano  una  nobile  ed  antica  famiglia,  il  cui 
castello  di  Smerlilo  si  trovava  nel  territorio  di  Comunanza, 
sulla  vetta  di  Montepassillo,  a  poche  miglia  da  Montefal- 
cone. Ai  fratelli  Giorgio  e  Albertino  di  Montepassillo, 
ricordati  nella  deposizione  del  teste  Giacomo,  priore  di 
S.  Maria  di  Offida,  la  città  di  AscoU  accordò  nel  1249 
la  franchigia  dalle  gabelle,  perchè  essi  promisero  di  andarvi 


oAtti  della  Società  315 

ad  abitare  e  comprarvi  case  e  poderi,  e  si  obbligarono  a  te- 
nere fanti  e  cavalli  in  servizio  della  città,  e  andare  alla  guerra 
ove  occorresse.  I  figli  di  Albertino  nel  1295  venderono  a 
messer  Nicolò  di  Emidio  di  Ascoli  il  castello  per  3600  libbre 
ravennati.;  ma  essi  continuarono  a  possedere  vasti  domini 
nel  territorio;  e  la  loro  famiglia,  che  portava  il  casato  di 
Nobili,  non  si  spense  che  al  principio  del  secolo  scorso  (i). 

Anselmo  di  Smerlilo,  che  troviamo  pure  nominato  nella 
citata  deposizione,  intervenne  alle  capitolazioni  che  furono 
conchiuse  il  15  settembre  1256  tra  Anibaldo  degU  Anibal- 
densi  della  Molara,  rettore  della  Marca,  e  vari  comuni  e 
signori  della  Marca  per  mantenersi  nella  fede  della  Chiesa (2). 

Rimasto  Nicola  in  possesso  del  castello  di  Montefalcone, 
a  lui  restituito  pacificamente  da'  signori  di  Smerlilo,  venne 
a  lui  un  tal  Oddone  di  Firenze,  inviato  da  Gerardo  Cossa- 
doca  dei  Vicedomini,  cappellano  pontificio  e  rettore  della 
Marca,  poi  vescovo  di  Verona  (3),  a  nome  del  quale  si  fece 
consegnare  il  castello,  il  che  Nicola  fece,  protestando  però 
di  farlo  per  rispetto  della  Chiesa  Romana,  salvo  e  riservato 
ogni  diritto  deihi  Chiesa  Farfense. 

L'ottavo  articolo  dell'interrogatorio  tende  a  stabilire  i 
rapporti  tra  l'abbazia  e  gli  abitanti  delle  terre  sottoposte  ad 
essa  :  i  vassalli  prestavano  giuramento  di  fedeltà  agli  abbati 
o  ai  loro  vicari,  talvolta  per  syndiciim,  come  gli  abitanti  di 
Offida  (deposizione  di  Pietro  di  Nicola  da  Monte  di  Nove), 


(i)  «  Descrizione  delle  terre  di  Comunanza  d'Ascoli  »  (Colucci, 
Anlicb.  pie.  XXI,  p.  5  e  seg.). 

(2)  Compagnoni,  Re^^gia  picena,  p.   121. 

(3)  Dal  1255  al  1259  (Gams,  Seri&s  episcop.,  p.  806).  L'occupazione 
del  castello  di  Montefalcone  deve  essere  quindi  avvenuta  non  più 
tardi  del  1255,  e  dopo  il  1252,  nel  qual  tempo  era  ancora  rettore 
della  Marca  l'arcidiacono  di  Luni,  a  cui  Innocenzo  IV  scriveva  da 
Perugia  «  II  Kal.  sept.  pontific.  nostri  anno  X  »  (Compagnoni,  Reggia 
pie.  p.  118),  e  poi  il  29  novembre  1252  (Colucci,  Anlich.  pie.  XXX, 
p.  15). 


31^  dAtti  della  Società 

per  lo  più  singulariter,  pagavano  i  censi  dovuti  e  rendevano 
i  servizi  d'uso. 

L'articolo  nono  riguarda  le  fortificazioni  erette  da'  Fér- 
mani  a  Montefalcone.  I  testi  riferiscono  che  i  Permani  co- 
struirono una'  torre  e  un  girone,  ossia  recinto  di  mura.  Essi 
vi  tennero  anche  un  castellano. 

Il  decimo  articolo  riguarda  l'occupazione  della  Marca 
e  dell'abbazia  da  parte  delle  genti  dell'  imperatote  :  e  anche 
su  questo  punto  le  deposizioni  sono  concordi,  perchè  tutte 
convengono  nel  fatto  che  l'occupazione  della  Marca  e  del 
territorio  dell'abbazia,  compiuta  hostiliter  dalle  genti  dell'im- 
peratore sotto  gli  ordini  di  Roberto  da  Castiglione,  Gia- 
como da  Morra  e  Rizardo,  fu  continuata  sotto  Manfredi, 
che  mandò  i  suoi  nunzi  nella  Marca. 

L'articolo  undecimo  riguarda  la  vacanza  della  dignità 
abbaziale  che  ebbe  luogo  per  qualche  tempo;  e,  come  ab- 
biam  già  visto  più  sopra,  essa  si  ripetè  parecchie  volte,  per 
un  periodo  da  sette  a  dieci  anni. 

Il  duodecimo  ed  ultimo  articolo,  che  ha  un  valore  pu- 
ramente processuale,  tende  a  far  conoscere  se  le  cose  dette 
dal  teste  sono  pubbliche  e  notorie,  e  che  cosa  egli  intende 
per  pubblico  e  notorio. 

Dato  così  un  rapido  esame  al  contenuto  del  manoscritto, 
ci  resta  ad  esaminare  la  data  probabile  in  cui  avvenne  l'in- 
terrogatorio. Nel  manoscritto  abbiamo  tre  sole  date:  die 
XI marta,  FU indictionis,  nel  quale  furono  interrogati  quattro 
testimoni;  die  XV  martii,  nel  quale  ne  furono  interrogati 
due  ;  e  die  XVI  niartii,  della  qual  giornata  ci  è  pervenuta 
una  sola  deposizione.  Di  queste  tre  date,  la  sola  che  possa 
essere  utile  è  la  prima,  in  cui  il  giorno  è  seguito  dall'  indi- 
cazione dell'  indizione.  Nella  seconda  metà  del  secolo  xiii 
gli  anni  a  cui  si  adatti  la  settima  indizione  sono  il  12^4, 
il  1279,  il  1294.  Ora,  fra  queste  tre  date,  ci  pare  facile  il 
poter  stabilire  che  solo  la  seconda,  cioè  il  1279,  può  essere 
quella  alla  quale  si  possa  riportare  l' interrogatorio.  I  testi- 


oAtti  della  Società  317 

moni  sono  concordi  nello  stabilire  che  T  invasione  delFeser- 
cito  imperiale  avvenne  trentasei  a  quarant'anni  avanti  la 
loro  testimonianza;  ora  siccome  abbiam  visto  che  re  Enzo 
entrò  nella  Marca  nel  1239  e  che  molto  probabilmente  Rai- 
naldo  d'Acquaviva  occupò  il  territorio  dell'abbazia  nell'  in- 
verno di  quell'anno  istesso,  fissando  nel  1279  la  data  del- 
l'interrogatorio, questo  avrebbe  avuto  luogo  precisamente 
quarant'anni  dopo  l'invasione  dell'esercito  imperiale. 

Inoltre,  rispondendo  all'undecimo  articolo,  i  testi  sono 
concordi  nell'afFermare  che  le  vacanze  dopo  l'invasione 
nella  dignità  abbaziale  avvennero  ad  intervalli  da  oltre  tren- 
tanni. Essendo  avvenute  queste  vacanze  per  la  morte  del- 
l'abbate Stefano,  per  la  deposizione  dell'abbate  Nicola  e  per 
la  morte  dell'abbate  Peregrino,  troviamo  che  tra  la  morte 
di  Stefano  e  l'anno  1279  corrono  difatti  oltre  trent'  anni, 
perchè,  secondo  il  catalogo  Muratoriano,  le  citate  Memorie 
storiche  della  badia  di  Far  fa  e  gli  Annales  Mori.  Farf.  di 
Gregorio  Urbano,  in  questo  concordi,  Stefano  era  abbate 
nel  1245  e  il  suo  successore  Gentile  era  abbate  nel  1247;  ed 
essendovi  stato  intervallo  tra  i  due  abbati,  convien  porre  la 
morte  di  Stefimo  nello  stesso  anno  1245,  oppure  nel  124^. 

Crediamo  quindi  che  la  data  dell'  interrogatorio  possa 
riportarsi  al  marzo  1279;  nel  qual  caso  è  probabile  che  a 
questo  giudizio  si  riferisca  V  istrumento  «  mandati  procurae 
«  ad  causas  »  fatto  da  Morico,  abbate  farfense,  in  persona 
di  frate  Bernardo  da  Rieti,  «  sub  anno  Domini  1278, 
«tempore  Nicolai  papae  tertii  )>  (i). 

E  se  l'interrogatorio  ebbe  luogo  nel  marzo  1279,  il 
rettore  della  Marca  alla  cui  presenza  fu  fatto,  e  del  quale 
manca  nel  frammento  il  nome,  dicendosi  al  principio  di 
ogni  deposizione,  come  abbiam  visto,  che  è  fiuta  corani 
rectore  prefato,  deve  essere  Bernardo  o  Berardo  da  Monte 


(i)  V.  il  num.    386  del  citato  regesto   Fermano,   pubblicato  dal 
De  Minicis. 

Archivio  delia  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  22 


3  1 8  oAtti  della  Società 

Mirto,  abbate  di  Monte  Maggiore  d'Arles  in  Francia.  Oltre 
la  menzione  che  di  questo  rettore  fa  il  Compagnoni  (i), 
abbiamo  che  l'università  e  il  comune  di  Fermo  fecero 
nel  1279  un  istrumento  «  mandati  procurae,  in  personam 
«  Johannis  Massonis,  ad  comparendum  coram  domino  Ber- 
((  nardo,  abate  Montis  Maioris,  provinciae  Marchiae  Anco- 
«  nitanae  rectore  »  per  chiedere  l'assoluzione  di  una  con- 
danna di  quattro  mila  libre  inflitta  al  comune  di  Fermo 
da  Antonio  di  Montefalco  giudice  (2). 


Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dictum  castrum  cum  perti- 
nentiis  et  munitione  que  tunc  erat  pervenit  ad  civitatem  Firmanam 
et  illud  castrum  habuit  et  possedit.  Sed  per  quantum  tempus  dixit  se 
non  recordari. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  dicti  castri  montis 
Falconis  et  homines  abbatie  prestiterunt  et  prestare  consueverunt  sa- 
cramenta fidelitatis  et  hominitia  sicut  vaxalli  prestant  suis  dominis, 
et  hoc  per  tempus  .xv.  annorum,  ut  supra  dixit  in  primo  articulo. 
Interrogatus  si  interfuit  prestationi  dictorum  sacramentorum,  dixit 
quod  aliquando  vidit,  sed  de  paucis.  Sed  scit  bene  predicta  vera  fuisse 
auditu  et  per  publicam  famam. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fieri  fecit  post 
dictam  invaxionem  et  occupationem  in  preiudicium  dicti  monasterii 
quandam  turrim  in  capite  dicti  castri.  Interrogatus  quomodo  scit, 
dixit  quia  vidit  et  fuit  palese  toti  contrade. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  gens  imperatoris  Frederici 
et  nuntii  regis  Manfredi  occupaverunt  Marchiam,  licet  non  totam,  et 
dictam  abbatiam  et  castra  hostiliter  tenuerunt  occupatam  per  .vm. 

(i)  Reggia  pie.  p.  141. 

(2)  V,  il  num.  392  del  citato  Sommario  cronologico  di  carte  fer- 
mane, pubblicate  dal  De  Minicis.  Il  nome  dell'abbate  Bernardo,  o 
Berardo,  abbate  di  Monte  Maggiore  e  rettore  della  Marca,  si  trova 
anche  nelle  carte  segnate  ai  numm.  383,  384  e  385,  dell'anno  1278,  nel 
citato  Sommario.  Egli  era  ancora  rettore  nel  1281,  avendosi  un  suo 
atto  del  4  marzo  di  quell'anno  (Colucci,  Antichità  picene,  XXX, 
p.  38). 


dAtti  della  Società  319 


annos.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  dominationem  eo- 
rum  et  audìvit. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  predictis  de  quibus 
asseruit  sunt  pubblica  et  notoria.  Interrogatus  quid  est  dicere  publicum 
et  notorium,  dixit  quod  que  gentes  communiter  dicunt. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxxv.  annis  cltra  et  a 
tempore  diete  privationis  monasterium  dictum  vacavit  abbate  per 
.VII.  annos.  Interrogatus  si  dictum  tempus  septennium  fuit  continuum 
vel  per  intervalla,  dixit  quod  per  intervalla.  Interrogatus  per  mortem 
quorum  abbatuum  vacavit,  dixit  quod  non  recordatur. 

Die  predicta. 

Rainaldus  Benedicti  de  Furce,  testis,  iuravit  presentibus  partibus 
coram  domino  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod 
monasterium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monasteri!  qui  fuerunt 
prò  temporibus  de  quibus  recordatur,  silicet  dompnus  Herrigus  de 
Coxeiano  et  abbas  Matheus  de  Sublacu  et  alii  de  quorum  nomìnibus 
non  recordatur  qui  fuerunt  duo,  habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt 
prò  dicto  monasterio  totam  abbatiam  positam  in  Marchia  et  castrum 
montis  Falconis  ad  plenam  iurisdictionem  in  solidum  et  in  totum  pa- 
cifice  et  quiete  et  in  dicto  castro  palatium  quod  erat  ibi,  et  vidit  ha- 
bere  gastaldos  in  ipsa  abbatia  et  in  castro  montis  Falconis,  et  vidit 
dominum  Rogerium  de  Rivotino  prò  ipso  monasterio  et  abbatibus 
cognoscere  de  causis  civilibus  et  criminalibus,  et  vidit  eos  generaliter 
omnia  et  singula  facere  que  dominus  et  comes  faceret  et  exerceret 
in  sua  terra  et  in  suis  vassallis,  et  hoc  dicit  se  vidisse  per  tempus 
.XII.  annorum  usque  ad  tempus  quo  imperator  Fredericus  per  suam 
gentem  occupavit  Marchiam  et  abbatiam  predictam  hostiliter  contra 
Romanam  Ecclesiam.  Interrogatus  si  predicti  abbates  fuerunt  perso- 
naliter  in  dieta  possessione,  dixit  quod  sic,  et  quod  fuerint  abbates 
dicti  monasteri!,  dixit  se  scire  per  voces  et  publicam  famam.  Inter- 
rogatus quantum  tempus  est  quod  predicta  occupatio  et  privati©  facta 
fuit,  dixit  quod  fuit  .xxxvi.  anni  et  plus.  Interrogatus  quantum  tempus 
habet  ipse  testis,  dixit  quod  .lx.  annos  ut  credit.  Interrogatus  si  fuit 
presens  ipse  testis,  per  tempus  .xii.  annorum  dixit  quod  fuit  in  castro 
Furcis  et  est  de  ipso  castro. 

Secundo  articulo  intentionis  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete 
occupationis  et  invaxionis  abbas  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dieti 
monasterii.  Sed  quod  dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  esset  vicarius, 
dixit  quod  non,  sed  prius  fuerat.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit 
quod  vidit. 


520  oAtti  della  Società 


Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  quod  abbas  Matheus  erat 
abbas,  ut  supra  dixit,  et  possidebat  dictam  abbatiam  et  castrum  mentis 
Falconis  et  homines  et  vaxallos  ipsius  abbatie  et  erat  in  possessione 
vel  quasi  cognitionis  et  iurisdiclionis  plenarie  in  tota  dieta  abbatia 
et  dicto  castro,  et  vidit  vicarium  abbatis  Henrici  qui  prius  fuerat,  qui 
vocatus  fuit  Acto  Baracta  de  Coxeiano,  et  vidit  punitum  tunc  tem- 
poris  Rainaldum  Dionisum  de  Furcis  in  oculis,  et  dicebatur  quod 
dominus  vicarius  abbatis  fecerat  fieri  eo  quod  confoderat  territorium 
castri  Furcis. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  castro  Furcis,  et  dominus  Fyldesmidus  de  Mollano,  dompnus 
Nicola  de  Puczallia,  monachus  dicti  monastcriì,  fuerunt  vicari!  in 
dieta  abbatia  prò  dicto  monasterio,  silicet  dominus  Fyldesmidus  et 
dominus  Gentilis  dicto  tempore  .xii.  annorum  de  quo  asseruit.  Sed 
dompnus  Nicola  predictus  fuit  longe  post,  a  pauco  tempore  citra.  In- 
terrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit,  et  plures  alios  de  quorum 
nominibus  non  recordatur. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
sic  piene  possideret  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  cum  generali 
iurisdictione,  ut  supra  dixit,  privatum  fuit  omnibus  predictis  per  oc- 
cupationem  et  usurpationem  gentis  dicti  domini  imperatoris  rebellis 
tunc  et  hostis  Romane  Ecclesie.  Interrogatus  quomodo  scit  et  quo- 
modo facta  fuit  dieta  privatio,  dixit  bene  quia  vidit  dominum  Rai- 
naldum de  Aquaviva  cum  masnada  quam  habebat  de  sarracenis  et 
christianis  venire  ad  castrum  Furcis  in  quo  eratdictus  abbas  Matheus 
et  petiit  mandata  sibi  fieri  a  dicto  abbate,  qui  respondit  quod  nolebat, 
et  tunc  ad  certum  pactum  recessit  de  castro  et  tota  contrada,  et  tunc 
homines  montis  Falconis  et  alii  de  abbatia  fecerunt  mandata  illius 
domini, 

Supra  sexto  articulo  sibi  lecto,  dixit  se  nichil  scire. 

Supra  septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  castrum  montis  Fal- 
conis cum  gyrone  pervenit  ad  civitatem  Firmanam,  ut  audivit.  Sed 
per  quantum  tempus  possideret,  dixit  se  nescire. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  castri  Furcis  pre- 
stiterunt  iuramenta  fidelitatis  abbatibus  dicti  monasterii,  et  prestare 
consueverunt,  et  honorare  eos  et  reverere  eis  ut  dominis,  et  hoc  a 
tempore  recordationis  ipsius  testis,  et  de  aliis  hominibus  de  abbatia 
dixit  similia  auditu  et  per  publicam  famam.  Interrogatus  quantum 
tempus  recordationis  ipsius  testis,  dixit  .l.  annos  et  plus. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  post  ipsam 
occupationem  de  dicto  castro  fecit  fieri  fortilligium  in  capite  ipsius 
castri,  et  si  fortilligia  ibi  esset  alia  quam  illa  que  erat  prò  Ecclesia 


<yltii  della  Società  321 


ante  dictam  occupationem  et  quod  Firmarli  fecerunt  eam,  dixit  se 
scire  auditu. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus,  et 
post  mortem  eius  rex  Manfredus,  hostiliter  occupaverunt  Marchiam, 
et  abbatiam  et  castra  ipsius  abbatie,  et  occupatam  tenuerunt.  Sed  per 
quantum  tempus  non  recordatur. 

Undecimo  et  duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis 
citra  monasterium  suprascriptum  vacavit  abbate,  sed  per  quantum 
tempus,  dixit  se  non  recordari,  et  dixit  predicta  de  quibus  asseruit 
notoria  esse  in  tota  contrada.  Interrogatus  quid  est  dicere  publicum 
et  notorium,  dixit  quod  que  gentes  dicunt. 

Eodem  die. 

Dompnus  Berardus,  cappellanus  ecclesie  Sanate  Marie  Nove  de 
castro  Furcis,  testis.  luravit  presentibus  partibus  coram  rectore  pre- 
fato, dixit  quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  dictì  mona- 
sterii  qui  fuerunt  prò  temporibus,  silicet  dompnus  Matheus  de  Sublacu 
quem  vidit;  alios  si  vidit  non  recordatur.  Qui  abbas  et  dictum  mo- 
nasterium in  solidum  et  in  totum  habuerunt  [et]  tenuerunt  per  se-  et 
nuntios  ipsius  abbatis  ad  plenam  iurisdictionem  civilium  et  crimina- 
lium  causarum  continue  et  pacifice  totam  dictam  abbatiam  sicut  au- 
divit.  Sed  de  castro  montis  Falconis  vidit  cum  gy[rone]  et  pertinentiis 
ipsum  castrum  possideri  per  dictum  abbatem  generaliter  ad  omnia 
que  quilibet  dominus  facit  in  suo  castro,  et  hec  vidit  per  .vi.  annos 
et  plus,  et  usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  gens  imperatoris  ho- 
stiliter occupavit  Marchiam,  sed  non  totam,  et  abbatiam  suprascriptam 
et  dictum  castrum  et  alia  castra  ipsius  abbatie.  Interrogatus  quomodo 
scit  quod  dictus  abbas  Matheus  fuerit  abbas,  dixit  quod  homines  de 
abbatia  habebant  eum  prò  abbate  et  vidit  eum  recipi  et  obbedir!  ab 
hominibus  castri  Furcis  prò  eorum  domino  sicut  abbatem  honorifice. 
Et  cum  veniebat  gd  ipsum  castrum  clerici  exhibant  obvia  ei  cum 
processionibus  et  ahi  homines  de  terra.  Interrogatus  quantum  tempus 
est  quod  predicta  occupatio  facta  fuit,  respondit  quod  fuit  .xl.  anni 
parum  plus  aut  minus.  Interrogatus  quot  annorum  est  ipse  testis,  re- 
spondit quod  .Lini,  annorum  et  plus.  Interrogatus  qui  sunt  fines  teni- 
mentorum  castri  montis  Falconis,  dixit  quod  ab  uno  latere  est  fluraen 
Asi,  ab  alio  latere  tenimenta  castri  Exmirilli,  ab  alio  latere  tenimenta 
castri  Tcrami  cum  aliis  finibus.  Interrogatus  si  ipse  testis  est  de  terra 
subiecta  ipsi  monasterio,  dixit  quod  sic,  et  ipse  testis  est  subiectus 
monasterio  ratione  ecclesie  sue. 

Secando  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
erat  abbas  dompnus  Matheus  de  Sublacu  et  [eius  vicarius]  crat  do- 


322  Q/ltti  della  Società 


minus  Fyldesraidus  de  Mollano  In  temporallbus  ut  ipse  testls  audlebat, 
et  dompnus  Nicola  [de  Puczallla],  monachus  dicti  monasteri!,  erat  vi- 
carlus  supra  spirltualibus  In  tota  abbatia  et  in  dicto  castro  mentis 
Falconls.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  eum  In  ipso 
officio. 

Tertio  articulo  sibl  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  Invaxlonis  di- 
ctus  abbas  Matheus,  de  quo  asserit  [vlsu],  et  dominus  Fyldesmidus 
eius  vlcarius,  ut  asserit  auditu,  possidebant  et  habebant  totam  dlctam 
abbatlam  et  castrum  predictum  in  omnibus  et  quoad  omnia  prò  dicto 
monasterio,  ut  supra  dixit,  habendo  gastaldum  et  vlscontem  in  dicto 
castro  montis  Falconls.  Interrogatus  quls  fuit  viscons,  seu  gastaldus, 
respondlt  quod  Rainaldus  Gratiani  aut  Potentls  de  dicto  castro.  In- 
terrogatus si  vidit  Ibi  punlrl  allquos  dellnquentes  per  Ipsos  offitiales 
abbatis,  dixit  quod  non,  sed  audivlt,  de  nominibus  quorum  non  re- 
cordatur. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  dompnum  Nlcolaum  de  Puczallìa 
fuisse  vlcarium  prò  dicto  monasterio,  et  dominum  Fyldesmidum,  ut 
supra  dixit;  de  domino  Gentile,  de  domino  Albertino  dixit  se  nescire. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
sic  piene  possideret  dictum  castrum  et  abbatiam,  ut  supra  dixit  in 
primo  articulo,  prìvatum  fuit  ipsa  possessione  per  dictam  invaxionem 
et  occupationem  dicti  [imperatoris  hojstis  et  rebellis  Romane  Eccle- 
sie. Interrogatus  quomodo  fuit  facta  dieta  privatio,  dixit  quod,  cum 
dominus  Ra[inaldus]  de  Aquaviva  tunc  esset  in  ducatu  masnade  plu- 
rium  sarracenorum  et  teotonicorum,  venit  cum  ipsa  masnada  ad  ca- 
strum Furcis,  in  quo  erat  dictus  abbas  Matheus,  et  dum  homines  castri 
fecissent  mandata  ipsorum  hostium,  abbas  Matheus  aufugit,  dlsce- 
dendo  de  ipso  castro  et  de  tota  contrada.  Interrogatus  quomodo  scit, 
dixit  quod  stetlt  et  presens  fuit.  Item  dixit  post  hec  alii  homines  alio- 
rum  castrorum  de  abbatia  fecerunt  mandata  ipsius  domini  Rainaldi, 
ut  ipse  testis  audivlt. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  se  nichll  sclre  nisi  auditu. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  dicti  castri  Furcis 
prestiterunt  et  prestare  consueverunt  iuramenta  fidelltatls  abbatibus 
dicti  monasteri!,  et  honorare  et  recognoscere  eos  ut  dominos  per 
magnum  tempus  quantum  non  recordatur.  Sed  quod  alii  homines 
de  (i)  abbatia  fecerint  similia  credit  auditu  et  per  publicam  famam. 
Interrogatus  si  homines  de  ipso  castro  Furcis  prestabant  sacramenta 
abbati  syngulariter   vel    per    syndicum,   dixit   quod   singularlter,   et 

(i)  Nel  ms.  seguono  le  parole  :  castro  Furcis  prestabant  sacramenta, 
cancellate. 


oAtti  della  Società  323 


quandoque  abbati  et  quandoque  vicario  eius,  Interrogatus  si  fuit  pre- 
sens  predictis,  dixit  quod  aliquotiens  fuit  presens. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  comune  Firmi  post  dictam 
invaxionem  fecit  fieri  gironem  et  turrim  in  dicto  castro  in  preiudi- 
cium  monasterii  dicti,  et  preter  gironem  quem  prius  habebat  Ecclesia 
suprascripta  in  dicto  castro.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene, 
quia  vidit  et  audivit. 

[Decimo]  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus  et 
rex  Manfredus  post  mortem  dicti  imperatoris  [occuparunt]  Mar- 
chiam  seu  occupari  fecerunt  hostiliter,  et  dictam  abbatiam  et  castra 
eius  in  preiudicium  [Romane]  Ecclesie  et  dicti  monasterii.  Sed  quanto 
tempore  occupata  tenuerunt,  dixit  de  decem  et  octo  annis  ut  supra. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  de  vacatione  abbatis  seu  ab- 
batum  se  nichil  scire  nisi  auditu. 

[Duodec]imo  et  ultimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  sunt  publica 
et  notoria  de  quibus  asseruit  supra.  Interrogatus  [qu]id  est  dicere  pu- 
blica  et  notoria,  dixit  quod  que  gentcs  dicunt  comuniter,  et  dixit 
quod  non  fuit  doctus. 

Eodem  die. 

Beraldus  domìni  Bonazani  de  Septecarpine,  testis.  luravit  presen- 
tibus  partibus  corani  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit 
quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monasterii  de  quo- 
rum nominibus  recordatur,  silicet  abbas  Matheus  de  Arzula,  et  abbas 
Herrigus  de  Coxeiano,  et  abbas  Stephanus,  et  abbas  Gentilis,  et  ab- 
bas Matheus  de  Sublacu,  et  alii  de  quorum  nominibus  non  recordatur, 
habuerunt,  tenuerunt,  et  possederunt  libere  et  absolute  ad  plenam 
iurisdictionem  civilium  et  criminalium  causarum,  puniendo  omnes 
follias  per  vicarium  et  iudices  eorum  pacifice  et  continuo  totam  ab- 
batiam suprascriptam  que  est  in  Marchia,  et  castrum  mentis  Falco- 
ni», cuius  confinia  sunt  tenimenta  Sancte  Victorie,  Exmirilli  et  Te- 
rami,  et  alia  et  fortiUizia  in  ipso  castro  per  quam  faciebat  guerram 
et  pacem  ad  suum  sensum,  habendo  gastaldos  in  ipso  castro,  et 
faciendo  puniri  malefactores  et  delinquentes  secundum  quod  facie- 
bant  delieta,  et  vidit  cos  facere  generaliter  omnia  que  [solet?]  domi- 
nus  facere  et  exercere  in  sua  terra  et  hominibus  pertinentibus  ad 
eos,  et  hoc  vidit  per  tempus  [.xl.]  annorum  et  plus  usque  ad  tempus 
et  eo  tempore  quo  gens  imperatoris  et  regis  Ensis  hostiliter  occu- 
pavit  et  invaxit  abbatiam  suprascriptam  et  castrum  predictum,  sicut 
aliam  Marchiam.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  [quod] 
vidit.  Interrogatus  quomodo  [scit]  quod  prcdicti  fuerint  abbates  pre- 


324  /       oAtti  della  Società 


dicti  monasterii,  dixit  quia  vidit  eos  dominare  in  ipsa  terra  sicut  supra 
dixit.  Interrogatus  si  personaliter  fuerunt  in  dieta  possessione,  dixit 
quod  sic.  Interrogatus  quot  anni  sunt  [quod]  predicta  occupatio  facta 
fuit,  dixit  se  non  recordari.  Interrogatus  quot  annos  habet  ipse  testis, 
dixit  quod  [prope]  ,c.  annos.  Interrogatus  si  per  dicturti  tempus  .XL. 
annorum  fuit  pre'sens  in  contrada,  dixit  quod  sic  et  predicta  vidit  et 
audivit. 

Secundo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
et  occupationis  dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  mona- 
steriii,  et  dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  erat  eius  vicarius,  et  co- 
muniter  habebatur  vicarius  ab  hominibus  diete  abbatìe.  Interrogatus 
quod  officium  faciebat  ibi  dictus  vicarius,  dixit  quod  puniebat  delin- 
quentes  et  faciebat  totam  dominationem  per  abbatem,  et  faciebat 
iudicìa  civilia  et  criminalia.  Interrogatus  inter  quos  faciebat  iudicia, 
dixit  quod  vidit  placitare  coram  eo  dominus  Benecavalca  cum  certis 
vassallis  et  alios  de  quorum  nominibus  non  recordatur. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  que  in  ipso  articulo  con- 
tinentur,  quia  vidit  dìctum  abbatem  Matheum  esse  in  possessione  diete 
abbatìe  Marchie  et  dicti  castri  montis  Falconis,  quia  ipsum  castrum 
erat  magis  in  domanio  abbatis  quam  aliquod  aliud.  Interrogatus  in 
causa  scientie  quomodo  scit,  dixit  ut  supra  in  primo  articulo.  Inter- 
rogatus si  vidit  iudices  per  abbatem  in  dieta  terra,  dixit  quod  vidit 
dominum  Rugerium  de  [Rivojtino  et  alios  de  quorum  nominibus  non 
recordatur. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Aetonis 
Mili  de  Puree,  dominus  Albertinus  de  Exmirillo,  dominus  Fyldesmidus 
de  Moliano,  dompnus  Nicola  de  Puczallia,  monachus  dicti  monasterii, 
fuerunt  vicarii  [dicti]  monasterii,  et  prò  ipso  monasterio  et  abbatibus 
et  publice  fuerunt  habiti  prò  vicariis  ab  hominibus  diete  abbatie  et 
dicti  [eastri]  per  dictum  tempus  .xi.  annorum  et  plus.  Interrogatus 
quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vidisse  quoslibet  ipsorum  vicariorum 
in  ipso  officio. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
sic  piene  possideret,  et  quasi  totam  dictam  abbatiam  et  dictum  ca- 
strum montis  Falconis  et  homines  et  vaxallos  ipsius,  cum  dieta  co- 
gnitione  et  iurisdietione  universali  etiam  quo  ad  sanguinem  et  capi- 
talis  pene  impositionem,  dictum  monasterium  privatum  fuit  omnibus 
predictis  per  dictam  invaxionem  dicti  Frederici  imperatoris  rebellis  et 
hostis  Romane  Ecclesie.  Interrogatus  quomodo  scit,  et  quomodo  facta 
fuit  dieta  occupatio  et  privatio,  dixit  quod  dominus  Rainaldus  de 
Aquaviva,  sicut  nuntius  dicti  regis  Ensis,  cum  sua  masnata  et  gente 
ad  dictum  castrum  Furcis,  et  dictus  abbas  Matheus  de  Sublacu  erat 


oAtti  della  Società  325 


in  ipso  castro,  et  tunc  abbas  quod  noluit  iurare  fidelitatem  eius  se- 
cessit  prò  timore  de  ipso  castro,  et  aufugit  et  discessit  de  tota  Mar- 
chia, et  tunc  privatum  fuit  dictum  monasterium  de  tota  dieta  posses- 
sione. 

Supra  sexto  articulo  dixit  quod  cum  dompnus  Nicola,  olim  abbas 
dicti  monasteri:,  post  occupationem  [predictjam  possideret  dictum 
castrum  montis  Falconis  cum  pertinentiis  et  iurisdictione,  quidam 
bonus  homo  et  creditus  quod  fuerit  index  venit  prò  parte  domini  Ge- 
rard! Coxadoca,  tunc  rectorìs  in  Marchia,  et  accepit  tenutam  dicti 
castri  contra  voluntatem  abbatis.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit 
bene,  quia  stetit  et  presens  fuit.  Interrogatus  si  fuit  illata  violentia  ipsi 
abbati,  respondit  quod  non  alia,  nisi  quod  dictus  rector  misit  prò  dicto 
abbate,  et  ipse  abbas  ivit  ad  cum,  et  antequam  rediret  abbas  venit  ille 
prò  eo,  et  abstulit  castrum,  ut  supra  dixit.  Interrogatus  quantum 
tempus  est  quod  predicta  fuerunt,  dixit  se  non  recordari. 

Septimo  articulo  sìbi  lecto,  dixit  quod  predictum  castrum  montis 
Falconis  cum  pertinentiis  et  fortillizia  pervenit  ad  Firmanos,  et  ipsi 
firmam  tenuerunt  per  plures  annos,  de  quorum  numero  non  recor- 
datur,  et  scit  quod  possederunt  in  preiudicium  monasteri!  predicti, 
illam-rocchettam,  que  prius  erat  ibi,  tenebant  adeo  quod  non  permit- 
tebant  intrare  aliquos  prò  monasteri©,  et  dixit  quod  illa  roccha  te- 
netur  nunc  prò  marchione,  et  scit  predicta  bene,  quia  vidit  masnadam 
et  sergentes  ipsius  communis  Firmi  esse  in  ipso  castro. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  castri  montis  Fal- 
conis et  homines  et  vassalli  ipsius  abbatie  prestare  consueverunt  et 
prestiterunt  sacramenta  fidelitatis  abbatibus  dicti  monasteri!,  honorando 
et  recognoscendo  eos  ut  dominos  suos,  et  hoc  vidit  per  tempus  .xl. 
annorum  et  plus.  Interrogatus  si  omnes  homines  dicti  castri  prestite- 
runt predicta  sacramenta,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  si  iurabant  fi- 
delitatem per  syndicum  vel  synguli,  dixit  quod  tam  ipsi  quam  ali!  de 
abbatia  iurabant  singulariter,  et  non  per  syndicum.  Interrogatus  quibus 
abbatibus  prestiterunt  predicta,  dixit  quod  abbatibus  Matheo,  abbati 
Herrigo  et  aliis  de  quibus  asseruit  in  primo  articulo.  Interrogatus  si 
fuit  et  crat  presens  quando  ipsa  sacramenta  prcstabant,  dixit  quod  sic. 
Interrogatus  in  quibus  locis  vidit  dieta  sacramenta  prestari,  dixit  in 
castro  Furcis,  in  monte  Falcone  et  in  aliis  castris  abbatie,  quia  ipse 
erat  et  fuit  familiaris  ipsorum  abbatuum. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  in 
dicto  castro  unum  turronem  postquam  habuerunt  dictum  castrum  et 
in  preiudicium  Ecclesie  Farfensis,  preter  fortillizia  que  erat  prius  ibi. 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia  erat  in  ipso  castro  montis 
Falconis  quando  Firmani  murabant  dictum  turronem. 


^26  Q^tti  della  Società 


Decimo  articulo  intentionis  sibi  Iccto,  dixit  quod  imperator  Fre- 
dericus  et  rex  Manfredus  post  mortem  dicti  imperatoris  occupaverunt 
Marchiani  et  abbatiam,  et  castra  eius,  et  occupata  tenuerunt  hostiliter 
per  tempus  .xx.  annorum  per  gentes  et  vicarios  quos  mittebant  in 
Marchiani.  Interrogatus  quomodo  scit,  et  si  fuit  presens  in  contrada, 
dixit  quod  fuit  presens  et  scit  bene,  quia  ibat  cum  masnata  dictorum 
dominorum  per  Marchiani  per  magnani  partem  dicti  temporis. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis  citra  et  plus 
dictum  monasterium  vacavit  abbate  bene  per  .x.  annos.  Interrogatus 
qu'omodo  scit,  dixit  bene,  quia  fuit  in  contrada  abbatie  Marchie,  et 
quando  dicti  abbates  eligebantur  in  monasterio  veniebant  in  Mar- 
chiam,  et  quando  vacabat  abbate  dicebatur  in  contrada  diete  abbatie. 
Interrogatus  per  mortem  quorum  abbatuum  fuit  dieta  vacatio,  dixit 
se  non  recordari.  Interrogatus  si  dicti  .x.  anni  fuerunt  continui,  dixit 
quod  non. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  his  quibus  testificatus 
est  supra  sunt  publica  et  notoria  in  dieta  contrada  et  manifesta.  In- 
terrogatus quid  est  dicere  publica  et  notoria,  dixit  quod  que  gentes 
communiter,  et  dixit  quod  non  fuit  doctus. 

Die  .XI.  martii,  .vii.  indictionis. 

Dompnus  Mainardus,  cappellanus  Sancti  Blasii  de  Teramo,  testis. 
luravit  presentibus  partibus  coram  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi 
lecto,  dixit  quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  qui  fuerunt, 
silicet  abba[s]  Matheus  de  Arzulo,  et  abbas  Herrigus  de  Coxeiano,  et 
abbas  Stephanus,  et  abbas  Matheus  de  Sublacu,  nomine  dicti  mona- 
sterii  in  solidum  et  in  totum  habuerunt  et  possederunt  ad  plenam  iu- 
risdictionem  omnium  civilium  et  criminalium  causarum  et  spiritua- 
lium  et  temporalium  totam  abbatiam  suprascriptam  in  Marchia,  et 
castrum  montis  Falconis  spetialiter  sicut  cammeram  eorum  cum  for- 
tillizia  et  pertinentiis,  ut  quis  possidet  suum,  habendo  in  tota  dieta 
abbatia  et  in  dieto  castro  gastaldos  et  baiulos,  et  vidit  eos  cognoscere 
et  facere  cognosci  de  omnibus  causis  per  iudices  suos,  et  generaliter 
omnia  facere  que  facit  quilibet  dominus  et  comes  in  sua  terra,  et 
plus  quia  in  spirìtualibus  et  temporalibus,  sed  alii  domini  in  tempo- 
ralibus  tantum,  et  hoc  vidit  continue  et  pacifice  per  tempus  .xxx. 
annorum,  antequam  imperator  fecisset  occupari  Marchiam  et  di- 
ctam  abbatiam  et  etiam  eo  tempore  occupationis.  Interrogatus  quo- 
modo scit,  dixit  bene,  quia  vidit  eos  personaliter  in  dieta  possessione 
et  vidit  dominari  eos  in  dieta  abbatia.  Interrogatus  si  vidit  eos  pos- 
sidere  dictum  castrum  montis  Falconis  cum  fortiUizia,  dixit  quod 
sic,  quia    erat   et   fuit   ibi  scolaris  ad  diseendum   seribere  per  duos 


oAtti  della  Società  327 


annos,  et  de  aliis  scit  per  publicam  famam.  Interrogatus  quantum 
tempus  est  quod  dieta  possessione  [privatum  est]  monasterium,  dixit 
se  non  recordari.  Interrogatus  quot  annorum  est  ipse  testis,  dixit  quod 
nonaginta,  Interrogatus  si  per  dictum  tempus  nonaginta  annorum 
fuit  continuus  in  contrada,  dixit  quod  sic  in  contrada  Marchie. 

Secundo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii,  sed  quod 
dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  fuerit  eius  vicarius  non  recordatur. 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  dictum  dompnum  ab- 
batem  dominari  tunc  in  tota  dieta  abbatia  et  in  dicto  castro,  et  do- 
minus Rainaldus  de  Aquaviva  cum  sua  gente  venit  ad  castrum  Furcis, 
et  intravit  et  cepit  castrum  in  quo  erat  tunc  dictus  abbas  qui  recessit 
de  ipso  castro  plorando,  ut  ipse  testis  audivit.  Interrogatus  si  tunc 
discessit  de  tota  contrada  abbatie,  dixit  se  non  recordari. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  que  in  ipso  articulo  con- 
tinentur,  excepto  quod  de  domino  Fyldesmido  non  recordatur  vel 
fuerit  vicarius  eo  tempore.  Qiiesitus  in  causa  scientie,  dixit  in  omnibus 
et  per  omnia  ut  in  primo  et  secundo  articulo  dixit  et  testificatus  est. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  vidit  dominum  Albertinum 
comitis  Alberti  de  Exmirillo  vicarium  abbatis  in  dieta  abbatia.  Sed 
de  domino  Fyldesmido,  domino  Gentili  Actonis  Mili  et  dompno 
Nicolao  de  Puczallia  audivit,  sed  non  quod  viderit  eos  in  vicariatu. 
Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  predieta  fuerunt,  dixit  se  non 
recordari. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  contenta  in  eo,  quia 
supra  retulit  sic  esse,  et  in  eausa  scientie  dixit  ut  supra. 

Sexto  articulo  sibi  lecto,  dixit  se  de  eo  nichil  seire. 

Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  castrum  montis  Falconis 
cum  gyrone  superiori  pervenit  ad  civitatem  Firmanam.  Sed  quod 
pervenit  ad  Firmanos  totum  castrum  cum  iurisdictione,  dixit  se  ne- 
scire,  quia  servitia  debitalia  reservata  fuerunt  abbati,  ut  audivit.  Inter- 
rogatus per  quantum  tempus  possederuntipsum  gyronem,  dixit  se  non 
recordari,  et  dixit  quod  modo  curia  tenet  dictum  gyronem,  ut  audivit. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  montis  Falconis  et 
alii  homines  de  abbatia,  sicut  audivit  per  publicam  famam,  prestite- 
runt  sacramenta  fidelitatis  et  prestare  consueverunt  dicto  monasterio, 
et  honorando  abbates  ut  domìnos  suos,  et  hoc  per  tempus  .xxx.  an- 
norum ut  audivit. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  turrim 
in  gyrone  et  castro  montis  Falconis,  quam  turrim  ipse  testis  vidit  a 
castro  montis  Paxilli  in  preiudicium  monasterii  suprascripti  et  contra 
voluntatem  abbatis.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit. 


328  oAtti  della  Società 


Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  ea  que  in  ipso  articulo  con- 
tinentur  credit,  ut  audivit  per  publicam  famam,  sed  aliter  nescit. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  se  de  contentis  in  eo  non  re- 
cordari. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  omnibus  quibus  te- 
stifìcatus  est  supra,  et  reddit  causam  scientie,  sunt  publica  et  noto- 
ria in  contrada,  et  quia  castrum  montis  Paxilli  coniìniat  cum  castro 
montis  Falconis.  Interrogatus  quid  est  dicere  publicum  et  notorium, 
dixit  id  quod  gentes  dicunt  manifeste  et  publice.  Interrogatus  si  fuit 
doctus,  dixit  quod  non,  et  non  fuit  rogatus,  sed  dixit  ipse  testis  ex 
corde  suo  ut  meminit. 

Die  eodem. 

Gualterius  Herrici  de  Furce,  testis.  luravit  presentibus  partibus 
coram  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monaste- 
rium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monasterii,  silicet  abbas  Herrigus 
de  Coxeiano  et  dompnus  Matheus  de  Sublacu  et  alii  de  quorum  no- 
minibus  non  recordatur,  in  solidum  et  in  totum  habuerunt  et  tenue- 
runt  et  possederunt  prò  suo  ad  plenam  iurisdictionem  omnium  civi- 
lium  et  criminalium  causarum  pacifice,  quiete  et  continue  totam 
dictam  abbatiam  suprascriptam  et  castrum  rnontis  [Falcjonis  de  abba- 
tia  predicta,  cum  suis  pertinentiis,  tenimentis,  fortillizia,  munitionibus 
et  palatio,  [qu]od  castrum  est  in  Marchia,  iuxta  tenimentum  Sancte 
Victorie  Terami  et  Exmirilli,  et  [alia]  latera,  habendo  in  dieta  abbatia 
et  dicto  castro  gastaldos  et  baiulos  et  cognoscendo  de  [omnibus] 
causis  civllibus  et  criminalibus,  puniendo  et  condepnando  homines  et 
vassallos  diete  abbatie  et  dicti  castri,  secundum  natura  et  qualìtas  de- 
lieti requirebat,  et  generaliter  omnia  facere,  que  quilibet  [domi]nus 
et  Comes  facit  in  sua  terra  et  in  suis  hominibus,  et  hec  dicit  fuisse 
per  tempus  .xv.  annorum  ante  occupationem  et  usque  ad  tempus  oc- 
cupationis  facte  per  gentem  imperatoris  seu  regis  Ensìs  cum  venerit 
hostiliter  contra  Ecclesiam  Romanam,  et  occupavit  Marchiam,  et  ab- 
batiam et  dictum  castrum  montis  Falconis.  Interrogatus  quomodo 
scit  quod  predicti  fuerint  abbates  dicti  monasterii,  dixit  quia  habe- 
bantur  prò  abbatibus  et  homines  terrarum  diete  abbatie  obbediebant 
eis.  Interrogatus  si  predicti  abbates  fuerunt  personaliter  in  dieta  pos- 
sessione, dixit  quod  sic,  sed  quanto  tempore  fuerit  quilibet  eorum 
non  recordatur.  Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  predieta  oc- 
cupatio  facta  fuit,  respondit  quod  a  .xxx.  in  .xl.  annos  ut  credit.  In- 
terrogatus quot  annos  seu  quanti  temporis  erat  ipse  testis  tune  tem- 
poris,  respondit  se  nescire,  sed  seit  bene,  quia  tune  portabat  iam  arma, 
et  erat  robustus  iuvenis.  Interrogatus  si  fuit  presens  in  contrada  con- 


Qy^tti  della  Società  329 


tinue,  vel  absentavit  se  de  provinzia  eo  tempore  quo  dixit  monaste- 
rium  possedisse  predicta,  et  abbates  ipsius  monasterii,  respondit  quod 
fuit  presens  in  contrada  per  dictum  tempus,  et  non  absentavit  se  de 
Marchia. 

Secando  articolo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  [abbas]  dicti  monasterii,  et  domi- 
nus  Fyldesmidus  de  MoHano  erat  eius  vicarius  et  prò  suo  vicario  ha- 
be[baturj.  Interrogatus  quomodo  scit  quod  dominus  Fyldesmidus 
predictus  fuit  vicarius,  dixit  bene,  quia  fuit  presens  in  monasterio 
Sancti  Salvatoris  de  Aso  ubi  factus  vicarius  fuit  in  tota  abbatia  a  dicto 
abbate  de  Sublacu.  Interrogatus  quod  officium  faciebat  ibi  dictus  vi- 
carius, dixit  quod  precipiebat  et  faciebat  que  faciunt  domini. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dictus  abbas  et  dominus 
Fyldesmidus  faciebant  tempore  diete  invaxionis  ea  que  supra  dixit 
et  possidebant  totam  abbatiam  et  homines  et  vassallos  ipsius  abbatìe 
et  dicti  castri  ad  plenam  iurisdictionem,  et  erant  in  possessione  co- 
gnitionis  plenarie  in  tota  dieta  abbatia  et  dicto  castro,  habendo  in 
ìpsis  castris  gastaldos  seu  viscontes.  Interrogatus  quomodo  scit  pre- 
dicta, dixit  ut  supra  in  primo  dicto.  Interrogatus  qui  fuerunt  viscontes 
in  ipso  castro,  dixit  se  non  recordari  de  nominibus,  sed  in  castro 
Furcis  fuerunt  dominus  Moricus  de  Nirano,  Rainaldus  Benedicti.  In- 
terrogatus si  vidit  iudices  eo  tempore  prò  abbate  in  dieta  abbatia, 
dixit  quod  vidit  dominum  Rugerium  de  Ruvetino,  sed  de  aliis  non 
recordatur,  quem  iudicem  vidit  ibi  indicare  causas  civiles  et  erimi- 
nales  et  Inter  homines  diete  abbatie.  Interrogatus  que  fuerunt  cause 
et  qui  fuerunt  iudicati,  dixit  se  non  recordari. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  castro  Furcis,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti,  dominus 
Fyldesmidus  de  Mollano  et  dompnus  Nicola  de  Puczallia  monachus 
dicti  monasterii  fu[erunt]  publice  h abiti  vicarii  in  tota  dieta  abbatia 
prò  dicto  monasterio  et  ab  hominibus  totius  abbatie  [et  dicti]  eastri 
mentis  Faleonis.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  predietos 
in  ipso  officio  vicariatus.  Interrogatus  per  quantum  tempus  quilibet 
ipsorum  fuit  vicarius,  dixit  se  non  recordari. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monastcrium 
sic  piene  possideret  dictum  castrum  et  aliam  [abbatiam]  in  pace  de 
qua  nullam  litem  habebat,  dictum  monastcrium  fuit  privatum  omni 
possessione  predictorumperadventum  gentis  imperatoris.  Interrogatus 
quomodo  scit,  dixit  quod  vidit.  Interrogatus  quomodo  fuit  facta  dieta 
privatio,  dixit  quod  gens  regis  Enzis  venit  cum  exercitu  magno  cum 
Sarracenis  et  Theotonicis  ad  castra  ipsius  abbatie,  et  vidit  eos  venire 
ad  castrum  mentis  Faleonis,  et  homines  ipsius  castri  fecerunt  corum 


330  oAttì  della  Società 


mandata,  et  tunc  abbas  recessit  de  contrada.  Interrogatus  si  imperator 
venit  personaliter  in  dictam  abbatiam,  dixit  quod  non,  sed  vidit  eum 
in  obsscessionem  super  Asculum. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  quod  dompnus  Nicola  abbas  monasterii 
dicii  post  occupationem  predictam  possidebat  dictum  castrum  totum 
sicut  homo  habet  suum.  Et  tunc  marciiio  qui  erat  misit  quosdam 
nuntios  ad  dictum  castrum,  et  tunc  abbas  reliquit  eis  castrum,  sed  non 
voluntarìe.  Sed  quod  aliam  violentiam  fecisset  non  vidit,  et  tunc  pre- 
dicti  nuntii  asscenderunt  roccham  ettenuerunt.  Interrogatus  quomodo 
scit,  dixit  quia  presens  fuit. 

Supra  septimo  articulo,  dixit  quod  postquam  fuit  id  quod  dixit 
supra  sexto  articulo,  commune  Firmi  tenuit  dictum  castrum.  Interro- 
gatus quomodo  scit,  dixit  bene,  quia  vidit  sergentes  prò  commune 
Firmi  tenere  roccham  ipsius  [castri.  Sed]  quanto  tempore  tenuerit 
dixit  se  nescire, 

[Octavo]  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  que  in  ipso  articulo 
continentur.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  [vidit  predicta],  et 
ipse  testis  multotiens  fecit.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit 
predicta,  dixit  quod  tempus  .xv.  [annorum]  et  plus. 

[Nono]  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fieri  fecit  cas- 
sarum  in  ipso  castro  in  capite  [dicti]  castri  muratum  undique.  Inter- 
rogatus quomodo  scit,  dixit  quia  vidit  preter  fortilliziam  que  prius 
erat  ibi  prò  ecclesia  suprascripta.  Interrogatus  si  hec  facta  fuerunt  in 
preiudicium  monasterii,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  quomodo  scit 
quod  fuisset  in  preiudicium  monasterii,  dixit  bene,  quia  monasterium 
non  potuit  fructare  castrum  sic  ut  prius. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus  et  post 
mortem  eius  rex  Manfredus  hostiliter  occuparunt  Marchiam  et  occu- 
pata tenuerunt  abbatiam  et  castra  eius  de  Marchia  per  .xx.  annos. 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  et  audivit  et  fuit  in  con- 
trada. Interrogatus  si  absentavit  se  de  Marchia,  dixit  quod  non.  Inter- 
rogatus si  contra  Romanam  Ecclesiam,  dixit  quod  sic. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis  citra  dictum 
monasterium  vacavit  abbate  per  dictum  tempus  et  plus,  sicut  credit, 
et  nescit  aliter,  nisi  quia  vidit  abbatie  Marchie  sine  abbate  per  dictum 
tempus,  sed  quod  fuerint  abbates  in  monasterio  ve!  non,  dixit  se 
nescire. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  de  omnibus  quibus  te- 
stificatus  est  supra  et  reddidit  causam  scientie  sunt  publica  et  notoria 
in  contrada.  Interrogatus  quid  est  dicere  publicum  et  notorium,  dixit 
quod  que  gentes  publice  dicunt,  et  non  fuit  doctus. 


oAtti  della  Società  331 


Eodem  die. 

[Brjunorus  Silver!  de  Furce,  testis.  luravit  presentibus  partibus 
corali]  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  [lectjo,  dixit  quod  mona- 
sterium  suprascriptum  et  abbates  dicti  monasterii  qui  fuerunt  prò  tem- 
poribus, silicet  dompnus  Matheus  de  Arzulo,  [dompnus]  Henrigus  de 
Coxeiano,  et  abbas  Oderiscius,  dompnus  Matheus  de  Sublacu  i"t  alii 
de  quorum  [nominijbus  non  recordatur,  nomine  dicti  monasterii  et 
prò  ipso  monasterio  habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt  totam  [ab- 
bajtiam  et  castrum  montis  Falconis  ad  plenam  iurisdictionem  cum 
pertinentiis  et  gyrone,  quod  castrum  positum  est  in  Marchia,  iuxta 
tenimenta  castri  Furcis,  Exmirilli  et  fluminis  Asi  et  allos  fines,  et 
vidit  eos  habere  gastaldos  et  viscontea  in  ipso  castro,  et  aliis  de  ab- 
batia,  et  iudicem  qui  cognoscebat  de  omnibus  causis  civilibus  et  cri- 
minalibus  et  condepnabat  in  pecunia  et  in  personis,  et  vidit  eos  gene- 
raliter  omnia  facere  que  quihbet  dominus  et  comes  facit  in  sua  terra 
et  in  suis  vaxaUis,  et  hec  dicit  se  vidisse  per  tempus  .xxx.  annorum, 
usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  imperator  et  rex  Ens  per  suos 
nuntios  hostiliter  occupaverunt  Marchiam,  abbatiam  et  castrum  pre- 
dictum  montis  Falconis.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia 
vidit  eos  habere  et  tenere,  ut  supra  dixit.  Interrogatus  quomodo  scit 
quod  predicti  fuissent  abbates  dicti  monasterii,  dixit  quia  vidit  homines 
abbatie  facere  eis  obbedientiam  et  fidelitatem.  Interrogatus  quantum 
tempus  est  a  dieta  occupatione  citra,  dixit  se  non  recordari.  Inter- 
rogatus quot  annos  habet  ipse  testis,  dixit  quod  octuaginta  annos  et 
plus.  Interrogatus  si  fuit  presens  in  contrada  et  non  absentavit  se  de 
Marchia,  dixit  quod  presens  fuit  per  tempus  illud  .xxx.  annorum  et 
non  absentavit  se  de  Marchia.  Interrogatus  qui  fuerunt  gastaldi  seu 
viscontea  in  dicto  castro  montis  Falconis  et  aliis  castris  dicto  tempore 
prò  ipsis  abbatibus,  dixit  quod  in  dicto  castro  montis  Falconis  fuit 
Marsilius  Paracasei,  Rainaldus  Gratiani,  et  alii  quos  non  cognovit 
nomine;  et  alii  fuerunt  in  castro  Furcis  [dominus]  Acto  Albrici,  do- 
minus Moricus  de  Nirano  et  Giso  Actonis  Todini  et  magister  Phy- 
lippus  Herradi  Let[onis],  qui  fuerunt  prò  illis  temporibus  et  co 
tempore. 

Secando  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  occupationis 
dompnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii  et  dominus 
Fyldesmidus  de  Moliano  erat  eius  vicarius  in  tota  abbatia  marchie. 
Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  quia  vidit.  Interrogatus  quis 
fccit  vicarium  dictum  dominum  Fyldesmidum,  dixit  quod  non  inter- 
fuit  ordinationi  eius  vicariatus,  sed  vidit  quod  homines  diete  abbatie 
obbediebant  sibi  ut  vicario  dicti  abbatis.  Interrogatus  quod  erat  offi- 


332  <2Atti  della  Società 


cium  eius,  dixit  quod  in  omnibus,  quia  abbas  comictebat  sibi  vices 
suas  in  temporalibus. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  ut  in  dicto  articulo  con- 
tinentur,  et  in  causa  scientie  dixit  ut  in  primo  articulo  sui  dicti  te- 
stificatus  est.  Interrogatus  si  vidit  offitiales  dicti  abbatis  in  ipsa  ab. 
batia  et  iudices  eo  tempore,  qui  iudicarent  et  punirent,  dixit  quod 
sic.  Interrogatus  qui  fuerunt  dicti  iudices,  dixit  quod  dominus  Phy- 
lippus  de  Coxeiano,  et  dominus  Rogerius  de  Rivotino,  et  dominus 
Arnolfus  de  Coxeiano,  et  alii  de  quorum  nominibus  non  recordatur, 
et  vidit  aliquos  punitos  in  oculis,  silicet  Rainaldum  Dionisii,  Petrum 
Albertucii,  Venturam  Carradi  et  Cambium  Morici  Mattelle,  quos  di- 
cebant  homines  punitos  esse  per  dictos  iudices,  et  ipse  testis  vidit 
exire  illa  die  qua  fuerunt  orbati  de  gyrone  Furcis. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  Puree,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti  de  Exmirillo,  do- 
minus Fyldesmidus  de  Moliano  et  dompnus  Nicola  de  Puczallia  mo- 
nachus  dicti  monasteri!  et  dompnus  Tebaldus  monachus  dicti  mona- 
sterii  fuerunt  vicarii  prò  ipso  monasterio  in  dieta  abbatia  et  in  dicto 
castro  mentis  Falconis.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  vidit 
predictos  in  vicariatu. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tunc  monasterium  possidente 
dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  ut  supra  dixit,  privatum  fuit  pos- 
sessione ipsa.  Interrogatus  quis  privavit  monasterium  ipsa  possessione 
et  quomodo  scit,  dixit  quod  dominus  Ralnaldus  de  Aquaviva  tunc 
nuntius  imperatoris  venit  cum  sarracenis  et  militibus  multis  ad  castrum 
Furcis,  et  tunc  dictus  abbas  Matheus  erat  in  ipso  castro  Furcis,  et 
cum  noUet  facere  mandata  ipsorum  recessit  de  dicto  castro,  et 
homines  ipsius  castri  Furcis  fecerunt  mandata  ipsius  domini  Rainaldi, 
quia  non  potuerunt  aliud.  Et  eadem  die  ivit  ipse  dominus  Rainaldus 
versus  castrum  mentis  Falconis  ad  ecclesiam  Sancti  lanuarii,  et  ibi 
recepit  homines  mentis  Falconis  ad  mandata.  Interrogatus  quomodo 
scit,  dixit  bene,  quia  stetit  et  presens  fuit  et  erat  ipse  testis  torresia- 
rius  et  custos  gyronis  dicti  castri  Furcis. 

Supra  sexto  dixit  quod  post  dictam  occupationem  abbas  Nicola 
cum  possideret  dictum  castrum  mentis  Falconis,  audivit  dici  per  pu- 
blicam  famam  quod  dominus  Gerardus  Coxadoca  rector  marchie  tunc 
misit  suos  nunties  ad  castrum  mentis  Falconis  et  fecit  auferri  castrum, 
sed  non  quod  ipse  testis  aliter  sciret. 

Supra  septimo  dixit  quod  commune  Firmi  apprehendidit  rocham 
dicti  mentis  Falconis,  et  eam  tenuit  per  plures  annos,  sed  per  quot 
annos  tenuit  non  recordatur.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  auditu. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  abbatie  et  dicti 


oAtti  della  Società  333 


castri  montis  Falconis  prestiterunt  et  prestare  consueverunt  iuramenta 
fidelitatis  abbatibus  dicti  monasterii  obbediendo  eis  sicut  dominis 
eorum  et  recognoscendo  eos  ut  dominos.  Interrogatus  quomodo  scit, 
dixit  se  vidisse  quasi  per  omnia  castra  abbatie,  quia  abbates  ducebant 
ipsum  testem  prò  eorum  familiare,  quilibet  eorum  de  quibus  dixit  suo 
tempore.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit  predicta,  dixit  a 
tempore  sue  recordationis,  excepto  tempore  quo  imperator  tenuit 
terram,  ut  supra  dixit. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  in 
capite  dicti  castri  montis  Falconis  post  dictam  occupationem  unum 
receptum  preter  fortillizia  seu  palatium  quod  abbas  prius  habebat  ibi. 
Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quod  a  longe  videbat  quando  fiebat 
dictum  receptum,  et  dicebatur  quod  Firmani  faciebant  fieri. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus,  et 
post  mortem  ipsius  imperatoris  rex  Manfredus,  occupaverunt  Mar- 
chiam  et  dictam  abbatiam  et  tenuerunt  occupatam;  sed  per  quot 
annos  non  recordatur.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  quia 
vidit. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  .xxx.  annis  citra  va- 
cavit  abbatia  abbate  in  istis  partibus  Marchie  bene  per  .vii.  annos, 
ut  credit  et  sibi  videtur,  et  aliter  nescit. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  ea  que  supra  testifi- 
catus  est  et  reddit  causam  scientie  sunt  publica  et  notoria  in  contrada. 
Interrogatus  quid  est  dicere  publicum  et  notorium,  dixit  quod  que 
gentes  communiter  dicunt,  et  quod  non  fuit  doctus  neque  rogatus. 

Eodem  die. 

Bonus  Meliorati  de  Teramo,  testis.  luravit  presentibus  partibus 
coram  rectore  prefato.  Primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  mona- 
sterium  suprascriptum  et  abbates  qui  fuerunt  prò  temporibus,  silicet 
abbas  Gentilis  et  abbas  lacobus,  abbas  Philippus,  et  abbas  Herrigus 
de  Coxeiano,  et  abbas  Matheus  de  Sublacu  et  alii  de  quorum  no- 
minibus  non  recordatur,  nomine  dicti  monasterii,  et  prò  ipso  mona- 
sterio  in  solidum  et  in  totum  habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt  ad 
plenam  iurisdictionem  totam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis 
pacifice  et  quiete  et  continue,  ponendo  ibi  baiulos  et  gastaldos  seu 
viscontes  in  tota  dieta  abbatia  et  in  dicto  castro,  et  generaliter  vidit 
eos  omnia  facere  iustificando  homines,  et  per  iudices  et  vicarios 
eorum  sicut  facit  dominus  et  comes  in  sua  terra  et  intra  suos  ho- 
mines; et  hec  vidit  per  tempus  .xxx.  annorum  et  plus  usque  ad 
tempus  quo  imperator  sivc  gentes  ipsius  imperatoris  hostiliter  occu- 
pavit  Marchiam  et  abbatiam  predictam  et  dictum  castrum.  Interro- 
Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI  23 


534  ^^^^  della  Società 


gatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vidisse,  et  quod  per  visum  non 
habuit  per  publicam  famam  scivisse.  Interrogatus  quomodo  scit  quod 
predicti  fuerint  abbates  dicti  monasteri!,  dixit  quia  vidit  eos  obbedir! 
et  honorari  ab  hominibus  diete  abbatie  et  sicut  honorantur  abbates. 
Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  predicta  fuerunt,  dixit  se  de 
numero  annorum  non  recordari.  Interrogatus  quantum  tempus  habet 
ipse  testis,  dixit  .lxxx.  annos  et  plures.  Interrogatus  si  fuit  presens  per 
dictum  tempus  .xxx.  annorum  in  contrada  [et  in]  provinzia  Marchie, 
dixit  quod  sic. 

[Secundjo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dompnus  Matheus  de 
Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii  tempore  [inv]axionis  predicte, 
et  dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  erat  suus  vicarius  in  dieta  ab- 
batia,  et  communiter  homines  [abjbatie  habebant  eum  prò  vicario. 
Interrogatus  quomodo  scit ,  dixit  quia  vidit.  Interrogatus  quod 
officium  faciebat  [dictus]  vicarius  in  dieta  abbatia,  dixit  quia  omnia 
faciebat  et  iustificabat  et  rationem  requirebat  ab  offitialibus  [cell]a- 
rariis  et  baiulis  qui  erant  in  abbatia  predicta,  et  omnia  faciebat  in 
temporalibus,  quod  dicti  abbates  per  se  faciebant  dum  erant  pre- 
sentes. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
predicti  dompnus  Matheus  abbas  dicti  monasterii,  et  dominus  Fyldes- 
midus eius  vicarius,  nomine  dicti  monasterii  habebant  et  possidebant 
pacifice  et  quiete  totam  dictam  abbatiam  et  eastrum  montis  Falconis 
et  homines  et  vassallos  ipsius  abbatie  et  castri  montis  Falconis  etiam 
tamquam  homines  et  vassallos  ipsius  monasterii  et  ad  plenam  iuris- 
dictionem,  tempore  diete  invaxionis  et  occupationis  erant  in  posses- 
sione vel  quasi  possessionis  cognitionis  et  iurisdictionis  plenarie 
exercende  in  tota  dieta  abbatia  et  eastro  montis  Falconis  in  pecunia, 
et  in  membris,  et  in  persona,  faciendo  etiam  eosdem  homines  et 
vassallos  delinquentes  suspendi  et  decapitari,  secundum  quod  requi- 
rebat natura  et  qualitas  delieti.  Interrogatus  qui  fuerunt  viseontes  et 
gastaldiin  ipso  castro  montis  Falconis  [et  in  aliis  cajstris,  dixit  quod 
in  castro  montis  Falconis  vidit  Rainaldum  Gratiani  primo  viscontem 
et  post  eum  cellararium  eo  tempore,  et  Morieum  Tofani  qui  fuit 
gastaldus.  Interrogatus  si  vidit  ibi  iudices,  dixit  se  non  recordari.  In- 
terrogatus qui  fuerunt  puniti  seu  condepnati  in  persona  eo  tempore 
in  ipsis  loeis,  dixit  se  non  recordari. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  Furee,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti,  dominus  Fyldes- 
midus de  Moliano,  dompnus  Nieolaus  de  Puczallia  monachus  dicti 
monasterii  fuerunt  vicari!  dicti  monasterii  prò  dicto  monasterio  et 
ipsorum  abbatuum,  et  publice  habiti  sunt  prò  vicariis  in  ipsa  abbatia. 


oAtti  della  Società  355 


Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quìa  vidit.  Interrogatus  si  dominus 
Albertinus  aliquid  possedit  in  castro  mentis  Falconis,  dixit  quod  ha- 
buit  quosdam  vaxallos,  et  audivit  quod  dictus  dominus  Albertinus 
faciebat  fidelitatem  abbati. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
sic  piene  possideret  et  quasi  totam  dictam  abbatiam  et  dictum  ca- 
strum  montis  Falconis,  et  homines  et  vassallos  ipsius,  cum  dieta  co- 
gnitione  et  iurisdictione  uni  [versali]  etiam  quo  ad  sanguinem  et  ca- 
pitalis  pene  impositionem,  dictum  monasterium  privatum  fuit  omnibus 
predictis  per  dictam  invaxionem  et  occupationem  dicti  Frederici  im- 
peratoris  rebellis  et  hostis  Romane  Ecclesie.  Interrogatus  quomodo 
facta  fuit  dieta  privatio,  dixit  se  non  recordari,  sed  scit  predìcta  au- 
ditu  et  per  publicam  famam. 

Supra  sexto  articulo,  dixit  nichil  scire  aliud  nisi  auditu  et  per  pu- 
blicam famam. 

Supra  septimo  articulo,  dixit  quod  Firmani  abstulerunt  dictum 
castrum  montis  Falconis  et  lenuerunt  ipsum  castrum  prope  .xx.  annos, 
et  vidit  eos  ibi  facere  turrim. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  et  vassalli  ipsius 
abbatie  et  homines  ipsius  castri  consueverunt  prestare  et  prestiterunt 
sacramenta  fìdehtatis  abbatibus  dicti  monasteri!,  qui  fuerunt  prò  tem- 
poribus, eos  honorari  et  revereri  sicut  dominos  eorum  ab  eis,  et  hec 
vidit  a  tempore  recordationis  ipsius  testis,  excepto  tempore  quo  mo- 
nasterium caruit  possessione  ipsa  per  dictam  occupationem.  Interro- 
gatus a  quot  annis  citra  recordatur  ipse  testis,  dixit  quot  a  .lx.  annis 
citra.  Interrogatus  si  fuit  presens  prestationi  ipsorum  sacramentorum, 
dixit  quod  multotiens  et  in  pluribus  locis  abbatie  ipsius,  et  scit  per 
auditum  et  per  publicam  famam. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  postquam  commune  Firmi 
habuit  dictum  castrum  fieri  fecit  a  capite  ipsius  castri  unum  gyronem 
preter  guardiam  que  erat  ibi  prius.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit 
quia  vidit  et  audivit  sepius,  et  vidit  ibi  lohannem  de  Barlecta  ca- 
stellanum  prò  commune  Firmi. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus  et 
rex  Manfrcdus  occupatam  tenuerunt  Marchiam  et  abbatiam  hostiliter 
contra  Ecclesiam  Romanam  per  .xx.  annos.  Interrogatus  quomodo 
scit,  dixit  quod  vidit  prò  magna  parte  et  audivit.  Interrogatus  si 
discessit  de  provinzia  per  dictum  tempus,  dixit  quod  non. 

Undecime  articulo  sibi  lecto,  dixit  supra  co  nichil  scire  nisi  au- 
ditu et  per  publicam  famam. 

Supra  duodecimo  articulo,  dixit  quod  sunt  publica  et  notoria  ea 
que  testifìcatus  est  supra.  Interrogatus  quod  est  dicere  publicura  et 


33^  ^tti  della  Società 


notorium,  dixit  se  nescire.  Interrogatus  si  fuit  doctus  vel  rogatus  hoc 
testimonium  facere,  dixit  quod  non. 

Die  .XV.  martii. 

Dompnus  Rainaldus,  monachus  Sancti  Katervi  de  Tolentino,  te- 
stis.  luravit  presentibus  partibus  coram  rectore  prefato.  Primo  articulo 
sibi  lecto,  dixit  quod  monasterium  suprascriptum  et  abbates  qui  fue- 
runt,  silicet  abbas  Matheus  de  Arsulo,  abbas  Herrigus  de  Coxeiano, 
et  post  eum  in  tempore  non  continuo  quod  sibi  recordetur  abbas 
Stephanus,  et  abbas  Oderiscius,  et  post  istos  abbas  Matheus  de  Su- 
blacu,  nomine  dicti  monasterii  in  solidum  et  in  totum  habuerunt, 
tenuerunt  et  possederunt  quo  ad  plenam  iurisdictionem  civilium  et 
criminalium  causarum  pacifìce,  continue  prò  suo,  sicut  abbates  tenent 
suamterram,  totamdictam  abbatiam  suprascriptam  et  castrum  montis 
Falconis  et  abbatiam  predictam,  cum  suis  pertinentiis  et  tenimentis, 
et  cum  domo  que  erat  in  capite  castelli.  Quod  castrum  est  in  Mar- 
chia, cuius  confinia  sunt  ista:  castrum  Sancte  Victorie,  tenimenta 
castri  Exmirilli,  castri  Terami  et  flumen  Asi;  habendo  in  ipsa  ab- 
batia  tota  gastaldos  et  viscontes  et  in  ipso  castro  et  in  tota  abbatia, 
cognoscendo  de  causis  civilibus  et  criminalibus,  et  per  iudices  eorum 
vidit  aliquos  homines  plures  puniri  in  pecunia  et  in  personis,  et  vidit 
eos  et  omnia  et  singula  facere  que  quilibet  dominus  et  comes  facit 
in  sua  terra,  et  plus  quia  in  spiritualibus  dominabantur.  Et  vidit  pre- 
dieta  per  tempus  .xl.  annorum  usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo 
rex  Enz  filius  imperatoris  intra vit  Marchiam  et  usque  quo  occupavit 
provinciam  totam  et  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum  montis  Fal- 
conis. Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  quia  vidit  et  interfuit. 
Interrogatus  quomodo  scit  quod  predicti  fuerint  abbates  in  dieta  abbatia 
et  in  ipso  castro,  respondit  quia  homines  vocabant  ipsos  abbates,  et 
ipsifaciebant  ea  que  faciunt  abbates  in  dieta  abbatia  et  in  ipso  castro. 
Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  predicta  fuerunt,  dixit  se  non 
bene  recordari.  Interrogatus  quantum  tempus  habet  ipse  testis,  dixit 
.Lxxx.  annos  et  plus,  ut  ipse  credit.  Interrogatus  si  predictum  tempus 
.XL.  annorum  fuit  presens  in  provinzia  Marchie,  et  in  dieta  contrada, 
dixit  quod  sic,  excepto  quod  una  vice  ivit  in  Lombardiam  ad  ab- 
batem  Stephanum  predictum  qui  erat  in  Lombardia,  in  eundo  mo- 
rando  et  redeundo  transierunt  .xx.  dies.  Interrogatus  in  qua  terra 
dictus  testis  fuit  ortus,  dixit  in  monte  de  Nove,  quod  est  castrum  su- 
biectum  ipsi  abbati  et  dicto  monasterio. 

Secundo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  occupationis 
diete  provinzie  et  diete  abbatie  dopnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas 
dicti  monasterii  et  dominus  Fyldesmidus  de  Mollano  erat  eius  vica- 


oAlti  della  Società  337 


rius  in  dieta  abbatia.  Interrogatus  quod  erat  officium  dicti  vicarii, 
dixit  quod  ordinabat  et  faciebat  prò  ipso  abbate  que  spectabantur  ad 
temporalia  et  publice  habebatur  prò  vicario  ab  hominibus  diete  ab- 
baile, et  ipse  vicarius  et  prò  eo  dominus  Rogerius  iudex  de  Rovetino, 
quem  vidit  eum  iudicem  prò  domino  Fyldesmido,  et  Meliorem  de 
Brunforte,  et  dominum  Uguiczionem  filium  naturalem  dicti  domini 
Fyldesmidi,  qui  fecerunt  iudicia  plura  in  delinquentibus,  de  quorum 
nominibus  non  recordatur. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  et  fuisse  que  in  ipso  ar- 
ticulo  continentur,  hoc  adiecto  etiam,  quod  vidit  viscontem  in  quo- 
libet  castro  diete  abbatie.  Quesitus  in  causa  scientie,  dixit  in  omnia 
et  per  omnia  ut  supra  in  primo  articulo  dixit. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  Furce,  dominus  Albertinus  comitis  Albertini  de  Exmirillo, 
dominus  Fyldesmidus  de  Moliano  et  dopnus  Nicolaus  de  Puczallia. 
Item  et  Arpinellum  domini  Giberti  de  Valle,  dopnum  Laurentium  pe- 
rusinum,  dopnum  Berardum  de  Montenigro,  dopnum  Nicolaum  de 
Toffia  vidit  vicarios  prò  abbatibus  qui  fuerunt  prò  tempore  in  mo- 
nasterio  dicto.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vidisse. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
possideret  dictam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis  et  vassallos 
ipsius  cum  iurisdictione  plenaria,  ut  supra  dixit,  monasterium  fuit 
privatum  omnibus  predictis.  Interrogatus  quomodo  scit  et  quomodo 
facta  fuit  dieta  privatio,  respondit  quod  cum  exercitus  imperatoris  et 
gens  eius  cum  rege  Entio  ad  partes  illas  venirent,  videlicet  ad  castra 
ipsius  abbatie,  et  castra  facerent  mandata  eorum,  quia  gens  illa  erat 
excomunicata,  et  abbas  timebat,  aufugit  et  exivit  de  ipsa  terra. 

Sexto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  audivit  dici  quod  Gerardus 
Coxadoca,  rector  in  Marchia,  fecit  sibi  dari  castrum  montis  Falconis, 
et  dicebatur  quod  de  mandato  domini  abbatis  fecerat. 

Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  castrum  montis  Falconis 
pervenit  ad  civitatem  Firmanam,  et  illud  castrum  habuit  et  possedit 
per  .XX.  annos  et  plus  in  preiudicium  dicti  monasteri!  et  contra  ius 
et  in  detrimentum  animarum  suarum,  et  nunc  possidct  licet  nomine 
Romane  Ecclesie  teneatur.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  quia  au- 
divit, et  est  in  pubiica  fama.  Interrogatus  quale  preiudicium  fit  mo- 
nasterio,  dixit  quod  Firmani  faciebant  ibi  pontem  et  dominantur  ca- 
strum, exceptis  domaniis  et  debitalibus, 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  et  vassalli  diete 
abbatie  et  dicti  castri  prestiterunt  et  prestare  consueverunt  sacramenta 
fidelitatis  abbatibus  qui  fuerunt  prò  temporibus  in  dicto  monastcrio, 
honorando  et  rccognoscendo  eos  ut  dominos  suos,  facicndo  dcbitalia 


338  (yìtti  della  Società 


et  usualia  servitia  et  hoc  a  tempore  recordationis  ipsius  testis,  excepto 
tempore  quo  dictus  imperator  tenuit  terram.  Interrogatus  quomodo 
scit  predicta,  dixit  quia  vidit  pluries  et  pluries  et  multotiens  interfuit 
prestationibus  dictorum  sacramentorum  et  servitiorum  a  dicto  sue 
recordationis  tempore.  Interrogatus  si  sacramenta  predicta  presta- 
bantur  singulariter  per  homines  diete  abbatie  et  dicti  castri  vel  per 
syndicum,  dixit  quod  singulariter. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fecit  fieri  in 
preiudicium  dicti  monasterii  in  capite  dicti  castri  montis  Falconis 
unum  gyronem,  non  quod  ipse  testis  interfuit  quando  fuit  factum,  sed 
vidit  post,  et  per  publicam  famam  scit  quod  Firmani  fecerunt  ipsum. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  imperator  Fredericus,  et 
post  mortem  eius  rex  Manfredus,  per  nuntios  eorum  cum  exercitum. 
occuparunt  Marchiam,  totam  abbatiam  et  dictum  castrum,  et  dominus 
Herrigus  de  Aquaviva  cum  exercitu  imperatoris  advenit  in  Marchiam 
et  in  dictam  abbatiam,  et  tempore  regis  Manfredi  vicarii  eius  occu- 
pans  dictam  provinciam  et  abbatiam  hostiliter  contra  Romanam  Ec- 
clesiam  et  in  preiudicium  dicti  monasterii,  et  occupatam  tenuerunt 
per  .XX.  annos  et  plus,  ut  credit. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monasterium  suprascri- 
ptum  a  .XXXV.  annis  citra  vacavit  abbate  aliquando,  [u]t  credit;  sed 
per  quantum  tempus  nescit. 

Duodecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  ea  supradicta  de  quibus 
testificatus  est  et  reddidit  causam  sciende  sunt  nota  et  publica  ho- 
minibus  de  contrada  et  manifesta,  et  dixit  quod  non  fuit  doctus, 
ncque  rogatus  dictum  testimonium. 

Die  predicta. 

Dopnus  lacobus  prior  ecclesie  Sancte  Marie  de  Ofida,  testis.  lu- 
ravit  presentibus  partibus  et  coram  rectore  prefato.  Dixit  quod  mo- 
nasterium suprascriptum  et  abbas  Matheus  de  Sublacu,  nomine  dicti 
monasterii  et  prò  ipso  monasterio,  de  aliis  abbatibus  precedentibus 
in  tempore  dictum  abbatem  Matheum,  excepto  abbate  Herrigo  de 
Coxeiano  quem  recordatur  in  abbatia  predicta  et  tempore  cuius  ipse 
testis  receptus  fuit  monachus  dicti  monasterii,  qui  abbates  habuerunt, 
tenuerunt  et  possederunt  in  solidum  et  in  totum  prò  ipso  monasterio 
ad  plenam  iurisdictionem  causarum  civilium  et  criminalium  continue 
dictam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis  de  ipsa  abbatia  cum 
pertinentiis  et  domibus  que  erant  in  ipso  castro,  prò  ipsis  abbatibus; 
et  vidit  eos  habere  gastaldos  et  baiulos  in  dieta  abbatia  et  castro 
predicto,  et  vidit  eos  cognoscere  de  causis  civilibus  et  criminalibus 
per  eorum  vicarios  et  iudices,  et  vidit  eos  generaliter  omnia  facere 


oAtti  della  Società  339 


que  dominus  et  comes  facit  in  sua  terra  et  in  suis  vassallis,  et  plus 
quia  in  spiritualibus  dominabantur  ;  et  hec  per  tempus  .x.  annorum 
et  plus  usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  rex  Enzis  intravit  Mar- 
chiam  et  occupavit  abbatiam  totam  et  sicut  aliam  terram.  Interro- 
gatus  quomodo  scit  predicta,  dixit  se  vidisse,  quia  vidit  dictos  abbates 
possidere,  et  alios  erant  prò  eis  sicut  supra  dixit.  Interrogatus  quo- 
modo scit  quod  predicti  abbates  fuerint,  dixit  quod  vidit  eos  haberi 
prò  abbatibus,  et  scit  bene,  quia  fuit  de  ipsoruni  familia.  Interrogatus 
quantum  tempus  est  quod  predicta  fuerunt  occupata  ut  supra  dixit, 
dixit  se  non  recordari.  Interrogatus  si  dominus  imperator  venit  per- 
sonaliter  ad  dictam  abbatiam  et  dictum  castrum,  dixit  quod  non,  sed 
vidit  gentem  regis  Enzis  venire  in  exercitu  super  Ofidam,  et  gentes 
publice  dicebant  quod  predictus  erat  ibi,  et  tunc  dictus  abbas  qui  tunc 
erat  et  vicarius  eius  recesserunt  de  abbatia  prò  timore.  Interrogatus 
si  per  tempus  dictorum  .x.  annorum  de  quibus  annis  asseruit  fuit  pre- 
sens  in  contrada,  dixit  quod  sic.  Interrogatus  de  qua  terra  fuit  oriundus 
dictus  testis,  dixit  quod  de  castro  de  monte  de  Nove  de  dieta  abbatia. 

Secundo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  occupationis 
erat  abbas  dicti  monasterii  dopnus  Matheus  de  Sublacu,  sed  quod  do- 
minus Fyldesmidus  de  Moliano  esset  vicarius  eius  non  recordari.  Et 
vidit  dominum  Rugerium  filium  dicti  domini  Fyldesmidi  et  dominum 
Uguiczionem  filium  naturalem  eius  et  Bonsaltum  de  Moliano  esse  in 
dictu  vicariatu,  et  dicebant  homines  eos  stare  prò  dicto  domino  Fyl- 
desmido. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  dixit  vera  esse  que  in  ipso  articulo  con- 
tinentur,  excepto  quod  dominum  Fyldesmidum  non  vidit  in  vicariatu, 
ut  supra  dixit,  sed  vidit  dictos  filios  eius,  et  Bonsaltum  familiarem 
eius  cognoscere  et  punire  delinquentes,  et  vidit  eos  facere  torqueri 
Rubertum  Rainucìi  et  lacobum  Berardi  de  monte  de  Nove  prò  eo 
quod  dicebantur  furtum  commisisse  de  biado  in  nocte.  Interrogatus 
quomodo  scit  predicta,  dixit  quod  erat  in  terra  et  castro  montis  de 
Nove,  et  vidit  bladum  portari  per  illos  quibus  dicebatur  substractum 
fuisse  furtive  quod  deberet  eis  reddi,  non  quod  viderit  eos  torqueri, 
sed  quia  publice  dicebatur  per  terram. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  alios  vicarios  quorum  no- 
mina in  ipso  articulo  continentur  non  vidit,  sed  vidit  dopnum  Nicolam 
de  Puczallia,  monachum  dicti  monasterii,  vicarium  prò  dicto  mona- 
sterio  in  dieta  abbatia.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit,  dixit 
per  .X.  annos.  Interrogatus  quomodo  scit  quod  fuerit  vicarius,  dixit 
bene,  quia  vidit  licteras  privilegii  vicariatus  ipsius,  in  quibus  contine- 
batur  quod  homines  abbatie  deberent  ei  obbedire  in  temporalibus  et 
spiritualibus. 


340  dAtti  della  Società 


Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium 
sic  piene  possideret,  ut  supra  dixit  in  primo,  dictam  abbatiam  et  dictum 
castrum  montis  Falconis  dictum  monasterium  privatum  fuit  dieta 
possessione  per  occupationem  et  invaxionem  prefatam,  Interrogatus 
quomodo  scit,  dixit  quod  cum  dictus  abbas  Matheus  iam  recessisset 
de  ipsa  abbatìa  timore  gentis  dicti  regis,  ut  dixit  in  primo  articulo,  et 
dopnus  Nicola  predictus  remansisset  et  gereret  officium  vicariatus, 
venit  quidam  dominus  Salomon,  et  dicebatur  quod  prò  inperatore 
venerat  et  prò  domino  in  contrada  illa,  et  cum  inciperet  dominari, 
dictus  dopnus  Nicola  recessit  prò  timore,  quod  predictus  dominus  Sa- 
lomon minabatur  ei,  ut  ipse  testis  audiebat.  Interrogatus  quomodo 
scit  et  ubi  fuerunt  predicta,  dixit  quod  in  castro  montis  de  Nove  vidit 
dictum  dominum  Salomonem  sic  se  habere  ut  supra  dixit. 

Supra  sexto  articulo  dixit  quod  cum  dopnus  Nicola  abbas  olim 
dicti  monasterii  esset  in  terra  Ofide  misit  dominum  Gentilem  de 
monte  Sancti  Poli,  et  cum  eo  ìpsum  testem,  ad  castrum  montis  Fal- 
conis predictum,  ad  petitionem  dominorum  de  Exmirillo,  qui  tenebant 
dictum  castrum,  qui  cum  pervenissent  ad  ipsum  castrum,  domìni  de 
Exmirillo  qui  ibi  erant,  seu  dominus  Anselmus  et  nepotes  de  Exmi- 
rillo, et  dominus  Georgius,  et  dominus  Albertinus  [de]  monte  Paxillo, 
qui  cum  relaxari  sibi  peterent  et  dicerent  prò  parte  dicti  abbatis,  qui 
deberent  readsignari  ipsum  castrum  dicto  domino  abbati,  dicti  domini 
responderunt  eis:  «  veniat  dominus  abbas  et  readsignabimus  sibi  ca- 
strum, quia  suum  est  m.  Et  sequente  die  cum  dictus  abbas  properasset 
ad  ipsum  castrum,  predicti  domini  readsignaverunt  ipsi  abbati  ipsum 
castrum,  dicentes:  v.q.ccq,  readsignavimus  vobis  dictum  castrum  quia 
vestrum  est  ».  Quibus  dominis  recedentibus  de  ipso  castro,  remansit 
dictus  abbas  cum  familia  et  comitiva  que  secum  erat,  et  comisit  ipsi 
testi  claves  portarum  dicti  castri,  et  post  dictum  tempus  cum  dominus 
Gerardus  Coxadoca  esset  rector  Marchie,  misit  quemdam  dominum 
Oddonem  de  Florentia  ad  dictum  castrum,  et  cum  prius  precepisset 
ipsi  quod  dictum  castrum  montis  Falconis  deberet  adsignare  ipsum 
castrum  nuntiis  eius  qui  abbas  quamquam  invitus  accessit  ad  dictum 
castrum,  et  dicto  iudici  Oddonì  adsignavit  dictum  castrum  dicendo 
et  protestando  :  «  ego  volo  obbedire  marchioni  prò  honore  Ecclesie 
Romane,  salvo  et  reservato  iure  monasterii  et  Ecclesie  suprascripte, 
quod  hoc  non  fiat  in  preiudicium  monasterii  ipsius  ».  Interrogatus  quo- 
modo scit,  dixit  bene,  quia  fuit  presens  omnibus  predictis  et  vidit  et 
audivit. 

Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  auditu  se  scire  quod  predictum 
castrum  montis  Falconis  pervenit  ad  civitatem  Firmanam,  sed  quanto 
tempore  tenuit,  dixit  se  nescire. 


Q/ltti  della  Società  341 


Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  abbatie  et  castri 
predicti  prestare  consueverunt  sacramenta  fidelitatis  abbatibus  qui 
fuerunt  prò  tempore  in  dicto  monasterio,  et  honorare  et  recognoscere 
eos  ut  dominos.  Interrogatus  per  quantum  tempus,  dixit  per  .xx.  et 
.XXX.  annos  et  plures.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia 
stetit  et  presens  fuit  et  vidit  multotiens  et  pluries.  Interrogatus  si 
dieta  sacramenta  prestabantur  per  syndicum  vel  singulariter,  dixit 
quod  per  syndicum  in  aliquibus  castris  et  prò  maiori  parte  singulì 
prestabant  sacramenta  homagii  et  fidelitatis  abbatibus  ipsis. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  post  occu- 
pationem  et  perventionem  dictam  fieri  fecit  in  ipso  castro  turrim  et 
palatium  preter  domos  que  erant  ibi  prius  et  in  preiudicium  dicti  mo- 
nasterii.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  se  vidisse  postquam  Fir- 
mani  habuerunt  castrum  illud  heddificium  factum  per  eos,  quod  non 
erat  ibi  tempore  quo  fuit  ipse  testis  ibi,  ut  asseruit  supra  in  .vi.  ar- 
ticulo. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  computato  tempore  quo  impe- 
rator  et  rex  Manfredus  tenuerunt  Marchiam  per  nuntios  eorum  cu- 
currerunt  .xx.  anni.  Interrogatus  quomodo  scit,  dixit  bene,  quia  stetit 
continue  in  provinzia. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  a  ,xxxv.  annis  citra  mo- 
nasterium  suprascriptum  vacavit  abbate  per  .x.  annos.  Interrogatus 
per  mortem  quorum  abbatuum,  dixit  se  non  recordari. 

Duodecimo  et  ultimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  predicta  de  quibus 
asseruit  publica  et  notoria  esse  in  contrada  abbatie  predicte.  Interro- 
gatus quid  est  dicere  publicum  et  notorium,  dixit  quod  est  illud  quod 
multis  est  notum  et  publicum.  Interrogatus  si  fuit  doctus,  dixit  quod 
non,  et  predicta  non  dixit  odio,  pretio,  prece,  amore,  vel  timore. 

Die  .XVI.  martii. 

Petrus  Nicole  de  monte  de  Nove.  luratus  presentibus  partibus 
coram  rectore  prefato,  primo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monaste- 
rium  suprascriptum  et  abbates  quos  ipse  testis  vidit  prò  dicto  mona- 
sterio, silicei  abbas  Matheus  de  Arzulo,  abbas  Herrigus  de  Coxeiano, 
abbas  Oderiscius  et  abbas  MatL  ;us  de  Sublacu,  et  alii  quos  perso- 
naliter  non  vidit,  scit  tamen  auditu,  predicti  quos  vidit  prò  dicto  mo- 
nasterio habuerunt,  tenuerunt  et  possederunt  prò  suo  ad  plenam  iuris- 
dictionem  causarum  civilium  et  criminalium  pacifice  et  continue 
totam  dictam  abbatiam  et  castrum  montis  Falconis,  cuius  confinia 
sunt  flumen  Asi,  tenimentum  castri  Sancte  Victorie,  castri  Exmirilli, 
et  alia  latera  cum  fortillitiis  et  tenimentis,  ut  quis  possidet  suum, 
habendo  gastaldos  et  baiulos  in  ipso  castro  et  in  aliis  diete  abbatie, 


342  oAtti  della  Società 


et  vidit  vicarios  et  iudices  eorum  cognoscere  de  causis  criminalibus  et 
civilibus  et  punire  malefactores  delinquentes  in  persona  et  in  pecunia, 
et  generaliter  omnia  facere  que  quilibet  dominus  et  comes  facit  in 
sua  terra,  et  dixit  se  predicta  vidisse  per  tempus  .xxx.  annorum  et  plus 
usque  ad  tempus  et  eo  tempore  quo  rex  Ensis  fìlius  imperatoris  prius 
intravit  Marchiam  et  occupavit  tunc  predictam  terram  per  forziam 
ipsius  abbatie  et  dictum.  castrum.  Interrogatus  quomodo  scit  predicta, 
dixit  quod  vidit  et  presens  fuit.  Interrogatus  si  predicti  abbates  fue- 
runt  personaliter  in  dieta  possessione,  respondit  quod  sic,  predicti  quos 
vidit.  Interrogatus  qui  fuerunt  prò  eis  gastaldi  seu  viscontes,  respondit 
quod  in  ipso  castro  montis  Falconis  vidit  magistrum  Rainaldum  Pet- 
tenarii  viscontem  et  Rainaldum  Gratiani,  et  baiulos  alios  de  quorum 
nominibus  non  recordatur,  et  in  aliis  castris  vidit  alios  quos  asseruit 
in  testimonio  perhibito  per  eum  in  causa  cum  Ecclesia  Romana.  Inter- 
rogatus quantum  tempus  habet  ipse  testis,  dixit  octuaginta  annos  et 
plus.  Interrogatus  si  ipse  testis  absentavit  se  de  provinzia  eo  tempore 
quo  dixit  monasterium  possedisse  predicta,  dixit  quod  non.  Interro- 
gatus si  ipse  testis  est  vassallus  monasterii,  dixit  quod  sic  quantum  ad 
quedam. 

Secundo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  tempore  diete  invaxionis 
et  occupatignis  dopnus  Matheus  de  Sublacu  erat  abbas  dicti  monasterii, 
et  dominus  -Fyldesmidus  de  Moliano  erat  vicarius  ipsius  abbatis  in 
dieta  abbatia  et  homines  ipsius  abbatie  comuniter  habebant  prò  vi- 
cario. Interrogatus  quod  officium  faciebat  ibi  dictus  vicarius,  dixit  quod 
omnia  faciebat  ibi  temporalia,  habendo  ibi  iudicem  suum,  seu  do- 
minum  Rogerium  de  Rovitino,  qui  cognoscebat  de  omnibus  causis 
civilibus  et  criminalibus.  Interrogatus  quantum  tempus  est  quod  dictus 
dominus  Fyldesmidus  fuit  in  dieto  offitio,  dixit  quod  sunt  bene  .xxxviii. 
vel  .xxxviiii.  anni. 

Tertio  articulo  sibi  lecto,  asseruit  vera  esse  quo,  in  ipso  articulo 
continentur,  affirmando  ea  que  dixit  supra  in  primo  articulo,  que  vi- 
dentur  sibi  eadem  cum  his  que  sunt  in  tertio.  Interrogatus  si  vidit 
tempore  dieto  per  officiales  ipsorum  abbatuum  puniri  aliquos,  dixit 
quod  sic.  Interrogatus  de  nominibus,  dixit  quod  in  eastro  Furcis  fue- 
runt orbati  Rainaldus  Dionisii,  Cambius  Moriei  Matthelle  de  ipso  ca- 
stro, et  in  castro  montis  Falconis  vidit  post  ipsum  tempus  Potentem 
occasione  prodictionis  facte  per  eum  de  ipso  eastro,  condepnatus  fuit 
per  abbatem  Nieolam  in  omnibus  bonis  eius  et  perpetuo  exbanitus. 

Quarto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  dominus  Gentilis  Actonis 
Mili  de  Furee,  dominus  Albertinus  comitis  Alberti  de  Exmirillo,  do- 
minus Fyldesmidus  predictus  et  dopnus  Nicola  de  Puczallia  fuerunt 
vicari!  ipsius  abbatie  et  publiee  habiti  prò  abbatia  vicarii  abbatuum 


oAtti  della  Società  343 


qui  fuerunt  prò  temporibus,  et  hec  per  tempus  supra  assertum  per 
eum.  Interrogatus  si  dictus  dominus  Albertinus  possedit  per  se  ali- 
quid  in  dicto  castro  montis  Falconis,  dixit  quod  non,  sed  habebat  ibi 
aliquos  vassallos  a  dieta  ecclesia  suprascripta. 

Quinto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dictum  monasterium  sic 
possideret,  ut  supra  dixit,  ipsam  abbatiam  et  dictum  castrum  et  ipse 
abbas  esset  in  castro  Furcis,  dominus  Rainaldus  de  Aquaviva  cum 
sua  gente  christianorum  et  sarracenorum,  et  post  hec  dictus  abbas 
venit  ad  castrum  montis  de  Nove,  et  coadunatis  hominibus  ipsius  vi- 
cinantie  et  contrade,  predicavit  ibi,  et  monuit  eos  ut  starent  fideles  in 
servitiis  Romane  Ecclesie,  et  si  non  possent  aliud,  non  paterentur  de- 
structionem  et  facerent  quam  melius  possent,  et  recessit  tunc  de 
contrada,  et  post  hec  venit  dominus  Salomon  quidam  (i)  prò  parte 
regis  Ensis,  et  recepit  sacramenta  per  violentiam,  quia  faciebat  caval- 
cata et  incendia  contra  illos  et  in  terra  eorum  qui  nolebant  facere 
mandata  et  gentis  sue,  et  tunc  privatum  fuit  monasterium  possessione 
predicta. 

Sexto  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  cum  dompnus  Nicola,  ohm 
abbas  dicti  monasterii,  post  dictam  occupationem  possideret  dictum 
castrum  montis  Falconis  cum  pertinentiis  suis,  quidam  iudex  de  Flo- 
rentia  venit  prò  parte  domini  Gerardi  Coxadoca  tunc  rectoris  in 
Marchia,  et  prò  parte  dicti  domini  petiit  castrum  ab  abbate,  et  ipse 
abbas  prò  bono  pacis  contrade  adsignavit  sibi  castrum,  salvis  et  re- 
servatis  omnibus  iuribus  ipsius  monasterii.  Interrogatus  quomodo 
scit,  dixit  quia  vidit  et  presens  fuit. 

Septimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  abstulit 
rochetam  que  est  in  capite  castri  montis  Falconis  et  ipsam  rochetam 
habuit  et  possedit  commune  Firmi  per  .xx.  annos  et  plus.  Interro- 
gatus quomodo  scit,  dixit  quod  vidit  commune  Firmi  ire,  et  abstulit 
dictam  rochetam  in  preiudicium  monasterii. 

Octavo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  homines  dicti  castri  et  alii 
ipsius  abbatie  prestiterunt  et  prestare  consueverunt  sacramenta  fide- 
litatis  dictis  abbatibus  et  aliis  qui  fuerunt  post  dictum  tempus,  vide- 
licet  abbati  Nicole,  abbati  lacobo,  abbati  Peregrino,  abbati  Gentili, 
et  vidit  eos  honorari,  recognosci  et  obbediri  ab  hominibus  ipsius  ab- 
batie et  dicti  castri.  Interrogatus  per  quantum  tempus  vidit  fieri  pre- 
dicta, dixit  per  dictum  tempus  .xxx.  annorum,  et  excepto  tempore 
quo  imperator  tenuit  terram  dum  vixit,  et  rex  Manfrcdus  aliis  tem- 
poribus, vidit   predicta   fieri  abbatibus  supra  nominatis.  Interrogatus 

(i)  Dopo  la  parola  quidam  si  trovano  le  parole  in  terra  eorum, 
rinchiuse  fra  tre  lince  in  segno  di  cancellazione. 


344  oAttì  della  Società 


si  predicti  homines  de  abbatia  in  castris  eorum  prestabant  dieta  sa- 
cramenta singulariter  an  per  syndicum,  dixit  quod  singulariter  et 
personaliter,  excepto  castro  Ofide  in  quo  prestabatur  sacramentum 
per  syndicum.  Interrogatus  qui  fuerunt  syndici,  dixit  se  non  recordari. 

Nono  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  commune  Firmi  fieri  fecit  in 
ipso  castro  montis  Falconis  in  rochetta  in  capite  castri  montis  Fal- 
conis  unam  turrim,  ut  ipse  testis  audivit  et  scit  bene;  quia  dieta 
turris  facta  fuit  postquam  ipsi  habuerunt  castrum  et  fecerunt  fieri 
alios  muros,  et  in  preiudicium  monasterii.  Interrogatus  si  sunt  ibi 
hedificia  que  erant  prius  preter  illa  que  fecit  fieri  commune  Firmi, 
dixit  quod  sic.  Interrogatus  si  dictum  monasterium  fecit  de  ipso  ca- 
stro aliquam  concessionem  alicui,  dixit  quod  non,  ut  ipse  sciat. 

Decimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  inter  regem  Enzium,  Ru- 
bertum  de  Castellione,  lacobum  de  Morra  et  comitem  Rizardum, 
tempore  imperatoris,  et  post  mortem  eius  nuntii  regis  Manfredi, 
contra  Ecclesiam  Romanam  tenuerunt  Marchiam  occupatam  bene 
per  .X.  annos  aut  .xii.,  et  plures.  Interrogatus  si  se  absentavit  de 
provinzia  illis  [temporibus],  dixit  quod  non.  Interrogatus  si  vidit 
predictos  personaliter  in  provinzia,  dixit  quod  sic. 

Undecimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  monasterium  predìctum 
vacavit  abbate  bene  per  .x.  annos  a  .xxxv.  annis  [citra].  Interrogatus 
per  mortem  quorum  abbatuum,  dixit  per  mortem  abbatis  Stephani 
et  per  depositionem  abbatis  Nicole,  et  per  mortem  abbatis  Peregrini. 
Interrogatus  quantum  tempus  fluxit  per  syngulas  vacationes,  dixit  se 
non  recordari. 

Duodecimo  et  ultimo  articulo  sibi  lecto,  dixit  quod  predicta  de 
quibus  asseruit  sunt  publica  et  notoria  in  contrada.  Interrogatus  quid 
est  publicum  et  notorium,  dixit  quod  que  communiter  gentes  dicunt, 
et  dixit  quod  sunt  predicta  vera 

G.  B.  Cao-Mastio 
D.  Feliciangeli. 


BIBLIOGRAFIA 


Atto  Paganelli,  La  Cronologia  rivendicata  per  d,A.  P.  monaco 
vallombr osano,  offerta  a  Sua  Santità  Leone  XIII  nella 
fausta  occasione  del  suo  giubileo  sacerdotale.  —  Milano, 
tip.  pontificia  di  San  Giuseppe,  1887,  in-f  grande. 

La  cronologia  è  un  ramo  degli  studi  storici  che  ebbe  sue  vicende 
particolari.  Ma  è  d'uopo  avvertire  che  non  si  deve  intendere  questa 
parola  nel  senso  in  cui  è  presa  ora  abusivamente.  Ora  si  denominano 
cronologie  le  opere  che  riassumono  la  storia  secondo  le  date.  Intesa 
la  cosa  a  questo  modo,  riesce  difficile  comprendere  come  la  crono- 
logia possa  essere  per  se  stessa  un  ramo  di  studio,  quali  ne  sieno  gli 
elementi  e  le  difficoltà.  Cronologia  è  lo  studio  comparativo  dei  di- 
versi sistemi  di  computo  del  tempo,  per  accertare  le  date  degli  avve- 
nimenti storici. 

Questo  studio  sorse  infatti  quando,  raccoltesi  già  molte  notizie 
della  storia  di  diversi  popoli,  si  sentì  il  bisogno  dì  ordinarle.  E  ciò 
accadde  presso  i  Greci  dopo  le  conquiste  d'Alessandro  il  Grande.  Ma 
speciale  impulso  ai  confronti  cronologici  provenne  poi,  nei  primi  se- 
coli del  cristianesimo,  dal  bisogno  di  dimostrare  l'autorità  della  Bibbia 
come  storia  del  mondo  fin  dalla  sua  origine.  La  storia  allora  cono- 
sciuta si  limitava  ai  popoli  di  cui  i  Greci  avevano  conservate  notizie 
e  di  cui  ne  conteneva  la  Bibbia:  una  ristretta  orbita,  se  si  giudica 
colle  idee  d'oggi,  nella  quale  trovavano  posto  soltanto  i  paesi  che 
furono  sottomessi  da  Alessandro  Magno.  Questi  furono,  ad  ogni  modo, 
i  limiti  della  Storia  universale  allora  e  per  molti  secoli  dopo,  fino  quasi 
ai  nostri  tempi.  L'India,  la  Cina,  allora  sconosciute,  ne  rimasero  sem- 
pre bandite. 

Nuovo  impulso  alle  comparazioni  cronologiche  provenne  nei  se- 
coli XVI  e  XVII  dalle  dispute  religiose.  L'argomento  era  estraneo  alle 
controversie  tra  cattolici  e  protestanti  ;  ma  l'attenzione  era  richiamata 
su  esso  dagli  studi  che  gli  uni  e  gli  altri  dovevano  fare  della  Bibbia. 
E  allora  vennero  alla  luce  voluminose  opere  così  di  cattolici  (i  gesuiti 
Petau,  Riccioli)  come  di  protestanti  (Usher,  Scaligero).  I  canoni  ero- 


34^  bibliografia 


nologici  da  esse  fomiti  furono  poi  seguiti  sempre  fino  al  nostro  se- 
colo, quando  la  condizione  delle  cose  mutò  per  scoperte  di  nuovi 
materiali  storici,  che  modificavano  profondamente  le  cognizioni  che 
s'avevano  della  storia  antica. 

Un'opera  di  piccola  mole  pubblicata  mezzo  secolo  fa  in  Germania 
col  modesto  titolo  di  Manuale  della  cronologia  tecnica  e  matematica  (i) 
ci  aveva  divezzati  dai  pesanti  volumi  in-foglio  dei  secoli  xvi  e  xvii, 
pur  soddisfacendo  alle  esigenze  di  qualunque  più  scrupoloso  ricerca- 
tore di  cronologia.  Alla  economia  del  lavoro  s'aggiungevano,  per 
conciliare  favore  a  quest'opera,  una  grande  semplicità,  correttezza  e 
chiarezza  d'esposizione,  e  l'autorità  che  proviene  da  vaste  cognizioni 
di  astronomia,  di  filologia,  di  storia,  e  da  un  metodo  rigorosissimo. 
L'Ideler  non  si  propose  di  farla  da  teologo,  ed  evitò  le  questioni  di 
carattere  meramente  teologico  ;  ma  su  tutte  le  altre  controversie  agi- 
tate fra  i  precedenti  cronologi  versò  tanta  luce,  che  ha  dissipato  tutti 
i  dubbi  che  si  potevano  dissipare. 

La  Cronologia  rivendicata  del  P.  Paganelli  ci  riconduce  ora  ai  pe- 
santi volumi  in-foglio,  ed  al  genere  di  studi  dei  cronologi  antiquati. 
L'operetta  dell'  Ideler,  benché  conosciutissima,  è  rimasta  a  lui  scono- 
sciuta. Pare  che  la  sua  ambizione  sia  stata  destata  dai  vecchi  allori 
appassiti  del  P.  Petau  (Petavio),  e  contro  lui  ha  preso  ad  armeggiare. 

Diremo  subito  che  in  tal  genere  di  ricerche  il  successo  dipende 
in  buona  parte  dalla  fiducia  che  l'autore  riesce  ad  ispirare.  È  neces- 
sario che  questa  sia  intera,  perchè  le  sue  conclusioni  non  possono 
esser  controllate  se  non'  rifacendo  tutto  il  lavoro.  E  tale  fiducia  si 
ispira  con  un  metodo  di  ricerca  rigoroso  e  con  molta  cultura.  E  non 
si  ispira  invece  quando  le  conclusioni  appariscono  precipitate,  quando 
apparisce  che  non  si  conoscono  tutti  i  materiali  a  gran  pezza,  e  quando 
ognuno  s'accorge  che  all'autore  non  furono  accessibili  né  i  testi  nelle 
loro  lingue  originali,  né  le  opere  moderne  in  lingue  straniere. 

E  che  questo  secondo  sia  il  caso  dell'opera  del  P.  Paganelli  si 
scorge  a  prima  vista.  L'A.  ha  avuto  cura  di  mettere  in  mostra  nelle 
prime  pagine  sei  lettere,  che  gli  furono  dirette  da  persone  il  cui  giu- 
dizio doveva,  a  suo  avviso,  conciliargli  la  fiducia  di  chi  apre  il  vo- 
lume. Ma,  ohimè  !  un  po'  per  lo  stesso  contenuto  di  quelle  lettere, 
un  po'  perchè  questo  singolare  modo  di  procedere  par  troppo  atten- 
dere dalla  prevenzione,  l'espediente  non  produce  l'efifetto  desiderato. 
Che  anzi  nasce  subito  il  sospetto  che  chi  fa  ciò  non  sia  un  erudito 
semplicemente  infervorato  della  sua  scienza.  Per  decoro  degli  studi 
italiani  giova  sperare  che  l'esempio  non  abbia  imitatori  né  fra  gli 
ecclesiastici  né  fra  i  laici. 

Per  dare  un  qualche  ordine  a  questi  appunti,  ci  fermeremo  un 
momento  a  considerare  di  questo  lavoro: 
1°  La  condotta  generale; 


(i)  L.  Ideler,  Handbuch  der  mathematischen  und  technischen  Chronohpe,  voi.  2  in- 
r'  ed.,  Berlin,   1825-26;  2»  ed.,  invariata,  Berlin,   1885. 


bibliografia  347 


2°  I  materiali  adoperati  per  le  ricerche  ; 
3°  Alcune  conclusioni. 

L'A.  ha  segnato  in  123  tavole  o  pagine  la  serie  progressiva  degli 
anni  secondo  varie  ere.  Ciascuna  pagina  è  divisa  in  tante  colonne 
quante  sono  le  ere.  Dapprincipio  si  incontrano  solo  le  ere  che  co- 
minciano più  da  antico  ;  man  mano,  accanto  a  queste  prendon  posto 
le  altre  ere  :  sicché,  mentre  le  prime  pagine  contengono  solo  tre  co- 
lonne, le  ultime  ne  hanno  fin  25.  Tra  gli  anni  qua  e  là  son  segnati, 
all'anno  corrispondente,  alcuni  fatti  storici  di  cui  l'A.  volle  accertare 
la  data.  Tutto  ciò  nella  pagina  a  destra  del  libro.  Nella  pagina  a  si- 
nistra sono  segnate  le  citazioni  dei  testi  antichi  che  servono  di  prova, 
e  qualche  osservazione  dell' A.  Questo  lavoro  si  estende  per  4750  anni, 
cioè  dall'a.  4713  av.  E.  V.  all'a.  36  dell'E.  V. 

A  queste  tavole  furono  premesse  nove  dissertazioni,  denominate 
conferente  perchè  sono  discussioni  tenute  con  un  esaminatore  deputato 
a  quest'  ufficio  dal  card.  Massaia,  patrocinatore  dell'opera.  Il  quale 
esaminatore  è  il  P.  Gabriello  da  Guarcino,  cappuccino,  che  occupa 
in  Vaticano  varie  cariche  ecclesiastiche,  e  che  ha  in  fatto  di  crono- 
logia tutta  la  competenza  che  può  avere  un  teologo. 

Si  capisce  come  in  queste  conferenze  l'esaminato  ha  buon  giuoco 
d'un  esaminatore  che  non  è  della  partita;  e  quindi  la  pesantezza  del- 
l'argomento non  gli  toglie  il  buon  umore.  Questo  dialogo  non  sarà, 
questo  nò  certo,  un  modello  di  tal  genere  letterario,  perchè  la  gio- 
vialità vi  è  mantenuta  ben  spesso  a  spese  della  convenevolezza  ed 
anche  della  grammatica  ;  ma  per  l' indole  degli  scherzi  e  la  potenza 
della  dialettica  trasporta  facilmente  il  lettore  nella  compagnia  dei 
due  ecclesiastici  interlocutori.  Talora  il  cronologo,  udita  l'obbiezione, 
«  guarda  sorridendo  »,  «  scuote  il  capo  leggerrnente  sorridendo  », 
sicché  l'esaminatore  esce  a  dire:  «che  maniera  è  questa?  forse  mi 
canzona?  »  In  realtà  però  Tesaminato  non  canzona  l'esaminatore;  e 
glielo  dimostra  profondendogU  riverenze  senza  risparmio.  E  quanto 
dovette  ammirarlo  l'esaminatore,  quando  gli  confessava  che  nel  corso 
delle  sue  lucubrazioni  «  gli  bolliva  la  testa  fuor  di  maniera,  e  qualche 
volta  la  sentiva  andar  via  quasi  da  per  so  !  » 

Alle  obbiezioni  risponde  ragionando  e  spiegando  le  tavole.  «  Alla 
lett.  (/;)  vi  (sic)  troviamo  il  perchè  Antioco,  avendo  nel  settembre  del 
più  volte  ricordato  anno  585  di  Roma....  dovuto  buttar  giù  quella  pil- 
lola amara  a  lui  apprestata  da  Popillio  legato  de' Romani,  se  n'an- 
dasse, per  digerirla  un  po',  a  rifarsene  co'  Giudei  a  Gerusalemme, 
quali  pasta  più  morbida,  secondo  il  parer  suo,  per  i  propri  denti  » 
(pag.  16,  col.  2).  «  Pur  tuttavia  per  farle  dono  d'un  altro  fiorellino, 
affinché  se  ne  formi  un  mazzetto,  la  condussi  all'a.  691  ecc.  »  (pag.  27, 
col.  2). 

Finalmente  In  conferenza  giunge  al  termine,  non  per  volontà  del 
cronologo,  ma  perchè  l'esaminatore  è  chiamato  dal  campanello  ad 
altre  occupazioni:  «tutto  ad  un  tratto  ne  fui  distolto  da  quel  solito 


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amico,  che  con  quel  suo  tintilin-tintilin  richiamava  altrove  la  nostra 
attenzione»  (pag.  16,  col.  2). 

Se  si  tolga  r  importunità  di  queste  e  simili  piacevolezze  che  infio 
rano  il  dialogo,  è  d'uopo  riconoscere  che  il  P.  Paganelli  è  riuscito 
generalmente  nella  sua  esposizione  chiaro  e  vivace,  e  gliene  va  dato 
elogio. 

Sopratutto  poi  il  P.  Paganelli  mostra  una  singolare  attitudine  gra- 
fica. Il  concetto  di  raccogliere  graficamente  la  cronologia  in  tavole 
è  molto  lodevole,  perchè  agevola  grandemente  la  ricerca  delle  date 
storiche.  E  questo  concetto  fu  da  lui  attuato  con  molta  felicità. 

I  materiali  sono  quelli  medesimi  di  cui  si  servivano  i  cronologi 
dei  secoli  xvi  e  xvii  ;  ed  identica  è  la  mira  cui  l'A.  intende.  «  La 
«  mia  cronologia  adunque,  rilevata  dalla  Santa  Scrittura,  intendo  dire 
«  unicamente  dalla  Volgata,  unita  che  s'è  storicamente  ed  astronomi- 
«  camente  con  tutte  le  altre  ere  più  note,  facendo  con  esse  allora  un 
«  sol  corpo,  addiviene  quel  tutto  che  ne  piacque  chiamare  la  Crono- 
«  logia  rivendicata  »  (pag.  2,  col.  2).  Dunque,  la  cronologia  che  ricava 
dalla  Bibbia  è  l'asse  intorno  a  cui  si  volge  tutto  il  sistema  :  ad  essa 
vien  coordinata  la  cronologia  che  deduce  dagli  scrittori  greci  e  latini. 

Della  Bibbia  segue  «  unicamente  »  la  versione  volgata.  Così  sia. 
S'intende  che  tutte  le  opere  di  cui  la  Bibbia  si  compone  hanno  per 
l'A.  la  stessa  indiscutibile  autenticità  ed  autorità  :  Pentateuco,  Re,  Da- 
niele, Esdra,  Maccabei,  tutte  valgono  ad  un  modo,  cioè  alla  lettera. 
Le  discussioni  che  si  fanno  a  questo  proposito  l'A.  le  ignora  ;  e  deve 
ignorarle.  Per  vero  dire,  così  si  faceva  nei  secoli  xvi  e  xvii  ;  ma  ora 
si  dovrebbe  fare  alquanto  diversamente.  Non  già  che  il  cronologo 
debba  entrare  in  quelle  discussioni;  ma  dovrebbe  tener  conto  del  ru- 
more che  fanno,  ed  esserne  avvisato  che,  per  giovare  davvero  alla 
cronologia  ed  alla  storia,  bisogna  battere  altre  vie.  Che  se  si  tratta 
solo  di  lavorare  per  i  teologi,  allora  è  inutile  rifare  il  già  fatto,  che 
ha  servito  egregiamente  finora,  e  continuerebbe  a  servire  egualmente 
bene  per  l'avvenire. 

Quanto  agli  scrittori  greci  (tradotti)  e  latini  utilizzati,  son  pochini 
davvero;  i  soliti  d'una  volta,  e  neppur  tutti.  Ove  poi  abbia  omesso 
Clemente  Alessandrino,  Eusebio,  Giorgio  il  Sincello  perchè  non  dà 
loro  importanza,  allora  è  bene  che  lo  dica  per  nostra  norma. 

E  tutti  i  materiali  egiziani,  e  tutti  i  materiali  assiro-babilonesi  ve- 
nuti in  luce  da  mezzo  secolo  in  qua?  Appena  è  se  menziona  due 
iscrizioni  cuneiformi  persiane,  di  cui  ebbe  notizia  dalla  Civiltà  Catto- 
lica! (pag.  37,  col.  1-2).  Egli  si  limita  a  fare  il  seguente  voto:  «  Un 
voto  del  mio  cuore  consistente  nel  desiderare  che  i  signori  assirio- 

logi  si  degnino  tentare  in  questo  medesimo  senso i  monumenti  di 

quelle  regioni  là,  afifin  di  vedere  se  essi  pure  concordino,  come  io  lo 
ritengo  fermamente,  con  questi  intimi  e  reconditi  veri,  sì  della  Sacra 
Scrittura,  che  della  medesima  storia  profana  »  (pag.  7,  col.  i).  Se 
sapesse  per   quanto   diversa   via   camminano  i   signori  assiriologil 


bibliografia  349 


Pensi  a  questo  solo,  che  tutta  la  serie  dei  re  medi,  per  ricostruire 
la  quale  egli  s'affanna  tanto  sulla  scorta  di  Ctesia  e  d'Erodoto,  e 
che  è  una  chiave  di  volta  del  suo  edifìzio,  è  da  essi  riguardata  come 
una  pura  leggenda  di  cui  non  s'occupano  neppur  più,  E  v'è  anche 
di  peggio!  Han  torto  essi;  ma  del  suo  voto  non  se  la  daranno  per 
intesa.  Sa  come  deve  fare  per  tirarli  a  bene?  Non  si  contenti  di  udir 
parlare  di  loro  come  d'abitatori  della  luna  ;  esamini  i  loro  scritti,  e 
li  emendi.  E  si  rammenti  anche  degli  egittologi;  poiché  anche  questa 
piaga  esiste,  che  gli  è  rimasta  nascosta. 

Devesi  però  tener  conto  all'A.  d'aver  spinto  la  sua  industria  fino 
a  consultare  la  tavola  delle  eclissi  del  Pingrè,  che  tutti  conoscono 
poiché  trovasi  nell'or/  àe.  vérifier  les  dates,  la  quale  cita  quattro  o 
cinque  volte.  E  poi  che  due  egregi  astronomi,  il  Respighi  ed  il  Ce- 
loria,  dietro  sua  richiesta  d'  un  giudizio  sulla  Cronologia  rivendicata, 
si  limitarono  a  dichiarare  esatta  la  tavola  del  Pingré  senza  voler 
entrare  nell'argomento  della  Cronologia,  VA.  si  vale  delle  loro  due 
lettere  per  accrescere  autorità  al  suo  volume,  e  le  pubblica  nella  prima 
pagina,  ove  il  Respighi  ed  il  Celoria  si  trovano  nella  compagnia  di 
cinque  o  sei  dignitari  ecclesiastici  i  quali,  questi  sì,  lodano  senza  reti- 
cenze l'opera  del  P.  Paganelli. 

Intorno  alle  conclusioni  non  si  può  spendere  troppe  parole,  perché 
questa  rassegna  non  consente  spazio.  Ma  se  si  mostrerà  come  ne 
sono  tratte  alcune,  s'avrà  un  criterio  sufficiente  per  giudicare  il  va- 
lore di  tutta  l'opera. 

Ma  veggasi  prima  come  interpreta  i  testi. 

Censorino  dice  :  «  Primum  tempus  sive  habuit  initium,  sive  semper 
«  fuit,  certe  quot  annorum  sit  non  potest  comprehendi  ».  E  l'A.,  citan- 
dolo, spiega  per  «  primum  tempus  »  il  «  tempo  antidiluviano  ».Va  poi 
da  sé  che  l'A.  non  ammette  che  vi  sieno  difficoltà  a  spiegare  quanto 
abbia  durato  il  tempo  preistorico  (tav.VI,  nota  h). 

Giustino  dice  :  «  Assyrii  qui  postea  Syri  dicti  sunt  ».  E  l'A.  v'ag- 
giunge: «  Che  gli  Assiri  vengano  come  nazione  primitiva  da  quel- 

«  l'Assur ,  lo  ritengo  fermamente;  ma  che  poi  essi  si  sieno  con- 

«  vertiti  in   Sirii,   non  lo  reputo  vero  ;   perché   questi   nacquero   da 

«  Camuel,  figlio  di  Nacor,  fratello  d' Abramo Per  il  che  quell'in- 

«  ciso  di  Giustino  non  dice  la  verità,  essendo  stati  sempre,  secondo 
«  la  Sacra  Scrittura,  gli  Assirii  ed  i  Sirii  due  nazioni  differenti  »  (tav.  XX, 
nota  b).  Occorre  altro  per  mostrare  che  han  torto  tutti  coloro  che 
ritengono  che  il  nome  greco  di  «  Siri  »  provenga  dall'originario  «  As- 
siri »  ? 

Erodoto,  citato  in  latino,  dice:  «Omnibus  namquc  cum  (Cheo- 
«  pcm)  templis  obserratis,  ante  omnia  iEgyptiis  ne  sacrificarent  inter- 
«  dixisse  ».  Orbene,  dopo  «  uEgyptiis  »,  l'A.  mette  una  parentesi  in  cui 
scrive:  «  ma  qui  si  legga  Hebraeis  »  (tav.  XLIX,  nota  f).  E  perché? 
Questa  ò  marchiana  davvero!  E  continua  dopo  imperturbabilmente 
ad  applicare  agli  Ebrei  il  racconto  che  Erodoto  dedica  agli  Egiziani. 

Archivio  delia  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  34 


350  bibliografia 


E  poi  che  Erodoto,  parlando  dei  lavori  che  il  re  Cheope  imponeva 
spietatamente  ai  suoi  sudditi  per  fabbricare  la  grande  piramide,  dice: 
«  Aliis  (hominibus),  ut  lapicidinis  arabici  montis  saxa  excìperent  »,  il 
nostro  A.,  dopo  «  arabici  montis  »,  mette  una  parentesi  in  cui  scrive 
«  che  è  il  Sinai,  dove  tuttora  vi  (sic)  esistono  le  iscrizioni  in  caratteri 
«  ebraici  antichi  ».  Ma  che  necessità  vi  era  di  questa  sciagurata  paren- 
tesi che  contiene  tali  spropositi?  Che  ha  che  fare  la  catena  dei  monti 
arabici  dell'  Egitto  col  Sinai?  Che  han  che  fare  qui  le  iscrizioni 
ebraiche?  E  dove  sono  queste  iscrizioni  ebraiche  del  1530  av.  E.V.? 
Questa  data  1530  non  si  creda  messa  qui  ad  arbitrio;  è  dell' A.;  il 
quale,  da  quanto  racchiude  in  questa  nota,  argomenta  che  gli  Ebrei 
erano  in  Egitto  ai  tempi  dei  re  Cheope  e  Micerino,  circa  il  1530 
av.  E.  V.  Vi  è  di  che  far  raggrinzare  la  pelle  a  chiunque  conosca 
anche  solo  1  primi  elementi  di  storia  dell'Egitto.  Poiché  Cheope  e 
Micerino  appartengono  alla  IV  Dinastia,  e  verso  il  1530  av.  E.V.  re- 
gnava la  Dinastia  XVIII  :  la  dimora  degli  Ebrei  in  Egitto  poi  non  ha 
che  far  nulla  né  coli' una  né  coll'altra.  Vedasi  in  che  baratro  é  preci- 
pitato l'A.  per  quel  grillo  di  voler  leggere  «  Ebrei  »  dove  Erodoto 
non  s'è  neppur  sognato  di  scriverlo. 

Queste  licenze  d' interpretazione  dei  testi  non  sono  in  alcun  modo 
scusabili.  Si  trattasse  di  testi  biblici,  allora  l'A.  potrebbe  addurre  la 
ragione  che  adduce  a  pag.  2,  col.  2,  che  «  altrimenti  non  se  ne  cave- 
«  rebbe  costrutto  nessuno:  e  la  parola  di  Dio  non  deve  esser  vota,  ma 
«  piena  di  senso  ».  Ma  qui  non  ne  é  il  caso.  E  poi,  questi  testi  hanno 
un  senso  chiarissimo. 

E  quindi,  come  fidarsi  delle  conclusioni  che  l'A.  va  preparando? 

Ancora  un'osservazione  merita  d'esser  fatta,  per  formarsi  un  cri- 
terio dell'autorità  che  meritano  tali  conclusioni. 

Il  nostro  cronologo  crede  sinceramente  che  le  ere  siano  state 
istituite  l'anno  da  cui  il  loro  computo  incomincia.  Varie  volte  dice 
che  le  olimpiadi  «  furono  istituite  l'a.  777  av.  E.V.  »  (pag. Vili,  col.  i  ; 
pag.  28,  col.  i).  Poiché  egli  non  sa  che  le  olimpiadi  sono  una  cosa, 
ed  i  giuochi  olimpici  ne  sono  un'altra;  e  poi  che  il  P.  Petau  non  ha 
fatto  tal  confusione,  lo  trova  confuso  da  non  potersi  intendere  (pag.  28, 
col.  1-2;  pag.  35,  col.  i).  Ed  ecco  come  ragiona  dell'istituzione  del- 
l'era volgare:  «  Che  Dionigi  il  Piccolo  abbia  inventato  l'èra  volgare 
«  nel  532  dell'era  volgare  medesima,  per  me  implica  tale  contraddi- 
ce zione  in  termini,  che  ogni  volta  che  mi  vien  messa  davanti  son 
«  proprio  costretto  a  riderci  su  !  Imperocché  se  Dionigi  il  Piccolo 
«scrivendo  produceva  i  suoi  studi  nel  532  dell'era  volgare,  segno  é 
«  che  questa  la  correva  già  da  532  anni  prima  che  egU  scrivesse» 
(pag.  26,  col.  i).  Lasciamolo  ridere:  uomo  allegro  il  ciel  l'aiuta.  Poi 
prosegue  :  «  Dionigio  adunque,  gliene  concludeva  io,  non  inventò 
«  quest'era  nostra  volgare,  giova  ripeterlo;  perché  usata  già  da  tanto 
«  tempo  prima  di  lui  in  tanti  registri,  e  seguita  da  popoli  cristiani,  da 
«  molte  chiese,  ed  in  un  modo  più  che  speciale  poi  tenuta  in  gran 
«  conto  dai  nostri  comuni,  i  quali,  con  piccolissima  differenza,  la  di- 


"Bibliografia  351 


«  cevano  :  "  ab  Incarnatione  domini  „  o  "  a  Nativitate  „  e  gli  altri  "  ab 
«  anno  reparatae  salutis  „,  ma  da  tutti  era  seguita  ».  Oh  quanta  pru- 
denza usò  qui  l'esaminatore  P.  Gabriello  da  Guarcino,  per  ascoltare 
tutto  ciò,  e  tacere!  Un  altro  avrebbe  chiesto  che  citasse  qualche  esem- 
pio; che  almeno  indicasse  qualcuno  dei  nostri  comuni  prima  dell'a.  532 
dell'E.  V.:  e  forse  l'esaminato  avrebbe  scoperto  qualche  novità  che 
tutti  gli  storici  hanno  finora  ignorato.  Ma  rispettiamo  le  ragioni  per 
cui  il  P.  Guarcino  tacque.  Certo,  argomentando  da  questi  esempi,  si 
deve  credere  che  l'A.  consideri  l'èra  dì  Adamo,  di  cui  egli  si  serve, 
come  istituita  da  Adamo  o  da  un  suo  contemporaneo. 

Quanta  fiducia  meritano  le  conclusioni  preparate  da  un  crono- 
logo che  ha  un  concetto  sì  inesatto  delle  ere,  cioè  dei  computi  del 
tempo,  che  sono  i  principali  ferri  della  sua  arte? 

Prendiamo  ora  tra  le  mani  alcune  di  queste  sue  conclusioni,  e 
vediamo  quanto  valgano. 

Lasciamo  in  disparte  tutte  quelle  che  riguardano  i  tempi  per  i 
quali  l'A.  si  giovò  solo  della  Bibbia,  non  conoscendo  altre  fonti.  Colla 
scorta  della  Bibbia  ha  creato  una  sua  propria  èra  di  Adamo,  che  co- 
mincia dall'a.  4093  av.  E.  V.  Alle  cento  e  più  ere  del  mondo  che  già 
furono  escogitate  ha  voluto  aggiungere  ancora  questa;  e  si  serva. 
Tutti  i  computi  che  istituisce  per  illuminare  la  Storia  Sacra  furono  già 
istituiti  le  mighaia  di  volte,  e  sempre  si  trovò  chi  ritornava  daccapo. 
Chi  vi  si  accingerà  dopo  lui  a  rifare  il  lavoro  forse  scioglierà  megho 
la  difficoltà  dell'età  d'Esdra,  cui  egli  accenna  a  pag.  19  con  questi 
termini:  «è  certo  però,  che  se  anche  ai  giorni  nostri  da  taluno  si 
«  arriva  per  in  fino  ai  100  anni,  e  da  tanti  altri  si  oltrepassano  an- 
ce cora ,  quale  difficoltà   vi   sarebbe,  che   un  uomo  di  que' tempi 

«lassù,  e  poi  com'era  Esdra,  non  potesse  aver  campato  ancora  125 
«  o  130  anni  ?  »  Nessuna,  risponderemmo  noi.  Ma  chi  rifarà  il  lavoro 
domanderà  forse:  e  che  uomo  era  dunque  Esdra?  E  vorrà  sapere 
«  per  in  fino  »  che  tempi  fossero  «  que'  tempi  lassù  »  avvolti  in  sì  so- 
lenne mistero;  tempi  che  corrispondono  in  sostanza  alla  metà  del 
v  secolo  av.  E.  V.,  e  quindi  punto  misteriosi.  Ma  noi  ci  fermeremo 
sulla  cronologia  profana. 

L'A.  mena  grande  scalpore  contro  il  P.  Petau,  perchè  contando 
gli  anni  dell'E.  V.  comincia  subito  coll'a.  i,  invece  di  cominciare 
coll'a.  0;  ossia  perchè  colloca  l'a.  i  dell'E.  V.  all'a.  4713  del  Periodo 
Giuliano,  mentre  egli  sostiene  che  va  collocato  all'a.  4714  (Conf.  VII). 
Questa  non  è  una  discussione  da  cui  scaturiscano  conseguenze  gravi 
per  la  storia.  Basta  intendersi.  Chi  sa  come  furono  forniate  le  ere  è 
arrendevole  intorno  al  modo  di  servirsene. 

Alla  storia  importa  invece  sapere  se  sono  fondate  le  conclusioni 
dell'A.,  che  la  battaglia  d'Arbela,  con  cui  finì  l'impero  persiano,  sia 
avvenuta  l'a.  326  av.  E.  V.,  e  non  l'a.  331  come  si  è  sempre  am- 
messo; e  se  Alessandro  il  Macedone  è  morto  l'a.  318  e  non  l'a.  323 
av.  E.  V.  Ora  dai  testi  che  egli  cita,  e  dai  ragionamenti  che  vi  ag- 


352  bibliografia 


giunge  (pag.  32),  si  ricava  cosi  poco,  che  davvero  non  si  è  rassi- 
curati. 

A  questa  conclusione,  e  ad  altre  di  cui  si  dirà  dopo,  egli  fu  tratto 
nel  seguente  modo.  Egli  ha  tracciato  la  serie  dei  re  persiani  con  quei 
sussidi  di  testi  che  gli  somministra  lo  scarso  repertorio  dei  suoi  ma- 
teriali. Secondo  essa,  l'ultimo  re  persiano,  Dario  Codomanno,  co- 
minciò a  regnare  l'a.  334  av.  l'È.  V.;  e  poi  che  si  sa  che  regnò  8  anni, 
dunque  la  sconfìtta  finale  da  lui  toccata  ad  Arbela  nella  guerra  contro 
Alessandro  cade  l'a.  326. 

Quanto  alla  data  della  morte  d'Alessandro,  qualche  indicazione 
tratta  da  Q..  Curzio,  contrapposta  a  quelle  di  Giustino,  convalidata 
colla  conclusione  già  accennata,  riguardante  la  data  della  vittoria 
d'Arbela,  e  non  occorre  altro  per  rovesciare  tutta  una  falange  di  sto- 
rici e  cronologi,  da  Arriano  ed  Eusebio,  che  l'A.  ha  trascurato,  fino 
ai  dì  nostri. 

Ma  la  conclusione  più  grave  è  quella  che  forma  argomento  spe- 
ciale della  conferenza  IX,  oggetto  della  quale  è  di  «  dimostrare  che 
«  chi  mandò  i  suoi  eserciti  contro  i  Greci  a  Maratona  fu  Astiage  re 
«  dei  Medi,  e  non  il  re  persiano  Dario  d'Istaspe  »  ;  e  chi  li  condusse 
a  Salamina  «  fu  il  re  Ciro  e  non  il  re  Serse  ;  e  che  Erodoto  fu  la 
«  cagione  di  questa  confusione  dei  nomi  ».  Come  si  vede  quest'enun- 
ciato è  gravissimo  ;  è  un'accusa  solenne  contro  tutti  i  cronologi  e  gli 
storici,  specialmente  contro  Erodoto,  il  padre  d'un  errore  che  si  per- 
petuò poi,  per  ignoranza  ed  ignavia  di  tutti  gli  scrittori  seguenti,  fino 
a  Don  Atto  Paganelli  eccettuato. 

La  chiave  dell'enigma  è  questa,  per  dirla  in  breve.  L'A.  trova 
che  Alessandro  Magno  tolse  l'Egitto  ai  Persiani  quando  rovesciò 
r  impero  persiano  colla  battaglia  d'Arbela  sopra  menzionata,  nell'a.  326 
av.  l'È.  V.  secondo  lui,  331  secondo  tutti  gli  altri.  Trova  scritto  che 
il  re  persiano  che  aveva  conquistato  l' Egitto  era  stato  Cambise  padre 
di  Dario.  Trova  scritto  che  i  Persiani  hanno  dominato  in  Egitto 
120  anni.  Dunque  120  anni  prima  della  battaglia  d'Arbela,  cioè  nel  446, 
od  anche  451  av.  E.  V.,  regnava  in  Persia  Cambise,  e  non  è  possibile 
che  suo  figlio  Dario  regnasse  al  tempo  della  battaglia  di  Maratona, 
che  accadde  l'a.  490  av.  E.  V.  ;  come  non  è  possibile  che  regnasse 
Serse,  figlio  di  Dario,  al  tempo  della  battaglia  di  Salamina,  che  ac- 
cadde l'a.  480  av.  E.  V.  Pertanto,  o  spostare  Dario  e  Serse,  o  spo- 
stare Maratona  e  Salamina.  Nel  bivio  egli  prese  il  secondo  partito. 

Come  si  vede,  la  spiegazione  calza  ch-e  non  fa  una  grinza.  Un 
solo  dubbio  potrebb'esservi:  i  120  anni  conducono  proprio  fino  al 
termine  d'ogni  dominazione  persiana  in  Egitto  ?  Veramente  le  no- 
tizie che  si  hanno  intorno  all'Egitto  negli  ultimi  tempi  della  domina- 
zione persiana  sono  scarse  e  confuse.  Sarebbe  da  vedere  come  interpre- 
tano la  cosa  i  cultori  speciali  della  storia  egiziana,  Lepsius,  o  Mariette, 
o  Maspero:  ma  dove  si  va  a  pescare  qualcuna  di  queste  opere  ignote? 
Bando  al  dubbio  dunque:  slam  pronti. 

Ora  si  badi  che,  nelle  serie  delle  dinastie  egiziane,  quella  dei  re 


bibliografia  ^^s 


persiani  che  comincia  con  Cambise  è  la  XXVII  secondo  alcuni, 
la  XXVIII  secondo  altri  ;  e  che  quella  cui  appartiene  il  re  persiano 
spodestato  da  Alessandro  Magno  è  la  XXXI.  Tra  l'una  e  l'altra  vi 
sono  due  o  tre  dinastie  di  re  nazionali;  poiché  l'Egitto  ricuperò  l' indi- 
pendenza, poi  venne  risottomesso  dopo  circa  65  anni  dai  Persiani, 
che  vi  dominarono  nuovamente  per  nove  anni,  fin  che  furono  spode- 
stati da  Alessandro. 

Se  il  P.  Paganelli  avesse  tenuto  conto  dei  65  anni  d'intervallo,  e 
dei  9  della  seconda  dominazione  persiana,  eran  bell'e  trovati  i  «75  anni  » 
che  gli  mancavano  nel  conto  generale  degli  anni  trascorsi  dal  prin- 
cipio della  dominazione  persiana  in  Egitto  con  Cambise,  alla  con- 
quista d'Alessandro:  poiché  331  -I-  120-4-65  -I-9  =  525  ;  laddove  egli 
ha  331  H-  120  =  451.  Maratona  poteva  dunque  continuare  a  stare  con 
Dario  all'a.  490,  e  S alamina  con  Serse  all'a.  480,  come  han  fatto 
sempre.  Si  richiedeva  così  poco  per  vederlo  ! 

Preso  un  granchio,  l'A.  ne  pigliò  dopo  una  retata.  Cosi  si  spiega 
come  dovette  credere  d'aver  fatto  un  atto  meritorio  separando  i  nomi 
di  Dario  e  Serse  da  quelli  di  Maratona  e  Salamina.  E  quindi  l'accusa 
contro  Erodoto  ;  il  quale  dovrebb'esser  stato  lui  il  grande  ignorante, 
poiché  quasi  contemporaneo  a  quelle  battaglie  sì  gloriose  per  i  Greci, 
avendo  conosciuto  molti  che  vi  si  erano  trovati,  non  seppe  i  nomi 
dei  re  persiani  nemici. 

E  poi,  veniamo  alle  corte.  Abbiamo  un  testimonio  oculare,  ed  é 
Eschilo,  il  quale  si  trovò  ad  entrambe  le  battaglie,  e  nella  sua  tra- 
gedia /  Persiani  introduce  fra  i  personaggi  Atossa,  vedova  di  Dario  e 
madre  di  Serse,  e  parla  spesso  di  Salamina  e  della  sconfitta  ivi  toc- 
cata da  Serse,  che  forma  appunto  l'argomento  della  tragedia. 

Da  questa  sola  conclusione  del  P.  PaganelH,  che  é  la  più  clamo- 
rosa di  tutta  r  opera,  si  può  argomentare  quanto  valga  la  sua  Cro- 
nologia rivendicata. 

Ecco  qua,  pertanto,  un  enorme  volume,  che  s'annuncia  nella  de- 
dica al  papa  come  con  somma  pa-^en-^a  e  pertinace  applicazione  com- 
posto a  rischiarare  tutta  l'antica  cronologia,  che  vien  tratto  fuori  con 
massima  pompa  e  lusso  di  stampa,  e  che  non  serve  a  nulla.  A  ciò 
conduce  un  metodo  inane  di  studi:  a  brancolare  nel  vuoto. 

A.  Rolando. 

L.   Duchesne.    Le  Liber  Pontificalis,  texte,  introduction  et 
commentairc;  tome  premier.  —  Paris,  Thorin,  188^. 

Una  dimostrazione  di  grata  accoglienza  non  deve  mancare  in 
questo  Archivio  alla  nuova  edizione  che  il  signor  abbate  Duchesne 
vien  pubblicando  del  Liber  episcopalis  in  quo  continentur  acta  beatorum 
pontificum  urbis  Romae.  È  un'edizione  profondamente  ed  ampiamente 
ragionata  ed  illustrata,  un'edizione  critica  come  non  era  mai  stata 


354  ^Bibliografia 


intrapresa  per  innanzi.  Testo  e  varianti  derivano  questa  volta  non 
solo  dalla  scoperta,  sotto  certi  Compendi,  di  un  primo  strato,  per  cosi 
dire,  di  Liher  Pontificalis ,  ma  da  un  instancabile  spoglio  di  tutti  i  ma- 
noscritti conosciuti  e  da  un  esame  accuratissimo  del  loro  valore  ri- 
spettivo. Commento  analitico  al  contenuto  di  questa  storia,  intro- 
duzione sintetica,  che  è  storia  veramente  magistrale  di  questa  storia, 
derivano  questa  volta  dalla  piena  coscienza  che  il  L.  P.  studiato  a 
dovere,  e  dentro  e  fuori,  può  dare  e  ricevere  molta  luce  intorno  all'es- 
sere suo.  Tutto  r  insieme,  questa  volta,  deriva  da  un  raro  ingegno, 
da  un  raro  tatto,  da  una  rara  attività,  da  una  rara  dottrina,  ma  anche 
da  un  raro  carattere. 

Un  commento  al  /,.?.,  pubblicato  in  Parigi  nel  1680,  incomin- 
ciava con  questa  dedica  a  Michele  Le  Tellier:  «Cancellarle  illu- 
«  strissime,  notas  et  observationes  in  Anastasium  De  vitis  romanorum 
«  pontifìcum  non  uno  titulo  tibi  offero.  Scio  qua  reverentia  et  reli- 
«  glone  spectes  Romanam  Ecclesiam,  Sedemque  Apostolicam,  et  omnia 
«  quae  ad  eam  colendam  pertinent,  benevole  et  devote  legas  et  audias. 
«  Italiam  a  Longobardorum  iugo  armis  Pipini  regis  et  Caroli  M. 
«  ereptam,  simul  et  Patrimonium  D.  Petri,  regum  nostrorum  bene- 
«  ficium  verius  quam  Constantini  esse,  non  sine  suavi  animi  sensu 
«  leges.  Fidei  Gallicanae  vestigia  a  primis  clara  temporibus,  sacrae  et 
«  prophanae  antiquitatis  quae  ibi  occurrunt,  monumenta  observare 
«  non  pigebit  »  (i).  Degli  affetti  espressi  in  queste  ottantasei  parole, 
la  «  reverentia  »,  la  «  religio  »  sta  sicuramente  nell'animo  dell'abbate 
Duchesne,  ma  il  suo  libro  non  conosce  altro  programma  all' infuori 
di  quello  che  può  tradursi  colle  undici  parole  ultime.  «  Quanto  all'in- 
«  tendimento  col  quale  sono  concepite  e  proseguite  queste  ricerche 
«  (scriveva  il  Duchesne  nel  1876),  esso  non  può  essere  che  quello 
«  dell'esattezza  e  il  desiderio  di  chiarire  le  origini  d'un  documento  in- 
«  teressante  per  la  storia  e  l'archeologia  cristiana.  Il  lettore  può  cre- 
«  dere  che  l'onore  della  Chiesa  Romana  e  de'  suoi  pontefici  non  è  per 
«  me  cosa  indifferente,  e  che  se  io  non  esito  a  sacrificare  tutto  ciò  che 
«  è  falso  ed  apocrifo  nei  documenti  che  ci  si  danno  come  loro  storia, 
«  sono  ben  lungi  dal  confondere  la  causa  coi  cattivi  argomenti  che 
«  si  è  preteso  invocare  per  difenderla.  Questi  sentimenti  non  mi 
«  avranno  fatto  deviare,  lo  spero,  dal  rigore  necessario  in  simile  di- 
«  scussione  ;  altro  è  la  probità  scientifica,  altro  è  l' indifferenza  »  (Étude 
sur  le  L.  P.,  1877,  p.  iv).  Ma  poiché  la  nuova  edizione  mi  ha  fatto 
cercare,  tra  gli  altri,  il  vecchio  volume  dell' Altaserra,  e  poiché  è  bello 
osservare  il  carattere  non  solo  nel  D.  storico,  ma  nel  D.  erudito,  pia- 
cerai notare  come  piia  d'un  problema  od  enigma  nel  testo  (2),  egli 
segnali  si,  ma  senz'altro,  e  contrapporre  alle  fantasie  ed  ai  pruriti  di 


(i)  Antonii  Dadini  Alteserrae  Notae  ei  observationes  in  Anastasium  De  vitis  roma- 
norum poniificum;  Parisiis,  M.  DC  .  LXXX. 

(2)  Eleutheria  (p.  298,  1,  6),  luculos . . .  respectoribus  (p.  372,  1.  16),  scevrocarnali 
(P-  373»  1-  4),  Botarea  (p.  391,  I.  13),  lecticaria  (p.  502,  1.  22),  Vagauda  (p.  507,!.  11),  ecc. 


bibliografia  355 


altri  commentatori,  la  sistematica  resistenza  del  D.  al  demone  della 
congettura. 

Ma  parmi  più  che  superfluo  dar  lode  ad  un  uomo  al  quale  è  stata 
ed  è  resa  giustizia  da  coloro  che  hanno  avuto  od  hanno  una  parte 
personale  ed  onorevole  nello  studio  del  L.  P.  Ho  testé  udito  dire 
dall'  illustre  Mommsen  che  dopo  i  Maurini  la  Francia  non  aveva 
avuto  un  dotto  pari  al  Duchesne.  Neppur  mi  sembra  conveniente 
descrivere,  qui  in  Roma,  un  libro  che  in  Roma  dev'essere  ed  è  tutto 
giorno  fra  le  mani  degli  studiosi.  Mi  vo'  restringere  a  quello  che  posso 
fare,  curiosando  qua  e  là  nel  L.  P.  in  proposito  della  nuova  edizione. 
177,7:  «donum  quod  obtulit  Constantinus  Augustus  beato  Petro  apo- 
«  stolo  per  diocesem  Orientis:  in  civitate  Antiochia:  . . .  domuncula 
«  in  Caene  . . .  cellae  in  Afrodisia  . . .  balneum  in  Cerateas. . .  ».  Al 
D.  che  tratta  con  giusta  predilezione  e  illustra  con  molta  cura 
(p.  cxLix  segg.,  Étude,  p.  146)  il  gruppo  di  notizie  intorno  alle  do- 
tazioni di  chiese,  guidandoci  queste  ad  una  fonte  sincera  ed  archivi- 
stica del  L.  P.,  piacerà  senza  dubbio  sapere  che  il  desiderato  riscontro 
esiste  anche  pel  Cerateas  di  Antiochia.  È  in  Procopio,  Bell.  pers.  II,  io: 
TÒ  Xsyóixsvov  xspaxatov.  178,2:  «per  Aegyptum,  sub  civitatem  Ar- 
menia (var.  Armeniam  A^:  Armentam  C^):  -  possessio  Passinopo- 
limse  (var.  Passinapolimse  A*:  Passinopolimre  B^:  Passinopolim- 
semper  C  ':  Passinopolimpse  C^),  praest,  sol.  dccc,  charta  decadas  ecce, 
. . .  linu  saccus  e,  . . .  papyru  racanas  mundas  i;  -  possessio  quod  do- 
navit  Constantino  Aug.  Hybromius  (far.  Hybrion  A' :  Hybrimon  a^: 
Ypromius  B^:  Ubromius  C^:  Ymbromius  C^:  Ybromius  C^:  Bro- 
mius  D:  Hybromias  E)  ».  Armenia  può  pretendere  sicuramente  dì 
stare  nel  testo  (cfr.  p.  cexxix),  ma  fuori  del  testo  non  merita  tanti 
riguardi,  la  si  può  discutere  (cfr  p.  eexiii).  Or  mentre  in  Egitto 
un'Armenia  non  c'è  (p.  cxlix),  c'è  invece  V Armeni  degli  Arabi,  Ar- 
month  dei  Copti,  Hermonthis  dei  Greci  (Quatremère,  Mém.  gèogr.  et 
hist.  sur  l'Ég.  I,  p.  272),  che  nella  gara  dei  manoscritti  e  lor  varianti 
dà  la  palma  a\V Armenia  di  C^  manoscritto  eccellente  (p.  cexx), 
Passinopolimse,  Hybromius  :  due  proprietari  ermontiti,  del  terzo  o  quarto 
secolo  (p.  cl),  de'  quali  è  curioso  che  i  nomi,  passando  per  tante 
bocche  e  tante  penne  forestiere,  da  Hermonthis  ad  Alessandria,  a 
Costantinopoli,  a  Roma,  e  in  Roma  dalle  stanze  episcopali  a  quelle 
dei  chierici  minutanti  del  Laterano,  abbiano  pur  conservato  cosi  rico- 
noscibilmente la  loro  aria  nativa  (cfr.  Parthey,  Aegyptische  Personenna- 
men,  1864,  p.  93  :  Psan-,  Psen-,  Psin-,  Pson-  ;  p.  100,  105  :  -mse,  -mpse, 
p.  27:  Bromius).  Papyru  racanas:  non  compariscono  nel  Commento 
e  neanche  nell'elenco  a  p.  cl  dell'Introduzione.  Altra  volta,  con  altro 
testo,  si  credeva  necessario  o  prudente  distinguere  (Du  Gange  s.  v.) 
queste  racanae  del  L.  P.  dalle  racanae  (genus  vcstis)  di  Papia,  Gre- 
gorio M.,  ed  Ennodio.  Oggi  l'identificazione  è  (credo)  agevolata  dal 
testo  nuovo.  D'altra  parte  papyru  (che  qui  non  può  avere  il  senso 
di  carta,  poiché  la  charta  è  già  segnata  nella  lista),  non  essendo  nò 
qui  né  altrove  (p.  179,  1.  9)  seguito,  come  tutti  gli  altri  prodotti,  da 


^^6  bibliografia 


cifra,  non  può  stare  da  sé,  va  congiunto  alla  parola  che  segue,  pa- 
pyru  racanas,  come  linu  saccus  (p.  178,  1.  5  ;  p.  179,  1.  9).  Ora  in  Teo- 
frasto  {Hist.  plant.  4,  8,  4)  si  legge:  ò  TtocTtupog  upò^  TiXeToxa  yj^rioi^oq,... 
'Ex  %fiz  pipXou...  uXéxouot...  xaL  èad-yjxà  xtva.  179,4:  «  basilicae  (beati 
«  Pauli  apostoli)  hoc  donum  (Augustus  Constantinus)  obtulit  : ...  sub 
(cavitate  Aegyptia  (yar.  Egyptia  C3:  Aegypti  E):  possessio,  etc.  r>\ 
dunque  nel  territorio  (cfr.  p.  cxlix)  di  una  civitas  (pp.  177-180)  chia- 
mata Aegyptus.  Verrebbe  voglia  di  protestare.  Eppure  è  un  fatto, 
Aegyptiis  è  anche  nome  di  città,  è  nome  di  Memfi,  nella  Cosmografia 
del  Ravennate  (ed.  Pinder  e  Parthey,  1860,  p.  135)  e  in  un  Vocabo- 
lario copto  presso  Champollion  (L'Ég.  sous  les  Phar.  I,  91).  389,13 
«  misit  suprafatus  imperator  (Justinianus)  ad  Constantinum  pontificem 
«  sacram  per  quam  iussit  eum  ad  regiam  ascendere  urbem.  Qui  san- 
«  ctissimus  vir  iussis  imperatoris  obtemperans  illieo  navigia  fecit  pa- 
ce rari,  quatenus  iter  adgrederetur  marinum.  Et  egressus  a  porto  Ro- 
«  mano...  VeniensigiturNeapolini...  Siciliamperrexit;  ubiTheodorus 
«  patricius  et  stratigos  . . .  occurrens  pontifici  »  (confesso  che  non  ar- 
rivo a  capire  la  nota  del  D.  :  «  probabilmente  egli  incontrò  il  papa 
<(  a  Palermo,  dappoiché  questi,  continuando  il  suo  viaggio,  ebbe  a 
«  passar  per  Reggio  »)  «...  inde  egredientes  per  Regium  et  Cotronam 
«  transfretavit  Callipolim . . .  Dum  vero  Ydronto  moras  faceret. . .  Unde 
«  egressi  partes  Greciae,  coniungentes  in  insula  quae  dicitur  Caca, 
«  occurrit  Theophilus  patricius  et  stratigos  Caravisianorum,  cum 
«  summo  honore  suscepit;  et  amplectens  ut  iussio  contìnebat,  iier 
«  absolvit  peragere  coeptum.  A  quo  loco  navigantes  venerunt . . .  Con- 
ce stantinopoUm  ».  È  interessante  vedere  questo  itinerario  del  L.  P. 
presentato  in  correlazione  ad  altri  nel  Bròndsted,  Voy.  dans  la  Grece, 
1826,  p.  3  seg.  (ile  de  Zea):  ce...  bel  porto,  senza  dubbio,  uno  dei 
«  migliori  dell'arcipelago . . .  frequentato  in  ogni  tempo  ...  a  causa  del 
(c  suo  ancoraggio,  dai  navigli  partiti  di  Levante  che  si  dirigevano 
((  verso  le  coste  occidentali  del  Mediterraneo,  o  che  provenendo  da 
«  questo  mare  volevano  guadagnare  le  acque  della  Grecia.  Così . . . 
«  Sesto  Pompeo  approdò  a  Ceo  nel  primo  secolo  della  nostra  èra, 
«  allorché  partitosi  da  un  porto  d'Italia  faceva  vela  per  l'Asia  Minore 
«(Val.  Max.  II,  6,  8).  Al  principio  dell' viii  secolo,  all'anno  710,  il 
«  papa  Costantino,  ecc.  ».  417,5  :  «  Hic  (Gregorius  III)  concessas  sìbi 
«  columnas  VI  onichinas  volutiles  {var.  volubiles  AC^G:  volutiber 
«  C^)  ab  Eutychio  exarcho,  duxit  eas  in  ecclesiam  beati  Retri  apo- 
«  stoli  ».  Nel  volubiles  di  AC^G  c'è,  se  non  m'inganno,  la  vera  le- 
zione, anzi  un'aggiunta  da  farsi  ai  vocaboli  latini  di  architettura.  Vo- 
luhilis  applicato  nell'aurea  e  nell'infima  latinità  agH  attortigliamenti 
degli  uomini,  alle  spire  dei  serpenti,  ecc.  (Ovid.  Metam.  3,  41  ;  Du 
Gange  s.  v.)  si  adatta  benissimo  a  colonne  torte,  attortigliate.  Vien 
fatto  di  ragguagliare  sotto  questo  aspetto  uomini  e  colonne;  per  lo 
meno  venne  fatto  al  Settembrini  nelle  sue  Le^.  di  leti,  ital.,  5*  ediz., 
1879,  II,  p.  391:  «Voglio  dirvi  una  mia  fantasia.  A  me  pare  che  la 
«  colonna  sia  fatta  a  somiglianza  dell'uomo  ...  La  bizantina  a  spire 


bibliografia  357 


«  mi  ha  somiglianza  ai  Greci  degenerati,  pieghevoli,  astuti ...  ».  Del 
resto  ancor  oggi  i  botanici  chiamano  volubili  quelle  piante  (convol- 
volo, fagiolo,  lupo,  ecc.)  il  cui  fusto  sale  a  spire.  509,21:  «  Cymite- 
«  rium  . . .  Sanctae  Felicitatis  via  Salaria,  una  cum  ecclesiis  Sancti  Si- 
«  lani  martyris  et  Sancti  Bonifacii  confessoris  atque  pontificis,  uno 
«  coherentes  solo  »  (in  altri  termini,  come  ha  spiegato  il  commen- 
dator  De  Rossi,  B.  A.  C,  1884-85,  p.  174  segg.  :  «ecclesiis  Sancti  Bo- 
«  nifacii  confessoris  atque  pontificis  sursum  et  Sancti  Silani  martyris 
«  sub  terra  deorsum  »).  Al  testo  del  L.  P.  e  forse  alla  dimostrazione 
del  De  Rossi  (giacché  Alessandria  era  per  metà  sub  terra),  va  racco- 
stato Amm.  Marceli.  22,  11,6  che  alcuni  vorrebbero  correggere  contro 
l'autorità  dei  codici  :  «  dicebatur  (Georgius)  id  quoque  mahgne  do- 
«  cuisse  Constantium,  quod  in  urbe  praedicta  aedificia  cuncta  solo 
«  cohaerentia,  a  conditore  Alexandro  magnitudine  impensarum  publi- 
«  carum  exstructa,  emolumentis  aerarli  proficere  debent  ex  iure  ». 

L'accurato  D.  meriterebbe  di  non  essere  mai  tradito  dal  tipografo, 
neppure  in  cose  da  nulla,  come  numeri,  da  testo  a  nota,  sbagliati 
(pp.  CLXXv,  ccxxxvi),  o  mancanti  (pp.  117,  129,  155),  o  intestature 
spostate  (p.  ccxLVii),  o  simili  inezie  (p.  ccxxxvii:  s'était;  p.  ccxxxix: 
se  à  renare).  Il  «  comte  Cardenas  de  Vorlanga  (?)  »,  a  p.  clxxv,  n.  2, 
infatti,  non  può  essere.  L'amico  comm.  Promis  mi  dice  che  i  De  Car- 
denas sono  di  Valenza  sul  Po  e  conti  di  Valleggio  :  due  varianti  a  Vor- 
langa, tra  le  quali  bisogna  scegliere.  Ma  è  meglio  rivedere  la  nota 
annessa  a  quel  manoscritto  torinese. 

Giacomo  Lumbroso. 


Pressutti  P.  Regesta  Honorii  papae  III  ex  Faticanis  archetypis 
aliisque  fontibus;  voi.  I.  -  Romae,  ex  typ.  Vaticana,  1888. 

Il  signor  abbate  Pressutti  deve  essere  molto  riconoscente  al  pon- 
tefice, che,  volendo  a  sue  spese  rifatta  e  proseguita  la  pubblicazione 
dei  regesti  di  Onorio  III,  ha  offerto  modo  all'autore  di  riparare  a 
quanto  la  critica  trovò  di  meno  perfetto  nel  primo  saggio  edito 
nel  1884.  Mi  affretto  a  dichiarare  che  le  mende  piìi  gravi  sono  in- 
fatti state  riparate,  e  il  lavoro  appare  condotto  con  maggiore  dili- 
genza. È  da  lamentare  però  che  l'autore  non  abbia  creduto  di  tener 
conto,  non  dico  delle  critiche,  ma  dell'esempio  autorevole  di  quanti 
lo  precederono  nella  compilazione  dei  regesti  Vaticani,  compresi  i  padri 
Benedettini,  e  non  sia  rimasto  pago  dei  regesti  Vaticani,  e  abbia  vo- 
luto aggiungervi  anche  lettere  estranee  ad  essi,  aliisque  fontibus.  Ma 
queste  altre  fonti,  come  mostrammo  parlando  della  prima  edizione, 
si  riducono,  salvo  rarissime  eccezioni,  a  quelle  indicate  dal  Potthast. 
Or  essendo  tutt'  altro  che  esaurite  le  indagini  di  lettere  pontificie  del 
secolo  XIII,  disseminate  per  gli  archivi  e  biblioteche  del  mondo,  non 
mai  cercati  dall'abbate  Pressutti,  questa  appendice  che  egli  pone  ai 
regesti  Vaticani  non  fa  che  accrescere  inutilmente  la  mole    del  vo- 


358  bibliografia 


lume.  L' impresa  della  pubblicazione  dei  regesti  è  di  tale  lunga  lena, 
che  occorrerebbe  in  chi  1'  imprende  la  maggiore  economia  di 
tempo,  di  fatica  ed  anche  di  spesa,  non  pensando  solo  alla  munifi- 
cenza di  chi  fornisce  i  mezzi,  ma  anche  agli  studiosi  che  devono 
acquistare  i  volumi.  Il  Pressutti  fa  precedere  al  regesto  la  prefazione 
premessa  al  primo  saggio,  senza  altro  ritocco  che  la  soppressione 
della  nota  i  a  pag.  lv  della  prima  edizione,  e  alcuna  più  ampia 
notizia  dei  regesti  di  Onorio,  ed  è  singolare  che  rinnovi  (p.  xli)  l'er- 
rore del  Kaltenbrunner  dicendo,  che  quel  Floretus  copiavit  scritto  in 
margine  del  primo  foglio  indica  lo  scrittore  del  regesto  originale, 
mentre  alla  pagina  precedente  ha  citato  la  memoria  del  Denifle,  che 
ne  ha  dato  la  giusta  interpretazione.  Della  prefazione  non  occorre 
dir  altro,  e  possiamo  concedere  al  Pressutti  che  continui,  poiché  così 
gli  piace,  a  far  cominciare  l'epopea  del  papato  medievale  da  Gre- 
gorio VII;  vorrà  dire  che  S.  Gregorio  I,  Giovanni  Vili,  Giovanni  X 
non  sono  figure  epiche  per  lui.  Ma  un'appendice  afifatto  nuova  è  la 
pubblicazione  ed  illustrazione  della  bolla  concistoriale  di  Onorio  a 
favore  della  basilica  Lateranense,  secondo  l'originale  dell'  archivio 
di  quella  chiesa,  raffrontato  col  testo  che  se  ne  ha  nel  regesto.  Op- 
portuna la  pubbUcazione  così  raffrontata  della  bolla;  erudita  l'illu- 
strazione e  particolarmente  pregevole  per  copia  di  documenti  inediti 
tratti  dall'archivio  Lateranense  e  da  quelli  delle  case  Orsini,  Caetani, 
Cesarini  e  Colonna  (veramente,  invece  dell'archivio  Colonna,  cita  una. 
Miscellanea  presso  di  sé,  e  si  riferisce  al  Gregorovius  quanto  all'esi- 
stenza degli  originali).  Ma  l'A.  avrebbe  meglio  provveduto  all'eco- 
nomia dell'opera  stampando  a  parte  o  in  altra  sede  cotesto  ampio 
commento  storico-topografico  dei  principali  possessi  della  basilica 
di  San  Giovanni,  fra  i  quali  Carpineto,  patria  del  pontefice.  Accen- 
niamo i  principali  documenti  inediti  attinenti  alla  storia  di  Roma: 

9  aprile  978.  Giovanni  abbate  di  Sant'Andrea  in  Selce,  nel  ter- 
ritorio di  Velletri,  concede  in  enfiteusi  a  Crescenzio  di  Teodora 
Castelvecchio  (cxviii). 

15  ottobre  988.  Giovanni  e  Crescenzio,  figli  di  Crescenzio  di 
Teodora  e  di  Sergia,  illustrissima  femina,  donano  all'abbate  Alberico 
la  detta  chiesa  di  Sant'Andrea  in  Selce  (cxix). 

27  dicembre  1106.  Pasquale  II  designa  i  confini  della  parroc- 
chia Lateranense  (lxvii). 

26  maggio  1122.     Simile  bolla  di  Calisto  II  (lxix). 

7  maggio  1128.  Bolla  di  Onorio  II  a  favore  dell'ospedale  Late- 
ranense (lxiii). 

20  giugno  1138.     Simile  bolla  di  Innocenzo  II  (lxiv). 

10  agosto  1179.  Alessandro  III  obbliga  alla  chiesa  Lateranense 
<c  possessiones  de  lacu  »  e  quattro  mulini  «  prò  294  libris  prov.  quas 
«  ad  eas  recuperandas  Petro  Pandulfi,  Alierotio  et  Alierotio  (sic)  Ro- 
«  manis  civibus  et  judicibus  et  advocatis  nomine  nostro  solvisti  et 
«  prò  sexagìnta  quattuor  quas  prò  aqueductu  reparando  expendistis  » 
(p.  Lxvi).  Evidentemente  il  pegno  è  dato  dal  pontefice  perchè  il  Ca- 


'Bibliografia  359 


pitelo  Lateranense  aveva  redento  detta  possessione  da  quei  giudici 
romani,  anteriori  creditori  del  papa,  e  non,  come  interpreta  il  P.,  perchè 
avesse  «  imprestato  denari  a  cittadini  romani  »  (lxvi). 

7  novembre  12 16.  Onorio  III  conferma  la  sentenza  pronunciata 
quando  era  cardinale  a  favore  della  chiesa  Lateranense,  dichiarando 
comprese  nella  parrocchia  San  Bartolomeo  e  San  Daniele  (lxx). 

13  giugno  1370.  Urbano  V,  avendo  assegnalo  alla  Mensa  vesco- 
vile di  Montefiascone  i  beni  ivi  posseduti  dalla  basilica  di  Laterano, 
indennizza  questa  coi  beni  della  scola  cantorum,  soppressa  «  quia  dieta 
«  ecclesìa  scole  cantorum  et  eius  domus  adeo  sunt  destructe  quod  vix 
«  earundem  ecclesie  et  domorum  appareat  vestigia,  propterquod  ipsura 
«collegium  deinceps  inutile  seu  supervacaneum  reputetur»  (lxxii). 

Quanto  alla  compilazione  del  regesto,  sebbene  notevolmente  mi- 
gliorata, si  può  ancora  raccomandare  in  parecchi  casi  maggior  bre- 
vità, omettendo  formule  consuete  e  inutili,  e  maggior  cura  nel 
porre  in  evidenza  gli  accenni  storici.  Ad  esempio,  nei  seguenti  sunti 
potevano  omettersi  le  parole  che  pongo  in  corsivo.  N.  430:  «  Pre- 
«  posito  Caminensi.  Villas,  clusuras  et  redditus  de  Lubri  cum  omnibus 
((  pertinentiis  suis  ad  preposituram  spectantibus  ìpsì  eìusque  ecclesiae  con- 
ce firmat  »  ;  n.  480  :  «  concedit  usum  mitrae  et  anuli  quibtis  uti  possit  in 
«  processionibus,  synodis  et  precipuis  festivitaiibus  »  ;  il  n.  1278  è  più  dif- 
fuso, senza  aggiungere  nulla  di  più  al  sunto  del  Potthast  5750.  Anche 
•nel  1187  si  poteva  essere  più  breve,  e  non  omettere  invece  la  clau- 
sola «  relaxatione  Maguntini  archiep.  non  obstante  ».  Qua  e  colà  si 
avverte  anche  qualche  inesattezza:  nel  n.  1359,  in  luogo  di  «  colli- 
gant  »,  andrebbe  detto  :  «  assignent  comiti  Hollandiae  ».  Così  al  n.  1723 
non  è  chiaro  che  la  scomunica  era  stata  pronunciata  dall'arcivescovo 
dì  Treviri.  Al  n.  1789,  non  si  sa  se  sìa  errore  dei  regesto  o  del  trascrit- 
tore decanatu  invece  di  ducatu  :  ma  era  facile  correggerlo  col  raffronto 
del  n.  1791  e  coU'edìzìone  del  Rodemberg;  dal  quale  pure  poteva 
desumere  che  il  negotium  «  haud  sane  in  regesto  nominatum  »  del 
n.  821  deve  concernere  le  trattative  per  il  conferimento  del  ducato 
di  Spoleto.  Al  n.  253  non  sarebbesi  dovuto  trascurare  l'accenno  che 
il  nipote  del  re  di  Boemia  era  crociato  ;  e  cosi  al  n.  548  quanto  al 
re  d'Inghilterra.  Al  n.  594  è  omessa  la  facoltà  di  imporre  la  croce. 
Insufficiente  pure  il  sunto  n.  654;  non  meno  del  n.  670  (epistola  tut- 
tora inedita),  nel  quale  si  omette  di  ricordare  il  passaggio  in  Inghil- 
terra di  Luigi,  figlio  del  re  di  Francia  e  del  conte  di  Olanda.  Lo- 
devole è  riferire  esattamente  i  nomi  di  luogo  secondo  il  testo  dei 
regesti;  ma  pur  converrebbe,  ove  occorre,  aggiungere  la  forma  cor- 
retta ed  usuale.  Parrà  minuzia  di  critica  questa,  ma  a  che  ser- 
virebbe un  regesto  se  allo  studioso  non  e  dato  di  potervi  attingere 
COI»  piena  sicurezza? 

Guido  Levi. 


NOTIZIE 


Il  fascicolo  4°  del  Buìlettino  dell'Istituto  Storico  Italiano  contiene  : 
L'organico  per  i  lavori  dell'Istituto;  una  comunicazione  del  presi 
dente  sopra  la  proposta  di  pubblicazione  di  documenti  Colombiani  ; 
le  relazioni  delle  regie  Deputazioni  e  Società  di  storia  patria  sui  la- 
vori pubblicati  negli  anni  1886-87  5  relazione  del  prof.  V.  Fiorini 
^uUa  ristampa  delle  Cronache  bolognesi,  e  del  prof.  F.  Novati  suWEpi- 
stolario  di  Coluccio  Salutati. 

Il  fascicolo  5°  è  interamente  dedicato  all'inventario  delle  lettere 
a  stampa  di  L.  A.  Muratori,  per  A.  G.  Spinelli,  lavoro  preparatorio 
per  una  edizione  àtW Epistolario  intero,  a  cui  da  tempo  si  è  accinto. 
«  Ne  risulterà  una  ponderosa  serie  di  volumi,  nei  quali  si  troverà  la 
«  schietta  cognizione  di  tutte  le  fatiche  poderose  e  sapienti  di  questo 
«  padre  della  storia  italiana  e  la  genesi,  il  parallelo  commento,  il  co- 
«  rollarlo  delle  opere  tutte  di  lui,  e  insieme  la  più  diretta  e  schietta 
«manifestazione  della  complessa  e  multiforme  sua  attività». 

In  occasione  del  giubileo  papale  gli  archivi  Vaticani  hanno  pub- 
blicato :  Specimina  palaeografìca  regestorum  Romanorum  Pontificum  db  In- 
nocentio  III  usque  Urbanutn  V,  collezione  di  60  tavole,  eseguite  in  elio- 
tipia dall' ing.  A.  Martelli,  e  58  pagine  di  testo.  Ne  daremo  conto  nel 
prossimo  fascicolo. 

Il  signor  Auvray  òtWEcole  franfaise,  mentre  sta  attendendo  alla 
compilazione  dei  regesti  di  Gregorio  IX,  ha  preparato  uno  studio 
critico  sulle  antiche  Vite  di  questo  pontefice. 

Con  regio  decreto  18  maggio  1882,  a  proposta  di  S.  E.  il  mini- 
stro della  pubblica  istruzione,  fu  stabilito  che  <r  sarà  pubblicata  nella 


3^2  V^tiiie 


«  solenne  ricorrenza  del  quarto  centenario  della  scoperta  dell' Ame- 
«rica  (1892),  per  cura  ed  a  spese  dello  Stato,  una  raccolta  degli 
«  scritti  di  Cristoforo  Colombo,  di  tutti  i  documenti  e  di  tutti  i  mo- 
«  numenti  cartografici  i  quali  valgano  ad  illustrare  la  vita  ed  i  viaggi 
«  del  sommo  Navigatore,  la  memoria  ed  i  tentativi  dei  suoi  precur- 
«  sori  e  le  successive  trasformazioni  dell'opera  sua  pel  fatto  di  altri 
«  navigatori  italiani. 

«  Tale  raccolta  dovrà  essere  seguita  da  una  bibliografia  degli  scritti 
«  pubblicati  in  Italia  sul  Colombo  e  sulla  scoperta  dell'America  dai 
«  suoi  primordi  fino  al  presente  ». 

Ad  ordinare  la  raccolta  ed  a  curarne  la  pubblicazione  fu  istituita 
una  Commissione  speciale. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Archeografo  triestino.  Nuova  serie,  voi.  XIV,  fase.  i°.  — 
F.  SwiDA,  Miscellanea  (Documenti  di  Pio  II,  estratti  dagli  archivi 
di  Roma). 

Archiv  fiir  Literatur-  und  Kirchen-Geschichte  des  Mittel- 
alters.  Voi.  IV,  fase.  I-II.  —  Ehrle,  Die  Spiritualen,  ihr  Ver- 
hàltniss  zum  Franciscanerorden  und  zu  den  Fraticellen  (Gli  Spi- 
rituali e  loro  relazione  con  l'ordine  Francescano  e  i  Fraticelli,  con 
importanti  documenti  sui  Fraticelli  in  Roma).  -  Der  Constantinische 
Schatz  in  der  pàpstlichen  Kammer  des  13.  und  14.  Jahrhunderts  (Il 
tesoro  di  Costantino  nella  Camera  pontificia  del  xiii  e  xiv  secolo). 

Archivio  storico  dell'arte.  Anno  I,  fase.  3-5.  —  A.  Venturi, 
Gian  Cristoforo  romano.  -  C.  Ricci,  Lorenzo  da  Viterbo.-  E.  Muntz, 
L'oreficeria  sotto  Clemente  VII.  -  E.  De  Paoli,  Donazioni  di  Mi- 
chelangelo a  Francesco  Amatore  detto  Urbino  e  ad  Antonio  del 
Francese  suoi  domestici.  -  N.  Baldoria,  Un  avorio  del  museo  Vati- 
cano. -  D.  Gnoli,  Il  banco  d'Agostino  Chigi. 

Archivio  storico  italiano.  Serie  V,tom.  I,  fase.  1°. —  C.  Guasti, 
Ricordanze  di  m.  Gimignano  Inghirami,  concernenti  la  storia  eccle- 
siastica e  civile  dal  1378  al  1452.  —  Fase.  2".  P.  Villari,  Nuove 
questioni  intorno  alla  storia  di  G.  Savonarola  e  dei  suoi  tempi.  — 
Fase.  3**.  L.  Zdecauer,  Lavori  sulla  storia  medievale  d'Italia  in  Ger- 
mania; 1880-87.  -  F.  Tocco,*  Due  documenti  intomo  ai  Beghini 
d'Italia. 

Archivio  storico  lombardo.  Anno  XV,  fase.  2°.  —  L.  Frati, 
La  contesa  fra  Matteo  Visconti  e  papa  Giovanni  XXII,  secondo  i 


'ertoatct 


documenti  dell'archivio  Vaticano  (pubblica  l'indice  del  codice  3937 
[antica  segnatura]  ). 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  XIII, 
fase.  1°.  —  N.  Barone,  Notizie  raccolte  dai  registri  dì  cancelleria 
di  re  Ladislao  di  Durazzo.  -  Elenco  delle  pergamene  Fusco  (N.  114, 
Ep.  di  Innocenzo  III:  19  febbraio  121 2). 

Bibliothèque  de  l'école  des  chartes.  XLIX.  —  L.  Cadier,  Les 
archives  d'Aragon  et  de  Navarre. 

Bollettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  Serie  III,  anno  XVI,  fase.  4°.  —  R.  Lanciani,  Notizie  del 
movimento  edilizio  della  città  in  relazione  con  l'archeologia  e  con 
l'arte.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  la  topografia  e  la  epi- 
grafia urbana.  —  Fase.  5°.  C.  Huelsen,  Vedute  delle  rovine  del  Foro 
Romano,  disegnate  da  Martino  Heemskerk.  -  G.  Gatti  e  R.  Lan- 
ciani, Notizie  del  movimento  edilizio  della  città  in  relazione  con 
l'archeologia  e  con  l'arte.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  la 
topografia  e  la  epigrafia  urbana.  -  C.  L.  Visconti,  Trovamenti  di 
oggetti  d'arte  e  di  antichità  figurata.  —  Fase.  6°'  L.  Cantarelli, 
Intorno  ad  alcuni  prefetti  di  Roma  della  serie  Corsiniana.  -  E.  Pe- 
tersen.  Penelope.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  la  topografia 
e  la  epigrafia  urbana. 

Bollettino  della  Società  geografica  italiana.  Serie  III,  voi.  I, 
fase,  3-5.  —  F.  PoRENA,  La  geografia  in  Roma  e  il  mappamondo 
Vaticano. 

Bollettino  dell'Istituto  di  diritto  romano.  Anno  I,  fase.  1°. — 
V.  SciALOjA,  Nuove  tavolette  cerate  pompeiane.  -  I.  Alibrandi, 
Sopra  una  tavoletta  cerata  scoperta  a  Pompei  il  20  settembre  1887. 
-  V.  SciALOjA,  Libello  di  Geminio  Eutichete.  -  C.  Ferrini,  Ad 
Gai,  2,  51.  -  C.  Padda,  Sul  così  detto  pactum  de  jurejurando,  - 
P.  BoNFANTE,  Res  mancipi  o  res  mancipiiì 

Giornale  ligustico.  Anno  XV,  fase.  5-6.  —  L.  De  Feis,  La  Bocca 
della  Verità  in  Roma  e  il  Tritone  di  Properzio.  -  A.  N.,  Un  maz- 
zetto di  curiosità  (contiene  lettere  di  Celso  Cittadini,  del  poeta  pisano 
Ippolito  Neri  e  dell'abate  Lorenzo  Mehus,  con  accenni  a  cose  ro- 
mane). —  Fase.  7-8.  G.  Rezasco,  Del  segno  degli  Ebrei. 


