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HGlItQ SOCIGTff ROmiRl
PITRIH
ARCHIVIO
della
R. Società Romana
di Storia Patria
Volume XI.
Roma
nella Sede della Società
alla Biblioteca Valllcelliana
1888
Roma, Forzani e C, tip. del Senato.
Memorie della Vita e degli Scritti
DEL
CARDINALE GIUSEPPE ANTONIO SALA
'lusEPPE Antonio Maria di Gian Domenico Sala
e di Antonia Maria Corda, nato in B aceno, co-
mune dell' alto Novarese nella valle Antigono
presso al fiume Toce, il io febbraio 17 17, si trasferì gio-
vinetto in Roma, dove, conseguito un modesto impiego
nella dogana, ammogliossi ad Anna Sacchetti, romana, che
fecelo padre di sette figliuoli : tre maschi, Domenico, Gio-
vanni, Giuseppe Antonio; e quattro femmine, Teresa,
Maria Caterina, Rosalba, Gertrude.
Nessuna speciale notizia dei due coniugi ho io potuto
ritrarre dalle memorie domestiche ; ma se è vero che dalla
bontà dei frutti si argomenta quella dell'albero, posto mente
all'ottima riuscita, che fecero tutti e sette i nominati fi-
gliuoli, può con certezza affermarsi che eglino possederono
per eccellenza la difficile arte dell'educare. La quale, an-
coraché di piccola apparenza, e ordinarìamente poco o
nulla avvertita, dovrebbe essere tenuta in altissimo pregio
dai veraci estimatori delle cose. E se ai maestri delle arti
danno bella fama le figure d'uomini perfettamente dipinte
o scolpite; molto maggiore dovrebbero acquistarla ai propri
G. Cugnoni
genitori quei figliuoli, che per una retta e savia educa-
zione divennero compiuti esemplari di virtù morali e ci-
vili. E come il merito di qualsivoglia impresa cresce a
misura della scarsezza de' mezzi ch'altri s'ebbe a condurla;
cosi al Sala ed alla Sacchetti è da assegnare il maggior
vanto di ottimi educatori: da che, sforniti in tutto d'ogni
bene di fortuna, con la sola virtù dell'animo riuscirono
ad apprestare alla loro prole vita onorata ed agiatissima.
Domenico, nato il 29 maggio 1747, notissimo nella
curia sotto la denominazione di abate Sala, per la divisa
chericale, che, sebbene non sacerdote, sempre, anche dopo
uscita di moda, costantemente indossò; com'ebbe com-
piuti gli studi di diritto civile e canonico, prese a trattare
presso le congregazioni e i dicasteri della Sede romana i
negozi ecclesiastici in servizio di monsignor Pier Antonio
Tioli, a cui per tale effetto faceano capo le principali dio-
cesi della Germania. Fu questo il suo primo passo in quella
splendida e ricca carriera, che, schiusagli da benigna for-
tuna, egli seppe percorrere con tanta lode. E la fortuna
gli fu benigna per questa maniera. Soleva il suo padre
sgabellare e condurre in casa al Tioli gh spessi doni, spe-
cialmente di vini, che giungeangH da più parti; e poiché
in tale faccenda usava diUgenza, e facea pruova di onestà,
s'acquistò tra breve la stima e l'amicizia del prelato, e ne
chiamò sul figliuolo la protezione. La quale cangiossi ben
presto in paterno affetto : perchè il Tioli, tiratosi in casa
il giovane Domenico, in lui le proprie cose e tutto se
stesso abbandonò. E in ultimo, divenuto presso che cieco,
avvisando non lontana la sua fine, rinunziategli le proprie
clientele, lo institui erede di tutto il suo avere (i). Frat-
(i) Testamentum Bo. Me. R. P. D. Petri Antonii Tioli apertum et
publicatum die 20 novemhris ly^ó in Actis Francisci Oliveri Cur. Cap.
Not. Intorno alla vita ed agli studi di questo dotto ed erudito prelato
sono da consultare le Notizie della Vita e delle Miscellanee di Monsi-
gnor Pietro Antonio Tioli, nato in Crevalcuore a* ic) maggio i'ji2, de-
T)ella vita e degli scritti di G. OA. Sala 7
tanto Domenico, perfettamente addestratosi nel maneggio
degli affari ecclesiastici, consegui nella Dateria apostolica i
due rilevanti uffici di amministratore delle Componende,
e di depositario dei Vacabili, e poi gli altri di uditore del
cardinale prò -datario, di succollettore de' Quindenni e
delle Mezze annate, e di sostituto della Via de Curia. Ma
più assai che nell'esercizio di tali uffici, se ne valsero per
la suprema direzione di quel dicastero i pontefici Pio VI,
Pio VII, Leone XII (i), Pio Vili e Gregorio XVI, consi-
gliandosi con lui intorno alle materie di maggiore impor-
tanza. Perchè in Roma, ove corresi facilmente alle arguzie
(fosse invidia, o meraviglia di cosi soverchia autorità), veniva
soprannominato il Papa nero (2). Negli anni 1798 e 1799,
durante la cattura di Pio VI, giovò grandemente d'opera
e di consiglio monsignor Michele Di Pietro, lasciato in
Roma dal papa come suo delegato apostolico con pie-
nezza di poteri per l'amministrazione de' negozi spirituali.
Nell'ottobre- del 1798 portossi a Firenze, ove era soste-
nuto il pontefice, per sottoporre al suo giudizio un dise-
funio in Roma a' 20 nov. iy^6, Cameriere segreto di S. S. e Segretario
della S. C. de' Confini delia Stato ecclesiastico, raccolte da Francesco
Cancellieri con i catalogi delle materie contenute in ciascuno de' }6 Vo-
lumi lasciati alla Biblioteca del SS. Salvatore de' Canonici Lateranensi
di Bologna (Pesaro, Nobili, 1826, in-8°); scritte e pubblicate per
commissione ed a spese di Domenico Sala, secondo è detto a pag. iv
e 156 di quel libro.
(i) Leone XII aveagli singolare affetto, e invitavalo spesso con
biglietti confidenziali a ber seco il caffè. Possedeva il Sala una vigna
fuori della porta Angelica sulla via Trionfale; Leone spesso gliene
dimandava; e quegli un giorno risposegli tutto conturbato: - Padre
santo, in quel povero mio terreno si è testò cacciata una pestilenza
d'animaletti voraci, che mi mangiano ogni cosa. - Il papa smascellò
dalle risa ; egli stesso avca fatto recare in più sacchi, da non so quale
suo podere, gran numero di porcellini d'India, ordinando che si get-
tassero nella vigna del Sala.
(2) Motteggiavasi pure sul suo cognome, e dicevasi che per giun-
gere al papa, bisognava passar per la Sala.
G. Cugnoni
gno di bolla da provvedere, nel caso di sede vacante,
alla sicura e sollecita elezione del nuovo capo della
Chiesa (i). E quel disegno fu approvato, e la bolla spe-
dita, la quale tra breve riusci opportunissima. Che, morto
Pio VI, bisognò adunare il conclave in Venezia. E per-
chè quel caso destava dubbi e incertezze, fu il Sala invi-
tato dal collegio de' cardinali a recarsi colà, per avviare
co' suoi consigli le cose a buon fine (2).
(i) Baldassarri, Relaiione delle avversità e patimenti del glorioso
papa Pio Vly ecc., 3^ ediz. (Modena, Soliani, 1840-43), III, 148. -
G. A. Sala, Diario Romano^ II, 78 seg.
(2) Due lettere di Domenico Sala a suo fratello Giuseppe Antonio
sul conclave di Venezia del 1799:
I.
« Venezia, 7 decembre 1799.
« I cardinali stanno benissimo, e pare che non abbiano sofferto
« niente. Ambiscono al papato, alla segreteria di Stato, ecc., come
« se fosse 30 anni sono, e veggo che il gran flagello sofferto non ha
«prodotto in loro alcun cangiamento. I partiti sono, in 34 cardinali,
« quattro o cinque, uno diverso dall'altro, né sembra che per ora pos-
« sano avvicinarsi. Si aspetta a momenti il card. Herzan, il quale si
« dice partito da Vienna nel di 28 dello scorso mese. Si vuole ch'egli
« porti la parola dell' imperatore, e che alla di lui venuta si determini
« l'elezione, ma io non lo spero, seppure non si vorrà ubbidire cieca-
« mente alla volontà della Maestà Sua. Il card. Ruffo fa un'ottima
« figura, e si conduce come un cardinale che abbia fatti cinque o sei
« conclavi. Tutti gli fanno corte, ed egli corrisponde con altrettanta
« gentilezza. Egli non pensa neppur per sogno per sé, ma pensa di
« fare il piacere dei suoi sovrani, e di dare alla Chiesa un capo de-
« gno di esserlo. In tanta divisione di pareri, io non saprei preve-
« dere chi sarà. I maggiori voti finora sono per Gerdil. Dopo aver
« veduto varie volte alla sfuggita Antonelli, l'altra sera fui da lui.
«Il di lui contegno però non piace ad alcuno, essendo appreso da
« tutti per un soverchiatore e per un despota. Egli é attaccato al
« partito degli Spagnuoli, e per questo motivo ancora è guardato di
« mal occhio. Ruffo per altro non gli si mostra disgustato, e non
«sarebbe lontano dal dargli il voto, quando altri vi concorressero.
« Caprara dice ad ognuno, che non vuole il papato, e sta in ritiro.
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 9
Nel decembre del 1799, allorquando i Napoletani eb-
bero occupato Roma, venne a lui fatto di ricovrare il ce-
lebre codice Vaticano 222^ (« Terenzio di lettere maiu-
« scole con scolii in lettera longobardica; fu del Bembo; in
« Dugnani fa il disinvolto, ma si crede che la corte imperiale sia
« per lui. Vincenti aspira alla segreteria di Stato, e Antonelli dice che
« non vi è sogetto megliore di lui per un tal impiego. Tutti gli altri
« poi vanno dove son guidati, e forse a lungo giuoco fra i Valenti,
« i Calcagnini, gli Honorati, i Depetris sarà il papa. Intanto però
« che tutti questi porporati smaniano in questa conclusione, non si
« ha sicurezza alcuna della restituzione dello Stato, né intero, né in
« parte, non per colpa della corte di Napoli, ma di qualcun'altra, e
« se il papa si facesse oggi, dimani non avrebbe da mangiare. Ruffo
« ha pensato ad un ripiego, ed a me sembra buono e riuscibile. Si
« tenterà, ed avendo quell'esito, che si é proposto, si combineranno
« molte cose, che ora paiono diametralmente opposte. Non ve lo
« confido, perché vi vorrebbe troppo a spiegarvelo, e perché non vo-
ce glio arrischiarlo in una carta ».