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UOD  'bobuioi  rmBduiB^  Bjpppijsiuod  luimos  i     'jl  inonihhhx     't^^^ 

'888'  *iJuvts^lV£  'ouiÀOj^ 

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'888 1  'tutuSv.ivQ  'vuSoioq  -s^^^pj  j    -q  vissvwvx    'i^z 

"8881  *vpuvSv(}oA(j  *vuio^  -ajBiopjaoBS 

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-BW9SSTQ  -BujBd  lunj^inqB;  jjx  uinSai  3q    -q  NHsnvHNiHJLS    '89^ 

*888^  'ouvot}vj  omtqouv  X9  '?viuo^ 

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o^iand  ojpq  9p  J9  ^uoi\ti  lunpBiduiXjo  nqX|oj  9q    'o  J.JIHS    *t^9C 

•JU9UO     '9UU9IDUB   UOIlBSIlTAp    V\    9p    gJIOJSlJ]      '^    SOeONOIHS      'i^Z 

'(cuBuioi  vuois  qir  9uipjo  ai  ndmbsajuop^  ip  ijuaui  {) 
3iqDui3S9r)  gqDsiuiQj  9tp  wn  isa9ipi9A  s.nambsgjaoj^    -g  inaias    '19? 


vmó)ij  tp  vuofs  vjiv  dat}vpu  tuoiìVDi^qqn^^     $Li 


'9iqou^}Soj  *vw[  -(ouiisauBSud  jod  rnoj  ut  essilo  a  ojejg  •[ 

•ouBuioj-OD^aS  oiinsauBBed  pp  ^inp^o  B[pp  Buoig)  luniuapp^ 
uiap  311U  3jduiB^  uii  3qDiT){  pun  iB^ig  -j  -soimuapiaH  u^H^s 
-iuioj-qosiqD3uS  sap  sSubSj3iuq  jap  ajqDiqDsaf)     '^  hzìiqhds     -193 

•Zggi  *À9qostx  fun  smscftj  'pi^i  'siiEjnSnBUT  otibi 

-J9SSIQ  -BUTiuaS  nix  uinjouBuio^  suoiSaj  sq     -g  azxifiHDs     -093 

•Zggi  'mi9qw(!4o  'uin^Q  "(UPO 

3   lUBiuo^)   s3i{DSTjp;>i    pun   saqDSTUBmoH     -fi    xaHVHDHHDs     *6^^ 

•Zggl  *S9qj^9j  'vqiof)  -{qZ  '\o\  'ouBiuoJ  ojaduijjpp  Buois) 

•pg  'Il   -apzjasTB^j   uaqDsiuioi  j^p   ajqDiqosa^     '^  hhiiihds     'L^z 

'L%%i  'Imqonvx  *Sù(ft9j  -(oDiuiapcDDE  osn 

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'888 1  'vuvi^nvij  *9Ìu9aij  •ztp9  ^^  •j9i90jqDS  9a  "H  ^P  P^op 

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•(tUBUTO^   ]    0SS9Jd    BDIjqqnd   9  BDTlS9UlOp    9U0lZBDnp9^7)    UJ9U10)J 

U9p  pq  Sunqaizjg  9qDi|iu9j[jo  pun  9qDnsn^q  9tq     •OHHa^i3HiO>J      Hz 
'888 1  'vmnvj  'vmo}j 

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*0  *9  ^-'^IP  3^1  JO  uop^punj  9qa  uiojj  *saoj9dui9  9qa  puB  'Dqqnd 
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■xn9iinqpj  *suvj    •uoTiip9  3^  •9sq23j  9p  9jto;sth     '1  noHDi^j    'iSe 

•Z88I  *uuvm99£  'Sùifpj  -(lUBUio^  pp  9  p9Jf)  pp 

iqDOlS    l)  J9UI0^   pun    U9qD9TJr)    J9p    9pids    91Q      '/^  HHXHDI^      'OSz 

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ups  pun  'qdosoiiqj  Ji9p    *bd9U9s    snBuuy    "I     'AV    Honaai^j     -òfz 


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pu  idcd  pp  3|ESJ3Amn  oiaiiuop  ti  ^  aiBpoj^  s^;  :  ^8  91-i^d 
*3|BSJ3Amn  BTioag)  (w3punqji|uf  -iiix  pan  'iix)  ipqosjjaqap^ 
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'888^  '«n-^^17^  pwi?  q}i/fuo  ^uo'puoj  -('a  '^  Bp  9iiopBja  Bun 

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spssSai  3  nix  iinoaBs  arjoasidg  'oi^  *3biubiiij30  ^lusuinuoj^    'fiz 

*(lIA  ouoSaj^  owos  siq  Bp  oSq  ip  3uotzb§9|  Bq)  ha  JoSsjr) 
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TuiiuBjp  ins)  -latuQ^  J9p  uauiBJQ  sqosTJOisiq  Jsqsfl     *H ^hsihj^j    'i  iz 
'9881  *U9SW}{  uvipucij  'u9ciouny{ 

'{Z%  -S^d  *3|BjnSnBUT  3U0IZB5J3SSTQ   -bduois 

auoTznpoJiui  -j  auB^j  -ji  o;st|B3   pd^d  ]i)  uoiiBijassiQ-iBjnSnBni 
•saqoiqosaSjOA  T  [isilX  'II  3ixip3  isd^j    -odhvi^   HHHnvj^    'o^c 

•(aqDTlUD  TU0IZBJ3PTSU03  -SJIUB^J  ]9p  divsxsdiun 
VUOtS  ^iptl  3UEUEJ  3U0TZTS0dS3  B|  OpUODSS  JJA  OTJoSajQ   3  AI  ODO 

-ug)  usSamiiDBJiaa  s^osiaia^j  -saqDTqDssSjpAV  St^^tOB^j  uoa  gunjap 
'WPS  -^^P  H^^"  HA  JoSsj^  pun  aI  H^H^PH     *A\.  snhìhvjy    -622 

•Zggi  'pupvpn        'z  -pA  'opBoyiiuod  jg    -j  zaNoanQ  Niav]^    -g^c 

•Zggi  'ompuvuu^g  •5'  •(/;;  ''t7w^z5' 

•SUOTZipa  ,z;   'SJBUTpjBO  9    OAO0S9A   *TJB§J3q^Y    QpDl^ 
OlBSq   |t   3   3p3S   B;UBS  ^TPP  ^^laBUIOjdip  3U0TZBj1      -^   INIHVp^      'Lzz 

•Zggi  'vooog  'vmo-^         •oipms  '  (ax  -dss)  biuo^  ip  buojs  bj  3inBp 
-jBnSu  oiip3UT  oiu3mnDop  un  3  ip^IA  ^-^l^Id     'W  ihvivqnvjy    -922; 

•888 1  *o^t7/o5'  3  moAXdj  'vtuo^  -(buio^i  3p 

3ZUBSn)  OuSoiUVclUBS    B  TJ^BABD  \\  3p  3U0TZip3U3q  B^      'V  WHl      '$2^ 

•^881  'uuoq  •(3|BjnSnBui 

3U0TZBaJ3SSIQ  •^9$!    OtSSbUI   |B    OUIJ    I9SI    3JqOiaOJlBp    01U3JJL    ip 
OI^IDUO^  |I  OSJ3A  I  OpUBUipa3J    3J0JB-I3duil  jpp    01U3UIBt2S3U^,'J) 

U0TjBy3SSip|BjnSnBUi  '2:951  iBj^jmnzsiq  19S1  J3qoi2|0  tuoA  Ijzuo;^ 
J3JU3TJX  "JJ^z  I  puBaipj3  j  SJ3STB5I  S3p  gunjpiS  ^TQ     'O^n  3^91     '^"^^ 


Hi     vmó)iy  tp  viuo}s  vjiv  dditvjdu  tiwtìvoijqqn^ 


•8881  'n^fPU^D  'S911WSU9J  -^^moN  ^Q  'd 

•I  osBj  'sojqTi  19  sajoiDn^  uinpuriDas  bjouiui  ^ausuiSraj 
si|iAp  aBiiusprudsuni  snbrjsisD  jniuauuuoD  snssSip  lUBiuiisni  SBnb 
*Binbipj  ranjoi]nsuoDSuni  'Siitaid  suni  btssusSuiibj     'q  ihnh^     "JZ^ 

•Zggi  'sioiivf)  p  p^vpodQ  ' SÀ2iuimoinvQ 

•uiBuioj  sjidmaj  ap  s3]D3ts  sjaiuiajd  s\ox\  xrb  siqo 
-oBJjgB  ssp  uouipuoD  B|  ans  snbuoasiii  apmg    'h  HaiNNOwaT     'ij^ 

'Oiutui^  'uopuoj  -(oDuois  ozzi^Ds  •Xjnqj3auB3 

ip    OAODS9ATDÌB    3JBUipJBD    'OpJ    OpjBUlga^)    HD^SJ^S    |EDU01Siq    UB 

:iCinqj9iuB3jodoqsTqi|DiB  |BuipjBD  *9|0d  ppuigs-^     -0  •  j  3Hq     -oce 

•8881  'suvj  -(zS  -DSBj  'mojf 

?p  }9  snidqìy^'p  smvouvuf  s^ood  S9p  ^nh^qjoiiqtg)   •9^doui;uEisuo3  v 

19  9010^  ^  U9U9pOTQ    STnd9p  UTBIUOJ  IBUag  9^        "J    NIVAIHDHq       'ÓlZ 

•Z98I  '9'i'T'^pJ  puvm.iy  *siuidc(^ 

•9nbiqdrjSoTq  9Dpo^  'jj  ureqjfx  xn9in9i|U9iq  s^     '812 

'M^-^vfj  *2iuo^-m,9j^  •(oA9  0Tp9ui  |9u  9uoizisinbuij|9p  Buois) 

S92b  3IPP]tu  9i{l  jo  uoiiTSinbui  9i{i  jo  ^ioisiq  y     *D  'H  '^'^l     '^^^ 

•^881  '■^^uq30}[  'nvis^Àg  \i  -jo^  •(«  oiinuTiuip  siiidro  » 

B|pp  ruojs)  «  ounuiuiip  siiidBD  »  a9p  9iqDTqDS9£)     "H  >i39nH}j     -91  e 

•Z88I  'tupqu^so^  'iCpo.ig  '(6fi  |b  ouy  6zz  ouuBjjBp 

i79i{DV  t?S9[  B]  uoD  TUBUiO)j  pp  luodd^J  j)  6ti  siq  ócz  uoA  9pung 

U9qDSTBllDE     Uinz    Ì91UQ^     J9p     9SSm;|BllJ9^     9TQ      'f    M3ZX01}£      'Sl^ 

'tnsnj  'vuoqsiiv^  'HA  'uibd 

-nSBIS9pD9   UIBjJOlSIH  Ul  9BJD9pS  S9U0llBaJ9SSIQ      "Q    NNVWOKHf     '\^1Z 

"888 1  Uvjunj^  *uopuoj  •(urs93  i  owos  riuo^j  ui 

^lapos  Bi)  SÌBS9B3  9qi  a9pan  9iuo^  ui  ìCj9tdos     'H  'AV  ^^^I     '^^^ 

•^881    '^l-^Oqj^   '^^^d  'SUpiUO^  S9I    Z9qD 

anbijqnd  9JiiiqEidiuoD  B|  j9  sg^uBuy  S9i  jns  iBSsg    -9  j.H3awnH    'ziz 

•o»^M  !P  3pjsruui3  tJiuiuEi3ojj  -(gpjauaQ  'i  9ubj  -iiiddbìq  pp 
ruiud  ouBiuoj  snojiqn(J  ^?^n,q)  S9upiu98iiv  *IMX  *I  •a9qD3rJ9  jop 
u9j9Jijnv  uinp  JOA  sn:)iiqn4  ^^Sv  oqDsiiuQj  jdq     -q  nnvwjjoh     'UJ 


vtuó^  ip  vuofs  r//r  9at$Vf9j  tuotìvotiqqn^     zLi 


-oi  ajiduigj  suup  sappuiAoid  ss^jquiassB   ss'j     -j  aavHinQ     'oir 
•uiBuioj-o|pS  sio^a     "7  a^vNoino     'óor 

-ois  oipms  ioa^pdg  ip  biuo^od  r{  a  a^cqiuuy     "3  iDDna>ivnf)     'goc 

•Zggi  ^vuviq9sn^  -cf}}  'ouviiy( 

'i  '\o\  -apsjaATun  BS3iq3  ^jpp  ijuouj 
lap  3  9wot  3tpp  ojpBnb  o  'xi  ^Id  ^  om^py  bq    "j  viiHNvno     'Zor 

•gggi  'uuvmppjj   'miJ9ff  'uaipnis 

9qDSiiu;>I  "uajj^apu^fj  U9p  ui  uauou^yodjaauj     'Q  ziiAS.N3avH£)     '90^ 

'888 1  '//o^»jY  -biuoS^jV  q^  uinj 

-ouejipdB9js^  lunSaj  siiS9§  3q     •ONVDn'];    iNiaiy    innvaoiq     'Soz; 

'888 1    ^0UU9J   'viUO'g  -lUOJOJ^    0UIUBJ3B£) 

•  OIIPO    PP  9S3qD-lUUI    JI   :  SUBmOJ   3pU9SS31      *  j[  nONOVAOI£)      'l^oc 

•S88I  ''i^uqmx  'Sùc[pj  -(aurd  ^puDoag  'BaTqDTiuBj 

-pu  Biuo^  Tp  Bwp  rjpp  uijBjSodoi  3  Buois)  ipqx  *^  •uimaaayv 
mi  uio^  ip^lS  -^^P  3iqdBJ§odoa  pun  aiqDiqosaQ     -q  XHHaiiQ     'ioz 

•uuvtUA?ì[oy  *qoiunp\[  -(eubuioj  BDjiqqnda^  rjpp  odiuai  p 

U3TJBABD    PP    3UmU3D   9^    9     U9ipABD    j)    5ll|qnd9-^     U9qDSllUOJ     J9p 

ap2  jnz  u9umu9DJ9Wi^  9ip  pun  J9ip-^  9iq    -g  ihoa^hhxvhhq     '^or 
•Zggi  *9S9cpvj  's.id2uy  -uopip?  3^1 

•99J9tdlU0D   19    99§UJOD    '9nA9J    '9UIBIU0J    9ai01STJJ      'J   XIVHZVQ      'lOt 

•^881  '^wo^  'ouiÀOj^  'OAg  oip9Lu  pu 

^ui|ii^3  ip  Bpu9SS9|  Bj|9p  mjojs  ^i  a9d  qunddy     '^  oixoavQ     -ooc 

•iintu-op^s  '4}i  ^vnoudQ  '^u^oi 

-Og  ^  lUUIUllSniQ  Oai9p9U9g  'pjBD    pp    9U0IZbS9|  B'J      "][    IXVHj      'ÓÓI 

•^88^  *mops  'vmo'g 

"BUIO^  ip  BpUIAOjd  B|pU  '9qDI§SBpd   O    9lUJmBS  '9qDTdopp    9U9p 

*9uoSipd  luoizmisoo  ip  izu^ab  \[2  J9d  ^pm£)     '^  3Ainv3xnoj    '861 

Zgsi  'uo^SnoiS  puv  upppofj  'uopuoj  •(■euviisu'j  BS9iq3 

^ipp  ^uojs)  qDjnq3  UBpsuq^  9q;  jo  ^joisjh     'd  *0  ^SHSij     'L61 

'888^  '^^H^s^oj  'ouuoj^  -BwuDs 

-9p  0JA9Ul§U0J\[  |B  OUUOX  ^P   BU^IUOI  BpBJJS   B^      '3    OH3HH3J      '96 1 


iL£     vtuó^  tp  vuois  vjjv  daiivpu  luoiìvoiiqqnfj^ 


•Zggl    U9UJ  *(lIXX  pUBAOIf)    Bdcd   UOD    OJBA^a  |T 

0DlA0p0qip3U0TZrT|pU0D   ip  a^DiaBld   9|  3   «  aB9J313jd  3^  »  B[|Oq  B^) 

IIXX  auBqof  ;sdBj  uiap  iiui  saSi^Bg  sap  s§iAvpn'][  u3§un|puBi{J9^ 
-suopmjpuoDS'^aip  pun  «iBaja^ajd  3^»  3n"9  ^IQ    *iW  ^^3-i<i3£    '56i 

'9881  '^:70^  (ivjsnr)  <Sù,4pj 

•08  *d  *o8-^I  '(^IF^I  °I  HA  o^pug  ip  bubizuuuij  9  ^ujajui  bdut| 
-0(j  -BUio-^  B  11^  oDuug  ip  suoizipods  ^jpp  btjojs  bj|b  pnquiuo^) 
u3i{Blj  UT  ij^  sqDuupH  5|iii]:odzuBuij;  pun  ajsuui  '\\^  sqDuupH 
s33nzj3iuo^  sap  aiqDiiiDsaQ  anz  agBJipg     'hnoìxq  OHaasiHj    "tór 

3  ipmS  '3ZU3JTJ  ip  9JBU0TZB^   BD310I|qiq   B|pp   ]UBI3JTJBQ  -SSUI  130 

i3Duiq  i3p  BtuispeoDyjpp  Buois  B]  J9d  uusmnDOQ    'y  ohvavj    'Sói 

SSSSIJ^J  U3qDSlUnd  U9JT3AN.Z  S3p  SunjdsJQ  U3p  J3q3f^      •£)  NUlVJ      TÓI 

•^881  ^-i^qjunf)  pun  jpttuqos  'Sù4pj  *«  urqjBq  pp  3uoiSEAm  jp 
ouy  owiSg  ,p  uismbuoD  Bjpp  3  oizy^p  ^iiS^n^q  B|jBp  ouruioj  0i3d 
-mi  jpp^ijoas  '*  ^IPP  §-i3qziJ9H  *0  IP  ^^ssps;  3uoiznpBJjL     —     'lói 

•^881  ^^-inqvj  *suvj  'uopip?  3n3Ano^ 

•(9sopo3qjL  9p  uoui)  s3JBqjBq  ssp  uoisbauij  ^^nbsn(  s^pDaj 
sn|d  S3|  sdius;  S9|  sindap   sutbiuo^  S3p  3JioasiH    "^  AnnnQ    -06 1 

•Z88I  '^i}n29£  'uouSmy 

•uouSiAy  ^  IIXX  "^^r  ^P  n^squioa  37     -q  iHWVHfiQ     "681 

•^881  '^uv^j  'u9qounp^  •(oju3jx 

ip  OT|puo3  pp  vuoìs  B|iB  oinqTaiuo3)  lusu^  uoa  sipuo3  sap 
3aqoiqDS39  inz  3§Biipa 'Buijuspu j^  Bju3iunuoi^     'y  iHJjaHQ     '22^ 

'888 1  '^-i-i^nSvj-fuvjsuoj  *onQ-?i-AVQ 

•uoijip.7  ^z  •3nbTjsm?pD3  saiojsiq^p  suoSsq    'xmanoQ    '^81 

'd9po}i  'nvp^ÀQ 

•auopESEdojd  soD3t;jr)  pndc  seubuioì  spcjiAp  9q    -g  hdshoq     *98i 

'888 1  'vtiimjs  vuoti ff  vii?p  -(ftj  'vuio}[ 

•(91Sy.Q  OilSIUTlU  OnS  ]«p  IX  91U9U1913  's  'S  B 
01BlU9S9jd  'BUBDIJ^^  BD910I|qiq  mpu  9JU9JSIS9  093EJJBD  9DipOD  Utì 
IP  rid03)    •0Dnsr|S9pD9    OjnS    0|pp   rU3ÌU?J  9  BU9|ICABD   ip  9jpDS 

9izi]iui  'nu^^d  UDipiBqtuoq  Mjrpios  'Bjj9n3  ^p   luoiziuoiu  Moue 

*9U91l3nJB    *jlUJP,p    9ZZBTd    9  92Z9JJOJ    9|]9p  lU0|WUDS9p  9  lu89STa    '581 


r«/o^  tp  vuois  vjjv  datjviBu  tuotìvotiqqn^    oLi 


'888 1  ''3  P««  i^A  Stirpi  '(-ispa  'O 

Bp  ojEDTjqqnj  •luiaqaij^  ^p  ODuopo^x  IP  S7i}via9uqqv  ntviv4 
sniij^  o\  3  og£i  ouuBjpp  wniojsocfv  wuvipouvo  ^^qtj  \i)  Japg  *{) 
UOA  uaqaSaSsnBJSH  ' snjvm^Aqqv  ujviv(j[  sniip  jsp  pun  og^i  3jqB{ 

aOA     WOflOJSOcfv    ^VUVlpOUVO     ^^}J      -WIHHai^     NO  A    SHDIHXHIQ      't'gl 

•Zggi  *tjnm-op^os  pp  '4}J  *vaou9£) 

'III  ozu3DOUui^p  oiu3aiiu3AAUj|i;  oug  idui^i  iqouuB  md  irp  Bun3 

■n  ^l  puupjBnSu  apyTiuod  Sisiisj  3|pp  ps9§3^     '3  inowishq    '^gi 

•Zggi  'vutÀ^qix  '(f}t  *vtuo^ 

'Tsouo%s  vuom^ui  *0Ji3Tjj  '5  ip  TABiqD  s^     •{)  izznq-vzzo^     'Cgl 

•i^ggi  'À?uqnÀj^   'uopioj  -(bubusud 

Buois  ip  TUOTzmpsi)  Xaoisiq  uBpsijqD  jo  sajmiasnj    -3  "y  1x03     "igi 

•^ggi  '«^05"  s^pioMQ  'unji 

•(ruuai^  ip  3zu3ps  3|pp  BimaprDDyj^Bp 
o;ip9  '•Mx;t7/  'Sdpo^  'SS  sncfjoj  pp  aw^d  bj)    js^quiOQ  *g  aixnj;s 

-UT    03IJTJD     OUBlUamuIOD    19    lTnSU9D9J     ^UIIUJB^    INVIQOWPVO^      'Ogl 

•gggi  *}io4vM  vouois  ^yBjSod 

-01  IP  9uops9ri^  •9aTpnB3  9qDao»j  9jjb  tubiuo"^  j     "3  vihodoo    '6I1 

•Zggi   Htnm-opjos  '4}ì  'vaomf) 

'ODlJBjSoTq-ODUOiS  OipmS    •0J9U<J  ip  9pDJ3  9S9qDJBUI 
pp  Pili    |E   OlZl   ]Cp    BUIO^J   B  9U0TZB§9J   ^ntlg      "f)  VXÌ3HV13      "g^I 

•^ggi  Huóì):ig  'vmVfj  'is^mv\  ip  9U0TZBaa9S 

-sia  'IIAXXXIDDDQW  STjqiu9Aou  -px  HI  'ai^asduos  mnuvmiit 
-vj  uinii?g  snusnjjEs  oi|tsuod  ^9  9aodm9i  ori^     'y  iiX3nH<ii3     'LLi 

•iiggl   U^0S9OJ  'VìUO^  TUIO^  UT   9JUKQ       "Q  OX3IMI3       '9^1 

•Aggi    *t4vj   'OlinSVJ    ip   VltlJ  •Zip9    ^i 

•iaU9lunD0p    UOD    'nix     3a091    IP    9ABpU0D    \l      '(hq)  HHVSHQ      'ÌLi 

•Ziggi  ^moÙ9ouoj  vipp  -(ftt  'vwpoyi 

•Zggi  IT  0ZZ91U  ^  oms  nix  3U091 
Tp   ojBDTjquod  pp   9    BiTA   B|PP    ^poisiuoa3     -g  'd  nosv3     •t'Zi 

•Aggi  *pÀVUdj^  'siAvj;  -z  '\o\  •9Tuo^  'gunjig  '939^9  :9UJ^d 

9UI9Ixn9Q    •SU9pnB     S9ldn9d     S9p    S9mmS0D     S91      '^    OHVAV3       '^Zl 

•Zggi   HuviSSd-g  'vmo^  'oagdiuij 

owos  9   BUBiuoj  rDi|qqnd9J  ts\  o«os  9J9iuotSbi  n     -^  i<iwv3     tAi 


6^^     vtao^  tp  viuo;s  vjjv  aai^vpu  luoiìvDijqqn^ 


airmoj  iiojp  U3  aruo|oo  hq    '3  aniv^     'iZi 

-opuojqD  ssuonsarnb  'ijunSrs  anoiiBuSnddo  sq    'j  onnzng     'O^i 

•gggi  HipqounfY  'J  *^siQ  '(uunja  *H  IP  ^aoizajTp  b|  owos  uro 
"Hqqnd  a  oduois  ampjo  ui  nsodsip  'bubuioj  3  vodiS  BjmpDS  iJypP 
lauaainuojv)  '9  "H  ^^^  SuniTai  jajun  'Sunupjouy  jaqosuoasiq 
UT  jmd|nos  jaqDSTuioj  pun  jgqDSiqDauS  j9|bui5[U3q     -j^  -NNaHa  '691 

•888 1  UdìionjQ  'vaopvj 

•BTpjij]B  opjBnSu  3[^p9ds  uoD  uasou  iduiaj  p  oa3  oipaiu 
lep  ouBiuoi  owutp   pp   BUBi9ii9|  Buois  Bun  ip  ouSasTQ    —    '891 

•^881  '}4vi  'ojpjsvj  tp  vuij  •ouBuioj  owuip  pp  riuais 

-TS  pu  3  Buois  E[pa  siuntuuioo  S9iÀv4  \[  9  snfiqmvjj     'g  lonng     -^91 

•8881  U7iqu?qo  'S9uu?^ 

•DJ9   '9U9J07    '9SISSY    *9UI0^  ^    92rUU9P(J      'tj  HHISSVHg      -99! 

•Z88I  'fitivuQ  'uvqnvjuop\[ 

•suiBiuo^  S9|  19  sogjQ  S9|  zsqo  suopB|osuoD  saq     '3  hhàoq     '591 

•Z88I  'lpni2[ovig[  'puo/xQ 

•(bUBIUOJ  BDT]qqnd9^  B|pp  rzU9pBD9p  rjpp  9SnBD  97)  1{1|B9M.U0U1 

-0103  UBiuoi  9qijo  9aip9p  9qi  jo  S9snBD  9qx     'AV  *H  J-Nmg     •^91 

•Z88I  -('I  -uap 

-Bg  ip  oiBonpuBjS  pa  9ubiuoj  919U0ui  ip  ojusuibaojj^)  'i  •u9pBg 
uini{i2ozi9qssoJ9  lui  u9zunjY  i9qosiuioj  9punj     •x  NHONissig     '£91 

*888i  'J-^^'^13  'SÀuqÀV^  •Qeiixcs  ripp  euojs 

r|[B  ojnqujuo^  •bluo^  BDUUBjpp  9Jtics  9nQ)  9inBS  a9p  gjqoiqDS 
-9Q  jnz  3EJipg  U13  •luo^  U9i^u  S9p  U9JUCS  P^Z     *X  HXHig     '291 

•8881  'vtuo}i  '(ijsiwtu 

-jvf  pp  ?ÀOjitioy(  |Bp  ouBiisg)  'cuio^  b  ouisuidiuajpp  9  TJpBui 
-iz}  r|pp  riaois  r||ns  pu9iunDop  9  9izi3ox    'V  u-xoioxHHg    '191 

•Z88I  ''i^sw}j  'wqouni\  *(^S9iq3  v.\  J9d  9 

ojrjs  01  jnd  9iO|BA  ons  |i  9  Bzuriiodmi  bj3a  rns  ^i  '(f  iubidubs 
uiPUQ  »  t\\oc\  uq)  9qoJi>l  pun  ibbis  -^Oj  3ipA^3cJX  P""  ^umn9p 
-ag  ajq^AV  9jqi  *«  iubiduus  uicuq  »  aipa  ^Q.    *f  aioxHDMHg     -091 

•^881   'SsnoqwpiQ  'ioqouui\'  -^i-ii  'dsiQ  -(iiurnsoD 

pu  3  3ajr,|pu  'auoiSipi  u|pu  'luciuo^  lap  a  paaQ  pp  bjia  c^pp 


rtt/o^  ;;?  ruo;^  r//r  Bat^vpu  luotìvoijqqn^    %^i 


auoizEiBiipip  B  BDissBp  BiTUDUuBjjap  Tjuauinuoj^)  anis  P"'^  asun}£ 
'uoiSip^  ui  J3tuo^  putì  u9qD3iJ9  jsp  suaqa^  sap  SunjamyiiH 
jnz  suiniiuaiiv  a9q3sissB|J[  J3p  j3|biujiu3q     -y  >iHj,siHwnva     -6 Si 

•Zggi  'pp^À^n^  pun  ^J9oqu9pwjf   'wSmijoQ 

•uinjouBuio^  13  lunjoDaBjQ  snqujr 
53  snqiuoiSipj  ui  TjpS  suoii^DyiuSis  o^  ta  3Q     -3  NHoninva    -gSi 

•Zggi  'Aniqmj^   'Sù^tdj  'CI -II  'dsTQ 

•(bubuioj  3  rD3j3  BiSopiiiu  ^j[3p  oisjduioD  ODisssq)  31S0J0111 
-iCj^  osqDSiuiQj   pun  nsqDSiqDSuS  J3p  uodixs'^  s3iiDiiaqnjsnv     'Lii 

•S31UIBS  3p  sutbuioj-oiibS  swBdui3J  S3I  suBp  s3jjTno j    "j  iviany    '9^  i 

•Zggi  '^/i?7  's-uiJ^f  '(pfvpos  9tu40p)j[  ^ll^P 

OMBJisg)  'uoiiBsiuoioD  Bs  53  ouriuoa  ojSv^I    *d  manissy    *^Si 

•Zggi  'Sutnwij  'Su9qsSiuo)j  '(oiui^jI  ip  Tdiu3a  te  mrias 

-UD  pp  3uoiznD3sa3d  Bjpp  ruois  VI  BDJp  ]pms)  2un2pji3AU3is 
-uq3  u3qDSTUEruqjj  J3p  3aq3iqDS39  inz  U3ipms     'J  "0  aiONHy     't'Si 

•Zggi  '9f0d{)  *u}iÀdg  •zip3  ^z:  '(buii 

-v\  ByBj2o3|Bd  E|  3J3pu3jddB  J3d  sqoijBjS  3{0abjl)  ojsh  'I  *3iqdEj2 
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DT  9pidBJ9S  9  9pTSi  ip  ojpD  pp  oddnjiAS    o|ins  9  9uoiznpojiui  jps 

9qDJ9Dl"^  'liiOSIHV<I  'V  -  "ODIOIS  0J9TSU9d  \l  9  OmTS9UBllSUD  pp  TUT§ 
•UO    91   'OWVIVX    "S    -    *BTUBduiB3    B|pp    BUOIS  me    lATlBpj    ODBUlStlB 

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•oi    'DSBj  'XI   oauy    *oWT-^P  3  BTJO^s  ip  nuauinoop  a  |pn;s 

•01B1S919J(I    OUOSv 

oiz9^  'NH03  'v  —  *oi  '^SBj  '^  ouuy  -bubiib;!  bouo;s  b;siaih 

*^WP    BU0J9^ 
.  UT    BU9Z     'S    ip     OT|§llSOdlJ    II     'VNODNV    'V     "    'VUimiOÀ    BDUBUISIUinU 

ip  ijunddy  'ihddhnq  * j  —  'BDUBUisiuinu  ip  BOBiiBtji  b^stai^ 

•«  9UI0>I    B  9JlBJ?Unj   iiojp    91»  *9qUI0D^1 
-piUBQ    'Il     '  «  UTBIUOJ  9JldlUg  J    SUBp    S9|BpUTA0jd    S9?tqU19SSE    S91  » 

'pnBJinQ  -jI   :9i9dojpp  tuoisu9D9^  -  •9nbioouBD  ^iiojp  U9  9Jiossim 

-Ojd    aU9UlJ9S  91     'NIHWSg    'V    'Vi    -    '^nhlipuni    9DUBSSIBU9J     9J^TLU9ad 

v\  19  9u§o]oa  9p  9iisj9Aiun,i  'hhiai^i  asNOHdiy  . —  'i  'osv}  *iix 
*j9SuBj;p  ;9  sreòuBJj  ;iojp  sp  9nbTJ0)S]i|  (dnsAnoj^)  9nA9^ 

•«  BUIO^  B    OJTJABg    II    ODIAOpni    »   *«   lUEUIO^    pp  9J  V 

II  ojjgqiv  IP  3uoTZ9p,i  »  *uuBtuj|y  '^  !  «  xi  ouo29J9  udB j  »  'u9jp j 

t  «  BIUCIUJ9£)    UI     0DIUBUIÌ9Q    ip    9U0lZip9ds    ^1  ))     *9J|OU}I    '  j    t«  rtUO^ 

ip  Bijois  »  '^UJI  *AV  •  "  s-ioi^ui  oqpa  oi]9UJ03  "i  9q  »  'u9i||nf  •iu9y 
:9J9do.ippiuoisu9D9H  —•II-I  '^SEj'iiAXXX  'anbuo^siq  dnAOH 

•(9S9Durjj  "praj)  «  98v  unXoiu  np  uy  v\  smdnp  S9dcd  S9p 

3J10JSIH  »    'JOJSr  J    '1    IP    9U0ISU9D9y    -     aupjUJJ^J^    TS\    np     lU9lU9SST]q 

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—  •«  Biuo^  IP  Buois  c|  ajucpiuniiu  oiipaui  ojuDiunDop  un  pò  jp'IA 
0J)3id  »  'ucirpuup^  *.«  pjBUJng  juius  np  djiojsjh  »  'J^ni^^^MD  *0 
t«  ap^is  9II1  np  saoi)n?9SJ9d  oj^iujsp  sai  »  'pa^nv  '«as^dj  jo  jici{3 


lotpotudfi,  9si 


qt  'ix  'PA  '^f^J^ii  vuojs  ip  vuvtuou  vjspos  *J/  W^P  oitiitijuy 

9qX  »  *^HdjniY  "iM  'f  :  ai^dojpp  luoisu^Da-^  -  -ubdub^  rns  aus^i  un^p 
sSmBui  3j  jns  appjBj  ^  uoncDyiiDSJ  suq  'oNii^nij  -  -iuSbuv^P 
3B1U3WBJ  ap  ap?j  nBSAnou  uq  *aHvoia  sHOHOHf)  -  •(ótt'i-t^tti) 
3si|§3j  ap  uoiiBDgp^d  b{  59  jj^  s3|iBq3  'iHnoonvHg  na  hnshhj 
HQ  "O  -  ssoanos  sap  anbpuD  'pjBUjag  luics  sp  sjioisiq^q  'qhvqkvd 
■VA  'H  —  '98  '^sEj  'niXX  *S9nbTJo;sTii  suoT:;sanb  sap  gnAa-g 

•(pljiUUOd   IJSaSsj   9    TaU9mnD0Q)    «  U91S9§9^ 

pun  u9pun^jQ  9qDipsqr  j  »  'ipimuDg  -9  '(m  oapurss9jv  ]P  awoiu 
TS\  vojp  T|BuoizTpBJj   uuoDDBJ  mg)    «  nj  J9puBX9|Y  jo  qar9p  9qi  JO 

SJUnODDB  AjLVUO]ì]pVJÌ  ^m  UQ  »    '9U951S  *  j  '^  I  9J9do jpp    9U0ISU9D9>J 

-  •vu;}ì\]\\2ui^p  iiiA  oouug  b  jj^  91u9ui9|3  ip  bj9U31  'Hsvog   -^  -3 

-  -Q  OTJo29J9  Bded  9  piBM.3  o^ob^j)  j  iùoSajQ  9dod  puB  pjBAvg 
pBj  *Ai3Hs  '>I  'I  —  '01  'K  •(i^o|Jo;sm  tjsnSua  siix)  aa^Iaqh 

•(bUIO^J  ut  0D9J§  OtS9||OD  PP  OIAiqDJB^^)  UIO^  Ul  S^§9[|03  U9qDSTqD9ljS 

S9p  AiqDJV  s^a  'lOJixxvg  'jojj  -  -gZSi  ouub  snquBjnDiunD  ui  oiu9aui 

9BUIO^  9By^pSUJ  0U919UI90D  9Q  'iSSO^  HQ  9  aNVlHHVVg  -  (opD 
-9S  nix  pu  BUBpS  BXA  Bjpp  U919UI9D  j)  U9punqjqBf  'IIIX  Ul  9SSBJ1S 
U9qDSlJBlBS  S9p  U9U919m03  9TQ  'HOSHI^  'd  'f  "  '(lA  0JpUBSS9|V 
ip    ldui9a   T9p  BUOJS    B|    J9(J  'iddl^    OUIjOpUBJg    '^J   ip    9491197)   J^  J9p 

-UBX9|V  s9isdBj  S9p    9iqDiqDS9§ipz  jnz  -snddiT;  snuqopuBjg  pBqd 

-B^     UOA    9J9Ug    9§IUTH    'ViOUQ  "f)    /Q  -    '(OjOBJ  9   lUUBAOIQ    UIUBUi 

PP  BSBD  B^)  snpB  j  pun  s9UUBqof  jgjXuBj^  -qq  J9p  srbh  sbq  'onvw 

-H39     H3XV^   -   '(bUIO^    ut    0Ja9lJ    '§    ip    BS9TqD  BDqUBJpp    BUOIS   B^jB 

omquiuo^)  mo^  ui  9qDJT5[sa9a9(j  U91|b  J9p  9aqDiqDS9Q  jnz  9SBJapg 
'hdshij[  •(!  i  —  'Z  DSBj  'il  ouuy  •a:moitios33uatiDJT5[  -inj  pnn 
apun^isranmja^xv  ailojUSTJtia  jt>j  (aijDsimg-a)  :jjTJiiosxB:jjBnò 

•(opD9S  IXJ|B  OUg  BptjnUOd  BU9JpDUB3B|pU  BU9UIB§J9d  V\  9  OJldBd  |j) 

siJ9punqjqBf  'ix  S9p  9UTK  -^^^  siq  ppuB^  u9qDqisdBd  J9p  ut  iu9ui 
-BSa9j  pun  snjXdBj  *nviss3¥g  n  —  -j  -dsbj  'xI  'PA  'Suniiosjoj 
-s^iioiqDsao  oqosiiiopjja^so  jt>j  sijn^i^sui  sap  uaSunxpii^tHK 

•«  UBDiiB^  np  9nb9qioqqiq  b^  »  'ziunp^  -g  i  «  opuoio^  ouBpig  oiuB^  » 
'« 'isody  sip9s  'qjoiqiq  -Suo  90»  'tsso^  hq  -g  -f)  :9J9dojpp  9uois 

-U9D9-^  -  'BUBuioa  9  bd9j2  BoiiBiusiuinu  Tp  BjstAT^  'NOi3avg  'g  

•3-1  'u    *iii  qo^  •(uBOiJauiB  ©iix)  ii^SojoaBUOJB  jo  xBUJnof 

•9S9uaBg 
ojpuBSS9|V  ^I^aipJ^^  n  3  oi^I^^IJ  oiuoiuv  odjbj^  'VXS03  -g  — 
'qP  -dsbj  *x   fa  'bubiib;!  Bjn;Bja;;ox  «IPP  ooijo^s  qibujoio 


^p£  IDipOlUdfJj 


L'EPISTOLE  DI  COLA  DI  RIENZO 


E    UETISTOLOG%AFIA     mE'DIEVALE 


'Istituto  Storico  Italiano,  dietro  proposta  di  que- 
sta Società  di  storia  patria,  si  prepara  a  pubbli- 
ij^^^L  ^^^^  ^^^  breve  una  completa  raccolta  delle  lettere 
di  Cola  di  Rienzo. 

Pare  pertanto  opportuno  che,  quasi  parallelamente  al- 
Tedizione  dell'Epistolario,  si  riassumano  in  un  breve  scritto 
i  resultati  delle  ricerche  fatte  intorno  alle  lettere  di  Cola 
e  ai  manoscritti  che  ce  le  hanno  tramandate. 

Ma  lo  studio  dell'epistolario  d'un  personaggio  sto- 
rico come  Cola  di  Rienzo  non  poteva  non  indurre  chi 
r  ha  tentato  ad  allargare  lo  sguardo  eziandio  a  tutto  il 
complessivo  sviluppo  che  venne  prendendo  nel  medio  evo 
la  forma  epistolare,  cosi  generalmente  diffusa  e  cosi  co- 
piosamente illustrata  da  tutta  quella  curiosa  letteratura  che 
è  costituita  dai  Dictamina  e  dalle  Summae  medievali.  Pe- 
rocché, nel  riandare  la  nostra  istoria  letteraria  e  nel  pas- 
sarne in  rassegna  i  generi  più  comunemente  trattati,  a 
nessuno  può  sfuggire  il  fatto  della  speciale  e  simpatica 
predilezione  con  cui  gì'  Italiani  sempre  si  volsero  alla 
forma  della  lettera.  I  numerosi  trattati  medievali  di  epi- 
stolografia, dove   le  regole    s'alternano    cogli   esempi,   la 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  a6 


382  qA.  Gabrielli 


teoria  s'accoppia  alla  pratica,  sparsi  in  gran  numero  per 
tutta  ri.talia,  presentano  alle  odierne  ricerche  un  campo 
quasi  affatto  inesplorato,  dal  quale  potrebbe  non  solamente 
venir  fuori  un  sussidio  prezioso  alla  nostra  storia  civile,  ma 
anche  discoprirsi  una  faccia  interamente  nuova  della  vita 
del  medio  evo.  Eppure,  a  questo  argomento,  cosi  essen- 
zialmente nostro,  cosi  schiettamente  italiano,  gli  studi  ita- 
liani s  indirizzarono  fino  ad  ora  con  assai  mediocre  ope- 
rosità. 

Queste  considerazioni  mi  trassero  a  reputare  non  inu- 
tile che  a  quella  parte  del  presente  scritto,  dove  più  spe- 
cialmente si  discorre  dell'  Epistolario  di  Cola,  un'altra  ne 
andasse  innanzi,  che  riassumesse  gli  studi  finora  intrapresi 
su  l'epistolografia  del  medio  evo,  e  servisse  sopratutto  a 
questo  scopo  :  dar  modo  a  chi  legge  riunite  le  lettere  del 
tribuno  di  vedere  quali  tra  gh  elementi  già  acquisiti  al- 
l'anteriore coltura  italiana  ancora  vi  sopravvivano. 

Lo  stesso  ordine  naturale  del  nostro  tèma  richiede  che 
prima  si  passino  rapidamente  in  rassegna  i  principali  dicta- 
tores  itaHani  (della  Francia  s'avrà  a  parlare  soltanto  per 
incidens),  e  poscia  s'esponga  sinteticamente  il  contenuto 
comune  a  tutti  i  trattati  d'epistolografia  medievale. 


I. 

Uno  scritto  che  voglia,  per  cosi  dire,  coglier  l'essenza 
di  quella  caratteristica  forma  letteraria  che  fu  l'epistola  nel 
medio  evo,  non  può  prescindere  dalla  relazione  in  cui  essa 
trovavasi  non  solo  colle  altre  parti  dell'insegnamento  di 
quel  tempo,  ma  con  tutta  la  coltura  generale  dei  secoH  xi, 
XII  e  XIII.  Ora,  chi  a  questa  ponga  mente,  non  può  non 
riconoscere,  appena  sul  principio  dell' xi  secolo,  il  progresso 
che  s'andava  operando  nello  spirito  umano,  quando  accanto 
alla  scienza  divina,  alla  teologia,  che  teneva  il  primo  posto 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  di  ^en^o       383 

neir  insegnamento  delle  scuole,  cominciavano  a  trovar 
luogo  più  onorevole  quelle  cognizioni  semplicemente 
umane,  che,  quale  retaggio  dell'antichità  latina,  s'andarono 
aggruppando  sotto  le  famose  denominazioni  di  Trivio  e 
di  Quadrivio, 

Tutto  il  sapere  adunque  (lasciando  da  un  lato  la  teo- 
logia, e  dall'altro  l'aritmetica,  la  geometria,  l'astronomia 
e  la  musica,  che  costituivano  il  Quadrivio)  riassumevasi 
allora  nelle  tre  scienze  del  Trivio  :  grammatica,  retorica  e 
dialettica.  Ma  (e  questo  è  il  fatto  più  notevole)  ecco  che 
il  campo  da  principio  assai  ristretto,  che  queste  tre  disci- 
pline comprendevano,  viene  di  mano  in  mano  allargato 
per  opera  della  scuola,  la  quale,  pur  non  uscendo  dalla 
tradizionale  divisione  del  Trivio,  estende  i  confini  del  sa- 
pere e  v'  introduce  elementi  nuovi. 

E  invero,  se  ci  proponessimo  guardare  alla  dialettica, 
vedremmo  la  sua  importanza  penetrare  grado  a  grado  in 
tutti  i  rami  del  sapere,  non  esclusa  la  stessa  teologia.  Già^ 
prima  del  secolo  xii,  più  che  mai  spiccata  si  manifesta 
negU  spiriti  la  tendenza  all'argomentazione  e  alla  disputa: 
un  cambiamento  quasi  radicale  di  metodo  e  di  termino- 
logia s'opera  nelle  scuole  :  Aristotele,  nuovo  oracolo,  vi 
stabilisce  inimitato  il  suo  impero.  Così  lo  spirito  umano, 
pur  restando  nell'ambito  delle  sette  scienze  tradizionali, 
sottostanti  dWaìta  scienza  (come  allora  dicevasi),  alla  scientia 
divinarnm  rerum,  fa  un  passo  notevole  in  avanti,  e  getta 
come  le  basi  d'un'  istruzione  secolare. 

Ma,  anziché  il  cammino  della  dialettica,  a  noi  importa 
seguire  quello  delle  altre  due  scienze  a  lei  compagne. 
Grammatica  e  retorica  s'andavano  anch'esse,  quasi  paral- 
lelamente alla  dialettica,  ampliando  e  sviluppando,  ed  anzi 
in  alcune  parti  d'Europa  la  retorica  pigliava  addirittura  il 
sopravvento  su  la  scienza  del  disputare  e  del  ragionare. 
Ciò  appunto  avveniva  in  Italia;  e  che  v'avvenisse  parrà 
ben  naturale  sol  che  si  pensi  come  presso  di  noi  lo  studio 


584  C/^.  Gabrielli 


del  diritto  non  fosse  mai  cessato  del  tutto  e  come  glo- 
riosamente l'università  di  Bologna  stesse  a  capo  di  quel- 
la insegnamento.  Ora,  che  allo  studio  del  diritto  andasse 
per  antichissima  tradizione  letteraria  più  specialmente  le- 
gato quello  della  retorica,  è  cosa  che  non  occorre  ripetere 
e  tanto  meno  dimostrare.  Basti  solamente  notare  come  di 
quella  connessione  si  può  trovar  prova  sin  dal  secolo  x, 
se  si  ricordi  quel  Sigifredo,  che,  quale  index  sacri  palatii 
in  Pavia,  congiungeva  tra  il  974  e  il  1104  l'esposizione 
e  lo  studio  del  diritto  alla  retorica  (i). 

In  seguito,  questa  felice  commistione  degli  studi  lette- 
rari coi  giuridici  viene  sempre  meglio  fissata  dal  meravi- 
glioso sviluppo  dell' tì^rj  ìiotaria,  che  raggiunge  in  Bologna 
il  suo  massimo  fiore  (2).  A  mano  a  mano  che  il  notaio 
medievale  dal  suo  umile  ufficio  primitivo  saliva  ad  occu- 
pare nella  vita  sociale  quell'importantissimo  luogo  a  cui 
potè  pervenire  ;  a  mano  a  mano  che  l'azione  di  lui  s'an- 
dava estendendo,  e  mutavasi  e  rinvigorivasi  la  sua  coltura; 
sempre  più  appariva  la  necessità  ch'ei  sapesse  anche  di 
retorica  e  di  grammatica,  e  cosi  queste  due  scienze  s'an- 
davano nel  medio  evo  ognor  più  avvicinando  alla  giuri- 
sprudenza, colla  quale  finivan  quasi  per  fondersi.  E  chi 
misuri  l'altezza,  cui  nel  paese  nostro  arrivò  da  un  lato  la 
retorica,  che  Boncompagno  qualificava  «  liberalium  artium 
imperatrix  etutriusque  iuris  alumna»,  e  dall'altro  il  diritto, 
non  sa  se  maggiore  debba  ritenere  la  gloria  venutaci  da 
questo  o  da  quella. 

Sotto  la  denominazione  di  retorica  vennero,  com'  è 
noto,  a  collocarsi  molte  discipline  secondarie,  che  ad  essa 

(i)  Merkel,  Appunti  per  la  st.  del  Dir.  Long.  Ili,  31  e  32  (trad. 
di  E.  Bollati),  in  appendice  al  Savigny,  St.  del  Dir.  Rom.  nel  M.  E.; 
Torino,  1857. 

(2)  Cf.  il  cap.  Ili  del  recente  lavoro  di  Francesco  Novati,  La 
giovinezza  di  Coluccio  Salutati  (Saggio  d'un  libro  sopra  la  vita,  le 
opere,  i  tempi  di  C.  S.);  Torino,  Loescher,  1888. 


Intorno  all'epìstole  dì  Cola  dì  ^'en^o       385 

in  qualche  guisa  si  ricongiungevan  o  ;  ma  tutte,  si  può  dire, 
furono  sopraffatte  dàìVars  dictandi  o  pratica  dictatoria,  ri- 
guardata per  secoli  qual  parte  principale  degli  studi  retorici. 
Scienza  non  nuova  certamente  pel  medio  evo  era  questa 
dell'epistolografia;  ma  fu  senza  dubbio  portato  nuovo  dei 
secoli  XI,  XII,  XIII  tutta  la  riduzione  a  sistema  ch'essa  ebbe 
a  subire. 

Agli  scrittori  medievali  riusci  straordinariamente  cara 
la  forma  epistolare.  Antichissima  era  la  tradizione  deìVepi- 
stola  e  rimontava,  si  può  dire,  a  Sidonio  Apollinare.  E  dopo 
di  lui,  che  lunga  serie  di  scrittori,  ai  quali  questa  parve 
la  forma  più  adatta  alla  sincera  espressione  del  pensiero! 
Alenino,  Eginardo,  Servato  Lupo,  Fulberto  Carnotense, 
Ivo  Carnotense,  Lanfranco,  Ildebertp  Cenomanense,  Pietro 
il  Venerabile,  San  Bernardo,  Giovanni  Sarisburiense,  tutti 
questi  ed  altri  molti  lasciarono  lettere,  che,  o  trattassero  di 
affari  privati,  o  di  cose  pubbliche,  andavan  sempre,  ugual- 
mente celebrate,  per  le  mani  di  tutte  le  persone  còlte  di 
que'  secoli. 

Ma  questa  lunga  tradizione  letteraria  sarebbe  forse 
stata  insufficiente  a  produrre  cosi  rigoghosa  fioritura  del- 
l'ara dictandi,  se  non  v'avesse  concorso,  quale  cagione 
anche  più  diretta  e  immediata,  il  fatto  che  l'arte  dello  scri- 
ver lettere  scaturiva  da  un  bisogno  urgente  della  vita  so- 
ciale del  medio  evo.  L'opera  del  dictator  era  cercata  do- 
vunque e  largamente  retribuita:  non  solo  le  cancellerie,  e 
specialmente  l' imperiale  e  la  papale,  sentivano  ogni  di  più 
la  necessità  di  dictatores,  ma,  anche  tra  i  privati,  ogni  uomo 
d'una  certa  levatura  doveva  aver  sempre  a  lato  il  suo  scriba, 
il  suo  clericns  o,  come  dicono  i  tedeschi,  il  suo  Pfaff.  Poi 
vennero  i  comuni,  e  con  loro  quel  gran  numero  di  notai 
che  dallo  scriver  lettere,  dal  redigere  note  ufficiali  traevano 
non  soltanto  i  mezzi  di  sussistenza,  ma  «gloria  ed  onori 
insperati.  A  chiunque  fosse  in  condizione  di  saper  com- 
porre lettere  sui  più  svariati  argomenti  non  mancava  mai 


^S6  qA.  Gabrielli 


una  posizione  elevata,  e  sovente  toccavano  le  più  ambite 
fortune. 

Di  questi  futuri  impiegati  delle  varie  cancellerie,  semen- 
zaio copioso  erano  sopratutto  le  scuole,  dove  la  compila- 
zione d'epistole  fu  esercizio  quotidiano  e  usuale  fino  dai 
tempi  di  Carlo  Magno.  È  noto  infatti  ciò  che  narra  la  cro- 
naca del  monaco  di  San  Gallo  (i):  che,  cioè,  quell'im- 
peratore, visitando  di  persona  le  scuole,  voleva  che  gli  si 
mostrassero  tutti  i  compiti  degli  scolari.  E  che  cosa,  secondo 
la  cronaca,  gli  veniva  sempre  posto  sott'occhio  ?  Sempre: 
epistolas  et  carmina. 

Dinanzi  a  una  forma  letteraria  cosi  popolare,  cosi  amo- 
rosamente accarezzata  dagli  scrittori,  cosi  strettamente  con- 
nessa alla  vita,  come  Yepistoìa,  non  poteva  non  affermarsi 
più  che  mai  viva  quella  tendenza,  tutta  propria  delle  menti 
medievali,  a  ridurre  ogni  parte  dello  scibile  a  formule  fisse, 
a  sistematizzare  quasi  meccanicamente  il  sapere. 

Alla  copiosa  letteratura  epistolare  segue  cosi  un'altra 
letteratura,  più  curiosa  e  più  caratteristica,  che  in  certa  guisa 
si  rifa  sulla  prima,  e  la  studia,  e  ne  trae  norme  e  precetti, 
cominciando  dalla  definizione  (2)  dQÌYepistola  e  terminando 
a  prefiggere  ad  essa  le  regole  più  minute,  a  enumerarne 
le  singole  parti,  a  dar  certi  speciali  metodi  atti  a  formarla. 
E  non  al  solo  insegnamento  teorico  limitavasi  la  Summa  : 
essa  presentava  anche  formule  già  beli'  e  fatte,  esempi  di 
lettere  adattate  alle  più  varie  circostanze  della  vita. 

(i)  Lib.  I,  cap.  HI. 

(2)  Tra  le  infinite  definizioni  dell'epistola  che  potrebbero  citarsi, 
scelgo  quella  ch'è  forse  la  più  antica  del  medio  evo  e  che  si  legge 
nélVArs  dictandi  d'ALBERico  da  Monte  Cassino: 

(c  Est  (igitur)  epistola  congrua  sermonum  ordinatio  ad  exprimen- 
«  dam  intentionem  delegantis  instituta.  Vel  aliter  epistola  est  oratìo 
«  ex  constitutis  sibi  partibus  congrue  ac  disti ncte  composita,  dele- 
«  gantis  aff"ectum  piene  significans  ». 

Vedi  anche  la  definizione  di  Boncompagno  Fiorentino  nel  co- 
dice C,  40  (f.  13)  della  biblioteca  Vallicelliana. 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  dì  ^ìen^o        387 

Invece  di  persone  e  di  luoghi  veri,  ora  troviamo  sem- 
plicemente delle  iniziali,  ora  una  o  due  A^;  talvolta  uno  o 
più  punti,  altra  volta  un  talis  o  tale  o  de  tali,  qcc.  Perfino 
certe  simulate  note  imperiali  o  papali  eran  compilate  dai 
dictatores  sulla  base  di  fatti  già  noti,  che  si  utilizzavano  op- 
portunamente nei  modelli  redatti  per  favorire  la  pigrizia 
dei  numerosi  epistolografi  d'allora. 

Di  tutta  quest'attività,  scuola  e  notariato  ci  appaiono 
due  massimi  fattori.  Le  Summae  dictaminum  venivansi 
moltiplicando  accanto  ai  formulari  notarili,  e  Vars  dictandi 
e  Yars  notarla  si  sviluppavano  parallelamente,  spesso  in- 
contrandosi e  Tuna  penetrando  nell'altra. 

«  Sono  -  scrive  il  Novati  (i)  -  come  due  correnti  che, 
sgorgate  dalla  medesima  fonte,  dopo  aver  corso  per  alvei 
separati  e  discosti,  si  vennero  poi  di  nuovo  ravvicinando, 
e  finirono  per  occupare  il  medesimo  letto,  senza  confondere 
però  del  tutto  le  loro  acque  ». 


IL 

Il  Rockinger,  che  dottamente  ragionò  dell'^r^  dictandi 
in  una  sua  breve  e  succosa  memoria  (2),  non  dubita  di 
ritenere  che  tutta  quest'  interessante  letteratura  dei  Dieta- 
mina,  la  quale  accompagnò  e  segui  lo  svolgimento  ò.q\V epi- 
stola medievale,  sorgesse  propriamente  in  Italia.  Egli  è  in- 
fatti con  Alberico  da  Monte  Cassino  che  la  teoria  dell'ara 
dictandi  s'annunzia  per  la  prima  volta  quasi  completa  e 
assume  tutti  i  principali  caratteri  che  poscia  le  rimasero. 

Alberico  ci  appare  come  un  vero  caposcuola.  La  sua  Ars 
dictandi  è  come  la  guida  della  scienza  dictatoria  del  medio 


(i)  Op.  cit.  p.  72. 

(2)  Die  Ars  dictandi  in  Italien   in  Sitiungsherichte  der  kònig.  buyer, 
Akademie  der  ÌVissenschaflen,  1861,  I,  Hcft.  I;  Monaco,  1861. 


388  qA.  Gabrielli 


4 


evo,  e  costituisce  il  fondo  comune  a  pressoché  tutte  le 
Summac  che  con  questo  o  con  nome  simile  produsse  in  se- 
guito r  Italia.  Poche  modificazioni  vennero  infatti  recate 
alle  teorie  d'Alberico  dai  dictatores  che  seguirono  presso  di 
noi.  E  che  lunga  e  gloriosa  schiera  se  n'ebbe!  E  quanti 
nomi  in  essa  si  ritrovano,  notissimi  anche  a  chi  non  s'oc- 
cupi del  nostro  tèma  !  Noi  entreremmo  senz'altro  a  ricor- 
darne almeno  i  più  illustri,  se  non  ci  occorresse  prima  ac- 
cennare allo  sviluppo  che  Vars  dictatoria,  nata  in  Itaha  e 
quasi  fissata  da  Alberico  da  Monte  Cassino,  andò  prendendo 
anche  in  Francia,  dove  una  scuola  particolare  sorse  e  si 
contrapose  alla  tradizione  italiana. 

Il  costituire,  come  abbiamo  detto,  l'arte  epistolare  la 
principal  parte  della  retorica,  portò  per  conseguenza  che 
dall'  Italia  essa  passasse  in  Francia  nel  tempo  stesso  che  vi 
trasmigrava  eziandio  la  scienza  del  diritto.  Ecco  pertanto 
apparire  accanto  alle  Summae  dei  maestri  italiani  quelle  di 
maestri  francesi,  e  fiorire  già  prima  del  secolo  xiii  gran  nu- 
mero di  dictatores  ultramontani,  i  quali  esclusivamente  de- 
dicavansi  a  insegnar  l'arte  dello  scrivere  lettere,  e  ai  loro 
trattati  attribuivano  il  miracoloso  potere  di  far  d'un  analfa- 
beta il  più  abile  redattore  d'epistole  ! 

Tutti  questi  maestri  di  Francia  facevan  capo  ad  Orléans, 
dove  s'andò  formando  quasi  una  scuola-madre  dell'arte 
epistolare.  Ma  Orléans  non  era  per  loro  un  gran  centro  di 
coltura,  e  nuli' altro  :  quella  scuola  divenne  anche,  per  cosi 
dire,  un  posto  di  combattimento.  E  la  lotta  ardeva  special- 
mente contro  l'università  di  Parigi,  al  cui  sistema  di  studi 
i  maestri  d'  Orléans  s'opponevano  con  bell'ardimento.  A 
Parigi  infatti  imperava,  signora  assoluta,  la  teologia,  e  la 
filosofia  aristotelica  e  la  logica  le  tenevan  bordone  :  a  Or- 
léans, per  contrario,  il  dominio  spettava  alla  retorica  e  alla 
grammatica.  Inde  irae  e  gelosie  e  satire  e  dispettucci  e  in- 
giurie tra  studenti  d'Orléans  e  di  Parigi,  e  questi  dare  ai 
loro  emuli  dei  Gomeriaiix,  e  quelli,  alla  lor  volta,  porre  in 


Intoì^no  air  epìstole  di  Cola  di  ^enio       389 

burletta  la  logica  e  chiamarla  collo  strano  appellativo  di 
Ouiqueìique...  (i).  Tutta  insomma  una  guerricciola  inces- 
sante, pettegola,  cosi  bizzarramente  rappresentata  da  quel 
curioso  fahlìcaux  eh' è  La  batailh  de  sipt  arts  (2)  dell'  iro- 
nico Rutebeuf.  Ivi  il  poeta  ci  mette  innanzi  la  Grammatica 
e  la  Logica,  la  dominatrice  d'Orléans  e  quella  di  Parigi, 
che  si  muovon  guerra  accanita.  Ciascuna  di  esse  forma 
un'armata  de'  suoi  vassalli  :  1'  esercito  d'  Orléans  non  ha 
che  poeti  antichi  e  qualche  prosatore  contemporaneo  ;  per 
contrario,  quello  di  Parigi  conta  fra  i  principaH  combat- 
tenti Aristotele  e  Platone;  ma  nell'uno  e  nell'altro  campo 
l'ironico  Rutebeuf  non  tralascia  di  porre  qualcuno  degli 
insegnanti  più  celebri  del  tempo.  Quanto  più  s'avvicina  il 
giorno  della  battaglia,  tanto  più  i  due  eserciti  si  van  rinvi- 
gorendo: all'armata  di  Parigi,  oltre  i  due  simbolici  com- 
battenti. Trivio  e  Quadrivio,  s'unisce  anche  l'Alta  scienza 
o  Teologia  ;  ma  a  questa  il  poeta  attribuisce,  in  cambio  del- 
l'armi ben  affilate,  una  voglia  matta  di  vino  buono. 

Madame  la  Haute-science 

A  Paris  s'en  vint,  ce  me  samble, 

Boivre  les  vins  de  son  celìer, 

Par  le  conseil  au  chancelier, 

Ou  elle  avait  moult  grant  fiance, 

Q.uar  c'ert  le  meillor  clerc  de  France  (^). 

Il  combattimento  è  bizzarramente  descritto  nell'allegro 
fabÌLcaiix . .  .  Fra  i  primi  che  rimangono  a  piedi,  ci  si  mo- 
stra niciitenicno  che  il  povero  Aristotele:  un  valoroso  ma- 
nipolo, composto  da  Persio,  Vergilio,  Giovenale,  Omero, 
Lucano  ed  altri  poeti  lo  schiaccerebbe,  se  in  suo  aiuto  non 

(i)  ii  Qii\  ,  ,,  (hiìqiiiìikikc:  le  cri  du  coq,  pour  designer  quelque 
«  personnage  impcrtincnt  »  (R0Q.UEFORT,  Diclioinuiiì  i  </<•  !u  ìuti^ue  ro- 
mane). 

(2)  A.  ]vBW\Lt  Qìuvres  complctes  de  Rutebeuf,  trouvhe  du  xiii*W^ 
ck;  Paris,  Duffis,  1875,  voi.  III. 

(3)  Versi  79-86. 


390  qA.  Gabrielli 


sopravvenissero  tutte  le  sue  opere,  rappresentate  come  al- 
trettanti guerrieri.  Dopo  altre  strane  vicende,  la  povera  Lo- 
gica, stanca  dal  menar  colpi  a  destra  e  a  manca,  se  ne  fugge 
impaurita  verso  la  cittadella  di  Montlhery,  accompagnata 
dall'Astronomia;  ma  i  guerrieri  della  Grammatica  la  inse- 
guono senza  tregua. 

Qui  però  il  poeta  ci  fa  assistere  a  un  ben  strano  spet- 
tacolo :  la  Retorica,  anziché  aiutare  la  Grammatica,  viene 
in  soccorso  alla  Logica.  E  la  battaglia  si  fa  sempre  più  ar- 
dente : 

Les  dames  ont  les  langues  lasses, 
Logìque  fìert  tant  en  sa  main 
Qu'ele  a  mis  sa  cotelé  au  pain. 
Coutele  nous  fet  sanz  alemele, 
Qui  porte  manche  sanz  cotelé 
De  ses  braz  nous  fet  aparance, 
Lors  le  cors  n'a  point  de  substance. 
Rhetorique  lì  vait  aidant, 
Qui  a  les  deniers  en  plaidant. 
Autentique,  Q,ode,  Digeste 
Li  fet  les  chaudiaus  por  la  teste; 
Quar  eie  a  tant  d'avocatiaus 
Qui  de  lor  langues  font  batiaus 
Por  avoir  l'avoir  aus  vilains, 
Que  toz  li  pais  en  est  plains  (i). 


Una  volta  assediata  nel  castello  dall'esercito  della  Gram- 
matica, la  Logica  manda  a  chieder  pace;  ma  il  messo  da 
lei  scelto  all'uopo  conosce  tanto  poco  le  regole  del  linguag- 
gio e  parla  cosi  goffamente,  eh' è  rimandato  senza  manco 
essere  udito.  Ma  ecco  all'  improvviso  operarsi  il  più  impre- 
veduto mutamento:  Astronomia,  alleata  di  Logica,  scara- 
venta sugh  assediami  una  terribile  folgore,  che  brucia  le 
tende,  disperde  le  schiere  e  le  mette  in  fuga. 

(i)  Versi  357-371- 


Intorno  all'epìstole  dì  Cola  dì  T{ienio       391 


Da  quel  giorno: 

Versifières  li  cortois 

S'enfui  entre  Orliens  et  Blois  ; 

Poesia,  cortese  ed  altèra,  non  s'aggira  più  per  la  Francia, 
là  ove  domina  la  sua  rivale.  Ma,  conclude  il  poeta,  le  cose 
non  andran  sempre  cosi,  e  tra  qualche  anno  la  nuova  gor 
nerazione  farà  della  Grammatica  il  conto  che  deve  : 

Seignor  li  Siècles  vait  par  vaines: 
Emprès  forment  vendront  avaines, 
Dusqu'à  XXX  anz  si  se  tendront, 
Tant  que  noveles  genz  vendront, 
dui  recorront  à  la  Gramaire, 
Ansi  com  l'on  soloit  faire 
Quant  fu  nez  Henri  d'Andeli 
Qui  nous  tesmoigne  de  par  si 
Con  doit  le  cointe  clerc  destruire 
Qui  ne  set  la  lecon  construire; 
Quar  en  toute  science  est  gars 
Mestres  qui  n'entent  bien  ses  pars  (i). 

Dopo  ciò,  è  inutile  notare  che  anche  quella  parte  della 
retorica,  che  concerneva  la  pratica  dìctatoria,  veniva  appena 
coltivata  alle  scuole  di  Parigi  e  posponevasi  alla  teologia, 
alla  filosofia,  alla  dialettica. 

Specialisti  adunque,  come  diremmo  oggi,  dell'arte  epi- 
stolare restavan  sempre  i  maestri  d'Orléans.  Ma,  pur  nel 
ristretto  campo  della  sola  epistolografia,  alla  più  insigne 
scuola  di  Francia  se  ne  contrapone  un'altra,  che  trova  la 
sua  naturai  sede  in  quella  stessa  Italia,  dove  le  teorie  del- 
l'ari dictatoria  si  erano  fissate  la  prima  volta,  e  precisa- 
mente nella  cancelleria  papale. 

La  curia  romana  non  aveva  molto  tardato  a  formarsi 
un  usHS,  uno  stylus  suo  proprio,  contrasegnato  da  speciali 
caratteristiche.  Ciò  è  mostrato  da  una  serie  non  breve  di 

(i)  Versi  450-461. 


392  qA.  Gabrielli 


attestazioni,  che  va  dal  Liber  diurnus ponti ficum  (i)  (sec.  viii), 
fino  a  quella  dataci  dal  fatto  che  sui  primi  del  secolo  xiii 
un  papa  dichiarava  false  certe  lettere  pervenutegli,  solo  per- 
chè -  diceva  -  si  discostavcmo  a  dictamine  e  a  stylo  della 
curia  pontificia  (2). 

La  duplice  tendenza,  che  da  un  lato  metteva  capo  ad 
Orléans  e  dall'altro  a  Roma,  ci  si  mostra  sempre  più  accen- 
tuata pochi  anni  dopo,  quando  il  battagliero  Boncompagno 
Fiorentino,  nella  prefazione  del  suo  Liber  X  tahulanim, 
scrive  cosi  :  «  Divisi  autem  librum  istum  per  tabulas,  ut 
«  omnes  quibus  placebit  et  precipue  viri  scholastici,  qui  per 
iifalsam  et  siipersticiosam  doctrinam  Aurelianensium  hactenus 
«  hac  arte  abutebantur,  tanquam  naufragantes  ad  eas  recur- 
«  rant  et  formam  sanctorum  patrum,  curie  romane  stylum 
«  in  prosaico  dictamine  studeant  imitari  »  (3). 

Ancora:  della  scuola  d'Orléans,  quale  contraposto  a 
quella  della  curia  romana,  trovo  fatto  cenno,  a  proposito 
dei  cursus  o  numerus,  nel  Candelabrum  di  Bene  di  Firenze, 
contenuto  nel  codice  Chigiano  I,  V,  174,  del  quale  dovrò 
occuparmi  più  innanzi  (4).  Appare  qui  pure  manifesta  la 
differenza  tra  la  forma  epistolare  d'Orléans  e  lo  styìus  della 
cancelleria  papale.  Ecco  ciò  che  si  legge  nel  codice  Chi- 
giano  (e.  47  v°)  :  «  Artificialis  est  illa  compositio,  que  le- 

(i)  LibòT  diurnus  pontificum  opera  et  studio  Ioannis  Garneri; 
Vienna,  1762. 

(2)  « Literis  ipsis  diligenter  inspectis,  ipsi  rescripsimus  eas 

«  tam  ex  dictamine  quod  a  stylo  cancelleriae  nostrae  discrepabant, 
«  omnino  falsas  esse  »  (Innocenzo  III  [1198-1216],  XIV,  ep.  137). 

(3)  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi,  ms.  lat.  8654,  fol.  125  v.  (Cf. 
più  innanzi  il  presente  scritto,  p.  406  e  sgg.,  dove  discorresi  di  Bon- 
compagno di  Firenze). 

(4)  È  anche  contenuto,  ma  senza  nome  d'autore,  nel  ms.  906 
(F°  S.  Victor)  della  Nazionale  di  Parigi.  (Cf.  C.  Thurot,  Notices  et 
extraits  de  mss.  latins  pour  servir  a  Vhisloire  des  doctrines  grammaiicales 
au  moyen  dge,  in  Notices  et  extraits  des  mss.  tomo  XXII,  par.  II  ;  Pa- 
rigi, 1868). 


Intorno  alV epistole  di  Cola  di  ^en\o       393 

«  pidam  orationem  reddit Sed  hoc  aliter  ab  Aurelia- 

«  nensibus,  aliter  a  Sede  Apostolica  observatur.  Aurelia- 
«  nenses  enim  ordinant  dictiones  per  ymaginarios  dactilos 

«  et  spondeos Nos  vero  secundum  auctoritatem  Romane 

«  curie  procedemus,  quia  stylus   eius  cunctis  planior  inve- 
ce nitur  » . 

Il  determinare  i  singoli  punti  nei  quali  esplicavasi  questa 
differenza  di  scuola  non  sarebbe  difficile;  ma  ci  menerebbe 
a  lunghe  e  minute  analisi  delle  singole  teorie,  che  troppo 
ci  distrarrebbero  dal  nostro  tèma.  Al  quale,  del  resto,  ba- 
stava segnalare  in  generale  il  fatto  della  duplice  tendenza 
che  dicemmo. 

Piuttosto,  è  curioso  notare  che  fra  i  molti  maestri  di 
epistolografia  formati  dalla  scuola  d'Orléans  (conosciutis- 
simo  quello  Stefano,  che  fu  prima  abate  di  Santa  Geno- 
veffa e  poi  vescovo  di  Tournai)  (i),  se  ne  contarono  al- 
cuni che,  nonostante  Tantica  opposizione  di  scuole,  anda- 
rono, sulla  fine  del  secolo  xii,  a  prestar  la  loro  opera,  come 
segretari  e  compilatori  d'epistole,  alla  cancelleria  pontificia. 
Segretario,  per  esempio,  d'Alessandro  III  fu  un  Giovanni 
d'Orléans  (Johannes  Aiireììanensis),  del  quale  ci  lasciò  me- 
moria una  lettera  a  lui  diretta  dal  sopra  nominato  Stefano 
vescovo  di  Tournai.  In  essa  lo  scrivente  invita  l'amico  a 
tornarsene  ad  Orléans,  dicendo  che,  per  chi  nacque  a  Or- 
léans, il  dimorare  nell'estate  a  Roma  dev'essere  un  vero 
supplizio;  d'akra  parte,  senza  farsi  illusioni,  prevede  che 
l'amore  dello  stipendio  seguiterà  a  tenere  Giovanni  inchio- 
dato al  lucroso  ufficio  suo  nella  curia  (2).  Un'altra   let- 

(i)  Cf.  Histoire  littéraire  de  la  France,  tomo  IX  (discorso  d'AN- 
TONio  Rivet:  Ètat  des  lettres  en  France  dans  le  xii'  siede). 

(2)  a  Dilecto  suo  lohanni  Aurelianensi,  domini  papae  scriptori, 
«  Stephanus  de  Sancta  Genovefa  rogat  ut  pctitiones  suas  ad  effectum 
«  pcrducat.  Natis  sub  Aurelianensi  aere  et  Ligeris  aqua  perfusis  aestivo 
«tempore  Romae  morari  niiiil  aliud  est  quam  mori:  facilius  est  aurea 
«  paupertate  frui  cum  salute,  quam  periculosam  corrogare  pccuniam, 


394 


qA.  Gabrielli 


tera  del  medesimo  Stefano  e  indica  altri  due  scolari  della 
scuola  d'Orléans,  impiegati,  sotto  Lucio  III  (1181-1185), 
alla  cancelleria  papale  :  Guglielmo  e  Roberto.  Dopo  aver 
confessato  che  il  dispiacere  della  partenza  dei  due  giovani 
epistolografi  alla  volta  di  Roma  gli  viene  lenito  dal  pen- 
siero del  grande  vantaggio  ch'essi  possono  trarne,  il  buon 
abate  di  Santa  Genoveffa  raccomanda  loro  alcune  peti- 
zioni da  lui  mandate  al  pontefice,  affinchè  o  egli  o  il  suo 
cancelliere  ne  prendano  sollecitamente  cognizione  (i). 

«  quae  et  sollecitudine  pulset  animum  et  corpus  agitet  cum  labore. 
«  Inde  est  quod  ad  reditum  te  hortarer,  si  tua  te  contentum  fortuna 
«  crederem,  si  ad  maiora,  quam  habeas,  successus  pristinos  tibi  prae- 
«  sumerem  non  blandiri.  Interim  dilectionem  tuam  rogo,  ut  petitiones 
«  nostras  ad  effectum  perduci  facias,  si  potueris,  et  maxime  super 
«  confirmatione  excomunicationis  communiae  Meldensis,  quoniam 
«  episcopum  eorum  in  excommunicatione  sententiae,  a  bonae  me- 
«  moriae  lohanne  Carnotensi  episcopo  in  prefatam  comuniam  latae, 
«  negligentem  experti  sumus  et  mandati  apostolici  contemptorem. 
«  Quere,  si  potes,  domini  papae  literas  ad  ipsum,  ut,  sicut  praedictus 
«  Carnotensis  episcopus  excommunicavit  auctores  communiae,  ita 
«  et  ipse  in  ecclesia  sua  excomunicatos  denunciet.  Pro  latore  prae- 
«  sentium,  familiari  meo  et  amico  nostro,  tibi  supplico,  ut  in  negotiis 
«  suis  quantum  potueris  eum  iuves.  Valete  ».  (Magistri  Stephani  Tor- 
NACENSis,  ahbatis  S.  Gmovefae  Parisimsis,  iunc  episcopi  Tornaunsis,  Epi- 
stolae;  Parigi,  1682,  lxv,  84). 

(i)  «  Charissimis  suis  Guillelmo  et  Roberto,  domini  papae  scripto- 
«  ribus,  frater  Stephanus  de  Sancta  Genovefa  aget  de  negotiis  seris 
«  in  Romana  curia  promovendis.  Comune  vobis  commonitorium 
c<  ofFero,  congaudens  peregre  profectis,  si  profectio  vestra  profectum 
«  vobis  pariter  pariat  et  provectum.  Utrumque  vobis  facile  compa- 
«  rabant  duae  divini  palatii  virgines,  humilitas  et  honestas  ;  si  vel 
«  alter  vel  uterque  vestrum  alterutram  excluserit,  quisquis  ille  fuerit, 
«  excludetur.  Sohìtt  plerique  Aurelianensium  aurei  Inter  alienos  esse,  qui 
«  nec  argenti  fuerant  inter  suos.  Metalla  morum  metior,  quamvis  non 
«  mentiar,  si  de  pecunia  faciam  mentionem.  Augeat  vobis  Deus  gra- 
«  tiam  suam,  ut  qui  in  curia  sunt,  gratos  vos  habeant,  et  nos  de 
«  vobis  faciant  gratulantes.  Quasdam  petitiones  nostras  Herveo  de 
«  Rocchis  commisimus,  Ecclesiae  nostrae  negotia  continentes.  Rogo 
«  vos  ut  per  vos  et  amicos  vestros,  quanta  sedulitate  et  sollecitudine 


Intorbilo  all'epistole  dì  Cola  di  ^'eJi^o        395 

Cosi  anche  fuori  di  Francia  s' imponeva  Tautorità  della 
scuola  d'Orléans.  Tanto  era  il  prestigio  di  cui  essa  go- 
deva, che  i  maestri  francesi  d'ars  dictandi  venivano  indi- 
stintamente chiamati  Aureliamnses.  Tutto  il  meglio  che,  in 
fatto  d'epistole,  si  scrivesse,  specie  sugli  ultimi  del  secolo  xiii, 
si  presumeva  a  priori  prodotto  da  quella  scuola. 

Di  là  era  venuto  il  primo  e  più  antico  trattato  d'epi- 
stolografia che  avesse  avuto  la  Francia,  la  nota  Stimma 
dictaminis  aurelianensis,  composta,  secondo  il  Rockinger, 
che  l'ha  in  buona  parte  pubblicata  (i),  circa  il  11 80  d.  C. 
da  un  anonimo  insegnante  d'Orléans  (2).  Da  allora,  sempre 
più  viva  si  va  facendo  l'attività  di  quell'  importante  centro 
letterario,  e,  appena  sei  anni  dopo,  ecco  apparire  un'altra 
Summa  dictaminis  per  magistrum  Dominicanum  Hispanum, 
che,  secondo  la  storia  dei  Benedettini  (3),  conservavasi  alla 
biblioteca  della  cattedrale  di  Beauvais.  E  ancora  un  gruppo 
d'altri  tre  importanti  trattati  d'epistolografia,  pure  usciti 
da  Orléans,  fu  segnalato  da  Leopoldo  Delisle  in  una  sua 
breve  memoria  su  le  scuole  d'Orléans  nei  secoH  xii  e  xiii  (4). 

«  poteritis,  opem  et  operarti  impendatis  quatinus  petitiones  illae  no- 
«  strae  a  domino  papa  aut  a  domino  cancellario  et  exaudiantur  be- 
«  nevole  et  benefìce  compleantur.  Si  de  retributione  cogitetis,  pa- 
«  ratus  sum,  loco  et  tempore,  praestito  mihi  beneficio  respondere  ». 
Stephani  Tornac.  Ep.  già  citate,  lxxxv,  126. 

(i)  V.  Briefsteller  iind  Formelbùcher  des  eilften  bis  vier:(ehnten  Jahr- 
hunderts,  bearbeitet  von  Ludwig  Rockinger  in  Quellen  und  Erorte- 
rungm  ^ur  hayerischen  und  deutschen  Geschichte,  Band  IX;  Monaco, 
1863  e  1864  (95-114). 

(2)  La  Summa  è  contenuta  nel  ms.  1093  della  biblioteca  Nazio- 
nale di  Parigi  (fol.  55-73).  Il  codice  è  del  secolo  xiii,  ma  ì  nomi 
che  figurano  nei  modelli  epistolari  mostrano  l'opera  composta  pre- 
cisamente nel  tempo  assegnatole  dal  Rockinger. 

(3)  Histoire  littérarie  de  la  France,  XIV  (1859),  377. 

(4)  Les  écoles  d'Orléans  au  xii*  et  au  xni^  siede  ndVAnnuai re-bui- 
letin  de  la  Società  de  V histoire  de  France,  voi.  VII  (1869). 

I*  Summa,  probabilmente  incompleta,  contenuta  nel  già  citato 
ms.  1093  della  biblioteca  Nazionale   di   Parigi   (fol.  81-82).    Tra  i 


39<3  QA.  Gabrielli 


Parimenti  è  ad  Orléans  che  ritroviamo  forse  il  più  po- 
polare, se  non  il  più  dotto,  dictator  di  Francia,  il  noto 
Ponzio  Provinciale,  fiorito  tra  la  prima  e  la  seconda  metà 
del  secolo  xiii. 

Aveva  dapprima,  l'ambizioso  maestro,  ammaestrati  nel- 
l'epistolografia i  giovani  a  Tolosa  e  a  Montpellier,  finché, 
cresciuta  la  rinomanza  di  lui,  non  era  pervenuto  all'ago- 
gnata meta  d'Orléans.  Documento  pieno  di  curiosità  e 
d'interesse  è  quella  specie  di  proclama,  che,  dando  principio 
al  suo  insegnamento,  egli  indirizzò  ai  dottori  e  agU  scolari 
d'Orléans.  Dice  in  esso  il  nostro  dictator  che  la  retorica 
gli  si  è  presentata  sotto  la  forma  d'una  giovinetta  bellis- 
sima e  gli  ha  dato  sette  chiavi  per  aprire  a  chi  ne  lo  ri- 
chiede le  sette  porte  della  grande  città  che  si  chiama  la 
Pratica  dello  stile  epistolare  (^Pratica  dictatoria^.  «  Vengano 
dunque  a  me  -  egli  esclama  -  tutti  coloro  che  vogliono  in 


modelli,  che  si  rapportano  quasi  tutti  a  giovani  studenti  d'Orléans, 
curiosissima  è  una  letterina  che  due  scolari  scrivono  ai  genitori  per 
chieder  loro  un  po'  più  di  danaro: 

«  Paternitati  vestre  innotescat  quod  nos,  sani  et  incolumes  in  ci- 
«  vitate  Aurelianensi,  divina  dispensante  misericordia,  coramorantes, 
«  operam  nostrani  cum  affectu  studio  totaliter  adhibemus,  conside- 
«  rantes  quia  dicit  Cato:  "  Scire  aliquid  laus  est,  etc.  ".  Nos  enim 
«  domum  habemus  bonam  et  pulcram,  que  sola  domo  distat  a  scolis 
«  et  a  foro,  et  sic  pedibus  siccis  scolas  cotidie  possumus  introire. 
«  Habemus  etiambonos  socios  nobiscum,  hospicio  vitaque  et  moribus 
«  comendatos  ;  et  in  hoc  nimium  congratulamur,  notantes  quia  dicit 
«  Psalmista  :  "  Cum  sancto  sanctus  eris,  etc.  ".  Unde,  ne,  deficiente 
«  materia,  deficiat  et  effectus,  v.  p.  duximus  deposcendam  quatinus  . .  . 
«  denarios  nobis  ad  emendum  perchamenum,  incaustum,  scriptoriam 
«et  alia  nobis  necessaria...  velitis  trasmittere  copiose..,». 

2*  Stimma,  contenuta  nel  ms.  8653  dell'antica  biblioteca  Imperiale 
di  Parigi,  scritta  nella  prima  metà  del  xiii  secolo  da  un  maestro 
Guido,  da  non  confondere  col  nostro  Guido  Faba. 

3*  Summa,  contenuta  nel  ms.  18595,  ^^oWa.  data  (fol.  16)  del  1259. 
È  un  rimaneggiamento  della  Summa  di  Ponzio  Provinciale,  ad  uso 
degH  scolari  d'Orléans. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  l^ien^o       397 

poco  tempo  diventare  esperti  dictatores  ;  io  ho  le  chiavi,  e 
son  qui  pronto  ad  usarle»  (i). 

Ma  chi  credesse  che  nella  Francia  soltanto  ad  Orléans,  e 
non  anche  altrove  -  sebbene  con  assai  minore  intensità  di 
lavoro  -  si  coltivasse  questa  geniale  arte  epistolare,  non 
sarebbe  nel  vero.  Maestri  insigni  d'epistolografìa  e  trattati 


(i)  Il  curioso  proclama,  contenuto  per  intero  nella  terza  delle  tre 
citate  Sutnmae  indicate  dal  Delisle,  merita,  a  parer  nostro,  d'essere 
ancora  qui  trascritto  : 

«  Universis  doctoribus  et  scolaribus,  Aurelianis  studio  commoran- 
«  tibus,  Poncius,  magister  in  dictamine,  salutem  et  audire  mirabilia 
«  que  secuntur. 

«  Cum  ego  Poncius  irem  sollicitus  per  montes  et  planicies  et 
«  convalles,  inveni  quandam  virgìnem,  in  amore  cuius  fui  statim  me- 
«  duUitus  sauciatus:  nec  fuit  mirum,  quoniam  ipsius  virginis  decoro 
«  capiti  flava  cesaries,  auro  multo  splendidior,  inherebat.  Generosa 
«  frontis  planities  non  calcata,  nive  candidior,  hìnc  capillis  erat,  hinc 

«  superciliis  circumfulgens Mentis  nobilitas  faciei  sic  partibus 

«  conformatur,  ut  nec  postremum  medio,  nec  primo  medium  videatur 
«  in  aliquo  decidere.  Sic  cetera  membra,  que  vestis  oculit,  nec  patent 
(<  oculis  meis,  conformia  predictis  arbitror  vel  etiam  meliora.  His 
«  igitur  Poncius  ego  factus  attonitus,  prostratus  cecidi  ad  pedes  vir- 
«  ginis,  et  extendens  brachia,  velud  eger  ad  medicum,  exclamavi:  "  O 
«  virgo  preclarissima,  ecce  morte  defficiam  in  brevi  tempore,  nisi  tua 
«  misericordia  me  in  suum  recipiat  servitorem  ".  Et  ait  tunc  virgo,  re- 
te spiciens  oculos  subridentes:  "  Si  quod  invenisti,  tenueris  custodire  ". 
«  Et  me  capit  per  manum  dexteram  et  surrexit,  et  ostendit  michi  pul- 
«  cherrimam  civitatem  et  imraensam,  dicens:  "  Civitatem  istam  nul- 
«  lus  ingreditur,  nisi  transiverit  septem  portas  ".  Et  postmodum  ad  pri- 
«  mam  portam  venimus,  et  ibi  fuerunt  salutationes,  benedictiones  et 
«  oscula  secundum  gradum  et  distinciones  personarum  supcrioruni, 
«  mediocrum  et  minorum  ;  et  ibi  erant  scripta  nomina  transeuntium 
«  universa,  et  omnes,  qui  transibant  per  dictam  portam,  variis  et  dì- 
«  versis  vinculis  ligabantur.  Et  ad  secundam  portam  accessimus,  et  ibi 
«  erant  antiqui  proceres,  circumspectì  ,et  providi,  quorum  erat  offi- 
<f  cium  atque  virtus  inter  homines  seminare  benivolentiam  et  nutrire, 
«  et  futura  predicare.  Et  ultra  proccdentes  ad  tertiam  portam  venimus, 
«  et  ibi  erant  de  omni  genere  linguarum  nuncii  expoditi  et  succinti 
a  breviier  et  veloces,  et  omnia,  que  in  tote  orbe  fiebant,  refcrebant. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  37 


398  Q/1.  Gabrielli 


di  pratica  dictatoria  se  ne  trovano  anche  sparsi  qua  e  là  in 
altri  luoghi  di  Francia.  Si  ricorda,  per  esempio,  nel  121^, 
un  Dictamen  che,  quantunque  d'evidente  provenienza  fran- 
cese, si  vede  non  compilato  ad  Orléans,  né  da  uno  di  quella 
scuola,  né  ad  uso  di  quegli  scolari  (i).  Esso  è  composto  da 
.Trasmondo,  abbate  di  Chiaravalle,  e  poscia,  come  indica 


«  Et  ad  quartam  portarti  ultra  processimus,  et  ibi  erant  due  scale 
«  longissime,  quarum  gradus  vix  possent  per  aliquem  numerari:  et  in 
«  una  scala  erant  omnes  clerici,  et  in  alia  omnes  laici  ;  in  superiori 
«  gradu  huiusmodi  scale  sedebat  summus  pontifex,  et  sub  ilio  alii 
«  pontifices  et  prelati,  per  gradus  debitos,  usque  ad  ultimum  clerico- 
«  rum,  et  in  gradu  superiori  scale  alterius  sedebat  imperator,  et  sub 
«  ipso  reges  et  comites,  at  alii  gradatim  descendentes  usque  ad  ulti- 

«  mum  laicorum Et  qccq  ad  quintam  portam  venimus,  et  ibi 

«  erant  mulieres  antiquissime,  et  erant  tante  scientie  quod  de  omnibus 
«  dicebant  negotiis,  si  fierent  vel  non  fierent,  quod  et  quale  inde  co- 
te modum  eveniret.  Et  qccq  ad  sextam  portam  venimus,  et  ibi  erat 
«  homo  antiquissimus  et  barbarus,  vestitus  tamen  vestes  varias  et  de- 
ce coras,  et  loquebatur  transeuntibus  tribus  linguis.  Et  accessimus  ad 
«  portam  septimam,  et  ibi  fuerunt  multi  lascivi  iuvenes,  saltantes  et 
«  currentes  velociter.  Et  sic  intravimus  in  civitatem.  In  civitate  ista 
«  erant  .xviii.  palatia  hedificata  lapidibus  preciosis,  et  erat  ordinatum 
«  qui  et  quales  et  quo  tempore  et  quibus  negociis  deberent  in  quolibet 
«  palacium  invenire.  Et  cum  hec  vidissem  omnia,  dixi  prediete  vir- 
«gini:  "O  virgo  speciosissima,  die  mihi  nomen  tuum  et  cuius  est 
«ista  civitas  et  quo  nomine  nuncupatur".  Et  ipsa  respondit:  "Ego 
«  vocor  Rhetorica.  Ista  civitas  appellatur  Pratica  dictatoria.  Et  quam- 
«  vis  soror  mea  Gramatica  se  dicat  fore  in  hac  civitate  mea  pro- 
«  porcionariam,  ego  tamen  obtineo  principatum.  Et  quoniam  paucos 
«  bonos  habitatores  habeo,  tibi  claves  accomodo,  tali  federe  quod 
«  .VII.  portas,  per  quas  tota  doctrina  epistolaris  dictaminis  figuratur, 
«  aperias  benigne  volentibus  ".  Ad  me  veniant  igitur  qui  esse  desi- 
«  derant  in  brevi  tempore  optimi  dictatores.  Ego  enim  sum  qui  claves 
«  habeo,  et  sum  paratus  quibuscumque  ydoneis  aperire.  Valete  ».  De- 
LiSLE,  scritto  citato,  p.  150  e  segg. 

(i)  È  contenuto  nel  cod.  585  (F°  Mazzarino)  e  nel  cod.  13688 
della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi.  Cf.  N.  Valois,  De  arte  scrtbenii 
epistolas  apud  GalUcos  medii  aevi  scriptores;  Parigi,  1880. 


Intorno  al V epistole  di  Cola  di  "^enio       399 

eziandio  T esordio  dell'opera  sua,  notaio  papale  (i).  Un 
amico  lo  aveva,  a  quanto  sembra  (2),  pregato  di  racco- 
gliere in  unum  corpus  le  lettere  da  lui  indirizzate  a  ogni 
specie  di  persone  e  per  i  più  svariati  negozi,  ed  egli  cede, 
sed  timide,  a  quel  desiderio,  e  ci  dà  una  breve  collezione  di 
lettere,  facendola  precedere  da  regole  e  da  precetti  su  Io 
stile  epistolare.  Quest'operetta  di  Trasmondo  acquista  una 
singolare  importanza  dal  fatto  che  l'autore  non  era  un  pro- 
fessore che  pomposamente  insegnasse  dalla  cattedra,  ma 
un  modesto  scriba,  cui  il  dovere  dell'ufficio  obbligava  a 
penetrare  tutti  i  segreti  della  tecnica  àdVars  dictandi. 

Delle  molte  altre  Summae  provenienti  da  scuole  e  da 
dictatores  francesi  trattò  con  sufficiente  larghezza  il  dottore 
Natale  Valois  (3),  e  noi  non  dobbiamo,  per  questa  parte, 
che  rimandare  al  suo  lavoro.  D'altronde,  la  Francia  non 
rientrava  nel  nostro  tèma,  se  non  in  quanto  rapportavasi 
all'opposizione  esistente  tra  la  scuola  d'Orléans  e  lo  stile 
epistolare  della  cancelleria  papale. 

Aggiungeremo  soltanto  l'osservazione  che  Vars  dictandi, 
anche  all'  infuori  delle  scuole  laiche  e  delle  cancellerie,  vìsse 


(i)  «  Incipiunt  introductiones  magistri  Transmundi,  Apostolice 
«  Sedis  notarli,  de  arte  dictandi  ». 

(2)  «  Rogastis  me  multociens  et  vestris  michi  literis  supplicastis, 
«  ut  cedulas  mcas  pauperes  exeuntes  de  pera  pauperc  et  personis 
«  variis  prò  variis  negociis  destinatas,  sive  ad  experientiam  tantum- 
«  modo  ingenioli  mei  oppositas,  quas  nec  purpura  sententiarum  nobi- 
«  litat,  nec  coloris  retliorici  picturata  loquacitas  floribus  compositionis 
«  adornet,  in  unum  corpus  redigens,  sarcinarem,  vobisque  ipsas  celeri 
«  sub  festinatione  transmitterem,  putans  in  cis  aliquid  invenire  dul- 
«  cedinis,  quod  vestrum  placidum  pectoris  appetitum  dclectet,  et  ad 
«  sui  lectionum  curam  continuam  vestri  desiderii  gustum  proprie  di- 
te ctionis  onata  provocet  et  invitet.  Faveo,  sed  timide,  petitionibus 
«  vestris,  ne  laudabilis  vestri  cordis  cupiditas,  gustibus  informata  non 
«  placidis,  vane  speì  penitus  expcctatione  fraudetur,  et  prò  frumcntis 
«  lolium  capiat  ». 

(3)  Op.  cit.  VI,  p.  39  e  segg. 


400  qA.  Gabrielli 


e  fiori  nei  conventi  e  negli  ordini  monastici  :  tanto  essa  era 
strettamente  collegata  a  qualsiasi  condizione  sociale.  Baste- 
rebbe ricordare,  su  la  menzione  fiutane  dal  Le-Clerc  (i), 
Elia  de  Boulhac,  abbate  di  San  Marcello  nella  diocesi  di 
Caliors,  il  quale  compose  nel  1378  un  copioso  formulario 
di  lettere  dedicato  ai  suoi  fratelli  Cisterciensi  e  da  servire 
esclusivamente  al  loro  uso:  Formularium  valde  utile  episio- 
larum  toto  ordine  servandiim  (2). 

Dopo  ciò,  volgiamo  per  poco  lo  sguardo  all'Italia. 


III. 


Un'accurata  rassegna  dei  più  insigni  cultori  di  ars  di- 
ctandi  che  fiorirono  nel  paese  nostro  darebbe  al  nostro 
studio  assai  maggiore  estensione  che  non  ci  siamo  proposti. 
Basteranno,  quindi,  intorno  ai  principali  dictatores  italiani, 
quegli  accenni  generali  che  servono,  più  che  altro,  a  trac- 
ciare la  linea  non  interrotta  della  nostra  tradizione  epi- 
stolare. 

Dell'importanza  che  ha  per  l'epistolografia  medievale  la 
produzione  d'Alberico  da  Monte  Cassino  (1075-1110)  ab- 
biamo già  fugacemente  toccato  (3).  Vero  capo-scuola  per 
i  dictatores  posteriori,  egli  sta,  colla  sua  Ars  dictandi  (4), 
quasi  a  cavallo  fra  il  secolo  xi  e  il  xii,  e  a  lui,  si  può  dire, 
fanno  capo  le  compilazioni  di  tutti  i  maestri  che  seguirono. 
Scrittore  fecondo  e  immaginoso,  di  lui  conosciamo  anche 

(i)  Histoire  littéraire  de  la  Franca  au  xiv^  siede  -  Discours  sur  Vétat 
dis  lettres,  par  Victor  Le-Clerc;  Parigi,  Lévy,  1865,  voi.  I,  p.  465. 

(2)  De-Wisch,  Bibliolheca  scriptorum  sacri  ordinis  Cisterciensis,  1856  ; 
p.  lOI, 

(3)  V.  sopra,  p.  387. 

(4)  Pubblicata  in  gran  parte  dal  Rockinger,  cit.  Quellen  und  Eròr- 
tirungen  etc.  I  Abth.  pp.  1-46. 


Intorno  air  epistole  di  Cola  di  T^enio       401 

due  opere  minori,  che  s' intitolano  :  Flores  rethorici  o  Dieta- 
mimmi  rada  e  Breviarium  de  dictamine.  Ma  degno  per  noi 
di  speciale  attenzione  sembrami  l' esordio  dell'  opera  sua 
maggiore  :  «  Cogimur  -  egli  scrive  -  erudiendorum  sedu- 
((  litati  de  ratione  dictandi  quedam  summatim  perstringere. 
«  Sed  ea  rogamus  ne  dictandi  peritus  irrideat,  ne  emù- 
«  lorum  lividus  dens  corripiat,  ne  ignarus  artis  abhorreat, 
«  quoniam  etsi  lima  perfectionis  non  assit,  non  ideo  tamen 
«  in  omni  parte  erit  inutile.  Quapropter  simpliciter  edita 
«  simplices  simpliciter  audiant,  et  audita  intelligant,  et  in- 
«  tellecta  in  cordis  arcula  tenaciter  fìngant.  Et  in  eadem 
«  arte  promoti  aliquos  in  aream  de  suis  manipulis  gratia 
«  excutiendi  grani  adiiciant  » . 

A  chi  alludevano  quelle  aspre  parole  d'Alberico:  «ne 
aemulorum  lividus  dens  corripiat  »  ? 

La  risposta  non  è  difficile,  se  si  ricordino  i  dictatores 
che  fiorirono,  a  lui  contemporanei,  dopo  il  iioo. 

Ora,  tra  questi,  a  non  parlar  del  suo  scolare  Giovanni 
di  Gaeta,  poi  divenuto  papa  col  nome  di  Gelasio  II,  a  non 
parlare  d'Alberto  d'Asti,  d'Aginulfo  e  di  altri  men  noti, 
rifulgono  specialmente  Alberto  di  Samaria  e  Ugo  di  Bo- 
logna. Si  sa  del  primo  che  viveva  sotto  il  pontificato  di 
Pasquale  II  ( 1 099-1 1 18)  e  che  conobbe  Alberico  di  Monte 
Cassino,  già  in  età  molto  avanzata.  Un  suo  scritto,  del 
quale  una  parte  fu  riportata  dal  Rockinger,  mostra  essere 
appunto  questo  Alberto  uno  degli  emuli  cui  Alberico  al- 
ludeva. Egli  infatti  non  si  fa  alcuno  scrupolo  di  biasimare 
acerbamente  quelle  ch'el  chiamava  le  nenie  Qmenias)  d'Al- 
berico, e  di  condannarlo  quando,  per  esempio,  ei  vuole 
stabilire  «  qualiter  per  indicativum  ceterosque  modos  et 
((  impcrsonalia  fieri  decet  epistolas  ».  Secondo  l'inesorabile 
critico,  «  tales  barbaras  inusitationes  sapientes  et  nostri  se- 
«  culi  potentes  spernunt  ».  Deve  invece  tenersi  di  mira 
soltanto  la  constructio  di  Prisciano,  adottarsi  Vusus  e  lo  stile 
epistolare  di  Cicerone  e  studiarsi  Macrobio  e  Boezio,  che 


402  qA.  Gabrielli 


Alberto    dice   d'avere,  dal   canto   suo,  cercato    d' imitare, 
sempre  che  gli  è  stato  possibile  (i). 

Ammiratore  sincero  d'Alberico  è  invece  Ugo  di  Bo- 
logna (2),  il  quale  dice  del  vecchio  maestro  :  «  In  epistolis 
«  scribendis . . .,  non  iniuria  creditur  ceteris  excellere  »  (3), 
e  biasima  la  nuova  e  indisciplinata  dottrina  (tenicritateìn  et 
indiscipìinatae  doctrinae  novitatem)  d'Alberto  di  Samaria. 

S'andavano  dunque  fin  da  allora  accendendo,  fra  questi 
nostri  gravi  dictatores,  quelle  ire  erudite,  che  son  parte 
così  caratteristica  della  nostra  storia  letteraria  !  E  neanche 
in  mezzo  a  loro  venne  tanto  presto  alzata  bandiera  bianca; 
vedremo  anzi  tra  breve  come  ai  tempi  dell'arguto  Bon- 
compagno  la  discordia  si  facesse  anche  più  acuta.  La  lotta 
non  era  soltanto  fra  persona  e  persona,  ma  fra  città  e 
città,  fra  scuola  e  scuola  ;  che  già  quell'Alberto  rappresen- 
tava lo  studio  di  Pavia  e  quell'Ugo  lo  studio  di  Bologna, 
rivali  l'un  contro  l'altro  armati,  e  disputantisi  il  primato 
nella  retorica. 

E  procedendo  oltre  il  secolo  xii,  c'incontriamo  sui  primi 
del  XIII  in  quel  Goffredo  di  Vinesauf  che  fu  tra  i  più  ce- 
lebri insegnanti  di  Bologna,  e,  oltre  una  Poetria  dedicata 
a  Innocenzo  III  (11 98- 12 16),  scrisse  un'^r^  dictatninis, 
della  quale  tanto  il  prologo  quanto  l'epilogo  son  composti 
in  esametri.  Feste  pudoris  ahiecta,  egli  dice: 

vobis  referam  quo  sidere  vestrum 

Dictamen  lucere  queat,  quo  clausola  possit 
Lascivire  gradu,  quis  sit  dictaminis  ordo, 
Q.ue  partes;  ubi  fessa  suum  distinctio  sistat 

(i)  V.  RocKiNGER,  scritto  cit.  in  Sit:(imgsherichte  der  Ah.  der  JViss. 
di  Monaco,  p.  124. 

(2)  V.  le  sue  Rationes  dictandi,  pubblicate  dal  Rockinger,  cit. 
Quellen  und  Erdrtemngen,  I  Abth.  pp.  47-94. 

(3)  V.  la  prefazione  a  un  suo  scritto  di  ars  dictandi,  dedicato 
a  un  giudice  palatino  di  Ferrara  (Rockinger,  scritto  cit.  in  Siiiungs- 
lerichte  der  Ak.  der  Wiss.  p.  125). 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o       403 

Vel  renovetur  iter,  que  sint  connubìa  vocum, 
Et  quibus  auxiliis  verbi  redimatur  egestas  (i). 

E  contemporaneo  a  Goffredo,  ecco  presentarcisi  mae- 
stro Bene  di  Firenze,  del  quale  già  ci  è  occorso  (2)  nomi- 
nare il  trattato  :  Candelahrum  seu  Stimma  recte  dictandi,  con- 
tenuto nel  codice  Chigiano  (del  principio  del  secolo  xiii), 
segnato  I^  V,  174,  nel  quale  non  sai  se  maggiore  sia 
r  interesse  storico  o  il  paleografico.  È  noto  come,  dietro 
un'erronea  induzione  del  Muratori,  fosse  questo  dictator 
identificato  con  Boncompagno  Fiorentino;  ma  l'errore  del 
grande  storico  venne  subito  emendato  dal  Tiraboschi  (3), 
che  conosceva  l'opera  di  Bene  per  averne  veduto  un  ms. 
nella  biblioteca  dei  Padri  Domenicani  di  San  Giovanni  e 
Paolo  in  Venezia.  Si  ha  poi  sicura  attestazione  del  giura- 
mento di  fedeltà,  prestato  da  maestro  Bene  all'università 
di  Bologna,  nonché  della  nomina  di  lui  a  cancelliere  del 
vescovo  di  quella  stessa  città  (anno  122(3).  Mori  non  vec- 
chio, e  la  sua  perdita  era  amaramente  deplorata  da  Pier 
della  Vigna. 

Cosi  comincia  l'opera  di  Bene  nel  codice  Chigiano, 
di  cui  io  mi  sono  servito  per  la  conoscenza  di  questo  epi- 
stolografo: «Incipit  Summa  perfecte  dictandi,  a  doctore, 
«  qui  Bonum  dicitur,  ordinata  » . 

Il  perchè  dell'altro  titolo  di  Canddahrum  ci  è  fatto 
noto  dallo  stesso  autore  (e.  42):  «  Presens  opus  Can- 
ee delabrum  nominatur,  quia  populo  dudum  in  tenebris 
«  ambulanti  lucidissimam  dictandi  peritiam  cognoscitur 
«  exhibere  ». 


(i)  S.  F.  Hahn,  Collectio  monumentorum  veterum  et  recentium  inc- 
ditorum  ;  Brùnsvich,  1724,  voi.  I,  n.  V.  Cf.  Rockinger,  scritto  cit. 
in  Sitiungsherichte  der  Ak.  der  Wiss.  p.  134. 

(2)  V.  sopra,  p.  392. 

(3)  Storia  della  letteratura  italiana,  \o\.  II,  libro  III,  cap.  v,  p.  190 
(cdiz.  di  Milano,  Bottoni  e  Comp.  1S33:  Biblioteca  enciclopedica  ita- 
liana, voi.  XXII,  XXIII,  XXIV  e  XXV). 


404  <^'  Gabrielli 


E  alla  fine  delFopera,  in  una  Oraùo  finitiva  opus  dilu- 
cidans  quod  processit,  dichiara:  «  Opus  inchoatum  iam  ad 
((  finem  desideratum  perducitur,  divina  gratia  largiente,  in 
«  quo  ars  dictatoria  continetur.  Licet  clara  Florentia  nos 
«  genuerit,  fructum  tamen  scientie  vel  saltem  alicuius  bo- 
«  nitatis  a  Bononia  contrahentes,  ipsam  precipue,  matrem 
«  nobilium  studiorum,  debemus  et  volumus  semper  ma- 
«  gnifice  honorare  »  (e.  ^^y 

Ma  contributo  anche  maggiore  che  non  desse  all'epi- 
stolografia del  secolo  xiii  Bene  di  Firenze,  portò  Guido 
Faba  (i),  come  quei  che  sempre  meglio  sviluppò  nella 
Siimma  la  parte  pratica ,  formata  dagli  innumerevoli 
esempi  di  lettere,  dispose  con  più  armonia  il  materiale,  e 
spesso,  accanto  ai  modelli  in  latino,  altri  ne  collocò  in 
lingua  volgare.  Le  sue  opere,  tra  cui  sono  le  principali 
la  Sumnia  dictaminis  e  i  Dictamina  rethorica,  portano  i  ti- 
toli seguenti:  Arengae  (2)^  Gemma  purpurea,  Summa  de  vir- 
tutibus  et  vitiis  e  Doctrina  ad  inveniendas,  incipiendas  et  for- 
mandas  maierias  et  ad  ca  que  circa  huiusmodi  requiruntur. 

La  Summa  dictaminis  e  i  Dictamina  rethorica,  le  due 
opere,  cioè,  che  più  e  interessano,  trovansi  nel  codice  I, 
IV,  10^  della  biblioteca  Chigiana  (sec.  xiii),  che  è  forse, 
tra  i  parecchi  manoscritti  che  le  contengono,  il  più  impor- 
tante. Precede  in  esso  (3),  com'era  uso  costante,  la  parte 
teorica  (Summa  dictaminis^,  terminata  da  una  Epistola  laudis 
commendationis,  ch'è  una  specie  di  dedica  che  Fautore  fa 


(i)  RocKiNGER,  cit.  Quellen  una  EròrUrungen  etc.  I.  Abth.  pp.  175- 
200,  e  cit.  scritto  in  Sit:{ungsherichte  der  Ak.  dòr  Wiss.  p.   137. 

(2)  È  un'assai  caratteristica  collezione  d'esordì  da  preporsi  alle 
varie  lettere,  secondo  le  piìi  varie  circostanze.  Gli  esordi  chiama- 
vansi  comunemente  appunto  col  nome  di  arengae.  V.  cod.  Chigiano 
I,  IV,  106  (e.  49):  ((  Incipiunt  arenge  magistri  Guidonis  ad  Dei 
«  laudem  et  decus  et  decorem  studentium  sub  compendio  annotate, 
«  que  tanquam  prefationes  preponuntur  w. 

(3)  Ce.  1-25. 


Intorno  all' epistole  di  Cola  di  ^ien^o       405 

del  proprio  lavoro  ad  un  alto  personaggio:  «  A  Domino 
((  -  scrive  Guido  Faba  -  factum  est  istud,  cuius  gratia  summa 
«  vivimus,  et  ad  honorem,  gloriam  et  laudem  magnifici 
«  viri  ac  feliciter  triumphantis,  cuius  praeconia  mirificae 
«  bonitatis  nec  silere  possum  nec  stylus  invenitur  sufficiens 
«  ad  dicendum,  quoniam  de  ipso  iam  loquitur  omnis  terra 
«  et  omnes  gentes,  nationes  et  populi  magnificant  sua  gesta 
«  tanquam  militìs  strenuissimi  et  praeclari,  cuius  fama  lu- 
«  cidissima  militarem  gloriam  decorat  et  totam  illuminat 
«  parentelam  ...  ».  E  conclude  :  «  Accipe  nunc  praesentem 
((  libellum,  egregie  potestas,  laudabili  manu  dextera,  etc.  ». 

Se  tra  Guido  e  questo  Aliprando  Faba  (i)  corresse 
parentela,  non  sappiamo  stabilire  con  certezza.  Possiamo, 
per  contrario,  affermare  che  il  nostro  dictator  vestiva  l'abito 
ecclesiastico,  e  che  fors'anche,  con  qualche  ufficio  chieri- 
cale,  viveva  a  Bologna  (2). 

Alla  Summa  dictaminis  seguono  nel  codice  Chigiano  i 
Dictamina,  una  lunga  e  curiosissima  serie  di  modeUi  epi- 
stolari, dove  trovano  applicazioni  le  regole  esposte  dal  di- 

(i)  D'un  tal  podestà  di  Bologna  sappiamo  solamente  ciò  che  ne  è 
detto  nella  Cronica  di  Bologna,  pubblicata  dal  Muratori,  Rer.  Ital. 
Script.  XVIII,  256:  «  Messere  Aliprando  Fava  fu  podestà  di  Bolo- 
«  gna.  A  dì  4  di  settembre  (1229)  i  Bolognesi  andarono  a  campo 
«  a  San  Cesario,  e  combatterono  il  detto  castello,  e  lo  presero.  E 
«  tutti  gli  uomini  che  vi  erano  dentro  furono  presi  in  numero  di  520. 
«  E  disfecero  il  castello,  malgrado  de'  Modenesi,  de'  Parmigiani  e 
«  degli  Ariminesi  e  di  que'  di  Pavia,  ch'erano  tutti  col  carroccio  di 
«  Parma  nella  campagna  di  S.  Cesario.  Dipoi  l'oste  de'  Bolognesi 
«  con  pochi  loro  amici  combattè  co'  predetti  della  parte  di  Modena 
«  nella  detta  campagna,  e  dall'una  parte  e  dall'altra  molti  ne  furono 
«  morti  e  presi.  A  dì  io  di  decembre  il  vescovo  di  Reggio  e  un 
«  frate  ch'avea  nome  Guala  fecero  tregua  tra  i  Bolognesi  e  i  Mo- 
«  denesi  e  co'  seguaci  di  cadauna  delle  parti  per  nove  anni,  e  tutti 
«  i  prigioni  furono  lasciati,  e  andarono  alle  loro  città  ». 

(2)  Infatti  più  d'una  volta  egli  si  nomina:  «  Magister  Guido  fi- 
«'delissimus  clericus  et  devotus  >»,  e  in  qualche  luogo  anche  ag- 
giunge: «  Sancii  Michaelis  Bononiehsis  ». 


4o6  kA.  Gabrielli 


ctator  nell'opera  precedente  :  «  Incipiunt  dictamina  a  magi- 
«  stro  Guidone  composita,  quae  celesti  quasi  oraculo  edita 
((  super  omni  materia  suavitatis  odorem  exhibent  literalis, 
«  quia  de  Paradisi  fonte  divina  gratia  processerunt  ».  Ogni 
lettera,  presentata  come  modello,  ha  la  corrispondente  ri- 
sposta :  si  trova  cosi,  per  esempio  :  Ep.  de  fiìio  ad  parentes 
e  subito  appresso  :  Responsiva  parenttim;  Ep.  de  sorore  ad 
fratrem  e  Responsiva  ad  predictam,  e  cosi  di  seguito.  Ma  sul 
Chigiano  I,  IV,  io6,  che  meriterebbe  da  solo  un'ampia  illu- 
strazione, le  proporzioni  del  nostro  lavoro  non  ci  consen- 
tono di  soffermarci  più  oltre. 

Volgiamoci  piuttosto  a  quello  che,  fra  gli  epistolografi 
del  secolo  xiii,  meglio  incarna  il  tipo  caratteristico  del  di- 
ctator,  a  quel  bizzarro  Boncompagno  di  Firenze,  che  fu,  nel 
campo  deir^r^  dictaminis,  un  vero  innovatore  (i).  Profes- 
sore dei  più  illustri  allo  studio  bolognese  e  a  Bologna  co- 
ronato solennemente  di  lauro,  scrisse  con  instancabile  fe- 
condità buon  numero  di  opere  retoriche,  delle  quali  l'elenco 
ci  fu  lasciato  da  lui  stesso  (2),  per  quanto  non  tutte  sieno 
in  quella  enumerazione  ricordate.  È  dunque  colla  scorta  di 

(i)  TiRABOSCHi,  Su  della  leti.  ital.  IV,  463  ;  Rockinger,  cìt.  Quellen 
und  Eròrt.  I,  11 5-174,  e  cit.  scritto  in  Sit:{.  der  Ah  der   Wiss.  p.  134. 

(2)  Trovasi  inserito  in  un  curioso  dialogo  tra  Lihòr  e  Auctor,  pre- 
messo al  trattato  che  s' intitola  :  Boncompagnus,  ed.  dal  Rockinger  in 
Quellen  und  Eròrt.  già  cit.  I,  p.  133.  Scrive  dunque  Boncompagno  : 

«  Libri  quos  prius  edidi  sunt  .xi.  quorum  nomina  hoc  modo  spe- 
«  cifico,  et  doctrinas,  que  continentur  in  illis,  ita  distinguo  :  Quinque 
«  nempe  tabule  salutationum  doctrinam  conferunt  salutandi.  Palma 
«  regulas  inìtiales  exhibere  probatur.  Tractatus  virtutum  exponit  vir- 
«  tutes  et  vicia  dictionis.  In  Notulis  aureis  veritas  absque  mendatio 
«  reperitur.  In  libro  qui  dicitur  Oliva  privilegiorum  dogma  continetur. 
«  Cedrus  dat  notitiam  generalium  statutorum.  Myrra  docet  fieri  testa- 
te menta.  Breviloquium  doctrinam  exhibet  inchoandi.  In  Ysagoge  epi- 
«  stole  introductorie  sunt  conscripte.  Liber  amicitie  viginti  sex  ami- 
te  corum  genera  distinguit.  Rota  Veneris  laxiva  et  amantium  gestus 
t(  demonstrat  ».  Cf.  Tiraboschi,  St.  della  lett.  ital.  voi.  II,  lib.  Ili, 
cap.  v,  p.  187,  ediz.  citata. 


Intorbo  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o       407 

Boncompagno  medesimo  che  possiamo  registrare  le  se- 
guenti opere  di  lui  : 

I*  Qtiinque  tabule  salutationutn,  volte  a  disciplinare  e  a  re- 
golare la  saltitatio  della  lettera.  Ho  potuto  vedere  queste 
tabtilae  in  un  bel  codice  della  Vallicelliana,  segnato 
C,  40  (i).  La  prima  tavola  dà  le  saìutatioms  da  usarsi 
dal  papa,  prima  per  omnes  christianos  (2),  e  poi,  via  via, 
per  l'imperatore,  l'imperatrice,  il  re  di  Francia,  i  pa- 
triarchi, gli  arcivescovi,  i  vescovi,  qcc;  la  seconda,  le 
saìutationes  di  tutti  questi  alti  personaggi  al  pontefice; 
la  terza,  le  saìutationes  vicendevoli  tra  i  potentati  laici  ; 
la  quarta  quelle  fra  gli  ecclesiastici  di  tutti  i  gradi  ge- 
rarchici ;  la  quinta  finalmente  quelle  tra  i  laici  o  saecu- 
lares  (3). 

(i)  Cod.  pergam.  del  sqc.  xiii,  composto  di  ce.  205.  Contiene: 
(ce.  i-7^)Boncompagni  opuscula;  (ce.  74-138)  Magistri  Alani  da  diversis 
vocdbulorum  vocationihus ;  (ce.  139-140)  De.  ordine  iudiciorum  d'autore 
incerto;  (ce.  141-205)  i  tre  scritti  di  Ssini' Agostino  \  Enchiridion,  Liher 
de  decem  chordis,  Sermo  de  iur amento.  Alla  fine  dei  Bon compagni  opu- 
scula trovo,  della  stessa  mano,  questa  nota  :  «  Iste  liber  est  monasterii 
«  Sancti  Bartholomei  de  Trisulta  Carthusiensis  ». 

(2)  « Primiter  vicarius  Christi   et  magister   catholiee  fidei 

«  summus  pontifex  generaliter  salutat  omnes  christianos  in  hune  mo- 
(cdum:  Celestinus,  servus  servorum  Dei  nomen  recipiens,  salutem 
«  et  apostolicam  benedietionem  ». 

(3)  Null'altro  che  una  nuova  redazione  o  un'amplificazione  delle 
Quinque  tahulae  salutationum  è  il  Liber  X  tàbularum  dello  stesso  Bon- 
compagno. Ivi  alle  cinque  antiche  tavole  egli  ne  aggiunse  altre  cinque, 
nelle  quali  w  continebuntur  omnes  modi  componendi  epistolas,  ser- 
«  mones,  privilegia,  orationes  rethoricas  et  testamenta  ».  Nella  pre- 
fazione della  sua  nuova  opera  l'A.  medesimo  si  riferisce  all'opera 
antecedente,  a  Presens  opusculum,  -  egli  scrive  -  quod  in  civitate 
«  Regina  nuper  inceperam  pcrtractare,  de  quo  solummodo  .v.  saluta- 
«  tionum  tabulas  perfeceram,  quibus  ad  presens  in  civitate  Bononia 
«  multa  superaddidi,  easque  diligcntiori  lima  correxi,  gratis  vestre 
«  offero  univcrsitati,  socii  peramandi,  cruditioncm  vcstram  humiliter 
«  deposcens,  ut  quod  gratis  datum  est,  gratis  curetis  impartiri 


4o8  QA.  Gabrielli 


2*  Lihcr  qui  dicitur  Palma  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  13  r°), 
dove  si  tratta  dell* epistola  in  generale  e  dei  testamenti. 

3"  Tractatiis  virtntum,  ove  s'espongono  i  pregi  dello  stile 
e  i  vizi  contrari  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  7  v''). 

4*  Notulae  aureae  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  1 1  r°),  che  formano, 
per  confessione  dello  stesso  Boncompagno  (i),  come 
un'appendice  al  Tractahis  virfutum. 

5*  Liher  qui  dicitur  Oliva  (^coà.  Valile.  C,  40;  e.  17  v°),  che 
tratta  dei  privilegi  ecclesiastici. 

6^  Cedrns  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  33  v°),  che  tratta  degli  sta- 
tuti (2). 

7^  Myrra  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  SS^°^^  ^^^  discorre  dei  te- 
stamenti. 

S''  Breviloquium  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  38  v°),  che  tratta  della 
composizione  degli  esordì. 

9^  Ysagoge  (cod.  Valile.  C,  40;  e.  58 r°),  che  torna  a  par- 
lare della  introduzione  dell'epistola. 

10^  Liber  amicitiae  (cod.  Valile.  C,  46;  e.  42  v°),  nel  quale 
TA.,  entrando  tutt'a  un  tratto  in  piena  filosofia,  tratta,  a 
imitazione  di  Cicerone,  deiramicizia, distinguendo,  come 
al  solito,  anche  in  questo  tèma,  la  bagatella  di  ventìsei 
generi  d'amici. 

11^  Rota  FeneriSj  che  potrebbe  dirsi  una  specie  d'ars  ama- 
toria (cod.  Valile.  C,  40;  e.  ^^  r°). 


«  Liber  siquidem  iste  dicitur  liber  .x.  tabularum,  quia,  sicut  in  .x.  pre- 
ce ceptis  continebatur  omnis  perfectio  veteris  Testamenti,  ita  et  in 
«  istis  .X.  tabulis  omne  complementum  prosaici  dictaminis  contine- 
«turw.  Ms.  latino  8654  della  Nazionale  di  Parigi,  f.  125.  Cf.  De- 
LiSLE,  cit.  scritto  neW Amiuaire-hulletin  de  la  Soc.de  l'hist.  frang.  appen- 
dice VI,  p.  152. 

(i)  Cod.  Valile,  e.  11:  «In  Tractatu  virtutum  non  dicere  omnia 
«  potui,  que  ad  scientiam  dictaminum  pertinebant.  In  hiis  autem  [no- 
ce tulis]  prout  poterò  supplebo  ». 

(2)  È  il  solo  scritto  di  Boncompagno  pubblicato  per  intero  dal 
RocKiNGER,  cit.  Quellen  und  Eròrt.  de.  I.  pp.  121-127. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  T^ienio        409 

A  questi  scritti  sono  da  aggiungere  le  Arengae,  una  serie 
d'esordì  simile  a  quella  di  Guido  Faba,  pure  contenuta  nel 
sopracitato  codice  Vallicelliano  (e.  ^8  r*"),  e  le  due  opere  che 
Boncompagno  compose  ultime,  cioè  Y Antiqua  e  la  Novissima 
rethorica,  dove  più  s'appalesa  il  suo  ardire  d'innovatore. 

Del  resto,  da  tutta  la  produzione  di  Boncompagno  Fio- 
rentino non  potrebbe  esser  meglio  reso  il  tipo  del  cultore 
medievale  di  ars  dictandi  :  grammatico  e  giurisperito,  uomo 
di  lettere  e  uomo  di  legge,  e  fin  qualche  volta,  come  nel 
libro  De  amicitia  e  nella  Rota  Vmeris,  filosofo  a  tempo  per- 
duto !  Colla  stessa  facilità,  onde  scolasticamente  distingueva 
e  divideva  e  suddivideva  le  parti  ò.q\Y epistola  e  ne  dava  le  re- 
gole e  ne  compilava  gli  esempi,  l'arguto  maestro,  nella  Retho- 
rica novissima,  si  fliceva  a  ricercare  stranamente  e  ad  esporre 
a  suo  modo  l'origine  del  diritto,  intitolandone  appunto  :  De 
origine  iuris  il  primo  libro,  ed  enumerando  nientemeno  che 
quattordici  ordines  iiiris,  dei  quali  il  primo  si  ritrovava  in 
coelis,  il  secondo  in  paradiso  deìiciarum,  il  terzo  in  Adamo, 
e  cosi  via  di  seguito  fino  al  decimoquarto,  del  quale  «  iniu- 
«  riosa  et  damnabilis  origo  fuit  tempore  Mahometti,  qui, 
«  dum  iumentos  et  asinos  custodiret,  se  transtulit  in  prophe- 
«  tam,  et  quandam  legem  detestabilem  adinvenit,  quam  su- 
«  spendit  super  cornua  tauri  viventis  et  ipsam  insipientibus 
«populis  praesentavit  »  (i). 

Quale  figura  potrebbe,  più  spiccatamente  che  non  faccia 
questa  dell'allegro  derisore  di  Giovanni  da  Vicenza,  deli- 
neare a'  nostri  occhi  il  cerchio  in  cui  si  muovevano  questi 
omniscienti  maestri  d'epistolografia  e  di  retorica?  E  chi 
più  genialmente  di  Boncompagno  rappresenta  il  legame, 
che  era  nell'organismo  delle  scuole,  tra  retorica  e  diritto  ? 

Come  poi  all'  ingegno  di  Boncompagno  debba  ricono- 
scersi una  certa  autonomia,  e  come  a  lui  ripugnasse  la  fredda 

(i)  Cf.  RocKiNGER,  scritto  cit.  in  Sitiungsherichte  der  Ak.der  Wiss. 
p.  140  e  segg. 


410  Q/ì'  Gabrielli 


e  scolastica  imitazione,  è,  sembrami,  specialmente  dimo- 
strato dall'esordio  della  sua  Paìma,  Ivi  egli  confessa  con 
sincerità,  fors' anche  soverchia,  di  non  ricordarsi  d'aver  mai 
letto  Cicerone,  sebbene  (troppa  degnazione!)  non  Tabbia 
mai  del  tutto  sconsigliato  a  chi  voleva  studiarlo.  Manco 
'  male  che  non  si  dissimula  il  rischio  di  poter  essere  per  ciò 
giustamente  biasimato!  Infatti,  egH  dice,  la  mia  audacia 
non  può  non  recar  meraviglia,  dal  momento  che  Aristotele 
affermò  nessun' arte  nuova  potersi  inventare  naturaliter  e 
senza  ricorrere  all'esempio  di  coloro  che  ci  precederono. 
Come  dunque  -  ei  sente  domandare-  potè  costui  trovare  una 
rethorica  novissima,  quando  una  retorica  era  già  fino  da  Ci- 
cerone stabilita  e  fissata  ?  Che  cosa  avrà  potuto  dire  di 
nuovo  ?  Ed  egH  risponde,  giustificandosi  :  «  Dividere,  deffi- 
«  nire  vel  describere,  dare  praecepta  et  semper  iubere,  nihil 
<(  aliud  est  quam  emittere  tonitrua  et  pruinam  non  largiri  ». 
Siate  più  pratici!  sembra  ch'ei  voglia  dire  ;  e  dichiara:  «  Re- 
«  thorica  compilata  per  Tullium  Ciceronem  iudicio  studen- 
«  tium  est  cassata,  quia  tanquam  famula  vel  ars  mechanica 
((  latentius  transcurritur  et  docetur». 

Un  tale  spirito  di  ribellione  doveva  necessariamente 
acuire  gli  sdegni  degli  avversari,  cosicché,  in  moltissimi 
luoghi  degli  scritti  di  Boncompagno^  sempre  crescenti  si  di- 
mostrano le  irose  guerricciole  tra  i  maestri  d'allora.  Invano 
Goffredo  di  Vinnesauf  aveva  augurato  : 

Tabescens  igitur  livor  marcescat  in  aevum 
Nec  praesens  corrodat  opus,  nec  clara  lituret 
Dictis  dieta  suis,  nec  verbuni  verba  venenent  (i); 

la  maldicenza  e  la  calunnia  continuavano  a  dominare  tra 
gli  uomini  di  lettere,  e  Boncompagno,  preludendo  alla  sua 
Palma,  doveva  fare  agli  studiosi  questa  raccomandazione  : 
«  Rogo  illos,  ad  quorum  manus  hic  Hber  pervenerit,  qua- 


(i)  Hahn,  op.  cit. 


Intorno  all' epìstole  di  Cola  di  ^'en^o       411 

((  tinus  ipsum  dare  non  velint  meis  emulis,  qui,  raso  titulo, 
«  me  quinque  salutationum  tabulas  non  composuisse  dice- 
«  bant,  et  qui  mea  consueverunt  fumigare  dictamina,  ut  per 
((  fumi  obtenebrationem  a  multis  retro  temporibus  compo- 
«  sita  videantur,  et  sic  mihi  sub  quodam  genere  meam  glo- 
«  riam  auferrent  » . 

Pochi,  io  credo,  avranno  mai  pensato  alla  potente  arma 
di  guerra...  letteraria  che  questa  interessantissima  attesta- 
zione di  Boncompagno  ci  scopre  usarsi  assai  facilmente  nel 
medio  evo.  I  mezzi  della  diffamazione  erano,  come  si  vede, 
spesso  disonesti,  e  i  detrattori  punto  scrupolosi  !  Ed  anche 
altrove,  annunziando  il  proposito  d'unire  in  un  sol  corpo  i 
due  libri  Cedrus  e  Myrra,  Boncompagno  cosi  s'esprime  : 
«  Obtestor  demum  invidos,  ut  libros  istos  per  fumum  te- 
«  nebrare  non  velint,  sicut  quidam  fecerunt  de  quibusdam 
«  tractatibus  meis  . .  .  Coniuro  per  Omnipotentem  furtivos 
«  depilatores,  ne,  abrasis  titulis,  ipsos  excorient,  sicut  quidam 
((  meos  alios  Hbros  turpiter  excoriarunt  » . 

Boncompagno,  che  la  superiorità  dell'  ingegno  faceva 
principal  bersaglio  alle  invidie  dei  mediocri,  segna  come  il 
culmine  dello  sviluppo  a  cui  Yars  dictandi,  qual'  è  rappresen- 
tata nelle  Summae  e  nei  Dictamina,    arrivò  nel  secolo  xiii. 

Quell'arte  s'era  andata  intanto  sempre  più  immedesi- 
mando colla  pratica  notarile,  elevata  oramai  a  dignità  di 
scienza  ufficialmente  insegnata. 

Troviamo,  infatti,  a  Bologna  alcuni  insegnanti,  specia- 
listi di  ars  notar ia  (i),  ed  altri  che,  come  Pietro  Paolo 
de'  Boatterii  (2)  nel  principio  del  secolo  xiv,  v'insegnavano 
a  un  tempo  ars  dictandi  e  ars  notar  ia. 

(i)  Sarti,  Da  cìaris  archygimnasii  Bononiensis  professoribus  a  saec.  xi 
iisque  ad  xiv  ;  Bologna,  1769,  tom.  I,  par.  I,  p.  421  e  segg. 

(2)  Questo  insigne  maestro  è  specialmente  noto  come  quegli  che, 
mentre  continuò  le  belle  tradizioni  dei  dictatores  antciit)ri,  compose 
anche  il  più  celebrato  commento  alla  famosa  opera  sullarte  nota- 
rile di  I^olandino  de'  Passagerii.  Morì  P.  Paolo   de'  ikiauerii  poco 


412  qA.  Gabrielli 


Data  una  cosi  Eitta  affinità  dell'^r^  dìctandi  coli' arte  nota- 
rile, e  poiché  le  collezioni  pratiche  di  modelli  prodotte  dall' una 
finivano  per  servire  cosi  facilmente  anche  all'altra,  appare 
ben  naturale  che,  fira  le  numerosissime  collezioni  di  lettere 
pervenute  fino  a  noi,  molte  ve  ne  siano  che  non  hanno  pro- 
priamente quell'indole  dottrinale  e  scolastica  che  fin  qui 
v'abbiamo  riscontrato,  che  non  provengono  da  maestri  e 
da  insegnanti  all'uopo  destinati,  ma  scaturiscono  più  di- 
rettamente dalla  pratica  della  vita,  dagli  eventi  di  tutti  i 
giorni. 

È  tutto  un  gruppo  di  raccolte  epistolari,  aumentatosi 
specialmente  nella  seconda  metà  del  secolo  xiir,  dove,  an- 
ziché la  grave  teoria  della  scuola,  voi  ritrovate  la  manife- 
stazione appassionata  della  vita  pubblica,  l'operosità  giorna- 
liera delle  cancellerie,  massime  della  papale  e  dell'imperiale, 
la  vitahbera  del  comune;  grossi  e  fitti  zibaldoni,  nei  quali 
gli  stessi  scrittori,  ch'erano  dal  loro  ufficio  obbligati  a  com- 
porre lettere  in  servizio  ed  a  nome  del  signore  o  del  co- 
mune, andavano  (a  mano  a  mano  che  venivano  redigen- 
dole) a  trascriverle  e  a  raccoglierle  insieme,  perché  poi 
servissero  altrui  d'esempio  e  di  modello. 

Ogni  città  libera  ha  il  suo  dictator,  al  quale  spetta  dar 
forma  solenne  alla  volontà  popolare,  e  la  cancelleria  pon- 
tificia sta  come  a  capo  di  questa  numerosa  schiera  di  notai, 
sparsi  per  tutta  ItaUa.  Ma  come  discorrere  in  poche  pagine 
d'un  soggetto  così  attraente,  ma  pur  cosi  vasto  ?  Basterà 
ricordare  di  volo  le  lettere  papali  raccolte  da  Tommaso  di 
Gapua,  cardinale  di  Santa  Sabina  e  notaio  pontificio,  e 
scritte  tutte  da  lui  medesimo:  collezione  celebrata  quan- 
t' altra  mai  nei  secoli  xiii  e  xiv,  e  proposta  come  eccellente 
modello  di  stile  epistolare.  Il  Dictator  epistolamm  (i)  (cosi 


dopo  il  1321.  Cf.  RocKiNGER,  cit,  scritto  in Sit:(ungsherichte  der  AL  der. 
Wiss.  pp.  150  e  151  ;  NovATi  op.  cit.  cap.  III. 
(l)  Pubblicato  dall'HAHN,  op.  cit.  I,  v. 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  di  T^en^o        413 

Tommaso  di  Capua  intitolò  la  sua  raccolta)  indicato  al 
suo  tempo  qual  tipo  dello  stile  curiale  romano  {ad  nativam 
Romani  styli  indoleni),  mentr'è  ancora  una  prova  del  carat- 
tere speciale  ch'ebbe  lo  stile  cancelleresco  della  curia  pon- 
tificia, riesce  anche  importante  per  ciò:  che  le  lettere  del 
pontefice  finiscono  per  rappresentarvi  il  minor  numero,  di 
fronte  a  quelle  scritte  in  nome  proprio  dall'autore...  Curioso 
fatto,  e  non  unico  tra  questi  epistolografi  ufficiali;  in  cui 
sovente  Tambizioncella  dell'uomo  sopraffa  la  burocratica  ri- 
gidezza del  cancelliere!  E  son  lettere  d'ogni  genere  e  d'ogni 
misura,  dove  Tommaso  ora  avvisa  ad  un  amico,  troppo 
pigro  a  rispondere,  di  non  esser  solito  a  ripetere  due  volte 
una  preghiera  (i);  ora  invita  un  altro  a  farsi  vivo  in  per- 
sona, e  non  con  epistole  soltanto  (2);  una  volta  annunzia 
a  un  seccatore  l'inesorabile  dilazione  d'un  sussidio  richie- 
sto (3)  ;  un'  altra  volta  accompagna  con  brevi  parole  il  re- 
galo d'un  cavallo,  già  appartenuto  ad  un  prete...  (4).  È 
insomma  un  vero  uomo  di  mondo,  questo  dotto  segretario 
di  Gregorio  IX 1  (5)  E  accanto  a  lui  come  non  ricordare 


(i)  «  Scripsìstis  super  eo  quod  scitis;  sed  cur  non  exaudivistis 
«  preces  nostras  ?  Non  est  nostri  moris  vilescere  in  precibus  iteran- 
«  dis  ».  Hahn,  op.  cit.  I,  335. 

(2)  «  Quia  solent  esse,  que  apprehenduntur  visibus  hominum,  no- 
«  tiora,  de  statu  vestro  me  aliosque  nostros  de  curia  certificare  cu- 
«  retis,  non  per  epistole  vel  nuncii  missionem,  sed  per  exhibicionem 
«  presencie  corporalis  ».   Hahn,  op.  cit.  l,  342. 

(3)  «  Venturus  ad  colloquiumprincipis,  pecuniam  expetis  in  subsi- 
«  dium  expensarum.  Verum,  cum  adhuc  incerta  sit  surama,  usque 
«  ad  reditura  poterit  dififerri  peticio,  ut  ex  certitudine  sumptuum  sub- 
te  sidii  ccrtitudo  formetur  ».  Hahn,  op.  cit.  I. 

(4)  «  Mittitur  equus,  qui  et  palefridum  gressus  placentia  et  dexta- 
«  rium  persone  statura  presentai.  Sane  quod  clerici  erat,  recepii  a 
«  clerico.  In  rcliquo  vero,  si  quid  forte  dcfuerit,  adicctio  suppleat  ex- 
«  perientie  militaris  ».  Hahn,  op.  cit.  I,  366. 

(5)  Fu  egli  probabilmente  che,  delegato  da  Gregorio  IX  a  trattare, 
insieme  con  Giovanni  vescovo  di  Sabina,  la  nota  pace  del  1230  tra 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  a8 


414  G^-  Gabrielli 


un'altra  collezione  epistolare,  che  circolava  per  tutto  il  mondo 
còlto  di  quel  tempo  ? 

Intendo  la  raccolta  di  Pier  della  Vigna,  di  questo  mas- 
simo trai  notai  medievali,  ch'ha  in  pugno  la  sorti  non  d'una 
sola  città,  ma  d'un  regno,  e  che  tanto  bene  incarna  il  tipo 
dell'antico  cancelliere,  quale  lo  vagheggiavano  gli  uomini 
dei  secoli  xiii  e  xiv.  Con  Tommaso  di  Capua,  il  segretario 
di  Federico  II  stette  anche  in  corrispondenza  (i),  e  il  com- 
mercio epistolare  di  questi  due  uomini,  di  questi  due  ar- 
denti meridionali,  che  la  politica  non  era  riuscita  a  divi- 
dere, e  inspira  oggi  una  schietta  simpatia. 

E  dopo  la  collezione  di  Pier  della  Vigna,  eccone  altre 
tenerle  dietro,  e  primeggiare  quella  di  Berardo  di  NapoH  (2), 
notaio  della  cancelleria  papale  sotto  Urbano  IV  (12^1-12^4) 
e  Clemente  IV  (12^5-12^8).  Egualmente  dotto  in  retorica 


il  papa  e  Federico  II,  scrisse  la  famosa  lettera  2\V amatissimo  nostro 
figlio,  che  comincia  : 

«  Si  Anna,  discessum  Tobiae  filii  sui  non  sustinens  patienter,  mox 
«  lacrymis  effluebat;  si,  morae  impatiens,  quotidie  circuibat  omnes, 
«  per  quas  reditum  anxie  praestolabatur,  vias,  et  tandem  in  supercilio 
«  montissedens,  viso  de  longinquo  fìlio  redeunte,  inexplicabili  gaudio 
«  exultavit;  quanto  nunc  tripudio  hilarescatMater  Ecclesia,  quae  fìlium 
«  excelsum  prae  regibus  terrae  ad  se  recepit  redeuntem  !  ».  Ray- 
NALDi  Oberici  AnnaUs  ecclesiastici,  anno  1230,  n.  x. 

(i)  Ecco,  come  saggio,  una  lettera  brevissima,  un  vero  liglietto, 
indirizzato  dal  segretario  di  Federico  II,  a  nome  dell'imperatore,  a 
Tommaso  di  Capua: 

«  Equum  hispanum  gratanter  accepimus,  ab  experto  probatum. 
«  Quem  tanto  chariorem  habemus,  quanto  gratiora  sunt  munera  sa- 
«  cerdotum  ».  Epistolarum  Petri  de  Vineis  libri  VI;  Basilea  1566, 
libro  III,  lett.  xix. 

(2)  Cito  i  due  testi  più  notevoli  in  cui  riscontrasi  il  nome  di  Be- 
rardo. Una  lettera  d'Urbano  IV  (Pertz,  Archiv,  V,  449)  ricorda: 
«  Magister  Berardus  de  Neapoli,  subdìaconus  et  notarius  noster  ». 
Clemente  IV,  a  dì  1°  novembre  1265,  si  scusa  di  non  poter  inviare 
il  suo  notaio  Berardo  alla  corte  della  regina  di  Francia.  (Potthast, 
n.  19407). 


Intorno  alF epìstole  di  Cola  di  T^ienio       415 

e  in  giurisprudenza,  anch'egli  trascriveva  e  riuniva  le  sue 
lettere,  che,  raggruppate  in  collezioni  adattate  ai  bisogni 
cosi  delle  scuole  come  delle  cancellerie,  erano  alle  une  e 
alle  altre  proposte  qual  modello  di  stile  epistolare. 

Il  Delisle  (i)  indicò  nella  biblioteca  Nazionale  buon 
numero  di  raccolte  epistolari  certamente  a  lui  dovute.  An- 
ch'egli,  come  Tommaso  di  Capua,  inseriva  spesso  lettere 
proprie  tra  quelle  scritte  in  nome  del  papa  e  che  forma- 
vano il  fondo  della  collezione  ;  nei  suoi  Dictamina  (2),  una 
specialmente  ne  va  menzionata  da  lui  diretta  al  re  di  Na- 
poli. Nel  ms.  7^1  della  biblioteca  di  Bordeaux,  illustrato 
dal  Delisle  (scritt.  cit.),  si  trovano  anche  altre  tre  lettere 
composte  da  Berardo  in  nome  proprio,  una  delle  quali,  in- 
dirizzata a  Gregorio  X,  felicita  quel  papa  per  la  sua  recente 
elevazione  alla  sedia  papale.  Finalmente,  le  Epistolae  nota- 
hiìes  (3),  di  Berardo  pur  esse,  contengono  parecchie  let- 
tere d'altri  illustri  personaggi  di  quel  tempo. 

Ma  chi  affermasse  che  col  graduale  modificarsi  dello 
spirito  medievale  sia  quasi  cessato  il  culto  deir^r5  dictandi 
in  Italia,  non  sarebbe  nel  vero.  Se  noi  estendessimo  la  nostra 
rapida  rassegna  anche  ai  primordi  del  Rinascimento,  ve- 
dremmo facilmente  come  quest'^r^  dictandi,  avente  il  suo 
caposaldo  nelle  lettere  di  Cicerone  e  di  Plinio,  uscita  per 
breve  tratto  dall'insegnamento,  venga  poi,  quando  gl'Ita- 
hani  ritornano  all'adorazione  dell'antichità  classica,  a  rien- 
trarvi qual  parte  ragguardevole  delle  humaniores  literae. 

Ma  qui  ci  trattengono  i  limiti  imposti  allo  studio 
nostro. 


(i)  Noticcs  sur  cinq  manuscrits  de  la  bibliothèque  Natiotiah  et  sur  un 
manuscrit  de  la  bibliothèque  de  Bordeaux  contenants  des  recueils  i^pistolairiS 
de  Berard  de  Napks  in  Notices  et  extraits  des  mss.  etc.  tomo  XXVII, 
parte  I  ;  Parigi,  1885. 

(2)  Bibl,  Naz.  dì  Parigi,  mss.  lat.  8581  e  14173. 

(3)  Bibl.  Naz.  di  Parigi,  ms.  lat.  4311. 


41 6  QA.  Gabrielli 


IV. 

I  trattati  epistolari  di  cui  ci  è  occorso  far  cenno  fin 
qui,  hanno  già  dato  modo  di  vedere  come  ciascuno  di 
essi  comprendesse  due  parti  distinte:  teorica  l'una,  ed 
esposta  in  forma  afflitto  dottrinale,  ed  era  Yars  dictandi 
propriamente  detta;  l'altra,  per  contrarlo,  tutta  pratica,  e 
costituita  dalle  formule  e  dai  modelli  epistolari,  ed  era 
quella  che  chiamavasi  la  siimma.  Ma,  dovendo  preporre  il 
titolo  a  una  compilazione,  si  pigliava  il  tutto  per  la  parte 
e  s'usava  indifferentemente  Funa  o  l'altra  delle  due  deno- 
minazioni. 

Quella  duplice  forma  però  non  manca  mai  nelle  opere 
dei  dictatores,  e  con  essa  i  Dictamina  costantemente  si  ri- 
producono, ripetendosi,  copiandosi  e  rassomigliandosi  in 
t.il  modo,  che  pur  da  un  materiale  assai  limitato  (i)  non 
riesce  difficile  trarre  le  teorie  più  generali  e  più  largamente 
accolte.  Ed  è  appunto  questo  contenuto  comune  ai  nume- 
rosi trattati  d'epistolografia  medievale  che,  secondo  l'ordine 
dato  alla  nostra  esposizione,  ci  conviene  ora  presentare 
nelle  sue  linee  principali;  cercando  di  stabilire  come  la 
tradizionale  autorità  dei  maestri  volesse  formata  l'epistola, 
quante  e  quali  parti  le  prescrivesse,  quali  ornamenti  di 
stile  consigliasse,  quali  escludesse;  che  forma,  insomma, 
assumesse,  uscendo  da  una  scuola  di  retorica,  una  lettera 
del  XII  o  del  xiii  secolo. 


(i)  Mi  corre  l'obbligo  dì  notare  che  allo  studio  dei  Dictamina  già. 
a  stampa  per  opera  specialmente  del  Rockinger,  m'  è  sembrato  suf- 
ficiente pel  mio  lavoro,  d'indole  affatto  generale,  aggiungere  sola- 
mente il  contributo  che  mi  veniva  dai  citati  codici  :  Vallicelliano  C,  40, 
Chigiano  I,  IV,  106  e  Chig.  I,  V,  174,  i  quali  tuttavia  non  sono  se 
non  piccola  parte  del  materiale  che  può  opportunamente  servire  al 
nostro  argomento. 


Intorno  alV epistole  di  Cola  di  ^en\o       417 

Una  stabile  e  sicura  distinzione  delle  parti,  nelle  quali 
debba  dividersi  la  lettera  medievale,  non  si  ritrova  prima 
d'Alberico  di  Monte  Cassino,  che  fu,  sembra,  il  primo  a 
enumerarle.  Sui  passi  di  lui  camminarono  i  dictatores  che 
vennero  poi,  cosicché,  tranne  lievi  modificazioni,  la  teoria 
delle  scuole  rimase  per  questa  parte  tal  quale  qui  la  rias- 
sumiamo. 

Cinque  parti,  possiamo  dire,  doveva  contenere  l'epi- 
stola: la  salutatiOj  Yexordium  o  henevoìentiae  captatiOj,  la 
narratio,  la  petitio  e  la  conclusio.  A  queste,  qualche  trat- 
tato aggiunge  la  vaìedictio  e  la  data,  che,  insieme  alla 
saìiiìatio,  vengon  chiamate  estrinseche,  mentre  intrinseche 
sono  dette  le  altre.  Ma  il  maggior  numero  dei  maestri  ita- 
Hani  non  riproduce  una  cosi  fatta  distinzione. 

È  anche  da  notare  che  qualche  altra  enumerazione 
(come  una,  per  esempio,  che  vuole  le  parti  à^ìY epistola  di- 
stinte in  sahitativa,  motiva,  progressiva  e  conclusiva  (i)) 
non  è  in  fondo  differente  se  non  per  la  variata  dizione, 
potendo  sempre  in  essa  rientrare  le  cinque  parti  più  ge- 
neralmente adottate. 

La  sahitatio  ha  specialmente  sviluppo  nelle  lunghe  serie 
di  modelU  che  se  ne  davano.  La  semplice  e  piana  formula 
classica  :  «  Alcuinus  Theophilo  salutem  »  si  trova  alterata  e 
amplificata  fino  dal  ix  secolo.  E  già.a  quel  tempo  ci  occorre 
una  sahitatio  come  questa:  «  Optimo  Theophilo,  bis  binae 
((  evangehcae  veritatis  discipulo  et  sanctarum  quadrigae  vir- 
«  tutum,  fidelium  quadriga  amicorum,  piena  charitatis  nave, 
«  trans  alpinas  aquas  dirigit  salutem  ».  Con  non  minore  ar- 

(i)  La  parte  salutaiiva  «  personas  nominatur  et  debitum  charitatis 
«  exsolvit  »;  la  molivu  «  fundamentum  est  persuasionis,  fulcimentum 
«  intcntionis,  incitanicntum  affectionis,  causam  concipiens  efìicacem 
a  ad  propositum  obtinendum  »;  la  progressiva  tratta  il  negozio  prin- 
cipale; la  conclusiva  «  sicut  fidelis  obstetrix,  fructum  ab  aliis  clau- 
«  sulis  gcneratum  receptare  conalur  ».  Ms.  latino  14357  della  biblio- 
teca Nazionale  di  Parigi,  illustrato  dal  Valois,  op.  cit.  VI,  51. 


41 8  d/l.  Gabrielli 


tificiosità  i  dictatores  dei  secoli  xii  e  xiii  danno,  a  seconda 
della  persona  cui  la  lettera  è  diretta,  la  formula  di  saluto 
già  bell'e  fatta,  e,  usando  talvolta  anche  certi  prospetti  o 
tavole  sinottiche,  insegnano  con  quaK  parole  si  debbano 
salutare  i  vescovi,  gli  abbati,  gli  studenti  e  ogni  sorta  di 
persone  (i),  sempre  tenendo  fisse  le  due  grandi  categorie 
in  cui  dividevasi  la  società  medievale:  laici  ed  ecclesiastici, 
e  ciascuna  di  queste  due  grandi  classi  distinguendo  nei  tre 
gradi:  supremus,  mediuSj,  infiniiis. 

A  queste  formalità  della  salutatio  si  stava  rigorosamente 
attaccati,  e  i  maestri  davano  ad  esse  una  singolare  impor- 
tanza. D'altra  parte  insegnavano  che,  a  differenza  di  qualche 
altra  parte  adì' epistola,  che  potevasi  omettere,  la  salutatio 
era  d'obbligo,  qualunque  fosse  il  tèma  della  lettera. 

L'esordio  (exordiimì)  era  detto  anche  proemium  o  pro- 
verbium,  e  tale  denominazione  venivagli  dall'essere,  secondo 
il  consigHo  dei  dictatores,  generalmente  formato  da  una  sen- 
tenza o  da  un  motto  tolto  ora  dai  pochi  scrittori  classici 
studiati,  or  dalla  Bibbia  e  ora  dagU  scrittori  sacri  più  fa- 
voriti. 

Di  questa  parte  tuttavia  l'epistola  poteva  anche  man- 
care: non  era,  a  ogni  modo,  necessario  aver  sempre  alla 
mano  il  motto  o  proverbium  (2)  con  cui  aprire  la  lettera. 

(i)  Sebbene  già  riportate  dal  Valois  (op.  cit.  p.  56),  ci  piace 
trascrivere  ancora,  a  modo  di  saggio,  le  seguenti  formule  di  salutatio, 
che  si  trovano  nei  manoscritti,  appartenenti  al  dìctator  Transmondo, 
da  noi  già  sopra  citati  (p.  398).  Dice  adunque  quello  scrittore  che, 
scrivendosi  alle  sante  vergini,  così  devesi  salutare  :  «  Virginibus 
«  sacris  talis  cenobii,  talis  persona,  salutem  et  veniente  sponso  ha- 
«  bere  succensas  lampadas  oleo  sanctitatis  ».  E  scrivendosi  a  studenti  : 
«  Salutem  et  facundiam  consequi  tullianam  »,  oppure:  «  In  sacris  ca- 
«  nonibus  gratiam  promereri»;  od  anche:  «  lustinianum  iuris  pru- 
«  dentia  imitari  ».  E  ad  un  usuraio  :  «  salutem  et  de  lucro  captando 
a  et  crastino  cogitare»,  oppure:  «  tantis  abundare  successibus,  ut 
«  universitas  invideat  vicinorum  ». 

(2)  «  Si  dictator  non  habet   proverbium  ad  manum ad  id 


Intorno  all'epìstole  di  Cola  di  ^ien^o       419 

V'erano,  del  resto,  a  risparmiar  la  fatica  delle  ricerche, 
lunghe  serie  di  proverbia  già  raccolti  e  raggruppati  dai 
maestri  per  uso  degli  scriventi  ;  troviamo,  per  esempio,  nei 
Dictamina  :  Proverbia  Saìomonis,  Proverbia  de  libro  Ecclesia- 
sten,  Proverbia  de  libro  lesti,  Proverbia  Senece,  Proverbia  de 
libris  decretalium  siimpta. 

Per  i  casi  in  cui  non  si  volesse  esordire  con  un  motto 
o  con  una  sentenza  già  nota,  s'han  moltissime  altre  serie 
d'exordia  già  formati  dai  maestri  e  adattati  alle  più  varie 
circostanze. 

Ed  uno  li  dispone  per  ordine  alfabetico,  secondo,  cioè, 
l'iniziale  della  prima  parola,  e  ne  presenta  dieci  per  ogni 
lettera;  un  altro  li  ordina  secondo  il  verbo  che  v'è  adope- 
rato, e  cosi  via.  Arengae  son  chiamati  questi  esordì  da  Guido 
Faba  (i)  e  da  Boncompagno  Fiorentino  (2),  che  entrambi 
ne  danno  serie  abbondanti  e  interessantissime. 

Su  la  narratio  mi  par  curioso  notare  questo  ben  strano 
precetto,  quasi  costantemente  ripetuto  dai  maestri  :  -  Si 
dee  narrar  sempre  qualche  cosa,  anche  quando  nulla  real- 
mente vi  sia  da  narrare.  -  La  cosa,  però,  non  è  difficile  a 
spiegarsi  :  essi  avevano  appreso  da  Cicerone  essere  la  nar- 
ratio una  parte  essenziale  dell'orazione,  e  ciò  che  a  propo- 
sito di  questa  insegnò  Marco  Tullio,  avevano,  senz'altro, 
esteso  anche  2lìY epistola,  genere  pur  tanto  diverso  di  scrittura  ! 

Anche  la  narratio  doveva  sempre  cominciare  con  talune 
espressioni  fisse  e  immutabili,  le  quali  sono,  si  può  dire, 
riassunte  tutte  da  una  specie  di  prospetto  compilato  da 
Ponzio  Provinciale   e  stampato   opportunamente  dal   Va- 

«  quod  intendit  captet  benevolcntiam  auditoris  ».  (Biblioteca  Nazio- 
nale di  Parigi,  ms.  latino  994.  Cf.  Valois,  op.  cit.  VII,  59).  Di  qui 
s'intende  facilmente  come  l'esordio  venisse  assai  comunemente  chia- 
mato dai  maestri  :  henevolentiae  captatio. 

(i)  Cod.  Chigiano  I,  IV,  106,  e.  48  v°.  V.  sopra,  p.  404  del  pre- 
sente scritto. 

(2)  Vedi  sopra,  p.  409  del  presente  scritto. 


420 


qA,  Gabrielli 


lois  (i).  Lo  scrittore  cominciava,  per  esempio:  «  Insinua- 
tione  praesentium  discretioni  vestrae  clareat  venerandae 
quod  »,  e  qui  seguiva  l'esposizione  dei  fatti. 

La  petitio  era  Tunica  parte,  clie,  secondo  gli  stessi  dicta- 
tores,  non  poteva  disciplinarsi  con  regole  fisse. 

La  conclusio  finalmente  veniva  cosi  definita:  «  Con- 
ce clusio  est  extrema  clausula  epistolaris  eloquii,  que  sermo- 
«  nem  terminat  materiamque  consummat,  in  qua  maxime 
«  curandum  est  ut,  que  superius  dieta  sunt,  digna  et  recepta- 
«  bilia  comprobentur,  et  quedam  abreviato  compendio  reci- 
«  pientis  animo  profundius  infigantur  » . 

Dopo  la  distinzione  delle  cinque  parti,  i  trattati  episto- 
lari indicano  gli  ornamenti  di  stile  (ornamenta),  onde  la  let- 
tera va  abbellita. 

Abbiamo  già  accennato  come  per  designare  il  ntimerus, 
di  cui  parla  Cicerone  uQÌYOrator,  s'usava  dalle  Artes  dicta- 


(i)  Op.  cit.  p.  62.  Lo  riportiamo  qui  integralmente: 


Reseratione 

Declaratione 

•Insinuatione 

Demonstratione 

Significatione 

Indicatione 

Tenore 

Apertione 

Notificatione 

Enucleatione 


praesentium 
praesentis  paginae 
huiusmodi  paginulae 
istius  cedulae 
huiusmodi  petitorii 
scripti  huius 
praesentium  literarum 
istius  scripti 
scripturae  istius 
istorum  apicum 
praesentium 
ista  litteratoria 
praesentis  paginulae 


dominationi 

discretioni 

nobilitati 

strenuitati 

paternitati 

sinceritatì 

probitati 

sanctitatì 

honestati 

benignitati 

religioni 

caritati 

pietati 

mansuetudini 

societati 

dilectioni 


vestrae 
vel 
tuae 


clareat 

pateat 

liqueat 

appareat 

clarnm  fiat 

declaretur 

manifestetur 

insinuetur 

significetur 

notìficetur 


venerandae 

honorandae 

metuendae 

peramandae 

excellenti 

praecellenti 

divulgatae 

apertissimae 

generosae 

provulgatae 

nominatae 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^T^ien^o       421 

minum  la  parola  cursus  (i),  e  quelle  regole  d'armonia  con- 
sigliate da  Cicerone  all'arte  oratoria  e  volte  a  governare 
le  cadenze  del  discorso  forense,  applicavano  anche  al  ge- 
nere epistolare.  Sembra  che  in  ciò  i  primi  maestri  d'Or- 
léans fossero  molto  parchi,  e  del  numerus  facessero  conto 
si,  ma  senza  regole  troppo  rigide,  e  solo  badando,  ad 
orecchio,  a  certa  musicalità  del  periodo.  L'esempio  del- 
l'esagerazione venne  ai  Francesi  dall'  ItaHa,  e  specialmente, 
fin  dai  primi  del  secolo  xii,  dai  notai  pontifici,  i  quali  an- 
darono formulando  regole  d'ogni  genere,  massime  intorno 
ai  suoni  onde  dovevano  finire  gl'incisi  (2).  Già  d'un  tale 
artificioso  ornamento  abusavano  i  notai  d'Onorio  II  (1124- 
1134);  ^'^^  negH  anni  che  seguirono,  venuto  in  moda  il 
cosi  detto  stile  gregoriano,  al  cursus  s'attribuì  un'  impor- 
tanza addirittura  soverchia  dalle  cancellerie  d'Eugenio  III 
(i  145- II 53),  d'Anastasio  IV  (1153-1154)  e  d'Adriano  IV 
(11 54- II 57).  Invece,  fuori  d'  esse,  gli  scrittori  non  si  la- 
sciarono, sembra,  pigliar  troppo  la  mano  dal  nuovo  arti- 
ficio, e  rimasero  più  strettamente  fedeli  allo  stile  di  Cice- 
rone, «  stylo  videlicet  Tulliano,  in  quo  non  esset  observanda 


(i)  «  Appositio,  que  dicitur  esse  artificiosa  dictionum  structura, 
«  ideo  a  quibusdam  cursus  vocatur,  quia,  cum  artificiose  dictiones  lo- 
ft cantur,  currere  sonitu  delectabili  per  aures  videntur  cum  benepla- 
«  cito  auditorum  ».  Bon'COMPAGNO,  ms.  8654  della  Nazionale  di  Pa- 
rigi. Cf.  cit.  Notices  et  extraìts  des  mss.  eie.  XXII,  parte  II,  1868; 
cit.  lavoro  di  C.  Thurot. 

(2)  «  Pedes  autem,  secundum  cursum  Romane  curie,  taliter  ordi- 
«  nabis.  Debes  enim  incipere  tuam  clausulam  ab  uno  spondeo  et  di- 
<  midio,  vel  a  pluribus,  a  dactylo  nunquam,  nisi  sunt  coniunctiones, 
«■  ut:  ideo,  igitur.  Punctum  vero  facies  vel  super  duos  spondeos, 
«  dactylo  precedente,  ut  hic  :  lalorcm  prescntium  mitto  vohis,  aut  super 
«  dactylum,  ut  hic  :  noscat  vestra  discretio  presentì  pagina.  Finis  epi- 
«  stole  fit  quatuor  modis,  aut  super  duos  spondeos,  aut  super  tres, 
«  aut  super  tres  et  dimidium.  aut  super  quatuor  ».  Ponzio  Pro- 
vinciale, Summa  dictaminis,  ms.  8653  della  Nazionale  di  Parigi,  f.  6  v°, 
descritto  nelle  cit.  Notices  et  extraits  des  mss.  etc.  XXII,  parte  II,  p.  38* 


422  qA.  Gabrielli 


«  pedum  cadentia,  set  dictionum  et  senteatiarum  colo- 
«  ratio  »  (i). 

Lo  stile  gregoriano  adunque  mostravasi,  nel  cursus,  più 
artificioso,  secondo  le  attestazioni  che  ci  vengono  dalla 
cancelleria  pontificia.  Molti  scrittori  però  seguivano  la  tra- 
dizione della  scuola  d'Orléans:  più  spigliata  semplicità, 
meno  bavagli  di  dattili  e  di  spondei,  e  solo  quella  garbata 
coloratio  dictionum  et  sententiarum,  che  Giovanni  Anglico 
raccomandava.  Tuttavia,  a  cotesta  forma  più  libera  e  franca 
s'opponeva,  tra  gli  altri.  Maestro  Bene  di  Firenze  in  un 
luogo  notevole  da  noi  già  citato  (2),  schierandosi  coi  se- 
gretari papali  contro  i  maestri  d'Orléans.  1  quah  -se  s'ha 
a  credere  a  Boncompagno  -  non  guardavan  troppo  pel  sot- 
tile alle  brevi  e  alle  lunghe,  e  poco  lusingavano  l'orecchio 
delicato  di  coloro,  che  rimanevano  più  attaccati  ai  precetti 
della  cancelleria  pontificia. 

Un'infinità  d'altre  regole,  attinte  da  Cicerone,  da  Quin- 
tiliano, da  Isidoro  di  Siviglia,  s'aggiungono  a  governare 
lo  stile  nelle  Artes  dictandi;  ma  tutte  non  sono  meno  appli- 
cabili -AY epistola  che  a  qualsiasi  altro  genere  di  scrittura.  Si 
può  dunque  senza  danno  lasciare  questa  parte,  e  citare 
piuttosto  qualche  norma  dittatoria  che  si  riconosca  essere 
un  portato  nuovo  della  coltura  medievale,  e  non  una  ne- 
cessaria conseguenza  dell'antica  tradizione  classica. 

Ma,  una  volta  messi  per  questa  via,  quante  sottigliezze, 
quanti  bizzarri  artifici,  quante  vane  distinzioni  e  suddistin- 
zioni non  dovremmo  faticosamente  seguirei  Eppure,  tali 
regole,  al  tutto  meccaniche  ed  esteriori,  che  potente  aiuto 
ci  prestano  a  scoprire  i  diversi  atteggiamenti  che  pren- 
deva il  pensiero  degli  uomini  del  medio  evo! 


(i)  Poetria  magislri  Iohannis  Anglici  t/t?  arte,  prosayca,  metrica  et 
rithmica,  pubblicata  in  gran  parte  dal  Rockinger,  cit.  Quellen  und 
Eròrterungen  etc.  I  Abth.  pp.  485-512. 

(2)  V.  sopra,  pp.  392,  393. 


Intorno  alTepistole  di  Cola  di  ^ienio        423 

Dicevano,  per  esempio,  che  il  vocativo  non  doveva 
porsi  mai  in  principio  d'una  data  sentenza,  ma  in  mezzo 
od  in  fine.  Invece  il  nominativo,  se  trovavasi  in  una  frase 
insieme  con  casi  obliqui,  doveva  a  questi  posporsi  ;  e  ciò  per 
riuscire  all'opposto  di  quel  che  avveniva  nella  declinazione, 
dove  il  nominativo  si  preponeva.  Se  poi  occorrevano  più 
casi  obliqui,  dovevano  sempre  collocarsi  nello  stess'ordine 
ond'essi  seguivansi  nella  declinazione;  cosi,  per  esempio: 
«  Trium  puerorum  (gen.)  laudibus  (dat.)  hymnum  debitum 
(acc.)  voce  consona  (abl.)  persolvamus  ». 

Fra  tutti  i  casi,  il  genitivo  riscuoteva  le  maggiori  e  più 
spiccate  simpatie.  A  moltiplicare  quanto  più  potevasi  le 
occasioni  d'usarlo,  i  dictatores  consigliavano  di  mutare  il 
nominativo  in  genitivo,  sostituendo  al  nome,  che  dal  primo 
caso  erasi  trasportato  al  secondo,  un  altro  nome.  Cosi,  per 
esempio,  invece  che:  «  Vestra  agnoscat  probitas  »,  megho 
si  scriveva  :  «  Vestrae  probitatis  agnoscat  discretio  » .  E 
tutto  ciò  per  dire  :  Sappiate  ! 

Discorrevano  poi  a  lungo  del  luogo  ove  fosse  da  porre 
il  verbo,  prevedendo  tutte  le  possibili  combinazioni. 

S'usassero,  insegnavano,  più  parole  che  fosse  possibile, 
ad  esprimere  il  proprio  pensiero;  cosicché  l'abbondar  nei 
vocaboU  superflui  non  solo  era  lecito,  ma  costituiva  un 
peculiar  pregio  dello  stile.  Non  si  risparmiassero  avverbi, 
dove  e  quando  potevasi,  e  di  preferenza  s'usassero  :  quideni, 
equidem,  sane,  profecto,  quippc,  scilicet,  videlicet  e  iitiqtie,  e 
non  soltanto  se  efficaci  o  necessari,  ma  «  sola  ornatus  et 
«  bonae  sonoritatis  causa».  Insomma,  Y epistola,  massime 
se  composta  a  particolare  gravità,  tanto  più  era  pregevole, 
quanto  più  riuscisse  ornata  et  prolixa,  scritta  con  cnfiisi, 
ripiena  di  metafore  e  di  traslati...  E  a  raggiungere  questa 
pretesa  perfezione,  le  Artes  dictaminum  davano  giA  prepa- 
rati i  mezzi. 

Questi,  a  ogni  modo,  non  sono  che  accenni;  il  copioso 
materiale  esplorato  si  presterebbe  a  uno  spoglio  paziente, 


424 


lungo,  minuzioso,  del  quale  il  poco  ch'abbiam  detto  co- 
stituirebbe appena  una  piccolissima  parte.  Quel  poco  è  tut- 
tavia sufficiente  a  disegnare  le  caratteristiche  generali  del- 
l'^r^  dictandi. 

Dopo  ciò,  se,  rifacendoci  presente  quanto  s'è  venuto 
notando  sui  dictatores  e  sull'opera  loro,  ci  volgiamo  per 
poco  -  nella  seconda  metà  del  secolo  xiv  -  al  modesto 
scriba  di  Roma,  che  ne  divenne  poi  il  supremo  signore,  e 
attirò  sopra  di  sé  gli  sguardi  di  tutt' Italia,  occorre  spon- 
tanea la  domanda:  Fino  a  qual  punto  quest'abbondante 
letteratura  degli  epistolografi,  perfezionata,  più  che  altro, 
nelle  scuole  medievali  di  retorica,  potrà  rispecchiarsi  dalla 
lettera  appassionata  di  uno  che,  come  Cola  di  Rienzo,  non 
fu  certo,  nel  senso  dato  fin  qui  alla  parola,  un  epistolo- 
grafo ?  Vero  è  che  negli  anni  giovanili  Cola  esercitò  la 
professione  di  notaio  :  ma  che  cosa  rimase  dell'antico  ta- 
bellione  nel  novello  tribuno  del  popolo  romano? 

Studiare  con  cosifatti  intendimenti  le  lettere  di  Cola  di 
Rienzo  è  coglierne  l'aspetto  più  singolare  e  più  curioso;  e 
un  tale  aspetto  non  può  essere  del  tutto  trascurato  da  chi, 
come  noi,  si  prepari  a  discorrere  dell'  Epistolario  di  Cola. 


Cola  di  Rienzo  è  tal  figura  storica,  che  non  può  non 
attrarre  potentemente  chi  si  faccia  a  studiarla.  Oggimai 
non  è  più  soltanto  fra  gli  artisti  e  i  romanzieri  che  certi 
periodi  storici,  certi  episodi,  certi  antichi  nomi  trovano,  a 
preferenza  di  altri,  simpatie  più  vive.  Anche  la  rigida  ri- 
cerca obbiettiva  si  volge  con  maggiore  intelletto  d'amore 
a  quelle  figure  del  passato,  le  quali  si  possano  in  ogni  loro 
lato  studiare  sotto  punti  di  vista  cosi  differenti  e  molte- 
plici, che,  accanto  al  ricercatore  erudito,  lavorino   anche. 


Intorno  al F epistole  di  Cola  di  ^en\o        425 

ognuno  per  la  parte  sua,  il  filosofo,  lo  storico,  il  poli- 
tico, lo  psicologo. 

Tale  è,  sembraci,  il  caso  di  Cola  di  Rienzo,  intorno  al 
quale  gli  studi  moderni  hanno  ancora  tutto  un  lungo  lavoro 
da  compiere.  Perocché  -  è  bene  notarlo  subito  -  ciò  che  si 
scrisse  di  lui  nei  tempi  andati  è,  per  universale  giudizio, 
ben  povera  cosa,  e  si  può  ormai  riassumere  in  poche 
parole. 

Il  maggior  nucleo  di  notizie  su  Cola  pervenne  ai  vecchi 
eruditi  italiani  della  nota  Fifa  dell'Anonimo,  riprodotta  in 
un  grandissimo  numero  di  manoscritti  (i),  e,  oltre  che 
dal  Muratori  (2),  stampata  più  volte  anche  a  parte  (3). 
Ad  essa  sono  poi  da  aggiungere  le  Istorie  pistoiesi  (Mura- 
tori, Rer,  Ita!.  Scr.  XI),  la  Cronaca  di  Giovanni  Villani,  il 
Chronicon  Estense  (Muratori,  Rer.  Itaì.  Scr.  XV,  41 8),  il  Chro- 
nicon  Mutinense  (Muratori,  Rer.  Itaì.  Scr.  XV,  108)  e  pochi 
altri  scrittori  che  toccano  per  incidenza  della  storia  di  Cola. 

Ancora:  alla  storia,  per  quanto  grossamente  narrata, 
del  tribuno  servirono  alcuni  annaHsti  ecclesiastici,  come  il 
Bzovio  (4),  il  Rainaldo  (5),  l'Hocsemio.  Quest'ultimo  anzi 
-  come  notò  già  il  Papencordt  -  ci  ha  pure  tramandate 
alcune  lettere  di  Cola. 

Così  andò  formandosi  il  fondo  delle  notizie  per  i  bio- 
grafi  che  vennero  poi  ;   ma  bisogna  pur  riconoscere  che 

(i)  Solamente  alla  biblioteca  Vaticana,  una  fugace  esplorazione 
da  me  compiuta  m'ha  segnalato  otto  manoscritti  della  Vita:  «  Ot- 
tobon.1511  »;  «  Ottobon.  2568»;  «  Ottobon.  2615  »;  «  Ottobon.  2616»; 
«Ottobon.  3183  »;  «  Cappon.  241  »;  «Cappon.  242  »;  «Vatican.  5522  ». 
Anche  alla  Casanatense  ho  potuto  vedere  una  copia  della  Vita  nel 
ms.  E,  IV,  21. 

(2)  Anliq.  hai.  Ili,  249. 

(3)  Per  la  storia  esterna  di  questo  curioso  scritto  e  per  le  di- 
spute agitatesi  intorno  alla  sua  genuinità,  rimando  al  Papencordt, 
Cola  di  Rienzo  und  scine  Zeit;  Amburgo,   1841,  p.  318  e  sgg. 

(4)  Armala  ecclesiastici,  t.  XIV. 

(5)  Annales  ecclesiastici,  t.  XVI. 


42( 


alcuni  di  essi,  lasciando  da  parte  le  altre  fonti,  s'atten- 
nero semplicemente  alla  Vita  dell'Anonimo.  Solo  per  ob- 
bligo impostoci  dal  tèma,  ci  occorre  ricordare  i  vecchi 
lavori  del  padre  Du  Cercau  (i),  di  Tommaso  Gabrini  (2), 
di  Zeffirino  Re  (3),  di  Francesco  Benedetti  (4),  rimaneg- 
giamenti abbastanza  affrettati^,  e  privi  d'un  qualunque  va- 
lore critico. 

Altri  storici  intanto,  come  il  Sismondi  (5)  e  qualche 
altro,  eran  tratti,  dagli  avvenimenti  stessi  che  narravano, 
a  discorrer  di  Cola,  mentre  studiosi  come  il  De  Sade  (^) 
e  il  Levati  (7),  illustrando  la  vita  del  Petrarca,  s'occupa- 
vano  anche  per   necessità  del   tribuno    di  Roma. 

Questi  erano  i  libri  apparsi  su  Cola  di  Rienzo,  allorché 
Felice  Papencordt  pubblicò  il  suo  geniale  e  notissimo 
volume. 

Dopo  il  dotto  storico  tedesco,  niun  altro  forse  si  volse 
di  proposito  alla  vita  di  Cola  di  Rienzo,  se  si  eccettuino 
lo  Zeller  (8),  l' inglese  Schmitz  (9)  e,  ultimo  per  ordine  di 
tempo,  il  signor  Emanuele  Rodocanachi  (io).  Mala  breve 
compilazione  dello  Schmitz  non  ha  lasciata  traccia  dure- 
vole nel  campo  degli  studi,  e  il  volume  del  Rodocanachi, 


(i)  Conjiiration  de  Nicolas  Gabrini;  Parigi,  1733. 

(2)  Osservazioni  storico-critiche  su  la  vita  di  Cola  di  Rienzo  ;  Roma, 
1806. 

(3)  Vita  di  Cola  di  Rienzo  ;  Forlì,  1828;  ristampata  recentemente 
dal  Le  Monnier,  Firenze,  1854. 

(4)  Vita  di  Cola  di  Rienzo  nelle  Opere  di  F.  Benedetti,  per  cura 
di  F.  S.  Orlandini;  Firenze,  Le  Monnier,  1858,  voi.  IL 

(5)  Histoire  des  répuhllques  italiennes  ;  Parigi,   181 8. 

(6)  Mèmoires  pour  servir  à  T histoire  de  Pétrarque,  1764- 1767. 

(7)  ^^'^SS^  ^^^  Petrarca;  Milano,  1820. 

(8)  Les  trihiins  et  les  révolutions  en  Italie;  Parigi,  Didier,  1874. 

(9)  Cola  di  Rienii  Rom's  Tribiin;  Londra,  1886. 

(io)  Cola  di  Rienzo,  histoire  de  Rome  de  ^42  a  1^)4;  Parigi,  A.  La- 
hure,  1888.  Cf.  V Archivio  della  R.  Società  Romana  di  storia  patria, 
XI,  181   e  sgg. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  1{ienio        427 


secondo  gl'intendimenti  stessi  dell' A.,  non  va  oltre  i  limiti 
d'una  narrazione  abbastanza  brillante  e  d'una  biografia 
discretamente  accurata. 

In  conseguenza,  non  è  punto  scemata  la  necessità  di 
tornare,  guidati  da  mire  alquanto  diverse,  sull'argomento, 
e,  anzi  tutto,  di  porre  fuori  d'ogni  discussione  il  documento 
più  attendibile  sul  quale  si  fonda  la  storia  del  rivolgimento 
politico  promosso  in  Roma  da  Cola  di  Rienzo:  intendo  i 
frammenti  di  storia  romana,  scritti  in  romanesco  nel  se- 
colo XIV  e  pubblicati  dal  Muratori,  i  quali  comprendono 
in  sé  anche  la  sopra  citata  Vita  dell'antico  tribuno.  Un'edi- 
zione critica  di  questo  libro,  comparso  finora  in  pessime 
edizioni,  è  tra  i  più  vivi  desiderata  degli  studiosi. 

Or  nulla  meglio  dell'Epistolario  di  Cola  può  spianare 
la  via  a  questa  ristampa,  e  completare  nel  tempo  stesso 
la  Fita  in  quelle  parti  dov'essa  più  scarseggia  di  notizie  ; 
e  tale  fu  il  motivo  principale,  da  cui  venne  consigliata  la 
nuova  edizione  delle  lettere  di  Cola. 

Questo  r  interesse  dell'Epistolario  in  rapporto  alla  storia 
di  Roma.  Ma,  come  il  lettore  avrà  già  notato,  lo  studio 
riassuntivo,  che  noi  abbiamo  fatto  precedere  all'  illustra- 
zione delle  lettere  di  Cola,  ci  addita  anche  un  altro  curioso 
aspetto,  per  il  quale  esse  debbono  necessariamente  attirare 
l'attenzione  degli  studiosi.  Egli  è  che,  colla  scorta  dell'Epi- 
stolario, l'antico  tribuno  si  presta  ad  essere  considerato 
nella  sua  peculiare  qualità  di  scrittore  di  lettere,  e  Yepistola, 
quale  fu  da  lui  concepita  e  redatta,  ad  essere  esaminata 
nella  struttura,  nello  schema,  nella  composizione,  in  tutta 
insomma  la  sua  parte  formale  ed  esteriore. 

Un  tale  studio  ci  pare  opportuno  per  più  riguardi,  e 
assai  utilmente,  a  nostro  avviso,  può  precedere  le  brevi 
considerazioni,  che  poscia  esporremo,  sul  contenuto  delle 
lettere,  sui  fatti  che  vi  si  accennano,  sulle  persone  a  cui 
sono  dirette. 

Il  problema  da  porre  è  assai  semplice:  —  Per  quanto 


428  q4.  Gabrielli 


lontane  da  qualsiasi  pretesa  dottrinale,  continuano  esse  in 
qualche  parte,  le  lettere  di  Cola,  la  tradizione  dotta  del- 
l'epistolografia medievale  ? 

Nessuno  certo  al  suo  tempo  sognavasi  di  vedere,  nelle 
lettere  del  tribuno,  dei  modelli  scolastici,  come,  per  esem- 
pio, nelFaccennate  collezioni  di  Tommaso  di  Capua  o  di 
Pier  della  Vigna  :  ma  esse  non  avevano  minor  diffusione 
di  quelle  composte  dai  due  celebri  cancellieri.  Basta  ricor- 
dare l'attestazione  di  Francesco  Petrarca  :  «  Unum  sane  - 
«  scriveva  egli  a  Cola  (i)  -  an  scias,  an  cogites,  an  ignores 
«  nescio,  litteras  tuas,  que  istinc  ad  nos  veniunt,  non  exti- 
«  mes  apud  eos  quibus  destinantur  permanere,  sed  confe- 
«  stim  ab  omnibus  tanta  sedulitate  describi  tantoque  studio 
«  per  aulas  pontificum  circumferri,  quasi  non  ab  homine 
«  nostri  generis,  sed  a  superis  vel  antipedibus  misse  sint  )) . 
Beli  altro  però  che  didattici  erano  i  motivi,  per  i  quali  ogni 
cólta  persona,  e  primo  il  Petrarca,  ricercava  con  crescente 
mteresse  quasi  ogni  parola  scritta  da  quest'uomo,  che  par- 
lava sotto  l'impulso  della  passione,  parlava  di  cose  che 
accadevano  mentr'ei  le  narrava,  di  fatti  di  cui  era  egli  stesso 
il  protagonista  ! 

Riconosciuto  alle  lettere  di  Cola  un  tale  carattere, 
riesce  subito  facile  immaginarsi  se  esse  potevano  sempre 
rispondere  alle  regole  formulate  dalla  scuola,  consacrate 
nelle  Siimmae,  prefisse  all'epistola  medievale  da  una  tradi- 
zione letteraria  non  interrotta. 

Eppure  anche  Rienzo,  mentre  talvolta  s'adattava  assai 
male  a  quell'esagerato  formalismo,  molte  altre  volte  non 
si  sottraeva  interamente  alle  tendenze  letterarie  del  tempo 
suo.  Se,  per  esempio,  consideriamo  nelle  epistole  di  Cola 
la  distinzione  delle  note  cinque  parti,  in  più  d'una  di  esse 
non  la  troviamo  riprodotta  con  quella  rigidezza  che  pre- 
scrivevano le  Artes  dictandi  ;  ma  in  parecchie  altre  vediamo 

(i)  De  Sade,  Mèmoires,  tomo  III,  Pieces  justif.  XXXI. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o        429 

vediamo  le  parti  nettamente  divise.  E  queste   si  prestano 
alle  seguenti  osservazioni,  che  riassumerò  brevemente. 

A  cominciare  dalla  parte  introduttiva  delYepistola  -  la 
salutatio  -  noto  che  la  soverchia  ampollosità  di  stile,  pro- 
pria (come  vedemmo)  alle  salutationes  delle  lettere  medie- 
vali, non  si  riscontra  in  Cola  quasi  mai  :  egli  si  mostra  in 
generale  assai  parco  tanto  nel  pensiero  quanto  nell'espres- 
sione. La  salutatio  a  lui  più  usuale  è  la  seguente  :  «  x\uctore 
«  clementissimo  Domino  nostro  lesu  Christo  »  ;  e  qui  segue 
il  nome  dello  scrivente  :  «  nobili  viro  »  o  «  nobilibus  et  po- 
«  tentibus  viris  »  ;  e  qui  il  nome  del  destinatario  o  dei  de- 
stinatari :  c(  salutem  et  cum  reconciliatione  Dei  pacem  et 
«  iustitiam  venerari  »  (i).  Talvolta  la  salutatio  è  anche  più 
semplice  e  più  breve,  come,  per  esempio,  questa  :  «  Auctore 
«  clementissimo  Domino  nostro  »;  segue  il  nome  dello  scri- 
vente: «  magnificis  viris»;  segue  il  nome  dei  destinatari: 
«  salutem  et  plenitudinem  gaudiorum  »  (2)  ;  taFaltra  allude 
ai  doni  dello  Spirito  Santo,  dal  quale  Cola  si  riteneva  inspi- 
rato :  «  salutem  et  dona  Spiritus  Sancti  suscipere  iustitie, 
((  libertatis  et  pacis  »  (3).  Quando  la  persona,  alla  quale  la 
lettera  era  destinata,  fosse,  per  condizione  sociale,  superiore 
allo  scrivente,  la  consuetudine  epistolare  imponeva  piut- 
tosto alla  salutatio  la  forma  del  vocativo;  e  questa  infatti 
si  vede  adottata  da  Cola  tutte  le  volte  che  scrive  al  papa 
o  air  imperatore  Carlo  IV,  sempre  da  lui  salutati  cosi  : 
«  Sanctissime  pater  et  clementissime  domine»,  e  «  Sere- 
«  nissime  Caesar  Auguste  ».  Del  resto,  anche  indirizzandosi 
a  un  amico  di  Avignone  (che  non  sappiamo  con  certezza 
chi  fosse),  Cola  usa  la  forma  del  vocativo  :  «  Amice  karis- 
«  simc  »  (4).  In  questi  casi  il  nome  dello  scrivente,  anziché 


(i)  Epist.  lett.  II  e  VI. 

(2)  Epist.  lett.  XIV. 

(3)  Epist.  lett.  XVI. 

(4)  Epist.  lett.  XII. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  29 


430  qA.  Gabrielli 


far  parte,  al  modo  classico,  della  salutatio,  vien  posto  in 
fondo  aìYepistolay  ora  semplicemente  enunciato,  ora  nella 
forma:  «Vester  servulus  Nicolaus  recomendat  »  (i),  ov- 
vero :  «  Nicolaus  recomendat  in  oratione  »  (2).  Nel  pe- 
riodo della  prigionia  a  Raudnitz  e  ad  Avignone,  quando 
l'uomo  d'azione  s'è  fatto  asceta  solitario  e  la  figura  di  lui 
ha  assunto  un  carattere  mistico  di  veggente,  egli  seguita 
a  sottoscriversi  :  «  Cola  Rentii  tribunus  »,  come  se  quelli  non 
fossero  che  anni  di  riposo  volontario  per  l'esaltato  domi- 
natore di  Roma. 

L'esordio,  nel  maggior  numero  delle  lettere  di  Cola, 
obbedendo  alla  regola  consacrata  nella  Stimmae,  costituisce 
una  parte  a  sé,  distinta  e  separata  dalle  seguenti.  A  prova 
di  ciò  basterebbe  ricordare  le  lettere  al  papa  del  5  agosto, 
del  15-31  agosto  e  dell' 11  ottobre  1347,  nonché  quelle 
ai  Fiorentini  del  5  e  del  20  agosto  1347.  Ma  non  sola- 
mente Yexordium  doveva  formar  parte  a  sé:  i  maestri  da- 
vano anche  le  regole  per  comporlo,  e  spesso  presentavano 
essi  medesimi  beli' e  fatte  quelle  lunghe  serie  di  arengae, 
che  già  abbiamo  menzionate,  traendo  di  preferenza  il  pro- 
verbium  dai  libri  più  in  uso  nel  medio  evo.  Cola,  nel  cui 
spirito  r  inspirazione  biblica  era  cresciuta  vivissima  fin  dagli 
anni  giovanih,  e  nella  cui  coltura  la  Bibbia  aveva  così  no- 
tevole parte,  ci  dà  più  d'una  volta  esordi  tratti  dai  libri 
sacri  e  specialmente  dai  Salmi.  Cosi  nella  lettera  del  20  no- 
vembre 1347,  diretta  in  un  esemplare  a  Rinaldo  Orsini 
e  in  un  altro,  pressoché  simile,  ai  Fiorentini  (3),  per  an- 
nunziare la  sua  vittoria  sui  Baroni  a  porta  San  Lorenzo, 
esordisce  colle  parole  di  David  :  «  Haec  est  dies  quam  fecit 
«  Dominus;  exultemur  et  laetemur  in  ea  »  (4).  Pure  un'altra 


(i)  Epist.  lett.  XXXVI. 

(2)  EpisL  lett.  XXXVII. 

(3)  Epist.  lett.  XXVII  e  XXVIII. 

(4)  Liher  psalmorum,  CXVII,  D,  24. 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  di  ^I^ien^o       431 

lettera  al  popolo  romano,  contenuta  in  un  importante  co- 
dice miscellaneo  della  biblioteca  Felinìana  di  Lucca  (capi- 
tolo della  iMetropolitana,  pluteo  Vili,  545)  e  pubblicata 
già  dal  Mansi  (i),  comincia  col  noto  versetto:  «  Popule 
«  meus,  quid  feci  tibi  ?  aut  in  quo  contristavi  te  ?  responde 
«  mihi  »  (2).  Un'altra  lettera  a  Clemente  VI  (3)  comincia 
anch'essa:    «Ne    dolosarum    linguarum  astutia,  a  quibus 

«  propheta  supplicat  liberari,  vestra  Clementia suspe- 

((  ctum  teneat,  etc.  »,  e  si  riferisce  evidentemente  al  ver- 
setto: «  Sepulcrum  patens  est  guttur  eorum,  linguis  suis 
«  dolose  agebant,  indica  illos,  Deus  »  (^Psaìm.  V,  C,  1 1). 
Si  vede  tuttavia  a  ogni  pie  sospinto  che  le  rigide  norme 
dei  Dictamina  sono  per  il  Nostro  più  una  necessità  che 
subisce  inconsapevolmente,  che  un'emanazione  del  suo  spi- 
rito e  dell'indole  sua.  Fatta  loro  appena  quella  parte  che 

(i)  Stephaki  Baluzii  Miscellanea,  opera  ac  studio  Iohanxis  Dom. 
Maxsi  LucENSis  (Lucca,  1762),  toni.  III. 

(2)  Del  resto,  non  soltanto  negli  esordì  Cola  ha  frequenti  ci- 
tazioni bibliche,  ma  anche  nel  corpo  di  qualche  lettera.  In  una,  per 
esempio,  da  Raudnitz  all'arcivescovo  di  Praga  (Inc.  «Recepì  hoc  die»), 

scrive  così  :  « Intitulorum  assumptione . . .  me  alias  excusavi,  et 

«  dignum,  dixi,  et  bonum  est,  quod  hiwiiliasti  me,  Domine,  ut  discerem. 
«  ìnstijìcationes  tuas  »  (Psalm.  XXVII,  D,  19).  E  poco  dopo,  nella  let- 
tera medesima:  «....  Dicere  possim:  Castigans  castigavit  me  Do- 
((  ininiis,  et  morii  non  tradidit  me  »  (Psalm.  CXVII,  C,  18).  Ancora  in 
un'altra:  «Et  sic  vere,  ilio  die  Penthecostes,  impletum  extitit  ver- 
«  bum  illud,  quod  cadem  die  decantatur:  Exurgat  Deus  et  dissipentur 
«  inimici  eiìis  d  juj^iaiit  {Psalm.  LXVII,  A,  2).  Et  iterum:  Mitte  Spiritum 
'(  Sanctum  iuum  et  renovahis  faciem  terre»  (Psahn.  CHI,  D,  30).  Nella 
stessa  già  citata  lettera  all'Orsini  e  ai  Fiorentini  ci  occorre  il  passo  : 
«  Deus  noster  ....  digitos  nostros,  quos  ad  calamum  ars  ipsa  docuerat, 
'^  docens  ad  bellum,  etc»,  che  si  rapporta  al  versetto:  «  Bcnedictus 
«  Dominus  Deus  meus,  qui  docet  manus  meas  aì\  proeliuni,  et  Ji-itos 
«  meos  ad  belkim  »   (Psalm.  CXLIII,  A,  i):  ed  è  anche  reniiiiiseenza 

biblica  il  passo  della  stessa  lettera  « confuiimus  inl)e(),qui  lecit 

"  mirabilia  magna  solus  ».  Ma  gli  esempi  potrebbero  continuare  in 
I^Mandissimo  numero. 

(3)  Epist.  lett.  XXII. 


432  qA.  Gabrielli 


vuole  la  pratica  epistolare,  la  forma  è  nelle  sue  lettere 
come  sopraffatta  dal  contenuto  :  egli  si  sente  incalzato  dagli 
eventi,  ch'or  gli  preme  di  narrare  al  papa,  ora  alle  città 
vicine,  ora  agli  amici  più  autorevoli,  affinchè  (dice  Cola) 
«  Teco  non  ne  giunga  alterata  dalle  male  lingue,  e  se  ne 
sappia  piuttosto  il  vero  della  penna  medesima  di  chi  n'ò 
l'attor  principale  ». 

Quindi,  minuziose  e  prolisse  narrazioni  occupano  le 
lettere  di  lui,  e  specialmente  quelle  scritte  nel  primo  e  più 
fortunato  periodo  della  sua  autorità  in  Roma;  e  la  nar- 
ratio,  che  i  Dictamina  volevano  costituisse  quasi  la  parte 
centrale  della  lettera,  esce  sempre  dalla  penna  di  Cola  svi- 
luppata nei  più  minuti  particolari. 

«  Sappiate  »  -  coìnincia  egli  a  dire  -,  «  non  resti  ascoso  alla 
«  vostra  Paternità  »  che  le  cose  andarono  cosi  e  cosi  ;  «  vi 
«facciamo  sapere  »,  «  desideriamo  che  sappiate  »,  «  signi- 
«  fichiamo  alla  vostra  amicizia  »  che  questo  e  questo  è  av- 
venuto   I  quali  modi    di   dar  principio    alla  narratio 

(«  Vestram  non  lateat  Sanctitatem  »  o  «  Clementiam 
«  quod  etc.  »  (i),  «  Noverit  vestra  Paternitas  »  o  «  Sancti- 
«  tatis  vestre  benignitas  »  (2),  «  Scire  vos  facimus  »  o  «  cu- 
ce pimus  »,  «  Vos  cupimus  non  latere»  (3),  «  Amicitie  vestre 
«  significamus  »  (4))  erano  già  inalterabilmente  prescritti 
dai  dictatores,  come  abbiamo  di  sopra  notato. 

Poco  o  nulla  è  da  dire  su  la  petitio  e  su  la  conclusio. 
In  questa  Cola  usa  assai  di  rado  il  vale  o  valete,  che, 
secondo  l'arte  epistolare,  non  era  sempre  opportuno  ag- 
giungere. «  Et  superabundanti  tamen  -  scrive  un  maestro 
«  de'  più  autorevoli  -  a  quibusdam  subiungitur  valete,  quod 
«  non  tamen  in  omnibus  literis  ponere  estoportunum».  Piut- 


(i)  Epist.  lett.  Vili,  XVI,  XXII. 

(2)  Epist.  lett.  Vili  e  XXII. 

(3)  Epist.  lett.  XII. 

(4)  Epist.  lett.  XIV. 


Intorno  al F epistole  di  Cola  di  ^ienio       433 

tosto,  egli  offre  a  colui,  cui  la  lettera  è  indirizzata,  i  suoi  ser- 
vigi nella  forma  che  troviamo  in  una  lettera  al  Petrarca  (i): 
«  Nos  autem  prontissimi  sumus  ad  singula,  que  vestrum 
«  respiciunt  comodum  et  honorem  ». 

Quanto  allo  stile  (del  quale  vedemmo  distinguersi  due 
maniere:  la  naturale  e  Yartificiaìej  e  questa  costantemente 
consigliarsi  a  preferenza  di  quella),  molti  e  non  brevi 
passi  di  grande  chiarezza  potrà,  chi  legga  l' Epistolario 
di  Cola,  porre  accanto  a  periodi  contorti,  a  lunghi  brani 
intricati  ed  oscuri.  Nondimeno,  anche  là  dove  lo  stile 
appar  gonfio  ed  enfatico,  si  ritrova  sovente  una  non  co- 
mune efficacia  d'espressione.  Non  si  può,  per  esempio, 
negare  certa  spontanea  vigoria  a  molti  tra  i  luoghi,  nei 
quali  il  tribuno  difende  l'opera  sua:  «  Novit  ÌDeus  -  scrive 
«  egli  all'amico  d'Avignone  -  quod  non  ambitio  dignitatis, 
((  officii,  fame,  honoris,  vel  aure  mondialis,  quam  semper 
«  aborrivi  sicut  limus,  sed  desiderium  comunis  boni  totius 
«  reipublice  huiusque  sanctissimi  status  induxit  nos  colla 
((  submittere  iugo  adeo  ponderoso  attributo  nostris  hu- 
«  meris  non  ab  homine,  sed  a  Deo,  qui  novit  si  officium 
«  istud  fuit  per  nos  precibus  procuratum,  si  officia,  bene- 
«  ficia  et  honores  consanguineis  nostris  contuhmus,  si  nobis 
«  pecuniam  cumulamus,  si  a  ventate  recedimus,  si  nostris 
«  heredibus  facimus  compositiones,  si  in  cihorum  diilcedine 
«  aut  voluptate  aliqua  delectamur,  et  si  quidquam  gerimus 
«  simulatum.  Testis  est  nobis  Deus  de  iis  que  fecimus  et 
«  facimus  pauperibus,  viduis,  orphanis  et  pupillis.  Multo 
«  vivcbat  quietius  Cola  Laurentii  quam  tribunus  »  (2). 

Sembra  che  l'amico,  a  noi  ignoto,  avesse  scritto  a  Cola 
correr  voce  ad  Avignone  ch'ei  cominciasse  ad  aver  quasi 
paura  del  suo  nuovo  stato,  e  Cola  a  smentire  la  f:ilsa  di- 
ceria:  «  Ad  id  autem  quod  scribitis  audivisse,  quod  ince- 


(i)  Epist.  lett.  XV. 
(2)  Epist.  lett.  XII. 


434  ^'  Gabrielli 


«pimus  iam  terreri,  scire  vos  facimus  quod  sic  Spiritus 
«  Sanctus,  per  quem  dirigimur  et  fovemur,  facit  animum 
«  nostrum  fortem,  quod  ulla  discrimina  non  timemus:  vero 
«  si  totus  mundus  et  homines  sancte  fìdei  Christiane  et  per- 
«  fidiarum  hebraice  et  pagane  contrarientur  nobis,  non  propter 
«  ea  terreremur  » . 

E  più  sotto:  «  Sed  frustra  tumescunt  maria,  frustra 
«  venti,  frustra  ignis  crepitat  contra  hominem  in  Domino 
((  confitentem,  qui,  sicut  mons  Sion,  non  poterit  commo- 
«  veri  » . 

Efficace  è  anche  in  molte  parti  -  tenuto  conto  del 
gusto  letterario  del  tempo  -  l'ultima  lettera  scritta  ai 
Romani,  nella  quale  Cola  li  apostrofa  cosi  (i)  :  «  Que 
«  fella,  que  canina  rabies  fecit  vos  bibere  sanguinem,  in- 
«  quam,  mundum,  sanguinem  commaternum,  et  iisdem 
«  pedibus,  quibus  paulo  ante  virum  hunc  repetistis,  leta- 
«  lius  letaliter  impetistis,  et  eodem  ore,  quo  :  Fivat,  vivai 
«  cantaveratis,  eidem  :  Morìatur,  moriatur  proclamastis,  et 
«  iisdem  manibus,  quibus  in  resumptione  plaudebatis  ipsius, 
«  eum  transfodistis,  distraxistis,  membratimque  cesis  (^fc) 
«  cecidistis  ?  » 

Incitando  Clemente  VI  a  negare  ogni  fede  a'  suoi  de- 
trattori, dice  che,  mercè  sua,  lo  Spirito  Santo  aveva  dalle 
fauci  leonine  di  costoro  tratto  il  popolo  semiglutittim  (2), 
e,  scrivendo  a  Carlo  IV,  si  paragona  a  un  grand' albero, 
che  l'impeto  dei  venti  abbia  privato  dei  rami  e  delle 
fronde  (3).  Ma,  aggiunge,  a  provar  chi  egli  sia,  resta  sem- 

(i)  Biblioteca  Feliniana  di  Lucca,  pluteo  Vili,  545. 

(2)  Epist.  lett.  XVI:  «  Dignemini  non  credere  illis,  a  quorum 
«  faucibus  et  ore  Iconico  semiglutitum  populum  Spiritus  Sanctus 
(c  traxit  per  me  ».  Questo  passo  trova  certo  riscontro  in  quest'altro 
della  lettera  XXXI  a  Carlo  IV:  «  Nulla  adhibeatis  fiducia  verbis  meis, 
«  donec  veritas  sit  masticata  mature  maturius  et  digesta...  ». 

(3)  Epist.  lett.  XXX  :  «  Factus  sum  sterilis  usque  ad  tempus,  sicut 
«  arbor  ventorum  austeritatibus  denudata  ».  Anche  nella  cit.  lettera 


Intorno  all'epistole  dì  Cola  di  ^ien-{o       435 

pre  il  suo  glorioso  passato:  la  sua  figura  seguita  a  dominare, 
alta  e  maestosa,  come  un  vecchio,  castello  solitario  su  la 
vetta  d'un  monte  (i). 

Tal  era  l'uomo:  e  dove  ritrovate  fin  qui  lo  scrittore  di 
lettere  ? 

Ma  ecco,  di  nuovo,  T  influenza  della  retorica  e  àeìVars 
dictatoria  tornare  ad  affermarsi  in  certe  particolarità  di  stile, 
che  il  Nostro  prendeva  e  appropriavasi  dalla  tradizione  epi- 
stolare d'allora.  Cosi  è^  ad  esempio,  per  le  espressioni:  purae 
dilectionis  affectiis  (2),  sincerae  dilectionis  affectio  (3),  ^elum 
amoris  (4),  usate  costantemente  per  amore,  hemvolenia  e 
siniiH,  al  modo  stesso  che  pel  verbo  amare  adoperavasi 
spesso  dagli  scrittori  medievali:  x.^lare  amorem  (5).  Ancora, 
un  tributo  al  vezzo  del  tempo  sono,  nelle  lettere  di  Cola, 
espressioni  come  :  audivi  auditum  vestrum  (^),  facere  facta 
vestra,  videre  videor  (7),  letalius  letaliter,  maturius  mature  (8), 
le  quali  tutte  ricorrono  assai  frequenti  nel  latino  dei  se- 
coli XII  e  XIII. 

Importantissimo  riuscirebbe  uno  spoglio  minuto  delle 
forme  più  accette  al  nostro  scrittore,  dei  vocaboli  quasi 
esclusivamente  propri!  all'epistolario  di  lui.  Noto,  per  limi- 
tarmi solo  a  qualche  esempio: 

al  popolo  romano,  che  trovasi  alla  Feliniana  di  Lucca,  si  paragona, 
usando  lo  stile  più  ampolloso,  a  un  grand'albero,  che  per  la  sua 
stessa  altezza  è  più  facilmente  battuto  dai  venti:  «  Arbor  eminens, 
«  multis  fecunda  ramusculis,  prona  est  ventorum  procellas  recipere 
«  et  everti  ». 

(i)  ((  duis  ego  sim  occultar!  non  potest,  tamquam  civitas  sita 
«  super  montem  ». 

(2)  Epist.  lett.  XX. 

(3)  Epist.  lett.  VI. 

(4)  Epist.  lett.  XIV. 

(5)  Epist.  lett.  XVI. 

(6)  Epist.  lett.  XXV. 

(7)  Epist.  lett.  XXXI. 

(8)  Epist.  lett.  XXX. 


4s6  qA.  Gabrielli 


a)  existere  usato  costantemente  invece  di  esse  (i); 

F)  intendamus  e  simili  invece  à! intendimus  (ital.  inten- 
diamo), 

e)  huiiismodi  quasi  sempre  sostituito  ad  huius  (2); 

d)  termimis  declinato  qual  sostantivo  della  seconda 
declinazione;  esempio:  «  elapso  prefato  termino  »  (3); 

t')  parole  latine  affatto  medievali,  come  :  stantale  (4) 
(bandiera,  insegna),  disrobatio  e  disrobare  (spogliare')  (5:), 
usate  soltanto  da  Pier  della  Vigna,  liga  (alleanza)  (6),  re- 
laxare  nel  significato  di  scarcerare  (7),  intonare  e  intombare,  nel 
senso  che  ha  la  frase:  «  Orbem  intonizare  processibus  »  (8); 
oppure  parole  di  bassa  e  corrotta  latinità,  quali  offendicu- 
ìum  (9),  usato  la  prima  volta  da  Plinio,  damnificare  (dan- 
neggiare) (io),  di  Cassiodoro,  affectare  per  procurare,  cercare 
con  insisten'^a  e  simili,  come  nel  passo  :  «  prò  vestre  desi- 
«  derio  libertatis,  quam  affectamus  »  (n). 

Più  facilmente  che  in  questa  minuta  analisi  di  forme 
isolate,  ci  è  dato  vedere  la  relazione  fra  Rienzo  e  Yars 
dictandi  degli  anteriori  epistolografi  in  certi  strani  orna- 
menti di  stile,  che  ricorrono  incessantemente  nei  modelli 
dei  dictatores.  Rammentiamo,  per  esempio,  la  cosidetta  agno- 
minatio,  per  la  quale  essi  studiavansi  di  riunire  artificialmente 
in  una  frase  parole  di  suono  al  tutto  simile^  e  le  alternavano 
e  le  ripetevano  e  le  intrecciavano  variamente.  Ecco  qualche 

(i)  Veggansene  specialmente  esempi  nelle  lettere  XVIII  e  XXI 
deW  Epistolario. 

(2)  Epist.  lett.  I. 

(3)  Epist.  lett.  XXIV. 

(4)  Epist.  lett.  XVIII. 

(5)  Epist.  lett.  XXVI. 

(6)  Epist.  lett.  XXIV. 

(7)  Epist.  lett.  XVI. 

(8)  Epist.  lett.  XV. 

(9)  Epist.  lett.  XVII  e  XVIII. 
(io)  Epist.  lett.  XVIII.      , 
(11)  Epist.  lett.  XXIX. 


Intorno  alTepistole  di  Cola  dì  ^enio        437 


esempio  ;  «  Traxisti  miserando,  trahe  beatificando.  O 
«  anima  miserabiliter  mirabilis,  mirabiliter  miserabilis,  ve- 
«  nerabiliter  amabilis,  am abilitar  venerabilis  !  »;  «  Felix  con- 
ce ventus,  felix  concentus,  ubi  aquilo  non  fiat  ventus  »  ; 
«  Mittimus  vobis  hominem  plenum  melle,  sine  felle  ;  plus 
«  enim  habet  mellis,  quam  fellis,  plus  amoris  quam  hor- 
«  roris;  simpliciter  prudentem  et  prudenter  simplicem;  tur- 
«  turem  cum  casti'tate  et  columbam  cum  simplicitate  »  (i). 

Or  bene,  di  questo  genere  d'ornamento  Cola  usa  con 
discreta  parsimonia,  in  confronto  di  coloro,  dai  quali  gliene 
veniva  l'esempio  :  niun' altra  applicazione  io  credo  potrebbe 
scoprirsene  nell'Epistolario,  fuori  che  nei  tre  luoghi  se- 
guenti. 

Una  volta,  all'abate  di  Sant'Alessio,  scrive:  «  Peto  pati 
«  quecumque  Dominus  passus  et  quecumque  placuerint 
«  Domino  prò  me  passo  »  (2).  Dice  un'altra  volta  al  solito 
amico  in  Avignone:  «Si  ad  literas  non  respondimus,  pro- 
«  cessit  ex  diversitate  ardua  et  arduitate  diversa  negotio- 
«  rum  »  (3).  E  infine  nella  chiusa  d'una  lettera  al  figlio: 
«  Benedictus  Benedicti  benedictionem  eternam  »  (4). 

Si  noti  anche,  fra  le  stranezze  di  stile,  il  seguente  esem- 
pio d'un  curioso  bisticcio  o  giuoco  di  parole:  «  Dicitur - 
((  scrive  Cola  -  quod  pueriliter  agimus  :  respondemus  quod 
«  veruni  est  quod  pure  agimus,  quod  per  pueritìam  denota- 
c(  tur;  et  Deus  mandat  (\\iodi  pueri  laudent  ipsum  »  (5). 

Altri  invece  fra  i  tanti  ornamenta^  enumerati  dalle  Artes 
dictaminis,  veggonsi  usati  dal  Nostro  con  insolita  frequenza; 
come,  ad  esempio,  la  quasi  costante  sostituzione  delle  pa- 
role :  mea  parvitas,  ima  humilitas  e  simili  al  semplice  ego, 
o  la  straordinaria  profusione  degli  avverbi  :  quidem,  equidem, 

(i)  Cf.  Valois,  op.  eh.  cap.  III. 

(2)  Epist.  lett.  XLI. 

(3)  Epist.  lett.  XII 

(4)  Epist.  lett.  XLIII. 

(5)  Epist.  lett.  XXIII. 


43^ 


qA.  Gai 


quippc,  sane,  profecto,  scilicet,  titique,  videlicet,  adoperati  «  sola] 
«  ornatus  et  bonae  sonoritatis  causa  » . 

Come  dunque  nelle  lettere  di  Cola  si  rispecchiano  e  il 
culto  singolare  per  l'antichità  classica  e  lo  studio  non  in- 
terrotto della  Bibbia  e  le  attente  letture  dei  classici  più  ben 
accetti  al  medio  evo  (i),  vi  si  scorge  anche  indubbiamente 
(pur  tenendosi  alle  sole  e  scarse  osservazioni  che  abbiamo, 
come  saggio,  presentate)  l' influenza  non  piccola  della  scuola 
e  della  tradizione  epistolare  anteriore.  Conclusione  questa 
che  ognuno  prevederebbe  a  priori,  ma  che  non  sarà  sem- 
brato inutile  avvalorare  con  qualche  prova. 


VI. 


Allo  studio  intorno  alla  parte  esteriore,  formale,  scola- 
stica dell'Epistolario  potrebbe  seguirne  un  altro,  più  fine  e 
sottile,  che  cercasse  di  cogliere  nelle  lettere  di  Cola  le 
successive  fasi  per  cui  andò  passando  e  modificandosi  a 
grado  a  grado  lo  spirito  di  lui:  dai  primi  tempi  del  buono 
stato  -  quando  con  mirabile  lucidezza  d' intendimenti  egli 
sa  concepire,  se  non  attuare,  la  nuova  lega  delle  città  ita- 
liane -  ai  giorni  tristi  di  Praga  -  quando  la  sua  mente, 
perduto  a  mano  a  mano  l'equilibrio  altre  volte  serbato,  ci 
sembra  talvolta  addirittura  quella  d'un  allucinato.  Egli  allora 


(i)  Basterà  citare  due  soli  esempi  di  classici  citati  da  Cola.  La 
lettera  XXXI  dice  :  «  Quapropter  imperiali  supplico  Maiestati  qua- 

«  tenus  non  patiatur  nomen  meum  bonum contaminari . . . . , 

(c  nam,  ut  Boetius  noster  ait,  que  miseri  patiuntur,  creduntur  ah  homi- 
«  nihus  tneniisse  ».  (Boezio,  Philosophiae  consolationis  libri  V;  Lipsia,  Teu- 
bner,  1871, 1,  4,  149).  E  la  lettera  XXXVIII:  «Et  ideo,  quanto  acrius 
«  neronizat  in  me,  tanto  tucior  ad  patiendum  impetus  iniusticie  pro- 
«  ficiscar.  Nam^  ut  obmittanus  allegationes  sacras,  sub  quibus  pie- 
ce rumque  ypocrisis  delitescit,  Salustius  noster  ait  immunditias  mulie- 
«  rihus  et  viris  lahores  convenire,  et  Titilivius  :  fortiter  agere  et  fortiter 
«pati  Romanum  esty>. 


Intorno  all' epistole  di  Cola  di  T^ien^o       439 

si  dice  e  si  contradice,  si  difende  e  si  accusa,  oggi  super- 
bamente sdegnoso,  domani  in  umile  atto  di  pentimento 
dinanzi  ai  suoi  persecutori.  Un'onda  sempre  crescente  di 
misticismo  lo  invade  tutto,  e  paralizza  in  lui  qualsiasi  altra 
attività  del  pensiero,  e  diventa  credulo  e  pauroso  come  un 
bambino  :  «  Se  un  fanciullo,  -  dice  egli  medesimo  -  incon- 
trandomi per  via,  mi  dicesse  :  Trihimo,  domani  morrai,  un 
immenso  terrore  s' impadronirebbe  di  me,  e  temerei  che 
proprio  dallo  Spirito  Santo  venisse  quel  triste  avviso  »  (i). 
Tratti  come  questo  sarebbero  un  sussidio  davvero  prezioso 
alle  ricerche  dello  psicologo  che  volesse  esaminare  le  let- 
tere nei  riguardi  della  propria  scienza. 

Ma  fermarci  su  tali  considerazioni  non  è  lecito  a  noi 
che  assai  più  modesto  compito  ci  siamo  proposto,  e  che 
solamente  vogliamo  seguire  l'Epistolario  nei  più  importanti 
fatti  che  gli  porgono  occasione. 

Per  poco  che  si  rivada  col  pensiero  la  vita  di  Cola  di 
Rienzo,  apparirà  naturale  la  divisione  delle  sue  lettere  in 
due  principali  gruppi,  che  corrispondono  a  due  ben  distinti 
periodi  della  sua  vita. 

Tutto  pieno  d'avvenimenti  incalzantisi  senza  posa,  ci 
si  mostra  nella  storia  di  Roma  l'anno  1347;  ma  è  appena 
cominciato  il  1348,  che  già  Cola  è  scomparso  dalla  vita 
politica.  Così  chiudesi  per  il  tribuno  il  primo  e  brevissimo 
periodo  d'attività.  Passano  due  anni,  e  nessuno  forse  pensa 
più  al  povero  Cola,  chiuso  nella  contemplativa  solitudine 
della  Maiella:  quand'ecco  le  esortazioni  d'un  santo  ro- 
mito smuoverlo  d' improvviso  dalla  sua  inazione  e  richia- 
marlo dalla  vita  ascetica  del  convento  alle  lotte  dell'uomo 
politico.  Cola  lascia  il  ritiro  dell'Abruzzo,  si  pone  in  viaggio 

(i)  Epist.  lett.  XLII:  «....  Et  sum  adhuc  talis  semplicitatis  et 
«  tante,  quod  si  parvulus  unus  puer  transeunti  milii  per  viam  diccret: 
«  Tribune,  cras  procul  dubio  morieris,  ego  an  Spirltu  S.mcto  verbum 
aillud  existeret,  formidarem . . ,  Sed  vos,  domini  s.ipicntes,  estis  ita 
«animo  excellentes,quod  formidatio  huiusmoJi  non  subintrat  I  ». 


440  Q/ì.  Gahìnelli 


per  la  Germania,  presentasi  a  Carlo  IV  in  Praga  e  gli  espone 
i  voleri  di  Dio.  Cosi  per  l'antico  tribuno  comincia  un  periodo 
nuovo  d'attività,  rappresentatoci  dalle  lettere  a  Carlo  IV, 
all'arcivescovo  di  Praga,  al  cancelliere  Neumark,  nelle  quali 
si  rispecchiano  i  moti  intimi  dell'anima  sua,  si  ripercuotono 
le  sue  sofferenze,  si  riflette  insomma  tutta  la  non  lieta  storia 
della  sua  prigionia,  ch'ebbe  fine,  insieme  col  relativo  pro- 
cesso, nel  1352. 

La  morte  di  Clemente  VI  fu,  com'  è  noto,  la  salvezza 
di  Cola.  Innocenzo  VI,  divenuto  papa  nel  dicembre  1352, 
non  solo  cessa  di  perseguitare  il  tribuno  di  Roma,  ma  si 
serve  anzi  di  lui,  quando  invia  il  cardinnle  Albornoz  a  ri- 
conquistare il  patrimonio  della  Chiesa.  Cola,  rimasto  dap- 
prima a  fianco  del  cardinale  nella  guerra  contro  il  Di  Vico, 
ritorna  poscia  da  Perugia  a  Roma,  non  più  tribuno,  ma 
senatore.  Può  questo  dirsi  l'ultimo  bagliore  della  gloria  di 
lui,  e  noi  non  possiamo  ripensarvi  senza  deplorare  che  nes- 
suna luce  getti  su  di  esso  l'Epistolario. 

Basta  dunque  fermarsi  unicamente  alla  distinzione  nei 
due  primi  gruppi.  Quale  differenza  fra  le  lettere  del  1347 
e  quelle  del  1350!  Quale  mirabile  chiarezza  di  concepi- 
menti nelle  prime,  dirette  a  Governi  e  a  signori  d'ItaHa,  al 
papa,  ad  altri  personaggi  della  corte  avignonese!  E  che 
vivo  e  strano  contrasto  esse  presentano  colle  posteriori 
del  1350! 

Tutte  le  lettere  del  primo  gruppo  appartengono  al  1347, 
tranne  una,  che  Cola  scrisse  al  popolo  romano  nel  1343 
per  dar  conto  della  sua  ambasceria  presso  Clemente  VI  (i). 
All'  infuori  di  questa,  non  ci  è  pervenuta  alcun' altra  lettera 
che  il  Nostro  abbia  composta  prima  della  sua  elevazione 
al  tribunato.  In  conseguenza,  1'  Epistolario  non  dà,  e  non 
può  dare,  particolari  di  sorta  intorno  ai  mezzi  coi  quali  Cola 
andò  preparando  il  rivolgimento  che  meditava. 


(i)  Epist.  lett.  I. 


Intorno  alV epistole  di  Cola  di  ^en^o        441 

La  prima  lettera  scritta  da  Cola  nella  qualità  di  tribuno 
porta  la  data  del  24  maggio  1347,  quindi^  di  soli  tre  giorni 
dopo  quello  memorabile  di  Pentecoste,  in  cui  egli  fu  ac- 
clamato nuovo  signore  di  Roma.  Per  mezzo  di  essa,  Cola 
dà  egli  medesimo,  indirizzandosi  al  comune  di  Viterbo,  no- 
tizia del  nuovo  stato  instauratosi  nella  città  (i).  Due  set- 
timane appresso,  scrive  le  stesse  cose  ad  altri  Stati  e  città 
d' Italia,  come  può  vedersi  nelle  lettere  del  7  giugno.  Ri- 
vestono queste  la  forma,  nel  medio  evo  molto  frequente, 
di  circolare,  e  a  noi  non  pervennero  che  negli  esemplari 
destinati  ai  Governi  di  Firenze,  di  Perugia  e  di  Lucca  (2). 
Quello  che  venne  tramandato  dal  Chronicon  Mutinense  (3) 
è  soltanto  un  riassunto  della  circolare,  diretta  anche  ai  Mo- 
denesi. Sappiamo  però  con  certezza  che  le  stesse  cose,  in 
forma  pressoché  uguale,  furono  scritte  a  Todi,  a  Siena, 
a  Pisa,  a  Mantova  e  fors'anche  ad  altre  città  italiane  (4), 
nonché  agli  Estensi  in  Ferrara  e  ai  Visconti  in  Milano.  Dal 
duca  Gonzaga,  già  assai  potente  in  Mantova,  Cola  si  con- 
tentò d'invocare  una  parola  di  raccomandazione,  affinchè 
la  lettera  da  lui  indirizzata  alla  comunità  fosse  accolta  be- 
nevolmente (5). 

Subito  in  queste  prime  lettere  comincia  a  disegnarsi  il 
progetto  concepito  da  Cola,  ed  esso  veramente  ci  appare 
anche  oggi  d'un  uomo  di  genio.  Trattavasi  di  costituire 
un'Assemblea  italica,  nella  quale  le  nostre  principali  città 

(i)  EpisL  lett.  II. 

(2)  EpisL  lett.  Ili,  IV,  V. 

(3)  Muratori,  Rer.  It.  Scr.  XV,  108. 

(4)  Intorno  all'esistenza  di  questa  lettera  interrogammo  successi- 
vamente le  Direzioni  degli  archivi  di  Siena  e  di  Todi,  di  Mantova  e 
di  Pisa.  Gli  archivisti  comunali  di  Siena  di  Todi  risposero,  l'uno  il 
23  gennaio,  l'altro  il  17  febbraio  1888,  che  dopo  attente  ricerche  non 
avevano  punto  rinvenuto  la  circolare  richiesta  ;  e  la  mancata  risposta 
degli  archivisti  di  Mantova  e  di  Pisa  fa  supporre,  anche  per  questi 
altri  due  esemplari,  un  resultato  ugualmente  negativo. 

(5)  Epist.  lett.  VI. 


442  qA.  Gabrielli 


dovevano  essere  tutte  rappresentate  con  ugual  numero  di 
voti,  e  che  doveva  discutere  e  risolvere  le  querele  dei  sin- 
goli Stati  della  penisola,  esaminare  le  questioni  d'interesse 
generale  e  rappresentare  Y  Italia  di  fronte  ai  paesi  esteri.  In 
questo  grande  Consiglio  -  si  vede  chiaro  -  Cola  voleva 
trovar  modo  di  dare  alla  sua  Roma  la  preponderanza  e 
il  primato. 

Mentre  il  nuovo  tribuno  va  cosi  delineando  quella  che 
oggi  diremmo  la  sua  politica  estera,  non  lascia  di  metter 
sott'occhio  alle  città  italiane,  cui  si  dirige,  i  notevoli  mi- 
glioramenti operati  nell'  interno  della  città,  consistenti,  se- 
condo lui,  specialmente  nella  quasi  miracolosa  cessazione 
dell'intestine  discordie  e  nella  sicurezza  riacquistata  dalle 
strade  che  solevan  percorrere  i  pellegrini  nel  recarsi  a  vi- 
sitare la  tomba  degli  ApostoH.  A  questo  proposito,  si  noti 
come  quest'uomo,  sulla  cui  azione  politica  non  cessò  mai 
di  pesare  straordinariamente  l'influenza  d'una  fede  reli- 
giosa viva  e  ardentissima,  non  trovava  motivo,  che,  a  parer 
suo,  fosse  più  acconcio  di  quello  addotto  a  procurargli  il 
favore  di  tutta  l' Italia  :  e  e  insisteva,  e  ci  tornava  su  ad 
ogni  occasione  con  mal  celato  compiacimento. 

Ma  più  ancora  che  l'amicizia  degli  altri  governi  italiani, 
importava  a  Cola,  per  molte  ragioni,  acquistarsi  quella  dei 
Fiorentini.  A  questi  pertanto  ei  non  si  tien  pago  d'aver 
diretta  la  suaccennata  circolare,  ma,  verso  la  fine  di  giu- 
gno, invia  pure  quattro  ambasciatori  romani  coli' incarico 
d'esporre  a  voce  il  suo  pensiero  (i).  La  credenziale,  con  cui 
questi  erano  accreditati  presso  la  Signoria,  è  data  per  in- 
tero dall'Epistolario  (2). 

TaU  i  primi  atti  di  Cola,  sui  quali  il  corpo  delle  sue 


(i)  Gli  ambasciatori  furono  quattro,  e  non  (come  altri  disse) 
cinque.  Cf.  il  mio  scritto  pubblicato  ntW Archivio  della  R.  Società  Ro- 
mana di  storia  patria,  XI  (1888),  183. 

(2)  Epist.  lett.  VII. 


Intovìio  alFepistole  dì  Cola  di  T^tew^o       443 

lettere  sparge  non  poca  luce.  Ma,  in  mezzo  a  così  repen- 
tini mutamenti  operatisi  in  Roma,  non  poteva  il  tribuno 
celarsi  gli  obblighi,  che  il  -nuovo  stato  a  lui  creava  verso 
la  corte  d'Avignone,  né  trascurare  i  rapporti  fra  il  papa 
e  la  nuova  repubblica.  Che  le  preoccupazioni  di  Cola  sotto 
questo  riguardo  fossero  in  principio  assai  vive,  com'  è  atte- 
stato dalle  fonti  indirette  della  storia  di  quel  periodo,  cosi 
è  ripetutamente  comprovato  dalle  lettere  di  lui. 

Riferendoci,  entro  i  limiti  del  nostro  scritto,  solamente 
a  quest'ultime,  dobbiamo  dire  anzitutto  che  la  corrispon- 
denza tra  Clemente  VI  e  Cola  di  Rienzo  non  cominciò 
colla  prima  lettera  che  di  quest'ultimo  ci  sia  pervenuta, 
diretta  al  papa  1'  8  di  luglio  (i).  Già  Clemente  VI  aveva, 
il  26  di  giugno,  mandata  al  tribuno  e  al  proprio  vicario 
Raimondo,  vescovo  d'Orvieto,  un'  epistola  cumulativa,  la 
quale  fu  tosto  seguita  da  un'altra,  indirizzata  il  27  di  giugno 
al  popolo  romano  (2).  Anche  Cola,  come  si  desume  dal- 
l'esordio della  citata  sua  lettera  al  pontefice,  aveva,  prima 
che  con  quella,  con  un'altra  missiva  notificato  a  Clemente  VI 
il  nuovo  stato  sórto  in  Roma.  Ad  ogni  modo,  la  lettera  dell' 8 
luglio  è,  tra  le  non  molte  pervenuteci,  la  prima,  dove  i  rap- 
porti del  tribuno  colla  curia  trovino  una  quasi  completa 
illustrazione. 

Bene  intende  Cola  per  quale  via  riesca  a  lui  più  facile 
guadagnarsi  l'animo  del  papa,  e  indovinando  la  soddisfa- 
zione, con  cui  Clemente  avrebbe  appreso  che,  mercè  il 
nuovo  regime,  le  più  baldanzose  e  potenti  famiglie  patrizie 
di  Roma  avevano,  loro  malgrado,  abbassata  la  testa,  si  ferma 
in  modo  speciale  su  questo  punto.  E  in  realtà,  fin  dai  primi 
giorni  del  nuovo  stato,  i  più  illustri  baroni,  e  primo  il 
vecchio  Stefano  Colonna,  avean  dovuto  lasciare  la  città  e 
ritirarsi  nel  contado.   Poscia,   chiamati   alla  presenza  del 


(i)  Epist.  lett.  Vili. 

(2)  Pubblicate  entrambe  in:  Papencordt,  op.  cit.  doc.  in  e  iv. 


444  ^'  Gabrielli 


nuovo  tribuno,  gli  avevano  giurato  obbedienza  sul  corpo 
di  Nostro  Signore,  obbligandosi  a  non  combattere  mai  con- 
tro di  luì,  a  non  dare  asilo  a  masnadieri,  a  star  sempre 
pronti  al  suo  comando.  Le  leggi,  che  seguirono  poco  ap- 
presso, contro  i  nobili  sono  abbastanza  note.  —  Decretai 
-  dice  Cola  nell' accennata  lettera  -  «  quod  nullus  Romanus 
«  deinde  auderet  aliquem,  nisi  solum  Sanctam  Ecclesiam 
«  Sanctitatemque  vestram  in  dominum  nominare,  ut  co- 
«  gnoscat  Romanus  populus  se  alii  quam  Deo  Sanctaeque 
«  Ecclesiae  ac  summo  pontifici  non  subesse;  et  quod  nul- 
«  lam  armorum  picturam  Ursinorum,  Columnensium,  Sa- 
«  bellensium  et  aliorum  quorumcumque  magnatum,  quibus 
«  singulae  Romanae  domus  erant  inscriptae,  haberent  in 
«  domibus  suis,  deferrent  in  scutis,  nisi  solum  arma  Sanctae 
(c  Ecclesiae  Sanctitatisque  vestrae  et  Romani  populi  »  (i). 
Nel  tempo  stesso,  per  far  fronte  alle  spese,  Cola,  fra  i  primi 
atti  del  suo  governo,  ordina  un  notevole  aumento  nella 
tassa  focatico  (2). 

Questi  ed  altri  fatti  del  mese  di  giugno,  già  segnalatici 
da  altri  documenti,  vengono  con.  sufficiente  estensione  ri- 
cordati dalla  citata  lettera  dell'  8  luglio  a  Clemente  VI,  e 
confermati  da  quella  seguente,  che  Cola  dirigeva,  ai  quindici 
dello  stesso  mese,  al  già  ricordato  suo  amico,  residente  in 
Avignone  (3).  Qui  però  si  annunziano  anche  altre  leggi  da 
mettere  fra  le  prime  del  tribunato,  quali,  ad  esempio,  Tas- 
soluta  proibizione  del  giuoco  dei  dadi,  le  pene  sancite  contro 
la  bestemmia,  i  mezzi  di  repressione  del  concubinaggio. 
Insomma,  per  quanto  riguarda  le  prime  manifestazioni  della 
politica  di  Cola,  le  due  lettere  ricordate  hanno  un'eccezio- 
nale importanza  e  servono  cosi  a  dar  notizie  nuove,  come 
a  controllarne  di  già  date  dalla  Vita  dell'Anonimo  e  dalle 
diverse  fonti  indirette. 


(i)  Epist.  pp.  21-2. 

(2)  Epist.  lett.  Vili. 

(3)  Epist.  lett.  XII. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  '^en\o       445 

Frattanto,  gì'  ideali  e  le  speranze,  che  agitavansi  entro 
lo  spirito  esaltato  di  Cola,  lo  portavano  naturalmente  a 
vagheggiare  la  solennità  di  quella  ben  nota  incoronazione, 
ch'egli  annunziò  alle  città  italiane  con  lettera  dei  9  di  lu- 
glio, della  quale  soltanto  le  versioni  indirizzate  a  Firenze, 
a  Lucca  ed  a  Mantova  sono  pervenute  fino  a  noi  (i). 

Agli  strani  e  curiosi  concetti,  che  nei  secoli  xii,  xiii 
e  XIV  s'eran  venuti  formando  sul  conferimento  delle  corone, 
quale,  secondo  l'opinione  del  medio  evo,  s'usava  nel- 
l'antica Roma,  non  poteva  sottrarsi  l' immaginosa  ed  en- 
tusiastica natura  di  Cola  (2).  Doveva  a  lui  sembrare  in- 
dispensabile che  alla  sua  promozione  a  cavaliere,  annunziata 
per  il  primo  d'agosto,  seguisse  la  solenne  incoronazione 
col  tribunizio  alloro.  L'una  e  l'altra  solennità  viene  per- 
tanto da  lui  annunciata  nel  tempo  medesimo  e  nella  me- 
desima lettera. 

Or  giudicherebbe  assai  male  chi  nella  promozione  di 
Cola  volesse  quasi  vedere  la  prova  di  un  innegabile  di- 
squilibrio nelle  sue  facoltà  intellettuali.  Ognuno  che  abbia 
studiato  nei  principaU  suoi  aspetti  la  vita  del  medio  evo, 
riconoscerà  facilmente  che,  intitolandosi  cavaliere  dello  Spi- 
rito Santo,  Cola  di  Rienzo  seguiva  semplicemente  delle 
costumanze  già  da  molto  entrate  nella  civiltà  medievale. 
Né  è  un'  innovazione  del  romano  tribuno  quel  carattere 
mistico  e  religioso  ch'egli  diede  alla  cerimonia,  perchè  non 
da  allora  soltanto  il  cristianesimo  erasi  infiltrato  nel  ceri- 
moniale dell'antica  cavalleria  e  v'aveva  lasciata  la  sua  im. 
pronta. 

I  vari  e  ben  noti  atti,  onde  si  compose  la  solenne 
promozione,  nulla  contengono  in  sé,  che  esca  o  si  discosti 
da  usanze  già  invalse.  La  Vita  e  le  cronache  narrano  che 
la  notte  precedente  al  primo  d'agosto  Cola  dormì   nella 

(i)  Epist.  leu.  IX,  X,  XI. 
(2)  V.  Papencordt,  op.  cit.  p.  118. 
Archivio  della  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI  30 


44^  G/^.  Gabrielli 


chiesa  di  San  Giovanni  in  Laterano;  ma  già  da  un  secolo 
la  veglia  dell'armi  era  negli  usi  cavallereschi.  Quando  ac- 
canto al  rito  laico,  col  quale  creavansi  i  cavalieri,  s' intro- 
dusse parallelamente,  e  con  maggior  fortuna,  il  rito  eccle- 
siastico, questa  vegha  fu  forse  la  più  importante  innovazione 
del  nuovo  cerimoniale  (i),  se  pure  innovazione  può  chia- 
marsi, quando  si  ponga  mente  che,  a  prescindere  dalle 
grandi  veglie  liturgiche  di  Pasqua  e  di  Pentecoste,  già 
un  notissimo  testo  dei  primi  anni  del  secolo  xii  (2)  parla 
di  lunghe  veglie,  dove  si  cantavano  le  gesta  degli  eroi  e  le 
vite  dei  santi. 

1^0  stesso  è  a  dire  del  famoso  bagno,  che  Cola  prese 
nella  vasca  di  San  Giovanni  in  Laterano,  dove,  secondo 
la  leggenda,  Costantino  fu  battezzato  e  mondato  dalla  lebbra. 
Un  tale  uso,  secondo  un'assai  verosimile  opinione  (3),  nulla 
aveva  in  sul  principio  di  simbolico,  ma  era  un  vero  atto 
d'igiene;  in  seguito,  però,  la  sua  somiglianza  col  battesimo 
non  tardò  a  imprimergli  un  carattere  affine  al  primo  sa- 
cramento della  religione  cristiana. 

Dopo  la  veglia  del  nuovo  cavaliere,  spuntata  appena 
l'alba,  il  cerimoniale  prescriveva  che  si  celebrasse  la  messa 
e  quindi  avesse  luogo  un  solenne  banchetto.  Anche  in  ciò 
la  promozione  di  Cola  di  Rienzo  riproduce  1'  uso  comune, 
e  prima  egli  assiste  alla  messa,  celebrata  dal  vescovo  Rai- 
mondo d'Orvieto,  poscia  si  asside  con  lui  al  rituale  ban- 
chetto. 

Nello  stesso  giorno  (1°  d'agosto).  Cola  fa  pubblica- 
mente la  nota  dichiarazione  dei  diritti  che  competono  al 
popolo  romano  e  la  citazione  agli  imperatori  e  agli  elet- 
tori (4)  :  il  2,  consegna  rispettivamente  ai  rappresentanti 


(i)  L.  Gautier,  La  chevahrie;  Parigi,  1884. 

(2)  Vita  S.   Willelmi  (Ada  Sanctorum  maii,  VI,  811). 

(3)  Gautier,  op.  cit. 

(4)  Cf.  Re,  op.  cit.  p.  217. 


lìitorno  all'epistole  di  Cola  di  %ienio       447 

di  Perugia,  di  Firenze,  di  Siena  e  di  Todi  uno  stendardo 
(stantale)  figurato,  pegno  della  sua  immutabile  amicizia  (i). 

Infine,  il  giorno  dell'Assunta  (15  agosto)  ha  luogo  la 
coronazione  (2). 

Intorno  a  questi  fatti  notissimi,  le  varie  biografie  di 
Cola  danno  sufficienti  particolari,  tratti  dalle  fonti  sincrone. 
Ma,  meglio  che  dagh  altri  biografi,  queste  vennero  utiliz- 
zate dal  Papencordt,  nel  cui  libro  la  pittura  di  quei  ca- 
ratteristici quadri,  che  solo  il  medio  evo  può  darci,  appare 
abbastanza  viva  e  colorita.  Nei  riguardi  dell'Epistolario  di 
Cola,  rimane  soltanto  ad  aggiungere  che  la  più  importante 
lettera,  in  cui  egli  parli  del  bagno  sacro,  è  indirizzata  a 
Clemente  VI  (3).  Il  tribuno  aveva  cominciato  a  comporla 
avanti  il  primo  d'agosto;  ma  obbligato  a  tardarne  l'invio 
«propter  nuncii  tarditatem»,  aggiunge  a  ciò  che  aveva  scritto 
il  27  luglio,  l'annuncio  dell'avvenuta  sua  promozione  a  ca- 
valiere e  della  consegna  degli  stendardi  alle  varie  città. 

Ancora  dopo  la  festa  dell'Assunta,  Cola  torna  a  scri- 
vere al  papa,  giustificando  il  suo  operato  e  dicendo  che 
soltanto  i  suoi  nemici  potevano  metterlo  in  mala  vista 
presso    Clemente  VI.   La  lettera,  infatti   (4),  ha  questo 

esordio  :   «  Ne  dolosarum  linguarum  astutia Vestra 

«  Clementia suspectum  teneat,  de  cognitione  meae 

«  puritatis  auditum  praesens  litera  Sanctitati  vestrae  trans- 
«  mittitur,  veri  nuncia,  mendacii  inimica  et  dolo  obvia 
«  alicuius,  qui  ex  acuta  lingua,  ut  gladio  in  iaculatum  sa- 

«  gittarum,  nititur  in  occuho ».  Si  vede  dunque  come 

fin  d'allora  Cola  nutrisse  il  timore  di  destare  gravi  sospetti 
nella  curia,  mostrataglisi  nei  primordi  del  tribunato  abba- 
stanza benevola. 

(i)  V.  Chronicon  Estense;    Papencordt,    op.   cit.  p.  133  e  sgg.  ; 

RODOCANACHI,  Op.   Cit.    p.    I56. 

(2)  Papencordt,  op.  cit.  p.  137. 

(3)  Epist.  leu.  XVI. 

(4)  Epist.  lett.  XXII. 


448  qA.  Gabrielli 


Ma  per  tornare,  colla  guida  dell' Epistolario,  ai  più  no- 
tevoli avvenimenti  del  luglio,  ci  occorre  rivolgere  per  poco 
la  nostra  attenzione  alle  lotte  che  Cola  affrontò  nel  Patri- 
monio in  difesa  del  nuovo  regime.  Domati  i  baroni  ro- 
mani, egli  diede  opera  a  debellare  i  due  più  ostinati  e  po- 
tenti avversari  che  resistevano  al  suo  governo.  Uno  di 
questi  era  il  forte  e  fiero  Giovanni  Di  Vico. 

Sull'importanza  che  quest'antica  famiglia  ha  nella  storia 
di  Roma  medievale  richiamò  già  l'attenzione  degli  stu- 
diosi il  dott.  Carlo  Calisse  (i),  né  giova  ora  spender  su 
ciò  altre  parole.  I  Di  Vico  non  furono  soltanto  signori  po- 
tentissimi in  quella  parte  del  territorio,  che  si  chiamò  Pa- 
trimonio di  San  Pietro  in  Tuscia,  ma  rivestirono  anche, 
quasi  per  trasmissione  ereditaria,  la  carica  dì  prefetti  ur- 
bani in  Roma.  In  questa  famiglia  si  perpetuò,  come  per 
diritto  acquisito,  la  prefettura,  che,  restaurata  dagli  Ottoni, 
stava  a  rappresentare  in  Roma  l'autorità  imperiale.  Neces- 
sariamente, «la  cupidigia  di  regnare  trasse  i  Di  Vico  a 
«  star  sempre  in  armi,  or  contro  i  papi,  or  contro  il  co- 
«  mune  di  Roma,  che  non  cessavano,  gli  uni  e  l'altro,  per 
«  ragioni  diverse,  di  rivendicare  a  sé  la  signoria  dell'antico 
«  ducato  romano.  E  per  sostenersi  nella  lotta  ineguale,  i 
«  Di  Vico  usarono  di  accomunare  la  causa  loro  a  quella  dei 
«  nemici  della  Chiesa  o  del  Campidoglio;  quindi  fautori  di 
«  scismi,  seguaci  d'antipapi,  ghibellini,  nemici  di  ogni  de- 
ce mocrazia,  pronti  sempre  a  trar  vantàggio  dal  disordine^ 
«  che  spesso  a  ragion  veduta  provocavano  »  (2). 

Giovanni  Di  Vico,  succeduto  nella  prefettura  urbana 
a  Manfredi  Di  Vico  (1337),  ci  appare,  più  degli  altri  suoi 
antecessori,  avido  di  dominio  e  di  gloria.  Aveva  comin- 
ciato col  prendere   Viterbo;  poi  s'era  acquistato  Vetralla, 


(i)  I  prefetti  Di  Vico,  nelV Archivio  della  R.  Società  Romana  di  storia 
patria,  X  (1887). 

(2)  Calisse,  op.  cit.  p.  7. 


Intorno  alF epistole  di  Cola  di  ^ien^o       449 

Toscanella,  e  gran  parte  del  Patrimonio.  Il  papa  da  Avi- 
gnone lanciava  scomuniche,  ed  egli  proseguiva  noncurante 
il  suo  cammino.  Poteva  dunque  l'altèro  prefetto  piegarsi 
dinanzi  alla  nuova  signoria  di  Cola  di  Rienzo? 

Già  nella  prima  lettera  al  papa,  da  noi  ricordata  (i), 
il  tribuno  scriveva  d'aver  dichiarato  il  Di  Vico  decaduto 
dall'ufficio  di  prefetto  per  non  aver  egli  risposto  all'inti- 
mazione frittagli,  di  restituire  al  popolo  romano  la  fortezza 
di  Rispampani,  posta  fra  Toscanella  e  Vetralla.  Quindi, 
anche  dopo  l'S  di  luglio  (data  della  lettera  sopra  detta). 
Cola  continua  ad  informarci  colle  sue  parole  delle  vicende 
per  cui  passa  la  guerra  contro  il  prefetto:  la  lettera  XII 
è  scritta  appunto  nel  tempo  che  l'esercito  del  tribuno  te- 
neva assediata  Viterbo,  dov'eransi  ridotte  le  forze  di  Gio- 
vanni. 

Per  quest'  impresa,  abbastanza  grave.  Cola  s'era  pro- 
curato, oltre  le  cittadine  e  le  mercenarie,  anche  milizie  al- 
leate. Già  la  citata  lettera  VII,  colla  quale  s'accreditano 
quattro  ambasciatori  presso  la  Signoria,  aveva  lo  scopo  di 
persuadere  i  Fiorentini  a  mandare  aiuti  alla  Repubblica  ro- 
mana. Ma  quelli  non  si  mostrarono  troppo  solleciti  a  ri- 
spondere all'invito,  e  la  guerra  del  luglio  contro  il  pre- 
fetto sembra  che  fosse  compiuta  senza  le  milizie  fiorentine. 
Solo  Giovanni  Villani  (2)  dice  che  Cola  ottenne  dalla 
Signoria  cento  cavalieri,  e  promesse  di  nuovi  soccorsi.  Sap- 
piamo però  con  certezza  che  Perugia  gli  mandò  centocin- 
quanta cavalieri,  Siena  cinquanta  per  tre  mesi  (3),  ed  altri 
gliene  somministrarono  Corneto,  Narni,  Todi  (4). 

Nel  novero  delle  lettere  dirette  a  Firenze,  la  nota  cre- 
denziale è  ben  presto  seguita  da  un'altra  lettera  del  19  lu- 


(i)  Epist.  lett.  Vili. 

(2)  Cronaca,  lib.  XII,  cap.  90. 

(3)  Cronaca  Sanese  in  Muratori,  Rer.  It.  Sor.  XV,  118. 

(4)  Vita,  I,  16. 


450  qA.  Gabrielli 


glio  (i),  in  cui  Cola  prega  i  Fiorentini  di  non  concedere 
il  passaggio  sul  loro  territorio  a  talune  milizie,  che  il 
Di  Vico  aveva  assoldate  in  Lombardia;  ma,  prima  forse  che 
questa  lettera  giungesse  alla  propria  destinazione,  già  il  pre- 
fetto era  vinto.  La  lettera  a  Firenze  del  22  luglio  1347  (2) 
non  è  che  il  lieto  annunzio  della  tanto  sospirata  vittoria.  Il 
tribuno  invita  i  Fiorentini  ad  allietarsi  e  a  partecipare  della 
sua  gioia,  ma  non  lascia  di  soggiungere  :  «  Gli  aiuti  di 
soldati,  che  generosamente  m'avete  offerto,  piacciavi  in- 
viarli ugualmente,  giacché  dovrò  servirmene  per  sottomet- 
tere altri  audaci  ribelli  )> . 

Con  tali  parole  Cola  alludeva  evidentemente  a  Nicolò 
Caetani,  conte  di  Fondi,  contro  il  quale,  liberatosi  del 
Di  Vico,  rivolse  le  armi.  Prima,  però,  gli  prefisse  un  termine 
di  sei  giorni,  entro  il  quale  egli  doveva  presentarsi  in  Cam- 
pidogUo  ;  altrimenti,  sarebbe  stato  dichiarato  ribelle,  e  si  sa- 
rebbe proceduto  a  mano  armata  contro  di  lui.  Questo  scri- 
veva Cola  il  27  di  luglio  (3)  ed  evidentemente  durante 
il  periodo  dei  sei  giorni  concessi  al  Caetani. 

Il  conte  di  Fondi  non  si  piegò  ali*  intimazione,  e  una 
lettera  del  5  agosto  al  comune  di  Firenze  (4)  ed  un'altra 
del  6  a  quello  di  Todi  (5)  dimostrano  che  Cola  intendeva 
abbatterlo  coli' aiuto  delle  milizie  mandategli  dalle  due  città. 
Ma  i  soldati  di  Firenze  e  di  Todi  protestarono  di  non 
potere,  a  seconda  del  mandato  avuto,  uscire  in  campo  fuori 
di  Roma;  laonde  il  tribuno,  in  una  specie  di  postscriptum, 
prega  i  respettivi  Governi  di  revocare,  se  mai  lo  avessero 
dato,  quell'ordine. 

La  guerra  contro  Nicolò  Caetani  presentavasi  non 
meno  difficile  dell'altra  già  intrapresa  contro  il  prefetto,  e 

(i)  Epist.  lett.  XIII. 

(2)  Epist.  lett.  XIV. 

(3)  Epist.  lett.  XVI. 

(4)  Epist.  lett.  XVIII. 

(5)  Epist.  lett.  XIX. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  ^en^o       451 

r  Epistolario  dà  modo  di  seguirne  abbastanza  da  presso  gli 
eventi.  Quasi  tutto  l'agosto  si  passò  nell'aspettazione, mentre 
i  soldati  fiorentini  persistevano  nel  rifiuto  di  combattere 
fuori  della  città,  e  Cola  per  altre  due  volte  -  il  20  (i)  e 
il  27  (2)  -  scongiurava  la  Signoria  d'obbligarli  ad  ubbi- 
dire. Ma  questa  par  che  fingesse  di  non  intendere  un  cosi 
fatto  latino. 

Tuttavia  verso  la  fine  d'agosto  Cola  scrive  al  papa  (3) 
che  un  esercito,  comandato  da  Giovanni  Colonna,  sta  com- 
battendo con  buon  esito  contro  il  conte  di  Fondi,  e  che 
Angelo  Malebranca  ne  devasta  le  terre.  Sermoneta,  rócca 
dei  Caetani,  era  attaccata  dalle  milizie  di  Cola,  le  quali  co- 
stringevano eziandio  il  nemico  a  levar  l'assedio  da  Pro- 
sinone, che  faceva  parte  del  Patrimonio  della  Chiesa.  Poco 
dopo,  anche  Gaeta  spontaneamente  s'arrendeva:  Nicolò  e 
Giovanni  Caetani  domandavano  pace.  Cosi  è  che  ai  17  di 
settembre  Cola  può  affermare  il  Caetani  essere  vinto  e  ri- 
dotto ad  obbedienza  (4).  Ma  la  vittoria  fu  di  breve  durata  : 
nell'ottobre  il  conte  di  Fondi  riprendeva  le  ostihtà. 

A  misura  che  le  nuove  di  Roma  erano  andate  giun- 
gendo ad  Avignone,  gli  umori  della  curia  riguardo  a  Cola 
eransi  venuti  peggiorando,  e  già  nella  seconda  metà  del 
settembre  si  raccoglievano  gli  argomenti  per  muovergU  un 
severo  processo  (5).  Possediamo  un'importante  lettera  al 


(i)  Epist.  lett.  XX. 

(2)  Epist.  lett.  XXI. 

(3)  lìj'ist.  lett.  XXII. 

(4)  La  lettera  XXIII,  dalla  quale  ci  viene  questa  notizia,  è  diretta 
.1  Rinaldo  Orsini,  e  comincia  cosi  :  «  Post  conculcationem  Fundorum 
«  comitis,  quam  fecit  virtus  Spiritus  Sancti  ahsquc  effusione  sanguinis 
i<  et  aliquo  ictu  ensis,  etc.  ».  È  chiaro  però  come  l'espressione  ahsque 
effusione  sanguinis  non  debba  riferirsi  che  ai  soli  Caetani,  intenden- 
dosi che  ad  entrambi  fu  serbata  la  vita  e  la  libertà. 

(5)  «  Miror  equidem  si  Clcmentie  vestre  prudentia*. . .  flecti  se  pa- 
ce titur  dolosis  suggestionibus,  fraudibus  et  astutiis  malignorum  ad  ali- 


452  (ìA.  Gabrielli 


papa  (i),  nella  quale  il  tribuno  si  difende  dalle  principal 
accuse  rivoltegli.  <c  Sono  accusato  -  egli  dice  -  con  tante 
accanimento,  perchè  ho  preso  il  militare  lavacrum  nella 
conca  dove  fu  battezzato  Costantino;  ma  o  che  forse  ciò  che 
fu  lecito  ad  un  pagano,  il  quale  mondava  se  stesso  dalla 
lebbra  dell'antico  errore,  non  sarà  concesso  ad  un  cristiano 
che  ha  mondato  un'intera  città  dalla  lebbra  della  tiran- 
nide ?  O  che  forse  quella  pietra  è  più  santa  del  tempio  in  cui 
essa  si  trova,  e  nel  quale  fu  sempre  lecito  il  penetrare?  E 
mentre  un  uomo, pentito  dei  suoi  falli,  può  sempre  ricevere  il 
corpo  del  Signore,  non  potrà  costui  entrare  in  un  battisterio, 
quasi  che  questo  fosse  più  nobile  del  corpo  di  Gesù  ?  »  (2). 

Appaiono,  insomma,  fin  d'allora  gli  stessi  argomenti 
all'  incirca  che  Cola  ripeterà  due  anni  dopo,  quando,  pri- 
gioniero a  Praga,  tornerà  sul  suo  passato  politico,  e  cer- 
cherà difendersi  da  accuse  più  che  mai  vivaci.  Questo 
tuttavia  si  può  affermare  con  certezza  :  che  le  due  celebri 
giornate  del  primo  e  del  15  agosto  avevano  più  specialmente 
contribuito  a  peggiorare  le  disposizioni  di  Clemente  VI  ri- 
guardo al  tribuno,  e  a  mutare  in  severità  la  primitiva  be- 
nevolenza. 

Cola  intanto  si  lasciava  sempre  più  blandire  dalle  lu- 
singhe della  sua  apparente  fortuna.  L'Epistolario  nella  citata 
lettera  XXV  dà  notizia  di  quello  che  parve  a  Cola  uno  dei 

«  quid  praeter  verum,  et  contra  vestram  humillimam  creaturam  mo- 
«  verit  dictum,  et  inchoasse  processus  »  (Epist.  lett.  XXV). 

(i)  EpisL  lett.  XXV. 

(2)  «  Et  si  in  Pelvi,  in  qua  baptizatus  extitit  Constantinus,  lava- 
«  crum  militare  suscepi,  unde  redarguor,  numquid  [id]  quod  mundando 
«  a  lepra  pagano,  christiano  mundanti  Urbem  et  populum  a  lepra  ser- 
«  vitutis  tirannice  non  licebit  ?  Et  numquid  lapis  existens  in  tempio, 
«  in  quod  intrare  licitum  extitit  et  debitum,  est  sanctior  ipso  tempio, 
«  quod  conferret  lapidi  sanctitatem  ?  Numquid  homini  confesso  et 
«  corde  contrito,  cui  licet  prò  salute  sumere  corpus  Christi,  non  li- 
«  cebit  intrare  concham  lapideam,  que  etiam  prò  nihilo  propter  desue- 
«  tudinem  habebatur,  quasi  increpantibus  huius  sine  devotione  factum 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^enio       453 

suoi  più  brillanti  successi,  cioè  deirambasciata  speditagli 
dai  re  d'Ungheria.  Non  senza  celare  la  baldanza  che  ne 
traeva,  il  tribuno  osserva  che  quegli  ambasciatori  non  solo 
sottomisero  al  suo  giudizio  la  quistione  dell'assassinio 
d'Andrea,  ma  gli  chiesero  anche  di  permettere  la  discesa 
di  re  Luigi  in  Italia,  e  gli  proposero  una  formale  alleanza 
(%rt).  Ora,  quanto  all'uccisione  d'Andrea,  Cola  rispose 
che,  domandandosi  a  lui  giustizia,  ei  non  potea  negarla; 
ma  nulla  disse  intorno  alla  seconda  richiesta,  e,  quanto 
alla  formale  alleanza,  assicurò  bastare  la  semplice  amicizia. 
Dall'  1 1  ottobre  al  9  novembre  nessuna  lettera  del  tri- 
buno ci  è  pervenuta,  la  quale  concorra  ad  illustrare  gli  av- 
venimenti operatisi  in  quel  breve  periodo.  Tra  questi,  spe- 
cialmente uno,  ricordato  dalla  Vita  e  da  molte  altre  fra  le 
fonti  contemporanee,  ebbe  una  seria  influenza  su  le  sorti 
del  buono  stalo j  e  fu  l'arrivo  del  cardinale  Bertrando  De  Deux. 
Infatti,  il  legato  pontificio,  venendo  da  Napoli  a  Roma  in 
atteggiamento  chiaramente  ostile  al  tribuno,  dava  a  vedere 
quale  ormai  fosse  la  linea  di  condotta  fissata  dalla  curia. 
Da  quel  momento  la  lotta  fra  Cola  e  la  corte  d'Avignone, 
dapprima  latente,  assunse  il  carattere  di  guerra  aperta  e  di- 
chiarata. Tanto  più  adunque  si  deve  deplorare  che  non  una 
lettera  ci  conceda  di  scoprire  il  pensiero  di  Cola  intorno 
alla  nuova  attitudine  di  Clemente  VI.  Tale  lacuna  è  pro- 
babilmente causata  dal  fiitto  che  in  quel  tempo  Cola  rimase 
quasi  continuamente  lontano  da  Roma,  occupato  a  guer- 
reggiare contro  i  Colonna  e  gli  altri  baroni,  radunati  nel 
contado.  Quindi  è  che  neanche  dell'episodio  più  interes- 
sante di  quella  guerra  -  la  presa  di  Castelluzzo  -  ci  è  dato 
apprender  nulla  dalla  penna  medesima  di  Cola. 

«  introitum  videatur  concham  nobiliorem  esse  ipso  corpore  Domini 
«  nostri  lesu  Christi ...  ?  Et  si  dicor  auxisse  nomina  mihi  et  titulos 
«  ampliasse,  coronasque  varias  assumpsisse,  quid  refert  fìdci  antiqua 
«  officiorum  romana  nomina  cum  antiquis  ritibus  rcnovassc  ?  »  (Epist. 
ictt.  XXV;. 


454  ^'  Gabrielli 

In  qual  modo  si  comportasse  il  tribuno,  venuto  alla 
chiamata  del  legato  papale,  non  occorre  ricordare  qui,  dove 
non  s'ha  a  narrare  la  storia  del  tribunato,  ma  solo  indi- 
care i  più  notevoli  fatti  cui  le  lettere  si  rapportano.  Cola, 
partito  di  nuovo  da  Roma  e  tornato  all'assedio  di  Marino, 
non  ci  si  rifa  innanzi  con  lettere  sue,  se  non  quando  s'accorge 
che  la  lotta  stancava  ormai  soverchiamente  i  Romani  e  che 
doveva  esser  condotta  a  termine  al  più  presto.  Ecco  infatti, 
il  9  di  novembre,  una  sua  nuova  lettera  ai  Fiorentini  (i). 
Egli  è  specialmente  indotto  a  scrivere  dal  fatto  che  i  ba- 
roni armavano  più  attivamente  che  mai  in  Palestrina,  e  di 
là  si  preparavano  a  invadere  colle  loro  genti  la  città:  man- 
dassero perciò  i  Fiorentini  nuovi  aiuti,  i  quali,  quanto  più 
presto  fossero  giunti,  tanto  più  sarebbero  stati  graditi  (2). 

Come  rispondessero  i  Fiorentini  a  quest'ultima  richiesta 
non  sappiamo  con  certezza;  probabilmente,  secondo  avevan 
fatto  altre  volte,  non  ne  tennero  alcun  conto.  Nella  lettera 
immediatamente  successiva  (3),  dove  il  tribuno  dà  loro  no- 
tizia della  famosa  vittoria  da  lui  conseguita  a  porta  San  Lo- 
renzo (4),  non  v'è  accenno  di  sorta  a  soldati  fiorentini  che 
per  avventura  militassero  tra  le  file  che  sconfissero  i  ba- 
roni. La  stessa  epistola^  che  servi  per  i  fiorentini,  fu  anche 
inviata  in  Avignone  ad  un  uomo  che  fin  da  principio  erasi 
mostrato  per  Cola  assai  benevolo  :  al  cardinale  Rainaldo 
Orsini,  arcidiacono  di  Liegi,  il  quale  doveva  parteciparla 
al  pontefice  (5).  L'Orsini,  che  fu  il  nono  cardinale  della 


(i)  Epist.  leu.  XXVI. 

(2)  «...  amicitiam  vestram  requirimus  et  rogamus  quatenus  ali- 
«  quid,  et  prout  vobis  est  habile,  gentis  nobis  subsidium  impertire  : 
«  quod  quanto  fiet  ceUrius,  gratius  tanto  erit  »  (Epist.  lett.  XXVI). 

(3)  Epist.  lett.  XXVII. 

(4)  Veggasi  il  racconto  di  questa  battaglia,  cavato  dalle  attesta- 
zioni delle  fonti,  in  Papencordt,  op.  cit.  p.  177  e  segg.,  e  Rodo- 
CANACHi,  op.  cit.  XVI, '210. 

(5)  Epist.  lett.  XXVIII. 


Intorno  al V epistole  di  Cola  di  ^enio       455 

sua  casa  (i),  copriva  nella  curia  la  carica  di  notaio  pa- 
pale. Estraneo  alle  vicende  della  casa  Orsini  in  Roma  e 
vivendone  lontano,  aveva  accolto  con  favore  il  tentativo 
di  Cola  di  Rienzo,  il  quale  già  nei  primi  giorni  del  tri- 
bunato, scrivendo  all'  ignoto  amico  d'Avignone  (2),  lo 
pregava  di  communicare  anche  al  cardinale  il  contenuto 
delle  sue  lettere. 

Così  anche  stavolta  Cola  informa  l'Orsini  della  vittoria, 
e  questa  lettera  è  una  tra  le  più  significanti  manifestazioni 
della  mistica  esaltazione  cui  abbandonavasi  lo  spirito  di  Cola, 
tutta  piena  di  reminiscenze  bibliche,  di  sogni,  dì  profezie, 
di  visioni. 

Ma  (è  superfluo  il  notarlo)  dalla  sua  stessa  natura  Cola 
era  tratto  da  un  eccesso  all'eccesso  opposto.  Già  fu  da  altri 
segnalata  (3)  quella  specie  di  trasformazione  che  l'ultima 
vittoria  produsse  in  lui,  e  com'egli,  riconoscendo  per  il  primo 
e  quasi  ingrandendo  i  propri  errori,  fosse  preso  da  quella 
morbosa  e  infantile  pusillanimità,  che  due  anni  dopo  non 
si  peritava  di  confessare  sinceramente  (4).  Il  tribuno  vo- 
leva tornare  sul  suo  passato,  portarvi  rimedio,  emendarlo 
dove  ancora  poteva. 

Questo  brevissimo  periodo  di  reazione  alla  troppo  spinta 
baldanza  dei  mesi  scorsi  ci  è  nell'Epistolario  rappresentato 
dalla  lettera  XXIX,  dove,  oltre  ad  essere  da  Cola  medesimo 
accennati  gli  umili  e  rimessivi  atti  compiuti  a  quei  giorni, 
annunziasi  ancora  la  prossima  venuta  in  Roma  ,del  legato, 
ch'egli  aveva  di  nuovo  eletto  suo  collega  nel  governo.  La 
città  di  Aspra,  insieme  con  Tarano,  Torri,  Collevecchio, 
Stimigliano,  Santo  Polo  e  Selci,  sì  era  data  spontaneamente 
al  tribuno;  ma  questi,   temendo  ora  il  danno  che  da  ciò 


(i)  Sansovino,  L'bisloria  di  casa  Orsina;  Venezia,  1565. 

(2)  EpisL  lett.  XII.  Vedi  sopra,  p.  444. 

(3)  Papencordt,  op.  cit.  pp.  190,  191. 

(4)  Epist.  lett.  XXXV. 


45^  C^-  GabìHelli 


poteva  venire  all'autorità  del  pontefice  e  volendo  prima  in- 
tendersi con  Raimondo  vescovo  d'  Orvieto,  richiama  da 
Aspra  il  luogotenente  che  v'aveva  mandato  e  ch'era  un  Gian- 
notto di  Enrico. 

Ma  Cola  non  è  ormai  più  in  tempo  ad  arrestare  il  corso 
degh  avvenimenti,  e  la  data  di  questa  lettera  -  eh' è  l'ul- 
tima di  questo  periodo  -  segna  il  principio  della  vertiginosa 
discesa,  per  la  quale  precipitò  il  tribuno  del  popolo  romano. 
Il  racconto  delle  vicende  di  Cola,  a  principiare  dal  giorno 
deHa  sua  fuga  da  Castel  Sant'Angelo,  è  troppo  noto,  perchè 
occorra  rifarlo  nel  caso  presente. 

Succede  il  secondo  periodo  della  vita  di  Cola,  e,  dopo 
un  intervallo  di  più  che  due  anni,  s'entra  nel  secondo  gruppo 
delle  lettere  sue,  dal  quale  la  figura  del  tribuno  vien  su 
quasi  al  tutto  diversa:  non  più  l'antica  baldanza,  non  più 
l'altèra  sicurezza  di  sé,  ma  l'attitudine  umile  d'un  povero 
perseguitato  che  lavora  con  ben  poca  fortuna  a  riconqui- 
stare l'alto  luogo  tenuto  per  l' addietro.  Due  anni  trascorsi 
nella  solitudine  d'un  convento  perduto  fra  i  monti  non 
possono  non  aver  modificata  in  qualche  modo  la  fisonomia 
morale  del  tribuno  :  gran  parte  delle  qualità  proprie  al  suo 
talento  ci  si  mostrano  affievolite  o  scomparse  del  tutto  il 
giorno  che  lo  ritroviamo  impetrante  grazia  e  protezione 
dall'  imperatore  Carlo  IV  di  Boemia.  Il  carteggio  ch'egli 
tenne,  durante  il  suo  forzato  soggiorno  a  Praga,  coli' im- 
peratore, col  suo  cancelliere  Giovanni  di  Neumark  e  coli' ar- 
civescovo di  Praga,  riflette  interamente  lo  strano  e  inva- 
dente misticismo  che  ormai  informava  la  vita  dell'antico 
signore  di  Roma  :  le  lettere,  più  che  segnalare  flitti  nuovi, 
presentano  tutta  una  serie  di  considerazioni  teologiche  o 
morali,  ora  fondate  su  la  Bibbia,  ora  inspirate  alle  credenze 
e  alle  profezie  che  a  quel  tempo  circolavano  in  Francia,  in 
Germania,  in  Italia,  e  che  annunziavano  prossimo  il  tanto 
aspettato  regno  dello  Spirito  Santo. 

La  fede  in  un  prossimo  principio  del  regno  di  Dio,  dal 


Intorno  al F epistole  di  Cola  di  ^en^o       457 

quale  il  mondo  sarebbe  uscito  rinnovato,  fu  quasi  il  fon- 
damento del  Cristianesimo,  e  anziché  scemare,  s'afforzò  poi 
di  secolo  in  secolo.  Anche  dopo  il  mille,  quel  nucleo  d'idee 
che  aveva  prodotto  gli  ascetici  entusiasmi  dei  millenari, 
seguitò  ad  animare  migliaia  e  mighaia  di  credenti,  e,  assunte 
forme  ed  atteggiamenti  diversi,  trovò  nel  secolo  xir  il  suo 
più  celebre  apostolo  in  Gioacchino  di  Fiore  : 

Il  calavrese  abate  Gìovacchino, 
Di  spirito  profetico  dotato  (i). 

Quel  povero  monaco,  che  con  picciol  numero  di  seguaci 
erasi  ridotto  ad  abitare  poche  e  misere  capanne  su  le  falde 
del  Sila,  ma  che  aveva  pur  predetta  la  morte  al  Barbarossa 
e  fatto  tremare  Riccardo  Cuor  di  leone,  apparve  al  medio 
evo  come  il  suo  nuovo  oracolo,  come  il  suo  profeta.  Tosto 
la  leggenda  s' impadroni  di  lui,  e  narrò  come  Yoììo  che  ar- 
deva su  la  sua  tomba  bastasse  ad  oprar  miracoH  d'ogni  ge- 
nere (2).  Il  nome  di  Gioacchino  di  Fiore  diventò  quasi  il 
simbolo,  sotto  il  quale,  benché  il  monaco  calabrese  non 
fosse  stato  in  realtà  che  un  teologo  abbastanza  ortodosso, 
fu  combattuta  la  guerra  contro  la  curia  romana.  Il  grande 
movimento  francescano  scaturì  direttamente,  se  non  dal- 
l'azione personale,  certo  dall'  influenza  di  Gioacchino  di 
Fiore.  Or  chi  non  sa  che  quel  tentativo,  ascetico  in  appa- 
renza, celava  alti  fini  politici  e  sociali  ?  Quando  si  predicava 
la  povertà  essere  il  sommo  e  l'unico  bene,  e  s'additava 
all'uomo  una  perfezione  ben  diversa  da  quella,  di  cui  la 
Chiesa  ha  il  segreto,  non  si  diceva  implicitamente  che  la 
Chiesa  doveva  finire  e  far  posto  a  una  società  nuova  ? 

Mentre  ancora  Gioacchino  viveva,  la  fama  di  lui  era 
giunta  fin  ncll'  Oriente,  e  di  là  un  eremita  del  monte  Car- 
melo, Cirillo,  dotato  anch'esso  di  spirito  profetico,  gli  scri- 

(i)  Dante  Alighieri,  Farad.  XII,  140-141. 

(2)  Gervaise,  Histoire  de  l'ahbé  Joachim;  Parigi,  1754. 


458  ^.  Gabrielli 


veva  per  sapere  il  significato  d'una  visione  da  lui  avuta  (i). 
Avvenne  pertanto  assai  naturalmente  che,  in  seguito,  si  as- 
segnasse all'abate  calabrese  un  precursore  in  questo  Cirillo, 
che  morì  molto  prima  di  Gioacchino. 

Cosi  le  profezie  di  questi  due  eletti  di  Dio,  a  misura 
che  la  schiera  dei  gioachimisti  andava  ingrossando,  erano, 
insieme  a  molte  altre,  addotte  in  testimonio  per  dimo- 
strare vicinala  sostituzione  d'una  Chiesa  povera  e  monastica 
alla  Chiesa  ufficiale.  S'aggiungevano  inoltre  le  numerose 
attestazioni  della  Sacra  Scrittura,  e  tutte  le  più  vive  imma- 
gini dei  libri  santi  erano  prese  a  prestito  per  dipingere  a 
foschi  colori  i  prossimi  castighi  che  preparavansi  ai  prelati 
empì  e  mercenari.  Gli  abusi  del  potere  temporale  della 
Chiesa  erano  insomma  perseguitati  con  tale  violenza  da  farci 
credere  che  le  cause  d'una  rivoluzione  religiosa  esistevano 
latenti  già  fino  dal  secolo  xiii. 

Nel  secolo  xiv,  anche  dopo  le  condanne  di  varii  papi 
e  specialmente  di  Bonifacio  Vili,  le  idee  gioachimiste  se- 
guitarono, a  traverso  la  formazione  delle  tante  altre  sètte 
affini,  ad  agitare  e  ad  appassionare  gli  spiriti  :  la  certezza 
della  vicina  era  dello  Spirito  Santo  rimase  ugualmente  fissa 
nelle  menti  e  nei  cuori. 

Il  soffio  di  tutte  queste  idee  era  forse  appena  arrivato  a 
Cola  di  Rienzo  prima  ch'ei  prendesse  stanza  tra  i  fraticelli  di 
monte  Maiella,  i  quaHne  erano  naturalmente  apostoli  caldi  e 
instancabili.  Ma  quanto  più  tardi  le  generali  aspirazioni  ven- 
nero a  conoscenza  di  Cola,  tanto  più  dovettero  invaderne  lo 
spirito,  trovando  nella  natura  sua  il  terreno  più  adatto  che 
mai  si  possa  immaginare.  Da  una  parte  si  gridava  al  tri- 
buno: guerra  alla  corte  avignonese;  dall'altra  gli  si  an- 
nunziava vicino  un  nuovo  regno  dello  Spirito  Santo.  Come 
non  accogliere  lietamente  quel  primo  invito?  E  come 
non  pensare  che  a  lui,  al  salvatore  di  Roma,  all'  inviato 


(i)  Gervaise,  op.  eh.  II,  383, 


Intorno  air  epistole  di  Cola  di  ^en^o       459 

di  Dio,  non  dovesse  nella  nuova  era  toccare  la  parte  prin- 
cipale ? 

Quando  dunque  frate  Angelo  si  fece  a  richiamarlo  alla 
vita  del  secolo  e  a  significargli  le  grandi  cose  che  doveva 
compiere,  Cola  trovavasi  già  apparecchiato  ad  accettare  il 
consiglio.  «Il  regno  dello  Spirito  Santo  s'avvicinava:  egli 
era  chiamato  a  fondarlo».  Questa  l'idea  che  ormai  domina 
Cola  e  che  lo  conduce  a  Praga;  questo  il  concetto  che 
informa  pressoché  tutte  le  lettere  del  secondo  periodo."  Ogni 
volta  che  scrive  air  imperatore,  al  papa,  a*  prelati.  Cola  di 
Rienzo  'non  è  più  che  una  voce  del  suo  tempo  ;  ciò  che 
noi  leggiamo  non  è  che  la  ripetizione  di  quanto  cento  altri , 
mille  altri  uomini  andavano  proclamando  d'ogni  parte.  I 
nomi  di  Gioacchino  di  Fiore,  di  Cirillo,  di  Merlino,  che 
ricorrono  assai  di  frequente  nelle  sue  lettere,  sono  sufficiente 
attestazione  delle  idee,  dalle  quali  egli  era  dominato.  «  Iddio 
voleva  fino  dal  tempo  di  san  Francesco  punire  gli  uomini 
degeneri,  ma  T  intercessione  del  poverello  d'Assisi  e  di 
san  Domenico  fermò  la  sua  mano  onnipotente.  Ora  però 
la  divina  vendetta  sta  per  iscoppiare,  e  l'era  dello  Spirito 
Santo  è  vicina.  Un  uomo  sarà  chiamato,  una  cum  cheto  im- 
peratore, a  riformare  il  mondo  ».  Cosi  dicevano  le  profezie. 

E  le  stesse  cose  scrive  Cola,  appena  giunto  a  Praga  (i), 
nella  prima  sua  lettera  a  Carlo  (2).  Ma  questi  non  risponde, 

(i)  L'arrivo  di  Cola  in  Praga  è  posto  sotto  due  date  diverse:  il 
Chronicon  Ar^entinense  ritiene  la  data  della  seconda  quindicina  di  lu- 
glio; la  Vita  invece  assegna  la  data  del  i**  agosto.  Noi  crediamo  da 
preferire  alla  seconda  la  prima  data,  perchè  altrimenti,  dal  1°  al 
15  agosto,  troppi  avvenimenti  sarebbero  accumulati.  Difatti^il  17  agosto 
già  il  papa  rispondeva  alla  lettera  colla  quale  Carlo  IV  gli  comuni- 
cava l'imprigionamento  di  Cola,  e  che  doveva  quindi  essere  stata 
scritta  almeno  il  7  o  T  8  di  agosto.  S' aggiunga  che  l'espressione  di  Cola 
medesimo:  «...  dum  per  memes  triginta  quadam  arta  vita  laborassem  » 
{Episl.  lett,  XXX)  porta  a  credere  che  trenta  mesi  giusti  siano  corsi 
dalla  fine  del  tribunato  airarrivo  in  Praga. 

(2)  Epist.  lett.  XXX. 


4^0  qA.  Gabrielli 


e  lo  mette  sotto  custodia.  Toma  egli  allora  a  scrivere  (i), 
narrandogli  la  nota  storia  della  propria  origine  imperiale  (2), 
e  stavolta  V  imperatore  risponde  che  su  questa  non  poteva 
dare  alcun  giudizio  ;  che  alle  addotte  profezie  egli  non  pre- 
stava alcuna  fede;  che  se  i  vicari  ecclesiastici  mandati  in 
Italia  ogni  dì  più  la  sgovernavano,  non  ispettava  a  lui  il 
punirli  (3).  Cola  ritenta  la  prova  in  una  terza  lettera  (4), 
ma  Carlo  IV,  che  doveva  in  gran  parte  al  papa  la  sua  ele- 
zione e  la  cui  politica  s'era  sempre  più  accostata  a  quella 
d'Avignone,  non  se  ne  dà  per  inteso.  E  invero  la  prigionia 
di  Cola,  anziché  all'  imperatore,  dovevasi  a  Clemente  VI 
e  agh  ecclesiastici  che  lo  dirigevano. 

Alle  antiche  accuse,  riflettenti  gli  atti  compiuti  da  Cola 
durante  il  tribunato,  venivano  ora  ad  aggiungersene  delle 
nuove  e  più  gravi,  provocate  dalle  opinioni  eterodosse  che 
Cola  esprimeva.  Se  quelle  idee  avessero  soltanto  rappre- 
sentato le  utopie  d'un  esaltato,  forse  la  curia  non  se  ne 
sarebbe  data  pensiero.  Ma  la  Chiesa  andava  combattendo 
cosi  fatte  aspirazioni  da  più  d'un  secolo,  e  doveva  neces- 
sariamente vedere  con  sospetto  farsene  eco  un  uomo  che 
cosi  considerevole  parte  aveva  rappresentata  nella  politica 
di  quel  tempo.  Di  qui  le  persecuzioni  contro  Cola,  nelle 
quali  una  cosa  sola  si  nota  con  certa  meraviglia  :  ch'esse 
non  siano  state  assai  più  aspre  e  violente. 

Cola  citava  Gioacchino  di  Fiore  e  gli  altri  più  diffusi 
scrittori  di  profezie,  e  la  curia  non  cessava  di  dichiararli 
falsi  e  mendaci.  «  Assai  mi  meraviglio  -  scrivevagU  l'arci- 
vescovo di  Praga  -  che  tu  dia  cosi  illimitata  fede  a  pro- 
fezie apocrife,  delle  quah  un  vero  cristiano  non  può,  senza 
grande  temerità  e  senza  pericolo   per  l'anima   sua,  affer- 


(i)  EpisU  lett.  XXXI. 

(2)  Papencordt,  op.  cit.  p.  64. 

(3)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  xiv. 

(4)  Epist.  lett.  XXXII. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^iew^o        461 

mare  la  veridicità.  Su  ben  altre   fondamenta   tu    dovresti 
elevare  la  tua  difesa  !  »   (i). 

Tutto  ciò  non  è  nuovo:  Cola  da  un  lato,  e  dall'altro 
l'arcivescovo  di  Praga  non  ci  rappresentano  se  non  un 
certo  momento  d'una  lotta  da  gran  tempo  accesa  e  pro- 
lungatasi. 

Ma  l'Epistolario  presenta  anche  un  altro  lato  che  do- 
vrebbe, a  parer  nostro,  studiarsi  di  proposito  e  contraporsi 
alle  costanti  tradizioni  della  curia:  si  dovrebbero,  cioè,  te- 
nere nel  dovuto  conto  i  concetti  meramente  poHtici  che 
Cola  di  Rienzo  propugna  in  questo  secondo  gruppo  delle 
sue  lettere.  Noi  ci  contenteremo  d'accennarvi  fugacemente. 

A  che  mirino  tutte  le  lettere  scritte  da  Cola  in  Praga, 
occorre  appena  ricordare  :  egli  chiedeva  a  Carlo  IV  di  po- 
tere, colla  stessa  autorità  avuta  in  passato,  presentarsi  di 
nuovo  al  popolo  romano.  Ma  già  il  titolo,  che  Cola  doman- 
dava d'assumere,  era  ben  diverso:  non  doveva  esser  più 
il  tribuno  che  scongiurava  il  papa  a  lasciare  Avignone  e  a 
tornare  in  Roma,  ma  solo  un  vicario  dell'  imperatore,  con 
imperiale  plenipotenza.  E  anzi.  Cola  suggeriva  a  Carlo  IV 
di  farlo  partire  occultamente,  prudentemente,  senza  strepito, 
cosicché  il  suo  ritorno  in  Roma  riuscisse  una  vera  sorpresa. 
Basterebbe,  forse,  un  tal  finto  a  dimostrare  come  il  con- 
cetto ghibellino  si  fosse  fatto  strada  nell'animo  del  tribuno  ; 
ma  una  ben  più  sicura  conferma  ne  danno  molti  luoghi 
delle  lettere  a  cui  ci  riferiamo.  Infatti,  le  teorie  ghibelline, 
che  vanno  dall'ossequioso  riserbo  del  De  monarchia  alle  au- 
dacie del  Defensor  pacis,  e  che  diventate,  da  filosofiche, 
politiche,  erano  state  dalla  curia  dichiarate  eretiche  dopo  il 
famoso  libro  di  Marsilio  da  Padova  e  dopo  la  lotta  con 
Ludovico  il  Bavaro,  fanno  apcrtnmente  la  loro  comparsa 
negli  scritti  di  Cola.  Per  questa  ragione  il  tribuno  aveva 
trovato  un  alleato  potente  anche  nel  Petrarca,  sebbene  questi, 

(i)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  xviii. 
Archivio  della  li.  Società  romana  di  storta  patria.  Voi.  XI,  31 


4^2  qA.  Gabrielli 


in  realtà  né  guelfo,  né  ghibellino,  s*  inspirasse  a  un  concetto 
eminentemente  italico  ed  eminentemente  nazionale.  Egli 
pertanto  diede  a  Cola  il  suo  appoggio,  finché  le  idee  di  lui 
si  rivolsero  alla  restaurazione  di  Roma  e  d'Italia,  e  l'abban- 
donò quando  il  tribuno  volle  spingersi  eziandio  oltre  le  Alpi. 

Nella  prima  lettera  indirizzata  a  Carlo  IV  (i),  Cola  offre 
all'imperatore  il  proprio  aiuto,  nel  caso  che  voglia  recarsi 
in  Roma,  e  promette  d'acquistargli  il  favore  di  quegli  stessi 
fra  gli  Stati  d' ItaHa,  che  più  si  mostravano  avversi  all'im- 
pero. E  anche  più  chiaramente  s'esprime  nella  lettera  XXXI: 
«  Destati  adunque  -  egli  scrive  all'imperatore-  e  impugna 
validamente  la  tua  spada,  perché,  come  non  devi  esser  tu 
il  clavigero  {clavigcrus),  cosi  non  deve  il  pontefice  esser 
V armigero  (armigerus)  :  la  spada,  che  fu  data  a  Cesare,  fu 
negata  a  Pietro  » . 

Cosi  il  concetto  della  divisione  tra  la  spada  e  il  pastorale 
trova  in  Cola  un  sincero  aderente.  Ma  nella  medesima  let- 
tera egli  aggiunge  :  «  Or  mentre  tutti  gli  altri  Stati  godono 
pace  e  tranquillità,  le  provincie  rette  da  uffiziali  ecclesiastici 
sono  dalla  inerzia  e  dalla  cattiveria  di  costoro  trascinate  di 
male  in  peggio  . . .  Quanto  megHo  sarebbe  che  ciò  eh'  è  di 
Dio,  si  desse  a  Dio,  ciò  ch'é  di  Cesare,  si  desse  a  Ce- 
sare! ».  E  continua  ad  accusare  il  papa  e  i  cardinaH,  che 
proclamano  giusto  ciò  che  fa  loro  comodo,  ingiusto  ciò 
che  non  li  soddisfa  nell'illegittime  aspirazioni,  e  che,  do- 
vunque si  veggono  contrariati,  stan  pronti  col  fulmine  delle 
scomuniche.  Per  tal  modo,  approvano  oggi  ciò  che  con- 
dannarono ieri!  (2). 

Opinioni  di  tal  fatta,  espresse  con  franca  parola,  spie- 
gano come  Cola  non  riuscisse  ad  ottener  nulla  neanche  dal 
Neumark  e  dall'arcivescovo  di  Praga,  ai  quali  si  diresse  dopo 
che  vide  inutile  lo  sperare  nell'imperatore. 


(1)  Epist.  lett.  XXX. 

(2)  Epist.  cit.  lett.  XXXI. 


Intorno  alV epistole  dì  Cola  di  ^'enjo        4^3 

La  vita  di  Giovanni  di  Neumark,  l'alto  luogo  da  lui 
tenuto  nella  corte  di  Boemia,  le  sue  relazioni  con  Carlo  IV 
e  col  Petrarca,  offrirebbero  tèma  a  un'interessante  mono- 
grafia. Il  Papencordt,  accennando  all'importanza  ch'ebbe 
quel  personaggio  nella  politica  d'allora,  prometteva  di  pub- 
blicarne varie  lettere  inedite,  e  la  promessa  sarebbe  certo 
adempiuta  ormai  da  gran  tempo,  se  l' immatura  morte  non 
avesse  troncato  gli  studi  del  geniale  storico  tedesco.  Cosi, 
ora,  chi  non  intenda  d'imprendere  studi  affatto  speciaH, 
s'accontenta,  quanto  alNeumark,  di  ricordare  come,  al  tempo 
della  dimora  di  Cola  in  Praga,  sebbene  non  peranco  can- 
celliere dell'impero  (i),  ma  semplicemente  canonico  di 
Breslavia  e  di  Oltmùtz,  egli  tuttavia  potesse,  se  voleva, 
occuparsi  con  frutto  della  sorte  del  tribuno. 

La  prima  lettera,  colla  quale  Cola  si  volse  al  Neumark  (2), 
rivela  nello  scrivente  una  perfetta  conoscenza  cosi  dell'uomo 
al  quale  s' indirizza,  come  delle  tendenze  e  dei  gusti  di  lui... 
E  intendo  gusti  letterari,  dacché  il  canonico  era  fra  i  dilet- 
tanti della  letteratura  e  degli  studi  d'allora.  Cola  gli  scrive 
in  tal  forma,  eh'  è  brutto  esempio  della  più  roboante  am- 
pollosità di  stile,  usata  a  dire  le  cose  più  sempHci,  e  che  trova 
nella  risposta  del  Neumark  (3)  degno  riscontro.  Questi  in- 
fatti con  istraordinaria  enfasi  porta  a  cielo  i  meriti  del  tri- 
buno ;  ma,  al  punto  di  rispondere  qualcosa  di  meno  vapo- 
roso, non  sa  far  altro,  che  consigliare  a  Cola  di  tacere  e 
obbedire  ai  voleri  di  Cesare.  Dopo  ciò,  nuova  lettera  dei 
prigioniero  (4);  ma  da  tutto  quel  retoricume  vien  sempre 
meglio  dimostrato  il  risultato  affatto  negativo  delle  preghiere 
fatte  al  futuro  cancelliere  di  Carlo  IV. 

(i)  Tuttavia,  un  atto  della  cancelleria  di  Carlo  IV,  pubblicato 
dal  WiNKELMANN  {Actu  Imp.  ined.  764)  e  colla  data  del  1350,  reca 
la  seguente  firma  :  Per  dominum  regem  Johannes  Noviforensis. 

(2)  Epist.  lett.  XXXIII. 

(3)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  xvi. 

(4)  Epist.  lett.  XXXIV. 


4^4  ^'  Gabr^ielli 


Anche  su  Tarcivescovo  di  Praga,  Ernesto  di  Pardubitz, 
né  le  antiche  storie  della  Boemia  (i),  né  opere  più  recenti 
danno  notizie  particolareggiate.  A  costui,  qual  rappresen- 
tante della  giurisdizione  ecclesiastica,  sotto  la  quale  Coki 
più  direttamente  ricadeva,  il  tribuno  si  fece  innanzi  la  prima 
volta,  meglio  che  con  una  semplice  lettera,  con,  una  prolissa 
memoria,  intitolata  :  Verus  tribuni  libellus  cantra  scismata  et 
errores  (2);  ma  la  risposta  dell'arcivescovo  (3),  oltre  a  re- 
spingere, come  già  di  sopra  notammo  (4),  le  argomenta- 
zioni fondate  su  le  profezie,  condanna  con  severità  assai 
maggiore  il  concetto  politico,  dal  quale  Cola  era  stato  mosso 
durante  il  tribunato.  E  si  capisce:  come  poteva,  ad  esempio, 
il  Pardubitz  mandar  buona  la  teoria,  messa  innanzi  da  Cola, 
che  r  elezione  dell'  imperatore  spettasse,  quasi  per  diritto  sto- 
rico, al  popolo  romano  ?  «  Cuius  legis  auctoritate,  -  egli  scrive 
«  al  tribuno  -  seu  qua  potestate,  Inter  caetera  iura  et  officia, 
{(  in  Urbe  dudum  abolita,  quae  posse  reassumere  Romanum 
«  populum  declarasti,  etiam  quod  monarchiam  eligere  posset 
«  et  deberet  sanxisti  ?  » 

Ma  non  s'acqueta  Cola  di  Rienzo,  e  altre  lettere  dirige 
al  Pardubitz;  ora  mostrandosi,  insolitamente  per  quel  pe- 
riodo della  sua  vita,  audace  e  coraggioso  (5),  ora  invece 
tentando  di  far  vibrare  la  corda  del  sentimento  e  di  com- 
muovere l'arcivescovo  colla  narrazione  delle  proprie  soffe- 
renze. E  una  volta  dice  che  il  carcere  é  privo  affatto  d'aria 
e  di  luce,  freddo  ed  angusto:  un'altra  che  neanche  ha  un 
po'  di  fuoco  per  riscaldarsi;  e  sempre  domanda  che  almeno 
s'affretti  un  aperto  esame  del  suo  operato. 

In  tutte  queste  lettere,  simili  fra  loro  per  tanti  riguardi. 
Cola  si  dà  a  vedere  occupato  da  una  sola,  costante,  irrefre- 

(i)  Aeneae  SiLYii  PicoLOUim  Historia  hohemic a;  Amburgo,  1592. 

-       (3)  Epist.  XXXV. 

(2)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  XVIII. 

(4)  V.  pag.  460. 

(5)  Epist.  lett.  XXXVII 


Intorno  alTepìstoie  di  Cola  di  ^en-:{0        4^5 


nabile  preoccupazione  :  quella  d'esagerare  i  meriti  propri,  di 
vantare  T  inspirazione  e  l'aiuto  venutogli  dallo  Spirito  Santo, 
di  amplificare  i  benefizi  recati  al  popolo  romano  dal  tribu- 
nato, di  magnificare  il  valore  non  perituro  del  suo  tentativo. 

Seguono  altre  lettere  al  suo  antico  aderente,  l'abate  di 
Sant'Alessio  sull'Aventino,  al  cancelliere  del  Comune  di 
Roma,  a  un  fra  Michele  di  Monte  Sant'Angelo  (i),  nelle 
quali  Cola  esorta  tutti  costoro  a  non  iscoraggiarsi  e  a  sperar 
bene  della  sua  sorte. 

Anche  notevole  è  nel  presente  periodo  la  lettera  (unica, 
a  nostra  notizia)  al  cardinale  Guido  di  Boulogne.  Era  questi 
da  poco  tornato  alla  corte  d'Avignone,  reduce  da  quel 
suo  quasi  trionfale  viaggio  in  ItaHa,  che  tanto  aveva  a  lui 
concihato  l'affetto  del  Petrarca  (2).  I  servigi  resi  al  pon- 
tefice, non  solo  in  quella  legazione,  ma  anche  nell'altra 
antecedente  presso  il  re  Luigi  d'Ungheria;  la  dupUce  pa- 
rentela colle  case  di  Francia  e  di  Lussemburgo;  lo  spirito 
dolce  e  conciUante  :  tutto  ciò  dava  alla  voce  del  cardinale 
un'autorità  maggiore  che  a  qualsiasi  altra.  È  dunque  a 
quella  veramente  simpatica  figura  d'ecclesiastico  che,  me- 
more della  benevolenza  ottenutane  nel  suo  primo  soggiorno 
in  Avignone,  Cola  si  rivolge  fidente,  e  da  Praga  gli  scrive 
una  lunga  e  minuziosa  lettera,  cercando  d'indurlo  a  in- 
tercedere per  lui  presso  Clemente  VI  (3). 

Ma  la  speranza,  che  le  lettere  antecedenti  mostrano 
ancora  viva  nel  tribuno,  sembra  quasi  perduta  del  tutto  in 
quella  diretta  al  figlio  suo,  Lorenzo  (z|):  qui  pare  che  Cola 
non  s'aspettasse  più  che  o  la  morte  o  la  prigionia  perpetua. 

Ma,  a  dire  il  vero,  tutt' altro  che  feroce  spicgavasi  la 
persecuzione  della  corte  boema.  Carlo  IV,  benché  amico  a 


(i)  Epist.  leu.  XXXIX,  XL,  XLI,  XLIV. 

(2)  De  Sade,  citate  Mémoires,  III,  52-7$. 

(3)  Epist.  kit.  XLV. 

(4)  Epist.  lett.  XLIII. 


466  ^.  Gabrielli 


Clemente  VI,  che  avevci  conosciuto  in  Francia  ne'  suoi  anni 
giovanili,  benché  obbligato  verso  di  lui  da  promesse  scritte, 
stipulate  nel  momento  della  sua  incoronazione,  temporeg- 
giava, e  le  trattative  fra  Praga  e  Avignone,  onde  rimettere 
l'antico  tribuno  ai  giudici  ecclesiastici,  procedevano  piut- 
tosto lentamente.  Un'ambasciata  sembra  che  fosse  mandata 
dall'imperatore  a  Clemente  VI  (i)  al  fine  d'accordarsi  su 
la  partenza  di  Cola  dì  Rienzo.  Tornata  questa.  Cola  final- 
mente lasciò  la  Boemia,  e  può  quasi  con  certezza  (2)  rite- 
nersi che  giungesse  in  Avignone  ai  primi  del  luglio  1352. 

Poco  dopo  il  suo  arrivo,  e  precisamente  nell'  agosto, 
il  tribuno  diresse  una  nuova  lettera  -  tutta  pentimento  ed 
umiltà  -  al  Pardubitz  (3),  ed  è  questa  l'ultima  che  ci  sia 
pervenuta  del  periodo  della  prigionia. 

In  seguito,  le  fasi  del  processo  sono  abbastanza  note, 
e  si  sa  eziandio  come  dapprima  la  strana  voce  diffusasi 
che  Cola  fosse  un  grande  poeta,  e  poscia  la  morte  di  Cle- 
mente VI  cambiasse  interamente  le  sorti  del  prigioniero. 
Del  resto,  questo  periodo  della  sua  vita  si  sottrae  ^ natu- 
ralmente al  nostro  tèma  pel  fatto  che  dall'agosto  del  1352 
all'agosto  del  1354  l'Epistolario  presenta  una  lacuna,  che 
non  sarà,  credo,  colmata  mai. 

La  lettera  ai  Fiorentini  del  5  agosto  1354  (4)  ci  mette 
innanzi  il  tribuno  nella  nuova  ed  ultima  fase  della  sua  po- 
tenza: ci  pare,  leggendola,  d'essere  tornati  alle  tante  altre 
somiglianti  scritte  a'  bei  tempi  del  tribunato  !  E  infatti,  la 
curiosa  illusione  d'Innocenzo  VI,  che  aveva  creduto  ancora 
utile  alla  Santa  Sede  valersi  di  Cola  di  Rienzo  e  che  lo 
aveva  per  ciò  dato  compagno  all'Albornoz,  fece  vagheg- 
giare  alla    mente  esaltata    dell'  inviato  dello  Spìrito  Santo 

(i)  Vedi  RoDOCANACHi,  op.  cit.  p.  315. 

(2)  Vedi  il  nostro  scritto  noìVArch.  della  R.  Soc.  Rom.  di  st.  patria, 
XI,  188. 

(3)  EpisL  lett.  XLVI. 

(4)  Epist.  lett.  XLVII. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o        ^6j 

un'era  nuova  di  fortuna  e  di  gloria.  Ed  eccolo  a  Roma, 
non  più  tribuno  del  popolo,  ma  senatore.  Il  sogno  però  dura 
ben  poco;  e  quei  due  mesi  d'effimera  potenza  si  direbbero 
fatti  apposta  per  rendere  più  drammatico  il  quadro  della 
caduta  finale  ! 

L'Epistolario  riflette  quest'ultimo  e  brevissimo  periodo  a 
traverso  le  lettere  dirette  al  povero  Giannino  di  Cuccio  (i), 
riguardanti  gli  strani  casi  di  lui.  Per  il  racconto  di  questi, 
ci  basterà  rimandare  al  Papencordt  (2),  che  ne  discorre 
con  sufficiente  larghezza.  Ma  non  sappiamo  trattenerci  dal 
rilevare  come  anche  tutta  quella  strana  leggenda,  e  la  parte 
quasi  puerile  rappresentatavi  da  Cola  di  Rienzo,  non  po- 
trebbe più  efficacemente  darci  l'immagine  del  decadimento 
intellettuale  che  s'era  operato  nell'uomo.  Così  l'interesse 
delle  lettere  sue  non  si  restringe  solo  ai  fatti  da  esse  re- 
gistrati o  raffermati,  ma  s'estende  a  tutta  la  sua  fisonomia 
morale,  a  tutta  la  sua  vita  interiore,  a  quella  specie  di  pa- 
rabola che  descrisse  la  sua  mente  e  il  suo  spirito. 


VII. 

Resta  che  brevemente  diciamo  dei  manoscritti,  nei  quali 
le  lettere  ci  furono  conservate  (3). 

Il  Papencordt,  che  enumerò  (4)  le  fonti  per  la  storia 
di  Cola,  distinte  in  Notizie  di  scrittori  contemporanei  e  Lettere 
di  Cola  medesimo,  usò  senza  dubbio  l'una  e  l'altra  serie 
di  esse  con  acuto  discernimento.  Ma,  vincolato,  com'egli 
era,  dal  carattere  espositivo  del  suo  lavoro,  al  modo  stesso 


(i)  Epist.  lett.  L-LIII. 

(2)  Op.  cit.  pp.  296  e  sgg.  349  e  sgg. 

(3)  Per  questa  parte  cf.  anche  la  Prefa\ionc  al  volume  delle  Lot- 
terà di  Cola  di  Rienio. 

(4)  Op.  cit.  pp.  318  e  sgg. 


4^8  qA.  Gabrielli 


^ 


che  le  testimonianze  dei  contemporanei  non  potè  che  ri- 
stampare, non  pubblicò  se  non  alcune  delle  lettere,  la  cui 
esistenza  era  pur  nota.  Di  qui  l'opportunità,  nello  stato 
attuale  degli  studi  su  la  storia  romana  medievale,  di  dare  riu- 
nite in  un  sol  corpo  le  lettere  del  tribuno,  tanto  perche 
servano  come  di  controllo  al  già  scritto  intorno  a  lui, 
quanto  perchè  vengano  a  chiarire  alcun  punto  meno  con- 
siderato della  sua  vita. 

L' ideale  di  chi  imprende  un'edizione  di  questo  genere 
sarebbe  il  poterla,  almeno  in  gran  parte,  condurre  su  ma- 
noscritti originali  ;  ma  pur  troppo  non  sempre  al  desiderio 
risponde  la  realtà  delle  cose.  Tale  il  caso  dell'Epistolario 
di  Cola  di  Rienzo.  Infatti,  nonostante  l'appello  rivolto  a 
biblioteche,  ad  archivi,  a  studiosi  d'Italia  e  di  fuori  (i), 
altre  lettere  originali  non  possiamo  annunziare,  all'infuori 
di  quelle  già  note  (2)  e  segnalate  dal  Papencordt. 

Ma  alla  mancanza  dei  testi  originali  ha  provvidenzial- 
mente suppHto  il  fatto  che  tale  apparisse  ai  contempo- 
ranei ed  ai  posteri  più  a  lui  vicini  l' opera  di  Cola,  da 
indurli  a  conservare  per  mille  guise  le  sue  lettere.  E  già 
abbiamo  ricordato  come  il  Petrarca  si  rallegrasse  della 
religiosa  attenzione  ond'esse  venivano  lette  e  custodite  (3). 
Cosi  è  che  possediamo  ancora  oggi  più  d'una  raccolta, 
dove  le  lettere  del  tribuno  sono  accuratamente  trascritte  e 
sopra  cui  si  può  con  discreto  frutto  condurre  un'edizione. 
Codesti  manoscritti  vogliamo,  coni'  è  obbligo  nostro, 
enumerare  brevemente,  non  senza  dire  che,  in  generale, 
ciascuno  di  essi  venne  già  da  altri  utilizzato  o  in  una  o 
in  altra  sua  parte. 

(i)  Vedi  ndVArch.  della  R.  Soc.  Rom.  di  sL  patria  (X,  1887, 
p.  323)  r«  Elenco  delle  lettere  di  Cola  di  Rienzo  »  e  l'annessa  circo- 
•lare^  che  la  Società  si  die'  cura  d'inviare  dovunque  potessero  supporsi 
esistenti  scritti  del  tribuno  di  Roma. 

(2)  Epist.  lett.  VI,  XI,  XXIX. 

(3)  Vedi  sopra  p.  428. 


Intorno  all'epistole  di  Cola  di  ^en^o       4^9 

Un  primo  codice  si  conserva  alla  biblioteca  Nazionale 
di  Torino,  segnato  H,  III,  58  (i).  Se  ne  servì  già  T  Ho- 
bhouse  (2),  traendone  parecchie  lettere  di  Cola;  ma  cosi 
piena  d'errori  presentasi  la  trascrizione  di  lui,  che  la  nostra 
non  ha  potuto  menomamente  avvantaggiarsene.  Conobbero 
anche  questo  manoscritto  il  De  Sade,  il  quale  ne  cavò 
r  unica  lettera  di  Cola  al  Petrarca  che  ci  sia  pervenuta  (3), 
e  il  Levati,  che  di  questa  stessa  lettera  fece  una  tradu- 
zione italiana  (4). 

Una  particolareggiata  esposizione  del  contenuto  del  co- 
dice sarebbe  superflua,  dacché  tutti  i  documenti,  che  vi  si 
leggono,  riflettenti  la  storia  di  Cola  di  Rienzo,  furono  già, 
secondo  1'  ordine  onde  vengon  dati  dal  manoscritto,  enu- 
merati dal  Papencordt  (5). 

Una  seconda  collezione  di  lettere  e  documenti  attinenti 
alla  vita  di  Còla  fu  indicata  dal  Pelzel,  che  su  la  fine  del 
secolo  passato  scrisse  la  storia  di  Carlo  IV  di  Boemia  (6). 
Quest'  importante  codice  del  secolo  xiv  era  anch'  esso 
noto  al  diligentissimo  Papencordt;  ma,  nonostante  le  più 

(i)  Cod.  cartaceo  (tranne  le  ce.  1-6  in  pergamena),  dimen- 
sione 280  /(  205,  appartenente  alla  fine  del  secolo  xiv  e  al  prin- 
cipio del  XV  :  antica  segnatura  E,  II,  18:  di  carte  201  e  due  di 
c;uardia.  Contiene,  oltre  i  documenti  relativi  a  Cola  di  Rienzo,  molte 
lettere  dei  secoli  xii  e  xiii,  e  specialmente  di  Federigo  II,  di  Pier 
della  Vigna,  di  Gregorio  IX  e  Innocenzo  IV,  tutte  riflettenti  la  con- 
tesa tra  l'Impero  e  la  Curia;  varie  lettere  di  Coluccio  Salutati,  una 
di  San  Girolamo,  alcune  arengae  e  discorsi  d'indole  politica;  e  tutti 
questi  documenti  raccolti  senz'alcun  ordine  e  come  venivan  sotto 
mano.  Il  cod.  e  evidentemente  scritto  da  mani  diverse.  (Cfr.  Pasini, 
Codices  manuscripti  bibliothecae  regii  taurinensis  athenaei ;  Torino, 
1799,  II,  257. 

(2)  Historical  iìlustrations  of  the  fourl  Canto  of  ChiUìe  Harold , 
Londra,  18 18. 

(3)  Citate  MémoireSy  III,  Pikes  justificalives,  XXX. 

(4)  Op.  cit.  II,  448. 

(5)  Op.  cit.  319. 

(6)  Kaiser  Karl  der  Vierte\  Praga,  1780. 


470  QA.  Gabrielli 


accurate  ricerche,  egli  confessa  di  non  averlo  potuto  rin- 
venire. Dovette  adunque  contentarsi  d'una  copia  fattane 
eseguire  dal  Pelzel  medesimo;  ma  la  trovò  cosi  irta  d'er- 
rori, da  dover  ritenere  impossibile  il  ristabilire  quel  testo 
senza  avere  sott'occhio  il  codice  autentico. 

Egli  tuttavia  non  esitò  a  trarre  intanto  da  quella  cat- 
tiva copia  la  maggior  parte  delle  lettere  contenutevi  e  a 
stamparle,  tali  quali  erano,  fra  i  documenti  aggiunti  alla  bio- 
grafia di  Cola.  Ne  rimanevano  però  sempre  alcune  inedite, 
di  cui  egli  diede  semplicemente  un  breve  sunto  (i). 

Noi  siamo  stati  più  fortunati  dell'  illustre  storico,  dac- 
ché il  tanto  desiderato  codice  abbiamo  rinvenuto  all'  ar- 
chivio Vaticano,  dove  non  sappiamo  quali  vicende  lo  ab- 
biano condotto  (2).  Così  l'Epistolario  conterrà  il  testo  delle 
lettere  senza  le  lacune  e  gli  errori  lamentati  nella  copia 
del  Pelzel. 

Il  contenuto  del  codice,  tranne  la  cambiata  numera- 
zione dei  fogli,  è  lo  stesso  della  copia  esplorata  dal  Papen- 
cordt,  che  ne  diede  un  ordinato  indice  (3).  A  lui,  dunque, 
senz'  altro,  possiamo  rimandare. 

Questi  sono,  come  a  dire,  i  due  capisaldi  dell'  edi- 
zione. Ma  un  altro  codice  -  e  questo  il  Papencordt  non 
conobbe  -  si  conserva  nella  Feliniana  di  Lucca  (4),  alla 
quale  provenne  dal  cardinale  Nicolao  d'  Aragona  (5).  Il 
codice  è  ivi  segnato  :  pluteo  Vili,  545  ;  membranaceo,  di 

(i)  Sono,  ntìV  Epistolario,  le  lettere  XXXII  e  XXXIV. 

(2)  Ce  ne  diede  cortese  indicazione  il  rev.  Don  Pietro  Pal- 
mieri, custode  nell'archivio  Vaticano,  cui  rendiamo  grazie  pubbli- 
camente. 

(3)  Op.  cit.  pp.   321  e  sgg. 

(4)  Questa  biblioteca  -  per  chi  ami  ricordarlo  -  è  quella  del  Ca- 
pitolo della  Metropolitana,  chiamata  anche  Feliniana,  perchè  dono  in 
gran  parte  di  Felino  Sandei,  notissimo  canonista  e  vescovo  di  Lucca 
(-4-  1503). 

(5)  Debbo  questa  notizia  ed  altre  intorno  al  codice  al  chiaro 
S.  Bongi,  direttore  dell'Archivio  di  Stato  in  Lucca. 


Intorno  alF epistole  di  Cola  di  ^ien\o        471 

carattere  della  fine  del  secolo  xv  o  del  principio  del  xvi, 
contenente  un'  importante  miscellanea  di  documenti  ri- 
guardanti la  storia  di  Roma  medievale.  Fra  questi,  ai 
fogli  359-3^4,  leggonsi  due  lettere  di  Cola,  senza  data, 
al  popolo  romano,  precedute  da  altre  di  Clemente  VI  a 
Carlo  IV. 

Noi  diamo  dal  manoscritto  lucchese  le  due  lettere,  che, 
■del  resto,  furono  già  edite,  benché  malamente,  nelle  Mi- 
scellanee del  Baluzio  (i). 

Accanto  alle  sopra  dette  raccolte,  d'indole  in  certa  guisa 
letteraria,  sono  da  porre  le  copie  redatte  dalle  varie  can- 
cellerie e  conservate  negli  archivi  d'alcuni  tra  i  Governi, 
coi  quaU  Cola  ebbe  relazione.  E  ricordiamo  anzi  tutto 
l'archivio  di  Firenze,  dove,  al  volume  XVI  dei  Capitoli 
del  Comune,  conservansi  in  copia  sincrona  ben  dodici  let- 
tere di  Cola,  dieci  delle  quali  furono  pubblicate  dal  Gaye  (2), 
una  fu  per  la  prima  volta  edita  dal  Papencordt  (3),  e  un'altra 
-  l'ultima  -  vede  la  luce  nell'  odierno  Epistolario  (4). 
Anche  nell'Archivio  di  Stato  di  Lucca,  il  manoscritto 
"•  55  (5)  àdh  Serie  degli  Anziani  avanti  la  libertà  (jo) 
contiene  un  esemplare  delle  due  lettere  del  7  giugno  e 
del   9    luglio    1347    (7),  che   appariscono    simili  ad  altre 


(i)  Stephani  Baluzii  Miscellanea,  opera  ac  studio  Iohannis 
DoM.  Mansi  Lucensis;  Lucca,  1762,  voi.  III. 

(2)  Carteggio  inedito  (T  artisti  dei  secoli  xiv,  xv,  xvi  ;  Firenze, 
1859,   ^^^'  ^• 

(3)  Op.  cit.  doc.  XXXIV. 

(4)  Epist.  lett.  XXVIII. 

(5)  Nell'antica  distribuzione  segnato:  Armadio  ^,  n.  26. 

(6)  «  Liber  literarum  missarum  et  reccptarum  ex  officio  dom.  An- 
ce tianorum  Lucani  comunis,  factus,  compilatus  et  ordinatus  prò 
«  anno  N.  D.  .mcccxlii.  incipicndo  in  kal.  ianunrii  dicti  anni, 
«  existente  cancellano  dictorum  doni.  Antianoruiii  previde  viro  ser 
«  Cecho  Ghiova  de  Luca  not.  et  scriba  diete  can.x  Il.uio  prcf.Udrum 
«  dom.  Antianorum,  me  Aytante  filio  Vannis  A\  laniis  not.  ci\ ,  lue.  ». 

(7)  Epist.  lett.  V  e  X. 


472  .    qA,  Gabrielli 


dirette,  in  forma  di  circolare  e  colle  stesse  date,  a  Firenze,  a 
Perugia,  a  Mantova.  L'archivio  di  quest'ultima  città  ci 
ha  pure  conservata,  oltre  quella  del  9  luglio,  una  seconda 
lettera  a  Guido  Gonzaga  (i),  l'una  e  l'altra  nell'originale. 
A  queste  due,  in  conseguenza,  e  a  quella  mandata  al  Comune 
di  Aspra  (2),  si  riducono  le  lettere,  che  ci  è  dato  leggere 
nell'originale,  anziché  nelle  copie. 

Dopo  le  fonti  manoscritte,  che  per  le  lettere  di  Cola 
rappresentano  il  maggior  numero,  van  ricordate  le  fonti 
a  stampa,  delle  quali  è  pur  forza  tenersi  paghi  nella  defi- 
cienza dei  codici.  Ma  queste,  nel  caso  nostro,  si  riducono  sol- 
tanto alle  note  Gesta  pontificnm  Tungrensium  dell'  Hocsemio, 
dove  due  lettere  sono  inserite  per  intiero  (3),  e  al  volume  II 
delle  opere  del  Petrarca  (edizione  di  Basilea),  che  contiene 
la  lettera  al  cardinale  Guido  di  Boulogne  (4).  E  si  noti, 
quanto  al  secondo  dei  due  documenti  datici  dall'  Hocsemio, 
com'esso  si  presenti  pressoché  simile  alla  lettera  XXVII, 
scritta  nello  stesso  giorno  ai  Fiorentini  e  conservata,  come 
già  dicemmo,  tra  i  Capitoli  del  Comune  ;  cosicché  la  ricosti- 
tuzione dell'un  testo  trova  nell'altro  un  efficace  controllo  e 
un  vaKdo  sussidio.  A  ogni  modo,  la  provenienza  delle  tre 
citate  lettere  resta  sempre  un  problema  insoluto,  che  noi 
sottoponiamo  all'attenzione  degli  studiosi. 

Tali  le  fonti  di  tutta  quella  serie  di  lettere  che  va  dal 
1343  al  5  agosto  1354  (5).  Oltre  a  questa  data,  non  resta 
se  non  il  curioso  carteggio  con  Giannino  di  Cuccio,  per 
il  quale  ci  soccorre  un  gruppo  di  manoscritti  affatto  stac- 
cato e  distinto.  Ma  di  tali  fonti  sarà  detto  qui  solamente 
quel  tanto  che  strettamente  occorre  al  nostro  téma,  spet- 

(i)  Papencordt,  op.  cit.  doc.  i;  Epist.  lett.  VI. 

(2)  Epist.  lett.  XXIX. 

(3)  Epist.  lett.  XXIII  e  XXVIII. 

(4)  Epist.  lett.  XLV. 

(5)  Questa  è  la  data  dell'ultima  lettera  diretta  ai  Fiorentini.  Inc. 
«  Mirabilis  virtutem  dominus  ». 


lìitorno  alTepistole  di  Cola  di  T^ieti-^o       473 

tando  piuttosto  a  chi  imprenda  un'edizione  critica  dell'  Hi- 
storia  di  Giannino  parlarne  di  proposito. 

Agli  studiosi  non  può  riuscir  nuovo  il  fatto  che  la 
leggenda  di  Giannino  di  Cuccio  è  a  noi  stata  tramandata 
per  via  di  molteplici  codici.  Ed  è  parimenti  superfluo 
l'avvertire  come  appunto  da  quel  testo  si  ricolleghino  le 
lettere  indirizzate  a  Cola  a  quella  misera  larva  di  preten- 
dente, e  come  in  conseguenza  esse  si  veggano  riprodotte 
in  una  pressoché  identica  versione  italiana,  se  non  da  tutti, 
dalla  maggior  parte  dei  manoscritti  dell'  Historia.  Basterà 
segnalare  i  due  ben  noti  dodici  della  biblioteca  Comunale 
di  Siena,  C,  IV,  16  (i)  e  A,  III,  27  (2)  e  il  Barbe- 
riniano  XLV,  52  (3).  In  questo  però,  ch'è  tenuto  pel  più 
antico  e  autorevole^  al  racconto  dell'avventura  non  segue 
la  trascrizione  delle  lettere  che  vi  si  riferiscono.  E  pure 
(tranne   che  per  cotesta  parte  epistolare)  sono  copie    del 


(i)  Codice  miscellaneo,  cartaceo,  proveniente  dalla  libreria 
d'Uberto  Benvoglìenti,  scrìtto  nel  secolo  xviii,  la  massima  parte 
da  una  stessa  mano:  di  carte  312  (nuova  numerazione),  di  cui 
alcune  bianche. 

La  Historia  0  leggenda  del  re  Giannino  è  ivi  contenuta  da  .e.  197 
a  e.  286.  Seguono  (ce.  287  r-292  r)  altre  notizie  raccolte  dal  copia- 
tore della  leggenda,  relative  a  Giannino  di  Cuccio  e  ad  alcuni  suoi 
discendenti. 

(2)  Cod.  miscellaneo,  cartaceo,  composto  dalla  riunione  di  mss. 
diversi  dei  secoli  xvi,  xvii  e  xviii,  con  un  quaderno  di  minor  for- 
mato, inserito  tra  le  ce.  153-176,  che  credesi  scritto  nel  sec.  xiii 
(se  non  è  piuttosto  una  contrafazione);  di  ce.  335  (numerazione 
moderna). 

Della  Leggenda  non  contiene  che  la  parte  epistolare,  cioè  due 
lettere  di  Cola  a  Giannino,  e  una  d'Antonio  romito  a  Cola;  la  scrit- 
tura di  questo  frammento  è  del  secolo  xviii,  ed  esso  è  una  copia 
materiale  fatta  dalla  Leggenda  completa,  contenuta  nel  sopra  citato 
codice  C,  IV,  16. 

(3)  Cod.  cartaceo,  del  secolo  xv,  con  legatura  modernissima, 
di  ce.  61  ;  dimensioni  228  X  ^^o:  con  fregio  alla  sola  iniziale  della 
prima  pagina,  e  intitolazione  in  rosso. 


474  ^-  Gabrielli 


Barberiniano  il  codice  della  biblioteca  Nazionale  di  Parigi 
«Ital.  393  »  (i)  e  il  Chigiano  Q.,  I,  27  (2). 

A  foglio  219  del  codice  parigino  (3),  dove  comincia 
il  testo  delle  lettere  di  Cola,  si  trova  scritto  da  mano  diversa 
dalla  solita  :  Lettres  de  Nicolas  de  Rien^i,  e  subito  dopo  : 
«  Les  nombres  marqués  à  la  page  extérieure  se  rapportent 
«  aux  pages  et  aux  numéros  des  Osservazioni  di  Girolamo 
«  Gigli  sopra  la  storia  del  re  Giannino  ».  Vedesi  dunque 
chiaramente  che  questa  trascrizione  non  può  essere  ante- 
riore ai  primi  anni  del  secolo  scorso,  dal  momento  che 
il  trascrittore  aveva  innanzi  le  Osserva:(ioni  composte  su  la 
leggenda  di  Giannino  da  Girolamo  GigH  (4). 

(i)  Cartaceo,  di  fogli  234,  con  legatura  modernissima  in  maroc- 
chino rosso.  A  e.  2  (precede  il  foglio  di  guardia)  si  legge  la  se- 
guente intitolazione  :  Historia  del  r&  Giannino  di  Francia,  copiata  dal- 
l'antico manoscritto,  che  fu  in  mano  del  signor  Celso  Cittadini,  nobile 
senese,  et  bora  si  trova  alla  biblioteca  Barberiniana  ;  dal  che  eviden- 
temente risulta  essere  il  manoscritto  parigino  una  copia  del  Bar- 
beriniano. 

(2)  Cod.  cartaceo,  di  ce.  140.  Contiene,  oltre  V Historia  di  Gian- 
nino (ce.  1-60),  un  estratto  delle  Historiae  Senarum  di  Sigismondo 
Tizio.  Sul  frontespizio  si  legge  (come  nel  citato  codice  parigino)  : 
Historia  etc.  tratta  dall'antico  ms.  che  fu  in  mano  del  signor  Celso  Citta- 
dini, nobile  senese,  et  hora  si  trova  nella  biblioteca  Barberiniana,  1662.  La 
leggenda  di  Giannino  manca,  anche  in  questo  codice,  del  cap.  XXIII, 
che  appunto,  negli  altri  manoscritti,  contiene  l'epistole  relative  al 
curioso  episodio. 

(3)  I  fogli  dal  4  al  218  sono  occupati  dal  racconto;  quelli  dal  219 
al  234  dalla  corrispondenza. 

(4)  Giova  ricordare  come  queste  Osservazioni  fossero  state  ideate 
dal  Gigli  quasi  ad  illustrazione  dell'edizione,  ch'ei  proponevasi  di 
condurre  a  termine,  dell' i^f^/orf a  di  Giannino  di  Cuccio.  Egli  infatti 
ne  discorreva  nel  sxxo  Diario  Sanese  (Lncca.,  1723),  dove  registrava  per 
ordine  cronologico  gli  avvenimenti  di  Siena.  «  Noi  non  parleremo 
«  qui  -  egH  scriveva  -  di  questo  principe  sventurato,  perchè  abbiamo 
«  promessa  questa  curiosa  istoria  a  tutti  i  letterati,  e  stiamo  ormai 
«  per  pubblicarla,  non  solo  per  mettere  alla  luce  un  illustre  perso- 
«  naggio  finora  quasi  a  tutti  ignoto,  ma  per  aggiungere  un   ottimo 


Intorno  al F epistole  di  Cola  di  ^en^o        475 


Parimenti,  da  qualcuno  fra  i  codici  italiani  ddVHistoria 
sono  tratte  le  copie  del  secolo  passato,  nelle  quali  la  bi- 
blioteca Reale  di  Parigi  possedeva  le  lettere  di  Cola 
che  vennero  trascritte  e  poi  messe  a  stampa  dal  Mon- 
merqué  (i).  Che  anzi,  secondo  il  parere  di  quest'ultimo,, 
chi  avrebbe,  durante  una  lunga  dimora  in  Italia,  redatte 
quelle  copie,  sarebbe  precisamente  il  De  la  Porte  du  Theil, 
erudito  insigne  del  settecento. 

Ma  si  rispetto  alle  fonti  genuine,  sì  rispetto  n  quelle 
adoperate  dal  Monmerqué,  Tautorità  del  codice  Barberi- 
niano  rimane  sempre  maggiore,  ed  è  veramente  a  deplo- 
rare che  in  esso  manchi  proprio  quella  parte  che  più  serve 
al  caso  nostro. 

A  questo  punto  però  dobbiamo  ristare  un  momento 
dinanzi  al  fatto  notevole  della  parallela  lezione  latina,  in 


«  testo  di  lingua  toscana  agli  altri  del  buon  secolo.  Promettemmo 
«  questa  edizione  a'  giornalisti  di  Venezia,  che  nel  primo  giornale  ne 
«  parlano,  colle  note  dell'insigne  letterato  m"'  Giusto  Fontanini; 
«  ma  avendo  egli  avuto  alle  mani  cose  di  maggior  rilievo,  le  com- 
«  pilammo  per  noi  medesimi,  e  ne  lasciammo  un  originale  nella 
«  libreria  del  Collegio  Romano  con  altri  manoscritti  sanesi  in  osse- 
«  quio  all'eminentissimo  card.  Giov.  Batt.  Tolomei,  nostro  gran 
«  benefattore  »    (Diario,  I,  138). 

Quest'originale  della  trascrizione  e  dell'illustrazioni  del  Gigli  esi- 
steva infatti,  in  tre  volumi  segnati  8,  d,  1-3,  alla  biblioteca  del  Col- 
legio Romano,  quando  il  Papencordt,  che  ne  fa  cenno  (op.  cit. 
p.  349),  preparava  il  suo  Cola  di  Rien:(o.  Ma,  alla  biblioteca  Nazio- 
nale, i  tre  codici,  del  pari  che  la  maggiore  e  miglior  parte  del  fondo 
gesuitico,  non  sono,  com'è  noto,  pervenuti.  Una  copia  però,  tanto 
del  testo,  quale  avevalo  preparato  il  Gigli,  quanto  deìV Osservazioni 
dì  lui  si   trova  alla  Chigiana,  in  due    volumi  segnati:    Q,  1,  28   e 

a,  1, 29. 

(i)  Dissertatìon  historique  sur  Jean  J"',  roi  de  France  et  de  Navarret 
par  M.  M0NMERQ.UÉ;  Parigi,  Tabary,  1844.  Anche  il  Rodocanachi 
(op.  cit.)  ristampò  recentemente  queste  lettere;  ma  egli,  che  ignorava 
la  pubblicazione  del  Monmerqué,  si  servi  del  codice  A,  III,  27  della 
Comunale  di  Siena. 


47^  ^'  Gabrielli 


cui  i  medesimi  documenti  ci  sono  stati  tramandati  nella 
Storia  di  Sima  di  Sigismondo  Tizio  (i),  che  conservasi 
manoscritta  alla  Chigiana  ed  è  l'unica  fonte  che  ce  H 
dia  in  quella  forma.  Quivi  leggiamo  le  stesse  epistole, 
che  i  codici  sopra  citati  contengono  nella  lezione  ita- 
liana. 

Or  donde  trasse  il  Tizio  queste  lettere?  Nulla  egli  ce 
ne  dice  :  e  soltanto  della  Dichiaratone  del  4  ottobre  1 354  (2) 
afferma  d'  aver  veduto  Foriginale.  Dal  Tizio  trasse  il  Pa- 
pencordt  questa  Dichiaratone  e  la  mise  a  stampa  in  fine  al 
suo  Cola  di  Rienzo  (3). 

Ma,  tre  anni  dopo  ch'era  apparso  il  libro  del  Papencordt, 
il  già  ricordato  Monmerqué  trovò  la  Dichiarazione  in  una 
pergamena  del  secolo  xiv,  che  è  probabilmente  la  stessa  ve- 
duta dal  Tizio.  Essa  infatti  faceva  parte  dell'archivio  della 
casa  Piccolomini  di  Siena,  e  nel  catalogo  della  vendita, 
dalla  quale  pervenne  al  Monmerqué  nel  1 842,  era  appunto 
annunziata  fra  i  titoli  di  quella  casa. 

Il  Monmerqué,  oltre  la  ristampa  del  testo,  diede  del  do- 
cumento un  buon  fac-simile  (4),  ch'è  quello  appunto  uti- 
lizzato nell'Epistolario.  Quanto  poi  alle  altre  tre  lettere  (j), 
non  si  poteva  uscire  dalla  trascrizione  del  Tizio,  che  pare, 
del  resto,  abbastanza  accurata. 

Ora,  data  questa  duplice  lezione  delle  lettere,  un  pro- 
blema si  presenta  spontaneo  :  -  in  quale  delle  due  forme  esse 
uscirono  dalla  mente  di  Cola  ?  -  Alcune  parole,  che  il  Tizio 
fa  precedere  alla  lettera  di  quel  frate  Antonio,  dal  quale  fu 

(i)  Per  le  opportune  notizie  intorno  alle  Historiae  Senenses  del 
Tizio,  rimandiamo  al  Papencordt  (op.  cit.  p.  353). 

(2)  Epist.  lett.  LII:  «  Hic  est  modus  et  tenor  declarationis  in 
«  omnibus  et  per  omnia  compilatus  qualiter  fuit  subalternatus  filius 
«  regis  Luygii  et  regine  Clementie  tempore  nativitatis  filii  prefati  ». 

(3)  Doc.  XXXVII. 

(4)  Allegato  alla  citata  Dissertation  eie. 

(5)  Epist.  lett.  L-LIII. 


Intorno  al V epistole  di  Cola  di  T^ien^o        477 

segnalata  a  Cola  l'esistenza  di  Giannino  (i),  spargono  una 
certa  luce  su  la  questione.  «  Antonii  autem  iiterarum  -  scrive 
«  il  Tizio  -  transmissarum  ad  Senatorem,  tenor  huiusmodi 
«  fuit,  a  nobis  hic  in  latinum  conversus  his  verbis  »,  e  qui 
segue  la  lettera  sopraddetta.  Ma  avrà  il  Tizio  tradotte  egli 
anche  le  lettere  di  Cola  di  Rienzo  ?  E  perchè  il  tribuno 
avrebbe,  in  questo  caso  speciale,  fatta  un'eccezione  al  co- 
stume cancelleresco,  da  lui  sempre  seguito  per  Finn  anzi,  di 
scrivere  in  latino  }  E  se  la  pergamena  conosciuta  dal  Mon- 
merqué  è  redatta  in  latino,  perchè  gli  altri  documenti  lo 
sarebbero  in  volgare  ?  E  perchè  Cola  avrebbe  rotta  in  tal 
guisa  una  tradizione  cosi  radicata  ?  Noi  non  sappiamo  farci 
persuadere  dalle  poche  parole  di  Sigismondo  Tizio;  ma 
richiamiamo  sull'interessante  problema  l'attenzione  degli 
studiosi. 

Dalla  brevissima  rassegna  fatta  dei  manoscritti,  che  ser- 
vono alla  stampa  delle  lettere,  il  lettore  ha  già  potuto  ve- 
dere come  non  si  presenti  quasi  mai  la  simultanea  esistenza 
d'una  medesima  lettera  in  due  o  più  manoscritti:  dal  che 
il  lavoro  dell'editore  viene  di  molto  semplificato. 

La  più  rilevante  eccezione  a  questa,  che  può  dirsi  la 
regola  generale,  è  costituita  dalla  citata  lettera  al  Comune 
di  Viterbo  (2).  Anche  di  essa  abbiamo  una  duplice  lezione, 
latina  e  italiana;  ma,  mentre  la  prima  si  trova  soltanto  nel 
noto  codice  della  Nazionale  di  Torino  (ed  è  certamente  in 
tal  forma  che  il  documento  uscì  dalla  cancelleria  romana), 
la  seconda  (3)  è  contenuta  in  più  d'un  codice,  tra  le  più 
diffuse  epistolac  che  circolavano  nel  medio  evo,  come  quelle, 
ad  esempio,  di  Dante  ad  Arrigo  VII  e  di  Morbosiano, 
principe  dei  Turchi,   a   Clemente  VI.    Sembra    insomma 


(i)  Vedi   la  narrazione    del  Papemcordt    (op.  cit.  pp.  296-302) 
e  lo  schiarimento  di  lui:  Ueber  Gianni  di  Guccio  (op.  cit.  pp.  349-554). 

(2)  Epist.  lett.  II. 

(3)  Epist.  Appendice,  I. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  33 


478  qA,  Gabrielli 


che  la  lettera  ai  Viterbesi  fosse  di  preferenza  destinata,  fra 
tutte  quelle  composte  da  Cola,  a  rimanere  nel  medio  evo 
la  più  generalmente  nota,  la  più  tipica,  la  più  popolare. 

Dei  codici  che  contengono  la  detta  lettera  citiamo  i  tre 
più  importanti,  cioè  i  Laurenziani  XL,  49  (i)  e  XLII,  38  (2), 
e  il  cod.  557  (fondo  italiano)  della  Nazionale  di  Parigi  (3), 
sul  quale  abbiamo  condotto  la  ristampa  del  documento. 

Discorrere  dei  criteri,  coi  quali  l'edizione  è  stata  con- 
dotta, in  un  caso  come  il  nostro,  in  cui  ad  ogni  documento 
corrisponde  costantemente  un'unica  fonte,  sarebbe  comple- 
tamente ozioso.  E  non  è  neanche  a  dire  che  i  manoscritti 
enumerati,  né  nuovi,  né  esaminati  ora  la  prima  volta, 
traggano  seco  di  necessità  la  trattazione  di  qualche  grossa 
questione  preliminare.  Le  note,  che  accompagnano  il  testo 

(i)  Cod.  cartaceo  della  fine  del  sec.  xiv  o  del  principio  del  xv; 
legato  in  pelle  rosso -cupa,  con  fregi  impressi  e  con  borchie  portanti 
in  rilievo  l'arma  medicea.  Sur  un  tassello  di  carta,  in  capo  al  r"  della 
coperta:  Can:(oni  di  Bindo  Bonichi,  di  Dante  et  prose  di  diversi.  Mi- 
sura 0,285  XO'2io:  fascicoli  15,  quasi  tutti  quinterni  (il  X  è  qua- 
derno, il  XIV  e  il  XV  sesterno).  Scrittura  minuscola  rotondeggiante 
del  secolo  xv,  con  iniziali  a  inchiostro  rosso,  fregi  in  capo  a  ogni 
componimento,  e  le  iniziali  di  ciascun  verso  colorate  in  cromo. 
A  e.  121:  Pistola  di  Cola  di  Rienzo  al  Comune  et  a  retori  della  città 
di   Viterbo. 

(2)  Cod.  cartaceo,  sec.  xiv,  carattere  gotico;  legato  ai  modo 
stesso  del  precedente;  misura  0,280  X  0,210;  di  carte  32  moderna- 
mente numerate.  A  e.  14:  Pistola  di  Cola  di  Rienzo  al  Comune  et 
rettori  di  Viterbo. 

(3)  Corrisponde  al  cod.  7778  della  Biblioteca  del  re,  citato  dal  Ba- 
LL'ZE  (Vitae  paparum  Avenionensium,  Parigi,  1693,  I,  p.  884,  col.  11)  e 
indicato  dal  Papencordt  (op.  cit.  p.  325)  come  terza  fonte  delle 
lettere  di  Cola.  Ma,  contrariamente  a  quanto  supponeva  il  Papen- 
cordt medesimo,  che  non  aveva  punto  visto  il  manoscritto,  esso 
non  contiene,  oltre  la  lettera  ai  Viterbesi,  alcun  altro  documento  ri- 
flettente la  vita  di  Cola.  È  un  cod.  cartaceo  del  secolo  xiv,  ca- 
rattere tondo  dell'epoca,  legatura  in  marocchino  rosso,  di  carte  108. 
A  e.  78:  Pistola  di  Cola  di  Rien:(o  al  Comune  e  rectori  della  città  di 
Viterbo. 


Intorno  alVepistole  di  Cola  di  ^ien^o       479 

dell'  Epistolario,  risolvono,  volta  per  volta,  tutte  le  questioni 
minute,  alle  quali  esso  possa  dare  occasione,  e,  quanto  ai 
codici  adoperati,  la  Prefazione  alle  lettere  dice  brevemente 
tutto  ciò  che  non  ha  potuto  trovar  luogo  nel  presente 
scritto,  d'indole  sintetica  e  generale. 

A  noi  dunque  rimane  solamente  a  sperare  che  tanto 
il  ravvicinamento  qui  tentato  fra  l'epistolografia  del  medio 
evo  e  la  produzione  letteraria  di  Cola  di  Rienzo,  quanto 
le  osservazioni  fatte  intorno  ai  caratteri  e  al  contenuto 
delle  sue  lettere,  traggano  gli  studiosi  a  sempre  meglio 
riconoscere  l'importanza  della  pubblicazione  proposta  dalla 
Società  Romana  e  intrapresa  dall'Istituto  Storico  Italiano. 

Annibale  Gabrielli. 


//  TJiario   di   Stefano   Infessura 

STUDIO  PREPARATORIO 
ALLA     NUOVA     EDIZIONE     DI     ESSO 


Iella  sua  adunanza  plenaria  dell'  8  aprile  1 886 
r  Istituto  Storico  Italiano  approvava  all'unanimità 
che  si  procedesse  alla  ristampa  del  diario  di  Ste- 
fano Infessura  (i).  Il  presente  saggio  intende  a  dichiarare 
quali  furono  gli  studi  che  precedettero  e  i  criteri  che  servi- 
rono di  base  alla  nuova  edizione. 

È  noto  che  primo  a  pubbUcare  questa  fonte  di  storia 
fu  già  nel  1723  Giovan  Giorgio  Eckhart,  amanuense  del 
Leibnitz,  poi  professore  di  storia  ad  Helmstadt  (2).  Egli 
r  incorporò  al  secondo  volume  del  suo  Corpus  historicorum 
meda  aevi,  dandolo  in  luce  da  un  manoscritto  della  biblio- 
teca Reale  d'Hannover,  riscontrato  con  un  altro  codice  Ber- 
linese (bibl.  Reale  it.  fol.  37)  che,  a  quanto  sembra,  co- 
nobbe dopo  (3).  Nel  1730  il  nostro  Muratori  scriveva  al 
Marmi  :   «  Il  diario  dell'  Infessura  l'ho  anch'  io  nell'Estense 

(i)  Bullettino  dclV  Istituto  Storico  Italiano,  I,  6^-66. 

(2)  Vedi  intorno  all'Eckhart  il  von  Wegele,  Gescl.Uil.'li-  dcr  deut' 
schen  Historio^raphie,  Lipsia,  1885,  p.  638  e  sgg, 

(3)  EccARDi    Corpus    historic.  medii   aevi,   Lipsia,    Glcditsch,  II, 
col.  1863-2016.  V.  Pref.  n.  xvii. 


482  O.   Tommasini 


«  e  pensava  di  darlo  fuori  io  il  primo  (i).  Il  signor  Ec- 
«  cardo  (cosi  latineggiato  compariva  il  nome  dell'Eckhart 
«  nella  repubblica  delle  lettere),  il  signor  Eccardo  intanto 
«  rha  pubblicato  nella  Raccolta  de'  suoi  Scrittori  Germanici; 
«con  tuttociò  penso  di  ristamparlo»  (2).  Né  l'idea  del 
Muratori  era  men  che  buona;  dacché  il  diario  dell'  Infes- 
sura  interessa  troppo  più  la  storia  italiana  e  romana,  che 
non  la  tedesca;  e  se  l'edizione  italiana  fosse  riuscita  mi- 
gliore, avrebbe  fatto  dimenticare  per  certo  quella  che  in 
ordine  di  tempo  era  stata  la  prima.  Ma  il  Muratori  trasse 
il  suo  testo  solo  da  un  codice  del  secolo  xvii,  ora  conser- 
vato nella  biblioteca  dell'Archivio  di  Stato  in  Modena,  di- 
verso da  quel  che  servi  all'Eckhart,  ma  non  migliore;  e 
per  quanto  il  Muratori  sapesse  ch'altri  manoscritti  ne  stes- 
sero alla  Vaticana,  non  gli  era  facile  allora  averne  copia. 
Anzi,  dopo  che  la  prima  edizione  dell'Eckhart  aveva  fatto 
conoscere  intero  il  testo  del  diario,  citato  prima  a  spizzico 
e  dove  giovava,  segui  che  l'amore  dell'  Infessura  alla  li- 
bertà comunale  di  Roma,  e  l'animo  acerbo  da  lui  mostrato 
verso  pontefici  che  la  spensero,  fecero  ritrosi  gli  storici, 
in  tempi  non  liberi  e  non  sinceri,  ad  occuparsi  di  esso,  e 
più  ritrosi  ancora  gli  archivisti  e  i  bibliotecari  in  conce- 
derne i  manoscritti  allo  studio. 

Anzi,  il  Muratori  stesso,  ripubblicandolo,  ebbe  bisogno 

(i)  Questa  lettera  basta  a  mostrare  quanto  ben  s'apponesse  il 
teologo  Frantz,  quando  accintosi  a  purgare  dalle  gravi  accuse  la  me- 
moria di  papa  Sisto  IV,  armeggiando  contro  il  diario  dell' Infessura, 
che  insieme  colle  lettere  del  Filelfo  e  cogli  scritti  di  Luigi  XI  gli 
sembrava  costituire  «  das  Hauptarsenal  der  Angriffe  gegen  Sixtus  IV  », 
scrisse:  «  Muratori  trug  mit  Recht  Bedenken,  sie  der  Sammlung  seiner 
«  Scriptores  Rer.  Hai.  einzureihen  und  entschloss  sich  nur  deshalb 
«  dazu,  weil  Eccardus  dieses  Tagebuch  bereits  den  "  Gelehrten  " 
«  zugànglich  gemacht  hatte  ».  Cf.  G.  Frantz,  Sixtus  IV  und  die  Re'- 
publih  Floreni,  Regensburg,  1880,  p.  vi  e  sgg. 

(2)  Vedi  LuD.  Ant.  Muratori,  Lettere  inedite  scritte  a  Toscani, 
Firenze,  Le  Monnier,  p.  322. 


Il  diario  di  Stefano  Infessura  483 


di  attenuare  con  considerazioni  difensive  il  fatto  suo,  sop- 
primendo qualche  brano,  rimandando  chi  avesse  desiderato 
di  più  all'edizione  tedesca  (i);  a  lui  bastando  che  un  testo 
di  tanta  importanza  non  fosse  escluso  dalla  sua  grande  rac- 
colta  italiana. 

Per  r  innanzi  maraviglia  invece  che  precipuamente  dalla 
scuola  storica  ecclesiastica  sia  da  ripetere  il  credito  e  la 
diffusione  che  conseguì  il  diario  di  questo  scribasenato.  Del 
qual  fatto  è  da  ripetere  l'origine  un  po'  dalla  materia  e  un 
po'  dalla  forma  dell'opera  di  lui.  Dacché  tra  molti  nota- 
menti  in  cui  egh  adombra,  più  spesso  che  non  dichiari,  la 
storia  comunale  di  Roma,  n'  à  di  quelli  che  grandemente 
interessano  la  Chiesa.  Dove  egli,  per  esempio,  accredita 
una  reliquia,  o  attesta  un  miracolo,  o  registra  una  canoniz- 
zazione, o  dà  relazione  d'un  conclave,  o  allega  un  parti- 
colare del  cerimoniale,  l'autorità  di  lui  parve  preziosa. 
Quindi  il  Panvinio  (2),  il  Bosio  (3),  il  Martinelli,  il  Ni- 


(i)  Muratori,  Rer.  It.Scr.  Ili,  par.  2^,  e.  ino,  pref. :  «  pauca  mihi 
«  placuit  expungere,  quae  foediora  mihi  visa  sunt  atque  indigna,  quae 
«  honestis  auribus  atque  oculis  offerantur.  Q.ui  eiusmodi  sordibus  de- 
«  lectatur,  editionem  Eccardi  adeat». 

(2)  Cf.  le  sue  Vite  di  Sisto  IV  e  d' Innocenzo  F/// scritte  in  conti- 
nuazione alle  Fitae  poniificum  del  Platina.  Il  Pouget,  le  cui  note  «  ex 
«  chronicis  bibliothecae  Colbertinae  »  riferisce  il  Montfaucon  {Bihì. 
biblioth.  mss.  e.  1151),  a  proposito  del  ms,  Colbertiano  dell' Infessura 
osserva:  «De  Sisto  IV,  quem  tamen  laudat  Onuphrius,  horrenda 
«  narrai,  nec  quibusdam  aliis  pontifìcibus  pprcit  »,  senza  rilevare 
quanto  appunto  il  Panvinio  stesso  accatta  dall'  Infessura. 

(3)  F.  Martinelli,  Primo  trionfo  della  5'»«  Croce,  165$,  e.  64; 
Iac.  Bosio,  La  trionfante  e  gloriosa  croce?,»  Roma,  1610,  nella  stam- 
peria del  signor  Alfonso  Ciacone,  p.  62;  Ho.  Niq.uet,  Titulus  S.  Cru- 
cis, Parisiis,  1698;  i  quali  autori  citano  il  brano  dell' Infessura  «die 
«  prima  mensìs  februarii  anni  1492  ».  Soresini,  De  Capitibus  Ss.  App. 
Petri  et  Pauli  in  sacrosanta  Lateranensi  ecclesia  asservatis,  Romae,  1673, 
PP'  53,  54,  59,  106,  107,  115.  Delle  citazioni  del  Rainaldi  e  degli 
annalisti  terrò  più  particolare  proposito  altrove.  Il  Niquet  lo  allega 
«  ex  antiquo  rerum  Romanae  urbÌ3  diario  a  Laelio  Petronio,  Paulo 


484  O.   Tommasini 


quet,  il  Rainaldi,  lo  Chacon  (Ciaconius),  il  Vittorelli, 
rOldoini,  il  padre  Casimiro,  il  Marini,  il  Severani,  il  So- 
resini,  il  Gattico,  il  Garampi  vi  si  riferirono  con  certezza, 
taluni  anche  segnalandone  i  manoscritti  in  buon  numero, 
per  sino  a  che  l'edizioni  non  ne  diffusero  il  testo;  di 
guisa  che  può  sembrare  non  estraneo  all'ultima  forma  di 
compilazione  che  il  Lìber  pontificalis  assunse  nel  se- 
colo XV  (i),  e  quasi  un  anello  di  congiunzione  tra  l'effe- 
meridi della  storia  civile  di  Roma,  che  col  secolo  xv  muore, 


«  de  Magistris  et  Stephano  Infessura  conscripto,  quod  manuscriptum 
«  habetur  in  bibliotheca  Fulvii  Archangeli  Balneoregiensis  ».  Il  p.  Ca- 
simiro (Storia  d'Araceli,  pp.  416,  418,  424,  468,  469)  ne  cita  i  mss. 
Chigiano  1226,  Vatic.  6389,  5394,  un  ms.  «presso  il  signor  marchese 
«  Pompeo  Frangipane  »  e  quello  v  presso  il  signor  Francesco  Vale- 
«  sio  ».  Marini,  Archiatri,  II,  200,  n.  14;  G.  Severano,  Memorie  sacre 
delle  sette  chiese  di  Roma,  Roma,  1650,  pp.  162,  511,  520,  574.  Gat- 
tico, Acta  selecta  caeremonialia  S.  R.  E.  ex  variis  mss.  codicihus  et 
diariis  saeculi  xv,  xvi,  xvii,  Romae,  1753,  cita  l' Infessura  a  e.  366, 
e  nella  prefazione  (pp.  xiv-v)  osserva  :  «  Illa  autem  ipsa  causa,  quae 
«  me  ad  Burcardi  excerpta  huic  collectioni  inserenda  permovit  eadem 
«  multo  magis  impulit  ut  ex  aliis  Libris  Diariis  Romanarum  Rerum, 
«  quos  in  Archiviis  inveni,  fragmenta  aliquot  eruerem;  licet  ipsorum 

«  aliqui  Inter   Scripta  Rerum  Italicarum  collocati  fuerint  » 

«  Idem  Muratorius  iterum  edidit  Diarium  Romae  scriptum  a  Ste- 
«  phano  Infessura  Scriba  Senatus  populique  Romani,  quod  antea  alibi 
«  fuerat  editum,  licet  lucem  non  mereretur  publicam  ob  acerbitatem 
«  mordacissimam,  qua  sine  debita  maioribus  reverentia,  quorumdam 
«.  acta  proscindit.  Ab  isto  Diario,  cuius  varia  inveni  mss.,  vix  unum 
«  alterumve  fragmentum  erui,  cum  ferme  tantum  exorta  dissidia  et 
((  contentiones  inter  Romanos  proceres  narret,  quae  penitus  aliena 
«  sunt  a  meae  CoUectionis  scopo  ».  Garampi,  Saggio  di  osserva:(ioni 
sul  valore  delle  monete  pontificie,  App.  pp.  79-80,  163-64,  iji-ji,  ecc. 
(i)  DucHESNE,  Étude  sur  le  Liber  pontificalis,  p.  217;  Laemmer, 
Zur  Kirchengeschichte  des  xvi.  und  xvii.  Jahrhunderts,  p.  140.  A  pro- 
posito dei  Diaria  Sixti  IV,  auctore  Bartholomeo  Platina,  osserva  :  «  Die 
«  Abhàngigkeit  Sacchis  von  Infessuras  Tagebùchern  steht  ausser 
«  Frage  ;  sein  Standpunlit,  ist  aus  den  Vitae  Rom.  Pontificum  bekannt 
«  und  hier  nicht  verleugnet  ». 


Il  n[)iario  di  Stefano  In  fessura  485 

e  la  serie  dei  diurnisti  della  curia  che  col  secolo  xvi  (i)  s' ini- 
ziano. 

Il  Contelori,  il  quale  non  lo  allega  né  nella  sua  Vita 
Martini  V,  né  ndY Elenchiis  S.  R.  E.  cardinaìium  ab  anno  1294 
ad  annum  14)0  (si  ponga  mente  a  quell'anno  che  è  comune 
punto  di  partenza  e  pel  Contelori  e  per  Y  Infessura),  né  lo 
cita  nella   Genealogia  familiae  Comitimi,   dove  pur  citò  il 


(i)  Il  Gregorovius  rimproverò  al  Ranke  d'aver  confuso  coi  ceri- 
monieri pontifici  l'I.  il  quale  fu  invece  scribasenato  e  podestà  ad  Orte. 
L'abbaglio  parve  nell'edizione  del  1874  della  Geschichte  der  romani- 
schen  und  germanischen  Vòlker,  Appendice  :(ur  Kritik  neuerer  Geschicht- 
schreiber,  p.  98:  «  Infessura's  tagebùcher  sind  immer  als  eine  Einleitung 
«  zu  Burcardus  betrachtet  worden,  und  voli  schòner  Notizen  ».  Gre- 
gorovius, Gesch.  d.  St.  Rom.  VII,  606,  scrive  del  nostro  diarista: 
«  Sein  hochverdienstliches  Werk  wurde  vielfach  benutzt.  Selbst  Bur- 
«  ckhard  welcher  Bischof  von  Horta  und  wol  mit  Infessura  befreundet 
«  war,  Schrieb  ihm  fùr  das  Jahr  1492  stellenweise  aus  »,  Cf.  ms. 
Vat.  9136  del  Suares,  e.  39  e  sgg.  e  Vat.  9026,  apografo  del  Marini,  a 
e.  267  :  «  Suaresii,  De.  Diariis  et  Actibus  Concistorialibus,  ex  orig.  in  BB  ». 
In  questo  si  citano:  1°  «  Diaria  ab  obitu  Bonifacii  8  ad  Alexandriim  6 
«  in  B  B,  Vaticana,  n.  5622,  codice  seu  Ephetnerides  »,  notando  in  mar- 
gine :  «  italice  »  ;  2°  «  Diarium  dictum  Mestican:(a,  collectum  e  qui- 
«  busdam  Diariis  olim  apud  Gentilem  Delphinum  at  incerti  auctoris 
«  ab  Urbano  V^o  ad  Gregorium  XII"™  ab  anno  1379  ad  1427  in  B  B 
«  et  in  archivio  Vaticano  e  libris  Card.  Stae  Susannae  Cobellutii  »; 
3"  ((  Diaria  Stephatii  Infessurae  civis  Romani  a  tempore  Curiae  Romanae 
«  e  Gallis  reductae  in  Urbem  ad  Alexandrum  VI  Poni,  sive  ab  a.  IJ14 
«  ad  i4g^  rerum  romanarum  suorum  iemporum  ».  E  cita  in  margine  : 
«  Codex  Vatic.  5299  partim  italice,  partim  latine,  incipit:  pontifical- 
«  mente,  et  disseti  :  piglia  tesauro  italice  ».  E  annota  a  e.  269  :  «  Omnes 
«  Codices  Diariorum  Caeremonialium  reconditi  fuerunt  in  Biblio- 
'<  thecis  Farnesiorum  cardinaìium  Alexandri  et  Rainutii  exemplati  ut 
«  adnotat  p.  4,  d.  i  diar.  Io.  Paulus  Mucantius  ad  ann.  1 590  ».  Nel  ms. 
Vat.  4909  si  citano  a  p.  21  fra  i  mss.  di  cui  si  giovò  l'autore  della  Storia 
della  Serenissima  Nobiltà  dell'alma  città  di  Roma,  libro  apocrifo  di  Alfonso 
Ceccarelli,  i  «  Diarii  di  Stefano  Infessura  delle  cerimonie  Ecclte  (!) 
«  quali  sono  manuscritti  in  tutto  foglio  nella  libraria  del  signor  Fran- 
«  Cesco  Mucante  maestro  delle  cereraonie  di  N.  S.  ». 


4^6  O.   Tommasini 


Diario  del  Notaio  delF Antiposto  (i),  lo  conobbe  per  certo, 
ne  possedè  un  manoscritto,  e  un  codice  nel  museo  Britan- 
nico (add.  mss.  8433)  ce  ne  fornisce  la  prova.  Tutti  i  cul- 
tori della  storia  civile  e  di  quelle  discipline  che  le  valgono 
di  sussidio,  come  la  topografia,  la  genealogia,  la  numisma- 
tica, ne  invocarono  l'autorità.  Tutte  le  combriccole  lette- 
rarie che  in  Roma  tennero  successivamente  il  campo,  da 
quella  di  Fulvio  Orsini,  del  cardinal  Delfini  e  del  Sirleto, 
a  quelle  della  regina  di  Svezia,  del  barone  de  Stosch, 
degh  Albani,  del  Valesio,  del  CanceUieri,  tutte  ne  fecero 
conto  (2). 

Se  non  che  il  diario  di  Stefano  Infessura  fu  creduto 
sulla  parola  assai  più  che  esaminato;  della  persona  sua  bastò 
conoscere  quelle  notizie  che  negli  appunti  cronici  die  di 
se  stesso:  bastò  l'appunto,  che  sì  spesso  ricorre  in  principio 
ai  manoscritti  del  diario,  ch'egH,  cioè,  fu  podestà  ad  Orte 
nel  1478  (3).  Ricerche  originali  non  si  fecero,  o  non  si 
potè;  non  si  raccolsero  quelle  sparse  ne'  libri  a  stampa.  Il 
Valesio  e  il  Cornazzani,  pur  giovandosene  per  la  storia  e 
la  genealogia  di  casa  Colonna,  non  videro  come  l'influenza 
di  casa  Orsina  erasi  provata  a  intorbidare  la  fonte  loro  ;  il 
Cancellieri,  che  pur  ricorse  a  lui  per  stabilire  l'origine  del 
mercato  di  piazza  Navona,  le  solennità  dei  possessi  ponti- 
fici^ financo  il  «  sonare  a  gaio  »  delle  campane  di  Campido- 

(i)  CoNTELORi,  Genealogia  familiae  Comitum,  p.  26.  Non  lo  nomina 
espressamente,  ma  lo  designa:  «  in  Diario  Italica  lingua  scripto  quod 
«incipit  ab  anno  1481  ». 

(2)  De  Nolhac,  La  bihliothèque  de  Fulvio  Orsini,  Paris,  1887,  pas- 
sim; JusTi,  Lehen  Winkelmanns,  II,  229;  Id.  Antiquarische  Briefe  des 
Baron  Philipp  voti  Stosch,  p.  22  e  sgg.  ;  Valesio,  Istoria  di  casa  Co- 
lonna, ms,  archivio  Colonna,  cred.  XIV,  t.  26,  pp.  80,  171,  ecc. 

(3)  Lo  JòcHER  (Allgemeines  Gelehrtm  Lexikon)  lo  chiama  «  ein  Se- 
«  cretarius  des  Raths  zu  Rom,  war  erst  Stadt-Richter  zu  Orta  ».  I 
rass.  che,  secondo  le  sigle  indicate  in  seguito,  lo  danno  come  potestà 
di  Orte,  sono  A,  O',  R,  S,  V^  —  S"  in  due  note  diverse  lo  dà  «  po- 
«  testas  Ostiae  »  e  «  p.  Ortae  ». 


//  diario  di  Stefaìio  In  fessura  487 


glio  (i),  della  famiglia  dell'  Infessura  non  aggiunse  verbo  ; 
né  la  storia  dello  studio  romano  sospettò  che  dovesse  appa- 
rire il  nome  del  nostro  diarista  fra  quelli  de'  suoi  profes- 
sori. Di  guisa  che,  sino  a  questi  ultimi  tempi,  in  cui  la 
critica  si  è  esercitata  in  ogni  maniera  d'indagini  e  di  rap- 
presentazioni, il  valore  storico,  la  struttura  e  la  compagine 
intrinseca  degli  scritti  dell'  Infessura  rimasero  intentati. 
Qualche  dubbio  sulla  giustezza  d'alcuna  delle  sue  date 
affacciarono  il  Muratori  (2),  il  Giorgi,  il  Papencordt.  Il  Gre- 
gorovius,  pieno  di  simpatia  pel  nostro  scribasenato,  affermò, 
ripetè,  congetturò,  ma  non  provò  nulla  sul  conto  di  lui  (3)  ; 


(1)  Cancellieri,  Lo  campane  di  Campidoglio,  p.  42. 

(2)  Muratori,  Annali  d' Italia  ad  ann.  1458,  1464,  1488;  Giorgi, 
Vita  Nicolai  V pont.  max.  ad  fidem  veterum  monumentorum,  p.  159; 
quantunque  altrove  (p.  169)  scriva:  «  at  dubitare  non  sinit  inscriptio 
«  nunc  aliata,  atque  Stephani  Infissurae  testimonium  »  ;  Papencordt, 
Geschichte  der  Stadt  Rom  im  Mittelalter,  pp.  471,  476. 

(3)  Gregorovius,  Geschichte  der  Stadt  Rom,  VII,  605  :  «  Zu  wir- 
«  klicher  Bedeutung  erhebt  sich  unter  diesen  ròmischen  Journalisten 
«  erst  Stefano  Infessura.  Das  Leben  dieses  Mannes  ist  unbekannt, 
«  ausser  dass  man  durch  ihn  selbst  weiss,  er  sei  im  Jahre  1478  praetor 
(c  in  Horta  gewesen,  dann  Schreiber  der  Senats  geworden.  Er  ver- 
«  fasste  ein  Diarium  der  Stadt  Rom  teils  in  italienischer,  teils  in  la- 
«  teinischer  Sprache,  dessen  Anfang  nur  fragmentarisch  ist  ;  denn  er 
«  beginnt  mit  1295,  springt  dann  zu  1403  ùber,  gibt  die  Geschichte 
«  der  ersten  Hàlfte  des  xv.  Jahrhunderts  wie  im  Auszuge  aus  anderen 
i(  Chronisten,  und  wird  darauf  selbstàndig  und  reichhaltig  namentlich 
«  von  Sixtus  IV  an.  Offenbar  fùhrte  Infessura  einen  gròsseren  Pian  nicht 
«  aus  (?!),  Er  ward  wie  Burckhard  ohne  humanìstische  Bildung.  Vom 
«  wissenschaftlichen  und  kùnstelrischen  Leben  in  Rom  nani  er  nicht 
«  die  geringste  Notiz.  Im  Hofbcamten  Burckhard  wagt  sich  nie  der 
«  Mensch  hervor;  in  dem  rechtlichcn  Infessura  aber  schliigt  das  Herz 
«  und  urteilt  der  Verstand  eines  freimùtigen  Bùrgers.  Er  zeigt  sich 
«  als  praktischen  Mann  von  einfacher  und  rauher  Art,  als  echt  rómi- 
ce schen  Patrioten,  Republicaner  aus  Neigung  und  Princip,  als  Feind 
e  der  Papstgewalt,  daher  er  sich  offen  als  Bewundcrer  Porcaro's  be- 
«  kennt.  Deshalb  fràgt  er  bei  scinem  Tadel  ùber  die  Piipstc,  namentlich 
«  den  ihm  so  tief  verhassten  Sixtus  IV,  die  grellsten  Farben  auf.  Fai- 


488  O.    Tommasini 


il  Reumont  male  lo  dipinse  come  il  rappresentante  vero 
deir  inesauribile  maldicenza  romana  (i),  quantunque  avesse 
ragione  d'affermare  che  per  i  Liutprandi  del  secolo  xv 
si  voglia  critica  non  meno  acuta  che  per  quei  del  x  ;  al 
Greighton  non  s' intende  ben  chiaro  se  talvolta  l'origina- 
lità di  lui  parve  più  preziosa  o  sospetta  (2)  ;  il  Pastor,  fi- 
nalmente, dopo  averlo  rappresentato  come  un  violento  av- 
versario della  dominazione  papale,  dopo  averlo  censurato, 
andando  sulle  orme  del  Giorgi,  per  cronologica  inesattezza, 
promette  poi  di  provare  nel  secondo  volume  della  sua 
storia  de' papi,  e  di  provzre  funditus,  che  l'Infessura,  secondo 
lui,  non  merita  fede  (3).  La  quale  promessa  non  trattiene 
l'esame  scientifico,  libero  da  preconcetti  aggressivi  ed  apo- 
logetici, dal  saggiare  una  buona  volta  la   compagine   di 

«  schung  der  Geschichte  sind  ihm  nicht  nachzuweisen.  Da  er  das 
«  Papsthumdurchaus  von  seiner  weltlichen  Seite  darstellt,  gab  ihm  das 
«  Nepotenwesen  zu  moralischer  Entrùstung  und  bettern  Ausfàllen 
«  Grund  genug.  Nur  ist  er  einseitig;  von  dem  Guten  was  Sixtus  IV 
«  geschafifen  hat,  weiss  er  kaum  ein  Wort  zu  sagen.  Man  kann  ihn 
«  den  letzten  Republicaner  der  Stadt  Rom  nennen  ;  einen  Mann  der 
c(  tùchtigsten  Gesinnung,  voli  bùrgerlichem  Ehrgefùhl.  Das  òfìfentliche 
«  Leben  zur  Zeit  von  Sixtus  und  Innocenz  Vili  lehrt  er  am  besten 
«kennen;  dafùr  ist  er  Hauptquelle.  Sein  hochverdienstliches  Werk 
«  wurde  vielfach  benutzt  ».  Nelle  partigiane  Geschichtslùgen,  Paderborn 
und  Mùnster,  1887,  non  trovandosi  menzione  dell' Infessura,  vuol  dire 
che  o  non  s'ebbe  come  un  «  Gegner  des  Papsthums  »  o  non  parve 
uno  storico  mendace. 

(i)  Il  Reumont,  Geschichte  der  Stadt  Rom,  III,  par.  1%  p.  367:  «  der 
«  àchte  Repràsentant  der  unverwùstlichen  ròmischen  Medisance  ». 

(2)  Greighton,  A  history  of  the  papacy,  II,  510:  «  (Infessura's  diary) 
«  grows  more  connected  as  it  approaches  his  own  time,  but  has  some 
«  informatìon,  not  given  elsewhere,  of  the  events  of  the  years  143 1 
«  and  1434  ». 

(3)  Pastor,  Geschichte  der  Pàpste,  seit  dem  Ausgang  des  Mittelalters, 
I,  342,  in  nota:  «Infessura,  ein  heftiger  Feind  der  pàpstlichen  Herr- 

«  schafft  »;  p.  433,  nota  2:  « Auf  die  Unglaubwurdigkeit  Infes- 

«  sura's  wird  der  zweite  Band  dieses  Werkes  noch  nàher  eingehen 
«  mùssen  ». 


//  ^T>iario  di  Stefano  In  fessura  489 

questo  diario,  l'autore  del  quale  di  molte  delle  cose  che 
racconta  fu  senza  dubbio  testimonio  di  veduta.  Fino  a  che 
punto  fosse  egli  in  condizione  di  vedere  il  vero,  come 
lo  raccontasse,  quanto  lo  colorasse  del  suo  umore  personale, 
quanto  accettasse  da'  contemporanei,  se  l'opera  sua  ci  perve- 
nisse schietta  o  a  quaH  alterazioni  andasse  soggetta  nel 
tramandarcisi,  queste  sono  le  ricerche  che  sembra  necessario 
di  premettere,  prima  di  poter  portare  coscienzioso  giudizio 
della  fede  che  merita. 

È  cosa  certa  che,  se  non  fosse  pel  diario  di  Stefano, 
oramai  non  resterebbe  più  memoria  del  nome  e  della  ca- 
sata degl' Infessura  (i).  Di  tanti  documenti  a  lui  anteriori 
in  cui  s'incontrano  lunghe  liste  di  cittadini  romani,  come, 
ad  esempio,  nelle  tante  convenzioni  d'accordo  e  transazioni 
tra  il  Comune  di  Roma  e  i  pontefici,  quali  furono  pubbli- 
cate e  dal  Vitale  e  dal  Theiner,  il  cognome  degl'  Infes- 
sura  non  capita  mai;  né  capita  in  documenti  privati  a 
stampa,  o  in  altre  cronache,  se  si  eccettua  quella  mano- 
scritta, assai  sospetta,  di  cui  £1  parola  il  Bicci  (2),  che  già 
si  conservava  nell'archivio  dei  Boccapaduli.  In  questa,  tra 
gì'  intervenuti  ad  una  festa  di  Testacelo,  si  citano  «  vestuti 
«  all'antica ...  li  riformatori  dello  studio  che  erano  Luca 
«Antonio  Boccapadura  et  l'altro  Matteo  Infesura  ».  Pure 
non  è  dubbio  che  la  casata  degl' Infessura  fu,  tra  le  popo- 
lari, delle  più  spettabili,  e  basterebbe  l'autorità  di  Marcan- 

(i)  Nei  Registri  dd  camerlengo  della  Camera  di  Roma  (Arch.  di  Stato) 
il  nome  di  lui  apparisce  notato  nelle  seguenti  forme:  1°  Stefano  in 
fessura;  2"  infessura;  3*  inffessura  ;  4°infusura;  5"  Infusurj;  6'*  ó^  yn- 
fìxuris. 

(2)  M.  Bicci,  Noti:(ìa  della  famiglia  Boccapaduli,  Roma,  1762,  p.  25, 
in  nota.  La  cronica,  per  quanto  riferisce  il  Bicci,  fu  scritta  «  in  Roma 
«nello  rione  delli  Monti  per  Nardo  Scocciapile  nell'anno  1572  del 
«  mese  di  agosto  per  santa  Maria  ».  Di  questa  cronica  il  Bicci  dà  un 
lungo  estratto  fra  i  documenti  (pp.  589-595).  Sembra  scritta  con 
preconcetti  genealogici  e  ad  esaltazione  specialmente  della  famiglia 
dei  Maddaleni. 


490  O.   Tommasini 


tonio  Altieri  a  rendercene  testimonio.  Era  delle  romane 
natie  e  s'andava  assottigliando  e  nascondendo  fra  le  romane 
fiitte  (i).  Le  memorie  manoscritte  che  se  ne  raccolsero, 
risalgono  sino  all'anno  1397,  cioè  sino  all'avo  del  nostro 
Stefano  ;  ma  prima  della  metà  del  secolo  xvii  si  rabbuiano 
e  il  nome,  l'eredità  e  le  carte  della  famiglia  trapassano  di- 
sperdendosi in  casate  commemorate  per  censo  largo  e  re- 
lazioni profittevoli  colla  curia  (2). 

Nel  1397  Lello  degli  Infessura  comparisce  arbitro  tra 
Lorenzo  di  Cecco  Palochi  e  Ludovico  de'  Papazzurri,  sen- 
tenziando in  una  questione  di  loro  orti  contigui  per  la 
distruzione  d'una  fratta.  Egli  ebbe  ad  essere  pertanto,  se- 
condo ogni  probabilità,  dottore  di  legge.  Nel  1408  assistè  alla 


(i)  M.  A.  Altieri,  Li  nuptiali,  ed.  Narducci,  p.  15  :  «  Roma,  già 

«  regina  et  dea  universale, vedese  al  presente  tanto  nihilata  che 

((  per  romani  naturali  terriase  obscurissima  et  solitaria  latebra.  Prin- 
((  cipiando  dalli  Monti  et  per  Cavallo,  per  lo  Treio  et  per  li  Conti, 
(c  mancatice  Cerroni,  Novelli,  Paparoni,  Petrucci,  poi  Salvetti,  Nisci, 
(c  Cagnoni,  Lupelli,  Pìrroni  et  Vennettini,  Dammari,  Foschi,  Pini, 
«  Masci,  Capogalli,  Mantaci,  Carvoni,  Palocchi,  Acorarii,  Pedacchia 
«et  Valentini;  Palelli,  Arcioni,  Migni,  Capomaiestri,  Subbattari, 
«  Negri;  et  poi  Mancini,  H  Scutti,  li  Infessura,  etc.  ». 

(2)  Nel  testamento  d'Agnese  Branca,  rogato  dal  notaio  Buccio 
di  Paolo  di  Buccio  di  Angeli,  in  data  de'  12  gennaio  1401,  esistente 
nell'arch.  di  S.  Spirito,  e  citato  dall' Adinolfi  (Roma  nell'età  di  me^^o, 
II,  26,  in  nota),  si  descrive  una  casa  che  confina  colla  «  domus  here- 
«  dum  condam  Petri  de  Columna,  ab  alio  latere  tenet  Lellus  Fe- 
ce sur  e,  retro  est  locus  qui  dicitur  la  Sede,  et  locus  qui  dicitur  la 
«Mesa»,  or  Infessura  s'imparentarono  coi  Giovenali  e  i  Ghislieri. 
Le  loro  carte  passarono  da  queste  casate  nei  Simonetti  e  da  questa 
poi  nella  famiglia  dei  conti  Savorgnan  di  Brazzà,  che  con  grande 
cortesia  mi  concessero  di  averle  a  studio.  Rendo  grazie  in  quest'oc- 
casione alla  colta  e  gentile  signora  contessa  di  Brazzà,  anche  per 
altri  schiarimenti  verbali  che  mi  favori  rispetto  all'archivio  dome- 
stico. Le  pergamene  degl'  Infessura  fino  a'  tempi  dell'archivista  Aro- 
matari furono  vedute  nell'archivio  Brazzà;  poi  scomparvero.  Vedi  in 
App.  n.  I  le  Notizie  relative  alla  famiglia  Infessura  e  documenti  che  la 
riguardano. 


Il  diario  di  Stefano  Infessiira  491 

lettura  e  alla  conferma  de'  capitoli  della  società  del  Santis- 
simo Salvatore.  Poi  Giovan  Paolo,  suo  figliuolo,  aromatario 
o  speziale  della  regione  di  Trevi,  è  de'  caporioni  nel  1428; 
non  risulta  con  cui  s'ammogliasse,  ma  ebbe  buona  fi- 
gliuolanza;  la  Vannozza,  maritata  ad  un  Benedetto  di 
Felice  de  Fredis,  di  Valmontone,  antenato  di  quel  de  Fredis 
che  diventò  famoso  per  aver  ritrovato,  scavando  in  una  sua 
vigna  presso  le  Sette  Sale,  nel  150^,  il  gruppo  del  Lao- 
coonte;  poi  Lello,  il  nostro  Stefano,  Lorenzo,  Antonio, 
Domenico  e  Ceccolo  che  fu  celebrato  come  uom  faceto  e 
«  da  supplire  ogni  defecto  »  (  i  ).  Ma  non  sembra  che  costoro 
godessero  di  numerosa  prole  o  vivessero  a  lungo.  Lello 
era  già  morto  nel  1483.  E  appunto  in  quest'anno  Stefano, 
curatore  d'Antonina,  figlia  di  lui  e  sua  nipote,  comparisce 
come  «  eximius  iuris  utriusque  doctor  »,  e  stipula  patti 
dotali  fra  lei  ed  Antonio,  figlio  di  Giovan  Battista  della 
Pedacchia.  La  subarratio  seguì  «  in  regione  Trivii  in  domo 
((  habitationis  dicti  d.  Stephani  ».  La  dote  era  di  400  fio- 
rini, da  pagarsi  metà  subito  in  contanti,  metà  fra  un  anno, 
dando  ipoteca  su  d'una  casa  del  «  q.  Lelio  de  Infessuris 
«  in  regione  Trevi  cui  ab  uno  latere  tenet  Laurentius  de 
«Infessuris  ipsius  d.  Stephani  et  q.  Lelii  germani  fratris». 
Lo  sposo  in  pegno  dotale  costituì  una  casa  paterna  posta 
«in  loco  qui  dicitur  la  Pedacchia».  Le  nozze  si  fecero  in 
Ss.  Apostoli;  testimoni  spettabiH  intervennero  all'atto  so- 
lenne. Ceccolo  aveva  pur  egU  già  nel  151^  lasciato  vedova 
la  sua  Maria,  rimasa  con  due  figli  :  Teofila  e  la  Lucrezia 
che  andò  a  marito  ne'  Patrizi.  Figlia  della  Vannozza,  Mad- 
dalena de  Fredis  sposò  Pietro  di  Licovo  «  condam  do- 
«  mini  Galeotti  de  Normandis  olim  de  regione  Columpne 
«  et  nunc  de  regione  Trivii  ».  Cosi  gì' Infessura  s'impa- 
rentarono coi  discendenti  di  quel  Galeotto  Normando  che 
re  Ladislao  fece  cavaliere  a  San  Marcello  nel  1404,  e  cui 

(i)  M.  A.  Altieri,  Li  nupliuli,  loc.  cit. 


492  O.   Tommasini 


cinque  anni  dopo,  a*  21  di  giugno,  la  fazione  orsina  ed 
ecclesiastica  tagliò  la  testa.  E  Stefano  ammogliatosi  a 
Francesca^  vedova  già  d'un  Paparoni,  ebbe  pur  esso  due 
soli  figliuoli:  Marcello  e  Matteo.  Quest'ultimo  nel  1505 
era  già  morto  ;  quasi  fosse  destino  che  cittadini  amanti 
della  libertà  dovessero  ormai  vivere  vita  agitata  e  breve. 

E  agitata  ebbe  a  menarla  nella  sua  giovinezza  anche 
il  nostro  Stefano.  Si  trovò  a'  rumori  e  alle  giustizie  della 
cospirazione  di  Stefano  Porcari;  si  trovò  a  vederlo  appic- 
cato al  torrione  di  Castel  Sant'Angelo  :  «  e  veddilo  io  - 
«  esclama  -  vestito  di  nero  in  iuppetto  et  calze  nere  pennere 
«  queir  huomo  da  bene,  amatore  dello  bene  et  libertà  de 
«  Roma  »  (i).  Egli  e  suo  padre  e  tutti  i  fratelH  ebbero 
brighe  con  Gasparraccio  della  Regola,  brighe  che  nel  1470  si 
terminarono  con  atto  di  securtà  e  di  pace  solenne  (2),  ma 
che  prima  dovettero  turbare  non  poco  la  pace  della  famigha. 

L'anno  in  cui  Stefano  nacque  non  ci  risulta  da  docu- 
menti. Sappiamo  che  nel  gennaio  del  1500  era  morto, 
dacché  appunto  in  quel  mese  Marcello  e  Matteo  suoi  figli 
convengono  col  camerlingo  della  chiesa  di  S.  Maria  in 
Via  Lata,  promettendo  al  Capitolo  un'annua  cavallata  di 
mosto  in  compenso  d'una  messa  alla  settimana  in  giorno 
di  lunedì,  da  celebrare  in  perpetuo  a  suffragio  de'  morti 
nella  eappella  di  S.  Nicola,  di  cui  Stefano  Infessura  sin 
dal  148 1  aveva  acquistato  il  diritto  di  patronato  per  la  fa- 
miglia sua  e  pe'  discendenti.  Ma  Stefano  aveva  costituito 
vincolo  sopra  una  vigna  che  aveva  acquistato  per  la  cor- 
risposta alla  chiesa   della   cavallata   di  mosto  annuale;    e 

(i)  Questo  passo  leggesì  nelle  edizioni  d'Eccardo  e  del  Muratori 
assai  guasto.  (E)  :  «  e  viddelo  io  vestito  di  nero  in  vipetto  et  calze 
«  nere  le  perdete  quell'huomo  da  bene  ».  -  (M)  :  «  e  lo  vidi  io  ve- 
ce stito  di  nero  in  giuppetto,  e  calze  nere.  Perdette  la  vita  quell'uomo 
«  da  bene,  ecc.  ». 

(2)  Vedi  in  App.  n.  i  :  Notizie  relativa  alla  famiglia  Infessura  e  do- 
cumenti che  la  riguardano. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  '493 

poiché  questa  vigna  era  fatta  deserta  e  non  dava  frutto,  i 
figliuoli  convennero  nel  1500  coi  canonici  in  altro  modo 
per  la  soddisfazione  del  debito.  È  probabile  che  Stefano 
circa  a  quell'anno  uscisse  di  vita  e  fosse  sepolto  nella  tomba 
gentilizia  della  medesima  chiesa,  dove  già  nel  1483  era 
stato  deposto  suo  padre. 

Ora,  se  egli  nel  1500  era  morto;  se  nel  1478  si  tro- 
vava pretore  ad  Orte,  e  doveva  per  lo  meno  aver  com- 
piuto i  trent'anni  d'età;  se  ricorda  d'aver  visto  pendere  il 
Porcari  appiccato,  è  da  credere  ch'egli  probabilmente  na- 
scesse circa  all'anno  1440.  Innanzi  al  1471  era  già  rino- 
mato per  la  sua  perizia  nel  diritto  (i),  giacché  nel  primo 
libro  De  gestis  Palili  II,  Gaspar  Veronese  ricorda  come  in 
una  pressa  della  folla  sul  passaggio  di  quel  pontefice,  che 
non  visse  oltre  al  1471,  mentre  dal  Vaticano  si  recava  al 
palazzo  di  San  Marco  o  al  Laterano,  egli  e  Stefano  Infes- 
sura,  «  iuris  peritissimus  »,  ebbero  per  due  volte  a  correr 
pericolo.  È  singolare  che  Stefano  nulla  riferisca  di  tale 
accidente,  mentre  Gaspar  Veronese  conta  che  questo  fatto 
«bis  accidit»,  si  verificò  due  volte.  Nel  rarissimo  li- 
bretto delle  lettere  d'Agapito  Porcio  o  Porcari,  dedicato  a 
Luca  de  Leni,  che  morì  nel  i486,  pubblicato  senza  nota 
d'anno  o  nome  di  stampatore,  una  ne  à,  e  lo  afferma  il 
Marini  che  vide  l'opuscolo,  diretta  dal  Porcari  a  Stefano 
Infessura  (2).  E  questo  documento  ce  lo  mostra  in  rela- 
zione viva  anche  colla  famigha  Porcari.  Fu  inoltre  lettore 


(i)  Marini,  Archiatri,  II,  183,  App.  di  docutn.:  «  cum  aliquotiens 
a  ex  Sancti  Petri  sacratissimo  tempio  discederet  ad  Sancii  Marci,  aut 
«  Sancti  lohannis  Lateranensis,  tanta  erat  eius  videndi  unicuique  cu- 
ce piditas  et  ardor,  ut  esset  hominum  mirabilisque  pressura,  et  tanta 
«  laetitia  et  gaudium,  ut  nonnulli  in  iktum  solverentur;  quod  Ga- 
«  spari  Veronensi  illius  Compatri  et  Stephano  Enfesario,  iuris  pcritis- 
«  Simo,  bis  accidit  ».  Il  Marini  che  stampò  «  Enfesario  »,  probabilmente 
dove  era  a  leggere  «  Enfesurio  »,  riconobbe  in  esso  Tlnfessura  nostro. 

(2)  Marini,  Archiatri,  I,  177,  II,  200. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI  33 


494  ^'   Tommasini 


in  civile  nella  università  di  Roma  ;  e  ne'  pochi  registri  della 
Depositeria  della  gabella,  per  lo  studio  che  ci  rimangono 
all'Archivio  di  Stato  (i),  capita  il  nome  di  lui  non  infre- 
quente e  vi  s' incontra  compagno  con  quello  di  Mario  Sa- 
lomonio,  e  di  colui  ch'esso  e  i  contemporanei  chiamarono 

(i)  Archivio  di  Stato  in  Roma,  Registro  della  Depositeria  della  ga- 
bella dello  studio,  anni  1481-82:  e.  40  v:  «  Alla  ditta  adi  ditto  f.  do- 
«  dici  romani  per  mandato  de'  di  .xxiiii.  di  giungnio  a  missore  Stefano 
«  de  Infiuris  (sic)  lettore  civile  per  la  iii^.  »  —  e.  44  :  «  Alla  ditta  a  dì 
«  detto  [23  gennaio]  f.  quaranta  romani  per  mandato  de  dì  ,xx.  di  àì- 
«  cembre  a  missore  Stefano  de  Ynfixuris  lettore  in  ditto  studio  in  iuris 
«  per  la  prima  tersaria  .  .  f.  .xviiii.  se.  42  ».  Ibid.  :  Registro  di  «  Nico- 
«  laus  Calameus  depositarius  pecuniarum  gabelle  studii  Alme  Urbis  »  degli 
a.  1482-1484:  e.  11:  «Alla  gabella  dello  studio  a  di  30  di  maggio 
«  f.  venti  romani  per  mandato  de  di  25  d'aprile  a  missore  Stefano 
«  Inffessura  condotto  in  iure  civili  la  sera  per  le  meta  della  sua  se- 
«  conda  terzeria  porto  ecc.  f.  .xx.  »  —  e.  16:  «  A  la  detta  a  di  detto 
«  [11  di  novembre]  f.  venti  a  missore  Stefano  Infusura  per  resto  della 
«seconda  terzeria  conti  allui  f.  .xx.  »  —  e.  19  v:  «  A  la  detta  a  di 
«  detto  [14  di  marzo]  f.  quaranta  per  mandato  de  di  primo  di  luglio 
«  a  missore  Stefano  Infusuri  in  detto  studio  condotto  in  iure  civili 
«  per  la  sua  ultima  terzeria  dell'anno  passato  conti  allui  f.  .xx.  »  — 
e.  22:  «  A  la  detta  a  di  detto  [.xxviii.  giugno]  f.  cinquanta  per  man- 
«  dato  de  di  .xxii.  de  diciembre  a  missore  Stefano  Infesura  per  la 
«  sua  prima  terzeria  del  presente  anno  f.  .l.  »  —  e.  28  :  «  A  la  detta 
«a  di  detto  [18  di  marzo]  f.  trentacinque  per  mandato  de  di  .xxm. 
«  di  deciembre  a  missore  Stefano  Infesura  per  parte  della  sua  prima 
«terzeria  del  presente  anno  f.  .xxxv.  »  — e.  28  v:  «  A  la  detta  a  di 
«  detto  [20  di  marzo]  f.  trentacinque  per  mandato  de  di  .xxvi.  marzo 
«  a  missore  Stefano  Infesura  per  parte  della  sua  seconda  terzeria 
«  dell'anno  passato  f.  .xxxv.  ». 

Questi  Registri  non  furono  cogniti,  per  quanto  sembra,  al  De- 
KiFLE  (Die  Universitàten  des  Mittelalters  bis  1400,  p.  314  e  sgg.),  che 
non  si  sarebbe  altrimenti  tenuto  pago  alle  notizie  e  al  ruolo  dei 
professori  del  Marini,  e  alle  affermazioni  del  Renazzi,  del  Carafa  e 
del  Moroni.  Ad  ogni  modo  la  sola  presenza  di  Pomponio  Leto  e 
r  influenza  grande  che  v'esercitò  non  sembra  che  corrobori  l'affer- 
mazione del  Denifle,  p.  314:  «  Die  Hochschule  war  zwar  auch  nach 
«  Eugens  Tod  manchen  Wechselfàllen  ausgesetzt,  ja  unter  Sixtus  IV 
«  hàtte  ihr  bald  wider  der  Untergang  gedroht,  allein  sie  blieb  nun- 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  495 

«  messer  Pomponio  »  e  che  fu  il  grande  Pomponio  Leto  (i). 
A'  17  di  marzo  1487  sottoscrive  una  delle  tanti  leggi  sun- 
tuarie del  Comune. 

Queste  relazioni  rintracciate  ci  spiegano  già  la  ragione 
di  parecchi  notamenti  e  l'indole  speciale  del  suo  diario; 
ma  avremo  occasione  di  doverne  anche  altre  riconoscere 
in  seguito,  senza  le  quali  non  si  riuscirebbe  a  intendere 
come  e  perchè  certi  episodi  di  leggende  si  siano  potuti  in- 
trodurre nella  narrazione  di  lui. 

Ma,  oltre  che  del  diario,  egli  fu  autore  anche  d'altro  libro 
in  cui  probabilmente  si  sfogava  e  concentrava  tutta  la  sua 
pratica  delle  leggi,  tutta  la  sua  perizia  nella  casistica  del 
diritto.  L'opera  s'intitolava:  Lìhtr  de  communiter  accidenti- 
bus  ;  fu  della  biblioteca  del  cardinale  Slusio  ;  scomparve  con 
questa  (2).  Ora  ne  rimane  appena  ne'  catalogi  la  memoria. 

«  mehr  doch  fortbestehen  ».  A  meno  che  intenda  di  alludere  a  quel 
decadimento  che  veniva  non  da  minor  bontà  o  numero  de'  profes- 
sori, ma  in  seguito  di  quello  stato  di  cose  che  l'Infessura  riferisce  e 
che  probabilmente  sperimentò. 

(i)  Iacopo  Gherardi,  il  Volterrano,  nel  suo  diario,  lo  chiama: 
«  Pomponius  Romanus,  princeps  sodalitatis  literariae  ».  Archivio  di 
Stato  in  Roma,  Gabella  dello  studio,  Depositario,  1482-84:  (1481-82), 
e.  43  v:  «  Alla  detta  gabella  f.  sessantasey  f  romani  per  mandato  a 
«  di  .XX.  di  die.  a  Pomponio  lettore  in  rectoriche  per  sua  provisione 
«  della  p.  ^.  f.  .XXXII.  d.  46.  o.  —  Ibid.  (1482),  e.  14  r:  «  A  la  detta 
«  a  di  detto  [30  giugno  1482]  f.  trentatre  b  .x.  den.  12  per  man- 
«  dato  de' dì  2$  daprile  a  m.  Pomponio  condotto  in  rettoricha  per 
«resto  della  sua  s^^  terzeria  p.  Guliano  suo».  —  Ibid.  e.  15  v:  «A 
«  la  ghabella  dello  studio  a  dì  .v.  dottobre  f.  sessantasei  e  due  terzi 
«  per  mandato. de  di  .11.  di  q°  per  m.  Pomponio  in  detto  studio  con- 
«  dotto  in  rettoricha  per  la  sua  terza  et  ultima  terzeria  conti  allui 
«  f.  .Lxvi.  se.  23  d.  8  ».  —  Ibid.  (1483),  e.  22  v:  «  A  la  detta  a  di  detto 
«  f.  ottantuno  e  uno  terzo  per  mandato  de'  di  .xxii.  di  dicembre  a 
«  m.  Pomponio  per  la  sua  prima  terzeria  del  presente  anno  ». 