II.
«Venezia, 28 decembre 1799.
« Sono terminate le feste Natalizie, ma non é terminato il con-
fi clave, come ci avevano fatto sperare. Ora ci lusingano che non
« passerà la metà di gennaro. Staremo a vedere. Frattanto é curioso
« il sentire che tra i colleghi vi sono impegni e contrasti per le ca-
« riche di segretario di Stato, ed altre. Parimenti si tratta di distri-
«buzione di cariche prelatizie. Oh vedete come stiamo. Il Signore
« ci aiuti. È stato scritto a Vienna per sapere come abbia a rego-
« larsi il trattamento di formalità col nuovo papa, al quale diversi
«buoni cattolici di questi contorni vanno preparando donativi di
«arredi sagri. Lo credereste? ne era venuta un po' di voglia a
«Gio: Francesco, ma poi gli è passata, e per opera di Busca si è
« unito al partito Braschi, il quale avrebbe voluto Chiaramonti, ma
« ha dovuto conoscere di non potervi riuscire. Di Gcrdil non si parla
« più. Per Bellisomi non si é conchiuso interamente. Ora per opera
« del Senogallicse si tratta per Mattei, ma sembra clic non vi si
«riuscirà, e che probabilmente la faccenda terminerà in Bellisomi,
« avendone Braschi preso molto impegno. Oh vedete il grand'uomo
« che può dar tanto peso ad affare di simil rilievo ! In qualunque
«modo seguita a tenersi per certo la stabilita ripristinazione della
IO G. Cugnoni
« pergamena in 4° - Fulv. Orsìnus «), che con altri molti
era stato rubato da quelle indisciplinate soldatesche (i).
Nella invasione francese del 1809, mentre affaccenda-
vasi di nascosto a spedire le materie ecclesiastiche presso
la delegazione apostolica istituita da Pio VII per fino a
che durasse la sua deportazione, venuto in sospetto alla
polizia, fu preso e rinchiuso nel forte di Finestrelle (2).
Ricomposte le cose, tornò in Roma, e dicono che,
premio a tanta fede ed operosità, gH fosse offerta la por-
pora cardinalizia, e ch'egli la rifiutasse (3). La qual cosa è
assai verisimile, considerata la sua naturale avversione a
quanto sentisse di grandigia e di fasto, anche più là di
quello s'avvenisse al suo grado e alle sue ricchezze. Delle
quali fu sempre dispensatore larghissimo ai bisognosi : co-
sicché, dopo la sua morte, tenuto ragione dei pingui asse-
(c Compagnia. Eccovi detto tutto in succinto, senza starsi a difFon-
« dere nel raccontare i soliti inutili pettegolezzi. Il maresciallo da
« vari giorni guarda il letto con febre a S. Giorgio, ed ivi al mezzo-
« giorno fa gli onori della casa e della tavola la marescialessa. Non
(c ridete, perchè in cose serie non conviene scherzare. Tutti questi
(( prelati però, in seguito degli avvertimenti di Scotti, si astengono
« da farsi mai vedere con alcuna signora, e compariscono sempre in
(( sola unione fra loro, cosicché se alcuno frequenta qualche casa
« veneziana, non se ne sa nulla, e almeno si salva l'apparenza ».
(i) Ciò rilevasi dalla seguente nota segnata neli'antiguardo di esso
codice : « Furto sublatus mense octob. an. MDCCXCIX. Sed multa
« a me diligentia perquisitus beneficio egregii viri Dominici Salae
« Bibliothecae restitutus idibus decemb. eiusdem anni. Cai. Marini a
« Bihl Vat. )).
(2) Baldassarri, op. cit.. Ili, 148, in nota. - Pacca, Memorie
storiche, ecc. (Roma, Bourliè, 1830), pag. 218.
(3) In un bighetto di monsignor Baccili a Giuseppe Antonio Sala,
dei 22 decembre 181 5, si legge: « ... ed ho soggiunto che dovea egli
« (il card, segretario di Stato) far riflettere al papa i meriti esimi del
« sig. abb. Domenico, quali dovevano porsi a carico riguardo alla
« vostra persona, subito che il medesimo non aveva avuto ne voleva
« quei compensi, che gli erano giustamente dovuti ».
T>ella vita e degli scritti di G; oA. Sala 1 1
gni da lui per lunghi anni goduti; dei ricchi proventi delle
agenzie ecclesiastiche, massimamente di quelle delle diocesi
elettorali della Germania; della non tenue eredità del Tioli;
e dei molti e preziosi donativi venutigli sì da lasciti testa-
mentari, e si dalla munificenza di quei sovrani, coi quali,
dopo il 1814, la Sede romana conchiuse, per gli uffici di
lui, solenni concordati : si trovò dell'ingente patrimonio ap-
pena un modesto avanzo, e questo pure per la maggior parte
legato al suo erede a titolo di usufrutto, da ricadérne in
ultimo la proprietà a stabile beneficio di pii instituti (i).
Visse Domenico presso ad 85 anni; morì il 12 feb-
braio 1832. Il suo corpo riposa in S. Ignazio, avanti l'al-
tare della Vergine, presso alla sepoltura del suo amico e
benefattore monsignor Pier Antonio Tioli (2).
Giovanni, nato il 25 ottobre 175^, fu abiHssimo ra-
gioniere (3) e dedito ai traffichi, donde raccolse non me-
diocre fortuna. Esercitò l'importante ufficio di computista
del Buon governo ; amministrò con autorità di viceprincipe
il patrimonio Rospigliosi, cui di scadente tornò floridissimo.
Tolse in moglie Violante Donasi, e n'ebbe cinque figliuoli.
Luigi, Pietro, Clementina, Teresa, Maria. Visse 78 anni,
morì il 12 gennaio 1835, fu tumulato in S. Maria in Via,
nella sua sepoltura gentilizia.
Delle quattro femmine. Teresa, nata il 19 novem-
bre 1748, e Rosalba, nata l'ii aprile 1754, abbracciarono la
vita monastica: Caterina, nata il 24 settembre 1750, ma-
ritatasi il 7 giugno 1772 a Baldassare di Giacomo Cugnoni,
(i) Breve notiiia dell' ab. Domenico Sala scritta dal cardinale Giu-
seppe Antonio Sala suo fratello ed erede fiduciario, nel voi. IV degli
Scritti di Giuseppe Antonio Sala, pubblicati sugli autografi da G. Cu-
gnoni.
(2) Con questa umile scritta : « Ossa | Dominici • Sala | Vixit • An. •
« LXXXIV • M. • Vili • D. • XIV I Obiit • Pridie • Idus • Fcbruar. •
« An. • MDCCCXXXII ] Orate • Pro • Eo ».
(3) Baldassarri, op. cit. I, 141.
12 G. Cugnoni
romano, agiato mercatante con legni da trasporto in sul
mare: fu madre di dieci figliuoli (i); visse 82 anni, fu se-
polta in S. Marco : Gertrude, nata il 4 gennaro 1759, moglie
a Giovanni Battista Apolloni di Anagni, fu madre di una
sola figliuola, Anna contessa Cimara, e morì in Roma il
13 marzo 1829.
Giuseppe Antonio, che è il principale soggetto di que-
(i) Tra questi Vàleriano, il mio santissimo genitore, il quale di'
sé e della famiglia mi lasciò scritte le seguenti memorie:
« Io sono figlio di Baldassarre Cugnoni e Maria Catarina Sala.
« Di mio padre, che perdetti nell'età infantile, non posso darne spe-
« ciali notizie, e più perchè un incendio brugiò tutte le carte di fa-
ce miglia. Egli esercitava la mercatura, ed aveva molto viaggiato oltre
« mare; era unico di sua casa in Roma, e godeva una stima e re-
« putazione di somma onestà e galantomismo. Morì in età di circa
« 45 anni, e fu sepolto in S. Catarina della Rota, essendo la nostra abi-
« tazione nel palazzo Varese a strada Giulia. Lasciò 4 figli di dieci,
« cioè due femine, che sono morte di fresca età, una monaca, e l'altra
« educanda nel monastero di S. Margarita di Narni. L'altro maschio,
« cioè l'ultimo figlio, anche egli morì di circa 3 anni. Io sono nato
« nell'agosto 1784, battezzato in S. Lorenzo e Damaso.
« Mia madre fu figlia di Giuseppe ed Anna Sala, entrambi di santa
et vita. Aveva 3 fratelli, cioè l'ab. Domenico, che fu poi amministra-
« tore delle Componende, oltre altre molte attribuzioni ; Giovanni in
« ultimo computista del Buon Governo, e Giuseppe Antonio, che,
« dopo una carriera laboriosa, fu creato cardinale da Gregorio XVI,
« e mori prefetto dei Vescovi e Regolari nel giugno 1839.
« Questi zii, segnatamente il primo, dopo la morte di mio padre
« si presero cura della mia educazione civile e religiosa ; di essi an-
ce che nel sepolcro conserverò memoria per le straordinarie obbliga-
te zioni, che loro professo.
(( In età di circa 7 in 8 anni fui posto nel seminario di Veroli, che
« molto in allora fioriva, e vi stetti cinque anni e pochi mesi, da dove
« uscii per la chiusura di detto seminario in circostanza della famige-
« rata repubblica romana. Sino circa al termine della medesima stetti
« in Anagni in casa di una zia Geltrude Sala Appolloni. Tornato in
« Roma continuai li studi sino al corso di matematica. Contempora-
« neamente fui fatto scrittore di Minor Grazia, e dopo qualche tempo
c< fui nominato cadetto nel corpo del Genio; ma per essere stato de-
^elia vita e degli scìHtti di G. oA. Sala 13
ste memorie, nacque ai 27 d'ottobre del 17^2. Studiò let-
tere e filosofia nel Collegio Romano, e teologia nella
Scuola domenicana in S. Maria sopra Minerva, donde a
19 anni usci addottorato. Divenuto sacerdote, attese per
qualche tempo, insieme col fratello Domenico, sotto la di-
rezione di monsignor Pier Antonio Tioli, al maneggio de'
negozi ecelesiastici, e ne prese tale perizia, da riuscire, tut-
te stinato in Ancona, dovetti rinunziare per riguardo di mia madre,
« ed anche perchè era troppo giovane.