(2)  Cf.  Bihliothcca  Slusiana  sive  lihrorum  catalogus  qtios  ex  omnigena 
rei  literariae  materia  Ioannes  Gualterus  Satictae  Ko.  Eccl.  card.  Slusius 
hodiensis  sibi  Komae  congesserat  Petri  Aloysii  baronis  Slusii  fratris  itissu, 
labore  ac  studio  Francisci  Deseine  Parisiensis  digesta  et  in  quinque  partes 


49^  O.   Tommasini 


Ma  il  culmine  cui  arrivò  neiresercizio  de'  suoi  civili  uffici  è 
segnato  dalla  dignità  di  scribasenato,  a  cui  non  fu  per  certo 
levato  per  intromissione  papale  (i).  Egli  certamente  non  fu, 
come  ser  Marco  Guidi  (2),  deputato  all'ufficio  suo  in  grazia 
di  un  breve;  né  vi  durò  più  del  termine  stabilito  dall'ele- 
zione. Quale  fosse  l'origine  e  la  natura  di  tal  magistrato  di- 
cemmo altrove,  indicando  le  particolari  attribuzioni  che  in 
principio  gli  spettarono  e  quella  cui  venne  riducendosi  a 
mano  a  mano.  Dall'essere  pertanto  la  loquela  «  amplissimi 
<c  Senatus  et  metuendi  populi  romani  »,  quando  il  Senato  si 
stremò  nella  persona  d'un  solo  e  il  popolo  non  fu  più  me- 
tuendo,  lo  scribasenato  rimase  ritto  come  un  vecchio  titolo, 
e  più  come  scheletro  che  come  simbolo  del  passato.  Di  lui 
gli  statuti  della  città  facevano  appena  qualche  piccolo  cenno, 
dissimulandone,  piuttosto  che  determinandone  le  attribu- 
zioni, malvolentieri  accusandone  la  sopravvivenza,  e  dando 
appena  sentore  dell'  importanza  antica  coll'accenno  a  pri- 
vilegi di  libero  arbitrio,  come  dicevasi,  che  si  cautelavano 
non  potesse  aver  comuni  col  Senatore. 

distrihuta,  Romae,  1690;  Blvme,  Iter  Ital.  Ili,  197.  Il  fondo  della 
Slusiana  entrò  nella  biblioteca  Imperiali,  e  fu  disperso  con  questa. 
Sul  card.  Slusio  v.  Mabillon,  Iter  Ital.  p.  96. 

(i)  In  qualità  di  scribasenato,  l'Infessura  comparisce  nei  seguenti 
documenti:  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Registro  del  camerlengo  della  Ca- 
mera di  Roma:  «Anno  1487,  a  dì  .x.  di  ienaro.  In  questo  libro  se 
«  scriverano  per  me  Baptista  Barapta  camerlengho  della  Camera 
«  tutte  le  spesse  che  se  farano  per  leronnimo  p°  p°  lo  mio  compa- 
«  gno  ».  —  (e.  2,  Un.  3)  :  «  Item  più  pacavo  a  misere  Stefano  Infe- 
«  sura  cari,  doi  cioè  d.  o  t.  15  j)  —  (e.  2  v,  lin.  penult.  et  ult.):  «  per 
«  la  noeta  dello  contratto  nostro  a  misser  Stefano  Infesura  carlini 
«  cinque,  cioè  d.  o  t.  37  1/2  ». 

Nell'archivio  storico  Comunale,  cod.  membranaceo  degli  Statuta 
A.  U.  Rome  (crQd.  IV,  t.  88,  n.  0335,  p.  191)  firma  «  die  .xvii.  martii 
«  1487  »  le  «  Reformationes,  constitutiones  et  statuta  super  dote,  le- 
ce calibus,  acconcio  et  ornatu  ac  nuptiis  mulierum  et  super  exequiis  ». 

(2)  V.  Atti  e  Mem.  della  R,  Acc.  dei  Lincei,  III^  p.  173  e  sgg.  il 
Registro  degli  Officiali  di  Roma  esemplato  dallo  scribasenato  Marco  Guidi. 


//  diario  di  Stefano  Infessura  497 

I  due  scribasenato,  del  resto,  insieme  col  notaio  della  Ca- 
mera della  città^  assistevano  ai  consigli  generali  del  Comune, 
ne  scrivevano  le  proposte,  ne  stendevano  i  verbali  (dieta  et 
arrengationes  consiliariorutn),  ne  registravano  le  risoluzioni 
{statuto)  e  le  riforme.  Spettava  ad  essi  di  sottoscrivere  di- 
plomi di  cittadinanza,  di  far  lettura  in  publica  forma,  nel 
giorno  di  sabato  o  di  mercato,  delle  sentenze  di  diffidazione 
o  raffidazione  di  cittadini,  traendone  stabilite  propine.  Re- 
centemente Ottone  de  Varris,  soprannominato  Otto  Poc- 
cia,  protonotario,  aveva  ridotto  il  salario  loro,  per  una 
riforma  flitta  «  de  mandato  pape  » .  Ad  essi  appartenevasi 
di  far  quegli  estratti  delle  pubbliche  lettere,  che  rendevano 
certa  e  stabile  la  tradizione  degli  affari  in  mezzo  alle  ma- 
gistrature elettive  e  mutabili.  Rilevammo  altrove  come  i 
notai  avevano  maggior  incitamento  a  tener  dietro  a'  pub- 
blici avvenimenti  e  registrarne  memoria  ne'  loro  proto- 
colli per  la  straordinaria  condizione  di  diritto  in  cui  erano 
posti  dagli  statuti  stessi,  essendo  i  soli  che  non  avessero 
divieto  di  rielezione  a  quelli  offici  pe'  quali  particolarmente 
necessitasse  un  notaio  (i).  Lo  scribasenato  inoltre  aveva 
allettamento  ed" occasione  più  ampia  a  farsi  storico  de'  suoi 
tempi.  Gli  «  scribae,  qui  nobiscum  in'  rationibus  monumen- 
«  tisque  pubHcis  versantur  »,  aveva  osservato  Cicerone  ai 
tempi  suoi  che  non  lasciavano  «  obscurum  suum  iudicium 
«  decretumque  »  (2),  solo  che  volessero. 


(i)  Cf.  il  Registro  di  M.  Guidi,  citato  negli  Atti  e  Metti,  della  R.  Acc. 
dei  Liticei,  III*,  p.  176.  Stefano  Cafari,  notaio,  cominciava  nel  1438 
il  suo  diario  con  queste  parole:  «In  isto  quinterno  continentur 
«multa  et  diversa  in  diversis  codicibus  nostris  et 
«diversis  annis  et  tempo  ri  bus  sparsa  et  hic  suc- 
«cincte  de  scripta,  ne  per  varia  volumina  quis  habeat  inqui- 
«  Vere  ».  Cf.  Arch.  della  R.  Soc.  Rotti,  di  st.  patr.  VIH,  559.  Questo  brano 
del  CafTaro  non  è  di  poca  importanza  per  la  conoscenza  dell' istorio- 
grafia  medievale  di  Roma. 

(2)  Cicero,  Pro  domo  sua,  XXVIII. 


498  O.   Tommasini 


L'occasione  dunque  non  mancava  alFInfessura  nella 
stessa  sua  professione  e  qualità  a  farsi  storico  de'  tempi 
suoi.  Registrare  ne'  protocolli  la  memoria  di  fatti  ch'erano 
in  relazione  coll'ufficio,  o  recavano  una  nuova  manièra  di 
datazione  de'  pubblici  atti,  o  colpivano  la  vita  civile,  come 
gli  straordinari  processi,  l'esecuzioni  di  giustizie,  il  caro 
delle  derrate,  le  vicende  di  Campidoglio,  quelle  del  pub- 
blico studio,  la  morte  dei  pontefici,  la  loro  elezione,  era 
naturale  effetto  della  condizione  sua  rispetto  alla  città.  Ma 
forse  non  gli  mancavano  intrinseche  disposizioni  dell'animo 
all'ufficio  di  storico;  e  chi  consideri  gYi  scuciti  frammenti 
ora  volgari  ora  latini  di  cui  consta  il  suo  diario,  non  dubita 
di  ravvisare  tra  le  diverse  parti  di  esso  identità  di  natura, 
differenze  di  forma  e  d'intendimenti  che  lasciano  far  con- 
gettura legittima  non  già  di  un  più  grande  disegno,  come 
parve  al  Gregorovius,  ma  di  una  diversità  d'origine  e  forse 
di  fine  nell'opera  di  lui. 

Se  non  che,  prima  di  discutere  la  compagine  di  questa, 
non  è  inutile  di  tener  proposito  dei  manoscritti,  secondo 
i  quaU  è  giunta  sino  a  noi;  mondandola  dell'imbratto  che 
i  tempi  diversi  poterono  lasciarvi  sopra,  per  scrutarla  nella 
sua  forma  più  prossima  all'originale  primitivo. 

E  innanzi  tutto  :  fu  chi  vide  mai  l'autografo  dell'  Infes- 
sura  ?  Il  Valesio,  dalla  raccolta  del  quale  è  pervenuto  il  co- 
dice all'archivio  storico  Capitolino,  di  cui  più  oltre  terremo 
parola,  annota  alla  seconda  carta  non  numerata  del  codice 
stesso:  «  extat  autograph.  ms.  in  Archiv.°  Vatic.°  signat. 
«  n.  CXI  ».  Questo  ms.  CXI  è  evidentemente  il  medesimo 
che  si  allega  negh  Annali  suoi  dal  Rainaldi  col  n.  in, 
reso  per  le  stampe  con  un  III  (i).  Un  altro  ms.  del  museo 

(i)  Però  potè  prendere  abbaglio  l'Eccardo  stampando  nellla  pref.  al- 
l'edizione sua  che  il  Rainaldi  lo  indica  nell'arch.  Vat.  «  sub  numero  III  ». 
Nel  ms.  Vallicelliano  S,  21  (n.  m.  01688),  che  contiene  P.  Raynaldi  mo- 
numenta prò  Annalibus  ah  ami.  14^^  ad  14^^,  t.  XVII,  alla  e.  3  il  Rai- 
naldi cita  :  «  Steph.  Inf.  IXI  »  ;  ibid.  a  e.  1 5  :  «  ms.  Vat.  signat.  nu.  1 1 1  »  ; 


//  diario  di  Stefano  Infessiira  499 

Britannico,  che  reca  la  segnatura  odierna  P,  105 1,  ed  è  del 
secolo  XVII,  offre  la  nota  identica  a  quella  che  s' incontra  nel 
citato  ms.  del  Valesio.  Ora,  noi  non  sappiamo  se  il  Vale- 
sio  vedesse  l'allegato  ms.  dell'archivio  Vaticano  ;  probabil- 
mente non  lo  vide  e  non  vide  che  il  cod.  6389  della  bi- 
blioteca Vaticana,  che  egli  e  il  ms.  sopradetto  del  museo 
Britannico  citano  insieme.  Ma  quello  che  risulta  certo  si  è 
che  il  Rainaldi,  il  quale  se  ne  servì  per  primo  citandolo  e 
pubbHcandone  brani,  non  lo  diede  mai  per  autografo;  e  che 
ad  ogni  modo  il  codice  citato  con  quel  numero  e  dal  Rai- 
naldi e  dal  Valesio,  nell'archivio  Vaticano  e  nella  bibHo- 
teca  non  esiste  più,  né  se  ne  raccapezzano  tracce.  E  poiché 
dai  signori  archivisti  P.  Wenzel  e  G.  Palmieri  mi  fu  sem- 
pre ficilitata  nell'archivio  Vaticano  ogni  ricerca  con  gran- 
dissima cortesia,  di  che  rendo  loro  pubbliche  grazie,  ed  ò 
ogni  ragione  di  credere  alla  lealtà  delle  loro  affermazioni, 
convien  dire  che  quel  codice  del  quale  sino  al  1701  rima- 
neva memoria,  sia  dopo  quel  tempo  scomparso. 

Ora  ecco  quanto  dalle  citazioni  del  Rainaldi  si  può  rac- 
cogliere intorno  a  quel  codice. 

Il  Rainaldi  la  prima  volta,  fra  le  sue  autorità  indicate 
in  margine,  allega  il  Diarium  Steph.  Infissurac  con  quello 
di  Paolo  di  Benedetto  all'anno  1433,  in  occasione  della 
pompa  per  l'incoronazione  dell'imperatore  Sigismondo  in 
Roma,  e  non,  come  scrive  l'Eckhart,  «  ab  anno  1484  usque 
«ad  annum  1494  »  (i);  e  lo  cita,  come  dicemmo,  dal  «  ms. 
«  arch.  Vat.  signat.  nu.  ni  ».  Ripete  un'altra  volta  la  me- 
desima citazione  all'anno  stesso,  e  prosegue  a  citarlo  per 

nel  ms.  S,  23  (n.  m.  01690),  Montini,  prò  Annalih.  1448  ad  14)6,  t.  XX, 
e.  154:  «ms.  Vatic.  sig.  n.IXI,  pag.  12.  Stcph.  Infis.»;  ibid.  e.  166  v: 
«  Steph.  Infiss.  ms.  Vatic.  sig.  nu.  ni  »;  ibid.  e.  1 70  v  :  «  Steph.  Infiss.  : 
«  arch.  Vat.  sign.  nu.  IV  (corretto  sopra  IX)  >y  ;  ibid.  e.  205  :  «  Steph. 
«Infiss.  in  ms.  Vatic.  sign.  IXI  nu.  iii  »;  nel  ms.  S,  24  (n.  m.  01691) 
«  c.  44  v:  Steph.  Infissura  m.s.  arch.  Vatic.  signat.  nu.  in  ». 
(i)  EccARD.  pref.  ed.  cit. 


500  O.    Tommasini 


gli  anni  1434,  143^,  1438,  1440,  1447,  1449,  1450,  1452 
nel  modo  medesimo.  Una  volta,  pure  all'anno  1452,  cita: 
«  Steph.  Infiss.  m.  s.  arch.  Vat.  signat.  n.  4  ».  Riprende  la 
segnatura  consueta  pel  1453,  1455,  14^4,  14^7,  i4<38. 
Al  1471  indica:  «  ms.  Vatic.  arch.  sign.  n.  11  ».  È  svista, 
o  errore  di  stampa,  o  segnatura  vera  d'un  diversò  co- 
dice? (i).  Al  1473  poi  torna  a  indicare  il  n.  11 1  come 
«  cod.  m.  s.  Vat.  »  dando  luogo  a  dubitare  se  si  tratti  d'un 
codice  dell'archivio  segreto  o  della  biblioteca  Vaticana;  ma 
presso  a  quella  citazione  aggiunge  di  soprappiù  l'altra  «  et 
«  m.  s.  Valile,  bibl.  » ,  che  ci  rivela  come  fin  da  quel  tempo 
esistesse  nella  Vallicelliana  un  manoscritto  dell' Infessura  (2), 
e  come  il  Rainaldi  ebbe  luogo  a  farne  raffronti  col  codice 
Vaticano  perduto.  Segue  poi  a  citare  il  nostro  diario  al- 
l'anno 1475,  147^,  1480,  nel  quale  ultimo  allega  con  l' In- 
fessura anche  Iacopo  Volterrano,  come  se  anche  il  diario 
di  questo  si  comprendesse  nel  medesimo  manoscritto  in. 
Per  gli  anni  1481  e  1482  s'aggiunge  all'indicazione  solita, 
quella  «  ex  m.  s.  arch.  Vat.  sign.  n.  49  »,  e  l' Infessura  si  ac- 
compagna con  a  alii  vetustorum  diariorum  auctores»,  fra 
i  quali  esplicitamente  all'anno  1494  si  menziona  quello  di 
«Sebastiano  Branca».  Nel  1492  e  negh  anni  seguenti  ca- 
pita di  veder  notato  «m. s.  arch.  Vat.  sign.  n.  ni  etaliud 
«ms.  sign.  eod.  num.  ».  Dunque  il  ms.  dell'archivio  segreto 
citato  dal  Rainaldi  ebbe,  per  quel  che  pare,  a  consistere  di 
due  tomi  segnati  collo  stesso  numero  ;  in  questi  due  tomi 
dovevano  comprendersi,  oltre  quel  dell'  Infessura,  i  diari  di 


(i)  Anche  all'anno  1480  (n.  io)  s'incontra  la  citazione:  «Steph. 
«  Infess.  m.s.  Vat.  sign.  n.  121  »  che  dà  luogo  alle  stesse  interrogazioni, 
senza  possibilità  di  certa  risposta. 

(2)  È  quello  segnato  I,  74  (n.  m.  00833)  con  una  postilla  nel  mar- 
gine superiore  esterno  della  prima  carta,  di  mano  del  Rainaldi  stesso: 
«  Extatin  m.  s.  archivii  Vatic.  signat.  n.  Ili,  p.  127  etc.  ».  Fu  trascritto 
per  commissione  del  p.  Cesare  Beccilli;  e  però  innanzi  la  prima 
metà  del  secolo  xvii.  Nell'ediz.  questo  ms.  è  designato  colla  sigla  S^ 


Il  diario  dì  Stefano  In  fessura  501 

Sebastiano  di  Branca  di  Tedallini,  di  Iacopo  Volterrano  e 
del  Burcardo,  che  il  Rainaldi  cita  in  seguito  sotto  il  numero 
medesimo.  Se  non  che  niuno  dei  mss.  dell'  Infessura  o  degli 
altri  diaristi  indicati  che  si  trovano  nell'archivio  Vaticano, 
risponde  alle  condizioni  espresse  nelle  citazioni  del  Rai- 
naldi; non  il  codice  dell'armario  IX  ord.  i.  r.  proveniente 
dall'archivio  di  Castello;  non  quello  dell' arm.  XV,  n.  61 ', 
non  quelli  in  cui  si  contengono  frammenti  del  nostro  dia- 
rista; al  quale  non  sembra  che  mai  toccasse  opposta  for- 
tuna a  quella  del  Burcardo  che,  com'è  noto,  dalla  biblio- 
teca Vaticana  fu  fatto  trapassare  nell'archivio  segreto  (i). 
Infatti  niuno  tra  i  molti  mss.  dell'  Infessura  che  si  trovano 
in  quella  biblioteca  apparisce  che  sia  quivi  derivato  dal- 
l'archivio. Ben  è  vero  che  di  fatti  consimili  che  poterono 
col  volgere  del  tempo  intervenire  non  si  à  alcuna  nota  a 
registro  in  nessuna  delle  due  sedi  Vaticane,  per  quanto  mi 
venne  fatto  di  sapere;  ma  ad  ogni  modo  il  cod.Vat.  1522,  che 
è  il  solo  il  quale,  diviso  in  due  tomi,  insieme  col  diario  del- 
l' Infessura  contiene  parecchie  altre  scritture,  non  risponde 
affatto  pel  resto  del  contenuto  alle  indicazioni  desunte  dalle 
citazioni  del  Rainaldi.  Al  codice  1 1 1  convenne  pertanto  di 
rinunciare,  dopo  averlo  anche  vanamente  ricercato  nell'ar- 
chivio dei  Ceremonieri  pontifici;  e  il  danno  parve  meno  sen- 
sibile, dacché  per  le  cortesi  cure  di  monsignor  Stefano  Cic- 
colini,  vicebibliotecario  della  Vaticana,  mi  fu  possibile  di 
rinvenire  almeno  in  questa  il  codice  ^389  citato  dalValesio 
e  dall' indicato  ms.  del  museo  Britannico,  del  quale  pure  i 
cataloghi  vaticani  non  lasciavano  alcun  sentore.  Ben  fu  ritro- 
vato suir  inventario  antico  e,  coll'aiuto  di  questo,  ritratto 
a  luce. 

E  fu  vera  fortuna  dacché,  per  quanto  la  copia  ch'esso  ci 
dà  non  sia  ottima  e  non  vada  immune  da  grossi  errori,  pure 
questi  medesimi  mettono  sulla  via  di  riconoscere  che  Ta- 


(i)  Arch.  della  Soc.  Rotti,  di  st.  patr.  I,  245-44. 


502  O.   Toiìimasini 


manuense  dovette  aver  sott'occhio  un  ms.  degli  ultimi  del 
secolo  XV  o  dei  primi  del  xvi,  perchè  molte  delle  avarie 
nella  lezione  nascono  appunto  dalle  cattive  interpretazioni 
di  voci  e  nomi  che  erano  famigUari  a  tutti  in  quei  tempi, 
da  cattive  interpretazioni  d'abbreviature  e  segni  che  tra  gli 
scrittori  di  quei  tempi  erano   appunto  più  in  uso. 

Ma  di  questo  avremo  agio  a  parlare  più  particolarmente, 
quando  sarà  il  luogo  di  descrivere  i  manoscritti  di  cui  ci  gio- 
vammo per  la  nostra  edizione.  Ora  continuando  a  tener 
ragione  di  quelli  che  anticamente  furono  cogniti  come  esi- 
stenti in  librerie  di  privati  o  veduti  in  mano  a  studiosi,  ricor- 
deremo quello  che  Alfonso  Ceccarelli  «  dice  d'aver  visto  in 
tutto  foglio  nella  libreria  del  signor  Francesco  Mucante, 
maestro  delle  ceremonie  di  N.  S.  »,  e  che  pertanto  non  potè 
essere  posteriore  al  secolo  xvi;  l'cc  antico  manoscritto  che 
era  in  mano  del  signor  Angelo  RoveUio  da  Camerino  »,  da 
cui  fu  trascritto  il  codice  Chigiano  G,  II,  62  ;  quello  men- 
zionato in  un  codice  dell'archivio  dei  Cerimonieri  come 
esistente  «nella  libreria  Rosi»  (i);  l'altro  visto  dal  Man- 
dosio  «  apud  Io.  A.  Moraldum  »  (2);  quello  citato  dal  Ni- 
quet  nella  biblioteca  di  Fulvio  ArcangeU  da  Bagnorea  (3); 
l'Annoveriano  e  il  Berlinese  dell'Eccardo  (4);  l'Estense  che 
servi  al  Muratori  e  a  cui  pure  l'edizione  di  lui  non  si  tenne 


(i)  Arch.  dei  Cerimonieri  pont.  ms.  A  I.  Nell'archivio  stesso  non 
si  trovano  più  quei  mss.  dell' Infessura  che  dal  Formichi,  Ristretto 
delle  principali  indicazioni  delVarch.  dei  Cerim.y  vengono  designati  coi 
numeri  353  e  354. 

(2)  Mandosio,  Letter.  Rom.  Cent.  2",  n.  62. 

(3)  N1Q.UET,  Tit.  S.  Crucis,  140.  Nel  manoscritto  da  lui  indicato 
si  trovavano  insieme  col  diario  dell'I,  quello  di  Lelio  Petroni  e  di 
Paolo  dello  Mastro. 

(4)  Vengono  da  noi  nell'edizione  contradistinti  colla  sigla  E^  con 
cui  si  designa  non  solo  la  lezione  dei  codici,  ma  quella  data  nel- 
l'edizione sua  dall'Eccardo,  che  talvolta  scade  per  inesatta  lettura 
dei  mss. 


//  l^iario  di  Stefano  Infessura  503 

sempre  fedele  (r);  il  Vaticano  5394  e  quello  del  Valesio, 
citato  da  fra  Casimiro  (2)  ;  poi  quelli  descritti  da  bibliografi 
come  il  Montfaucon,  il  Fabricius  (3).  Ma  fu  cosa  impossi- 
bile il  riandar  sulle  tracce  di  codici  appartenuti  a  librerie 
private,  delle  quali  niente  si  potè  accertare,  neppure  quando 
e  come  cessassero.  Forse  qualcuno  di  quei  codici  entrò 
nelle  biblioteche  pubbliche;  forse  gli  avemmo  alle  mani, 
ma  mancò  ogni  mezzo  a  riconoscerli  e  costatarne  F  iden- 
tità. Per  quelli  poi  che  le  pubbliche  librerie  conservarono, 
fu  facile  aver  notizie  e  raffronti  di  passi  dubbi  o  caratteri- 
stici, segnatamente  per  via  di  circolari  e  di  lettere  che  in- 
dirizzammo a'  bibliotecari  d' Italia  e  d'Europa,  e  per  cortese 
corrispondenza  d'amici  e  compagni  di  studi,  ai  quali  pro- 
fessiamo viva  e  cordiale  riconoscenza  (4). 

(i)  Il  codice  Estense  di  cui  si  servì  il  Muratori  è  quello  conser- 
vato nella  biblioteca  dell'Archivio  di  Stato  in  Modena. 

(2)  Fr.  Casimiro,  Storia  di  Aracoeli,  pp.  416-18,  cita  i  mss.  Chi- 
giano  1226;  Vat.  6389,  5393;  quel  del  Valesio,  ora  nell'arch.  Ca- 
pitolino, e  (a  p.  424)  il  codice  «  presso  il  signor  marchese  Pompeo 
«  Frangipane  ».  Il  catalogo  della  biblioteca  della  rinomata  famiglia 
Frangipane  fu  pubblicato  in  Roma  dal  Monaldi  nel  1787.  L'anno  sus- 
seguente andò  venduta  all'asta. 

(3)  Montfaucon,  Bihl.  bibl.  mss.  col.  11 5 1  ;  Fabricius,  Bibl.  lat. 
med.  et  inf.  aetatis,  V,  503. 

(4)  Rendo  pubbliche  grazie  in  questa  occasione  ai  signori  biblio- 
tecari, archivisti,  colleghi  ed  amici  che  contribuirono  colla  loro  dottrina 
e  pazienza  a  vantaggio  delle  mie  ricerche,  e  particolarmente  ai  signori 
cav.  Fr.  Carta,  già  bibliotecario  della  Vallicelliana,  cav.  I.  Giorgi 
della  biblioteca  Vittorio  Emanuele  di  Roma,  prof.  G.  Cugnoni  della 
Chigiana,  prof.  C.  Schiaparelli  della  Corsiniana,  dott.  Guido  Levi 
dell'Archivio  di  Stato  in  Roma,  mons.  Stefano  Ciccolini  della  Va- 
ticana, mons.  P.  Wenzel  e  G.  Palmieri  dell'arch.  Vatic,  monss.  Ca- 
taldi  e  Sinistri  per  l'arch.  dei  Cerim.  pontifici,  prof.  G.  Tomassetti, 
archivista  della  casa  Orsini,  sig.  L.  Simeoni,  archivista  della  fami- 
glia Colonna,  pur  troppo  mancato  ai  vivi,  al  cav.  Carlo  Padiglione 
della  Brancacciana  di  Napoli,  al  prof.  A.  Bellucci  della  Comunale  di 
Perugia,  al  cav.  B.  Podestà  della  Nazionale  di  Firenze,  al  cav.  Ales- 
sandro Gherardi  del  R.  Archivio  di  Stato  in  Firenze,  al  cav.  A.  Li- 


504  O.   Tommasini 


Or  ecco  Telenco  dei  mss.  dei  quali  ci  potemmo  gio- 
vare neir ordinare  la  critica  del  testo  da  noi  stabilito  : 

Roma.  —  Arch.  Vaticano,  arch.  di  Castello,  armar.  IX,  ord.  i  r. 
Ms.  cartaceo,  sec.  xvi  (0,350  X  0*250),  rilegato  in  pergamena;  sul 
dorso:  «  Infessurae  Historiae  »  ;  di  carte  217  numerate  nel  retto: 
Historie  .  avanti  .  che  .  la  .  corte .  gisse  .  in  .  Fran^^a  \  Manca  il  prin- 
cipio. Tra  le  linee  del  titolo  e  nel  margine  :  «  Delle  quali  se  ne 
«  tratta  brevemente  nella  prima,  et  seconda  pagina.  Seguita  il  me- 
«  desimo  Stefano  la  sua  historia  da  Gregorio  XI  ìnsino  ad  Ales- 
«  Sandro  sesto  inclusive  ».  E  suU'  altro  margine  interno  :  «  Ste- 
«  phano  Infessura  |  cittadino  romano  ]  fu  potestà  ad  Orta  |  sotto 
«  Xysto  mi,  e.  37».  Inc.  (e.  i):  «  Pontificalmente  et  dissegli  ». 
Expl.  (e.  165  v):  «  per  andare  a  campo  a  Ostia».  Il  ms.  presenta 
due  scritture  di  mano  diversa;  l'una  va  sino  alla  carta  104  v,  e 
alla  linea:  «  gentes  Ecclesiae  et  comes  Robertus  ibique  stragem 
a  quum  volebatfacere  ».  Indi  è  notato  nel  margine  inferiore  interno  : 
«  Istam  clavem  invenies  infra  pag.  112,  versu  17.  Sequitur  enim 
«  Deinde  intendebat  ».  E  della  stessa  mano  nell'alto  del  foglio  105  r  : 
«  duae  sequuntur  ab  ista  pagina  105  usque  ad  paginam  ii2repe- 
«  riuntur.  Sunt  enim  descripta  supra  a  pag.  95  usque  ad  pag.  104  v  ». 
E  dalla  carta  105  in  poi  l'acido  dell'inchiostro  à  sovente  corroso 
o  macchiato  il  foglio.  Seguono  carte  bianche  dalla  166  alla  169, 
nella  quale  comincia  :  S^°  Dno  Nro  \  Sixto  Papae  Quinto  \  Summa- 
rium  Diariorum  fel  :  ree  :  Sixti  \  Papae  Quarti  ab  anno  i4'j()  usq.  \ 
ad  annum  1484  .  cum  Indice.  È  un  sommario  del  Diario  di  Ia- 
copo Volterrano.  Expl.  (e.  188  r)  :  «  Augustinensis  erant  ».  Segui- 
tano Estratti  ed  appunti  storici,  l'ultimo  de'  quali  (a  e.  213  r)  reca  : 
«Notanda.  1534.  Alli  23  di  marzo  Clemente  VII  per  sua  sentenza 


sini  e  signor  Fr.  Bandini  Piccolomini  dell'Archivio  di  Stato  in  Siena, 
al  cav.  Foucard  dell' arch.  di  Modena,  al  prof.  A.  Fabretti  in  Torino, 
al  cav.  Carlo  Castellani,  prefetto  della  Marciana  di  Venezia,  all'ili,  si- 
gnor L.  Délisle,  e  sig.  Elie  Berger  per  i  mss.  delle  biblioteche  di 
Parigi,  a  lord  Carlthorpe  che  mi  concesse  d'aver  le  varianti  richieste 
dal  ms.  della  sua  biblioteca  d'Yelverton,  e  al  prof.  M.  Creighton 
che  volle  con  squisita  cortesia  recarvisi  per  favorirmele,  al  sig.  dottor 
O.  Hartwig  bibliotecario  dell'università  in  Halle,  all'amico  Ugo  Bal- 
zani, che  ovunque,  nei  suoi  viaggi,  prevenne  le  mie  preghiere,  co- 
municandomi notizie  e  riscontri. 


//  'Diario  di  Stefano  In  fessura  505 


«  consistoriale  dichiarò  valido  il  matrimonio  tra  Catarina,  et  En- 
ee rico  Ottavo  regi  d' Inghilterra  ».  Seguono  carte  bianche  sino  al 
fine.  A 

Arch.  sudd.  arm.  XV,  n.  61.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvii  (0,250 
X  0,190).  Sul  dorso  della  rilegatura  a  lettere  dorate  è  impresso: 
Infestur  Diaria.  Consta  di  carte  222  non  numerate.  Inc.  (e.  i): 
«Nell'anno  1294  nella  vigilia  di  Natale».  Expl.  (e.  222  v)  :  «per 
«  andare  a  campo  ad  Ostia».  La  carta  62 v  è  bianca.  Riprende 
a  e.  6^  :  De  hello  commisso  inier  \  Sixtum  et  Robertum  de  \  Arimino 
«  ex  una  et  Regem  \  Ferdinandum  Ducemque  Ca  \  labriae  ex  alia  parte, 
«  et  de  mar  \  te  dicti  Roberti  \  anno  14002.  Inc.  (e.  63):  «  Cum  tempore 
«  Sixti  quarti».  Expl.  (e.  80  v):  «  et  verisimile  iam  est  ».  A  e.  81  : 
«  .MCCccLxxxiv.  faccio  recordo  io  Stefano  »  e  seguita  sino  al  ter- 
mine (e.  222  v)  :  «  per  andare  a  campo  ad'  Ostia  ».  Manca  il  ms. 
di  due  carte,  interrompendosi  la  lezione  dall'ultima  linea  della 
e.  IO  V,  alle  parole:  «  accompagnati  da  molti  cittadini.  Dell['anno 
«  1407]  »  sino  a:  «  [e  per  questa  casciojne  le  moniche  di  San  Sil- 
«  vestro  et  tucti  li  cittadini  romani  ».  Il  ms.  à  un'altra  lacuna  con- 
siderevole dopo  il  notamento  :  «  Deinde  mense  martii  sequentìs 
«  anni  1485  »,  dopo  le  cui  ultime  parole:  «  dimiserunt  et  retroces 
«  serunt  »,  salta  al  notamento  :  «  die  20  iulii  dominus  Prosper  de 
«  Columna  etc.  ».  A* 

Bibl.  Barberini.  Ms.  LIV,  51  (num.  ant.  3160).  Cartaceo,  se- 
colo XVII  (0,271  X  0,210),  di  carte  314  non  numerate,  delle  quali 
la  tre  prime  e  le  due  ultime  sono  bianche.  Contiene  :  Stefani  In- 
fessurae  \  civis  romani  \  Diaria  \  rerum  romanarum  suorum  tempo- 
rum  I  post  curiam  romanam  \  ex  Galliis  \  ad  Urbem  reversam  usque  \ 
ad  Alexandri  papae  Sexti  \  creationem.  Inc.  (e.  4):  «  Nell'anno  del 
«  Sig""^  1294  nella  vigilia  di  Natale  ».  Expl.  (e.  289  v):  «  per  andare 
«  a  campo  d'Ostia  ».  Segue  poi  (e.  290):  Aggiunta  de' papi  che  \  man- 
cano netti  Diarii  dell'  Infessura  \  mentre  stettero  in  Francia.  Inc. 
(e.  290):  «  Nell'anno  13 16  fu  in  Provenza  ».  Expl.  (e.  312  v)  : 
«  Dell'anno  1404  Bonifatio  9  ultimò  i  giorni  suoi  ».  Segue:  «  Qui 
«  si  ripigliano  i  Diarii  in  questo  tempo  dell'Infessura  correvano». 
Recente  compilazione  di  niun  valore.  B. 

Bibl.  sudd.  Ms.  LIV,  52  (num.  ant.  1087).  Cartaceo,  in-fol.  se- 
colo XVII  (0,290  Xo»2  io),  di  carte  277  numerate.  Contiene  :  Stephani 
Infessurae  |  Civis  romani  Diarium  rerum  romanarum  \  Post  Curiam 
romanam  ex  Galliis  ad  Urbem  \  reversam  usque  ad  Alexandri  papae  \ 
sexti  creationem  \  Fi  manca  il  principio.  Inc.  (e.  i):  «  Pontifical- 
«  mente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  142  v)  :  «  per  andare  ad  campo  ad 
«  Ostia  ».  La  e.  143  è  bianca;  a  e.  144  seguitano  Conclavi  di  Cle- 


^o6  O.   Tommasint 


mente  V,  Niccolò  V,  Calisto  III,  Pio  II,  Paolo  II,  Pio  III,  Mar- 
cello  II,   Paolo  V,  Clemente  Vili,   Gregorio  XV.  B' 

Bibl.  sudd.  Ms.  L  V,  5.  Cartaceo,  in-f.  sec.xviii  (0,290  X  0,210), 
di  carte  234  non  numerate.  Diario  \  della  \  Città  di  Roma  \  da  \ 
Papa  Bonifacio  Ottavo  \  fin  ad  \  Alessandro  Sesto.  Inc.  (e.  i):  «  Nel- 
«  l'anno  Domini  mille  ducente  novanta  quattro  ».  Expl.  (e.  234V)  : 
a  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  B* 

Bibl.  sudd.  Ms.  LV,  56.  Nella  risguarda:  «  N°  A^°  (mancava). 
Legato  nel  183 1  ».  Cartaceo,  in-fol.  sec.  xvii  (0,325X0)227), 
di  carte  198  numerate.  Diario  \  Overo  Istoria  di  Stefano  Infessura 
la  1  qual  comincia  da  Bonifatio  VJII  &  \  continua  fino  ad  Alessan- 
dro VI  I  Dove  si  descrivono  cose  diverse  concernenti  |  lo  Stato  della 
città  di  Roma  \  per  lo  spatio  di  200  anni  in  circa  \  Manca  il  prin- 
cipio. Inc.  (e.  i):  «Pontificalmente  e'dissegli».  Expl.  (e.  197  v): 
«  per  andare  a  campo  a  Hostia  ».  «  Ex  libris  Fran*^^  de  Fucciis  » 
sul  frontispizio.  B3 

Napoli.  —  Bibl.  Brancacciana.  Ms.  ii,F,  io.  Cartaceo,  in-4,  sec.  xvii 
(0,260X0,198).  Miscellaneo.  Contiene:  Osservationi  fatte  in  alcune 
chiese  di  Roma  et  in  particolare  nella  basilica  Vaticana  (ce.  1-17  nu- 
merate nel  retto).  Segue  :  Stephani  \  Infetsurae  Civis  Romani  Diaria 
Rerum  Roma  \  norum  suorum  temporum  post  Curiam  Roma-  \  nam  ex 
Galliis  ad  Urbem  reversam  ad  \  Alexandri  Papae  Vlcreatìonem  (ce.  1-293 
numerate  nel  retto).  Inc.  (e.  i):  «  Nell'anno  Domini  1294  ».  Expl. 
(e.  292 b):  «  per  andare  ad  campo  d'Ostia».  Indi  segue  dopo  una 
linea  tracciata  ad  inchiostro  e  la  nota  marginale  :  «  q^  è  postilla  »  : 
«  quale  hebbe  finalmente  in  suo  potere  il  card^«  S»  Pietro  in 
«  Vincula  passo  in  Francia  ove  stette  tutto  il  pontificato  di  Alexan- 
«  dro  6°  li  fu  da  s.  Fran*^°  di  Paola  chiamato  in  quel  tem.po  in 
«(  Francia  da  Ludovico  XI  predetto  il  pontificato  che  lo  consegui: 
«  et  si  chiamò  Giulio  secondo  fu  pontefice  di  gran  cuore  et  di 
«  grandissimo  valore  ;  addumò  i  Francesi  et  i  Venetiani  in  gran- 
«  dissima  maniera,  ritrovandosi  sempre  in  persona  sotto  li  Padi- 
«  glioni,  et  nelli  exerciti  per  difesa,  et  recuperatione  dello  Stato 
«  Ecc*^"  et  della  giurisditione  di  S^^  Chiesa  &  ».  B* 

Berlino.  —  Kònigl.  Bibl.  Cod.  Beri.  ital.  fol.  37.  Lib.  36  delle  così 
d&tXQ  Informazioni  politiche.  Cartaceo,  in-4,  sec.  xvii  (0,000X0,000) 
(acquistato  nel  1699.  Cf.  Wilken,  Gesch.  d.  Berliner  Bibl.  p.  53. 
È  quello  citato  dall'  Eccardo,  loc.  cit.  II,  pref.  §  xxvii).  A  e.  5  : 
Stephani  Infessurae  Civis  Romani  \  Diaria  Rerum  Romanarum  usque 
ad  Alexandri  Papae  Sexti  Creationem.  Vi  manca  il  principio.  Vi 
è  premessa  un'  aggiunta  di  4  fogli,  scritti  d'altra  mano  in  cor- 
sivo: Diario  della  Città  di  Roma  di  Lelio  Petronio,  Stefano  Infessura  e 


//  T>ia7^io  di  Stefano  In  fessura  507 


suol  antenati.  (Donde  fosse  l'Eccardo  ebbe  ansa  a  congetturare  del 
Petroni  e  di  Paolo  dello  Mastro  :  «  omnes  tres  successive  scribas 
«  Senatus  populique  romani  fuisse  verosimile  est  ;)).  Inc.  (e.  2): 
«  Nell'anno  Domini  mille  dugento  novantaquattro  ».  Expl.  (e.  4): 
«regnò  otto  anni  nel  papato  ».  Inc.  (e.  5):  «  Pontificalmente  et 
«  dissegli  ».  ExpL:  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  B^ 

Bologna.  —  Bibl.  Universitaria.  Ms.  n.  848,  in-4  (i).  Cartaceo,  se- 
colo XVII  (0,197  X  0,260),  rilegato  in  pergamena,  di  carte  245  nu- 
merate. A  e.  I  r  è  il  titolo  :  Stephani  Infesturae,  Civis  Romani,  Diaria 
rerum  Romanarum  suorum  temporum,  post  Curiam  Romanam  ex  Gal- 
liis  ad  Urbem  reversam  usque  ad  Alexandri  Papae  Sexti  creationem. 
Inc.  (e.  2  v)  :  «  Neil'  anno  del  Signore  mille  ducento  novanta- 
quattro »  (2).  Expl.  (e.  245):  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».    B^ 

Roma.  —  Ms.  cartaceo  del  sec.  xvi  (0,307  X  0,210).  Stephani Infessurae  | 
Civis  Romani  Diaria  rerum  Romanarum  \  suorum  temporum  |  Post 
Curiam  Romanam  ex  Galliis  ad  Urbem  reversam  \  usque  ad  Alexan- 
dri Papae  Sexti  creationem  \  Vi  manca  il  principio.  Inc.  (e.  i):  «  Pon- 
ce tificalmente  e  dissegli  ».  Expl.  (e.  218  v)  :  «  per  andare  ad  campo 
«ad  Ostia».  Dalla  p.  100  appariscono  vestigi  di  numerazione 
antica,  che  giunge  coll'ultima  carta  n.  199.  Proviene  dalla  biblio- 
teca Gentili  del  Drago,  venduta  in  parte  al  libraio  Payne,  in  parte 
al  comm.  Corvisieri,  che  acquistò  con  altri  cartacei  questo  ms. 
a  me  ceduto.  La  scrittura  n'  è  buona,  ma  l'acido  dell'  inchiostro  à 
roso  spesso  la  carta  lungo  le  linee,  spandendole  attorno  di  colore 
giallognolo  scuro,  più  particolarmente  verso  le  ultime  carte.  Oflfre 
in  genere  assai  buona  lezione  ;  conserva  molte  forme  del  volgare 
romanesco,  e  anche  dove  l'amanuense  non  fu  esatto  o  fu  men  fe- 
lice interprete  delle  abbreviature,  dà  agio  a  congetturare  la  con- 
dizione del  testo  più  antico  da  cui  fu  trascritto.  C 
Bibl.  Chigi.  Ms.  G,  II,  62.  Cartaceo,  sec.  xvi  (0,307  X  230), 
rilegato,  col  dorso  in  cuoio  giallo  e  le  coste  di  tavola.  Consta  di 
carte  262  numerate,  ad  eccezione  delle  tre  ultime,  cominciando 
la  numerazione  dalla  e.  37  e  terminandosi  alla  296  bianca.  Sulla 
copertina  :  «  La  presente  Istoria  è  copiata  da  un  antico  mano- 
«  scritto,  eh'  è  in  mano  del  s.  Angelo  Rovellio  da  Camerino  ». 
Inc.  (e.  38):  «  Historia  \  In  forma  di  Diario  di  Stefano  \  Infcssura 


(i)  Nel  cod.  519:  Conclavium  Ada  ab  Eugenio  IV  ad  Gregorium  XIII  e  in- 
ferita quella  parte  del  diario  dell' Infcssura  che  va  dal  9  agosto  al  29  novembre 
del  1484. 

(2)  Il  copista  aveva  scritto:  •  cinquantaquattro».  La  correzione  sembra  di  mano 
sincrona. 


5o8  O.   Tommasini 


Cittadino  Romano  :  «  Pontificalmente,  et  dissegU  ».  Expl.  (e.  295  v)  : 
«per  andare  ad  Campo  ad  Ostia».  C 

Bibl.  sudd.  Ms.  G,  II,  6r,  cartaceo,  sec.  xvii  (0,257  y(^Q,ic)o), 
di  carte  461  numerate.  Stephani  Infessurae  \  Civis  et  Scrihae  \  Po- 
pidi  Romani  \  Opera  \  cum  suis  Indicibus  \  Locupletissimis.  Nel  foglio 
successivo  distingue  le  opere  nelle  seguenti  parti:  Memorie  Histo- 
riche  dal  12^4  sino  al  1484  (p.  i).  -De  Bello  commisso  inter  Papam 
Sixtum  iiij  et  Ferdinandum  Regem  Neapolis  Liber  unicus  -  Diaria 
suorum  temporum  -  Fragmenta  latina  et  italica  Pontificatus  Alexan- 
dri  VI.  Inc.  (e.  i)  :  «Nell'anno  Domini  1294».  Expl.  (e.  452  v)  : 
«  et  egli  si  chiamò  Giulio  2°  ».  Il  ms.  distingue  i  frammenti  di  cui 
è  composta  l'opera  dell'  Infessura  come  tante  parti  indipendenti. 
Il  copista  vuol  essere  spesso  anche  un  raccontatore,  che  tende  a 
far  scomparire  le  lacune,  e,  dove  non  può  dare  unità  formale  alla 
storia,  ne  presenta  i  brani  come  indipendenti  l'uno  dall'altro. 
Chiude  ogni  parte  con  un  Index  \  Rerum  memorabilium  o  con  un 
Indice  delle  cose  più  singolari,  secondo  che  questo  seguita  ad  un 
frammento  latino  od  italiano  (ce.  172-188,  227-234,  406-426 r, 
455-461  r).  E  come  incorpora  il  principio  che  si  trova  in  R,  ag- 
giunge in  fine  la  postilla  dopo  il  comune  expl.  :  «  per  andare  a 
«  campo  ad  Ostia,  quale  hebbe  finalmente  in  suo  potere.  Il  car- 
«  dinaie  di  S.  Pietro  in  Vincoli  passò  in  Francia,  e  vi  stette  tutto 
«  il  pontificato  d'Alessandro  VI,  e  li  fu  predetto  il  pontificato  che 
«  conseguì  poi  da  s.  Francesco  di  Paola  chiamato  in  quel  tempo 
«  in  Francia  da  Ludovico  XI;  et  egli  si  chiamò  Giulio  2"  »;  simil- 
mente racconcia  le  forme  del  volgare  e  del  latino  secondo  gram- 
matica. C^ 

Bibl.  Corsini  1344,  segn.  38  E,  21,  cartaceo,  secolo  xvii,  di 
carte  515  (0,197  Xo»H9)-  Sommario  di  Diarii  \  d' alcuni  pontefici  \ 
dall'anno  12C/4  sino  al  14^4  \  autore  \  Stefano  Infissura  \  et  Pauli  Ma- 
gistri  I  civium  Romanorum  cum  Compendio  Vitae  Alessandri  6  \  Il 
Compendio  non  l'ho  messo  perchè  non  l'ho  stimato  bene.  Inc.  (e.  i  r)  : 
«  Nell'anno  del  Sig*"^  1294  ».  Expl.  (e.  214  v):  «  per  porvi  il  campo 
«ad  Ostia».  Lo  scrittore  non  solo  compendia,  ma  sopprime  non 
di  rado,  con  animo  d'apologista  ecclesiastico.  Più  spesso  ancora 
amplifica  da  ceremonìere,  assumendo  anche  particolari  dal  diario 
di  Paolo  dello  Mastro: 

Lezione  comune.  Cod. 

«  Dell'anno  1475  a  dì  6  di  iennaro  «  1475.  Fu  il  p°  anno  santo  che  si 

re  Ferrante  venne  ad  Roma  allo  per-  celebrasse    di    25    anni,    ordinato  da 

dono  » .  Paolo  2»  e  cominciato  da  Sisto  4  a  di 


6  gennaro  venne  il  re  Ferrante,  ecc. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  509 


«  E  lo  papa  colli  cardinali  Io  rece-  « ...  e  andorno  alle  scale  di  S.  Pietro,  a 

perone  nelle  scale  di  Santo  Pietro,  e  capo  delle  quali  stava  il  papa  con  i 

collo  detto  imperatore  deretto  a   lui  cardinali,  e  l'imp"  gli  andò  a  baciare 

ci  giva  la  imperatrice   sua  sposa  fi-  i  piedi.  Poi  l' imperatrice  che  era  bella 

gliuola  del  re   di   Portogallo,   iovane  oltremodo  e  circondata  dalle  sue  dame 

polita  e  bella,  tanto  qlanto  si  potesse  e  damigelle  s' inginocchiò    avanti   al 

dire,  con  molte  donne  e  damicelle,  et  papa,  gli  baciò  il  piede  e  la  mano,  e 

dopo  lo  imperatore  fu   collocato  in  poi  assise  a  canto  all'imp"  quale  dopo 

quello  palazzo  che  sta  sopra  le  scale  fu  collocato  in  quel  palazzo   che  sta 

di  Santo  Pietro  •> .  sopra  le  scale  di  S.  Pietro  »  . 

«(1464)  fo  fatto  papa  Paolo  II  car-  «...fu  fatto  papa  mons.  di  San  Marco 

dinaie  di  S.  Marco  nipote  di  papa  Eu-  venetiano  nepote  d'Eugenio,  e  si  pose 

genio  venetiano  » ,  nome  Paolo  II  quale  concesse  la  ber- 
retta rossa  ai  cardinali  » . 

Nel  notamento  dell'anno  1478,  «  die  quarta  mail  morse  ms. 
«  Pietro  de  Cesis  senatore  di  Roma  »,  manca  la  menzione  del- 
l'autore del  diario  che  si  trova  in  tutti  gli  altri  codici  :  «  et  in  quel 
«  tempo  io  Stefano  Infessura  stava  per  podestà  di  Orta  ».  Ma  la 
vera  caratteristica  di  questo  ms.  è  l'esser  tutto  volgare,  trovan- 
dovisi  recato  in  italiano  il  Belliim  Sisti  IV  e  tutte  le  altre  parti 
che  trovansi  latine  negli  altri  manoscritti.  E  non  fu  senza  utilità 
averlo  a  riscontro,  giacché  non  di  rado  servì  a  raddirizzare  qual- 
che lezione  di  nomi  propri  che  nei  testi  latini  si  presentavano 
assai  guasti.  C  3 

Bibl.  Casanatense.  Ms.  XX,  VI,  7,  cartaceo,  secolo  xviii  (0,261 
X  0>i90,  di  carte  445  numerate,  più  tre  in  principio  (i,  11,  iii), 
sulla  prima  delle  quali  è  il  titolo:  Stephani  Infesiure  Civis  Romani  Dia- 
ria I  Rerum  Romanarum  suorum  temporum  post  Curiam  \  Romanam 
ex  Gallis  ad  Urhem  reversam  usqiie  \  ad  Alexandri  Papae  Sexti  Crea- 
tionem.  Inc.  (e.  i):  «Nell'anno  Domini  mille  ducento  novanta- 
«  quattro  ».  Expl.  (e.  442  v)  :  «  per  andare  al  campo  di  Ostia  ».  C^ 
Hannover.  —  Bibl.  Reale  (Kònigl.  Biblioth.),  arm.  V,  5  (cf.  Archiv,  I, 
467)  :  Diario  della  città  di  Roma  di  Stephano  Infessura,  e  suoi  Ante- 
nati, Scriba  del  popolo  e  Senato  Romano  dove  si  vede  li  maggiori  suc- 
cessi della  suddetta  città  di  Roma  e  di  tutta  Europa  in  tempo  delli  infra 
scritti  pontefici,  Bonifacio  Vili,  Benedetto  XI,  Clemente  V,  Urbano  V, 
Gregorio  X/,  Urbano  VI,  Bonifacio  IX,  Innocentio  VII,  Gregorio  XII, 
Alessandro  V,  Giovanni  XII  detto  XIII,  Martino  III  detto  V,  Eu- 
genio IV,  Nicolao  V,  Calisto  III,  Pio  II,  Paulo  II,  Sisto  IV,  Inno- 
centio Vili,  Alessandro  VI.  Inc.  :  «  Nell'anno  Domini  mille  dugento 
«  novanta  quattro  ».  Expl.  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  È  il 
testo  pubblicato  dall'Eckhart,  alla  cui  edizione  mi  riferisco  nel 
citarne  le  lezioni,  sembrando  quella  condotta  con  grande  fedeltà, 
quantunque  salti  non  di  rado  agli  occhi  qualche  svarione  soprat- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  34 


5 IO  O.    Tommasini 


tutto  rispetto  all'interpretazione  dei  nomi  propri  e  delle  abbre- 
viature. L' Eckhart  nella  prefazione  (t.  II,  §  xvii)  cita  un  «  codex 
«  Berolinensis,  quem  postea  nacti  sumus  »  del  quale  si  giovò  in- 
sieme coir  Hannoveriano  per  l'edizione  sua.  Evidentemente  è  il 
medesimo  citato  nQÌVArchiv,  Vili,  852,  n.  37.  E 

Firenze.  —  Bibl.  Naz.  Cod.  CXXVII  Gino  Capponi,  cartaceo,  del  se- 
colo XVIII,  in-fol.  (0,260  X  0>i90)>  ^'^  carte  92  numerate.  È  il  quinto 
tra  sei  volumi  di  diari  compresi  sotto  il  medesimo  numero.  Con- 
tiene il  Diario  di  Antonio  de  Petris  (1404-1413).  Segue  (e.  58): 
Diarii  delle  cose  succedute  \  nella  citta  di  Roma  attribuiti  à  Stefano 
Infessura  I  Dall'Anno  12^4,  sino  all'Anno  1^8^.  Nel  retto  della  e.  61  : 
Altro  principio  di  Diarii  di  Stefano  Infessura  come  sta  nel  Codice  Vati- 
cano 682}  pa.  ^8.  Inc.  (e.  58):  «Pontificalmente  e  disseli  ».  Expl. 
(e.  60):  «e  morì  a  Peroscia,  lo  quale  d"  ».  Indi  è  notato:  «  Se- 
«  guita  come  addietro  in  mezzo  alla  facciata  terza».  Seguono 
bianche  le  ce.  61  v  e  62.  A  e.  63  :  Diarii  di  Stefano  Infessura  \  Delh 
cose  succedute  nella  città  di  Roma  \  doppo  il  ritorno  della  Corte  da 
Avignone  |  sino  alla  crea:(ione  di  Papa  Alesandro  Sesto  \  Diario  in 
lingua  Volgare  dall'anno  \  140^  all'anno  148J.  Segue  (e.  153  r):  Dj 
bello  commisso  etc.  Expl.  (e.  1 53  r)  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ». 
Seguono  :  Annali  Romani  dal  1422  al  1484  di  Paolo  de  Magistris,  di 
Paolo  Petrone,  del  Notaio  dell' Antiportico  (sic),  di  Sebastiano  di  Branca 
de  Tellini,  ed  altri  copiati  dal  cod.  Vat.  6823.  F 

Bibl.  sudd.  (sezione  MagUabechi).  Ms.  II,  III,  422,  Magi.  XXXVII, 
3,61,  cartaceo,  stc.  xvi,  in-fol.  (0,280X0,210),  di  carte  365  non 
numerate:  Historia  \  In  forma  di  \  Diario  \  di  \  Stefano  Infessura  Cit- 
tadino I  Romano.  Inc.  (e.  i):  «  Pontificalmente  et  dissegli  ».  Expl. 
(e.  365):  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  F' 

Bibl.  Riccardiana.  Ms.  11 82,  cartaceo,  in-4  (0,280X0,210),  del 
sec.  XVIII,  di  carte  510  numerate  di  diversa  scrittura;  posteriore 
nelle  ce.  1-365  inclusive;  anteriore  nelle  ce.  367-510,  con  qualche 
quaderno  del  sec.  xvii  e  xvi.  Sul  retto  della  carta  che  serve  di 
guardia  è  scritta  la  seguente  nota:  «  Si  averte  il  cortese  lettore 
«  che  in  questo  libro  vi  sono  moltissimi  errori,  o  sieno  dell'autore, 
«  o  dello  scrittore  ».  Nella  prima  carta  è  il  titolo  :  Stephani  Infes- 
sure  I  Civis  Romani  Diariorum  Romanorum  \  suorum  temporum  \  Post 
Curiam  Romanam  ex  Galliis  ad  \  Urbem  reversam  usque  ad  Alexandri 
Papae  Sexti  Creationem.  «  Vi  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  i  r)  : 
((  Pontificalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  510  r):  «  de  quo  adhuc 
V  sub  iudice  lis  est  ]  de  praecedentia  Inter  eos  nondum  decisa 
«  fol.  222  ».  F^ 

Roma.   —   Bibl.    Ferraioli.   Ms.    cartaceo,   rilegato   in   pergamena, 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  51 


sec.  XVII  (0,240X0,186)  ;  à  scritto  sul  dorso  :  «Infe.  324  »  ;  di  carte 
210 non  numerate.  Contiene:  Diarii  ài  Stefano  Infessura  Cittadino 
Romano  delle  \  Cose  di  Roma  de'  tempi  suoi  dopò  il  ritorno  di  \  Francia 
della  sedia  a  Roma  fino  alla  \  Creatione  di  papa  Alessandro  6.  Inc.  (e.  i  r): 
«  Nello  anno  del  Sig.""^  1294  nella  vigilia  di  Natale  ».  Expl.  (e.  162  v): 
«  per  andar  a  campo  ad  Ostia  ;  finis,  finis  ».  Segue  della  stessa 
mano:  Diario  del  viaggio  fatto  dal  S/  Card.'  Pietro  Aldobrandino  \  nel- 
l'andar  a  Fiorenza  legato  di  N.  S/'  per  la  celehratione  delle  \  no^^e  della 
Regina  di  Francia  \  e  di  poi  in  Francia  per  la  Pace.  Segue  similmente 
(e.  175  r)  :  Ragioni  de'  Pretendenti  a  i  Ducati  di  Mantova  e  Mon- 
ferra  \  to  per  via  di  successione.  Il  ms.  altera  le  caratteristiche  del 
volgare,  adattando  il  testo  alle  forme  grammaticali.  Sopprime  le 
parole  in  lode  del  Porcari  all'anno  1453;  ^^^^  ^^  versione  della 
fazione  orsinesca  all'anno  1404;  non  à  rubriche  marginali.  F3 
Bibl.  sudd.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvii  (o,28oXo>20o),  rilegato 
in  pergamena  ;  à  notato  sul  dorso  :  H.  H.  Diari  diversi;  d'i 
carte  156  numerate  nel  retto;  assai  guaste  dall'umidità  dalla  141 
in  poi.  Le  prime  otto  carte  sono  bianche  e  non  numerate.  Segue 
un'altra  carta  non  numerata  in  cui  si  à  la  Tavola  de  quello  sta 
Inquesto  \  libro.  Ac.  i  :  Ex  tribus  Antiquis  Paginis  cuiusdam  Diarii  \ 
Gentilis  Delfini  ab  Archiepiscopo  Columna  datis  \  Incertis  Autoris. 
«  Questa  scrittura  io  la  hebbi  dal  S.''  Fabritio  Boccapadula  quale 
«  la  copio  nel  medemo  modo  come  lo  trovato  da  lui  et  prima  ». 
(Cf  Muratori,  SS.  IIP,  842-846).  Segue  la  Mesticanza  di  Paolo 
di  Liello  Petroni.  Inc.  (e.  5)  :  «  So  certo  che  ve  recordate  ».  Expl. 
(e.  28  r)  :  «  fo  chiamato  monsignor  de  Bologna  ».  Segue  (e.  28  v)  : 
Memoria  de  occorrense  alla  giornata.  Inc.  :  «  A  di  .xxv.  de  iugno 
«  .MCcccLXXXii.  morì  papa  Favolo  secondo».  Expl.  (e.  33  r)  : 
«  1524.  Circa  il  principio  de  9bre  retorno  lo  re  de  Francia  nello 
«Stato  de  Milano».  Segue  (e.  33  v)  :  Da  un  diario  0  mano- 
scritto quale  hebbi  dal  S.  Curtio  Muti.  Comincia  cosi:  «  Roma 
«  caput  mundi.  Nel  tempo  de  papa  Calisto  terzo.  Nel  1457  ^  ^^ 
«  9  8b''*=  et  fo  de  lunedì  ».  Expl.  (e.  38  r)  :  «  et  a  di  14  se  pani 
«  per  Napoli  »  (Frammenti  pubblicati  nel  Diario  di  Paolo  delio 
Mastro  (Cf.  Buonarroti^  1875,  X^  114-166).  Segue  (e.  39):  Da  un 
altro  diario  0  quinternetto  avuto  pure  dal  S:  Curtio  Multi  trovo 
così:  «  Nel  tempo  che  in  Avignone  la  corte  Romana  faceva 
«  residenza  ».  Expl.  (e.  43  v)  ;  «  scindici  2  »  (Cf.  Muratori,  A.  L  II, 
85.6-861).  Segue  d'altra  mano  con  nuova  numerazione  (e.  1)  : 
Historie  avanti  chela  Corte  gisse  in  Francia.  «  Manca  lo  principio  ». 
Inc.  (e.  740):  «  Pontificalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  74  v)  : 
«  per  andare  a  campo  a  Ostia  ».  Segue  (e.  7))  il  Diario  di  Seha- 


512  O.    Tommasini 


stiano  di  Branca  de  Talini.  Expl.  (e.  93  v):  «  questi  gentìlomini 
romani  ».  A  e.  94  segue:  «  Gennaro  .mcccclxxxi.  A  dì  30  ia- 
«  nuarii  suspensus  fuit  Colutia  »  {Diario  del  Notaio  del  Nantiposto). 
Expl.  (e.  Ili  v^  :  «  alli  25  luglio  morì  papa  Innocentio  ».  Seguono 
(ibid.):  Annali  di  Viterbo  copiati.  Inc.  (e.  11 1  v):  «  Erano  detti 
«  viterbesi  arditi  ».  Expl.  (e.  117  v):  «  guastando  tutti  li  beni  de  fori 
«  poi  detto  imp''*'  etc.  ».  Segue  postilla  :  «  Non  trovo  più  scritto 
«  in  questo  libro  prestatome  da  Hipolito  Sasso  et  Fulvio  de  Ar- 
ce cangeli  a  me  Gio.  P"""  Cafarello  questo  presente  anno  1602 
«  et  da  me  copiato  de  mia  mano  tutto  ».  Allo  estremo  interno 
del  foglio:  «  De  libro  ultimo  BuUarum  messo  in  altro  loco  ». 
Seguitano  tre  carte  bianche  róse  da  tarli.  Indi  (e.  121):  Copiato 
questo  diario  de  verbo  ad  verbum  conforme  stava  scritto  in  un  libretto 
longho  de  foglio  piegato  coperto  in  carta  turchina  avuto  dal  s:  Ale- 
sandro  Orsino  che  sta  con  II  Car^'  Odoardo  Farnese  quale  haveva 
avuto  dal  S^  Agnelo  Colei  (sic)  che  se  presopone  fosse  fatto  da  uno  de 
casa  loro.  Inc.  (e.  121):  «  Mecordì  a  di  p°  Xbre  1521  fu  de  dome- 
«  nicha  ».  Expl.  (e.  155  v):  «  e  calonici  con  la  vardia  a  cavallo  ». 
Dalla  e.  126  sino  al  fine  i  fogli  son  guasti  e  disfatti  dall'umido. 
In  fine  si  trovano  alcuni  fogli  scuciti,  che  contengono  compi- 
lazione di  notizie  relative  alle  famiglie  de'  Frangipani  e  Benzoni. 
Com'emerge  dalla  postilla  citata  alla  e.  1 17,  questo  codice  fu  scritto 
di  mano  di  Giovan  Pietro  Caffarelli  e  nella  famiglia  de'  Caffarellì 
conservato.  Appartenne  poi  a  Pietro  Ercole  Visconti  (i).  F'* 

Roma.  —  Bibl.  Naz.  V.  Emanuele.  Ms.  304,  XVIII,  fondo  Gesuiti ^ 
cartaceo,  sec.  xvii  e  xvni  (0,275X0,205),  di  carte  193  numerate. 
Contiene:  Monaldeschi  Lud.  Annali  (ce.  1-12  v)  ;  Giovan  Pietro 
Scriniario,  Cronica  sive  hist.  rer.  not.  Romae  {ce.  1 5-26  r)  ;  Steph.  Infes- 
surae  Civis  Romani  Diaria  rerum  romanar.  suor um  temporum  post  cu- 
riam  romanam  ex  Galliis  ad  Urbem  reversam  usque  ad  Alexandri  papae 
sexti  creationem.  «  Vi  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  27):  «  Pon- 
ce tificalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  1 14  v)  :  «  Die  sexta  augusti 
«  card^^  omnes  intraverunt  conclave  quod  erat  apud...  ».  G 

Londra.  —  Museo  Britannico.  Additional  Manuscripts  8431.  Mano- 
scritto cartaceo  in-8  grande,  delfine  del  xvii secolo  (0,277X0,205). 
È  intitolato:  Infetsurae  Civis  Romani  \  Diaria  rerum  Romanarum 
suorum  \  temporum  post  curiam  Ro  \  manam  ex  Galliis  ad  \  Urbem 
reversam  usque  \  ad  Alexandri  Papae  Sexti  \  creationem.  Inc.  (e.   i  r 

(i)  Fu  acquistato  recentemente  dal  sig.  march.  Gaetano  Ferraioli,  che  per 
somma  cortesia,  precorrendo  ad  ogni  mia  domanda,  me  Io  inviò  a  studio.  L'  altro 
codice  F»,  anche  da  lui  cortesemente  trasmessomi,  fu  recente  acquisto.  Appartenne 
prima  al  sig    prof.  Gennarelli. 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura  513 


secondo  la  numerazione  presente,  ma  c'è  una  numerazione  an- 
tica contemporanea  al  ms.  che  comincia  colla  carta  127  r)  : 
«  Nell'anno  Domini  mille  duecento  novanta  quattro  ».  Expl. 
(e.  294  r  della  numerazione  moderna  e  422  della  numerazione  an- 
tica) :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Segue  il  diario  del  Mo- 
naldeschi.  L 

Mus.  sudd.  Additional  mss.  8432.  Manoscritto  cartaceo  in  picc. 
quarto,  sec.  xvii  (0,297X0,194):  Stephani  Infesturae  \  ciu.  Rom.  \ 
Diaria  Rer.  Romanarum  post  Aulam  \  Pontificiam  ex  Galliis  ad  Urhem 
reversam  usque  ad  Alexandri  \  PP.  VI  creatiomm.  Inc.  (e.  i  r)  : 
«Nell'anno  1294  nella  vigilia  di  Natale  ».  Expl.  (e.  366  r): 
«per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  L* 

Mus.  sudd.  Add.  mss.  8433.  Manoscritto  cartaceo,  secolo  xvii 
(0,280X0,200).  Il  ms.  contiene  il  diario  dell' Infessura  e  Le  fami- 
glie nobili  dell' Arenula  di  Castallo  Metallino.  Il  diario  dell' Infes- 
sura non  è  completo.  È  intitolato  :  Annali  \  di  \  Stefano  Infessura 
Dottore  et  \  Cittadino  Romano  delle  co  \  se  fatte  in  Italia  e  special- 
mente a  Roma.  Dall'anno  di  Christo  .mccc.  |  fin'al  anno  .mcdxgii. 
Inc.  (e.  2  r):  Historie  avanti  che  la  Chiesa  gisse  in  Franca.  «  Manca 
«  il  principio  ».  Inc.  :  «  Pontificalmente  et  dissegli  ».  Expl.  (239  r): 
«  die  4  februarii  venerunt  ambas""^^  Turcorum  et  dictum  est  Ma- 
<c  gnum  Turcum  in  Constantinopoli  mortuum  esse  ».  Sulla  prima 
carta,  ossia  2  r,  a  margine  si  legge:  «  Felix  Contelorius»  di  mano 
contemporanea  del  Contelori  stesso:  il  nome  è  scritto  per  traverso. 
Nel  frontispizio,  dopo  le  parole  «  fin'al  anno  mcdxgii  »  e  alquanto 
più  in  basso,  è  scritto  di  mano  diversa  la  postilla  «dal  1378». 
A  e.  2  r,  a  margine  accanto  all'incipit,  si  legge  la  postilla:  «  Ste- 
a  fano  Infessura  |  Cittadino  Romano  |  fu  Podestà  ad  Orta  |  sotto 
«  Sisto  mi,  1,37»  e  sempre  a  margine  accanto  alla  parola  «  Pon- 
«  tificalmente  »  si  legge  la  postilla:  «  di  Bonifatio  8^°  ».  Non  pare 
sicuro  che  queste  postille  siano  della  stessa  mano  che  scrisse  il 
diario.  Il  nome  «  Felix  Contelorius  »  è  di  mano  diversa.  L* 

Mus.  sudd.  Additional  mss.  8434.  Manoscritto  cartaceo  del 
secolo  XVII  (0,315X0,215).  Contiene:  Diario  \  della  città  di 
Roma  1  di  Lelio  Petronio,  Stefano  Infessu  \  ra  e  suoi  Antenati  |  scriba 
del  Pop°  e  senato  Romano.  Dove  si  vede  li  magg.*  successi  della  sud.** 
Città  I  e  di  tutta  Europa  in  tempo  delV  Infralii  \  Pontefici  Boni- 
fatio Vili...  Nicola  V.  Inc.  (e.  2  r):  «Nell'anno  Domini  1294  ». 
Expl.  (e.  198  v):  a  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Seguono 
poi  della  stessa  mano  e  come  se  fossero  notamenti  del  diarista 
medesimo  (e.  I99r):  «  A  dì  primo  deccmbre  1521  fu  de  dome- 
«  nica  a  cinque  bore  e  tre  quarti,  mori  papa  Lione».  Il  ms.  ter- 


514  O.   Tommasini 


mina  colle  parole  (e.  233  v.):  «  Il  mese  di  novembre  (1561)  furono 
«  levati  tutti  li  depositi  delli  corpi  morti,  in  alto  delle  chiese  ».  L3 
Mus.  sudd.  Ms.  26,  802.  Manoscritto  cartaceo  del  sec.  xvii 
(0,308X0,205),  di  carte  191  numerate:  Skphani  Infessurae  \  civis 
romani  Diaria  \  Rerum  Romanarum  suorum  temporum  \  Post  Curiam 
Romanam  ex  Gdlliis  ai  \  Urbem  reversam  usque  ad  Alexan  \  dri  pape 
sexti  creationem.  «  Extat  autographum  in  arch°  Vatic.  12°  CXI.  In 
«  Bibliotheca  Vaticana,  cod.  6389».  Inc.  (e.  2  r):  «Vi  manca  il  prin- 
«  cipio.  Pontificalmente  e  dissegli  piglia  thesauro  ».  Expl.  (e.  191  r): 
«  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  h* 

Modena.  —  Bibl.  dell'Archivio  di  Stato.  Sezione  Mss.  Cod.  cartaceo, 
sec.  XVII  (0,2*54  X  0,191),  di  quaderni  numerati  54,  scritto  in  una 
sola  colonna.  Inc.  :  «  Nell'anno  Domini  mille  ducento  novanta- 
«  quattro  ».  Expl.  :  «  per  andare  a  campo  d'Ostia  ».  È  il  codice  su 
cui  condusse  la  sua  edizione  il  Muratori  (SS.  III,  2%  1 1 10-1252).  M 
Bibl.  del  marchese  G.  Campori.  Ms.  cartaceo  in-4,  sec.  xviii 
(0,270  X  0,208).  Stephani  Infessurae  Civis  Romani  Diaria  rerum  Ro- 
manorum  suorum  temporum.  «  Manca  il  principio  ».  Inc.  :  «  Pontifical- 
«  mente,  et  dissegli».  Expl.:  «con  le  altre  artiglierie  per  andare 
«  a  campo  ad  Ostia  ».  M^ 

Venezia.  —  Bibl.  Marciana.  Ms.  Ital.  App.  ci.  VI,  n.  CXLIX,  cartaceo 
in-fol.  picc.  Proviene  dalla  biblioteca  di  S.  Michele  di  Murano, 
quivi  notato  col  n.  39.  Nel  catalogo  di  S.  Marco  fu  attribuito  al 
sec.  XV  ;  affermazione  ripetuta  neWArchiv  (IV,  164).  Il  Mittarelli 
{Bihlioth.  codd.  mss.  monasterii  S.  Michaelis  Ven.  prope  Murianum, 
p.  526)  l'ascrisse  al  sec.  xvi;  forse  è  degli  ultimi  di  questo  secolo 
o  de'  primi  del  sec.  xvii.  Inc.  «  Manca  il  principio.  Pontifical- 
«  mente  et  dissegli  ».  Expl.  :  «  per  andare  ad  campo  ad  Ostia  ».  M^ 

Roma.  —  Arch.  de'  Cerimonieri  pontifici.  M.  4.  Sul  dorso:  Stefano  \ 
Infessu  I  Diario,  voi.  CCCLI,  t.  1°.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvi  (0,340 
X  0,250).  In  fine  vi  è  inserto,  scucito,  VAnnale  de  lo  anno  i4y$  di 
Ludovico  Monaldesco  da  Orvieto.  Inc.  :  «  Pontificalmente  et  dissegli  ». 
Expl.  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  M3 

Arch.  sudd.  Ms.  A  i.  Cartaceo,  del  sec.  xviii  (0,298X250), 
di  carte  non  numerate.  Sul  dorso:  Volume  CCCLII.  Tomo  li 
Diarj.  Diario  d'Infessura  \  Annali  Monaldes chi.  \  Rela:(.di  Roma  \  Tie- 
polo.  Nell'interno:  Stephani  Infessurae  \  *  \  Civis  Romani  Diaria 
Rerum  \  Romanor.  \  suor.  \  temporum  \  post  Curiam  Romanam  ex 
Gallis  I  ad  Urbem  reversam  usque  ad  \  Alexandri  papae  Sexti  crea- 
tionem. Da  altra  mano  nel  margine  esterno  è  annotato  :  «  con  le 
«  apostille  in  |  lettera  più  formata  |  di  un  certo  male  |  contento 
«  de' Romani».  Inc.:    «Nell'anno   Dni   mille    ducento    novanta 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  515 


«quattro».  Expl.  :  «per  andare  a  campo  ad  Ostia».  Nella  ri- 
sguarda  si  trovano  le  seguenti  note  :  «  Authorem  memorat  Ciaccon. 
«  in  Vit.  Pontif.  in  Vita  Sixti  IV,  fol.  1272,  litt.  C,  in  Vita  Innocen- 
«  tii  Vili,  fol.  13 16,  litt.  /.  Diario  di  Stefano  Infessura  dell'anno  12^4 
«  sino  all'anno  14^4.  V'è  n'un  nella  libraria  Rosi  et  de  su  lessi  il 
«  p°  d'aple  1642  al  quale  manca  il  principio».  Annali  di  Lodovico 
Monaldeschi  dall  ipy  sino  al  1^40.  -  Relazione  di  Paolo  Tiepolo  sopra 
Pio  4  Pio  V  e  cardM.  «  Un  sepolchro  della  famiglia  Infessura  si 
«  vede  nella  chiesa  di  S.  M.^  in  Vialata  avanti  d'arrivare  alla  porta 
«  della  sagrestia  con  l'arme  infrancta  se  mal  non  mi  ricordo  ».  E 
segue  il  disegno  cognito.  «  Il  diario  di  Monaldeschi  dal  1324  al  1340 
«  è  in  fine  del  presente  volume».  Questo  ms.  à  singolare  impor- 
tanza, perchè  presenta  come  nota  marginale  di  postillatori  alcun 
inciso  che  in  altri  mss.  entrò  a  compenetrarsi  nel  contesto.     M^ 

Napoli.  —  Bibl.  Naz.  Ms.  X,  D,  25,  cartaceo,  secolo  xvii  (0,307 
X  0,222),  in-fol.  Nel  retto  della  ci  è  il  titolo:  Stephani  \  Infes- 
sura Diaria  \  Rerum  Romanorum  \  post  Curiam  a  Gallis  reversam  \ 
usque  ad  \  Alexandri  papae  VI  \  Creationem.  Inc.  (e.  2  r)  :  «  Nel- 
«  l'anno  Domini  mille  ducento  cinquanta  quattro».  Expl.  (e.  144  v): 
«per  andare  a  campo  d'Ostia».  Seguono  (a  e.  217):  Diario  di 
Ludovico  Monaldesco.  -  Relazioni  delle  differen:(e  tra  Paolo  Ve  Vene:(ia 
al  160^.  -  Lettera  del  card,  di  Parma  suW accomodamento  tra  Paolo  V 
e  VeneT^ia.  -  Discorso  delle  differente  tra  Paolo  Ve  Veyie%ia.  In  fine  è 
la  nota:  «  Delli  manuscritti  del  signor  Mauritio  d'Asti  s'è  otte- 
«  nuta  questa  copia  nel  1660».  N 

Roma.  —  Bibl.  Vat.  Ms.  Vat.  Ottob.  11 16,  cartaceo,  sec.  xviii  (0,304 
X  0,202),  di  ce.  190  non  numerate.  Stephani  Infessurae  \  Civis  Romani 
Diaria  rerum  Romanarum  \  suorum  temporum  \  post  Curiam  Roma- 
nam  ex  Gallis  ad  Urbem  |  reversam  usque  ad  Alex^*  papae  |  sexti  crea- 
tionem. «  Vi  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  ir):  «  Pontificalmente  e 
«dissegli».  Expl.  (e.  189  v):  «per  andare  a  campo  ad  Ostia».  I 
titoli  delle  rubriche  marginali,  in  cui  i  popolani  di  Roma  son 
più  spesso  chiamati  romaneschi,  appartengono  all'amanuense.  Per 
es. :  «  Insolenze  de  Romaneschi  -  Romaneschi  a  Marino  -  . ..  ca- 
«stigo  de'  Romaneschi  -  ...  libertà  de' Romaneschi  ».  Talvolta 
Tamanuense  postilla.  Il  consiglio  d'acconciare  Castello  dato  a  Bo- 
nifacio IX  vien  notato  come  «  conseglio  savio  ».  Nell'ultima  parte 
del  diario  si  trovano  insinuazioni  che  non  appaiono  in  mss.  più  an- 
tichi e  sono  manifeste  interpolazioni  del  Burcardo.  A  e.  16$,  ad  esem- 
pio, parlando  del  cardinal  Farnese,  fatto  cardinale  da  Alessandro  VI, 
vien  chiamato:  «  consanguineum  luliae  bellac  eius  concubinae, 
«  quin  imo  cratfr.  diete  luliae  et  fuit  postea  papa  Paulus  5""».    O 


51 6  O.   Tommasini 


Bibl.  sudd.  Ms.  Ottob.  2626,  cartaceo,  sec.  xvii  (0,230  X  0,350). 
(Provenienza  Philip,  de  Stosch  L.  B.).  Annali  \  di  Stefano  Infessura 
Dottore  et  Cittadino  Romano  \  delle  cose  fatte  in  Italia  et  specialmente  a 
Roma  I  dall'anno  de  Christo  .  ooccc .  fino  all'anno  \  .  oocdxcii.  Le 
carte  anno  doppia  numerazione.  La  più  antica  va  dal  n.  125 
ai  275.  La  più  moderna  dall'i  al  166  v,  proseguendo  per  ordine 
anche  dove  l'antica,  per  quattordici  carte,  è  interrotta.  Inc.:  «  Pon- 
ce tifìcalmente,  et  dissegli  »,  Expl.  :  «  per  andare  a  campo  a  Ostia  ». 
In  margine  al  principio  si  legge  :  «  Stephano  Infessura  cittadino 
«  romano  fu  potestà  ad  O'rta  sotto  Xysto  IIII  ».  Nella  lezione  il 
ms.  presenta  molta  analogia  con  O;  coincide  con  questo  nei  passi 
caratteristici;  è  più  scorretto.  Nell'interpolazione  relativa  al  card. 
Farnese  (e.  165)  questi  vien  detto:  «  consanguineum  luliae  bellae 
«  eius  concubinam  ».  La  scrittura  è  di  due  qualità:  la  prima  va  sino 
alla  e.  293  V.  Comincia  l'altra  alla  e.  240  r  e  va  sino  al  fine.      O* 

Parma.  —  R.  bibl.  Ms.  HH,  III,  n.  1086,  cartaceo,  della  fine  del 
sec.  XVI  (0,200X05280),  in-4  gr.  À  due  parti;  la  prima  va  dalla 
e.  I  alla  353.  Dopo  la  354  bianca,  ripigha  con  nuova  numera- 
zione da  I  a  173.  Nella  prima  comprende  V  Historia  informa  \ 
di  I  Diardo  \  di  Stefano  Infessura  Cittadino  Rom°.  Inc.  (e.  i)  :  «  Pon- 
«  tificalmente  et  dissegli».  Expl.  (e.  353):  «  per  andare  a  campo 
«  a  Ostia  ».  Segue  :  Diario  \  dell'Istoria  \  del  \  Concilio  di  Tren  \  to 
libro  I  primo.  Inc.  (e.  i)  :  «  Giulio  2°  attese  più  all'  armi  ». 
Expl.  (e.  173):  «  et  il  papa  se  ne  lassiò  intendere  ».  P 

Parigi.  —  Bibl.  Naz.  Ms.  lat.  8988,  sulla  risguarda:  Codex  Col- 
bertinus  2^4,  Regius  ^^20-2,  legato  in  marocch.  rosso  colle  armi 
di  Colbert.  Nel  dorso  :  Diarium  Stephani  Infesturae.  Ms.  cartaceo, 
secolo  XVII  (0,355  Xo>235),  di  carte  391:  Commentarti  rerum 
Urbanarum  ab  anno  .mccclxxvi.  usque  ad  tempora  Alexandri  VI 
auctore  Stephano  Infestura  cive  Romano  .mdclxviii.  Inc.  (e.  i):  «  Nel- 
«  l'anno  Domini  mille  ducento  novantaquattro».  Expl.  (e.  391):  «per 
«  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Non  sembra  corrispondere  alla  de- 
scrizione data  dal  Montfaucon,  desunta  dalla  nota  del  Pouget  «  ex 
«  chronicis  bibliothecae  Colbertinae  »  (Bibl.  bibl.  Mss.  Col.  11 5 1).  P* 
Bibl.  sudd.  Ms,  lat.  13733  (ancien  Saint-Germain  frangais, 
Gévres,  116),  cartaceo,  sec.  xvii  (0,250 X-0, 186),  di  carte  503  (1006 
facce)  numerate.  Il  volume  è  legato  in  pergartiena,  tinto  in  rosso 
sul  taglio.  Nel  i**  foglio  à  uno  scudo  senza  stemma,  circondato  da 
diversi  accessori  e  sormontato  da  un  cappello,  sotto  a  cui  è 
scritto  il  titolo:  Stepìiani  \  Infesturae  \  civis  romani  dia  \  ria  rer. 
romanarum  \  suorum  temporum  \  post  curiam  romanam  |  ex  Galliis 
ad  Urbem  re  \  versam  usque  ad  Alexandri  \  pape   sexti   creationem. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  517 


Inc.  (e.  2  r)  :  «  Nell'anno  Domini  mille  ducento  novanta  quat- 
«  tro  ».  Expl.  (e.  503  r  e  v)  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  P^ 
Perugia.  —  Bibl.  Comunale  Podiani.  Mss.  A,  30,  sec.  xvii  (0,290 
Xo>2io),  cartaceo,  di  fogli  151  numerati,  con  alcune  carte  non 
numerate.  St&phani  Infessurae  \  diaria  \  Rerum  romanarum  suorum 
temporum  \  post  Curiam  Romanam  ex  Galliis  ad  Urhetn  reversam  | 
Usque  ad  Ahxandri  papae  Sexti  Creatiofiem.  Inc.  (e.  i):  «  Nel- 
«  l'anno  Domini  milleducento  novantaquattro  nella  vigilia  di  Na- 
«  tale  ».  Expl.  (e.  897):  «  de  futuro  bello  timetur  ».  P3 

Bibl.  sudd.  Mss.  E,  7,  sec.  xviii  (0,260X0,187),  cartaceo  di 
pagine  897.  È  di  mani  diverse  :  l'una  va  dalla  e.  i  alla  151,  l'altra 
sino  alla  e.  163.  Dalla  164-167  incl.  carte  bianche:  grande  in- 
curia e  studio  di  compendiare.  Dalla  167-173  si  osserva  una 
terza  mano.  A  questa  carta  s'interrompe  il  diario:  seguono 
quattro  carte  bianche.  Sul  1°  foglio  di  guardia  è  scritto  il  ti- 
tolo ;  sull'altro  una  nota  del  Vermiglioli  :  «  è  pubblicato  dal  Mura- 
te tori,  Rer.  It.  Script.  ».  Inc.  (e.  i):  «Nell'anno  Domini  milleducento 
«novantaquattro  nella  vigilia  di  Natale».  Expl.  (e.  173):  «  adeo 
«  quod  incontinenti  ».  P^ 

Parigi.  —  Bibl.  Naz.  Ms.  latino  12541,  cartaceo,  sec.  xvii  (0,266  X 
0,195),  di  pp.  357  numerate,  legato  in  pergamena  (S.Germain  932). 
Inc.  (p.  i):  «  Historie  avanti  che  la  corte  gisse  in  Francia.  Manca 
«il  principio.  Pontificalmente  e  dissegli».  Expl.  (p.  357):  «Ma- 
«  gnum  Turcum  in  Constantinopoli  mortuum  esse  ».  P^ 

Bibl. sudd.  Ms.  latino  13732,  cartaceo,  sec.  xvii (0,250X0,188), 
di  carte  465  numerate,  legato  in  pergamena  (Gévres  109).  Inc. 
(e.  24):  «  Nell'anno  Domini  mille  duecento  novanta  quattro  ».  Expl. 
(e.  429  v):  «  per  andare  a'  campo  ad  Ostia  ».  Seguita  il  Diario  di 
Lodovico  Monaldeschi.  P^ 

Bibl.  sudd.  M^.  ital.  670-671,  cartaceo,  sec.  xvii  (0,24$  Xo,i9o), 
due  tomi  di  235  e  241  carte  numerate,  legati  in  cuoio.  Inc. 
(n.  670,0.  i):  «  Nell'anno  mille  ducento  novanta  quattro  ».  Expl. 
(n.  671,  e.  197 v):  «  per  andare  a  campo  d'Ostia».  Segue  (e.  202) 
il  Diario  di  Lodovico  Monaldeschi  da  Orvieto  (Cf.  Mazzatinti,  Mss. 
it.  delle  bibl.  di  Francia,  p.  127).  P*^ 

Bibl.  sudd. Ms. ital. 672, cartaceo, sec. xvii(o,248Xo,20o), di  carte 
301,  legato  in  marocchino  rosso  coH'arme  di  Filippo  di  Béthune. 
Inc.  (e.  I  r)  :  «  Stephani  Infessurae  \  Diaria  rerum  Romanarum  suorum 

«  temporum.  Vi  manca  il  principio pontificalmente  et  dissegli  ». 

Expl.  (e.  301  r)  :  «  per  andare  a'  campo  ad  Ostia  »  (Cf.  Mazza- 
tinti,  op.  cit.)-  P* 

Bibl.  sudd.  Ms.  ital.  193,  cartaceo,  del  sec.  xvii  (0,257X0,185), 


5i8  0.   Tommasini 


di  carte  448  numerate,  legato  in  cuoio  colle  armi  di  Louis  Henry  de 
Loménie.  Inc.  (e.  2  r):  «  Nell'anno  Domini  mille  ducento  cinquanta 
«  quattro  » .  Expl.  (e.  448)  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  » .  P? 

Roma.  -^  Archivio  storico  Comunale.  Cred.  XIV,  to.  5,  Ms.  car- 
taceo, sec.  xvii-xviii  (0,200X05228).  Stephani  Infissurae  \  civis  ro- 
mani I  Diaria  \  rerum  romanarum  |  ab  a.  .mccxciv.  ad  a.  \  .mccccxciv. 
Alla  seconda  carta,  non  numerata,  sitrova  l'annotazione  :  «  Extat 
«  autograph.  ms.  in  archiv^  Vatic°  signat.  n.  CXI  et  in  bibliot. 
«  Vatic.  cod.  sign.  n.  6389  ».  Inc.  (e.  i)  :  «  pontificalmente  et  dis- 
cesegli ».  Expl.  (e.  200):  «per  andare  a  campo  ad  Hostia  ».  Alla 
e.  261  seguono  quattro  correzioni  notate  alle  ce.  156,  192,  128,  139. 
E  dopo  cinque  carte  bianche  la  Noti:(ia  della  famiglia  Infes- 
siira,  che  termina  al  verso  del  foglio,  in  cui  è  disegnato  a 
penna  lo  stemma  della  famiglia,  che  è  di  un  elmo  nell'alto  di 
un'asta  confitta  sopra  tre  monti.  A  lato  è  la  firma  :  «  Franc/"^ 
((  Valesius  1701  ».  Il  testo  segue  generalmente  il  ms.  dell'archivio 
Vaticano  (A),  ma  aggiunge  le  forme  dialettali  non  conservate 
nel  testo  precedentemente  trascritto,  e  insinua  le  correzioni  che 
s'incontrano  nel  testo  del  ms.  bibl.  Vat.  6389,  A  e.  3,  dopo  l'in- 
testazione: Siephani  Injessurae  \  Civis  Romani  Diaria  rerum  Ro- 
manarum suorum  \  temporum  post  Curiam  Romanam  ex  Gallis  \  ad 
urhem  reversam  usque  ad  Alexandri  \  VI  creationem,  riprende  l'ag- 
giunta :  «  Nell'anno  Domini  1294  »  e  va  sino  a  e.  5:  «  et  fuit 
«  Benedictus  undecimus  ».  R 

Bibl.  Vaticana.  Ms.  Vat.  6389,  cartaceo,  secolo  xvii  (0,264 
XOj20o).  Contiene:  Castallus  Metallinus.  Sotto  v'è  notato:  «  F. 
«  Abraham  Bzovius  S.  T.  Mgr.  Ordis  praed."^  Bibliothecae  Va- 
«  ticanae  dd.  1626.  m.  ppa.  »  dalla  qual  nota  è  fatta  certa  l'origine 
e  l'età  del  ms.  Inc.  (e.  ir):  «  Civis  romanus  unus  de  tresde- 
«  cim  ».  Expl.  (e.  25  r):  «  fede  severa».  A  e.  26,  Leggende  ro- 
mane: Prologo  Et  primo  capitolo  dove  se  demostra  la  |  rascione 
per  la  quale  questa  opera  \  fatta  fu.  «  Dice  lo  glorioso  mis- 
te sore  etc.  ».  Seguono  28  capitoli  sino  a  e.  87  v  :  «  li  fu  tagliato 
«la  testa  a  Roma  come  ve  dicerao».  Indi  è  annotato:  «  Qui  in 
«  uno  manoscritto  che  fu  del  S.  Cardinal  Slusio  |  seguiva  la  Vita 
«  di  Cola  di  Rienzo  sino  a  tutto  il  cap.  3  del  libro  2  come  si  | 
«dice  nell'indice  de'  capitoli  in  principio  dì  questa  istoria  ». 
Segue  a  e.  88:  Historie  avanti  la  corte  gisse  in  Francia  \  Manca 
lo  principio.  Nel  margine  superiore  esterno:  «  videtur  esse  | 
«  Stephani  Infessu  |  rae  Vide  Cod.  n.  5522  |  fol.  i  ».  Inc.  (e.  88): 
«  Pontificalmente,  et  disseli  ».  Expl.  (e.  226  v)  :  «  MagnumTurcum 
«  in  Constantinopoli  mortuum  esse  ».    È   annotato  in  fine  :  «  In 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  519 


«  Cod.  Vat.  5522  subiunguntur  nonnulla  idiomate  italico  de  Re- 
«  gni  Neapolitani  rebus  ut  vìdere  est.  fol.  276.  |  Finis  ».  Segue 
a  e.  227  il  Diario  di  Sebastiano  de  Branca  de  Talin.  Inc.  :  «  Conce 
«  sia  de  cosa  che  essendo  discordia  tra  papa  Alessandro  sesto  ». 
Expl.  (e.  272  r):  «  Gentilhuomini  romani  ».  Segue  (ce.  273-355): 
Diario  d'Antonio  Petri.  A  e.  355  v:  Ex  quibusdam  Diariis  incerti 
Auctoris  olim  apud  Gentilem  Deìphinum  existentibus.  «  Desunt 
a  aliqua  ».  Inc.  :  «  Con  dicisette  migliara  di  cavalli  ».  Expl. 
(e.  359  V  ):  a  et  presence  li  castellani  ».  Segue  (ibid.)  :  Pauli  Lelli  | 
Petroni  diarium  \  alias  Mestican  \  %a.  Inc.:  «  Dell'uscita  delli  Ro- 
«  mani  anno,  mcgccxxxiii.  so  certo  che  ve  ricordate  ».  Expl. 
(e.  383  v):  «  f o  chiamato  mons.  Bologna  ».  In  margine:  «  qui 
«  finisce  I  il  Petronio  |  nel  cod.  dell'  |  Archivio  secreto  |  che  è  il 
«  megliore  |  di  tutti  in  4°  |  Et  anche  nel  Vat.  n.  5522  |  f.  387  ». 
Segue  (ibid.):  Metnorie  d'occorrenie  alla  giornata.  Inc.:  «  A  di 
«25  de  iugnio  1481  morì  Paulo  II».  Expl.  (e.  387  r):  «nello 
«Stato  de  Milano  ».  Nota  alla  e.  388  v:  «  Dell'autore  del  retro- 
«  scritto  diario  »:  «  È  citato  questo  Liello  Petrone  nell'indice  de' 
«  libri  allegati  da  frat.  Onofrio  Panvinio  nelle  Vite  de'  Pontefici 
«  agiunte  a  Platina.  Venne  in  luce  questo  fragmento  della  li- 
«  braria  di  Gentile  Delfino  Rom.°  dottissimo  et  ricco  di  molte 
«  belle  cose  di  curiosità  et  antichità  »  (i).  Segue  a  e.  388  il  Diario 
del  Notaio  di  Nantiposto:  «  lennaio  .mcccclxxxi.  ».  Inc.:  «a  dì 
«  30  ianuarii  suspensus  fuit  Colutia  ».  Expl.  (e.  420  v):  «  alli  25  lu- 
«  glio  morì  papa  Innocentio  ».  A  e.  421  :  Diario  di  Cola  Colleine. 
Inc.:  «a  di  primo  Xbre  1521  fu  de  domenica».  Expl.  (e.  442): 
«  in  alto  delle  chiese  ».  Questo  ms.  conserva  meglio  degli  altri 
codici  le  forme  dialettali  affini  a  quelle  dei  Fragmenta  historiae 
romanae,  quali  sarebbero  il  dittongamento,  malgrado  la  posizione, 
della  vocale  tonica  breve  e  od  0,  Il  per  Id,  ecc.  La  parola  «  mis- 
«  sore  »  usata  sino  all'anno  1484  si  trova  primieramente  in  uo 
notamente  di  questo  anno  mutata  in  «  missere  »:  «  mìssere  Liello 
«  e  lacouo  della  Valle  »,  forse  per  scioglimento  d' abbreviatura 
fatta  dal  copista.  Inoltre  le  inesattezze  e  gli  errori  stessi  dell'ama- 
nuense autorizzano  la  congettura  che  esso  abbia  avuto  innanzi  un 
manoscritto  abbastanza  antico,  da  porgere  le  caratteristiche  della 
scrittura  degli  ultimi  del  secolo  xv  e  de'  primi  anni  del  secolo  xvi. 
Così  tal  volta  il  4  è  preso  per  9,  e  si  à,  per  esempio,  1469,  dove 

(t)  Circa  a  queste  provenienze  dalle  collezioni  del  Delfìni   è  da  nvcr  presente 
quel  che  annota  il   De  Nolhac  Im  bibliothéqve  de   Fulvio   Orsini,  p.  85  :    •  Je 

•  n'ai  pas  retrouvé  ceux  qui  vcnaient  de  Delfìni;  ils  ne  portaient  san»  doutc  point 

•  d'tx-libris  • . 


520  O.   Tommasini 


correttamente  altri  mss.  danno  1464.  Q,uando,  all'anno  1443,  gli 
altri  mss.  parlando  della  pace  tra  Eugenio  IV  e  l' imperatore  Sigi- 
smondo notano:  «  ad  essere  uniti  »,  R*  reca:  «  hance  uniti  »,  con 
manifesto  errore  d' interpretazione  per  parte  del  copista  che  male 
intese  l'abbreviatura  «  ad  essere  ».  Né  per  quanto  il  Valesio  abbia 
fatto  collazione  del  testo  dell'archivio  Capitolino  con  questo  Va- 
ticano, la  lezione  dei  due  manoscritti  manca  di  divergenze.  Al- 
l'anno 1405,  dove  R^  reca:  «  santo  Marco  delle  letanie  »,  R  dà 
solo  :  «  santo  Marco  ».  All'anno  1407,  dopo  la  notizia  dell'ele- 
zione a  pontefice  del  cardinale  di  CostantinopoH  «  lo  quale  se 
«  chiamò  papa  Gregorio  12  »,  queste  parole  che  si  trovano  in 
R'',  mancano  in  R.  Dove  R,  nel  1413,  nota:  «  a  dì  26  di  settem- 
«  bre  »,  R^  con  C,  M,  E  nota:  «  a  dì  16  di  settembre  ».  Nel  1420, 
dove  R^  legge:  «  romipeti  »,  R  à  :  «  romei  ».  La  morte  di  Mar- 
tino V  è  posta  in  R:  «  a  di  19  februarii  »,  in  R^;  «  nel  detto 
«  anno  e  mese  »,  senza  la  menzione  del  giorno.  Si  riscontra  invece 
concordanza  più  frequente  con  S^  All'anno  1404  R^  omette  per 
incuria  la  rubrica  de'  dì  24  del  mese  d'agosto  che  si  trova  in 
tutti  gli  altri  codici.  Invece  all'anno  1448  reca  un  notamento  che 
si  trova  solo  in  questo  ms.  È  probabile  che  il  ms.  C  sia  deri- 
vato da  un  apografo  condotto  sullo  stesso  archetipo  di  R^,  meno 
scorretto.  Qualche  brano  che  manca  in  C,  manca  pure  in  R*  ; 
come,  ad  es.,  quello  che  riferisce  la  morte  del  cardinale  di  S.  Si- 
sto «  del  1474  a  dì  5  de  iennaro  ».  Altrove,  all'anno  1452,  i  due 
codici  danno  : 

R.  C. 

«  et  dopo  lo  seguente  dì  lo  .x.  de  «  et  dopo  lo  seguente    di  lo   .x.  de 

marzo    lo    imperatore   anco    la  detta  marzo    Io    imperatore    arrò    la    ditta 

sposa  andò  alla  messa...  ».  sposa  depò  la  messa». 

Bibl.  Vallicelliana.  Ms.  I,  75  (n.  m.  00834),  cartaceo,  sec.  xvi 
(0,270  X  0,200),  di  carte  134  numerate.  H/j/orfa^  |  et  \  Diaria  \  suo- 
rum  Temporum  |  Stephani  Infessurae  \  civis  Romani,  |  qui  fuit  Po- 
testas  Ostiae  sub  Sixto  IV  \  summo  Pontifiu.  Inc.  (e.  i):  «Manca 
«il  principio  1  Pontificalmente,  e  dissegli  ».  Expl.  (e.  134  v): 
«  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Segue  d'altro  carattere  la 
nota:  «Vedi  il  restante  d.*  relazione  nel  manoscritto  delle  opere 
«  del  med.°  Infessura  ove  è  la  lettera  I,  num.°  74,  pag.  147  ». 
A  e.  98  v,  lin.  8,  dopo  le  parole  :  «  et  ne  deficerent  angu- 
«  stiae  in  Urbe  »,  manca  l'episodio  della  morte  di  Bernardo  San- 
guigni, sia  che  il  copista  l'abbia  omesso  di  proposito,  sia  che 
per  una  svista,    riprendendo   il    lavoro    intermesso,    abbia  inco- 


Il  ^iaìHo  di  Stefano  Iti  fessura  521 


minciato  a  trascrivere  dove  occorrevano  più  sotto  le  parole 
stesse:  «  Et  ne  undique  deficerent  angustiae  dictum  et  quidem 
«  afRrmatum  fuit  in  Urbe  regem  Ferdinandum  »,  tee.  Similmente 
è  omesso  (e.  ni  v,  lìn.  pen.)  il  lungo  episodio  di  Falcone  de'  Si- 
nìbaldi  a'  dì  4  di  settembre  1489  (Cf.  Muratori ,  Script.  Ili, 
par.  2%  col.  1227-28;  EccARD,  Corpus  Script,  m.  aevi,  II,  1989-91). 
Nel  notamento  «  die  19  8bris  1489  »  manca  tutto  il  brano: 
«  Demum  dicitur  praefatum  D.  Francischettum  »  sino  alle  parole  : 
«non  reddere  servo»  (Cf.  Muratori,  loc.  cit.  1230,  lin.  4-31; 
Eccard,  loc.  cit.  1992,  lin.  48;  1993,  lin.  8).  S 

Bibl.  sudd.  Ms.  I,  74  (n.  m.  00833),  cartaceo,  stc.  xvi  e  xvii 
(0,278  X  0,210),  di  e.  257  di  diversa  scrittura.  Historiae  \  et  \  Dia- 
ria I  suorum  temporiim  \  Stephani  Infessurae  \  Civis  Romani  \  Qui  fuit 
Potestas  Ostiae  sub  Sixto  IV  |  summo  Pontifice  |  *  |  Accedunt  \  Alia 
Diaria  \  Sebastiani  Brancae  Felini  (sic)  |  Ab  anno  Dni  14^^.  ad 
ami.  i^iy.  \  *  \  item  \  Diaria  aliar,  rerum  \  quae  Romae  et  alibi  ac- 
ciderunt  ab  anno  \  1481  ad  annum  14(^2  \  *  \  Annales  Viterbii  ab  anno 
D.  ii6().  ad  annum  Dni  1242.  A  ci:  Historie  avanti  che  la 
Corte  I  gisse  in  Francia.  Annotato  nel  margine  superiore  esterno  di 
mano  del  Rainaldi  :  «  Extat  in  M.  S.  Archivii  Vatic.  signat.  n.  in, 
«  pag.  127  &c.  ».  E  sopra  d'altra  mano  :  Annali  di  Stephano  In- 
fessura,  dottore  e  cittadino  Romano  delle  cose  fatte  in  Italia  et  spe:(ial- 
mente  a  Roma  dell'anno  de  Christo  1^00  sin  a  l'anno  i4<)2.  Più  sotto, 
nel  margine  interno:  «  Stephano  Infessura  cittadino  romano  fu 
«podestà  ad  Orta  sotto  Sixlo  IV.  I,  37».  Inc.  (e.  i):  «  Ponti- 
«fìcalmente;  et  dissegli  ».  Expl.  (e.  147):  «per  andare  a  campo 
«  a  Astia  »,  quantunque  nel  verso  della  e.  146,  ove  ricomincia  la 
parte  volgare,  innanzi  alle  parole  :  «  Conciosia  cosa  che  essendo 
«discordia»  sia  il  tìtolo:  Diario  di  Sebastiano  Branca  de  Telini, 
con  manifesto  errore,  in  vece  che  alla  carta  147  v.  Alla  e.  146  v, 
nel  margine  esterno,  accanto  al  testo  è  la  nota,  di  mano  del  Rai- 
naldi :  «  Così  sta  nel  d.°  Cod.  M.  S.  segn.  n.**  in  ».  E  simil- 
mente è  sua  scrittura  quella  che  segna  nel  margine  esterno  infe- 
riore della  e.  147  r,  ove  termina  -il  testo:  «Qui  finisce  la  d.* 
«  historia  anche  nel  d.°  Cod.  M.  S.  Archivio  Vatic.  segnato 
«  n.  Ili  ».  Dove  per  errore  è  dato  il  titolo  del  diario  di  Branca 
de'  Telini  è  apposto  un  richiamo  nel  margine  superiore  esterno 
al  «  M.  S.  biblioth.  Card.  Barber.  sign.  nu.  1 103  ».  È  pure 
di  mano  del  Rainaldi  la  postilla  nel  margine  esterno  a  e.  73: 
«Nell'istessa  maniera  sta  nel  d."  Cod.  Vatic.  n."  in  ».  Segue 
Diario  di  Branca  de  Telini^  da  e.  147  v  a  e.  192  v.  Segue  e.  193 
in  bianco.  A  e.    194  r:  «  Gennaro   1481  |  adì  30:  suspensus  fuit 


522  O,   Tommasini 


(K  Colutia  »  {Diario  dd  notaio  dell'Anteposto').  A  e.  240  v  :  Annali 
di  Viterbo  (di  Lancillotto).  Inc.  :  «  Erano  detti  Viterbesi  ».  Expl. 
(e.  246  v)  ad  ann.  1243  •  "  P^ì  detto  imperatore  ».  In  fine  è  la 
pota  :  a  Io  Gio.  Ant.°  lannarelli  ho  ricevuto  dal  M.}°  Rev.'^°  P. 
«Cesare  Beccilli  se.  11  m.*^  quali  sono  per  pagamento  di  questa 
«  scrittura  ».  S' 

Torino.  —  Bìbl.  Naz.  Ms.  n.  II,  49  (segnatura  amica  nel  catalogo 
stampato  del  Pasini  LXXII,  1.  II,  29),  cartaceo,  sec.  xvi  (0,460 
X  0,300),  di  carte  195,  rilegato  in  pergamena.  Sull'antiporta  reca 
il  titolo:  Historia  di  Stefano  Infessura  cittadino  romano.  «  Manca  il 
«principio»:  Inc.  (e.  2v):  «  pontificalmente,  et  dissegli  ».  Expl. 
(e.  194):  «  per  andare  ad  campo  ad  Ostia  ».  T 

Roma.  —  Bibl.  Vat.  Ms.  Vat.  5294,  cartaceo,  sec.  xvi  (0,300  X  0,210). 
Sulla  rilegatura  in  pergamena,  lo  stemma  del  Braschi.  Numerato 
nel  retto  delle  carte  sino  alla  163;  seguono  tre  carte  bianche. 
Sull'alto  del  primo  foglio,  non  numerato  :  «  guarda  non  sia  del 
«  C.  Siri.  Est  Ext^  rer.  Romanar  ».  Diarium  Stepìf  Infissurae 
5294.  Inc.  (e.  i)  :  «  manca  il  principio,  pontificalmen^®,  et  dis- 
«  segli  ».  Expl.  (e.  1630):  «  dictum  est  Magnum  Turcum  in  Con- 
«  stantinopoli  mortuum  esse  ».  E  segue  l'annotazione  di  mano 
recente:  «  Sequuntur  nonnulla  alia  in  Cod.  Vat.  n.  $522,  fol.  276  ». 
Come  apparisce  dalla  nota  del  primo  foglio,  si  dubita  che  abbia 
appartenuto  al  card.  Sirleto.  V 

Bibl.  sudd.  Ms.  Vat.  1522,  cartaceo,  sec.  xvi  in  fine,  diviso  in 
due  parti,  rilegate  in  pergamena  collo  stemma  del  Braschi,  con- 
tenenti varie  scritture,  alcune  degli  ultimi  del  sec.  xvi,  altre 
del  XVII  (0,170  X  0,230).  La  parte  prima,  di  carte  278  numerate 
nel  retto,  contiene  :  Historie  avanti  che  la  Corte  gisse  in  Franca. 
E  nel  margine  esterno  superiore  :  «  Stefano  Infissura  Cittad.°  Ro. 
«  fu  podestà  ad  Orta  sotto  Sixto  IIII,  e.  37,  45,  70,  pag.  96,  129  ». 
«  Manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  i  r)  :  «  Pontificalmente  et  dissegli  ». 
Expl.  (e.  277  v)  :  «  per  andare  a  campo  ad  Ostia  ».  Segue  nel 
tomo  11°  (e.  279  r)  :  Alcune  historie  di  Fioren:(a  dove  si  fa  men  \ 
tione  di  molti  Cardinali  et  Papi  \  Et  sono  dall'  anno  1406  \  fin  al  14^8  \ 
Sunt  aliqua  Alex.  V  lulii  2  Leon  2  Leon  X.  E  nel  margine  su- 
periore esterno:  «  edidit  Muratorius,  t.  19,  p.  950  v  ».  Inc.: 
«  Memoria  che  a  dì  .vini,  d'ottobre  1406».  Expl.  (e.  329  v): 
«  coapiùdi  Gff¥  cavagli  ».  La  e.  330  è  bianca.  Segue  a  e.  331  : 
De  Anihaldo  de  Ceccano  Carle  Io  XXII:  «  Anibaldus  familia  de 
«  Ceccano  nobilis  Ro  :  creat.  Car.'^^  èpus.  Tusculan.  a  Io.  pp.  22 
«  die  15  cai.  lanuarii  an.  D.  1327  Avinione,  pontificatus  eius 
«  anno  12°  cum  esset  archiepùs  neapolitan.  Dehoc  car^Mta  scriptù 


//  nO>iarìo  di  Stefano  In  fessura  523 


«  legitur  in  quodam  libro  historiar  Ro:  lingua  vernacula:  Correvano 
«  ano  Diìi  1350  quanno  papa  Chimento  ».  Expl.  (e.  336):  «  se- 
«  cunno  debita  figuram  sopito.  »  Ibid.  segue  :  De  loe  Car^^  Co- 
luna  sub  Clern.  VI.  «  Molto  concepeo  papa  Chimento  ».  Expl.  (ibid.): 
«  camera  de  Roma  ».  Ibid.  v:  De  Egidio  Card.  Hispan.  sub  Innoc.  VI: 
«  Papa  Innoc.  VI  la  p^  cosa  che  se  puse  in  core  ».  Expl.:  «  lani 
«  de  Vico  prefetto  de  Vitervo  »  (Frammenti  delle  Istorie  romane). 
Segue  a  e.  337  :  Chronica  senensis  de  Greg."  XII.  «  Venne  con  gente 
«  d'arme  in  num°  di  400  ».  Expl.  :  «  e  di  lì  a  Arimini  ».  A  e.  338  : 
Del  med.°  Greg.°  XII  tratto  da  certe  altre  chroniche  :  «  Nel  anno  1406 
«  nel  dì  s.  Andrea  fu  creato  pp.  Gregorio  XII  ».  Expl.:  «  se  ne 
«  rifuggi  a  Rimini  ».  Seguono  dopo  la  e.  339  sino  a  346  carte 
bianche.  A  e.  347:  Favolo  dello  Mastro,  1422.  Memoriale  de  Fa- 
volo de  Benedetto  de  Cola  \  dello  Mastro,  dello  Rione  de  Ponte.  Inc. 
(e.  385):  «  Inundatio  Tiberis  ».  Segue  bianca  la  e.  386.  A  e.  387: 
Della  cecità  dei  Romani.  Inc.  :  «  Son  certo  che  vi  ricordate  ».  Expl. 
(e.  431  v):  «  et  poi  fu  chiamato  monsig.''  di  Bologna  »  (Mesti- 
canza di  Faolo  di  Lello  Fetroni.  Cf.  Muratori,  Script.  XXIV,  lOO'y). 
Bianco  il  foglio  432.  Segue  a  e.  433  :  «  Anno  Diìi  III  Herodes  oc- 
«  cidit  ».  Expl.  (e.  440  v):  «  adnutum  Urbani  ppe  Vldefinitum  ». 
A  e.  441:  Vita  di  Cola  de  Rien^i:  Inc.:  «Cola  de  Rienzi  fu  de 
«  linaio  vasso  ».  Expl.  (e.  564  v):  «  secuno  debita  figura  supino  » 
(Frammenti  delle  Historie  romane).  V^ 

Bibl.  sudd.  Ms.  6823,  cartaceo,  sec.  xvi  (0,264X0,202),  di 
carte  267  numerate  nel  retto,  macchiate  e  chiuse  in  carta  vege- 
tale. Contiene  (e.  i  r)  :  Lettera  di  M.  Francesco  Fetrarcha  a  Cola 
de  I  Rienzo  Tribuno  di  Roma  \  et  al  Fo polo  Romano  (e.  i-ior).  Segue 
(e.  1 1  r)  :  Lettera  di  M.  Francesco  Fetrarcha  al  Fopolo  Romano  \  per 
Cola  de  Rienzo  prigion  del  Fapa  \  in  Avignone  (e.  ii-i8r).  Segue 
(e.  I9r):  Al  signor  Horatio  Farnese  duca  di  Castro  a  Viterbo  \  sopra 
un  caso  occorso  in  Roma  \  a  tempo  di  Faolo  ter^o  (e.  19-22  r).  Segue 
(e.  23  r):  Ordine  e  Magnificenia  dei  Magistrati  romani  |  a  tempo  che 
la  corte  del  papa  \  stava  in  Avignone  (e.  23-30  r).  È  la  scrittura  stam- 
pata dal  Muratori,  A.  I.  II,  856-861.  Seguono  (e.  30  v)  il  cap.  V 
e  il  XVII  degli  Statata  Bobacteriorum  del  1407.  Seguono  (e.  31-33  v) 
appunti  sulla  dignità  del  Cancellarius  Urbis  cuna,  bolla  di  Martino  V  : 
De  officio  et  dignitate  Confalonieratus  per  Fetro  de  Astallis.  Seguita 
(e.  34-391):  «  Ex  tribus  antiquis  paginis  cuiusdam  Diarii  |  Gen- 
tilis  Delphini,  ab  Archivio  Columna  |  datis»  (edito  dal  Muratori, 
SS.  Ili*,  842-846).  Segue  (e.  4or-77v)  la  Meslicania  di  Faolo  di 
Lello  Fetroni.  Segue  (e.  78  r)  :  Historie  avanti  che  la  Corte  gisse  in 
Francia.  «  Manca  il  principio  ».  È  notato  nel  margine  esterno  da 


524  O.   Tommasini 


mano  più  recente:  «  Stef.°  Infessu  |  ra  Vide  |  cod.  ms.  Vat.  |  5522 
«  p.  I.  Inc.  (e.  78)  :  Pontificalmente,  e  dissegli  :  ».  Expl.  (e.  221  v)  : 
«  per  andare  a  campo  a  Ostia  ».  Segue  il  Diario  del  Notaio  del- 
l'Anteposto. V^ 
Londra.  —  Bibl.  Yelverton.  Ms.  cartaceo  del  sec.  xvi  in  fine  (0,260 
X  0,200),  condotto  di  bella  scrittura  italiana,  rilegato  in  perga- 
mena, di  fogli  1 3  5  (pp.  270)  :  Stephani  Injessure  Civis  Romani  Diaria 
Rerum  Romanarum  suorum  tempo  rum  post  Curiam  Romanam  ex  Galliis 
ad  Urhem  reversam  usque  ad  Alexandri  Pape  sexti  creationem.  «  Vi 
«  manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  i)  :  «  Pontificalmente  e  dissegli  ». 
Expl.  (e.  270):  «per  andare  ad  campo  ad  Ostia»  (Cf.  Archiv, 
VII,  103).  Y 

Chi  gitti  appena  uno  sguardo  su  tutta  questa  serie,  si 
avvede  che  un  primo  criterio  di  raggruppamento  e  di  di- 
stinzione fra  i  mohepHcì  manoscritti  è  dato  dalla  diversa 
maniera  secondo  cui  principiano.  In  alcuni,  e  sono  i  più 
antichi  o  evidentemente  derivati  dai  più  antichi,  l' inizio 
parte  da  un  frammento  di  leggenda  che  non  à  perduto,  nep- 
pure ne'  più  corrotti,  le  tracce  dell'antico  volgare  romano. 
Altri  codici  invece  danno  evidente  l'assetto  secondo  gram- 
matica, e  l'avvicinamento  del  periodo  al  tornio  della  narra- 
tiva, magari  a  costo  di  parere  una  stonatura  col  resto  del 
diario,  in  cui  l'elemento  del  volgare  romano,  non  ostante 
l'azzimatura  e  l'arbitrio  degli  amanuensi,  trapela  sempre 
d'ogni  parte.  Secondo  la  diversità  del  principio  abbiamo 
pertanto  la  prima  distinzione  de'  codici  a  questo  modo: 

Cominciano  (ci.  i^)  :  «  pontificalmente,  e disselì piglia  tesauro  »  :  A,  B^ 

B3,  c,  c^  F,  v\  F^  G,  L^  L^  M^M^  m3,  o, 

0\  P,  P5,  P§,  R,  RS  S,  S^  T,  V,  Y\  V^  Y. 
Cominciano  (ci.  2^)  :  «  Nell'anno  del  S^e  1294  nella  vigilia  di  Natale  »  : 
K\  B,  B^  B^  B5,  B6,  C\  C3,  C^  E,  L,  U,  L3, 
M,  M^  N,  PS  P^  P3,  V\  P6,  P7,  p9.    ^ 

Ma  noi  vediamo  in  questa  prima  distinzione  aggrupparsi 
nella  medesima  classe  M  ed  E,  ossia  il  testo  del  Muratori 
e  dell'  Eckhart,  come  se  non  avessero  intrinseche  e  gravi 


//  diario  di  Stefano  Infessura 


5^5 


divergenze  tra  loro.  Pure  il  Muratori  stesso  ebbe  a  darne 
sentore  in  una  nota  deiredizione  sua,  paragonando  il  testo 
da  lui  dato  a  luce  con  quello  comparso  in  Germania.  Or 
ecco  le  due  lezioni  : 


Ed.  MuR.  (i)  (lez.  A). 

«  Dell'anno  1404  del  mese  di 
settembre  die  primo  morì  papa 
Bonifatio  nono  et  lo  popolo  di 
Roma  si  levò  a  rumore  per  rivo- 
lere la  libertà  et  fu  sbarrata  Roma 
et  tutto  dì  si  combatteva  alle 
sbarre:  li  Ursini  et  la  Ecclesia  da 
una  parte  et  li  Colonnesi  per  lo 
popolo et  furono  morti  pa- 
recchi da  parte  a  parte  ;  et  molti 
feriti  et  molti  cavalli  morti  et  f  u- 
rono  sconfitti  li  Colon- 
nesi che  quasi  sempre  si 
havevano  la  peggio;  se 
bene  buona  parte  dello  populo 
seguitavano  li  Colonnesi  ». 


Ed.  Ecc.  (2)  (lez.  B). 

«  Dell'anno  1404  del  mese  di 
settembre  die  primo  si  morio  papa 
Bonifatio  nono  et  lo  popolo  di 
Roma  si  levò  a  rumore  per  ri- 
volere la  libertate  et  fu  sbarrata 
tutta  Roma  et  tutto  dì  si  com- 
batteva alle  sbarre;  li  Ursini  d'una 
parte  et  la  Ecclesia,  et  li  Collon- 

nesi  per  lo  populo et  furo 

morti  parecchi  da  parte  a  parte; 
tra  li  quali  ne  fu  morto  Poncel- 
letto  Ursino,  et  molti  feriti  et 
molti  cavalli  morti  et  furo 
sconfitti  li  Ursini  et  tor- 
narosene  a  Monte  lor- 
dano et  sempre  ne  have- 
vano la  pelo  li  Ursini  et 
la  malore  parte  dello  populo  se- 
tavano  li  Colonnesi  ». 


Qui,  com'è  evidente,  non  si  tratta  solo  di  divergenza, 
ma  di  opposizione  diretta  e  determinata  da  interessi  gen- 
tilizi, da  opposizione  di  clientele  che  nascondevano  avver- 
sione di  fazioni  e  di  parti  cittadine,  le  quali  toglievano  nome 
dalle  due  famiglie  sovrastanti  nella  città,  interessate  a  se- 
guitare o  il  popolo  o  la  fazione  ecclesiastica.  E  secondo 
queste  due  opposte  lezioni  si  distinguono  pertanto  nova- 
mente  i  mss.,  raccostandosi  o  separandosi  nelle  seguenti 
categorie  : 


(i)  Muratori,  Script.  IIP,  col.  11 16. 

(2)  Io.  G.  EccARDO,  Corpus  hisi.  med.  acviy  II,  col.  1867 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


35 


^26  O.   Tommasìn i 


Di  parte  Orsina  (lez.  A):  A',  B,  B^  B^  B6,  C\  C3,  C^  F,  L,  L\ 
L3,  M,  M^  N,  PS  ?\  P3,  P4,  P6^  p7,  p9. 

Di  parte  Colonnese  (lez.  B):  A,  B',  B3,  B5,  C,  C%  E,  F^  G,  LS  LS 
MS  MS  M3,  O,  OS  P,  PS  PS,  R,  RS  S, 
SS  T,  V,  VS  VS  Y. 

Ragguagliando  tra  loro  le  due  serie,  ci  è  dato  ravvisare 
che  la  classe  2^  e  la  lez.  A,  la  classe  i^  e  la  lez.  B  quasi 
si  corrispondono.  Le  discrepanze  son  minime  :  tre  codici 
(B^,  C*,  E)  della  classe  2^  sono  acquisiti  alla  lez.  B  ;  due 
della  classe  i*  (C^  F)  scendono  alla  lez.  A.  Donde  pos- 
siamo indurre  che  Falterazione  determinata  da  partigianeria 
gentilizia  fu  anteriore,  com'è  naturale,  a  quella  introdotta 
per  preconcetti  di  forma. 

Ora,  niente  è  più  ovvio  e  certo  di  questo  :  che  essendo 
r  Infessura  di  parte  popolare  e  de'  più  affezionati  alla  fa- 
miglia Colonna  (i),  la  lezione  colonnese  fu  l'autentica  nel 
diario  di  lui,  e  l'altra  la  falsificata;  che  essendo  quella  l'au- 
tentica, si  trova  appunto  sui  manoscritti  più  antichi  o  de- 
rivati dai  più  antichi.  Ma  non  è  quel  solo  passaggio  che 
dà  sentore  d'un  raffazzonamento  diparte  orsina  nel  testo  del 
cronista  nostro.  Altri  ve  n'ebbero,  ispirati  alla  parzialità  me- 


(i)  Egli  chiama  la  parte  popolare  e  dei  Colonna  «  la  parte  nostra  » 
e  in  un  notamento  dell'anno  1484,  ove  il  Muratori  (ed.  cit.  11650, 32-41) 
legge  secondo  il  suo  codice:  «et  in  quella  scaramucciavi  morirono 
«parecchi  uomini  dall'una  parte  e  dall'altra»,  l'Eckhart  legge  male 
(1920  b,  28-37):  «vi  morsero  quattro  huomini  della  parte  nostra 
«  dell'  Ecclesia  »,  dacché  è  evidente  in  quelP  inciso  la  soppressione 
di  un  et:  «  et  dell'  Ecclesia  ».  Circa  la  partigianeria  ecclesiastica 
degli  Orsini,  basti  citare  il  seguente  passo  nella  Oratio  quarti  hahuH 
in  funere-  Latini  card.  Ursini  in  aede  S.  Salvatori s  (ms.  Vat.  lat.  5626, 
f.  71-86)  Giovanni  Gatti  vescovo  di  Catania  :  «  protulit  hec  amplissima 
«  domus  pontifices  maximos,  praestantissimos  cardinales,  quampluri- 
«  mos  Ecclesie  antistites,  dignissimos  et  in  rebus  bellicis  [peritisjsimos 
«  duces  consulares  et  triumphales  viros  et  quod  omnibus  praestan- 
«  tius  est  Ecclesiam  Romanam  idest  Christi  Ecclesiam  sin- 
«gulari    observantia    prosecuti    sunt». 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  527 


desima,  ma  non  corrotti  colla  stessa  audacia  del  passo  re- 
cato sopra,  in  cui  il  cliente  baldanzoso  volta  a  dirittura  il 
fatto  in  contrario,  con  offesa  spudorata  della  logica  e  della 
storia  (i).  In  molti  casi  questa  parzialità  si  limita  a  soppri- 
mere r  inciso  che  pregiudica  la  parte  amica,  o  che  favorisce 
l'avversa.  Cosi,  per  esempio,  nell'edizione  dell'  Eckhart  (2) 
s'incontra  un  brano  in  cui  son  raccontate  odiose  crudeltà 
degli  Orsini,  che  nel  Muratori  comparisce  già  mutilo,  che 
manca  in  C^  e  che  si  trova  aggiunto  posteriormente  in  R, 
in  seguito  alla  collazione  che  fece  il  Valesio  di  questo  co- 
dice coll'altro  R'  della  Vaticana.  E  talvolta,  quand'anche 
le  edizioni  dell'Eckhart  e  del  Muratori  o  concordano  o 
poco  distano  tra  loro,  i  manoscritti  apertamente  discor- 
dano e  le  alterazioni  appaiono  determinate  dal  motivo  me- 
desimo o  gentilizio  o  apologetico  per  la  Chiesa: 

Ecc.  (1922,1.32-33).  ^^ 

MuR.  (1167,  1.  23-24). 
«  si   dovesse   collegialmente   an-  «  si    dovesse    collegialmente  an- 
dare per  li  Officiali  e  per  lo  pò-  dare  per  li  Officiali  et  per  lo  po- 
polo al  papa,  al  quale  si  dovesse  polo  al  papa,  al  quale  si  dovesse 
supplicare   che  daesse  pace  alli  supplicare  che   daesse  pace  alli 
detti  signori  Colonnesi  &  a  noi,  detti  signori  Colonnesi  ». 
attento  che  loro  fino  a  mo  non 
hanno  peccato  in  niente  ». 

(i)  Altri  esempi  di  faziosa  corruzione  del  testo: 

Ed.  Ecc.    1932,  lin.  3-5.  ^,  ^ 
»      MuR.  1176    »     7-8.  '    * 
•  quelli   della  parte  contraria  della  Kc-  «  quelli  della  parte  contraria  della  Ec- 
clesia ne  pigliarono   la    meglio».  desia  ne  pigliarono   la   peggio». 

Similmente  : 

Ecc.  (1937,  lin,  45-48)  e  ms.  Mur.  (ii8i,  lin.  28-30),  C,  R. 

«  de  gentibus  Ecclesie  circa   octoginta  •  de  gentibus  Ecclosiac  circa  octuaginta 

fuerunt   reperti   vulnerati  et  mortui  et  fuerunt  reperti  vulnerati  et  mortui    e  t 

abstulerunt  tentoria  et  quidquid  intu»  de   Columnensibus   longc  maio- 

erat,  et  cum  magna  laetitia  reversi  fue-  res  qui  tristes  reversi   fuerunt  ad  dic- 

runt  ad  dictum  castrum  • .  lum  castrum  « . 

(2)  EccARDO,  Ice.  cit.  col.  1918,  lin.  28-40:  «  Itcm  furono  messe 
«  a  sacco  »...  «  come  di  sopra  ».  -  Muratori,  Ice.  cit.  col.  1 164, 
lin.  4-16. 


528  O.   Tommasini 


Così  tutto  il  resto  del  periodo  nel  ms.  è  soppresso;  e  altret- 
tanto si  osserva  in  R,  ove,  per  effetto  del  solito  riscontro 
col  codice  Vaticano,  si  trova  poi  aggiunto  in  margine.  Si- 
milmente, tanto  il  Muratori  (i  1^3,  lin.  30)  quanto  l'Eckhart 
(19 17,  lin.  41)  riferiscono  presso  a  poco  con  eguali  termini 
il  brano  relativo  agli  insulti  fatti  da  Girolamo  Riario  al  pro- 
tonotario  Colonna  nella  sua  presura: 

«  e  lo  protonotaro  sotto  la  fede  del  detto  Virgilio  fo  menato  allo 
papa  in  lupetto,  avvenga  che  dopò  li  fosse  prestata  una  cappa  nera, 
e  quando  se  menava  lo  conte  Hieronimo  li  disse  :  *  ah  ah  traditore, 
che  come  ionge  che  t'impicco  per  la  gola'.  E  lo  signore  Virgilio  li 
rispose  :  *  signore,  impiccarai  inanti  me  che  colui  '  ;  e  più  volte  cacciò 
lo  conte  Hieronimo  lo  stocco  et  ammenollo  per  volerlo  occiderè  et 
lo  detto  signore  Virgilio  sempre  si  contrappose  e  non  volse  mai 
che  lì  facesse  male,  et  cosi  la  domenica  a  sera  fu  menato  dinanti 
allo  papa  ». 

Ma  in  C^  tutto  questo  passaggio  diviene  : 

«  e  lo  protonotaro  sotto  la  fede  del  detto  Virgilio  fo  menato  allo 
papa  in  iupetto,  et  così  la  domenica  sera  fu  menato  dinante  allo 
papa  ». 

Ed  R,  quantunque  pur  esso  sopprima  nel  contesto  il  brano 
medesimo,  ne  accenna  alcune  frasi  in  noterelle  marginali 
e  interlineari  della  pagina  stessa,  e  poi  lo  riporta  intero  al 
notamento  primo  e.  133.  È  chiaro  pertanto  che  l'amanuense 
ecclesiastico,  pur  di  togliere  la  memoria  d'atti  brutali  di 
dosso  alla  famiglia  pontificale  dei  Riari,  sagrificava  anche  la 
menzione  d'un  po' di  lealtà  soldatesca  in  prò  di  Virginio 
Orsini  (i). 

(i)  Altra  consimile  soppressione  nel  ms.  C^  del  brano  conte- 
nuto nell'ed.  Ecc.  (col.  1930,  lin.  53-58)  eMuR.  (col.  1 174,  lin.  21-26). 
Lo  spirito  di  clientela  verso  la  casa  Conti,  ligia  agli  Orsini,  cagionò 
la  soppressione  del  passaggio  in  cui  si  raccontano  le  dimostrazioni 
crudeli  fatte  dal  cardinale  de'  Conti  per  la  strage  dei  Colonna  che  gli 
erano  nipoti  carnali  e  figli  di  una  sorella  (cf.  ed.  Ecc.  193 1,  lin.  21-26; 
MuR.  1175,  lin.  31-36). 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  529 

Altro  esempio  :  cedutosi  Marino  alla  Chiesa,  si  manda 
un  bando  per  rassicurare  il  contado  e  nelle  persone  e  nelle 
robe.  Paolo  Orsini,  malgrado  il  bando,  fa  gran  preda  d'uo- 
mini e  d'animali.  Ma  questa  ruberia  all'amanuense  orsi- 
nesco,  cui  è  dovuta  la  redazione  C^  parve  meno  indegna  a 
registrare  della  riscossa  che  Prospero  Colonna  e  Antonello 
Savelli  in  breve  ne  fecero  (i). 

E  nel  passaggio  che  segue,  dove  le  due  edizioni  e  i  mss. 
più  autorevoli  consentono,  la  primitiva  redazione  di  R,  cor- 
retta poi  a  e.  13^,  n.  XVI,  e  quella  del  testo  chigiano,  che 
rappresenta  il  tipo  più  pieno  del  raffazzonamento  di  parte 
orsina  e  della  politica  ecclesiastica,  leggono  : 

M,  E.  R,  C\ 

«  Et  insuper  questo  signor  Pro-  «  Et  insuper  questo    sig""  Pro- 

spero et  Antonello  con  lor  gente       spero    et    Antonello    s' incontra- 
roppero  et  sbalisciorono  le  genti      rono  con  le  gente  della  Chiesa, 
della  Ecclesia  et  più  presto  loro       et  tra  loro  seguì  una  gran   bat- 
guadagnaro    della    robba   di  co-       taglia,  dove  che  si  morsero  molte 
storo    della  Ecclesia,  che  questi       persone  da  una   parte  et   l'altra 
di  quelli  (2);  et  in  quella  batta-       con  assai  feriti  ». 
glia    vi    furono    morti    quindici 
huomini,    et    circa    a    centocin- 
quanta feriti  gravemente  di  questi 
della  Ecclesia  et  di  quelli  di   là 
molto  pochi  ». 

Alcune  volte  è  adoperata  una  perifrasi  ambigua  per  tu- 


(i)  Ed.  Ecc.  col.  1929,  Un.  6-12;  Mur.  col.  1173,  lin.  24-31. 
In  C*  si  omette  tutto  il  brano:  «  et  finalmente  rescossero  tutta  la 
«  preda  et  li  presoni,  eccetto  sei  bovi,  li  quali  quando  si  combatteva 
«  forono  menati  in  qua  ».  Queste  due  ultime  parole  lascian  supporre 
che  r  I.  allora  si  trovasse  a  Marino  :  ma  il  testo  C  surroga  invece  : 
«  et  finalmente  non  li  riuscendo  il  disegno  furono  costretti  a  ritirarsi 
«  con  qualche  perdita  loro  ».  Idem  in  R  (e.  117)  che  rimanda,  per 
la  correzione,  a  e  136,  n.  XVI. 

(2)  Ecc.:  «  che  di  questi  e  di  quelli  ». 


530 


O.   Tommasìni 


telare  la  fama   della  casata    cui  il  raffazzonatore  si  sente 
addetto  (i). 

Talvolta  apparisce  ancora  il  vestigio  di  una  malignità 
compendiosa,  a  cui  per  detrarre  basta  il  tacere  e  il  soppri- 
mere : 


Ms.,  ed.  Ecc. 
(col.  1929,  1.  24-31). 
«...  era  stato  forte- 
mente tormentato  per 
li  quali  tormenti  lui 
haveva  detto  alcune 
cose  le  quali  non  e- 
rano  vere.  Et  depò 
quando,  ecc.  ». 


C,  R. 


«...  disseli  come  lui 
era  stato  fortemente 
tormentato  dolendosi 
extremaraente  della 
sua  cattiva  sorte,  et 
doppo  quando,  ecc.  ». 


Mss.  e  MuR. 
(col.  1174,  1.  IO- II). 
«...  era  stato  forte- 
mente tormentato,do- 
lendosi  extremamente 
della  sua cattivasorte, 
per  lì  quali  tormenti 
egli  aveva  detto  molte 
cose  le  quali  non  e- 
rano  vere.  E  dopo 
quando,  ecc.  ». 

Tal' altra  capita  sott'occhi  l'indizio  d'un  tentativo  di  rea- 
zione colonnese,  sorta  forse  sotto  lo  stimolo  dell'adultera- 
zione orsinesca,  a  volgere  la  sincerità  della  narrazione  del- 
l' I.  con  scapito  della  verità,  in  tutto  vanto  dei  Colonna.  E 
quantunque  non  ce  ne  paia  che  un  solo  esempio,  ed  anche 
un  po'  incerto,  pure  si  vuol  segnalarlo,  perchè  non  sembri 


(i)  Ed.  Ecc. 
(col.  1962,1.61-63) 
Ms.  e,  C^. 
«  Et  interim  gen- 
tes  Ecclesiae,  ani- 
malia  omnia  Ursi- 
norum  quae  versus 
Galeram  et  partes 
maritimas  erant  de- 
praedatae  sunt  » . 


Ed.  MuR. 
(col.i2o2_,l,  67-71) 

«  Interim  gentes 
Ecclesiae  abduxe- 
runt  animalia  om- 
nia Ursinorum  quae 
versus  Galeram  et 
partes  maritimas  e- 
rant.SimiliteretUr- 
sini  animalia  omnia 
Romanorumquaein 
partibus  Latii  erant 
depraedati  sunt  » . 


(*)  S  :    «  ex  parte  maritima  » . 


«  Interim  gentes 
Ecclesiae  abduxe- 
runt  animalia  om- 
nia Ursinorum  quae 
versus  Galeram  et 
partes  maritimas  e- 
rant.  Et  hi  qui 
in  civitate  e- 
r  a  n  t  similiter  ani- 
malia  Romanorum 
quae  in  partibus 
Latii  erant  deprae- 
dati sunt  »  . 


R,  S,  S^ 

«  Et  interim  gen- 
tes Ecclesiae  ani- 
malia  omnia  Ursi- 
norum quae  versus 
Galeram  et  partes 
maritimas  (*)  erant 
depraedatae  sunt  ; 
et  hi  qu  i  in  e  i- 
vi  ta  te  erant  si- 
militer vecturas  et 
alia  animalia  Roma- 
norum quae  in  par- 
tibus Latii  erant  si- 
militer depraedati 
sunt  »  . 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura 


Sì^ 


che  abbiamo  avvisato  il  male  star  tutto  da  un  lato,  o  che  le 
fandonie  possano  esser  sembrate  utili  ad  una  parte  sola: 


«  Le  genti  della 
Chiesa  furo  ributtate 
et  rotte  con  qualche 
loro  mortalità,  et 
quantunque  di  poi  si 
rifecero  et  pigliarono 
Ripi  lo  dì  seguente  ». 


«  Le  genti  della 
Chiesa  furono  sbar- 
risciate  et  rotte  e  de' 
loro  uccisi  circa  a 
dieci  intra  fanti  et 
huomini  d'armi  e  fe- 
riti circa  sessanta,  et 
fuggendo  lo  resto  s  e 
r  e  tirare  et  non 
possero  pigliare 
lo  d°  castello». 


Ed.  Ecc. 

(col.  1929,  lin.  6-12) 

MuR. 

(col.  1173»  1-  24-31)- 
«  Le  genti  dell'Ec- 
clesia furono  sbara- 
sciati  (i)  e  rotti  e  de' 
loro  uccisi  circa  a 
dieci  intra  fanti  et  huo- 
mini d'armi,  e  feriti 
circa  cinquanta,  e  fug- 
gendo lo  resto  per 
quello  tempo,  quan- 
tunque di  poi  si  rife- 
cero e  pigliaro  li  dì 
seguenti  contro  vo- 
lontà di  quelli  della 
terra  ». 


Rifletterebbe  pertanto  in  questo  caso  un  bagliore  di  par- 
tigianeria colonnese  in  opposizione  alla  redazione  orsi- 
nesca.  E  qui  è  da  osservare  inoltre  come  l'amanuense 
infedele  che  raffazzonò  il  testo  del  ms.  chigiano  C  si 
agiti  per  sue  preoccupazioni,  ma  si  senta  già  del  tutto 
fuori  dell'orizzonte  storico  del  secolo  decimoquinto  e  dei 
primi  decenni  del  decimosesto;  in  cui  dieci  morti,  tra  fanti 
e  cavalli,  e  cinquanta  feriti  sembravano  strage  bastevole  per 
una  grande  battaglia;  quando  le  guerre  «  si  cominciavano 
«senza  paura,  si  trattavano  senza  pericolo  e  si  finivano  senza 
danno  »,  come  scriveva  il  Machiavelli  (2);  e  però,  non  sem- 
brandogli che  quel  numero  determinato  e  piccolo  di  feriti 
e  di  morti  fosse  dicevole  all'architettata  dignità  della  storia, 
pieno  di  compassione  pel  cervello  piccino  del  cronista  con- 


(i)  Ed.  MuR.  «  sbaragliate  ». 

(2)  Machiavelli,  Storie  fiorentine,  lib.  V,  ìntrod.  Principe^  XIL 


^}2  O.   Tommasini 


temporaneo  e  fedele,  lo  mutò  neirespressione  generica  e, 
secondo  lui,  dignitosa  di  «  qualche  loro  mortalità  ».  A 
tante  piccole  insidie  il  testo  dell'  I.  soggiacque  !  alcune 
delle  quali  non  furono  per  verità  premeditate. 

Infatti  non  è  maraviglia  che  le  rubriche  capricciose  de' 
postillatori  entrassero  col  tempo  a  far  parte  del  testo  del 
diario;  che  vi  s'insinuassero  noterelle  di  testimoni  quasi 
contemporanei  agU  avvenimenti.  Questa  è  ventura  comune 
di  tutti  i  manoscritti  che  passano  per  buon  numero  di  copisti. 
Né  sono  i  copisti  inetti  che  recano  i  guasti  più  gravi. 

Della  varietà  delle  rubriche  da  loro  introdotte  demmo 
saggio,  a  quando  a  quando,  tra  le  varianti  delle  lezioni. 
L'insinuazione  più  disinteressata  e  rimarchevole  ci  parve 
quella  che  s' infiltrò  anche  nel  testo  del  Muratori,  a  propo- 
sito del  cadavere  della  bella  giovinetta,  ritrovato  intatto, 
morbido,  imbalsamato,  olezzante  di  neri  profumi,  adorno 
di  splendide  vesti  e  di  monili,  esposto  agli  occhi  del  popolo 
meravigliato  in  Campidoglio,  ne' primordi  del  pontificato 
d'Innocenzo  Vili.  Chi  fosse  quella  giovinetta  cosi  bella, 
sepellita  con  tanto  amore  da  chi  le  sopravvisse,  fu  allora 
domanda  di  tutti  che  la  rimiravano,  a  cui  pareva  che  qual- 
cuno dovesse  poter  rispondere.  Per  la  bellezza  l'avrebbero 
reputata  una  santa;  ma  la  Chiesa  non  aveva  ragione  di  rico- 
noscerla; e,  in  mancanza  di  questa,  gli  archeologi  d'allora 
furono  chiamati  a  divinarla: 

Ed.  Ecc.  (1951,  lin.  pen.).  Ed.  Mur.  (1193,  Un.   15). 

«  Cumque  Conservatoresineo-  •    «  Quumque    Conservatores  in 

dem  pilo  locum  ìuxta  Cisternum  eodem  pilo  ad  locum  iuxta  Cister- 

in  reclaustro  cuiusdam  Palatii  pò-  nam  in    reclaustro    eiusdem  Pa- 

suissent,  a  dicto  Innocentio  iussi  latiiposuissent,  a  dictolnnocentio 

in  locum    incognitum   de    nocte  iussi   in    locum    incognitum    de 

extra  portam  Pinciangm  in  quo-  nocte    extra    portam    Pincianam 

dam  vico  vicino  eius  in  quadam  in   quodam  vico  vicino  elus  ubi 

fovea  proiecta  fuit,  reportaverunt,  fovea    defossa   fuerat  reportave- 

ibique  eam  sepeliverunt.  Et  illis  runt,  ibique  eam  sepelierunt.  E  t 

primis  diebus,  quibus  inventa  est,  creditur  fuisse   corpus  lu- 


//  diario  di  Stefano  Infessiira  533 


ad  dictum  Palatium  inducta  fuit,  liaeCiceronisfiliae.    Et  il- 

tantus  erat  concursus  hominum  Hs  primis  diebus  quibus  inventa 

eam  videre  cupientìum,  ut  passim  et   ad  dictum    Palatium   inducta 

in  platea  Capitoliivendentes  olerà  fuit,  etc.  ». 
et  alia  ad  instar  fori  reperiren- 
tur  ». 


Il  Muratori,  che  divulgò  la  lezione,  che  T  indica  come 
la  figliuola  di  Cicerone  ed  erroneamente  le  dà  nome  di 
Giulia,  la  trasse  dal  suo  codice  Estense  (M).  Degli  altri 
manoscritti  cogniti  ve  n'ha  due  soH  che  la  riferiscano  alla 
stessa  maniera  ;  il  Londinese  del  museo  Britannico  (add.  ms. 
8433,  segn.  od.  P,  1052^),  da  noi  contraddistinto  colla  si- 
gla U,  e  il  Barberiniano  LV,  5  (B^).  Tutti  gU  altri  ne  tac- 
ciono, ad  eccezione  del  ms.  A,  i  dell'archivio  dei  Ceri- 
monieri pontifici,  nella  nostra  serie  indicato  colla  sigla  M'*, 
il  quale,  al  passo  sopracitato,  riferito  secondo  la  lezione 
dell'  Eccardo,  aggiunge  la  postilla  marginale  :  «  corpus  q. 
«  luliae  I  Ciceronis  filiae  |  fuisse -creditur  » .  È  evidente  che  1 
quello  «  luliae  »  fu  mal  trascritto  da  «  Tulliae  »  o  «  Tul- 
c<  liolae  ».  Stando  ad  Alessandro  degli  Alessandri,  chi  rischiò 
la  matta  divinazione  ebbe  ad  essere  Pomponio  Leto  (i);  ma 


(i)  Nella  lettera  di  Bartolomeo  Fonti  a  Francesco  Sassetti,  pub- 
blicata dallo  Janitschek,  Die  Gesellschaft  der  Renaissance  in  Italien,  1879, 
p.  120,  si  dice  apertamente:  «  et  genus  et  aetas  latet  huius  tam  in- 
«  signis  et  admirandi  cadaveris  ».  —  «  Molti  credono  sia  stato  morto 
«degli  anni  170»,  scrive  il  Notaio  del  Nantiposto  (Mur.  Rer. 
It.  Scr.  IIP,  1094.  Per  contro  si  legge  in  Alexander  ab  Alexandro, 
Genial  Dier.  Ili,  2,  p.  208  :  «  Memini,  dum  Roniae  agcrem,  in  vetustis 
«  sepulchris  quae  in  via  Appia  plurima  visuntur,  inter  aedificia  hor- 
<r  tosque  interque  coagmenta  lapidum  erutum  cadaver  fuisse,  multo 
<c  aevo  vetustum,  adolescentulae  mulieris  facie,  capillo,  oculis,  naribus 
«  et  rcliquis  lincamentis  prorsus  integris  et  incorruptis;  nisi  quod  vc- 
«  stigia  liquaminum  et  unguentorum  quibus  dclibutum  fuerat,  appare- 
«  bant,  recenti  specie,  inscriptione  nulla,  qua  nomen  defunctae  inno- 
«  tesceret.  Pomponius  tamcn  vir,  ut  in  ea  aetate,  veterum  litterarum 
«  impensc  doctus,  Tulliolam  Marci  Tulli  Ciceronis  filiam,  de  cuius 


534  ^-   Tommasini 


probabilmente  il  dotto  umanista,  interrogato  da  chi  chie- 
deva un  battesimo  scientifico  a  quella  bella  reliquia  che  la 
Chiesa  rifiutava  e  temeva,  si  limitò  a  ricordare  le  lettere 
di  Cicerone  a  Servio  Sulpicio  o  la  Selva  di  Stazio  sulla 
morte  di  Priscilla.  Il  volgo  poi  fece  il  resto,  e  sbagliò  forse 
e  diffuse  lo  sbaglio  del  nome  prima  ancora  che  un  incolto 
postillatore  lo  notasse  a  margini  del  diario  del  nostro  Ste- 
fano. Da'  margini  ebbe  ad  entrar  nel  testo,  ma  tardi,  e 
dopo  che  molti  altri  errori  vi  si  erano  già  infiltrati.  E  si- 
milmente nei  margini  dell'  indicato  M^  si  leggono  altri  no- 
tamenti  di  chi  sopravvisse  all'  L,  che  pure  entrarono  col 
tempo  a  far  maligno  corpo  nel  suo  diario  (i).  Che  quei 
notamenti  debbansi  ripetere  per  la  massima  parte  dai  pic- 
coli Procopì  della  curia,  registratori  delle  cerimonie  e  delle 
maldicenze,  si  desume  dalle  loro   stesse   parole  :   «  ut  per 


«  obitu  ad  Servium  Sulpicium  sunt  epistolae,  aut  Prìscillam  Aba- 
«  scantii  de  qua  Sylva  Papinii  extat,  fuisse  augurabatur.  là  quibus 
«  argumentis  asseveret,  cum  nulla  inscriptionis  vestigia  extarent 
«  prorsus  nescimus  ».  Cf.  Matarazzo,  Cron.  di  Perugia,  II,  i8o; 
RiccY,  Pago  Lemonio,  112;  Tomassetti,  Camp.  rom.  Via  Latina, 
p.  50. 

(i)  Fra  le  altre  note  relative  ai  cardinali  creati  da  Alessandro  VI 
si  legge:  «  Item  unum  de  domo  Farnesia  consanguineum  luliae 
«  Bellae  eius  concubinae,  etc.  ».  E  di  Cesare  Borgia  :  «  Caesar  Borgia 
«  monstrum  infame  truculentissimum  ex  Vannozia  catalana  susce- 
«  ptus  ».  Consimili  postille  s' incontrano  anche  in  C^  In  C,  C^  E,  la 
interpolazione  si  ritrova  nel  testo,  ove  si  aggiunge  a  proposito  del 
cardinale  Alessandro  :  «  de  domo  Farnesia,  quin  immo  erat  frater 
«  dictae  luliae  et  fuit  postea  papa  Paulus  III  ».  E  nei  mss.  stessi  è  in- 
sinuata r interpolazione  seguente  :  «  Ethuius  luliae  imaginem  u  t  p  er 
«  traditione  m  m  aiorum  nostrorum  didicimus,  in  palatio 
«  apostolico,  in  loco  qui  a  nepotibus  inhabitari  solet  in  magno  quodam 
«  articulo  turris  Borgiae  toto  depicto  ac  inaurato  (et  a  quodam...  di- 
ce viso  in,..)  super  quadam  ianua  videre  liceret.  Omnibus  enìm  patet. 
«  In  eo  enim  repraesentatur  beata  Virgo  cum  Infantulo  in  brachiis  ac 
«  pontifice  Alexandro  ante  ipsam  genuflexo  ».  Le  parole  in  parentesi 
mancano  in  C^ 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  S35 

«  traditionem  maiorum  nostrorum  didicirrius  » .  Quanto 
spesso  non  tradisce  anche  la  tradizione! 

Dopo  queste  discrepanze,  che  furono  effetto  di  tendenze 
più  o  meno  manifeste  dei  trascrittori,  i  quali  più  o  meno  vo- 
lontariamente raffazzonarono  il  testo  del  diario  (i),  seguitano 
quelle  che  derivarono  da  negligenza  dei  copisti  che  salta- 
rono spesso  da  un  inciso  all'altro,  dove  ricorreva,  più  o 
men  prossima,  la  parola  medesima.  Basti  un  esempio  per 
molti. 

Ed.  MuR.  (1245,  lin.  47) 
Ed.  Ecc.  (2010,  lin.  29),  C,  C^  C\  P,  R,  S,  S^ 

«...  adeo  quod  noluit  amplius  «...  adeo  quod,  ut  fertur,  ìratus 
redìre  ad  Urbem,  sed  remansit  in  recessit  et  per  mare  ad  Ostiam, 
arcem  dictae  Ostiae  ».  et  cardinales  S.  Petri  ad  Vincula 

cum  eo;  qui,  ut  dicitur,  ex  eo 
quod  favit  dicto  regi,  factus  fuit 
inimicus  papae,  adeo  quod  noluit 
amplius  redire  ad  Urbem,  sed  re- 
mansit . . .  etc.  ». 

Se  non  che  la  forma  estrinseca  del  diario  ebbe  pur 
essa  ad  incitare  coloro  che,  essendo  o  credendosi  qualcosa 
meglio  che  copisti,  vennero  con  esso  alle  prese.  E  di  questo 
abbiamo  argomento  non  tanto  dai  manoscritti,  quanto  dai 
frammenti  de'manoscritti  di  esso  (2). 

(i)  V.  le  descrizioni  dei  mss.  B*,  C*. 
(2)  Ecco  la  nota  di  quelli  che  ci  furono  cogniti: 
Roma.  —  Archiv.  Vat.  Pio,  7  (to.  LII).  Ms.  cartaceo,  sec.  xvni, 
(0,275  Xo»  190),  rilegato  in  pergamena.  Nella  risguarda  «Ex 
«  bibl.  Piorum  1753  ».  A.  e.  16:  Ex  Diariis  Stephani  Infes  \  surae 
Civis  Romani  \  Xysti  iiij  Papae  Obitus  \  Conclave,  et  creatio  \  Inno- 
centii  Vili  I  pontificis  \  Maximi  \  1484.  Inc.:  «  Die  nona  augusti  P. 
«f  lacobus  de  Comitibus  ».  Expl.  (e.  46)  :  «  in  die  sancti  Stephani 
«elegìt».  a 

Archiv.  Vatic.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvi  (0,300X0.205).  Poli- 
tica varia,  tom.  IV,  e.  189:  Ex  Diariis  Stephani  In  \  fessurae  civis 
Romani  \  Xysti  iiij.  Conclave,  et  creatio  Innocentii  viij,  \  Pont.  Max. 
Inc.  :  «  Die  nona  augusti  dominus  lacobus  de  Comitibus  Intravit 


53^  O.   Tommasini 


Le  parti  diverse  del  diario  parvero  presentarsi  come 
sconnesse  tra  loro  :  mancava  il  principio  ;  cominciava  in 
italiano,  anzi  in  volgare  ;  seguitava  in  latino  ;  spesso  sgram- 
maticava e  nell'uno  e  nell'altro  idioma.  C'era  pertanto  un 
bel  campo  da  mietere:  rifiirgli  il  principio  mancante;  ri- 
durlo tutto  ad  una  lingua  e  che  fosse  la  buona;  ordinarlo 
secondo  grammatica;  e  o  distinguer  bene  tra  loro  le  parti 
diverse  o  ri  connetterle. 

Il  principio  si  rifece,  ordinandolo  ad  essere  un  rap- 
picco  possibile  col  primo  capo  di  cui  si  aveva  il  titolo: 
Quando  la  corte  era  in  Francia,  quando  cioè  fu  fatto  papa 
«l'arcivescovo  di  Bordella».  Niente  era  pertanto  più  na- 
turale, se  non  che  si  facesse  esordio  regolare  alla  cronica 

«  Romam  ».  Expl.  (e.  205  r)  :  «  Prefectum  Urbis  id  est  nepotem 
«  Xisti,  ac  fratrem  cardinalis  S"  Petri  ad  Vincula  in  capitaneum 
«  generalem  in  die  sancti  Stefani  elegit  ».  b 

Archiv.  sudd.  arm.  Ili,  121.  Ms.  cartaceo,  sec.  xvii  (o,29oX 
0,130):  Memorie  diverse  di  Roma.  Nella  e.  i:  «Ex  libris  Congr. 
«  S.  Mauri  Romae  ».  Segue  l'indice  di  mano  del  Torrigi.  A  e.  254: 
Diario  di  Stefano  Infessura  Cittadino  |  Romano  ridotto  in  Compendio 
volgare  \  mancando  il  principio,  e  \  parte  in  latino  copiato  \  nel  164'j. 
Ine  :  «  Il  conte  Romano  Orsino  venne  con  gìente  mandato  dal 
«re  Roberto».  Expl.  (e.  269  v):  «Nel  1478  a  di  27  d'aprile  fu 
«  ucciso  ».  Traduzione  e  compendio  sono  inesatti.  e 

Archiv,  sudd.  Ms.  C,  XVI:  Memorie  diverse  di  Roma,  III,  121. 
A  e.  244  V  :  Diario  di  Stefano  Infessura  cittadino  \  romano  ridotto  in 
compendio  volgare  \  mancando  il  principio,  e  \  parte  in  latino  co- 
piato I  nel  164'J.  ^^'^-  '  ^^  Il  conte  Romano  Orsino  venne  con  gente  ». 
Expl.:  «Nel  1478  a  dì  27  d'aprile  fu  ucciso...».  d 

Archiv.  sudd.  32  t.  36.  Bullae  diversorum  et  alia  varia,  sec.  xvi. 
A  e.  96  :  Historie  avanti  che  la  Corte  gisse  in  Francia.  Nel  mar- 
gine superiore  interno  :  «  Stephano  Infessura  \  cittadino  Ro- 
«  mano  |  fu  podestà  ad  Orta  |  Sotto  Xisto  iiij  .1.  37  ».  Inc.  :  «  . .  .pon- 
«  tificalmente,  et  dissegli  piglia  tesauro  ».  Expl.  (e.  98  r)  :  «  perchè 
«  voleva  occidere  Lodovico  Colonna  et  non  li  venne  fatta  ».  Fram- 
mento del  diario  dell'I,  di  sole  5  facce.  Passa  da' notamenti  del- 
l'anno 1378  a  quelli  del  1416  del  mese  di  agosto.  e 
Torino.  —  Codice  miscellaneo  di  mano  di  Girolamo  Baglioni,  vis- 


Il  diario  di  Stefano  Infessura  537 

dall'anno  in  cui  fu  fatto  papa  «  il  cardinale  di  San  Mar- 
ce tino  in  Monte»,  quello  che  aveva  lottato  con  Francia  e 
inaugurato  un  contrasto  da  cui  pareva  dovesse  uscire  la 
servitù  di  Francia  o  della  Chiesa.  E  s'incominciò  cosi: 
«  Nell'anno  Domini  mille  duecento  novantaquattro,  nella  vi- 
«  gilia  di  Natale  ».  Ed  ebbe  così  origine  tutto  il  brano,  dato 
dall'Eckhart  (col.  18^3-^4),  e  dal  Muratori  (col.  111-13), 
e  che  nella  prima  edizione  finisce  alle  parole:  «regnò  otto 
«  anni  nel  papato  »;  nell'altra  alla  linea  23  :  «  e  fu  seppel- 
«  lito  in  S.  Pietro  ». 


suto  nella  metà  del  sec.  xvii,  come  si  ricava  da  una  postilla  ri- 
cordata da  A.  Fabretti  (Cronache  della  città  ài  Perugia,  II,  105), 
che  ora  possiede  il  ms.,  il  quale  ne  parla  nella  prefazione  al  voi.  2° 
di  dette  cronache,  ed  ebbe  la  cortesia  di  fornirmi  altre  da  me  de- 
siderate notizie.  Il  ms.  misura  0,265  X  0,195.  Inc.  (f.  29  n.  m.  61)  : 
«  e  torricelli  e  le  porte  di  Roma,  massime  quella  di  Testacelo  » 
(ad  an.  1451).  Expl.  (f.  40,  n.  m.  183):  «  sed  de  his  conditionibus 
«  pacis  nihil  aliud  visum  fuit,  nisi  quod  Ursini  steterunt  in  do- 
«  mibus  eorum  et  d.  Hubertus  recessit.  Et  pax  ut  sequitur  quae  » 
(ad  an.  i486).  f 

Roma.  —  Bibl.  Vatic.  Ms.  Vat.  7838,  p.  2*,  e.  177  (n.  a.  434):  Ex 
Stephani  Infessurae  Civis  R.  Diario  \  rer.  Roman,  suorum  temporum 
posi  curiam  \  Romanam  ex  Galliis  ai  Urbem  reversam  \  usqiie  ad 
Alexandri  6  creationem.  «  Si  conserva  anco  m.s.  nella  libraria  Va- 
«tic.  I  Manca  il  principio  ».  Inc.  (e.  177):  «  Il  conte  Romano  Or- 
«  sino  venne  con  gente  mandata  dal  re  Ruberto  ».  Expl  (e.  183  v)  : 
«  si  redirc  non  posset  et  ».  Scrittura  pessima  di  mano  del  Tor- 
rigi;  à  un  frego  sopra  ogni  faccia.  È  compendio  inesatto.  g 
Bibl.  sudd.  Ms.  Capp.  181,  cartaceo,  sec.  xvii  (o,i4oXo»205), 
rilegato  in  pergamena.  Nella  rìsguarda  è  la  data:  «  7bre  1737». 
Contiene  :  Diario  historico  d'alquanti  semiantichi  successi  \  di  Roma. 
Inc.  (e.  i):  «Mentre  hcbbe  Francia  la  sedia  del  papato».  Expl. 
(e.  30  v)  :«  ridusse  al  porto  la  navicella  di  Pietro».  Segue  (e.  31): 
Quando  fu  perduto  lo  Slato  da  Papa  Eugenio  IV.  Inc.:  «  Del  anno 
«  Domini  1434  ».  Expl.  (e.  59):  «  doppo  fu  lasciato  senza  alcun  pa- 
«  gamcnto  ».  h 

Bibl.  Barberini.  Ms.  (1088  n.  ant.)  XXXV,  37.  Citato  dal  Ma- 
rini, Archiatri,  I,  199,  cartaceo,  sec.  xvii,  descritto  più  oltre,     i 


538  O.   Tommasini 


Se  non  che  a  niuno  che  paragoni  questo  principio  re- 
golare con  quello  che  è  mutilo,  sfugge  ch'esso  riposa  sul 
frammento  sincero  del  diario  dell'  L,  non  come  membro 
rotto  le  cui  parti  siano  disposte  a  risaldarsi  insieme,  ma  come 
un  cappello  qualunque  gittato  sopra  una  testa  di  statua  che 
non  à  modo  di  scuoterlo,  ma  cui  non  s'adatta  per  alcun 
verso.  Che  mentre  non  è  facile  andare  alla  fonte  o  spiegar 
la  genesi  della  leggenda  fantastica  e  frammentaria  con  cui 
l'autentica  narrazione  incomincia,  non  si  trova  difficoltà  a 
riconoscere  i  materiali  con  cui  il  fittizio  esordio  regolare 
è  composto.  Poco  Villani,  poco  della  Vita  di  Bonifacio  Vili 
di  Bernard  Gui,  poco  di  Tolomeo  da  Lucca  ;  pochi  appunti 
degli  Ada  consistorialia  e  de'  registri  de'  Cerimonieri  basta- 
rono. Il  dettato  poi  è  di  chi  sa  tornir  periodi  e  rannodarli 
con  espedienti  di  grammatica,  non  di  chi  segue  il  semplice 
impulso  del  pensiero,  di  chi  volle  racconciare,  non  di  chi 
scrisse  il  diario.  Dei  mss.  che  ce  lo  tramandano  non  n'è 
alcuno  che  offra  sentore  o  vestigio  del  dialetto  in  cui  fu 
scritto  tutto  il  resto  volgare,  del  quale  nessun  manoscritto 
à  potuto  interamente  purgarsi,  per  quanto  l'amanuense 
l'abbia  causato  a  studio  o  per  negligenza.  Le  varianti 
stesse  fra  i  codici  che  danno  l'esordio  nuovo  sono  limi- 
tatissime di  numero  e  di  natura,  e  si  riducono  per  lo  più 
a  errori  di  lettura  o  di  trascrizione.  Si  capisce  che  dove 
l'Eckhart  à  «  Quieti  »,  il  Muratori  legga  «  Rieti  »,  e  «  Ric- 
ciardo senese  »  in  luogo  di  «  Recciardo  Segese»;  che  ilms.  A 
possa  leggere  «  Agamense  »  ed  R  «  Aponense  »  dove  il 
' Muratori  e  1'  Eckhart  stamparono:  «il  vescovo  Apamense  ». 
Ma  queste  differenze  intrinseche  ed  estrinseche  fra  l'esordio 
e  il  resto  del  diario,  fra  il  modo  per  cui  ci  si  tramanda  il 
testo  di  quello  e  di  questo,  indussero  la  persuasione  che  le 
due  parti  non  àn  ragione  da  costituire  tutto  un  corpo  ;  né 
si  convenga  però  di  darle  per  tali.  Collocammo  quindi  la 
fittizia  introduzione  solo  in  fine  nell'edizione  nuova,  come 
appendice  ;  e  ci  rassegnammo,  secondo  la  nota  dei  mss.  più 


//  diario  di  Stefano  hi  fessura  539 

autorevoli  alla  convinzione  che  dei  nostro  diario  «  manca 
«  lo  principio  ». 

Per  quel  che  concerne  il  tentativo  di  ridurre  tutto  il 
testo  ad  una  lingua  sola,  due  manoscritti  rimangono  a  te- 
stimonio delle  opposte  prove  :  l'uno,  il  Corsiniano  C  3,  in 
cui  tutti  i  notamenti  son  fatti  volgari,  anzi  italiani  ;  l'altro, 
un  codice  Barberiniano,  in  cui  non  si  à  che  un  frammento 
del  diario  stesso,  e  in  cui  precisamente  la  parte  italiana  si 
trova  parafrasata  nel  cosi  detto  buon  latino  delle  scuole. 
Il  ms.  fu  cognito  al  Marini,  e,  per  la  citazione  di  lui,  al 
Fabricio.  Ma  il  Marini  lo  conobbe  male.  Lo  allegò  come 
a  Diaritim  ms.  in  Ubi,  Barber.  cod.  1088,  p.  215;  il  qual 
«non  è  altro  che  quello  dell' Infessura  fatto  latino,  ed  in 
«  alcuni  luoghi,  siccome  in  questo,  più  pieno  ».  Se  non  che 
tutto  il  più  pieno  è  nel  ripieno,  e  della  parte  che  mancava 
o  il  Marini  non  s'avvide  o  non  die  notizia. 

Ora,  questo  codice,  che  è  il  Barberiniano  XXXV,  37 
(n.  a.  1088),  e  corrisponde  colla  segnatura  alle  indicazioni 
del  Marini  perfettamente,  è  un  cartaceo  del  secolo  xvii 
incipiente.  Contiene  dalla  p.  i-io^:  Ada  \  in  longissimo 
omniu  schismate  \  Incipiente  sub  Clemente  VI  {i)  \  anno  Dni 
1)^8  deprompta  \  ex  libro  quodam.  Seguitano  poi  facciate  bian- 
che sino  alla  115,  in  cui  principiano  :  Diaria  \  sub  Bonifatio 
Nono  et  Innocentio  VII.  Nel  margine  destro  occorrono,  a 
somiglianza  degli  altri  mss.  del  diario,  note  marginali; 
come:  «  eclypsis  maxima  in  hieme  »,  «  populus  tumultuat 
«  sub  Columnensibus  et  Ursinis ,  sede  vacante  »  ;  ed  è 
questo  il  noto  passo  caratteristico  sopra  segnalato,  che  il 
traduttore  rende  in  tal  modo: 

«  Anno  1404  mense  septembris  Bonifatius  Nonus  diem  suum 
clausit,  et  Romanus  populus  tumultum  excitavit  libcrtatis  recupe- 
randae  causa  et  tota  Urbs  repagulis  referta  est,  quotidic  dimicantibus 
Ursinis  ex  una  prò  Ecclesia,  ex  altera  Columnensibus   prò  populo. 

(i)  Sopra,  a  lapis:  «  Urbano  et  ». 


540  O.   Tommasini 


Interim  Capitolium  et  turris  noncupata  del  Mercato  defecerunt  ad 
favorem  popuH;  quo  cognito  Ursini:  eadem  die  Vesperi  in  Urbem 
per  portam  Castri  S"  Angeli  ingressi  sunt  ut  Capitolio  suppetias 
ferrent,  erant  enim  a  multis  Romanis  comitati,  qui  Ecclesiae  partes 
sequebantur  et  dum  pervenissent  ad  domum  illor.  de  Rubeis,  Co- 
lumnenses  cum  populo  illis  occurrerunt  et  praelium  ibi  factum 
est  in  quo  utrìnque  perierunt  non  pauci,  inter  quos  Pancellottus  Ur- 
sinus,  sed  tandem  victores  remanserunt  Columnenses  a  maiori  po- 
puli  parte  sequuti,  quare  Ursini  se  contrahere  coacti  sunt  ad  lordanum 
Montem  ». 

Il  passo  relativo  alla  morte  del  Porcari  è  poi  latineg- 
giato in  guisa  da  sopprimere  ogni  menzione  dell'I.,  che 
nel  testo  volgare  si  afferma  testimonio  di  veduta  : 

P.  178V,  lin.  io:  «  Die  9  ianuarii  die  Martis  suspensus  est  Ste- 
phanus  Porcarus  in  Arce  S^i  Angeli  uni  pinnarum  turris  quae  de- 
storsum  {sic)  est  dum  intras.  Hic  Stephanus  fuit  vir  bonus,  amator  pacis 
et  libertatis  Urbis,  quare  ut  patriam  liberam  redderet  dum  desperatus 
propter  indebitam  eius  relegationem  proditionem  praefatam  machina- 
retur,  seipsum  et  animum  suum  labefactavit  et  perdidit.  Fertur  ille 
humatusin  Traspontina  ecclesia  seu  in  flumen  proiectus.  Eodem  die 
suspensi  sunt  in  furcis  Capitolinis  absque  sacramentis  Ecclesiae  An- 
gelus de  Mascio  et  Clemens  eius  fìlius,  qui  ne  patrem  suspensum 
videret,  petiit  ut  pileus  sibi  ante  oculos  superponeretur;  quod  factum 
fuit;  laqueo  etiam  occubuit  Savus  Octaviani  et  alii  multi,  quorum 
numerus  novenarius  fuit,  mortis  eorum  causa  in  sententia  lecta,  fuit 
huiusmodi,  quia  Stephanus  Porcarius  pontifìcem  Nicolaum  et  aliquos 
cardinales  captivos  facere  tentaverat  ut  multas  postea  diriperet  de- 
mos et  stupra  committerent  ». 

Né  parimenti,  ove  al  luogo  ben  cognito  F I.  accenna 
alla  sua  potesteria  di  Orte,  nel  1478,  si  fa  menzione  al- 
cuna di  lui.  La  frase  poi  corre  a  tal  guisa.  Dove  si  ac- 
cenna alla  porta  S.  Paolo,  il  traduttore  volge  :  «  Trigemi- 
«  nam  idest  S.  Pauli»;  perla  porta  del  Popolo,  «perflu- 
«  mentaneam  portam  )>  ;  dove  verrebbe  alle  prese  col  volgare 
e  colle  corruzioni  dei  mss.  :  «  si  ruppe  lo  arrizzatore  »  (i), 
à  «  auditorio  fracto  »  (!).  Ecco  poi  saggi  dello  stile  : 

(i)  Mss.  E,  S  :  «  accrizzatore  »  ;  C,  M  :  «  accrizatore  »;  R  :  «  aggrez- 
zadore  »•;  S  :   «  assidatore  »  ;  R^:  a  accidatores  »  ;  C^:  «  adrizzatore  ». 


Il  Diario  di  Stefano  In  fessura  541 


Ed.  MuR.  (col.  1118,  Un.  56-8).  Ms.  p.  124  v.,  lin.  15. 

«  E  rimase  Paolo  Orsino  al  soldo  «  Et  sub  Ecclesia  merebat  Paulus 

di  Santa  Chiesa  insieme  col  le-  Ursinus  apud  eundem  legatus»_ 
gato  sopradetto  ». 

«  e  devoli  Maritima  et  Campagna  «  et  ad  quinque  annos  Maritimae 

per  cinque  anni  ».  et  Campaniae  illum  praefecit  ». 

P.  225,  lin.  13. 
«  Eodem  anno  a  dì  12  di  ìuglio  «  Die  1 1  iulii  papa  Roma  di- 
se  partì  lo  papa  et  tornò  ad  Brac-  scessit  et  Braccianum  petiit.  Die 
ciano,  et  a  dì  29  del  ditto  mese  29  eiusdem  sol  obscuratus  est,  et 
scori  lo  sole,  et  fo  la  ecclisse  defectus  apparuit  ad  horam;  die 
per  un  bora  vel  circa,  et  depò  vero  16  septembris  pontifex  ad 
a  di  16  de  settembre  lo  papa  Urbem  rediit  ». 
tornò  a  Roma  ». 

Insomma  l'odor  del  latino  gesuitico  di  Famiano  Strada 
o  del  Cordara  in  tutta  questa  versione  si  fiuta  mille 
miglia  lontano.  Termina  allapag.  225  colle  parole:  «pon- 
ce tifex  ad  Urbem  rediit.  Reliqua  diariorum  Sixti  quarti 
((  videas  in  voi.  cui  tit.  :  Relationes  variae  et  Diaria  Sixti 
«  Quarti  y). 

Dell' azzi matura  più  completa,  con  acconcia  separazione 
di  parti  e  ricchezza  d' indici  per  ciascuna  di  Qsse,  e  abbon- 
danza di  rubriche  rimane  esempio  il  manoscritto  Chi- 
giano  C^  il  quale  mostra  tutto  quel  che  la  critica  storica 
nel  tempo  in  cui  venne  ordinato  poteva,  raffazzonando  se- 
condo suoi  criteri  il  testo,  anzi  che  tentare  di  ricondurlo, 
per  quanto  è  sperabile,  alla  originale  schiettezza. 

Ora,  accingendoci  a  tentar  la  compagine  del  diario  e 
a  trarne  poi  la  caratteristica  dell'autore,  non  ci  sembra  su- 
perfluo di  riassumere  anzitutto  in  uno  specchio  comples- 
sivo le  note  croniche  di  cui  è  contesto  (i)  : 


(i)  Indichiamo  con  numero  romano  i  mesi,  secondo  il  loro  ordine 
progressivo  dall'  I  al  XII,  cominciando  dal  gennaio.  Le  cifre  arabe 
dopo  queste  indicano  i  giorni  dei  mesi.  I  puntolini  dopo  il  numero 
romano   significano  che  manca  nel  diario   l'indicazione   del  giorno 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XI.  36 


542  O.   Tommasini 


(0  (1303),  X  8  (a).  1416,  vili  ...,  XII  ... 

J358,  1417, ,  VIII  28*,  XI  II*. 

1376,  1420,  IX  28,  (29). 

13 14,  C3).  1422,  XI  30. 

1361,  Vili  21.  1423,  V  ... 

1378,  VII  16,  X  ...  1424,  VI  2*,  16,  VII  21,  8*. 

1379*,  XI  9-  143 1.  II*  12,   19,  20,  III   I,  3*, 

1389*, II*,  16*. 

1404,  I  I,  III  17,  IX  i,X  IO,  15.  1432,  IV  15*,  23*,   VI    3,    20*, 

1405,  IV  25,  Vili  2,  3,  5,  6,  20,  VII  17*,  X  22,  VI  4*. 

21,  23,  26,  IX  I.  1433,  IV  7  (8),   17,  V  21*,  31, 

1407*,  IH*  13,  XI 7*,  14,  XII I.  VI  17,  vili  25,  XII 5. 

1408,  IV  18,  21.  1434*,  X  5,  V  29,  V  31,  VI  14, 

1409,  IV  25*,  VI  19*,  21,  27.         20*,  X  27. 

1410,  X  ...,  XII  27,  30.  1436,  III  20,  V  19,  VI  3,  VIII ... 

141 1,  ,IV2*.  1437,  IV...,  VII... 

1413,  VI  ...,   III  13,   VII  ...  1438  ,  IV   12,  VIII  22*,   IX  4, 

1414,  IX    13    (15),    16,   X  ...,  XI  8,  2,  4. 

XII  9*.  1439,  V  ...,  XI  ...,  III  19,  IV  2. 


nel  mese;  dopo  il  numero  dell'anno,  che  manca  ogni  indicazione 
particolare.  I  numeri  in  parentesi  son  quelli  che,  desunti  dal  contesto, 
non  si  trovano  esplicitamente  determinati  nel  diario.  Nel  pseudo  prin- 
cipio s'incontrano  le  date  1294,  XII  24;  1295,  XI  30. 

(2)  Data  erronea,  originata  probabilmente  dall'aver  1'  I.  interpre- 
tato doppiamente  male  il  testo  latino  di  Bernard  Gui  :  «  obiit  Ro- 
«  mae  .v.  id.  oct.,  sequenti  vero  die  fuit  in  tumulo,  quem  sibi  vivens 
«  praeparari  fecerat,  tumulatus  in  eccl.  S.  Petri  ».  È  ovvio  che  l'I.  pose 
anzitutto  per  inavvertenza  gl'idi  d'ottobre  ai  13,  come  i  mesi  comuni 
del  calendario,  e  non  ai  15  dì,  e  che  dopo  errò  anche  d'un  giorno 
il  computo.  Gio.  Villani  (Cron.  VIII,  63)  ponendo  la  morte  di  papa 
Bonifacio  a'  di  12,  sbagliò  pur  egli  probabilmente  nel  tradurre  la 
data  dal  latino.  Quanti  errori  consimili  non  anno  forse  la  causa 
istessa  ! 

(3)  Alcuni  mss.  anno  1324,  altri  13 14.  L'equivoco  della  cifra  i  per  7, 
del  6  per  9,  del  9  per  2,  la  sostituzione  di  cifre  arabiche  o  di  pa- 
role a  numeri  romani  o  viceversa  àn  dato  luogo  a  frequenti  discre- 
panze dei  mss.  e  ad  errori  delle  edizioni  e  degli  storici  che  vi  si 
sono  affidati.  Notiamo  con  asterisco  le  date  intorno  alle  quali  vi  à 
discordanza  nei  mss. 


//  diario  di  Stefano  Infessura  543 


1440,  V  (26).  1468,  XII  24*,  (31). 

1442,  XII,  15.  1469,  I  1,9,23. 

1443  *,  V  27,  IX  28,  (29),  XII  8*.  1470,  V  18,  VI  26,  XI  3,  VII  8. 

1444*,  IX  12.  1471,  IV  i,VII  2j,  Vili  6,9,25, 

1446,  VII*  5.  XII  ... 

1447,  I  9'  II  12,  23,  III  4,6*,  18,  1472,  I  ...,  II  27*,  V  28. 

VI  8,  24*.  1473,  I23,IV29,  VW,7,(8,9, 

1448,  IV  25 ,  V  23*,  Vili  29,  IO),  VI  29. 
IX  ...,  X  23,  XI  4,  XII*  1474,  I  5. 

20*.  147$*,  I  6,  XI  II,... 

1449,  IV  23,  27.  1476,  IV  30,  I  8,  IV  25,  VI  IO*, 

1450,  XII  19*.  12,  13,  VII  6,  XII  17,  26. 

145  I,  1477,  III   15,  VI  23,  26,   vili  21, 

1452,  III  8*,  9,  IO,  i8*,  IV  22.  IX  3,  XII  ...  15. 

1453,  I  5,  9*,  12*,  30,31,  VII  8.  1478,  IV  27,  V4,  12,  VII  12*,  29, 

1454,  X  12,  13*.  IX  16. 

1455,  III  ii*>  24*,  IV  8,  VI  29,  i479>  XI  I. 

XI  21*,  23.  1480,  I  8,  V  17*,  Vili  2,  IX  8. 

1456,  VII  ...,24,  Vili  22,  XII  24*.  1481,  III  3,  V28*,  IX,  13*. 

1457,  XII  24.  1482,  IV  4,  14,  V  21,  22,  VI  2,  3, 
1458*,  II...,  X*   I*,  VII*,  13*,  5,  6,  VII  12,  8,  13,  16,21, 

Vili,  6,  14*,  19,  IX  3,  XII  27*,  20*,  VIII  I,  8,  12*,  15, 

22.  16,  19,  22,  24,  30,  IX  15, 

(1459),  I  22;  1459,  III  •••*»  V  16,  XII  27,  30. 

25,  X  5,  29,  (30).  1483,  V  27*,  XI  15. 

1461,  III  27*,  (VI  29).  1484,  V  30,  VI  I,  2,  4,  5,  7,  (li), 

1462,  IV  12,  V  4.  (13),  18,   20*,  23,  25,  27, 
1464*,  VI  19,  (Vili)  (0,  14,  28*,  29*,  30,  VII  2,  4,  16,  (17), 

30,  IX  3,  16,  XI  6*,  II*,  (18),  20,  23,  24,  27, 30,  31, 

XII  IO*.  Vili...,  5,6,9*,  10,11,12, 
1465,  IV  22,  VI  2*,  IX  14*,  20,  (13),    14,   (15),   (16),    17, 

XI  25.  (18),  22,  24,  25,  26,  29,  XI 

1467,  VII  8*,  IX  18,  29,  XI  20*.  22. 


(i)  Quantunque  redizione  Muratori  (col.  11 39,  Un.  59)  legga  in 
questo  luogo:  «  eodem  anno  a  dì  14  di  agosto  si  mori  Io  detto  papa 
a  Pio  II  »,  i  mss.  da  me  riscontrati  e  l'edizione  d' Eckhard  non  re- 
cano alcuna  menzione  del  mese. 

(2)  Il  Muratori  corregge  :  «  mense  iunii  »  ed  a  ragione  ;  ma  i  co- 
dici da  me  riscontrati  danno:  «  mense  may  ».  Lasciammo  però  l'ine- 
sattezza all'  I. 


544  ^-   Toinmasini 


1485, 1 6  (x),iii ...,  VI (23), (24),     1489,  ni  (21)  (4),  VI  13,  14, 30, 

VII  14, 20, 2 i,X  16*,  19  ...,  IX  4,  X  19,  27,  XI  15. 

XI  ...,  (30),  XII  IO,  15,  16,  1490,  ,  V  7,  IX  27,  28,  X  26> 

28.  XI  20,  30,  XII  28,  29*. 

i486,  I  4,  5,  6,  7,  21,  II  20*,  III  1491,  VI  I,  18,  6,  9,  VIII  ...,  23^ 
17*,  V^..,  30,  VI  (9)  i^\  24. 

(12),  ...,  19,  (24),  28*,  29,  1492,  II I,  IV  (19),  (22)  (s),  V  27, 

VII  2,   13,   17,  19*,  26,  28,  31,  VII*  16,  22,  25,  26,  28, 

VIII  4,  II*,  12,  14,  15,  24*,  Vili  I,  6,  30*,  II,  26*,  IX 
IX...  3,4,  XII... 

1487,  V  ...,  VI  20  (3),  26,  29,  VII       1493,  IV  25,  VI  10,11,  12,29*, 

5,  VIII  9,  17*,  18*,  25,  X  VII  3,  (7),  23,  24,  28,  20, 

15*.  '  X  21,  27. 

1488,  I  I,  IV  7,  V  I,  VI  2,  13,       1494,  I  20,  II  4,  IV  22. 

VII  8*,  15. 

Da  questo  prospetto  vien  fatto,  innanzi  tutto,  di  rilevare 
il  gran  numero  di  date  intorno  alle  quali  i  manoscritti  di- 
scordano ;  poi  la  relativa  scarsezza  dei  notamenti  del  diario, 
se  si  eccettuino  quelli  degli  anni  1482,  '84,  '85,  '8^,  '92, 
'93  ;  poi  la  rarità  delle  note  croniche  ne'  singoli  anni,  che 
s'incomincino  dal  gennaio;  e  finalmente  la  lunga  distesa 
di  tempo,  per  mezzo  alla  quale  saltuariamente  procede;  e 
soprattutto  i  molti  anni  e  lontani  fra  cui  si  trascorre  nel- 
r  introduzione. 

Ora,  da  quelle  date  rispetto  alle  quali  si  à  poca  concor- 
danza dei  manoscritti,  sorge  tosto  il  difficile  compito  d' in- 

(i)  La  data  «  .xxii.  novembris  1884»  si  trova  intercalata  dopo 
questa. 

(2)  Il  testo  à:  «  prima  hebdomada  iunii  die  Veneris  ».  Deve  per- 
tanto intendersi  o  il  2  o  il  9  del  mese.  Così  interpretammo  il  12, 
dal  dato:  «die  lunae  proxima  tunc  futura». 

(3)  Il  testo  à  :  «  die  vigesima  vel  circa  ». 

(4)  Il  testo  à:  «  mense  martii  in  die  qua  itur  ad  lerusalem  »,  cioè 
la  domenica  laetare. 

(5)  1  mss.  anno:  «  die  dominica,  videlicet  die  pasquae  et  secunda 
«die  dicti  mensis  ».  E  cosi  le  edizioni;  ma  parve  naturale  di  sup- 
plire «  vigesima  et  secunda  dicti  mensis  »,  restituendo  colla  parola 
sfuggita  agli  amanuensi  la  data  vera  della  pasqua  di  quell'anno. 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura  545 

vestigar  le  cause  dell' aberrazioni,  più  che  non  emerga  la 
possibilità  di  facile  fede  rispetto  a  quelle  intorno  a  cui  si  à 
il  consenso  dei  codici.  Infatti,  i  codici  convengono,  per 
esempio,  a  porre  l'elezione  di  Bonifacio  IX  nel  1382;  ma 
chi  non  vede  in  questo  caso  l'ovvio  tramutamento  del  ^ 
nel  2  che  die  luogo,  probabilmente,  ad  una  universale  devia- 
zione dall'autografo  ?  In  altri  casi,  per  converso,  è  una  du- 
plice lezione,  sempre  errata  e  diversamente  errata,  che  ci 
conduce  a  ristabilire  la  giustezza  del  presunto  testo  originale. 
L'  I.,  come  sogliono  tutti  i  cronisti  del  medio  evo,  indica 
assai  spesso  il  giorno  dell'anno  dalla  festa  del  santo  che  ri- 
corre nel  calendario  ecclesiastico  ;  e  talvolta  accoppia  anche 
questa  indicazione  colla  data  astronomica.  Ora,  il  calendario 
pone,  per  esempio,  la  festa  di  san  Leonardo  a'  dì  6  di  no- 
vembre. Questa  festa  era  tra  le  più  cognite  e  certe  in  Roma, 
dove  il  nome  di  Nardo  occorreva  comune  nell'uso  del  po- 
polo. Dicendo  pertanto  l'I.  nel  14^4:  «lo  di  di  santo  Lo- 
ft nardo  »,  egli  sapeva  benissimo  di  dar  ad  intendere  la  data 
che  corrispondeva  alla  festa,  cioè  il  di  6  di  novembre.  E 
aggiungendo  in  seguito  l'accenno  di  «  doi  dì  seguenti», 
era  chiaro  che  determinava  anche  il  di  otto  del  novembre 
medesimo.  Se  non  che  i  manoscritti  fecero  qui  un  gran 
garbuglio.  Alcuni  posero  accanto  all'  indicazione  della  festa 
ecclesiastica  la  data  «  a  dì  5  »  ;  chi  copiò  omise  forse  l'asta 
del  numero  romano  «  a  dì  .vi.  »  nel  trascrivere  la  data 
stessa  in  cifre  arabiche  ;  e  aggiunse  di  soprappiù  per  trasan- 
datezza  «doi  dì  sequenti  che  fo  a  dì  17  ».  Altri  poi,  come 
R^  per  non  saltare  di  pie  pari  dodici  giorni  in  luogo  di 
due,  avvertito  della  seconda  trascuraggine  piuttosto  che 
del  primo  errore  nella  datazione  dal  calendario  ecclesiastico, 
pose  la  festa  «  a  di  15  »,  ma  i  due  di  seguenti  ai  18;  onde 
è  lecito  di  congetturare  che  dovette  ben  esistere  un  buon 
testo  primitivo  che  dava  la  lezione  corretta  :  «  a  di  .vi.  »  e 
«  doi  di  sequenti  che  fo  a  di  .vili.  »  ;  ma  questa  fu  poi 
guasta  da  chi  avanzò  il  fatto  di  dieci  giorni,  secondo  due 


54^  O.   Tommasini 


maniere  diverse  di  corruzioni,  che  appena  ora  si  possono 
raccapezzare  e  medicare,  ragguagliandole  insieme. 

Con  tutto  ciò  non  è  a  credere  che  della  inesattezza  delle 
note  cronologiche  sia  da  attribuire  tutta  la  colpa  a  trascu- 
raggine  d'amanuensi.  Pur  troppo,  anche  rispetto  ai  fatti  di 
cui  fu  testimonio  contemporaneo,  T  I.  non  è  sempre  regi- 
stratore preciso. 