« Nel 181 1 fui nominato coadiutore a Francesco Cenciarelli, cap-
« pellano segretario di Minor Grazia.
« Dopo l'invasione francese nel 18 14, per esser morto il mio coa-
« diuto, entrai nell'esercizio libero di detto ufficio ; inoltre fui nomi-
« nato scrittore apostolico e de' brevi. Nel 182 1 fui fatto coadiutore
« di D. Francesco Lavizzari, scrittore di Via Secreta e di Curia, e
« nel 1835, per morte del medesimo, entrai nel libero esercizio di
« detto ufficio.
« Nel 1821 sposai Angela Silvi di Leprignano, dalla quale ebbi
« tre figli. La medesima, dopo cinque anni e due mesi di matrimonio,
« cessò di vivere, dopo breve malattia, il 22 decembre 1826. Non
« occorre dire con qual mio rammarico per le sue buone qualità.
« Fu sepolta in S. Marco.
« Il mio primo figlio Ignazio nacque ai 19 agosto 1822. Il secondo
« figlio Giuseppe nacque il 2 maggio 1824. Il terzo figlio Tommaso,
« nato il dì 7 marzo 1826, nel 1832, il 7 ottobre, cessò di vivere, in
« età di 6 anni, nelle mie braccia, dopo due giorni di malattia inflam-
« matoria nel cervello.
« Restato vedovo, cosi volli rimanere per occuparmi dell'educa-
« zione de' figli; ed ho procurato di darla loro prima cristiana, poi
« civile. Posso dire che, con la grazia di Dio, mi hanno corrisposto ».
Fin qui il mio padre amatissimo, il quale morì il 5 maggio 1861,
e fu sepolto nel ricinto scoperto tra la via in Velabro e la chiesa di
S. Teodoro, con questa iscrizione : « Valerianus • Balthass. • F. * Cu-
« gnonius I Inter • Sodales • Sacri • Cordis • Jesu [ Cognomento * Her-
« menegildus | VII • Id. • Aug. • A. • MDCCCXV • Supra • Numerum •
« Adlectus I IV • Non. • Mai • A. • MDCCCXXVI • In • Oblatorum •
« Coetum • Cooptatus | In • Conditorio * Quod • Sibi • Vivens • Com-
« paravit | Depositus • Est • Non. • Mai • A. • MDCCCLXI | Annos •
« Natus • LXXVII | Requiem • Aeternam | Dona • Ei • Domine ».
14 G. Cugnoni
tor giovane, uno dei più destri e prudenti ufficiali della
curia papale. Perchè molto si giovò del senno e dell'opera
sua monsignor Michele Di Pietro allorquando, nel biennio
1798- 1799, tenne in Roma, come già di sopra accennai,
con pienissima autorità di delegato apostoHco, le veci del-
l'esulante pontéfice. E sebbene, pel segreto procedere di
quella amministrazione, niun fatto possa addursi in prova
della efficacia e della prudenza, onde Giuseppe Antonio vi
si adoperò; tuttavia ne rimane non dubbia testimonianza
nel seguente paragrafo di lettera, in data 24 settembre
1798, del Di Pietro a monsignor Spina, uno de' compagni
d'esilio del papa in Firenze: « Non mi dilungo questa
« volta, giacché nel prossimo ottobre passerà per Firenze
« il comune amico (i), e con il medesimo rimarrà più
« facile a viva voce con Lei lo schiarimento di qualunque
« difficoltà. Ella lo conosce benissimo, pure ad onore della
« verità debbo attestare del di lui sincero zelo per la catto-
« lica religione, del di lui disinteresse , eh' è veramente
«singolare, della di lui onestà, abilità e attività. Debbo
« confessare, che se non si fosse costantemente prestato
« unitamente al di lui degnissimo fratello canonico pel
« disbrigo degli affari, che sono innumerabili, o avrei ào-
o vuto soccombere, o avrei dovuto arrenarmi. Questa
u ingenua confessione, e questo tenuissimo tributo di gra-
(( titudine, che ora rendo a questi due ben degni ed im-
<( pareggiabili fratelli, desidererei che lo comunicasse al
« S. Padre, giacché é troppo giusto che si sappia dal capo
« della Chiesa chi costantemente ha travagliato e travaglia
« con sommo vantaggio per il disbrigo degh affari eccle-
« siastici; né io voglio farmi bello colle penne altrui ». E
il 30 dello stesso mese lo Spina rispondeagU: « Ho fatto
« risaltare a S. Santità il merito di codesto degnissimo si-
(i) Cioè l'ab. Domenico Sala, che, come già dissi, nell'ottobre
del 1798 recossi a Firenze.
^ella vita e degli scritti di G. dA. Sala 1 5
(( gnor ab. Sala, e del fratello canonico, riferendogli alla
« lettera il contenuto nella stimatissima sua. Son persuaso
« che S. Santità gli dà tutto il valore che merita ». E di
nuovo il Di Pietro allo Spina, ai io del seguente ottobre:
« Sensibile oltremodo al favore da Lei compartitomi nel
« partecipare al S. Padre i meriti dei due fratelli Sala, vengo
« a contestarle le sincere mie obbligazioni » .
Da questo esercizio, tutto proprio del suo ministero, vol-
gendo talora l'ingegno alla considerazione degli uomini e
delle cose, prese altresì nelle faccende civili e nelle ammi-
nistrative non comune perizia; secondo che può rilevarsi
dall'accurato e giudizioso Diario, che egli in quel tempo
venne scrivendo. Comprende questo l' intiera epoca repub-
bHcana, dalla uccisione del Duphot, seguita il 28 settem-
bre 1797, sino all'ingresso dell'esercito napoletano in Roma,
avvenuto nello scorcio del 1799. Lavoro diligentissimo e,
sebbene di sua natura sconnesso, non privo di una certa
uniformità, che seppe dargli l'autore, richiamando di con-
tinuo il disparato racconto alle norme immutabili del vero
e dell'onesto. Per tal modo la narrazione de' fatti viene
d'ordinario accompagnata dai giudizi dello scrittore, alla
cui perspicacia niente sfugge, che sia degno di nota. E per-
tanto gli occulti legami degH effetti con le cause, i torbidi
aggiramenti delle fazioni, la ragione delle leggi, i processi
amministrativi, le probabilità delle guerre e delle paci: tutto
egli discute e sottopone allo sguardo dei lettori dal lato più
vivo e smagliante. Infiniti gli episodi di ogni genere, dal
tragico al comico, dal sacro e maestoso allo scurrile e ple-
beo. Onde varietà piacevolissima, che compensa la minu-
tezza spesso soverchia del racconto, e che ti rende penoso
il doverne sospendere la lettura. Il cronista è tutto odio
pe' Francesi, tutto amore pel papa; ma l'odio e l'amore non
gli fanno velo al giudizio, nò lo sviano dalla veracità; e
spesso loda i nemici, e ancor più spesso biasima gli amici.
« Il papa (scrive sotto il io luglio 1798), che infelicemente
i6 G. Cugnoni
« non ha attorno, se non se de' familiari buffoni, spedisce
« dalla Certosa di Firenze grazie in abbondanza. Li rescritti
« vengono firmati e muniti di sigillo da quel buon uomo
« di monsignor Odescalchi, nunzio apostolico in Firenze,
«e si fanno delle bestialità dell'ottanta ». E ai io del mese
seguente: « Fra le molte disgrazie dell'attuale pontificato
« dee contarsi per principalissima quella di avere il papa
« avuto sempre attorno de' birbanti, o per lo meno de' scioc-
(( chi, motivo per cui si fecero tante grazie arbitrarie con
« disdoro del principato e della Chiesa. Una tale disgrazia
« continua anche a Firenze, perchè qualche famigliare di
« Sua Santità seguita ad avere il medesimo influsso, e mon-
« signor Odescalchi, nunzio apostoHco, che spedisce e sot-
« toscrive rescritti, è un vero bufalo, che nulla intende di
«tali materie ». In mezzo all'amarezza delle pubbliche tri-
bolazioni, confessa ingenuamente e con enfasi (i) « scor-
« gersi evidentissimamente la verga piena di occhi, che va
« sferzando qua e là. Il principato e la Chiesa avevano bi-
« sogno di grandi riforme, non servivano più puntelli per
« sostenere la fabbrica cadente, e il Signore vuole atterrarla
« del tutto per poi innalzare un nuovo edifizio. Penserà
« egli a scegliere que' materiali, che potranno mettersi di
«bel nuovo in opera, escludendo gl'inutili calcinacci e i
«legnami atti solamente per il fuoco». E altrove (2):
« Non v' ha dubbio che Dio vuole una generale riforma,
« massime nelle persone a lui consagrate, e sembra che
« forse non giunga ad ottenerla, se prima non si faccia la
«separazione delle paglie inutili dall'eletto frumento ». E
cosi via via in più luoghi. Né la risparmia pure talvolta,
allo stesso papa, come quando scrive (3) : « Si acchiude
« copia delle facoltà accordate dal S. Padre ai vescovi del
(i) 23 marzo 1798.
(2) 1° settembre 1798.
(3) 2 ottobre 1798.
^ella vita e degli scritti di G. cA. Sala 17
« regno di Napoli. Questa concessione è irregolarissima
« per mille riflessi, ma la cosa è fatta, e non sarà facile il
« tornare indietro ». In conclusione, lo scrittore è un catto-
lico romano di buona fede e disinteressato, che si sforza a
tutt'uomo di difendere i grandi principi morali rappresentati
dal papato ; e nel furor della mischia avventa i suoi colpi
non meno agli avversari, che ai compagni d'arme, ove ne
ravvisi di dannosi o per tristezza, o per egoismo, o per dap-
pocaggine. Ne venga quel che ne può ; egh nulla teme, nulla
spera; e però non saprebbe bramare altro conforto oltre
quello della coscienza d'aver compiuto il proprio dovere.