Del  convito  d'Eleonora  d'Aragona,  in  cui  fu  profusa 
tanta  dovizia  da  provocare  T  ironica  esclamazione  di  lui  : 
«  in  qualche  cosa  bisogna  che  si  adoperi  lo  tesauro  della 
«Ecclesia!»,  ei  sbaglia  la  data,  ponendola  sbadatamente, 
come  vedemmo,  nel  maggio,  anzi  che  nel  giugno,  quan- 
tunque la  designi  pur  giustamente  secondo  i  giorni  della 
settimana.  E  la  stessa  incertezza  si  rileva  nella  determi- 
nazione degU  anni,  sia  ch'egli  stesso  abbia  notato  «  eodem 
«  anno  »  come  alla  prima  annotazione  dell'anno  1449  «  a 
«di  23  d'aprile»,  dov'era  necessario  di  segnare  invece  a 
margine  l'anno  nuovo  ;  sia  che  la  nota  marginale  sia  sfug- 
gita agli  amanuensi,  o  che,  pe'  tempi  anteriori  a  suoi,  egli, 
attingendo  a  fonti  che  noveravano  gli  anni  ah  incarnatione, 
abbia  fatto  male  la  riduzione,  o  mal  tradotto  dal  latino  in 
volgare.  È  certo  che,  secondo  lo  stile  romano,  ei  chiama 
il  primo  di  gennaio  «  lo  di  di  capo  d'anno  »  (i)  ;  ma  non 
è  men  vero  che  assai  di  rado  le  note  annali  ch'egli  re- 
gistra cominciano  prima  del  terzo  mese.  Può  essere  ef- 
fetto di  caso;  può  essere  che  tardi  egli  abbia  raccolto, 
come  il  notaio  Caffari,  «  multa  et  diversa  in  diversis  codi- 
«  cibus  diversis  annis  et  temporibus  sparsa  »  ;  può  essere  che 
questo  tardo  raccozzamelo  di  date  sparse  spieghi  anche  l' in- 
tercalamelo delle  date  anteriori  dopo  le  posteriori,  non  in- 
frequente. Ma  quel  che  salta  agli  occhi  subito  è  che  i  due 
nuclei  principali  del  diario  sono  il  brano  de  hello  commisso 
Inter  Sixtum  et  dominum  Rohcrtum   de  Arimino  ex  una,  et 


(1)  Infessurae  Diar.  ad  ann.  1469. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  547 

regtm  Ferdinandum  ducemque  Calabriae  ex  altera  parte  e 
la  narrazione  della  presura  e  morte  del  protonotario  Co- 
lonna, tutti  e  due  composti  con  gran  sentimento  di  affetto 
romanesco  e  di  clientela  verso  la  popolare  famiglia  dei 
Colonnesi  (i).  Tutto  il  resto  è  ravvicinamento  di  cellule 
più  o  meno  vaghe,  richiamate  da  parti  diverse,  senza  con- 
tinuità, senza  proporzionata  importanza,  ma  ordinate  in- 
sieme tuttavia,  come  in  servizio  di  un  medesimo  sistema 
d' idee,  non  tanto  soggettivo  e  individuale,  quanto  popo- 
lare e  pubblico  ;  donde  risulta  il  pregio  principale  all'opera 
dell'  I. 

Se  non  che,  se  abbiamo  già  avuto  luogo  a  discernere 
come  male  egH  si  dibatta  colle  relazioni  di  tempo,  non 
però  armeggia  meglio  con  quelle  di  spazio.  Prescindendo 
dagli  svarioni  degli  amanuensi  che  manomisero  i  nomi  dei 
luoghi  e  fecero  del  Monte  degli  Orsini,  «  M.  Ursin  »,  «  Mar- 
ce cici  »,  (c  Marini  »  e  peggio  (2),  che  scambiarono  Sulmona 
con  Sermoneta,  Troia  con  Stura  (Astura),  Mazzano  e  Naz- 
zano  con  Genazzano,  Genazzano  con  Genzano,  Teano  con 
Ceccano,  Capua  con  Mantova,  prescindendo  dagli  svarioni 
o  equivoci  che  fecero  comparire  Antonio  Caldora  per 
Antonio  da  Pontedera,  Baltasar  de  Rivo  per  Baltasar  da 
Offida,  noi  vediamo  1'  I.  confondere  Basilea  con  Costanza 

(i)  Cf.  Diar.  ad  ann.  1404.  Come  la  Chiesa,  che  avea  stretto  col 
popolo  di  Roma  il  patto  di  Giacobbe  con  Esaù  famelico,  considerasse 
i  Romaneschi,  veggasi  nel  Libro  della  vita  et  delle  visioni  della  beata  Frati' 
cesca  altramente  delti  Poniiani,  di  prete  Giovanni  Mattiotti,  ed.  Ar- 
mellini, Roma,  Monaldì,  1882,  p.  113  :  «...  poni  bene  cura  alli  spiriti 
«  romaneschi,  non  so  cica  liali,  et  sono  vili  et  tristi,  se  lassano  in- 
«  gannare  alli  proprii  siei,  alla  superbia  naturale  che  li  fa  vergognare  ». 
Questa  edizione  è  peraltro  tanto  inesatta,  che  chi  vuol  servirsi  di  questo 
prezioso  monumento  della  letteratura  dialettale  del  sec.  xv  come  ter- 
mine di  ragguaglio,  deve  ricorrere  al  ms.  dell'archivio  Vaticano, 
fondo  di  Castel  S.  Angelo,  XII,  I,  23. 

(2)  SoucHON,  Die  Papstwahkn  von  Bonifa\  Vili  bis  Urban  VI, 
p.  29:  «  der  schlechtc  Druck  liest  Mercici  a. 


548  O.   Tommasini 


e  i  due  concili  che  nelle  due  città  si  tennero;  confusione 
che  è  tutta  sua,  e  che  mostra  com'egli  non  andasse  colle 
sue  nozioni  geografiche  molto  oltre  le  porte  di  Roma. 
Che  anzi  le  stesse  menzioni  topografiche  dei  luoghi  e 
monumenti  della  città  additano  com'egli  si  tenesse  ancora 
più  presso  alle  fantasie  e  tradizioni  del  popolo  registrate 
dal  Muffel  (i),  suo  contemporaneo,  che  alle  critiche  ed 
erudite  instaurazioni  del  Biondo  da  Forlì  e  alle  divinazioni 
di  Pomponio  Leto  e  della  sua  Accademia,  pur  essi,  vana- 
mente, contemporanei  suoi.  Che,  se  anche  per  le  designa- 
zioni topografiche  è  a  mondarlo  delle  scorie  degli  ama- 
nuensi, e  restituire^  ad  esempio,  «  pel  aviello  »  in  vece  di 
«  pelacciello  » ,  «  porta  Accia  »  invece  di  «porta  Avia», 
«  lopa  de  metallo  »,  la  famosa  lupa  Capitolina  al  Laterano, 
invece   dell'  «  opera  de  metallo  »   (2),  passata  malamente 


(i)  Cf.  N.  MuFFELS,  Beschreibung  der  Stadi  Rom,  128*^  publication 
des  litterarischen  Fereins  in  Sbittgai't,  iSyé. 

(2)  Questa  lezione  originò,  come  è  ovvio,  dalla  cattiva  interpre- 
tazione della  voce  «  lopa  »  da  parte  degli  amanuensi  e  degli  editori. 
Questa  «  lopa  »,  che  altro  non  è  se  non  la  lupa  di  bronzo,  ora  nel 
museo  Capitolino  e  che,  non  ostante  le  affermazioni  autorevoli  in 
contrario,  è  lecito  dubitare  che  sia  monumento  romano  dell'età  an- 
tica repubblicana,  nella  edizione  della  Mesticanza  di  Paolo  Petroni, 
diventò  «la  lepa  di  metallo»  (Cf.  Muratori,  SS.  XXIV,  col.  120). 
I  copisti  che  non  intendevano  le  ragioni  dialettali  che  nella  regione 
romana  facevano  «  lopa  »  della  lupa  e  «  Montelopo  »  di  Montelupo  (per 
Monteluco)  credettero  poi  di  sciogliere  la  voce  «  lopa  »  e  d'interpretare 
l'omissione  di  una  abbreviatura  nel  p.,  d'onde  trassero  «  l'opera  ».  Da 
questa  erronea  trascrizione  ebbe  ad  originare  la  lezione  a  stampa. 
La  cosa  più  singolare  è  che  il  Rohault  de  Fleury  (Le  Latran  au 
moyen  àge,  498),  pubblicando  estratti  del  catasto  della  basilica  Late- 
ranense  compilato  da  Agostino  delle  Celle  nel  1450,  stampò:  «casa 
«  una  posta  in  nela  piaza  de  Sancto  Ianni  dove  sta  la  lopa  et  opera 
«  de  metallo  »,  mentre  invece  nel  codice,  che  per  cortesia  del  reve- 
rendissimo Capitolo  potemmo  osservare,  a  e.  xx  v  si  legge  indubita- 
tamente: «  dove  sta  la  lopa  et  Marche  de  metallo  »,  cioè  Marco  Au- 
relio. 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  549 

nelle  edizioni,  riman  sempre  a  suo  carico  la  «  colonna 
«  Adriatica  »,  ch'egli  indica  al  modo  stesso  del  Prospettivo 
milanese  (i). 

Dapoichè  una  cosa  è  a  riconoscere  :  che  dell'  I.  bisogna 
dire  quel  che  altra  volta  dicemmo  del  Godi  e  del  Bripio  (2). 
Egli  vive  immezzo  alla  cultura  del  Rinascimento  come  un 
uomo  del  medio  evo;  sa  di  giure  e  si  ravvoltola  nell'eser- 
cizio della  sua  pratica,  ma  la  fonte  gliene  riman  torbida 
e  immota.  L'onda  classica  bensì  lo  lambisce,  ma  non  lo 
vivifica;  l'accademia  gì' inocula,  come  un  pregiudizio  di 
più,  la  triste  passione  dei  distici  messi  a  servizio  de'  pette- 
golezzi e  dell'odio  ;  ma  il  latino  di  lui  non  è  mai  quel  del 
Valla,  bensì  quello  che  s'andava  travolgendo  in  curia  nel 
gergo  dei  cerimonieri;  quello,  a  un  dipresso,  dell'autore 
delle  Gesta  Benedicti  XIII  (^^^,  dove  le  matelacia,  le  scutellae 
sive  piati,  le  taxeae,  i  picherii  invadono,  colle  necessità  bar- 
bariche del  linguaggio  vivo,  la  rigida  e  pulita  immobilità 
della  lingua  morta.  Così  l' I.  scrive  :  «  prò  bono  foro  »  per 
«  a  buon  mercato  »  ;  «  in  capite  quinque  dierum  »  per  «  a 
capo  a  cinque  giorni  »  ed  «  erexit  se  in  pedes  »  per  «  si  levò 
in  piedi»,  e  poi:  magaiena,  fumarii,  fortelicia,  barilia,  boti- 
glios,  hutigliomm,  petias  drappi  imbracati,  artellaria,  tendae  et 
padigliones,  partisciana,  setolare.  Questo  latino  del  diario  suo 
non  sarà  diverso  da  quello  dell'altro  Ubro  che  gli  si  attri- 
buisce :  De  comuniter  accidentibtis  ;  ma  che  distanza  da 
questo  a  quel  del  Biondo,  del  Valla,  di  Poggio  e  del  Bruni! 
Del  resto  i  contatti  dell'  I.  col  mondo  classico  non  paiono 
né  molteplici  né  frequenti.  Egli  cita  una  volta  Ovidio  (4); 
una  volta  Giovenale  (5);  ma  l'allusione,  quantunque  strana, 

(i)  Prospettivo  milanese,  Antiquarie  prospettiche  romane  in  Atti 
d.  R.  Acc.  dei  Lincei,  IIP  par.  3,  p.  51. 

(2)  Cf.  Arch.  della  Soc.  Rom.  di  si.  patria,  III,  85  e  sgg. 

(3)  Muratori,  Stript.  Ili,  777  e  sgg. 

(4)  Cf.  ediz.  Muratori,  Ioc.  cit.  col.  1225. 

(5)  Cf.  ediz.  cit.  col.  1230,  lin.  30-31. 


550  O.   Tommasini 


alla  Tulliola  di  Cicerone  vedemmo  che  non  gli  appartiene  ; 
è  amico  di  messer  Pomponio,  raccoglie  pasquilli  contro 
Sisto  IV,  Innocenzo  Vili,  Alessandro  VI,  ma  solo  perchè 
la  curia  e  la  città  ne  rigurgitano  ;  e  non  è  da  credere  che 
il  brutto  epigramma,  soppresso  nell'edizione  del  Muratori, 
riferito  in  quella  dell'Eckhart  (i),  gli  spetti  come  ad 
autore  (2).  Allega  una  volta  il  Platina  (3)  come  autorità 
storica;  un  volta  un  versetto  di  salmo,  per  maHgnarvi 
intorno  alla  fecondità  di  papa  Cibo,  giovane  e  genovese  (4); 
altra  volta  come  dictum  Apostoli  una  sentenza  (5)  che  né 
nelle  lettere,  ne  negli  Atti  degli  Apostoli  si  trova  certo; 
ma  di  queste  inesattezze  di  citazioni  negli  scrittori  del  se- 
colo XV  non  è  penuria  né  maraviglia.  Bensì  la  vera  auto- 
rità che  lo  domina  e  gli  pervade  lo  spirito,  l'autorità  che  gli 
sostiene  il  senso  morale  ferito,  che  gli  nudrisce  l' ironia  e 
la  speranza  civile  é  quella  della  profezia. 

Il  calabrese  abate  Giovacchino 
Di  spirito  profetico  dotato, 

che  Dante  (^)  pose  immezzo  ai  campioni  dell'esercito  di 
Cristo,  nell'alto  del  Paradiso,  l'unico  profeta  che  in  tutta 

(i)  Ed.  EccARD,  loc.  cit.  col.  1949,  lin.  21  e  sgg.  Cf.  Pasquilli, 
Eleutheropoli,  1544,  pp.  5,  76-78. 

(2)  Le  parole  che  precedono  immediatamente  l'epigramma  indi- 
cato variano  secondo  i  mss.  L'Eccardo  legge,  insieme  con  i  codici 
B5,  F^,  PS;  «  ego  tamen  suscepi  carmina  infrascritta  ».  A,  a,  h,  B*, 
B3,  F^  G,  L%  M3,  M^  O,  OS  K\  S,  V,  V^:  <c  ego  tamen  scripsi  carmina 
«  infrascripta  »  (B3  omette  poi  l'epigramma).  A^  B,  B^,  B^,  CS  C^,  F\ 
L,  L^  L3,  L^  M,  P,  P^  :  «  carmina  infrascripta  inscripsi  ».  F,  F3,  N  : 
«  crimina  infrascripta  inscripsi  ».  S^  :  «  suhscripsi  carmina  infrascripta». 
P^:  «  infrascripta  carmina  condidi».  Omettono  l'epigramma  e  le  pa- 
role che  lo  precedono  B3,  CS  C3,  V^ 

(3)  Ed.  Muratori,  loc.  cit.  col.  12 16,  lin.  52:  «  ut  legitur  in  Pla- 
ce tina  tempore  dicti  lohannis  papae  undecimi  ». 

(4)  Diar.  ad.  ann.  1484,  psal.  128,  v.  3. 

(5)  Ad  ann.  1489  :  «  de  male  acquisitis  non  gaudebit  tertius  haeres  ». 

(6)  Paradiso,  XII,  140. 


Il  Diario  di  Stefano  Infessiira  551 

Téra  cristiana  egli  conobbe  dopo  gli  Apostoli,  è  anche  per 
r  I.  un,  lume  lucente  che  accerta  il  passato  e  il  futuro.  È 
lui  che  «  scripsit  de  pontificibus  futuris  usque  ad  nostra 
«  tempora  »;  è  lui  che  «visse  a'  tempi  di  san  Cataldo  »,  del 
quale  ultimo  pur  si  dissotterra  nel  1492,  a  terrore  di  re  Fer- 
dinando, una  profezia  novella  (i).  Quando  Bonifacio  Vili 
muore  come  un  cane,  nella  leggenda  con  cui  incomincia 
il  diario,  egU  non  fa  che  finire  «  la  sua  profetia:  intrabit 
«  ut  vulpis,  regnabit  ut  leo,  morietur  ut  canis  »  (2).  E  tutto 
quel  viluppo  di  dettami  profetici  che  pigliavano  nome  dalla 
Sibilla,  da  Merlino,  dall'abate  di  Fiora,  da  Cirillo,  le  cui 
tavole  argentee  esercitarono  già  tanta  potenza  sulla  fantasia 
di  Cola  di  Rienzo  (3),  quelli  di  Telesforo  da  Cosenza  sopra 
d'ogni  altro,  tale  un  predominio  avevano  preso  sull'  im- 
maginazione del  popolo  da  sostenere  colla  speranza  nei  mu- 
tamenti, che  le  profezie  promettevano,  la  fede  dei  cristiani 
scossa  nel  veder  la  già  unica  Chiesa  divisa  dallo  scisma,  por- 
tata via  dalla  sede  tradizionale  ed  eterna  di  Roma,  marcia 
per  la  potenza  mal  goduta,  per  le  ricchezze  mal  profuse 
del  clero,  per  la  povertà  evangelica  dimenticata  (4).  E  se  si 


(i)  Infessura,  Diar.  ad  ann.  Cf.  A  A.  SS.  Boll,  io  maii,  II,  570-578; 
VII,  679;  Ughelli,  It.  sacra,  IX,  121. 

(2)  Questa  forma  della  profezia  s' incontra  in  Fr.  Pipini  Chronìcon, 
SS.  It.  IX,  741,  néiV Aquila  volante  di  Leonardo  Aretino,  V,  cxxv 
(ed.  Venezia,  i  $08)  :  «  Et  così  è  verificata  in  lui  la  prophetia  de  Mer- 
«  lino,  la  quale  dicia  così:  intrabit  ut  vulpis,  etc.  ».  Nelle  Io.  Abatis 
Prophetiae,  Vatic.  VI,  la  profezia  à  forma  diversa. 

(3)  Cf,  DòLLiNGER,  Der  Weissagungsglauhe  and  das  Prophetenthum  in 
der  christlichen  Zeit,  p.  339;  Papencordt,  Cola  di  Rien:(o  und  scine  Zeit, 
p.  228  e  sgg.;  Renan,  Nouvelles  études  d'bistoire  rdigieuse,  p.  308;  Tocco, 
L'eresia  nel  medio  evo,  p.  291  e  sgg.  Il  Deììifle,  Das  Evangeli um  aeter- 
num  und  die  Commission  ^u  Anagni,  n^WArchiv  fùr  Litteratur-  und 
Kirchengeschichtc  des  Mittelalters,  I,  90-8,  dà  notizia  della  tradizione 
manoscritta  delle  opere  dell'abate  Gioacchino. 

(4)  Dòllinger,  loc.  cit.  «  In  der  Zeit  der  grossen  Kirchentren- 
«  nung  (13 78- 145  5)  stand  das  Prophetenwesen  in  voller  Biute  ». 


^$2  O.   Tommasini 


tollerava  l'aspetto  di  pontefici  studiosi  delle  basse  utilità 
della  terra,  della  cheresia  corrotta,  della  fede  schernita  come 
cose  che  non  fossero,  come  contingenze  passeggere  e  desti- 
nate a  sparire,  era  per  fiducia  che  sarebbe  venuto  il  «  de- 
ce ricus  absque  temporali  dominatione  »,  il  papa  angelico, 
scevro  del  temporale  dominio,  intento  solo  alle  cose  celesti, 
(c  qui  solum  vitam  anìmarum  et  spiritualia  curabit  »  (i); 
perla  speranza  nell'era  del  Santo  Spirito,  che  doveva  seguire 
a  quella  del  Padre  e  del  Figliuolo,  le  cui  colonne  sarebbero 
state  l'abate  Ioachim,  san  Fancesco  e  san  Domenico,  come 
nel  principio  della  nuova  alleanza  erano  stati  Zaccaria,  Gio- 
vanni Battista  e  Gesù  (2).  Per  questo  il  profeta  di  Fiora 
era  stato  da  Dante  collocato  coi  due  gloriosi  istitutori  di 
ordini  frateschi,  che,  come  notò  il  Machiavelli,  ritrassero 
il  cristianesimo  verso  le  origini  sue  (3).  E  il  commovi- 
mento profetico  che  agitando  i  luminari  del  secolo  scende 
da  questi  sino  alle  infime  plebi,  come  freme  nel  veltro 
dantesco  (4)  e  nella  cronaca  di  fra  Salimbene,  parla  in  quella 
del  nostro  scribasenato.  Quell'onda  d'odio,  che,  come  scrive 
il  Renan  (5),  sono  le  predizioni  ioachimistiche  contro  a  Bo- 
nifacio Vili,  dal  diario  di  Stefano,  rimbalza  ancora  entro 
la  storia  di  lui,  narrata  dal  Tosti  {f).  Se  l'I.  accogHe  la 


(i)  Infessura,  Diar.,  ad  ann.  1491. 

(2)  GiRARDiNO  DA  BoRGO  San  DONNINO,  IntrodiicloHus  in  Du- 
PLESSis-  d'Argentré,  ColUcUo  iudiciorum,  I,  163. 

(3)  Machiavelli,  Discorsi,  III,  i. 

(4)  Cf.  Bongiovanni,  Prolegomeni  del  nuovo  Contento,  p.  257.  Dòl- 
LiNGER,  Akademische  Vortràge,  p.  94,  citando  il  passo  di  Armannino 
da  Bologna  :  «  Ma,  come  dice  Merlino,  tutte  finiranno  poi  per  la  caccia 
«di  quel  forte  Veltro,  che  caccerà  quell'affamata  lupa,  onde  sorge 
«tanta  crudeltade  »,  annota:  «  also  batte  sic  im  Volksmunde  bereits 
«  eine  merlinische  Weissagung,  die  sich  den  Dante'  scben  Veltro 
«  aneignete,  gebildet  ». 

(5)  E.  Renan,  Joachim  de  Flore  et  Vévangile  éternel,  Nouvelles  études 
d'histoire  religieuse,  1884,  p.  308,  in  nota. 

(6)  Tosti,  Storia   di  Bonifacio   Vili,  VI,    195  :   «  Ecco  l'buomo 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  553 

leggenda  della  morte  di  Benedetto  XI  «  attossicato  in  un 
fico  »,  è  pel  vaticinio  ioachimistico  che  la  predice  (i).  Se 
al  mancare  dell' imperatore  Federico  III,  nel  149^,  annota 
«  et  cum  eo  perierunt  omnes  prophetiae  »,  egli  è  appunto 
perchè  vede  cadere  a  vuoto  tutte  le  predizioni  guelfe  che 
avevano  dipinto  co'  più  foschi  colori  quel  qualsiasi  Federico 
tedesco,  che  fosse  venuto  dopo  il  secondo,  dopo  l'Hohen- 
staufen  tanto  detestato  dalla  Chiesa,  persino  nella  memoria, 
col  quale  avrebbe  dovuto  esser  perito  T  impero  (2).  Per- 
tanto, sino  al  tempo  in  cui  l'I.  chiude  la  sua  cronica,  dopo 
la  morte  cioè  dell'  imperatore  Federigo  tanto  profeticamente 
formidabile,  quanto  storicamente  alla  Chiesa  innocuo,  è 
campo  a  vedere,  come  i  contemporanei  facessero  continuo 
riscontro  colle  profezie  ai  fatti  della  storia.  Ma  i  tentativi 
a  procedere  oltre  col  sistema  medesimo  cadono  poco  ap- 
presso scoraggiati  e  sterih  in  Italia  (3),  dove  l'ultimo  ba- 


<f  della  progenie  di  Scarioto . . .  neronicamente  regnando,  tu  morirai 
«sconsolato...  perchè  tanto  desideri  il  babilonico  principato?  q.cc.  ». 
È  notevole  il  seguente  brano  della  storia  del  Tosti  che  par  proprio 
ispirato  dalla  fantastica  narrazione  dell'I.:  «  Seguivalo  Napoleone 
«  degli  Orsini  cardinale,  il  quale,  il  pontefice,  a  dar  segno  che  vera- 
«  mente  lo  avesse  perdonato,  umanamente  convitò  a  mensa.  Ma  il  sel- 
«  vaggio  uomo  osò  con  superbi  modi  parlargli  :  essere  ormai  tempo 
«che  dovesse  accogliere  in  grazia  i  Colonnesi  ». 

(i)  IoACHiMi  ABATis  Calabri  Vaticinium  VII:  «  Haec  est  avis 
«  nigerrima  corvini  generis,  nigra  Neronis  operam  dissìpans,  subito 
«  morietur  in  terra  petrosa,  cum  videbit  fructum  pulchrum, 
«ad  vescendura  suavem,  tunc  enutriet  in  gemma  qui  sibi 
«principium  ministra  bit  mortis». 

(2)  Diì  Leva,  Dante  qiial  profeta,  relazione  estratta  dagli  Atti  del 
R.  Istituto  veneto  di  sciente,  lettere  ed  arti,  t.  VI,  serie  VI,  p.  14. 

(3)  Se  ne  scorge  traccia  nel  manoscritto  della  biblioteca  Boncom- 
pagni  di  Roma,  segnato  E,  7,  nel  quale  in  seguito  alle  Kotahilia  tem- 
poriim  del  notaio  de  Tummulilli,  edite  dall'Istituto  Storico  Italiano, 
si  contengono  profezie  che  giungono  per  insino  ai  tempi  di  Niccolò  V, 
Calisto  III,  Pio  II  e  Paolo  II.  Ma  prescindendo  dalla  scorrettezza 
del  testo,  lo  stile  loro  à  perduto  quell'enfasi  apocalittica,  quel  «  bora- 


554  ^'   Tommasini 


gliore  di  fuoco   profetico  par  che  si  spenga  col  rogo  di 
Girolamo  Savonarola. 

E  dopo  r  influenza  dei  dettami  profetici,  quello  del  sen- 
timento popolare  e  colonnese  è  il  più  caldo  e  cospicuo  del 
diario  di  Stefano.  La  catastrofe  di  papa  Bonifacio,  con  cui 
la  cronica  di  lui  sembra  che  incominciasse,  sta  come  segno 
della  vendetta  di  Dio  contro  chi  s'attenta  a  colpire  la  vir- 
tuosa casa  dei  Colonna  ;  e  i  Riario  dovevano  meditare  l'e- 
sempio. L'esilio  babilonico,  il  trapasso  della  Sede  pontificia 
in  Avignone,  da  cristiani  e  da  Romani  si  considerava  come 
la  principale  iattura  per  la  Chiesa  e  per  la  città  ;  e  il  primo 
principio  di  tale  iattura  il  popolo  voleva  ripeterlo  da  casa 
Orsina.  Cosi  l' L  racconta  che  fu  Napoleone  degli  Orsini 
da  Monte  Giordano  che  «  ruppe  li  cardinali  »  esitanti  a 
coronare  Clemente  V  fuori  di  Roma;  «  e  givosene  in  Francia 
«et  tutti  H  altri  lo  seguitorono  et  all'hora  fu  coronato». 
Ed  oggi  se  la  storia  imparziale  riduce  a  più  stretto  limite 


«  bastischer  Ausputz  »,  come  lo  chiama  il  Dòllinger  (loc.  cit.  p.  336), 
che  è  il  carattere  precipuo  del  vaticinio  ioachimistico.  Invece  nel  co- 
dice Vaticano  Regin.  580,  membranaceo,  del  secolo  xv,  si  à  proprio 
l'esempio  di  quel  nucleo  di  profezie  che  si  riflette  nel  diario  dell'I. 
Dopo  i  vaticini  di  Merlino,  ne'  quali  l'ultimo  riscontro  si  ferma  alla 
e.  1 1  V.  con:  «  D^us  Gabriel  (Condolmario)  de  Venetiis,  deinde  Euge- 
«  nius  pp.  IIII  ellectus  Roma  .11.  die  martii  143 1  »,  segue  a  e.  18.  v. 
il  lihellus  fratris  Thelofori  presbiteri  et  heremite  simul  auctoritates  supra- 
scriptorum  prophetarum  et  verarum  cronicarum  de  causis  statu  cognitione 
ac  fine  presentis  scismatis  et  tribulationum  futurarum,  maxime  tempore 
futuri  Regis  Aquilonis  vocantis  se  Federicum  Imperatorem  etiam  usque  ad 
tempora  futuri  pape  vocati  Angelici  pastoris  et  Karoli  regis  Francie  futuri 
imperatoris  post  Federicum  Tertium  supradictum.  Item  de  summis  ponti- 
fi,cibus  Romane  Ecclesie  ac  status  universalis  Ecclesie  a  tempore  et  per 
tempus  dicti  ultimi  antixpi  ac  post  mortem  ipsius  usque  ad  extremum  Dei 
iudicium  et  finem  mundi.  Le  rappresentazioni  figurate  che  accom- 
pagnano il  testo  aggiungono  pregio  ed  importanza  al  codice.  Ad 
ornamento  della  nuova  edizione  del  diario  dell'I,  saranno  riprodotte 
quelle  che  rappresentano  il  «  pastor  angelicus  »  e  la  venuta  di  Fe- 
derico III  a  Roma. 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  S55 

la   responsabilità  dell'  Orsini,   non  però  lo   scagiona  del 
tutto  (i). 

Similmente,  se  nel  diario  di  Stefano  vien  commemorato 
r  infelice  Andrea  Zuccomakeh,  quel  domenicano  «  archiepi- 
«  scopus  de  Cranea  »  (2)  che  gì'  Italiani  chiamarono  Zuccal- 
maglio,  è  solo  perchè  «  multa  mala  dixerat  de  Ecclesia  Dei, 
«  potissime  de  mala  vita  Sixti  et  comitis  Hieronimi,  et  de 
«  inhonesta  vita  omnium  praelatorum  »  ;  e  perchè  ai  Fio- 
rentini,   alla   lega,   non    meno    che    ai    Colonnesi,    quel 

(i)  Cf.  SoucHON,  D/<j  Papstwahlenvon  Bonifa^  VlIIhis  Urban  VI  una 
die  Entstehung  des  Schismas  i^j8,  Braunschweig,  188,  p.  29.  Cf.  ibid. 
app.  II,  Napoleonis  de  Ursinis  cardinalis  epistola  ad  Philippum,  regem  Fran- 
corum,  de  stata  Romanae  Ecclesiae  post  obitum  CUmentis  V,  p.  183  e  sgg. 
In  essa  l'Orsini  dice  apertamente  :  «  et  quondam  cum  multis  cautelis 
«  quibus  potuimus  hunc,  qui  decessit,  elegimus,  per  quem  credeba- 
«  mus  regnum  et  regem  magnifice  exaltasse  ».  E  poco  oltre:  «Pro 
«  certo,  domine  mi  rex,  non  fuit  nec  est  intentionis  meae  sedem 
«  mutare  de  Roma  nec  Apostolorum  sanctuaria  facere  remanere  de- 
«  serta,  quia  in  fundamentis  fìdei  sedes  universalis  Ecclesiae  Roma 
«est  stabilita)).  Bensì  riconosce  che  «  vobis  domino  nostro  et  mihi 
«devoto  vestro  et  ceteris  dominis  Italicis,  qui  solo  intuitu 
«regio  defunctum  elegimus,  praemissa  adscribuntur  mala  et 
«  mundo   non  ventura  )). 

(2)11  BuRCKKARDT^  Er^bischof  Andreas  voti  Krain  undder  let^te  Con- 
cilsversuch  in  Basel,  nelle  Beitràge  i-  vaterl  Gesch.  i.  Base!.  V,  25,  lo 
dà  per  arcivescovo  di  Strigonio,  st.  Gran,  jin  Ungheria.  Ma  dalle 
serie  del  Gams  (Series  epp.  380)  sembra  che  sino  all'anno  1482  di 
quest'ultima  sede  fosse  titolare  Giovanni  Peclcenschlager.  Invece, 
il  Frantz,  Sixtus  IV und  die  Republik  Floren^,  Regcnsburg,  1880,  p.  435, 
lo  fa  arcivescovo  della  Carnioia,  gli  dà  per  residenza  Laibach  e  ri- 
tiene che  dovesse  il  suo  arcivescovato  all'alta  posizione  politica  che 
godeva  presso  Federico  III  imperatore.  Il  Burckhardt  trae  dai  docu- 
menti dell'archivio  di  Basilea  molta  luce  intorno  al  tentativo  di  con- 
vocar un  nuovo  concilio  in  quella  città  per  citarvi  papa  Sisto  IV, 
ad  istigazione  dell'arcivescovo  Andrea;  e  trova  che  la  notizia  data 
dall'I,  della  carcerazione  fatta  di  lui  dal  conte  Girolamo  e  della 
deposizione  fattane  dal  papa  è  per  Io  meno  «  ein  an  unrechter 
«  Stelle  angebrachtes  Einschiebsel  im  Juli  1482,  da  Andreas  schon 
«  làngst  in  Basel  war  ». 


^S^  O.   Tomm asini 


«Crania»  potè  parere,  quale  Baccio  Ugolini  lo  descrisse: 
«  un  huomo  per  fare  ogni  cosa,  purché  e'  tuffi  el  papa  e 
«  el  conte  »  (i);  per  le  speranze  che  i  «  conciliisti  »  d'Italia 
riposero  in  lui. 

Ma  all'  infuori  di  queste  influenze  del  pensiero  popolare 
che  s' insinua  fra  i  notamenti  dell'  I.  e  l' inducono  a  regi- 
strare anche  l'insediamento  dei  fraticelli  eremiti  in  San  Gio- 
vanni al  Laterano  come  un  trionfo  del  popolo  (2),  non 
mancano  argomenti  per  riconoscere  qua  e  là  anche  l'ele- 
mento personale  e  soggettivo  nelle  narrazioni  e  nelle  regi- 
strazioni sue. 

Egli  naturalmente  partecipa  a  non  pochi  dei  fatti  di  cui 
rende  testimonianza;  ma  di  non  tutti  ragguaglia  contem- 
poraneamente all'accaduto.  Qualche  volta  anzi  par  che 
rilegga,  dopo  certo  intervallo  di  tempo,  l'appunto  suo  e 
vi  supplisca  nuove  notizie  o  commenti. 

Uno  degli  appunti  personali  che  copisti  e  bibliografi 
furono  solerti  a  raccogliere,  è  quello  in  cui  nel  1478  egH 
si  dà  come  potestà  ad  Orte.  Ma  precisamente  in  quello 
ci  si  attesta  che  il  notamente  non  fu  contemporaneo  (3). 


(i)  Fabroni,  Laurentis  Medicis  Magnifici  Vita,  II,  227  e  sgg.  Let- 
tere di  Baccio  Ugolini  da  Basilea  «  a  dì  20  e  30  diseptembre  1842  » 
e  «  a  dì  25  oct.  ». 

(2)  V.  nel  Diario  all'anno  1440:  «  et  foro  rimessi  in  Santo  Ioanni 
«  li  fraticelli,  et  questo  fu  del  mese  di  iugno,  et  'colla  processione, 
«  et  foro  ad  accompagnarli  li  Conservatori  et  caporioni  novi  et 
«  vecchi,  etc.  ». 

(3)  Diar.  ad  ann.:  «  et  in  quel  tempo  io  Stefano  Infessura 
«  stava  per  podestà  de  Horta  ».  Vanamente  ricercammo  nell'archivio 
Comunale  di  Orte  alcun  documanto  risguardante  la  potesteria  del- 
l'Infessura.  Per  cortesia  del  sindaco  signor  Filiacci^  vi  consultammo 
quanto  interessa  la  storia  del  secolo  decimoquinto.  Ci  parve  meritare 
importanza  l' inventario  cominciato  :  «  Die  xxiiij  novembris.  In  no- 
cf  mine  dui  amen.  Anno  diìi  ab  eiusdem  saluberrima  nativitate  mille- 
«  Simo  quatrigentesimo  sectuagesimo  tertio  indictione  sexta  tempore 
«  pontifìcatus  santissimi  in  xpo  patris  diìi  diìi  nostri  Sixti  divina  prò- 


//  Diario  di  Stefano  Infessura  557 

Sotto  la  data  del  «  io  giugno  i^']6y>  in  cui  pone  la  par- 
tenza del  pontefice,  aggiunge  la  nota  :  «  tornò  a  di  27  di 
«dicembre».  Chi  non  vede  l'interpolazione  posteriore? 
tanto  più  che  dopo  seguita  a  narrare  fatti  del  giugno  ;  di 
guisa  che  il  Muratori,  considerando  l'interpolazione  come 
estranea  all'autore,  la  volle  espungere  dal  suo  testo.  Il  Por- 
cari ei  «1  o  V  i  d  d  e  »  pendere,  quantunque  poi  delle  altre  giu- 
stizie susseguite  alla  cospirazione  di  lui  ponga  la  data  «  in 
«questo  anno».  Del  protonotario  Colonna,  della  cui  pre- 
sura ed  uccisione  riferisce  tanto  minuti  particolari,  registra 
la  risposta  fatta  ai  Conservatori  di  Roma  «  etiam  me  prae- 
«  sente  »,  ma  poi  scrive:  «  et  io  Stefano  scrittore  di  queste 
«  historie  con  li  miei  occhi  lo  viddi  et  con  le  mie  mani  lo 
«seppelHi».  Egli  scrive,  cioè,  quando  il  fatto  è  già  abba- 
stanza remoto  da  lui.  Nel  riferire  l'assalto  dato  dai  Turchi 
a  Rodi  (1480)  nota:  «  come  fo  ditto  ».  Conta  a'  di  6  d'a- 
gosto del  1482  della  rovina  della  torre  del  palazzo  di  San 
Marco  «  prout  nunc  oculata  fide  videri  potest  ».E  anche  nel- 
l'accennare  alle  fortificazioni  che  Alessandro  VI  fa  di  Castel 
Sant'Angelo  e  al  corridoio  che  conduce  dalla  fortezza  al 
Vaticano,  «  prout  nunc  videtur  »  scrive;  cioè  dopo  che  il 
lavoro  è  compiuto.  Pure  nel  1484,  quando  Cave  assediata 
crudelmente  si  rende  alla  Chiesa,  avvisa:    «H  quali  patti 

«  videntia  dignissimi  pp.  quarti  die  veri  supradicto.  Hoc  est  inven- 
«  tarium  factum  tempore  magistratus  ser  Marii  Leonardi  consiliarii 
«  Petri  Nardi,  Cencii  Finochi  et  Mactei  Stefani  dominorum  priorum 
«  civitatis  Ortane,  vigore  reformationis  et  decreti  Consilii  generalis 
«  populi  civitatis  Ortane  rerum  et  scripturarum  ac  librorum  tam 
«  civilium  quam  criminalium  spectantium  et  pertincntium  tam  ad 
«  Comunitatem  prcdictam  quam  ad  particularcs  cives  in  ordine  ut 
«infra».  Nel  detto  inventario  s'indicano:  «  Item  uno  rescripto  che 
«  da  pena  de  .l".  ducati  che  non  se  dia  stendardo  ad  alcuno  potestà  ». 
E  più  oltre  :  «  Item  uno  quinterno  contenente  uno  processo  de  cip- 
«  ladini  condempnati  in  tempo  d'Eugenio  per  materia  di  Stato  ». 
Seguita  poi  l'inventario  dei  libri  de' malefici  e  quello  dei  danni 
dati  ;  manca  la  parte  relativa  all'anno  1478. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  stona  patria.  Voi.  XI.  37 


SS^  O.   Tommasini 


«  mo'  veramente  non  si  possono  sapere,  perchè  chi  dice  in 
«un  modo  et  chi  in  un  altro;  credo  doppo  si  saperà  la 
«  verità  » . 

In  questa  condizione  di  cose,  accade  spesso  agU  scrit- 
tori che  la  morale  coscienza  dei  fatti  prenda,  malgrado  la 
migliore  sincerità  dell'animo,  il  posto  della  certezza  risul- 
tante da  argomenti  estrinseci,  e  che  quella  morale  coscienza 
non  di  rado  venga  in  cozzo  con  questa.  Gli  scrittori  d'au- 
tobiografie ne  danno  frequente  e  manifesta  riprova.  Ma  pel 
critico  uno  spostamento  di  date,  una  voce  riferita,  che  non 
trovi  facile  conferma  in  documenti  scritti,  una  insinuazione 
di  leggende  può  far  luogo  ad  avvertenze  e  ad  indagini, 
non  scemare  il  complessivo  valore  d'una  fonte  di  storia. 

Ora,  il  nostro  I.  non  reca  in  mezzo  facilmente  nel 
suo  racconto  i  documenti  che  vede.  Se  si  eccettua  una 
lettera  del  conte  Girolamo  Riario  al  pontefice  di  cui  dà 
il  tenore  ma  sembra  non  guarentire  la  sostanza  (i);  un 
proclama  notificato  dal  duca  di  Calabria  ai  Conservatori, 
che  per  lo  meno  traduce  in  latino  (2);  del  resto  allega 
«  unam  cedulam  »  in  cui  si  contenevano  grazie  e  reinte- 
grazioni di  diritti  •  del  popolo  romano,  giurate  dai  cardinali 
nel  conclave  di  Innocenzo  Vili;  una  cedola,  la  cui  impor- 
tanza, dopo  la  pubblicazione  del  registro  degli  Officiali  di 
Roma  dello  scribasenato  Marco  Guidi,  è  più  agevole  di  rile- 
vare, e  che  troppo  duole  di  non  veder  incorporata  se- 
condo il  suo  testo  autentico  nel  diario.  Similmente,  registra 
il  giuramento  di  papa  Cibo  rilasciato  in  scritto  ai  Conser- 
vatori a  pie  di  certi  capitoli  (3)  ch'egH  stesso  vide  «  in  pa- 
latio  »  ;  ma  non  registra  disgraziatamente  i  capitoli  formali, 
dei  quaH  riferisce  appena  quanto  il  papa  violò  o  deluse.  Pur 

(i)  Inf.  Diar.  ad  ann.  1384:  «Comes  Hieronìmus  scripsit  pon- 
«  tifici  litteras  huius  substantiae  »  e  poi  ne  reca  il  contenuto. 

(2)  Inf.  Diar.  ad  ann.  1484  :  «  eadem  die  (26  iulii)  ». 

(3)  Inf.   Diar.    ad  ann.    1484:  «  intra   quae  erat  verbum   huius 
«  tenoris  vel  substantiae  ». 


//  diario  di  Stefano  Infessura  559 

non  di  meno,  l'elemento  personale  medesimo  quando  entra 
nelle  notizie  che  dà,  ne  corrobora  la  fede.  Sapendolo  let- 
tore in  civile  e  temporaneo  scribasenato  (i),  s'intende  che, 
fra  le  promesse  del  sacro  collegio,  dia  importanza  a  quelle 
che  mallevano:  «  observare  ad  unguem  buUam  studii,  remo- 
te vere  Officiales  ad  vitam  »  ;  s' intende  che  tra  le  più  forti 
accuse  lanciate  sul  feretro  di  Sisto  IV  sia  quella  d'aver 
promesso  e  frodato  «  lectoribus  qui  in  studio  romano  pu- 
«  blice  legerunt  salaria  statuta; ...  et  eos  insolutos  dimittere 
«  etpecunias  debitas  ad  illud  exercitium  acper  eum  saepis- 
«  sime  promissas  illis  denegare  et  in  alios  usus  convertere  » . 
E  i  regesti  Vaticani  provano  che  questa  accusa  di  Stefano 
è  vera  (2),  e  che  non  infondate  son  quelle  d'aver  ridotto 

(i)  Nell'arch.  Vatic.  Reg.  diversor.  Innoc.  Vili,  n.  44,  e.  274, 
questo  pontefice  nomina  scribasenato  per  un  quadriennio  e  due  mesi 
Giovan  Pietro  «  de  Spiritibus  »  cittadino  romano,  in  sostituzione  di 
Lorenzo  di  Martino  Evangelista  de  Lenis,  dimissionario  «  dat.  Rome 
«  in  Cam.  ap.  die  .xm.  octob.  i486  a.  tertio  ».  A'  16  di  marzo  del 
1490  poi,  conoscendo  che  gli  si  devono  «  ducatos  centum  et  viginti 
«  auri  de  Camera  ratione  cuiusdam  domus  ...  in  Urbe  et  foro  Capi- 
«  tolii  site  prò  ampliatione  platee  dicti  fori  de  mandato  S""^  d.  n.  et 
«  Cam.  aplice  demolite  «,  concede  a  lui  e  al  figliuolo  ed  eredi  per  dieci 
anni  l'ufficio  di  scribasenato,  comandando  «  111""°  diio  Alme  Urbis 
«  Senatori  et  dominis  Conservatoribus  sub  pena  arbitrii  nostri  et  suc- 
«  cessores  tuos  durante  dicto  decennio  in  predicto  officio  scribese- 
«  natus  eiusque  libero  exercitio  manuteneant  et  conservent  »  (Divers. 
Intl.   Vili,  t.  47,  p.  117). 

(2)  Arch.  Vat.  Reg.  divers.  Cam.  Sisti  IV  (t.  59),  e.  2iiv:  «  Sp. 
«  v.'dno  Migliaduci  Cigala  pecuniarum  Camere  Alme  Urbis  deposi- 
«  tarlo  salutem  in  Dno.  Auctoritate  etc.  vobis  harum  serie  mandamus 
«  quatenus  de  summa  illorum  centum  et  vigintiquinque  floren.  de 
V  Camera  quos  his  diebus  ex  ordinationc  nostra  retinuistis  seu  reti- 
«  nere  debuistis  ex  salariis  omnium  doctorum  in  studio  prefate  Urbis 
«  legentium  hoc  anno  solvatis  et  numeretis  ven.  viro  dno  Nicolao 
«  de  Gigantìbus  fior,  de  Cam.  sexaginta  quinque  dandos  magistris 
«  qui  laborant  in  dieta  fabrica,  in  deductioncm  eorum  salariorum, 
«quos  etc.  Dat.  etc.  die  .vili',  februari  1475,  p.  n.  a.  quarto».  Cf.  ibid. 
e.  217:  «  Pro  magistro  Paulo  de  Campagnano  die.  xxxiiii.  feb.  1475  ». 


S6o  O.   Tommasini 


tutte  le  pene  a  danaro,  violando  il  tribunale  del  Senatore 
e  gli  statuti,  e  d'aver  fatto  incetta  di  grani  col  suoi  geno- 
vesi (i).  Ed  è  cosa  maravigliosa  come  con  pochi  tratti 
incisivi  il  nostro  scribasenato  riesca  a  far  rilevare  i  pas- 
saggi e  le  mutazioni  che  si  succedon  rapide  e  spiccate  tra 
'i  pontificati  brevi  e  avventurosi  del  veneziano  Barbo,  in  cui 
la  curia  è  veneta  e  parla  di  «  zoie  »   e  di   «  piezarie  »  ;  e 


Ibid.  e.  222  v:  «  prò  luliano  Gallo,  1475,  die  .11.  mensis  aprilis  ».  Ibid. 
e.  238  v:  «  de  pecuniis  gabellae  studi!  »  siano  pagati  ai  banchieri  Pazzi 
e  compagni  «  quingentos  florenos  prò  fabrica  pontis  Sixti,  a.  1475, 
«  die  .XXI.*  iulii  ».  Ibid.  e.  241  v  :  ai  medesimi  «  fior.  633  de  pecunia  ga- 
«  bellae  studii  prò  fabrica  pontis  Sixti,  die  22  sept.  1476,  anno  quinto  ». 
Ibid.  e.  244:  «de  pecuniis  gabelle  studii  Sabbe  de  Porcariis  fior. 
«  de  Camera  ducentossexagintaquatuor  prò  totidem  expensis  in  eva- 
«  cuatione  et  emendatione  aqueductus  fontis  Trivii  ».  Ibid.:  «  fior,  auri 
«  de  Camera  in  auro  ducentos  et  quinquaginta  prò  expensis  in  strata 
«  matonata  qua  itur  eundo  a  Castro  S.  Angeli  ad  palatium  Aposto- 
«licum».  Ibid.  e.  245 v:  altri  due  mandati  da  pagare  «de  pecuniis 
«  gabelle  studii  Urbis  »  pel  lastrico  di  ponte  S.  Angelo,  per  le  cor- 
nici di  ponte  Sisto  a  Francesco  Mei  scarpellino  da  Firenze.  Ibid. 
e.  261  V,  ibid.  e.  327,  ibid.  ce.  336,  339  v:  «  prò  reparatura  acqueductus 
«  Trivii  ».  E  finalmente  (Divers.  Carrier,  lib.  VI,  t.  41,  e.  220)  il  breve 
a  Nicolò  Calcagni  :  «  gabelle  studii  'ac  Camere  Alme  Urbis  generali 
«vicedepositario,  etc.  »  in  cui  gli  concede:  «  liceat  tibi  tam  presentia 
«  et  penes  te  existentia  quam  futura  emolumenta  predicta  in  tuos 
«  tuorumque  proprios  usus  et  utilitatem  convertere,  nec  ad  redden- 
«  dum  de  eis  computum  a  quoquo  compelli  aut  coarctari  possis. 
«Anno  1484  die  mensis  ianuarii,  p.  n.  a.  .xiii.  ». 

(i)  Per  l'incetta  di  fromento:  V.  arch.  Vat.  Sisti  IV  (Divers. 
Cam.  I4'j2  ad  14^6,  lib.  3),  n.  38,  e.  184:  «  Licentia  emendi  certas 
«  quantitates  fromenti  et  ordei  ex  patrimonio  prò  Ex»»  cariì  Man- 
«  tuano  ».  Ibid.  e.  191  v:  «  Commissione  ad  Angelo  da  Corneto  ». 
Ibid.  e.  227  v:  «  Tracta  ex  portu  Tiberis  de  modiis  81  grani  prò  Be- 
«  nedicto  Gallo  de  Monella  noclero».  Ibid.  e.  257  v:  «  prò  domina 
«  Angela  de  Ursinis  ».  E  finalmente  (Sisti  IV  divers.  Cam.  14^(^-1482, 
lib.  5,  t.  49,  e.  40):  «  Patens,  Universis  et  singulis  presentes  litteras 
«  inspecturis  sai,  etc.  Ut  necessitati  Alme  Urbis  nostre  que  in  presen- 
«  tiarum  maximam  grani  penuriam  sustinet  consulamus,  fecimus  emi 
«  in   provincia  nostra  Marchiae  Anconitane  certam  frumenti  quanti- 


//  Diario  di  Stefano  Infessura  ^61 

quella  dei  Riario,  dei  Cibo  e  dei  Borgia,  in  cui  genovesi 
e  catalani  sfruttano  la  vigna  del  Signore,  e  gli  uffici  ne 
vanno  ai  marrani  e  i  favori  cedono  a  vaghezza  di  donne. 
Pallido  per  contrario  e  quasi  senza  impronta  corre  il 
pontificato  del  Piccolomini  per  T I.  Pure  ei  fu  benefico 
ai  Colonna;  di  quella  casata  innalzò  a  prefetto  di  Roma 
Antonio,  principe  di  Salerno;  fu  alacre  e  giusto  pontefice, 
e  a  Stefano  non  sarebbero  mancate  cagioni  di  celebrarne 
le  gesta.  Invece  egli  appena  ce  lo  fa  vedere  di  sfug- 
gita, in  lettica,  fiacco.  La  breve  e  troppo  ironica  o  troppo 
grulla  risposta  che  il  papa  dà  alla  legazione  del  re  di 
Francia  in  concistoro,  non  è  neppure  accennata  da  lui  (r). 
Gli  episodi  stessi  dell'  Innamorato,  di  Tiburzio,  di  Bonanno 
Specchio,  gittati  là  quasi  non  altrimenti  che  germi  di  no- 
velle, ci  comparirebbero  ben  diversi  per  l' importanza  e  il 
significato  loro,  se  egli  li  avesse  fatti  precedere  da  alcun  di 
quei  cenni  che  pur  non  mancano  nel  Memoriale  di  Paolo 
dello  Mastro  e  nelle  Cronache  del  Della  Tuccia.  «  Certi  gio- 
«  veni  romani  -  scrive  il  primo  all'anno  14^0  -  se  levarono 
«  su,  e  non  volevano  stare  a  commannamento  dello  Reggi- 

«  tatem,  que  ad  ipsam  Almam  Urbem  nostrani  a  dilecto  filio  Hiero- 
«  nymo  de  Ridolfis  mercatore  fiorentino  mittìtur.  Intendentes  autem 
«  granum  huiusmodi  nostrum  quantocius  et  sine  aliquo  impenso  vel 
«  molestia  comportari,  nos  omnes  et  singulos  hortamur  in  Domino, 
«  et  nihilominus  stricte  mandamus,  quantum  gratiam  nostram  ca- 
«  ram  habetis,  ut  per  omnia  loca  et  passus  granum  huiusmodi  simul 
«  vel  separatim  libere  et  absque  alicuius  datii  vel  gabelle  solutione 
«  seu  exactione  vehi  et  deferri  permittatis.  Itaque  merito  commen- 
«  dari  valeatis.  Dat.  ut  supra  (21  nov.  1477).  L.  Grifus  ».  E  veggansi  : 
Capitula  super  tractis  gratti  et  dohanìeraius  salis  provinciarum  Patrimonii 
et  Maritime  (ibid.  e.  164  v),  i  quali  cominciano  con  questo  pream- 
bolo: «Quia  ex  multiplicibus  subditorum  nostrorum  querclis  intel- 
«  leximus  per  dohancrium  tractarum  et  salis  officium  suum  non  recte 
«  administrantem  non  levia  damna  et  incomoda  Camere  nostre  Apo- 
«  stolice  et  ipsis  subditis  inferri  »,  scaricando  sul  capo  del  doganiere 
i  rammarichi  de'  mercanti. 

(i)  Cf.  De  Tummulillis,  Notabiìia  temp.  p.  97. 


5^2  O.   Tommasini 


«  mento  e  di  continuo  portavano  Tarmi,  e  facendosi  beffe 
«  delli  officiali,  lo  Reggimento  aveva  paura  di  questi.  Capo 
«  delli  compagni  era  Tiburzio  di  m.  Angelo  de  Mascio  » 
(un  figliuolo  di  colui  che  fu  appeso  come  complice  nella 
cospirazione  del  Porcari)  «  e  Filippo  Soattaro,  e  dicevasi 
«  ch'era  grande  compagnia  de  iovini,  e  fu  fatta  una  com- 
«  messione  generale  fino  a  questo  di  25  de  maggio  che  as- 
ce signaro  Santa  Maria  Rotonna  e  ne  andò  lo  hanno  per 
«  Roma»  (i).  «  Si  levò  fra  quei  tempi  in  Roma  -  registra 
«  il  Della  Tuccia  -  una  gran  brigata  di  giovani  di  cattiva 
«  condizione,  e  fero  setta  per  due  Romani  che  avevano  briga 
«  insieme.  Facevano  assai  ribalderie  di  furare  femine,  uc- 
«  cidere  uomini  e  rubare,  per  modo  che  né  il  Senatore  né 
«  altro  officiale  potevano  tener  ragione  né  far  giustizia,  e 
«  sotto  mantello  erano  favoreggiati  da  molti  cittadini  ro- 
«  mani  »  (2).  Stato  di  cose  deplorevole  e  naturale:  i  pon- 
tefici avevano  malamente  uccisa  la  libertà  del  Comune  ;  gli 
officiaH  di  questo  non  più  eletti,  non  più  tratti,  ma  deputati 
dal  papa  e  razzolati  nelF  ingorda  e  bassa  turma  dei  devoti 
alla  signoria  ecclesiastica,  mancavano  non  meno  d'autorità 
che  di  coraggio*  La  gioventù  pertanto  che  non  aveva  più 
campo  onorato  ove  esercitare  vigorosamente  le  forze  sue, 
dispettosa  d'un  governo  che  voleva  parer  tollerabile  colla 
fiacchezza,  s'era  sviata  nell'anarchia  e  raccolta  nelle  tenebre 
delle  sétte,da  cui  sperava  assicurarsi  per  ingiurie  quella  potenza 
che,  perduta  la  libertà,  non  poteva  più  aspettare  dal  giure. 
Come  notammo  adunque,  qui  1'  I.  sembra  che  smar- 
risca il  criterio  storico,  sia  che  gli  sfugga  la  necessità  di 
collegar  l'episodio,  come  un  effetto  colla  causa  sua;  sia 
che  il  nesso  gliene  paia  cosi  ovvio  pei  posteri  come  lo  era 
pei  contemporanei;  sia  che  dell'episodio  stesso  esageri  l'im- 
portanza a  sé  stesso. 


(i)  Paolo  dello  Mastro,  Diario,  loc.  cit.  p.  116. 
(2)  Della  Tuccia,  Cronaca  ài  Viterbo,  p.  261  e  sgg. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  s^3 

Se  non  che,  a  tal  punto,  convien  proporci  nettamente 
la  questione:  presiedette  o  no  criterio  storico  alla  compo- 
sizione del  diario  di  Stefano  ?  fu  questo  meditato  con  un 
intendimento  unico,  o  sorse  dall'aggruppamento  delle  note 
disperse  in  protocolli  da  notaio  o  in  registri  di  scriba  ? 

Da  quanto  premettemmo,  ecco  quel  che  ci  sembra  non 
inadeguato  di  concludere:  i  due  brani,  De  bello  Sixti  e  il 
Ricordo  della  presura  e  morte  del  protonotario  Colonna,  eb- 
bero a  nascere  probabilmente  indipendenti  l'uno  dall'altro; 
furono  scritti  però  in  diverso  idioma  ed  ebbero  occasione 
dall' aver  lo  scrittore  assistito  come  testimonio  oculare  alle 
vicende  narrate,  ed  impulso  dalla  simpatia  o  clientela  di 
lui  per  la  famiglia  Colonna.  Il  resto  poi  si  raccolse  intorno 
a  questi  due  nuclei,  accozzando  appunti  dispersi,  attingendo 
da  notamenti  forse  non  tutti  precedentemente  registrati 
dallo  stesso  I.  Forse  il  monco  principio  del  diario  accenna  ad 
un  lavoro  giovanile,  frutto  d'una  naturale  tendenza  di  Ste- 
fano a  raccontare  le  vicende  del  Comune  romano,  ispira- 
tasi alla  fantasiosa  maniera  delle  Istorie  dello  filosofo  (i),  ad 

(i)  Designamo  con  questo  titolo  gV  Hi  stori  ae  romanae  Frammenta 
editi  dal  Muratori  (Antiq.  It.  Ili,  251-548),  che  nei  molteplici  mss. 
vengono  intitolati:  Historia  di  N.  filosofo  romano  incominciando  dal- 
ranno  i)oo  sino  al  13;;.  V.  bibl.  Chigi,  ms.  N,  31,  sec.  xvi  e  xvii,  a 
e.  6.  È  notevole  che  il  ms.  incomincia  a  e.  i  :  Morte  \  miserabile  e  ca- 
lamitosa I  di  papa  Bonifatio  8  \  nell'anno  i)o^.  Inc.:  «  Havendo  lo  re 
«  di  Francia  preso  sdegno  ».  Expl.  (e.  4  v):  «  arrabbiò  di  dolore  e  di 
a  quello  morio.  E  così  fue  adempito  quello  che  si  trovava  scritto 
«  nella  elettione  de  papi,  che  diceva  così  :  Intrabit  ut  lupus,  reptalnt 
«  ut  leo  et  morietur  ut  canis  ».  La  Historia  di  N.  filosofo  romano  termina 
a  e.  128:  «  secundum  debitam  figuram  supine».  Altro  ms.  Chigiano 
(G,  IV,  103,  sec.  xvi-vii)  contiene  pur  esso  frammenti  dcW Historia  di 
N.  filosofo  romano  (capi  3°,  5*,  18").  Ibid.  ms.  G,  II,  63,  cartaceo,  sec.  xvi. 
Inc.  (ci):  «Dice  lo  glorioso  mìssore  s.  Isidoro».  Expl.  (e.  143  r): 
«  Como  Cola  de  Rienzi  morio  ». — Bibl.  Barberini,  ms.  LIV,  io(n.  a.  922), 
cartaceo,  sec.  xvii.  Contiene  in  principio  lo  stesso  Chronicon  incerti 
auctoris  italico  idiomate  antiquo  conscriptum,  fol.  1-301.  Notato  al  mar- 
gine destro  superiore  :  «  Chronicon.  In  codice  Vaticano  quod  a.<*  1626 


5^4  ^-   Tommasiìii 


uno  stile  di  narrazione  volgare  che  arieggia  quello  della 
Mesticanza  del  Petroni.  Pure  anche  in  quel  lavoro  giova- 
nile, l'elemento  personale  e  lo  spirito  romanesco  di  clien- 
tela verso  i  Colonnesi,  a  chi  ben  lo  disamina,  si  lascia  di 
leggieri  sorprendere,  e  non  consente  dubbio  che  anche  quella 
parte  di  leggenda  debba  attribuirsi  a  lui. 

Ne  accennammo  già  i  motivi  più  remoti;  ora  ne  svele- 
remo i  più  prossimi,  scrutando  i  punti  essenziali  della  leg- 
genda stessa.  Questi  si  riducono  a  due  :  la  difesa  della  me- 
moria di  Bonifacio  Vili  innanzi  a  Clemente  V  e  al  re  di 
Francia  ;  V  incendio  della  camera  della  regina  e  il  salva- 
mento di  lei,  operato  con  meravigliosa  difficoltà  e  coraggio 
da  I^ietro  e  Stefano  Rosselli. 

Circa  al  primo  punto  è  facile  ravvisare  come  la  nar- 
razione di  Stefano  entri  assolutamente  in  quella  cerchia  di 

«  d/  Abrah.  Bzovius  donavit,  et  in  codice  D.  Cassiani  Putei  haec 
«  extant».  —  Bibl.  Vat.  ms,  Vat.  6880,  cartaceo,  sec.  xvi:  N.  philoso- 
phi  Romani  \  historia  suorum  temporum  |  ah  anno  .Mccc.  |  usque  ad  an- 
num  I  155/,  Ms.  di  carte  73  numerate  nel  retto  e  incollate  tra  carta 
vegetale.  Inc.  (e.  i)  :  «  Come  lacovo  Saviello  senatore  fu  cacciato  di 
«  Campituoglio  ».  Expl.  (e.  73  r):  «  secundum  debitam  figuram  su- 
«  pino  ».  E  nel  verso  :  «  Questi  mancano  ».  E  seguono  alcuni  titoli 
di  capitoli,  parecchi  dei  quali  sono  e  in  più  e  diversi  da  quelli  recati  dal 
Muratori  (loc.  cit.  p.  548).  —  Un  altro  ms.  delle  Istorie  dello  filosofo  ro- 
mano è  nell'archivio  Vat.  (arm.  II,  n.  69).  Qual  esser  si  possa  questo 
filosofo  romano,  non  vien  fatto  di  poter  affermare  in  modo  alcuno. 
Non  sembra  eh'  ei  si  possa  identificare  con  quel  «  quidam  cogno- 
«  mento  philosophus  homo  facinorosus  et  exul  »  di  cui  parla  il  Pla- 
tina nella  Vita  di  Paolo  II  (De  vitis  pontiff.  ed,  1529,  p.  174)  come  di 
un  accusatore  dell'Accademia.  Forse  ebbe  ad  essere  un  astrologo 
a'  servigi  del  Comune  di  Roma,  atteso  che  gli  astrologi  solevano  più 
spesso  nell'età  di  mezzo  chiamarsi  filosofi,  com'erano  stati  chiamati 
matematici  nell'antichità  classica.  Nei  citati  Notabilia  temporum  del 
TuMMULELLi  (cap.  199,  p.  179)  SÌ  reca  in  mezzo  un  presagio  d'astro- 
logi a  nome  d'un  «  magister  leronimus  philosophus  Eufordie  et  omnes 
«  alii  philosofi  concordantur».  Ad  ogni  modo  è  desiderabile  che  una 
nuova  edizione  preceduta  da  un  diligente  studio  critico  di  questi 
Frammenta  historiae  romanae  vegga  presto  la  luce. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  s^^ 

leggende  intorno  a  papa  Bonifacio  e  al  suo  successore  che 
trova  nel  Villani,  in  Ferreto  Vicentino,  nell'autore  del  Pe- 
corone, in  quello  degli  Excerpta  ex  chronicis  Urhevetanis,  nel- 
Y  Aquila  volante  attribuita  all'Aretino  la  traccia  sua  (i).  È  facile 
ravvisare  come  il  soffio  fiorentino  di  Giovanni  Villani  gli 
sia  entrato  più  particolarmente  nell'animo;  come  dalla  Cro- 
nica di  lui  abbia  preso  le  mosse  ;  poiché  dove  questi,  nel 
concilio  di  Vienna  in  Borgogna  fa  difendere  la  memoria 
di  papa  Bonifacio  «  per  misser  Ricciardo  da  Siena  cardinale 
«  e  sommo  legista,  e  per  messer  Gianni  di  Namurro  per 
«  teologia,  e  per  misser  fra  Gentile  cardinale  per  decreto,  e 
«per  messer  Carroccio  e  messer  Guglielmo 
«d'Ebole  catalani,  valenti  e  prodi  cavaHeri  per  ap- 
«pello  di  battaglia,  per  la  qual  cosa  il  re  e' suoi  ri- 
<(  masono  confusi  »,  Stefano  invece  fa  confondere  non  già 
il  re,  ma  il  pontefice  da  due  cavalieri,  italiani  e  non  già  di 
Catalogna.  E  il  sentimento  che  anima  queste  leggendarie 
finzioni,  destituite  di  realtà  storica,  rivela  tuttavia  una  con- 
dizione storica  e  morale  verissima  :  la  collera,  cioè,  di  Spagna 
e  d' Italia  al  vedere,  col  trasporto  della  sede  ad  Avignone, 
essere  grettamente  infrancesata  la  Chiesa  cattolica;  e  chi  fra 
i  moderni  gitta  via  come  mondiglia  queste  fiabe  foggiate 
dal  commovimento  popolare  (2),  solo  perchè  contrastano 
con  computi  positivi  di  calendari  e  registri,  dimentica  che 
la  storia  vive  d'altra  cosa,  oltre  che  di  mappe  e  di  date,  e 
che,  come  la  vera  musica  non  si  batte  a  metronomo,  cosi 
la  morale  coscienza  dei  popoli  traversa  il  tempo  resistendo 
a'  cronometri. 

Ma  come  mai  i  due   cavalieri  italiani  si  personifica- 
rono poi  dall'I,  in  Pietro  e  Stefano  Rosselli?  donde  trasse 

(i)  Cf.  M.  Landau,  Beitràge  \ur  Geschichte  der  italiennchen  Novelle, 
Wien,  1875,  p.  29  e  sgg.;  Gaspary,  Gesch.  der  italienischen  Liiera- 
tur  II,  72  ;  V.  gli  Excerpta  ex  chronic.  Urbev.  nei  Beitràge  :(ur  politischcn 
Kirchlichen  iind  CuUur-Gesch.  del  Dòllinger,  III,  317-353. 

(2)  Cf.  ScHOTTMULLER,  Der  Untergang  des  Temphrs  Ordens,  p.  686. 


^66  O.   Tom  masi  ni 


egli  la  storia  deirabbruciamento  della  camera  della  regina 
e  del  salvamento  operato  da  loro?  nelle  croniche  o  nelle 
leggende  di  Francia  o  d' Italia  esiste  alcun  fondamento  po- 
sitivo alla  fantasiosa  narrazione  di  lui  ?  Queste  domande  ci 
proponemmo,  travagliandoci  nell'indagine  per  ogni  guisa. 
Che  se  tra  le  fonti  storiche  d' Italia  sembrò  che  la  Cronica 
del  Villani  stesse  a  base  della  narrazione  di  Stefano,  tra  le 
croniche  francesi  non  rilevammo  alcuna  analogia,  anzi,  come 
era  naturale,  una  antilogia  completa,  siccome  in  Godefroy 
de  Paris  (i).  Ninna  traccia  di  cavalieri  che  difendessero  col- 
r  armi  contro  «  Guillaume  de  Longaret  »  la  memoria  di 
Bonifacio;  ninna  memoria  d'incendio  nella  camera  della 
regina;  niuna  negli  Historiens  de  France;  ninna  nei  Praeclara 


(i)  Godefroy  de   Paris,    Chronique  métrique,    ed.  Buchon;  Pa- 
ris, 1827,  p.  124. 

En  cel  an  mil  trois  cens  et  six  . 

Fu  le  pape  Clyment  requis 

De  Guillaume  de  Longaret; 

Et  ce  fut  ce  qu'il  requeret 

Que'le  pape  qui  ot  esté, 

Boniface,  feust  geté 

Tout  hors  de  Saint-Pierre  de  Rome, 

Car  pas  n'avoit  esté  tei  homme 

Que  la  sépulture  éust; 

Aius  requéroit  que  il  féust 

De  là  jetez  et  sans  respite, 

Les  OS  ars  comme  d'un  hcrite 

Ainsi  cil  si  bien  se  maintint 

A  la  court  du  pape,  et  soustint 

Contre  Boniface  maint  cas, 

Dont  il  fu  au  derrenier  cas, 

Et  casse  par  droite  sentence, 

Et  se  ne  fu  le  roy  de  France 

Autrement  le  fust  avenu  ; 

Mais  par  le  roi  fu  soutenu. 

Par  sentence  fu  cil  Guillaume 

Condampné  de  France  et  du  royaume, 

Por  ce  qu'au  pape  avoit  mesfet. 

Et  por  ce  que  le  roi  le  fet, 

N'avoux  pas  que  fait  avoit 

Biax  sire  Diex  I  qui  vit  trop  voit. 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  5^7 

Francorum  facinora ;  niuna  nella  Cronica  (i)  di  Jean  Golein: 
la  regina  stessa  di  Francia  e  di  Navarra,  «  la  très  sage 
«Jeanne»  era  morta  sin  dal  1305  (2).  Né  ci  ristemmo  di 
leggieri  dalla  ricerca  dei  Rosselli  tra  i  cavalieri  vissuti  a  quel 
tempo  alla  corte  francese;  anzi  solo  quando  una  voce  au- 
torevole ci  scoraggiò  dal  poterveli  rintracciare,  volgemmo 
la  ricerca  ad  altro  indirizzo  (3). 

Evidentemente,  se  il  fondamento  alla  leggenda  in  do- 
cumenti sincroni  francesi  mancava,  questo  aveva  a  sorgere 
posteriore  e  interessato  da  motivo  domestico  ;  e  assai  pro- 
babilmente genealogico  o  «antropologico»,  come  si  disse 
a'  tempi,  in  cui  le  maggiori  bugie  s'architettarono  per  amor 
della  schiatta.  Ora  l'interesse  più  forte,  e  più  da  sospet- 
tare, parve  dover  avvisarlo  subito  nella  famiglia  dei  Roselli 
stessi  ;  non  già  di  quel  Niccolò  Roselli,  che  fu  cardinal  d'Ara- 
gona (4),  e  autore  delle  Vite  de  pontefici;  ma  in  un'  altra, 
romana  e  per  qualche  modo   connessa   di   relazione    con 


(i)  Cf.  fra  le  Notices  et  extraits  des  manuscrits,  XVVII,  Delisle, 
Notices  sur  les  manuscrits  de  Bernard  Gui,  p.  226  e  sgg.  Le  Croniche  di 
frate  Jean  Golein  consultai  nel  ms.  Vat,  Regin.  697  membranaceo 
in-4,  sec.  xiv,  che  chiude  appunto  col  ritratto  di  Filippo  V  e  della 
regina  Giovanna  (a  e.  129  v). 

(2)  GODEFROY   DE   PaRIS,   Op.    cit.   p.    1 14. 

(3)  Consultato  da  me  l'ili.  Paul  Meyer,  nel  1886  scrivevami  su 
questo  proposito:  «J'ai  le  regret  de  vous  informer  que  les  recher- 
«  ches  que  j'ai  fait  immédiatement  dans  les  documents  imprimés  que 
«  nous  avons  dans  notre  bibliothèque  sur  le  règne  de  Philippe-le-Bel 
«  n'ont  amene  aucun  résultat.  Je  ne  sais  si  on  serait  plus  heureux 
«  en  consultant  des  documents  inédits;  mais  j'en  doute  fort.  Si  un 
«  Roselli  avait  figure  à  la  cour  du  roi,  il  est  assez  probable  qu'il  se- 
«  rait  mcntionnò  dans  l'un  des  derniers  volumes  des  Historiens  de 
«  France,  dont  les  tables  sont  remarquablement  détaillées,  et  où  du 
«  reste  vous  avez  probablcment  cherché  avant  mei.  Le  fait  auquel  se 
«  rapporte  le  récit  du  Diario  me  parali  d*une  authenticité  fort  con- 
«  testable  ». 

(4)  Cf.  Muratori,  Scn/>^  III',  368;  Souchon,  Die  Papstwahlerty 
app.  p.  179. 


S6S  O.   Tommasint 


Avignone  e  con  Francia.  Ora,  una  famiglia  romana  dei 
Rosello  o  «  Roscello  »  è  memorata  dall'  Adinolfi  insieme 
con  quelle  de'  Sinibaldi,  de'  Corte,  de'  Mattuzzo,  dello 
Schiavo,  de'  Petrucci,  le  quali  avevano  tombe  in  S.  Qui- 
rico  e  Giulietta  (i).  Inoltre  nei  prolegomeni  al  regesto  di 
Clemente  V  si  riproduce  dagli  editori  un  breve  del  1441 
di  papa  Eugenio  IV,  già  precedentemente  pubblicato  dal 
Theiner,  a  un  Rosello  de'  Roselli,  chierico  di  camera,  il 
quale  con  Bartolomeo  dei  Brancaccio,  nobile  avignonese, 
ebbe  commissione  di  ritirare  dal  cardinale  Pietro  de  Fuxo 
in  Avignone  i  privilegi,  le  reliquie,  le  insegne,  gli  orna- 
menti, i  regesti  che  già  dagli  archivi  del  Laterano  e  di 
S.  Pietro  «  ad  partes  Avinionenses  »  furono  recati  (2). 
Non  si  anno  notizie,  scrive  il  Gachard,  circa  il  successo 
della  missione  del  Brancaccio  e  del  Roselli;  quello  che  è 
certo  si  è  che  una  gran  parte  degli  archivi  ch'era  nel  pa- 
lazzo d'Avignone  non  fu  allora  riportata  in  Roma  (3). 
Ma  per  noi,  per  la  leggenda  di  cui  studiamo  l'origine  e  le 

(i)  Adinolfi,  Roma  nell'età  di  meno,  I,  63.  Cf.  bibl.  Vatìc.  1621- 
^2  \  Repertorio  lacovacci,  fam.  Roselli,  p.  342. 

(2)  Cf.  Regesti  Clementis  V  Proleg.  XLIV-V  ;  Theiner,  Codex  dipi. 
Ap.  Sed.  Ili,  849,  doc,  ccxcv.  Cf.  Gachard,  Les  archives  du  Va- 
tican,  p.  7. 

(3)  Vi  fu  riportata  invece  a  tempo  di  Urbano  Vili  e  il  Conte- 
lori  ripose  nell'archivio  Vaticano  insieme  cogli  altri  libri  tornati  da 
Avignone  anche  il  diario  dell'lnfessura.  Nel  cod.  Vat.  9026,  p.  267  v 
si  legge  :  (Suaresii  de  diariis  et  actibus  consistorial.)  «  In  libris,  qui 
«  Avinionensis  palatii  ex  archiviis  translati  in  Urbem  fuere  sub  Ur- 
ee bano  8°  S™^  Mem"®  PP.  complures  erant  provisionum  et  obliga- 
«  tionum,  quos  lUmus  Contelorus  bo.  me.  intulit  archivio  Vat"°  vir 
«industrius  et  laboriosus.  i.  Diaria  ab  obitu  Bonifacii  8  ad  Alexan- 
«  drum  6  in  BB,  Vaticana  n.  5622  Codice  seu  Ephemerides.  2.  Dia- 
«  rium  dìctum  Mesticanza.  3.  Diaria  Stephani  Infessurae  civis  Romani 
«  a  tempore  curiae  romanae  e,  Galliis  reductae  in  Urbem  ad  Alexandrum  VI 
i<  pontifice  sive  ab  anno  1^24  ad  14^^  rerum  Romanorum  suorum  tempo- 
«rww».  E  in  margine  annota:  «Codex  Vatic.  5299  partim  italico 
«  partim  latine;  incipit:  pontificalmente». 


Il  diario  dì  Stefano  In  fessura  5^9 

fila,  non  è  poco  aver  rintracciato  un  primo  rappicco  tra 
Avignone  e  la  famiglia  dei  Roselli  nel  secolo  decimo- 
quinto. Questo  Rosello  dei  Roselli  dalla  sua  dimora  di 
Francia  ebbe  forse  a  recare  con  sé  la  lusinga  che  taluno 
dei  suoi  antenati,  valente  in  armi,  seguitando  alcuno  dei 
cardinali  italiani  in  Francia,  si  trovasse  in  corte  del  re  o 
del  papa;  può  anche  aver  foggiato  a  conto  suo  la  sto- 
riella, e  cercato  o  goduto  che  altri  per  lui  la  spacciasse  in 
Italia.  In  Roma  poi,  dove  T  istoriografia  volgare  sbucciava 
dalla  novella  o  s'andava  appena  staccando  da  questa,  dove 
VHistoria  di  Castalio  Metallino  (i),  le  Historie  dello  filo- 
sofo, la  Mestican:(a  de'  Petroni,  il  Libro  Imperiale  stesso 
composto  «  per  passare  tempo  et  rubare  alla  fortuna  li  ac- 
«  cidiosi  pensieri  »  e  ad  esaltazione  e  derivazione  da  Cesare 
dei  prefetti  Di  Vico  e  de'  Colonnesi  (2),  provano  come  gli 
scrittori  acconciassero  la  fantasia  al  racconto,  e  come  il 
racconto  potesse  involgere  domestici  intendimenti  abbar- 
bicati alla  tradizione  classica;  la  leggenda  dei  Roselli  ebbe 
a  parer  modesta  e  a  trovare  facile  accoglienza  e  diffusione. 
Nel  ciclo  della  clientela  colonnese  ebbe  il  Roselli  stesso  a 
trovarsi  compreso,  quando  Eugenio  IV,  nimicando  i  Co- 
lonna, fin  dal  secondo  anno  del  suo  pontificato,  lo  deputò 
governatore  di  Riofreddo,  di  Vallefredda  e  Roviano,  e  delle 

(i)  Il  Ceccarelli,  nel  ms.  Vat.  4909,  a  p.  21  scrive:  «  VHisio- 
«  ria  di  Castallo  Metallino  delle  famiglie  del  Rione  de  la  Regola,  il 
«  cui  originale  antiche  è  in  mano  del  s""  Cesare  Giovenale  et  una 
«  copia  presso  all'  111'""  sig""  Giovangiorgio  Cesarino  et  l'altra  presso 
«  el  s'  Fulvio  Archangeli  ».  Cita  ancora  ibid.  r«  Historia  deVorigine 
«  della  Famiglia  de  Palosci  et  de  Normanni  che  sta  insieme  coWHistoria 
«  del  Metalino  in  4°  foglio  del  s*""  Fulvio  Archangelo  ».  Allega  poi  le 
«  Historie  di  Francesco  Bandinotto  Fiandrese  in  tutto  foglio,  tom.  due 
«  havuti  dall'archivio  del  n.  s.  Monaldo  Monaldeschi  della  Cervara  ». 
Non  sarebbero  queste  le  Istorie  che  Giacinto  Manni  «  reperit  in  ms.to 
a  codice  nobilis  magnatis  Caesaris  Baldinotti  Ducis  »  e  che  pub- 
blicò il  Muratori  (Ant.  It.  III)? 

(2)  Cf  Arci),  della  Soc.  Rom.  di  st.  patr.  V,  34  e  sgg. 


570  O.   Tommasini 


terre  possedute  da  Antonio  Colonna  di  Riofreddo  (i).  La 
guerra  con  questo  ramo  dei  Colonnesi  non  durò  a  lungo; 
e  probabilmente  se  Antonio  da  Riofreddo,  un  anno  dopo, 
ebbe  mandato  di  trattare  accordo  col  papa  anche  in  nome 
di  Prospero,  Edoardo,  Gianni  Andrea  e  Corradino  d'An- 

(i)  Archivio  Vatic.  Regesta  Eugenii  IV  (Secret,  lib.  XI),  n.  370, 
fol.  Lxxxxv  v:  «  Eugenius  etc.  Dilecto  filio  Mag''"  Rosello  de  Rosellis 
«  aplicae  Camere  clerico  terrarum  Rivifrigidi,  Ruviani,  Vallamfrede 
«  Tiburtine  dioc.  ac  nonnuUarum  terrarum  et  locorum  diversarum 
«  dioc.  ad  dilectum  filium  Antonium  de  Rivofrigido  de  Columna, 
«  quem  cum  ipsius  terris  et  locis  sub  nostra  et  Romane  Ecclesie  tu- 
«  tela  et  proteccione  suscepimus,  pertinencium  et  spectancium  nostro 
«  et  Romane  Ecclesie  nomine  gubernatori  salutem  etc.  Dum  onus 
«  universalis  dominici  gregis  superna  nobis  disposicione  iniunctum 
«  diligenter  attendimus,  videntes  quod  circa  singula  per  nosmetipsos 
«  exolvere  non  valemus  debitum  apostolice  servitutis,  viros  notabiles 
«  et  insignes  sciencia  et  virtute  prò  benegerendis  negociis  nostris  et 
«  diete  Ecclesie  deputamus,  ut  ipsorum  cooperatione  iniunctum  nobis 
«  a  Deo  ministerium  facilius  exequi  valeamus.  Sane  licet  cunctorum 
«  christifidelium  statum  pacificum  intenta  mentis  acie  attendamus, 
«  tamen  terras  Rivifrigidi,  Ruviani  et  Vallamfrede  Tiburtine  dioc.  ac 
«  nonnullas  alias  terras  et  loca  ad  praefatum  Antonium  de  Rivofri- 
«  gido  de  Columna  spectantia  et  pertinencia  cum  omnibus  habitato- 
«  ribus  et  incolis  eorumdem  singulari  caritatìs  et  benivolencie  af- 
te fectu  intuemur.  Attendentes  itaque  quod  tu  quem  in  magnis  et 
«  arduis  eximia  virtute  et  scientia  probatum  graciarum  Dominus  mul- 
«  tifariam  insignivit,  praefatas  terras  et  loca  divina  assistente  gracia 
«  circumspecte  et  fideliter  gubernabis,  te  in  praefatis  terris  et  locis 
«  gubernatorem  prò  nobis  et  dieta  Ecclesia  in  temporalibus  gene- 
«  ralem  auctoritate  apostolica  ex  certa  sciencia  usque  ad  nostrum 
«  beneplacitum  facimus,  constituimus  et  eciam  deputamus,  tibì  nichi- 
«  lominus  nostro  et  eiusdem  Ecclesie  nomine  praefatas  terras  et  loca, 
«  incolas  et  singulares  personas  cuiuscumque  status  vel  condicionis 
«  fuerint  nobis  et  diete  Ecclesie  rebelles  ad  nostram  et  eiusdem  Ec- 
«  clesie  obedienciam  et  devocionem  reducendi,  recipiendi  nec  non 
«  terras  et  loca  praefata,  habitatores  et  incolas  dicto  nomine  refor- 
«  mandi,  regendi,  gubernandi  et  administrandi  ac  in  eis  iurisdictionem 
«  omnimodam  exercendi,  civiles  et  criminales  causas  per  te  vel  alium 
«  audiendi  et  examinandi  ac  exequendi  atque  in  praefatis  terris  et 
«  locis  potestates,  iudices  et  officiales  constituendi,  suspendendi  et  re- 


Il  ^Hario  di  Stefano  In  fessura  571 

tiochia,  e  se  l'accordo  riusci  (i),  forse  il  governatore  Ro- 
selli  non  ne  andò  senza  merito. 

Stabilito  per  tal  modo  il  vincolo  di  relazione  probabile 
tra  i  Roselli  e  la  Francia,  tra  i  Roselli  e  i  Colonnesi,  nella 
clientela  de'  quali  1'  I.  viveva,  si  rende  men  difficile  il  con- 
getturare per  qual  guisa  la  leggenda  che  li  riguarda  trovò 
posto  nel  diario  di  esso;  sia  che  egli  medesimo  l'abbia 
foggiata,  sia  che  l'abbia  raccolta  per  primo.  Certo  che  se 
essa  arieggia,  come  dicemmo,  lo  stile  dei  Fragmenta  hi- 
storiae  romanae,  certe  caratteristiche  filologiche  la  manten- 
gono stretta  al  tempo  in  cui  visse  1'  I.  Quando  Stefano  dei 
Roselli  mise  mano  alla  spada  e  il  pontefice  voleva  gU  fosse 


«  movendi,  treugas  et  vindicias  inducendi  et  firmandi,  occupataque 
«  iniuste  ab  illorum  detentoribus  eripiendi  et  recipiendi,  processus 
«  quoque,  condempnaciones  diffidaciones  et  finas  criminales  latas  tol- 
«  lendi,  cassandi  et  eosdem  reaffidandi,  ac  eciam  centra  omnes  et 
«  singulos  hostes  et  dictarum  terrarum  pacis  inquietatores  et  turba- 
«  tores  exercitus  et  auxilia  indicendi  et  congregandi,  et  demum  omnia 
«  alia  et  singula  quae  ad  huiusmodi  gubernatoratus  officium  eiusque 
«  liberum  exercitium  pertinent  de  consuetudine  vel  de  iure,  aliena- 
«  tione  tandem  rerum  immobilium  ac  propterea  mobilium  dumtaxat 
«  excepta,  et  que  ad  quietem  et  pacificum  statum  dictarum  terrarum 
«  et  locorum,  habitatorum  et  incolarum  predictorum  cedere  videris, 
«  etiamsi  mandatum  exegerint  speciale,  faciendi,  mandandietexequendi 
«  plenam  et  liberara  concedentes  harum  serie  potestatem.  Mandantes 
(c  omnibus  et  singulis  praedictarum  terrarum  et  locorum  officialibus, 
«  castellanis,  stipendiariis  quoque  tam  equestribus  quam  pedestribus 
«  in  prefatis  terris  et  locis  ad  dicti  Antonii  stipendia  militantibus  nec 
«  non  incolis  et  habitatoribus  supradictis  quod  tibi  plerte  pareant  et 
«  intendant.  Alioquin  processus,  finas  et  penas  quos  et  quas  per  te 
«  proferri  contigerit  ratas  habebimus  ac  facicmus  auctore  Domino 
«  usque  ad  satisfactionem  condignam  inviolabilitcr  obscrvari.  Tu  igitur 
«  ipsius  gubernatoratus  officium  tibi  a  nobis  ut  premittitur  iniunctum 
«  sic  exercere  studeas  sollicitc,  fideliter  et  prudentcr  quod  ex  lauda- 
«  bilibus  operibus  tuis  propter  nostram  et  diete  Ecclesie  graciam  a 
«largitore  munerum  superiorum  beatae  vitae  pracmia  tribuantur. 
«f  Dat.  etc.  .VI.  id.  iulii  anno  sccundo  ». 

(i)  Cf.  Theiner,  Codex  dipi.  Ap.  Sed.  Ili,  322  e  sgg. 


572  O.    Tommasini 


tagliata  la  testa,  «lo  re  di  Pranza  lo  domandò  per 
«homo  morto  et  habbelo  »,  la  qual  frase  sa  dei  tempi 
delle  milizie  mercenarie  (i);  e  muore  non  appena  i  mu- 
tati costumi  della  guerra  non  più  la  mantengono  nell'uso. 
Del  resto,  non  è  questa  la  sola  leggenda  accolta  dall' I. 
con  quella  confidente  indifferenza  ad  appurarne  l'origine 
che  nasce  all'udir  cosa  creduta  e  ripetuta  dal  popolo  a  du- 
bitar della  quale  manca  la  necessità  o  l'impulso.  Ad  altro 
punto  del  diario,  nell'agosto  del  1482,  dopo  la  vittoria  di 
Roberto  Malatesta  a  Campomorto  e  la  disfatta  del  duca 
di  Calabria,  Stefano  racconta  la  morte  di  lui,  trionfatore, 
seguita  improvvisamente  a  Roma  per  febbre,  appena  quin- 
dici giorni  dopa  il  segnalato  trionfo.  I  maligni  sospettarono 
che  Roberto,  la  cui  potenza  dava  ombra  a  chi  ne  aveva  go- 
duto, fosse  stato  tolto  di  mezzo  col  veleno.  «  Sunt  qui  dicunt 
«  veneno  necatum  -  scrive  l' I.  -  cui  papa  fécit  magnum 


(i)  È  significazione  che  i  dizionari  non  registrano.  A  noi  pare 
chiara  la  relazione  àtìVuomo  morto  con  quella  àtWt  paghe  morte,  proprio 
della  milìzia  mercenaria.  In  una  lettera  di  Iacopo  d'Appiano  al  conci- 
storo di  Siena  «  ex  Piombino  die  .xxviii.  decembris  .mccccxxxiii.  », 
ringraziando  il  Comune  d'aver  prolungato  di  alcuni  giorni  la  vita  a 
«  Cacciaguerra  suo  uomo  d'armi,  in  considerazione  sua  e  del  cardi- 
«  naie  di  Mantua  »,  aggiungesi  :  «  de  novo  per  le  presenti  c'è  parso 
«  suplicare  quelle  se  voglino  degnare  farcenne  un  presente  come 
«de  homo  morto,  del  che  li  restaremo  ultra  alli  altri  oblighi 
«  obligatissimo  ».  (Arch.  di  St.  in  Siena,  Lett.  coiicist.  ad  ann.). 

Questa  locuzione  non  si  trova  più  nella  redazione  della  leggenda 
quale  è  presentata  dai  mss.  e,  d,  g,  in  cui  è  data  nel  modo  seguente  : 
«  Il  re  di  Francia  pregò  il  papa  che  dovesse  restituire  al  cardinalato 
«  Pietro  e  Giacomo  e  che  ardesse  l'ossa  di  Bonifacio  8  come  ere- 
«  tico.  Et  perchè  non  fu  vero  papa,  non  ti  poteva  far  arcivescovo. 
«  Et  Pietro  et  Stefano  delli  Roselli  misse  mano  alla  spada  e  disse  : 
«  chi  vuol  dire  che  le  ossa  di  Bonifatio  non  si  ardino,  mente  come 
«  traditore.  Il  papa  lo  fece  pigliare  e  volle  gli  fosse  tagliata  la  testa  ; 
«  ma  il  re  glielo  chiese  in  grazia  per  haver  salvato  la  regina  circun- 
«  data  dal  foco  in  sua  camera  ;  perchè  Stefano  e  Pietro  andare  per 
«  un  trave  e  là  se  la  presero  in  collo,  e  liberarono.  Il  papa  cede  ». 


//  diario  di  Stefano  Infessura  573 

«  honorem  eiusque  corpus  sepelivit  in  ecclesia  Sancti  Petri 
«  cum  marmorea  memoria  singulari  quae  ibi  videtur.  Sunt 
«  qui  dicunt  quondam  Senenses  auxilio  cuiusdam  (la  mag- 
«  gior  parte  dei  mss.  reca  erroneamente  eiusdeni)  (i)  magni 
«  capitanei  fuisse  liberatos  ab  oppressione  Florentinorum. 
«  Traditur  quod  Senenses  ipsi  erant  maximopere  obligati 
«  et  quotidie  cogitabant  quid  possent  ei  dare  dignum  me- 
«  ritis  prò  tanto  munere^  quod  acceperunt  ab  eo  ;  et  tan- 
«  dem  iudicabant  se  impares  tanto  beneficio  ;  etsi  fecissent 
«  eum  dominum  illius  civitatis,  adhuc  non  esset  satis.  Et 
«  stantibus  illis  in  hac  altercatione,  quadam  die  in  concilio 
((  generali,  quod  prò  ista  re  quotidie  faciebant,  quidam  Se- 
«  nensis  surrexit,  et  dixit  se  invenisse  praemium  meritum 
«  dignum  tali  viro,  et  quod  de  facili  posset  dictus  populus 
«  facere  vel  concedere  ;  et  imposito  silentio  fuit  ei  iussum 
«ut  diceret  quidnam  esset  istud  praemium,  et  dixit:  occi- 
«  damus  eum,  et  deinde  adoremus  eum  prò  sancto  et  prò 
«  nostro  protectore  perpetuo,  et  ita  factum  fuit  » . 

Per  raffigurare  l'occasione  e  l'origine  di  questa  storiella 
senese  introdotta  dal  nostro  scriba  nella  sua  cronica,  bisogna 
risuscitare  per  un  momento  le  circostanze  vive  della  città 
e  del  Campidoglio,  nel  momento  in  cui  il  nostro  cronista 
scriveva.  Ciò  era  sui  primi  dell'anno  1483,  quando  Lorenzo 
Lanti,  che  già  si  trovava  in  Roma  oratore  di  Siena  sua 
patria,  fu  assunto  all'officio  di  Senatore  (2).  Egli  aveva  con 


(i)  Dei  codici  da  noi  avuti  a  continuo  riscontro  per  l'edizione 
recano  «  eiusdem  »  C,  C*,  C*,  E,  R,  S,  S^;  «  cuiusdam  »  soli  M,  R^ 
Che  debbasi  poi  leggere  «  cuiusdam  »  e  non  altrimenti  vien  poi  sta- 
bilito anche  dal  fatto  che,  per  quanto  consta  dai  documenti  del- 
l'archivio Senese,  Roberto  Malatesta  non  ebbe  mai  condotta  dalla 
città  di  Siena. 

(2)  Arch.  Vat.  Registro  di  Sisto  IV,  Offic.  659,  a.  e.  XLViin  : 
«  d.  f.  n.  V.  Laurentio  de  Lantis,  equiti  ac  doctori  Senen.  A.  U.  n. 
«  Senatori.  Datum  Rome,  a.  .mcccclxxxiii.  quarto  i<al.  aprilis,  p.  n. 
«  a.  decimo  ».  È  deputato  «  prò  semestri  incipiendo  immediate  post  fini- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI  38 


574  ^*   Tommasini 


sé  in  compagnia  un  suo  fratello,  che  uccellato  poi  da'  fo- 
rusciti  di  Siena,  convenuti  in  Roma  a  causa  de'  tumulti  dei 
Noveschi  (i),  gli  fu  cagione  di  compromessa  non  piccola. 
Aveva  con  sé  la  sua  brigata  senese  ;  e  di  Senesi  poi  formi- 
colava la  città,  dacché  i  forusciti  bramavano  coli' appoggio 
del  papa  e  del  conte  Girolamo  Riario  rovesciare,  al  so- 
lito, il  governo  della  patria  loro.  Le  condizioni  di  messer 
Lorenzo  Lauti,  per  quanto  savio  e  avveduto  egli  fosse,  eran 
dunque  tutt' altro  che  facili,  e  le  lettere  di  lui,  conservate 
nell'Archivio  di  Stato  in  Siena,  ne  danno  fede.  Il  suo  epi- 
stolario pertanto  riesce  di  grande  utilità  storica,  poiché  le 
lettere  del  Senatore  di  Roma,  fonte  vivo  di  storia,  valgono 
di  riscontro  mirabile  alle  affermazioni  dello  scribasenato. 
Ne  feci  però  numerosi  estratti,  e  ne  pubblico  le  parti  più 
considerevoli  in  appendice  a  questo  scritto,  aggiungendovi 
alcune  lettere  di  Guidantonio  Vespucci,  orator  fiorentino, 
perché  non  si  dubiti  che  Senatore  e  scribasenato  si  tengano 
vicendevolmente  il  sacco. 

Stabilita  ora  la  ragione  di  contatto  fra  i  Senesi  e  F  L, 
tra  1'  L  e  Lorenzo  Lanti,  é  a  congetturare  che  quegh,  allo 
spettacolo  delle  ostentate  essequie  di  Roberto  Malatesta,  se- 
polto a  San  Pietro  in  Vaticano  con  tanta  pompa,  presente 
il  papa,  ragguagliato  nell'epitaffio  a  Cesare,  morto  non  senza 
gioia  dei  prelati  (2),  udisse  da  qualche   senese  novellare 

«  tum  officium  d.  Ludovisi  Vorsi  militis  forliviensis  » .  Arch.  di  Stato 
in  Siena,  Leti,  al  Concistoro  ad  ann.  «  Laurentius  Lantius  orator  et 
«  Senator  Urbis,  ex  Capitolio  .xii.  aprilis  1483  :  hieri  con  bona  gratia 
«  del  pontefice  ricevei  la  bacchetta  et  possessione  dell'offitio  del  Se- 
te nato  ». 

(i)  Peggi,  Memorie  storico- critiche  di  Siena,  I,  17  e  sgg. 

(2)  Ia.  VoLATERRANi  Diar.  Script.  XXIII,  179  ;  Guiggiardini,  Storia 
a  Firenze,  cap.  vii.  Là  scritta  della  sua  tomba  fu:  «  Veni,  vidi,  vici, 
«  lauream  pontificis  retuli,  mors  secundis  rebus  invidit».  Il  Volter- 
rano, che  rappresenta  le  opinioni  della  curia,  scrive  :  «  Creditum  est 
«  a  plerisque  (ut  est  in  omnibus  liberum  indicare)  Roberti  obitum 
«  magis  usui  quam  detrimento  fuisse  rebus  Ecclesiae  ;  erat  namque. 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  575 

d'un  altro  capitano,  condotto  già  a  gran  prezzo  dalla  repub- 
blica di  Siena,  per  averne  salvezza;  e  di  cui  la  repubblica 
ebbe  invece  paura  ;  tanto  che  quando  la  paura  e  il  sospetto 
soperchiarono,  si  consultò  in  comune  che  cosa  fosse  da  fare. 
E  fu  chi  diede  avviso  di  levarlo  di  mezzo  e  compiè  l'opera 
con  gran  gioia  del  concistoro.  Ma  non  appena  fu  morto 
poi,  che  come  un  santo  ebbe  onori,  splendore  di  essequie, 
luminaria  e  tumulo  in  duomo.  L'allusione  alla  morte  di 
Gisberto  da  Correggio  (i)  sembra  in  tal  caso  assai  proba- 


«  ut  ii  dicebant,  tam  a  natura  quam  a  tam  recenti  Victoria  ita  animo 
<f  elatus,  ut  nunquam  prò  his,  quae  egerat,  extimasset  sibi  a  summis 
«  pontificibus  satisfieri  potuisse  ;  non  oppida  Ariminensia  cum  appen- 
«  dicibus,  non  Fanensis  civitatis  et  Senogalliae  vicariatum  digna  suis 
«  meritis  credidisset.  Itaque  non  tam  prò  obitu  dolendum  quam 
«quod  non  convaluerit  mirifice  laetandum». 

(i)  Intorno  a  Gisberto  da  Correggio  vedi  ntWArch.  stor.  it.  serie  IV, 
t.  IV;  Banchi,  Il  Piccinino  nello  Stato  di  Siena,  p.  224  e  sgg.  Le 
Croniche  di  Gio.  Bisdomini,  ms.  nell'Arch.  di  Stato  in  Siena,  ce.  333-4, 
anno  :  «  a'  8  di  ybre  in  sabbato  el  sig''  di  Correggio  venne  in 
«  Siena,  e  subbito  in  palazzo  de'  Sig''^  Essendo  a  ragionamento  in 
«  concestoro,  gli  fu  mostro  che  esso  haveva  mancato  del  debito  e 
«  de  la  fede  e  che  era  truffatore.  E  alterandosi  e  venendosi  in  ira, 
«  fu  gittato  d'una  fenestra  a  capo  la  porta  del  Sale,  e  cosi  mori.  E 
«fu  gli  fattoun  bello  ecsequio  concento  paradi  torce,  e  fu 
«  sepolto  in  duomo  appresso  al  campanile  ».  E  ibid.  nelle  Croniche  sanesi 
attribuite  a  Tommaso  Fecini,  a  e.  228  :  «  di  settembre  in  sabbato 
«  il  signore  di  Correggio  venne  in  Siena,  e  subbito  andò  in  palazzo 
«  de'  Signori,  accompagnato  con  più  cittadini,  et  essendo  a  ragiona- 
«  mento  nella  sala  del  papa  colla  Balia,  li  fu  mostrato  per  la  Balìa 
«  ch'esso  non  aveva  fatto  il  debito,  e  che  egli  era  truffatore  ;  e  mo- 
«  strandoli  lettere,  le  negava,  e  venendo  in  ira,  li  fu  mostrato  sue 
«  lettere  più  vere,  in  modo  che  lui  voleva  uscire  fuore,  m.  Ludo- 
«  vico  Pctroni  sedendoli  a  lato,  lo  prese  per  le  stringhe  del  braccio 
«  e  fello  stare:  sonossi  il  campanello,  uscirono  fuori  alcuni,  che  lo 
«gettarono  per  le  finestre  della  porta  del  Sale,  e  mori,  inde  a  un 
«  ora  gli  fu  fatto  uno  bello  esequio  con  100  para  di  torce  e 
«  fu  sotterrato  in  duomo  appresso  al  campanile  ».  Ma  ceco  il  verbale 
autentico,  quale  occorre  nell'Arch.  di  Stato  in  Siena,  Balìa,  Delihe- 


57^  O.   Tommasini 


bile  e  Tunica  che  soccorra  a  spiegare  l'allusione  e  l'epi- 
sodio recato  in  mezzo  dall'  I. 

Ma  è  tempo  di  far  epilogo  delle  cose  esposte.  Intorno 
all'autore  del  diario  raccogliemmo  quelle  notizie  che  po- 
temmo per  dimostrarne  la  certezza  e  la  condizione  di  fatto, 
che  gli  rese  agevole  il  farsi  testimonio  dei  tempi  suoi.  In- 
torno all'opera  di  lui  esercitammo  il  nostro  esame,  inda- 
gandone l'origine,  il  nucleo  primitivo,  i  modi  del  successivo 
svolgimento,  le  necessarie  discrepanze  di  forma  che  ne  fu- 


ra:(ioni  lib.  I,  e.  65.  Il  notaio  è  ser  Antonio  di  ser  Giovanni:    «  Die 
«sabbati  .vi.  septembris  (1455). 

«  Leonardo  priore       ,     . 

«  Dieta  die  de  sero  inter  .xx.  et  .xxi.  horam  dicti  magnifici 
«  domini  de  Balia  habentes  notitiam  qualiter  dictus  dominus  Gili- 
«bertus  intravit  civitatem  Senarum  et  se  contulerat  ad  mansionem 
«  suam  in  domo  Laurentii  de  Mareschottis,  transmiserunt  ad  eum 
(c  plures  spectatìssimos  cives  dominum  Francischum  de  Aringheriis, 
«  dominum  Nicolaum  de  Saracenis  et  Dinum  de  Martiis  secre- 
«  tos  (*),  et  alios  cives  sociatos  cum  pluribus  rotellinis  palati],  qui 
«  omnes  ad  domum  praefatam  in  qua  dictus  dominus  Gilibertus 
«  moram  trahebat  et  ipsum  de  dicto  loco  ad  palatium  magnifi- 
«  corum  dominorum  priorum  cum  honore  et  pacifice  sociati  fuerunt. 
«  Et  intrans  palatium  adscendendo  schalas  se  conduxit  in  capella 
«  palatii,  in  qua  aliquantulum  requievit.  Et  paulo  post  intrans  sa- 
«  lam  seu  cameram  pape  in  qua  dicti  domini  ofRciales  Balie  resi- 
«  debant,  in  qua  et  cum  eo  intravit  dominus  Lucha  de  Parma  suus 
«  cancellarius,  in  qua  ab  ipsis  officialibus  honorifice  receptus  et  inter 
«  eos,  videlicet  inter  priores  sedendo  positus,  multa  colloquia  simul 
«  habuerunt.  Interea  dum  hec  fiebant,  ordine  dato,  fuit  ianua  princi- 
«  palis  palatii  obserata,  cum  omnibus  aliis  hostiis  opportunis  in  pa- 
ce latio,  usque  ad  cappellam,  transmissis  postea  omnibus  familiis  ipsius 
«  dni  Giliberti   qui  eum  sociaverunt  in  sala  dele  Balestre,   obserata 

(*)  Questi  nomi  sono  stati  studiosamente  cancellati  dal  cancelliere  e  le  lettere  attra- 
versate da  altri  segni  per  confonderne  la  lettura;  ma  la  confusione  non  è  tale  che  non 
si  venga  a  capo  di  leggerli  e  di  riconoscere  coloro  che  si  prestarono  complici  a  si  bel- 
l'opera. Esprimo  la  mia  riconoscenza  al  cav.  A.  Lisini,  benemerito  direttore  dell'Ar- 
chivio Senese,  per  avermi  cortesemente  aiutato  ad  interpretare  i  nomi  sopraindicati. 


//  diario  di  Stefano  Infessura  ^jj 

rono  effetto,  l'unità  di  pensiero  che  bastò  a  mantenerne 
il  complesso;  la  parte  che  in  essa  è  riflesso  del  tempo  e 
delle  circostanze,  quella  che  è  dovuta  ai  sentimenti  e  alle 
relazioni  personali  dello  scrittore.  Certo,  TI.  non  fu  un 
umanista;  pure  un  critico  odierno,  che  della  società  del 
rinascimento  in  Italia  à  giudicato  assai  bene,  potè  trarre 
solo  dagli  scritti  di  lui  una  pittura  vivace  della  vita  ro- 
mana nel  secolo  xv  (i).  L'I.,  ardente  della  più  pura  fede 
cristiana,  rinfocolato  dalle  profezie  ioachimistiche,  ineso- 
rabile coi  pontefici  mal  cristiani  di  cui  visse  contempo- 
raneo, fu  dagli  apologisti  della  Chiesa  a  tutt'oltranza  tro- 
vato testimonio  incomodo,  ma  da  non  escludere  (2).  Scrisse 


«  cappella  cum  custodibus,  magnificis  dnis  in  consistono  existen 
«  tibus.  Et  quum  antea  in  cancellaria  parva  camere  pape  intromissi 
«  fuerunt  aliqui  robusti  et  validissimi  iuvenes,  cum  armis  opportunis, 
«  et  in  cursu  consistorii  aliqui  pedites  et  robusti  iuvenes  cum  armis 
«  bene  muniti,  post  multa  colloquia  dicti  iuvenes  intra  cameram  pape 
«  existentes,  dato  signo,  prout  sic  ordinatum  fuerat,  foras  exeuntes, 
«  eumdem  dominum  Gilibertum  cum  armis  aggressi  sunt,  eumque 
«  pluribus  vulneribus  percussum  interfecerunt.  Et  dum  hec  fìebant 
«  alii  pedites  e  consistorio  exeuntes,  in  camera  pape  cum  armis  suis 
«  intraverunt,  et  nil  aliud  fecerunt  quia  iam  mortuus  erat.  Capto  tamen 
«  corpore  extra  fenestram  in  campo  fori  proiecerunt.  Capti  sunt  do- 
«  minus  Lucas  de  Parma  et  Guerrerus  Senensis  eius  cancellarii  cum 
«  pluribus  aliis  suis  familiis,  et  post  predicta  Johannes  de  la  Gatta  eius 
(f  cancellarius,  et  in  custodia  mancipati.  Verum  corpus  suum  ho- 
«norifice  in  e athedrali  ecclesia  sepultum  et  tumulatum  est. 
«Et  totus  populus  clamabat  hoc  bene  factum  esse». 

(i)  BuRKHARDT,  op.  cit.  in  Beitràgc  zur  vaterldndischen  GeschichU 
in  Basel,  V,  19-20. 

(2)  Ecco  a  qua!  modo  giudicava  delle  condizioni  della  Chiesa, 
ai  tempi  dell' Infessura,  un  testimonio  non  sospetto,  il  card.  Pa- 
PiENSE,  Epfy.  «  Francisco  Gonzagae  card.  Mantuano  »  (e.  272  r):  «  Adde 
«  publicum  odium  merito  ex  tanta  insania  in  nos  comparntum.  La- 
«  mentari  ecclesias  vides,  quod  his  cumulis  egenorum  panem  eri- 
«  pimus  :  dolere  populos  quod  veneranda  pastoribus  loca  plaena  nunc 
((  mercenariis  vident:  indlgnari  principes  quod  nulHs  accessionibus 
«  nostra  ingluvics  saturatur.  Clamant  non  esse  nos  mcmores  pauper- 


578  O.   Tommasmi 


volgare  da  trivio  e  latino  da  curia;  ma  quando  ad  Anton 
di  Pietro  era  bastato  confessare  «  multa  essent  scribenda  quae 
«  dimitto  in  calamo  «(i)^  e  il  Papiense  consigliava  al  Volter- 
rano di  non  propagar  notizie   «  ne  videremur  nimium  cu- 


ce tatis  antiquae  ;  propter  quam  crevit  Ecclesia  :  non  videri  discipulos 
«  Christi,  qui  de  crastino  vetuit  esse  soliicitudinem;  et  duas  vestes 
«  habentem  dari  alteram  non  habenti  praecipit.  Omnia  ad  privatam 
«  pompam  luxumque  referrì.  Quodque  multorum  esse  oporteret 
«  iniusta  dispensatione  ad  unum  aliquem  redigi.  Animae  autem  tam 
«  esse  curam  exiguam  quam  magna  est  corporis.  His  indignationibus 
«  pernìtlosa  de  nobis  aliquando  ineuntur  Consilia  ;  inque  Apostolicam 
«  Sedem  nationes  tumultuantur.  Id  autem  ut  plurimum  accidit;  ut 
«  possessum  nobis  ire  prohibitis  aut  indignis  precibus  cogamur  quod 
«  datum  est  assequi,  aut  turpi  cessione  triumphare  de  nobis  princi- 
«  pes  doceamus  ».  Nel  ms.  Vallicelliano  S,  21  (n.  01688),  P.  Raynaldi 
Monumenta  prò  annalib.  ah  anno  14^^  ad  14)^,  t.  XVIII,  il  Rainaldi 
scrive  (an.  1484),  e.  417  r,  presso  alle  parole  del  testo  :  «  Recrudescit  in 
«  Urbe  seditio  Columnenses  inter  et  Ursinos».  (In  margine  è  notato: 
«Stefano  Infessura  imbroglia  poca  cosa;  ma  Rafaelo  Volaterrano, 
«  p.  678,  col  2^  in  medio,  si  vede  che  le  armi  pontificie  furono  ri- 
«  volte  contro  Lorenzo  Colonna  protonotario  ribelle  a  cui  fu  tagliata 
«  la  testa.  Id  affirmat  ms.  diarium,  p.  29).  Compulsusque  est  pontifex 
«  adversus  illos  pacis  leges  detrectantes  arma  expedire,  Hieronymi 
«  Riarii  nepotis  sui  opera  usus.  —  Bisognerà  vedere  Panvino  che  hora 
«  non  mi  trovo  bavere.  De  eisdem  factis  agunt  etiam  Brutus  erga 
«  pontìficiam  partem  aequus  et  Stephanus  Infessura  iniquissimus  qui 
«  malevolentia  in  Sixtum  suffusus  invidiam  ipsi  confictis  mendaciis 
«  conflare  nunquam  cessar,  in  sinistrumque  sensum  pontificia  Consilia 
«  gestaque  retorquet.  —  Si  potrà  copiar  di  lui  ciò  che  si  indica  nel 
«  diario  di  Lorenzo  Colonna,  decapitato  e  la  presa  della  Cava  fatta 
«  da  Girola°  Riario  cui  ea  re  vicario  gratulatus  est  (Lib.  brev.  anni  13, 
«  inter  literas  non.  iuli)  ipsum  summis  laudibus  efferens  quod  man- 
«  suetudìnem  egregie  usus  pulcherrimam  eam  censuisset  victoriam 
«esse,  qua  a  captivis  hostilique  sanguine  abstinuisset ».  —  Le  lettere 
del  Lanti  e  del  Vespucci  provano  poi  come  l'I.  nel  riferire  dei  fatti 
di  papa  Sisto  non  mettesse  niente  del  suo  e  non  gonfiasse  bugie. 
Né  il  Rainaldi  copiò  del  resto  ciò  che  Stefano  raccontò  di  Lorenzo 
Colonna  decapitato. 

(i)  Ant.  Retri  Diar.  passim  in  Script.  It.  XXIV,  974  e  sgg. 


Il  Diario  di  Stefano  In  fessura  579 

«  riosi  »  (i)^  Stefano  invece  notò  coraggiosamente  quel  che 
ascoltava  e  vedeva.  «L'antiqua  casa  Colonna,  e  spetial- 
«  mente  quella  di  Pellestrina,  che  sempre  fo  nimica  della 
«  Chiesa  e  del  popolo  nostro  di  Roma  »  (2),  maledetta  da 
Paolo  Petroni,  fu  da  lui  benedetta,  rappresentata  giusta- 
mente come  popolare,  e  servita  con  fede.  Quando  Roma 
tumultuò  gridando  da  un  lato:  Chusa  t  Orso,  Orso  e  Cre- 
scendi, e  dall'altra  :  Falle  e  Colonna,  Stefano  non  pur  compiè 
fedele  l'officio  suo  di  scribasenato,  ma  quello  d'amico  af- 
fezionato e  devoto  presso  la  salma  tormentata  di  Lorenzo 
Colonna,  l' infelice  protonotario  ;  mentre  il  notaio  dell' Anti- 
posto alle  guerre  si  contentò  di  mettere  «  doi  carratelli  alla 
«  porta  carichi  de  sassi  et  pontellare  molto  bene  »  (3). 

Nota  individuale,  se  si  eccettua  a  quando  a  quando 
qualche  sprazzo  d'acre  ironia,  manca  agli  scritti  dell'  L  ; 
però,  mentre  sembra  che  s'addentelli,  in  sul  principio  della 
cronica,  colle  narrazioni  leggendarie  di  Roma,  verso  il 
fine  tanto  s'accosta  alla  maniera  dei  diaristi  cerimonieri, 
che  una  parte  del  diario  suo  potè  incorporarsi  in  quella  del 
Burcardo  (4).  Con  tutti  gli  scrittori  di  diari  e  di  croniche 
a  lui  anteriori  e  contemporanei  à  comune  il  difetto  d'insinuar 
nel  racconto  più  quello  che  lo  tocca,  che  quello  che  à  impor- 
tanza effettuale;  di  saltare  a  pie  pari  avvenimenti  di  prin- 

(i)  Card.  Papiensis,  Epp.  et  Comm.  Milano,  1506,  Ep.  625: 
«  Papiensis    Volaterrano  ». 

(2)  Paolo  Petroni,  Mesticatila  in  Script.  XXIV,  11 14. 

(3)  Cf.  Diar.  in  Script.  IIP,  1088. 

(4)  II  Thuasne  {loh.  Burcbardi  ^Diaritim,  III,  xxii,  Paris,  1885) 
accennando  ad  una  lacuna  del  Burcardo  avverte  :  «  Pour  combler 
«  cette  lacune,  les  copistes  ont  interpolé  la  partie  correspondante  du 
«journal  d' Infessura  dont  la  relation  s'arròte  au  mois  d'avril  1494; 
«  ils  ont  eu  le  soin,  d'ailleurs,  de  signaler  en  marge  le  noni  de  l'é- 
«  crivain  auquel  ils  avaient  fait  l'emprunt  et  répondu  d'avance  à  ceux 
«  qui,  par  des  motifs  intéressés,  chcrcheraicnt  à  discréditer  ces  deux 
«  journaux,  en  objectant  leurs  points  de  ressemblance  et  en  jòtant 
«  le  doute  sur  l'authenticité  du  texte  de  chacun  d'eux  ».  Lo  stesso 


580  O.   Tommasini 


cipale  rilievo  e  commemorare  bazzecole  ;  ma  pure  la  storia 
di  Roma  del  secolo  decimoquinto  mancherebbe  d'un  ma- 
teriale prezioso,  se  il  diario  dell'I,  non  le  fosse  stato  ser- 
bato. I  documenti  d'archivio  coi  quali  si  à  agio  di  rag- 
guagliarlo non  fanno  che  saggiarne  e  assodarne  il  valore; 
le  opere  d'arte,  cui  allude  e  che  sopravanzano,  confermano 
le  affermazioni  sue;  ma  molto  più  delle  notizie  che  esphca, 
son  pregevoli  quelle  che  racchiude  impHcite  e  che  si  dichia- 
rano all'occhio  di  chi  le  analizza  e  raffronta  col  lume  dei 
documenti  sincroni. 

Resta  finalmente  che  si  accenni  al  sistema  seguito  per 
ristabilire  il  testo  e  al  modo  della  pubblicazione. 

S'incominciò,  com'era  naturale,  dal  far  comparazione 
delle  due  edizioni  del  Muratori  e  dell'  Eckhart,  preso  a 
fondamento  il  testo  d'un  codice  del  secolo  decimosesto,  il 
quale  conservando  in  molta  parte  intatte  le  forme  del  vol- 
gare romanesco  e  la  grafia  medievale  del  latino,  e  non  pre- 
sentando né  sovrabbondanza  di  rubriche  né  indice,  dava  a 
sperare  d'esser  rimasto  immune  da  arbitrarie  alterazioni  di 
copisti  e  d'aver  avuto  ad  esempio  una  buona  lezione  più 
antica.  Questo  codice  fu  designato  nell'elenco  colla  sigla  C. 
Parve  indispensabile  ragguagUarlo  col  Vaticano  ^389  (R') 
e  col  Capitolino  (R),  già  collazionato  e  corretto  dal  Va- 
lesio;  e  la  comparazione  tornò  tutt' altro  che  superflua, 
mettendo  a  nudo  le  discrepanze  originaH  tra  i  due  mss. 
e  quelle  che  vi  rimasero  poi,  a  collazione  fatta.  Del  resto, 
se  W  offre  il  gran  pregio  di  non  alterar  mai  la  lezione  per 
preconcetto  dell'amanuense,  se  la  presenta  migUore  per  es- 
sere di  certo  condotto  sopra  miglior  codice  e  però,  anche 

Thuasne  (op.  cit.  II,  78-86)  incorpora  nella  sua  edizione  un  lungo 
passaggio  dell'Infessura,  tratto  da  manoscritti  in  cui,  siccome  in- 
dicammo a  p.  534,  si  trovarono  bensì  intercalate  posteriori  insi- 
nuazioni, ma  senza  dubbio  è  autentico,  e  pel  consenso  dei  migliori 
mss.  e  per  ragioni  intrinseche  spetta  al  diario  del  nostro  scriba- 
senato. 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura  581 

dove  erra,  rimette  non  di  rado  sulla  via  di  raccapezzar  la 
forma  vera  del  testo,  guasta  attraverso  le  graduali  trasfor- 
mazioni d'errori  nei  trascrittori;  il  manoscritto  R,  segnata- 
mente nella  parte  latina  del  diario,  presenta  rettificazioni 
grammaticali  che  più  spesso  sembrano  risultare  dairaver 
sciolto  senza  errore  l'abbreviature  di  cui  ebbe  ad  esser  irto 
Farchetipo,  che  dal  proposito  di  correggere  per  dar  garbo 
al  dettato,  con  intendimento  di  critico.  Inoltre,  nella  scrit- 
tura dei  numeri,  serba  traccia  dell'uso  più  antico,  sia  notan- 
doli in  caratteri  romani,  sia  mescendo  caratteri  e  cifre  (i). 
Segna  bensì  le  date  giornaHere  più  spesso  in  numeri  arabi, 
e  talvolta  dimostra  a  quali  corrompimenti  del  testo  potè 
gradatamente  dar  luogo  quella  promiscuità  di  pratica. 

Furon  poi  tenuti  a  costante  riscontro,  per  l'opportunità, 
i  manoscritti  Vallicelliani  S^  S^;  e  questo  secondo,  che  già 
servi  al  Rainaldi  e  porta  note  di  lui,  come  vedemmo,  parve 
concorrere  coU'altro  codice  Vaticano  per  supplire  al  danno 
dell'autografo  smarrito.  I  due  codici  Chigiani  CS  C*  e  il 
Corsiniano  C^  rappresentarono  ciascuno  una  tendenza  pre- 
giudicata della  critica  rispetto  alla  schiettezza  del  testo,  che 
era  conveniente  di  non  perdere  di  vista  mai.  Dacché  il  primo 
offriva  le  alterazioni  indotte  nel  diario  dallo  studio  di  parte 
Orsina;  l'altro,  tutte  le  azzimature  nel  dettato,  di  che  po- 
teva esser  capace  quel  tal  secentista  dei  Promessi  sposi  che 
considerando  la  istoria  come  una  «  guerra  illustre  contro  il 
«  Tempo,  imbalsamava  co'  suoi  inchiostri  le  imprese  dei 
«  prencipi  »  ;  e  però  ristringeva  in  canaletti,  secondo  lui, 
scevri  di  melma.  Tonda  libera  e  qualche  volta  o  manche- 
vole o  torbida  del  nostro  scribasenato.  Finalmente,  il  co- 
dice Corsiniano,  dando  tutto  il  testo  italiano,  potè  soccor- 
rere per  r  interpretazione  di  quelle  forme  dialettali,  corrotte 


(i)  Per  esempio:  — .  AlTanno  1436  «  die  1$  augusti  »  fa  succe- 
dere: «  mane  deinde  sequenti  .xii.  augusti  ».  È  evidente  l'erronea 
lettura  del  15  per  11  nella  prima  data. 


582  O.   Tommasini 


nelle  edizioni,  incerte  e  multiformi  nei  codici  ;  ed  offerse 
talvolta,  alla  comparazione  delle  date  storiche,  qualche  ele- 
mento di  più.  E  con  diligenza  raccogliemmo  poi  nella  col- 
lazione de'  codici  ovunque  fosse  residua  e  superstite  la  forma 
del  volgare  romano,  restituendola  al  testo.  Nei  passaggi 
poi  che  ritenemmo  caratteristici,  fu  procurato  il  ragguaglio 
di  tutti  i  manoscritti  che  ci   furono  a  conoscenza. 

Resta  poco  ad  aggiungere  delle  norme  seguite  per  la 
stampa,  le  quali  sono  precipuamente  quelle  determinate  nel- 
l'organico per  i  lavori  dell'Istituto  Storico  Italiano  (Bull,  del- 
Vlst.  Su  It.  IV,  8).  Al  capriccioso  impiego  delle  maiuscole 
e  alla  punteggiatura  secentistica  dell'edizioni  precedenti  e 
di  non  pochi  codici,  non  demmo  peso;  né  importanza 
paleografica  al  promiscuo  uso  dell'io  vocale  e  consonante. 
Nelle  varianti  relative  alla  lezione,  indicammo  i  codici 
secondo  le  sigle  con  cui  vennero  contradistinti  in  questo 
scritto,  curando  che  ne  venisse  conservata  la  serie  alfa- 
betica, ogni  volta  che  non  fu  necessità  di  ordinarle  in 
altra  guisa,  per  dare  ad  intendere  come  da  progressiva  al- 
terazione della  forma  schietta  si  potè  arrivare  all'estrema 
corruzione  del  testo,  o,  per  l' inverso,  come,  paragonando 
le  progressive  alterazioni  dei  manoscritti,  fu  possibile  di  ri- 
suscitare la  forma  prima  ed  originale. 


O.  Tommasini. 


//  diario  di  Stefano  Infessura  583 


APPENDICE 


I. 

Notizie  relative  alla  famiglia  Infessura 
e  documenti  che  la  riguardano. 

I  registri  del  Camerlengo  della  Camera  di  Roma,  quelli 
della  Depositeria  della  gabella  dello  studio,  il  codice  Capitolino 
dello  statuto  vecchio,  come  vedemmo,  famio  ampia  testi- 
monianza della  vita  di  Stefano  Infessura.  I  Pacta  et  conven- 
tiones  cum  filiis  domini  Stefani  de  Infessuris  (doc.  n.  v)  ci 
determinano  il  tempo  in  cui  era  morto.  Del  padre  e  dei 
fratelli  suoi  certifica  l'atto  di  pace  del  147 1  (doc.  n.  i).  Da 
un  rogito  del  1520  (arch.  Stor.  Comun.  di  Roma)  sappiamo 
che  sua  moglie  ebbe  nome  Francesca,  eh'  ei  la  sposò  già 
vedova  d'un  Paparoni;  e  che,  morto  lui,  si  rimaritò  con 
Marco  Antonio  de'  Martinelli.  Oltre  i  numerosi  documenti 
sparsi  in  molti  archivi  di  Roma,  oltre  le  reliquie  delle  carte 
domestiche  che  rimangono  ancora  per  discendenza  e  re- 
taggi presso  la  famiglia  Savorgnan  di  Brazzà,  si  anno  no- 
tizie della  famigHa  Infessura  negli  spogli  di  Alfonso  Cec- 
carelli  (bibl.  Vat.  ms.  Vat.  49  n),  nel  Repertorio  dello  laco- 
vacci  (bibl.  Vat.  ms.  Ottob.  2550),  in  quello  del  Magalotti 
(bibl.  Chigi,  ms.  G,  V,  139  e  G,  V,  144),  e  nel  manoscritto 
Casanatense  delle  famiglie  romane  delFAmayden.  Anche  il 
Valesio  ne  raccolse  in  fondo  alla  sua  copia  del  diario  di 
Stefano  (arch.  Stor.  Capit.  t.  V,  cred.  xiv).  Sulla  tomba 
gentilizia  in  S.  Maria  in  Via  Lata  era  lo  stemma  consistente 
in  un  bacinetto  piantato  sopra  tre  monti.  Nel  ms.  M^  si 


584  O.   Tommasini 


annota  che  la  detta  tomba  si  trovava  «  avanti  d'arrivare 
«  alla  porta  della  sagrestia  con  l'arme  infrancta  »  (V.  sopra  a 
p.  515).  Facemmo  ricerche  accuratissime,  col  cortese  aiuto  del 
parroco  della  chiesa;  ma  quella  lapide  più  non  esiste.  L'arme 
trovasi  delineata  nel  ms.  R,  nel  ms.  Vat.  8253,  p.  354  v, 
e  in  altro  ms.  autografo  di  Antonio  Caffarelli,  Repertorium, 
a  e.  138,  presso  il  signor  comm.  C.  Corvisieri,  dai  quaH 
due  ultimi  la  riproducemmo,  dacché  in  essi  megHo  sembra 
rispondere  alla  descrizione  data  dal  Magalotti  (ms.  Chigiano 
G,  V,  144):  «  hanno  per  armi  un  elmo  chiuso  sopra  tre  monti 
«  d'oro  in  campo  rosso  ».  L'elmo  chiuso  diventa  solo  «  un 
«  elmo  »  nella  descrizione  dell' Amayden  (ms.  Casanat.  cit. 
p.  283)  ed  elmo  aperto  comparisce  a  dirittura  nel  disegno 
del  Valesio  e  nell'  incisione  data  dall' Adinolfi  (Roma  nelVetà 
di  mex^o,  II,  292).  La  sagoma  dello  scudo  poi  in  queste 
ultime  due  rappresentazioni  par  del  tutto  cervellotica  ed 
arbitraria.  L'epigrafe  riportata  nel  ms.  Vaticano  8253,  II, 
e.  354  V,  dal  Gualdi  che  la  vide,  è  descritta  a  questo  modo: 
«  lapide  sepulcrale  con  tassello  quadro,  arma  tre  monti 
«  uguali,  un  morione  antico  sopra  un  palo  sopra  i  tre  monti, 
((  lettere  delineate  :  Sepulcrum  D,  Io.  Paulilnfesurafiliorum ex 
«  suor,  defamilia  descendentium  obiit  annoDni.  .mcccclxxxiii. 
«  mar.  vi.  » .  Il  Martinelli  (Prhno  trionfo  della  S"""  Croce,  Roma, 
MDCLV,  p.  180)  dà  già  diverso  il  testo  dell'epigrafe  e 
dello  stemma  non  parla;  ma  in  S.  Maria  in  Via  Lata  ac- 
cenna: «  In  terra  è  il  sepolcro  dell'Infessura  diarista  con 
«  quest'epitaffio,  ecc,  ».  Attingono  a  lui  il  Valesio  e  il  Maga- 
lotti. Quest'ultimo  (ms.  G,  V,  144)  scrive  in  vece  di  Giovan 
Paolo  «  Sepulcrum  Ioannis  Petri  »  e  trae  cosi  in  errore  il 
Marini  (Archiatri,  II,  200).  Il  Gaìkm  (Inscript.  RomJnf.  aevi, 
111,421)  dà  alla  scritta  la  disposizione  e  il  garbo  classico;  da 
lui  copia  il  Forcella  (Iscri:(,  delle  chiese  di  Roma,  Vili,  389). 
Nel  ms.  di  Tommaso  Landuzzi  (arch.  Capit.  di  S.  Maria 
in  Via  Lata),  Lapideae  inscriptiones  et  memoriae  quae  nunc 
extant  in  parictibtis  et  pavimento  insignis  eccl.   Firginis  Ma- 


//  Diario  di  Stefano  Infessiira  585 

tris  ad  Viam  Latam,  anno  .mdcccxix.  la  scritta  non  è  regi- 
strata; non  esisteva  più.  Lo  lacovacci  nel  suo  Repertorio 
citato  rimanda  al  ms.  Vat.  491 1,  che  comprende  il  Ter'^o 
tomo  della  serenissima  nobiltà  dell' Alma  città  di  Roma  del 
noto  falsario  Alfonso  Ceccarelli;  intorno  a  cui  annota  il 
Contelori  :  «  in  toto  opere  plurima  sunt  falsa,  aliqua  etiam 
«  vera  ».  E  il  Ceccarelli  pone  gF  Infessura  fra  i  nobili  per 
averli  trovati  «in  registro  nobilium  familiarum  urbis  Romae 
«facto  aNicolao  de  Cerrinis  »  e  tali  gli  cita  ancora  (fol.  208) 
«  ex  catalogo  nobilium  familiarum  urbis  Romae  Romani  de 
«  Calvis  » . 

Noi  diamo  la  serie  cronologica  dei  documenti  che  so- 
pravanzano relativi  alla  casata  degl'  Infessura,  distinguendo 
con  asterisco  quelli  che  pubbHchiamo  poi  per  intero,  e  ac- 
cennando, quando  ne  sia  il  caso,  colle  iniziaH  quelli  indi- 
cati nelle  raccolte  dell' Amayden,  dello  lacovacci,  del  Ma- 
galotti, del  Valesio: 

1397.  «  Compromissum  Inter  nobilem  virum  Laurentium  Cecchi  Pa- 
lochi  de  regione  Montium  et  dominum  Lodoycum  de  Pappazuris 
in  personam  discreti  viri  Lelli  Infessurae  die  9  decembris  1397. 
lacobellus  Stephani  de  Caputgallis  notarius  in  quinternulo  ». 
Arch.  di  Stato  in  Roma,  Notai  Capitolini,  n.  477,  e.  2423.  (A. 
I.  M.  V.) 

1408.  Nel  Catasto  5»»»  Salvatoris:  «  Lellus  Infessurae  de  regione  Trivii 
nominatur  praesens  ad  lecturam  et  confirmationem  capitulorum 
societatis  die  8"  februarii  1408»,  (I.  M.  V.) 

1428.  Lello  Infessura,  caporione  di  Trevi.  (M.) 

1463.  Nel  detto  Catasto  S^^  Salvatoris:  «  Blasius  Mutii  Nanny  alias 
dictus  Lampa  sepultus  est  apud  ecclesiam  S"«  Mariae  inter  Treyo 
prò  quo  habuit  Stephanus  lannelli  camerarius  per  manus  lohannis 
Pauli  de  Infessura,  ut  patet  in  libro  dicti  camerarii,  liorenos  .x.  ».  (I.) 

147 1  *.  Sicurtà  e  pace,  tra  Giovanpaolo  di  Lello  Infessura  a  nome 
suo  e  de'  figliuoli  Stefano,  Lello,  Renzo  e  Ceccolo  assenti  con 
Gasparaccio  dell'Arenula,  «  die  .xviii.  martii».  (Roma,  ardi.  Notar. 
Com.  Protocollo  ài  Evangelista  Bistusci,  a.  1470-71,  e.  61  r.) 

1471.  Immissione  in  possesso  fatta  da  «  lohanncs  de  Buccamaciis  de 
regione  Trivii  marescallus  Curie  Capitulinc  et  domini  Scnatoris 
commissarius  »   a  favore  di  «   Paulus  lohanncs    Infcsnra  aroma- 


586  O.   Tommasùii 


tarius  de  Regione  Trivii  de  quibusdam  domibus  dirutis  et  rui- 
natis  ac  discopertis  positis  in  reg.  Montium,  in  contrada  qua  di- 
citur  Caballus  marmoreus,  inter  hos  fines  ab  uno  latere  tenet  res 
heredum  Luce  lohannis  lacobi...  ab  alio  res  lohannis  de  Marcel- 
linis,  retro  tenet  ecclesia  Sancti  Saturnini,  ante  est  via  publica, 
die  Siuniiindne  4^».  (Roma,  arch.  Notar,  Com.  Protocollo  Bistusci, 
Ice.  cit.  e.  70  r.) 

1472.  Fidanze  e  patti  sponsalizi  «  inter  dominam  Vannotiam  filiam 
lohannis  Pauli  de  Infessuris  de  reg.  Trivii,  uxorem  condam  eximii 
legum  doctoris  Benedicti  Felicis  de  Fredis  olim  de  Vallemontone, 
matrem  Madhalene  eius  et  dicti  q.  diìi  Benedicti  filie  et  lacobum 
condam  domni  Galeotti  de  Normandis  olim  de  regione  Columpne 
et  nunc  de  reg.  Trivii,  pater  lohannis  Galeotti...  cumdote  quingen- 
torum  florenorum  currentium  in  Urbe  ad  rationem  .xlvii.  solid. 
provisinorum  Senatus  prò  floreno  et  cum  ahis...  quingentis  fior, 
prò  acconcio,  ornatu  et  rebus  iocalibus  ipsius  Madhalene  ».  Gio- 
van  Paolo  Infessura  appare  come  fideiussore  della  figlia  Van- 
nozza.  Il  pegno  dotale  è  «  unam  domum  terrineam  et  solaratam 
et  tectatam  cum  scalis,  cameris  et  coquina  supra  se,  cum  tinello 
subtus  se,  cum  orto  post  se,  cum  porticali  columpnato  ante  se... 
positam  in  reg.  Montium  inter  hos  fines,  cui  ab  uno  latere  tenent 
res  ecclesie  S.  Lorensoli  de  reg.  Montium,  ab  alio  res  Pauli  ma- 
gistri  Petri;  ante  est  via  pubblica  ».  (Roma,  arch.  Notar.  Com. 
Proteo.  Bistusci,  a.  1472-73,  ce.  75  r.-76  r.) 

1474.  «  Lellus  Ioannis  PauU  de  Infessuris  de  regione  Trivii  »  accede 
come  testimonio  in  due  atti  risguardanti  due  legati  fatti  da  Bar- 
tolomea  moglie  di  Giovanni  Tucci  e  da  Antonina  moglie  di 
Gio.  Battista  Matuzzi  all'immagine  del  Salvatore  ad  Sancta  San- 
ctorum  a'di  8  d'ottobre.  (Roma^  arch.  Com.  Atti  orig.  voi.  57, 
p.  68.) 

1481  *.  Vendita  di  due  pezze  di  vigna  fatta  «  eximio  legum  doctori 
domino  Stephano  Io.  Pauli  de  Infessuris  de  regione  Trivii  »  da  Pa- 
lozza  moglie  di  Domenico  di  Pietro  de  Zizì  «  de  regione  Columne  ». 
{Protoc.  Bistusci  cit.) 

148 1  *.  Quitanza  per  dieci  fiorini  «  qui  fuerunt  et  sunt  residuum 
quatraginta  florenorum  similium  pretii  cuiusdam  vinee  vendite  per 
dictum  Dominicum  et  dominam  Palotiam  dicto  domino  Ste- 
phano »  a'  di  30  ottobre.  (Protoc.  Bistusci  cit.) 

1483  *.  «Fidantiae  inter  eximium  I.  U.  D.  Stephanum  de  Infessura 
curatorem   (i)  honestae  puellae  Antoniae  filiae  q.   Lelii  fratris 


(i)  Lo  I.  legge:   «  socerum». 


//  l^iaì^io  di  Stefano  In  fessura  587 


germani  ipsius  Stephani  ex  una  et  Antonium  filium  lohannis  Ba- 
ptistae  della  Pedacchia  ex  alia,  die  19  mail  1483.  Johannes  Mat- 
thias  de  Taglientibus  notarius  ».  (I.  M.  V.)  Arch.  di  Stato  in  Roma 
Not.  Capii,  n.  1730,  ce.  100- loi. 

1483.  Epitaffio  in  S.  Maria  in  Via  Lata:  «  Sepulchrum  Io.  Pauli  In- 
fessurae  filior.  filiar.  et  alior.  descendent.  ex  eor.  familia.  Obiit 
a.  D.  1483  die  6^  mart.  »  (i).  (A.  I.  M.  V.) 

1487.  Stefano  Infessura  firma  le  «  Reformationes,  constitutiones  et 
statuta  super  dote,  iocalibus,  acconcio  et  ornatu  ac  nuptiis  mu- 
lierum  et  super  exequiis  die  .xvii.  martii  ».  (Arch.  Stor.  Com.  di 
Roma,  cred.  IV,  voi.  88,  p.  191.) 

1496.  «  Locatio  molendini  minoris  dicti  «  la  mola  piccola  »  extra 
portam  Lateranensem  ad  unum  milliare  ad  tertìam  generationem 
facta  Matthàeo  de  Infessuris  prò  responsione  ducatorum  13  et 
lib.  3  piperis.  Bernardus  de  Caputgallis  notarius  ».  (L)  Arch. 
Capit.  Lateranense. 

1500  *.  «Facta  et  conventiones  inhite  cum  filiis  dni  Stefani  de  In- 
fesuris  prò  Capitulo  S.  M^  in  Via  Lata  ».  (Arch.  di  S.  Maria  in 
Via  Lata,  Protoc.  instrum.  ab  anno  1495  ad  15 14,  e.  16  v.) 

1505.  Nel  catasto  del  S^^o  Salvatore:  «  Dna  Perna  de  Cinciis  et 
uxor  quondam  Matthaei  Infessurae  sepulta  est  in  ecclesia  S^i  Tho- 
mae  de  Mercanello  (2),  prò  qua  soluti  fuerunt  floreni  quinqua- 
ginta  per  dictum  Matthaeum  d^o  Gabriello  camerario».  (I.  M.  V.) 

1508.  Luca  Antonio  «  de  Infesuris  »  si  obbliga  a  pagare  15  ducati  a 
Pietro  Vizerro,  notaio  della  Rota,  per  funzioni  legali,  a'  di 
31  maggio.  De  Toro  Ferd.  not.  (Arch.  Notar.  Com.  di  Roma, 
Atti  originali,  voi.  434.) 

1 5 13.  Copia  «  Instrum.  dotalis  D.  Hiermac  de  luvenalibus  de  anno  15 1 3 
die  .XI.  augusti  ».  Rogano  i  notai  Gerolamo  de  Branchini  e 
Agapito  Susanna.  Giovan  Gerolamo  e  Giovan  Battista  del  q. 
Biagio  Giovenale  de  Manetti  in  vece  e  nome  di  Girolama  loro 
sorella  promettono  «  de  rato  et  ratihabitione  »,  col  consenso  e 
la  presenza  di  Giuliano  di  Giovenale  de  Manetti  loro  zio  e  tu- 
tore, di  contrarre  matrimonio  col  «  nobilem  virum  Matheum 
q.  Stefani  de  Infesuris  regionis  Trivii  «  e:  «  cum  dote  et  no- 
mine dotis  sexcentorum  ducatorum  de  carlenis  monete  veteris 
cum  duobus  aliis  similibus  ducatis  ducentis  prò  acconcio  et  or- 
natu diete  d.  Hieronime  ».  Ma  i  predetti:  «  Io.  Hieronimus  et 

(i)  Il  Magalotti  lo  reca  due  volte:  l'una  nel  mt.  Oilg.  G,  V,  139,  p.  224;  l'altra 
in  G,  V,  144,  in  cui  pone   «  Ioannis  Petri  »   in  luogo  di  a  Io.  Pauli». 

(3)  Cosi  in  I.  M.  :  «  i.  Toma  di  Mtircianallo  ».  V.  che  cita  M.  :  «  s.  Tommasso  in 
Mercatello  ». 


588  O.   Tommasini 


Io.  Baptista  cum  consensu  praedicti  prò  quingentis  similibus  du- 
catis  parte  diete  dotis,  ex  nunc  dederunt  et  consignaverunt  eidem 
Mathéo  presenti  et  legitime  stipulanti  in  fundum  dotalem  et  prò 
fundo  dotali  tantam  quantitatem  et  portionem  in  duabus  partibus 
de  quinque  portionibus  medietatis  unius  tertiae  partis  casalis  et 
sui  tenimenti  vulgariter  noncupati  S^o  Abrocolo  iunctum  prò  in- 
diviso cum  aliis  consortibus  etc;  ex  qua  parte  et  quantitate 
dìctus  Matheus  recipiat  et  recipere  possit  in  reditibus,  caseo,  ter- 
raliis  et  omnibus  aliis  computatis  due.  .xx.  quolibet  anno  prò 
fructibus  et  non  ultra  ad  computum  quatuor  ducatorum  prò 
quolibet  centenario  ».  E  gli  altri  cento  ducati  gli  vengon  pa- 
gati in  danari.  (Roma,  arch.  Brazzà,  Carte,  della  famiglia  Infes- 
sura  cit.) 

1516.  «  Emptio  domus  in  regione  Montium  e  conspectu  ecclesiae 
S.  Basilii  facta  per  Petrum  Tragalli  (i)  de  Atana  a  dna.  Maria 
relieta  q.  nobilissimi  Ceccholi  de  Infessuris,  romana  matrona, 
die  21  augusti  15 16  (2).  Theodorus  de  Gualteronibus  not.  ».  La 
detta  Maria  vende  col  consenso  dei  suoi  propri  figli  Lucrezia 
e  Teofilo  e  di  Cristofora  «  relieta  q.  Io.  Bapte  de  Lianoris  de 
Bononia  romana  ».  (I.  M.)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Not.  Capitol. 
n.  899,  e.  248. 

1520.  Matteo  del  q.  Stefano  «de  Infessuris»  e  suoi  fratelli  e  Paolo 
.  «  de  Paparonibus  »,  fratello  di  madre,  essendo  debitori  di  Nicola 
e  Ludovico  del  q.  Marco  Antonio  de'  Martinelli,  figli  anche  ed 
eredi  di  Francesca  «de  Infessuris  »,  per  la  somma  di  380  ducati 
di  carlini  vecchi,  per  residuo  di  dote  e  acconcio  materno,  dopo 
lunga  lite,  considerati  ducati  152,  di  cui  Matteo  era  debitore,  danno 
in  pagamento  ai  detti  MartineUi,  con  patto  di  riscatto,  cinque 
rubbia  del  casale  detto  Palocco  del  valore  di  150  ducati.  L'atto  è 
de' 29  dicembre,  rogato  da  Ercole  de  Grengolis,  pubblicato  da 
Giovanni  Nichelchin,  scrittore  dell'arch.  della  R.  C.  (arch.  degli 
Scrittori  della  R,  C.  voi.  64,  Diversorum,  e.  48.  Vi  si  legge:  «  Cum 
sit  quod  nobiles  viri  dni  Nicolaus  et  Ludovicus  quondam  dni 
Marci  Antonii  de  Martinellis  et  filli  et  heredes  quondam  dne 
Francisce  de  Infessuris  eorum  matris  fuerint  et  sint  creditores 
prò  residuo  dotium  et  accontii  ipsius  q.  diìe  Francisce  in  summa 
et  quantitate  tricentorum  octuaginta  ducatorum  de  carlenis  ad 
rationem  decem  carlenorum  monete  veteris  prò  quolibet  ducato, 
dominorum    Mathei  de    Infessuris   et    aliorum    eius    fratrum  et 


(1)  Cosi  l'autogr.  I.  :    «Marselli». 

(2)  Il  M.  pone  l'atto  nel  1515. 


//  T>iario  di  Stefano  In  fessura  589 


etiam  Pauli  de  Paparonibus  ipsorum  de  Infessuris  etiam  fratris 
ex  latere  matris  etc.  »). 

1527.  «  Testamentum  D.  Mariae  relictae  quondam  CecchoH  de  In- 
fessuris, die  20  februarii.  Alexius  de  Peregrinis  notarius  ».  Lascia 
erede  il  figlio  Teofìlo  Ci)  :  vuol  esser  sepolta  in  Araceli:  a  Lucre- 
zia, sua  figlia,  «  uxor  d.  Baldaxaris  de  Patritiis  »,  una  casa  nel  rione 
Monti  e  una  vigna  «  infra  moenia  Urbis,  in  loco  qui  dicitur  Vin- 
neto  ».  (L)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Not.  Capit.  n.  1259,  e.  202. 

1530.  «  D.  Mattheus  de  Infessuris  patruus  Marii  f.  et  her,  q.  d.Io. 
Pauli  de  Infessuris  civis  Ro.  promisit  per  se  ac  vice  et  nomine 
dicti  Marii . . .  abbatisse  et  monialibus  S^e  Cecilie  in  regione  Trans- 
tyberim  tradere,  ad  vitam  sanctimonialem  ducendam,  Franciscam, 
Vìrgiliam  et  Bartolomeam  sorores  carnales  d»  Marii  cum  dote 
medietatis  casalis  Palochii  prò  indiviso  cum  alia  medietate  quam 
ds  Marius  dedit  monasterio  S.  Xisti  prò  dote  Lucide,  Instine,  et 
Livie  sororum  dicti  Marii  ad  presens  monialium  S^ì  Xisti.  Die 
8  ianuarii».  (Arch.  di  Stato  in  Roma,  Archivio  'di  S.  Cecilia 
in  Trastevere,  a  e.  55;ibid.  ^//i  relativi^  ce.  $6,98,  loi,  105,  490.) 

1530-31.  «  Mattheus  de  Infessuris,  consiliarius  prò  regione  Mon- 
tium  ».  (Arch.  Com.  di  Roma,  cred.  1%  voi.  16,  ce.  1-8,  13.) 

1543.  «  Mattheus  de  Infessuris,  consiliarius  ut  sup.  ».  (Arch.  Com. 
di  Roma,  cred.  1%  voi.  17,  e.  102.) 

1550.  «  Testamentum  Lucretiae  de  Infessuris  relictae  quondam  do- 
mini Baldaxaris  Patritii  de  Urbino  ».  Lascia  erede  Maria  sua 
madre  :  vuol  esser  sepolta  in  Araceli.  «  Ioannes  Bapt.  Amodeus 
notarius  ».  (I.)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Not.  Capit.  n.  27,  e.  46. 

1559.  «  Testamentum  honestae  matronae  dominae  Hieronymae  de 
luvenalibus  relictae  q.  dni  Matthaei  de  Infessuris,  die  14  novem- 
bris.  Curtius  Saccoccius  notarius  ».  Lascia  erede  il  figlio  Dome- 
nico :  mille  scudi  a  Claudia  sua  figlia  :  seimila  a  Bartolomeo, 
figlio  della  q.  Flaminia  sua  figlia  :  vuol  sepoltura  nella  chiesa  degli 
Apostoli.  (I.  M.)  Arch.  di  Stato  in  Roma,  Not.  Capit.  n.  15 17, 
e.  569  v. 


(i)  In  una  Copia  di  ceminunto  fatto  a  Roma  a'  tempi  di  Paolo  III,  posseduta  dal 
comm.  Corvisien,  apparisce  notata  «  per  cinque  bocche  »  nel  rione  Monti  «  Teofile  Infes- 
«sura  (putana)».  —  L'archetipo  di  quel  censimento  h  a  Londra,  ove  fu  portato  dal  Payne, 
che  ne  fece  acquisto  insieme  con  altri  mss.  dell'archivio  Gentile  del  Drago.  Autore  di 
quel  regi^ro  apparisce  un  tal  «  lacobo  Hellin  lo  quale  ha  scritto  el  presente  libro». 
Manca  alla  copia  la  parte  del  rione  di  Trevi,  ove  gì'  Infessura  avevano  casa.  La  cortU 
giana  del  rione  Monti  comparisce  col  nome  di  chi  le  faceva  le  spese  ;  dacché  nel  registro 
dell'HcIlin  si  nota  solo  ed  appena  il  nome  del  capo  della  casa  e  le  bocche  che  mangiano 
in  quella. 

Archivio  della  R.  Società  romana  dittoria  patria.  Voi.  XI.  39 


590  O.   Tommasini 


1561.  Domenico  de  Infessura,  «  consiliarius  prò  regioni  Montium  ». 
(Arch.  Stor.  Com,  di  Roma,  cred.  I,  voi.  21,  e.  73.)  1564.  «  Con- 
siliarius, ut  supra  ».  (Ibid.  voi.  22,  ce.  34-35-)  1569.  Id.  (Ibid. 
cred.  I,  voi.  4,  e.  25.)  1572.  Id.  (Ibid.  cred.  I,  voi.  25,  e.  202.) 
1574.  «Caput  regio  prò  regione  Campi  Martii  ».  (Ibid.  cred.  I, 
voi.  26,  e.  194.)  1577.  «Consiliarius  prò  reg.  Montium».  (Ibid. 
cred.  I,  voi.  27,  e.  132.)  1581.  «  Consiliarius  ut  supra  ».  (Ibid. 
cred.  I,  voi.  28,  e.  61  e  voi.  5,  e.  16.)  1588.  «  Consiliarius  ut 
supra».  (Ibid.  cred.  I,  voi.  29,  e.  197.)  1593-  «Ut  supra  ».  (Ibid. 
cred.  I,  voi.  39,  p.  107.) 

i563.«Aliud  testamentum  n.  d.  Hieronymae  de  luvenalibus  relictae 
q.  dni  Matthaei  de  Infessuris,  die  io  martii  1563.  Curtius  Sac- 
coccìusnot.  ».  Lascia  erede  il  figlio  Domenico:  alla  figlia  Claudia 
settecento  scudi:  al  nipote  Bartolomeo  un  legato.  (I.  R.)  Arch. 
di  Stato  in  Roma,  Not.  Capii,  n.  1521,  e.  195. 

1567.  Domenico  vende  una  casa  nel  rione  Monti  a  di  8  marzo.  Curzio 
Saccocci  not.  (M.  V.)  Roma,  arch.  Capitol. 

1570.  «  Fidantiae  inter  d.  Io.  lacobum  (1)  de  Ostia  patrem  et  le- 
gitimum  admìnistratorem  d.  Catherinae  eius  filiae  relictae  q.  Ste- 
phani  de  Auria  (2)  ex  una,  et  mag.cum  j.  Dominìcum  de  In- 
fessuris no.  rom.  ex  altera,  die  13  novembris.  Curtius  Saccocci 
not.  ».  La  dote  è  di  scudi  duemila.  (I.  M.)  Arch.  di  Stato  in  Roma, 
Not.  Capit.  n.  1534,  ce.  356V-352  r. 

1583.  Attestazione  di  atto  di  procura  «  die  vigesima  novembris  1583  » 
fatta  dal  notaio  Domenico  Stella  :  «  Fidem  facio  ego  not»  pub. 
infrascriptus  qualiter  die  .xiii.  maii  15 18  in  me  personaliter  con- 
stituta  d.  Caterina  q.  lacobi  Magne  et  uxor  mag"  diìi  Dominici 
de  Infessuris  nob.  Ro.  de  Hostia  quae  sponte  ratificando  in  primis 
et  ante  omnia  omnia  acta  et  actitata  per  d.  Dominicum  q,  Mat- 
thei  de  Infessura  eiusdem  procuratorem  maritum  quomodolibet 
facta,  etc.  ».  (Roma,  arch.  Brazzà,  Carte  della  famiglia  Infessura.) 

1592.  Domenico  Infessura  affitta  a  m^o  Giovanni  Antonio  del  q.  Do- 
menico Antonini  e  a  m^o  Alessandro  del  q.  Giovanni  Bortucci 
una  cava  di  pozzolana  esistente  nella  sua  vigna  alle  Terme  nel 
luogo  detto  «  Vivaro  »  per  scudi  quindici  al  mese,  13  maggio, 
Arconi  Gerolamo  notaio.  (Arch,  Com.  di  Roma,  Atti  originali^ 
voi.  IO,  e.  261.) 

1593.  Caterina,  moglie  di  Domenico  (Infessura)  (3),  morta  nel  rione 


(i)  I.  ed  M.  anno:   «  lacobum  de  Ostia  ». 

(2)  M.  :  a  Tauria  ». 

(3)  Archivio  Brazzà,  Carte  della  famiglia  Infessura.  In  una  scheda:   «  Doni=o    Infes- 


//  diario  di  Stefano  Infessura  591 


de'  Monti,  sepolta  in  S.  Maria  in  Via  Lata.  (M.)  Roma,  bibl.  Chigi, 
ms.  G  V,  144,  p.  224. 

1604.  Giacomo  Goggi  fiorentino  vende  a  Giovanni  Franchino  Ta- 
viani  una  vigna  di  circa  venti  pezze  «  in  loco  dicto  Termini  seu 
Vivario  »  per  scudi  tremila  e  cento,  vendutagli  già  da  Domenico 
Infessura  romano,  per  atto  rogato  da  Pietro  Arcangelo  Roberti, 
notdo  dell'A.  C.,  in  data  1°  settembre  1599.  A  dì  22  aprile,  Ga- 
spare de  Angelis  not.  (Arch.  Stor.  Com.  di  Roma,  Atti  originali, 
voi.  266,  lib.  II,  e.  437.) 

1605.  Concordia  tra  Domenico  del  q.  Matteo  «de  Infessuris  »  e  di 
Girolama  «  de  luvenalibus  »  e  Giacomo  Tolomei  nepote  ex  filio 
di  Mario  Tolomei  e  di  Concordia  «  de  luvenalibus  »  circa  il  Ca- 
sale di  S.  Procolo  (S.  Abrocoli)  fuori  di  porta  S.  Sebastiano  con- 
finante con  Leone  de'  Massimi,  i  signori  De  Victoriis  e  Fabrizio 
de'  Massimi  «  die  2^  octobris  ».  Gaspare  de  Angelis  in  solidum 
con  Biagio  Cigni  notai.  (Arch.  Stor.  Com.  di  Roma,  Atti  originali, 
voi.  266,  lib.  II,  e.  455.   Copia  anche  nell'archivio  Brazzà,  loc.  cit.) 

1605.  Domenico  «  de  Infesuris  »  dichiara  di  aver  ricevuto  da  Giacomo 
Goggi  come  padre  ed  amministratore  di  Alessandro  e  dalla  si- 
gnora Girolama  «  de  Infesuris  »  scudi  mille  per  l'acquisto  di  al- 
cuni beni  in  quel  di  Nepi,  come  risulta  dall'  istromento  fatto  da 
Pietro  Arcangelo  Roberti,  notaio  dell'A.  C,  a  dì  13  novembre. 
Gaspar  de  Angelis  not.  (Arch.  Stor.  Com.  di  Roma,  Atti  origi- 
nali, voi.  266,  e.  459.) 

1608.  Istrumento  di  concordia  tra  Domenico  Infessura  e  Iacopo  To- 
lomei di  terreno  della  tenuta  detta  Muratella.  «  Cum  versae  fuerint 
lites  et  differentiae  ab  antiquo  tempore  inceptae  inter  q.  d.  Hierony- 
mam  luvenalem  et  q.  d.  Mattheum  Infessuram  eius  maritum  ex 
una,  et  q.  d.  Concordiam  luvenalem  uxorem  q.  d.  Marii  Tho- 
lomei  ex  altera  partibus,  et  successive  continuatae  inter  ili.  d.  Do- 
minicum  Infessura  filium  et  heredem  d.  q.  Hieronymae,  et  q. 
d.  Petrum  Antonium  Tholomeum,  filium  et  heredem  d.  q.  Con- 
cordiae,  et  post  eius  obitum  inter  ili.  d.  lacobum  Tholomeum, 
filium  eiusdem  q.  d.  Petri  Antonii,  etc.  Die  12  iulii  Antonius  An- 
geletti  not.  Capitol.  ».  (Roma,  arch.  Brazzà,  Carte  della  famiglia 
Infessura  cit.) 

1614.  Mandato  «  de  manutendo  »  simile  al  seguente  «  die  17  octobris  ». 
(Roma,  archivio  Brazzà.  Carte  cit.) 

16 16.  Mandato  a  favore  di  Domenico  Infessura  perchè  possegga  «  prò 


«  sura  alli  i}  maggio  ij^j  prese  moglie  la  Vv«  Fausta  Vipereschi  et    in  dote   hebbe  la 
«di  lei  robba  per  istromento  di  Gio.  Grillo  not.  del  v<)  sotto  >. 


592  O.   Tommasini 


indiviso  »  cogli  altri  creditori  del  q.  Iacopo  Tolomci  in  pacifica 
e  quieta  quasi-possessione  «  ac  possessione  fructuum  redditus  et 
proventus  percipiendi  rubiorum  vigintì  octo  casalis  noncupati  «  la 
Moratella  »  positi  in  agro  Romano  extra  portam  Ss.  Pauli  et  Se- 
bastiani cui  ab  uno  sunt  bona  M.  de  Victoriis,  ab  alio  latere 
d.  Leonis  de  Maximis  et  ab  alio  l\\^°  et  Excno  d.  luliani  Ce- 
sarini,  nuncupati  «  Piano  di  Frasone  »,  ab  alio  tenutam  Ardee,  ab 
alio  via  publica  tendens  ad  Ardeam,  etc.  die  28  maii  ».  (Roma^ 
arch.  Brazzà,  Carte,  cit.) 
1Ó19.  Domenico  Infessura,  morto  di  anni  70,  a' 26  febbraio,  sepolta 
in  S.  Maria  in  Via  Lata.  (M.) 

Archivio  Notarile  Comunale. 
1471.  Protocollo  di  Evangelista  Bistiisci,  anno  1470-71. 

Yesus. 
Indictione  quarta  mensis  martii  die  .xviii. 
In  presentia  mei  notarii  etc.  Egregius  vir  lohannes  Paulus  con- 
dam  Lelli  de  Infesura,  aromatarius  de  regione  Trivii,  prò  se  ipsa 
et  suo  proprio  nomine,  sponte  et  ex  certa  eius  scientia  et  non  per 
errorem,  prò  se  ipso  et  suo  proprio  nomine  ac  ut  pater  et  legitimus 
administrator  ac  vice  et  nomine  eximii  legum  doctoris  domini  Ste- 
phani,  Lelii,  Laurentii,  Ceccholi,  Antoni!  et  Dominici  eius  filiorum 
absentium  prò  quibus  et  eorum  quemlibet  dictus  lohannes  Paulus  se 
et  bona  sua  prìncipaliter  obligavit  et  promisit  de  rato  et  rati  habi- 
tione  et  se  facturum  et  curaturum,  ita  taliter  et  cum  effectu  quod 
dicti  eius  filli  et  quilibet  ipsorum  infrascriptam  perpetuam  securitatem 
et  omnia  et  singula  infrascripta  perpetuo  ratificabunt,  omologabunt^ 
acceptabunt  et  observabunt,  rata,  grata  et  firma  habebunt,  tenebunt 
et  observabunt,  et  contra  non  facient,  dicent  vel  venient  aliqua  ra- 
tione,  iure,  modo,  titulo  sive  causa,  sponte  promisit  et  convenit  Ga- 
sparì  condam  Baptiste  lacoboni,  alias  dicto  Gasparraccio,  de  regione 
Arenule,  absenti  tanquam  presenti,  et  michi  notarlo  ut  publica  per- 
sona presenti,  recipienti  et  legitime  stipulanti  prò  dicto  Gasbare  ac 
omnium  quorum  nunc  interest  vel  in  futurum  poterit  quomodolibet 
interesse  quod  ipse  lohannes  Paulus  prò  se  nec  dicti  eius  filli  nec 
alter  eorum  per  sese  ipsos,  alium  vel  alios  eorum  nominibus  et  prò 
eis  non  offendent  nec  ofìfendi  facient  supradictum  Gasparem  in  per- 
sona vel  bonis,  sub  pena  et  ad  penam  quingentorum  ducatorum 
auri  et  legis  toUenda  et  applicanda  dieta  pena  prò  medietate  Camere 
Urbis  et  prò  alia  medietate  dicto  Carpari,  tollendà  et  applicanda  to- 


//  Diario  di  Stefano  In  fessura  593 


tiens  quotiens  per  ipsum  lohannem  Paulum  vel  eius  filiorum  seu 
altero  eorum  fuerit  contrafactum,  me  notario  ut  publica  persona  pre-. 
sente,  recipiente  et  legitime  stipulante  vice  et  nomine  diete  Camere 
et  pactis,  renumptians  dictus  Johannes  Paulus  prò  se  et  quibus  supra 
nominìbus  capitulo  statutorum  Urbis  loquente  de  penis  conventiona- 
libus  non  exigendis,  cum  hac  provisione  et  protestatione  quod  pre- 
sens  perpetua  securitas  non  valeat  nec  teneat  nisi  fuerit  per  partem 
adversam  prestita  similis  securitas  et  quod  non  intelligatur  fracta  nisi 
eo  modo  et  forma  quo  pax  frangitur  secundum  formam  statutorum 
Urbis.  Et  ad  hec  precibus  et  rogatu  dicti  lohannis  Pauli  prò  se  et 
dictis  eius  filiis  et  eorum  quemlibet  providi  et  discreti  viri  Paulus 
Mancini  et  Antonius  condam  Laurentii  de  Persona,  ambo  de  regione 
Trivii,  ipsi  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  sponte  promiserunt  et 
convenerunt  michi  notario  ut  publica  persona  presenti,  recipienti  et 
legitime  stipulanti  ut  supra  quod  dictus  Johannes  Paulus  nec  dicti 
eius  filli  nec  alter  ipsorum  per  sese  ipsos,  alium  vel  alios  eorum  no- 
minibus  et  prò  eis  non  offendent  nec  offendi  facient  dictum  Gaspa- 
rem  in  persona  vel  bonis  ad  penam  predictam  toUendam  et  appli- 
candam  ut  supra.  Cum  provisionibus  et  protestationibus  predictìs 
prò  quibus  omnibus  et  singulis  observandis  et  plenarie  adimplendis 
tam  dictus  Johannes  Paulus  prò  se  et  dicti  eius  filli  quam  dicti  eo- 
rum fideiussores  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  obligaverunt  et  pi- 
gnori posuerunt  michi  notario  ut  publica  persona  presenti,  recipienti 
et  legitime  stipulanti  ut  supra,  sese  et  omnia  eorum  et  cuiusque 
ipsorum  bona  mobilia  et  immobilia,  presentia  et  futura.  Et  voluerunt 
prò  predictis  posse  cogi  etc.  Renumptiarunt  etc.  Et  maxime  dicti 
fideiussores  renumptiarunt  epìstole  divi  Adriani  beneficio  nove  con- 
stitutionis  et  omni  beneficio  fideiussorum.  Et  generalìter  etc.  Et  ad 
maiorem  cautelam  omnium  et  singulorum  predictorum  tam  dictus 
Johannes  Paulus  quam  dicti  eius  fideiussores  iuraverunt  etc.  Que 
quidem  etc.  Rogaverunt  me  notarium  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  apotecha  spetiarie  dicti  lohannis 
Pauli,  prcsentibus,  audientibus  et  intelligentibus  hiis  testibus  Nicolao 
Petri  Pauli  et  Nicolao  lannutii,  ambo  de  regione  Columpne,  te- 
stibus etc. 

148 1.  lina,  1429-83. 

Yesus. 

In  nomine  Domini.  Amen.  Anno   Domini  .m^.cccc^.lxxxi.  pon- 

tificatus  Sanctissimi  in  Christo  patris  et  domini  nostri  domini  Sixti 

divina  provide»itia  pape  quarti,  indictione  .xv.  mensis   octobris  die 

ultimo.   In  presentia  mei  notarli  et  testium  infrascriptorum  ad  hec 


594  ^'   Tommasini 


specialiter  vocatorum  et  rogatorum  discretus  vir  Dominicus  condam 
Petri  de  Zizi  de  regione  Colupne,  cum  consensu,  presentia,  verbo 
et  voluntate  et  assensu  honeste  domine  Palotie  eius  uxoris  ac  etiam 
dieta  domina  Palotia  cum  consensu,  presentia,  verbo  et  voluntate 
dicti  Dominici  eius  viri  unus  alteri  et  alter  alteri  consensiendo,  et 
que  domina  Palotia  primo  iuravit  ad  sancta  Dei  evangelia  in  ma- 
nibus  mei  notarli  infrascripti  etc.  contra  infrascripta  omnia  et  sin- 
gula  perpetuo  non  facere,  dicere  vel  venire,  nec  non  quo  ad  hec 
renumptiavit  auxilio  Velleiani  senatusconsulti  autentice  :  si  qua  mu- 
lier  et  omni  suo  iure  dotali,  donationis  propter  nuptias,  alimentorum, 
parafernorum  relictorum,  legi  lulie  de  fundo  dotali  etc.  quod  et  que 
in  favorem  mulierum  sunt  introducta  certificata  dieta  domina  Palotia 
per  me  notarium  infrascriptum  de  dictis  legibus  auxilio  autentica  et 
iuramento  quid  sint,  quid  dicant  et  quid  importent  de  verbo  ad 
verbum  materno  sermone  expositum  ad  omnem  ipsius  domine  ple- 
nam  et  claram  intelligentiam  etc.  Et  generaliter  etc.  unus  alter  et 
alter  alteri  consensiendo  eorum  propriis  et  spontaneis  voluntatibus 
et  non  per  errorem,  renumptiaverunt,  quietaverunt  et  refutaverunt 
et  per  pactum  de  ulterius  et  perpetuo  non  petendo  remiserunt  eximio 
legum  doctori  domino  Stephano  de  Infessuris  de  Urbe,  de  regione 
Trivii,  presenti  etc,  videlicet  omnia  et  singula  iura,  nomina  et  actiones 
reales  et  personas  utiles  et  directas,  tacitas  et  expressas  etc,  que, 
quas  et  quod  dicti  Dominicus  et  domina  Palotia  eius  uxor  et  qui- 
libet  ipsorum  habent  vel  habere  possunt  etc  sibique  conpetunt  et 
conpeteri  eis  possent  quomodolibet  in  futurum  contra  dictum  do- 
minum  Stephanum  et  eius  bona  pretextu,  causa  et  occasione  decem 
florenorum  currentium  in  Urbe  ad  rationem  .xlvii.  sollidorum  pro- 
visinorum  Senatus  per  florenum,  qui  fuerunt  et  sunt  residuum  qua- 
traginta  florenorum  similium  pretii  cuiusdam  vince  vendite  per  dictum 
Dominicum  et  dominam  Palotiam  dicto  domino  Stephano,  de  qua 
venditione  patet  manu  mei  notarli  infrascripti,  et  generaliter  de  omni 
alio  eo  quod  dicti  domina  Palotia  et  Dominicus  eius  vir  et  quilibet 
ipsorum  ab  eodem  domino  Stephano  petere  et  exigere  possent  oc- 
casionibus  predictis,  ita  quod  presens  refutatio  et  quietatio  sit  gene- 
ralis  et  generalissima,  specialis  et  specialissima,  et  si  ea  venisse  in- 
telligantur  que  hic  expressa  non  sunt,  ac  si  de  illìs  esset  facta  mentio 
specialis.  Hanc  autem  rcfutationem  et  quietationem  et  omnia  et 
singula  que  dieta  sunt  et  infradicentur  fecerunt  dicti  Dominicus  et 
dieta  domina  Palotia,  et  quilibet  ipsorum  ut  supra  eidem  domino 
Stephano  presenti,  etc.  Eo  quia  dicti  Dominicus  et  domina  Palotia  • 
supradictos  decem  florenos  residuum  pretii  vinee  predicte  ab  eodem 
domino  Stephano  presentialiter,  manualiter,  numeraliter  et    in  con- 


Il  diario  di  Stefano  Infessura  595 


tanti  in  monetis  argenteis  habuerunt  et  receperunt  ;  post  quam  ma- 
nualem  receptionem  supradicti  Dominicus  et  domina  Palotia  et 
quilibet  ipsorum  de  dictis  .x.  florenis  residuo  predicto  sese  bene 
contentos,  quietos  et  satisfactos  vocaverunt  et  renumptiaverunt  exce- 
ptioni  non  habìte  etc.  Et  generaliter  etc.  Et  promiserunt  dicti  Do- 
minicus et  domina  Palotia  unus  alteri  et  alter  alteri  consensiendo 
ut  supra  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  etc.  eidem  domino  Stephano 
presenti  etc.  quod  dieta  iura  supra  renumptiata  et  refutata  erant 
et  sunt  ipsorum  Dominici  et  Palotie,  et  quod  ad  ìpsos  et  quemlìbet 
ipsorum  spectant  et  pertinent  pieno  iure  domimi  vel  quasi,  et  quod 
non  sunt  alteri  vendita,  data,  donata,  cessa,  concessa,  obligata,  pi- 
gnorata, nec  aliquo  alio  modo  alienata,  alìenationis  largo  modo 
sumpto  vocabulo,  et  quod  de  eis  seu  ipsorum  parte  cum  aliqua  alia 
persona  etc.  factus  non  est  nec  factus  apparet  nec  apparebit  aliquis 
alius  contractus  etc,  et  si  coritrarium  aliquo  tempore  appareret, 
voluerunt  teneri  et  obligati  esse  eidem  domino  Stephano  et  suis  he- 
redibus  et  successoribus  de  evictione  etc.  in  forma  iuris  valida  etc. 
et  ad  refectionem  omnium  damnorum,  expensarum  et  interesse  etc. 
Pro  quibus  omnibus  et  singulis  observandis  et  plenarie  adimplendis 
tam  dictus  Dominicus  quam  dieta  eius  uxor  et  quilibet  ipsorum  in 
solidum  obligaverunt  et  pignori  posuerunt  eidem  domino  Stephano 
presenti  etc.  sese  ipsos  et  omnia  et  singula  eorum  bona  etc.  Et 
voluerunt  prò  predictis  posse  cogi  etc,  Renumptiaverunt  etc.  lura- 
verunt  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  domo  solite  habitationis  dicti 
domini  Stephani,  presentibus,  audientibus  et  intelligentibus  hiis,  vi- 
delicet  Antonio  Sancto  Antonii  luliani  aromatario  de  regione  Are- 
nule,  et  Cola  de  Montanariis  de  regione  Colupne,  testibus  etc. 

1481.  Ihid.  1479-83  e.  82  r. 

Yesus. 
Indictione  .xiiii.  mensis  iunii  die  tertia. 
In  nomine  Domini.  Amen.  In  presentia  mei  notarli  etc.  Honesta 
domina  domina  Palotia  uxor  Dominici  condam  Petri  de  Zizi  de  re- 
gione Colupne.  Q.ue  domina  Palotia  primo  iuravit  ad  sancta  Dei 
evangelia,  manibus  tactis  per  eam  corporaliter  scripturis,  in  manibus 
mei  notarii  infrascripti  contra  infrascripta  omnia  et  singula  perpetuo 
non  Tacere,  dicere  vcl  venire  aliqua  ratione,  iure,  modo,  titulo  sive 
causa,  nec  non  quoad  hec  renumptiavit  auxilio  Velleano  senatuscon- 
sulto  autentice:  si  qua  muHer  et  omni  suo  iure  dotali  donationis,propter 
nuptias,  alimcntorum,  parafcrnorum,  relictorum,  legi  lulie  de  fundo 
dotali,  falcidie,  trebelleanice,  debito  iuris  nature,  quod  et  quo  in  fa- 


59^  O.   Tommasinì 


vorem  mulìerum  sunt  introducta,  et  generaliter  omnibus  et  singulis 
aliis  legibus,  legum  auxlliis  iuris  canonici  et  civilis  etc,  quibus  contra 
predicta  vel  aliquod  predictorum  facere,  dicere  vel  venire,  et  se 
quomodolibet  iuvare,  tueri  et  defendere  posset,  certificata  prius  dieta 
domina  Palolia  per  me  notarium  infrascriptum  de  dictis  legibus 
auxilio  autentica  et  iuramento  et  de  eorum  effectibus,  quid  sint, 
quid  dicant  et  quid  importent  materno  sermone  expositum  de  verbo 
ad  verbum,  asserens  se  de  illis  plenam  notitiam  ac  claram  habere 
scientiam,  cum  consensu,  presentìa,  verbo  et  voluntate  dicti  Domi- 
nici eius  viri  presentis,  volentìs,  consensientis,  et  infrascriptis  omnibus 
et  singulis  suum  consensum  prestantis,  ac  etiam  dictus  Dominicus 
cum  consensu,  presentìa,  verbo  et  voluntate  diete  sue  uxoris,  unus 
alteri  et  alter  alteri  consensiendo  ipsi  et  quilibet  ipsorum  tam  con- 
iunctim  quam  divisim,  omni  meliori  modo,  via,  iure  et  forma  quibus 
magis,  melius  et  efficacius  facere  possunt,  eorum  propriis  boìiis  et 
spontaneis  voluntatibus  et  non  per  errorem  vendiderunt,  dederunt, 
cesserunt  et  concesserunt,  transtulerunt  et  mandaverunt  in  perpetuum 
exìmio  legum  doctori  domino  Stephano  Io.  Pauli  de  Infesuris  de  re- 
gione Trivii  presenti,  ementi,  recipienti  et  legitime  stipulanti  prò  se 
suisque  heredibus  et  successoribus,  et  cui  vel  quibus  dictus  -dominus 
Stephanus  vel  eius  heredes  et  successores  vendere,  dare,  donare,  ypo- 
thecare  vel  alienare  voluerint,  et  ementi  de  suis  propriis  pecuniis, 
presente  dicto  Io.  Paulo  eius  patre,  et  sic  esse  verum  confitente  et 
afRrmante,  videlicet  duas  petias  vinearum  cum  vitibus  et  arboribus 
fructiferis  et  infructiferis  in  ea  existentibus,  plus  vel  minus  quanta 
est,  cum  certa  parte  vasche,  vascalis  et  tini  et  statii  siti  in  vinea 
ipsius  domini  Stephani,  cum  iuribus  et  pertinentiis  suis  positis  extra 
portam  Pincianam,  inter  hos  fines,  cui  ab  uno  latere  tenent  et  sunt 
res  Matthie  de  Normandis,  a  duobus  aliis  lateribus  sunt  res  ipsius 
emptoris,  ab  alio  sunt  res  lacobi  Laurentii  Nutii  lacobutii  vel  si 
qui  etc,  positis  sub  proprietate  cappelle  Sancti  Nicolai  site  in  ec- 
clesia Sancte  Marie  in  Via  Lata,  ad  respondendum  perpetuo  diete 
cappelle  unam  caballatam  musti  ad  mensuram  Senatus  Urbis  ad  va- 
scam  tempore  vindemiarum  more  romano  liberam  et  exemptam  ab 
omni  alio  onere  servitutis  redditi  sive  census,  cum  omnibus  et  sin- 
gulis suis  iuribus  etc,  introitibus  et  exitibus  universis  ad  dictas  res 
venditas  quomodolibet  spectantibus  et  pertinentibus  tam  de  consue-' 
tudine  quam  de  iure,  ad  habendum,  tenendum,  possidendum,  ven- 
dendum,  donandum  et  alienandum,  et  de  dictis  rebus  venditis  per- 
petuo faciendum  et  disponendum  ad  libitum  voluntatis  ipsius  emptoris 
et  suorum  heredum  et  successorum.  Item  eodem  titulo  venditionis 
prefati  venditores  et  quilibet   ipsorum  vendiderunt,  dederunt,  cesse- 


//  T>tario  dì  Stefano  Infessura  597 


runt  et  concesserunt  prefato  domino  Stephano   emptori  presenti  etc. 
omnia  et  singula   iura  etc.  que,    quas    et  quod   dicti   venditores    et 
quilibet    ipsorum   habent,   habuerunt   vel  quomodolibet    in    futurum 
habere  possent    eisque    conpetunt,    conpetierunt    vel    quomodolibet 
competere    possent    in    dictis  rebus  venditis    et  ipsarum  occasione, 
contra  quascunque   personas,   universitates  vel  loca,  nullo  iure  etc. 
eisdem    venditoribus,   in,    de    et    super    dictis    rebus    venditis    quo- 
modolibet   de    cetero    reservatis,  volentes  et  mandantes  dicti  vendi- 
tores quod  ipse  emptor  prò  dictis  iuribus  et  actionibus  suo  proprio 
nomine  agat,  petat,  exigat  etc,  utilibus  et  directis  actionibus  utatur, 
fruatur  et  experiatur  in  iudicio   et  extra  iudicium,  ac  de  illis  faciat 
et  disponat  quemadmodum   dicti  venditores  et  quilibet  ipsorum  de 
dictis    rebus    venditis    facere,  agere,  petere,  esigere,  recipere  et  di- 
sponere  poterant  ante    presentem   contractum  venditionis,  ponentes 
eundem  emptorem  presentem  etc.  in  predictis  in  locum,  ius  et  pri- 
vilegium  ipsorum  venditorum,  constituentesque    eundem  emptorem 
in  predictis   procuratorem   et  verum  dominum,  sicut    in  rem  suam 
propriam.   Et   per  discretum  virum  Colam  dello  Roselo  testem  in- 
frascriptum  de  regione  Trivii  presentem  et  acceptantem,quem  dicti 
venditores  eorum  constituerunt  procuratorem,  investiri  etc.  prefatum 
emptorem  de  dictis  rebus  per  eum  emptis  voluerunt  ac  iuxerunt,  ad 
quam  quidem    possessionem   apprehendendam  et  deinceps  sibi  ipsi 
retinendam  absque  ipsius  emptoris  iurium  lesione  et  alicuius  curie  vel 
iudicis  licentia  vel  mandato  vel  decreto  dicti  venditores  eidem  emptori 
presenti'  eie.  auctoritate    propria    plenam    contulerunt  facultatem  et 
auctoritatem.    Et    donec    etc.  Hanc   autem  venditionem,    dationem, 
cessionem   et   concessionem,  et  omnia  et  singula  que  dieta  sunt  et 
infradicentur  feccrunt  dicti  domina  Palotia  et  Dominicus  et  quilibet 
ipsorum  ut    supra   eidem   domino  Stephano    emptori    presenti    etc. 
prò   pretio    et    nomine  pretii  quatraginta  florenorum  currentium  in 
Urbe,  ad  rationem  .xlvii.  sollidorum  provisinorum  Senatus  per  flo- 
renum,  de  quibus  quatraginta  florenorum  pretio  predicto  supradicti 
venditores  et  quilibet  ipsorum  habuerunt  et   manualiter  receperunt 
in  contanti  a  dicto  domino  Stephano  emptore  presente  et  solvente 
de  suis  propriis  pecuniis,  dicto  eius  patre  presente,  et  sic  esse  verum 
confitente    et    acceptante    florenos'   triginta    ad    rationem  predictam 
manualiter,  numeraliter  et  in  contanti  in  monetis  argenteis  capientes  . 
dictam  sumam  .xxx.  florenorum,  reliquos  alios  decem  florenos  su- 
pradicte  emptionis  promisit  solvere  et  satisfacere  eisdem  venditoribus 
in  vendemiis  proximis  futuris.  Et  de  inde  etc.  cum  omnibus  damnis, 
expensis  et  interesse  etc.  Postque  manualem  receptionem  supradicti 
venditores  et  quilibet  ipsorum   sesc  de  dictis  .xxx.  florcnis  per  cos 


598  O.   Tommasini 


receptis  bene  quietos,  contentos  et  satisfactos  vocaverunt  et  renum- 
ptiaverunt  exceptionì  non  habite  etc.  Et  generaliter  etc.  Et  si  plus 
dicto  pretio  quatraginta  florenorum  supradicte  res  vendite  valent, 
valerent  vel  in  futurum  valere  possent,  sive  fuerit  parva  sive  magna 
quantitas,  etìam  si  excederet  dìmidiam  iusti  pretii,  eidem  emptori 
presenti  etc.  inter  vivos  irrevocabiliter  et  in  perpetuum  dederunt, 
cesserunt  et  concesserunt,  quia  sic  sibi  bene  facere  placuit.  Et  pro- 
miserunt  dicti  venditores  eidem  emptori  presenti  etc.  quod  diete 
res  vendite  erant  et  sunt  ipsorum  venditorum  etc.  et  quod  non 
sunt  alteri  vendite,  date,  donate  etc.  nec  aliquo  alio  modo  alie- 
nate, etc.  Et  quod  de  eis  factus  non  est  nec  factus  apparet  nec  ap- 
parebit  aliquis  alius  contractus  etc.  in  preiudicium  presentis  con- 
tractus  et  contentorum  in  eo  et  dicti  emptoris.  Et  promiserunt  buie 
contractui  venditionis  facere  consentire  omnem  personam  etc,  et 
specialiter  dictam  ecclesiam,  dominam  et  proprietariam  etc.  Et  pro- 
miserunt insuper  dicti  venditores  eidem  emptori  presenti  etc.  in,  de 
et  super  dictis  rebus  venditis  litem  non  inferre  nec  inferenti  quo- 
modolibet  consentire,  quin  ymmo  ipsum  emptorem  eiusque  heredes 
et  successores  defendere  etc.  ab  omni  molestante  persona  etc. 
omnemque  litem,  causam,  questionem  et  omnem  iudicium  ac  omnem 
Jibellum  in  dictis  rebus  venditis  movendum,  in  sese  ipsos  eorumque 
heredes  et  successores  suscipere  et  defendere  ab  omni  molestante 
persona  etc.  cum  propriis  advocatis  et  procuratoribus  a  principio 
litis  usque  ad  finem  omnibus  sumptibus  et  expensis  ipsorum  vendi- 
torum et  suorum  heredum  et  successorum  etc.  Et  nichilominus 
voluerunt  teneri  et  obligatos  esse  eidem  emptori  presenti  etc.  de 
evictione  dictarum  rerum  venditarum  in  forma  iuris  valida,  etc.  Et 
ad  refectionem  omnium  dannorum  et  expensarum  et  interesse  etc, 
de  quibus  stare  et  credere  voluerunt  soli  et  simplici  sacramento 
dicti  emptoris  etc.  Et  precibus  et  rogatu  dictorum  venditorum,  et 
prò  eis  providi  et  discreti  viri  lacobus  condam  Laurentii  Nutii  la- 
cobutii  de  regione  Trivii,  et  Johannes  condam  Luce  Cornamusa  de 
regione  Colupne,  scientes  se  ad  predicta  non  teneri  nec  obligari, 
sed  teneri  et  obligati  esse  voluerunt  ipsi  et  quilibet  ipsorum  in  so- 
lidum  sponte  etc.  fìdeiusserunt  et  fideiussionem  fecerunt  prò  dictis 
venditoribus  penes  et  apud  dictum  emptorem  presentem  etc.  Et 
sese  facturos  et  curaturos  ita,  taliter  et  cum  effectu  promiserunt 
quod  dicti  venditores  omnia  et  singula  per  eos  ut  supra  promissa 
observabunt  etc,  et  quod  diete  res  vendite  [non]  sunt  alteri  ven- 
dite etc.  et  [quod]  facient  consentire  omnem  personam  etc.  et 
quod  sunt  ipso[rum]  venditorum  etc  Aliter  ipsi  fìdeiussores  et  qui- 
libet ipsorum  in  solidum  voluerunt   teneri   et    obligati   esse    eidem 


//  HDiario  di  Stefano  Infessura  599 


emptori  presenti  etc.  ad  omnia  et  singula  ad  que  dicti  venditores 
vigore  presentis  contractus  venditionis  obligati  existunt,  et  in  omnem 
casum,  causarci  et  eventum  evictionis  omnium  et  singulorum  pre- 
dictorum  et  diete  evictionis,  prò  quibus  omnibus  et  singulis  obser- 
vandis  et  plenarie  adimplendis  tam  supradicti  principales  venditores 
quam  dicti  eorum  fideiussores  et  quilibet  ipsorum  in  solidum  obli- 
gaverunt  et  pignori  posuerunt  eidem  emptori  presenti  etc.  sese 
ipsos  et  omnia  et  singula  eorum  bona  etc.  Et  voluerunt  prò  pre- 
dictis  posse  cogi  etc.  Renumptiantes  etc.  Et  specialiter  dicti  fide- 
iussores renumptiaverunt  epistole  divi  Adriani  beneficio  nove  con- 
stitutionis  et  omni  beneficio  fideiussionis,  et  generaliter  etc.  Et 
iuraverunt  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  studio  domus  solite  habitationis 
dicti  emptoris,  presentibus,  audientibus  et  intelligentibus  hiis  testibus» 
videlicet  Dominico  Cola  de  Roscio  de  regione  Montium,  et  Petro 
condam  luliani  de  Bonsignore  de  regione  Trivii,  testibus,  etc. 

Archivio  di  Stato  in  Roma. 