Con quale intendimento togliesse egli a scrivere questo
Diario, non si potrebbe accertare. Che sebbene per una
parte la diligenza, ond'è condotto, e l'importanza dei do-
cumenti inseritivi farebbe supporre nell'autore il proposito
di divulgarlo; per l'altra, la troppo schietta esposizione
de' fatti, la severità de' giudizi, l'acerbità delle invettive,
l'acutezza dei sarcasmi, e soprattutto la liberissima censura
de' personaggi d'ogni fatta e condizione, avrebbero per-
suaso qualunque uomo, anche mezzanamente prudente, dal
pur mostrarlo a chicchessia. Ma quello, che non potea fare
l'autore, lo avrebbe un giorno potuto far altri; ed egli
stesso l'accenna là, dove toccando dell'anno repubWicano
sostituito per legge al volgare, scrive (i): « Noi però se-
« guiteremo a servirci dell'era volgare, lusingandoci che
« se questi fogU dovranno un giorno servire a qualche uso,
« sarà ita in allora in oblivione l'era francese, e quella na-
« zione sarà divenuta l'oggetto dell'esecrazione e dell'ob-
« brobrio di tutto l'universo, che ricorderà perpetuamente li
« mali incalcolabili da essa fatti alla Chiesa e all'umanità».
Alcuni paragrafi di questo Diario scrisse pure separa-
tamente in latino, non so se per uso di quella Hngua, o
per spedirli a modo di avvisi alla corte papale, o altrove.
(i) 22 settembre 1798.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 2
i8 G. Cu g no f li
L'esercizio continuato per oltre due anni di registrare
giorno per giorno la storia di tempi smisuratamente fe-
condi de' più strani e svariati avvenimenti, come obbliga-
valo ad acuire l'ingegno e il giudizio nella investigazione
e nell'apprezzamento degli uomini e delle cose ; cosi gli fu
d'utile apparecchio a quella vita operosa, a cui naturalmente
portavalo la sua fervida e generosa indole, e nella quale
miselo indi a poco una propizia congiuntura.
Era Giuseppe Antonio, come egli stesso ci fa sapere (i),
stimato assai ed amato da Giovanni Battista Caprara, cardi-
nale « di grandi lumi e di grandi cognizioni politiche » (2).
Per la qual cosa, allorché questi nel 1801 mosse per Pa-
rigi con autorità di legato a latere, per mettere ad esecu-
zione il concordato fra la Santa Sede e la Repubblica
francese, se lo menò seco con ufficio di segretario della
legazione. Sebbene quel concordato fosse già stato con-
cluso, in quanto alla sostanza, per opera specialmente del
cardinale Ercole Consalvi (3); tuttavia avverte il Thei-
ner (4), che la più difficile e travagliosa faccenda fu il
mandarlo ad esecuzione, e che a tanto richiedevasi appunto
l'abilità e l'autorevolezza del Caprara, dottissimo nella
scienza de' canoni, e molto versato ne' maneggi ecclesia-
stici pel lungo uso avutone come consultore delle varie
congregazioni romane. Sì dunque per la difficoltà dell'im-
presa, e si pel grande valore del Caprara, la scelta del Sala
non potè muovere altronde, che dalla fama della dottrina
e della prudenza sua.
Giunto a Parigi il 4 d'ottobre del 1801, vi rimase circa
tre anni, quanti ne andarono per l'avviamento e la conclu-
sione di quel trattato. E sebbene la gloria d'averlo menato
(i) Diario in principio.
(2) Ivi.
(3) Mémoires du card. Consalvi, par J. Crétineau-Joly, I, 291 seg.
(4) Histoire des deux Concordats de la Répuhlique Frangaise et de la
République Cisalpine, I, 314.
T>ella vita e degli scritti di G. (lA. Sala 19
a buon fine sia del Caprara, tuttavia il merito e la fatica fu
in gran parte del Sala (i). La cui voce nelle discussioni,
che sui diversi articoli si venivano a mano a mano facendo
tra i rappresentanti del pontefice e quelli del primo console,
risonò sempre autorevolissima, anche allora, che, in oppo-
sizione alla soverchia condescendenza del Caprara (2),
contrapponeasi alle eccessive esigenze del Bonaparte (3).
(i) Da alcuni riscontri fatti da me fare negli archivi nazionali di
Parigi (sez. ammin.) risulta: 1° che le più delle lettere, delle con-
sultazioni, dei voti e delle altre scritture relative a quel Concordato, o
sono di pugno del Sala, o, se copiate da altra mano, recano in mar-
gine la nota « par mgr. Sala »; 2° che nel febbraio 1803, infermatosi
il cardinale legato, e poco stante anche l'uditore monsignor Mazio,
egli compiè per più mesi consecutivi le veci dell'uno e dell'altro,
anco in ordine a materie di sommo rilievo ; 3° che in tutto il tempo
di quella legazione, vescovi, sacerdoti e regolari delle varie provincie
della Francia facevano capo a lui direttamente per la trattazione delle
più ardue faccende, e per la soluzione dei dubbi più intricati ; 4° che
spesso i maneggi di maggiore importanza passavano tra lui ed il mi-
nistro Portalis. Così che dal tutto insieme si pare che l'avviamento
e la conclusione di quel malagevolissimo trattato fu per la maggior
parte opera del Sala.
(2) « Communemente il Caprara era riputato uomo di molta po-
litica mondana, ma povero di prudenza e fermezza evangelica. Che
se Pio VII lo mandò nel 1801 legato a latere in Francia, ciò avvenne
perchè il Bonaparte fece sapere che tale si era il suo desiderio e vo-
lontà. Uno, che appartenne a quella legazione, mi diceva, che quando
il cardinale era esortato a mostrar animo forte e costante nel trat-
tare col primo console e suoi ministri, si schermiva rispondendo:
Questi signori sono come le caraffe: se le urtiamo, si rompono ». (Bal-
DASSARRi, op. cit. IV, 25, in nota). Un esempio del contrapporsi del
Sala al Caprara può vedersi nel documento I, pubblicato dal D'Hus-
SON VILLE a pag. 522 seg. del voi. I dell'opera L'Église Romaine et le
premier Empire, 1800-1814.
(3) L'Artaud (Histoire du pape Pie VII, II, 1 50) cosi scrive su
tal proposito : « Ce cardinal (Caprara) avit eu autrefois auprès de
lui monsignor Sala et monsignor Mazio, hommes de beaucoup de
talent: ccs fidèles sujcts du pape s'attachoient à faire exècuter avec
régularité les ordres de Rome, et s'opposoient, quand'ils le pouvoient,
20 G. Cugnoni
Il quale, dicono, talvolta minacciosamente se ne sdegnasse;
come quando, afferrato un calamaio, fece atto di scagliar-
glielo in volto; o percotendo furiosamente col pugno sopra
un deschetto, ne fece balzar vìa una ricca porcellana; o
additatogli fra due busti di marmo uno spazio vuoto : « lo
riempirò (disse) col tuo capo reciso » (i). Lampi d'ira su-
bitanei senza effetto ; ma che pure tanto a Giuseppe An-
tonio sturbarono il sangue, da fargliene ribollire per la cute
un triste uniore, che poi tormentollo per tutta la vita.
Nondimeno Napoleone avealo in pregio per la dottrina e
il pronto ingegno, e talora ingiungeva al Caprara d'andare
a lui in sua compagnia, per averne l'avviso su qualche im-
portante materia, che volesse di per se stesso mettere in
discussione (2). Anche mostravasegH gentile, volendolo
ogni sera a giocar seco, e in segno di famiHare affetto con-
traffaceane il cognome, chiamandolo Scala.
Cessata quella legazione, fu trattenuto in Parigi da
Pio VII, andato allora a quella corte per incoronare e be-
à ce que le cardinal outrepassàt ses pleins pouvoirs dé-jà assez éten-
dus. A Paris, on n'avoit pas tarde à reconnoitre surtout le dévoument
inexorable de monsignor Sala, personage à la fois doué de qualités
aimables dans la société, et d'une habilité éprouvée dans les afFaires
graves. Monsignor Lazzarini et M. l'abbé de Rossi avoient remplacé
ces prélats : le Gouvernement frangais s'applaudissoit d'avoir éloigné
deux austères contradicteurs; mais il en étoit resulté que la confiance
du pape dans le légat avoit été altère, quoiqu'il regu encore par
fois de bons conseils de ses nouveaux secretaires ». Veggasi la « Ré-
clamation du cardinal Caprara contre les Articles organiques, adres-
sée à M. de Talleyrand, ministre des affaires extérieures », lavoro in
gran parte del Sala, nell'opera Étude historique et juridique sur le Con-
cordai de 1801 d'après hs documents officiels, par M. l'abbé Joly (Paris,
1881), pag. 187 segg.
(i) Una simigliarne minaccia di Napoleone è registrata dal Daudet
a pag. 171 dell'opera Le card. Consalvi: « Si je ne fais pas sauter la
téte de dessus les épaules de quelques-uns de ces prétres, on n'ac-
commodera jamais les affaires ».
(2) V. D'HussoNViLLE,, op. e loc. cit.
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 21
ned;re il Bonaparte, fattosi, di primo console, imperatore.
Cosi aggregato al seguito papale, entrò a parte della solenne
cerimonia, e nel ritorno fu, per speciale mandato del pon-
tefice, nominato commissario delle grazie spirituali, che
lungo quel viaggio si verrebbero dispensando.
Restituitosi in patria, pareva che, in giusta ricompensa
di tanto zelo e travaglio, non dovesse mancargli un qual-
che grado onorifico nella curia, o nella corte ; ma fosse la
sua natura franca di soverchio e non curante, fosse geloso
sospetto di chi in Roma suole fabbricare di simiglianti for-
tune; fu lasciato con le nere divise, come n'era partito, e
senza carica o benefizio di sorta. Né egli se ne disgustò ; e
anzi, profittando dell'ozio inaspettato, riprese vogHosamente
i suoi studi e le usate occupazioni. Fra le quali quella di
scrittore di bolle e di brevi nella Dateria ; uffici conferitigli
fino dal 1791. E nell'Epifania del 1807, come pro-rescri-
bendario degli scrittori apostoHci, presentò al papa, in nome
di quel collegio, la consueta offerta di cento scudi d'oro
entro pisside d'argento, accompagnando la cerimonia con
breve discorso latino (i).
Nell'anno 1809, vedendosi Pio VII stretto ogni dì più
e minacciato dalla francese violenza, per porre in salvo ad
ogni peggior caso il hbero esercizio della potestà spirituale,
istituì in Roma una delegazione apostolica. In questa Giu-
seppe Antonio ebbe l'ufficio di segretario; ma fu breve il
servigio, che insieme col fratello Domenico le potè rendere.
Imperocché non appena, deportato il pontefice, la detta
delegazione cominciò ad agire, « fummo (egli scrive (2) )
« entrambi compresi nel numero delle persone messe in
« arresto e destinate a partire per Reims, dove si suppo-
« ncva che verrebbe fissata la residenza del papa e si sa-
(i) Diario di Roma, n. 4, 14 gennaio 1807. - Moroni, Dizionario
di eritdiiione ecclesiastica, LXI, 311.
(2) Breve notizia dcll'abb. D. Saia, ecc. cit.
22 G. Qignoni
«rebbero aperte le segreterie ecclesiastiche. Ebbimo a pe-
ce nare non poco per esentarcene e per rimanere in libertà.
« Aggravandosi vieppiù le circostanze, e vedendoci esposti
« ad ulteriori disastri, fu preso il partito di allontanarsi da
« Roma, rifugiandoci a Cascia. Trascorso però qualche
« mese, e dietro il suggerimento di qualche amico autore-
« vole, il quale scriveva che io non dovevo pensare al ri-
« torno ; ma che per Tab. Sala non vi era che temere, ad
« onta delle persuasioni e preghiere del nostro ospite e
«mie, volle il mio fratello dare ascolto all'amico ».
Durante il soggiorno in Cascia menò vita affannosa e
raminga, sapendosi codiato dalla polizia francese, e insino
una volta, per scamparne, dovè travestirsi da pastore. In
mezzo però a tanta ansia ed incertezza non lasciava di spe-
dire a quando a quando lettere d' informazione a Savona,
dove stava rilegato il pontefice, per tenerlo avvisato di
quanto stimava dovesse maggiormente importargH. E per
evitare ogni inciampo, segnate le lettere con mentite so-
prascritte, mandavale impostare ne' circostanti paeselli da
infinti accattoni. Finalmente, giudicando maggior sicurtà
l'uscire dello Stato papale, si riparò a Firenze, dove, preso
stanza nella villa Salviati presso a Fiesole^ se ne rimase
fino al ricomporsi delle pubbliche cose, cioè per oltre a
quattro anni.
Nella tranquillità di quel lungo ozio compose da prima,
per commissione venutagliene di Francia dal cardinal Mi-
chele Di Pietro, una scrittura apologetica in sostegno di
quei cardinali, che si erano testé rifiutati di assistere al
solenne rito, col quale Napoleone, dopo aver ripudiata la
prima moglie, disposossì a Maria Luisa d'Austria. Il que-
sito, che lo scrittore si propone, è: « Se fosse lecito ai car-
« dinali assistere alla sacra cerimonia del matrimonio ». Per
rispondervi adeguatamente, egli imprende una serie di ri-
flessioni sui « monumenti della storia ecclesiastica relativi
«alle cause matrimoniali dei monarchi », e ne rileva:
'T)ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 23
1. Che le dette cause « sono state sempre giudicate
« e terminate coli' autorità della Santa Sede, o del papa
« istesso a Roma, o da commissari da lui delegati sul
« luogo » ;
2. « Che il diritto di giudicare definitivamente tali
« cause è stato da tutti, siccome costantemente, cosi uni-
« versalmente riconosciuto, e primieramente dai monarchi
« stessi » ;
3. Che tale diritto « fu dai romani pontefici non solo
(( riconosciuto in se stessi, ma costantemente e gagharda-
« mente sostenuto, ancorché in alcuni casi si dovessero alla
« loro saviezza affacciare delle terribili e travagliose conse-
« guenze della loro fermezza » ;
4. Che è evidente « il consenso costante e universale
« dei vescovi, e specialmente de' gallicani, in riconoscere
«questo diritto primitivo della Santa Sede».
Da queste premesse deduconsi tre conseguenze:
i^ « Che la consuetudine invalsa nella Chiesa di giu-
(( dicare dette cause coli' autorità apostolica, primieramente
« è, non solo da un tempo maggiore di ogni memoria,
« quale è richiesto dal gius canonico per passare in legge
« e stabilire un diritto ; ma antica di dieci secoli, senza che
« né prima dell'ottavo, né durante il corso dei secoU di
« mezzo fino al presente, si trovi alcun accertato esempio
« in contrario » ;
2'' « Che non vi può essere possesso più pacifico di
« quello che da tanti secoH, e senza interruzione, gode la
« Santa Sede di giudicare di simiH cause, giacche i sommi
« pontefici hanno esercitato un simile giudizio anche in
« prima istanza, e per volontaria sottomissione de' monar-
« chi stessi, o certamente senza richiamo di loro, o de' ve-
ce scovi » ;
3* « Che, o si guardi la somma importanza delle
« cause matrimoniali de' monarchi rapporto non meno agli
(( Stati che alla religione, o la solennità grande, con cui
2 4 ^« Cugnoni
« furono ordinariamente giudicate, debbono esse riguardarsi
« come cause maggiori^ e perciò come spettanti esclusiva-
« mente al papa, secondo i noti principi del gius canonico
« e la dichiarazione di Celestino III nella decretale, ove
« dice, tra le altre cose, parlando del divorzio di Lotario :
« Nonne hoc negotiiim de praecipuis, et niagis arduis unum
« esse dignoscitur, utpote quod inter eximias et regales per-
ii sonas ? »
Segue poi l'esposizione giuridica, la quale fondasi sul
Tridentino e sull'autorità d'alcuni scrittori posteriori, lon-
tanissimi dal sospetto di parzialità verso la Santa Sede.
Donde risulta la nullità canonica del giudizio del divorzio
in proposito, profferito dalla uffixialìtà di Parigi, dichiarata
competente da una deputazione di pochi vescovi.
« In vista di queste riflessioni (conchiude l'autore) non
« dubitano i cardinali non intervenuti che possa trovarsi
« alcuno, il quale non trovi e fondata e necessaria la loro
« condotta. Malgrado però l'evidenza colla quale essi cre-
« dettero di dovere operare, come han fatto, non intendono
« in alcun modo di erigersi in censori della condotta di-
ce versa di quelli fra' loro colleghi, che sono intervenuti,
« essendo questo un giudizio che appartiene al solo capo
« della Chiesa. Né similmente hanno inteso di mischiarsi
« nel merito intrinseco della gran causa, di cui si tratta, né
« di farsene essi giudici ».
Dà compimento al lavoro un « elenco delle cause ma-
« trimoniali di monarchi e d'altri principi, delle quali prese
« cognizione la Santa Sede, dal secolo viii al xviii » . Il
quale elenco riesce ad- una serie di riscontri storici a rin-
calzo delle materie antecedentemente trattate.
Sebbene lo scritto sia di piccola mole, pure é facile in-
dovinare il faticoso apparecchio, che dovette precederlo;
occorrendo di stabilire un principio intorno ad argomento
non mai fino allora venuto in discussione. La qual cosa
non potea farsi senza una profonda perizia del diritto ca-
T>ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 25
nonico, ed una minuta ed esatta notizia di tutta quanta la
storia ecclesiastica (i).
Scrittura ben d'altra lena e d'altro pregio, sì per la im-
portanza e la vastità del tema, e si pel grande possesso, col
quale ei seppe condurla, è il suo Piano di riforma. Già fino
dalla prima occupazione francese, come di sopra accennai,
era egli persuaso che « il principato e la Chiesa avevano
(( bisogno di grandi riforme » (2), « massime nelle persone
(( a Dio consacrate » (3). E pertanto fin da quel tempo
era venuto agitando m mente l'avviluppato e geloso dise-
gno, ad esso rivolgendo, quasi a centro, gl'intendimenti
delle sue speculazioni, e i risultamenti pratici della sua ope-
rosità. Era questo un continuato lavorìo di paragoni fra i
principi ed i fatti, dal quale dovea venir fuori, quando che
fosse, un tutto compatto ed armonico, senza sdruciture né
ammaccamenti, e tale, da ravvisarsene, non che possibile,
necessaria l'attuazione.
Le teoriche di Platone, del Campanella e del Moro do-
veano essere adunque escluse da uno scritto vólto unica-
mente alla pratica, e col quale si tentava di ridonare ad
una gloriosa decaduta istituzione lo smarrito aspetto e la
natia virtù, acconciandola nella parte mutabile ai sani avan-
zamenti del viver civile; sicché il suo rinnovamento non
riuscisse né ad un semplice indietreggiar^ all' antico,^ né ad
un riciso accostarsi al novello: ma piuttosto fosse un giusto
temperamento dell'una cosa e dell'altra.
Con questi avvisi ed apprestamenti, tostoché previde
non lontana la fine della cattività del pontefice, pose mano
all'opera, e, sebbene privo di Hbri, e nella malferma con-
(i) Nelle Memorie, sul matrimonio delV imperatore Napoleone e del-
l'arciduchessa d'Austria, pubblicate dal Crétineau-Joly (a pag.416 e
segg. delle sopra citate Mémoires du card. Consalvi) sono brevemente
riportate le principali deduzioni di questo scritto del Sala.
(2) Diario, 23 marzo 1798.
(3) Ivi, 1° settembre 1798.
26 G. Cugnoni
dizione di un vivere incerto e peregrino, tra il febbraio ed
il marzo del 1814 ebbela menata a compimento. Spedito
il manoscritto al fratello Domenico in Roma, questi, fat-
tolo copiare, glielo rimandò in Bologna (i), dove Giu-
(i) Ciò si raccoglie da alcune lettere scritte nell'aprile del 18 14
dal fratello Domenico a Giuseppe Antonio in Bologna. Ecco i pa-
ragrafi di esse lettere, i quali a ciò si riferiscono :
« Roma, 19 aprile 18 14, - V'informai già di avere ricevuta la
« cassettina coi vostri scritti, li quali presentemente si vanno copiando,
« ed io li vado gustando di mano in mano, innanzi di darli a copiare ».