1483.  Notai  Capitolini,  n.  1730,  e.  loo-i. 

In  nomine  Domini.  Amen.  Anno  a  nativitate  Domini  nostri  lesu 
Christi  millesimo  .cccc°lxxxiii.  pontificatus  S"^^  in  Christo  patris 
et  d.  nostri  d.  Sixti  divina  providentia  pape  quarti,  indictione  prima 
mensis  maii  die  .xviiii.  In  presentia  providi  viri  Mariani  Scalibastri 
et  mei  lohannis  Macthie  Petri  notariorum  et  testium  infrascriptorum 
ad  hec  specialiter  vocatorum  et  rogatorum.  Hec  sunt  fidantie  date, 
habite,  tractate  et  firmate  in  Dei  nomine  etc.  Inter  eximium  legum 
doctorem  d.  Stephanum  de  Infessuris,  curatorem  honeste  puelle 
Antonine  eius  neptis  et  filie  quondam  Lelii  ipsius  d.  Stephani  ger- 
mani fratris,  de  qua  curatoria  patet  manu  Pauli  Stephanutii  publici 
notarli,  presentis  et  fidem  facientis  ;  prò  qua  se  et  bona  sua  princi- 
paliter  obligando  promisit  de  rato  et  rati  habitione  etc.  ex  una,  et 
Antonium  filium  lohannis  Baptiste  della  Pcdacchia  de  regione  Pince, 
cum  consensu,  presentia  et  voluntate  dicti  lohannis  Baptiste  sui 
patris  presentis  etc,  et  qui  promisit  contra  infrascripta  omnia  et 
singula  non  facere,  dicere  vel  venire  ratione  sue  minoris  etatis  .xx. 
seu  .XXV.  annorum  restitutionemque  in  integrum  non  potere  prin- 
cipaliter  vel  incidenter  etc.  ex  altera  partibus.  Hinc  est  quod  dictus 
d.  Stephanus  sponte  etc.  promisit  etc.  dicto  Antonio  presenti  etc 
dare  et  assignare  sibi  diciam  eius  neptem  cum  dote  et  nomine  dotis 
quadrigentorum    fior,  in  Urbe  currentium  ad  rntionem  .xlvii.  soli- 


6oo  O.   Tommasìni 


dorum  prò  quolibet  flor.  et  cum  tricentis  similibus  fior,  expendendis 
de  comuni  ipsorum  partium  voluntate  prò  ornatu  et  acconcio  diete 
Antonine,  et  prout  et  sicut  apparet  in  quodam  contractu  scripto 
manu  mei  Mariani  notarii  infrascripti.  Et  versa  vice  dictus  Antonius, 
cum  consensu  dicti  sui  patris,  sponte  etc.  promisit  et  coavenit  dicto 
d.  Stephano  presenti  etc.  et  nobis  notariis  presentibus  etc.  et  sti- 
pulantibus  prò  dieta  Antonina  etc.  dictam  Antoninam  recipere  et 
habere  in  eius  legitimam  uxorem  cum  dote  et  acconcio  predictis, 
et  prout  apparet  in  dicto  instrumento  scripto  manu  mei  Mariani  no- 
tarii infrascripti,  et  promisit  tempore  receptionis  diete  dotis  curare 
super  bonis  stabilibus  dicti  lohannis  Baptiste  sui  patris  presentis  et 
acceptantis  sufficienter  prò  dieta  dote  et  donatione  propter  nuptias 
cum  fideiussione  de  evietione  partis,  de  lucranda  et  restituenda  dieta 
dote  et  lucranda  donatione  propter  nuptias,  clausulis  et  cautelis  in 
talibus  in  Urbe  consuetis  et  sapientis  diete  Antonine.  Quam  paren- 
telam  promiserunt  diete  partes  ducere  ad  effeetum  infra  terminum 
octo  dierum  proxime  futurorum,  ad  penarti  et  sub  pena  dueentorum 
dueatorum  auri  applicanda  prò  medietate  Camere  Alme  Urbis  et 
prò  alia  medietate  parti  fidem  servanti,  nobis  notarii  etc.  Et  prò 
malori  firmitate  predictorum  prestiterunt  ad  invieem  osculum  oris, 
prò  quibus  omnibus  et  singulis  observandis  etc.  obligaverunt  diete 
partes  ad  invieem  sese  et  omnia  et  singula  eorum  bona  etc.  Et  vo- 
luerunt  prò  predictis  posse  cogi  etc.  Renuneiantes  etc.  Et  genera- 
liter  omnia  et  singula  eorum  bona  etc.  Que  quidem  etc.  Et  ad 
maiorem  cautelam  omnium  predictorum  etc.  iuraverunt  etc. 

Actum  Rome  in  ecclesia  Sanetorum  Apostolorum  de  Urbe,  pre- 
sentibus hiis  testibus  :  nobilibus  viris  d.  Lelio  de  Subattariis  et 
d.  Agapito  de  Capriolis  de  regione  Pinee,  et  Christofero  de  Novellis 
de  regione  Campitelli,  ac  nobilibus  et  egregiis  viris  lohanne  de 
Buecamatiis  capite  regionis  Trivii,  d.  Saneto  de  Craparola  legum 
doctore  de  regione  Pontis,  Francisco  de  Marganis  de  regione  Campi 
Martii  et  Alto  de  Nigris  de  regione  Trivi!,  ad  predieta  vocatis  etc. 

In  nomine  Domini,  eadem  die,  loco  et  testibus,  et  statim  post 
predieta.  In  presentia  nostrorum  notariorum  etc.  Dictus  Antonius 
filius  dicti  lohannis  Baptiste,  cum  consensu,  presentia,  verbo  et  vo- 
luntate dicti  lohannis  Baptiste  sui  patris  presentis,  volentis  et  con- 
sensientis  etc.  sponte  etc.  obligavit  et  in  pignus  dotale  ac  loco  pi- 
gnoris  et  ypotece  dotalis  posuit  dicto  d.  Stephano  presenti  etc. 
et  nobis  notariis  presentibus  et  stipulantibus  prò  dieta  Antonina  etc. 
idestquamdam  domum  ipsius  lohannis  Baptiste  terrineam,  solaratam 
et  tegulatam,  et  cum  loviis  in  ea  existentibus,  et  cum  duobus  ortis 
et  cum  claustro   retro  eam,  et  cum  puteo  in  dicto  claustro  existenti 


Il  nDiarìo  di  Stefano  In  fessura  60 1 


et  cum  aliis  dictis  membris  suis  universis,  positam  in  regione  Pinee, 
in  loco  qui  dicitur  La  Pedacchia,  inter  hos  fines,  cui  ab  uno  tenet 
d.  Sabina  uxor  q.  lohannis  Cossa,  ab  alio  tenent  res  d.  Sancte  .... 
retro  sunt  res  ecclesie  S.  Marie  de  Araceli,  ante  est  via  publica. 
Item  etiam  quamdam  aliam  domum  dicti  lohannis  Baptiste  terrineam 
et  solaratam,  sitam  in  regione  Pniee,  in  loco  qui  dicitur  La  Scesa, 
inter  hos  fines,  cui  ab  uno  tenent  res  Dominici  magistri  Pauli  Cal- 
zolarii,  ab  alio  tenent  res  Aloysii  Falconerii,  ante  est  via  publica. 
Item  quamdam  aliam  domum  dicti  lohannis  Baptiste  terrineam  tan- 
tum, sitam  in  dieta  regione  Pinee,  in  loco  qui  dicitur  La  Pedacchia, 
cura  parte  putei  retro  eam  existentis,  inter  hos  fines,  cui  ab  uno 
latere  tenent  res  heredum  q.  Caroli  de  Mutis,  ab  aUo  tenet  Domi- 
nicus  Pauli  Nutii  Laurentii  Petri,  et  ab  alio  tenet  Christoferus  ser 
Nardi,  ante  est  via  publica.  Item  etiam  quamdam  vineam  ipsius 
lohannis  Baptiste  sex  petiarum  inter  vineam  et  cannetum  cum  dua- 
bus  vaschis  et  tinis,  positam  extra  portam  Apie,  in  loco  qui  di- 
citur La  Valle  daccia,  inter  hos  fines,  cui  ab  uno  tenet  Marianus 
Principato,  ab  alio  tenent  res  dicti  loh.  Baptiste,  et  ab  alio  rivus 
aque  Apie,  vel  si  qui  alii  sunt  vel  esse  possunt  ad  dictas  domos  et 
vineam  plures  aut  veriores  confines  antiqui  vel  moderni,  et  nomina 
ac  vocabula  veriora  liberas  etc,  et  generaliter  omnia  et  singula 
ipsius  lohannis  Baptiste  et  Antonii  bona  etc.  que  nunc  habent  et 
in  futurum  acquisiverint  dum  hoc  pignus  et  obligatio  perdurabunt. 
Hoc  autem  pignus  et  hanc  obligationem  dotalem  fecit  dictus  Anto- 
nius,  cum  presentia,  consensu  et  voluntate  dicti  lohannis  Baptiste 
sui  patris  presentis,  volentis  et  consensientis,  prò  quadringentis  flo- 
renis  in  Urbe  currentibus  dote  sibi  Antonio  promissa  per  dictum 
d.  Stephanum  prò  dieta  Antonina  sua  nepte,  de  quibus  nunc  ma- 
nualiter  dictus  Antonius  cum  consensu  dicti  sui  patris  habuit  et  re- 
cepit  florenos  ducentos,  de  quibus  ducentis  florenis  post  dictam 
manualem  receptionem  se  bene  quietum  etc.  vocavit  etc.  et  re- 
nunciavit  exceptioni  non  habitorum  etc.  ceterisque  aliis  exceptio- 
nibus  etc.  Reliquos  ducentos  florenos  de  dieta  dote  dictus  d.  Ste- 
phanus  curatoris  nomine  ipsius  Antonine  promisit  diete  Antonio 
solvere  et  pagare  cum  effectu  infra  terminum  unius  anni  proxime 
venturi,  et  deinde  ad  omnem  ipsius  Antonii  solam  et  simplicem  pe- 
titionem  etc.  cum  omnibus  et  singulis  dampnis  etc.  Et  prò  dictis 
ducentis  florenis  obligavit  diete  Antonio  presenti  etc.  quamdam 
demuni  dicti  q.  Lelii  sui  fratris  et  patris  diete  Antonine,  terrineam, 

solaratam  et  tegulatam positam  in  regione  Trivii,  inter  hos 

fines,  cui  ab  uno  latere  tenet  Laurentius  de  Infessuris  ipsius  d.  Ste- 
phani    et  q.  Lclli   germani   fratris ante  via  publica,  vel  si 


6o2  O.   Tommasini 


qui  etc,  liberam  etc,  cum  pactis  dotalibus  infrascriptis,  videlicet 
inter  dictas  partes  solempni  et  legitima  stipulatione  interveniente, 
firmatis,  videlicet:  quod  si  contingat  dictam  Antoninam  premori  dicto 
Antonio  suo  futuro  viro  sine  legitimis  et  naturalibus  filiis  ex  eis  et 
eorum  comuni  matrimonio  nascituris,  quod  tunc  et  in  dicto  casu 
promisit  et  convenit  dictus  Antonius  cum  consensu  dicti  sui  patris 
dictos  ducentos  florenos  nunc  manualiter  receptos  et  alios  ducentos 
restantes,  si  tunc  recepti  reperirentur,  reddere  et  restituere  d.  Hie- 
ronime  matri  diete  Antonine,  si  tunc  vixerit,  aut  cui  lex  dederit,  in 
pecunia  numerata  et  non  in  alia  re  vel  specie  infra  spatium  dimidii 
anni  a  die  obitus  diete  Antonine  computandi.  Si  cum  filiis,  tunc  et 
in  dicto  casu  dictus  Antonius  dictam  dotem  lucretur  ad  usumfructum 
toto  tempore  vite  sue,  proprietatem  vero  prò  comunibus  filiis  con- 
servanda  secundum  formam  iuris  et  statutorum  Urbis.  Si  vero  con- 
tingat dictum  Antonium  premori  diete  Antonine  tam  cum  filiis  quam 
sine  filiis  ex  eis  et  ex  eorum  comuni  matrimonio  nascituris,  tunc  et 
in  dicto  casu  promisit  et  convenit  dictus  Antonius  per  se  suosque 
heredes  et  successores  reddi  et  restituì  facere  diete  Antonine  dictos 
ducentos  nunc  receptos  et  dictos  alios  ducentos,  si  tunc  recepti  re- 
perirentur, in  pecunia  numerata  et  non  in  alia  re  vel  specie  infra 
terminum  dimidii  anni  a  die  obitus  ipsius  Antonii  computandi,  et  sic 
per  suos  heredes  et  successores  restituì  voluit  etc.  Et  quia  omnis 
dos  data  et  recepta  meretur  donatione  propter  nuptias  secundum 
formam  iuris  et  statutorum  Urbis,  prò  tanto  dictus  Antonius  cum 
consensu  dicti  sui  patris  etc.  donavit  propter  nuptias  diete  Antonine 
sue  future  uxori  Domino  concedente  super  dietis  bonis  superius  obli- 
gatis  florenos  eentum,  reddueendos  ad  .xxv.  fior,  prò  quolibet  cen- 
tinario,  secundum  formam  statutorum  Urbis,  cum  pactis  infrascriptis, 
videlicet:  quod  si  contingat  dictum  Antonium  premori  diete  Anto- 
nine sine  legitimis  et  naturalibus  filiis  ex  eis  comuniter  nascituris, 
quod  tunc  et  in  dicto  casu  dieta  Antonina  dictam  donationem  propter 
nuptias  lucretur  ad  proprietatem  ad  faciendum  et  disponendum  de 
ea  prò  suo  libito  voluntatis.  Si  cum  filiis,  quod  tunc  et  in  dicto 
casu  dictam  donationem  lucretur  ad  usumfructum  toto  tempore  vite 
sue,  proprietatem  vero  prò  comunibus  eorum  filiis  conservando  se- 
cundum formam  iuris  et  statutorum  Urbis,  quia  sic  actum  etc.  Et 
quando  predieta  fuerint  adimpleta,  tunc  hec  carta  nulla  sit;  alias  lieeat 
diete  Antonine  et  eius  heredibus  et  suceessoribus  propria  auctoritate 
intrandi  etc.  Et  promiserunt  dicti  Johannes  Baptista  et  Antonius 
huie  presenti  obligationi  et  pignori  dotali  facere  consentire  d.  Ste- 
phaniam  uxorem  dicti  loh.  Baptiste  et  matrem  dicti  Antonii  et  omnera 
personam   adiacentem   ad    omnem    petitionem    etc.  diete  Antonine. 


Il  diario  di  Stefano  Infessura  (303 


Item  promiserunt  in  solidum  quod  diete  domus  et  vinca  supra  obli- 
gate  sunt  ipsius  lohannis  Baptiste  et  ad  eum  spectant  et  pertinent 
pieno  iure  etc.  Quod  si  contrarium  aliquo  tempore  appareret  etc. 
voluerunt  in  solidum  teneri  et  obligatos  esse  de  evictione  etc.  et 
ad  omnia  dampna,  expensas  et  interesse  etc.  Et  ad  hec,  precibus  et 
rogatu  ipsorum,  et  prò  eis  discreti  viri  Johannes  de  Sciarra  de  re- 
gione Montium  et  Petrus  Pauli  Cole  Rubei  de  regione  Trivii  et 
quilibet  ipsorum  in  solidum  sese  et  eorum  bona  principaliter  obli- 
gando  fideiusserunt  etc.  Et  versa  vice  dictus  d.  Stephanus,  curator 
prefate  Antonine,  promisit  etc.  dicto  Antonio  presenti  etc.  supra- 
dicte  obligationi  diete  domus  facte  prò  dictis  ducentis  fior,  consen- 
tire facere  omnem  personam  adiacentem  etc.  ad  omnem  petitionem 
dicti  Antonii.  Item  promisit  quod  dieta  domus  est  hereditas  quon- 
dam Lelii  sui  fratris  et  patris  diete  Antonine,  et  ad  dietos  pupillos 
spectat  et  pertinet  etc.  Pro  quo  et  eius  precibus  et  rogatu  nobiles 
viri  Petrus  Stephanutii  et  Paulus  Stephanutii  eius  germanus  frater 
et  quilibet  ipsorum  in  solidum  etc.  sese  et  eorum  bona  principa- 
liter obligando  fideiusserunt  etc.  Pro  quibus  omnibus  et  singulis 
observandis  etc.  dicti  Johannes  Baptista  et  Antonius  et  eorum  fide- 
iussores  ex  una  et  dictus  d.  Stephanus  et  eius  fideiussores  ex  altera 
partibus  singula  singulis  comode  referendo  obligaverunt  etc.  una 
pars  alteri  et  altera  alteri  se  et  omnia  et  singula  eorum  bona  etc. 
Et  voluerunt  prò  predictis  posse  cogi  etc.  Citra  etc.  Et  genera- 
liter  etc.  Et  specialiter  dicti  fideiussores  epistole  divi  Adriani  etc. 
Que  quidem  etc.  Et  ad  maiorem  cautelam  predictorum  iuraverunt  etc. 

Actum  ut  supra  et  presentibus  dictis  testibus. 

Eodem  die  et  coram  dictis  testibus,  et  statim  post  predicta.  In 
presentia  nostrorum  notariorum  etc.  Dictus  Antonius  sponte  etc. 
subarravit  dictam  Antoninam  in  suam  legitimam  uxorem  per  verba  : 
de  presenti  vis  volo,  anulique  subarratione  ut  moris  est,  cum  ver- 
bis  etc. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  domo  habitationis  dicti  d.  Ste- 
phani,  presentibus  supradictis  testibus.  Ego  Marianus  lohannis  Sca- 
libastri,  cìvis  romanus,  publicus  notarius,  de  predictis  rogatus  una 
cum  supradìcto  lohanne  Macthia  notano  meo  collega  ad  fidem  etc. 

Arch.  S.  M.  in  Via  L.\ta 

1500.  Prothocoll.  instrum.  ab  anno  1495  ad  15 14,  a  e.  i6v. 

Pacta  et  conventioncs  inhite  cum  filiis  domini  Stefani  de  Infe- 
suris  prò  capitulo  Sancte  Marie  in  Via  Lata. 


6o4  O.   Tomm asini 


In  Dei  nomine.  Amen.  Anno   Domini   1500,    pontificatu  domini 
Alexandri  pape  sexti,  indictione  3"  mensis  ianuarii  die  .xxvi.  In  pre- 
sentia  mei  notarii  etc.  Viri  nobiles  Marcellus  et  Mactheus  quondam 
domini  Stefani  de  Infessuris  germani  fratres,  patroni  cappelle  sancti 
Angeli    site    in  ecclesia  beate  Marie  in  Via  Lata  de  Urbe,  prò  sese 
ipsis  ac  vice  et  nomine  aliorum  fratrum  prò  quibus  de  rato  promi- 
serunt  in  forma,  et  venerabilis  vir  D.  Andreas  de  Clementinis,  ca- 
nonicus    et  camerarius  prefate    ecclesie  vice  et  nomine  capìtuli  et 
dominorum   canonicorum    eiusdem  prò   quibus  et  de   rato  promisit 
in  forma,  parte  ex  altera,  quin  prefatus  d.  Stefanus  pater  et  auctor 
dictorum  fratrum  reliquit  diete  cappelle  unam  caballalam  musti  anno 
quolibet  supra  quandam  vineam  que  nunc  deserta  est,  et  ex  ea  nulli 
fructus  percipiuntur.  Ideo  prò  bono  et  evidenti  militate  diete  cap- 
pelle sponte    etc.  devenerunt  ad  inffascripta   pacta    et  convenerunt 
ad  hoc  ut  dieta  cappella  in  divinis  deserviatur  in  hune  modum,  vi- 
delieet  quod  domini  prenominati  Marcellus  et  Mactheus  promiserunt 
et  convenerunt  prefato  domino  Andree  presenti,  stipulanti  prò  se  et 
prefatis  dominis  canonicis  et  capitulo,  in  vindemiis   proxime  futuris 
huius  presentis  anni  dare  et  satisfacere  eisdem  dominis  canonicis  et 
capitulo  unam  caballatam  boni  et  puri  musti  ad  mensurani  Senatus 
Urbis,  videlicet  dominus  Marcellus  tria  barilia  musti  et  dominus  Ma- 
theus  barile  unum,  et  elapsis  dictis  vindemiis  facere  et  curare  cum  " 
effectu  ac  reperire  unum  fundum  sive  proprietatem  terrarum  vinea- 
tarum   supra   quibus    ipsi    teneantur  et  debeant    emere  et  acquirere 
eorum  suptibus  dictam  responsionem  unius  cabaliate  musti  pp°  diete 
cappelle  ex  dictis  terris  et  proprietate  annuatim  tempore  vindemia- 
rum  debìtam.  Et  versavice  prefatus  dominus  Andreas  nomine  quorum 
supra  promisit  dictis  prenominatis  fratribus  presentibus  et  stipulan- 
tibus  prò   dieta  cappella  et  aliis  suceessoribus.  In    ea   quidem  dieti 
domini    canonici   et   capitulum   facient    in    effectu    celebrare   unam 
missam  singulo  quoque   die  lune   qualibet  edomeda  prò   anima  vi- 
vorum    et    defunetorum    ipsorum.  Quia  sic    actum  etc.  Pro  quibus 
omnibus  obligarunt  sese  dieti  fratres  et  d.  Andreas  proprio  nomine 
ac  bona  omnia  etc.  in  ampliori  forma  etiam  cum  clausulis  et  con- 
stitutione  proeuratorum  et    omni  potestate  extendendi  etc.  Et  iura- 
verunt  et  rogaverunt  me  notarium. 

Actum  Rome  in  regione  Trivii,  in  domo  mei  notarii,  presentibus 
his,  videlicet  viro  nobili  Dominico  de  Casalibus  eiusdem  regionis 
et  Io.  Piccinino  de  Caballis  regionis  Columne,  testibus.  Bernardus 
Petri  de  Caput  gallis  not. 


Lello  Infessura 

Ioan  Paolo 
aromatario  nel  rione  di  Trevi 


Vannozza  Stefano 

m.  Felice  de  Fredis      m.  Francesca 
di  Valmontone      ved.  de  Paparoni 

I  rimaritata 

a  m.  Antonio 
dei  Martinelli 

Maddalena  de  Fredis 

m.  lacovo  di  Galeotto 

N  ormando 


Lello 

I 

Antonina 


1 

Lorenzo 


Ceccolo 
m.  Maria .. 


Antonio     Domenico 


I 

Marcello 


Cristofora 

m.  Giambattista 

de'  Lianon 


I 

Lucretia     Teofilo 
m.  Baldassarre 
Patrizi 


Arme  degl'Infessura 


1 

Matteo 
m.Perna  Cenci 

^.(+1505) 

Si  rammogha 

a  Girolama 

di  Biagio 

Giovenale 

de'  Manetti 

nel  1S13 


Barto- 
lomea 


Ver- 
gilia 


Fran- 
cesca 


cida 


Giu- 
stina 


Livia     Mario 


monache  in  S.  Cecilia 
di  Trastevere 


monache  in  S.  Sisto 


I .    >. 

Claudia  Flaminia  Domenico 

m.  Giacomo  Goggi  1       m.  Caterina  di  lacovo  da  Ostia 

Bartolomeo 


ved.  di  Steiano  D'Oria 

rammogliato 
con  Fausta  V 


ipcreschi 


I  I 

Mario  Giampaolo 


Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI. 


40 


6o6  O.   Tommasinì 


IL 

Archivio  di  Stato  in  Siena,  Balia,  Lettere  ad  ann. 
ed  estratti  da  lettere. 


Lettere    di    Lorenzo    Lanti(i) 
e  di  guidantonio  boninsegni. 

Magnificis  dominis  dominis  Balie  civitatis  Senarum,  Patribus  et 
dominis  meis  singularissimis.  Ex  Urbe  .xxiiii.  augusti  1482, 
ora  prima  noctis. 

Magnìfici  domini  Patres  et  -domini  mei  singularissimi  post  ecc. 
Scrissi  a  li  .xxii.  per  maestro  Nicola  quanto  allora  si  poteva  inten- 
dare  de  la  rocta  data  al  duca  di  Calabria.  Di  poi  per   molti   sono 

(i)  Intorno  a  Lorenzo  Lanti  veggasi  Ugurgieri,  Le  pompe  sanesi,  p.  321,  le  cui  no- 
tizie non  sono  scevre  d'errori.  Dal  dotto  sig.  cav.  Lisini,  direttore  dell'Archivio  di 
Siena,  riconosco  inoltre  le  seguenti  notizie .  fu  Lorenzo  Lanti  figlio  d'Antonio,  cava- 
liere e  dottore  di  medicina,  e  di  Lisabetta  di  Francesco  Malavolti  senese,  che  condusse 
in  moglie  l'anno  1475  con  dote  di  fiorini  mille  e  cento  (Denuniie  di  gabella,  a  e.  33). 
Non  è  noto  l'anno  in  cui  Lorenzo  nascesse.  Fu  tra  le  persone  più  autorevoli  dell'Ordine 
o  Monte  del  popolo  ;  però  quando  i  fuorusciti  Noveschi,  che  gli-  dettero  tanto  cruccio  a 
Roma  mentre  e  dopo  ch'ei  vi  fu  Senatore,  nel  1487  ritornarono  in  Siena,  nel  far, 
come  al  solito,  le  vendette  contro  tutti  i  principali  cittadini  degli  altri  Ordini,  persegui- 
tarono il  Lanti  fra  i  primi  (Cf.  Allegretti,  Diari  senesi  in  Script.  XXIII,  col.  823, 
anno  1488).  Nei  libri  di  Beliberaxioni  della  Balia,  voi.  34,  e.  7,  si  legge:  «  1488  agosto  14. 
<f  Messer  Lorenzo  Lanti  paghi  ducati  trecento-  et  non  escha  di  prigione  :  che  paghi  et  sia 
«  confinato  a  Napoli  et  di  longha  a  Napoli  miglia  .xl.  per  tempo  d'anni  quindici  o  dia 
«  securtà  di  ducati  mille  di  observare  el  confino  » .  (Ibid.  e.  20)  :  ai  5  di  settembre  mo- 
dificarono la  condanna,  dichiarando  che,  invece  di  ducati,  dovevano  intendersi  fiorini  di 
lire  4  l'uno.  Ai  16  di  settembre  (ibid.  e.  22)  si  legge:  «  Dominus  Laurentius  Lantus 
«  deliberaverunt  quod  possit  et  sibi  liceat  vendere  per  se  vel  eius  procuratorem  sua  ca- 
«  pitalia  Montis  (Monte  del  sale,  specie  del  Debito  pubblico),  idest  omnia  sua  capitalia 
«  prout  sibi  videbitur,  non  obstantibus  quibuscumque  ».  E  a' 19  dell'istesso  mese 
(ibid.  e.  22)  :  «  Dominus  Laurentius  Lantus  propter  non  solvisse  eius  condepnationem  in 
«  tempore,  sit  absolutus  a  pena  capitali  et  eidem  proroghaverunt  terminum  unius  mensis 
«  ad  eundum  ad  confinia  sibi  ordinata  » .  Ai  22  del  medesimo  settembre  gli  officiali  di 
Balia  deliberano:  «quod  d.  Laurentius  Lantus  in  iste  mense  et  quousque  vadat  ad  con- 
o  finum,  stet  in  domo  et  non  possit  exire  domum  sub  incursu  etc.  »  (ibid.  e.  24). 
Nel  1502  tornò  Senatore  di  Roma  sotto  Alessandro  VI  (Vendettini,  Serie  cronologica 
de' Senatori  di  Roma,  p.  100;  Vitale,  Storia  dipi,  del  Sen.  rem.  Il,  490).  Non  si  anno 
altre  notizie  di  lui:  sembra  che  morisse  fuor  della  patria. 


//  ni)iario  di  Stefano  In  fessura  ^07 


venuti  di  là  et  per  le  lectare  s'è  affermato  el  medesimo.  Di  poi  s'è 
inteso  meglio  el  numero  et  le  qualità  de  li  pregioni  de  li  quali 
mando  la  lista  inclusa  in  la  presente  cioè  d'alchuni  signori  condo- 
ctieri  e  altri  oltre  a  li  homini  d'arme  che  erano  in  numero  più 
che  .ecc.  Dipoi  sono  arrivati  hiersera  alchuni  del  signor  Roberto,  li 
quali  dicano  poi  fatta  la  lista  predetta  da  li  villani  del  paese:  sacho- 
manni  et  altri  sono  andati  cerchando  hanno  trovati  per  boschi,  machie, 
valloni  e  altri  luoghi  più  che  cento  altri  homini  d'arme  che  si  erano 
aschosi:  ne  sono  arrivati  qui  in  Roma  che  sono  venuti  come  amici 
e  sono  stati  conosciuti  e  presi  et  per  le  campagne  di  Roma  in  più 
loci  e  bono  numero.  La  persona  del  duca  vedutosi  superare,  fuggì 
mentre  si  faceva  el  fatto  d'arme  e  con  bona  compagnia  verso  li 
boschi  li  quali  sono  longo  la  marina  et  fu  seguito  circha  .1111.  miglia, 
tanto  entrò  nel  boscho,  et  fuggendo  fu  più  volte  quasi  postoli  le 
mani  addosso  et  per  grande  aiuto  haveva  da  quelli  l'achompagna- 
vano  fuggì  :  li  quali  continuo  andavano  ritenendosi  et  scharamuc- 
ciando  per  dare  tempo  a  la  fuga  del  duca  lo  quale  dicano  fu  ferito 
in  quella  fuga:  una  volta  li  caschò  el  cavallo  nel  passare  uno  fosso  ; 
el  luogo  del  fatto  d'arme  dicano  era  lontano  dal  mare  circha  .viii.  mi- 
gla.  Per  infino  a  hiersera  non  era  nuova  alchuna  in  pal'azo  se  el 
duca  fusse  morto  o  vivo.  Disse  el  cancelliere  del  capitano  haveva 
mandato  a  tutti  li  loci  vicini  per  sapere  dove  el  duca  fusse  arrivato 
e  non  se  ne  trovava  cosa  certa. 

Questa  mattina  è  venuto  el  sindico  e  camarlingo  di  Civita  di- 
vina (i)  :  dicano  el  duca  per  certo  essare  a  Neptunno  che  è  in  sul  mare 
et  quasi  solo.  De  le  genti  sue  dicesi  non  si  sa  se  ne  sia  salvate  in 
loco  alchuno,  excepto  la  squadra  con  la  quale  el  duca  di  Malfi  era 
andato  via  per  schorta  de  li  carriaggi  prima  si  cominzasse  el  fatto 
d'arme  un  pezo.  Et  però  dicano  el  duca  si  voleva  levare  dinanti  a 
costoro:  ma  furo  soliciti  agiognarlo  in  campo  in  atto  di  partire.  Di- 
cano che  li  Aragonesi  si  portorno  benissimo  di  quello  potevano, 
taliter  che  dell'una  parte  e  dell'altra  sono  morti  più  che  .mcc,  feriti 
numero  grandissimo,  morti  cavagli  assai.  Però  dicano  alchuni  essare 
morti  pochi  di  quelli  del  papa.  San  Piero  ad  Vincula  dice  el  con- 
trario et  questa  Victoria  fuit  cructissima  con  perdita  di  molti  homini: 
in  lo  intrare  si  fece  in  campo,  che  si  passò  per  bocha  de  le  bombar- 
darie,  dicessi  quasi  tutti  li  ianizari,  perchè  non  vanno  con  molta  arme, 
furo  amazati.  Questa  mattina  mentre  era  el  pon.  a  Sancta  Maria  in 
Populo  a  la  messa   sono   venuti   li  sindici  di  Marino   a   portare  le 


(1)  Cost  il  ms.  È  Civiu  Lavinia,  clve  l'Infcssura  chiama  «Civita  Innlvina  •>  e  «  Civitn 
« Nevint  ». 


^o8  O.   Tommasini 


chiavi,  ieri  essendo  esciti  li  villani  li  serrorno  le  porti  et  sonosi  dati 
al  papa.  Civita  divina  ha  fatto  el  simigliante.  Dicesi  le  bombarde  del 
duca  erano  a  Civita  divina  :  non  hebbe  tempo  a  levamele,  l'à  perdute. 
Stimasi  se  durasse  la  fortuna  del  mare  ch'el  duca  non  si  posse  imbar- 
chare  sarà  pigiato  là  dentro  in  Nettuno.  Fu  ferito  el  conte  di  Petiglano, 
non  però  gravemente. 

Hieri  venne  cavallaro  di  Lombardia  con  nuova  certa  de  la  presa 
di  Rovigo  e  tutto  el  Polesine.  Q.ui  è  fatta  grande  festa  et  io  per  parte 
de  le  S.  V.  col  pontefice  et  altri  s^»  car.  ho  fatto  el  debito  in  ralle- 
grarmi de  la  felicità  di  Sua  B.  cioè  con  li  suoi  cardinali  quali  sono 
contenti  de  la  Victoria.  Q.uesti,de  la  lista  entraranno  domane  in  Roma: 
dicesi  saranno  menati  per  li  loci  di  Roma  frequentati  et  con  molto 
strepito  a  mostrarli  al  popolo. 

Mentre  scrivevo  la  presente  sentii  uno  grande  strepito  verso 
Campo  di  Fiore.  Mandai  a  vedere.  Era  il  conte  Girolamo  che  menava 
con  lui  el  duca  di  Melfi  con  alchuni  di  quelli  de  la  lista.  Di  lì  a  uno 
pezo  arrivò  cavagli  e  fantaria  in  bona  quantità  li  quali  ordinata- 
mente andavano  a  due,  uno  de  la  Chiesa  et  uno  pregione  per  la  mano, 
tutti  a  piei  che  fu  el  numero  de  li  homini  d'arme  pregioni  secondo 
mi  fu  riferito  .cclx.  in  circa,  li  feriti  gravemente  sono  rimasti.  Di  poi 
veniva  lo  stendardo  del  duca  strascinandosi  per  terra  :  diretro  a  lo 
srendardo  era  el  resto  di  quelli  de  la  lista  et  più  altri  infra  li  quali 
è  Nicolò  Petrucci.  Tutta  questa  turba  fu  menata  in  palazo  al  pon. 
Dirietro  a  tutti  erano  parechie  squadre  per  guardia  di  costoro.  Di 
nuovo  non  c'è  altro  per  ora  :  basti  questo  poco.  Molto  a  V.  S.  mi 
rac.  Ex  Urbe  .xxiiir.  augusti  1482  ora  prima  noctis. 

E.  p.  V. 

Servitor  Laurentius  de  Lantis. 

\In  un  foglietto  aggiunto']  :  Duca  di  Melfi  Rossetto  da  Capua 
D.  Maticello  S.  Baptista  da  Colalto  S.  Aloysì  da  Capua 
S.  Vicino  Orsino  S.  Hieronimo  da  Mugnano  D.  lacobo  della 
Mottella  lacomo  Caldora  Georgino  Dassarrara  D.  Pietro 
Favolo  de  la  Sassetta  El  maior  domo  Antonello  Pancoli 
lohanni  de  la  Vada  Ferrante  ciciliano  El  barone  Quia- 
letta  Bisballe  Ralniro  da  Lorgnino  Molti  gentilomini  de 
la  guardia  del  duca  di  Calabria  et  molti  homini  d'arme  assai  in 
modo  sonno  più  di  .ccc 300 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  ^09 

Concistoro,  Lett.  ad  ann.  1483.  Laurentius  Lantus  dnis  prio- 
ribus  gubernatoribus  comunis  et  capit.  ppli  civit.  Senar, 
Rome  .XVII.  ianuarii  1483,  ora  .111.  noctis. 

El  prefecto  non  è  perancho  conducto  con  li  Fiorentini  secondo 
oggi  ma  decto  el  card,  di  Sanpiero  ad  Vincula.  Lo  quale  si  lamenta 
tanto  delle  S.  V.  che  non  lo  potrei  dire  né  scrivare,  né  vole  accet- 
tare excusazione  alchuna,  et  che  la  fama  d'essare  condotto  da  le  S.  V. 
ha  fatto  che  la  liga  nolo  ha  voluto  condurre.  Invero  si  muove  senza 
ragione:  per  me  li  furo  offerti  .vi.  ducati  giatanti  mesi  quando  le 
S,  V.  melcomandaro  con  quelli  modi  etc.  Et  lui  non  volse  accettarli 
che  ne  voleva  .xii.  per  .lxxx.  coraze  come  scrissi.  E  se  la  lega  lo 
volesse  condurre  quella  ombra  non  li  farla  danno.  Altra  cagione  lo 
move.  In  effecto  ce'lo  habbiamo  perduto.  Cosi  oggi  me  ha  ditto,  che 
non  faccino  caso  le  S.  V.  più  di  sua  benivolentia.  Io  a  tutto  sempre 
ho  modestamente  risposto,  tamen  rimase  corrucciato.  Quello  che  si 
sia  sappìno  le  S.  V.  chel  conte  e  Sangiorgio  sono  el  tutto,  luì  pò 
fare  poco  male  e  poco  bene.  Questo  è  in  effetto  e  questo  ho  da  buon 
loco;  pure  ho  voluto  advisare  le  S.  V.  del  tutto.  Le  quali  per  gratia 
questa  parte  terranno  in  bon  secreto. 

Ibid.  id.  eisd.  Ex  Urbe  .xxiir.  ianuari  1483. 


El  card,  di  Rovano  stanocte  passò  di  questa  vita  ale  .vii.  ore.  La 
robba  andò  in  casa  del  conte  excepto  che  per  lo  cielo  dela  chiesa 
li  fu  entrato  in  uno  suo  riposticolo  secreto  et  levato  oro  et  argento 
chi  dice  .xxxx.  et  chi  .lx.  due.  La  cosa  non  si  sapeva.  Tiensi  per  certo 
sia  stato  uno  canonico  de  Maximi,  uno  prete  spagnolo  et  uno  fameglio 
del  prete  di  quella  chiesa.  La  robba  andò  a  Venetia  già  più  dì  sub 
colore  chel  canonaco  andava  a  Padua  a  studiare.  La  casa  sua  è  data 
a  Sangiorgio,  li  benefitii  en  parte  distribuiti.  El  camarlengato  a  San- 
piero a  Vincula  et  a  Sangiorgio  per  ancho  nolo  certo. 

Ibid.  id.  eisd.  Ex  Urbe  .xxv.  ianuarii  1483. 


El  cardinal  di  Sangiorgio  è  creato  camerlingo.  Qui  si  dicano 
delle  cose  assai  et  che  la  cita  nostra  babbi  hauto  garbuglo  questi  dì 
passati:  io  ignaro  di  queste  cose  non  so  che  rispondare  a  chi  mi  do- 


6 IO  O,   Tommasini 


manda  e  talvolta  sto  in  casa  per  dubio  di  non  essare  domandato  di 
quello  non  saprei  rispondare. 

Qui  è  carestia  grande  di  tutte  le  cose. 


Lettera  di  Guidantonio  Boninsegni  oratore  alla  Balia  di  Siena. 
Ex  Urbe  die  .xvii.  martii  1484. 

Apresso  sabato  passato  la  S^^  del  papa  essendo  in  uno  suo  giar- 
dino prese  un  poco  di  freddo  el  quale  li  de  alteratione  et  non  pi- 
chola,  cioè  collica  et  frebbe.  Del  che  ne  seguì  che  essendo  stato 
affermato  qua  da  uno  certo  astrologo  che  sua  S^^  doveva  morire 
niezedima  a  di  16  del  presente,  quasi  per  tutti  si  teneva  et  giudi- 
cava che  Sua  S*^  il  di  doveva  morire.  Et  alcuni  fondaghi  di  geno- 
vesi a  Ripa  sgombrarono  et  redussero  le  robbe  a  luogo  salvo.  Il 
cardinale  di  S"  Pietro  a  vincola  fé  alcuna  provisione  in  Castello 
Sancto  Agnolo.  Li  Orsini  anno  preso  ponte  Molle  et  due  altri  ponti 
in  sul  Teverone  et  due  porti  di  Roma.  In  monte  Giordano  è  gente 
assai  et  bene  aordine.  Tutte  però  gente  romana,  partegiani  delli 
Orsini  inmodo  che  per  tutti  si  stima  che,  seguendo  la  morte  sua, 
qui  haverebbe  a  essere  scandali  et  non  piccholi;  perchè  se  sene 
dubbitò  al  tempo  dela  morte  del  pontefice  passato,  molto  più  sene 
dubbita  hora,  perche  a  quel  tempo  li  Colonnesi  erano  deboli  sfavo- 
riti, hora  si  sono  alquanto  riavuti,  favori  assai  di  tristi  et  malcon- 
tenti in  modo  che,  quando  seguitasse  la  morte  dèi  pontefice,  si  dub- 
bita assai  non  fusse  più  scandali  hora  che  allora.  Questa  mattina 
per  molti  si  afferma  la  Sua  S"  non  bavere  troppo  male,  ma  pure 
iersera  bavere  havuto  intramento  di  febbre  che  pure  ne  da  suspitione 
perchè  si  afferma,  oltre  al  primo  termine  che  fu  ieri  datoli  da  questo 
astrologo,  essergline  dati  due  altri;  uno  per  tutto  questo  mese;  l'altro 
per  tutto  maggio. 


Balia.  Laurentus  Lantus  dnis  prioribus  gubernatoribus  comunis 
et  capii,  ppli  civit,  Senar.  Carteggio,  1884.  Ex  Capitolio 
-     .xiiii.  aprilis   1484. 

Sappino  le  V.  S.  ch'el  papa  ha  posto  el  tutto  in  lo  governo  del 

conte  et  Sangiorgio:  el  temporale,  spirituale,  denari  et  ogni  cosa,  et 
non  mancharia  indice  che  desse  la  sententia  al  modo  loro.  Ora  che 

lo  pare  bavere  conclusione  di  pace  minacciano  ogni  homo 

Misser  Nicolò  da  Castello  è  venuto  e  cosi  le  cose  di  là  si  pos- 


Il  diario  di  Stefano  Infessura  (>\i 


sano  mectare  per  composte  et  assectate.  El  prothonotaro  colonnese 
hieri  concluse  con  costoro  la  restitutione  de  li  contadi;  et  a  lui  e 
fratello  si  rende  li  denari.  Virginio  Orsino  si  pigia  quelli  contadi 
d'Albi  et  Tagliacozzo. 


Ihìà.  là,  eisd.  Ex  Capitolio  .xiiii.  mai  1484. 

A  me  è  fadiga  assai  a  cavalchare  spesso,  perchè  quando  el  Se- 
natore esce  di  casa  mena  circha  cento  fra  cavagli  et  a  piedi. 


Ibid,  id,  eisd.  Ex  Capitolio  .xxii.  maii  1484. 

El  signor  Paolo  Orsino  non  è  più  condocto.  Ecci  el  s.  Virgino. 
La  materia  di  Taglacozo  et  Albi  tra  loro  e  Colonnesi  è  più  intrigata 
che  mai:  Antonello  Savello  co  le  spalle  de  Colonnesi  a  questi  di 
assaltò  li  alloggiamenti  del  s.  Paolo  et  li  tolse  molti  cavagli  vicino 
a  Lamentano.  lernotte  prese  una  terra  di  casa  Conti.  Si  chiama  To- 
richia  vicino  a  Velletri.  Le  cose  stanno  qui  sollevate  assai 

Di  poi  scrissi  insino  a  qui,  veduto  fare  preparatione  di  gente  et 
d'arme  a  Monte  Giordano  casa  deli  Orsini,  li  Colonnesi  si  posero 
a  ordine  per  modo  che  tutta  la  nocte  passata  di  venardi,  venendo  el 
sabato,  Roma  è  stata  in  arme,  ogniuna  de  le  parti  proveduta;  et  perchè 
hieri  era  deliberato  mandare  a  recuperare  Torricchia  et  ponare  a  or- 
dine li  Orsini,  la  cosa  è  bollita  per  modo  che  stimo  el  papa  ci  vorrà 
pensare  meglo.  El  carie  Colonna  non  è  in  Roma.  Ecci  el  prothono- 
tario  da  Marino,  Savello  et  tanti  deli  loro  che  bastano  per  fare  ogni 
pericolo. 


Ibid.  id,  eisd.  Ex  Capitolio  .xxix.  maii,  1484. 

Roma,  perchè  cole  spalle  de  Colonessi  fu  tolto  Tonchio  a  li  Conti 
amici  degli  Orsini,  sta  tutta  in  arme  et  dubitasi  non  si  facci  un  dì  qualche 
grande  tramazo.  Li  fuorusciti  nostri  si  sono  achostati  con  quelli  dela 
Valle  che  sono  Colonnesi  et  minaciano  ognomo. 


Ibid.  id.  eisd.  Ex  Capitolio  ultimo  mai  1484. 

Mag'^  dni  Patres  et  dni  mei  humili  recommendatione.  Vedendo  el 
pontifice  le  insolentic  si  facevano  per  lo  s.  Antonello  Savcllo,  el  s.  Lu- 


6i2  O.   Tommasini 


cido  et  molti  altri,  ac  etiam  la  poca  obedientia  del  populo  di  Roma, 
deliberò  hìeri  bavere  in  poter  suo  el  prothonotario  di  Colonna  sig."  di 
Marino,  Cavi  et  più  altri  loci  ;  lo  quale  con  li  soi  partegiani  si  fé'  forte 
in  casa  del  cardinale  Colonna,  lo  quale  era  absente.  El  che  sentendo 
ditto  prothonotario  conli  suoi  partegiani  mandò  a  ochupare  una  de  le 
porti  di  Roma,  cioè  porta  Maiore,  et  mandò  a  dire  a  li  frategli  et 
altri  s"  de  la  sua  factione  che  venissero  a  Roma  da  li  castelli  loro 
assai  vicini,  cioè  Colonnesi  et  Savelli.  El  papa  sapientissimo  volse  pre- 
venire. Convocate  le  genti  d'arme  sue  et  fantarie  con  tutto  lo  sforzo 
di  casa  Orsina,  andò  el  conte  a  la  ditta  casa  de  Colonnesi  in  squadre 
ordinatamente.  Et  subito  assaltare  dieta  casa  verso  la  montagna  et 
dale  coste.  In  lo  primo  impeto  furo  morti  et  feriti  di  tuttedue  le 
partì.  Et  durò  el  facto  d'arme  circha  unora  e  terza:  tandem  li  Co- 
lonnesi furo  venti.  El  prothonotario  preso  et  menato  in  Castelsancta- 
gnolo  al  colchare  del  sole.  Fu  ammazzato  lo  s.  Giovanfìlippo  Savello 
et  più  ahri,  circha  .xxx.  in  tutto  :  presi  alquanti  loro  partegiani  li  quali 
si  crede  capitaranno  male:  la  casa  posta  a  sacho  et  poi  arsa.  La 
porta  si  recuperò.  Questa  notte  li  partegiani  loro  principali  in  bona 
parte  si  sono  assentati  e  naschosti.  Questo  ponto  si  combatte  in 
Trastevare  certe  case  di  loro  partegiani.  Et  una  nell'isola  d'uno  Renzo 
Francescho  vanno  posto  fuoco.  Et  stimasi  saranno  guaste  parecchie 
case  et  molti  appichati.  Per  insino  aora  è  fatto  assai.  Dirò  una  cosa 
per  bene  che  non  la  tengo  molto  certa. 

Uno  fuoruscito,  non  deli  picholi,  vedendo  attachato  questo  ro- 
more,  hieri  dolendosi  de  la  fortuna,  disse  chel  s.  Paolo  Orsino  ha- 
veva  preso  licentia,  et  non  haveva  preso  soldo  dal  papa,  per  venirsene 
a  Siena  a  rimectargli  in  casa  et  che  a  tutto  era  fatto  bono  provvedi- 
mento, se  questa  cosa  de  Colonnesi  non  havesse  turbato.  Le  parole 
decte  tenete  per  certe  sopra  di  me.  Se  è  vero  non  so.  Per  mio  de- 
bito ho  voluto  dare  questo  adviso  :  le  V.  S.  discerneranno  el  vero 
et  anch'io  starò  a  vedere  li  andamenti.  Non  si  vole  bavere  paura 
né  temere:  ma  aprire  li  ochi. 

A  li  .X.  di  giugno  a  Dio  piacendo  fornirò  l'ojffitio  mio.  Et  Dio 
volesse  che  mai  lo  havessi  principiato,  per  le  molte  adversità  ho  so- 
stenute. Et  maxime  di  non  essare  pagato.  Per  l'amore  di  Dio  S""^  miei 
recommandatemi  per  lectare  efficaci  come  ho  più  volte  suplicato. 
Tutti  li  fuorusciti  lavorano  contra  di  me.  Et  hanno  deliberato  che  le 
V.  S.  non  ci  tengino  oratore  et  minacciano,  finito  l'offitio,  tormi  la 
vita.  Prego  le  V.  S.  non  mi  abandonino  in  questo  pericolo. 

Maestro  Ambrosio  di  Sancto  Austino  presente  latore  è  stato  qua 
più  dì  per  alchune  sue  faccende  apartenenti  all'Ordine.  Et  per  quanto 
babbi  inteso  non  s'è  travaglato  con  persone  suspecte  al  Reggimento 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  6i^ 


In  omnibus  lo  recomando  a  le  S.  V.  a  le  quali  molto  mi  raccomando. 
Ex  Capitolio  ultimo  maii  1484. 

Servitor  Laurentius  Lantus 
Senator  Urbis. 

Ibid.  id.  eisd.  Ex  Urbe  .xviii.  iunii  1484. 

Magnifici  dni  Patres  et  dni  mei  sing.  hùli  r^e.  Non  si  maravi- 
glino le  S.  V.  se  dapoi  scrissi  la  novità  et  presura  del  prothonotario 
di  Colonna,  non  ho  molto  fi-equentato  lo  scrivare.  Enne  suto  cagione 
le  molte  ochupationi  et  cose  ochorse  dipoi  per  servitio  del  ponte- 
fice in  bavere  l'ochio  che  li  altri  Colonnesi  di  fuora  et  di  dentro,  che 
li  tre  quarti  di  Roma  si  dice  essere  Colonnesi,  non  havessero  fatto 
qualche  nuovo  scandalo.  Anchora  non  è  ochorso  dipoi  cosa  notabile. 

Come  per  altra  scrissi,  el  campo  de  la  Chiesa  andò  contra  Marino 
et  si  fermò  a  Grottaferrata,  vicino  a  Marino  mancho  d'uno  miglo  : 
et  al  Borgecto  h  presso,  quegli  di  Marino  assaltare  ochultamente  Grot- 
taferrata in  aurora.  Fu  preso  m.  Sinolfo  commissario,  menato  a  Ma- 
rino et  subito  relassato.  Leone  da  Montesecho  morì  d'uno  passatoio  : 
furo  amazati  assai  cavagli  ale  mangiatoie.  El  s.  Paolo  Orsino  si 
salvò  in  lo  campanile.  Dipoi  si  sono  fortificati  di  gente  et  ripari  tale 
che  ognuno  si  sta  a  casa.  Li  Colonnesi  hanno  scritto  al  pontefice 
sono  boni  figliuoli  di  Sua  S^^,  et  non  hanno  colpa  alchuna.  Se  el  pro- 
thonotario loro  ha  errato,  ne  facci  iustitia.  Et  invochano  sempre  el 
nome  de  la  Chiesa,  non  di  meno  voglano  lo  Stato  per  se.  El  ponte- 
fice ha  decto  li  vole  disfare  per  ogni  modo.  Fanno  conto  bavere  in 
campo  squadre  .xvi.  fanti  800.  Dicesi  li  Colonnesi  si  partano  da  Ma- 
rino, et  fannose  forti  in  Rocha  di  Papa.  Le  V.  S.  pregino  Dio  che 
duri  la  guerra.  In  caso  s'aconciasse  queste  cose,  di  che  dubito  per 
molti  respecti,  questo  umore  si  porrla  voltare  in  paese:  et  dico  a  le 
S.  V.  haviamo  da  regratiare  Dio.  Non  mi  extendo  più  perchè  sto  a 
sindacato  et  costoro  mi  tengano  le  mani  ne  capegli:  da  lunedì  in  là 
sarò  mio  homo,  a  Dìo  piacendo;  sarà  finito  et  allora  alzarò  la  visiera. 

Ho  conferito  tutto  con Et  dico  che  bisogna  tenere  li 

ochi  aperti. 

De  la  materia  d'Orvieto  farò  quanto  V.  S.  mi  comandano  et  già 
ho  parlato  con  alchuni  de  la  Camera.  Al  camarlengo  et  a  chi  è  bi- 
sogno farò  tutto  intendare.  Nec  plura.  Molto  a  V.  S.  mi  r.  Ex  Urbe 
.XVIII.  iunii  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  et  orator 
Laurentius    Lantus. 


6 14  O.   Tommasini 


Ibid,  id,  eisd.  Ex  Capitolio  .xx.  iunii  1884. 

Scrissi  la  ruina  de  Colonnesi.  Dipoi  è  seguito  chel  papa  ha  man- 
dato el  campo  a  Marino.  Per  ancho  non  se  acostato.  Sta  a  Grot- 
taferrata.  Continuo  cresce  la  Chiesa,  cioè  fantaria,  et  mectano  a  ordine 
questi  Orsini.  Dicesi  che  lo  s.  di  Camerino,  lo  quale  è  soldato  de  li 
Venitiani,  aiutava  li  Colonnesi.  Per  ancho  non  se  scuperto  alchuno 

in  loro  favore 

È  stato  taglato  la  testa  al  s.  lacomo  de  Montefortino  perchè 

era  in  casa  de  Colonnesi  el  di  de  la  novità. 

Ibid.  id.  eisd.  Ex  Roma  .xxvi.  iunii  1484. 

....  dipoi  è  seguito  che  havendo  in  tucto  deliberato  el  pontefice  di 
fare  punire  el  prothonotario  Colonna,  di  levargli  la  testa,  proseguire 
la  impresa  contro  quella  casa,  essendo  carichi  molti  carri  di  bom- 
bardarla et  artaglarie  che  ne  vidi  .xii.  innanti  Castello  Sanctagnolo 
et  altre  preparationi  a  la  destructione  loro,  è  nata  praticha  dachordo: 
la  cosa  si  porta  molto  secreta.  El  papa  voleva  Marino,  Rocha  di 
Papa  et  Ardea.  Li  Colonnesi  le  volevano  ponare  in  potere  del  col- 
legio: come  si  sia,  hieri  vennero  quattro  statichi  di  Marino.  Questa 
mattina  in  palazo  et  per  tutta  Roma  è  ditto  che  Marino  è  assegnato 
al  commissario  del  papa.  Pare  sia  dato  principio  a  lo  achordo.  Al- 
chuni  dicano  non  è  per  achordo  tanto  strecto. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  ultimo  iunii  1884. 

Scrissi  sabato  per  lo  procaccio  quanto  ochoriva  et  quello  sen- 
tivo del  trattamento  dela  concordia.  Dipoi  è  successo  che  non  vo- 
lendo li  Colonnesi  consegnare  Roccha  di  Papa  et  Ardea  al  pontefice 
et  in  suo  proprio  potere,  questa  mattina  ale  .vini,  ore  fu  taglata 
la  testa  al  prothonotario  Colonna:  li  carri  et  artaglarie  continuo 
creschano  :  el  papa  ha  deliberato  disfare  li  Colonnesi  :  la  dieta  execu- 
tione  fu  fatta  in  Castello  diSancto  Agnolo.  Non  s'è  mosso  alchuno. 
Chi  ha  male  suo  danno.  Chi  è  vittorioso  usando  la  prudentia  dà 
legge  ad  altri.  El  populo  bolle  umpoco  e  poi  tace.  Così  hanno  fatto 
costoro.  Non  so  che  seguirà  apresso  :  Marino  è  in  potere  del  papa. 
Alchuni  dicano  li  Colonnesi  noi  potevano  tenere,  però  lo  lassano  per 
redursi  al  più  forte,  cioè  a  Rocha  di  Papa,  Nectuno,  Cavi  et  altri 
loci:  alchuni  dicano  per  placare  la  mente  del  pontefice  persuasi  da 
cardinali  et  cittadini  de  Roma.  Dicesi  che  questa  notte  partiranno 
questi  carri  et  artaglarie,  per  che  loco  non  si  può  sapere  et  forse  non 


Il  'Diario  di  Stefano  In  fessura  6i^ 


è  deliberato  :  chi  stima  a  Rocha  di  Papa  et  chi  ad  Ardea.  Per  li  Co- 
lonnesi  non  s'è  scoperto  alchuno  per  quanto  s'intenta. 

Come  per  altra  scrissi  finii  loffitio.  Fui  sindicato  et  absoluto.  Soli- 
cito  le  polìze  e  pagamenti.  Ho  contraria  la  dispositione  delli  tempi, 

né  ancho  trovo  molto  favore La  peste  fa  danno  assai  per  tutta 

Roma. 

Ihid.  id.  eisd.  Rome  .11.  iulii  1484. 

In  questo  ponto  che  sono  le  .vini,  ore  passa  el  conte  Girolamo 
con  le  squadre  qui  dinanti  a  casa  et  va  fuore  la  porta  di  Sangiovanni 
contra  lì  Colonnesi.  A  che  loco  in  particulare  non  so  :  le  caria  de  le 
bombardarle,  secondo  sento,  andaranno  apresso.  El  populo  di  Roma 
secondo  le  voluntà  parla  variamente.  Molti  laudano  et  molti  biasi- 
mano. Credesi  li  Colonnesi  faranno  male,  perchè  non  è  scoperto  al- 
chuno in  loro  favore. 

Ibid.  id.  eisd,  Rome  .11.  iulii  1484. 

Scrissi  la  morte  del  prothonotaro  CoIona.  Poi  la  partita  del  conte 
in  campo.  Oggi  li  carri  de  le  bombarde  et  tutte  artaglarie  sono  par- 
tite con  la  fantaria  verso  le  terre  deli  Colonnesi.  In  questo  ponto  è 
suto  decto  chel  campo  si  pone  in  mezo  tra  Paliano  et  Cavi.  Tutto 
con  favore  di  casa  Orsina  si  fa,  et  gridasi  orso  orso.  Li  contadi  di 
Taglacozzo  et  Albi  sono  in  potere  del  s.  Virginio.  Stimasi  univer- 
salmente li  Colonnesi  capitano  male  questa  volta.  In  questo  ponto 
uno  di  Marino,  lo  quale  mi  ha  venduto  orzo,  ma  decto  la  cagione 
de  l'arrendersi  Marino  :  fu  perchè  li  homini  di  quello  loco  non  vole- 
vano perdere  la  ricolta,  et  per  questo  li  S"  presero  partito  di  las- 
sarlo, et  che  facessero  li  fatti  loro  lo  meglo  potessino.  Si  li  Aquilani 
non  eschano  in  difesa  deli  Colonnesi,  per  eh  el  conte  di  Montorio 
è  loro  parente,  le  cose  loro  passano  male. 

Ibid,  id,  eisdem,  Rome  .viii.  iulii  1484. 

Roma  non  potrebbe  essare  peggio  contenta.  La  ricolta  è  stata 
robbata,  buona  parte  più  daglamici  che  da  li  inimici.  Et  Orsi  e  Co- 
lonna ogni  homo  ha  perduto  di  qua  da  Tevare. 

Ibid,  id,  eisdem.  Ex  Roma  .xi.  iulii  1484. 

Scrissi  di  quanto  era  ochorso  li  preteriti  giorni.  Et  tandem  la  par- 
tita del  campo  con  le  artaglarie  et  bombarde.   Dipoi  non  c'c  altro 


6i6  O.   Tommasini 


se  non  che  si  sono  accostati  a  Cavi,  fanno  li  ripari  per  piantare  le 
bombarde  et  hanno  presa  una  torre  di  guardia,  era  fuore  di  Cavi 
circha  uno  miglo.  Per  ancho  nullo  si  scuopre  in  favore  de  li  Colon- 
nesi.  È  vero  si  praticha  lo  achordo  et  questo  molto  piacerla  al  re. 
El  pontefice  si  mostra  duro  :  chi  stima  di  si  et  chi  del  no  :  li  Colon- 
nasi  hanno  impegnata  una  loro  terra  al  conte  di  Fondi;  hannone  ri- 
ceute  parechie  migliara  di  ducati.  Dubitasi  con  quegli  haranno  fanti 
dal  Aquila  e  così  potrebbe  abonazare  la  cosa  et  nasciare  achordo. 

Ihid.  id.  eisd.  Rome  .xviii.  iulii  1484. 

non  è  successo  altro  doppo  la  mandata  de  le  bombarde  et  ar- 

taglarie,  se  non  che  hanno  cominzato  a  trarre  a  Cavi.  Ne  si  sente 
però  habbino  fatto  lesione  notabile.  Dicesi  che  dentro  in  Cavi  sono 
circha  80  Romani  partegiani  di  quelli  Colonnesi  homini  di  bassa  mano 
li  quali  molto  stanno  intenti  a  la  difesa  con  circa  .ce.  fanti  forestieri 
e  che  danno  molestia  assai  al  campo.  El  capo  loro  è  el  s.  Antonello 
Savello  ribello  del  papa.  Sento  Cavi  è  situata  in  modo  che  non  sì 
può  assidiare.  Vero  è  le  bombarde  la  possano  guastare  quasi  tutta 
perchè  sta  in  una  costiera  relevata.  È  suto  ditto  lo  s.  Cola  Gaetano 
è  andato  vicino  a  lanazano  per  sochorrare  con  .xxxx.  homini  darme 
et  fanti.  Non  trovo  però  la  cosa  vera.  Molti  parlano  secondo  el  de- 
siderio. Per  ancho  di  vero  non  s'intende  habbino  aiuto  scoperto  da 
alchuno  potente.  La  cosa  passa  mezanamente.  Stimasi  che  li  homini 
desperati  di  sochorso  vedutosi  guastare  le  case  et  le  possessioni  pi- 
gliarano  partito.  Et  essendo  Cavi  loco  principale  et  più  forte,  in  caso 
piglino  partito,  li  altri  faranno  el  medesimo  ;  et  così  la  guerra  po- 
trebbe finire  presto. 

Ibid,  id.  eisd.  Ex  Roma  .xxiiii.  iulii  1484. 

hieri  venne  al  pontefice  uno  auditore  del  conte  lo  quale  disse 

che  la  rocha  di  Cavi  era  per  terra  in  modo  che  al  campo  non  po- 
teva fare  lesione  alchuna  et  che  le  mura  de  la  terra  vicino  la  rocha 
erano  per  terra  taliter  vi  si  può  entra  in  squadra,  e  da  la  rocha 
non  si  può  ricevare  lesione  in  lo  intrare,  in  tal  modo  è  minata.  Mo- 
strava essare  venuto  per  intendare  se  la  S^^  del  pp.  si  contentasse  vo- 
lerla a  patti  o  che  si  ponesse  a  sachomanno  :  et  affirmava  ditto  au- 
ditore a  più  cardinali  presente  me  essare  in  libertà  del  conte  pigliarla 
a  che  modo  si  contenta.  Alchuni  altri  dicano  essarvi  dentro  grande 
fantaria  e  non  si  dimostra  :  aspectano  si  dia  la  battaglia  per  coglare 
el  campo  in  disordine.  La  terra  anchora  è  molto  ruinata  da  le  bom- 
barde, et  più  volte  è  stato  tempo  da  scuprirsi  se  vi  fusse  gente  fo- 


//  diario  di  Stefano  Infessura  61  j 


Testiera,  sì  per  assaltare  e  ripari  come  per  altre  oportunità.  Né  si  sente 
vi  sia  aiuto  forestiero.  Del  s.  Cola  Gaetano  et  del  conte  di  Montorio 
non  fu  cosa  vera.  La  più  parte  giudica  che  Cavi  sia  spacciata.  È  vero 
li  Colonnesi  hanno  lo  Piglio,  lanazano,  Rocha  di  Papa  et  Neptuno, 
loci  da  fare  resistentia  come  Cavi  o  più. 

Questa  sectimana  due  cardinali  si  sono  parlati  col  cardinale  Co- 
lonna in  uno  loco  si  chiama  la  Maglana.  Dicesi  per  ordine  del  pp. 
et  eh  el  cardinale  preditto  sachorda  col  pontefice.  Se  fusse  vero  re- 
starla a  fare  poco.  Et  cosi  la  guerra  saria  finita  perchè  le  cose  forti 
restanti  sono  sue  quasi  tutte. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  .xxviii.  iulii  1484  a  ore  .xxiiii. 

Questa  nocte  passata  venne  nuova  di  campo  al  pon.  dal  conte 

et  a  li  oratori  del  cancelliere  del  s.  Lodovico  Sforza  è  là  col-  s.  conte 
come  hiersera  li  S"  di  Cavi  renderò  quella  terra  in  potere  del  conte 
come  capitano  di  Sancta  Chiesa,  salve  le  persone  et  robbe,  et  cosi  li 
S"  et  lo  s^e  Antonello  Savello  e  frategli  vennero  in  campo  a  baciare 
la  mano  al  capit"  et  andarosì  con  Dio  ad  altre  terre  vicine  acompa- 
gnati  etc.  Dicessi  è  suta  opera  del  prefato  s.  Antonello,  lo  quale  è 
acconcio  lui  et  li  frategli  in  questo  achordo  col  duca  di  Milano  con 
buone  conditioni.  Et  questo  è  vero.  Manchando  a  Colonnesi  el  pre- 
fato s^e  che  faceva  el  tutto  et  era  capo  de  limpresa,  si  può  mectare 
questa  cosa  de  Colonnesi  al  parere  di  molti  expedita.  Maxime  come 
per  altra  scrissi  el  car.le  Colonna  vole  essare  dachordo  col  papa  : 
ho  voluto  indutiare  insino  a  questa   sera  lo   scrivare  per  bavere  la 

cosa  più  certa 

Sonmi  ingegnato   et   per   via  del  prefato   oratore  (i)   et  per 

altri  mezi  intendare  che  sia  la  cagione  che  le  cose  publiche  no- 
stre et  ancho  deli  privati  cittadini  nostri  hanno  tanto  malo  recapito 
in  questa  corte  :  intra  li  quali  so  io.  Emi  dicto  che  il  conte  e  San- 
giorgio  hanno  tanto  grande  sdegno  che  non  furo  compiaciuti  deli 
grani  domandar©  a  le  S.  V.  che  non  lo  possano  dimenticare.  Et  di- 
cano con  ciaschuno  non  potere  bavere  piacere  alchuno  da  questo 
presente  stato.  Et  volontieri  vi  rendarebbero  cambio. 

Ibid,  id.  eisd.  Rome  .111.  augusti  1484. 

El  campo  andò  alla  torre  di  Piscoli  come  per  altra  scrissi  (2). 

Nuova  non  c'è  hoggi  che  babbi  fatto  :  seguitasi  contra  li  Colonnesi. 


(i)  Fiorentino. 

(a)  Q)iMt«  lettera  manca. 


^i8  O.    Tommasini 


Dellachordo  se  ne  ragiona.  Però  l'oratore  fiorentino  dice  non  crede 
si  faccia  per  ora  et  chel  conte  mostra  volergli  spacciare  in  tutto  et 
stima  bavere  quello  Stato  per  se. 

Ihid.  id.  eisd.  Ex  Roma  .xiii.  augusti  1884. 

Questa  nocte  a  le  tre  ore  piacque  al  Nostro  S"  Dio  chiamare  a 
se  el  papa,  Requiescat  in  pace.  La  sua  infermità  è  stata  gocciola: 
hìeri  a  ora  di  terza  fu  in  pericolo.  La  nocte  ne  cavò  le  mani. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  .xiiii.  augusti  1484. 

Hieri  per  Pachanino  advisai  le  V.  S.  de  la  morte  del  pontefice 
et  volsi  prima  vedere  che  scrivare.  Dipoi  fu  corso  a  furore  di  po- 
pulo  a  casa  del  conte,  saccheggiata,  guasta,  porti,  finestre,  ferrate, 
giardino,  et  se  non  fusse  la  diligentia  deli  conservatori  et  altri  of- 
fitiali  di  Roma  era  abruciata.  Oggi  el  conte  è  venuto  a  ponte  Molle 
colla  gente  d'arme  da  .X.  squadre  et  circha  800  fanti  cole  spalle 
deli  Orsini.  Stimasi  per  molti  faranno  prova  di  fare  papa  per  forza 
ala  intentione  loro.  Sono  stati  sacheggiati  li  magazeni  di  Ripa 
deli  Genovesi.  La  terra  è  tutta  in  arme.  Li  fuorusciti  nostri  atti  a 
ciò,  sono  armati  a  la  casa  del  camerlengo.  La  città  è  tutta  in  arme 
e  Castelsanctagnolo  si  tiene  per  lo  conte. 

Ibid.  id,  eisd.  Rome  xvi.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissìmihumili  ree.  etc. 
Scrissi  sabato  quanto  per  insino  alora  era  ochorso.  Dipoi  el  colle- 
gio si  congregò  in  casa  del  camarlingo  et  deliberò  in  primis  bavere 
la  possessione  di  Castello  Santo  Agnolo.  Mandaro  al  castellano  lo 
quale  è  el  veschovo  di  Narni,  lo  quale  rispose  essare  vice  del  conte. 
Mandato  al  conte  fece  risposta  bavere  hauto  el  castello  in  guardia 
dal  papa  et  promesso  conservarlo  al  successore  et  così  intendeva  vo- 
lere fare:  li  cardinali  congregati  un'altra  volta  udite  tali  risposte  con- 
sultare tra  loro:  li  pareri  sono  stati  diversi  et  tandem  con  poco  achordo 
si  partirò.  Dunde  è  seguito  che  lo  Orsino,  Conti,  vicecancelliere  e 
Sangiorgio  si  sono  strecti  insieme  et  raunatisi  a  lo  loco  già  detto, 
dove  qualche  volta  v'è  andato  Novara,  Milano,  Girona  et  Agri  o 
alcbuno  di  loro  :  San  Pietro  ad  Vincola,  Molfecta,  Parma  e  San  Chi- 
mento  non  si  sono  voluti  mai  più  congregare.  Dunde  è  iuditio  di 
molti  che  li  predecti  quattro  s'intendano  col  conte,  cioè  San  Giorgio 


//  Diario  di  Stefano  Infessura  ^19 


e  compagni  decti,  a  fare  papa  el  vicecancelliere  o  quello  de  Conti  per 
mantenimento  del  conte,  casa  Orsina  e  de  li  seguaci  loro  :  et  questo 
tacite  mi  ha  confessato  San  Piero  ad  Vinchula  e  qualche  altro,  per 
la  qual  cosa  aspectano  San  Marco,  Siena,  Foschari,  Santagnolo,  Ra- 
gona  e  Colonna.  Savelli  venne  hiersera  con  grande  stuolo  di  gente, 
500  o  più:  Colonna  s'aspecta  d'ora  in  ora  con  molto  malore  e  tutti 
questi  signori  Colonnesi  e  Savelli  con  molta  gente  maxime  fanti.  Di 
cavagli  si  dice  hanno  circha  .c°.homini  d'arme.  Del  popolo  di  Roma 
li  tre  quarti.  Et  in  effetto  hanno  deliberato  havere  el  Castello  a  peti- 
tione  del  collegio  prima  si  venga  a  lectione  delpon.  et  non  si  voglano 
raunare  più  a  tale  effecto.  Cosi  ciaschuno  solda  gente  e  empiesi  la 
casa.  Questi  cardinali  danno  tre  ducati  el  mese  e  le  spese.  El  conte 
era  venuto  co  le  genti  come  scrissi  fece  deliberare  tra  quegli  cardi- 
nali potè  congregare  che  nullo  barone  potesse  entrare  in  Roma.  E 
così  lui  entrò  in  castello.  El  campo  col  s.  Virginio  andò,  a  le  terre  sue 
più  proxime  :  exceptuo  tre  squadre  che  sono  a  Roma.  Questi  altri  ba- 
roni non  observano  tale  decreto.  Ogni  homo  è  in  arme.  La  cosa  sta 
in  modo  che  si  stima  si  farà  una  spartitura  prima  che  si  facci  papa. 
Alchuni  cardinali  si  vanno  mectendo  di  mezo,  Napoli,  Agri  e  simili  : 
nondimeno  el  conte  sta  fermo  e  vole  co  la  parte  decta  restare  grande. 
Li  adversarii  non  voglano  comportare  e  cosi  si  stima  venuti  saranno 
quest'altri  si  farà  co  le  mani  e  dubitasi  di  cose  strane  che  Dio  cessi  se 
è  per  lo  meglio  per  noi.  Fu  vero  che  li  usciti  per  lo  trattato  havevano 
cominzato  ad  aviarsi.  Li  fanti  forestieri  volevano  essare  chiari  et 
denari  innanci.  Messer  Cino  e  compagni  non  furo  d'achordo  a  lo 
sborsare  e  contentarli  e  così  con  discordia  si  partirò  chi  qua  e  chi 
là.  A  Foce  era  la  fusta  di  Piombino,  la  saectia  di  Civita  Vechìa, 
el  brigantino  di  Corneto  per  levargli  secondo  dice  l'amico.  Marchione 
Zocho  havendoli  aspectati  in  quelli  mari,  veduto  non  venivano,  venne 
a  Ostia.  El  castellano  havendo  saputo  la  morte  del  papa  a  quello 
incognita,  lo  prese  e  tolsegli  le  galee  e  così  lo  tiene  pregione.  Incre- 
scemi  non  havere  possuto  usare  una  cortesia  a  quello  che  revelò,  che 
è  danno  e  vergogna. 

Li  Colonnesi  hanno  recuperato  Cavi,  Mnrufa,  la  Torre  e  tutto  et 
hanno  guadagnata  quasi  tutta  l'artigliaria  e  bombardaria. 

Roma  6  tutta  in  arme.  Stanocte  si  sono  già  afrontati  e  feritosi  molti. 
Ogni  homo  si  vendica,  robba,  fura  e  ogni  male  si  fa,  ogni  ribaldo  ha 
libertà.  Io  escho  di  casa  con  grande  pericolo  per  li  esciti  che  sono 
soldati  di  San  Giorgio:  se  mi  aniazasscro  saria  poco  honore.  Al  pu- 
blico  bisogna  havere  la  scorta  de  li  amici  li  quali  non  ho,  così  ogni 
volta  bisogna  vorrei  ora  essare  ogni  dì  co  li  cardinali  come  li  altri 
oratori  che  vanno  bene  accompagnali  e  recomandare,  trattare,  maneg- 


620  O.   Tommasini 


giare  etc.  e  che  paressemo  vivi  non  morti,  intendare,  advisare  etc. 
Non  lo  posso  fare,  non  ho  denaro  e  mi  sarà  forza  tacitamente  ve- 
nirmi con  Dio  se  le  V.  S.  non  provedano;  è  serrato  ogni  cosa,  non 
si  trova  a  comprare  per  li  contanti,  li  cavagli  si  morano  di  fame,  io 
stento  :  mai  fu  vista  malore  penuria.  Non  può  andare  una  bestia  ca- 
rica che  non  sia  tolta.  Non  so  più  che  dire,  la  forza  mi  caccia  di  qua. 

Ho  visitati  li  cardinali  nomine  publico,  condolutomi  et  offerto  come 
è  solito.  Hanno  accectato  et  rengratiato  le  V.  S.  a  le  quali  mi  ree 
Rome  .XVI.  augusti  1484. 

E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus. 


Ibid.  id.  eisd,  Rome  .xviir.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimì  humili 
ree.  etc.  Scrissi  li  .xvi.  di  questo  quanto  era  ochorso  in  sino  alora. 
Agiongo  che  el  conte  entrò  in  Castello  Santagnolo  et  poi  si  tornò 
a  le  genti  d'arme  con  Virginio  Orsino  et  si  redussero  a  l'Isola  e  la 
Storta,  luoghi  vicini  a  Roma.  Di  poi  entrò  el  cardinale  Colonna,  el 
s,  Prospero,  el  s.  Fabrizio  Colonna  con  più  altri  caporali.  Cavagli 
non  molti  ma  grande  fanteria,  et  è  in  Sancto  Apostolo  col  car.  di 
San  Piero  ad  Vincula.  Hieri  fero  mostra  di  fanti  4000  per  chi  si  trovò 
a  vedere.  Aspectano  lo  s.  Antonello  Savello  e  li  fratelli  con  buona 
quantità  di  homini  d'arme  et  continuo  scrivano  fanti  et  mandano  de 
li  comandati  per  le  terre  loro.  La  città  maxime  verso  Capitolio,  San 
Marco,  Pellicciaria  secondo  ho  veduto  questa  mattina  si  sbarra  et  di- 
cesi per  tutto  oggi  ogni  homo  si  vole  sbarrare,  fare  ripari  e  fornirsi 
Li  cardinali  hanno  fornite  le  case  loro  come  castegli  di  gente  et  ar- 
trjglarie.  Le  genti  d'armi  di  Lombardia  vengano  et  sono  arrivate  le 
squadre  del  s.  lacomo  Conte  e  del  fratello  del  vescovo  di  Massa  et 
sono  entrate  in  Roma  parte  alloggiate  ne  li  Monti  et  parte  ho  visto 
stamattina  in  Borgo  presso  a  Sancto  Spinto  da  quella  parte  di  drietro. 
Ogniuna  de  le  parti  si  guarda,  dicano  che  aspectano  la  venuta  di  questi 
altri  cardinali.  Questa  mactina  a  lo  exequio  del  pon.  che  si  cominzò 
hieri  vi  fu  el  vicecancelliere,  Napoli,  Novara,  Madiscone,  Conti,  San- 
clemente,  Racanate,  Parma,  Camarlengo  et  Orsino.  Li  altri  non  vi 
vanno.  San  Pietro  molto  fornitola  chiesa  di  soldati,  pochi  altri  v'erano. 
Ò  visitati  li  cardinali  e  confortati  a  fare  questa  electione  quieta,  insta 
et  secondo  el  solito.  Rispondano  bene  et  che  aspectano  questi  altri 
per  pigiare  buono  et  salutifero  partito.  El  camarlengo  e  compagni 
fecero  lacomo  Conte  guardiano  di  Roma  a  provedere  che  non  si 
robbi  etc.  La  cosa  è   tanto  scorsa   che  ogni  homo  straccorre  a  rob- 


//  "Diario  di  Stefano  Infessura  621 


bare  e  fare  ogni  ribaldarla,  per  modo  non  si  può  mandare  e  cavagli 
a  bere  né  muli  fuori  di  casa.  Non  c^è  tribunale  alchuno  che  ministri 
iustitia  et  ciaschuno  che  può  se  la  fa  co  le  mani.  Chi  leva  suo  danno, 
chi  ha  buono  mantel  lo  lassa  a  casa.  Li  meglo  cittadini  robbano 
li  forestieri  senza  riguardo.  La  casa  dove  habito  è  in  mezo  de  le 
sbarre  e  non  vi  posso  fare  venire  soma  né  bestia  carica:  stiamo  as- 
sediati. Non  si  potrebbe  credare  come  le  cose  vanno  stranamente:  cia- 
schuno arma  la  casa  per  paura  de  la  vita  et  de  la  robba. 

Mentre  scrivevo  la  presente  sentii  uno  grande  romore  verso  piaza 
ludea.  Mandai  a  vedere,  là  erano  parechie  centonara  de  homini  Or- 
sini e  Colonnesi  a  le  mani.  Durò  la  questione  assai  et  tandem  li  Con- 
servatori li  spartirò  per  mezo  del  s.  Mariano  Savello  lo  quale  retrasse 
e  Colonnesi.  Intesi  vi  erano  morti  .vi.  persone  e  feriti  assai. 

El  s.  Antonello  Savello  in  questo  ponto  m'é  referito  entra  in 
Roma  con  buona  compagnia  di  homini  d'arme  e  cavagli.  Li  Conserva- 
tori praticano  achordo  tra  li  cardinali  et  che  si  facci  la  electione  del 
pon.  in  la  Minerva. 

Come  per  l'altra  scrissi  non  ho  modo  a  andare  acompagnato  né 
a  stare  secondo  saria  conveniente  a  l'onore  de  le  S.  V.  Piacci  a  quelle 
provedere.  El  pericolo  non  può  essare  maggiore  che  andare  per  Roma 
male  acompagnato:  bisognarla  a  la  staffa  parechi  buoni  compagni. 
Molto  a  V.  S.  mi  ree.  et  non  voliate  consentire  sia  morto  per  mano 
di  questi  ribaldi.  Rome  .xviii.  augusti  1484. 

E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus 
orator. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  .xx.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili 
ree.  etc.  Scrissi  li  .xviii.  di  questo  quanto  era  ochorso.  Dipoi  la  sera 
arrivò  qui  Siena  et  San  Marcho  et  invero  secondo  la  expectatione  era 
di  loro  S.  R'""  penso  la  cosa  harà  buono  assecto.  Q.ui  era  venuto  lo 
s.  Cola  da  Sermoneta  in  favore  de  li  Colonnesi  dicesi  con  tre  squa- 
dre. Le  cose  si  scaldavano  molto  et  si  vedeva  el  pericolo  manifesto 
di  grande  uccisione  et  robbarie.  Hiermattina  a  lo  exequio  si  congre- 
gare li  cardinali  excepto  Colonna,  Savello,  Sanpiero  ad  Vincula, 
Malfecta  et  Milano  che  ò  infermo  e  l'Orsino  che  era  andato  per  com- 
missione del  collegio  al  conte  e  altri  signori  Orsini.  Doppo  lo  exe- 
quio si  congregare  in  la  sacrestia  ove  stectero  parechie  ore.  Non  si 
potè  sentire  altro  se  non  li  ragionamenti  fatti  di  componare  queste 
discordie.  Hicri  mon.  S.  nostro  assai  andò   travagliandosi.  Questa 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  4» 


622  O.   Tommasìni 


mattina  similiter  li  cardinali  convenero  a  lo  exequio  et  Orsino  era 
tornato  ;  di  poi  in  sacrestia  là  venne  uno  cancelliere  del  conte.  Stectero 
meno  di  due  ore.  Al  tornare  a  casa  mon.  S.  nostro  mi  disse  come 
el  conte  rimecte  el  Castello  in  le  mani  del  collegio  e  sarà  obediente 
a  le  voluntà  di  quello.  Similiter  disse  essare  dato  buono  indirizo  a 
concordare  le  differentie  di  Collonesi  et  Orsini  et  spera,  al  tempo  de- 
bito, di  buono  achordo  saranno  in  conclavi  et  la  electione  sarà  libera. 
Io  come  è  debito  ogni  di  ho  accompagnata  Sua  S.  R"^',  visitati  questi 
altri  che  sono  venuti,  offerto,  recomandato  et  cet.  nomine  pubblico; 
et  cosi  visitarò  Ragona  che  è  venuto  e  li  altri  se  alchuno  ci  restarà. 
È  fatiga  maravigliosa,  le  sbarre  impacciano  lo  andare  a  cavallo,  a 
piedi  per  lo  caldo  e  polvere  e  la  città  grande  è  cosa  da  morire.  Non 
Inssarò  però  a  fare  ogni  possibile. 

Dice  mon.  S.  nostro  che  si  licentiarà  questa  gente  d'arme  et  pensa 
che  per  adventura  ne  mandarano  per  lo  Patrimonio  vicino  a  voi. 
Che  le  V.  S.  non  piglino  admiratione;  ho  ricordato  come  ci  potiamo 
poco  fidare  del  conte  et  sarìa  bene  non  achostargli  a  noi  per  bene 
s!;ia  ancho  lui  in  travaglo';  et  cosi  m' ingegnarò  operare  o  che  non  vi 
su  ne  mandi  o  che  sieno  lance  spezate   senza  capitano  suspecto. 

Lo  s.  Nicola  dì  Sermoneta  nomine  publico  mi  visitò  et  offerse 
ogni  sua  fortuna  a  li  piaceri  et  comandi  de  le  S.  V.  Rengratiai  et 
offersi  io  anchora  come  era  conveniente. 

Le  cose  di  Roma  doppo  la  tornata  di  questi  cardinali  R"^^  si  sono 
assai  racquetate,  le  brigate  cioè  questi  baroni  si  guardano  le  case  loro, 
per  la  città  non  traschorrano  più  così  in  grosso,  li  ladroncegli  si  vanno 
rimenando  e  fassi  de  mali.  Io  vo  a  riguardo  acompagnato  lo  più  che 
posso:  li  amici  miei  mi  hanno  facto  scorta  et  ancho  la  borsa.  Ricordo 
a  V.  S.  proveghino  che  non  ho  più  denaio  et  Dio  sa  come  ci  posso 
stare. 

De  le  cose  de  la  pace  di  Lombardia  non  ho  che  scrivare,  li  capu- 
tuli  non  sono  venuti,  qua  per  la  morte  del  pon.  s'attende  ad  altro. 
Eccene  assai  che  vorrebbero  essare  papa.  A  uno  tocharà  se  non  si  fa 
scisma,  el  che  non  credo.  Questi  dì  passati  se  n'è  dubitato. 

Nec  plura.  Molto  a  V.  S.  mi  ree.  Rome  .xx.  augusti  1484. 

E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus 
orator. 

Ihid.  id.  eisd,  Rome  .xxii.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili  ree. 
Per  una  vostra  del  dì  17  ho  inteso  quanto  era  ochorso  per  la  diffe- 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  623 


rentìa  suta  tra  Matheo  et  Marco  et  stato  bene  imponare  silentio  a 
tale  caso.  Et  meglo  saria  temperare  le  cose  che  non  ochorissero  si- 
mili errori  perchè  la  brigata  di  fuore  giudica  lo  stato  vostro  non  es- 
sare  consolidato  né  fermo.  Li  amici  vostri  ne  pigiano  diffidentia  et 
mala  opinione  et  chi  ha  malo  animo  ne  ingagliardisce.  So  bene  che 
mi  dice  l'oratore  fiorentino,  et  basti  per  ora.  Li  usciti  nostri  hanno 
al  parere  mio  costì  imbasciadori  et  corrieri.  Per  quanto  posso  com- 
prendare  hebbero  l'advìso  quando  io  o  prima  et  già  havevano  comin- 
zato  a  seminare  che  eravate  in  arme,  et  più  cardinali  me  n'avevano 
già  domandato.  Ho  facto  intendare  tutto  dove  bisogna.  El  corriere 
ne  sa  qualche  cosa  che  si  trovò  tale  nuova  passata  innanti  a  lui. 
Et  adviso  le  V.  S.  per  essare  morto  Sisto  non  bisogna  adormentarsi. 
La  materia  del  trattato  di  che  scrissi  fu  verissima  et  io  per  decto 
di  più  di  questi  esciti,  che  doppo  la  morte  del  papa  ne  hanno  ragio- 
nato, et  molti  di  costoro  s'erano  adviati  verso  el  paese  vostro.  Se 
ochupassero  alchuno  de  li  loci  vostri  non  saria  senza  alteratione.  So 
certo  le  V.  S.  haranno  provisto  e  cassari,  mutate  chiavi,  mutate  le 
persone  suspecte.  A  chi  vuole  fare  male  non  mancha  aiuto. 

Ceterum  questa  mattina  secondo  mi  dice  Mon.  S''^  nostro  R"° 
è  concluso  dare  8000  ducati  a  la  gente  d'arme,  li  quali  prestano  al- 
chuni  cardinali;  Castello  Sanctagnolo  si  pone  oggi  in  potere  del  col- 
legio liberamente.  Al  conte  prestano  parechie  squadre  et  uno  pre- 
lato, per  acompagnarlo  securo  in  le  terre, sue  et  subito  deve  partire. 
El  conclavi  si  farà  in  palazo  dove  è  solito.  Li  Colonnesi  et  Orsini 
fanno  tregua  per  uno  mese  doppo  la  creatione  del  pont.  Et  danno 
securtà  l'una  parte  a  l'altra,  comenzando  oggi,  tutte  le  genti  d'arme 
eschano  di  Roma. 

Scrivano  el  s''®  Lodovico  el  duca  di  Calabria  che  Deifebo  et  uno 
di  casa  Savello  si  partano  di  Lombardia  et  vengano  con  gente  d'arme 
per  racquistare  lo  Stato  fu.del  conte  Adverso;  et  per  tale  cagione  el 
collegio  manda  gente  d'arme  a  quello  Stato  per  defcnsione.  Così 
Mon.  S""®  nostro  dice,  e  che  a  le  V.  S.  non  sia  suspittione  di  questa 
mandata.  Le  V.  S.  credo  intendaranno  el  camino  di  quelle  genti  et 
con  li  S""'  fiorentini  provedaranno  che  passino  largo  da  li  paesi  vostri, 
che  non  faccino  danno  et  ancho  dandoli  passo  et  rìcecto  non  saria 
senza  scandolo  et  forse  contra  li  capituli  de  la  lega  havete  con  la 
Chiesa,  et  daria  al  nuovo  pont.  causa  di  malignare.  Le  V.  S.  sono 
prudentissime. 

Le  pratiche  di  fare  el  nuovo  pon.  sono  frcqL.vi.Li.^.aic.  Come  le 
V.  S.  per  loro  prudentia  comprendano,  li  pareri  sono  secondo  li  apa- 
titi. Comunamente  da  la  corte  et  altri  non  passionati  per  utile  de  la 
Chiesa  sono  desiderati  Siena  e  San  Marco.  A  Siena  favorisce  el  re 


^2  4  O.   Tommasini 


e  lo  Stato  di  Milano  dicesi  per  contrapeso  di  San  Marco.  El  vice- 
cancelliere non  lassa  che  fare  per  se;  Conti,  se  lo  tiene  per  certo 
essare,  parechi  altri  col  collo  torto  ;  ogni  homo  adopera  li  ferri  suoi 
et  suo  ingegno.  Dio  cel  dia  buono,  credo  non  potiamo  altro  che  me- 
gliorare. 

Postremo  io  tengo  le  V.  S.  prudenti  e  memoriose,  havendo  tante 
volte  scritto  la  mia  necessità  et  che  non  posso  più  stare  per  non 
havere  hauto  mai  uno  denaro  del  mio  servito  né  havere  più  che 
vendare  o  impegnare  et  maxime  essendo  advisato  di  costì  che  le 
V.  S.  non  fanno  pensiero  alchuno  di  mandarmi  denaro  né  per  le 
spese  né  altro.  Mi  pare  superfluo  noiare  più  le  S.  V.  a  le  quali  fo 
noto  sarò  necessitato  fra  pochi  dì  venirmi  con  Dio,  non  per  non  vo- 
lere servire  ma  per  non  potere.  Solo  che  le  V.  S.  havessero  provisto 
a  le  spese  in  questo  grave  bisogno  non  mi  sarei  partito,  non  havendo 
facta  provisione  né  volendola  fare  come  harò  solo  el  basto  per  con- 
durmi verrò  a  le  V.  S.  et,  più  presto  voglio  patire  costì  ogni  sup- 
plicio  che  perdare  l'onore  mio  qui,  dove  so  stato  senatore  e  oratore 
con  buona  gratia  di  tutti.  Con  la  gratia  di  Dio  mi  difesi  dal  papa, 
San  Giorgio  et  conte  Girolamo  li  quali,  per  essare  quello  che  so,  al 
presente  Reggimento  mi  volsero  fare  fallire  in  costregarmi  a  pagare 
ogni  debito  et  loro  mi  ritenero  mille  due.  Ora  mi  vedo  entrare  in 
uno  altro  maiore  laborinto  per  non  havere  più  denaro.  Non  voglo 
andare  in  pregione  né  havermi  a  fuggire.  Le  S.  V.  mi  perdonino  a 
le  quaU  mi  ree.  Rome  .xxii.  augusti  1484. 


E.  D.  V. 


Servitor  Laurentius  Lantus. 


Ihid.  id.  eisd.  Rome  .xxvi.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili 
ree.  etc.  Per  loiRosso  fameglio  de  le  V.  S.  scrissi  la  concordia  (i)  fatta 
per  lo  collegio  de  li  cardinali.  Di  poi  ho  supraseduto  lo  scrivare  per, 
havere  visto  vacillare  le  cose,  El  primo  capo  de  la  concordia  fu,  ri- 
eeuti  li  .vili,  ducati  per  la  gente  d'arme  e  due  prelati  con  tre  squadre 
per  sua  secureza,  el  conte  si  dovesse  recto  itinere  per  le  terre  de  la 
Chiesa  andare  a  le  terre  sue.  Li  denari  furo  pagati  lunedì.  La  con- 
tessa era  in  Castello.  El  collegio  si  fidò  del  camarlengo  lo  quale  disse 
et  giurò  havere  fornito  el  Castello  secondo  el  desiderio  loro,  remossi 
conestabili  et  ogni  altro  sospetto,  aggiorno  al  veschovo  v'era  prima, 
.ms.  Francesco  fratello  suo,  et  fatto  quanto* lo  collegio  haveva  ordinato. 

(i)  Ms.   «  concorda». 


//  nO>ia7^io  di  Stefano  Infessura  ^25 


Furo  deputati  el  vescovo  di  Nola  et  di  Caiazaper  compagnia,  dato  reca 
pito  al  bisogno  per  lo  andare  loro.  Fu  detto  la  contessa  essare  al- 
quanto indisposta  et  però  era  supraseduta  la  partita  sua  di  Castello. 
Et  fu  talmente  creduto  a  San  Giorgio  che  tutti  li  cardinali  hieri  furo 
a  lo  exequio  et  posmodum  in  concistorio,  che  sono   .xxv.   compu- 
tato Milano  e  Girona  sono  infermi.  Questi  giorni  continuo  el  castello 
ha  atteso  a  fornirsi  di  vittuaglia.  Questa  nocte  vi  sono  entrati  1 50  fanti 
del  conte  ;  questo  ho  da  uno  cardinale,  et  fecero  gran  festa  dipoi  furo 
entrati  per  modo  che  la  brigata  si  tiene  giontata  et  questa  mattina 
è  stato  lo  ultimo  offitio  o  vero  exequio;  non  vi  è  venuto  cardinale 
de  la  factione  contraria  a  li  Orsini  et  sono  tanto  sdegnati  che  hanno 
mandato  a  sollicitare  fanti  aspectano  da  l'Aquila  et  Norcia  per  in- 
fino a  1500;  credano  avergli  questa  nocte  et  deliberano   non  essare 
né  ingannati  né  forzati.  Li  Conservatori  hanno  di  nuovo  fornito  el 
palazo  loro.  Ciaschuno  si  mecte  in  ordine.  Li  caporioni  hanno  co- 
mandato si  rimettino  le  sbarre  dove  erano  levate  et  che  si  stia  pro- 
veduto. Li  cardinali  rimasero  in  palazo,   li  oratori  si  partirò  et  ho 
da  buon  loco  che  lo  Stato  di  Milano  ha  preso  cura  de  lo  Stato  del 
conte,  et  fornitolo  di  genti,  per  modo  che  lui  sta  securo.  Se  in  le 
cose  di  Roma  tengano  mano  ad  aiutarlo  non  intendo  bene;  ciaschuno 
lavora  soctacqua  et  parla  poco.  Se  li  tradimenti,  simulationi  et  in- 
ganni fussero  perduti,  qui  si  ritrovano  in  questi  giorni.  Havendo  scritto 
hiersera  infino  a  qui,  tornò  el  mio  spenditore  e  mi  referi  essare  in 
Castello  Sanctagnolo  8  cardinah;  fui  a  cavallo  e  andai  là.  Li  detti 
otto  cardinali  mandati  dal  collegio  fecero  partire  la  contessa  e  tutti 
li  fanti  detti  fornirò  el  Castello  per   lo  collegio  e  così  la  cosa  pare 
quietata.  In  questo  ponto  cavalcho  a  palazo  dove  si  dee  dire  la  messa 
del  Spiritusancto  e  poi  entrare  in  conclave.  Dio  cel  dia  buono,  a  me 
è  suto  notificato  stanocte  che  mi  tocha  a  guardare  el .  conclave  in 
nome  de  le  S.  V.  a  le  quali  mi  ree.  Rome  .xxvi.  augusti  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus. 

Ibid,  id,  eisd.  Rome  .xxvii.  augusti  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humìli 
ree.  etc.  Per  altra  scrissi  come  giovedì  doppo  la  messa  delo  Spirito 
Saneto  li  cardinali  tucti  di  buono  achordo  entrare  in  conclavi.  Dove 
io  con  cinque  altri  oratori  so  deputato  a  la  guardia  del  conclavi  e 
così  stiamo  dì  e  nocte  in  palazo  a  nostre  spese.  Questa  mattina  ce  , 
suta  nuova  che  Deifebo  ha  hauta  la  rocha  di  Roneiglione  in  la  quale 
era  uno  da  Ymola  cheTà  venduta.  Lo  Stato  di  Milano  come  per  altra 


626  O.   Tom  masi  ni 


scrissi  ha  preso  cura  de  lo  Stato  del  conte  Geronimo,  fornitolo  di 
tutto  el  bisogno  per  modo  che  lui  si  sta  a  piacere,  al  parere  mio, 
aspectando  la  creatione  del  pon,  Itaque  non  si  può  errare  havere 
l'ochio  a  le  cose  vostre,  che  costoro  non  si  fichassero,  cioè  li  fuo- 
rusciti, in  qualche  loco  de  li  vostri  et  col  nuovo  pon.  si  trovassero 
con  qualche  cosa  in  mano.  Nec  plura:  molto  a  V.  S.  mi  ree.  Rome 
.XXVII.  augusti  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus. 

Ibid.  ìd,  eisd.  Rome  die  .xxviiii.  [augusti]  1484  a  ore  .xiiii. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili  ree. 
Come  per  altra  scrissi  giovedì,  decta  la  messa  de  lo  Spìrito  Sancto, 
li  cardinali  tucti  entraro  in  conclavi  di  buono  achordo  in  la  capella 
secondo  è  solito.  Oggi  col  nome  di  Dio  a  ore  .xiiii.  hanno  publi- 
cato  havere  electo  el  cardinale  di  Malfecta  in  summo  pontefice.  Dio 
lo  disponga  al  bene  de  la  patria  nostra.  Piaccia  a  le  V.  S.  dare  al. 
portatore  di  questa  arrivando  in  .xxiiii.  ore  ducati  .x.  per  la  sua  fa- 
tiga.  Molto  ad  V.  S.  mi  ree.  Rome  die  .xxviiii.  1484  a  ore  .xiiii. 

E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus. 

Ibid.  id.  eisd.  (i).  Rome  .1.  sectembris  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili 
ree.  ete,  Advisai  le  V.  S.  per  due  cavallari  de  le  porte  di  Milano  de 
la  electione  faeta  del  pon.  Innoeentio  Vili  et  statim  post  creationem 
fui  intromisso  con  li  altri  oratori  stati  a  la  guardia  del  conclave  ad 
obseulum  secondo  è  solito.  Di  poi  per  la  frequentia  de  cardinali  li 
quali  per  diverse  cagioni  hanno  continuato  el  palazo  non  ho  pos- 
suto  prima  di  questa  mattina  havere  colloquio  con  Sua  B.  a  cui 
recomandai  per  parte  de  le  V.  S.  la  città  e  stato  di  quelle,  congratu- 
landomi per  parte  di  V.  S,  in  primis  de  la  felicità  de  la  S^^  Sua,  mo- 
strando a  quelle  essare  stata  iucundissimo,  extendendo  le  parole  se- 
condo mi  parse  conveniente.  Sua  S^A  molto  benignamente  ascoltò  et 
poi  commemorò  con  quanto  amore  et  reverentia  fu  da  le  S.  V.  ri- 
ceuto,  visitato  et  facto  cittadino;  el  che  disse  esserli  suto  carissimo  e 
acettissimo  et  per  molti  respecti  havere  sempre  amata  la  città  vostra 
et  disse  queste  formali  parole:  Scrivete  a  quelli  vostri  S""^  che  stieno 

(i)  D'altra  mano  e  presso  l' indirizzo  è  stato  scritto:    «  faciamus  ei  statuam  auream  ». 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  627 


di  buono  animo,  li  portamenti  nostri  verso  quella  comunità  saranno 
tali  che  comprendaranno  ci  ricordiamo  essare  loro  buono  cittadino. 
Accectai  con  debita  reverentia  l'offerta  et  rengratiai  secondo  mi  parse 
convenirsi  mostrando  le  Vostre  S.  bavere  unica  speranza  in  la  Sua 
B.  presa  licentia  partii.  Poi  visitando  el  cardinale  nostro  R™o  ho  in- 
teso da  Sua  S.  come  hiersera  Deifebo  resignò  Ronciglone  el  cassaro 
in  mano  del  pon.  et  si  remisse  totaliter  a  la  clementia  di  quello.  De 
le  due  altre  terre  haveva  ochupate  che  sia  da  farsi  è  rimesso  in 
Mon.  S.  nostro  et  tre  altri  cardinali.  Deifebo  è  stato  qui  dal  dì  de 
la  creatione  del  pon. 

Lo  oratore  fiorentino  ha  solicitato  a  Fiorenza  faccino  prova  di 
expedìrsi  di  Sarezana  prima  che  el  pon.  habbi  ordenate  et  consolidati 
le  cose  sue.  Dubita  non  facesse  pensiero  per  impedire  dare  qualche 
molestia  a  le  cose  vostre:  per  divertare  potrebbe  essare  deliberas- 
seno  volere  fare  la  impresa.  Le  V.  S.  prudentissìme  haranno  cura  de 
le  cose  loro  maxime  a  li  confini  et  so  certo  in  ogni  caso  si  porta- 
ranno  co  la  soHta  prudentia  taHter  che  non  si  scupriranno  né  si 
provocaranno  el  papa,  anzi  conservaranno  et  acresciaranno  la  beni- 
volentia. 

La  città  di  Roma  è  posta  in  assecto,  deposte  le  armi  la  brigata 
torna  a  bottega  con  quiete  e  tranquillità.  Li  fuoresciti  frequentano  el 
palazo  perancho  non  hano  hauta  audientia  starò  attento  intendare  li 
andamenti  loro. 

Come  per  altra  scrissi,  finiti  questi  pochi  denari  verrò  a  le  V.  S. 
lo  maxime  che  ho  intesa  la  electione  fatta  de  li  oratori,  el  che  è 
stato  bene  e  forse  saranno  li  primi  a  venire.  Per  ora  qui  non  sarà 
che  fare;  è  vero  però  che  li  oratori  hanno  già  cominzato  a  penare 
innanti  la  materia  de  la  liga  et  capituli  da  farsi  e  già  si  maneggiano 
le  cose.  Per  mentre  starò  (che  sarà  poco)  sarò  col  fiorentino  e  ope- 
rare per  le  V.  S.  quanto  sia  bisogno.  Molto  a  quelle  mi  rac.  Rome 
.1.  sectembris  1484. 

E.  D.  V. 

Ser\ùtor  Laurentius  Lantus. 

Ihid.  id.  eisd.  Rome  .v.  septembris  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili  ree. 
Vedendo  io  lì  esciti  nostri  frequentare  el  palazo  et  vedendoli  acha- 
rezare  da  qualcuno,  dubitando  che  socto  spetie  di  carità  non  fusse 
mostro  al  pon.  cosa  facesse  a  qualche  proposito  di  Sua  B.  per  bene 
e  conservatione  de  la  libertà  vostra  con  utile  e  comodo  de  li  exciti 
predecti,  come  dimostrava  in  parole  Sixto  bone  memorie  per  paura 


62S  O.   Tommasiìii 


de  la  troppa  amicitia  et  confidentia  diceva  noi  bavere  in  li  vicini 
vostri*  etc.  Le  S.  V.  bene  m'intendano.  Questa  mattina  havendo 
buona  comodità  di  poter  riposatamente  parlare  col  pon.  come  da 
me  stesso  feci  cadere  al  proposito  di  parlare  di  questa  materia  et 
con  acomodato  modo  li  dimostrai  li  continui  suspecti  in  che  ci 
teneva  Sìxto  pon.,  le  versutie  et  pratiche  del  conte,  li  favori  si  fa- 
cevano a  li  exciti,  li  disfavori  si  dimostravano  centra  la  città  vostra 
publice  et  privatim,  centra  li  cittadini  in  tutte  le  cose.  Li  apparati 
de  le  genti,  le  opere  si  davano  a  ocbupare  de  le  cose  vostre.  Per 
tractati  si  maneggiavano  per  li  exciti  predetti.  Inducevano  per  forza 
li  animi  vostri  a  ficbarvi  socto  a  cui  pensavate  potere  in  tali  necessità 
essere  aiutati  per  necessità  et  quanto  erano  maggiori  li  suspecti  e  con- 
tinui, bisognava  più  obligarsi  per  essare  aiutati  vedendo  la  necessità. 
Commemorai  la  V.  Rep.  sempre  essare  stata  obsequientissima  a  questa 
Sedia,  le  S.  V.  bavere  bauto  inextimabile  dolore  in  non  bavere  possuto 
bavere  quella  speranza  in  la  Sede  apostolica  a  tempo  di  Sixto  come 
per  lo  passato  et  cbe  da  le  V.  S.non  era  mai  mancbato  volere  essare 
buoni  et  amorevoli  figluoli  di  Sixto  pon.  Ma  cbe  Sua  St^  istigato 
da  altri  non  vi  haveva  voluti,  ancbo  date  le  provisioni  a  costoro  et 
mantenutoli  etc.  Le  quali  cose  ero  certo  non  farà  né  permectarà 
Sua  B.  per  bene  costoro  si  vantino  del  contrario  e  così  la  città  vo- 
stra ne  tornarà  a  continuare  la  solita  filiatione,  amore  e  reverentia 
con  Sua  S*^  padre  e  cittadino  nostro,  extendendo  le  parole  quanto 
mi  parse  convenirsi.  Magnifici  S.  miei,  sua  S»^  mostrò  bavere 
carissimo  fussero  acbaduti  questi  ragionamenti  et  udì  benignissima- 
mente. Poi  rispose  cbe  Sua  S*^  come  cittadino  fu  sempre  afFectio- 
nato  a  quella  patria  et  oggi  più  cbe  mai  e  li  effecti  lo  dimostraranno 
et  che  Sixto  bone  memorie  l'aveva  mandato  costì  et  Sua  B.  v'era 
venuta  volentieri  per  bene  et  comodo  di  quella  dove  haveva  trovati 
li  animi  de  li  principali  bene  disposti,  et  che  Sua  B.  per  certo  harebbe 
facto  buono  fructo  se  el  papa  bavesse  lassato  fare  a  lui.  Ma  el  conte 
et  messer  Lorenzo  da  Castello  havevano  voluto  sapere  troppo  et 
guidare  le  cose  per  altra  via  per  modo  che  loro  furo  cagione  di 
quello  successe,  et  di  poi  continuando  in  li  suoi  disegni  el  conte  era 
suto  causa  de  ogni  inconveniente  et  factovi  obbUgare  etc.  con  le  in- 
telligentie  et  pratiche  teneva  con  li  esciti  et  amici  loro,  affermando 
essare  verissimo  quanto  dicevo  et  disse  che  Sua  S^à  mostrarà  cbe  el 
pensiero  suo  è  essare  padre  di  tutti  li  cristiani,  actendarà  a  quello  sia 
bonore  de  la  Sede  apostolica  et  di  simili  cose,  come  è  trame  di  fuo- 
rusciti, non  s'impacciarà  mai  come  quello  cbe  non  ha  posto  el  pen- 
siero a  fare  grande  nissuno  né  porrà  solo  actendare  a  trarre  quello 
sia  ofEtio   di  bono  pon.  et  de   li  vostri  fuorusciti  le  S.  V.  vedranno 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  62^ 


che  Sua  S*^  non  s'impacciarà  mai  né  lo  darà  favore  né  fomento  al- 
chuno  né  di  loro  s'impacciarà  in  niun  modo,  excepto  quando  ne  fusse 
richiesto  da  le  V.  S.  In  tale  caso  come  cittadino  e  padre  offerirà  in 
ogni  vostro  comodo  volersi  amorevolmente  travagliare  in  tutte  le  cose 
fussero  augumento  de  la  città  vostra:  et  che  le  V.  S.  ne  piglino  se- 
curtà  e  lo  trovaranno  bene  pronto  a  li  comodi  et  honore  de  la  città 
vostra,  et  intorno  a  questa  parte  de  li  usciti  parlò  tanto  aperto  quanto 
sia  possibile.  Del  buono  amore  et  affectione  vostra  la  quale  dissi  più 
ampiamente  le  V.  S.  per  li  nuovi  oratori  faranno  intendare  etc.  Ac- 
cedo amorevolmente  et  ringratiò  dicendo  saranno  li  benvenuti  et  li 
vedremo  molto  volentieri.  Accectai  el  bono  animo  di  Sua  S^^  et  ren- 
gratia'  et  dissi  tutto  farei  intendare  a  le  S.  V.  per  lectare;  ore  tenus, 
quando  sarò  a  li  piei  de  le  S.  V.  le  quali  di  sua  optima  dispositione 
sono  certissime.  Sua  S^à  per  sua  clementia  mi  bacciò  in  faccia.  Così 
da  li  suoi  sacri  piedi  mi  partii  e  dissi  che  Giovanni  di  ser  Lazaro  scri- 
vevo (i)  di  Sua  Sta,  lo  quale  é  qui  con  quella,  bene  informato  anchora 
lui  de  la  devotione  e  desiderio  del  populo  vostro,  a  le  giornate  di 
tutto  potrà  più  particularmente  dare  piena  notitia  a  Sua  S**.  Ho  con- 
ferito poi  con  Giovanni  predicto,  mostrogli  el  bisogno,  et  mi  farà  of- 
fìtio  di  buono  cittadino  e  sarà  continuo  apresso  el  pon.  suo  familiare 
di  casa,  et  so  giovarà  in  ogni  cosa.  Tutto  ho  facto  con  buona  fede  per 
amore  porto  alla  patria  et  come  ho  decto  per  guastare  e  disegni  et 
per  fare  advertente  el  papa  a  non  dar  lo  provisione  né  travagliarsi 
di  loro.  Se  ho  facto  cosa  grata  a  le  V.  S.  so  molto  contento.  Quando 
havessi  errato  le  V.  S.  imputino  tutto  al  mio  buono  animo,  che  harei 
facto  errore  per  non  conosciare  più,  non  posso  altro  che  errare,  do- 
mando perdono.  Molto  a  V.  S.  mi  rac.  Rome  .v.  septembris  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  de  Lantis. 

Ibid,  id.  eisd.  Rome  .xiii.  septembris  1484. 

Magnifici  domini  etc.  Hieri  col  nome  di  Dio  si  fece  la  corona- 
tione  del  pon.  con  grandissima  tranquillità,  con  tutte  le  solenità  opor- 
tune,  in  modo  si  consumò  tutto  el  giorno:  et  Mon.  S.  nostro  R"^"  fu 
l'ordenatore  del  tutto  et  ò  stato  mollo  commendato.  Oggi  Sua  S<*  ha 
dato  audientia  solo  a  cardenali.  Frequentarò  el  palazo  per  la  licentia 
et  se  la  Sua  S^^  mi  volesse  dire  alchuna  cosa  come  parse  accennare 
dicendomi  che  doppo  la  coronationc  tornassi  a  quella.  Ancora  pi- 
gliarò  licentia  da  li  cardinali  come  ò  solito  et  poi  mi  conferirò  a  le 

(1)  Coti  il  mt.,  benché  non  n'esca  chiaro  il  senso. 


6^0  O.   Tommasìnì 


V.  S.  Sabato  la  nocte  morì  el  cardinale  di  Madiscone  francese,  era 
degno  s''^  requiescat  in  pace.  Li  fuoresciti  erano  a  Napoli  non  sono 
anchora  venuti.  Questi  di  qui  si  vanno  travagliando  assai:  per  ancho 
non  sento  habbino  facto  cosa  alchuna  col  pon.  Penso  aspectino  quegli 
altri.  Nec  plura.  Molto  a  V.  S.  mi  rac.  Rome  .xiii.  septembris  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  .xxi.  septembris  1484. 

Magnifici  domini  Patres  et  domini  mei  singularissimi  humili 
ree.  Scrissi  sabato  quanto  ochorriva.  Di  poi  a  nulla  altra  cosa  ho 
dato  opera  excepto  che  a  domandare  licentia  al  pon.  la  che  non  ho 
hauta  per  non  bavere  possuto  impetrare  gratia  d'audientia.  Trovo 
tutta  la  fameglia  del  papa  intorbidata  et  hieri  mi  furo  facte  parechie 
ribuffate,  sono  quasi  tutti  Genovesi,  con  dirmi  che  le  V.  S.  hanno 
hauto  poco  regaardo  al  pon.  et  a  li  Genovesi  in  bavere  prestati  a  li 
Fiorentini  lì  carri  da  condurre  le  bombarde  contra  Pietrasancta  et 
altre  artagliarie,  et  fui  minacciato  che  inanti  passi  troppo  ci  sarà  fatto 
intendare  che  aviamo  errato,  con  molte  parole  ampollose,  et  qui 
commemorano  le  cose  di  Siena  quando  el  pon.  allora  cardinale  fu 
costi  et  dicano  cose  assai  taliter  da  parecchi  dì  in  qua  mi  pare  es- 
sare  tornato  al  pontificato  di  Sisto  et  ricomenzare  a  trovare  quelle 
difficultà,  taliter  che  qualche  volta  m'è  venuto  volontà  di  partirmi 
senza  licentia.  Non  di  meno  per  intendare  l'animo  di  Sua  B.  ho  de- 
liberato parlare  con  quella  et  intendare  destramente  se  queste  cose 
sono  di  mente  di  Sua  S^i.  Io  non  sapendo  altro  ho  excusatolo  meglio 
posso  et  decto  sono  male  informati,  et  loro  tanto  più  si  riscaldano 
affermando  el  sì.  Le  V.  S.  sono  prudenti,  non  posso  stimare  che 
senza  grande  cagione  si  ponessero  in  tali  inimicitie  et  ora  più  che 
mai:  a  ogni  modo  o  vero  o  no  ricordo  con  ogni  reverentia  el  tenere 
le  cose  vostre  marittime  e  di  frontiera  bene  guardate.  Secondo  le 
parole  di  costoro  hanno  mala  intentione.  A  me  non  pare  potere  vi- 
vare  tanto  che  mi  levi  di  questi  travagli  et  malinconie.  El  s^e  lacorao 
Conte  è  senza  inviamento;  desidera  servire  le  S.  V.  et  quando  vi  pe- 
sasse tutta  la  spesa,  offerisce  condursi  con  le  S.  V.  et  con  li  Fioren- 
tini insieme:  è  s^^^  da  farne  stima  in  le  armi  come  a  le  V.  S.  è  noto. 
Hammi  pregato  ve  scriva,  parendo  a  le  S.  V.  fare  risposta  a  questa 
parte  per  adviso  et  eo  maxime  in  caso  non  facesse  per  voi  ;  et  se  fusse 
al  proposito  vostro,  molto  più  che  costui  è  homo  che  sa  el  mestiero. 
Attendo  con  ogni  solicitudine  per  la  licentia  et  giuro  a  Dio  so  con- 
dotto a  termino  che  non  posso  restare  né  partire  con  mìo  honore, 


Il  ^iaiHo  dì  Stefano  In  fessura  6$i 


per  non  bavere  denari  che  mai  più  fui  tanto  di  malavoglia  et  mi 
pare  le  V.  S.  poco  se  ne  curino  e  tanto  più  mi  duole  el  male  mio. 
Non  restarò  mai  di  fare  offitio  di  buono  e  leale  cittadino  mentre 
barò  lo  spirito.  Molto  a  V.  S.  mi  recomando.  Rome  .xxi.  septem- 
bris  1484. 
E.  D.  V. 

Servitor  Laurentius  Lantus  oraior.  . 

Ibid,  id,  eisd,  Rome  1°  octobris  1884. 

Le  cose  di  Roma  stanno  quietissime  et  tranquille  quanto  mai 

fussero.  A  questo  pont.  dali  Romani  è  prestato  obedientia  grandis- 
sima, deposte  le  armi,  assectate  le  brighe.  La  iustitia  è  rigorosa  in 
modo  la  brigata  s'assecta  a  bene  vivare.  Le  forche  stanno  fornite 
in  modo  li  ribaldi  sono  spaventati. 

Archivio  di  Stato  in  Firenze. 
Dieci  di  Balia,  Carteggio.  Responsiva. 

Lettere  di  Guidantonio  Vespucci  oratore  in  Roma. 

Rome  .XXX.  maii  1484. 

Scripsivi  per  la  mia  de  .xxviii.  come  el  sig.  Virginio  si  era  re- 
soluto volere  andare  ad  pigliare  li  contadi  per  forza,  veduto  eh'  el 
prothonotario  Colonna  non  mecteva  ad  executione  alcuna  delle  sue 
promesse.  Hieri  el  conte  mi  dixe  come  omnino  voleva  acordare 
questa  cosa  et  fare  il  tucto  perchè  non  si  venisse  all'arme,  et  che  '1 
prothonotario  lì  havea  mandato  a  dire  che  si  voleva  rimettere  nelle 
mani  di  N.  S.  et  del  Revmo  camarlingo  :  et  a  questo  effecto,  per 
acozarsi  con  il  prefato  prothonotario,  hieri  a  bore  .xxi.  el  camar- 
lingo si  partì  di  palazo  et  venne  ad  casa  sua  et  mandò  per  il  pro- 
thonotario che  andasse  ad  casa  S.  Revma  S.,  el  quale  recusò  l'an- 
dare, allegando  che  gli  era  stato  detto  che  lo  volevano  ritenere  et 
che  lo  credeva  perchè  sapeva  di  certo  casa  Orsina  si  armava,  et  per 
questo  sospetto,  questa  nocte  passata  e  Colonnesi  et  Orsini  continuo 
so!io  stati  in  arme,  et  similiter  tutta  questa  terra  et  la  guardia  di 
N.  vSig«;  et  così  sono  stati  tutto  dì  d'hoggi  non  altrimenti  che  se 
fussino  nella  bataglia:  et  ecci  tra  luna  parte  et  laltra  tra  cerne  et 
fanti  forestieri  et  romaneschi  armati  de  le  persone  di  più  di  vi  et  circa 
dugento  cinquanta  homini  d'arme,  de' quali  ci  maggior  tiuniLTO  de 
li  homini  d'arme  et  cerne  et  forestieri  hanno  li  Orsini:  de' Romane- 


€^2  O.   Tommasini 


schi  e  Colonnesi.  Per  ancora  non  sono  venuti  alle  mani,  perchè 
N.  Sig*^  et  questi  conservadori  di  Roma  molto  si  sono  affatichati  di 
posar  questa  cosa  in  pace  et  fare  ch'el  prothonotario  si  rimetta  in 
N.  Sig^,  ma  a  questa  bora,  che  siamo  a  hore  .xxii.,  non  si  è  fatto  con- 
clusione alcuna  et  dubito  se  costoro  s'azufono,  oltra  el  grande  ho- 
micidio  che  potrebbe  uscire  di  tal  zuffa,  che  questa  terra  non  vada 
ad  sacco.  È  cosa  di  mala  natura  al  iudicio  mio  et  pel  pubblico  et 
pel  privato,  perchè  intendendosi  per  li  nimici  queste  discordie,  di- 
venteranno più  insolenti  et  animosi,  et  faranno  di  nuovi  pensieri. 
Dio  sia  quello  che  provegga  al  bisogno. 

El  conte  tutto  dì  si  è  stato  a  palazo  et  dimostrasi  con  le  genti 
de  la  guardia  in  favore  di  questi  Ursini. 

Post  scripta.  A  hore  .xxii.  et  mezo  questi  Orsini  ed  il  conte  in 
persona,  con  la  guardia  del  papa,  sono  iti  ad  trovare  questi  Colom- 
nesi  ad  casa  loro  con  una  bella  gente:  et  tandem  doppo  una  grande 
uccisione  d'homini  hinc  inde,  hanno  preso  la  casa  del  cardinale  et 
prothonotario  Colomna,  et  messola  a  saccomanno  :  et  continuamente 
la  spianano:  el  prothonotario  si  dice  essere  scampato:  del  cardi- 
nale Colonna  non  vi  scrivo  altro  perchè  non  è  in  la  terra. 

In  questo  punto,  che  siamo  a  hore  .xxiiii.,  è  passato  dinanzi  l'uscio 
mio  el  prothonotario  Colomna  preso  abbraccio  col  sig.  Virginio, 
con  un  mantelletto  paonazo,  in  sur  uno  cavallo  leardo  magro  :  quel 
seguirà  apresso  darò  notitia  a  Vostre  Magnale. 

Ibid.  id.  eisd,  Rome,  die  .i.  iunii  1484. 

Magnifici  dni  priores  honorandi,  commendatione  premissa  etc. 

Per  la  mia  de'  ,xxx.  detti  notitia  a  V.  M.  come  lo  illmo  sig.  conte 
con  le  genti  della  guardia  di  N.  Sign""^,  il  sig.  Virginio  con  le  sue 
genti  d'arme  e  i  suoi  partigiani  havevano  assaltato  el  prothotario  Co- 
lonna, et  tandem  lo  haveano  preso,  et  saccomannato  la  casa  sua  et 
del  cardinale  Colonna,  et  fere  tutta  bruciata.  In  decta  battaglia  morì 
di  homini  di  nome  el  sig.  Filippo  Savello  per  la  parte  del  prothono- 
tario ;  per  la  parte  Orsina  uno  gentilhomo  napoletano  et  sette  overo 
octo  altri:  fu  menato  el  decto  prothonotario  la  sera  medesima  al 
conspecto  di  N.  Signore,  el  quale  chiamandolo  continuo  bestiolino  et 
cervellino,  ripetè  tutto  quello  havea  operato  contro  Sua  Beatitudine 
nella  guerra  passata  :  et  come  tutto  li  havea  perdonato  et  rendutoli 
tutto  el  suo  Stato:  et  quanto  S.  B.  havea  humanamente  tractato  questo 
caso  de'  contadi  per  ridurre  la  cosa  dacordo  :  et  come  il  prefato  pro- 
thonotario, poi  che  havea  ridocto  el  sig.  Virginio  a  fare  quanto  esso 
voleva,  molte  volte  contra  le  promesse  facte  per  lui  di  depositare 


//  diario  di  Stefano  Infessura  6^^ 


decti  contadi,  havea  beffato  e  dileggiato  Sua  B^^,  et  ultimo  loco,  uon 
havea  voluto  ubidire  a  Sua  Santità  quando  havea  mandato  per  luì, 
né  degnatosi  di  venire  sotto  la  fede  di  Sua  B^e,  inimo  si  era  ribel- 
lato da  lui  et  cercato  di  mectere  sottosopra  Roma,  et  preso  una  porta 
della  terra,  et  facto  ragunata  di  genti  con  dire  che  Dio  havea  per- 
messo quod  omnino  ubidisse  di  venire  al  cospecto  di  Sua  Beatitudine, 
et  che  de  li  demeriti  suoi  bisognava  meritassi  qualche  pena.  Et  a 
questo  effecto  comandò  che  lui  fossi  menato  in  Castello  et  detenuto 
lì  come  quelli  vi  sono  per  la  vita.  El  prothonotario  con  poche  parole, 
non  scusando  el  passato,  dixe,  come  tucto  quello  haveva  fatto  al  pre- 
sente era  per  sua  sicurtà,  essendoli  stato  messo  in  testa  che  S.  B^e 
lo  voleva  detenere  andando  a  quella:  et  che  mai  havea  pensato  ri- 
bellarsi da  Sua  Santità  né  machinare  nulla  contro  a  quella.  Et  repli- 
cando N.  S.  che  da  lui  non  voleva  se  non  ubidientia,  li  fu  levato 
dinanzi,  et  menato  in  Castello,  secondo  havea  comandato. 

La  mattina  seguente  el  magnifico  messer  Io.  Agnolo  et  io  andamo 
ad  casa  el  sig.  conte  dove  lo  trovamo  molto  allegro  :  et  con  lui  ci 
rallegramo  de  la  Victoria  hauta:  di  che  prese  Sua  Sig^^  piacere  et 
gloria  assai:  et  dixeci  come  sua  intentione  era  in  su  quel  punto  im- 
piccarlo, se  non  fussi  ch'el  sig.  Virginio  li  obviò  dicendo  el  pro- 
thonotario essere  suo  prigione,  et  che  lo  voleva  menare  da  N.  Sig^, 
et  che  li  pareva  omnino  da  tenerlo  vivo  per  molti  buoni  rispecti  :  et 
che  a  questo  effecto  lo  havea  campato;  dicendo  el  prefato  conte  es- 
serne contentissimo  non  lo  bavere  morto,  con  dire  che  omnino  vo- 
leva assicurarsi  di  questi  Colomnesi  et  bavere  le  loro  fortezze  et  terre 
nelle  mani,  videlicet  del  prothonotario  et  de'  fratelli:  et  che  se  non 
l'haveva  lo  impiccherebbe:  et  in  nostra  presentia  commise  a  un  ma- 
ziere  di  quelli  del  papa  che  andassi  ad  Marino  et  a  laltre  terre  del 
prothonotario  et  fratelli,  et  comandassi  li  homini  di  quelle  terre,  che 
non  dessino  più  obedientia  a  decti  Colonnesi,  et  mandassino  le  chiavi 
et  giurare  fidelità  a  N.  Sig*:  et  dimostrò  nel  suo  parlare  ci  conte  che 
credeva  in  octo  di,  quando  decte  terre  facessino  repugnantia,  farle 
venire  per  forza  ad  ubidienza.  Demonstrando  questa  cosa  essere  molto 
favorevole  per  la  comune  impresa  :  perché,  se  non  si  fusse  assectata, 
el  sig.  Virginio,  né  S.  Sig*  sarebbono  potuti  ire  in  Lombardia.  Hora, 
hauto  che  haranno  decte  terre  et  li  contadi  (le  quali  cose  sperava 
avere  in  brevi),  et  l'uno  et  l'altro  saranno  presti.  Questa  ultima  parte 
credo  toccassi  S.  Sig'*,  o  perché  credessi  cosi  essere  il  vero,  aut  per 
tagliarci  le  parole,  che  noi  non  hayessimo  cagione  di  sconfortarlo  di 
questa  impresa  :  perchè  essendo  implicato  di  qua,  non  potrebbe  con 
tutte  le  forze  unite  attendere  a  la  comune  impresa.  Et  quamvis  per 
noi  si  cognosccssi  questo  parlare  essere  facto  a  questo  effecto,  nihilo- 


^34  ^'  Tommasini 


miniis  non  sì  cessò  di  dimostrarli  che  quando  questa  impresa  non 
riuscisse  così  facile  come  Sua  Sig^  mostrava,  non  era  da  attendere  a 
questa  per  obmettere  quella  di  Lombardia:  et  maxime  lo  andare  di 
S.  Sig^  et  del  sig.  Virginio,  mostrandoli  quanto  era  di  riputatione 
et  di  utile  a  la  comune  impresa  lo  andar  loro.  S.  Sig^  a  questa  parte 
niente  altro  rispose  se  non  che  si  voleva  assicurare  et  che  non  du- 
bitava spacciare  questa  impresa  in  otto  dì. 

Per  remuneratione  di  quanto  havea  facto  lo  illmo.  sig.  conte 
contro  a  Colomnesi,  la  San^à  del  papa,  in  su  l'hora  del  mangiare  la 
mattina,  mandò  a  donare  a  S.  Sig'^  due  coppe  bellissime  d'ariento, 
di  valuta  più  che  cinquecento  ducati,  le  quali  furono  del  sig.  Co- 
stanzo. Et  furono  di  quelli  arienti  che  Sua  Beat^  hebbe  per  la  inve- 
stitura de  quella  illma  Madonna  di  Pesaro:  et  uno  rinfrescatolo  di 
cristallo  con  molti  ornamenti  d'oro  et  ariento,  di  valuta  di  ducati  mille, 
o  più,  el  quale  S.  Beat^  hebbe  in  dono  dal  vescovo  di  Castres  fran- 
cioso. 

In  questa  città  era  una  famiglia  che  si  chiamano  Della  Valle,  e 
quali  hanno  briga  mortale  con  un'altra  famiglia  di  qui  chiamata  Da 
Santa  Croce.  La  prima  era  adherente  con  casa  Colomna:  la  seconda 
con  casa  Ursina.  L'una  et  l'altra  era  ritenitore  di  quanti  sbanditi 
et  ribaldi  erano  in  questa  città,  et  stavano  in  modo  forti  in  casa,  che 
sanza  grande  sforzo  non  si  sarebbono  poiuti  cacciare  dalla  città.  Questi 
Della  Valle,  veduto  preso  il  prothonotario  Colomna,  la  nocte  sgom- 
brorono  la  città  con  tutti  e  loro  partigiani,  et  similiter  sgombrorono 
la  casa,  non  lasciato  in  casa  se  non  certe  vecchie.  N.  Signore  per 
extirpare  tutte  le  radice  ha  comandato  si  gittino  in  terra  le  loro  case: 
et  così  continuo  si  gittono. 

Hiersera  al  tardi  vennono  .vii.  homini  da  Marino,  castello  de'  Co- 
lonnesi,  et  portorono  le  chiavi  di  decto  castello,  et  col  mandato  del 
Comune  giurorono  fedeltà  a  Nostro  Signore. 

Ibid.  id.  eisd.  Rome  .n.  iunii  1484. 

Magnifici  domini  priores  honorandi  commendatione  premissa  etc. 

Per  la  mia  del  primo  advisai  V.  M.  quanto  era  successo  nel  caso 
de'  Colonnesi:  di  poi  ci  fu  hierisera  al  tardi,  come  el  duca  di  Cavi, 
fratello  del  prothonotario,  era  in  Marino  con  alquante  gente  d'arme 
et  fanti,  et  havea  mandato  ad  raccomandarsi  a  Nostro  Signore,  con 
dire  che  de  la  persona  et  de  la  robba  sua  poteva  disporre  a  suo  be- 
neplacito. 

Questa  mattina  la  Santità  di  N.  S.,  sotto  el  governo  del  sig.  Paolo 


Il  diario  di  Stefano  Iti  fessura  6^$ 


Orsino  et  di  Lione  da  Monte  Secche,  ha  mandato  circa  octanta  ho- 
mini  d'arma  et  circa  secento  fanti  per  dare  el  guasto  a  Marino  et 
le  altre  terre  di  questi  Colonnesi  in  caso  che  non  si  arrendine  :  et 
per  questo  si  iudica  che  lo  extirpare  affatto  questi  Colomnesi  harà 
pure  qualche  difficultà,  come  per  la  mia  del  primo  vi  scripsi.  Di 
che  mi  è  parso  dare  notitia  a  Vostre  Magnificentie. 

Ihid.  id,  eisd,  Rome  .mi.  iunii  1484. 

E'  Colomnesi  si  tengono  pure  forti  a  Marino  :  et  dove  nell'ultima 
mia  dixi  essere  in  Marino  el  duca  di  Cavi,  voleva  dire  el  sig.  Pro- 
spero. Farmi  N.  Sig.  facci  venire  qui  quelle  genti  havevano  e  Ba- 
glioni  da  Perugia  per  seguitare  decta  impresa  contro  e  Colomnesi. 
Qui  nella  terra  a  tutti  e  loro  partigiani  è  stato  tolto  gli  officii  che 
havevano  in  corte  et  sono  perseguitati,  chi  con  disfarli  le  case,  et 
chi  con  farli  ricomperare  qualche  somma  di  danari.  El  prothono- 
tario  è  stato  examinato  con  darli  la  stanghetta,  né  da  lui  s'è  cavato 
cosa  di  fondamento:  non  se  glie  dato  corda  per  cagione  d'una  fe- 
rita ha  nella  mano.  A  me  pare  che  se  a  questi  Colonnesi  è  dato 
tempo,  che  questa  habia  a  essere  non  meno  pernitiosa  cosa  per  la 
lega,  che  si  sia  la  guerra  del  reame,  se  li  inimici  danno  qualche 
auxilio  di  danari  a  li  predecti  Colomnesi,  et  è  la  cosa  in  luogo  che 
con  sicurtà  et  con  honore  di  N.  Sig^  mal  si  può  ritirare  indrieto. 
Dio  sia  quello  che  provegga  al  comune  bisogno. 

El  sig.  Virginio,  questa  nocte,  con  alcune  gente  d'arme  è  ito  a 
pigliare  la  possessione  de  li  contadi  :  et  di  quello  seguirà  ne  darò 
notizia  a  V^  Magnificentie  a  le  quali  mi  raccomando. 

Ibid,  id.  eisd,  Rome  .viir.  iunii  1484. 

Magnifici  dni  priores  honorandi,  commendatione  premissa. 

Per  la  ultima  mia  de'  .111.  advisai  V.^  Magn."*^  come  el  sig.  Vir- 
ginio era  ito  con  alcune  gente  a  pigliare  et  contado  d'Albi  et  Ta- 
gliacozo  per  forza:  per  noi  non  s'intende  di  poi  quello  sia  seguito. 

Le  gente  ecclesiastiche  ch'erano  ite  ad  campo  ad  Marino  si  sono 
tirate  indrieto,  et  per  la  maggior  parte  si  sono  inviate  drieto  al 
sig.  Virginio:  nò  credo  prima  si  offenda  a  Marino  che  la  impresa 
de'  contadi  sia  finita.  Quelli  di  Marino  attendono  ad  segare  et  ri- 
porre el  mietuto  in  Marino:  et  N.  Sig.  et  il  conte  attende  arragunare 
gente  insieme  per  quella  impresa:  et  stimasi  ragunerà  circa  .xvi.  squa- 
dre. Isto  interim  per  la  madre  del  prothonotario  si  tracia  accordo 
con  N.  Signore  et  col  conte  e  quali  non  se  ne  mostrano  alieni:  pure 


6^6  O.   Tommasini 


0  non  ci  presto  fede,  atteso  la  offesa  grande  a  la  natura  di  chi  ha 
offeso,  et  dubito  non  sia  praticha  per  adormentare.  Per  noi,  con 
quel  dextro  modo  si  può  non  si  obmette  cosa  alcuna  perchè  decto 
accordo  habbi  luogo,  quamvis  el  conte  con  noi  pocho  o  niente  con- 
ferisca di  questa  praticha.  La  forma  de  lo  accordo  che  si  tracta  ho 
intexo  variamente,  et  per  questo,  usque  io  non  habbia  la  cosa  con 
fundamento,  non  ne  darò  altro  adviso  a  V.  M. 

Per  altre  mie  vi  advisai  come  el  sig.  Virginio  havea  depositati 
per  dare  al  prothonotario  circa  .xiiii.'"  ducati,  e  quali  vanno  al  pre- 
sente alla  Maestà  del  re.  Sua  Celsitudine  li  havea  deputati  per  le 
prestanze  del  sig.  di  Rimino  et  di  Pesaro  et  Feltreschi:  parmi  la  in- 
tentione  del  sig,  conte  sia  che  sien  dati  al  duca  di  Calabria:  pure 
usque  nunc,  per  quello  intendo,  né  luna  cosa  né  laltra  ha  hauto  ef- 
fecto  :  et  di  quello  seguirà  quamprimum  ne  darò  notitia  a  Vostre  Sig'^. 

El  prothonotario,  dopo  la  stanghetta  ha  hauto  le  stecche  alle 
dita  et  a  lunghie  et  il  dado  ali  nodi  del  braccio,  et  arrandellatoli 
con  una  corda  la  testa:  non  s'intende  quello  si  habbia  confessato, 
et  molto  segreto  sta  el  suo  processo.  La  madre  li  é  ita  ad  parlare 
et  per  quanto  lei  habbia  hauto  a  dire,  el  prothonotario  non  ha  con- 
fessato di  preiudicio  alcuno. 

Ihid,  id.  eisd.  Rome  .xi.  iunii  1484. 

Magnifici  domini  priores  honorandi  commendationé  premissa  etc. 

L'ultima  mia  fu  de  .viii.  et  per  quella  advisai  V^  Magn^'®  quanto 
era  seguito  de  la  impresa  de'  Colomnesi.  Dipoi  mercholedì  nocte  é 
successo  che  essendo  parte  de  le  gente  ecclesiastiche  in  Grottafer- 
rata,  che  è  una  badia  in  fortezza  del  rev.mo  S.  Pietro  in  Vincula, 
presso  a  Marino  circa  tre  miglia,  quelli  di  Marino  uscirono  fuori, 
et  due  hore  innanzi  dì  con  scale  et  per  una  certa  fogna  entrorono 
in  decto  luogo  et  trovorono  quasi  ognuno  in  lecto  che  dormivano  : 
amazorono  nelle  stalle  circa  .xxv.  cavalli,  par  la  maggior  parte  del 
sig.  Paolo,  et  furono  ale  mani  con  li  Ecclesiastici.  Tandem  furono 
ributtati  di  fuori.  Nientedimeno  fu  morto  nella  mixtia  delli  Eccle- 
siastici Leone  da  Monte  Secco,  homo  di  capo  et  molto  amato  dal 
conte,  et  era  fratello  di  Giovan  Battista  da  Monte  Secco.  La  morte 
sua  si  dice  variamente;  chi  dice  di  una  freccia  di  quelle  larghe 
nella  gola;  chi  dice  di  uno  scoppietto  nel  petto.  Fu  etiam  preso 
m.  Sinolfo  da  Castelloctieri  cherico  di  Camera  et  commissario  di 
N.  Sìg^^  in  questa  impresa,  et  menato  prigione  a  Marino,  El  sig.  Paolo 
Orsino  et  il  sig.  Hieronymo  di  Tuttavilla  si  rifuggirono  nel  campa- 
nile, la  qual  fuga  fu  lo  scampo   loro.  N.   Signore  immediate  hieri 


Il  diario  di  Stefano  In  fessura  ^37 


fece  fare  trecento  fanti,  et  non  solura  che  per  questo  non  si  sia 
sbigottito,  ma  deniostra  essere  molto  più  irritato  contra  decti  Co- 
lomnesi,  et  più  gagliardo  nella  impresa.  Ha  mandato  Sua  Beat®  pel 
sig.  Virginio,  che,  lasciato  la  impresa  de'  contadi,  se  ne  venga  ad 
Marino,  dove  continuo  si  raguna  gente  ecclesiastice  per  potere  cam- 
peggiare con  le  bombarde.  Et  fassi  per  li  Ecclesiastici  questa 
impresa  molto  facile;  che  cosi  piaccia  a  Dio  che  sia  per  il  bene 
publico.  In  Marino,  in  favore  de'  Colomnesi  è  venuto  fanti  Aquilani, 
et  stimasi  sia  presidio  che  venga  dal  conte  di  Montorio  el  quale  è 
molto  obbligato  a  casa  Colomna  per  li  gran  beneficii  ricevuti  da 
papa  Martino.  La  Santità  di  N.  Sig^  per  obvìare  a  questo  presidio 
ha  scripto  al  prefato  conte  che  si  debbi  contenere  di  non  dare  adiuto 
a  Colomnesi,  aliter  procederà  contro  a  lui  con  le  censure  et  in  tutti 
quelli  modi  potrà:  et  similiter  ha  scripto  alla  Maestà  del  re  che 
debba  scrivere  alla  comunità  de  l'Aquila  et  al  predecto  de  Montorio 
che  non  prestino  alcuno  adiuto  a  Colonnesi  sotto  pena  de  la  di- 
sgratia  etc.  Che  se  per  questa  via  si  togliessi  a'  Colonnesi  quel  fa- 
vore, potrebbe  essere  la  impresa  sarebbe  facile  come  dice  N.  Sig.  et 
il  conte  :  aliter  la  indico  molto  dura.  Di  che  m'  è  parso  dare  adviso 
a  Vostre  Magnifìcentie. 

Ihid.  id.  eisd.  Rome  .xvi.  iunii  1484. 

Dimostrano  dubitare  Vostre  Magn^  che  per  queste  novità  de'  Co- 
lomnesi non  si  habbino  a  ritardare  o  diminuire  li  provedimenti  di 
Lombardia:  et  ideo  m'imponete  ch'io  faccia  ogni  istantia  che  sia 
possibile,  con  quella  dextreza  ricerca  la  materia,  di  volgere  l'animo 
di  N.  Signore  et  del  conte  al  sedare  queste  discordie  per  qualche 
modo  da  cordo:  et  quando  questo  non  si  possa,  non  si  habbi  perciò 
per  tale  cagione  ad  ritardare  o  diminuire  e  provvedimenti  in  Lom- 
bardia. A  che  vi  dico  el  dubio  di  V*  Sig'^  essere  molto  ragione- 
vole: et  ideo  intendendo  noi  oratori  questo  inanzi  a  la  ricevuta  de 
la  vostra,  et  de  luna  cosa  et  de  laltra,  et  di  per  se  et  insieme,  ne  ha- 
biamo  facto  parole  et  ogni  pruova  con  la  Exc.  del  conte:  et  quanto 
a  la  prima  parte  circa  l'acordo,  S.  Exc.  inanzi  succedesse  la  morte 
di  Lione  da  Monte  Seccho  ci  prestava  orecchi,  come  per  altra  vi 
scripsi:  doppo  decta  morte,  ritoccho  da  noi  più  volte,  non  solum 
non  ci  ha  prestato  horecchi,  ma  se  n'è  molto  crucciato,  adeo  che 
dopo  la  ricevuta  de  la  vostra,  consultalo  insieme  tra  noi  oratori  se 
era  bene  parlargliene  più,  havendo  hauto  simile  adviso  el  mag**  dno 
Anello,  fu  intra  noi  concluso  che  non  era  de  directo  buono  ad  ra- 
gionarne, sed  incidenter,  quando  si  vedessi  el  tempo  et  Taptitudine 
Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  42 


^38  O.   Tommasini 


che  a  proposito  potessino  cadere  tali  ragionamenti,  al'  bora  ciascuno 
di  noi  exeguisse  la  sua  commissione.  Si  che  circa  questa  parte,  non 
ho  altro  che  rispondervi  se  non  che  veggo  indurato  el  chore  del 
pontefice  et  del  conte  ad  seguitare  la  impresa,  et  li  Colomnesi  più 
tosto  essere  disposti  ad  volere  perdere  lo  Stato  loro  honorevolmente 
tutto,  che  cederne  una  parte  dacordo.  Quanto  a  la  seconda  parte, 
Sua  Sig'^  ha  risposto  non  volere  né  differire  né  diminuire  del  nu- 
mero de  le  genti  che  è  obligato  per  li  presidii  de  la  S*""  Lega,  ex- 
cepto  che  de  la  persona  del  sig.  Virginio.  Et  credo  veramente  man- 
cherà pocho  de  li  oblighi  suoi:  perchè  queste  gente  che  N.  Sig^ 
adopera  in  questa  impresa  qua,  excepto  el  sig.  Virginio,  non  erano 
nella  lista  de  le  gente  ecclesiastiche,  et  per  quanto  ho  inteso  hoggi 
dal  secretarlo  del  sig.  Lodovico,  N.  Sig^  di  nuovo  ha  condocto 
lovan  Baptista  Savello  con  cinquanta  homini  d'arme,  el  quale  al 
presente  é  con  la  Sig^^  di  Vinegia  ;  et  ha  S.  Exc*  mandato  e  danari 
per  li  fanti.  Et  continuo  più  animosamente  si  dimostra  voler  fare  a 
quanto  é  obbligato  :  et  molto  più,  finita  questa  impresa  de'  Colomnesi. 

Ibid.  id.  eìsd.  Rome  .xx.  iunii  1484. 

Magnifici  domini  priores  honorandi,  commendatione  premissa  etc. 

Hiersera  al  tardi  venne  nuova  come  el  sig.  Virginio  haveva  hauti 
tutti  li  contadi,  excepto  la  roccha  di  Cervara,  la  quale  quamvis  sia 
de  le  cose  apartenente  al  sig.  Virginio,  nichilominus  non  è  de  li  con- 
tadi; et  per  questo  ha  licentiato  si  paghi  a  la  Mtà  del  re  e  .x™.  du- 
cati depositati  per  dare  al  duca  di  Calabria,  promettendo  darli  4™ 
più  fra  il  tempo  convenuto  con  el  sig.  conte:  et  a  questo  effecto  si 
spaccia  costi  una  staffetta  con  lectere  di  cambio  a  Filippo  Strozzi  che 
paghi  e  decti  .x"^.  ducati,  che  è  optimo  rinfrescamelo  a  SuaExcellentia. 

Ihid.  id.  eisd.  Rome  .xxv.  iunii  1484. 

Magnifici  domini  priores  honorandi,  commendatione  premissa  etc. 

Per  la  vostra  de'  .xxi.  V.  Mìe  mi  exortano  ad  adiutare  per  ogni 
via  si  può,  se  fusse  possibile  si  potessi  pigiare  qualche  forma  da 
cordo  tra  la  Santità  di  N.  Sig^  et  questi  Colomnesi  :  ad  che  vi  dico 
che  per  tucti  questi  oratori  insieme  con  mecho,  et  di  per  se,  quando 
veggiamo  el  tempo,  non  si  cessa  di  battere  questo  chiovo:  nichi- 
lominus insino  a  bora  s'è  facto  pocho  proficto:  et  hierisera  venne 
mess.  Matheo  da  Furlì,  el  quale  per  altre  mie  vi  scripsi  essere  Com- 
missario in  campo,  con  certi  homini  da  Marino  per  tractare  accordo 
di  dare  quella  terra.  Non  so  che  fructo  si  faranno,  perché  volendo 


//  diario  di  Stefano  In  fessura  ^39 


col  dare  quella  terra  sola,  liberare  le  altre,  sono  certo  faranno  po- 
dio fructo:  con  ciò  sia  che  io,  avendone  qualche  accenno  da  la 
madre  del  prothonotario,  la  proferissi  al  conte  :  Sua  Sig^  per  niente 
ci  volle  prestare  orecchi.  Ingegnerommi  d' intendere  quello  seguirà, 
et  di  tucto  ne  adviserò  V.  M. 

Ihtd.  id,  eisd,  .xxvi.  iunii  1484. 

E  Colomnesi,  inteso  che  uno  figliolo  di  lacomo  Conte  era  andato 

in  Campagna  con  alcuni  homini  d'arme  et  fanti;  et  dubitando  di  non 
perdere  quello  Stato  hanno  quivi,  et  maxime  Ghinazano  ;  et  vedendo 
di  non  potere  tenere  Marino,  quello  hanno  abandonato  et  li  homini 
di  Marino  si  sono  dati  alla  Santità  del  papa.  Et  questa  mattina 
Sua  B®  ne  ha  mandato  a  pigliare  la  possessione  ;  che  è  una  buona 
nuova  per  questi  Romani,  che  dubitavano  che  tucto  el  Latio,  che  è 
il  granaio  di  questa  terra,  non  potessi  sicuramente  fare  le  sue  ri- 
colte. 

Intendesi  anchora,  ma  non  lo  affermo  per  certo,  che  e  decti 
Colomnesi  sgombrano  le  case  loro  che  hanno  in  Rocha  di  Papa;  che 
pare  segno,  o  di  volerla  abandonare,  aut  di  non  credere  potere  re- 
sistere alli  Ecclesiastici. 

Ibid,  id.  eisd,  .xxx.  iunii  1884. 

Questa  mattina  fu  tagliato  la  testa  in  Castello  al  revdo  pro- 
thonotario Colomna,  cuius  anima  requiescat  in  pace.  In  su  la  terza 
con  quattro  doppieri  fu  cavato  di  Castello  in  una  cassa  et  portato 
in  una  chiesetta  quivi  apresso  al  Castello:  non  si  poteva  perciò  ve- 
dere il  corpo.  Et  fu  messa  decta  cassa  nel  mezo  di  decta  chiesetta, 
coperta  d'un  panno  nero,  publice,  che  ognuno  vi  poteva  andare  ad 
vedere.  Dicesi,  la  madre  et  i  parenti  che  sono  qui  anderanno  pel 
corpo  per  honorarlo:  nichilominus  non  lo  so  certo;  di  quello  se- 
guirà ve  ne  darò  notitia. 

Tornò  tre  dì  fa  el  sig.  Virginio  da  li  contadi  con  gran  festa  de 
la  parte  sua:  et  fra  due  di  si  stima  insieme  col  conte  usciranno  in 
campo.  Non  si  lasciano  bene  intendere  se  anderanno  a  Roccha  di 
Papa,  terra  dei  fratelli  del  prothonotario  Colonna,  aut  ad  Neptunno 
dove  si  trova  il  revmo  cardinale  Colomna,  aut  ad  Cavi,  dove  si  truo- 
vano  al  presente  e  fratelli  del  decto  prothonotario.  Tosto  se  ne  de- 
verebbe essere  chiaro  di  loro  intentione,  de  la  quale  darò  notitia  a 
V«  Signorie. 


640  O.   Tommasini 


Post  scripta.  Sono  stato  con  lo  illmo  sig.  conte  in  lungo  ragio- 
namento, né  altro  ho  tracto  da  la  S.  Sigia  degno  di  vostra  notitia 
nisi  chel  suo  andare  in  campo  sarà  a  di  2  di  luglio  :  et  che  la  morte 
del  prothonotario  Colomna  è  stata  senza  partecipare  niente  col  sig. 
Virginio:  la  qual  cosa  io  credo  che  sia  più  tosto  decta  per  iscarico 
del  sig.  Virginio,  che  il  vero  sia  cosi. 

In  questo  punto  si  è  sepellito  el  revdo  prothonotario  con  man- 
cho  che  mediocre  honore. 


Storia  esterna  del  Codice  Vaticano 


DEL 


DIURNUS  ROMANORUM  PONTIFICUM 


'origine  e  le  vicende  del  prezioso  codice  che  con- 
tiene il  Diiirnus  Romanorumpontificum,  appartenuto 
^ó>^^l  un  tempo  alla  biblioteca  Sessoriana  di  S.  Croce  in 
Gerusalemme  e  custodito  ora  nell'archivio  segreto  Vati- 
cano, sono  ancora  involte  in  un'oscurità  che  le  indagini 
dotte  e  pazienti  dell'  ultimo  editore,  Eugenio  De  Ro- 
zière  (i),  non  riuscirono  a  dissipare  completamente.  Rac- 
cogliere notizie  intorno  ai  possessori  del  codice,  riunire  le 
indicazioni  lasciate  dai  dotti  che  lo  studiarono  e  le  anno- 
tazioni dei  bibliotecari  che  lo  segnarono  ììqì  loro  indici,  e, 
risalendo  cosi  nel  passato,  cercare  di  avvicinarsi,  per  quanto 
è  possibile,  alla  origine  del  codice  e  di  determinarne  la 
storia;  ecco  lo  scopo  del  presente  studio.  E  poiché  dalla 
storia  del  codice  non  può  disgiungersi  quella  degli  studi 
fatti  direttamente  su  di  esso,  cosi,  servendomi  delle  traccie 
tuttora  esistenti  o  di  cenni  e  racconti  di  alcuni  eruditi,  tenterò 
di  ricostituire  la  serie  degU  studi  fatti  su  quel  codice,  siano 
stati  essi  realmente  eseguiti  o  si  siano  arrestati  ad  un  punto 


(i)  Liber  diurnus  ou  recueil   des  formules  usitées  par  la  chanctUirU 

pontificale  du  v«  au  xi*  sièck par  E.  De  Roziére;  Parigi,  1869. 

Vengasi  la  nota  alla  p.  689. 


6^2  I.  Giorgi 

più  o  meno  avanzato  di  preparazione.  Questo  studio,  diretto 
principalmente  a  chiarire  le  questioni  lasciate  insolute  nella 
magistrale  prefazione  del  De  Rozière,  ho  impreso  per  con- 
siglio e  coir  aiuto  dell'  illustre  prof.  Teodoro  von  Sickel  di 
Vienna.  Il  quale  avendo  ripreso  il  disegno  di  una  nuova 
edizione  del  Diurniis,  lasciato  interrotto  dal  compianto  dot- 
tor Diekamp,  e  saputo  che  io  mi  occupava  della  storia  dei 
manoscritti  Sessoriani  di  S.  Croce,  volle,  con  cortesia  pari 
alla  dottrina,  lasciare  a  me  le  ricerche  sulla  storia  esterna  del 
codice.  Io  gliene  ho  comunicato  le  conclusioni,  ch'egU  ha 
riferito  nei  Prole^omena  (i)  premessi  alla  nuova  sua  edi- 
zione; qui  ne  espongo  distesamente  il  cammino  e  lo  svi- 
luppo. 


I. 

Cominciando  la  promessa  rassegna  a  ritroso  dai  tempi 
nostri  in  dietro,  tralasciando  di  parlare  degli  studi  recentis- 
simi del  Diekamp  e  del  Sickel,  de'  quali  si  troveranno  ampi 
ragguagli  nei  citati  Prolegomma  e  nella  nuova  edizione,  di 
quelli  del  De  Rozière,  che  non  potè  vedere  il  codice  e  quanto 
potè  sapere  espose  nella  sua  prefazione,  di  quelH  del  car- 
dinal Pitra,  il  quale  ha  riprodotto  l'edizione  Garnier  del 
Diurnus  nel  voi.  CV  della  Patrologia  del  Migne  (2)  e  ne  ha 
trattato  brevemente  nei  suoi  Analecta  novissima  (^^y,  fra  i 
dotti  che  studiarono  il  codice  del  Diurnus  troviamo  primi  i 
nomi  del  Daremberg  e  del  Renan.  Incaricati  dal  Ministero 
d'istruzione  pubblica  di  Francia  di  fare,  insieme  ad  altri  studi, 

(i)  Prohgomena  %iim  Liher  diurnus  I.  von  Th.  R.  v.  Sickel  nel 
voi.  CXVII  delle  Sit:(ungsherichte  der  kais.  Akademie  der  Wissmschafien 
in   Wim.  Philosophische-historische  Classe. 

(2)  Tom.  CV,  col.  9-187. 

(3)  Pitra,  Analecta  novissima,  Spicilegii  Solennensis  altera  conti- 
nuano, I,  105-108, 


Storia  esterna  del  <(  T)iiirnus  »  ^43 

una  collazione  del  testo  del  Diurniis  dato  dal  Garnier  sul 
codice  già  Sessoriano,  essi  vennero  in  Roma  nel  1850.  Cre- 
devano che  il  codice,  appena  soppressa  l'edizione  dell'Holste, 
fosse  stato  tolto  dalla  biblioteca  di  S.  Croce  per  ordine  di 
Alessandro  VII,  e  che  nessuno,  meno  il  Mabillon,  l'avesse 
più  veduto.  Sapevano  in  modo  vago  che  stava  in  Vaticano, 
ma  dove  precisamente,  ignoravano.  Si  rivolsero,  come  era 
naturale,  ai  monaci  di  S.  Croce  in  Gerusalemme  e  là  dal 
bibliotecario  D.  Alberico  Amatori  seppero  che  era  conser- 
vato nell'archivio  segreto  Vaticano  (i). 

Che  i  due  dotti  francesi,  non  avendo  fatto  studi  spe- 
ciali sulla  storia  del  codice,  lo  supponessero  trasportato  in 
Vaticano  subito  dopo  soppressa  l'edizione  Holsteniana,  è 
cosa  che  fino  ad  un  certo  punto  si  comprende,  e  si  può 
pur  comprendere  come,  fermi  in  quelF  idea,  non  ponessero 
mente  alle  parole  del  Mabillon,  il  quale,  sebbene  non  lo 
dica  apertamente,  fa  intendere  abbastanza  bene  che  il  ms.  si 
trovava  sempre  in  S.  Croce  al  tempo  del  suo  viaggio  a 
Roma  (2).  Ma  è  strano  com'essi,  che  certamente  conosce- 
vano YArchiv  del  Pertz  cosi  ricco  di  notizie  sui  fondi  di 
mss.  italiani,  anziché  cercare  li  la  notizia  del  luogo  dove 
era  custodito  il  Diurnus,  e  ve  l'avrebbero  trovata,  come  ve- 
dremo fra  breve,  si  rivolgessero  all'Amatori.  Il  quale  penso 
che  non  potesse  dar  loro  subito  l'indicazione  desiderata, 

(i)  Archi ues  des  missions  scientifiques  et  IHtèraires,  I,  243  e  sgg.  Il 
primo  volume  degli  Archives  è  divenuto  ormai  introvabile.  In  Roma, 
eh'  io  sappia,  solo  il  sig.  marchese  Gaetano  Ferraioli  ne  possiede 
alcuni  fascicoli  e  debbo  alla  inesauribile  cortesia  di  lui  se  ho  potuto 
servirmi  della  relazione  Daremberg  e  Renan. 

(2)  Riavvicinando  il  passo  nel  quale  Mabillon  {Iter  Itaìiann,  p.  75), 
narrando  di  aver  potuto  finalmente  trovare  il  codice  Jcl  Diurnus, 
dice  ch'esso  .ivcva  appartenuto  ad  Ilarione  Rancati,  col  breve  cenno 
elle  dà  a  p.  90  della  Vita  del  Rancati  stesso  e  de'  codici  ili  hii  rac- 
colti in  S.  Croce,  l'idea  che  si  presenta  inim  1  alla  mente  è  che, 
come  realmente  avvenne,  egli  trovasse  il  Diunim  nella  biblioteca 
di  S.  Croce. 


^44  ^'  Giorgi 

perchè  deve  aver  creduto  fino  allora  che  il  Diurnus  si  trovasse 
nella  biblioteca  e  non  nell'archivio  Vaticano.  In  una  lista  di 
codici  Sessoriani  perduti  dal  tempo  del  cardinal  Besozzi, 
eh' è  unita  alla  sua  Bibliotheca  membranacea  manuscripta 
Sessoriana,  l'Amatori  nota  per  ultimo  il  Diurnus  e  lo  dice 
esistente  nella  biblioteca  Vaticana  (i). 

Oltre  la  collazione  del  codice,  Daremberg  e  Renan  fe- 
cero in  Roma  altre  ricerche  intorno  al  Diurnus.  Videro  a 
S.  Croce  una  copia  dell'edizione  Holsteniana  (2)  del  celebre 
formulario  e  copiarono  la  seguente  nota  scritta  di  mano 
del  card.  Besozzi  su  quell'esemplare  :  I.  Ioachim  Bessossi, 
«  abbatis  S.  Crucis,  ex  dono  illustrissimi  abbatis  Compa- 
«  gnoni  heredis  cardinaHs  Maresfusci.  —  Liber  iste  Diurnus 
((  Romanorum  pontificum  rescriptus  furtive  fuit  unius  noctis 
((  termino,  ex  codice  huius  nostrae  bibUothecae  Sanctae 
((  Crucis,  cum  eodem  Lucae  Holsteriio  commodasset  P.  ab- 
«  bas  dom.  Hilarius  Rancatus. 

«  Rarus  est,  quoniam  exemplaria  huius  libri,  ne  publi- 
«  carentur,  fuerunt  suppressa.  Notandum  tamen  quod  in 
«  codice  nostro  desunt  quae  capite  primo  ab  Holstenio  prae- 
«  mittuntur  circa  Siiscriptiones,  quorum  tamen  in  mutilis  pri- 
((  mis  paginis  aliqua  vestigia  reperiuntur,  sicuti  et  quod  codex 
«  formulas  absque  ullo  ordine  fere  continet,  cum  tamen  Hol- 
c(  stenium  Qic)  easdem  per  materias  ordinaverit.  linde  Hol- 

(i)  Libai'  diurnus  Romanorum  pontificum,  ex  quo  Lucas  Hoìstenius 
suam  vulgavit  editiomm  ah  Abate  Hilarione  Rancato  comodato  olim  in 
hac  nostra  Bibliotheca  reperiebatur,  modo  vero  asservatur  in  Bibliotheca 
Vaticana.  Bibl.  Naz.  Vitt.  Eman.  cod.  Sessor.  534,  e.  285  r. 

(2)  La  copia  dell'edizione  di  Holste  donata  al  cardinale  Besozzi 
dall'abate  poi  cardinale  Mario  Compagnoni  Marefoschi  e  dal  Be- 
sozzi lasciata  a  S.  Croce  non  è  pervenuta  alla  Vittorio  Emanuele. 
Questa  biblioteca  ha  una  copia  di  quell'edizione,  proveniente  dalla 
biblioteca  del  Collegio  Romano  ed  appartenuta  al  p.  Pietro  Laz- 
zeri.  Posseggono  questo  raro  libro  anche  la  Vaticana,  l'Angelica  e 
la  Casanatense  di  Roma,  la  Palatina  di  Parma,  la  Fabroniana  di 
Pistoia,  la  Guarneriana  Fontaniniana  di  S.  Daniele  del  Friuli. 


Storia  esterna  del  «  ^ìurnus  »  ^45 

«  stenius  sumpserit  kudatas  superscriptiones,  ipse  non  dicit 
«  et  ego  ignoro  » . 

Senza  dire  di  alcuni  errori  di  trascrizione  grossolani  e 
quasi  incredibili,  poiché,  ad  esempio,  non  è  da  supporre 
che  il  Besozzi  non  sapesse  scrivere  il  proprio  nome  e  quello 
del  card.  Marefoschi,  v'  è  un'osservazione  da  fare.  Se  Da- 
remberg  e  Renan  copiarono  dall'esemplare  dell'edizione 
Holsteniana  di  S.  Croce  la  nota  autografa  del  Besozzi, 
come  mai  non  s'accorsero  ch'era  pure  di  mano  del  Besozzi 
l'altra  importante  nota  :  «  Pretiosissimus  est  iste  codex,  etc.  » 
che  sta  innanzi  al  codice  e  che  fu  ugualmente  copiata  da 
loro  ?  Eppure  la  scrittura  grossa  e  inelegante  del  dotto  car- 
dinale è  cosi  caratteristica  che  non  si  può  non  riconoscerla 
da  chi  l'abbia  veduta  anche  una  sola  volta. 

Non  so  di  altri  studiosi  che  prima  del  1850  e  fino  al  1832 
abbiano  consultato  il  Diurnus  nell'archivio  Vaticano.  Nei 
primi  giorni  del  1823  Giorgio  Enrico  Pertz,  che  da  due 
anni  percorreva  l' Italia  cercando  materiali  e  notizie  pei  Mo- 
numenta  Germaniae,  potè  penetrare  nell'archivio  Vaticano  e 
cominciarvi  le  sue  ricerche.  Merita  d'esser  riferita  la  breve 
ma  esatta  notizia  che  il  dotto  tedesco  dà  del  Diurnus  nel 
volume  V  dQÌVArchiv  (i):  «  Der  zweite  und  wenn  ich  rich- 
«  tig  urtheile  fùr  die  Geschichte  wichtigere  Theil  des  Ar- 
«  chivs  sind  die  Handschriften  oder  Urkundenbùcher  von 
«  denen  ich  unter  andern  den  Liber  diurnus  Romanorum 
«  Pontificum  sah,  und  die  Handschriften  des  Cencius  be- 
«  nutzte.  Jener  ist,  Pergament  in  octav,  aus  dem  8**""  Jahr- 
«  hundert,  in  scinen  ersten  Bliittern  sehr  verletzt,  und  ver- 
«  dient  cine  sorgfàltige  Vergleichung  mit  den  Drucken,  um 
«  so  mehr,  als  in  diesen,  die  einzelnen  Bruckstùcke  der 
«  ersten  Blàtter  willkurlich  zusammengesetzt  zu  seynschei- 
«  nen  ». 


(i)  Archiv   der  Gesellschaft  fùr  altere  Deutsche  Geschichtskundef  V, 
27-28. 


646  I.  Giorgi 


IL 


Coi  primi  anni  del  secolo  presente  cominciano  i  tempi 
oscuri  per  la  storia  del  Diurnus,  Il  De  Rozière,  abbandonata 
giustamente  V  ipotesi  ch'esso  fosse  trasportato  in  Vaticano 
per  ordine  d'Alessandro  VII  dopo  la  soppressione  dell'edi- 
zione di  Holste,  crede  che  il  codice  seguisse  la  sorte  degli 
altri  mss.  di  S.  Croce  trasportati  alla  biblioteca  Vaticana 
in  virtù  del  decreto  di  Napoleone  I  del  3  settembre  181 1, 
e  non  fosse  restituito  a  S.  Croce  dopo  la  restaurazione  di 
Pio  VII.  Allora,  soggiunge  il  De  Rozière  :  «  son  caractère 
«  diplomatique  determina  sans  doute  le  souverain  pontife 
«  à  le  conserver  dans  ses  archives  »  (i).  Tale  congettura, 
a  mio  credere,  s'avvicina  alla  verità  e  quasi,  dirò  cosi,  le 
gira  intorno,  ma  non  la  raggiunge. 

A  questo  punto,  in  cui  qualunque  indizio,  sebbene 
apparentemente  insignificante,  può  dar  molta  luce,  è  ne- 
cessario descrivere  minutamente  1'  aspetto  esteriore  del 
codice. 

Il  codice  del  Diurnus  è  membranaceo  di  carte  99  intere 
e  5  frammentarie,  di  o""  170  X  0™  no  senza  la  legatura, 
o™  180X0™  115  colla  legatura.  Questa  si  compone  di  un 
pezzo  di  pergamena  ritagliato  da  uno  più  grande  che  prima 
deve  aver  servito  a  ricoprire  qualche  altro  volume,  come 
sembrano  indicare  due  piegature  che  corrono  nel  senso 
della  larghezza  attraverso  alle  due  coperte  e  al  dorso.  Nella 
parte  esterna  della  prima  coperta  è  scritto  : 

N     5 

H    h   h   h   h     97 

Ex  Capsula  X 

(i)  De  Rozière,  Introduction,  p;   cLVin. 


Storia  esterna  del  «  l^iiirnus  »  647 

Sul  dorso  nella  parte  superiore  fu  scritto  da  prima  di  mano 
frettolosa  e  trascurata  Diurnus,  la  qual  parola  è  ora  allo 
scoperto,  per  essere  lacero  e  consunto  negli  orli  un  cartellino 
in  carta  rossastra  che  vi  fu  appiccicato  sopra  posteriormente. 
Sul  cartellino,  in  caratteri  stampatelli  maiuscoli  e  minuscoli 
tracciati  a  mino,  è  una  scritta  della  quale  resta  quanto 
segue  : 

Code  I  ""CCX  I  I  I    "^iurnu  |    \om  P  |  ific 

Nella  parte 'inferiore  del  dorso  è  scritto  di  mano  recentis- 
sima: XI  .  19.  Sopra  un  primo  foglietto  di  guardia  in  carta 
forte  sono  le  seguenti  annotazioni  : 

«  Codex  1^8  I  Diurnus  \  Romanomm  Pontificum  \  Pretio- 
«  sissimus  est  iste  Codex  scriptus  [  Longobardorum  tem- 
«  pore  fortassis  inter  |  septimum  et  octavum  seculum  ». 

«  Pagina  69  sexta  synodus  que  habita  |  est  anno  ^81 
«  dicitur  nuper  celebrata  |  ex  quo  inferri  potest  codicem 
«  scriptum  I  vel  septimo  spculo  vel  inchoante  8°  » . 

L'ultima  carta  del  codice,  di  cui  non  resta  che  un  fram- 
mento, ha  nel  verso  la  segnatura  :  D  117. 

Ragionerò  separatamente  di  ciascuna  di  queste  indica- 
zioni : 

1.  XI.  ip.  È  la  segnatura  presente  del  codice  apposta 
di  mano  dell'attuale  sottoarchivista  D.  Gregorio  Palmieri. 
Corrisponde  al  catalogo  compilato  da  Pier  Donnino  De  Pretis 
custode  dell'archivio  Vaticano  (1827-1840).  L'annotazione 
del  catalogo  De  Pretis  è:  Armario  XI  i^.  Hohknius  Diur- 
nus Poiiìijìcnm  (i). 

2.  N  ^y  }.  Hh  h  hh  pjy  4,  Ex  Capsula  X,  Queste  tre 
sono  pure  segnature  d'archivio.  Della  prima  non  ho  trovato 
riscontro  in  nessuno  dei  cataloghi  ed  indici  dell'archivio 


(i)  La  segnatura  XI,  19,  e  l'annotazione  del  De  Pretis,  Holstenius 
Diurnus  Pontificum,  si  riferiscono  ad  un  esemplare  stampato  dell'edi- 


64S  L  Giorgi 

Vaticano.  La  seconda  corrisponde  ad  un  indice  cronologico 
dei  documenti  di  quell'archivio  compilato  dall'archivista 
De  Bellini  intorno  al  1850.  Il  De  Bellini  registra  cosi  il 
Diurnus  : 

«  H  h  h  h  h  Diurnus  Romanorum  Pontificum  quetn  Lucas 
97         Holstenius  typis  mandaverat  cantra  votum 
Cardinalis  Bona,  D.  Garnerius  edidit  » . 

La  terza  è  pure  una  segnatura  d'archivio,  e  il  prof.  Sickel 
crede  sia  stata  scritta  di  mano  di  Gaetano  Marini.  Si  ri- 
ferisce aìY  Index  diplomatum  bullis  aureis  munitorum  dell'ar- 
chivio Vaticano. 

5.  Pagina  6p  sexta  synodus,  etc.  È  annotazione  di  uno 
studioso  che  ha  potuto  esaminare  tranquillamente  il  codice 
quando  era  ancora  nell'antica  sua  sede  in  S.  Croce.  È  di 
mano  del  dotto  abate  Gian  Colombino  Fatteschi,  cister- 
ciense  anch'esso,  che  deve  aver  avuto  famigliarità  grande 
coi  suoi  confratelli  di  S.  Croce,  poiché  lasciò  gran  parte 
dei  suoi  mss.  all'abate  di  S.  Croce  D.  Sisto  Benigni. 

6.  Code  I  CCCX  \  I  \  '^iurnu  \  \om  P  \  ific.  È  una  se- 
gnatura dei  mss.  della  biblioteca  Sessoriana  sicuramente  po- 
steriore alla  morte  del  card.  Besozzi  (1755),  il  quale  aveva 
dato  a  quei  mss.  un'altra  numerazione.  Quale  fosse  questo 
numero  romano,  ora  in  parte  illeggibile,  possiamo  sapere 
per  altra  via.  Quando,  sulla  fine  del  secolo  scorso,  era  in 
uso  questa  numerazione  in  cifre  romane,  un  bibliotecario 
di  S.  Croce  compilò  una  lista  dei  mss.  col  titolo  :  Codices 
bibliothecae  5'^  Crucis  in  lerusalem  antiquiores  et  pretiosiores, 
E  fra  questi  è  notato:   «  CCCXVI  membranaceus  in   12 

zione  di  Holste,  non  al  codice.  E  forse  l'esemplare  a  stampa  era 
quello  col  frontespizio  di  mano  di  Holste,  di  cui  parla  Zaccaria 
(Bihliotheca  ritualìs,  II,  11;  Dissertatio,  p.  ccliii)  dicendolo  appar- 
tenuto al  Marini.  Probabilmente,  smarrito  o  spostato  il  volumetto 
impresso,  il  posto  e  la  segnatura  di  esso  sono  stati  attribuiti  al  co- 
dice. 


Storia  esterna  del  «  ^iurnus  »  ^49 

«  charactere  longobardico  inter  vii  et  viii  saeculum  exa- 
«  ratus  in  principio  et  in  fine  tineis  et  antiquitate  corrosus. 
«  Est  Diurnus  Romanorum  Pontificum.  Vide  15  A  »  (i). 
Tutto  infatti  corrisponde.  In  un  prospetto  topografico  della 
collocazione  de'  codici  Sessoriani,  compilato,  sempre  sulla 
fine  del  secolo  passato,  dal  bibliotecario  Cipriano  Treve- 
gati,  è  notato  che  il  palchetto  A  dello  scaffale  15  era  occu- 
pato dai  codici  numerati  CCIC-CCCXXXVI.  Com'è  natu- 
rale, il  primo  e  più  alto  palchetto  (A)  conteneva  tutti  codici 
di  piccolo  formato  come  il  Diurnus,  e  la  maggior  parte  di 
quei  codicetti  si  trovano  ancora  nel  fondo  Sessoriano  della 
Vittorio  Emanuele,  anzi  alcuni  d'essi  hanno  ancora  i  car- 
tellini rossastri  simili  a  quello  del  Diurnus  e  portanti  numeri 
fra  il  CCIC  e  il  CCCXXXVI.  Ma  in  qual  tempo,  dopo 
la  morte  del  card.  B esozzi,  sia  stata  data  ai  mss.  Sessoriani 
tale  numerazione  in  cifre  romane  non  può  esattamente 
determinarsi.  Nel  codice  CCCIII  -  uno  di  quelli  del  pal- 
chetto A  dello  scaffale  15  -  è  notato  che  fu  donato  a 
S.  Croce  dall'abate  Ripamonti  il  26  aprile  1783;  e  cosi, 
salvochè  fosse  stato  fatto  uno  spostamento  per  far  luogo 
al  ms.  donato  dal  Ripamonti,  è  da  credere  che  la  nume- 
razione sia  posteriore  al  26  aprile  1783.  Inoltre,  in  un  rozzo 
e  incompleto  indice  alfabetico  dei  testi  contenuti  nei  mss. 
Sessoriani,  al  tempo  in  cui  essi  avevano  questa  numera- 
zione in  cifre  romane,  scritto  dalla  stessa  mano  dell'elenco 
dei  Codices  antiquìores  et  pretiosiores,  è  notata  una  miscel- 
lanea contenente  scritti  riguardanti  cose  politiche  eventusqne 
qui  Romae  conti^erunt  (2).  Con  queste  sole  indicazioni  non 
m'c  riuscito  d'identificare  la  miscellanea,  la  quale  doveva 
portare  il  numero  CCLXXII;  ma  se,  com'è  probabile,  essa 


(i)  Bibl.  Naz.  Vitt.  Eman.  cod.  Sessor.  490,  e.  2141. 

(2)  Miscellanea  continem  nonnulla  ad  Roni.  Ecclesiam,  summum  Poh- 
tificem  eventusqne  qui  Romae  contigerunt  spectantia  2^2.  Bibl.  Naz.  Vitt. 
Eman.  cod,  Sessor.  490,  e.  194  v. 


6^0  I.  Giorgi 

conteneva  una  raccolta  di  scritti  sugli  avvenimenti  che  pre- 
cedettero la  prima  Repubblica  Romana,  salvo  sempre  il  caso 
di  spostamenti  e  sostituzioni,  la  numerazione  romana  cui 
appartiene  la  segnatura  CCCXVI  del  Diurnus  deve  attri- 
buirsi agli  ultimissimi  anni  del  secolo  passato.  E  questo  si 
accorda  perfettamente  colla  forma  della  scrittura  dell'  indice 
e  dell'elenco  dei  Codices  antiqidores  et  pretiosiores  che  appar- 
tengono sicuramente  a  quel  tempo. 

Potrebbe  osservarsi  che  il  codice  del  Diurnus  registrato 
nell'elenco  dei  Codices  antiquiores  et  pretiosiores  non  è  no- 
tato nell'indice  alfabetico  sommario  che  precede  l'elenco. 
Ma  questo  -  ne  son  convinto  -  non  vuol  dire  che  il  Diur- 
nus sia  stato  portato  via  da  S.  Croce  nel  tempo  che  corse 
fra  la  compilazione  dell'elenco  degli  antiquiores  e  la  com- 
pilazione dell'  indice.  L'elenco  e  Y  indice  sono  scritti  della 
stessa  mano  sulla  stessa  carta,  l'indice  prima,  l'elenco  poi 
in  alcuni  fogli  rimasti  bianchi  dopo  scritto  l' indice.  E 
mentre  l' indice,  opera  frettolosa  e  trascurata  di  persona 
poco  pratica  di  simili  lavori,  ha  imperfezioni  e  omissioni 
non  poche,  l'elenco  degli  antiquiores  et  pretiosiores  è  un 
lavoro  amministrativamente  se  non  bibliograficamente 
compiuto  che  ha  vero  valore  di  documento. 

7.  Codex  i]8.  8.  Pretiosissimus,  etc.  Gioacchino  Besozzi, 
abate  di  S.  Croce,  poi  cardinale,  uomo  dotto  e  assai  be- 
nemerito della  biblioteca  Sessoriana,  scrisse  queste  due  note. 
Nel  fondo  dei  mss.  Sessoriani,  che  aumentò  di  molti  e  pre- 
gevoli, il  Besozzi  fece  tre  lavori.  Stabili  una  nuova  nume- 
razione, non  potendo  più  servire  l'antica  forse  per  le  lacune 
sopravvenute.  E  compilò  due  cataloghi  illustrativi,  uno  di 
142  de'  più  insigni  mss.  tanto  membranacei  che  cartacei, 
l'altro  di  38  mss.  di  minore  importanza  e  quasi  tutti  di 
nuovo  acquisto  (i).  Ma  nessuno  dei  due  cataloghi  contiene 


(i)  Uno   è  il  Cod.  Sessor.   488  intitolato:  Notae  centiim  quadra- 
ginta  duo  in  Sessorianos  codices,  l'altro  è  il  cod.  Sessor.  486  intitolato  : 


Storia  esterna  del  «  ^ìurnus  »  651 

una  sola  parola  intorno  al  Diurnus.  Né  è  difficile  immagi- 
nare la  ragione  per  la  quale  T opera  del  Besozzi  sul  Diurnus 
si  limitò  ad  apporvi  il  numero  138  e  la  nota  Pretiosissi- 
mus,  etc.  Il  Besozzi,  bibliotecario  diligentissimo,  non  poteva 
lasciare  senza  il  numero  nuovo  un  codice  cosi  insigne,  e  con 
quella  nota  volle  avvertire  i  suoi  successori  del  pregio  sin- 
golarissimo di  esso,  ma  non  volle  comprenderlo  in  alcuno 
dei  due  cataloghi,  e  non  senza  ragione.  Avrebbe  dovuto 
parlare  diffiisamente,  com'era  suo  costume,  del  contenuto 
e  dell'  importanza  del  codice,  delle  edizioni  dell'Holste  e 
del  Garnier,  delle  cause  per  le  quali  la  prima  era  stata  sop- 
pressa, e,  quello  che  è  più,  in  uno  scritto  destinato  ad  an- 
dare per  le  mani  degli  eruditi,  parlare  dell'esistenza  d'un 
codice  che  la  Sessoriana  doveva  custodire  come  un  tesoro, 
ma  sul  quale  è  certo  non  doveva  piacere  ai  monaci  di  ri- 
chiamare di  nuovo  l'attenzione  degli  studiosi.  Su  questo 
punto  è  pur  da  osservare  che  la  massima  parte  dei  mss.  Ses- 
soriani,  siano  o  no  compresi  ne'  due  cataloghi  del  Besozzi, 
portano  nei  fogli  di  guardia  numeri  e  annotazioni  simili  di 
mano  di  lui. 

9.  Diurni Ls  Romanorum  Pontificum.  Questo  titolo  non  è 
di  mano  del  Besozzi,  che  anzi  la  nota  Preiiostssimus  v'ò  stata 
scritta  appresso  da  lui  come  illustrazione  del  titolo  stesso. 
Non  è  di  mano  dell'abate  Ilarione  Rancati  o  dell'abate 
Franco  Ferrari,  i  quaU,  come  si  vedrà  in  seguito,  chiama- 
rono costantemente  il  codice  Formularium  Pontificum.  De- 
v'essere stato  scritto  negli  ultimi  anni  del  secolo  xvii,  pro- 
babilmente dopo  la  visita  del  Mabillon  a  S.  Croce. 

10.  D.  iij.  È  la  numerazione  che  portava  il  codice  al 
tempo  del  Rancati,  e  il  trovarla  scritta  nel  verso  del  fram- 
mento dell'ultima  carta,  prova  che  allora  il  codice  era  privo 
di  legatura.  Della  storia  del  codice  al  tempo  del  Rancati 


Uotae  chronologicae,  historicae  et  criticae  in  niauuscripta  Sessoriana.  Sono 
ambedue  autografi  del  Besozzi. 


6^2  L  Giorgi 


parlerò  in  seguito;  frattanto  giova  stabilire  che  la  lettera  D 
non  è  un'  abbreviazione  della  parola  Diurnus  sconosciuta 
al  Rancati,  ma  rivela  un'  incertezza  nell' apporre  la  segna- 
tura. I  codici  del  Rancati  eran  divisi  in  due  serie,  una 
di  138  segnata  con  numeri,  l'altra  di  34  con  lettere;  pro- 
babilmente al  Diurnus  sarà  stata  assegnata  prima  una  let- 
tera, poi  il  numero  che  ritenne  in  seguito. 

Da  quanto  ho  detto  intorno  a  questi  segni  esteriori, 
mi  pare  si  possa  concludere  sicuramente  che  il  codice  si 
trovava  ancora  a  Santa  Croce  negli  ultimi  anni  del  se- 
colo xviii.  È  da  vedere  se  il  tempo  del  trasporto  all'ar- 
chivio Vaticano  possa  essere  determinato  con  maggiore 
esattezza.  Per  ciò  il  De  Rozière,  come  ho  accennato^  prende 
come  punto  di  partenza  il  decreto  imperiale  del  3  otto- 
bre 181 1  (i).  Sebbene  quel  decreto  non  riguardi  le  biblio- 
teche, certo  è  che  i  mss.  Sessoriani  sotto  l'amministrazione 
francese  furono  trasportati  alla  Vaticana  ;  ma  certo  è  pure 
che  al  tempo  del  trasporto  già  fra  essi  non  si  trovava  più 
il  Diurnus,  Nella  prefazione  ai  Regesti  di  Clemente  V,  è 
stata  stampata  recentemente  la  relazione  di  monsignor  Ma- 
rino Marini,  nipote  e  successore  di  Gaetano  Marini,  intorno 
alla  riconsegna  e  al  viaggio  di  ritorno  a  Roma  dell'ar- 
chivio segreto  Vaticano,  il  quale,  com'è  noto,  era  stato 
trasportato  per  intiero  a  Parigi  per  ordine  di  Napoleone  I 
e  fu  restituito  dopo  la  restaurazione.  Ora  fra  i  cimeli  più 
importanti  de'  quali  vanta  la  ricuperazione  il  Marini  nel 
suo  rapporto,  è  il  Liher  diurnus  (2).  Il  quale,  dunque,  è 
evidente,  faceva  parte  dell'archivio  segreto  Vaticano  prima 
che  questo  andasse  in  Francia.  Cosi  il  tempo  del  trasporto 
del  Diurnus  all'archivio  Vaticano  deve  Hmitarsi  fra  gli  ul- 


(i)  Il  decreto  dei  3  settembre  1881  inserito  nel  BulUtin  des  lois 
(serie  IV,  n.  390,  decr.  n.  7218)  si  riferisce  agli  archivi  delle  cor- 
porazioni soppresse  nei  dipartimenti  di  Roma  e  del  Trasimeno. 

(2)  Regesta  Clementis  V,  I,  ccxlix. 


Storia  esterna  del  «  ^iurnus  »  ^53 

timissimi  anni  del  secolo  xviir,  epoca  in  cui  esso  compare 
ancora  fra  i  Codices  antiquiores  et  pretiosiores  di  S.  Croce, 
e  il  18 IO,  anno  del  trasporto  dell'archivio  a  Parigi.  Ma  è 
ancora  possibile  una  più  precisa  determinazione  di  tempo 
e  di  circostanze,  se  si  rifletta,  che,  secondo  ogni  proba- 
bilità, fu  autore  o  consigliatore  del  trasporto  del  Diurnus 
Gaetano  Marini.  A  lui,  come  a  tutti  gli  eruditi  del  suo 
tempo,  doveva  esser  nota  in  genere  l'importanza  del  Diur- 
nus, e  v'ha  di  più  il  fatto  ch'egli,  versatissimo  in  tutto  ciò 
che  riguardava  la  storia  del  papato,  conosceva  o  posse- 
deva (i)  la  copia  dell'edizione  Holsteniana,  che  aveva  ap- 
partenuto allo  stesso  Holste,  e  nella  quale  si  trovava  il 
frontespizio  di  mano  di  lui  e  il  giudizio  autografo  del  car- 
dinal Bona,  che  provocò  la  soppressione.  Di  più,  il  Marini 
aveva  posto  quella  copia  a  disposizione  dell'amico  suo  Fran- 
cesco Antonio  Zaccaria,  e  questi  se  n'era  largamente  ser- 
vito per  la  dissertazione  sul  Diurnus,  pubblicata  nel  voi.  2° 
della  Bibliotheca  ritualis,  cosicché  egli  doveva  essere  per- 
fettamente al  corrente  delle  ragioni  per  le  quali  fu  soppressa 
l'edizione  di  Holste.  L' importanza  intrinseca  e  l'antichità 
del  codice,  la  lunga  storia  delle  controversie  ch'esso  aveva 
suscitato  e  della  soppressione,  T  interesse  che  doveva  avere 
la  Santa  Sede  a  custodire  essa  l'unico  codice  antico  su- 
perstite dell'antichissima  raccolta  di  formole  della  cancel- 
leria pontificia,  i  pericoH  che  in  quegli  anni  di  rivolgimenti 
politici  correvano  i  libri  e  i  manoscritti  delle  chiese  e  dei 
conventi,  sono  ragioni  più  che  sufficienti  per  render  pro- 
babile la  congettura,  la  quale,  se  non  erro,  è  confermata 

(1)  Malgrado  Tasserzìone,  del  resto  non  troppo  esplicita,  di  Zac- 
caria (Dissertano,  p.  ccliii),  mi  pare  assai  più  verosimile  che  il  pre- 
zioso esemplare  a  stampa  col  frontespizio  autografo  di  Holste  e  il 
giudizio  del  card.  Bona  appartenesse  all'archivio  Vaticano  anziché 
al  Marini.  Si  ricordi  l'annotazione  del  catalogo  De  Pretis  e  quella 
più  significativa  del  catalogo  De  Bellini,  le  quali,  a  parere  del  Sickel 
e  mio,  si  riferiscono  a  quell'esemplare. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  43 


^54  ^'  Giorgi 


da  un  appunto  scritto  dal  Marini  sulla  sopraccoperta  d'una 
lettera  esistente  ora  alla  e.  982  del  cod.  Vaticano  9 114. 
Il  Marini  annota  :  «  Ho  veduto  ed  esaminato  il  L.  diurno 
«  che  stava  in  S.  Croce ...  ed  ora  è  dell'archivio  Vaticano  ». 
Certo  non  dice  d'averlo  fatto  trasportare  esso,  ma  questo 
non  è  strano  in  un  appunto  d'uso  personale,  scritto  in 
fretta  da  un  uomo  della  modestia  del  Marini.  Nel  diritto 
della  sopraccoperta  è  l' indirizzo  :  «  Al  cittadino  abbate  Gae- 
«  tano  Marini, bibliotecario  ed  archivista  vaticano»,  cosicché 
se,  com'è  più  probabile,  la  noterella  è  stata  scritta  poco  dopo 
ricevuta  la  lettera  cui  apparteneva  la  sopraccoperta,  il  tra- 
sporto del  Diurnus  in  Vaticano  verrebbe  a  cadere  precisa- 
mente nel  breve  periodo  della  prima  Repubblica  Romana, 
cioè  dal  15  febbraio  1798  al  30  settembre  1799.  Il  Ma- 
rini, che  salvò  l'archivio  di  Castel  S.  Angelo,  traspor- 
tandolo in  un  giorno  in  Vaticano,  pose  in  sicuro,  io  credo, 
forse  nel  tempo  stesso  il  Diurnus,  provocando  una  riso- 
luzione per  la  quale  fu  trasportato  da  S.  Croce  nell'archivio 
Vaticano  (i). 


(i)  Alla  p.  107  del  suo  Commentario  degli  aneddoti  di  Gaetano 
Marini,  Marino  Marini  fa  merito  allo  zio  del  ritrovamento  della 
copia  del  Diurnus  «  scritta  di  mano  dell'Olstenio  in  una  sola  notte». 
La  cosa  gli  sarebbe  stata  narrata  dal  can.  Battaglini  cui  l'avrebbe 
più  volte  ripetuta  il  card.  Zelada  e  confermata  Gaetano  Marini 
stesso.  E,  non  contento  di  queste  testimonianze,  cita,  male  a  propo- 
sito, i  passi  di  Zaccaria  relativi  all'esemplare  impresso  del  Diurnus 
col  frontespizio  autografo  di  Holste  e  alle  note  pure  autografe  di 
Holste  possedute  dal  Zelada.  Ma  è  chiaro  che  Marino  Marini,  ignaro 
della  non  facile  bibliografia  del  Diurnus,  confonde  stranamente  le 
cose  e  non  comprende  ciò  che  dice  Zaccaria.  Vedremo  più  tardi  se 
è  possibile  che  Holste  copiasse  in  una  notte  il  Diurnus,  ma  ad  ogni 
modo,  fatta  o  no  in  una  notte,  l'esistenza  della  copia  autografa  di 
Holste  è  un  fatto  nuovo  e  della  più  grande  inverosimiglianza.  Se 
in  tanta  confusione  è  lecito  avanzare  una  congettura,  i  racconti  del 
Battaglini,  del  Zelada  e  di  Gaetano  Marini  stesso  si  riferiscono  al 
trasporto  del  codice  del  Diurnus  da  S.  Croce  all'archivio  Vaticano. 


Storia  esterna  del  «  ^iurnus  »  ^55 


III. 


Sebbene  custodito  con  cura  tanto  gelosa  da  far  credere 
che  si  volesse  dissimularne  l'esistenza,  pure  il  codice  del 
DiurnuSy  prima  del  trasporto  in  Vaticano,  non  rimase  cosi 
celato  nella  lontana  e  poco  accessibile  biblioteca  di  S.  Croce, 
che  di  tratto  in  tratto  non  riuscisse  d'esaminarlo  e  studiarlo 
a  dotti,  specialmente  ecclesiastici,  di  gran  fama  e  di  nota 
prudenza. 

Non  è  possibile  che  il  Marini  non  lo  abbia  esaminato  an- 
che prima  del  trasporto  in  Vaticano  ;  certo  deve  averlo  stu- 
diato e  probabilmente  collazionato  per  intiero  l'amico  di  lui 
Francesco  Antonio  Zaccaria,  il  quale  aveva  preparato  una 
nuova  edizione  del  Diurniis,  che  poi  non  si  decise  a  pubblicare, 
e  di  cui  resta  solo  la  prefazione  generale  nella  dissertazione 
inserita,  come  ho  già  accennato,  nel  voi.  2°  della  Bibliotheca 
ritualis  edito  nel  1781.  Per  un'altra  edizione,  che  poi  ri- 
mase allo  stato  di  disegno,  fu  collazionato  il  codice  sul 
principio  del  secolo  xviii  •  quella  che  si  proponeva  di  fare 
il  gesuita  francese  Daville.  Giusto  Fontanini  e  Domenico 
Passionei  lavorarono  insieme  alla  collazione  pel  Daville  (i)*, 
dell'opera  loro  è  rimasta  qualche  traccia  nel  cod.  Ottobon. 
Vat.  3142,  che  contiene  pochi  passi  e  qualche  variante  del 
Diurnus,  preceduti,  alla  e.  84  r.  dalla  seguente  nota  di 
mano  del  Passionei  :  «  Alcune  varie  lezioni  del  diurno  che 
«  si  trova  ms.  nella  libreria  di  S.  Croce  in  Gerusalemme  in 
«  Roma.  —  Il  libro  suddetto  fu  intieramente  collazionato 
«  da  me  insieme  coU'abate  Foqtanini  e  lo  diedi  a  un  certo 
«  padre  Diauille,  giesuita  francese,  affinchè  lo  stampasse, 
«  ma  egli  immortuus  est  operi.   Questi  sono  pochi   fogli 


(1)  Galletti,  Memorie  per  servire  alla  vita  del  canlinuL  Domenico 
Passiotiei,  Roma,  1762,  p.  19;  Éloge  historique  de  M.  le  cardinal  Pas- 
sionei, La  Haye,  1763,  p.  9. 


6^6  I.  Giorgi 

«perchè  la  collazione  fu  fatta  sullo  stesso  libro  stampato 
«  dal  Garnerio.  i  jo6  » . 

Dopo  il  Fontanini  e  il  Passionei  deve  avere  esaminato 
il  codice  anche  Daniele  Schoepflin,  a  quanto  si  può  argo- 
mentare dai  brevi  cenni  premessi  al  confronto  dell'edizione 
di  Holste  con  quella  di  Garnier,  stampata  da  lui  nelle 
Commentationes  historicae  et  criticae  (i). 

Di  larghi  studi  fatti  sul  codice  del  Diurnus  per  un'altra 
edizione,  rimasta  anch'essa  ineseguita,  rimane  la  prova  nel 
codice  Vaticano  6818  e  in  un  codice  della  biblioteca  Co- 
munale, già  dei  Minori  Riformati,  di  Castelgandolfo  (2). 
Questo  sconosciuto  lavoro,  il  più  importante  che  sia  stato 
fatto  sul  Diurnus  dai  tempi  dell'Holste,  del  Garnier  e  del 
Baluze  fino  al  De  Rozière,  merita  d'essere  esaminato 
alquanto  diffusamente. 

Il  codice  Vaticano  6818,  cartaceo,  di  0™  270  Xo""  202, 
della  fine  del  secolo  xvii,  contiene  il  testo  del  Diurnus 
preceduto  da  un  Or  do  diurni,  che  è  un  indice  delle  formole, 
e  dal  titolo  : 

DIVRNVS  PONTIFICVM 

sive  vetus 

FORMVLARVM    LIBER 

quo  sancta  Ro.  Ecclesia 

ante  annos  mille  utebatur. 


(i)  Io.  Daniel  Schoepflin,  Commentationes  historicae  et  criticae; 
Basilea,  1741.  Nelle  Observationes  premesse  alla  sua  collazione  dell'ed. 
di  Holste  con  quella  di  Garnier,  pp.  499-501,  Schoepflin  non  afferma 
esplicitamente  d'aver  consultato  il  codice;  ma  poiché  dice  dì  esso: 
«  Est  ille  membranaceus  venerandae  antiquitatis,  scriptus  forma  quam 
«  vocant  octavam,  extatque  adhuc  hodie  Inter  codices  Cistercienses 
«  S.  Crucis  sodalium  Romae  »,  e  narra  d'aver  veduto  a  Roma  un 
esemplare  della  Holsteniana  presso  il  Fontanini  e  uno  presso  il 
Vignoli,  è  assai  probabile  che  lo  abbia  esaminato. 

(2)  Debbo  alla  cortese  mediazione  del  presidente    della  Società 


Storia  esterna  del  «  ^iurnus  »  6^j 

Il  codice  contiene  inoltre  il  testo:  AVXILII  PRESBY- 
TERI  prò  Formosi  Papae  eiusque  ordinationum  defensione 
LIBER, 

Il  codice  di  Castel  Gandolfo,  segnato  M.  V.  9,  appar- 
tenuto un  tempo  al  card.  Giuseppe  Maria  Tommasi,  è  car- 
taceo, di  o""  2^7  X  o""  19  ij  di  più  mani  della  fine  del  se- 
colo XVII  o  dei  primi  anni  del  xviii.  Contiene: 

1°  (e.  I  r)  Un  frammento  della  tavola  delle  formole 
secondo  l'edizione  di  Holste  (form.  XXXIV-LXVI); 

2°  (e.  II  r)  Un  brano  di  note  al  Diurnus  consistenti 
in  richiami  alla  collezione  di  canoni  di  Deusdedit,  alle 
lettere  di  Gregorio  I  e  Gregorio  II  e  ad  Origene; 

3°  (e.  Ili  r)  V Index  formulanim  codicis  manuscripti 
antiquissimi,  copia  incompleta  dell'  indice  mandato  da  Hol- 
ste al  Sirmond; 

4°  (e.  i  r)  Il  titolo  DIVRNVS  PONTIFICVM  etc. 
in  tutto  simile,  salvo  qualche  lieve  variante  ortografica,  a 
quello  del  codice  Vaticano  6818; 

5°  (e.  2  r)  VOrdo  diurni,  indice  delle  formole  al- 
quanto diverso  da  quello  del  codice  Vaticano  6818; 

6°  (e.  6  r)  Il  testo  delle  formole; 

7°  (e.  93  r)  Le  note  illustrative. 
La  parentela  fra  questi  due  manoscritti  è  evidente:  non 
è  inutile  indagare  in  che  precisamente  concordino  e  in  che 
differiscano. 

Il  titolo,  eguale  in  ambedue,  differisce  da  quello  che 
Holste  voleva  dare  all'edizione  sua  per  la  sostituzione 
delle  parole  Formuìarum  Liher  alla  parola  Formularinm,  La 
successione  delle  formole  tanto    nell'Ortis  diurni  che   nel 


nostra,  comm.  Oreste  Tommasini,  e  al  benevolo  concorso  del  pre- 
fetto di  Roma  e  del  sindaco  di  Castel  Gandolfo  la  comunicazione 
di  questo  codice  che  il  De  Rozière  conobbe  solo  per  un  brevissimo 
cenno  datone  dal  Trova  nel  suo  Discorso  della  condizione  de'  Romani 
vinti  da'  Longobardi,  Milano,  1844,  p.  75. 


658  /.  Giorgi 


testo  è  quasi  uguale  nei  due  manoscritti  :  le  prime  30  for- 
mole  si  seguono  in  ambedue  coli' ordine  stesso  dell'edizione 
Holsteniana,  colla  sola  differenza  che  il  Vaticano  esclude 
e  quello  di  Castel  Gandolfo  include  le  formole  8,  26,  27 
di  quell'edizione;  circostanza  notevole,  perchè  quelle  for- 
mole, non  esistenti  nel  codice  Hi  S.  Croce,  furono  prese 
la  prima  da  Deustiedit,  le  altre  due  dalle  lettere  di  Gre- 
gorio I  e  inserite  da  Holste  nella  sua  edizione.  In  ambe- 
due i  manoscritti  vengono  appresso  22  formole,  non  se- 
condo l'ordine  di  Holste,  ma  secondo  quello  del  codice 
di  S.  Croce;  poi  dalla  iormoì^  Episcopo  de  ordinando  presbi- 
tero fino  alla  fine  si  riprende  in  ambedue  l'ordine  dell'edi- 
zione di  Holste.  Così  il  ms.  Vaticano  ^818  ha  106  formole, 
mancandovi  le  tre  sopradette;  l'altro  di  Castel  Gandolfo, 
che  contiene  quelle  tre,  ne  ha  in  tutto  109,  numerate  erro- 
neamente 108  perchè,  per  una  svista,  è  rimasta  senza 
numero  la  formola  de  altare  dedicando. 

Non  è  nell'indole  di  questo  studio  una  minuta  analisi 
del  testo  delle  formole  nei  due  mss.  che  è  pressoché  uguale; 
dirò  solo  che  da  alcuni  confronti  eseguiti  qua  e  là  risulta 
ch'esso  è  stato  fissato  prendendo  per  base  il  codice  di 
S.  Croce  e  adottando  per  qualche  lacuna  o  per  qualche 
dubbio  la  lezione  di  Holste.  Un  particolare  notevolissimo 
e  che  prova  lo  studio  posto  nel  riprodurre,  per  quanto  era 
possibile  esattamente,  il  testo  del  codice  antichissimo,  lo 
troviamo  nelle  parole  finali  dell'ultima  formola  (XCIX 
dell'ed.  De  Rozière).  Quantunque  nelle  poche  copie  del- 
l'Holsteniana  messe  in  circolazione  sotto  Benedetto  XIII 
l'ultima  formola  non  sia  la  XCIX  dell'ed.  De  Rozière  colla 
quale  l'Holste  voleva  chiudere  l'edizione,  pure  sappiamo 
con  certezza  che  di  quella  formola  incompleta,  perchè  il 
codice  di  S.  Croce  è  mutilo,  l'Holste  non  leggeva  più 
in  là  delle  parole  qiiae  regulariter.  Invece  nel  ms.  Vati- 
cano 6S1S  le  parole  quae  regulariter  son  seguite  dalle  altre: 
in  psalmis . . .  deo  salvatori .. .  vigilias  excubias;  nel  ms.  di 


Storia  esterjia  del  «  ^iurnus  »  ^59 

Castel  Gandolfo  da  queste  :  in  psalmis  et  hymnis  Domino 
Deo  salvatori  nostro  decantandis  vigiles  excubias  agiint.  Tutto 
ciò  si  spiega  agevolmente  esaminando  il  codice  di  S.  Croce. 
Colle  parole  quae  regulariter  finisce  la  e.  loi  v.;  della 
carta  102  resta  solo  un  frammento  scritto  da  ambe  le  parti 
e  che  l'umidità,  la  quale  consumò  il  rimanente  della  carta, 
rese  quasi  illeggibile.  Eccone  la  lettura  più  probabile: 

[e.  102  r].  [e.  102  v]. 

in  psalmis  vel  cuncta  con 

deo  saluatori  sa  in  unum  per 
uigiles  excubias                                             deo  laudes  ^ersolue 

lentiis  exterioribus  sicut  a  deo  sibi 

iugiter  ualeant  piis  uit  s..  iugiter  per  C^ 
ficia  in  eccl  ili  ex^                                        at...  que  sub  uno  ab        ^. 

constai  tua  rei  'oca  constituta       .<i 

uilegii  apostol  nec  qui 

postular  tur  uen 

tiones  sibi  re 

que  h  uel 

te  nas 

Il  ms.  Vaticano  ^818  e  quello  di  Castel  Gandolfo  ci 
danno  un  tentativo  simile  di  lettura  del  frammento.  Nel 
primo  s'aggiunsero  le  prime  parole  leggibili,  notando  con 
puntolini  le  lacune,  ma  leggendo  vigilias  invece  di  vigiles. 
Nel  secondo  invece  si  volle  fare  di. più:  si  osservò  più  at- 
tentamente il  frammento,  si  lesse  rettamente  vigiles,  e  le  la- 
cune si  cominciarono  a  colmare  con  ingegnose  restituzioni. 

Un'altra  singolarità  degna  di  osservazione  è  che  nelle 
prime  pagine  del  ms.  Vaticano  6818  la  nota  abbreviazione 
ili  del  codice  di  S.  Croce  è  spiegata  iUustris,  errore  abban- 
donato però  ben  presto  in  seguito  e  che  non  si  ritrova 
affatto  nel  codice  di  Castel  Gandolfo. 

In  questo  ms.  le  note  illustrative  son  dirette  a  ricercare 
nella  storia  Tuso  delle  formole  del  Dinrnus  ;  il  loro  merito 
principale  sta  nella  sobrietà  del  discorso  e  nell'abbondanza 


66o  I.  Giorgi 

dei  documenti.  L'autore,  certo  assai  dotto  negli  studi  del- 
l'antichità ecclesiastica,  e  a  cui  dovevano  esser  famigliari 
tutti  i  grandi  depositi  romani  di  manoscritti  e  specialmente 
la  biblioteca  Vaticana,  con  mano  esperta  e  sicura  ha  posto 
a  contributo  le  lettere  dei  pontefici,  la  raccolta  di  canoni 
di  Deusdedit,  il  regesto  di  Farfa,  qcc. 

Dopo  questo  rapido  esame  del  contenuto  dei  due  mss. 
non  può  dubitarsi  ch'essi  abbiano  uno  stesso  autore  e  che 
rappresentino  due  diversi  stati  di  preparazione  di  una  nuova 
edizione  del  Diurnus.  Il  Vaticano  ^8i8  che  non  ha  note, 
che  non  contiene  le  tre  formole  estranee  al  codice  di 
S.  Croce,  che  ha  nel  principio  l'erronea  spiegazione  del- 
l'abbreviatura ili,  che  ha  un  tentativo  di  lettura  del  fram- 
mento finale  più  imperfetto  e  senza  supplementi,  è  eviden- 
temente un  primo  abbozzo;  quello  di  Castel  Gandolfo,  col 
suo  ricco  apparato  illustrativo,  colle  tre  formole  già  intro- 
dotte da  Holste  nell'edizione  sua,  con  ulteriori  migliora- 
menti nel  testo,  è  una  posteriore  e  più  elaborata  prepa- 
razione. 

Ora  è  da  cercare  chi,  sulla  fine  del  seicento  o  sui 
primi  del  settecento,  può  aver  pensato  e  condotto  cosi  in- 
nanzi senza  pubbHcarla  una  nuova  edizione  del  Diurnus. 
Su  questo  punto  non  posso  che  esporre  una  mia  con- 
gettura. 

L'autore  dei  due  mss.  ebbe  a  mano  e  studiò  tranquil- 
lamente e  a  lungo  il  codice  di  S.  Croce  e  l'edizione  di 
Holste.  Il  fatto  d'aver  potuto  aver  comunicazione  del 
codice  antichissimo  così  gelosamente  custodito  mostra  che 
egli  non  era  il  primo  venuto:  ma  anche  più  significativo 
è  l'uso  di  un  esemplare  della  Holsteniana.  Era  certo  un 
esemplare  anteriore  alla  rimozione  del  sequestro  e  al  fret- 
toloso completamento  fatto  nel  1724,  perchè  la  scrittura 
dei  due  mss.  è  anteriore.  Se  poi  si  pensi  che  l'autore  dei 
due  mss.  fece  suo,  con  un  lievissimo  mutamento  -  Formu- 
larum  liber  invece  di  Formularium  -  il  titolo  immaginato 


Storia  esterna  del  «  nOiurnus  »  661 

da  Holste  e  che  trovavasi  manoscritto  in  fronte  all'  esem- 
plare presentato  da  lui  per  ottenere  T  approvazione  della 
curia;  poiché  non  sembra  possibile  che  a  molta  distanza 
di  tempo  due  persone  differenti  potessero,  senza  intendersi, 
escogitare  ambedue  lo  stesso  titolo,  conviene  concludere 
che  l'autore  dei  due  mss.  abbia  avuto  a  sua  disposizione 
l'esemplare  a  stampa  col  titolo  manoscritto,  presentato  da 
Holste.  Ma  non  è  possibile  che  la  Congregazione  dell'Indice, 
negh  uffici  della  quale  doveva  trovarsi  quell'esemplare,  lo 
consegnasse  ad  altri  che  a  persona  degna  della  più  assoluta 
fiducia  e  preferibilmente  ad  uno  de'  suoi  consultori.  E  a 
questo  punto  il  nome  che  mi  si  affaccia  subito  alla  mente 
è  quello  del  padre,  poi  cardinale  Giuseppe  Maria  Tommasi. 
Chi  meglio  del  dotto  teatino,  insigne  specialista  nello 
studio  dell'antica  liturgia,  aggregato  alla  Congregazione 
dell'Indice  fino  dal  1^73,  nominato  esaminatore  apostolico 
da  Innocenzo  XII,  poteva  accingersi  ad  una  nuova  edi- 
zione del  Diurnus  ?  Forse  il  giudizio  severo  del  cardinal 
Bona  pesava  alla  Congregazione,  la  quale  doveva  deside- 
rare che,  dopo  r  edizione  soppressa  di  Holste  e  quella 
disapprovata  di  Garnier,  un  così  venerando  monumento 
fosse  pubblicato  di  nuovo  in  una  edizione  approvata  dalla 
curia  e  quasi  ufficiale.  E  il  nome  del  Tommasi,  cui  cer- 
tamente ha  appartenuto,  si  legge  per  ben  quattro  volte 
nel  ms.  di  Castel  Gandolfo. 

A  parer  mio  dunque  il  ms.  Vaticano  6818  e  quello 
di  Castel  Gandolfo,  sebbene  lavoro  materiale  di  più  co- 
pisti, rappresentano  due  stati  diversi  della  preparazione  di 
una  nuova  edizione  del  Diurnus  curata  dal  Tommasi.  Se 
questa  congettura  è  giusta,  non  è  nemmen  difficile  deter- 
minare approssimativamente  i  limiti  di  tempo  entro  i  quali 
il  Tommasi  deve  aver  fatto  il  suo  lavoro  e  immaginare 
le  circostanze  in  mezzo  alle  quali  può  esser  sorta  T  idea 
della  nuova  edizione. 

Nel  17 13,  poco  dopo  il  suo  innalzamento  alla  dignità 


662  I.  Giorgi 

cardinalizia,  morì  il  Tommasi,  né  credo  che  il  disegno  di 
ripubblicare  il  Diurnus  gli  sorgesse  in  mente  prima  dei 
colloqui  che  ebbe  col  Mabillon  nel  1^85  e  nel  168^.  Il 
grande  benedettino  nel  suo  viaggio  d'Italia  si  trattenne  in 
Roma  dal  giugno  1^85  al  marzo  16S6,  allontanandosene 
solo  nell'ottobre  e  nel  novembre  pc;r  visitare  Napoli,  Cava 
e  Montecassino.  Fin  dai  primi  tempi  della  sua  dimora 
chiese  notizie  del  codice  del  Diurnus  usato  da  Holste,  e 
dopo  molte  ricerche  potè  consultarlo,  né  credo  che  alle 
ricerche  e  al  ritrovamento  fosse  estraneo  il  Tommasi. 
Mabillon  aveva  in  grande  estimazione  il  Tommasi,  che 
chiama  «  amicus  noster  in  primis,  modestia  et  pietate 
«  nonminus  quam  doctrina  et  scriptis  commendandus  »  (i), 
e- per  una  singolare  coincidenza  le  due  menzioni  che  fa 
di  lui  ndY  Iter  Italicum  (2)  sono  immediatamente  vicine 
ai  passi  nei  quali  parla  della  biblioteca  di  S.  Croce  in 
Gerusalemme,  quasiché  il  pensiero  del  dotto  monaco  fran- 
cese associasse  o  almeno  riavvicinasse  il  ricordo  del  Tom- 
masi con  quello  della  Sessoriana  di  S.  Croce  e  de'  codici 
ivi  studiati.  Certo  il  Mabillon  aveva  gran  desiderio  di  ve- 
dere l'antichissimo  codice  del  Diurnus  studiato  da  Holste, 
«  cuius  exemplar  invenire  magnopere  avebamus  »  (3),  e 
lo  cercò  a  lungo  e  seppe  eh'  esso  si  trovava  nella  Sesso- 
riana da  un  dotto  in  Roma,  «  ab  homine  docto  accepi- 
«  mus  »  (4).  Il  dotto  non  é  nominato,  e  si  comprende  la 
delicata  riserva  del  Mabillon;  ma  non  é  improbabile  che 
questi  fosse  1'  «  amicus  noster  in  primis  »,  il  Tommasi.  Il 
lavoro  cominciato  dal  Tommasi  verosimilmente  dopo  il  1685 
dovette  trascinare  in  lungo,  ritardato  da  altri  studi  e  oc- 
cupazioni. Lui  morto,  per  qualche  anno  nessuno  pensò  più 


(i)  Mabillon,  Iter  Italicum,  p.  90. 

(2)  Mabillon,  It.  Itdl.  pp.  90,  132. 

(3)  Mabillon,  It.  Ital.  p.  75. 

(4)  Mabillon,  It.  Ital.  p.  75. 


Storia  esterna  del  i^  animus  »  66^ 

al  Ditirnus,  finché  nel  1724  alcune  copie  dell'  edizione 
Holsteniana  ritrovate  in  Vaticano  furono,  com'  è  noto, 
frettolosamente  e  malamente  completate. 


IV. 


Avanzandoci  sempre  verso  i  tempi  più  antichi,  giun- 
giamo al  periodo  che  corse  fra  il  governo  dell'abate  Gioac- 
chino Besozzi  e  quello  dell'abate  Ilarione  Rancati,  fondatore 
della  biblioteca  Sessoriana  (1724-1^26).  In  altro  luogo  rac- 
conterò la  storia  di  quella  biblioteca  e  specialmente  dei 
manoscritti  che,  raccolti  dal  Rancati,  rimasero  dopo  la  morte 
di  lui  a  S.  Croce  ;  qui  basterà  accennarne  quanto  è  neces- 
sario per  la  storia  del  nostro  codice. 

Il  milanese  Ilarione  Rancati  (i),  per  tre  volte  abate 
di  S.  Croce  in  Gerusalemme,  uomo  dottissimo  che  ebbe 
in  Roma  al  tempo  suo  influenza  e  riputazione  grandi, 
raccolse  una  ricca  biblioteca  della  quale  era  parte  assai 
pregevole  un  gruppo  di  codici  provenienti  da  diversi  mo- 
nasteri cistcrciensi  d'ItaUa:  da  Nonantola,  da  S.  Salvatore 
di  Settimo  presso  Firenze,  da  S.  Martino  de'  Bocci  presso 
Parma,  da  S.  Maria  di  Casamari  presso  Veroli.  Esiste 
ancora  un  elenco  sommario  di  138  de'  migliori  codici  del 
Rancati  compilato  mentre  esso  viveva  e  forse  da  lui 
stesso  (2):  dei  medesimi  138  codici  e  di  altri  34  ch'e- 
rano sparsi  per  la  biblioteca  esiste  una  più  larga  descri- 
zione che,  per    ordine  di  Alessandro  VII,  compilò,  dopo 


(i)  Cf.  Macedo,  Fr.  R.  P.  N.  abbatis  àomni  Hilarionis  Rancati  in  eius 
exequiis  praesente  corpore  ad  Sanctae  Crucis  in  Hierusahm  habita  laudatio; 
e  A.  Fumagalli,  Vita  del  P.  D.  Ilarione  Rancali,  Brescia,  1763. 

(2)  Index  manuscriptorum  anliquorum  bibliothccae  P.  abbatis  D.  Hi- 
larionis quo  unice  utebatur.  Fra  le  carte  di  F.  Ferrari  nel  cod.  Am- 
brosiano C.  S.  V.  II. 


66^  I.  Giorgi 

la  morte  del  Rancati,  il  cisterciense  Franco  Ferrari,  com- 
pagno di  studi  al  Rancati  negli  ultimi  anni  della  vita  (i). 
Nell'elenco  sommario  di  cui,  fra  le  carte  del  Rancati 
conservate  nell'Ambrosiana  di  Milano,  esiste  ancora  la 
copia  adoperata  dal  Rancati  finché  visse  (2),  il  Diurnus  è 
notato  :  A^.  iij  Formularium  Pontificum.  Nella  descrizione 
più  larga  del  Ferrari,  sotto  lo  stesso  n.  117,  il  Diurnus  è 
descritto  cosi:  «  117  in-4°  pergam.  Formularium  pontificum, 
«  Plura  perierunt  tam  in  principio  quam  in  fine,  ideoque 
«  exordium  sumit  a  formula  scribendi  epistolas  episcopo, 
«  praesbiteris,  diaconibus  et  plebi  bis  verbis  ;  Per  charissi- 
«  munì  nostrum  etc,  et  finit  in  formula  cuiusdam  privilegii, 
«  euius  hoc  est  initium:  Cum  in  exarandis  Dei  laudibus,  et 
«  quod  nihilominus  truncum  est  et  explicit  una  cum  codice 
«  bis  verbis  :  quae  regula.  Hic  codex  conscriptus  fuit  Longo- 
«  bardorum  tempore.  Colligitur  ex  formula  privilegii  cuius- 
«  dam  prò  confirmatione  donationis  patrimonii  Alpium  Co- 
((  tiarum  S.  R.  E.  in  qua  fit  mentio  de  quadam  regina 
«  eiusque  filiis  tamquam  prò  tunc  viventibus,  quae  regina 
«  aha  esse  non  potest  ab  ea  quam  Luitprandus  rex  Longo- 
«  bardorum  non  multo  post  dictam  donationem  ab  eo  factam 
«  uxorem  duxit  ut  scribit  Paulus  Diaconus  lib.  6  De  gestis 
((  Longoh.  cap.  43,  licet  ipse  illam  Gualtrudam  nominet 
(c  filiam  Baioariorum  ducis.  Porro  talis  donatio  a  Carolo 
«  Sigonio,  Regni  Italiae  lib.  3,  refertur  in  annum  7i^ideo- 


(i)  Cod.  Chigiano  R,  II,  64.  È  l'esemplare  presentato  dal  Ferrari 
ad  Alessandro  VII.  Una  copia  di  questo  catalogo,  appartenuta  un 
tempo  alla  biblioteca  di  St-Germain-des-Près,  si  trova  ora  alla  bi- 
blioteca Nazionale  di  Parigi  ed  è  il  n.  13075  del  fondo  dei  mss. 
latini.  Da  quella  copia  cavò  il  Montfaucon  la  lista  di  codici  di 
S.  Croce  inserita  alle  pp.  193  e  194  del  tomo  I  della  Bibliotheca 
Mbliothecarum. 

(2)  È  Vlndex  esistente  nell'Ambrosiana  fra  le  carte  del  Ferrari 
citato  alla  p.  precedente,  nota  2,  e  si  trova  riprodotto  innanzi  al  cata- 
logo del  Ferrari  nel   codice  Chigiano  R,  II,  64. 


Storia  esterna  del  «  T)iurnus  »  66^ 

«  que  circa  ea  tempora  videtur  scriptus  codex  iste,  in  quo 
«  insuper  sexta  synodus  dicitur  nuper  celebrata  in  formula 
«  professionis  sive  indiculo  episcopi  et  etiam  Romani  pon- 
«tificis;  synodus  autem  sexta  fuit  absoluta  anno  68 1  et  in 
«  indiculo  episcopi  de  Longobardia  habetur  expresse  quod 
«  liber  scriptus  fuerit  tempore  Longobardorum.  Habet  fol. 
«  n.  99  ».  Lo  stato  attuale  del  codice,  guasto  in  principio 
e  in  fine  per  modo  che  delle  prime  quattro  carte  e  del- 
l'ultima restano  solo  piccoli  brani,  è  presso  a  poco  qual'era 
a  quel  tempo;  basterebbe  a  provarlo  la  segnatura  D.  iiy 
apposta  nel  verso  del  frammento  dell'ultima  carta.  Di  nuovo 
non  v'è  che  la  rilegatura  e  la  carta  di  guardia  aggiunta 
sulla  fine  del  seicento. 

Ed  ora  eccoci  ad  uno  dei  punti  più  importanti,  ma  più 
oscuri  della  storia  del  codice.  Intorno  al  1641  (i)  Luca 
Holste  trova  a  S.  Croce  presso  il  Rancati  il  codice,  lo  tra- 
scrive, e  prepara  su  di  esso  quella  edizione  di  cui  vivo  non 
potè  ottenere  l'approvazione,  e  che  fu  soppressa  dopo  la 
sua  morte.  Sulla  scoperta  dell' Holste,  e  sulla  comunicazione 
ch'esso  ebbe  del  codice  dal  Rancati  corse  una  specie  di 
leggenda,  raccontata  da  tutti  (2),  posta  in  dubbio  dal  solo 


(i)  Il  De  Rozière  crede  che  Holste  scoprisse  il  codice  a  S.  Croce 
verso  il  1644  o  il  1645  ;  il  Sickel  invece  stima  di  poter  riportare 
la  scoperta  al  1641  ;  ed  io  convengo  in  quest'opinione.  Holste  aveva 
molte  occupazioni  e  con  facilità  grande  concepiva  disegni  di  lavori 
che  poi  per  la  forza  delle  cose  era  costretto  a  condurre  innanzi 
lentamente  o  a  lasciare  incompiuti.  Così  è  verosìmile  che  assai 
prima  del  1644  egli  vedesse  per  la  prima  volta  il  codice.  Nel  1641 
cominciò  il  secondo  governo  abbaziale  del  Rancati  in  S.  Croce,  e 
a  quel  tempo  le  relazioni  personali  e  letterarie  di  lui  con  Holste 
erano  già  intime,  come  lo  prova  la  commendatizia  del  Rancati  che 
riferisco  alla  p.  667. 

(2)  Mabillon,  Iter  Ilalicum,  p.  75  ;  Museum  lUilicum,  I,  3$  ;  Besozzi, 
nella  nota  ms.  inserita  neircscmplare  dell'edizione  Holsteniana  che 
esisteva  un  tempo  a  S.  Croce  (Archives  des  tnissions  scientifiquts,  I, 
243,  nota  i);  Fumagalli,  Delle  istituzioni  diplomatiche^  I,  113.  Anche 


666  I.  Giorgi 

Baluze  (i),  da  nessuno  esaminata  seriamente.  Secondo 
questa  leggenda,  narrata  la  prima  volta  dal  Mabillon  nel- 
V Iter  Italicum,  l'Holste,  riconosciuta  l'importanza  del  co- 
dice, avrebbe  chiesto  al  Rancati  di  prestarglielo  (2);  questi 
avrebbe  consentito,  ma  solo  per  pochissimo  tempo,  e  a 
quanto  pare,  per  consultarlo  semplicemente,  non  per  co- 
piarlo. U Hoìste,  furtim,  furtive,  contro  la  fede  data,  avrebbe 
in  una  sola  notte  copiato  tutto  il  codice  egli  stesso  o  fatto 
copiare  da  altri,  da  Leone  Allacci,  dicono  alcuni  (3).  Os- 
servò il  Baluze  e  riconobbe  anche  il  De  Rozière  essere 
materialmente  impossibile  che  il  codice  sia  stato  copiato 
in  una  notte,  ma  nessuno  ha  spinto  più  in  là  l'esame  di 
questo  racconto. 

nell'esemplare  dell'edizione  di  Holste  esistente  nell'Angelica  (H,  9,  2) 
è  una  nota  ms.  che  comincia  così:  «  Liber  diurnus  Romanorum 
«  pontificum  huius  editionis  per  Lucam  Holstenium  fuit  ab  isto  unius 
«  noctis  spatio  furtim  descriptus  ex  antiquissimo  codice  bibliothecae 
«  monasteri!  S.  Crucis  in  lerusalem  quem  Celebris  P.  D.  Hilarion 
«  Rancatus  eiusdem  monasteri!  abbas  ipsi  Holstenio  legendum  com- 
«  modaverat.  Rara  est  haec  editio  etc.  ». 
(i)  De  Roziére,  XLI,  nota  24. 

(2)  «  Studio  igitur  incensus  exscribendi  Libri  (Holstenius),  cuius 
«  praetium  nemo  erat,  qui  penitius  nosset,  a  Rancato  petiit,  ut  sibi 
«  praestantissimum  codìcem  utendum  ad  brevissimum  temporis  spa- 
«  tium  daret.  Rancatus  nonnihil  repugnans  tandem  se  amici  doctis- 
«  simi  precibus  dedidit.  Holstenius  autem  librum,  ut  Mabillonius 
«  aliique  passim  narrant,  una  nocte  describendum  curavit  ».  Zaccaria, 
Dissertano,  cclii. 

(3)  Che  la  copia  del  Diurnus  in  una  notte  sia  stata  fatta  dal- 
l'Allacci  e  non  da  Holste  è  una  variante  della  leggenda  che  s'ap- 
poggia, come  mi  ha  fatto  giustamente  osservare  il  prof.  Sickel,  sopra 
un  errore  di  stampa  incorso  nella  prima  edizione  (1687-89)  del  Museum 
Italicum  e  corretto  nell'edizione  del  1724.  Invece  di  stampare  «  quod 
«  Holstenius  commodato  cum  accepisset  »  si  stampò  «  quod  Allatius 
«  commodato  cum  accepisset».  L'errore  riprodotto  pel  primo  dal  Cave 
nelV Historia  literaria  (I,  621)  è  stato  poi  ripetuto  dal  Fabricio  nella 
Bibliotheca  med.  et  inf.  aetatis  (II,  454)  e  dal  Ginguené  nel  breve  cenno 
della  vita  dell'Allacci  inserito  nella  Biographie  universelle  del  Mighaud. 


Storia  esterna  del  «  l)iiirnus  »  66j 

Il  Rancati,  teologo  e  canonista  di  gran  valore,  consul- 
tato e  ascoltato  come  un  oracolo  durante  i  pontificati  di 
Gregorio  XV,  di  Urbano  Vili,  di  Innocenzo  X  e  di  Ales- 
sandro VII,  era  l'amico  dei  dotti  e  dei  letterati  del  suo 
tempo  (i).  Delle  relazioni  d'amicizia  che  correvano  fra 
lui  e  r  Holste  è  testimonio  la  lettera  seguente  di  racco- 
mandazione del  Rancati  per  F Holste.  In  essa,  caso  singolare, 
si  tratta  di  codici  che  l'Holste  desiderava  di  vedere  a  Ca- 
maldoli  e  dei  quali  il  Rancati  stesso  gli  aveva  dato  l' indi- 
cazione (2). 

Revmo  pre  prone  mio  Cor° 

Il  sig""^  Luca  Holstenio  gentilhuomo  e  bibliothecario  del  sig''^ 
card^®  Barberino  per  la  sua  singolare  eruditione  stimatissimo  in 
questa  Corte  se  ne  viene  a  Camaldoli  per  vedere  in  cotesta  libreria 
alcuni  manoscritti,  de'  quali  io  li  ho  dato  notizia.  Prego  la  V.  P^^ 
Rev™*  acciò  con  particolare  carità  e  cortesia,  oltre  a  quella  che  con 
tutti  si  suole  abbondantemente  usare  in  cotesto  luogo,  li  voglia  es- 
sere liberale  dell'hospitio  et  ogni  altra  commodità  per  il  tempo  che 
gli  occorrerà  dimorarvi,  che  oltre  al  beneficio  che  ella  farà  alle 
buone  lettere  obligarà  sommamente  ancor  me,  il  quale  porto  sin- 
goiar osservanza  e  venerazione  a  questo  gentilhuomo.  Né  occor- 
rendomi altro  la  riverisco.  Di  Roma  li  26  giugno  1641. 
Di  V.  Pti  Revma 

Devotiss°  Ser""* 
D.  HiLARiONE  Rancati. 
Al  Rev'"^  P"-*  Prone  mio  Col^^^ 
Il  P""*^  maggiore  di  Camaldoli. 


(i)  Narra  il  Ferrari  in  una  notizia  biografica  di  lui  che  trovasi 
nel  codice  Ambrosiano  B.  S.  VI.  io  (voi  XIX  delle  carte  del  Rancati) 
ch'esso  avesse  due  voti  nel  conclave  in  cui  fu  eletto  Alessandro  VII, 
e  che  gli  antiquari,  o  come  diremmo  noi  i  ciceroni,  gli  conducessero 
i  principi  stranieri  «  per  la  curiosità  di  veder  un  huomo  tanto  nomi- 
«  nato  ».  E  il  Fumagalli,  nella  citata  Vita  del  Rancati  (p.  144),  riferisce 
sulla  fede  di  Raimondo  Besozzi  che,  udito  della  morte  del  Rancati, 
Alessandro  VII  esclamasse:  «  Extincta  est  lucerna  Urbis  et  Orbis  ». 

(2)  Ho  trovato  una  copia  di  questa  lettera  nella  biblioteca  Val- 
licelliana,  nel  voi.  CLIV  delle  carte  dell'Allacci. 


66S  L  Giorgi 

Questa  lettera  prova,  non  solo  ramicizla  del  Rancati 
per  THolste,  ma  l' impegno  che  il  primo  metteva  per  aiutar 
l'altro  nelle  sue  ricerche  erudite.  Ora  si  può  credere  che  il 
Rancati,  il  quale  tanto  s'adoperava  per  aprire  al  dotto  te- 
desco amico  suo  le  porte  delle  altre  biblioteche,  gli  chiu- 
desse in  faccia  quella  della  propria  ? 

Il  prestito  dei  codici  era  allora  cosa  abbastanza  comune, 
cosicché  non  si  può  pensare  ch'egli  avesse  difficoltà  di 
privarsi  per  qualche  tempo  del  Diurnus  per  favorire  l'a- 
mico suo.  Piuttosto  è  da  cercare  se  non  possano  esservi 
state  ragioni  speciali  per  negare  o  limitare  quanto  al  tempo 
e  al  modo  la  comunicazione  del  codice.  Il  punto  difficile 
è  qui.  Nel  1^41  poteva  il  Rancati  avere  intorno  ad  una 
futura  edizione  del  codice  i  sospetti,  i  dubbi  e  le  difficoltà 
che  sorsero  verso  il  1650  e  determinarono  tanti  anni  dopo 
la  soppressione  ?  Non  lo  credo. 

Nell'elenco  sommario  del  Rancati,  nel  catalogo  più 
largo  del  Ferrari  il  codice  è  chiamato  sempre  Formiilarlum 
Pontificum.  Raccolta  delle  formole  che  usavano  anticamente  i 
pontefici  romani  (i),  chiama  il  dotto  gesuita  Sirmond  l'altro 
codice,  ora  perduto,  de'gesuiti  del  collegio  parigino  di  Cler- 
mont.  L'applicazione  del  nome  di  Diurnus  o  meglio  l'iden- 
tificazione del  testo  contenuto  nei  codici  di  S.  Croce  e  di 
Clermont  colla  raccolta  ufficiale  citata  nelle  collezioni  cano- 
niche col  nome  di  Diurnus  è  opera  dell'  Holste  (2)  o  deve 


(i)  In  una  lettera  al  P.  Terenzio  Alciati  della  C.  d.  G.  dei 
14  agosto  1635,  che  si  trova  a  p.  681  del  voi.  IV  delle  opere  del 
Sirmond. 

(2)  È  questo  un  punto  assai  importante,  forse  il  più  importante 
della  storia  degli  studi  sul  Diurnus.  Il  Sirmond  conosceva  il  formu- 
lario pel  codice  che  ne  possedeva  la  biblioteca  domestica  dei  ge- 
suiti del  collegio  di  Clermont  e  aveva  concepito  e  partecipato  al 
cardinale  Cobelluzzi  il  disegno  di  pubblicarlo,  ma  non  sapeva  che 
fosse  la  raccolta  ufficiale  citata  dai  canonisti  col  nome  di  Diurnus. 
Solo  all'Holste,  il  quale  s'era  occupato  di  Deusdedit,  potè  balenare 


Storia  esterna  del  <(  ^iurnus  »  66<) 

datare  dal  tempo  degli  studi  di  lui  sul  codice  di  S.  Croce. 
E  da  quel  tempo  cominciano  le  diffidenze:  prima  d'allora 
nulla.  Nel  i6i6  il  Sirmond  promette  al  cardinale  Cobel- 
luzzi  (i)  un'edizione  delle  formole  del  codice  di  Clermont; 
nel  1635  il  Sirmond  stesso  scrivendo  al  P.  Terenzio  Alciati 
parla  senza  ritegno  del  celebre  passo  relativo  alla  condanna 
d'Onorio  che  motivò  poi  la  soppressione  dell'edizione  di 
Holste  (2).  Ma  più  tardi  è  dallo  stesso  Sirmond  che  comin- 
ciano gU  scrupoH  e  i  dubbi,  quando  il  formulario,  di  cui  si 

il  pensiero  della  identità  del  Diurnus  coi  formulari  contenuti  nei  codici 
di  Parigi  e  di  Roma.  Quanto  fermo  fosse  Holste  nella  persuasione 
di  questa  identità  lo  prova  la  lettera  seguente  colla  quale  egli  inviò 
a  Pietro  De  Marca,  arcivescovo  di  Tolosa,  alcuni  fogli  del  Diurnus.  Il 
De  Rozière  parla  di  quest'  invio,  ma  non  conosce  la  lettera  di  cui  io  ho 
trovato  la  minuta  autografa  alla  Barberiniana  (cod.  XXXI,  64)  e  una 
copia  più  recente  nellaVallicelliana  fra  le  carte  dell'Allacci  (voi.  CLIV). 
La  lettera  non  ha  data,  ma  dalla  risposta  del  De  Marca,  esistente 
pure  in  copia  in  quel  volume  delle  carte  Allacciane  e  che  è  dell'ot- 
tobre 1660  e  allude  al  ricevimento  della  lettera  di  Holste  nell'aprile, 
è  certo  che  fu  scritta  anch'essa  nel  1660.  Holste  scrive  così  al  dotto 
arcivescovo,  col  quale  entrava  allora  in  corrispondenza:  «  Mitto  etiam 
«  veteris  formularli  quod  nunc  excuditur  capita  nonnulla  ex  quibus 
«  perspicies  Inter  quotidianas  et  frequentes  literarum  pontifìciarum 
((  formulas  monasteriorum  quoque  exemptiones  comprehendi.  Diur- 
«  nus  ille  solemnis  olim  Ecclesiae  Romanae  liber  Gregorii  M.  tem- 
«  pora  antecedit  cuius  literac  complures  hac  forma  scriptae  extant,  ut 
«  videre  est  lib.  8,  ep.  63  et  lib.  4,  epist.  20  et  21,  ubi  infine  ad- 
«  ditur  et  celerà  secundum  morem.  Earum  autem  epistolarum  for- 
«  mulae  integrae  in  hoc  libro  extant.  Privilegia  autem  monasterio- 
«  rum  eidem  libro  adiuncta  Gregorii  aetate  in  usa  fuisse  scriniariis 
«  Ecclesiae  Romanae  testantur  formulac  quae  marmori  insculptae 
"  nunc  quoque  in  ecclesia  SS.  Ioannis  et  Pauli  atque  alibi  supersunt. 
'(  Verum  haec  prolixe  in  observationibus  ad  librum  illuni  explico  quas 
"  nunc  excudi  curo  et  brevi  ad  te  mittam.  Ioannis  IV  decretum  ad 
«  rem  tuam  facturum  existimavi.  De  aliis  similibus  proximc  copiosius 
«  scribam,  ne  desidcrium  tuum  inani  dilatione  nunc  suspcnsum  te- 
«  neam.  Vale  ». 

(i)  Sirmond,  O^era,  IV,  651-652. 

(2)  Lettera  del  Sirmond   citata  alla  p.  precedente,  nota  i. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  W.  1  1 


6^0  L  Giorgi 


poteva  prima  discutere  se  fosse  o  no  ufficiale,  è  statò  iden- 
tificato col  Dìurnus  Romanorum  pontificum  citato  da  Deusde- 
dit.  L'Holste  che  a  Parigi  doveva  aver  già  veduto  il  codice 
di  Clermont  (i),  trovato  e  copiato  il  codice  Rancati,  scrive 
e  fa  scrivere  dal  cardinal  Barberini  al  Sirmond  (12  e  19  no- 
vembre 1^4^)  (2)  pregandolo  di  supplire  con  quel  codice 
alle  lacune  di  quello  del  Rancati,  del  quale  gU  manda  l'in- 
dice delle  rubriche.  Pregato  in  tal  modo,  il  Sirmond  ri- 
sponde al  cardinal  Barberini  (^  decembre  16^6)  (3)  che 
mandava  e  manda  di  fatto  a  Roma  alFHolste  il  codice  di 
Clermont.  Però  nella  lettera  stessa  colla  quale  partecipa  al 
cardinale  l'invio  del  codice  soggiunge;  «  iamque  cum 
«  sororis  eius  filio  (P.  Lambeck)  qui  hic  est  condixeram  ut 
«  Romam  pergens  ad  avunculum  deferret,  sed  ea  lege  ut 
<(  ad  me  postea,  quod  facturum  confido,  re  confecta,  hoc 
((  est  peracta  collatione,  remittat.  Neque  enim  eam  men- 
«  tem  D.  Holstenio  esse  puto  utinlucem  edat  ».  Cosicché 
se  da  una  parte  abbiamo  l'atto  generoso  e  cortese  del- 
l' invio  immediato  del  codice,  dall'altra  si  tradisce  il  timore 
di  una  possibile  pubblicazione  di  esso. 

In  un'  altra  lettera  diretta  dal  Sirmond  all'Holste  e  che 


(i)  De  Roziére  (Introd.  xlii)  crede  che  Holste  avesse  notizia 
del  codice  di  Clermont  da  Pietro  Lambeck  suo  nipote,  ma  è  più 
probabile  l'opinione  del  Sickel  (Prolegomena,  I,  46,  nota  i),  il  quale 
non  trovando  traccia  di  ciò  nella  corrispondenza  finora  nota  fra 
Holste  e  Lambeck,  ritiene  che  ne  avesse  conoscenza  già  da  prima. 
Holste  era  già  stato  a  Parigi  ed  era  in  strette  relazioni  coi  dotti 
francesi.  Veggasi  intorno  a  queste  relazioni  la  interessante  memoria 
del  mio  dotto  amico  Leon  G.  Pélissier,  Lès  amis  d'Holstmius,  nei 
Mélanges  d' archeologie  et  d'histoire  publiés  par  l'École  frangaise  de  Rome, 
tom.  VIIL 

(2)  Lettera  di  Holste  al  Sirmond  nella  raccolta  del  Boissonade: 
LucAE  HoLSTENii  Epistolae  ad  diversos,  n.  lxxvii.  Lettera  del  car- 
dinale Barberini  al  Sirmond  nel  voi.  IV,  p.  685,  delle  Opera  del 
Sirmond. 

(3)  Lettera  del  Sirmond  al  card.  Barberini  al  voi.  IV,  p.  686. 


Storia  esterna  del  a^iurnus))  6ji 

deve  appartenere  a  tempo  alquanto  posteriore,  la  premura 
del  dotto  gesuita  per  impedire  un'edizione  del  Ditirnus  è 
a^che  più  palese.  In  questa  non  cela  la  maraviglia  e  la 
preoccupazione  sua  nel  vedere  ricordata  la  condanna  di 
Onorio  nella  formola  di  professione  di  fede  del  pontefice 
nuovamente  eletto,  e  dichiara  che  per  questa  sola  ragione 
s'astenne  egli  stesso  dal  farne  la  pubblicazione  promessa 
al  card.  Cobelluzzi.  «  Haec  una  me  potissimum  causa  de- 
«  terruit  »  (i). 

Questi  scrupoli  e  questi  timori  nascevano  dalla  condi- 
zione speciale  in  cui  si  trovava  il  Sirmond  per  gli  studi 
fatti  e  pel  possesso  del  codice  di  Clermont.  A  Roma,  invece, 
nessuno  a  quel  tempo  poteva  aver  difficoltà  o  far  riserve 
per  lo  studio  di  quel  codice  sconosciuto  di  formole,  molto 
meno  il  Rancati,  il  quale  era  amico  dell' Holste  e,  come  lo 
prova  il  lunghissimo  elenco  de' suoi  scritti  e  la  sua  corri- 
spondenza, non  s'era  mai  occupato  delle  formole  della  can- 
celleria pontificia.  Il  racconto  dunque  della  riluttanza  del 
Rancati  a  prestare  il  codice  all' Holste,  della  concessione  di 
studiarlo  per  poche  ore  e  della  copia  in  una  notte  è  una 
storiella  domestica  messa  fuori  per  salvare  la  responsabilità 
del  Rancati  quando  del  permettere  o  no  la  pubblicazione 
dell'edizione  Holsteniana  si  fece  a  Roma  una  vera  questione. 

A  tanta  distanza  di  tempo  e  dovendo  giudicare  solo  da 
sparsi  frammenti  di  corrispondenze  (2)  le  relazioni  di  quei 


(i)  Lettera  del  Sirmond  ad  Holste  senza  data,  pubblicata  da 
Zaccaria,  Dissertano,  p.  cclxxii.  Il  De  Roziòre  la  crede  contempo- 
ranea air  inviò  del  codice  :  io  la  ritengo  d'alquanto  posteriore,  poiché 
dal  contenuto  non  pare  sia  un'accompagnatoria  del  codice. 

(2)  Io  credo  che  la  cautela  di  coloro  che  ebbero  l'incarico  di 
ordinare  gli  scritti  e  le  corrispondenze  degli  eruditi  cattolici  del  se- 
colo XVII  dopo  la  loro  morte,  e  la  riservatezza  anche  maggiore  degli 
antichi  editori  dei  loro  epistolari,  ci  abbia  privato  forse  per  sempre  dei 
migliori  documenti  intorno  alle  questioni  più  delicate  della  loro  vita 
e  della  loro  operosità  scientifica.  E  poi  il  formalismo  dominante  nel 


6^2  I.  Gìorf^i 


dotti,  non  è  possibile  asserire  nulla  con  certezza;  ma  io 
credo  che  le  difficoltà  le  quali  finirono  per  determinare 
la  soppressione  vennero,  non  da  Roma,  ma  da  Parigi  e 
furono  suggerite  dallo  stesso  Sirmond.  Il  quale  vedendo 
che  malgrado  i  suoi  consigli  si  preparava  l'edizione  del 
DiurmiSy  deve  aver  dato  l'allarme  e  svegliati  i  sospetti  della 
curia. 

Il  tramite  pel  quale  si  diffuse  la  leggenda  della  copia  in 
una  notte  dev'essere  stato  il  racconto  del  Mabillon,  e  questi 
non  può  averlo  avuto  da  altri  che  dai  monaci  di  S.  Croce. 
Quando  Mabillon  andò  a  S.  Croce  1'  Holste  e  il  Rancati 
eran  morti  da  più  anni,  ma  il  ricordo  della  soppressione 
dell'edizione  di  Holste  durava,  anzi  s'era  ravvivato  per  la 
disapprovazione  con  cui  la  curia  aveva  accolto  la  nuova 
edizione  del  Diurmis  fatta  dal  Garnier  sul  codice  di  Cler- 
mont.  Era  dunque  spiegabile  la  gelosia  dei  cisterciensi  nel 


seicento,  il  sentimento  religioso,  il  rispetto  profondo  per  la  suprema 
autorità  della  Chiesa  e  i  vincoli  di  amicizia  che  esistevano  fra  molti  di 
quegli  eruditi  dovevano  legar  loro  le  lingue  e  le  penne,  e  intorno  a 
certe  questioni  imporre  molti  riguardi  e  reticenze.  Holste,  Sirmond,  il 
cardinal  Bona,  autore  del  giudizio  pel  quale  fu  soppressa  l'edizione 
Holsteniana,  Rancati,  erano  in  strette  relazioni  letterarie  e  personali 
fra  loro  e  cogli  altri  dotti  d'Europa;  ma  nelle  loro  lettere,  almeno 
in  quelle  che  ci  son  pervenute,  si  cercherebbero  invano  notizie  espli- 
cite intorno  all'andamento  di  cosa  cosi  delicata  come  la  soppres- 
sione del  Diurnus.  Oltre  agli  epistolari  a  stampa  del  Sirmond,  del- 
l'Holste  e  del  Bona,  ho  consultato  i  manoscritti  e  le  lettere  di  Holste 
esistenti  alla  Barberiniana  e  alla  Chigiana,  quelli  sparsi  nelle  carte 
dell'Allacci  conservate  nella  Vallicelliana,  ho  esplorato  minutamente 
i  grossi  volumi  della  corrispondenza  del  Rancati  che  sono  all'Am- 
brosiana di  Milano,  ma  ben  poco  m'è  riuscito  di  trovare  oltre  i  do- 
cumenti già  noti  al  Zaccaria  e  al  De  Rozière.  Speravo  bene  da  una 
ricerca  nell'archivio  del  Collegio  Austriaco  dell'Anima  in  Roma 
dove  Holste  morì  e  nella  chiesa  del  quale  ebbe  sepoltura,  ma  alle 
replicate  richieste  fatte  per  me  dal  prof.  Sickel  si  è  sempre  risposto 
che  l'archivio  non  conteneva  alcun  ms.  di  Holste  o  documento  re- 
lativo ad  esso. 


Storia  esterna  del  ((^turnusn  ^73 

custodire  e  quasi  nell'occultare  il  codice  (i)  e  l'artifizio  di 
mettere  in  bocca  al  Mabillon,  che  l'avrebbe  diffusa  per  tutto 
il  mondo  erudito,  la  strana  storia  che  scagionava  la  me- 
moria del  Rancati  da  ogni  accusa  d'imprudenza. 


Colle  ricerche  precedenti  ho  tentato  di  rifare  la  storia 
moderna  del  codice;  ora  è  da  indagare  da  dove  proveniva 
quando  venne  nelle  mani  del  Rancati.  E  questa  non  è  la 
parte  men  difficile  delle  mie  indagini. 

Verso  l'anno  1^41  il  codice  si  trova  già  fra  i  mss.  pos- 
seduti dal  Rancati.  Il  catalogo  illustrato  di  que'  mss.  com- 
pilato nel  1664  dal  Ferrari  ne  registra  172,  notando  le 
provenienze  di  alcuni,  ma  non  dice  nulla  di  quella  del  For- 
mularium  pontificum  che  è  al  n.  117  (2).  Dalle  poche  indica- 
zioni delle  antiche  provenienze  date  dal  Ferrari  e  più  da 
una  osservazione  minuta  dei  segni  esteriori  dei  mss.  di 
S.  Croce  che  furono  già  del  Rancati,  si  può  stabilire  che 
essi  venivano  da  cinque  monasteri:  1°  S.  Silvestro  di  No- 
nantola,  2°  San  Salvatore  di  Settimo  (Firenze),  3°  S.  Mar- 
tino de'  Bocci  (Parma),  4°  S.  Maria  di  Casamari  (Veroli), 
5°  S.  Anastasio  ad  Aquas  Salvias  (Roma).  I  codici  venuti 
da  S.  Anastasio  e  da  Casamari  son  pochissimi  di  numero  e 
non  antichissimi;  quelli  di  S.  Martino  de'  Bocci,  alquanto 


(i)  Si  rammenti  la  riserva  del  Mabillon  nel  parlare  del  modo 
con  cui  rinvenne  il  codice  romano  del  Diunius  e  la  frase  della  let- 
tera di  D.  Michel  Germain  a  Claudio  Bretagne  citata  dal  De  Ro- 
ziÉRE  (Introd.  CLin)  e  pubblicata  dal  Valéry  nella  Correspondance 
inèdite  de  Mabillon  et  de  Montfaucon  avec  V  Italie  (ly  205):  «  Nous  avons 
«  pris  tout  ce  que  nous  avons  voulu  à  Sainte-Croix  en  Jérusalcm, 
«  oìi  nous  avons  trouvé  trés  secrétement  un  Diurnus  romanus  an- 
te cien  de  huit  cent  ans  où  il  y  a  huit  ou  neuf  piòces  nouvelles  ». 

(2)  Veggasi  a  p.  664  la  descrizione  del  codice  data  dal  Ferrari. 


6j4  I.  Giorgi 

numerosi,  son  tutti  d'epoca  relativamente  recente.  I  codici 
di  Settimo  sono  9  e  vanno  dal  ix  al  xiv  secolo  :  ma  nella 
storia,  del  resto  poco  nota,  di  quel  monastero  (i)  non  v'  ha 
nulla  che  possa  aver  relazione  colla  presenza  là  di  un  codice 
cosi  singolare  come  il  Diurnus.  Poiché  non  v'è  probabilità 
alcuna  che  il  Diurnus  possa  appartenere  ad  una  di  queste 
quattro  provenienze,  rimane  da  cercare  se  può  esser  venuto 
da  Nonantola. 

I  codici  che  nel  principio  del  secolo  xvii  trovavansi 
ancora  in  quel  celebre  monastero  passarono  pressoché 
tutti  (2)  nella  raccolta  Rancati,  della  quale  costituirono 
il  nucleo  principale  e  più  importante.  Ve  n'era  tra  essi  un 
buon  numero  di  preziosi  per  l'antichità  e  pel  contenuto,  e 
non  pochi  di  quel  gruppo  scampati  alle  posteriori  disper- 
sioni e  rimasti  fino  ai  giorni  nostri  a  S.  Croce  sono  ora 
custoditi  nella  biblioteca  Nazionale  Vittorio  Emanuele.  Co- 
sicché v'é  già  una  ragionevole  presunzione  per  credere  che  il 
Diurnus  appartenga  alla  stessa  provenienza  degli  altri  codici 
antichi  e  preziosi  della  raccolta  Rancati.  Tale  presunzione 
non  può  acquistare  valore  di  prova  se  non  é  accompagnata 
da  indizi  più  sicuri;  questi  sono  da  cercare  nella  storia  della 
badia  Nonantolana. 

Nell'anno  885,  narrano  gli  annali  di  Fulda  (3),  il  ponte- 
fice Adriano  III,  invitato  a  recarsi  in  Francia  dall'  imperatore 
Carlo  il  Grosso,  il  quale,  come  ne  corse  la  fama,  voleva 
servirsi  dell'autorità  di  lui  per  deporre  alcuni  vescovi  e  per 
far  dichiarare  erede  del  trono  il  figlio  Bernardo  natogli  da 
una  concubina,  partì  da  Roma  e,  passato  il  Po,  venne  a  morte 
e  fu  sepolto  a  Nonantola.  Nel  Likr  Pontificalis  manca  affatto 

(i)  Cf.  Nic.Baccetii  Septimianae  hisioriae  libri  VII;  Roma,  1724. 

(2)  Oltre  qualche  codice  liturgico,  restò  a  Nonantola,  dove  tuttora 
si  conserva,  il  codice  miscellaneo  che  contiene  la  Vita  Adriani  1, 
della  quale  parlerò  in  seguito. 

(3)  Annahs  Fuldenses,  par.  V,  p.  402  (nel  voi.  I  dei  Mon.  Gemi, 
insù). 


Storia  esterna  del  «  T)hirnus  »  675 

la  vita  di  Adriano  III,  ma  in  quella  del  successore  Ste- 
fano VI  si  dice  che  questi  fu  eletto  «  defuncto  recordandae 
«  memoriae  Hadriano  papa  super  fluvium  Scultenna  in  villa 
«  quae  Viulzachara  nuncupatur».  Dagli  scarsi  cenni  di  queste 
due  fonti  si  ricava  cosi  che  verso  T  agosto  dell'  885 
Adriano  III,  il  quale  era  in  viaggio  verso  la  Francia,  mori 
a  Viulzacara,  nome  longobardo  del  borgo  chiamato  ora 
S.  Cesario,  presso  il  fiume  Panaro,  ed  ebbe  sepoltura  nel 
vicino  monastero  di  Nonantola  (i). 

Di  questo  avvenimento,  del  quale  però  ignoriamo  quasi 
tutti  i  particolari,  era  naturale  che  s  impadronisse  presto  la 
leggenda.  Era  già  singolare  il  caso  che  i  funerali  di  un  pon- 
tefice venissero  celebrati  lontano  da  Roma  e  dalla  basiUca 
Vaticana  dove  riposavano  quasi  tutti  i  suoi  predecessori;  più 
singolare  ancora  era  che  il  pontefice,  il  quale  veniva  a  chie- 
dere a  Nonantola  l'ospitalità  del  sepolcro,  portasse  il  nome 
stesso  di  quell'Adriano  I  che  aveva  cooperato  alla  fondazione 
di  Nonantola,  concedendole  le  reliquie  di  S.  Silvestro  (2)  e 
confermando  coli' autorità  sua  le  concessioni  del  re  Astolfo 
per  le  quali  la  badia  Nonantolana  non  tardò  a  divenire  la 
più  ricca  e  magnifica  d'Italia.  L'uguaglianza  del  nome,  le 
relazioni  dei  due  Adriani  con  due  imperatori  franchi  che 
ebbero  nome  Carlo,  la  fama  dei  miracoli  e  il  culto  che  eb- 
bero ambedue  condussero,  e  presto,  a  scambiare  Adriano  III 
con  Adriano  I.  È  naturale  che  l' immaginazione  dei  monaci, 
sempre  avida  di  quello  che  tornava  a  più  grande  onore  del 
monastero,  non  s'accontentasse  di  credere  che  il  pontefice 
Adriano  sepolto  nella  basilica  Nonantolana  fosse  il  III,  che 
ebbe   pontificato  cosi   breve  e  cosi   scarso   d'avvenimenti 

(i)  Veggasi  la  carta  topografica  del  territorio  del  monastero 
Nonantolano  unita  al  voi.  I  della  Storia  dclV augusta  Badia  di  S.  Silvestro 
di  Nonantola  del  Tiraboschi. 

(2)  Cf.  la  Vita  Anselmi  abbatis  Nonantulani  a  p.  567  e  segg.  degli 
Scriptores  rerum  Langobardicarum  et  Jtalicarum  saeculi  vi-ix  nella  serie 
in-4"  dei  Mon.  Germ.  hisL 


^7^  I'  Giorgi 


degni  di  memoria  da  esser  quasi  dimenticato  dal  Liher  Fon- 
tificalis.  Perchè  non  avrebbe  dovuto  essere  invece  Adriano  I, 
che  ebbe  regno  così  lungo  e  così  ricco  di  fatti  memorandi, 
che  era  venerato  come  un  santo  e  che,  per  soprappiù,  era 
stato  singolare  benefattore  di  Nonantola? 

Sorta  così  nell'immaginazione  dei  monaci  e  fermata 
negli  animi  loro  e  degli  abitatori  de'  luoghi  vicini  la  cre- 
denza che  il  papa  Adriano  sepolto  a  Nonantola  e  venerato 
da  loro  come  santo  fosse  Adriano  I,  non  si  doveva  tardar 
molto  a  dar  forma  letteraria  a  quella  domestica  e  popolare 
leggenda.  Infatti  già  in  un  codice  Nonantolano  dell'xi  se- 
colo (i)  -  ne  è  improbabile  che  ne  esistessero  in  altri  più 
antichi  -  troviamo  due  pretese  vite  di  Adriano  I,  una  in 
prosa,  che  è  quella  pubblicata  dal  Mabillon  nel  Museum 
Italicum  (2),  l'altra  in  versi,  che  fu  edita  in  parte  dal- 
rUghelU  (3).  La  vita  poetica  è  un  rozzo  panegirico  pieno  di 
generalità  e  non  contiene  nulla  che  non  si  ritrovi  in  quella 
in  prosa;  questa,  formata  in  gran  parte  di  documenti,  è  un 
testo  veramente  notevole  e  che  ha,  a  parer  mio,  non  poco 
interesse  per  la  storia  del  Diurnus.  Ne  espongo  il  con- 
tenuto. 

Dopo  l'intitolazione  :  Incipit  vita  et  textus  epistQÌarum 
Adriani  I  papae  antiquae  Romae,  la  vita  comincia  colla  breve 
notizia:  «  Adrianus  igitur  natione  Romanus  ex  patre  Theo- 
«  doro  et  regione . . .  Via  Lata  sedit  annos  .xxiii.  men- 
«  ses  .X.  dies  .xvi.  Hic  igitur  domno  Stephano  papa  rebus 


(i)  Veggasi  la  descrizione  di  questo  codice  in  una  nota  alla  pre- 
fazione della  Vita  Anselmi  cìtSitSL  ora  e  neW  Ikr  Italicum  dal  Pflugk- 
Harttung,  p.  65.      ~ 
.  (2)  I,  38. 

(3)  Italia  sacra,  II,  92.  Intorno  a  queste  due  vite  e  allo  scambio 
di  Adriano  III  con  Adriano  I  veggasi  il  Tiraboschi  a  p.  76  del 
voi.  I  della  Storia  di  Nonantola.  Egli  riassume  quanto  avevano  detto 
prima  di  lui  su  quell'argomento  l'Ughelli,  il  Pagi,  il  Muratori  e  il 
bollandista  Sollier. 


Storia  esterna  del  «  T)inrniis  »  ^77 

«  humanis  exempto  ad  ordinem  episcopatus  communi  con- 
«  cordia  omnium  clericorum  ac  populorum  electus  est  sicut 
((  eorum  decretum  demonstrat  quod  ita  se  habet  »  :  seguono, 
tratti  dal  Dinrmis,  il  decretum  che  è  la  formola  LXXXII 
dell'ed.  De  Rozière,  e,  ricollegati  da  brevi  frasi  narrative, 
Yindiculum  (form.  LXXXIII),  la  prima  professione  di  fede 
(form.  LXXXIV)  e  la  seconda  (form.  LXXXV).  A  queste 
formole  succedono  una  succinta  relazione  delle  molestie 
recate  da  re  Desiderio  alla  Santa  Sede,  della  chiamata  di 
Carlo  Magno,  della  caduta  del  regno  longobardo,  dell'o- 
rigine dell'eresia  degl'iconoclasti  e  del  secondo  concilio 
Niceno,  riferendo  a  proposito  di  questo  la  divalis  sacra  di 
Costantino  e  d'Irene  ad  Adriano  I  e  la  risposta  di  questi. 
La  vita  si  chiude  con  questo  passo,  che  riferisco  testual- 
mente perchè  costituisce  la  parte  veramente  originale  del 
racconto  : 

Hic  etiam  cum  ad  regem  Carolum  pergeret,  ut  veterum  pandit 
memoria,  in  locum  qui  Spinum-Lamberti  vocatur,  vitamfinivit  .vili.  id. 
iulii,  et  ad  ecclesiam  monasteriumque  beati  Silvestri,  quod  Nonan- 
tula  dicitur,  perductus,  honorifice  sepultus  est:  ubi  etiam  usque  hodie 
miraculis  coruscare  dignoscitur.  Cuius  morte  Carolus  Francorum  rex 
audita,  nimium  condoluit,  diuque  se  in  lamentis  dedit.  Nam  ab  ipso 
Romanorum  patricius  constitutus  fuerat,  regnumque  Italiae  ipso  fa- 
vente  susceperat.  Cantores  etiam  doctoresque  ecclesiae  ab  eo  susce- 
perat,  et  in  Metensium  urbe  constituerat,  cuius  ecclesiae  cantores 
usque  hodie  Romanae  Ecclesiae  plus  ceteris  Gallis  in  cantu  concordant. 

Sepulto  itaque  summo  pontifice  et  universali  papa  Adriano  apo- 
stolicis  infulis  involuto,  uti  mos  est  Romanum  scpelire  episcopum, 
in  praedicto  Nonantulo  monasterio,  sicut  superius  praelibati  sumus, 
scptem  de  iam  dicto  coenobio  diaconi  et  monachi  stolidissiraum 
consilium  rcpercrunt  dicentes:  quid  huic  sancto  et  animae  defuncti 
prodest,  quod  tantae  pulcrae  vestes  marcescunt  terreno  humore? 
Melius  certe  esset,  si  haec  sancta  ecclesia  illis  honorem  haberet. 
Ideo  hac  veniente  nocte  omnes  simul  ad  sepulcrum  eius  pergamus, 
et  lucidis  ac  coruscis  vestibus  eum  exuamus  et  vilioribus  vestibus 
induamus.  Luce  igitur  discedente,  et  tenebris  tcrram  obumbrantibus 
omnes  ad  monumcntum  cuntcs,  eum  cum  silentio  descpclicrunt,  et 
vestimenta  eius  arripuerunt.  Et  ut  kicidius  et  apertius  hoc  ab  omnibus 


6^8  I.  Giorgi 


credatur,  adhuc  unam  pulcram  planetam,  quam  crassantes  ei  abstu- 
lerunt,  in  nostro  monasterio  habemus.  Sed  ut  animi  simìlium  de  tali 
facìnore  contabescant,  hoc  in  ventate  scimus,  quia  nullus  evasit  im- 
punitus.  Omnis  namque  ille  furiosus  tumultus  in  eodem  anno  suae 
vitae  finivit  cursus,  nisi  tantummodo  unus. 

Di  quali  fonti  principalmente  si  sia  servito  il  monaco 
Nonantolano  il  quale  compilò  questa  Vita  non  è  difficile 
fino  ad  un  certo  punto  di  stabilire.  L'esordio  è  tratto  dal 
Liber  Pontificalis  o  da  un  catalogo  di  pontefici  con  cenni 
biografici  presi  dal  L.  P.;  le  quattro  formole  dal  Diurnus; 
il  breve  racconto  della  chiamata  di  Carlo  Magno  e  della 
fine  del  regno  longobardo  dalla  Vita  Karoli  di  Einhardo; 
la  lettera  di  Costantino  e  d'Irene,  la  risposta  d'Adriano  e 
tutto  quel  che  riguarda  gì'  iconoclasti  dagli  atti  del  secondo 
concilio  di  Nicea;  i  cenni  intorno  alla  morte,  ai  funerali  e 
alla  profanazione  della  tomba  dalla  tradizione  locale  mista 
di  storia  e  di  leggenda. 

Che  alla  compilazione  dell'esordio  abbia  servito  il  Liber 
Pontificalis  nel  suo  testo  intero,  ovvero  un  catalogo  di  pon- 
tefici, è  una  questione  legata  a  quella  della  buona  o  cattiva 
fede  del  compilatore.  Se  questi  aveva  sott'occhio  la  breve 
notizia  biografica  d'Adriano  I  contenuta  in  un  catalogo  di 
pontefici,  l'uso  fattone  può  conciliarsi  perfettamente  col- 
l'assunto  preso  in  buona  fede  di  dar  forma  letteraria  alla 
tradizione  domestica,  riunendo  insieme  tutte  le  fonti  di  cui 
poteva  disporre.  Se  però  aveva  a  mano  il  testo  intero 
della  Vita  di  Adriano  I  quale  si  trova  nel  Liber  Pontificalis, 
la  mala  fede  è  evidente  e  inescusabile.  Come  poteva  as- 
serirsi che  Adriano  I  fosse  morto  a  Spilamberto  e  sepolto 
a  Nonantola  da  chi  aveva  innanzi  la  lunga  Vita  del  pon- 
tefice nella  quale  è  detto  chiaramente  che  esso  mori  a 
Roma  e  fu  sepolto  in  San  Pietro  ì 

Io  inclino  a  credere  che  il  compilatore  abbia  adoperato 
un  catalogo  e  sia  stato  in  piena  buona  fede.  Oltreché  nei 
diversi  inventari  dei  codici  di  Nonantola  non  appare,  che 


Storta  esterna  del  «  Diurnus  »  ^79 

io  sappia,  un  Liber  Pontificalis,  -  e  questo  non  sarebbe  argo- 
mento decisivo  come  dimostrerò  in  seguito  parlando  del 
Diurnus  -  pel  racconto  della  chiamata  di  Carlo  e  della  scon- 
fìtta di  Desiderio  non  sarebbe  stato  costretto  a  ricorrere 
ad  una  fonte  straniera^  la  Vita  Karoli  scritta  da  Einhardo. 

Dell'uso  fatto  dall'anonimo  compilatore  degli  atti  del 
secondo  concilio  di  Nicea  non  è  qui  il  luogo  di  parlare;  che 
il  cenno  relativo  a  Carlo  Magno  e  a  Desiderio  sia  un  con- 
ciso riassunto  del  più  lungo  racconto  di  Einhardo  è  chiaro 
dal  confronto  dei  due  testi  (i);  della  profanazione  della 
tomba  avrò  occasione  di  parlare  ora,  trattando,  come  fonte 
della  Fifa  Adriani,  del  Diurnus  che  è  l'oggetto  di  questo 
studio. 

Al  Diurnus  l'anonimo  ha  attinto  più  largamente  che 
alle  altre  fonti.  Delle  dieci  formole  che  contiene  riguar- 
danti l'elezione  e  l'ordinazione  del  pontefice,  quattro  ne 
ha  introdotte  nella  Fifa  :  il  decretum,  l' indiculum  e  le  due 
professioni  di  fede^  escludendone,  come  osservò  già  il 
Mabillon,  le  sei  lettere  all'  imperatore,  all'esarca  e  agli  altri 
dignitari  ravennati,  il  che  mostra  com'egli  sapesse  che  al 
tempo  d'Adriano  I  eran  cadute  in  disuso  le  formole  le 
quali   ricordavano  il    vincolo  di  soggezione  della   Chiesa 

(i)  Il  compilatore  della  Vita  Adriani  ha  preso  da  Einhardo, 
abbreviandolo,  quel  tanto  che  gli  serviva  per  la  narrazione  sua. 
Metto  a  confronto  il  passo  nel  quale  il  sunto  dell'anonimo  ripro- 
duce frasi  e  parole  di  Einhardo: 

Einhardo  Vita   Adriani 

{Mon.  Germ.  hist.  Script.  II,  445).  (Mabillon,  Mus.  Ital.  I,  39). 

■  Karolus  vero  post   inchoatum  a  se  •  Qui  etiam  Carolus  non  prius  destitit 

bellum  non  prius  destitit  quam  et  Desi-       donec  Desiderium  bello  fatigatum  per- 
derium    regem   quem    longa    obsidione       petuo   exilio    damnaret   et    (ìlium  eius 
fatigaverat  in  dcditionem  susciperet . .  .        Italia  pelleret,  resque  direptas  Adriano 
Finis   tamen    huìus    belli    fuit   subacta       papae  restitueret  • . 
Italia  et  rex  Desiderius  perpetuo  exilio 
deportatus  et  filius  eius  Adalgisus  Italia 
pulsus  et  rcs  a  Langobardorum  regibus 
ereptae  Adriano  Romanae  Ecclesiae  re- 
ctorì  restitutac  •. 


^8o  I.  Giorgi 


Romana  all'  impero  d'Oriente.  L'anonimo  ebbe  certamente 
a  mano  un  codice  del  Diurnus  e  da  esso  tolse  il  testo  delle 
formole  che  supponeva  fossero  state  adoperate  in  occasione 
dell'elezione  di  Adriano  I. 

Ma  di  qual  codice  si  sarà  egli  servito  ? 

Del  Diurnus,  formulario  il  quale  non  poteva  servire 
che  all'uso  quotidiano  del  pontefice  e  della  cancelleria  pon- 
tificia, i  codici  non  possono  essere  stati  mai  molto  nume- 
rosi. Son  noti  la  rarità  e  il  pregio  dei  codici  dell'alto  medio 
evo.  La  produzione  di  essi  bastava  appena  ai  bisogni  della 
Hturgia,  della  coltura  e  dell'amministrazione  :  chi  poteva 
pensare  a  sottoporsi  all'inutile  fatica  di  moltiplicare  le  copie 
di  un  libro  inutile  per  tutti,  eccettochè  per  gli  ufficiaH  della 
curia  pontificia  ?  Tenuto  pur  conto  delle  distruzioni  e  di- 
spersioni di  libri  avvenute  in  ogni  tempo,  può  calcolarsi 
che,  salve  alcune  eccezioni,  il  numero  dei  codici  di  ciascun 
testo  giunti  fino  a  noi  deve  star  sempre  in  una  certa  pro- 
porzione colla  diffusione,  la  ricerca  e  la  voga  del  testo 
stesso  e  colla  frequenza  con  cui  venne  copiato.  Per  questa 
ragione,  non  solo  nei  cataloghi  moderni  dei  manoscritti,  i 
quali  si  può  dire  che  rappresentino  gli  avanzi  d'un  nau- 
fragio, ma  anche  nei  cataloghi  antichi  originaU  abbondano 
i  testi  dei  quali  l'uso  e  la  ricerca  erano  più  frequenti  e  per 
conseguenza  più  larga  la  produzione.  Ora  di  copie  antiche 
del  Diurnus  giunte  fino  ai  tempi  moderni  non  si  cono- 
scono che  due,  il  codice  di  S.  Croce,  ora  Vaticano,  e  quello 
che  fu  già  dei  gesuiti  del  collegio  parigino  di  Clermont,  per- 
duto da  circa  un  secolo.  Nessuno  degli  antichi  cataloghi  di 
codici  registra  un  Diurnus  o  un  altro  codice  sotto  il  titolo 
del  quale  possa  supporsi  nascosto  un  testo  del  Diurnus.  Da 
ciò  io  non  intendo  concludere  che  i  codici  di  questo  for- 
mulario fossero  ugualmente  rari  tra  il  x  e  l' xi  secolo,  epoca 
approssimativa  della  compilazione  della  Vita  Adriani,  ma 
certo  l'esistenza  fra  il  x  e  l'xi  secolo  di  un  codice  del 
Diurnus  a  Nonantola,  da   dove  poi  nel  secolo  xvii  furon 


Storia  esterna  del  «  ^iur^nus  » 


presi  i  codici  più  antichi  della  raccolta  Rancati,  nella  quale 
troviamo  un  Diiirnus,  è  un  fatto  che  sorprende  e  che  me- 
rita d'essere  attentamente  considerato.  Soprattutto  è  da 
esaminare  se  intorno  a  questa  singolare  coincidenza  venga 
ad  aggrupparsi  qualche  altro  indizio  il  quale  confermi 
r  idea  che  ci  si  offre  spontanea  alla  mente  dell'  identità  del 
codice  adoperato  dall'anonimo  compilatore  della  Fifa 
Adriani  con  quello  di  S.  Croce  che  appartenne  al  Rancati. 

Un  indizio  importante  e,  a  mio  credere,  decisivo  ci  è 
dato  dal  testo  medesimo  delle  formole  inserite  nella  Vita. 
Il  codice  di  S.  Croce  e  il  codice  di  Clermont,  alquanto  dif- 
ferenti pel  numero  e  per  la  successione  delle  formole,  ci 
danno  delle  formole  stesse  testi  somiglianti,  ma  non  per- 
fettamente identici;  e  qui  giova  ricordare  che  il  testo  del 
codice  perduto  di  Clermont  ci  è  stato  conservato  fino  ad 
un  certo  punto  dall'edizione  del  Garnier  e  con  assai  mag- 
giore esattezza  dal  Baluze  per  l'edizione  che  ne  aveva 
preparata  e  della  quale  il  De  Rozière  riferisce  le  varianti. 
Ora,  un  minuto  confronto  istituito  fra  il  testo  delle  quattro 
formole  inserite  nella  Vita,  e  quello  delle  formole  stesse 
nel  codice  di  S.  Croce  e  nel  codice  di  Clermont,  ci  dà  che 
le  quattro  formole  della  Vita  hanno  tutte  le  lezioni  per  le 
quali  il  testo  del  codice  di  S.  Croce  differisce  da  quello  del 
codice  di  Clermont.  Le  poche  lezioni  per  le  quali  le  for- 
mole della  Vita  differiscono  dal  testo  del  codice  di 
S.  Croce  non  coincidono  col  testo  Claromontano,  ma 
sono  lievi  differenze  nuove,  errori  di  lezione,  sinonimie  e 
varietà  ortografiche  facilmente  spiegabili  con  una  certa  li- 
bertà e  con  una  certa  ignoranza  dell'anonimo  compila- 
tore (i). 

Tutto  dunque  induce  a  credere  che  l'antichissimo  co- 
dice, poi  Sessoriano  di  S.  Croce  ora  Vaticano,  si  trovasse 

(i)  Veggasi  il  minuto  confronto  che  fa  dei  due  testi  il  Sickel 
nei  ProUgomcna  il. 


6S2  I.  Giorgi 


a  Nonantola  e  che  T anonimo  nonantolano,  compilatore 
della  Vita  Adriani,  ne  togliesse  di  peso  le  quattro  formole, 
sostituendo,  com'era  necessario,  al  luogo  dell'abbreviazione 
ili,  (i),  il  nome  d'Adriano  e  del  predecessore  Stefano,  e 
aggiungendo  in  fondo  al  decretum  la  data  «  mense  februa- 
«  rio  indictione  .x.  »,  che  egli  trasse  forse  dallo  stesso 
catalogo  di  pontefici  che  gli  aveva  fornito  le  indicazioni  del- 
l'esordio. 

La  parte  veramente  originale  della  Fifa  Adriani  ci  rivela 
pure  in  quale  occasione  il  codice  del  Diurnus,  di  cui  doveva 
esser  sede  naturale  la  libreria  privata  del  pontefice  o  lo 
scrinio  del  Laterano,  fu  portato  a  Nonantola. 

Ho  già  detto  come  allo  scambio  di  Adriano  III  per 
Adriano  I  desse  occasione  il  fatto  vero  della  morte  di 
Adriano  III  e  del  trasporto  e  seppellimento  di  lui  a  No- 
nantola. E  la  Vita  compilata,  per  cosi  dire,  di  maniera  e  su 
documenti  presuntivi,  sulla  fine  serba  ancora  qualche  ri- 
cordo dell'avvenimento  storico,  il  quale  diede  origine  alla 
leggenda.  E  questo  è  il  racconto,  di  cui  ho  già  riferito  il 
testo,  della  morte  e  dei  funeraU  d'Adriano  e  della  rapina 
delle  vesti  preziose  di  lui  fatta  da  alcuni  monaci  di  Nonan- 
tola. Se  Adriano  III  morisse  a  Viulzacara,  come  asserisce 
il  Liher  Pontificalis,  o  a  Spilamberto,  come  vuole  la  Vita,  è 
una  questione  estranea  allo  scopo  di  questo  studio;  forse 

(i)  L'esame  del  modo  col  quale  l'anonimo  ha  sostituito  l'abbre- 
viazione ili.  delle  formole  suggerisce  al  Sickel  un'acuta  osserva- 
zione (Prolegomena  II).  Nulla  di  più  facile  pel  compilatore  che  met- 
tere ai  debiti  luoghi  i  nomi  di  Stefano  e  d'Adriano,  né  difficile  pure 
dovè  essere  per  lui  aggiungere  la  data  in  fondo  al  decretum;  ma 
dove  trovare  il  nome  del  notaio  che  aveva  dovuto  scrivere  Vindiculum 
Pontiflcis?  Il  compilatore  se  l'è  cavata  con  una  ingenua  ghermi- 
nella. Ha  raschiato  il  luogo  che  doveva  essere  occupato  dal  nome 
e  ha  scrìtto  sopra  alla  rasura  la  parola  illum,  sciogliendo  così  in  un 
pronome  poco  compromettente  la  nota  abbreviatura  ili.  del  for- 
mulario. E  anche  questa  è  una  prova  di  più  in  favore  delle  nostre 
conclusioni. 


Storia  esterna  del  «  ^iufvtus  »  ^83 

però  è  più  attendibile  l'ultima  versione  che  s'appoggia  alla 
tradizione  domestica.  Quello  che  mi  sembra  avere  tutti  i 
caratteri  della  verità,  e  che  difficilmente  si  sarebbe  potuto 
inventare,  è  il  racconto  del  disseppellimento  e  della  spoglia- 
zione del  cadavere,  confermato  dall'esistenza  a  Nonantola 
della  ricca  pianeta  ai  tempi  dell'anonimo,  e  tanto  più  cre- 
dibile in  quanto  che,  come  è  detto  esplicitamente,  la  ra- 
pina degli  abiti  sacri  del  defunto  non  aveva  per  movente 
la  cupidigia  personale  privata,  ma  il  desiderio  d'arricchire 
di  splendidi  paramenti  la  chiesa  del  monastero.  Era  un'esa- 
gerazione colpevole  del  sentimento,  del  resto  generale  nel 
medio  evo,  che  spingeva  monaci  e  abati  a  procurare  sopra 
ogni  altra  cosa  l'ingrandimento,  la  ricchezza  e  lo  splendore 
dei  loro  monasteri.  E  se  al  cadavere  di  Adriano  III  l'al- 
tezza della  dignità  e  la  venerazione  popolare  non  rispar- 
miarono la  profanazione  e  la  rapina,  tanto  meno  è  da  cre- 
dere che  i  monaci  nonantolani  avessero  cura  di  rinviare 
a  Roma  i  libri  e  le  altre  suppellettili  del  defunto  pontefice. 
Tutto  o  quasi  tutto  dovè  rimanere  a  Nonantola  ;  special- 
mente i  libri  che  il  pontefice  aveva  recato  seco  per  servir- 
sene durante  il  viaggio,  de'quaUi  Nonantolani  arricchirono 
la  loro  biblioteca,  più  specialmente  il  Diunius,  di  un  codice 
del  quale  sarebbe  altrimenti  inespUcabile  l'esistenza  e  l'uso 
in  quel  monastero  (i). 

(i)  È  mia  ferma  convinzione  che  il  Diurnus  non  sia  il  solo  co- 
dice appartenuto  ad  Adriano  III,  rimasto  a  Nonantola  e  passato  nella 
raccolta  Rancati.  Se  quella  raccolta  fosse  stata  conservata  intatta 
a  S.  Croce  e  fosse  passata  intera  nella  biblioteca  Nazionale  di  Roma, 
un  esame  minuzioso  di  tutti  i  codici  più  antichi  ci  potrebbe  portare 
-  chi  sa?  -  a  ricostituire  il  catalogo  delia  biblioteca  da  viaggio  di 
Adriano  III.  Ma  anche  fra  i  più  antichi  codici  attualmente  superstiti 
del  gruppo  Rancati  è  da  credere  si  nasconda  qualche  reliquia  dì 
quella  biblioteca.  Il  codice  55,  che  contiene  una  ricca  raccolta  di 
testi  ascetici  e  omiletici  scritta  in  caratteri  scmionciali  del  vi  secolo, 
il  codice  63,  che  contiene  la  raccoha  di  canoni  Dionisio-Adriana, 
ed  altri  testi  giuridici  preceduti  da  un  catalogo  di  pontefici,  appar- 


6S/\.  I.  Giorgi 


Né  si  può  dubitare  che  Adriano  III  possedesse  e  usasse 
un  codice  del  Dìurnns.  Pochi  atti  ci  restano  di  quel  ponte- 
fice che  ebbe  un  regno  cosi  breve,  ma  in  parecchi  di  quei 
pochi  non  è  difficile  riconoscere  qua  e  là  Fuso  delle  formole 
del  Diurniis,  Specialmente  notevole  è  un  privilegio  concesso 
da  Adriano  III  al  monastero  di  S.  Maria  di  Grasse  in 
Francia.  L'esordio  di  esso  è  tolto  di  peso  dalla  formola  LXIV; 
la  chiusa  contiene  frasi  prese  dalle  formole  LXXXVI  e 
LXXXIX  (ed.  Sickel)  (i).  In  questi  passi  il  testo  coin- 
cide perfettamente,  e  quasi  sempre  anche  nella  forme  orto- 


tennero,  io  credo,  del  pari  che  il  Diurnus,  ad  Adriano  III.  Partico- 
larmente notevole  è  il  codice  63,  scritto  tutto  in  caratteri  del  tipo 
chiamato  così  impropriamente  longobardo  nel  ix  secolo.  Nel  cata- 
logo dei  pontefici  che  ha  innanzi,  solo  una  parte  è  scritta  dalla  mano 
del  resto  del  codice  e  questa  si  arresta  a  Leone  III  ;  il  resto  è  ag- 
giunto di  mano  più  recente.  E  quello  che  è  più  singolare  è  il  rima- 
neggiamento che  il  catalogo  ha  subito  a  Nonantola.  Con  inchiostro 
d'un  rosso  più  vivo  è  stato  ripassato  il  nome  di  S.  Silvestro  patrono 
della  badia  Nonantolana,  e  anche  l'antica  scritta  relativa  ad  Adriano  I 
è  stata  abrasa  e  riscritta  col  nuovo  inchiostro  rosso  in  caratteri 
più  spiccati,  di  forma  più  recente,  naturalmente,  e  con  una  iniziale 
maiuscola  più  grande  delle  altre.  La  scritta  dice:  «  Adrianus  sedit 
«  annos  .xxiii.  menses  .x.  dies  sedecim  ».  Ora,  mentre  il  Lih&r  Pontifi- 
calis  e  gli  altri  cataloghi  conosciuti  hanno  «  dies  decemseptem  »,  questo 
e  la  Vita  Adriani  hanno  «  dies  sedecim  ».  Segno  evidente  che  il 
compilatore  della  Vita  e  il  monaco  il  quale  ripassò  il  catalogo  dei 
pontefici  attinsero  alla  stessa  fonte.  Così  anche  quest'altro  codice  di 
Adriano  III  avrebbe  servito  alla  glorificazione  del  suo  omonimo  ! 

(I) 

Bolla  di  Adriano  III  Diurnus  (ed.  Sickel). 

per  N.  D.  di  Grasse  (Bibl.  Nazion.  Form.   LXIV. 

di  Parigi,  fonds  lat.  cod.  5455). 
«  Convenir  apostolico  moderamini  pia  «  Convenit  apostolico  moderamini  pia 
religione  pollentibus  benivola  compas-  religione  pollentibus  benivola  compas- 
sione succurrere.  Et  poscentium  animi  sione  succurrere  et  poscentium  animis 
alacri  devotione  impertiri  assensum.  Ex  alacri  devotione  impartire  assensum;ex 
hoc  enim  lucri  potissimum  praemium  a  hoc  enim  lucri  potissimum  premium  a 
conditore  hominum  Domino  promere-  conditore  omnium  Deo  procul  dubio 
mur  dum  venerabilia  .  loca  opportune  promeremur,  dum  venerabilia  loca  opor- 
ordinataad  meliorem  fuerint  sine  dubio  tunae  ordinata  ad  meliorem  fuerint  sine 


Storia  esterna  del  «  T>iurnus  »  685 

grafiche,  col  testo  del  codice  di  S.  Croce.  Argomento  non 
lieve  per  ritenere  che  il  pontefice  Adriano  possedesse  pre- 
cisamente quel  codice  che  dopo  la  morte  di  lui  dovè  rima- 
nere a  Nonantola. 

In  mezzo  a  tanta  concordia  di  prove  e  d'indizi  sorge 
una  difficoltà:  nessuno  degli  antichi  cataloghi  di  codici 
Nonantolani  registra  un  Diurnus,  un  Fornndarium  o  un 
altro  codice  che  possa  supporsi  contenesse  il  testo  del 
Ditirnus.  Di  questa  difficoltà,  certo  non  heve,  non  conviene 
né  dissimulare  né  esagerare  il  valore. 

Della  bibhoteca  Nonantolana  esistono  parecchi  cata- 
loghi: uno  inedito  del  principio  dell' xi  secolo  dei  Hbri 
«  adquisiti tempore  domni  Rodulfi abbatis  primi(ioo2-i033) 
«  per  Petrum  monachum  Ardengum  »  (i),  uno  del  1 166(2) 


statum   perducta.  Igitur  reverentia  ve-        dubio  statum  perducta.  Igitur  quia  pe- 
stra  postulavi!  a  nobis  quatenus  . .  .  » .  tisti  a  nobis  quatenus  .  .  .  » . 

Form.  LXXXIX. 
I.  Statuentes   apostolica  censura  sub  »  Statuentes   apostolica  censura  .  .  . 

divini  iudicii  obtestatione  et  anathematis        sub  divini  iudicii  obtestatione   et   ana- 
interdictum  ut  nulli  umquam  .  .  .  » .  thematis     interdictum     ut    nulli    um- 

quam  ...  ». 

Form.  LXXXVf. 
«  Si    quis  autem   (quod    non    opta-  «  Si    quis   autem,   quod    non    opta- 

mus)  .  .  .  » .  mus  ...  ». 

Form.  LXXXIX. 
«  sciat  se  anathematis  vinculo  inno-  «  sciat   se  anathematis   rinculo  esse 

datum  et  a  regno  Dei  alienus  existat  » .  innodatum  et  a  regno  Dei  alienum  ...■>. 

In  questi  passi  è  pochissima  la  differenza  fra  il  testo  dei  due  co- 
dici. Noto  le  lezioni  interdictum  e  innodatum  particolari  del  codice  Va- 
ticano, mentre  il  codice  Ciaromontano,  se  qui  il  Garnier  è  fedele, 
leggeva  interdicto  e  innodatum.  Debbo  alla  cortesia  del  eh.  Michel 
Deprez,  conservatore  dei  manoscritti  nella  biblioteca  Nazionale  di 
Parigi,  la  copia  della  bolla  d'Adriano  III  per  N.  D.  di  Grasse. 

(i)  Q,uesto  catalogo  esistente  in  un  codice  della  biblioteca  Uni- 
versitaria di  Bologna  m'è  stato  comunicato  dal  mio  dotto  amico  il 
prof.  Augusto  Gaudenzi.  Lo  pubblicherò  nella  prefazione  al  mio 
catalogo  dei  manoscritti  Sessoriani  della  Vittorio  Emanuele. 

(2)  11  catalogo  del  1166  si  trova  alla  e.  62  v  del  codice  Sesso- 
riano    31,   dal   quale  lo  pubblicò  il  Mai  (Spicilegium  Romanum,  V, 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI.  45 


6S6  L  Giorgi 


edito  dal  Meli  e  riprodotto  dal  Becker  (i),  uno  del  se- 
colo XIV,  due  del  secolo  xv  (2).  Né  nei  due  primi  che 
ho  attentamente  studiato  io  stesso,  né  nei  tre  più  recenti 
che  a  richiesta  del  prof.  Sickel  ha  cortesemente  consultato 
per  me  il  eh.  dott.  Donabaum  é  notato  alcun  codice  che 
possa  credersi  contenesse  il  Diurnus.  E  cosi  dinanzi  ad 
una  serie  di  fatti  e  d'indizi  i  quali  provano  l'esistenza  a 
Nonantola  nell*  xi  secolo  d'un  codice  del  Diurnus,  starebbe 
l'assenza  di  esso  nei  cataloghi  di  codici  Nonantolani  dal- 
l' XI  al  XV  secolo.  È  un  argomento  negativo  di  cui  vale 
la  pena  di  discutere  il  valore. 

Che  il  Diurnus  non  si  trovi  fra  i  codici  acquistati 
da  Pietro  Ardengo  al  tempo  dell'abate  di  Nonantola 
Rodolfo  I  è  naturale  e  conferma  la  mia  opinione  che, 
cioè,  non  per  acquisto  e  in  tempo  molto  anteriore  il  co- 
dice pervenisse  a  Nonantola.  Sembra  strano  invece 
ch'esso  non  debba .  trovarsi  nell'elenco  del  1166,  risul- 
tato di  una  inquisicio  intesa  a  ricercare  e  fissare  in  carta 
quah  fossero  allora  i  codici  posseduti  dal  monastero.  Ma 
certo  è  che  la  inquisicio  non  fu  troppo  diligente  e  che 
quell'elenco  non  rappresenta  esattamente  la  bibhoteca  No- 
nantolana  qual'era  nel  1166.  Infatti,  sebbene  la  identifica- 
zione dei  codici  su  quell'elenco  non  sia  facile  cosa,  e  lo 
prova  il  tentativo  infelice  che  ne  ha  fatto  il  Mai,  si  può 
assicurare  che  la  biblioteca  Nazionale  di  Roma  possiede 
ora  fra  i  Sessoriani  alcuni  codici  che  nel  secolo  xii  dove- 
vano trovarsi  certamente  a  Nonantola  e  che  pure  non  sono 
notati  in  quell'elenco.  TaH  sono,  ad  esempio,  il  codice  63 
del   IX  secolo    contenente  la  Collectio   canonum    Dionisio- 


218-221),  però  con  aggiunte  e  divisioni  che  lo  sfigurano.  Anche  quel 
catalogo  sarà  da  me  riprodotto  secondo  il  codice  nella  prefazione 
sopra  annunziata. 

(i)  Cataìogì  hibliothecariwt  antiqui,  pp.  220-223,  n.  loi. 

(2)  TiRABOSCHi,  Storia  della  Badia  di  Nonantola,  I,  187. 


Storia  esterna  del  «  T>iurnus  »  687 

Adriana  e  il  codice  55  del  vi  secolo  contenente  una  grande 
raccolta  di  testi  omiletici  e  ascetici.  Del  primo  è  certa,  del 
secondo  probabilissima  la  provenienza  nonantolana,  eppure 
ambedue  non  figurano  nell'elenco  del  1 1 66, 

Restano  i  cataloghi  dei  secoli  xiv  e  xv  :  quanto  a 
questi  non  sarà  inutile  qualche  considerazione  più  ge- 
nerale. 

Non  è  registrato  a  catalogo  :  dunque  non  esiste  in  hi- 
bhoteca;  è  prova  negativa  di  dubbio  valore,  specialmente 
se  si  tratti  d'identificare  manoscritti  negli  antichi  cata- 
loghi. Il  mio  studio  sui  due  cataloghi  Nonantolani  più 
antichi,  quello  del  dott.  Donabaum  sui  più  recenti  ci  fanno 
certi  che  in  quei  cataloghi  non  è  registrato  alcun  codice 
col  titolo  Diurnus  o  Formiilarium  o  con  altro  titolo  che,  a 
giudizio  nostro,  possa  nascondere  un  testo  del  Diurnus, 
Ma,  qual  diligenza  o  quale  acutezza  di  divinazione  può 
assicurarci  che  in  quei  .rozzi  elenchi  il  Diurnus  non  sia 
stato  realmente  registrato  con  un  titolo  fantastico  ?  Si  noti 
che  il  codice,  a  notizia  nostra  mutilo  in  principio  e  in 
fine  da  più  di  due  secoli,  poteva  aver  subito  qualche  guasto 
in  principio  fin  da  quando  pervenne  alla  biblioteca  di  No- 
nantola,  ed  è  naturale  che  per  trovare  un  nuovo  titolo  ad 
un  codice  il  quale  ne  mancava,  un  monaco  dell'  xi  e  del  xii 
secolo  potesse  spaziare  quanto  voleva  nei  campi  dell'  im- 
maginazione e  della  propria  coltura. 

Ma  ammesso  pure  che  il  Diurnus  non  appaia  assoluta- 
mente e  non  sia  stato  notato  di  fatto  in  quegli  elenchi,  non 
è  argomento  bastevole  per  dubitare  dell'esistenza  di  esso 
a  Nonantola  provata  da  altri  fatti.  Una  collocazione  in 
luogo  separato,  ovvero  fra  le  reliquie  del  pontefice  Adriano 
venerato  come  santo  spiegherebbe  l'assenza.  E  anche  senza 
ricorrere  a  questa  ipotesi,  v'  ha  una  condizione  di  fatto 
che  potrebbe  spiegarla.  Oltre  i  codici  già  noti,  il  Rancati 
possedeva  un  gruppo  di  frammenti  aggiunto  alla  copia 
dell'  elenco    sommario    che  è  nell'Ambrosiana  col  titolo 


688  /.  Giorgi 

Fragmenta  codicum  (i)  e  formante  ora  una  miscellanea. 
Il  Diurnus  mutilo  e  guasto  in  principio  e  in  fine  e  privo 
di  legatura  può  esser  rimasto  inosservato  in  mezzo  a  quei 
frammenti.  Il  Rancati  separandolo  da  quei  brani  e  inse- 
rendolo nel  suo  elenco  può  avergli  restituito  quella  qualità 
di  libro  a  sé  e,  direi  quasi,  quella  individualità  che,  per  lo 
stato  suo  esteriore,  gli  era  stata  negata  e  gli  aveva  impe- 
dito di  figurare  nei  cataloghi  Nonantolani. 

Non  sarebbe  difficile  trovare  anche  altre  plausibili  spie- 
gazioni dell'assenza  del  Diurnus  in  quei  cataloghi.  Spiegare 
in  un  modo  o  in  un  altro  la  cosa  è  una  questione  secon- 
daria; più  importante  è  fissare  il  canone  critico  che  il  non 
trovare  reo:istrato  un  codice  nei  cataloo:hi  di  una  biblioteca 
monastica  del  medio  evo  o  del  rinascimento  non  è  la 
prova  assoluta  che  il  codice  non  si  trovasse  in  quella  bi- 
blioteca. 

Da  quanto  ho  esposto  fin  qui  mi  pare  di  poter  con- 
cludere che  il  codice  antichissimo  del  Diurnus  è  quello 
stesso  che  appartenne  alla  biblioteca  da  viaggio  del  pon- 
tefice Adriano  III  e  che,  rimasto  dopo  la  morte  di  lui  a 
Nonantola  e  adoperato  dall'  anonimo  compilatore  della 
Fifa  Adriani  I,  fu  poi  nel  secolo  xvii,  insieme  cogli  altri 
codici  Nonantolani,  portato  a  Roma  a  S.  Croce  in  Geru- 
salemme dall'abate  Ilarione  Rancati,  e  sulla  fine  del  se- 
colo xviii  collocato  neir  archivio  segreto  Vaticano.  È  cosi 
accertata  l'esistenza  di  una  reliquia  della  bibHoteca  dome- 
stica pontificia  del  ix  secolo  nel  codice  del  Diurnus^  e 
non  solo  s'ha  un  altro  argomento  per  ritenere  ch'esso  sia 
stato  scritto  a  Roma  (2),  ma  si  può  ragionevolmente  sup- 

(i)  Quest'annotazione  si  trova  in  fine  della  copia  del  catalogo 
Ferrari,  fra  le  carte  del  Ferrari  stesso,  nell'Ambrosiana,  al  voi.  C .  S  .  V, 
II.  I  Fragmmta  codicum  vi  sono  notati  colla  segnatura  N  N  imme- 
diatamente successiva  a  quella  dell'ultimo  codice  della  seconda  parte 
segnato  M  M. 

(2)  SiCKEL,  Prolegomena  I,  iS  q  sgg. 


I 


Storia  esterna  del  (.i^ìurnus))  ^89 

porre  che  provenga  dallo  scrinio  Lateranense.  Se  è  così, 
come  io  credo,  non  è  da  lamentare  che  il  codice  prezioso 
sia  stato  separato  dagli  altri  di  S.  Croce  sulla  fine  del 
secolo  nono  e  chiuso  nell'archivio  Vaticano.  Dopo  circa 
nove  secoli  d'esilio,  quasi  per  diritto  di  postliminio,  il  Diur- 
mis  veniva  cosi  restituito  alla  sua  sede  naturale;  reliquia 
isolata,  e  per  questo  più  veneranda,  di  una  serie  ricchissima 
di  libri  e  documenti  che  l'opera  distruggitrice  del  tempo 
e  degli  uomini  ci  ha  rapito  per  sempre  (i). 

I.  Giorgi. 


(i)  Sul  punto  di  licenziare  per  la  stampa  queste  mie  ricerche, 
il  prof.  Sickel  ha  pubblicato  la  nuova  e  aspettata  edizione  sua  del 
Diurnus.  È  intitolata  :  Liber  Diurnus  Romanorum  Pontificum.  Ex  unico 
codice  Vaticano  denuo  edidit  Th.  E.  ah  Sickel,  Consilio  et  impensis  Aca- 
demiae  Caesareae  Vindoh onensis (VÌQnnsij  Gerold,  1889).  Grazie  all'usata 
cortesia  del  prof.  Sickel,  io  aveva  potuto  giovarmi  di  questa  edizione 
veramente  definitiva  anche  prima  che  fosse  pubblicata,  specialmente 
pel  confronto  del  testo  delle  formole  LXIV,  LXXXVI,  LXXXIX 
colla  bolla  di  Adriano  III  per  N.  D.  di  Grasse. 


VARIETÀ 


Il  socio  prof.  Castellani,  prefetto  della  biblioteca  Nazio- 
nale di  S.  Marco,  ci  ha  trasmesso  un  documento  importante 
estratto  dal  codice  Marc.  174,  classe  X  dei  Latini.  Èia  let- 
tera originale,  per  verità  molto  servile,  indirizzata  dai  Con- 
servatori di  Roma  ad  Alessandro  VI  per  rendere  conto  al 
pontefice  del  modo  com' eglino  avevano  eseguita  la  com- 
missione del  ricevimento  di  Carlo  Vili  nella  città.  E  il  Ca- 
stellani aggiunge  in  proposito  le  seguenti  notizie: 

Livio  Podocatharo  Capriotto,  arcivescovo  di  Nicosia 
(Leucosia),  nipote  al  cardinale  Lodovico  Podocatharo,  ve- 
scovo di  Benevento,  trovandosi  in  Roma  addetto  alla  corte 
pontificia  nei  giorni  del  sacco  della  città  dalla  parte  degl'  im- 
periali (1527),  potè  in  quel  trambusto  impossessarsi  di  molte 
carte  preziose  custodite  in  quella  corte,  tra  le  quali  un  con- 
siderevole numero  d'atti  e  lettere  tutte  autografe  indirizzate 
da  principi,  alti  dignitari  della  Chiesa,  da  magistrati  e  let- 
torati e  infin  da  santi  ai  pontefici  Sisto  IV,  Innocenzo  Vili 
ed  Alessandro  VI,  e  con  Qsse  si  trasferì  a  Venezia,  dove 
mori  nel  155^,  sepolto  onorevolmente  in  S.  Sebastiano, 
dove  tuttavia  s'ammira  lo  stupendo  monumento  erettogli 
da  Iacopo  Sansovino.  La  repubblica  prese  allora  possesso 
di  quelle  carte  e  le  depositò  nella  Segreta  di  Stato,  donde 
nel  1787  furono  trasferite  nella  «Libraria  pubblica»  ora 
Marciana,  e  ivi  ora  si  conservano  in  cinque  codici,  Regnati 
coi  nn.  174-178  della  classe  X  Latini. 


6<)2  Varietà 


Il  Castellani  promette  continuare  lo  spoglio  dei  codici 
suddescritti  e  comunicare  nuovi  documenti  se  corrispon- 
denti al  carattere  di  questa  pubblicazione. 

Beatìss.™®  Pater  et  Clementiss.®  Dne  post  pedum  oscula  beator. 
humiliter  còmendatis  etc.  Non  miretur  V.  S.^^^  si  ei  antehac  haud 
scripserimus  :  occupationes  enim  rerum,  ante  et  post  adventum  regis 
Francorum  providendarum,  continuo  nos  detinuerunt.  Omnia  tamen, 
que  per  V.  S.^^"^  nobis  mandata  fuerunt  summa  cum  diligentia,  una 
cum  R  ™^^  Dnis  legato  et  gubernatore  vestro  dignissimo  communi- 
cavimus  et  expedivimus.  Nam  et  ipsi  regi  oratores  cives  misimus. 
Qui  Sue  M.*^  nuntiarent,  qualiter  V.  S.^*^  nobis  in  suo  discessu  ex- 
presse mandaverat,  ut  Suam  M.^^™  leto  animo  et  honorificentis- 
sìme  reciperemus,  et  deinde  pridie  eundem  ad  domum  visitavimus. 
Verum  cum  hoc  mane,  circa  tertiam  diei  horam,  ex  Urbe  cum 
omnibus  suis  discesserit,  omnes  V.  B.**  felicem  redditum  tanquam 
optimi  domini  et  patris  summo  cum  desiderio  et  hilaritate  cupidi 
expectant.  Quam  ob  rem  eidem  V.  B.^  ex  parte  totius  sui  devotis- 
simi et  peculiaris  populi  Romani  humiliter  et  devote,  ac  ex  ipso 
corde  supplicamus  ut  ad  hanc  suam  Almam  Urbem  quam  primum 
comode  potuerit  reddire  dignetur.  Quod  nobis  et  toti  vrò  prefato 
Romano  populo  ac  omnibus  curialibus  erit  gratissimum  ac  perio- 
cundum:  et  ad  amplissimum  decus  perpetuamque  gloriam  V.  B.'^ 
adscribetur  et  nobis  precipere  velit  que  in  posterum  facere  debea- 
mus.  Nam  suis  mandatis  tanquam  veri  servuli  et  obedientiss,^  filii 
perpetuo  ut  teneraur  obtemperantes  erimus,  nuUis  parcentes  laboribus 
ac  sudoribus  prout  hactenus  efFecimus  prò  felici  statu  S/'^  V.  que 
feliciter  valeat.  Cui  nos  et  hunc  vestrum  fidelem  populum  semper 
humiliter    commendamus.  Ex  vestra    Alma    Urbe    die    tertia    iunii 

.MCGCCLXXXXV. 

E.  V.  B.^' 

Fidelissimi  servuli  Conservatores  Cam.® 
v.re  Alme  Urbis. 

[ah  extra]  •}-  Sanctiss.*""  et  clementiss.'""  D.  N.  pape. 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ 


Seduta  del  g  gennaio  1888. 

Soci  presenti,  i  signori  O.  Tommasini,  presidente, 
R.  Ambrosi  De  Magistris,  D.  Carutti,  G.  Coletti,  A.  Cor- 
visieri,  C.  Corvisieri,  G.  Cugnoni,  E.  De  Paoli,  B.  Fon- 
tana, I.  Giorgi,  I.  Guidi,  C.  Mazzi,  A.  Monaci,  E.  Mo- 
naci, G.  Navone,  E.  Stevenson,  G.  Levi,  segretario. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  3  50  pom. 

Il  Segretario  legge  il  processo  verbale  delia  seduta 
precedente,  il  quale  viene  approvato. 

Il  Presidente  commemora  una  perdita  grave  e  dolorosa 
fatta  dagli  studi  e  dalla  Società  per  la  immatura  morte  del 
socio  Paolo  Ewald,  venuto  meno  quando  stava  per  rac- 
cogliere il  frutto  di  lunghi  studi,  diligenti  e  sagaci  intorno 
alle  lettere  di  Gregorio  Magno.  A  questo  lavoro,  di  cosi 
capitale  importanza  per  la  storia  di  Roma,  rimarrà  colle- 
gato il  nome  di  lui,  caro  a  quanti  dei  soci  ebbero  la  ven- 
tura di  apprezzarne  le  personali  qualità  nei  vari  soggiorni 
da  lui  fatti  in  Roma. 

I  soci  sindacatori  A.  Corvisieri  e  B.  Fontana  pro- 
pongono l'approvazione  del  conto  consuntivo  188^,  che 
è  approvato  all'unanimità  senza  discussione. 

II  Segretario  legge  il  processo  verbale  dello  spoglio 
delle  schede  pervenute  alla  presidenza  per  proposte  di  nuovi 
soci.  In  conformità  di  esso,  a  termini  dello  statuto,  si 
procede  allo  scrutinio  segreto  sul  nome  del  prof.  Dome- 


^94  oAtti  della  Società 

nico  Comparetti,  che  risultò  eletto  a  socio  con  Funanimità 
de'  suffragi  sopra  sedici  votanti. 

Procedutosi  alla  elezione  del  segretario,  il  socio  Levi 
risultò  eletto  con  13  voti  sopra  16  votanti. 

Il  Presidente  propone  quindi  alla  discussione  lo  schema 
già  distribuito  ai  soci  per  la  compilazione  del  Codex  diplo- 
maticus  Urbis,  che  corrisponde  ad  un  antico  voto  della 
Società,  reso  ora  di  più  agevole  esecuzione  per  l'incorag- 
giamento e  offerta  di  aiuto  da  parte  dell'  Istituto  Storico 
Italiano.  In  un  lavoro  cosi  capitale  per  la  storia  di  Roma 
e  di  natura  veramente  sociale,  confida  nel  concorso  di 
tutti  i  soci. 

Il  socio  De  Paoli  vivamente  approva  la  proposta  e 
come  soprintendente  agli  Archivi  romani,  dichiara  che 
comunicherà  alla  Società  tutti  quei  documenti  che  sia 
in  originale,  sia  in  copia,  sia  in  sunto  si  trovino  nell'ar- 
chivio di  Stato.  La  maggior  parte  delle  serie  dell'archivio 
non  va  al  di  là  del  secolo  xv.  Oltre  però  che  dalla  col- 
lezione delle  pergamene,  e  dagli  indici  di  S.  Silvestro  in 
Capite,  S.  Cecilia,  qcc,  può  sperarsi  di  raccogliere  buon 
numero  di  documenti  anche  per  i  secoli  anteriori  al  xv 
dai  sommari  aggiunti  ai  processi.  Quanto  allo  schema  lo 
approva  ;  solo  chiede  se,  come  gU  sembra,  tra  le  fonti  da 
esplorare  non  siano  da  comprendersi  gli  epistolari  e  le 
iscrizioni. 

Il  Presidente  risponde  che  non  v'à  dubbio  che  anche 
gH  epistolari  e  le  iscrizioni  siano  da  comprendersi  tra  le 
fonti  pel  Codex  diplomaticus  Urbis,  quando  contengano 
notizie  di  documenti  o  diplomatici  o  relativi  alla  costitu- 
zione della  città  ;  mentre  quelle  sole  relative  alla  storia  del 
costume,  qcc,  potranno  servire  per  la  Historia  Urbis  di- 
plomatica, come  nello  schema  è  notato.  L'elenco  delle 
varie  categorie  di  fondi  da  esplorare,  aggiunto  allo  schema, 
non  devesi  del  resto  considerare  come  una  completa  e  tas- 
sativa enumerazione. 


oAtti  della  Società  ^95 

Il  socio  barone  Carutti  di  Cantogno  applaude  alla 
nobile  intrapresa,  che  dice  degna  dell*  Italia  nuova.  L'Isti- 
tuto Storico  Italiano  non  poteva  meglio  auspicare  Topera 
sua  che  promovendo  questo  lavoro.  Egli  come  presidente 
della  Deputazione  di  storia  patria  per  le  antiche  provincie, 
ringrazia  la  Società  Romana  che  pronta  e  coraggiosa  ri- 
sponde all'invito  e  s'accinge  a  compierlo.  Desidererebbe 
conoscere  con  quali  criteri  è  stato  determinato  il  termine 
cronologico  da  cui  incominciare  il  Codex. 

Il  Presidente  risponde  che  nell'atto  di  compilare  lo 
schema  fu  riconosciuta  la  difficoltà,  allo  stato  attuale  delle 
ricerche,  di  stabilire  un  limite  cronologico.  Perciò  parve  di 
non  porre  alcun  termine  ad  quem,  mentre  fino  a  che 
si  anno  atti  relativi  alla  vita  giuridica  e  civile  del  Comune 
di  Roma,  questi  dovranno  trovar  posto  nel  Codice.  Quanto 
al  termine  a  quo  non  volendo  pregiudicare  la  questione 
se  si  debba  cominciare  dalla  cessazione  dell'impero  o  dal 
trasporto  di  esso  a  Costantinopoli,  e  volendo  lasciare  libero 
il  campo  alle  indagini,  si  propone  di  cominciare  dal  tempo 
di  Gregorio  Magno,  termine  intermedio  da  cui  si  può 
prendere  le  mosse  cosi  per  discendere  come  per  risalire 
fin  dove  le  ricerche  e  i  documenti  lo  consentiranno. 

I  soci  De  Paoli  e  Carutti  ringraziano  degli  schiari- 
menti. 

Nessun  altro  chiedendo  la  parola,  il  Presidente  pone 
a  votazione  lo  schema,  avvertendo  che  verrà  aperta  appo- 
sita rubrica  neìV Archivio  per  pubbhcarvi  i  lavori  prepara- 
tori, e  le  adesioni  relative  alla  pubblicazione  del  Codex. 

Lo  schema  del   Codex  Urbis  diplomaticus  è  approvato. 

La  seduta  è  levata  alle  ore  5  pomeridiane. 


6^6  oAtti  della  Società 

Preparazione  del  Codex  diploma ticus  urbis  Romae. 
(Relazione  all'Istituto  Storico). 

Roma,  a  dì  20  novembre  1888. 

Mi  reco  a  debito  di  ragguagliare  l'Istituto  Storico  Ita- 
liano deirinizio  che  questa  R.  Società  Romana  di  storia 
patria  à  dato  alla  preparazione  del  Coàìct  diplomatico  di 
Roma,  in  seguito  alla  deliberazione  presa  dall'Istituto  me- 
desimo nella  seduta  del  31  maggio  1887. 

Grata  delFincarico  ricevuto,  che  corrispondeva  ad  un 
antico  desiderio  dei  colleghi,  la  Società  procedeva  per 
mezzo  del  suo  Consiglio  direttivo  a  proporre  le  basi  e  le 
linee  principali  dell'opera,  sottoponendo  ai  singoli  soci  uno 
schema,  in  cui  s'indicavano  i  termini  di  tempo  e  di  luogo 
e  il  limite  logico  rispetto  alla  comprensione  dei  documenti 
da  incorporare  nella  raccolta. 

Questo  schema  venne  fatto  oggetto  di  discussione  per 
lettera  coi  soci  lontani,  e  coi  presenti  nell'assemblea  ge- 
nerale del  dì  9  gennaio  ultimo  decorso,  in  cui,  notificate 
tutte  le  osservazioni,  lo  schema  rimase  definitivamente  ap- 
provato nella  forma  della  circolare  che  mi  pregio  di  ac- 
cluderle (V.  Archivio,  XI,  64-66). 

Le  osservazioni  d'autorevoli  colleghi  si  erano  aggirate 
e  intorno  al  termine  cronologico  iniziale,  e  intorno  ai  do- 
cumenti a  cui  si  limitava  la  comprensione  dell'opera,  e 
intorno  ai  fondi  scientifici  che  si  proponevano  ad  oggetto 
di  esplorazione.  I  soci  barone  D.  Carutti  e  W.  von  Gie- 
sebrecht  obbiettarono  circa  l'incertezza  del  termine  a  quo. 
Il  von  Giesebrecht  nel  febbraio  scriveva  da  Monaco  :  «  Der 
«  Pian,  wie  er  in  December  vorigen  Jahrs  in  einem  Cir- 
ce cular  dargelegt  ist,  scheint  mir  durchaus  zu  billigen,  nur 
((  mòchte  ich  der  Erwagung  anheimstellen  ob  nicht  als 
«  Ausgangspunkt  der  Untergang  des  abendlàndischen  Reichs 
«  zu  vàhlen  sei  ».  Il  comm.  dott.  E.  De  Paoli,  soprainten- 


oAtti  della  Società  ^97 

dente  al  R.  Archivio  di  Stato  in  Roma,  proponeva  che 
tra  le  altre  fonti  si  osservasse  se  non  fosse  bene  attingere 
anche  ad  iscrizioni  ed  epistolari.  Il  prof.  Villari  notava 
che  la  storia  del  Comune  di  Roma  trovandosi  più  d'ogni 
altra  connessa  a  quella  di  tutta  l'Italia,  le  ricerche  per  le 
fonti  manoscritte  bisognerebbe  farle  non  solo  nelle  biblio- 
teche ed  archivi  romani,  ma  anche  in  quelli  del  resto  d'I- 
talia; né  forse  converrebbe  escludere  del  tutto  gli  archivi 
stranieri;  ed  aggiungeva  l'invito  di  tener  conto  anche  delle 
pubblicazioni  periodiche,  molte  delle  quah  hanno  documenti 
importanti  per  -la  storia  costituzionale  di  Roma. 

Alle  quali  osservazioni  la  Società  rispose  accettandole, 
per  quanto  concerneva  la  moltipHcità  dei  fondi  da  esplo- 
rare, confidando  che  il  R.  Istituto  Storico  Italiano  avrebbe 
determinato,  d'accordo  colla  Società  stessa,  le  modalità  se- 
condo le  quali  è  possibile  d'incoraggiare  e  sostenere  viaggi, 
dimore  e  ricerche  di  studiosi  a  quest'effetto.  Nell'esame  del 
materiale  già  edito  nulla  deve  essere  omesso  o  trascurato, 
essendo  tracciate  le  Hnee  generali  dello  schema  solo  per 
indicare  e  non  già  per  escludere.  Il  punto  di  partenza  del 
Codice  non  venne  recisamente  determinato  perchè,  se  ve- 
ramente al  cessar  dell'impero  occidentale  si  tronca  e  muta 
l'antica  vita  costituzionale  di  Roma,  questa  era  già  infirmata 
da  una  serie  non  piccola  di  vicende  storiche,  prima  fra 
le  quali  l'edificazione  d'una  seconda  Roma  sul  Bosforo,  che 
rassomigliasse  e  decapitasse  la  prima  ;  per  cui,  stabilitasi  la 
rivalità  tra  la  città  dell'oriente  e  quella  dell'occidente,  s'apri 
la  via  alle  vitali  agitazioni  del  medio  evo,  fatte  più  chiare  ad 
intendere,  se  si  parte  da  quella  legge  che  vedevasi  impressa 
ad  una  colonna  in  mezzo  allo  strategie  di  Costantinopoli. 
La  questione  si  riduce  pertanto  a  cominciare  il  Codice  o 
da  un  brano  degli  Excerpta  di  Malco  (^Script,  Bi^.  Dcxippi 
et  aliar,  fra^tn.  pp.  235-236)  o  da  un  frammento  della 
Storia  ecclesiastica  di  Socrate  Scolastico  (I,  16);  la  quale 
determinazione  potrà  meglio  aver  luogo   nel   distinguere 


698  oAtti  della  Società 

quella  parte  del  materiale  che  per  la  natura  sua  dovrà  es- 
sere incorporato  nel  Codice  o  nella  Storia  diplomatica  di 
Roma,  alla  cui  compilazione  porge  naturale  e  contemporanea 
occasione  la  preparazione  di  quello.  Nella  Storia  diplomatica 
potranno  pertanto  aver  luogo  gli  estratti  da  documenti  che 
non  avranno  ragione  d'esser  compresi  nel  Codice.  La  cernita 
delle  schede  sarà  fatta  dalla  Commissione  che  verrà  pre- 
posta alla  redazione  definitiva  dell'opera.  Frattanto  sembrò 
opportuno  di  ordinare  gli  spogli  preparatori  in  guisa  che 
i  due  lavori  potessero  aver  comune  Torìgine.  Fu  però  di- 
stribuito tra  i  soci  un  certo  numero  di  schede,  di  cui  si 
allega  l'esempio,  curando  che  rispondesse  agli  intendimenti 
sopra  enunciati.  La  scheda  stessa  fu  sottoposta  prima  al- 
Tappròvazione  dei  colleghi:  questi  vennero  invitati  a  de- 
terminare il  limite  entro  al  quale,  secondo  i  particolari 
studi,  intendevano  di  restringere  le  loro  ricerche.  Non  man- 
carono adesioni.  All'esplorazione  dei  regesti  pontifici  editi 
dichiararono  d'accingersi  i  soci:  Ugo  Balzani,  segnata- 
mente per  le  lettere  di  Gregorio  Magno;  S.  Lòwenfeld 
per  lo  spoglio  dei  regesti  editi  dal  ^04  al  1198;  G.  Levi 
per  queUi  pubblicati  dal  Potthast  e  per  l'analisi  delle  Vitae 
pontificum  Romanorum;  ed  esso  e  Alfredo  Monaci  offersero 
ancora  di  curare  l'esame  dei  regesti  mss.  dell'archivio 
segreto  e  della  biblioteca  Vaticana,  dividendo  con  oppor- 
tuno accordo  il  lavoro;  il  prof.  G.  Gatti  promise,  d'intesa 
col  comm.  G.  B.  De  Rossi,  di  esaminare  le  raccolte  d' i- 
scrizioni,  e  di  mettere  a  disposizione  della  Società  i  suoi 
appunti  intorno  alla  serie  dei  magistrati  romani  ;  L  Giorgi 
di  curare  la  collazione  dei  documenti  pubblicati  dal  Gal- 
letti nel  Primicerio  e  Festiarario,  estendendo,  quando  sia 
possibile,  ai  documenti  custoditi  nell'archivio  Capitolare 
di  S.  Maria  in  Via  Lata  l'opera  sua;  il  dottor  E.  Stevenson 
e  l'avv.  R.  Ambrosi  di  esplorare  alcuni  archivi  della  pro- 
vincia, comunicando  l'uno  documenti  veliterni,  l'altro  ana- 
gnini;  il  rev.  sig.  Leone   Allodi    di  comunicare  i   docu- 


(yltti  della  Società  ^99 

menti  membranacei  della  proto-badia  Sublacense,  che 
possono  avere  importanza  pel  nostro  assunto;  il  cav.  Luigi 
Fumi  di  esaminare  gli  archivi  di  Toscana,  dell'Umbria,  e 
segnatamente  di  Perugia,  Todi,  Gubbio,  Spoleto,  Orvieto, 
Terni,  Narni,  Assisi,  e  di  far  indagini  nell'archivio  Vati- 
cano, preferendo  fra  tutti  gli  altri  atti  quelli  che  si  conten- 
gono nei  registri  del  Patrimonio  di  San  Pietro  non  pub- 
blicati da  altri;  il  comm.  dottor  Enrico  De  Paoli,  come 
sopraintendente  agli  archivi  romani,  di  comunicare  tutti 
quei  documenti  che  sia  in  originale,  sia  in  copia,  sia  in 
sunto  si  trovano  nel  R.  Archivio  di  Stato;  il  prof.  P.  Vii- 
lari  di  ricercare  gli  archivi  di  Firenze  e  di  fornire  la  col- 
lazione e  la  copia  dei  documenti  reperti  ;  il  prof.  Ernesto 
Monaci  di  fare  lo  spogHo  delle  croniche  Muratoriane  ;  il 
dottor  Th.  Hodgkin  quello  delle  lettere  di  Cassiodoro;  il 
sottoscritto  di  percorrere  le  collezioni  annalistiche  e  ricer- 
care le  fonti  inedite,  specialmente  del  decimoquarto  e  de- 
cimoquinto secolo  ;  i  signori  prof.  G.  Cugnoni,  bibliotecario 
della  Chigiana,  C.  Castellani,  prefetto  della  Marciana  in 
Venezia,  H.  Winkelmann,  bibhotecario  della  università  di 
Heidelberg,  di  contribuire  coi  preziosi  fondi  scientifici 
delle  librerie  cui  sopraintendono  a  vantaggio  del  Codice 
diplomatico  di  Roma. 

Necessitando  poi  di  stendere  Tesame  al  maggior  nu- 
mero di  collezioni  e  d'archivi  privati  e  pubblici  della  nostra 
regione,  fu  indirizzata  alle  più  illustri  famiglie  e  alle  Am- 
ministrazioni civili  ed  ecclesiastiche  principali  della  cittA 
la  circolare  che  segue  : 

Roma,  li  31  maggio  1888. 
On.  ed  III.  Signore, 

Fin  dall'anno  1845  un  giornale  letterario  e  scientifico  di  Roma 
annunziava  con  gioia  «  come  alcuni  signori  e  alcuni  capi  d'Amminì- 
stra/ioni  ecclesiastiche  in  Roma,  pregiftndo  la  utilità  che  dalle  an- 
tiche carte  possono  trarre  la  storia  ed  il  foro  nella  trattazione  delle 
cause  civili,  decretarono  l'ordinamento  de'  loro  archivi  domestici  o  di 


700  oAtti  della  Società 


quelli  sottoposti  alla  loro  presidenza  ».  Il  Saggiatore^  che  in  quel 
l'anno  pubblicava  così  bella  notizia  (an.  2,  voi.  IV,  p.  319),  aggiun- 
geva lodi  al  Carinci,  conservatore  dell'archivio  Caetani  e  ordinatore 
del  cartulario  della  Fabbrica  di  S.  Pietro,  dell'archivio  del  marchese 
Patrizi-Naro  e  del  principe  di  Piombino. 

Ora  questa  R.  Società  Romana,  che  per  invito  dell'Istituto  Sto- 
rico Italiano  si  accinge  a  pubblicare  il  Codcx  diplomaticus  Urhis, 
reputando  che  le  belle  disposizioni  d'allora  abbiano  fruttificato,  con- 
fida che  alla  storia  patria  non  verrà  meno  in  questa  occasione  il  cor- 
tese contributo  delle  grandi  e  generose  famiglie  e  delle  potenti  Am- 
ministrazioni civili  ed  ecclesiastiche  per  cui  la  storia  della  patria  è 
gloria  domestica  e  chiede  che  all'alta  intrapresa  che  le  è  commessa 
concorra  il  favore  dei  singoli,  e  si  conceda  pertanto,  con  quelle  mal- 
leverie che  più  sembrano  desiderabili  e  d'accordo  coi  signori  archi- 
visti, che  la  Società  faccia  esplorazione,  collazione  e  pubblicazione  di 
quei  documenti  che  è  sperabile  si  trovino  in  cotesto  spettabile  ar- 
chivio, di  tale  qualità  che  non  debbano  mancare  a  un  Codice  e  ad 
una  Storia  diplomatica  di  Roma. 

La  R.  Società  Romana  di  storia  patria  confida  che  la  preghiera 
che  avanza  verrà  dall'on.'"^  S.  V.  presa  in  considerazione  e  sarà  lieta 
di  notificare  nella  rubrica  della  sua  pubblicazione  periodica  riservata 
alla  preparazione  del  Codex  diplomaticus  Urbis,  quella  risposta  che 
all'on.  S.  V,  piacerà  di  farle  pervenire. 
Con  ossequio,  ecc. 

Famiglie  ed  Amministrazioni  alle  quali  fu  indirizzata: 
Famiglie  nobili. 

Aldobrandini  principe  don  Camillo  —  Altieri  principe  —  Barbe- 
rini principe  don  Enrico  —  Bolognetti-Cencì  principe  don  Virginio  — 
Borghese  principe  don  Paolo  —  Caetani  duca  don  Onorato  —  Ca- 
pranica  marchese  Camillo  —  Cardelli  conte  Alessandro  —  Chigi 
principe  don  Mario  —  Colonna  principe  don  Giovanni  —  Del  Bufalo 
Della  Valle  marchese  —  Doria  principe  don  Giovanni  Andrea  —  Ga- 
brielli principe  don  Placido  —  Orsini  principe  don  Filippo  —  Sforza 
Cesarini  duca  don  Francesco. 

Capitoli,  Collegiate  e  Monasteri. 

Capitolo  di  S.  Anastasia  —  di  S.  Angelo  in  Pescheria  —  dei 
Ss.  Celso  e  Giuliano  —  di  S.  Eustachio  —  di  S.  Giovanni  in  La- 
terano  —  di  S.  Girolamo  degli  Schiavoni  —  dei  Ss.  Lorenzo  e  Da- 


oAtti  della  Società  701 


maso  —  di  S.  Marco  —  di  S.  Maria  in  Cosmedin  —  di  S.  Maria 
Maggiore  —  di  S.  Maria  ad  Martires  —  di  S.  Maria  di  Monte  Santo 

—  di  S.  Maria  in  Trastevere —  di  S.  Maria  in  Via  Lata  —  di  S.  Ni- 
cola in  Carcere  —  di  S.  Pietro  in  Vaticano  —  Monaci  Benedettini 
di  S.  Paolo. 

Ospedali. 

Ospedale  di  S.  Giacomo  —  di  S.  Giovanni  —  di  S.  Spirito  in 
Sassia. 

Archiconfraternite  e  Confraternite. 

Archiconfraternita  degli  Adoratori  alla  Colonna  —  degli  Amanti 
di  Gesù  e  Maria  —  di  S.  Andrea  e  S.  Francesco  —  di  S.  Antonio 
di  Padova  —  dei  Bergamaschi  —  dei  Ss.  Carlo  ed  Ambrogio  — 
di  S.  Caterina  da  Siena  —  del  SS.  Corpo  di  Cristo  —  del  SS.  Cro- 
cifisso Agonizzante  —  del  SS.  Crocefisso  —  dei  Curiali —  di  S.  Gio- 
vanni dei  Fiorentini  —  dei  Lucchesi  —  di  S.  Maria  della   Mercede 

—  di  S.  Maria  dell'Orazione  e  Morte  —  del  SS.  Sacramento  —  di 
S.  Spirito. 

Risposero  all'  invito  con  singolare  cortesia  i  signori  : 
principe  Paolo  Borghese,  marchese  Camillo  Capranica, 
Onorato  Caetani  duca  di  Sermoneta,  principe  Mario  Chigi, 
principe  Colonna,  principe  F.  Orsini,  duca  F.  Sforza  Ce- 
sarini;  il  rev.  abate  di  S.  Paolo,  don  Francesco  Leopoldo 
Zelli,  pel  Capitolo  di  S.  Lorenzo  in  Damaso  il  chiarissimo 
monsignor  David  Farabulini,  le  Amministrazioni  ospita- 
liere di  S.  Spirito  in  Sassia,  del  Salvatore  ad  Sancta  San- 
ctorum;  l'archivista  dei  Bergamaschi;  ed  è  luogo  a  sperare 
che  questi  nobili  esempi  vinceranno  altre  ritrosie. 

Dischiusa  la  via  al  lavoro,  questo  venne  incominciato 
e  in  apposita  rubrica  del  nostro  Archivio  se  ne  renderA 
conto.  I  contributi  dello  Stevenson,  dell'Ambrosi,  dagli  ar- 
chivi di  Anagni  e  di  Velletri  e  quelli  dell'Allodi  dall'abadia 
Sublacense  vi  troveranno  immediatamente  il  loro  posto; 
cosi  in  seguito  i  successivi. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI.  46 


702  oAtti  della  Società 

Se  non  che  importa  che  Topera  sociale  sia  ben  disci- 
plinata cosi  nella  preparazione  come  nella  compilazione; 
e  ^e  è  desiderabile  che,  in  quella  guisa  che  si  reputerà  più 
opportuna  da  cotesto  R.  Istituto  Storico,  si  faciliti  Tesplo- 
razione  d'archivi  e  di  biblioteche,  senza  la  quale  sarebbe 
vano  accingersi  all'intrapresa,  importa  pure  che  un  primo 
saggio  della  pubblicazione  venga  circoscritto  dentro  a  ri- 
stretti limiti  cronologici;  dacché  se  in  tutte  le  opere  il  co- 
minciamento  è  difficile,  di  questa,  che  non  è  lieve,  neces- 
sita ben  fissare  l'indole  e  i  modi,  acciocché  il  principio 
del  fatto  sia  guida  eloquente  anche  a  chi  segue  ad  atten- 
dere alle  ricerche  preparatorie. 

Il  Presidente 
O.    TOMMASINI. 


BIBLIOGRAFIA 


Alessandro  Gherardi.  Nuovi  documenti  e  studi  intorno  a  Gi- 
rolamo Savonarola,  Seconda  edizione  emendata  e  accre- 
sciuta. —  Firenze,  Sansoni,  1887  (12°,  pp.  xii-400). 

Merita  lode  il  pensiero  del  cav.  A.  Gherardi^  di  fare  una  nuova 
edizione  di  questo  libro,  non  che  l'incoraggiamento  dato  all'opera  dal 
Ministero  della  pubblica  istruzione  ;  perchè  l'edizione  prima  stampata 
a  soli  50 esemplari  era  quasi  irreperibile;  e  chi  non  poteva,  o  per  do- 
veri d'ufficio  o  per  altro,  recarsi  ad  esaminarla  in  qualcuna  delle 
principalissime  biblioteche  del  Regno,  doveva  appagarsi  d'argomen- 
tarne la  grande  importanza  dalle  rassegne  e  dai  libri,  che  ne  par- 
lavano o  che  facevano  tesoro  dei  documenti  e  degli  studi  in  quella 
raccolti. 

Questa  lode  ha  da  esser  poi  tanto  maggiore,  in  quanto  non  si 
tratta  di  una  semplice  ristampa  ;  ma  il  libro  ci  si  presenta  veramente 
migliorato  e  accresciuto  di  molte  cose,  alcune  delle  quali  d'importanza 
non  lieve.  Come  sanno  quelli,  che  han  visto  o  questa  o  la  prima  edi- 
zione, il  libro  è  diviso  in  tre  parti,  delle  quali  la  prima,  genealogica  e 
bibliografica,  ha  a  fondamento  gli  studi  del  compianto  cav.  Napoleone 
Cittadella  di  Ferrara  sulla  famiglia  e  sulla  casa  del  Savonarola  e  su 
tutte  le  pubblicazioni,  che  ne  illustran  la  vita  ;  la  seconda,  sopra  tutte 
importante,  è  formata  da  documenti  inediti  scoperti  in  gran  parte  dal 
p.  Ceslao  Bayonne,  domenicano  studiosissimo  delle  cose  del  Savona- 
rola, e  qui  pubblicati,  ordinati,  illustrati;  la  terza  contiene  la  tratta- 
zione di  certe  quistioni  cronologiche,  alcune  delle  quali  rilevantis- 
sime. Or  nella  presente  edizione  la  parte  prima  ò  accresciuta  di  certe 
notizie  intorno  a  un  amore  giovenile  del  S.  per  Laodamia  figliuola 
naturale  di  Roberto  Strozzi,  la  quale  non  aveva  degnato  la  mano 
del  giovine  nato  di  più  umil  casata  (i);  e  soprattutto  di  molte  no- 
tizie bigliografiche,  che  hanno  indotto  il  Gh.,  anziché  a  fare  un  sup- 

(i)  Par.  I,  'j  11,  pp.  s-8.  Le  notizie  son  tratte,  parte  da  un  tratto  del  Vulntra  dili- 
ggnfii  di  PRA  Benedetto,  gii  edito  in  parte  e  scorrettamente  dal  .Mcicr  e  dall'Aquarone  ; 
in  parte  da  qualche  nuovo  documento,  dei  quali  n'i  pubblicato  uno  a  p.  $,  a.  l. 


704  bibliografia 


plemento  alla  hibliografia  del  Cittadella  e  aìV aggiunta  fattavi  nella 
prima  edizione,  a  riunire  tutti  i  vecchi  e  nuovi  materiali  in  un  corpo 
unico,  che  è  riuscito  davvero  un  bel  saggio  di  bibliografia  biografica 
del  frate  ferrarese.  La  parte  terza  è  soltanto  trattata  con  maggiore 
ampiezza,  specialmente  richiesta  dal  modo  nel  quale  erano  state  toc- 
cate quelle  questioni  nella  nuova  edizione  dell'opera  insigne  del 
prof.  Villari.  Quanto  alla  seconda,  dirò  colle  parole  stesse  dell'edi- 
tore, che  «  si  avvantaggia  qui  notabilmente  sulla  prima  edizione. 
«Ventisei  sono  i  documenti  nuovi  con  le  opportune  illustrazioni... 
«Basterà  ch'io  accenni  ai  principalissimi,  che  sono:  alcuni  brani 
«  della  Storia  manoscritta  di  Piero  Parenti,  che,  insieme  con  una 
«  lettera  di  madonna  Guglielmina  della  Stufa,  formano  il  quinto  pa- 
«  ragrafo,  interamente  nuovo  ;  diverse  note  di  spese  incontrate  dalla 
«  Signoria  e  dai  Dieci  per  il  fatto  dell'esperimento  del  fuoco,  e  per 
«  la  cattura  e  il  supplizio  del  S.  e  dei  compagni  (§§  ix  e  x)  ;  e  altri 
«  brani  di  cronache,  pur  manoscritte,  di  due  frati  minori,  che  ho  posto 
«tra  i  documenti  relativi  alla  memoria  di  fra  Girolamo  (§  xii)  (i). 
«  Anche  i  documenti  delle  relazioni  del  Nostro  coi  Pratesi,  così  bene 
«illustrati  dal  comm.  Guasti,  ritornano,  con  qualche  giunta  e  qua 
«  e  là  ritoccati,  in  questa  edizione  »  (2).  E  su  questa  seconda  parte, 
che  forma  quasi  tutto  il  volume  del  libro,  fermeremo  particolarmente 
la  nostra  attenzione,  così  sulle  aggiunte,  come  su  quel  che  già  nella 
prima  edizione  si  conteneva,  giacché  la  sua  scarsa  diffusione  può 
quasi  farla  considerare  come  un'opera  nuova;  e  lo  faremo  seguendo 
l'ordine  dei  dodici  paragrafi,  nei  quali  la  materia  è  distribuita,  per 
quanto  la  qualità  degli  argomenti  di  ciascuno  lo  consentiva,  se- 
condo la  successione  dei  tempi. 

Contiene  il  primo,  che  si  riferisce  ai  primordi  della  vita  religiosa 
del  S.,  due  lettere  dell'illustre  medico  e  letterato  bolognese  Giovanni 
Garzoni,  lettore  di  filosofia  nel  patrio  ateneo,  che  nella  prima  lodava 
il  S.  di  esser  venuto  «  ad  urbem  Bononiensem  tamquam  ad  mercha- 
turam  bonarum  artium  »,  e  gli  preconizzava  che  si  sarebbe  fatto,  alla 
sua  scuola,  grande  oratore,  come  altri,  che  ricordava,  ma  i  cui  nomi  a 
noi  giungono  ignoti  (3);  nell'altra  usava  espressioni,  che  non  lo 
mostrano  troppo  contento  del  discepolo  (4). 

Il  secondo  è  formato  da  una  nota,  tratta  dalle  carte  del  convento 
di  S.  Marco,  delle  limosine  ricevute  in  vari  tempi  da  esso  convento 
per  le  prediche  del  S.  ;  la  quale,  se  pare  in  se  stessa  di  poco  conto, 
pure  mi  sembra  che  possa  essere  utile  a  stabilire  la  cronologia  della 
prima  dimora  del  S.  a  Firenze,  sulla  quale  è  regnata  così  lunga- 
mente, e  quasi  può   dirsi   fino  alla  nuova   edizione   dell'opera  del 

(i)  Veramente  dice:  §  x;  ma  è  un  error  di  stampa  evidente. 

(2)  Prefazione,  pp.  x-xi. 

(3)  Doc.   I,  p.  38. 

(4)  Doc.  2,  p.  39.  Secondo  lui  il  S.  aveva  dichiarato  la  guerra  a  Prisciano  e  ferito 
gravemente  Apollo.  Le  lettere  sono  ambedue  senza  data. 


bibliografia  705 


Villari,  che  della  pubblicazione  del  Gh.  si  giovò,  così  gran  confu- 
sione (i). 

Il  terzo    contiene  i  documenti  che  concernono  alla  costituzione 
della  provincia  toscana  dei  domenicani  riformati,  ossia  alla  separa- 


(i)  Vero  è  per  altro,  che  appunto  questi  documenti  mi  condurrebbero  ad  allontanarmi 
da  quanto  il  V.  scrisse  nella  nuova  edizione  dell'opera  sua,  specialmente  intorno  all'anno, 
nel  quale  il  S.  venne  la  prima  volta  a  Firenze,  e  di  cui,  per  verità,  non  mi  pareva  di 
poter  essere  interamente  sicuro,  quando  feci  una  rassegna  del  volume  I  di  quell'opera 
(pubblic.  nel  Giornale  stor.  della  leti.  it.  X,  238  sgg.),  senza  aver  potuto  consultare  né 
riscontrare,  per  le  ragioni  che  in  principio  ho  accennate,  la  pubblicazione  del  Gh.  Il 
quale,  nella  3=*  parte  di  questo  libro,  si  occupa  appunto  di  tal  questione  (§  i,  p.  369  sgg.), 
ed  osserva  giustamente:  1°  che  l'autorità  dell'Ubaldini  frate  di  S.  Marco,  che  professò 
nel  1490,  e  che  nei  suoi  annali  del  convento  lasciò  scritta  la  data  del  1482  accettata  dal 
p.  Marchese,  non  è  punto  men  valida  di  quella  di  fra  Placido  Cinozzi,  che  professò  in 
S.  Marco  nel  1496,  e  che  scrisse  nella  sua  epistola,  biografica,  a  cui  attinsero  tutti  gli 
altri  antichi  biografi,  la  data  del  1481,  alla  quale  il  V.,  nella  seconda  edizione,  ritorna; 
2°  che  i  biografi,  compreso  il  Cinozzi,  nel  dar  la  cagione  di  questa  venuta,  parlano  della 
guerra  di  Venezia  contro  Ferrara  come  già  mossa  e  incominciata,  e  però  non  vale  a  so- 
stenere la  data  del  1481  l'acuta  osservazione  del  V.,  che  se  la  guerra  cominciò  nel  1482, 
«  i  torbidi,  le  incertezze,  i  preparativi  erano  già  assai  prima  cominciati  »  (loc.  cit.  pp.  371- 
372.  Cf.  Villari,  La  storia  di  G.  S.  ecc.  nuova  ed.  pp.  32,  73-74).  Al  che,  d'altra  parte, 
potrebbe  anche  aggiungersi  che  i  torbidi  e  le  incertezze  furono  nel  1481  cosi  veramente 
incerti,  che  poco  ne  poteva  trasparire  in  modo  da  far  temere  sicura  la  guerra,  e  far  pren- 
dere ai  domenicani  di  Ferrara  il  provvedimento  di  chiuder  lo  studio,  o,  come  dice  il  Bde- 
LAMACCHi  (^Vita  del  p.  f.  G.  S.  Lucca,  1764,  p.  14),  di  sgravare  il  convento;!  preparativi 
poi  ci  conducono  senz'altro  al  1482.  Infatti,  anche  seguendo  soltanto  la  testimonianza 
del  Navagero  (Storia  della  R.p.  veneiiana,  in  JR.  /.  S.  XXIII),  che  ci  riporta  più  indietro 
di  tutti,  perchè  fa  cominciare  i  primi  screzi  fra  la  Repubblica  e  il  duca  nel  luglio  del  1481, 
non  vi  fu  vera  minaccia  di  guerra  per  tutto  quell'anno,  ma  un  grande  andare  e  venire 
d' ambasciatori,  con  qualche  soddisfazione  data  dal  duca  alla  Repubblica,  e  con  arti  sue  per 
tirare  in  lungo  e  veder  di  liberarsi  dagli  obblighi  che  aveva  con  quella.  Solo  ai  3  di  no- 
vembre, una  deliberazione  del  Senato  di  Venezia  di  far  fabbricare  nell'arsenale  tre  bastie, 
da  mettersi  poi  in  certi  luoghi  di  confino  con  alcuni  fanti.  E  più  tardi  si  mandavano  genti 
in  certe  castella  del  Padovano,  «  non  già  per  desiderio  di  muover  guerra  al  duca  di  Fer- 
o  rara,  ma  per  indur  quello  con  questo  modo  all'accordo».  E  il  duca,  pur  tenendo  am- 
basciatori a  Venezia,  ne  mandò  ai  suoi  collegati  re  di  Napoli,  Milano  e  Fiorentini,  i 
quali  protestarono  presso  il  papa  (e  l'udienza  ci  descrive  Iacopo  Volterrano,  in  R.  I. 
S.  XXIII,  col.  258  e)  che  scrisse  ai  Veneziani  un  breve  «  esortandoli  a  non  turbare  la  pace 
«d'Italia»,  al  quale  essi  rispondevano  il  24  di  gennaio  del  1482,  Seguitarono  poi  ancora 
le  pratiche,  ma  cominciarono  insieme  le  condotte  e  gli  armamenti,  finché  il  19  d'aprile  fii 
licenziato  da  Venezia  l'ambasciator  di  Ferrara;  e  nondimeno  sei  giorni  dopo  ■  il  canccl- 
o  liero  del  Visdomino  restato  in  Ferrara,  il  giorno  di  S.  Marco  andò  nella  processione 
V  solenne  collo  stendardo  di  S.  Marco  spiegato,  secondo  il  solito  dei  Visdomini  ».  Pure 
il  3  di  maggio  (il  Sanuto,  Vitae  ducum,  in  R.  I.  S.  XXII,  121$  e,  dice  il  2)  fu  bandiu 
solennemente  la  guerra  a  Venezia  in  piazza  di  S.  Marco  (loc.  cit.  col.  11 69-1 172).  M«  se 
dovessimo  seguire  il  Diario  ferrarese  d'anonimo  (R.  I.  S.  XXIV),  più  importante  al  c*so 
nostro  pel  luogo  dove  fu  scritto,  e  che  in  sostanza  dal  Navagero  non  discord*,  le  prime 
minacce  e  lagnanze  di  Venezia  al  duca  furono  «  da  sancto  Michacle  »,  cioè  alla  fin  di  set- 
tembre del  1481  (col.  2j6  a),  c  le  bastie  piantate  presso  a  Rovigo,  che  intimorirono  il 
duca  e  lo  fecero  rivolgere  agli  alleati  ed  al  papa.  «  di  zenaro  »  1482,  e  soltanto  il  $  di 
aprile,  in  venerdì  santo,  una  scorrerla  dei  Veneziani  verso  Codigoro,  che  dette  origine  « 
proteste  reciproche  (col.  2jé-2J7.  Cf.  Navageko,  1171  e).  Certi  provvedimenti  a  difeM 
aveva  cominciati  il  duca,  ma  dopo  U  risposta  rassicurante  del  papa  (ivi),  alla  quale  per 
verità  contrastavano  un  poco  i  gran  favori,  che  usava  ai  Veneziani  (Navacbro,  1171  a. 
Cf.  Iacob.  Volaterr.  161  c-e,  Sanuto,  op.  cit.  1114  e),  i  quali  nel  marzo,  come  ne  £s 
fede  il  Sanuto,  che   assegna   le  date  precise,    incominciarono  a   soldar  gente   (loc.    cit. 


jo6  bibliografia 


zione  della  congregazione  toscana,  o  di  S.  Marco,  dalla  provincia 
lombarda;  fatto  tanto  bramato  dal  S.,  che  lo  sperava  principio  fe- 
condo di  riforma  e  dell'ordine  suo,  e  della  vita  fiorentina,  e  di  tutta 
la  Chiesa.  Al  rogito  di  ser  Giovanni  da  Montevarchi,  col  quale  tutti 


1214  e).  Pure  la  soluzione,  che  il  Gh.,  per  conciliare  le  opposte  sentenze,  propone  e  che, 
in  sostanza,  non  è  altra  che  quella  del  p.  Marchese  detta  con  maggiore  esattezza,  cioè 
che  il  S.  venisse  a  Firenze  prima  del  25  di  marzo  del  1482,  quando  secondo  lo  stile  fio- 
rentino durava  ancora  l'anno  i:^8i,  non  mi  sembra  troppo  fondata.  Oltreché  sarebbe  un 
po'  strano  che  l'Ubaldini  non  seguisse  lo  stile  fiorentino,  ma  il  comune  (cosa,  d'altra 
parte,  che  col  raffronto  del  resto  dei  suoi  annali,  chi  ha  il  modo  di  consultarli  potrà  age- 
volmente verificare);  se  è  vero  quel  che  scrivono  i  biografi  (vedine  le  parole  citate  dal 
Gh.  a  p.  371,  n.  2)  che  quando  il  S.  venne  a  Firenze  la  guerra  era  già  mossa,  siamo 
per  lo  meno  nel  mese  di  maggio,  quando  non  c'è  più   fra  i  due  stili  nessuna  differenza. 

Ma  rimarrebbe  quell'argomento,  che  parve  a  me  il  più  forte  di  tutti,  cioè  quello  della 
quaresima  predicata  in  S.  Lorenzo,  che  il  Burlamacchi  (p.  14),  seguendo  il  Cinozzi,  di- 
ceva «  la  prima...,  che  successe  alla  sua  venuta  in  Firenze  »  e  che  non  poteva  essere  stata 
se  non  quella  del  1482  (Villari,  op.  cit.  I,  73).  Or  questa  lista  d'elemosine  lo  toglie 
di  mezzo.  Non  apparisce  da  questa  che  il  S.  predicasse  a  Firenze  nel  1482,  se  non  l'av- 
vento nel  monastero  delle  Murate  (p.  39);  nel  1485,  la  quaresima  nello  stesso  monastero 
e  in  Orsammichele  (p.  40)  ;  né  questa  duplicità  di  luogo  fa  difficoltà,  perchè  la  predica- 
zione poteva  non  esser  quotidiana  ;  dopodiché  troviamo  quest'altra  partita  del  1484  (ivi)  : 
«A  di  23  aprile,  lire  39.8  avemmo  contanti  dal  Capitolo  di  S.  Lorenzo,  per  limosina 
«delle  prediche  di  fra  Girolamo  da  Ferrara.  L.  39,8  ».  Ecco  il  quaresimale  di  S.  Lorenzo 
(la  Pasqua  cadde  in  quell'anno,  se  non  erro,  il  18  d'aprile),  che  non  è  poi  gran  fatto 
se  il  Cinozzi  e  dietro  a  lui  chi  lo  seguì  credè,  per  un  facile  error  di  memoria,  il  primo 
invece  che  il  secondo  dacché  il  S.  era  in  Firenze  ;  tanto  più  che,  trasportandolo,  come 
fu,  al  1484  sta  la  predicazione  simultanea  del  S.  in  S.  Lorenzo  e  di  fra  Mariano  in  S.  Spirito, 
che  il  Villari  aveva  dovuto  rigettare  e  che  i  biografi  attestano.  Né  fa  ostacolo  la  predi- 
cazione di  S.  Gemignano,  che  si  dice  fatta  nelle  quaresime  degli  anni  1484  e  1485  (Vil- 
lari, op.  cit.  I,  84),  poiché  queste  date  sono  state  argomentate  dalle  parole  del  primo 
processo  del  S.  (molto  malsicure  a  stabilirvi  su  una  data,  perchè  ripiene  di  circa,  come 
osserva  il  Gh.  a  p.  373)  e  nell'idea,  chiarita  falsa  dal  Gh.  nel  §  ii  di  questa  terza 
parte,  che  nel  i486  si  tenesse  il  capitolo  di  Reggio,  che  fu  invece  convocato  nel  1482. 
Or  da  quelle  parole  del  processo  (poiché  non  vai  la  pena  di  citare  la  testimonianza  er- 
rata, come  altre  sue,  del  p.  Marco  della  Casa,  che  riferi  quella  predicazione  agli  anni  1483 
e  1484,  in  p.  Marchese,  Avvertimento  premesso  alla  pubblicaz.  delle  lettere  del  S.  Arch. 
star.  ìt.  App.  Vili,  p.  78,  n.  5.  Cf.  p.  80)  non  apparisce  in  sostanza  se  non  questo,  che 
a  S.  Gemignano  il  S.  predicò  due  anni  (Villari,  op.  cit.  II,  p.  e  1),  senza  che  neppur  si 
possa  dire  se  furono  avventi  o  quaresime.  Ma  è  probabile  che  fossero  le  quaresime  dei 
due  anni  1485  e  i486,  nei  quali  non  apparisce  dal  registro  di  cui  pubblica  gli  estratti  il 
Gh.  ch'egli  predicasse  in  Firenze,  dove  invece  lo, ritroviamo  nel  1487,  del  quale  anno  è 
la  seguente  partita  (ivi):  «  Dalle  monache  e  monastero  di  Santa  Verdiana,  a'  di  17  aprile 
«fiorini  5  larghi,  per  le  prediche  di  fra  Girolamo  e  di  fra  Tomaso  Busini.  L.  18.15  "> 
sia  che  i  due  predicatori  si  fossero  alternati,  sia,  come  ci  par  più  probabile,  che  durante 
quella  quaresima  il  S.  fosse  stato  richiamato  da  Firenze  in  Lombardia,  e  il  Busini  avesse 
seguitato  a  predicare  in  sua  vece.  E  cosi  viene  ad  accorciarsi  il  tempo  della  dimora  del 
S.  in  Lombardia  accennato  da  lui  nel  processo  nel  solito  modo  indeterminato  («  dove 
stetti  anni  circa  iiij  »,  loc.  cit.)  ;  ma  intorno  al  quale,  salvo  il  quaresimale  di  Brescia,  nulla 
affatto  han  saputo  dirci  i  biografi. 

Anche  della  intricata  questione  della  seconda  venuta  del  S.  a  Firenze  ragiona  molto 
bene  il  Gh.  nello  stesso  paragrafo  della  terza  parte,  dando  giusto  peso  al  «  Kalendis  au- 
«  gusti,  die  dominìco  »  del  Compendium  revelationum,  che  porta  al  1490  il  principio  della 
predicazione  pubblica  in  S.  Marco,  e  pur  apprezzando  a  dovere  le  testimonianze,  che  in- 
dussero il  prof.  Villari  ed  altri  a  por  la  sua  venuta  in  Firenze  nel  1489  ;  e  ponendo  in- 
nanzi due  ipotesi  a  spiegare  la  contraddizione,  che  in  quel  passo  del  Compendium  si  ri- 
scontra; delle  quali,  per  verità,  mi  pare  la  più  probabile  quella  che  al  Gh.  par  meno,  cioè 


bibliografia  707 


i  frati  di  S.  Marco  chiedevano  la  separazione,  protestando  di  bra- 
marla e  chiederla  spontaneamente  e  firmandosi  di  propria  mano  (i), 
e  alle  lettere  generalizie  di  fra  Gioacchino  Turriano,  che  aggrega- 
vano il  S.  alla  nuova  congregazione  (2),  e  ne  lo  costituivano  provin- 
ciale (3),  e  più  tardi  vicario  generale  (4),  e  la  congregazione  stessa 
proteggevano  dal  mal  animo  dei  frati  lombardi  (5)  e  ne  estendevano 
ad  altri  conventi  la  giurisdizione  (6);  altri  documenti  s'aggiungono 
qui,  che  mostrano  il  gran  favore  che  la  Signoria  di  Firenze  dava 
con  zelo  premuroso  all'opera  di  fra  Girolamo  e  alla  sua  diffusione, 
sia  per  mezzo  del  suo  ambasciatore  a  Roma  Puccio  Pucci  (7)  e  del 
segretario  Antonio  da  Colle  (8),  sia  scrivendo  direttamente  al  car- 
dinale Oliviero  Caraffa,  protettore  dell'ordine  domenicano  (9). 

Il  paragrafo  quarto  è  il  più  noto  e  pubblico  di  tutti,  perchè  for- 
mato dallo  studio  del  comm.  Guasti,  che  fu  stampato  l'anno  1876 
nella  Rivista  universale  di  Firenze,  e  ha  per  titolo:  //  S.  e  i  Pratesi. 
Trova  qui  il  suo  luogo  opportuno,  perchè  in  esso  il  Guasti,  dopo 


che  il  S.  scrivesse  1489  secondo  lo  stile  fiorentino,  riferendosi  ai  primi  mesi  di  quell'anno, 
e  poi  seguitasse  :  «  quo  quidem  anno  »,  senza  avvertire  che,  scrivendo  in  quello  stile,  l'anno 
finiva  col  24  di  marzo.  A  quel  modo  non  occorre  supporre  errata  la  data  della  lettera  da 
Pavia  (dalla  quale,  giustamente  osserva  il  Gh.,  non  resta  provata  né  la  sua  andata  a  Ge- 
nova, ne  molto  meno  che  egli  predicasse  tutto  il  quaresimale  in  quella  città),  e  si  spiega 
un  po'  meglio  anche  quell'  «  anni  circa  iiij  »  del  processo  citato,  specialmente  se  il  S.  era 
sempre  a  Firenze  a  principio  del  1487. 

(1)  Doc.   I  ;  p.  42  sgg. 

(2)  Doc.   3  ;  p.  54. 

(3)  Doc.  4;  p.  56 

(4)  Doc.  17;  p.  66. 

(j)  Docc.  a,  s;  pp.  52,  56. 

(6)  Docc.  II,  16,  18;  pp.  61,  6j,  68.  Il  primo  è  veramente  una  lettera  del  priore  di 
Fiesole,  che  parla  dell'aggregazione  a  S.  Marco  dei  conventi  di  Fiesole  e  di  Pisa;  il  se- 
condo vi  aggrega  il  convento  di  S.  Maria  del  Sasso  ;  il  terzo  dà  giurisdizione  al  S.  sulle 
terziarie  domenicane  di  S.  Lucia  di  Firenze.  S'aggiunga  il  doc.  13,  col  quale  il  generale 
dava  facoltà  al  S.  di  mandar  fuori  dal  convento  quanti  frati  gli  piacesse,  per  trattar  questi 
negozi,  p.  63. 

(7)  Lettera  della  Signoria,  del  2  giugno  1494.  Raccomanda  d'insistere  col  card,  di 
Napoli,  per  ottenere  l'aggregazione  a  S.  Marco  dei  conventi  di  Fiesole  e  di  Pisa.  Docu- 
mento  15  ;  p.  64. 

(8)  Lettere  della  Signoria  scritte  allo  stesso  fine,  e  anche  per  l'aggregazione  del  con- 
vento di  S.  Domenico  di  S.  Gimignano,  il  28  novembre  e  il  17  decembre  1493,  1'  11  gen- 
naio e  il  7  d'aprile  del  1494.  Docc.  7,  8,  9,   io;  pp.   59,  60. 

(9)  Lettere  della  Signoria,  scritte  allo  stesso  fine,  il  28  novembre  1493,  il  1$  maggio  e 
il  2  di  giugno  del  1494.  Docc.  6,  12,  14;  pp.  58,  62,  63.  Dicevano  e  ripetevano  al  cardi- 
nale: «  Nihil  nobis  facere  potes  in  presentia  gratius  ».  È  assai  notevole  che  tutte  queste 
pratiche  si  fanno,  come  ai  vede,  dalla  Signoria,  prima  della  cacciata  di  Piero  dei  Medici 
e  quando  questi  poteva  molto  in  Firenze  (Cf.  anche  i  documenti  pubblicati  dal  Villari  in 
appendice  al  volume  I  dell'opera  tua,  sotto  i  numeri  xi,  xtii,  xiv  dall'i  al  4)  e  ne  vien 
confermato  quello  che  il  S.  disse  nel  terzo  processo,  che  anche  la  separazione  del  con- 
vento di  S.  Marco  da!la  congregazione  lombarda  «  era  suto  per  mezo  di  Piero  de'  Me- 
«  dici»  (ViLLARt,  op.  cit.  II,  clxxxvj).  Or  questo  non  mi  par  senza  qualche  peso  a  far 
ritenere  un  po'  difficile  che  il  S.  si  fosse  scoperto  contrario  alia  politica  medicea,  dichia- 
randola tiranoica,  e  intimando  perfino  a  Lorenzo,  al  letto  di  morte,  di  rendere  a  Firenze 
U  libera. 


7o8  bibliografia 


accennato  il  bisogno  di  riforma  che  si  sentiva  cosi  dentro  come 
fuori  dei  cenobi  nel  secolo  xv,  prende  appunto  le  mosse  dall'osser- 
vanza introdotta  in  S.  Marco,  e  dalla  separazione  della  congrega- 
zione toscana  dalla  provincia  lombarda  (i),  per  poi  venire  all'illu- 
strazione di  certi  inediti  documenti,  che  ci  dicono  qual  fosse  il  favore 
che  la  riforma  trovò  in  Prato,  e  come  s'unisse  alla  nuova  congregazione 
il  convento  pratese  di  S.  Domenico  ;  come  a  favorir  la  riforma  si  desser 
premura  insieme  e  i  Difensori  di  Prato  e  la  Signoria  di  Firenze,  provve- 
dendo d'altra  abitazione  i  domenicani  conventuali  e  assicurando  gli  os- 
servanti dalle  molestie  di  questi  (2).  Segue  poi  a  dirci  l'A.  come  in 
Prato  risonasse  con  gran  frutto  la  voce  del  S.,  e  come  sian  da  riferirsi 
a  questa  predicazione  alcuni  fatti,  che  il  Burlamacchi  fa  avvenuti  a 
Pisa  (3);  come  i  Pratesi  in  gran  numero  s'innamorassero  della  vita 
cristianamente  costumata  e  civilmente  libera,  che  il  S.  predicava,  e 
v'aderissero  con  pubbliche  soscrizioni,  a  quanto  sembra  potersi  ar- 
gomentare da  un  curioso  e  notevole  documento  (4),  sebbene  non  man- 
cassero neppur  li  al  S.  e  alla  vita  costumata,  ch'egli  predicava,  dei 
nemici  (5);  come  la  riforma  penetrasse  a  Prato  anche  in  monasteri 
d'altro  ordine  (6)  ;  come  perdurasse  anche  con  tutte  le  persecuzioni, 
che  seguirono  la  morte  di  fra  Girolamo  (7),  e  mantenesse  vivo  lo 
spirito  santamente  liberale  del  convento  di  S.  Marco,  del  quale  l'A. 
ci  presenta  un  esempio,  nel  ritratto,  col  quale  chiude  splendidamente 
\il  suo  studio  (8),  di  fra  Cipriano  Cancelli  del  Ponte  a  Sieve,  che 
Yu  priore  in  S.  Domenico  di  Prato,  e  confortò  l'agonia  di  quel  gene- 
roso amatore  della  libertà  di  Firenze,  che  fu  Pier  Paolo  Boscoli,  e  ne 
tessè  un  elogio  ispirato  a  sensi  liberi  e  generosi  a  Luca  della  Robbia, 
il  cui  schietto  racconto  non  si  può  leggere  senza  fremito  e  senza 
lacrime. 

Già  altrove  abbiamo  avuto  occasione  di  rilevare  l'importanza  del 
paragrafo  quinto,  aggiunto,  come  abbiam  visto,  di  sana  pianta  in 
questa  edizione,  per  quanto  concerne  alla  parte,  che  ebbe  il  S.  nella 
provvisione  del  Governo  di  Firenze,  fatta  nel  marzo  del  1495,  di  con- 
ceder perdono  e  pace  universale  per  le  cose  politiche  del  tempo 
trascorso,  e  facoltà  d'appellarsi  al  Consiglio  maggiore  dalle  condanne 
capitali  pronunziate  dalla  Signoria  o  dagli  Otto  (9).  Qui  aggiunge- 
remo che  la  pubblicazione  di  quel  tratto  importantissimo  della  ver- 


(i)  §  I  ;  p.  69  sgg. 

(2)  §§2,  3;  P-  72  sgg. 

(3)  §  4;  P-    83  sgg.  Cf.    ViLLARi,  op.  cit.   Ili,  IV,    p,  464,    n.   2,  dovc    è  spiegato 
come  nascesse  l'errore  del  Burlamacchi. 

(4)  §  S ;  P.  86  sgg. 

(5)  §§  6,  8;  pp.  91,  95  sgg. 

(6)  §  7;  p.  92  sgg. 

(7)  §  9;  P-  97  sgg. 

(8)  §  io;  p.   104  sgg. 

(9)  Nella  recensione  del  volume  II  dell'opera  più  volte  lodata  del  Villari  (nuova  edi- 
zione), inserita  nel  Giornale  storico  della  letteratura  italiana  di  Torino,  XII,  260-61. 


bibliografia  709 


bosa  cronaca  di  Piero  Parenti  non  solo  ci  dà  notizia  di  fatti  trascu- 
rati dai  più  dei  biografi  (i),  o  ce  ne  fa  meglio  conoscere  altri  da 
loro  travisati  o  alterati  (2)  ;  ma  soprattutto  ci  rappresenta  in  modo 
vivissimo  quel  che  le  carte  non  registrano,  cioè  quale  fosse  la  vita 
di  quei  giorni  in  Firenze,  la  passione  che  il  popolo,  quasi  trascinato 
ed  affascinato,  prendeva  alle  quistioni  politiche,  che  i  predicatori, 
con  forme  or  più  or  meno  coperte,  trattavano  dal  pergamo,  snatu- 
rando forse  alquanto  lo  spirito  della  predicazione,  sebbene  si  prote- 
stassero di  parlare  pel  bene  morale,  e  civile,  e  religioso  del  popolo. 
La  narrazione  del  predicar  simultaneo  di  fra  Girolamo  e  di  fra  Do- 
menico da  Ponzo,  il  quale  già  anche  altrove  e  con  miglior  successo 
aveva  trattato  di  cose  di  Stato  (3),  e  che  ora,  forse  istigato  dal  duca 
di  Milano,  combatteva  dal  pulpito  di  S.  Croce  la  legge  dell'appello 
dalle  sei  fave,  che  il  S.  in  S.  Maria  del  Fiore  propugnava,  ci  fa  vi- 
vere in  quell'ambiente,  e  ci  fa  comprendere  in  che  cosa  consistesse 
e  come  si  esercitasse  l'autorità  di  quei  frati  nelle  faccende  politiche, 
intorno  alle  quali  deliberavano  coloro,  che  uscivano  di  chiesa  esal- 
tati o  atterriti  dalla  potente  parola  dell'oratore.  Il  quadro  vien  poi 
compiuto  dalla  lettera  qui  pubblicata  di  madonna  Guglielmina  della 
Stufa  «  la  prima  -  come  nota  l'editore  -  che  venga  in  luce  d'una  di 
«  quelle  centinaia,  anzi  migliaia  di  donne,  che  frequentavano  le  pre- 
«  diche  del  S.  »  (4).  V'appare  l'esaltazione  dell'animo  accanto  alla 
mitezza  dei  santi  affetti  religiosi  e  domestici  ;  accanto  alle  espres- 
sioni tenere  e  affettuose  pel  marito  lontano  e  pel  bambino  malazzato, 
v'è  come  il  compendio  per  sommi  capi  d'una  predica  di  fra  Giro- 
lamo, e  l'esortazione  al  marito  di  fare  le  mortificazioni  che  quegli 
suggeriva,  non  che,  in  un  poscritto,  quella  d'imporre  silenzio,  egli 
commissario  in  Arezzo,  all'avversario  del  S.,  fra  Domenico  da  Ponzo, 
che  in  quella  città  allora  predicava  (5). 

Qui  comincia  la  parte  più  rilevante  di  tutto  il  libro  :  gli  arti- 
coli VI,  VII,  Vili,  intitolati  :  «  prima  interdizione  delle  prediche  al  S. 
e  relative  pratiche  dei  Fiorentini  col  papa  »;  «  dalla  istituzione  della 
congregazione  toscana-romana  alla  scomunica  del  S.  »;  «  documenti 
relativi  all'ultima  predicazione  del  S.  »;  chiariscono  e  compiono  e, 
per  certi  rispetti,  contengono  la  storia  del  tempo  più  notevole  della 
vita  di  questo,  e  gettan  luce  sul  fatto,  che  ò  in  essa  massimamente 

(i)  Per  esempio  della  calunnia  data  al  S.  d'essersi  appropriato  dei  depotiti  di  cose 
preziose  fatti  da  più  cittadini  in  S.  Marco,  nella  cacciata  di  Piero  ;  della  qual  cosa  solo 
aveva  parlato  il  Perrens,  attingendo  la  notizia  da  altre  fonti  (p.   113). 

(3)  Cosi  la  disputa,  se  cosi  può  chiamarsi,  fatta  in  palagio  dei  Signori  fra  il  S.  e  fra 
Domenico  da  Ponzo  e  fra  Tommaso  da  Rieti  il  18  di  gennaio  del  1495  (data  che  risulta 
appunto  dal  racconto  del  Parenti),  e  che  per  il  Burlamacchi  (pp.  68-69)  ^^  *">  concilio 
di  tutti  i  teologi  di  Firenze,  compreso  Marsilio  Ficino  (pp.   in,   113,   114). 

(3)  Vedi  Giacomo  Grasso,  Documenti  riguardanti  la  cosHtuiiom  di  una  Uga  centro  il 
Turco  nel  1481;  Genova,  1880,  pp.  9,  32,  73  (docc.  xv,  xxxiii). 

(4)  P.  ia$. 

(5)  Doc.  2  ;  pp.  128-139. 


710  bibliografia 


importante  per  la  storia,  e  che  fu  al  fiero  domenicano  più  fecondo 
di  conseguenze  funeste,  cioè  a  dire  sulla  sua  contesa  col  pontefice 
Alessandro  VI,  della  quale  poi  nei  due  paragrafi  successivi  vediamo 
notevolmente  illustrata  la  catastrofe. 

Nei  carteggi  degli  ambasciatori  fiorentini  a  Roma,  che  vengono 
qui  pubblicati  insieme  con  qualche  altro  documento,  noi  seguiamo 
veramente  a  passo  a  passo  lo  svolgimento  di  quel  dissidio,  che  con- 
dusse il  S.  alla  condanna  e  al  patibolo  ;  e  per  non  istare  a  dir  tutti 
i  particolari,  ci  pare  che  ne  risulti  dimostrato  chiaramente,  come  in 
parte  fu  già  osservato  da  altri  (i),  che  il  papa  non  fu  mosso  in  ciò 
da  odio  particolare  contro  il  frate  ferrarese,  né  da  sdegno  delle  ar- 
dite invettive,  che  questi  pronunziava  dal  pergamo  contro  i  costumi 
corrotti  del  clero,  ma  da  cagioni  tutte  politiche;  e  che,  come  scrisse 
il  Guicciardini  «  tenendo  per  se  stesso  poco  conto  di  lui,  si  era 
«  mosso  a  procedergli  contro  più  per  le  suggestioni  e  stimoU  degli 
«  avversari,  che  per  altra  cagione  »  (2).  E  questi  avversari  non  erano 
soltanto  Piero  dei  Medici  e  i  suoi  fautori,  e  gli  Arrabbiati  nemici  del 
Governo  del  1495  e  però  del  frate,  che  quasi  poteva  dirsene  il  fon- 
datore; ma  anche  gli  Stati  o  i  principi  italiani  collegati  ai  danni  del 
re  Carlo  Vili,  i  quali  allora  potevano  molto  sull'animo  del  papa, 
che  era  stato  fino  allora  e  così  si  mantenne,  finché  Carlo  non  morì, 
fieramente  avverso  ai  Francesi.  Eletto  a  dispetto  del  re  cristianissimo, 
che  avrebbe  voluto  sul  trono  pontificale  Giuliano  della  Rovere  (3), 
egli,  quantunque  stretto  in  una  lega  poco  favorevole  al  re  Ferdi- 
nando, con  Venezia  e  col  Moro  (4),  al  quale  era  largo  e  di  danaro 
e  di  favori  (5),  era  pur  sempre  ritenuto  «  aragonese  e  ghibellino  », 
anche  quando  la  paura  degli  apparecchi  di  Carlo  gh  consigliava 
certe  tergiversazioni,  per  le  quali  a  momenti  sembrava  riaccostarsi 
a  Francia  (6)  ;  e  quando  i  fatti  li  mostravano  apertamente  favorevoli 
all'  impresa  del  re,  non  risparmiava  minacele  a  Lodovico  (7),  e  più 
che  minacele  al  cardinale  Ascanio,  al  quale  era  pur  obbligato,  come 


(i)  Dal  compianto  prof.  Antonio  Cosci,  nel  suo  studio  intitolato:  Girolamo  Savona- 
rola e  i  nuo^ii  documenti  intorno  al  medesimo,  pubbl.  n&W'Arch.  star.  ital.  serie  IV,  t.  4°, 
passim. 

(2)  Storia  d'Italia,  III,  vi. 

(3)  Gregorovius,  Storia  della  città  di  Roma  del  medio  evo,  ecc.  XIII,  iv,  2;  VII,  356-357 
della  traduzione  italiana;  Venezia,   187$. 

(4)  Stretta  il  25  d'aprile  del  1493.  V.  Buser,  Die  Be^iehungen  der  Mediceer  :(u  Frank- 
reich  wàhrend  der  Jahre  14^4-14^4,  ecc.  p.  315;  Leipzig,  1879.  De  Cherrier,  Hisioire 
de  Charles  FUI  roi  de  France,  1,  viii,  345  ;  Paris,  1868.  Ivi  è  molto  bene  apprezzata 
l' importanza  che  a  questa  lega  si  poteva  dare. 

(5)  Ivi,  p.  317.  E  V.  a  p.  539  la  lettera  di  Francesco  della  Casa  scritta  da  Senlis  a 
Piero  dei  Medici  il   1°  di  giugno  del  1493. 

(6)  Vedi  la  lettera  di  Gentile  Becchi  a  Piero  dei  Medici  del  24  dicembre  1493,  cit.  ivi, 
p.  544.  Per  le  tergiversazioni  del  papa,  v.  passim  il  cap.  viii  di  quell'opera  bellissima; 
specialmente  poi  pp.   324,  325. 

(7)  Ivi,  p.  329.  E  già  prima  il  papa  l'aveva  rimproverato,  e  Ascanio  ne  aveva  fatto 
le  scuse.  Ivi,  p.  323. 


'Bibliografia  711 


a  principale  autore  della  sua  esaltazione  (i).  E  con  tutte  le  sue  in- 
certezze, pure  sempre  e  costantemente  rifiutò  di  dare  al  re  francese 
l'investitura  del  Regno,  prima  a  Péron  de  Basche,  che  gliene  usò 
contro  minacciose  parole  (2);  poi  al  Brissonet  e  all'Aubigny  (3),  che 
pur  ricolmava  di  paurose  carezze  umilissimamente  (4)  ;  infine  al  re 
stesso,  quando  la  solita  paura  e  la  riluttanza  dei  Romani  a  resistergli 
gliel'avevano  fatto  ammettere  in  Roma  (5),  e  con  lui  trattava  e  con- 
chiudeva un  accordo,  coi  cannoni  francesi  puntati  a  Castel  S.  An- 
gelo, dove  aveva  cercato  rifugio  (6).  Con  che  animo,  lo  dimostra- 
rono la  fuga  di  Cesare  Borgia,  e  la  morte  di  Zizim,  e  la  sollecitu- 
dine, con  cui  Alessandro  annunziava  ai  signori  di  Romagna  e  di 
Marca  la  conclusione  della  lega  di  Venezia,  alla  quale  aderiva  (7), 
non  che  il  monitorio  di  depor  le  armi  e  non  muover  più  contro  gli 
Stati  italiani,  ch'egli  faceva  a  re  Carlo,  dopo  la  battaglia  del  Taro  (8). 
A  questa  politica  s'opponevano  oramai  in  Italia  soltanto  i  Fio- 
rentini, che  la  speranza  di  riavere  da  Carlo  Pisa  e  gli  altri  luoghi 
del  loro  dominio  perduti  nel  1494,  avevano  staccati  da  quell'osti- 
nata unione  a  casa  d'Aragona,  che  era  stata  la  rovina  di  Piero 
dei  Medici;  e  il  papa  credeva,  e  non  senza  buon  fondamento,  che 
a  questa  amicizia  per  Francia,  pur  conforme  alle  antiche  tradizioni 
fiorentine,  li  avesse  indotti  e  ora  ve  li  confermasse  la  parola  di  quel 
frate,  che  aveva  salutato  e  rappresentato  Carlo  Vili  come  lo  stru- 
mento scelto  da  Dio  a  flagellare  colle  armi  l'Italia  e  la  Chiesa,  non 
che  a  reintegrare  Firenze  delle  perdite  fatte  ;  e  che  a  quest'opera 
l'aveva  confortato  e  lo  confortava  non  soltanto  andando  a  lui  come 


(i)  Lo  chiuse  anche,  come  è  noto,  in  Castel  S.  Angelo.  Cf.  Gregorovius,  loc.  cìt. 
e  IV,  5,  p.  418. 

(2)  «  Non  parliamo  più  della  investitura,  perchè  la  spada  sarà  quello  che  chiarirà  la 
«ragione».  Lettera  di  Nofri  Tornabuoni,  da  Roma,  a  Piero  dei  Medici  dell'S  agosto  1493. 
In  BusER,  op.  cit.  p.  543.  Cosi  credo  debba  leggersi;  non  farà,  come  lesse  e  intese  l'e- 
ditore (cf.  p.  322). 

(3)  Il  i6  di  maggio  del  1494.  Gregorovius,  op.  cit.  XIII,  iv,  j,  pp.  401-402.  II 
De  Cherrier  dice  che  questi  ambasciatori  furono  Stuart  d'Aubigny,  Mathardn  e  Pèron  de 
Basche,  op.  cit.  I,  viii,  401.  Ma  veramente  gli  ambasciatori  furono  quattro,  cioè  i  tre 
rammentati  da  lui,  e  con  essi  il  Brissonet.  V.  Canestrini  Desjardins,  Nigocialiom  iiplo- 
matiques  de  la  France  avec  la  Toscane,  I,  410,  416;  e  la  lettera  dei  Dieci  di  Firenze  a 
Guidantonio  Vespucci  e  Pier  Capponi  ambasciatosi  in  Francia,  dal  7  maggio  1494,  edita 
dal  Capponi,  Storia  della  Rep.  di  Firenze,  II,  J31,  appendice,  n.  vii;  Firenze,   1875. 

(4)  BusER,  op.  cit.  pp.  333,  334.  Ben  dice  a  questo  proposito  il  De  Cherrier  (ivi, 
p.  403):  «Alexandre  VI,  tout  en  dèsirant  passionémcnt  de  fermcr  l'Italie  aux  Fran^ais, 
«  voulait  èvìter  d'en  venir  à  une  rupture  manifeste  avec  leur  roi».  E  quando  gli  amba- 
sciatori furono  partiti,  si  scopri  più  risoluto  che  mai  in  favor  d'Aragona  (ivi,  p.  404). 

(5)  Gregorovius,  op.  cit.  pp.  422-413,  435.  Cf.  pp.  416,  417.  Db  Cherrier,  op.  cit. 
II,  II,  70-74  e  86;  e  cf.   iv,   17 j. 

(6)  Ivi,  p.  431-432;  De  Cherrier,  op.  cit.  II,  it,  84;  Comminbs,  Mimoirtt,  VII,  xit, 
ed.  Buchon  (Paris,   1836),  p.  2x0. 

(7)  Con  breve  del  7  aprile  1495,  cit.  dal  Grioorovius  (op.  cit.  p.  442).  La  lega  era 
stata  conclusa  il  31  di  marzo.  De  Cherrier,  op.  cit.  II,  tv,  160. 

(8)  Il  5  d'agosto  del  1495.  Gregorovius,  op.  cit.  p.  447.  Il  Di  CHBRRtm  (op.  cit. 
II,  VII,  291)  pone  la  cosa,  in  modo  un  po' diverso,  al  15  d'agosto. 