« Roma, 25 aprile 1814. - Raccomando il piego all'ottimo Car-
« luccio, al quale insieme mando una cassettina con entro... la copia
« della metà del volume sulla Riforma sino all'articolo riguardante le
« monache, cui succederà quello delle congregazioni, che attualmente
«si sta copiando... Mando nella cassettina, quando il buon Carluccio
« possa inoltrarvela, la metà del lavoro copiato sinora, e non lascio di
« insistere perchè si compisca al più presto possibile. Se aveste fretta
«di ricevere l'altra metà, bisognerebbe che io prendessi il partito di
« farla copiare da due caratteri ».
« Roma, 29 aprile 18 14. - Per secondare le vostre premure com-
« muni al compagno, vi trasmetto la copia di altri otto quinterni con-
« cernenti la Riforma, e vado sollecitando il lavoro del rimanente ».
E nella medesima corrispondenza epistolare sono notevoli i se-
guenti periodi, che si riferiscono all'uno o all'altro articolo di questo
lavoro :
« Roma, 19 aprile 1814. - Sembra pure che con facilità qualche
« persona laica incominci a rimettere in uso il vecchio suo abito d'a-
«bate; onde ve lo avverto, perchè sarebbe necessario impedirlo al
« primo momento che se ne abbia libero campo ». (V. nel Piano di
« Riforma l'articolo VII, DelVabatismo).
« Roma, 3 maggio 18 14. - Per quello che concerne la riassun-
« zione dell'abito d'abate, intesi di suggerire il mettervi qualche osta-
te colo quando siasi qui stabilito il Governo pontificio ».
Col XIII articolo del Piano di Riforma {Vescovi e vescovati) con-
suona il passo seguente della lettera medesima:
« Osserverò tutte le carte trasmesse dal nunzio di Vienna, sapendo
« già che i processi stanno in mano dell'abate Adorni. Mi persuado
«però che il padrone (cioè il papa) abbia già adottato e voglia inco-
« minciare a mettere subito in esecuzione il necessario sistema di ben
« conoscere le personali qualità di ciascun nominato, innanzi di farlo
T)ella vita e degli scritti di G. oA, Sala 27
seppe Antonio erasi di que' giorni recato ad ossequiare
Pio VII tornato libero; e quivi a lui lo consegnò.
Di questo suo lavoro, che è come dire un primo ed af-
frettato abbozzo dell'altro, di cui appresso discorrerò, non
« vescovo ; altrimenti si continuerebbe a rimanere soggetti allo stesso
« pericolo di prima, di avere cattivi vescovi con gravissimo pregiudizio
« della Chiesa, giacché i processi sono pur troppo ridotti a poco più
« di una semplice formalità. Quindi voglio immaginarmi che già il lo-
« dato padrone avrà incaricato, ma con forte premura, il suddetto buon
« nunzio di Vienna a praticare le opportune, diligenti, scrupolose in-
« dagini per assicurarsi di ogni precisa qualità di ciascun nominato,
(( E questo sistema sarà indispensabile venga applicato a tutti singoli
« casi, facendo il padrone conoscere chiaramente, che non farà vescovi,
« se non saranno preventivamente a lui cogniti li loro requisiti ».
In ordine alla riforma degli uffici della Dateria e della Cancel-
leria apostolica, Domenico andava assai più in là di Giuseppe An-
tonio, e cosi gliene scriveva:
« Roma, 19 aprile 181 4.
« Trattasi di avere a fare un novello impianto per la Dateria e
« per la Cancelleria, e quindi trattasi di una responsabilità di non
«piccola conseguenza; digiuni saranno i nuovi datario, sottodatario
« e per ohitiwt : tutti di qua suppongono che io abbia ad indossarmi
«l'intero peso della faccenda, lo che mi rammarica sempreppiù ; il
« mio impiego potrebbe riguardarsi come svanito, se non esistono più
« vacabih, li quali producevano due terzi de' miei emolumenti ; e se
« non si pagheranno le tasse della Componenda, dal quale ufficio ri-
« tiravo l'altro terzo ; e non avendo gran premura del mio interesse
«m'immaginava di aver luogo a tentare di scusarmi da brighe ul-
« teriori, specialmente se avesse a considerarsi come divenuta super-
« flua la carica di amministratore, per la cessazione delle sue con-
« suete incombenze. Voi sapete che di abilità si sta scarsissimi, e che
« d'altronde il principale scopo di ciascuno ò di lucrare, e forse anco
« di non contentarsi del poco. Sta a vedere come penserà il nuovo
« superiore del tribunale, e sopra tutto quale sarà la volontà del pa-
« drone. In qualunque modo anderà la faccenda, non dimcntiche-
« rommi dell'obbligo di dovere ubbidire sino a quel tempo, a cui sa-
« ranno per giungere le mie forze, se ne otterrò l'aiuto dal c'cìn.
« Voi conoscete che nella mia bottega regna molta ii;m)iaii/.a non
« disgiunta da ugual pretensione. Nel nuovo imitiamo sarebbe neces-
28 G. Ciignoni
posso dare che brevi e scarsissimi cenni; quando l'unico
esemplare (quello appunto offerto a Pio VII) rinvenuto
lo scorso anno neirarcliivio Vaticano ; mentre veniasi, con
regolare permesso delF eminentissimo prefetto cardinale
Hergenroether, trascrivendo in mio servizio; fu d'improv-
viso sottratto da un ministro secondario del luogo, senza
darmene né meno avviso. Ne dirò pertanto quel poco che
potei raccogliere nel picciol tempo che mi fu dato di esa-
minarlo. È un volume in forma di 4°, di pagine 22^, le-
gato in marrocchino rosso sbiadito, con lo stemma di
Pio VII impresso d'oro sul lato anteriore della cartella.
Intitolasi « Piano istruttivo di riforma per lo spirituale e
«temporale, dedicato a Pio VII ». La prima carta ha una
lunga iscrizione latina di dedica al Pontefice (i). È diviso
in due parti, là prima per le materie concernenti lo spi-
« sario vi fosse un superiore, il quale si compiacesse dare ascolto, e
« poi sostenesse e tenesse forte.
<c Ho letto il vostro laboriosissimo lavoro sopra la Riforma, dal
« quale confido sarete per riportare la lode corrispondente. In un solo
« oggetto non combiniamo insieme pienamente, cioè in quello riguarda le
« tasse. A me sta fitto in testa, che per ripristinare stabilmente il credito
« della S. Sede sia indispensabile levare affatto di mano ai nemici quel-
« l'arma dell'interesse, della quale si sono serviti a nostro incalcolabile
« danno. Quando il sommo pontefice non esiga più un soldo per veruna
« concessione, dando gratis tutto ciò che gratis ricevette, parmi
« che potrà parlare assai franco, accordare le grafie soltanto a ragion ve-
« duta, non derogare con tanta frequen:(a alle leggi della Chiesa, e non
« temere ne i piccoli ne i grandi. Tal è pure il desiderio di tutti quelli che
« conoscono il mondo e che s' interessano pel bene della Chiesa ».
(i) Eccone il tenore: « Pio VII P. O. M. | Orthodoxae Fidei |
« Clypeo I Catholicae Disciplinae | Strenuo Servatori | Pietatis Hurai-
« litatis Patientiae | Sed Et Invictae Constantiae | Hac Tempestate |
« Prototypo I Ut Quod Verbo Et Exemplo | Ad Rei Christianae |
« Munimen Et Decorem j Ad Utramque Potestatem | Enixe Vindi-
ce candam | Coepit Opus | Ad Ecclesiae Quoque Universae | Dupli-
ce cem Reformationem | Ipse Perficiat | Inter Filios Subditos Dioece-
cc sanos Et Famulos | Minimus | Haec Ocyus Dicare Confidit | Anno
ce Domini MDCCCXIV ».
^ella vita e degli scritti di G. OA, Sala 29
rituale, la seconda per quelle risguardanti il temporale.
Quella è distesa in XXXII articoli, questa in XLIV. Le
rubriche degli uni e degli altri sono accennate in due se-
parati indici a questo modo :
INDICE
DEGLI ARTICOLI DEL PIANO ISTRUTTIVO
SPETTANTI ALLO SPIRITUALE.
Prefazione relativa ad ambedue i volumi sullo Spirituale e Temporale.
I. Concìlio ecumenico, e quando. Riforma sulle tracce dell'ultimo
Trentino, miitatis mutanàis.
IL Cardinali, Legati, Nunzi, Arcivescovi, ecc.
III. Basiliche, Capitoli, Collegiate.
IV. Scuole pubbliche ed Università di studi.
V. Clero secolare antico e nuovo.
VI. Censori ed Ispettori ecclesiastici o secolari in ogni Parrocchia, ecc.
VII. Educazione pubblica e privata.
Vili. Meretrici e Lenoni.
IX. Monaci, Frati, Monache, Congregazioni, Oblate, Conservatori e
Confraternite.
X. Concistoro ogni settimana, almeno ogni 15 giorni, ove si agitino
le cose di rilievo.
XI. S. Offizio.
XII. Penitenziaria.
XIII. Dataria, Cancellerìa, Vacabili e Segretaria de' Brevi.
XIV. Propaganda, Collegi esteri, oltramontani.
XV. Congregazioni e Segretarie del ConciUo, Vescovi e Regolari, ecc.
XVI. Famiglia pontificia, de' Cardinali e Prelati di carica. Cappella
Pontificia.
XVII. Elemosinarla e sue attribuzioni.
XVIII. Dottrina cristiana, ecc.
XIX. Tributi sacri, o Laudem?, ecc.
XX. Patronati e Nomine ecclesiastiche.
XXI. Chiese, loro manutenzione, ecc.
XXII. Ebrei.
XXIII. Famiglie oziose, Vagabondi, ecc.. Bettole, che fomentano vizi.
XXIV. Scuola agraria e Collegi rurali.
XXV. Ospedali pubblici e nazionali.
30 G. Ciignoni
XXVI. Cause ecclesiastiche e S. Ruota.
XXVII. Seminari, Collegi, Orfanotrofi, Ospizi.
XXVIII. Carcerati" e Case di correzione.
XXIX. Monte' di Pietà, Usure.
XXX. Gente di campagna, loro religiosa cultura,
XXXI. Artisti di ogni specie, e loro Università per il suddetto og-
getto.
XXXII. Soldati, Sbirri, Arti vili ed infami per il suddetto oggetto.
INDICE
DEGLI ARTICOLI DEL PIANO ISTRUTTIVO
SPETTANTI AL TEMPORALE.
I. Segretaria di Stato e sue attribuzioni.
II. Governo in Roma e nello Stato, ecc.
III. Buon governo, ecc., Consulta.
IV. Curia e suoi abusi da togliersi.
V. Difesa e sue attribuzioni, ecc. Soldatesca.
VI. Dogana alli confini... Macinato, qcc.
VII. Giustizia pronta, esemplare, imparziale.
Vili. Annona per impedire i monopoli, e distruzione del Commercio
libero, dannoso allo Stato ecclesiastico.
IX. Grascia per il suddetto effetto e prezzi stabiliti ogni anno, ecc.
X. Bagarini dannosissimi estirpati e perseguitati come gli assas-
sini, ecc.
XI. Venditori di ogni specie da soggettarsi a frequenti improvisi
esami, ecc.
XII. Pene corporali e pecuniarie.
XIII. Beni camerali e allodiali, tee.
XIV. Teatri e Spettacoli di giramondi.
XV. Fabbriche utili e necessarie, e sale.
XVI. Monumenti pubblici antichi e moderni.
XVII. Conserva ed utile giro delle acque,
XVIII. Poste per la pronta corrispondenza, ecc.
XIX. Feste pubbHche popolari utili, tee.
XX. Vigilanza sullì forastieri, ecc.
XXI. Soldatesca, proporzionata allo Stato eccl.
XXII. Curia di Campidoglio, tee. Tributi.
XXIII. Belle arti lodate, fomentate, ecc.
XXIV. Distinzioni e premi alla virtù, ecc.
^ella vita e degli scritti di G. OA. Sala 3 1
XXV. Agricoltura aiutata, ecc. (T. nel 1° Tomo Scuola agraria, n.24).
XXVI. Generi esteri necessari, utili, dannosi.
XXVII. Librai da assoggettarsi ad improviso esame, ecc.
XXVIII. Prammatica nel vestiario, q,cc.
XXIX. Gabelle straordinarie, ecc.
XXX. Galere necessarie per respingere i corsari, ecc.
XXXI. Udienza pubblica da darsi colle debite cautele, ecc.
XXXII. Bilancio diligente, Reddiconti, ecc.
XXXIII. Franchigie e giurisdiz. che fomentano i vizi, ecc.
XXXIV. Ceto di mezzo da purgarsi e mantenere come il più neces-
sario alla sussistenza dello Stato eccl.
XXXV. Volgo da tenersi in dovere, ecc.
XXXVI. Maestri e Maestre di Roma.
XXXVII. Ciechi e Storpi e Poveri, ecc.
XXXVIII. Fabbriche ed arti perniciose alla salute, tee.
XXXIX. Medici, Chirurghi, Litotomi, Dentisti, ecc.
XL. Armi e giochi da proibire.
XLI. Caccie e strade riservate incommode, tee.
XLII. Riattamento e manutenz. di strade, ecc.
XLIII. Spurgo delle strade, tee.
XLIV. Conclusione dell'Opera e Protesta dell'Autore.
Che Pio VII, pontefice d' intendimenti rettissimi e
conciliativi, non avversasse mai le proposte di ragionevoli
riforme cosi del governo della Chiesa, come di quello
dello Stato, non è da mettere in dubbio; soprattutto per
la scelta da lui fatta, insin da principio, di Ercole Consalvi
a segretario di Stato ; uomo destrissimo in ogni più arduo
maneggio, ed in quel tempo (come che poscia mutasse
d'avviso) promotore prudente di utili mutamenti nella
pubblica amministrazione. E già al Chiaramonti, non ap-
pena uscito papa dal conclave di Venezia, fu presentato
un Piano di riforma, che dato da esso ad esaminare al
cardinale Leonardo Antonelli, questi ne distese un rapporto
assai favorevole. « Giunto il S. Padre a Roma (racconta
« il nostro Giuseppe Antonio (i) ) mostrossi inclinatissimo
(i) Nel proemio al Piano di riforma, ecc.
32 G. Cugnoni
« airesecLizione della riforma, e incominciò a scegliere vari
« soggetti, che formar dovevano una particolar Congrega-
« zione per discutere i diversi articoli, da sottoporsi in se-
« guito al giudizio di Sua Santità. Intanto prevalendo gli
« antichi metodi, e radicandosi nuovamente quegli abusi,
« che ognuno sperava di vedere emendati, si frapposero
« alla riforma ostacoli pressoché insormontabili, e succe-
« dendosi ben presto gli uni agli altri affari gravissimi, e
« disgustosissimi, andò affatto in dimenticanza un'opera
« cotanto necessaria e salutare per la Chiesa non meno,
«che per lo Stato ». Ammaestrato il Sala da così triste
esperienza, perchè il suo tentativo non tornasse in nulla,
ben sapendo che il ferro vuol essere battuto mentre eh' è
caldo, non appena tornato in Roma, tolse a riordinare ed
allargare quel suo lavoro da cima a fondo, con animo di
venirlo a mano a mano divolgando per la stampa; ma
presto se ne dovè rimanere (i).
(i) Antonio Coppi, a pag. 72 del Discorso sul Consiglio e Senato
di Roma, attribuisce questo lavoro « all'abate Domenico Sala, pro-
« fondo conoscitore delle cose e delle persone romane «. Il quale,
« rinchiuso per alcuni anni a Fenestrelle col card. Pacca, aveva me-
« ditato lungamente con quel dotto porporato sugli antichi difetti del
« governo e sulla necessità di ripararvi. Ed allorquando era immì-
« nente il ristabilimento del pontificio dominio, compilò un vasto pro-
te getto, nel quale, con semplicità evangelica e libertà assoluta, de-
ce scrisse gli antichi difetti e propose le opportune riforme ». Ciò in
parte è vero, e in parte no. Non è vero che il lavoro accennato sia
di Domenico; ben però è vero che questi nella prigionia di Fene-
strelle aveva meditato lungamente col card. Pacca sugli antichi di-
fetti del governo e sulla necessità di ripararvi. Infatti in una sua
Ossequiosissima relazione di fatti, del 6 marzo 18 14, al pontefice Pio VII,
egli così scriveva: « Mi astengo dall'entrare in altri qual si siano
« dettagli ; massimechè sono persuaso avrà il degnissimo sig. cardi-
« naie Pacca, secondochè si era proposto, communicati distesamente
« alla Santità Vostra tutti quei lunghi discorsi, che nel biennale spa-
«zio della nostra dimora (in Fenestrelle) erano tra noi stati fatti
«sopra lo sconvolgimento universale delle materie ecclesiastiche in
^ella vita e degli scritti di G. Gì Sala 33
Del quale venendo io ora a proporre un breve sunto,
debbo di necessità ristringermi a quella parte, che ne fu
pubblicata; non essendomi avvenuto, per diligenze e ri-
cerche fattene, di trovarne e leggerne la rimanente ma-
noscritta. Nondimeno anche i parziali cenni che posso
darne saranno sufficienti al discreto lettore per intendere
ed apprezzare il valore dell'opera.
L'esemplare da me veduto (cosa di estrema rarità, per la
ragione, che a suo luogo dirò) è in quarto, di pagine 202,
senza frontispizio, e comprende, oltre la lettera dedicatoria
al pontefice, il proemio e i diciassette seguenti articoli:
I. Necessità della riforma — II. Difetti del nostro sistema —
III. Si sciolgono le obiezioni contrarie al piano di riforma — IV. Di-
sposizioni preliminari della riforma — V. Basi della riforma —
«tutta l'Europa; sopra la necessità di prendere cognizioni esattedi
«tutto innanzi di por le mani in qualsiasi cosa; sopra le molte av-
« vertenze, diligenze ed esami da praticarsi indispensabilmente prima
« di procedere alla conferma di alcun vescovo novello ; sopra la con-
« gruenza di non riassumere la spedizione di qualsivoglia affare, se
« non dopo restituitasi Vostra Santità alla sua sede, ripristinata la
« Curia romana, e acquistate le corrispondenti notizie ; sopra la con-
« venienza di far uso sul bel principio di bolle e di brevi, secondo
« lo stile, per non pergiudicare al decoro della S. Sede, e all'oppor-
« tuna intelligenza delle antiche cartapecore, non omettendo le giuste
« istanze per ricuperare gli archivi ecclesiastici trasportati in Fran-
(c eia entro tante casse sino al numero di quasi tremila, una gran
« parte delle quali s' ignora qual destino abbia avuto ; sopra il biso-
« gno di allontanare ogni vista d'interesse, per così togliere agli
« inimici della Santa Sede quell'unica arma, di cui si sono serviti con
« tanta malignità (V. la nota a pag. 26-28 in fine) ; sopra l'avvertenza
« di non lasciarsi prendere dalle domande di chicchessia per il peri-
« colo, che non avvenisse quello, che non fosse per tornar bene; sopra
« lo accettare bensì in ogni luogo qualunque istanza, ma, fuori di
« quelle concernenti benedizioni ed assoluzioni, ritenere tutte le altre
«per aspettare a disbrigarle opportunamente in Roma; sopra le
< molte riflessioni da aversi sott'occhio nella nuova sistemazione del
«clero secolare e del regolare di entrambi i sessi; e finalmente
« sopra mille altre cose di simil natura ».
Archivio della R. Società romana di storia patria Voi. XI. 3
34 O. Cugnoni
VI. Separazione dello spirituale dal temporale — VII. Dell'abatismo
— Vili. Cariche — IX. Franchigie — X. Uffizi delle poste straniere
— XI. Dritti feudali — XII. Sacro Collegio — XIII. Vescovi e ve-
scovati — XIV. Prelatura — XV. Clero secolare — XVI. Regolari
— XVII. Monache.