712  bibliografia 


ambasciatore  della  sua  patria  adottiva,  ma  scrivendogli  anche  in  per- 
sona propria  lettere,  che  parevan  dettate  da  spirito  profetico.  Indi  i 
brevi  del  25  di  luglio,  dell'S  di  settembre  e  del  16  d'ottobre  del  1495, 
col  primo  dei  quali  s' invitava  il  S.  a  recarsi  a  Roma,  a  render  ra- 
gione delle  cose  che  egli  si  diceva  profetasse  ;  col  secondo  gli  s'or- 
dinava minacciosamente  e  sotto  pena  di  scomunica  di  cessare  dalle 
prediche  e  andare  dove  gli  comandasse  il  superiore  della  congrega- 
zione lombarda;  col  terzo,  mite  e  carezzevole,  per  effetto  della  ri- 
sposta fatta  dal  S.  il  29  di  settembre,  pur  lodandolo  di  bontà  e  do- 
cilità, si  rinnovavano  con  bel  garbo  e  la  proibizione,  e  l' invito  di 
recarsi  a  Roma  quando  che  fosse  (i). 

I  documenti  qui  pubblicati  nell'articolo  VI,  che  vanno  dal  13  di 
novembre  del  1495  al  23  d'aprile  del  1496  e  contengono  le  pratiche 
fatte  dalla  Signoria  e  dai  Dieci  di  Firenze  col  cardinale  di  Napoli  e 
con  altri,  sia  direttamente,  sia  per  mezzo  dell'ambasciatore  mess.  Ric- 
ciardo Becchi,  perchè  il  papa  revocasse  l' interdizione  e  desse  licenza 
al  S.  di  predicare  nell'avvento  e  nella  quaresima  (2),  non  che  l'or- 
dine espresso  fatto  al  frate  l'ii  di  febbraio  di  ricominciare  le  pre- 
diche, con  la  solita  formula:  sub  pena  hidignationis  dictorum  domino- 
rum  (3),  e  un  frammento  di  consulta  che  mostra  non  tutti  i  cittadini 
di  Firenze  essere  stati  su  questo  punto  soddisfatti  e  tranquilli  (4)  ;  ci 
mostrano  in  più  luoghi  come  Alessandro  VI  si  movesse  contro  al 
frate  per  suggestioni  altrui,  com'era  comune  opinione  (5),  tanto  che 
egli  stesso  opponeva  alle  preghiere  fiorentine  prima  d'ogni  altra  cosa 
la  contrarietà  della  lega  (6),  e  poneva  l'aderire  alla  lega  come  con- 
dizione prima  di  quella  e  d'ogni  altra  grazia  spirituale,  che  i  Fioren- 
tini volessero  impetrare  da  lui  (7).  E  Ascanio  Sforza  ci  apparisce 
anche  qui  fra  quelli  che  più  raccolgono  e  ripetono  caldamente  il  bia- 
simo contro  Firenze  e  contro  il  frate  (8),  del  quale  si  diceva  ogni 
male  in  lettere  che  venivano  da  Firenze  (9),  probabilmente  non  solo 


(t)  Le  date  di  questi  brevi  furono  messe  in  sodo  dal  Gherardi  nel  §  iv  della  parte 
terza  dell'opera  di  cui  parliamo,  dove  fu  pubblicato  anche  il  testo  originale  dì  quello  del 
16  d'ottobre  (p.  390).  Della  grande  importanza  di  questa  determinazione  ebbi  già  a  par- 
lare nella  citata  recensione  del  voi.  I  dell'opera  del  prof.  Villari. 

(2)  Son  quattro  lettere  della  Signoria  al  card,  di  Napoli,  del  13  e  17  novembre  149$ 
e  del  28  gennaio  e  5  febbraio  1496;  cinque  dei  Dieci  a  mess.  Ricciardo,  e  undici  di 
questo  a  loro. 

(3)  Doc.  6;  p.   133. 

(4)  Fra  gli  altri  Pier  Capponi.  Doc.  9;  p.  136. 

($)  Vedi  specialmente  i  docc.  i,  7,  io,  li,  13;  pp.  131,  134,  137,  138,  139.  Cf.  Guic- 
ciardini, Storia  fiorentina,  xiv.   151  ;  Firenze,   1859. 

(6)  «  Dicendomi  Sua  Beatitudine,  la  Lega  non  voleva  concedessi  a  fra  leronimo  po- 
«  tessi  predicare,  né  a  cotesta  ciptà  facessi  gratia  alcuna».  Cosi  scriveva  il  Becchi  ai 
Dieci  il  3  di  marzo  del  1496.  Doc.  7;  p.   154. 

(7)  «  Insomma,  mi  dixe,  fate  intendere  a  que'  Signori,  non  haranno  nulla  da  noi,  se 
«  non  entrano  nella  Lega  ».  Ivi. 

(8)  Doc.  8;  p     I3J. 

(9)  Docc.   17,  19;  pp.   141,  142. 


'Bibliografia  7  r  3 


dai  cittadini  di  parte  contraria  ai  Piagnoni,  ma  dagli  agenti  del 
Moro  (i),  che  cercava  per  ogni  via  di  condurre  Firenze  ai  suoi  fini, 
e  teneva  le  mani  nei  capelli  al  papa,  che  si  era  detto  ch'egli  tenesse 
come  suo  cappellano.  Eppure  l'opposizione  di  Alessandro  al  S.  è  in 
questo  tempo  assai  debole,  perchè  egli  si  contenta  di  manifestare 
all'ambasciatore  il  suo  disgusto,  perchè  i  Fiorentini  gli  permettano, 
anzi  gli  abbiano  ordinato  di  predicare,  per  certe  dubbie  parole  del 
card.  Carafìfa  e  senza  che  l'interdizione  sia  stata  revocata  (2);  mane 
rinnova  il  divieto,  né  minaccia  o  fulmina  pene,  per  quanto  fra  Giro- 
lamo non  sia  meno  ardito  di  prima,  né  risparmi  sul  pulpito  le  al- 
lusioni chiarissime  e  anche  violente  ai  costumi  del  tempo  e  in  par- 
ticolare alla  corte  di  Roma  (3). 

Ma  i  fatti,  che  frattanto  avvenivano  e  in  Firenze  e  fuori  eran 
tali  da  impensierirlo,  e  ci  rendon  ragione  dei  provvedimenti  più  se- 
veri, coi  quali  egli  cercò  poi  di  strappare  il  frate  da  Firenze,  poiché 
le  lettere  a  Carlo  Vili  (4)  e  la  riforma  dei  fanciulli  (5)  e  la  perdu- 
ranza  dei  Fiorentini  nell'amicizia  francese  avevano  chiarito  inefficace 
ed  insufficiente  farlo  scender  dal  pulpito.  Carlo  Vili,  che  non  depose 
mai  il  pensiero  di  tornare  in  Italia  (6),  appiccava  pratiche  col  duca 
di  Ferrara,  col  marchese  di  Mantova,  col  signor  di  Bologna,  e  na- 
turalmente anche  coi  Fiorentini,  per  ritentare  l' impresa  del  Regno,  e 
macchinava  col  cardinale  Della  Rovere  il  modo  d'insignorirsi  di 
Genova  (7)  ;  e  che  cosa  si  pensasse  in  Italia  di  queste  pratiche  e  degli 


(i)  Confrontisi  infatti  la  sostanza  delle  accuse  che  si  davano  a  fra  Girolamo  e  ai 
Fiorentini  esposte  nella  lettera  importante  del  Becchi,  del  26  di  marzo  (doc.  17;  p.  141), 
con  le  lettere  degli  agenti  ducali  pubblicate  dal  Del  Lungo  (in  Arch.  stor.  Hai.  nuova 
serie,  XVIII),  e  in  particolare  la  $=•  accusa,  coi  docc.  ili  e  x  di  quella  raccolta  (pp.  7,  11). 
E  quanto  alla  fierezza  ed  all'efficacia  dell'opera  del  Moro  e  del  fratello  suo  contro  il  S., 
vedasi  il  doc.  vii,  che  è  una  lettera    d'Ascanio    al    duca    scritta  il  ij  d'aprile  del  1496. 

(2)  Vedi  specialmente  i  docc.  8,  io,  22.  I  nemici  del  S.  poi  negavano,  per  malignità, 
anche  le  dubbie  parole  del  Caraffa,  e  dicevano  che  la  licenza  il  S.  «  se  la  tolle  da  sé, 
«  dove  li  è  permesso  che  non  li  sia  devetata  » .  Cosi  scriveva  Frane.  Tranchedino  al  duca 
da  Bologna,  il  20  di  febbraio  del  1496.  Del  Lungo,  doc.  vi,  p.  9. 

(3)  Basterà  rammentare  che  il  S.   faceva  allora  il  quaresimale  su  Amos. 

(.^)  Di  certe  lettere  del  S,  a  Carlo  Vili  intercettate  dal  duca  di  Milano  e  da  lui  man- 
date a  Firenze,  e  che  non  è  possibile  che  egli  non  facesse  conoscere  a  Roma,  parla  una 
lettera  del  Somenzi  del  28  di  agosto  del  1496,  che  è  l'xi  dei  documenti  pubblicati  dal 
Del  Lungo.  La  sostanza  di  quella  somiglierebbe  molto  a  quella  delle  lettere  scritte  al  re 
dal  S.,  post  amissionetn  regni  neapolitani,  pubblicate  dal  Villari  (op.  cit.  I,  doc.  xxv, 
pp.  cviij  sgg.),  le  quali  per  altro  furono  probabilmente  scritte  assai  prima.  Ed  infatti  il  S. 
diceva  allora  di  non  avere  scritto  al  re  da  «  molti  di  ».  Ma  ad  ogni  modo,  autentiche  o 
finte  che  fossero,  a  Roma  dovettero  esser  date  per  autentiche;  e  le  rcLizioni  del  S.  col 
re  di  Francia  dovevano  esservi  note,  perchè  il  S.  diceva  che  al  re  soleva  scrivere  pubbli- 
camente (Del  Lungo,  doc.  cit.).  1 

(5)  ViLLAKi,  op.  cit.  Ili,  II.  Per  lo  scalpore,  che  di  questa  riforma  <i  fece  a  Roma, 
vedi  specialmente,  fra  i  documenti  editi  dal  Gh.,  la  citata  lettera  del  Becchi  dei  26  di 
marzo  del  1496. 

(6)  «  Et  si  avoit  son  coeur  tousjours  de  faire  ou  «ccomplir  le  retour  en  Italie  ».  CoM« 
MtNBS,  Mimoires,  Vili,  xviii,  364. 

(7)  Ivi,  Vili,  XV,  2$6,  tgg.  Cf.  GviccuKDiHit  Storia  d'Italia,  III,  ut  e  v. 


714  bibliografia 


apparecchi,  che  poi  non  approdarono  altro  che  alle  vane  mosse  del 
cardinale  contro  Savona  e  del  Trivulzio  contro  Alessandria,  lo  prova 
un  sonetto  importantissimo  del  Pistoia  recentemente  pubblicato  (i). 
Vero  è  che  scendeva  d'altra  parte  ai  favori  della  lega  l'imperatore 
Massimiliano  (2)  ;  ma  non  però  mutavano  i  sentimenti  dei  Fiorentini, 
anzi  può  dirsi  che  questi  li  affermassero  con  più  risolutezza,  fidenti 
negli  aiuti  di  Francia  e  determinati  a  resistere  alla  lega,  che  si  riteneva 
favorevole  ai  Medici  e  nemica  del  governo  popolare  (3).  In  favore 
del  quale  la  Signoria  chiamava  il  S.,  riluttante  pel  divieto  di  Roma, 
a  predicare  in  palazzo,  e  proprio  nella  sala  del  Consiglio  maggiore, 
il  20  di  ,  agosto  (4)  ;  e  due  mesi  dipoi  lo  faceva  predicar  nova- 
mente,  per  rinfrancare  il  popolo  atterrito  dal  pericolo  di  Livorno 
assediata  da  Massimiliano  e  dalle  navi  dei  Veneziani  (5).  Egli  lo  fece, 

(i)  Renier,  I  sonetti  del  Pistoia  giusta  l'apografo  Trivul\iano,  son.  342;  che  non  mi 
par  male  riportare  per  intero  : 

Io  vidi  l'altro  di  dentro  a  Leone 
depinta  Italia  come  un  Sebastiano: 
il  papa  senza  mitra  e  sceptro  in  mano 
con  Marco  in  briglia,  incantato  il  biscione. 

Alfea  sotto  e  Marzocco  si  ripone, 
Gena  e  Partenope  in  grembo  a  Vulcano, 
Ercol  congela  in  ripa  all'Adriano 
gran  quantità  di  sai  sopra  il  sabbione. 

Vedesi,  in  Esculapio  convertito, 
sanar  la  Esperia  a  lo  stato  pristino 
il  Franco  re,  a  lai  dar  l'acquisito. 

'N  un  altro  lato  col  capo  canino 
gli  è  il  gallo  coi  tiranni  incrudelito, 
rimettendo  gli  oppressi  a  bon  cammino. 

Poi  nel  culto  divino 
riforma  più  la  fede  a  miglior  legge 
e  dà  novo  pastor  al  santo  gregge. 

Un  breve  vi  si  legge, 
qual  dice:  il  franco  Re,  Re  de  cristiani 
tolto  ha  la  cerva  umil  di  bocca  a'  cani. 

È  tanto  chiaro,  e  ne  apparisce  cosi  evidente  quale  dovesse  essere,  in  tal  condizione  delle 
cose,  l'animo  del  papa,  che  non  occorre  aggiungere  una  parola  di  commento;  seppure  non 
fosse  utile  rammentare  che  a  Lione  il  re  teneva  il  suo  campo,  e  che  Ercole  d'Este  sperava 
per  suo  mezzo  liberarsi  dal  vecchio  obbligo  di  ricevere  il  sale  da  Venezia,  che  era  stata 
una  delle  cause  della  guerra  del  1482. 

(2)  E  a  questo  credo  si  riferisca  (come  dicon  chiaro  i  due  primi  versi,  e  lo  conferma 
il  luogo,  che  occupa  nell'apografo  Trivulziano,  dov'è  a  p.  339)  l'altro  sonetto  del  Pistoia: 
Ecco  il  re  de  romani  e  'Ire  de'  galli,  che  malamente  nell'edizione  di  Livorno  1884  fu  rife- 
rito alla  discesa  in  Italia  di  Luigi  XII  (p.  35). 

(3)  Oltre  la  citata  consulta,  edita  in  parte  dal  Gh.,  e  che  è  anteriore  a  queste  cose,  ve- 
dansi  le  lettere  del  Somenzi  pubblicate  dal  Villari  sotto  il  n.  xxxi  nell'appendice  al 
volume  I  dell'opera  sua,  e  in  particolar  modo  l'ultima,  dove  questa  ragione  della  con- 
trarietà dei  Fiorentini  alla  lega  è  detta  espressamente  (p.   cxl). 

(4)  Villari,  op.  cit.  III,  iv,  voi.  I,  470. 

(5)  Questa  paura  dei  Fiorentini  (Marzocco  già  n'è  di  paura  pregno)  e  la  loro  fiducia  nel 
S.  sbefFava  il  Pistoia  nel  sonetto  :  jkorto  è  Ferrando,  Alfonso  e  Ferrandino,  che  è  il  340 
dell'apografo  Trivulziano. 


bibliografia  715 


confortando  il  popolo  a  sperare  più  nell'aiuto  divino,  che  nel  terreno, 
e  in  particolare  nelle  fallaci  promesse  di  Francia  (i):  ma  ciò  non  im- 
pedì che  l'agente  del  Moro  non  interpretasse  in  tutt'altro  senso  le 
sue  parole  dandone  notizia  al  suo  signore  (2),  che  era  quanto  dire 
anche  a  Roma.  Il  mal  successo  dell'  impresa  tentata  dal  re  dei  Ro- 
mani riempì  naturalmente  i  Fiorentini  di  gioia  (3),  e  accrebbe  cre- 
dito al  S.  e  animo  ai  suoi  seguaci  e  alla  parte  amica  di  Fran- 
cia (4)  ;  e  allora  appunto  noi  troviamo,  che  mentre  il  Moro  fa  la 
strana  prova  di  trarre,  per  mezzo  del  suo  agente,  il  S.  alla  parte  della 
lega  (5),  il  pontefice,  risoluto  a  levarlo  una  buona  volta  di  mezzo  a 
Firenze,  spedisce  il  breve  del  7  di  novembre,  consigliato  anche  dal 
generale  dei  domenicani  e  dal  cardinale  protettore  dell'ordine,  col 
quale  si  stabiliva  una  congregazione  riunita  delle  provincie  toscana 
e  romana  dell'ordine  dei  predicatori  (6)  ;  e  che  se  per  un  lato  esten- 
deva a  maggior  numero  di  conventi  le  regole  dei  domenicani  osser- 
vanti, per  un  altro,  costituendo  come  convento  principale  e  privile- 
giato della  provincia  quello  di  Santa  Maria  sopra  Minerva,  e  scemava 
importanza  a  S.  Marco,  e  soprattutto  dava  modo  di  levar  di  Firenze  e 
di  Toscana  il  Savonarola;  il  quale  ribellandosi,  come  fece,  all'ingiun- 
zione che  il  breve  conteneva,  incorreva  nella  pena  della  scomunica 
in  quello  minacciata.  E  poco  dipoi,  per  tentare  anche  altrimenti 
l'animo  dei  Fiorentini,  e  indurli  a  aderire  alla  lega  con  quella  spe- 
ranza, che  invano  ponevano  nel  re  di  Francia,  egli  fa  loro  l'offerta 
della  restituzione  di  Pisa,  quasi  in  pagamento  della  loro  separazione 
da  quello,  e  chiede  l'invio  di  un  nuovo  ambasciatore,  col  quale  pra- 
ticar queste  cose,  e  che  la  Signoria  consentì  a  mandare  nella  persona 
di  ser  Alessandro  Bracci  il  4  di  marzo  del  1497  (7).  Notevolissime 
sono  le  parole,  che  usò  con  questo  il  pontefice  nel  primo  colloquio 

(i)  Vedi  il  sunto  di  questa  predica  fatto  dal  Villari  (op.  cit.  HI,  v,  voi.  I,  485). 

(2)  Vedi  la  lettera  del  Somenzi  del  28  di  ottobre  1496  edita  dal  Del  Lungo  (doc.  xvi): 
«  sopra  tucto  exhortò  questo  popolo  ad  volere  star  saldo  alla  fede,  cioè  del  re  de  Pranza 
«  (licet  ch'el  non  la  dica),  et  ha  affirmato  che  tutto  quello  ha  predecto  delle  cose  future 
«sari  vero  senza  mancho  »,  ecc. 

(3)  Già  fin  da  quando  poterono  entrare  in  Livorno  i  soccorsi  mandati  da  Marsiglia, 
il  30  d'ottobre.  Vedine  la  viva  descrizione  nel  Villari,  loc.  cit.  p.  487.  Più  che  mai  poi 
quando,  pochi  giorni  dopo  (il  13  di  novembre),  Massimiliano  doveva  partirsi  scornato  dal- 
l'assedio ;  e  lo  doveva  confessare  lo  stesso  Pistoia,  per  quanto  cercasse  di  fare  anche  di 
ciò  un  argomento  di  lode  per  l'imperatore  alleato  e  congiunto  del  Moro: 

Quanto  di  Maximian  sia  l'acqua  e  il  foco, 
lo  ingegno,  che  natura  e  il  ciel  gli  dà, 
Livorno  il  dice  e  Marzocco  lo  sa, 
che  al  suo  partir  tra  il  pianto  ha  riso  un  poco. 
(Son.  341  dell'apog.  Triv.). 

(4)  Vedi  quel  che  scrìveva  il  13  di  novembre  del  1496  da  Bologna  al  duca  Francesco 
Tranchedino  (Del  Lungo,  doc.  xix;  p.  17). 

(j)  Vedi  la  lettera  del  Somenzi  àt\  7  novembre  1496  ediu  (1*1  Villari,  loc.  cit,  pa- 
gina cxxxix. 

(6)  Vedasi  in  Villari,  op.  cit.  I,  Append.  n.  xxxiii,  p.  cxli]  sgg. 

(7)  Gherardi,  ìiuovi  documtnti,  tee.  5  vtt,  pp.  147,  148. 


7 1 6  bibliografia 


che  ebbe  con  lui,  e  tali  che  le  avrebbe  potute  dire  un  buon  ItaHano 
del  secolo  xix,  e  avrebber  potuto  essere  scelte  come  il  verbo  della 
nuova  ItaUa  assai  meglio  di  quelle  d'altri  uomini,  che  forse  non  eb- 
bero mai  in  mente  il  significato  dato  ai  nostri  giorni  a  certe  loro  pa- 
role. Lamentata  la  venuta  dei  Francesi  come  origine,  da  cui  erano 
«  derivati  tucti  li  mali,  tucte  le  spese  et  tucti  gli  affanni,  che  ha  pa- 
ce tito  Italia  »,  e  rilevata  la  parte  che  n'era  toccata  a  Firenze,  con- 
chiudeva: «  per  cognoscere  noi  che,  ritornando  di  nuovo  li  Franzesi 
«  in  Italia,  sarebbe  con  manifesto  pericolo  et  con  intollerabili  spese 
«  et  danni  de'  comuni  Stati,  maxime  quando  li  potentati  di  quella  non 
«  fussino  trovati  concordi;  nostro  precipuo  studio  et  intento  è,  come 
«  sa  el  nostro  Signore  Dio,  di  unire  insieme  et  fare  uno  intero  et  me- 
«  desimo  corpo  di  tucta  Italia  »  (i);  e  detto  delle  pratiche  incomin- 
ciate per  far  riaver  Pisa  ai  Fiorentini,  vi  poneva  per  condizione  «  che 
«  voi  vi  accostiate  a  noi  et  siate  buoni  Italiani,  lassando  li  Franzesi 
«  in  Francia  »  (2),  che  sarebbe  stato  «  comune  beneficio  di  tucta  Ita- 
«  Ha  ;  perchè  non  intendiamo  che  in  Italia  Franzesi  habbiano  alcuna 
«  speranza  di  ricetto  o  d'altro  ;  perchè  quando  se  ne  vedranno  privati, 
«  leveranno  il  pensiero  dalle  colse  di  Italia  ».  E  finalmente  a  prova 
della  sincerità  di  quanto  asseriva,  aggiungeva  :  «  Et  noi,  perchè  siamo 
«  buoni  Italiani,  benché,  quando  manchò  il  re  Ferrando  ultimamente, 
«  potessimo  con  insto  et  honesto  titolo  far  venire  quel  reame  nel  re 
«  di  Spagna;  tamen  per  beneficio  di  Italia,  provedemo  succedesse  il 
«  re  Federigho  »  (3).  Non  istaremo  a  cercare  quanta  sincerità  ci  fosse 
in  queste  espressioni,  forse  veramente  sincere  nel  momento  in  cui 
venivan  pronunziate;  pur  troppo  sappiamo  quale  abuso  si  facesse, 
per  tutto  il  secolo  xv  e  anche  dopo,  di  questo  povero  nome  d'Italia, 
e  come  il  bene  d' Italia  fosse  via  via  quel  che  giovava  all'utilità  di 
ciascuno  che  ne  parlasse,  tanto  da  far  parere  dolorosamente  vera  quella 
sentenza  del  Foscolo  : 

Amor  d'Italia?  A  basso  intento  è  velo 
Spesso  (4). 

Questo  medesimo  Alessandro  VI  pensò  molto  diversamente  poco 
tempo  dipoi,  pur  desiderando  anche  allora,  com'era  naturale,  tutta 
l'Italia  concorde  nel  volere  di  lui  (5),  quando  la  ripugnanza  onesta 
e  risoluta  di  Federigo  e  Carlotta  d'Aragona  per  le  nozze  di  questa 
col  tristo  cardinal  di  Valenza  (6),  e  la  speranza  di  far  questo  grande 
e  potente  in  Francia  e  in  Romagna  lo  condussero  a  aderire  all'in- 
fausto primo  trattato  di  Blois  e  a  farsi  tutto  francese  (7).  Ma  nei  tempi 

(i)  Gherardi,  Nuovi  documenti,  §  vn,  p,   150. 

(2)  Ivi,  p.  isi. 

(3)  Ivi,   p.    IS2. 

(4)  Ricciaria,  atto  II,  se.  ni. 

($)  ViLLARi,  Niccolò  Machiavelli  e  i  suoi  tempi.  Introduzione,  p.   277. 

(6)  Vedi  specialmente  Gregorovius,  op.  cit.  XIII,  v,   i,  p.  492. 

(7)  Ivi,  p.  499. 


bibliografia  ^i'] 


dei  quali  ora  ci  occupiamo  egli  seguiva  in  Italia  la  parte  politica- 
mente migliore,  ed  era  veramente  il  più  ardente  avversario  che  i 
Francesi  avessero  in  tutta  la  penisola;  avversione  che  ci  spiega  in 
tutto  la  sua  condotta  verso  la  Repubblica  di  Firenze  e  verso  il  S., 
che  era  per  lui,  come  abbiamo  già  notato,  il  principale  autore 
della  tenacità  fiorentina  nell'amicizia  francese.  Tristi  tempi  per- 
tanto e  peggiori  che  mai  cominciavano  ora  pel  priore  di  S.  Marco. 
Il  suo  disprezzo  per  l'ingiunzione  del  pontefice,  alla  quale  non  ob- 
bediva altrimenti,  che  pubblicando  VApologeiicus  che  la  combatteva  (i), 
e  risalendo  sul  pulpito  a  predicare  l'avvento  e  poi  la  quaresima,  fru- 
strava gli  intendimenti  politici  del  papa,  che  doveva  pertanto  mag- 
giormente sdegnarsene;  e  d'altra  parte,  come  dimostrano  i  do- 
cumenti dell'articolo  VII  del  libro  che  esaminiamo,  alienava  dal  S. 
anche  gli  animi  di  coloro,  che  fino  allora  l'avevano  favorito.  Così 
il  generale  dell'ordine,  così  il  cardinale  Caraffa,  che  avevano  sempre 
fino  allora  dato  ogni  favore  e  a  lui  e  alle  sue  riforme,  e  che  nel  pro- 
muovere la  costituzione  della  congregazione  nuova,  o  non  avevano 
scorto  il  fine  riposto  del  pontefice,  o  più  probabilmente  non  n'erano 
stati  scontenti,  ma  era  anzi  parso  loro  un  buon  modo  a  togliere  il 
S.  da  un  luogo,  dove  rimanendo  andava  incontro  a  certa  rovina, 
nella  quale  avrebbe  potuto  travolgere  poi  anche  la  congregazione 
dei  frati  osservanti,  alla  quale  essi  detter  favore  anche  dopo  la  morte 
di  lui  (2).  Checché  si  sia  di  ciò,  certo  è  ad  ogni  modo  che  d'ora  in 
poi  si  trovano  anch'essi,  e  specialmente  il  cardinale  di  Napoli,  uniti 
ai  nemici  del  S.,  i  quali  si  fanno  più  baldanzosi  e  più  fieri,  perchè 
la  disobbedienza  di  lui  dà  loro  maggior  modo  di  tener  desta  e  aiz- 
zare continuamente  contro  di  lui  l'ira  del  papa,  come  se  n'hanno  in 
questi  documenti  testimonianze  continue. 

(i)  ViLLARi,  La  storia  di  G.  S.  Ili,  11,  493  sgg. 

(2)  È  un  fatto,  che  non  troviamo  cosa  che  possa  parer  mossa  da  animosità  contro  il 
S.  nei  documenti,  che  il  Gh.  pubblica  (§  vii,  i,  2)  intomo  all'istituzione  della  nuova 
congregazione;  che  anzi,  il  nominar  coadiutore  del  procuratore  della  nuova  provincia  il 
p.  Giacomo  di  Sicilia  al  S.  affezionatissimo  (doc.  i  ;  p.  144)  poteva  addolcire  per  questo 
l'amarezza  del  nuovo  provvedimento  e  della  nomina  a  procuratore  del  p.  Francesco  Mei  ; 
e  l'altra  ordinanza  del  14  gennaio  1497  (doc.  2  ;  p.  146)  per  la  quale  il  p.  Giacomo  di  Si- 
cilia doveva  deputar  dei  suoi  frati  a  certi  conventi,  «  et  reliquos  fiatres  ibidem  moram 
«  trahentes,  fratri  Hieronymo  non  gratos,  licentiabit  »,  lasciava  apparire  verso  di  lui  una 
certa  affettuosa  deferenza.  Quanto  ai  favori  dati  dal  Torriano,  dopo  morto  il  S.,  alla 
congregazione  toscana  dei  domenicani  riformati,  vedi  il  §  9  dello  studio  del  Guasti,  che 
è  il  $  IV  di  quest'opera  (pp.  98-101).  Vero  è  che  egli  confermò  e  ratificò  nel  marzo 
del  1499  le  severe  ordinanze  del  p.  Mei  contro  i  frati,  che  non  solo  parlassero  delle 
profezie  di  fra  Girolamo,  o  ne  venerassero  le  reliquie,  o  parlassero  di  Piagnoni  o 
di  Compagnacci,  ma  anche  facesscr  di  quelle  nuove  funzioni  e  cerimonie  dal  S.  introdotte 
in  San  Marco  (5  xii,  docc.  22,  23,  24,  25);  ma  questi  provvedimenti  si  dicevan  fatti 
«  ad  evitanda»  perturbationes  et  scandala  super  loquutionibus  et  contentionibus  dogmatis 
«  et  opinioni*  fratris  Hieronymi  Ferrarieniis  »  (doc.  23;  p.  331),  e  il  generale  stesso  più 
urdi  condonava  ai  trasgressori  le  pene,  pur  ordinando  in  fulurum  «  quod  qui  de  fratte 
«  Hieronymo  cum  secularibus  vel  etiam  cum  fratribus  seminaverit  scandalum,  incurrat 
«  poenam  gravioris  culpae  »  (doc.  26,  dei  20  luglio  1499;  p.  3)4),  e  quanto  a  questa 
pena  rimettendosene,  più  tardi  (il  1$  di  novembre:  doc.  27,  ivi),  nel  priore  di  S.  Marco. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  itoria. patria.  Voi.  XI  47 


7 1 8  bibliografia 


Costoro  trovavano  anche  la  materia  disposta,  pel  sospetto  che  il 
pontefice  aveva  dei  movimenti  dei  Francesi  in  Liguria  e  in  Piemonte, 
che  lo  atterrivano  assai,  e  che  davano  modo  agli  ambasciatori  della 
lega,  e  specialmente  ai  Veneziani,  di  insinuargli  nell'animo  sospetti 
maggiori  contro  i  frateschi  ed  il  frate  (i).  Quando  poi  quella  duplice 
impresa  fu  andata  a  vuoto,  allora  se  ne  imbaldanzirono  più  che  mai, 
e  a  Firenze  Arrabbiati  e  Compagnacci,  profittando  dell'abbattimento 
dei  Piagnoni  (2),  tanto  sepper  fare,  e  colle  pratiche  e  colle  violenze, 
che,  col  pretesto  della  pestilenza  (3),  anche  la  Signoria  proibì  a  fra 
Girolamo  il  predicare;  e  a  Roma  Mariano  da  Ghinazzano,  Giovanni 
da  Camerino  e  altri  particolari  nemici  di  lui,  profittando  anche  del 
tumulto  avvenuto  il  5  di  maggio  in  Firenze,  unendo  l'opera  loro  a 
quella  di  Piero  e  Giovanni  dei  Medici  e  dei  loro  fautori,  e  aiutati  dallo 
sdegno  del  cardinale  CaraflFa  per  la  disobbedienza  del  S.  al  breve  del 
7  di  novembre,  indussero  il  papa  a  fulminare  contro  di  lui  la  scomu- 
nica in  quel  breve  comminata  (4).  E  la  scomunica  fu  pronunziata  e 
fattone  il  breve  il  12  di  maggio  (5),  sebbene  non  venisse  poi  pubbli- 
cata in  Firenze  fino  al  18  di  giugno,  come  il  Gh.  nella  terza  parte 
rileva  (6),  per  ragioni  che  da  questi  documenti  appariscono.  In  questo 


(1)  Vedi  specialmente  1* importante  lettera  del  Becchi  ai  Dieci,  del  19  di  marzo  1496-, 
§  VII,  doc.  5;  p.  155:  Gli  oratori  della  lega,  e  in  particolare  il  veneziano,  sconsiglia- 
vano il  papa  dal  tener  pratiche  coi  Fiorentini,  «  non  si  volendo  quegli  declarare  buoni 
«  Italiani,  et  di  questo  assicurare  bene  la  lega  ;  et  che  horamai  Sua  Santità  gli  doverrebbe 
«  cognoscere,  et  che  non  danno  se  non  parole;  et  secondo  vanno  le  cose  de'  Franciosi, 
«  si  fanno  inanzi  o  tiransi  indrieto  ;  .  .  .  che  volete  tractenere  el  papa  et  dargli  parole, 
«  insino  veggiate  el  successo  di  Lombardia  et  Genova.  Et  stimano  questa  vostra  obsti- 
«  natione  et  dureza  tutta  procedere  da'  consigli  et  persuasioni  del  frate  ...  et  non  cre- 
«  dono  ignun  modo  vogliate  pigliare  partito  et  esser  buoni  Italiani,  mentre  credete  al 
«  frate  et  che  lui  governa  et  sanza  lui  non  si  fa  nulla  ».  E  infatti  il  papa,  pochi  giorni 
innanzi,  aveva  detto  a  ser  Alessandro  Bracci,  a  proposito  della  gagliardia  dei  Fiorentini, 
che  non  volevano  aderire  alla  lega  :  «  Noi  crediamo  bene  che  la  nascha  dal  fondamento 
«  che  voi  fate  nella  prophetia  di  quello  vostro  parabolano  ;  ma  se  noi  potessimo  parlare 
«  presentialmente  a  quel  vostro  popolo,  crederremo  con  le  vere  ragione  che  si  possono 
«  allegare,  persuaderlo  et  indurlo  totalmente  al  ben  suo,  et  trarlo  dalla  cecità  et  errore 
«in  che  vi  ha  indocti  el  frate».  (Lettera  del  15  marzo,  doc.  4;  p.  153.  E  cf.  la  let- 
tera del  Becchi  del  23  di  marzo,  doc.  6;  p.   156). 

(2)  Vedi  il  sommario  di  una  lettera  del  Somenzi  del  2  d'aprile  1497,  pubblicata  dal 
Del  Lungo  (doc.  xx,  p.  18);  «  corno  li  seguazi  del  frate  restano  scornati,  né  sanno  più 
«  che  dire  in  favore  de'  Francesi,  veduto  che  non  gli  è  reussita  l'impresa  contro  lo  li- 
ft lustrissimo  duca  di  Milano  ». 

(3)  Lettera  dei  Dieci  a  ser  Alessandro  Bracci,  del  6  di  maggio  1497,  in  questo  §  vii, 
doc.  9;  p.   159. 

(4)  Lettere  del  Becchi  ai  Dieci,  del  primo  (doc.  9;  p.  158)  e  del  18  di  maggio  (doc.  io; 
p.  163)  e  del  30  dello  stesso  mese  (doc.  14;  pp.  166,  167);  e  confrontinsi  le  lettere  che 
scriveva  il  Bracci  il  27  di  maggio  (doc.  12,  verso  la  fine;  p.  165)  e  il  14  di  giugno  (doc.  16; 
p.  167). 

($)  Vedi  il  breve  originale  nella  Storia  del  Villari  (voi.  II,  app.  doc.  v,   p,  xxxix). 

(6)  Nel  §  V,  dove  trae  argomento  dalla  citata  lettera  di  ser  Alessandro  Bracci,  del 
27  di  maggio,  ad  avvalorare  l'autorità  del  Parenti  e  del  Landucci  (pp.  391-392).  E  conquesto 
terminerò  di  occuparmi  di  questa  parte  terza,  avendo  accennato  a  tutti  i  cinque  paragrafi 
che  contiene  e  rilevatane    l'importanza,    eccettuato    soltanto  il  in,   nel   quale  il  Gh.  di- 


bibliografia  yi^ 


lungo  intervallo  la  Signoria  e  l'ufficio  dei  Dieci  fecero  più  pratiche 
per  mezzo  dei  loro  ambasciatori,  per  vedere  che  il  papa  o  revocasse, 
o  non  lasciasse  pubblicare  quel  breve,  con  dire  massimamente  che 
egli  era  stato  male  informato  dei  fatti  di  fra  Girolamo  (i).  E  sebbene 
Alessandro  VI  mostrasse  maravigliarsi  e  sdegnarsi  che  «  le  S.  V.  lo 
«  reputassino  sì  leggieri,  che  si  movessi  senza  giusta  cagione,  o  senza 
«  fondamento  »  (2)  ;  pure  non  sembrava  irremovibile,  ed  ascoltava  ta- 
cendo le  giustificazioni  del  frate,  o  dava  parole  incerte,  che  non  tron- 
cavano ogni  speranza,  quantunque  non  iscemassero  il  timore  (3). 
Anzi  la  lettera  del  S.  del  22  di  maggio  l'aveva  così  rabbonito,  ch'egli 
avrebbe  forse  gradito,  se  non  altro,  di  ritardare  la  pubblicazione  del 
breve  (4).  Ma  i  nemici  del  frate  non  se  ne  stavano,  né  bastava  loro 
un'incerta  vittoria  (5):  e  anche  dopo  pubblicata  la  scomunica  segui- 
tarono a  battere  il  ferro  caldo  e  a  riscaldarlo  più  che  mai,  perchè  da 
Firenze  venivano  a  Roma  lettere  sopra  lettere,  le  quali  recavano  tali 
notizie,  da  far  vani  tutti  gli  sforzi  dei  due  oratori  (6).  Ma  il  male  più 
grave  anche  questa  volta  il  S.  se  lo  fece  da  sé,  con  la  lettera  a  tutti 
i  fedeli  cristiani  contro  la  scomunica  surrettizia.  Le  pratiche  inco- 
minciate dal  Bracci  coi  sei  cardinali  riformatori  delle  cose  ecclesia- 
stiche gli  facevano  sperare  almeno  la  sospensione,  se  non  la  revoca 
della  censura;  ma  il  papa  lo  fece  chiamare  e  alla  presenza  di  altri 
Fiorentini  «  fece  doglienza  che  Dio  sapeva  che  di  fra  Hieronymo  havea 
(c  cominciato  a  disporsi  bene,  commendandolo  di  alcune  epistole  havea 
«  ricevuto  da  lui  a'  giorni  passati,  dicendo  averle  facte  leggere  in 
«  consistorio  ;  ma  che,  havendo  veduto  una  sua  epistola,  in  forma,  et 
«  facta  dopo  le  censure,  haveva  deliberato  procedere  contro  di  lui  in 
«  tucti  li  modi  permessi  da'  sacri  canoni  contra  contumaces  et  re- 
«  belles  Sancte  Matris  Ecclesie;  usando  intorno  a  ciò  parole  molto 
«  passionate  »  (7). 

Pure  questa  passione  non  era  così  costante,  nò  sempre  questo 
sdegno  così  fiero,  che  non  desse  ancora  qualche  speranza  d'aver 
a  esser  placato,  o  mitigato;  e  la  Signoria  di  Firenze  e  l'ufficio 
dei  Dieci  non  cessarono  mai  di  spender  l'opera  loro  in  favore 
del  frate  e  di  far  pratiche  continue  a  Roma  per  impetrarne  l'asso- 
luzione, quantunque  fosse  uno  strano  praticare;  perche  a  Roma  non 


mostra  con  buone  ragioni  che  deve  correggersi  in  1491    la  data  d'una   lettera  del   S.  a 
Stefano  da  Codiponte,  che  porta  nel  codice  e  nelle  stampe  quella  del  aa    maggio    1492. 
fi)  Vedi  passim  i  documenti  di   questo  paragrafo,  dal  n.  li  (lett.  dei  Dieci  al   Bracci, 
del  20  di  maggio)  alla  fine, 

(2)  Lettera  del  Bracci,  del  27  di  maggio  (doc.   12;  p.   16$). 

(3)  Ivi. 

(4)  Lettere  del  Bracci  del  14  e  del  27  di  giugno  (docc.  16  e  19;  pp.  167,  171  sgg.). 

(5)  «  L'absolutione  non  è  per  havcrsi  a  questi  tempi  ;  che  chi  ha  fare  non  dorme. 
«  Veggo  molti  preparamenti  in  contrario,  et  tutto  viene  di  costi  ».  Cosi  scriveva  il  Becchi 
il  19  di  luglio  (doc.  21;  p.  173). 

(6)  Vedi  la  citata  lettera  del  Bracci  del  27  di  giugno  (p.   172). 

(7)  Ivi. 


720  bibliografia 


si  negava  ricisamente  la  cosa,  ma  vi  si  poneva  soltanto  la  condi- 
zione che  il  S.  si  sottoponesse  a  quel  che  il  breve  del  7  di  novembre 
disponeva  e  si  recasse  a  Roma  a  giustificarsi,  e  dai  magistrati  di 
Firenze  si  rispondeva  sempre  al  solito  modo,  ridicendo  il  gran  bene 
operato  da  fra  Girolamo  nella  loro  città  e  il  desiderio,  che  in  questa 
si  aveva  di  udire  la  sua  parola,  e  schivando  di  parlare  delle  condi- 
zioni, che  Roma  poneva,  o  mostrando  che  l'esecuzione  non  ne  dipen- 
desse in  tutto  da  loro  o  dal  S.,  il  quale  d'altra  parte,  come  si  sapeva, 
a  quelle  condizioni  non  avrebbe  mai  consentito.  Così  s'andò  innanzi 
lungamente.  Tredici  lettere  scritte  a  questo  fine  dai  Dieci  agli  am- 
basciatori e  dalla  Signoria  al  cardinale  Caraffa  dal  2  di  luglio  al  2  di 
decembre  del  1497  furono  già  pubbUcate  dal  p.  Marchese  (i),  ed  il 
Gh.  ne  pubblica  qui  in  parte  altre  quattro  del  nuovo  oratore  messer 
Domenico  Bonsi,  scritte  ai  Dieci  dal  5  al  12  di  febbraio  del  1498  (2), 
precedute  da  un  capitolo  della  commissione  a  lui  fatta  il  9  di  gen- 
naio, col  quale  gli  s'ordinava  di  darsi  ogni  maggior  premura  «  ap- 
«  presso  la  Santità  del  papa  et  del  reverendissimo  cardinale  di  Napoli, 
«  et  in  ogni  altro  luogo  dove  fusse  necessario,  per  la  integra  et  libera 
«  absolutìone  per  il  venerabile  predicatore  frate  Hieronymo  »  (3); 
commissione  molto  spinosa,  a  quanto  apparisce  dalle  lettere  stesse. 
Il  papa  oramai  cercava  di  fare  intendere,  com'era  di  fatti,  che  quella 
per  lui  era  una  quìstione  di  poca  importanza,  e  sfuggiva  di  parlarne, 
premendogli  dì  stringere  i  panni  addosso  al  Governo  di  Firenze,  per 
condurlo,  colla  speranza  di  Pisa,  a  staccarsi  da  Francia  (4)  ;  e  se  ne 
parlava,  lo  faceva  per  mostrarvisi  contrario  e  dire  che  molti  cardinali 
«  stimavono  assai  non  essere  havuto  righuardo  alle  censure  »  (5). 
Infatti  il  Bonsi  non  s'adoperava  presso  dì  questi  con  maggior  frutto; 
ma  doveva  scrivere:  «  Truovoci  più  difficoltà  non  vorrei  »  (6). 

Ognuno  intende  agevolmente  se  queste  difficoltà  scemassero  o 
crescessero,  quando  1'  11  dì  febbraio,  domenica  di  Settuagesima,  il  S., 
fidente  forse  nel  favore  della  Signoria,  risah  il  pergamo  di  S.  Maria 
del  Fiore  e  incominciò  quelle  prediche  suU'  Esodo,  che  furono  le 
più  fiere  ch'egli  dicesse  mai,  e  quelle  in  cui  più  apertamente  parlò 
delle  cose  sue,  e  più  lìberamente  manifestò  il  suo  sentimento  sulla 
nullità  della  scomunica  pronunziatagli  contro  ;  quelle  in  cui  usò  la 
famosa  espressione  del  f&rro  rotto,  di  cui  tanto  sepper  valersi  i  suoi 
nemici  a  incitargli  contro  più  forte  lo  sdegno  del  papa,  e  ardì  profe- 
rire l'audace  scongiuro,  che  il  Signore  lo  mandasse  all'inferno,  se 
egli  chiedesse  mai  assoluzione  da  quella  scomunica  (7).  Era  un  dare 

(i)  Pubblicazione  cit.  Sono  i  docc.  v-xvii  (pp.  153-163).  La  data  dell'ultimo  di  questi 
documenti  è.  corretta  qui  dal  Gh.  (p.  174,  2). 

(2)  §  vili,  docc.  2,  3,  4,  5;  p.  175  sgg.  Sono  del  5,  6,  8,  12  febbraio  1498, 


(3)  Ivi,  doc.  i;  p.  175. 

(4)  Docc.  4  e  5  ;  p.   176. 

(5)  Doc.  4  ;  ivi. 
(é)  Doc.  5  ;  ivi. 

(7)  ViLLARi,  Storia,  ecc.  IV,  v,  voi.  II,  87  sgg. 


bibliografia  721 


nuove  armi  in  mano  ai  suoi  avversari,  i  quali  non  desideravano  di 
meglio  ;  e  da  Firenze,  da  Venezia,  da  Milano  giungevano  alla  corte 
di  Roma  informazioni  ed  eccitamenti,  che  aggiungevano  legna  a  un 
fuoco  già  grande  (i).  Allora  lo  sdegno  di  Alessandro  VI  vera- 
mente divampò  (2),  sebbene  apparisca  dai  documenti  che  allora 
più  delle  prediche  del  frate  lo  irritasse  la  pertinacia  dei  Fiorentini 
a  non  separarsi  da  Francia  (3).  Già  si  sapeva,  dalla  lettera  del  Bonsi 
del  17  di  febbraio,  che  cosa  avesser  detto  della  cosa  il  Taverna  e 
Ascanio  Sforza,  che  pur  mostravano  a  lui  di  volersi  interpor  presso 
il  papa  in  favore  dei  Fiorentini  (4)  :  c'è  da  figurarsi  che  favore  po- 
tesse essere  !  Qui  viene  in  luce  anche  l'opinione  e  l'opera  d'altri,  e 
in  particolare  dell'ambasciatore  di  Venezia,  che  era  nemica  di  Fi- 
renze, perchè  bramosa  d'aver  per  sé  Pisa  in  dominio  non  che  in 
protezione,  e  nemica  dei  Francesi  e  della  parte  fratesca  che  in  loro 
confidava.  Noi  lo  udiamo  continuamente  parlare  al  papa  e  ai  car- 
dinali in  odio  dei  Fiorentini,  vituperandoli  come  discordi  e  falliti,  e 
soprattutto  come  spregiatori  della  dignità  della  Sede  Apostolica,  poiché 
lasciano  predicar  fra  Girolamo;  e  «  narrare  il  contenuto  delle  pre- 
«  diche  sue,  agravando  la  cosa  »,  benché  pur  troppo  a  sdegnare 
Alessandro  non  occorresse  aggravarla  (5).  E  intanto  i  nemici  del 
frate  e  dei  Fiorentini  prendevano  animo  sempre  maggiore,  tanto  da 
assaHre  perfino  a  mano  armata  la  casa  del  Bonsi  (6). 

Efi"etto  di  tutto  questo  fu  il  breve  del  26  di  febbraio,  non  meno 
severo  ed  aspro  contro  i  Fiorentini,  che  contro  il  S.;  nel  quale  il 
papa,  riepilogati  tutti  i  fatti  pei  quali  questi  si  era  tirato  addosso  le 
censure,  e  rilevato  quel  che  negli  ultimi  tempi  aveva  più  inasprito 
la  Sede  Apostolica,  e  il  favore  che  molti  gli  davano,  «  vobis  prohi- 
«  bitiones  nostras  scientibus  et  in  illarum  contemptum  id  permicten- 
«  tibus»;  concludeva  che  il  frate  gli  fosse  mandato  a  Roma,  o  almeno 
tenuto  sotto  tal  guardia,  che  non  potesse  conversar  con  alcuno. 
«  Q.uod  si  forte,  quod  non  credimus,  facere  contempseritis,  signi- 
«  ficamus  vobis  quod,  prò  servanda  auctoritate  et  dignitate  nostra 
«  et  huius  Sanctae  Sedis,  civitatem  istam  vestram,  quae  hominem  ita 

(x)  Vedi  specialmente  in  più  parti  il  doc.  8  (lettera  del  Bonsi  ai  Dieci  del  2$  di  feb- 
braio) ;  p.   181. 

(a)  Ivi  ;  cf.  doc.  6. 

(3)  Vedi  la  lettera  del  Bonsi  del  22  di  febbraio  (doc.  6;  p.  178),  specialmente  sul  prin- 
cipio. Alle  parole  dell'ambasciatore  «  rispose  il  papa,  se  expressamente  vi  volevate  obbli- 
«  gare  di  opporvi  a'  Francesi,  venendo  in  Italia  >  ;  e  poiché  quegli  gli  ebbe  risposto  in 
tennini  generici  e  inconcludenti,  «  allora  rispose  Sua  Beatitudine,  che  bene  conosceva, 
«come  li  haveva  decto  lo  oratore  viniziano,  che  voi  non  eri  per  spiccharvi  dal  re  di 
«  Francia  ;  et  che  ogni  cosa  faciavate  di  suo  consentimento.  Et  a  un  traete  si  levò  su, 
«  non  volendo  altro  udire  da  me  ;  et  uscendo  di  camera,  dove  era,  mi  si  volse  dicendo  : 
«  Fate  pure  predicare  a  fra  Girolamo  ;  io  non  harei  mai  creduto  che  cosi  mi  ha  vessi  tractato». 

(4)  Pubblicata  dal  p.  Marciibse,  Ioc.  cit.  doc.  xviii;  p.  164. 

(5)  Docc.  6,  8,  II,   12;  pp.  178,  181,  i8j. 

(6)  Leuere  del  Bonai  del  aa  e  del  aj  febbraio,  e  del  16  marzo;  docc.  6,  8,  aa  ;  pp.  178, 
183,  aoo. 


722  bibliografia 


«  pernitiosum,  excommunicatum  et  publice  nuntiatum  ac  de  haeresi 
«  suspectum,  centra  mandata  nostra,  sustinere  presummit,  ecclesia- 
«  stico  supponemus  interdicto,  et  ad  alia  graviora  remedia,  de  quibus 
«  expedire  noverimus,  procedere  curabimus  »  (i). 

Il  colpo  era  gravissimo,  poiché  l' interdetto  faceva  paura  e  sgo- 
mento; e  più  grave  si  faceva  pel  frate,  inquantochè  la  nuova  Si- 
gnoria, tratta  appunto  in  quel  giorno,  gli  riusciva  per  due  terzi 
contraria  e  gonfaloniere  Pietro  Popoleschi  a  lui  avversissimo  (2). 
Pure  egli  non  si  perdeva  d'animo  e  seguitava  a  predicare  arditissi- 
mamente, sebbene  si  riducesse  dal  duomo  a  S.  Marco  ;  e,  come  era 
naturale,  ne  andavano  a  Roma  le  nuove,  e  più  accanita  si  faceva 
l'opera  dei  nemici  di  lui  (3).  Appena  entrata  in  ufficio,  la  Signoria 
convocava  molti  cittadini  a  consulta,  per  interrogarli  del  parer  loro 
su  quel  che  fosse  da  rispondere  al  breve  del  papa;  e  in  quella  con- 
sulta, sebbene  non  fosse  troppa  la  concordia  delle  opinioni,  pure 
prevalse  assai  il  numero  di  coloro,  che  credevano  doversi  dare  al 
papa  qualche  soddisfazione,  pur  non  concedendogli  né  la  persona 
del  frate,  né  che  questi  cessasse  dal  predicare;  ma  che  dovesse 
esser  segno  bastante  d'ossequio  alla  Santa  Sede  il  suo  ritrarsi  dal 
duomo  a  S.  Marco  (4).  E  i  Signori  scrivevano  il  giorno  stesso  una 
lettera  al  pontefice  in  questo  senso,  più  ardita  e  calda  di  quelle 
scritte  in  favore  del  S.  da  magistrati  composti  di  suoi  partigiani, 
nella  quale  non  facevano  che  dirne  le  lodi  e  conchiudere  che  non 
potevano  obbedire  alle  ingiunzioni  del  pontefice  (5).  Ciò,  come  parve 
ad  alcuno  (6),  per  ispirito  di  moderazione  e  per  riguardo  verso  fra 
Girolamo;  o,  come  sembra  al  Gh.  (7),  per  deferenza  al  parere  del 
maggior  numero  dei  Richiesti  chiamati  a  consulta  e  specialmente 
dei  Dieci;  o,  come  ci  par  molto  più  probabile,  «  con  arte  malvagia 
c<  per  irritare  il  pontefice  »  siccome  scrisse  il  prof,  Villari  (8),  che  ne 
adduce  una  validissima  prova,  traendola  da  una  lettera  di  Paolo 
Somenzi  (9).  Certamente   se   questo  vollero  l'ottennero.   Parve  al 


(i)  Vedasi  pubblicato  dal  Villari,  Storia  dt.  voi  II,  app.  doc.  xiv,  p.  Ixvj. 

(2)  Ivi,  IV,  V,  voi.  II,  103.  E  lettera  del  Somenzi  del  2  di  marzo,  ivi,  app.  doc.  xii, 
4,  p.  liij. 

(3)  Vedi  p.  es.  la  lettera  d'Ascanio  Sforza  al  fratello,  del  1°  di  marzo  1498,  pubbli- 
blicata  dal  Del  Lungo  (loc.  cit.  doc.  xxix,  p.  24). 

(4)  Vedi  la  consulta  pubblicata  dal  Lupi  in  Arch.  stor,  ital.  serie  III,  t.  iii,  p.  30, 
doc.  HI.  E  un  buon  sunto  nell'opera  più  volte  citata  del  Villari,  IV,  v,  voi.  II, 
103  sgg. 

(5)  Pubblicata  dal  p.  Marchese,  loc.  cit.  doc.  xix,  pp.   165-167. 

(6)  Al  prof.  Cosci  nel  suo  articolo  sopra  ricordato,  p.  4J5 

(7)  Vedi  i  presenti  Nuovi  documenti,  ecc.  pp.   186,  201. 

(8)  La  storia  di  G.  S.  IV,  v,  voi.  II,   107. 

(9)  Il  quale,  dandone  notizia  al  suo  signore  il  2  di  marzo,  aggiungeva:  «  Q.uesta 
«  litera  se  è  scripta  in  nome  de  la  Signoria,  et  quella  ha  consentito  che  si  scriva  solutn  per 
«  questo  effecto,  .  .  .  acciò  la  Sua  Santità  babbi  a  procedere  più  ultra  in  questa  cosa  ; .  .  . 
«et  acciò  anchora  che  epsa  Signoria  possi  poi  più  iustificatamen te  procedere  contradicto 
«  frate,  senza  che  gli  possa  essere  dato  charicho  da  persona  ».  In  Villari,  loc.  cit.  p.  liv. 


bibliografia  'ji^ 


papa  di  esser  beffato  da  quella  «  trista  lettera  »,  per  la  quale  ram- 
pognò fieramente  gli  oratori  fiorentini,  che  glie  la  presentarono  (i); 
e  sollecitato  e  aizzato  da  Ascanio  Sforza  e  da  altri,  avrebbe,  a  quanto 
sembra,  spedito  subito  l'interdetto,  se  non  avesse  alquanto  placato 
il  suo  sdegno  mons.  Podocattaro  vescovo  di  Capaccio  suo  segre- 
tario, e  che  ebbe  più  tardi  da  lui  il  cappello  cardinalizio  (2).  Si  dovè 
forse  ai  buoni  uffici  di  questo,  se  il  papa  si  contentò  di  rinnovare 
le  sue  minacele  in  modo  più  perentorio,  ma  con  un  breve  scritto 
forse  in  forma  più  rimessa  che  non  si  sarebbe  aspettato  ;  perchè  in 
esso  il  papa  scendeva  quasi  a  discutere,  riconoscendo  il  bene  operato 
a  Firenze  da  fra  Girolamo,  e  giustificando  il  proprio  sdegno,  e  di- 
mostrando non  potersi  dire  la  Santa  Sede  male  informata  dei  fatti 
del  frate.  Tornava  in  fine  a  minacciar  l'interdetto,  se  non  si  ottem- 
perasse alle  condizioni  già  poste;  ma  quasi  pregando  di  non  esser 
costretto  a  lanciarlo,  per  l'amore  che  egli  portava  a  Firenze,  ed 
esprimendo  il  desiderio  d'una  resipiscenza  del  S.,  che  potesse  davvero 
procacciargli  l'assoluzione  (3). 

I  Dieci  intanto,  prima  che  questo  breve  giungesse  a  Firenze,  ma 
quando  già  erano  informati  per  lettere  del  Bonsi  dello  sdegno  del 
papa,  non  sapevano  fare  altro,  che  scrivere  all'ambasciatore  una  delle 
solite  lettere  fiacche  e  inconcludenti,  nella  quale  dicevano  di  mara- 
vigliarsi che  il  papa  si  fosse  alquanto  risentito  per  la  risposta  della  Si- 
gnoria, e  che  veramente  nulla  era  che  potesse  irritarlo  nelle  prediche 
del  frate,  quando  si  interpretassero  «  secondo  il  vero  loro  senso,  come 
«  veramente  si  debbono  le  chose  che  si  scrivono  allegorichamente  et 
«  con  gran  misterio  et  fondamento  »  ;  sicché  vedesse  egli  d' indurre 


(i)  Vedi  la  lettera,  che  scrisse  il  Bonsi  ai  Dieci,  il  7  di  marzo;  pubblicata  dal  p.  Mar- 
chese, loc.  cit.  doc.  XX,  p.  168;  e  quella,  per  vero  molto  meno  importante,  ch'egli  scrisse 
alla  Signoria,  edita  qui  dal  Gu.  doc.   i8;  p.  192. 

(2)  Vedi  la  lettera  del  Bonsi  alla  Signoria,  del  9  di  marzo,  edita  qui  dal  Gh.  (doc.  19; 
pp.  192-19}).  E  per  l'opera  d'Ascanio  Sforza,  vedi  la  lettera,  che  gli  scriveva  il  duca 
il  25  di  marzo;  pubblicata  dal  Del  Lukgo  (loc.  cit.  doc.  xxxin,  p.  28). 

(3)  Il  Gir.  pubblica  qui  (doc.  20;  pp.  194,  sgg.)  il  breve,  dall'originale,  che  esìste 
nell'archivio  di  Firenze,  in  una  lezione  molto  diversa  da  quella,  nella  quale  fu  edito  dal 
Perrens  (op.  cit.  doc.  xi),  che  lo  trasse  da  una  copia  della  biblioteca  Marciana,  identica 
a  un'altra  scoperta  dal  Villari  nel  cod.  Riccard.  20J}.  Egli  suppone  che  queste  due  copie 
(senza  intestazione  nò  data)  sieno  tratte  da  una  bozza  fatta  stender  dal  papa,  prima  che 
le  parole  del  Podocattaro  lo  riducessero  a  più  miti  consigli,  e  che  il  breve  in  quella  forma 
non  fosse  spedito  mai  (p.  191).  La  quale  ipotesi  (seppure  non  si  tratta  anche  qui  di  una 
di  quelle  parafrasi  allora  tanto  comuni,  e  che  il  prof.  Villari  ammette,  per  esempio,  a 
proposito  della  lettera  del  S.  al  papa  del  13  marzo  1498  nella  versione  che  ne  pubblicò  il 
RuDELBACH.  Vedi  op.  cit.  II,  130,  in  nota)  ci  sembra  molto  probabile,  essendo  quasi 
assurdo  l' invio  simultaneo,  o  quasi,  di  due  brevi  cosi  diversi  intorno  alla  medesima  cosa. 
Quanto  alle  parole  di  G.  A.  Vespucci  che  diceva,  nella  consulta  del  14  marzo,  questo  breve 
meno  imperioso  di  quel  primo,  non  vedo  perchè  non  potessero  alludere  al  breve  del  a6  di 
febbraio,  come  oppone  il  Villari  (op.  cit.  pp.  1 15-116,  n.  2),  il  quale  ritiene  che  am- 
bedue i  brevi  fossero  spediti  a  Firenze  ;  perchè  e  dal  sunto  stesso  che  ne  abbiamo  fatto  e 
soprattuto  dalla  lettura  dei  brevi,  apparisce  chiaro  che  il  breve  del  26  di  febbraio  fu 
nella  forma  assai  più  imperioso,  che  questo  del  9  di  marzo. 


724  bibliografia 


il  papa  a  concedere  alla  Repubblica  tutti  i  desiderati  favori  (i).  Era 
davvero  troppa  semplicità  o  troppa  sfrontatezza;  e  il  Bonsi  era  stanco 
oramai  di  dover  mostrarsi  partecipe  anch'egli  o  dell'una  o  dell'altra, 
tanto  che  rispose  con  una  lettera,  che  al  Gh.  sembra  singolarmente 
ardita  (2),  sebbene  in  altri  tempi  anche  più  ardito  linguaggio  avesser 
tenuto  talora,  coll'ufficio  dal  quale  dipendevano,  gli  ambasciatori  fio- 
rentini (3).  Nella  quale,  insegnato  loro  a  intendere  a  dovere  le  sue  let- 
tere, come  essi  volevano  insegnare  al  papa  a  intender  le  espressioni  del 
S.,  mostrava  che  egli  ne  sarebbe  beffato  et  rìbuctato,  se  volesse  andare 
dicendo  le  solite  parole  in  difesa  di  quelle  prediche,  che  andavano  stam- 
pate per  Roma  ed  esacerbavano  gli  animi  di  tutti  ;  e  che  il  papa  era 
indignatissimo,  e  più  si  sdegnerebbe,  se  non  vedesse  da  Firenze  risposta 
non  di  parole,  ma  di  fatti  ;  infine  chiedeva  licenza  del  ritorno,  perchè 
vedeva  l'opera  sua  a  Roma  inutile  per  la  RepubbUca  e  a  sé  perico- 
losa (4).  Non  pare  che  i  Dieci  se  ne  commovessero  troppo,  né  che 
mutassero  opinione  rispetto  al  S.,  almeno  a  giudicare  dalla  lettera 
colla  quale  risposero  al  Bonsi,  sebbene  mostrassero,  per  ossequio  alla 
Santa  Sede,  d'aver  consentito  all'inibizione  del  predicare  fatta  al  S. 
dalla  Signoria  (5).  Il  contegno  della  quale  in  tutto  questo  mese,  in 
apparenza  benignissimo  a  fra  Girolamo,  pare  a  me  che  giustifichi 
sempre  più  l'opinione  del  Villari,  fondata,  come  abbiam  visto,  sulla 
notevole  afifermazione  del  Somenzi.  I  Signori,  che  sapevano  l'animo 
del  papa  e  che  importanza  avesse  per  lui  la  risposta  che  al  suo 
nuovo  breve  si  farebbe,  procedevano  con  singolare  lentezza.  Dopo 
essersi  indugiati  tre  giorni,  chiamarono  a  consulta,  sia  per  rispetto 
alle  consuetudini  della  Repubblica,  sia  per  perder  più  tempo  e  sde- 
gnare il  papa  ognor  più,  un  grandissimo  numero  di  cittadini,  i  quali 
manifestarono,  come  era  da  aspettarsi,  pareri  molto  discordi,  sebbene 
alquanti  si  mostrassero  favorevoli  al  S.  e  alcuni  usassero  parole  molto 
forti  contro  il  pontefice,  ma  i  più  consigliassero  di  dargli  qualche 
soddisfazione  (6).  Lasciarono  quindi  passare  altri  tre  giorni,  e  poi  chia- 
marono a  praticare  19  cittadini  scelti  fra  quelli  della  precedente  con- 
sulta, i  quali  presentarono  una  relazione,  in  conseguenza  della  quale 
si  decretava  «  persuadendum  esse  fratri  leronymo  ut  omnino  a  pre- 
ce dicatione  cessaret;  sicque  satisfieret  pontifici.  Cetera  autem  que  li- 
ce teris  apostolicis  petebantur  indigna  indicata  sunt  Reipublice  ;  sicque 


(i)  Lettera  del  io  di  marzo,  doc.  2i;  p.   197. 

(2)  P.  197. 

(3)  Vedi,  p.  es.,  le  lettere  che  scrisse  talora  ai  Dieci  messer  Rinaldo  degli  Albizzi,  e  in 
particolare  quelle  che  scrisse  dal  campo  contro  Lucca,  dov'era  commissario,  il  17  di  gen- 
naio e  il  lé  di  marzo  del  1430.  Commissioni  di  Rinaldo  degli  Albini  pel  Comune  di  Fi- 
renze, pubblicate  da  Cesare  Guasti,  III,  306,  486. 

(4)  Lettera  del  16  di  marzo,  doc.  22;  pp.   198-201. 

(j)  Lettera  del  24  di  marzo,  doc.  28;  p.  207;  e  vedi  la  lettera  del  18,  scritta  prima 
di  ricever  quella  del  Bonsi,  doc.  23  ;  p.  202. 

(6)  Consulta  del  14  di  marzo,  pubblicata  dal  Lupi,  loc.  cit.  doc.  v,  pp.  3  3  sgg.  ;  ci- 
tata e  riportata  in  parte  dal  Villarì,  op.  cit.  IV,  vi,  voL  II,  116  sgg. 


bibliografia  725 


«  ad  oratorem  qui  Rome  erat  dominum  Dominicum  Bonsium  litere 
«date  sunt  »(i).  Al  S.  veniva  quest'ordine  notificato  quella  sera, 
ed  egli  obbediva,  e  faceva  il  18  di  marzo  del  1498  l'ultima  sua 
predica  mesta,  ma  pur  risoluta  e  minacciosa  (2).  Ma  la  risposta  a 
Roma  si  mandava  con  tanta  lentezza,  che  non  vi  giungeva  prima  del 
dì  22  (3),  e  non  si  faceva  direttamente  al  papa,  ma  all'oratore  (4), 
che  non  era  una  prova  di  far  troppo  conto  del  breve  di  quello.  Il 
cui  sdegno  si  veniva  pertanto  accrescendo,  tanto  più  che  seguita- 
vano a  venire  con  assai  maggior  prontezza  altri  avvisi  da  Firenze 
atti  a  irritarlo  più  che  mai  (5).  E  convocati  alcuni  cardinali,  fra 
i  quali  fu,  naturalmente,  Ascanio  Sforza,  n'aveva  avuto  parere  di  non 
chieder  più  la  sospensione  delle  prediche  del  frate,  «  ma  di  vo- 
ce lerlo  a  ogni  modo  qui  nelle  mani;  et  che  non  solamente  proce- 
«  dessi  allo  interdecto,  ma  facessi  porre  le  mani  addosso  a  questi 
«  della  natione  nostra  che  sono  qui,  et  tenere  le  loro  robe  al  sicuro  ; 
«  et  di  poi  richiedere  le  S.  V.  che  li  mandino  fra  G.  infra  uno  ter- 
«  mine  prefixo  ;  et  non  lo  faccendo  voi,  mettere  detti  della  natione 
«  in  Castel  Sancto  Agnolo  et  le  robe  confischare  alla  Camera  Apo- 
«  stoHcha  »  (6).  Così  scriveva  il  Bonsi,  al  quale  forse  la  cosa  era  stata 
riferita  con  qualche  esagerazione,  e  forse  per  intimidire  il  Governo 
di  Firenze;  ma  intanto  i  mercanti  fiorentini  che  erano  a  Roma  ne 
scrivevano  anch'essi  alla  Signoria,  tutti  sgomenti,  supplicandola  ad 
ovviare  e  dare  al  papa  la  richiesta  soddisfazione  (7).  Ma  la  Signoria 
non  si  mostrava  per  nulla  impensierita  e  lasciava  che  a  Firenze,  se 
fra  Girolamo  taceva,  predicassero  fra  Domenico  da  Pescia  e  fra  Ma- 
riano degli  Ughi,  certo  non  con  temperanza  maggiore;  e  perchè  il 
papa  se  n'era  lagnato  col  Bonsi,  quando  questi  fu  ad  annunziargli 
la  sospensione  delle  prediche  di  fra  Girolamo  (8),  rispondevano  in 
modo,  che  par  giustamente  al  Gh.  assai  singolare  (9)  :  «  che  altri 
«  frati  di  S.  Marco  predicano  in  vilipendio  di  Sua  Sanctità,  noi  in- 
«  formatoci  non  ritragghiamo  cotesto  da  nessuno»  (io).  Cosi  quanto 


(i)  Pratica  del  17  di  marzo,  pubblicata  e.  s.  doc.  v;  pp.   J3-J4. 

(2)  ViLLARi,  Storia  cit.  IV,  vi,  voi.  II,   125  sgg.   e  in  particolare  p.   128. 

(3)  Vedi  la  lettera  del  Bonsi  del  24  di  marzo,  edita  qui  dal  Gh.  doc.  31;  p.  210.  E  cf. 
quelle  del  16,  del  19,  del  20,  nelle  quali  quella  risposta  sollecitava  (dece.  22,  25,  27  ; 
pp.   199,  20^,   207). 

(4)  Vedi  il  poscritto  della  lettera  dei  Dieci  al  Bonsi  del  18  di  marzo  (doc.  23  ;  p.  203), 
e  la  loro  lettera  del  24  (doc.  28;  p.  207)  fatta  per  mostrarsi  al  papa  (vedi  il  doc.  29; 
p.  208), 

(j)  Vedi  la  lettera  del  Bonsi  del  23  di  marzo  (doc.  30;  p.  209).  Il  papa  aveva  gii 
saputo  cose  nuove  da  una  lettera  del  19  di  marzo  prima  d'avere  la  risposta  fattagli  fare 
dalla  Signoria  il   18.  * 

(6)  Lettera  del  Bonsi  del  18  di  marzo,  doc.  24;  p.  204. 

(7)  La  lettera  dei  mercanti  è  pure  del   18  di  marzo;  edita  qui  al  n.  26,  pp.  205-206. 

(8)  Vedi  la  citata  lettera  del  Bonsi  del  23  di  marzo. 

(9)  P.  208. 

(io)  Vedi  la  lettera  dei  Signori  al  Bonsi,  scritta  il  31  di  marzo,  nella  raccolu  del  p.  Mak- 
ciiESH,  doc.  XXII  ;  p.   171. 


726  bibliografia 


al  non  essersi  degnati  di  rispondere  direttamente  al  breve,  della  qual 
cosa  Alessandro  aveva  mostrato  rincrescimento,  allegavano,  nella 
lettera,  colla  quale  finalmente  risposero  il  31  di  marzo,  un  pretesto 
di  assai  poco  valore,  dicendo  di  non  potere  scrivere  a  un  papa  «  sine 
«  decreto  coUegarum  nostrorum,  qui  singulis  horarum  momentis  con- 
«  gregari  non  possunt  »  (i).  Altro  che  singulis  horarum  momentis^  con 
una  dilazione  di  venti  giorni!  Nondimeno  il  papa  pareva  in  questo 
tempo  assai  calmo  ;  ma  chi  gli  era  attorno  pensava  ad  aizzarlo  col 
dirgli  un  fatto  nuovo  e  grave.  Sia  che  veramente,  come  fu  nar- 
rato, ma  pare  al  Gh.  poco  probabile  pel  silenzio  dei  carteggi  (2),  a 
Milano  s'intercettasse  e  dal  Moro  si  mandasse  al  papa  una  lettera 
del  S.  a  re  Carlo  Vili  per  incitarlo  a  convocare  un  concilio  e  de- 
porre Alessandro  (3)  ;  sia,  come  suppone  il  Villari  (4),  che  la  let- 
tera intercetta  fosse  una  di  Domenico  Mazzìnghì,  scritta  col  mede- 
simo scopo  e  per  ordine  di  fra  Girolamo  a  Giovachino  Guasconi, 
ambasciatore  in  Francia;  sia  che  qualche  voce  imprudente  o  traditrice 
uscita  di  S.  Marco,  o  qualche  invenzione  calunniosa  della  corte  di 
Milano  avesser  messo  di  tale  cosa  il  sospetto  nell'animo  del  papa  ; 
certo  è  che  questi  alla  fine  di  marzo  non  si  contentava  più  che  il  S. 
tacesse.  Temeva,  come  apparisce  soprattutto  dal  terzo  processo,  che 
le  ripetute  minacele  del  frate  di  dar  volta  alla  chiavetta  avesser  fon- 
damento in  pratiche  appiccate  da  lui  o  con  cardinali  poco  amici  del 
papa,  o  con  principi  d' Italia  o  di  fuori,  per  radunar  un  concilio,  che 
seguisse  l'esempio  dato  da  quello  di  Costanza  e  malamente  rinno- 
vato a  Basilea.  E  s'intende  però  com'egli,  aderendo  finalmente  in 
parte  ai  consigli  datigli  il  17  di  marzo,  dicesse  il  3 1  al  Bonsi  d'aver  de- 
liberato di  mandare  a  Firenze  un  prelato,  «  il  quale  ricerchassi  per- 
«  suadere  fra  leronimo  che  si  disponesse  al  venire  qui,  solo  per  mo- 
«  strarsi  obsequente  alla  Sua  Santità,  et  a  questa  Santa  Sede;  et  che 
«  venendo  non  gli  sarebbe  fatta  alcuna  lesione  »  qcc.  (5).  A  questo 
l'ambasciatore  si  era  opposto  recisamente,  allegando  più  ragioni;  ma 
ormai  era  avvenuto,  e  ne  giungevano  a  Roma  le  notizie,  quel  fatto 
che  doveva  dar  mano  a  toglier  via  questo  nuovo  dissidio  fra  il  papa 
e  la  Signoria  ed  a  chiarir  senza  dubbi  l'avversione  di  questa  al  S. 
Il  25  di  marzo,  come  apparisce  da  una  lettera  di  Girolamo  Beni- 
vieni  pubblicata  dal  Gh.  (6),  Francesco  di  Puglia,  predicando  in  Santa 


(i)  Raccolta  del  p.  Marchese,  doc.  xxiii  ;  p.  172. 

(2)  P.  211. 

(3)  BURLAMACCHI,    Op.    CÌt.    p.    86. 

(4)  Op.  cit.  IV,  VI,  voi.  II,  pp.  135-136.  C'è  veramente  una  difficoltà,  perchè  il 
Mazzinghi  disse,  nel  processo,  d'avere  avuto  la  risposta.  (Ivi,  p.  cclxiij,  e  la  risposta 
dell' II  d'aprile  è  riportata  alla  pagina  seguente)  ;  ma  il  V.  cerca  d'eliminarla,  supponendo 
che  la  lettera  fosse  mandata  duplicata,  o  che  il  Moro  l'avesse  lasciata  andare  al  suo  de- 
stino dopo  averne  fatto  fare  una  copia  ;  che  non  mi  pare  ipotesi  troppo  probabile.  (Ivi, 
p.  cclxiv,   n.   i). 

($)  Lettera    del  Bonsi  del  31  di  marzo,  doc.  33  (ultimo  del  §  viii);  p.  212. 
(6)  §  IX,  doc.  I  ;  p.  216. 


'bibliografia  727 


Croce,  aveva  lanciato  quella  sfida,  che  fu  l'ultima  rovina  del  frate 
ferrarese.  I  commenti  che  son  qui  pubblicati  nel  §  ix  sono  impor- 
tanti soprattutto  a  mostrare  la  contrarietà  risoluta  che  incontrò  a  Roma 
la  proposta  della  barbara  prova,  che  duole  veder  tanto  favorita  e 
sollecitatane  la  licenza  dall'oratore  della  Signoria  (i);  ma  gli  animi 
erano  allora  a  Firenze  così  potentemente  agitati,  che  la  cosa  non 
pare  fuori  del  naturale.  Sia  che  il  papa,  come  capo  della  Chiesa, 
non  volesse,  o  che  non  volessero  i  cardinali  accordare  essi  una  cosa 
che  allo  spirito  della  Chiesa  ripugnava;  sia  che  Alessandro  temesse, 
come  i  Piagnoni  supposero  (2),  che  da  quella  prova  il  S.  avesse  ad 
uscire  vittorioso  e  accresciuto  di  credito  e  d'autorità;  sia  che,  volendo 
a  ogni  costo  il  S.  a  Roma,  non  curasse  d'approvar  tutto  quello  che 
potesse  ritardare  o  impedir  quest'effetto,  o  non  volesse  che  il  frate, 
morendo,  avesse  a  portar  con  sé  nella  tomba  i  segreti  che  a  lui  pre- 
meva di  strappargli  ;  certo  è  che  papa  e  corte  furon  sempre  all'espe- 
rimento contrari,  né  ebber  risposta  le  richieste  d'approvazione  o  di 
licenza  della  Signoria  e  dei  frati  di  S.  Marco,  se  non  in  quelle  disap- 
provazioni, che  il  Bonsi  sentiva  darsi  fin  tre  giorni  dopo  quello  del- 
l'esperimento, del  quale  non  era  peranco  giunta  a  Roma  la  nuova  (3). 
Che  se  poi  Alessandro  VI  fece  scriver  lodi  alla  Signoria,  e  fu 
largo  coi  Fiorentini  d'assoluzioni  e  indulgenze,  e  spedì  un  breve  gra- 
tulatorio e  laudativo  ai  frati  di  S.  Croce;  lo  fece  quando,  insiem  colla 
notizia  della  prova  fallita,  gli  fu  giunta  quella  del  confino  e  poi  della 
cattura  del  S.  e  dei  due  suoi  compagni  (4),  che  l'assicurava  da  ogni 


(i)  Vedi  i  docc.  2-7  del  §  ix  passim. 

(2)  BURLAMACCHI,    Op.    CÌt.    p.    I23. 

(3)  Lettera  del  Bonsi  ai  Dieci  del  io  d'aprile  1498  Doc.  i  del  §  x  :  «Stamane,  es- 
«  sendo  io  col  card,  di  Perugia,  m'affermò,  non  obstante  che  havesse  lecto  la  lettera  de' 
«  frati  diligentemente,  essere  del  medesimo  proposito;  benché  li  paresse  grave  cosa  il 
«  consentimento  di  tanto  numero  »  ;  p.  226.  La  lettera  dei  frati,  che  è  del  3  d'aprile, 
è  il  doc.  5  del  5  IX  (pp.  219-220).  E  cosi  due  giorni  avanti  parlando  l'oratore  di  questo 
al  medesimo  cardinale  ed  al  papa,  «  l'uno  et  l'altro  di  loro  entrarono  in  su  questo  caso 
«  dello  experimento  del  fuocho,  dannandolo  molto.  Et  subiunse  il  papa,  che  si  maravi- 
<*  gliava  che  costi  si  attendessi  a  tali  cose,  et  che  e'  sarebbe  bene  levarle  via  »  (doc.  7, 
lettera  del  Bonsi  del  19  di  aprile;  p.  221,  e  cf.  più  sotto  a  p.  222).  E  il  disgusto  di  lui 
appare  nelle  prime  parole,  che  fece  al  Bonsi,  quando  questi  per  la  prima  volta  glie  ne 
parlò:  «  Vedete  dove  queste  cose  si  conducono!  »  (Lettera  del  B.  del  4  d'aprile,  doc.  ); 
p.  217). 

(4)  Del  confino  seppe  il  papa  dal  Bonsi  la  mattina  del  io  d'aprile,  «  et  ne  monstrò 
«  essere  bene  contento ....  monstrò  esserli  molto  accepto  la  vostra  buona  dispositione  verso 
«  la  Sua  Santità:  della  quale  mi  dixe  che  assai  per  sua  parte  ve  ne  ringratiassi;  et  che 
«  ere  paratissimo  ad  ogni  vostro  beneficio  operarsi  come  per  suoi  buoni  figliuoli.  Monstrò 
«  etiamdio  piacergli  assai  la  speranza  che  per  epsa  vostra  ne  date  di  comporre  bene  et 
«  a  pace  et  unione  tucta  la  città  ».  (Lett.  del  B.  del  io  d'aprile,  $  x,  docc.  t  e  3  ;  p.  227). 
La  seguente  mattina  si  recò  subito  l'oratore  a  dargli  notizia  di  quel  che  era  avvenuto  poi; 
ed  egli  «  monstrò  non  solo  essergli  grato  et  acceptìssimo  la  captura  di  questi  tre  frati, 
«  ma  con  molte  amorevoli  parole  ve  ne  ringratiò  sommamente,  d'ogni  opera  intomo 
«  acciò  facta:  comendandovene  grandissimamente,  et  dicendo  che  non  è  cosa  circa  a'chasi 
«  di  Pisa  e  altri  si  grande,  che  lui  non  desideri  mectere  in  beneficio  vostro  »,  ecc.  (Lett.  del- 
l'ii  aprile,  doc.  };  pp.   227-228).!  E  soltanto  il  giorno  di  poi  (la  d'aprile)  partivano  da 


728  bibliografia 


timore  ch'egli  potesse  avere  dell'opera  loro,  e  gli  mostrava  chiaro 
il  gran  rivolgimento  che  s'era  fatto  nelle  opinioni  a  Firenze,  che 
sperava  non  sarebbe  senza  effetto  sulla  politica  di  quella  città;  e 
a  chi,  bene  o  male,  era  stato  strumento  a  procurar  tali  effetti,  che 
a  lui  tornavano  utili,  mandava  lodi  e  rallegramenti,  sebbene  per  l' in- 
nanzi avesse  ben  altrimenti  stimata  l'opera  loro. 

Né  però  cessava  in  lui  la  brama  d'avere  a  Roma  il  S.  (i);  e  di 
questa  brama,  di  cui  ci  offrono  ad  ogni  passo  testimonianze  i  do- 
cumenti pubblicati  qui  sotto  il  numero  X,  disse  ben  la  ragione  il 
p.  Marchese,  quando,  annotando  la  lettera  della  Signoria  al  Bonsi 
del  5  di  maggio,  scriveva:  «  Temeva  il  pontefice  che  le  trattative 
«  del  concilio  avessero  avuta  intelligenza  con  alcuni  del  sacro  col- 
«  legio,  i  quali  desideravano  la  deposizione  di  Alessandro  VI,  come 
(f  il  cardinal  Della  Rovere  e  alcuni  cardinali  francesi  »  (2).  Lo  pro- 
vano e  lo  confermano  quel  che  la  Signoria  stessa,  in  termini  molto 
coperti  e  delicati,  scriveva  al  pontefice  il  6  di  maggio  (3),  e  le  pa- 
role che  il  Bonsi  scriveva  ai  Dieci  l'ii  d'aprile,  in  una  lettera  che 
viene  in  luce  nella  raccolta  del  Gh.  (4);  non  che  il  fatto  che  appunto 
con  interrogazioni  su  questi  particolari  incominciava  e  in  gran  parte 
poi  s'aggirava  il  processo  fatto  al  S.  dai  commissari  apostolici  (5).  Ma 
se  il  papa  aveva  le  sue  ragioni  per  volere  a  Roma  fra  Girolamo, 
i  Fiorentini  avevano  le  loro  per  non  farselo  uscir  dalle  mani,  e 
questa  soprattutto,  che  non  volevano,  come  apertamente  scrivevano 


Roma  i  noti  brevi  al  vicario  generale  dei  minori  osservanti  e  a  fr.  Francesco  di  Puglia 
(in  data  del  di  ii)  e  un  altro  al  Capitolo  dì  S,  M.  del  Fiore,  ed  uno  alla  Signoria,  non 
che  una  bolla  d'indulgenza  plenaria  per  l'ottava  di  Pasqua  (lett.  del  B.  alla  Signoria, 
del  12  d'aprile;  dee.  5  ;  p.  230).  Il  breve  alla  Signoria  è  pubblicato  qui  (doc.  6;  p.  231). 
Non  ci  par  dunque  da  consentire  col  Villari  che  le  disapprovazioni  del  papa  dichiara 
finzioni,  argomentando  appunto  dalla  spedizione  di  questi  brevi  (op.  cit.  IV,  vii,  voi.  II, 
pp.  145,  149);  né  col  Cosci,  il  quale  aderendo  a  quel  che  scrisse  il  Burlamacchi,  che 
Alessandro  VI  disapprovasse  l'esperimento  per  paura  che  in  questo  i  domenicani  vinces- 
sero, soggiunge  che  se  veramente  egli  avesse  voluto  impedire  che  l'esperimento  si  fa- 
cesse, l'avrebbe  facilmente  potuto,  prosciogliendo  da  qualsivoglia  censura  il  S.  (loc.  cit. 
pp.  454-455).  Che  questo  potesse  mettere  innanzi  il  Bonsi,  per  tentare  ogni  cosa  affin 
di  condurre  il  papa  a  quel  che  pareva  si  volesse  a  Firenze  (lett.  del  4  aprile,  doc.  3  ; 
p.  218,  in  fine),  s'intende;  ma  che  altri  possa  dirlo  ora  a  mente  quieta  e  pensando  che 
l'esperimento  era  proposto  soprattutto  per  far  prova  della  validità  d'una  scomunica  ful- 
minata dal  papa,  par  quasi  impossibile. 

(i)  Fu  subito  espressa  dal  papa,  appena  il  Bonsi  gli  ebbe  notificata  la  cattura  dei  frati 
(lett.  del  Bonsi  dell'ii  d'aprile,  §  x,  doc.  3;  p.  228). 

(2)  Pubblicaz.  cit.  p.   187. 

(3)  «  Si  forte,  ut  decet  optimum  pastorem,  ad  consulendum  rebus  Ecclesiae  intelli- 
«  gere  aliquid  ab  eo  cupiat  Sanctitas  Vestra  ».  (Ivi,  doc.  xxxvii;  p.    189). 

(4)  «  Richiesemi  poi  con  instantia  grande  che  in  questa  examine  Vostre  Signorie  do- 
«  vessino  ricerchare  se  detti  frati  havevono  qui  con  persona  praticha  0  intelligentia  al- 
«  chuna,  et  che  del  ritracto  me  ne  advisassi.  Et  oltra  a  di  questo  con  grandissima  instantia 
«  mi  richiese  che  facto  decta  examine,  quelle  volessino  concedere  a  Sua  Beatitudine  decti 
«  tre  frati  »,  ecc.  (Lett.  cit.   p.  228). 

(5)  Vedasi  pubblicato  in  appendice  al  voi.  II  dell'op.  cit.  del  Villari,  doc.  xxvi,  3  : 
specialmente  in  principio,  e  pp.  cxciij-cxciv. 


bibliografia  729 


a  Roma,  e  come  il  Bonsi  aveva  fino  da  princìpio  fatto  intendere 
al  papa,  che  certe  cose  interne  della  loro  città  s'avessero  a  risapere 
e  pubblicar  fuori  (i)  ;  e  però  continuamente  si  rifiutarono  di  con- 
ceder tal  cosa,  sia  espressamente,  sia  cercando  di  guadagnar  tempo 
col  tacere,  sebbene  il  papa  ne  li  ricercasse  con  insistenza  grandis- 
sima, e  ne  facesse  una  condizione  necessaria  dei  favori  materiali 
e  spirituali,  che  essi  gli  chiedevano  (2).  Tanto  che  alla  fine  toccò 
a  lui  a  cedere,  e  contentarsi  che  i  tre  frati  venissero  interrogati  a 
Firenze  da  qualche  suo  commissario  mandatovi  «  per  intenderne 
«  una  cosa  più  che  un'altra  attinente  »  (3)  alla  Sua  Santità;  o  facesse 
questo  perchè  la  piega  che  le  cose  prendevano  a  Firenze  gli  avesse 
oramai  tolto  ogni  paura  dell'animo,  o  perchè  avesse  inteso  dai  sunti 
dei  processi  comunicatigli  che  non  c'era  da  cavarne  nulla,  che  po- 
tesse gravemente  compromettere  alcuno  della  curia.  Ed  è  cosa 
assai  curiosa  quella  che  rileva  il  Gh.,  che  questa  soluzione  non  fu 
dal  papa  proposta  e  dalla  Signoria  accettata,  né  viceversa,  perchè 
un  giorno  prima  che  la  lettera  del  Bonsi  giungesse  a  Firenze,  una 
pratica  aveva  consigliato  lo  stesso  partito,  e  secondo  il  consiglio 
di  quella  n'era  stato  scritto  all'oratore  (4). 

Né  ci  mostrano  questo  soltanto  i  documenti  pubblicati  in  questo 
paragrafo  ;  ma  anche  l'effetto,  che  la  notizia  di  questi  fatti  produsse 
fuori  di  Firenze,  e  in  particolare  in  Francia  e  a  Milano,  così  spi 
capi  degli  Stati  (5),  come  sugli  ambasciatori  fiorentini,  i  quali,  in 
quei  due  luoghi,  appartenevano  alla  parte  del  frate,  e  non  nasco- 
sero il  loro  dolore  e  il  loro  disgusto,  tantoché  all'uno  di  loro,  Fran- 
cesco Pepi,  i  Dieci  rimproveravano  la  passione  con  cui  scriveva  (6), 
e  se  non  lo  richiamavano,  mandavano  almeno  un  altro  oratore  di 
ben  altri  sentimenti,  Guidantonio  Vespucci,  col  pretesto  d' informar 
meglio  il  duca  Lodovico  delle  cose  presenti  (7).  La  lettera  poi  del 


(i)  Lett.  cit.  del  Bonsi  dell'ii  d'aprile;  e  lett.  cit.  della  Signoria  al  Bonsi  del  j, 
e  al  papa  del  6  di  maggio  (p.  Marchese,  docc.  xxxvi  e  xxxvii,  pp.  187,  189).  Nelle 
quali  troviamo  detta  anche  un'altra  ragione,  che  fa  dispiacere  :  «  Accedit  huc  etiam  quod- 
«  dam  desiderium  totius  populi  videndi  supplicium  eius,  quo  tot  annis  vanis  poUicitatio- 
«  nibus  delusi  sunt  ». 

(2)  Vedi  specialmente  le  lettere  del  Bonsi  dei  17,  19  e  25  d'aprile  edite  qui  (§  x,  docc.  13 
e  22;  pp.  239  sgg.  2;6).  E  fin  nei  brevi  delle  sue  concessioni  il  papa  insisteva  su  quel 
punto.  V.  i  brevi  del  12  e  del  17  d'aprile  pubblicati  qui  dal  Gii.  (docc.  6  e  I4;pp-  231,242). 

(3)  Lett.  del  Bonsi  del  3  di  maggio,  edita  qui  (doc.  27;  p.  262). 

(4)  P.  a6i. 

($)  Il  doc.  9  (p.  235)  i  una  lettera  di  larghissima  lode  e  congratulazione  scritta  alla 
Signorìa  l'ii  d'aprile  da  Lodovico  il  Moro,  che  contrasta  un  po'  col  modo  nel  quale  s'era 
espresso,  scrivendo  il  giorno  innanzi  alla  Signoria  stessa,  l'ambasciatore  Francesco  Pepi 
(doc.  8;  p.  234).  Il  doc.  12  t  una  lettera  dei  Perugini,  del  la  d'aprile,  che  contiene  assai 
profferte,  ma  nessuna  congratulazione,  anzi  rammarico  del  tumulto  avvenuto  e  neanche 
il  ricordo  del  frate. 

(6;  Lett.  del  23  d'aprìle,  edita  qui  (doc.   19;  p.  251). 

(7)  Lett.  del  21  d'aprile,  e.  s.  (doc.  18;  p.  ajo).  La  ragione  la  diceva  chiara  il  So- 
menzi, scrivendone  al  duca  l'ii  d'aprile.  Vedi  Dkl  Lungo,  pubbl.   cit.    doc.  xli,  p.  36. 


730  bibliografia 


Guasconi  ambasciatore  in  Francia  (i)  è  anche  per  altro  impor- 
tante, perchè,  insieme  coi  passi  d'altri  inediti  documenti,  coi  quali 
il  Gh.  r  illustra  da  par  suo  (2),  rettifica  quanto  s'argomentava  dalla 
lettera  di  Luigi  XII  alla  Signoria  di  Firenze  scritta  il  4  di  giugno 
e  pubblicata  dal  p.  Marchese  (3),  cioè  che  quel  re  s'adoperasse  ai 
favori  del  S.  soltanto  quando  questi  era  già  morto  ;  poiché  appa- 
risce di  qui  com'egli  già  avesse  saputo  i  casi  di  Firenze  il  21  di 
aprile,  e  da  altri  prima  che  dall'ambasciatore,  e  come  per  quelli 
mandasse  a  Firenze  Niccola  Alamanni,  il  quale  non  potè  far  nulla, 
per  trovar  la  materia  troppo  mal  disposta.  Cosi  ci  mostrano  altri 
di  questi  documenti  come  parecchi  di  quelli  che  erano  al  frate  de- 
voti da  lui  s'alienassero  (4),  e  come  lo  rinnegassero  perfino  i  più 
intimi  fra  i  suoi  frati  (5),  ingannati  dalle  false  dichiarazioni  dei 
processi,  che  altri  documenti  vengono  a  dimostrare  palpabilmente 
in  che  modo  si  facessero,  e  come  in  quelli  la  parzialità  e  l'arbitrio 
fosser  l'unica  regola  dei  giudici,  che  compirono  colla  condanna  dei 
tre  frati  una  svergognata  ingiustizia  (6).  Non  si  può  senza  una 
certa  commozione  e  un  senso  di  dolore  e  di  sdegno  percorrere 
questa  parte  del  libro,  né  gran  parte  dei  documenti  raccolti  nel 
paragrafo  XII,  sotto  il  titolo  :  «  Documenti  relativi  alla  memoria  di 
fra  Girolamo  »  (7)  ;  quelli  in  particolare,  nei  quali  vediamo  farsi  de- 
trattore del  S.  un  suo  vecchio  maestro  (8),  e  scrivere  contro  di  lui 
ancor  vivo  e  carcerato  un'aspra  e  feroce  invettiva  diretta  alla  Si- 
gnoria di  Firenze  (9)   Ugolino  Verino,  poco  innanzi  tanto  suo  de- 


(i)  È  del  21  d'aprile  (doc.   17;  p.   248), 

(2)  P.  246-247. 

(3)  Loc.  cit.  doc.  XL,  p.   192. 

(4)  Fra  gli  altri  il  Bonsi;  quantunque  più  che  dalla  sua  raccomandazione  per  Fran- 
cesco del  Pugliese  (edita  qui,  doc.  21  ;  p.  254)  si  possa  argomentare  il  suo  mutamento 
dalle  lettere  che  scriveva  da  Roma  anche  prima  della  caduta  del  S.  E  forse  anche  il  pie- 
vano di  Cascina  Francesco  Fortunati,  che  temeva  d'avere  a  essere  implicato  nel  processo 
(p.  258). 

(5)  Fino  fra  Niccolò  da  Milano,  a  cui  il  S.  aveva  fatto  far  le  minute  delle  lettere 
ai  principi.  Vedi  la  lettera  sua  agli  esaminatori  «  pseudoprophetae  fratris  Hieronymi  de  Fer- 
«raria»  del  22  d'aprile,  edita  qui,  doc.  20;  p.  252.  Quanto  agli  altri  frati,  vedi  le  due  lettere 
del  Bonsi  ai  Dieci  e  alla  Signoria,  del  25  d'aprile  (docc.  22,  24;  pp.  256,  258);  e  la  let- 
tera loro  al  papa,  edita  dal  Perrens  (^Jerome  Savonarole,  App.  doc.  xvii,  pp.  429  sgg. 
della  3^  ediz.). 

(6)  Vedine  una  nuova  prova  nelle  due  lettere  di  Pierfrancesco  dei  Medici  al  pievano  di 
Cascina,  che  vengono  in  luce  per  la  prima  volta  in  questa  seconda  edizione  (§  x,  docc.  25 
e  26;  pp.  259,  260). 

(7)  Non  istò  a  far  parola  del  §  xi,  nel  quale  il  Gh.  ha  raccolto  tre  lettere  inedite 
del  S.,  di  non  grande  importanza,  il  testo  originale  d'un'altra,  di  cui  si  conosceva  sol- 
tanto una  traduzione,  e  una  diligentissima  e  spesso  importantissima  collazione  delle  let- 
tere edite,  delle  quali,  menochè  di  una  sola,  son  qui  soltanto  riportate  le  varianti  dalle 
lezioni  pubblicate. 

(8)  Il  Garzoni  più  sopra  ricordato  (§  xii,  docc.  2  e  3  ;  pp.  309,  310).  La  seconda  e 
più  acerba  di  queste  lettere  del  G.,  che  è  del  3  di  luglio  1498,  viene  in  luce  ora  perla 
prima  volta.  L'altra  del  14  di  giugno  era  anche  nella  prima  edizione. 

(9)  Ivi,  doc.   i;  p.   303. 


"Bibliografia  73 1 


voto,  da  aver  sottoscritto  l'attestazione  in  suo  favore  fatta  da  molti 
cittadini  di  Firenze  l'anno  1497,  e  da  avergli  dedicato  un  poe- 
metto latino,  che  il  Gh.  qui  pubblica  :  De  christianae  religionis  ac 
vitae  monasticae  felicitate  (i).  Negli  altri  apparisce  in  tutta  la  sua 
acerbità,  che  giunse  talora  a  cose  quasi  stolidamente  ridicole  (2), 
la  persecuzione  contro  la  memoria  del  Ferrarese,  mossa  così  dai 
suoi  nemici  reggenti  il  governo  di  Firenze,  sia  che  fossero  repub- 
blicani Arrabbiati  (3),  sia  che  fossero  Palleschi  o  duchi  di  casa  Me- 
dici (4)  ;  come  dai  superiori  dell'ordine  domenicano,  che  fino  un 
secolo  dopo  ch'egli  era  morto,  vietavano  a  tutti  i  ^rati  e  a  tutte  le 
monache  di  tenerne  ritratti  e  fin  di  pronunziarne  il  nome  (5).  E 
apparisce  insieme  il  perdurare  in  mezzo  a  tante  persecuzioni  della 
devozione  quasi  popolare  al  nome  e  alla  memoria  di  lui,  che  si 
manifestò  fino  a  un  secolo  e  mezzo  fa  in  una  fiorita,  che  si  faceva 
in  piazza  della  Signoria  nel  giorno  anniversario  della  sua  morte  (6), 
è  attestata  dalle  stesse  condanne  pronunziate  contro  chi  la  propa- 
gava (7).  Né  era  solo  di  persone  volgari,  perchè  rimangono  uffìzi 
propri  latini  composti  per  lui,  uno  dei  quali  viene  appunto  qui 
pubblicato  (8).  D'altra  parte  poi  è  noto  che,  sbolliti  i  primi  furori 
e  cessate  le  paure  e  le  passioni,  che  avevano  mosso  quella  perse- 
cuzione, la  cosa  mutò  ;  e  santi  della  Chiesa  e  pontefici  ebber  quasi 


(i)  P.   295  sgg.  E  vedi  la  lettera,  che  gli  aveva  mandato  innanzi,  a  p.  290  sgg. 

(2)  Tale  ci  pare  il  confino  della  campana /»/(7g'«o«rt  nel  campanile  dei  frati  minori  di  S.  Mi- 
niato al  Monte,  intorno  al  quale  il  Gh.  aggiunge  qui  tre  deliberazioni  dei  Signori  (docc.  8, 
9,  10;  p.  313)  a  quelle  già  edite  dal  Villari  (op.  cit.  II,  app.  n.  xxxii,  p.  ccxcj);  e  altri 
otto  documenti  (docc.  11-18;  pp.  31$  sgg.)  sullo  scalpore  grande,  che  si  fece  per  questa 
cosa,  finché  la  campana  non  fu  tornata  a  S.  Marco  il  6  di  giugno  del   1509. 

(3)  Vedi,  oltre  i  già  citati  nella  nota  precedente,  i  docc.  4,  5,  6  di  questo  paragrafo. 
Sebbene  i  documenti  7  (p.  312)  e  21  (p.  327)  mostrino  che  la  persecuzione  non  fu  diu- 
turna, com'era  d'altra  parte  assai  naturale,  perche  potevano  pur  giungere  al  supremo 
magistrato  di  quelli  che  erano  stati  sinceramente  amici  del  frate,  come  fu  di  Giovacchino 
Gtusconi,  che  fu  gonfaloniere  per  settembre  e  ottobre  nel   1499. 

(4)  V.  doc.  31  (p,  338.  Deliberazione  degli  Otto  del  16  marzo  1533).  Ma  la  perse- 
cuzione più  fiera  contro  i  frati  di  S.  Marco  fu  quella  del  duca  Cosimo  I,  che  li  cacciò 
da  quel  convento  con  decreto  del  31  d'agosto  1545,  ma  dovè  poi  rinsediarveli  per  volere 
del  pontefice  Paolo  III  il  5  di  dicembre  di  quell'anno  medesimo;  con  quanta  sua  stizza 
apparisce  dalle  lettere  del  carteggio  mediceo,  che  qui  pubblica  il  Gh.  (docc.  32-38),  poiché 
egli  s'era  messo  a  questa  cosa  con  una  risolutezza  ed  una  baldanzosa  ostinatezza  singo- 
lari (vedi  specialmente  le  prime  tre  lettere;  p.  342  sgg.),  allegando  «  che  la  origine 
«  di  tutta  questa  materia  nascic  dalla  falsa  dottrina  et  mali  costumi  che  fra  Girolamo 
«  Savonarola  insegnò  a'  suoi  frati  di  Santo  Marco  »  (lett.  del  14  d'ottobre,  all'ambascia- 
tore Alessandro  Del  Caccia,  doc.  33;  pp.  343-44).  Il  Gh.  pubblica  qui  inoltre  anche  una 
narrazione  del  fatto,  che  si  trova  in  una  cronaca  latina  manoscritta  del  convento  di 
S,  Marco  (p.  340  sgg.). 

(5)  Doc.  39;  p.  3$o.  Ordinanza  del  generale  dei  domenicani  Sisto  Fabbri  del  $  d'a- 
prile 158$.  E  cf.  i  docc.  33-)0  (pp.   339-337)1  alcuni  dei  quali  abbiam  gii  ricordati. 

(6)  Vedi  doc.  44;  p.  367;  e  l'illustrazione,  che  lo  precede. 

(7)  Doc.  ji  cit.  (p.  338). 

(8)  Doc.  41;  pp.  3  $8  sgg.  Un  altro  ne  pubblicò,  com'è  noto,  il  conte  Carlo  Cap- 
poni, e  vi  fece  un  proemio  Cesare  Guasti  (Prato,  1860). 


732  bibliografia 


per  santo  il  Savonarola  (i):  i  miscredenti  lo  denigrarono  (2),  i  cat- 
tolici lo  esaltarono;  e  soprattutto  l'ordine,  che  avanti  dell'estremo 
supplizio  lo  rigettò  dal  suo  seno,  se  ne  gloriò  poi  e  se  ne  gloria  e 
ne  cercò  e  ne  cerca  l'esaltazione  con  cura  amorosa  (3);  e  n'ò  bella 
testimonianza,  oltre  la  Vita,  che  scrisse  nel  secolo  passato  il  p.  Bar- 
santi  e  soprattutto  gli  studi  importanti  e  bellissimi  del  p.  Marchese, 
anche  il  presente  libro,  ispirato  e  in  gran  parte  composto  dallo 
studio  amoroso  del  p.  Bayonne.  Al  qual  proposito,  per  altro,  non 
possiamo  posare  la  penna,  senza  tributare  una  giusta  e  grandissima 
lode  al  Gh.,  per  la  modestia  veramente  singolare,  colla  quale  egli, 
nella  prefazione,  dà  in  sostanza  il  maggior  merito  nella  compo- 
sizione dell'opera  al  p.  Bayonne  e  al  cav.  Cittadella  (4).  Anche 
senza  considerare  quanto  di  proprie  ricerche  egli  avrà  aggiunto  alle 
loro,  certamente  per  un  lato  la  faticosa  collazione,  per  un  altro  e 
soprattutto  il  modo  com'egli  ha  saputo  ordinare  e  illustrare  questi 
documenti,  non  son  cose  da  farne  poca  stima  ;  perchè  rivelano 
un'  intelligente  operosità  e  un'erudizione  soda,  sicura  e  vastissima, 
quaU  se  le  possono  augurare  tutti  gli  studiosi  di  cose  storiche. 

F.  C.  Pellegrini. 


ena  :(^um  Liber  Diurnus  I  von  Th.  R.  von  Sickel 
wirkl.  Mitgliede  der  Kais.  Akademie  der  Wissenschaften. 
Mit  einer  Tafel.  [Sitzungsberichte  der  Kais.  Akademie 
der  Wissenschaften  in  Wien.  Philosophische-Historische 
Classe.  Band  CXVIL] 

L'illustre  direttore  dell'Istituto  austriaco  di  studi  storici,  prof.  Teo- 
doro von  Sickel,  attende  da  alcuni  anni  a  preparare  una  nuova  edi- 
zione del  Diurnus  Romanorum  pontificum.  Il  testo  della  celebre  rac- 
colta di  formole  accompagnato  da  una  Praefatio  e  da  un  Index 
rerum  et  verhorum  uscirà  fra  poco:  frattanto  in  questa  prima  parte 
dei  Proìegomena,  presentata  alla  classe  filosofico-storica  dell'Acca- 
demia Imperiale  di  Vienna,  il  Sickel  comincia  a  pubblicare  tutte 
quelle  ricerche  e  quegli  studi  sul  Diurnus  che  lo  hanno  condotto 
alle  conclusioni  enunciate  nella  prefazione,  tutto  quell'apparato,  in- 

(i)  ViLLARi,  La  storia,  ecc.  Conclusione.  II,  256.  E  in  questo  volume  lo  studio  citato 
del  Guasti,  parte  II,  §  iv,  p.  94  ;  e  ntlV Arch.  star.  ital.  nuova  serie,  XII,  168,  la  ras- 
segna fatta  da  Gino  Capponi  della  citata  pubblicazione  dell'uffizio  proprio  del  S. 

(2)  Vedi  il  principio  della  prefazione  del  prof.  Villari  alla  prima  edizione  del  suo  libro 
sul  S, 

(3)  Anche  da  questi  documenti,  pur  lasciando  quel  che  apparisce  dalle  lettere  di  Co- 
simo I,  e  specialmente  da  quella  al  Del  Caccia  citata,  si  vede  come  due  secoli  or  sono 
si  facesse  gran  conto  in  S,  Marco  di  quel  che  a  lui  avesse  appartenuto  e  si  tenesse  come 
reliquia  (Vedi  i  docc.  42-43  del  1685  ;  p.  364  sgg.). 

(4)  Vedi  la  prefazione,  in  principio,  e  a  p.  vii. 


"Bibliografia  733 


somma,  che  non  era  strettamente  necessario  all'intelligenza  del  testo 
e,  unito  alla  prefazione,  ne  avrebbe  ingrossato  di  troppo  la  mole. 
In  questa  prima  parte  dei  ProUgomena  tratta  dei  due  manoscritti  an- 
tichi del  Diurnus  e  dei  gruppi  di  formole  contenuti  in  ambedue; 
nelle  altre,  che  usciranno  in  seguito,  discorrerà  del  tempo  in  cui  fu 
redatto  il  Diurnus  e  dell'uso  fatto  di  esso  dal  compilatore  della  Vita 
Adriani  I  Nonantulana  e  da  Deusdedit  nella  sua  collezione  di  canoni. 

Il  capitolo  riguardante  il  codice  Vaticano  si  apre  con  una  minu- 
tissima descrizione.  La  composizione  e  lo  stato  del  codice,  le  diffe- 
renti qualità  della  pergamena,  la  disposizione,  la  specie  e  alcune  sin- 
golarità della  scrittura  ;  tutto  è  osservato  con  squisito  acume  critico. 
Un  risultato  importante  è  quello  che  l'autore  trae  da  alcune  dif- 
ferenze riscontrate  esaminando  la  scrittura  che  a  primo  aspetto  pare 
uniforme  :  quelle  differenze  corrispondono  alla  divisione  ch'egli  darà 
più  tardi  dei  tre  gruppi  di  formole  che  concorsero  a  formare  il 
Diurnus  Vaticano.  E  ne  conclude  non  essere  lo  scrittore  del  codice 
Vaticano  che  ha  unito  in  un  sol  corpo  i  tre  gruppi  ;  egli  lì  ha  tro- 
vati già  uniti  in  un  codice,  ma  scritti  da  mani  differenti.  Com'è 
naturale,  la  copia  riproduce  qua  e  là  alcune  particolarità  grafiche 
degli  archetipi  primitivi. 

Anche  le  indagini  sull'età  del  codice  confermano  i  risultati  degli 
studi  ulteriori  dell'autore  sul  tempo  cui  appartiene  la  serie  di  for- 
mole contenuta  in  esso.  Raccolte  e  discusse  le  opinioni  dei  dotti 
che  hanno  giudicato  dell'età  del  codice,  dal  Mabillon  al  Delisle, 
enumerati  i  codici  di  scrittura  minuscola  con  data  certa  vicina  a 
quella  cui  s'attribuisce  comunemente  il  codice  Vaticano  del  Diurnus^ 
notate  le  differenze  per  le  quali  si  distinguono  le  scritture  anteriori 
alla  riforma  carolina  e  alla  scuola  di  Tours  da  quelle  posteriori, 
giunge  a  stabilire  che  il  codice  fu  scritto  sotto  Adriano  I.  A  pro- 
varne poi  l'origine  romana,  oltre  alla  qualità  del  testo  che,  secondo 
ogni  verosimiglianza,  non  poteva  essere  scritto  che  a  Roma,  adduce 
il  fatto  dello  sviluppo  e  dell'uso  in  Roma  di  una  minuscola  preca- 
rolina figlia  della  scrittura  semionciale  e  la  somiglianza  della  scrit- 
tura del  codice  Vaticano  con  quella  del  codice  409  di  Montpellier 
ch'egli,  per  ragioni  storiche  e  filologiche,  ritiene  pure  di  provenienza 
romana.  Ad  un  minuto  esame  delle  abbreviazioni  che  lo  conferma 
nell'opinione  che  il  Diurnus  Vaticano  sia  stato  scritto  prima  della 
riforma  carolina,  segue  uno  studio  più  speciale  deU'abbfeviazione  ili. 
usata  in  ambedue  i  manoscritti  del  Diurnus  ed  in  altri  codici  di  fof- 
mole,  e  adoperata  anche  da  coloro  che  più  tardi,  nell'undecimo  se- 
colo, introdussero  in  altre  compilazioni  formole  tratte  dal  Dinrnus. 
L'ultimo  paragrafo  del  primo  capitolo  ò  dedicato  alla  storia  di  questo 
codice  dal  xvii  secolo  in  poi,  che  il  Sickcl  ricostruisce  tenendo  conto 
di  tutti  i  segni  esteriori  esistenti  nel  codice  e  fissando  di  ciascuno  il  si- 
gnificato e  il  valore. 

Intorno  al  codice,  ora  perduto,   che    appartenne    alla  biblioteca 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XI.  48 


734  "^Bibliografia 


dei  gesuiti  del  collegio  di  Clermont  a  Parigi,  chiamato  dal  Sickel 
Codex  Claromontanus,  riassume  quanto  era  stato  già  narrato  dal  De 
Rozière.  Raccoglie  e  valuta  le  descrizioni  che  ci  son  rimaste  di  quel 
codice  e  i  giudizi  pronunziati  sull'età  di  esso  dai  dotti  che  lo  esami- 
narono. Confrontando  questi  giudizi  col  contenuto,  noto  per  gli  studi 
del  Baluze  che  ne  aveva  preparata  una  nuova  edizione,  stabilisce  che 
l'epoca  più  remota  cui  si  può  attribuire  il  codice  di  Clermont  è  il 
principio  del  nono  secolo,  poiché  la  redazione  del  Diurnus  dataci  da 
esso  deve  collocarsi  intorno  al  tempo  dell'elezione  di  Leone  III  e 
della  ricostituzione  dell'impero  di  Occidente. 

Col  capitolo  sulla  redazione  del  testo  dei  due  codici  finisce  la 
prima  parte  ora  pubblicata  dei  Prohgomena.  Bisognerebbe  riprodurre 
testualmente,  poiché  non  è  possibile  riassumerli,  gli  argomenti  in- 
terni ed  esterni  coi  quali  il  Sickel  prova  la  preesistenza  e  la  fusione 
nei  due  codici  di  tre  gruppi  di  formole.  Chi  osservi  la  prima  tavola 
di  concordanza  dell'edizione  De  Rozière  e  paragoni  la  successione 
delle  formole  nel  codice  Vaticano  con  quella  del  codice  di  Cler- 
mont vede  già  disegnarsi  nettamente  le  tre  serie.  La  prima,  che  il 
Sickel  chiama  Colhctio  I,  comprende  le  formole  I-LXIII;  la  seconda, 
che  chiama  Appendix  I,  le  formole  LXIV-LXXXI;  la  terza,  che 
chiama  Colhctio  II,  le  formole  LXXXII-XCIX  del  codice  Vaticano. 
Dall'altra  parte  il  codice  di  Clermont  riproduce  quasi  esattamente 
la  Colhctio  I,  ma  fonde  in  una  serie,  ordinata  diversamente,  V Ap- 
pendix /  e  la  Colhctio  II  del  codice  Vaticano,  aggiungendo  altre  for- 
mole che  il  Sickel  chiama  Appendix  IL  II  capitolo  si  chiude  coU'e- 
same  delle  formole  supplementari  estranee  ai  due  codici  antichi 
introdotte  nelle  edizioni  del  Diurnus.  Il  Sickel  disapprova  queste  in- 
serzioni colle  quali  gli  editori  anteriori  hanno  pensato  di  completare 
la  raccolta;  parlando  della  formola  107,  dell'edizione  De  Rozière, 
dimostra  ch'essa  è  stata  fabbricata  dal  Garnier  alterando  il  testo  di 
una  Epistola  vocatoria  colla  quale  l'arcivescovo  invitava  il  clero  e  il 
popolo  di  una  diocesi  soggetta  ad  intervenire  all'ordinazione  del  ve- 
scovo da  loro  eletto. 

Con  un'analisi  così  completa  e  cosi  felice  nei  risultati  il  Sickel 
ha  lasciato  a  gran  distanza  da  sé  tutti  coloro  che  antecedentemente 
s'erano  occupati  delle  questioni  intorno  al  Diurnus  trattate  in  questa 
prima  parte  dei  Prohgomena.  E  nel  cammino  non  breve  né  facile 
delle  sue  indagini  ha  accennato  a  fatti  ed  ha  enunciato  opinioni  che 
possono  fornire  argomenti  a  nuovi  ed  interessanti  studi.  Le  ragioni 
che  adduce  per  provare  l'esistenza  di  una  scuola  grafica  romana 
anteriore  alla  riforma  di  Carlo  Magno  meriterebbero  d'esser  prese 
come  traccia  e  programma  di  tutta  una  serie  di  ricerche  dirette  ad 
investigare  e  accertare  quali  altri  codici  ci  siano  rimasti  di  quella 
scuola,  dell'esistenza  della  quale  non  è  più  possibile  dubitare. 


L  G. 


bibliografia  735 


Specìmina  palaeografica  regestorum  Romanorum  pontificum  ab 
Innocentio  III  ad  Urbanum  V,  Romae,  ex  archivo  Va- 
ticano, 1888. 

Tra  le  pubblicazioni  che  ebbero  origine  dal  Giubileo  sacerdotale 
di  Leone  XIII  questa  dei  facsimili  dei  regesti  pontifici  merita  sin- 
cero plauso  per  l' indole  serenamente  scientifica,  e  per  l' importanza 
e  opportunità  sua.  Mentre  numerosi  studiosi  si  affaticano  sui  detti 
regesti  sia  con  intento  storico  sia  con  intento  diplomatico,  riesce 
di  sommo  vantaggio  e  sussidio  una  compiuta  serie  di  facsimili,  scelti 
con  piena  conoscenza  così  dei  singoli  volumi  dei  regesti  come  dei 
vari  aspetti  sotto  i  quali  vanno  considerati  e  dei  vari  quesiti  che  essi 
offrono.  L' impresa  non  potevasi  meglio  condurre  che  dai  solerti  cu- 
stodi dello  stesso  archivio  Vaticano,  che  alla  dottrina  e  perizia  pa- 
leografica congiungono  per  ragione  dell'ufficio  estesa  consuetudine 
del  materiale  affidato  alle  loro  cure.  Sono  sessanta  tavole  eseguite 
in  eliotipia  dell'ing.  Augusto  Martelli,  corredate  di  una  sobria  pre- 
fazione di  14  pagine,  e  delle  illustrazioni  dei  singoli  facsimili,  nelle 
quali  si  dichiarano  e  descrivono  i  facsimili  stessi  e  i  volumi  dai  quali 
sono  presi,  notandone  le  particolarità  riguardanti  la  paleografia  o 
attinenti  alla  diplomatica  o  alla  consuetudine  della  cancelleria  pon- 
tificia, con  opportuni  accenni  e  riferimenti  agli  altri  volumi  dei 
regesti. 

Nella  prefazione  si  tratta  particolarmente  il  quesito  se  la  trascrizione 
delle  lettere  papali  nei  regesti  venisse  eseguita  sugli  originali  o  sulle 
minute.  L'attento  esame  de'  regesti,  e  il  raffronto  con  bolle  originali, 
recanti  nel  dorso  1'  annotazione  della  eseguita  registrazione  condu- 
cono a  conchiudere  che  almeno  dal  secolo  xiii  in  poi,  di  regola,  la 
registrazione  facevasi  sugli  originali.  Parecchie  delle  bolle  citate  ap- 
partengono all'  archivio  Capitolare  di  S.  Pietro,  la  cui  custodia  è 
pure  affidata  ad  uno  degli  egregi  collaboratori  della  presente  opera. 
Non  si  trascura  però  di  indicare  vari  casi  in  cui  eccezionalmente  la 
copia  del  regesto  deriva  evidentemente  dalle  minute.  La  prefazione 
chiude  indicando  quali  regesti  si  possono  considerare  con  certezza  o 
con  molta  probabilità  per  archetipi;  e  ne  vengono  anzi  tutto  esclusi 
quelli  di  Innocenzo  III  per  motivi  già  espqsti  dal  DeUsle  e  dal  De- 
nifle,  uno  dei  redattori  delle  illustrazioni. 

Basteranno  pochi  cenni  a  convincere  lo  studioso  della  bontà  dei 
criteri  seguiti  nella  scelta  delle  pagine  facsimilate.  Come  ò  noto,  la 
serie  dei  regesti  pontifici  conservati  comincia  con  quelli  di  Inno- 
cenzo III.  Ad  essi  appartengono  le  prime  8  tavole,  di  cui  la  2*  offre 
la  forma  più  arcaica  di  scrittura,  altre  sono  notevoli  per  alcune  gra- 
fiche illustrazioni,  la  8*  riproduce  dal  rc^cslum  iwperii  un  privilegio  di 
Ottone  IV  con  la  imitazione  del  monogramma. 

Tra  quelle  di  Onorio  III  figurano  molto  opportunamente  i  primi 
fogli   del  regesto  1 1  ;  la  tav.  1 1    contiene  Tep.  al  cardinale  legato 


73^  bibliografia 


in  Terra  Santa  con  varie  aggiunte  fattevi  per  rendere  più  compiuta 
l'enumerazione  delle  somme  erogate  dal  pontefice  per  la  Crociata; 
l'altra  contiene  la  stessa  lettera  nel  nuovo  primo  foglio  del  regesto, 
rifatto  in  conseguenza  di  dette  correzioni.  E  come  nella  collezione 
fu  dato  posto  anche  ai  volumi  dei  regesti  conservati  nella  biblioteca 
Nazionale  di  Parigi,  così  con  molta  opportunità  furono  pure  consa- 
crate due  tavole  giudiziosamente  scelte  (15  e  16)  al  registro  della 
legazione  del  cardinale  Ugolino  d' Ostia.  Tra  i  facsimili  di  Gre- 
gorio IX  la  tav.  17  rappresenta  l'indice  più  antico  di  un  regesto, 
mentre  la  tav.  20  reca  il  più  antico  esempio  della  distinzione  delle 
lettere  in  curiali  e  comuni.  La  21  (Innocenzo  IV)  è  notevole  per 
un'  epistola  appartenente  ad  altro  anno  inserta  per  errore  ed  annul- 
lata con  la  parola  va-cat.  Tra  i  regesti  di  Urbano  IV  è  notevole  il 
2&*  regestum  de  literis  heneficiorum,  con  annotazioni  marginali  recanti  il 
giudizio  degli  esaminatori  sui  chierici  ammessi  al  beneficio.  Le  ta- 
vole 27,  28,  29,  30,  37,  40,  42,  43,  47  e  49  (Urbano  IV  -  Cle- 
mente V)  pongono  in  evidenza  una  particolare  serie  di  regesti  (pa- 
recchi della  biblioteca  di  Parigi),  quella  cioè  dei  regesti  camerali  di 
indole  ed  uso  amministrativo,  di  lettera  meno  elegante,  di  più  piccolo 
formato,  senza  lettere  miniate  e  sovente  nemmeno  rubricate. 

Dal  regesto  di  Clemente  IV  è  trascelta  tra  l'altre  la  pagina  (tav.  31) 
in  cui  è  memoria  della  sottrazione  di  esso  avvenuta  nel  fortunoso 
momento  della  morte  di  Bonifacio  VIII.  Il  primo  foglio  del  regesto 
di  Gregorio  X  (tav.  32)  presenta  un  tipo  particolare  di  scrittura,  mentre 
il  fregio  rettangolare  che  racchiude  Vlncipit  ricorda  per  avventura 
l'ornato  iniziale  dei  libri  greci,  facendo  pensare  all'  Oriente  donde 
Gregorio  fu  chiamato  al  soglio  pontificio. 

La  tav.  41  di  Nicolò  IV  contiene  in  margine  una  lettera  di 
anno  anteriore,  ivi  registrata  d'ordine  del  papa  per  identità  del  sog- 
getto. Dei  regesti  di  Bonifacio  Vili  la  tav.  45  riproduce  il  verbale  dei 
notai  della  curia  che,  a  tempo  di  Clemente  V,  operarono  l'abrasione 
della  nota  lettera  contro  il  re  di  Francia;  la  tav.  46  il  testo  della 
bolla  Unam  sanctam  e  il  principio  della  detta  abrasione;  la  tav.  47 
è  data  ad  uno  speciale  registro  (liber  parvulus)  contenente  le  lettere 
dirette  al  cardinale  legato  Nicolò  Boccasini. 

Con  la  tav.  49  si  passa  ai  regesti  dei  papi  avignonesi,  che  si 
suddividono  in  due  serie:  gli  originali  che,  ad  eccezione  del  primo 
anno  di  Clemente  V,  sono  cartacei,  e  le.  copie  di  essi  eseguite  su  per- 
gamena. Anche  per  questi  si  è  avuto  cura,  nella  scelta  dei  facsimili  e 
nelle  illustrazioni,  di  porre  in  evidenza  i  caratteri  speciali  delle  due 
serie,  i  rapporti  che  intercedono  tra  loro  e  le  notazioni  marginali  che 
le  rivelano.  I  regesti  cartacei,  fatti  per  tenersi  al  corrente  nella  spe- 
dizione dei  crescenti  affari,  sono  scritti  con  minore  accuratezza  e 
quasi  in  corsivo. 

La  copia  in  pergamena,  in  forma  più  elegante  e  calligrafica,  co- 
minciò ai  tempi  di  Giovanni  XXII  a  farsi  lenta  e  interrotta,  sicché 


bibliografia  737 


dai  conti  della  Camera  si  ha  la  prova  che  i  regesti  degli  ultimi 
anni  di  quel  pontificato  furono  trascritti  sotto  Benedetto  XII.  Dopo 
questo  papa  cessò  l'uso  di  tale  seconda  copia  membranacea. 

È  noto  come  Urbano  V,  venendo  a  Roma,  ordinò  la  copia  dei 
regesti  anteriori,  che  non  volle  porre  ai  rischi  di  un  viaggio  ;  e  come 
sotto  di  lui  gli  stessi  regesti  antichi  furono  corredati  di  indici.  La 
tav.  59  riproduce  una  pagina  del  regesto  di  Innocenzo  III  cosi  co- 
piato :  e  la  tav.  60  offre  un  saggio  dei  detti  indici. 

G.  L. 


NOTIZIE 


Il  fascicolo  6  del  Bollettino  storico  italiano  contiene  le  relazioni 
dei  professori  D'Ancona  e  Medin  sulla  raccolta  di  rime  storiche 
del  sec.  xv,  fatta  «dall'infaticabile  annalista  veneziano  Marino  Sa- 
nuto  »  dal  cod.  autografo  della  Marciana  ;  dell'avv.  Brando  Brandi 
sulle  Constitutiones  S.  M.  Ecclesiae  del  card.  Egidio  d'Albornoz  ;  Glosse 
Preaccursiane  che  il  prof.  Pietro  Cogliolo  ha  tratte  da  frammenti  di  co- 
dici membranacei  esistenti  nell'Archivio  di  Stato  ;  la  relazione  su  Gli 
statuti  delle  Società  delle  armi  e  delle  arti  in  Bologna  del  prof.  Gau- 
denzi;  una  Confessione  di  vassallaggio  a  Rainone  di  Sorrento  (1182)  edita 
da  I.  Giorgi  e  il  Quaternus  Adamati  Conti  expensariiy  che  ci  dà  il 
consumo  giornaliero  del  pane  in  un  castello  dell'  Emilia  nel  sec.  xiii, 
a  cura  dello  stesso  Giorgi;  Gli  antichi  statuti  del  comune  di  Bologna 
del  Gaudenzi. 

I  Benedettini  di  Monte  Cassino  hanno  iniziata  la  pubblicazione 
del  Codice  diplomatico  Cassinese:  il  1°  volume  contiene  il  Codex  dipi. 
Caietanus,  pars  I  (787-1053). 

II  volume  V  del  Codice  diplomatico  della  Vestfalia,  edito  da  quella 
Società  storica  e  archeologica,  contiene  i  documenti  pontifici  a  cura 
del  dottor  H.  Finke:  Die  Papsturkunden  Westfalens  bis  lumjahre  1)^8. 

La  Società  Napoletana  di  storia  patria  ha  dato  in  luce  un  vo- 
lume di  cronache,  che  contiene  :  Ignoti  monachi  cisterciensis  S.  Mariae 
de  Ferraria  chronica  et  Riccardi  de  Sancto  Germano  chronica  priora  a 
cura  del  prof.  Gaudenzi. 

Il  signor  Giovanni  Filippi  nella  pregevole  illustrazione  su  VArte 
dii  mercanti  di  Caìinfula  in  Firenu  ed  il  suo  più  antico  statuto  (To- 


740  V^ti\ie 


rino,  Fratelli  Bocca,  1889)  ha  raccolto  una  buona  serie  di  documenti, 
fra  i  quali  una  lettera  di  Matteo  Rosso  «  de  filiis  Ursi  »  e  Nicolò  de' 
Conti  senatori  di  Roma  (1273)  al  Comune  di  Firenze  per  ottenere 
che  Paolo  figlio  di  Nicolò  de  Rainerio  non  sia  impedito  dal  poter 
tingere  del  panno  da  lui  portato  a  Firenze  dall'Inghilterra,  nonostante 
contrario  statuto  dell'arte  di  C alimala. 

Il  16  dicembre  dell'annotaste  decorso  morì  il  conte  Paolo  Riant 
a  Saint-Maurice  nel  Vallese.  Fu  membro  dell'Accademia  delle  iscri- 
zioni e  belle  lettere  di  Francia;  fondò  la  Société  de  VOrient  latin  e 
la  sostenne  in  gran  parte  colla  .operosità  e  colla  generosità  sua. 
Nel  1884  fu  eletto  a  membro  della  R.  Società  Romana  di  storia  patria. 

Ci  giunge  la  triste  nuova  della  morte  di  Cesare  Guasti,  segre- 
tario della  Crusca,  sopraintendente  all'Archivio  di  Stato  in  Firenze, 
vicepresidente  della  R.  Deputazione  Toscana  di  storia  patria. 

Si  è  cominciato  a  pubblicare  a  Tolosa,  sotto  il  titolo  di  Annales 
du  Midi,  una  nuova  rivista  trimestrale  d'archeologia,  storia  e  filo- 
logia, e  si  annuncia  imminente  la  pubblicazione  in  Friburgo  di  una 
Deutsche  Zeitschrift  fùr  Geschichtswissenschaft,  la  cui  redazione  è  affi- 
data al  dottor  L.  Quidde.  Questa  rivista  si  propone  anche  in  parte 
di  sostituirsi  alle  cessate  Forschungen  :^ur  Deutschen   Geschichte. 

L'edizione  del  Liber  diurnus  Romanorum  pontificum  curata  dal  Si- 
ckel,  è  comparsa  in  questi  giorni,  coi  tipi  del  Gerold  di  Vienna. 

Col  titolo  di  Bibliotheca  Ubliographica  italica  i  signori  Fumagalli 
ed  Ottino  hanno  pubblicato  un  manuale  per  la  bibliografia  italiana 
simile  a  quelli  che  per  la  bibliografia  in  generale  erano  stati  ordinati 
dal  Petzholdt  e  dal  Vallèe.  Questo  manuale  «  offre  la  completa  si- 
nossi di  tutti  gli  scritti  bibliografici  italiani,  dandosi  a  ciascuna  pa- 
rola di  questa  frase  la  maggiore  estensione  possibile  ».  Considere- 
vole è  il  numero  delle  indicazioni  che  vi  si  trovano  per  la  prima 
volta  raccolte  ;  1'  ordinamento  delle  materie  è  chiaro  e  abbastanza 
pratico:  diligentissima  ci  sembra  la  esecuzione  di  tutto  il  lavoro,  e 
non  si  può  dubitare  della  molta  sua  utilità  per  gli  studiosi.  Il  tema 
dell'opera  era  stato  messo  a  concorso  dal  Ministero  della  pubblica 
istruzione,  ed  è  a  questo  libro  dei  signori  Ottino  e  Fumagalli  che 
toccò  meritamente  il  premio. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Archiv  ftìr  Literatur-  und  Kirchen-Geschichte  des  Mittel- 
alters.  Voi.  IV,  fase.  3.  —  Denifle,  Die  àlteste  Taxrolle  der  Apo- 
stolischen  Pònitentiarie  (Il  più  antico  ruolo  delle  tasse  della  Peni- 
tenzieria  apostolica).  -  Urkunden  zur  Geschichte  der  mittelalterlichen 
Universitàten  (Documenti  per  la  storia  delle  università  nel  medio 
evo).  -  Der  plagiator  Nicolaus  von  Strassburg  (Il  plagiario  Nicolò 
di  Strasburgo).  -  Ursprung  der  Historia  Neminis  (Origine  dell'Historia 
Neminis).  -  Zur  Geschichte  des  Cultes  Urbans  V  (Per  la  storia  del 
culto  di  Urbano  V). 

Archivio  storico  dell'arte.  Anno  I,  fase.  6-10.  —  D.  Gnoli,  Le 
demolizioni  in  Roma.  Il  palazzo  Altoviti.  -  I.  Timarchi,  La  R.  Cal- 
cografia in  Roma.  -  D.  Gnoli,  Un  nuovo  documento  sulla  casa  di 
Raffaello.  -  Fumi,  Gli  alabastri  nelle  finestre  del  duomo  d'Orvieto.  - 
D.  Gnoli,  Disegni  del  Bernini  per  l'obelisco  della  Minerva  in  Roma.  - 
Venturi,  Di  un  antichissimo  candelabro  pel  cero  pasquale  (Cori). 

Archivio  storico  italiano.  Serie  V,  tom.  II,  disp.  5*.  —  Antonio 
Guasti,  Alcuni  brevi  di  Clemente  VII  sulle  ferite  e  la  morte  di 
Giovanni  de'  Medici.  —  Disp.  6».  A.  Zanelli,  Lettere  inedite  di  Lu- 
dovico Antonio  Muratori  al  card.  Angelo  Maria  Qucrini. 

Archivio  trentino.  Anno  VII,  fase.  I.  —  A.  Panizza,  I  processi 
contro  le  streghe. 

Archivio  veneto.  Tomo  XXXV,  parte  i».  —  E.  Simonsfeld, 
Sulle  scoperte  del  dottor  Roberto  Galli  nella  cronaca  Altinatc.  — 
Parte  2*.  G.  Giuriato,  Memorie  venete  nei  monumenti  di  Roma.  - 


742  Periodici 


G.  PiETROGRANDE,  Di  Michele  Lonigo  archivista.  —  Tomo  XXXVI, 
parte  i^  e  2*.  F.  Cerone,  Il  papa  e  i  Veneziani  nella  quarta  crociata. 

Atti  della  Società  ligure  di  storia  patria.  Voi.  XIX,  fase.  2. — 
Desimoni,  Nuove  giuntele  correzioni  ai  regesti  delle  lettere  ponti- 
ficie riguardanti  la  Liguria. 

Atti  e  memorie  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per 
le  Provincie  di  Romagna.  Terza  serie,  voi.  VI,  fase.  1-3.  — 
G.  Ferraro,  Viaggio  del  card.  Rossetti  fatto  nel  1644  da  Colonia  a 
Ferrara,  scritto  dal  suo  segretario  Armanni  Vincenzo.  -  C.  Albicini, 
Le  origini  dello  studio  di  Bologna. 

Bibliothèque  de  l'école  des  chartes.  XLIX,  fase.  2  e  3.  — 
E.  MoLiNiER,  Inventaire  du  trésor  du  Saint-Siège  sous  Boniface  VIII. 

—  Fase.  465.?.  FouRNiER,  Une  forme  particulière  des  fausses 
décrétales,  d'après  un  ms.  de  la  Grande-Chartreuse. 

Bollettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  Serie  III,  anno  XVI,  fase.  7.  —  G.  Gatti,  Di  un  sacello 
compitale  nell'antichissima  regione  Esquilina  -  O.  Marucchi,  Le 
recenti  scoperte  presso  il  cimitero  di  San  Valentino  sulla  via 
Flaminia.  -  G.   B.  De  Rossi,   Del  «  praepositus  de  via  Flaminia  ». 

—  C.  L.  Visconti,  Trovamenti  di  oggetti  d'arte  e  di  antichità  figu- 
rata. —  Fase.  8.  E.  Stevenson,  Il  settizonio  Severiano  e  la  distru- 
zione dei  suoi  avanzi  sotto  Sisto  V.  -  G.  Gatti,  Trovamenti  risguar- 
danti  la  topografia  e  la  epigrafia  urbana.  -  C.  L.  Visconti,  Notizie 
del  movimento  edilizio  della  città  in  relazione  con  l'archeologia 
e  con  l'arte.  -  G.  Gatti,  Scoperte  recentissime.  —  Fase.  9  e  10. 
G.  Ghirardini,  Di  una  statua  d'efebo  scoperta  sull'  Esquilino.-  L.  Can- 
tarelli, Anaboliearii.  -  G.  Tomassetti,  Notizie  del  movimento  edi- 
lizio della  città  in  relazione  con  l'archeologia  e  con  l'arte.  -  G.  Gatti, 
Trovamenti  risguardanti  la  topografia  e  la  epigrafia  urbana.  — 
Fase.  II.  G.  Gatti,  Trovamenti  risguardanti  la  topografia  e  la  epi- 
grafia urbana.  -  C.  L.  Visconti,  Trovamenti  di  oggetti  d'arte  e  di 
antichità  figurata.  -  I.  Guidi,  Bibliografia.  —  Fase.  12.  Marucchi, 
Recenti  scoperte  presso  il  cimitero  di  S.  Valentino  sulla  via  Flami- 
nia. -  Elenco  degli  oggetti  di  arte  antica  scoperti  nel  1888. 

Bollettino  storico  della  Svizzera  italiana.  Anno  X,  fase.  7. 

—  Curiosità  di  storia  italiana  del  see.  xv.  -  Lettera  sull'  inondazione 
del  Tevere  nel  1476. 


Periodici  743 


Giornale  ligustico.  Anno  XV,  fase.  9-10.  —  G.  Rezasco,  Del 
segno  degli  Ebrei.  —  Fase.  11-12.  F.  Sforza,  Il  viaggio  di  Pio  VI  a 
Vienna  nel  1782. 

Jahrbuch  (Historisches)  im  auftrage  dar  Gòrres-Gesell- 
schaft.  Voi.  IX,  fase.  3  e  4.  —  Funk,  Der  Papstkatolog  Hegesipps  (Il 
catalogo  dei  Papi  di  Egesippo).  -  F.  v.  Pflugk-Harttung,  Ùber 
pàpstliehe  Sehreibschulen  der  àlteren  Zeit  (Sulle  seuole  pontificie  dì 
scrittura  dell'epoca  più  antica).  -  Schnuerer,  Die  politische  Stellung 
des  Papstums  zur  zeit  Theoderichs  der  Grossen  (La  condizione  po- 
litica del  papato  al  tempo  di  Teodorico  il  Grande).  -  Kirch,  Die  An- 
naten  und  ihre  Verwaltung  in  der  2.  Hàlfte  der  15  Jahrhundert  (Le 
annate  e  il  loro  valore  nella  seconda  metà  del  sec.  xv). 

Journal  of  archaeology  (The  american).  Voi.  IV,  n.  3.  — 
A.  L.  Frothingham  Ir.,  Documenti:  Donazioni  di  papa  Nicolò  III 
alla  basilica  di  S.  Pietro  in  Vaticano  (1280).  -  Apertura  della  tomba 
di  papa  Bonifazio  Vili  nella  basilica  Vaticana  nel  1605. -Donazioni 
del  cardinal  Francesco  Tebaldeschi  nel  1378  alla  stessa  basilica. 

Mittheilungen  des  Instituts  fiir  òsterreichischeGeschichts- 
forschung.  Voi.  IX  (1888),  fase.  2-3-4.  —  P.  Scheffer  Boichorst 
Kleinere  Forschungen  zur  Geschichte  des  Mittelalters  (Piccole  ri- 
cerche per  la  storia  del  M.  E.).  -  H.  Hoogeveg,  Der  Kreuzzug  von 
Damiette  1218-1221  (La  Crociata  di  Damiata)  -  F.  Thaner,  Zur 
reehtlichen  Bedeutung  der  pàpstlichen  Regesten  (Valore  giuridico 
dei  regesti  pontifici).  -  H.  V.  Sauerland,  Rede  der  Gesandtschaft 
der  Herzog  Albrecht  III  von  Oesterreìch  an  Papst  Urbain  VI  bei  der 
Rùckkehr  der  Lànder  der  Herzogs  Leopold  ITI  unter  die  ròmische 
Obedienz,  verfasst  von  Heinrich  Hembuche  (Discorso  dell'ambasciata 
del  duca  Alberto  III  d'Austria  a  Urbano  VI  per  il  ritorno  dei  paesi 
del  duca  Leopoldo  III  all'obbedienza  della  Chiesa  Romana,  composto 
da  Enrico  Hembuche).  -  H.  Ammann,  Herzog  Leopold  III  von  Oe- 
sterreich  und  Papst  Gregor  XI  im  J.  1372  (Il  duca  Leopoldo  III 
d'Austria  e  papa  Gregorio  XI  nell'a.  1372). 

Quartalschrift  (ROmische)  ftìr  christliche  Alterthumskunde 
und  ftìr  Kirchengeschichte.  —  1.  P.  Kirsch,  Ort  des  Marty- 
riutns  des  Apostels  Paulus  (II  luogo  del  martirio  di  Paolo  apostolo).  - 
NuRNBERGER,  Documcntc  zum  Ausgleich  zwischcn  Paul  V  und  der 
Republik  Vencdig  (Documenti  sul  trattato  tra  Paolo  V  e  la  Repub- 
blica veneta). 


744  T^enodtct 


Revue  de  l'histoìre  des  religions  (Annales  du  musée  Gui- 
met),  XVIII,  fase.  i.  —  G.  Lafaye,  Bulletin  archéologique  de  la  re- 
ligion  Romaine  (1887).  -  G.  Lafaye.  Un  nouveau  dieu  Syrien  à  Rome. 

Revue  des  questions  historiques.  XXIII,  fase.  88.  —  Ch.  de 
Smedt,  L'organisation  des  églises  chrétiennes  jusqu'au  milieu  du 
troisième  siècle.  —  XXIV,  fase.  89.  Vacandard,  Saint-Bernard  et  le 
sehisme  d'Anaclet  II  en  Italie.  -  Battifol,  La  Vatieane  depuis 
Paul  III.  -  De  Circourt,  Le  due  Louis  d'Orléans,  frère  de  Char- 
les VI,  ses  entreprises  en  Italie  (i  392-1396). 

Revue  historique.  XXXIX,  fase.  i.  —  Paul  Viollet,  La  poli- 
tique  romaine  dans  les  Gaules  après  les  campagnes  de  Cesar. 

Revue  (Nouvelle)  historique  de  droit  fran9ais  et  étranger. 

XII,  fase.  3.  —  J.  Tardif,  Les  nouvelles  tablettes  de  eire  de  Pom- 
pei. —  Fase.  4.  Saleilles,  Le  domaine  publie  à  Rome  et  son  appli- 
cation en  matière  artistique. 

Rivista  italiana  di  numismatica.  I,  fase.  3.  —  F.  Gnecchi, 

Appunti  di  numismatica  romana. 

Rivista  storica  italiana.  Anno  V,  fase.  2.  —  A.  Coen,  Vezio 
Agorio  Pretestato.  -  G.  De  Leva,  La  politica  papale  nella  contro- 
versia dell'Interim  di  Augusta.  -  Recensioni  di  :  L.  Holzapfel,  Ròmi- 
sehe  Chronologie;  G.  Schepps,  Priseillian;  P.  Villari,  La  storia  di 
Savonarola. 

Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  IX,  fase.  2-3-4.  — 
I.  F.  Gamurrini,  S.  Silviae  Aquitanae  peregrinatio  ad  loca  saneta, 
annis  fere  385-388.  -  Talamo,  Le  origini  del  cristianesimo  ed  il 
pensiero  stoico.  -  P.  De  Nolhac,  Les  correspondants  d'Aide  Ma- 
nuce.  -  V.  SciALOiA,  Di  una  nuova  collezione  delle  «  Dissensiones 
dominorum  ».  -  G.  Bossi,  La  guerra  annibalica  in  Italia  da  Canne 
al  Metauro. 

Zeitschrift  fiir  katholische  Theologie.  XII,  fase.  4.  — 
H.  Kellker,  Die  ròmische  Statthalter  von  Syrien  und  Judàa  zur  Zeit 
Christi  und  der  Apostel  (I  governatori  romani  della  Siria  e  Giudea 
al  tempo  di  Cristo  e  degli  apostoli). 


PUBBLICAZIONI 

RELATIVE    ALLA    STORIA    DI    ROMA 


290.  Abraham  F.     Tiberius  und  Sejan  (Tiberio  e  Sejano). 

Berlin,  Gaertner,  1888. 

291.  Afzelius.  Studier  till  ràtts-och  statsphilosophiens  historia. 
I.  Ciceros  ràtts-och  statsphilosophi,  jemte  ett  tillàgg  om  den  ro- 
merskakratten  och  ràtt  svetenskapen  (Studi  per  la  storia  della  fi- 
losofia politica  e  giuridica.  I.  La  filosofia  giuridica  e  politica  di 
Cicerone,  con  un'appendice  sul  diritto  e  sulla  scienza  del  diritto 
a  Roma).  Upsdla,  1887. 

292.  Amadori  C.  Roma  sotto  i  patrizi  e  della  dittatura;  studi  mo- 
nografici. Alessandria,  Jacquemod,  1888. 

293.  André  I.-I.  Études  sur  le  xiv^  siècle.  Histoire  de  la  papauté 
à  Avignon.  2^  édition  revue  et  corrigée  par  l'auteur. 

Avignon,  Seguin,  1888. 

294.  Arnold  F.  C.  Die  Neronische  Christenverfolgung.  Eine  kri- 
tische  Untersuchung  zur  Geschichte  der  àltesten  Kirchc  (La  per- 
secuzione di  Nerone.  Ricerche  critiche  per  la  storia  della  Chiesa 
nei  primi  tempi).  Leip'^ig,  Richter,  1888. 

295.  AuER  H.  Der  Tempel  der  Vesta  und  das  Haus  der  Vesta- 
linnen  am  Forum  Romanum  (Il  tempio  di  Vesta  e  la  casa  delle 
Vestali  al  Foro  Romano).  fVien,   Teupsky  im  Comtn.  1888. 

296.  Avvenimenti  tragici  e  giustizie  clamorose  seguite  in  Roma, 
raccolte  per  opera  e  studio  del  direttore  del  Cracas  (Costantino 
Macs).  •  Roma,  Metastasio,  1888. 

297.  Babuder  G.    Riflessioni  morali  e  politiche  di  tre  grandi  sto- 


74^    ^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^I{oma 


rici  ed  uomini  di  Stato  :  Tucidide,  Cornelio  Tacito  e  Nicolò  Ma- 
chiavelli. Studio.  Programma  di  Capodistria.  1888. 

298.  Balzani  Ugo.  The  popes  and  the  Hohenstaufen  (I  papi  e 
gli  Hohenstaufen).  London,  Longmans,  Green  and  Co.  1889. 

299.  Baracconi  G.    I  rioni  di  Roma.     Città  di  Castello,  Lapi,  iS8^. 

300.  Benedicts  XIV  Briefe  an  den  Canonicus  Pier  Francesco  Peggi 
in  Bologna  (1729-1758)  nebst  Benedicts  Diarium  des  Conclaves 
von  1740,  herausgegeben  von  Franz  Xavier  Kraus.  2.  Ausgabe 
vermehrt  mit  Flaminio  Scarselli's,  Biographie  des  Papstes  und 
einer  Bibliographie  seiner  Werke.  Mit  den  Bildnissen  des  Papstes 
und  des  Canonicus  Francesco  Peggi  (Le  lettere  di  Benedetto  XIV 
al  can.  P.  F.  Peggi  in  Bologna,  col  diario  del  conclave  del  1740 
scritto  da  Benedetto,  pubblicati  da  F.  X.  K.  Seconda  edizione, 
aumentata  della  biografia  di  Benedetto,  scritta  da  Flaminio  Scar- 
selli,  e  da  una  bibliografia  delle  opere  scritte  da  quel  pontefice. 
Con  i  ritratti  del  papa  e  del  Peggi.  Freiburg,  Mohr,  1888. 

301.  Bérard  e.  Appendice  aux  antiquités  romaìnes  et  du  moyen- 
àge  dans  la  vallèe  d'Aoste.  Twin,  Paravie,  1888. 

302.  Besson  (Mgr.).  Frédéric-Frangois-Xavier  de  Mérode,  mi- 
nistre et  aumónier  de  Pie  IX.  Sa  vie  et  ses  oeuvres.  3^  édition. 

Besangon,  Jacquin,  1888. 

303.  BoRALEVi  G.     I  primi  mesi  del  pontificato  di  Paolo  IV;  studio. 

Livorno,  Giusti,  1888. 

304.  BuRN  R.  Roman  literatur  in  relation  to  Roman  art  (La  let- 
teratura romana  nei  suoi  rapporti  coli' arte  romana). 

London,  Macmillan,  1888. 

305.  BusiRi-Vici  A.  La  colonna  santa  del  tempio  di  Gerusalemme 
ed  il  sarcofago  di  Probo  Anicio,  prefetto  di  Roma;  notizie  sto- 
riche con  documenti  e  disegni.  Roma^  Civelli,  1888. 

306.  Cagnat  R.  Epigraphie  gallo-romaine  de  la  Moselle.  3^  fasci- 
cule.  Paris,  Dumoulin  et  C*'^,  1888. 

307.  Canova  A.  Lettere  inedite  al  cardinale  Ercole  Consalvi,  pub- 
blicate da  Alessandro  Ferraioli  (Trattano  del  trasporto  dei  mo- 
numenti romani  a  Parigi).  Roìfla,  For^ani,  1888. 

308.  .  Carle  G.     Le  orìgini  del  diritto  romano:  ricostruzione  storica 


^ubblìca^toni  relative  alla  storia  di  T^ma    -j^'j 


dei  concetti  che  stanno  a  base  del  diritto  pubblico  e  privato  di 
Roma.  Torino,  Bona,  1888. 

309.  Carré  de  Malberg  R.  Histoire  de  l'exception  en  droit  ro- 
main.  Saint- Amand,  Destenay,  1888. 

310.  Cavalcaselle  G.  B.     Storia  della  pittura  in  Italia  dal  secolo  11 
.    al  secolo  xvi.  Voi.  IV  (Gap.  XI:  Pittori  nel  Napoletano,   nella 

Sicilia  e  nella  provincia  di  Roma  del  secolo  xiv  e  parte  del  xv). 

Firenze,  Le  Mounier,  1888. 

311.  Gennì  sulla  vita  di  S.  S.  Leone  XIII  desunti  dalla  stampa  cat- 
tolica settimanale  di  Perugia  e  da  altri  periodici  religiosi. 

Mon^a,  Paolini  ed  Annoni,  1888. 

312.  Ghambalu  a.  Die  Verhàltnisse  der  4.  Katilinarischen  Rede 
zu  den  von  Gicero  in  der  Senatssitzung  des  5  Dezember  63 
wirklich  gehaltenen  Reden  (I  rapporti  tra  la  4*  Gatilinaria  e  i 
discorsi  realmente  pronunciati  da  Cicerone  nella  seduta  del  Se- 
nato del  5  dicembre  63).  Neuwied,  Heuser,  1888. 

313.  GocHiN  H.  Note  sur  Stefano  Colonna,  prévót  de  Saint-Omer 
et  cardinal.  Saint-Omer,  Omont,  1888. 

314.  GoGLiOLO  P.  Storia  del  diritto  privato  romano  dalle  origini 
all'impero.  Voi.  I.  Firenze,  Barbèra,  1889. 

315.  Gola  (De)  F.     Lo  stretto  diritto  e  l'equità  nel  diritto  romano. 

Messina,  tip.  dell'  Avvenire,  1888. 

316.  GoLOMiATTi  E.     Codex  ìuris  pontificii  seu  canonici. 

Torino,  Derossi,  1888. 

317.  Corroyer  e.    L'architecture  romaine. 

Paris,  Quantin,  1888. 

318.  Couturier  G.  Huitième  centenaire  de  Grégoire  VII.  Dis- 
cours.  SolosmeSf  Schmith,  1888. 

319.  Covino  A.    Storia  romana.  Quinta  edizione. 

Torino,  Paravia,  1888. 

320.  Crostarosa  F.    La  croce  in  Campidoglio. 

Roma,  Befani,  1888. 

321.  CzYCZKiEWiEZ  A.  Zycie  rodzinnc  danynch  Rzymiam  (La  vita 
di  famiglia  degli  antichi  Romani).  Programma  di  Tarnopol.     1887. 


748     ^ubbltcaiioni  relative  alla  storia  di  ^^oma 


322.  Dahmen  J.  Das  Pontifikat  Gregors  II  nach  den  Quellen  bear- 
beitet  (Il  pontificato  di  Gregorio  II  studiato  sulle  fonti). 

Dusseldorf,  Schivanti,  1888. 

$23,  Decker  (De)  P.  La  Chiesa  e  l'ordine  sociale  cristiano.  Prima 
traduzione  italiana  autorizzata  dall'autore.      Firen:(e,  Ciardi,  1888. 

324.  Decreto  di  condanna  di  Galileo,  stato  pronunciato  dalla  su- 
prema Congregazione  del  S.  Ufficio,  secondo  il  testo  delle  opere 
di  Galileo  Galilei,  pubblicate  in  Padova  nel  secolo  scorso  nella 
stamperia  del  Seminario.  Milano,  Ran^a,  1888. 

325.  Delaunay  D.  Les  institutions  de  l'ancienne  Rome.  III.  Eco- 
nomie politique  et  lois  agraires  :  Gouvernement  et  administration 
de  l'empire.  Chdteauroux,  Majesté,  1888. 

326.  De  Leva  G.     Paolo  Paruta  nella  sua  legazione  di  Roma. 

Vene:(ia,  1888. 

327.  Deltour  F.  Histoire  de  la  littérature  romaine.  Première 
partie.  Bar-U-Duc,  ComU-Jacquet,  1888. 

328.  Demole  E.  Histoire  d'un  aureus  inédit  de  l'empereur  Quin- 
tine. Genève,  Georg,  1887. 

329.  Denzinger  H.  Enchiridion  symbolorum  et  definitionum,  quae 
de  rebus  fidei  et  morum  a  conciliis  oecumenicìs  et  summis  pon- 
tificibus  emanarunt.  Editio  VI  aucta  et  emendata  ab  Ign.  Stahl. 

Wùr^hurg,  Stahel,  1888. 

330.  Deschamps  du  Manoir  G.  Leone  XIII  ed  il  suo  pontificato. 
Traduzione  dal  francese. 

Firen'^e,  tip.  dei  Minorenni  corrigendi,  1888. 

331.  Die  ròmische  Campagna.  Eine  kulturhistorische  Studie  von 
einem  Priester  aus  der  Diozése  Breslau  (La  campagna  romana. 
Studio  di  storia  della  civiltà,  per  un  prete  della  diocesi  di  Bre- 
slavia).  'Nasse,  Huch,  1888. 

332.  Dillon  G.  F.  Unsere  liebe  Frau  vom  guten  Rathe.  Eine 
kurze  Geschichte  und  Beschreibung  des  uralten  Heiligthums  in 
Genazzano  und  der  wunderbaren  Uebertragung  des  Gnadenbildes 
im  Jahre  1467.  Deutsch  bearbeitet  von  R.  v.  Baumbach  (La  Ma- 
donna del  Buon  Consiglio.  Breve  storia  dell'antichissimo  san- 
tuario di  Genazzano  e  della  miracolosa  traslazione  dell'imma- 
gine nel  1467).  Einsielden,  Ben^iger  und  C.  1887. 


^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^I{oma    749 


333.  Drechsler  F.  I.  Ein  Beitrag  zur  Krìtik  lateinischer  Schrift- 
steller  (Contributo  alla  critica  degli  scrittori  latini).  Programma 
di  Olmùtz.  ^  1887. 

334.  DùBi  H.  Die  alten  Berner  und  die  ròmischen  Alterthùmer 
(I  vecchi  Bernesi  e  le  antichità  romane). 

B&rn,  Huher  und  C.  1888. 

335.  DucROCQ.  T.  Étude  d'histoire  financière  et  monétaire  (Con- 
tiene, fra  altro,  articoli  sulle  monete  consolari  romane,*sulla  storia 
del  sesterzio,  sulla  monetazione  di  Costantino,  ecc.). 

Poitiers,  Oudin,  1888. 

336.  EsMARCH  K.  Ròmische  Rechtsgeschichte  (Storia  giuridica  di 
Roma).  3^  edizione.  Cassel,  Vigaud,  1888. 

337.  Fabbri  F.  Brevìs  explanatio  constitutionis  Apostolicae  Sedis 
a  romano    pontifìce   Pio  IX  anno  1869  editae.   Editio   secunda. 

Lucae,  Paulini,  1888. 

338.  Feis  (De)  L.  B.  La  Bocca  della  Verità  in  Roma  e  il  Tritone 
di  Properzio.  .   Genova,  tip.  Sordo-muti,  1888. 

339.  Ferroglio  G.  Sunto  delle  lezioni  di  statistica,  dettate  nella 
regia  università  di  Torino  (Cap.  IV:  La  proprietà  territoriale  e 
i  coltivatori  della  terra  presso  i  Romani).      Torino,  Bruno,  1888. 

340.  FiscH  A.  Les  origines  du  catholicisme  romain,  ou  comment 
l'Église  chrétienne  des  premiers  siècles  est-elle  devenue  romaine, 
paìenne  et  persécutrice  ?  Almgon,  Lepage,  1888. 

341.  Frate  (Del)  Oronte.  Scene  e  costumi  medievali  di  Civita- 
Castellana.  Parte  I.  Kepi,  Ruggieri,  1888. 

342.  Freida  a.  Il  papato  e  la  civiltà  ;  conferenza  tenuta  nel  sa- 
lone del  consolato  operaio  di  Milano  la  sera  del  19  gennaio  1888. 

Milano,  Guerra,  1888. 

343.  Caddi  L.  Le  origini  dello  Stato  romano:  studio  storico  in- 
torno al  primitivo  ordinamento  politico  di  Roma. 

Milano,  Bellini,  1888. 

344.  Gaetani  d'Aragona  don  Onorato.  Istoria  generale  della 
casa  Gaetani.  Caserta,  Turi,  1888. 

345.  GiESEBRECHT  W.  Gcschìchte  der  deutschcn  Kaiserzeit.  5  Band, 
2  Abth.  Friedrich  I.  Kàmpfe  gegcn  Alexander  III,  don  Lombar- 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XI.  49 


750     Tuhhlic anioni  relative  alla  storia  di  ^oma 


denbund  und  Heinrich  den  Lòwen  (Storia  dell'era  imperiale  te- 
desca. 5  voi.  par.  2*:  Federico  I,  lotte  contro  Alessandro  III, 
la  lega  Lombarda  ed  Enrico  il  Leone). 

Leip'^ig,  Duncker  und  C.  1888. 

346.  Gottlob  A.    Aus  der  Camera  Apostolica  des  15  Jhs. 

Innshruckf   Wagner,  1888. 

347.  Greif  F.    De  l'origine  du  testament  romain.  Thèse. 

•  Paris,  Noisette,  1888. 

348.  Guida  nuovissima  di  Roma  secondo  gli  scavi  più  recenti,  cor- 
redata di  una  carta  topografica  conforme  alle  ultime  trasforma- 
zioni della  città.  Roma,  Vidoni,  1888. 

349.  Habel  P.  De  pontificum  Romanorum  inde  ab  Augusto  usque 
ad  Aurelianum  condicione  publica.  Breslau,  Koehner,  1888. 

350.  HòFER  P.  Die  Varusschlacht,  ihr  Verlauf  und  Schauplatz 
(La  battaglia  di  Varo,  come  e  dove  ebbe  luogo). 

Leipzig,  Duncker  und  C.  1888. 

351.  Inscriptiones  christianae  urbis  Romae  septimo  saeculo  anti- 
quiores.  Edidit  Ioannes  Bapt.  De  Rossi.  Voi.  Il,  pars  I. 

Romae,  ex  off.  lihr.  P.  Cuggiani,  1888. 

352/  Jaffè  L.  Regesta  pontificum  Romanorum  ab  condita  Ecclesia 
ad  annum  post  Christum  natum  MCXCVIII.  Ed.  II,  fase.  13-15 
(ultimus).  Leipzig,   Veit  und  C.  1888. 

353.  JuGE  W.  R.  Society  in  Rome  under  the  Caesars  (La  società 
a  Roma  sotto  i  Cesari).  London,  1888. 

354.  Kliment  J.  Orlivu  verejného  zivota  rimského  na  vyvin  a 
ràz  rimského  recnictivi  (Dell' influenza  della  vita  pubblica  romana 
sulla  formazione  e  sul  tipo  dell'arte  oratoria  romana).  Programma 
di  Trebitzsch.  1887. 

355.  K0PRIVSEK  L.  Die  Gegner  des  Hellenismus  in  Rom  bis  zur 
Zeit  Cicero's  (Gli  avversari  dell'ellenismo  in  Roma  fino  ai  tempi 
di  Cicerone).  Programma  di  Rudolfsw^erth.  1887. 

356.  KòRBER.  Ròmische  Munzen  des  mainzer  Centralmuseums 
(Monete  romane  del  museo  Centrale  di  Magonza).  Programma 
di  Magonza.  1887. 


^ubblica^wm  relative  alla  storia  di  ^oma    751 


357.  Krieger  B.  duibus  fontibus  Valerius  Maximus  usus  sit  in  eis 
exemplis  enarrandis  quae  ad  priora  rerum  romanarum  tempora 
pertinent.  Dissertatio  inauguralis. 

Berlin,  Mayer  und  Mùller,  1888 

3  58.    Krippner  P.    Jak  prosplvalo  rimské  bàstnictivi  v  prvnim  stoletf 
pò  Kr.  ?  (Quale  utile  arrecò  la  poesia    romana  nei  primi  secol 
dopo  Cristo?).  Programma  di  Prerau.  1887 

359.  Krùger  P.  Geschichte  der  Q.uellen  und  Litteratur  des  ròmi- 
schen  Rechts  (Storia  delle  fonti  e  letteratura  del  diritto  romano) 

Leipzig,  Duncker  und  Humblot,  1888 

360.  Lacour-Gayet.  Antonin  le  Pieux  et  son  temps;  essai  sur 
l'histoire  de  l'empire  romain  au  milieu  du  11^  siècle. 

Paris,   Thorin,  1888. 

361.  Lacour-Gayet.    De  P.  Clodio  Pulchro  tribuno  plebis. 

Paris,   Thorin,  1888. 

362.  Lécrivain  C.  De  agris  publicis  imperatoriisque  ab  Augusti 
tempore  usque  ad  finem  imperii  romani. 

Toulouse,  Chauvin,  1888. 

363.  Lécrivain  C.  Le  Sénat  romain  depuis  Dioclétien  à  Rome 
et  à  Constantinople.  Toulouse,  Chauvin,  1888. 

364.  Lemaire  H.    Rome:  Basilique  de  Saint-Pierre  au  Vatican. 

Paris,  Roussel,  1888. 

365.  Leroy-Beaulieu  a.  Un  empereur,  un  roi,  un  pape,  une  res- 
tauration.  Sceaux,  Charaire  et  fils,  1888. 

366.  Livius  T.  S.  Peter,  bishop  of  Rome,  or  the  Roman  episco- 
pale of  the  prince  of  the  apostles  (S.  Pietro,  vescovo  di  Roma, 
o  l'episcopato  romano  del  principe  degli  apostoli). 

London,  Burns  and  OaUs,  1888. 

367.  Marcellino  p.  da  Civezza.  Il  romano  pontificato  nella  storia 
d'Italia.  Seconda  edizione  riveduta  e  curata  dall'autore. 

Prato,  Giachetti,  1888. 

368.  Marquardt  J.  De  l'organisation  financiòre  chez  les  Romains 
(Forma  il  tomo  X  del  «  Manuel  des  antiquités  romaincs  »,  par 
T.  Mommsen  et  J.  Marquardt). 

Chatillon-sur-Seim,  Pichat,  1888. 


752     ^ubblica\ioni  relative  alla  storia  di  ^ojna 


369.  Mefistofele.  Vent'anni  prima:  impressioni  e  ricordi  di  Roma 
papale.  Perugia,  Barielli,  1888. 

370.  Merkel  J.  Abhandlungen  aus  dem  Gebiete  des  ròmischen 
Rechts.  3.  Ueber  die  Entstehung  des  ròmischen  Beamtengehaltes 
und  ùber  ròmische  Gerichtsgebùhren  (Dissertazioni  nel  campo 
del  diritto  romano.  Dispensa  3^:  Sull'origine  dello  stipendio  degli 
impiegati  e  delle  spese  giudiziarie  a  Roma). 

Halle,  Niemeyer,  1888. 

371.  Meyer  W.  Epistolae  imperatorum  Romanorum  ex  collectione 
canonum  Avellanae  editae.         Gòttingen,  DietericVs  Verlag,  1888. 

372.  Mommsen  T.  Le  provincie  romane  da  Cesare  a  Diocleziano. 
Par.  I.  Trad.  di  E.  De  Ruggiero.  Roma,  Pasqualucci,  1888. 

373.  N1EMIEC  W.  De  quaestoribus  romanis.  Programma  di  Ko- 
lomea.  1887. 

374.  Pais  e.  Straboniana.  Contributo  allo  studio  delle  fonti  del- 
l'amministrazione romana  (Dalla  Rivista  di  filologia  classica,  1886). 

3  74  bis.  —  Alcune  osservazioni  sulla  storia  e  sull'amministrazione 
della  Sicilia  durante  il  dominio  romano.  Palermo,  1888. 

375.  Parrini  C.  Storia  di  Roma  antica  dalle  origini  italiche  sino 
alla  caduta  dell'impero  di  occidente,  corredata  di  tavole  crono- 
logiche. Seconda  edizione.  Firen:(e,  Paggi,  1889. 

376.  Paruta  P.  La  legazione  di  Roma  (1592-1595).  Monumenti 
storici  pubblicati  dalla  Regia  Deputazione  Veneta  di  storia  patria. 
Serie  IV:  Miscellanea.  Voi.  VII-IX.  Venezia,  Viseniini,  1888. 

377.  Pasinetti  S.  L'opera  di  Leone  XIII  pel  rinnovamento  e  la 
pacificazione  della  società  :  discorso  letto  nella  solenne  accademia 
tenuta  in  Bergamo  in  onore  di  S.  S.  Leone  XIII  il  5  aprile  1888. 

Bergamo,  S.  Alessandro,  1888. 

378.  Pastor  L.  Histoire  des  papes  depuis  la  fin  du  moyen  àge. 
Ouvrage  écrite  d'après  un  grand  nombre  de  documents  inédits 
extraits  des  archives  secrètes  du  Vatican  et  autres.  Traduit  de 
l'allemand  par  Furcy  Raynaud.  Paris,  Pioti,  1888. 

379.  Porena  F.  La  geografia  in  Roma  e  il  mappamondo  Vaticano: 
conferenza  tenuta  alla  Società  geografica  italiana  il  giorno  27  no- 
vembre 1887.  Roma,  Civelli,  1888. 


T^ubbitcaiiom  relativa  alla  storia  di  ^T{oma     753 


380.  Prammer  I.  Sallustianische  Miscellen  (Miscellanea  Sallu- 
stiana).  Programma  di  Vienna.  1887. 

381.  Prou  M.  Étude  sur  les  relations  politiques  du  pape  Urbain  V 
avec  les  rois  de  France  Jean  II  et  Charles  V  (i  362-1 370). 

MagoHj   Protat  frères,  1888. 

382.  Ragnau  (Mgr).     La  «  Société  de  Rome  »  du  comte  Vasili. 

Lyon,   Fitte  et  Perrussel,  iSSS. 

383.  Ralphlnge  W.  Society  in  Rome  under  the  Caesars  (La  so- 
cietà a  Roma  sotto  i  Cesari).  London,  1888. 

384.  Rau  L.  Ein  ròmischer  Pflùger.  Vortrag  ùber  cine  unbeach- 
tete  Antìke  ròmische  Marmorgruppe  in  Berliner  K.  Museum  (Un 
aratore  romano.  Conferenza  intorno  ad  un  gruppo  marmoreo  ro- 
mano fin  qui  inosservato  e  conservato  nel  Regio  museo  di  Ber- 
lino). Frankfurt,  Keller,  1888. 

385.  Registres  (Les)  d'Innocent  IV,  recueil  des  bulles  de  ce  pape, 
publiées  ou  analysées  d'après  les  manuscrits  originaux  du  Vatican 
et  de  la  bibliothèque  Nationale  par  Elie  Berger.  8®  fascicule. 
Introduction  :  Saint-Louis  et  Innocent  IV. 

Chatillon-sur-Seine,  Pichot,  1888. 

386.  Resoconto  delle  conferenze  dei  cultori  di  archeologia  cristiana 
in  Roma  dal  1875  al  1887.  Roma,  tip.  della  Pace,  1888. 

387.  RiBERi  G.  Vita  di  S.  Santità  Leone  XIII,  esposta  ad  esempio 
del  vivere  familiare,  civile  e  religioso.  Seconda  edizione. 

Torino,  tip.  Salesiana,  1888. 

388.  RiVALTA  V.  Discorso  sopra  la  scuola  delle  leggi  romane  in 
Ravenna  e  il  collegio  dei  giureconsulti  ravennati.  .    . 

Ravenna,  tip.  S.  Apollinare,  1888. 

389.  Robert  P.  M.  Épigràphie  gallo-romaine  de  la  Moselle.  3*  fa- 
scicule. Paris,  Dumoulin  et  O*,  1888. 

390.  RoBiou  F.  Les  institutions  de  l'ancienne  Rome.  III.  Eco- 
nomie politique  et  lois  agraires;  gouvernement  et  administration 
de  l'empire.  Chàtcauroux,  Majesté,  1888. 

391.  Rosa  U.  Lapidi,  terrecotte  e  monete  romane  recentemente 
trovate  in  Susa.  Torino,  Paravia,  1888. 

392.  ScARSELLi  F.    Biografia  di  Benedetto  XIV.  Vedi  n.  299. 


754    ^uhhlicaiioni  relative  alla  storia  di  ^oma 


393.  ScHWARZ  W.  De  vita  et  scriptis  luliani  imperatoris.  Disser- 
tazione di  Bonna.  Bonn,  Behrend,  1888. 

394.  Septem  Notis  Carolus.  Il  papato  ed  il  giudizio  dei  più 
grandi  uomini  italiani.  (Ai  fautori  della  conciliazione). 

Cremona,  Ron^i  e  Signori,  1888. 

395.  SoMMERFELDT  G.  Die  Romfahrt  Kaiser  Heinrichs  VII,  1310- 
1313  (Il  viaggio  a  Roma  dell'imperatore  Enrico  VII). 

Konigslerg,  Gràfe  una  Un^er,  1888. 

396.  SoNDERMUHLEN  M.  Spuren  der  Varusschlacht  (Traccie  della 
battaglia  di  Varo).  Berlin,  Issleib,  1888. 

397.  SoNNiNO  G.  Di  uno  scisma  in  Roma  ai  tempi  di  Valenti- 
niano  I.  Livorno,  Giusti,  1888. 

398.  Steinwender  T.  Die  ròmische  Bùrgerschaft  in  ihrem  Ver- 
hàltniss  zum  Heere  (La  cittadinanza  romana  ne'  suoi  rapporti 
coll'esercito).  Programma  di  Danzig.  1888. 

399.  Stephens  W.  R.  W.  Hildebrand  and  his  times  (Ildebrando 
e  i  suoi  tempi).  London,  Longmans,  1888. 

400.  Stocchi  G.  La  prima  conquista  della  Britannia  per  opera 
dei  Romani.  Firenze,  Cellini,  1888. 

401.  Taine  H.    Essai  sur  Tite-Live.  5^  édition  revue  et  corrigée. 

Paris,  Lahure,  1888. 

402.  Tamassia  G.  Longobardi,  Franchi  e  Chiesa  romana  fino  ai 
tempi  di  re  Liutprando.  Bologna,  Zanichelli,  1888. 

403.  ToLRA  de  Bordas  I.     Le  comte  Pellegrino  Rossi. 

Amiens,  Delattre-Lenoel,  1888. 

404.  ToRRACA  F.  Discussioni  e  ricerche  letterarie  (Cola  di  Rienzo 
e  la  canzone  «  Spirto  gentil  »  di  Petrarca). 

Livorno,   Vigo,  1888. 

405.  Valentini  W.  Iscrizioni  dollari  latine,  di  alcuni  voti,  auguri 
e  acclamazioni  di  antichi  cocci  romani;  dissertazione. 

Orvieto,   Tosini,  1888. 

406.  Vita  di  s.  Leone  Magno  papa  e  dottore  di  S.  Chiesa. 

Asti,  Michelerio,  1888. 


T^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^T{oma    755 


407.  Wagner  F.  De  ominibus  quae  ab  Augusti  temporibus  usque 
ad  Diocletiani  aetatem  Caesaribus  facta  traduntur.  Dissertatio 
inauguralis.  Jena,  Neuenhalm,  1888. 

408.  Walter  F.  Studien  zu  Tacitus  und  Curtius.  Programma  di 
Monaco.  1887. 

409.  Weckerling  a.  Die  ròmische  Abtheilung  des  Paulus-Mu- 
seums  der  Stadt  Worms  (La  sezione  romana  del  museo  Paulus 
della  città  di  Worms).  Programma  di  Worms.  1887. 

410.  Weise  P.  Quaestionum  Catonianarum  capita  quinque.  Dis- 
sertazione di  Gottingen.  1887. 

411.  WiERZBOWSKi  T.  Vincent  Laureo,  évéque  de  Mondovì,  nonce 
apostolique  en  Pologne  15  74-1 5 78,  et  ses  dépèches  au  cardinal 
de  Còme,  ministre  secrétaire  d'État  d^  pape  Grégoire  XIII,  éclar- 
cissantes  la  politique  du  Saìnt-Siège  dans  les  années  susdites  re- 
lativement  à  la  Pologne,  la  France,  l'Autriche  et  la  Russie,  re- 
cueillies  aux  archives  secrètes  du  Vatican. 

Varsavia,  Bcrger,  1888. 

412.  WisTULANUS  H.  Gregor  VII.  und  Heinrich  IV.  Kritische  Be- 
leuchtung  der  Schrift  «  Heinrich  IV.  und  Gregor  VII.  »  von  D/ 
W.  Martens  (Gregorio  VII  ed  Enrico  IV.  Esame  critico  dello 
scritto  di  W.  Martens  :  «  Enrico  IV  e  Gregorio  VII  »). 

Dan:(ig,  Lehmannsche,  1887. 

413.  Wlassak  M.  Ròmische  Processgesetze.  Ein  beitrag  zur  Ge- 
schichte  des  Formularverfahrens  (Leggi  processuali  romane.  Con- 
tributo alla  storia  della  procedura  formulare). 

Leipzig,  Duncker  und  Hutnhlot,  1888. 

414.  Zalla  A.  Storia  di  Roma  antica  dalle  origini  italiche  fino 
alla  caduta  dell'impero  d'occidente,  corredata  di  tavole  cronolo- 
giche. Seconda  edizione.  Fireniey  Paggi,  1889. 

415.  Zeller  B.  Henri  IV,  le  Saint-Siège  et  TEspagne.  L'édit  de 
Nantes  et  la  paix  de  Vervins  (i  594-1598). 

Couìommiers,  Brodard  et  Gallois,  1888. 

416.  Zimmermann  a.  Der  KulturgeschichtHche  Werth  der  ròmi- 
schen  Inschriftcn  (Il  valore  che  hanno,  per  la  storia  della  civiltà, 
le  iscrizioni  romane).  Hamburg,  J.  F,  Richter,  1888. 


75^     ^iibblicaiionì  relative  alla  storia  di  ^oma 


417.  ZiNZOW  A.  Der  VaterbegrifiF  bei  den  ròmischen  Gottheiten. 
Eine  Religionsgeschichtliche  Darstellung  (Il  concetto  della  pater- 
nità nelle  divinità  romane.  Studio  di  storia  della  religione).  Pro- 
gramma di  Pyritz.  1887. 


INDICE  SISTEMATICO 

DELLE     PUBBLICAZIONI     RELATIVE    A     ROMA 

REGISTRATE   NEL    PRESENTE   VOLUME. 

I.  Storia  di  Roma.  Città  e  territorio. 

a)  Narrazioni:  i,  35,  36,  47,  60,  67,  83,  90,  94,  100,  122,  127, 
137,  138,  142,  178,  190,  191,  194,  201,  203,  239,  243,  252,  263, 
269,  273,  284,  319,  375,  414. 

}))  Fonti:  180,  205,  226,  246,  276,  296,  376. 

e)  Critica:  131,  164,  170,  177,  192,  208,  215,  260,  264,  265, 
27$,  276,  290,  292,  312,  343,  357,  361,  380,  401,  416. 

II.  Storia  dell'Impero  romano. 

a)  Narrazioni:  31,  34,  97,  98,  150,  190,  191,  194,  257,  345, 
395,  400. 

h)  Fonti:    371. 

e)  Critica:  82,  195,  350,  360,  362,  372,  374,  374 bis,  383,393, 
407,  408. 

III.  Storia  della  Chiesa  e  del  Papato. 

a)  Narrazioni:  9,  24,  31,  33,  51,  55,  61,  66,  6^,  70,  77,  88, 
91,  92,  97,  98,  103,  104,  117,  119,  121,  139,  149,  150,  174,  175, 
187,  197,  207,  218,  228,  247,  251,  261,  278,  279,  286,287,  330, 
367,  378,  387,  392,  399,  402,  406. 

h)  Fonti:  37,  45,  65,  75,  86,  106,  no,  116,  120,  124,  183, 
184,  188,  223,  234,  235,  237,  244,  245,  287,  300,  324,  346,  352, 
376,  385,  411. 

e)  Critica:  32,  50,  63,  82,  151,  154,  181,  182,  195,  214,  224, 
227,  229,  230,  233,  249,  289,  293,  294,  303,  322,  326,  340,  349, 
381,  397,  412,  415. 


^ubblicaiioni  relative  alla  storia  di  ^^oma    j^j 


IV.  Storia  delle  istituzioni  e  della  coltura  in  Roma. 

a)  Diritto  civile  e  canonico  e  istituzioni  politiche  e  civili:  13, 
21,  22,  25,  30,  38,  44,  64,  68,  74,  81,  94,  95,  99,  107,  108,  III, 
123,  140,  167,  168,  171,  172,  186,  202,  206,  210,  211,  212,216, 
217,  219,  221,  222,  236,  242,  256,  268,  271,  272,  280,  281,  283, 
287,  288,  291,  308,  309,  314,  315,  316,  325,  329,  336,  337,  339, 
347,  353,  359,  3^2,  363,  3^8,  370,  373,  388,  390,  398,  413. 

b)  Lettere,  scienze  ed  arti:  2,  3,  35,  53,  54,  56,  57,  80,  85, 
115,  135,  141,  144,  146,  161,  162,  168,  176,  180,  193,  200,  231, 
232,  241,  248,  262,  263,  270,  282,  285,  291,  297,  304,  307,  310, 

317,  327,  333,  354,  355,  35^,  3^4,  40i,  404. 

e)  Usi  e  costumi:  14,  58,  147,  173,  213,  225,  238,  248,  254, 

32Jf,  341,  353,  369,  382,  383- 

d)  Controversia:  io,  15,  16,  23,  27,  28,  42,  43,  84,  105,  129, 
145,  160,  255,  318,  323,  342,  365,  366,  377,  394. 

V.  Discipline  ausiliari. 

a)  Archeologia:  4,  7,  11,  17,  19,  26,  29,  41,  46,  48,  59,  76, 
78,  79,  85,  89,  96,  98,  loi,  107,  113,  126,  130,  136,  143,  151, 
156,  157,  158,  159,  165,  169,  173,  189,  198,  250,  253,  270,  289, 
301,  305,  320,  334,  338,  384,  386,  391,  409,  410,  417. 

h)  Epigrafia:   49,  73,  78,  114,  306,  351,  389,  391,  405,  416. 

e)  Numismatica:    18,  163,  328,  335,  356,  391. 

d)  Paleografia:    153,  267. 

e)  Diplomatica:  37,65,75,  86,  87, 124,  183,  184,  245,  352, 385. 

f)  Geografia  e  topografia:  5,  6,  8,  12,  20,  39,  40,  52,  54,  62, 
72,93,100,112,128,  132,133,  134,  155,  166,  179,  185,  196,203, 
209,  238,  240,  259,  274,  277,  295,  299,  331, 332,  348,  364,  379,  396. 

g)  Genealogia  e  biografia:  71,  102,  118,  125,  146,  148,  152, 
178,  199,  204,  220,  227,  266,  300,  302,  311,  313,  344,  403. 


INDICE  GENERALE 

delle  materie  contenute  nei  quattro  fascicoli 
del  volume  XI 


G.  CUGNONI.     Memorie   della  vita  e  degli  scritti  del  car- 
dinale Giuseppe  Antonio  Sala pag. 

Id.    (Continuazione  e  fine) 213 

ALBERTO  PARISOTTI.    Evoluzione  del  tipo  di  Roma  nelle 

rappresentanze  figurate  delPantichità  classica ....         59 

G.  TOMASSETTI.    Della  campagna  romana 149 

Id.    (Continuazione) 267 

EMILIO  MOTTA.     Documenti  milanesi  intorno  a  Paolo  II 

e  al  card.  Riario 253 

A.  GABRIELLL     L'epistole  di  Cola  di  Rienzo  e  l'epistolo- 
grafia medievale 381 

0.  TOMMASINI.     Il  Diario  di  Stefano  Infessura.  Studio  pre- 

paratorio alla  nuova  edizione  di  esso 481 

1.  GIORGI.    Storia  esterna  del  codice  Vaticano  del  «  Diurnus 

Romanorum  Pontificum  » 641 

Varietà: 

F.  GALLINA.     Iscrizioni  etiopiche  ed  arabe  di  S.  Stefano 

dei  Mori 281 

A.  LUZIO,  R.  RENIER.    Relaziohc  incdit  i  sulla  morte 
del  duca  di  Gandia 296 

C.  CASTELLANI.     Lettera  dei  Co:  ad  Ales- 

sandro VI  sul  ricevimento  di  Carlo  V  iii  m  Roma  .    .      691 


7^0  Indice  generale  del  volume  XI 

Atti  della  Società: 

Assemblea  del  30  aprile  1887  -  Preparazione  del  Codex 
diplomaticiis  urbis  Romae  -  Rendiconto  della  Società 
dell'anno  1886 pag.       163 

Corso  pratico  di  metodologia  della  storia:  Trascri- 
zione di  un  rotulo  membranaceo  contenente  un  esame 
testimoniale  circa  i  diritti  dell'abbadia  di  Farfa  su  Mon- 
tefalcone  (G.  B.  Cao-Mastio,  D.  Feliciangeli)     .    .      305 

Assemblea  del  9  gennaio  1888  -Relazione  all'Isti- 
tuto Storico  Italiano  sulla  preparazione  del  Codex  di- 
pìomaticus  urbis  Romae       693 

Bibliografia  : 

D.""  Kaxl  Korber.  Beitràge  zur  ròmischen  Miinzkunde:  I.  Ein  rò- 
mischer  Silbermunzen-Fund  aus  der  Mitte  des  3  Jahrhunderts  n.  Chr. — 
II.  Unedierte  ròmische  Miinzen  aus  der  stàdtischen  Sammlung  in  Mainz 
(Mainz,   1887;  programma  ginnasiale)  (Luigi  A.  Milani) 169 

Heim  (Baurath)  und  Velke  W.  Die  ròmische  Rheinbriicke  bei  Mainz 
(nel  «Festgabe  derGeneralversammlung  des  Gesammtvereins  der  deutschen 
Geschichts-  und  Alterthums-Vereine  zu  Mainz  an  13  bis  16  Sept.  1887  », 
P-  169  sgg.)  (G.T.) 175 

Keller  D.r  J.  Die  neuen  ròmischen  Inschriften  des  Museums  zu 
Mainz.  Zweiter  Nachtrag  zum  Becker'schen  Katalog.  (In  «  Festgabe  der 
Generalversammlung  der  deutschen  Geschichts-  und  Alterthums-Vereine 
zu  Mainz  an  13  bis  16  Sept.  1887  ».  Mainz,  von  Zabern,  1887)  (G.  T.).  176 

Tommaso  Sandonnini.  Della  venuta  di  Calvino  in  Italia  e  di  alcuni 
documenti  relativi  a  Renata  di  Francia.  —  Torino,  fratelli  Bocca,  1887, 
pp.   1-33.   (Rivista  storica  italiana,  IV,  in,  anno  1887)  (B.  Fontana).  177 

E.  Stevenson.  Topografia  e  monumenti  di  Roma  nelle  pitture  a 
fresco  di  Sisto  V  della  biblioteca  Vaticana 179 

Emmanuel  Rodocanachi.  Cola  di  Rienzo  -  Histoire  de  Rome 
de  1342  à  1354.  —  Paris,  A.  Lahure,  imprimeur-éditeur,  1888  (Annibale 
Gabrielli) 181 

Zdekauer  L.  Statutum  potestatìs  comunis  Pistoriensis  anni 
MCCLXXXXVI.  Milano,  Hoepli,  1888,  pp.  Lxv-343  (G.  L.) 190 

Paganelli  Atto.  La  Cronologia  rivendicata  per  d.  A.  P,,  monaco 
vallombrosano,  offerta  a  Sua  Santità  Leone  XIII  nella  fausta  occasione 
del  suo  giubileo  sacerdotale.  —  Milano,  tip.  pontificia  di  S.  Giuseppe,  1887 .  34$ 

L.  Duchesne.  Le  «Liber  Pontificalis»,  texte,  introductìon  et  com- 
mentaire  ;  tome  premier.  —  Paris,   Thorin,   1886 3J3 

Pressutti  P.  Regesta  Honorii  papae  III  ex  Vaticanis  archetypis 
aliisque  fontibus;  voi.  I.  —  Romae,  ex  typ.  Vaticana,  1888 3J7 

Alessandro  Gherardi.  Nuovi  documenti  e  studi  intorno  a  Giro- 
amo  Savonarola.  Seconda  edizione  emendata  e  accresciuta.  —  Firenze, 
Sansoni,  1887,   120,  pp.  xii-400  (F.  C.  Pellegrini) 705 

Prolegomena  zum  Liber  Diurnus  I  von  Th.  R.  von  Sickel  wirkl. 
Mitgliede    der   Kais.   Akademie   der    Wissenschaften.    Mit  einer  Tafel. 


Indice  generale  del  volume  XI  7^1 

[Sitzungsberichte  der  Kais.  Akademie  der  Wissenschaften  in  Wien.  Phi- 

losophische-Historische  Classe.  Band  CXVII. J  (I.  G.) pag.  732 

Specimina  palaeografica  regestorum  Romanorum  pontificum  ab  Inno- 

centio  III  ad  Urbanum  V. — Romae,   ex  archivio  Vaticano,  1888  (G.L.)  735 

Notizie 193 

Id 361 

W 739 

Periodici  (Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma)  .  195 

W 363 

Id 741 

Pubblicazioni  relative  alla  storia  di  Roma 201 

Id 367 

Id 745 


FINE   DEL   VOLUME   XI. 


-n- 


7- 


S6 

V.11 


Soclptà  romana  di  storia  I 

patria  i 

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