La lettera dedicatoria e il proemio sono rappiccature
fatte allo scritto nel punto di metterlo a stampa, e vi si
celebra la liberazione del pontefice. Del quale desideratis-
simo avvenimento rallegrasi Fautore, e coglie la gaia oc-
casione per offerirgli, in segno della sua esultanza, il « te-
« nue parto del suo scarso ingegno. Esso, per l'argomento,
« sul quale si raggira, non sarà forse del tutto indegno
(c de' suoi benefìci sguardi, ed è certamente conforme alle
« sue mire )>. La clemenza di Sua Santità « dia un gene-
(( roso perdono al suo ardire, e degnisi accogliere la sua
(( offerta, come il denaro della vedova evangelica » . Egli
nel deporla a' suoi SS. piedi Taccompagna colla protesta
del gran dottore Agostino: « Haec ad tuam potissimum
« dirigo Sanctitatem, non tam discenda, quam examinanda,
« et ubi forsitan aliquid displicuerit, emendanda constituo » .
Nel proemio si accennano le due ragioni, che indus-
sero l'autore alla pubblicazione dello scritto. E queste sono
in primo luogo il debito di gratitudine verso la Provvi-
denza per l'improvvisa cessazione de' mali, che afflissero
la Chiesa e lo Stato. Gratitudine non già di parole, ma di
fatti; poiché « poco sarebbe, se, dopo aver fatto risonare
« i sacri tempi degli armoniosi canti dell' inno ambrosiano,
« divenuto omai un cantico di moda, indegnamente pro-
«fanato a questa nostra età..., ci contentassimo di sterili
« voci, mettendo in oblio l'ampiezza delle grazie ricevute,
« e il debito di corrispondervi più co' fatti, che colle pa-
ce role )). E questi fatti si riassumono nella «grande opera
(( di quella universale riforma, che Iddio vuole da noi, e
« che tutti i buoni ardentemente sospirano » . Alla quale
desiderando egli di concorrere, secondo la sua sufficienza.
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 3S
mise « a profitto l'ozio del suo ritiro per segnare in questi
« fogli alcune traccie, le quali servir possano di qualche
« norma a chi dovrà occuparsi di proposito di tale impor-
<( tantissimo oggetto..., e stimerà abbondantemente com-
(( pensata la sua fatica, quante volte serva questa di stimolo
« a sollecitare e a condurre al suo termine quel felice
« cambiamento di cose, che rinnovar deve la faccia del
« cristianesimo, e ricondurre tra i popoli fedeU la perduta
<( pace e prosperità ». In secondo luogo, « per secondare la
« inclinazione, che a così fatta emenda ebbe dimostrata sin
« dai primordi del suo pontificato il S. Padre Pio VII. Al
« quale, appena eletto pontefice, fu presentato in Venezia
(( un Piano di riforma », secondo che testé qui sopra ac-
cennai. Il quale per altro messo tra breve in dimenticanza;
^a tale trascuratezza « non sarebbe forse temerità l'asserire,
(( doversi principalmente ripetere la dolorosa catastrofe dei
<( mali, che si sono aggravati sopra di noi, e non essendosi
<c per parte nostra esibita alcuna emenda, si è veduta let-
« teralmente avverata la divina minaccia : Si aiitem in judi-
« ciis mas non ambulaverint : et mandata mea non custodierint:
avisitabo in virga iniqtiitates eortim: et in verberihus peccata
« eoriim (i). Iddio con un'ammirabile condotta, mista di
« severità e d' indulgenza, tentò ridurci sul buon sentiero.
« Giunti i nostri demeriti al colmo della misura, aggravata
« est manns Domini (2) sotto il pontificato della S. M. di
« Pio VI, in tutta quella estensione, che è inutile di qui àtt-
« tagliare, conservandone ognuno di noi ancor viva la me-
(( moria » . In tanta disperazione di cose « ecco che all' im-
« provviso facta est tranquillitas magna (3). Per un vero
(( prodigio in breve tempo rimane libera l' Italia, si aduna
<( il conclave in Venezia, viene dato alla Chiesa il suo legit-
(i) Psal LXXXVIII, 31, seg.
{2) Judic. I, 35.
(3) Matth. Vili, 26.
3^ G. Cu g noni
« timo capo... E forsechè questi lieti principi sarebbero stati
(( coronati da più felici successi, se in luogo di corrispondere,
« non si fossero messi de' nuovi ostacoli alle divine miseri-
« cordie. Credeva il pubblico ed aspettavano con impazienza
« i buoni, che dopo le dure lezioni avute nel corso della
« democrazia, incomincierebbe un nuovo ordine di cose,
« tanto nel sistema religioso, quanto nel sistema politico.
« L'uno e gli altri però rimasero delusi. Tranne alcune ri-
« forme, più apparenti, che sostanziali, più economiche,
« che ecclesiastiche, ripullularono ben presto gli antichi di-
(( sordini, e ve se ne aggiunsero de' nuovi... Gli antichi
« abusi risorsero, e forse anche si accrebbero, né si volle
« rinunziare a quei sistemi, che contribuivano a fomentarli,
(( e che l'esperienza aveva mostrati evidentemente difettosi )>.
E toccata alcuna cosa di questi, soggiunge : « Io parlo di
« fatti notissimi... e quantunque li rammemori con estremo
« dolore, non posso tacerli, per non tradire la verità, e per
« non defraudare il mio assunto di quanto può esser con-
ce ducente allo scopo, che mi sono prefisso ». Lamentato
poi il deterioramento del costume pubblico, la profanazione
delle chiese, la trasgressione delle feste, gli « enormi ag-
« gravi più a profitto di pochi particolari favoriti, che a ristoro
« dell'esausto erario », conchiude: « che se vennero con-
« dotte a buon termine alcune operazioni giudicate utili,
« come quella del conguaglio della moneta^ e l'altra del
«libero commercio; riguardando esse unicamente oggetti
« temporah, aggravano i nostri torti, facendo conoscer sem-
« pre meglio la poca premura per gli oggetti spirituali, che
« sono di molto maggior importanza » .
Nel I articolo (^Necessità della riforma) inquietalo il
dubbio, che « trattandosi di un'impresa assai vasta ed im-
« barazzante, ed esigendosi in conseguenza cuor grande e
« risoluto per eseguirla, si metta mano all'opera con poca
« energia, e si lasci imperfetta, sia per la scelta de' mezzi
« poco efficaci, sia per l' impegno di provvedere piuttosto
^ella vita e degli scritti di G. qA, Sala 37
<( al temporale, che allo spirituale ». Il qual dubbio, ove si
avverasse, « il suo lavoro sarebbe perduto, e in breve tempo
«si riprodurrebbero tutti gl'inconvenienti di prima ». E
pertanto « ad aggiungere ulteriori eccitamenti, che diano
«l'ultimo impulso ad eseguire l'impresa », avvertito « che
« i mali da noi fin qui sofferti furono un manifesto ca-
« stigo », e (( che non cesserà il flagello, e tornerei ben
« presto a scaricarsi sopra di noi, quando non lo allonta-
<( niamo con una sincera e stabile emenda »; dimostra la
necessità di « una riforma universale, che incominci dal
«santuario, e si estenda a tutte le classi ». Per lo passato
« si ebbero più in vista i danni temporali, che gli spirituali,
« e allora soltanto incominciossi a pensar di proposito alle
« ferite fatte alla Chiesa, quando si vide imminente la per-
« dita della temporalità. Il ceto ecclesiastico non si prese
« grande premura né di riformarsi, né di dare al popolo
« l'esempio di una verace e soHda penitenza. A prevenir
« dunque ulteriori castighi, conviene anteporre la gloria di
« Dio e gl'interessi della religione a qualunque umano van-
«taggio; si deve incominciare la riforma dal santuario,
« bisogna correggere i costumi del popolo, e ridurlo ad
« un miglior ordine e ad una stabile emenda ». Aggiungasi
che « l'opinione de' grandi e de' popoli, rapporto a Roma,
« non é più quella di prima. Presso i cattoHci delle con-
« trade più remote era un tempo comunissima l'opinione,
« che il dominio pontificio, e Roma singolarmente, fosse
« una terra di angioli », supponendosi « che i papi, per
« l'accoppiamento delle due supreme potestà, riuscir do-
<( vesserò meglio di qualunque sovrano a rendere i loro
« Stati il modello della religiosità e del buon ordine ». Or,
poiché questa opinione é « vulnerata e diminuita », ci bi-
sogna « per il vantaggio della Chiesa, e per il decoro della
« S. Sede » riacquistarla. Dimostrata cosi la necessità della
riforma, ne piglia a svolgere e dichiarare il concetto. E
innanzi tutto, per chiudere la bocca a que' curiali di mala
3 8 G. Cugnoni
fede, che oltremodo gelosi di certi loro materiali, e spesso
abusivi, interessi, si affannano a gridare allo scandalo ogni
qual volta sentono parlar di riforma; protesta che egli non
intende « di parlare dell'edifizio immobile della Chiesa,
(( contro del quale portae Inferi non praevalehunt, essendo
« fabbricato super fundamentum Apostolonim, et prophetarum,
« ipso summo angulari lapide Christo Jesuy)-, sì solo dell'im-
pianto delle cose « romane rapporto alla doppia ammini-
« strazione, ecclesiastica e politica » . Alla guisa di abile e
savio architetto, non intende egli di gittare tutto a terra
resistente edifizio, per novamente rifabbricarlo; che anzi
ne riconosce « le basi non difettose » né « vacillanti », es-
sendo concorsi « a formarle i canoni de' concili e le costi-
(( tuzioni pontificie per gH oggetti ecclesiastici : e per gli
« oggetti temporali, leggi e regolamenti, se non « del
« tutto perfetti, nel sostanziale però e nel loro complesso
« dettati dalla giustizia e dalla vista del pubblico bene ». Egli
« soltanto farassi a « considerare parte a parte la fabbrica
« su taH basi innalzata, per rintracciare le cause, che, ren-
« dendo imperfetta e vacillante la sua struttura, produssero
« in fine quel rumoroso diroccamento dell'edifizio, che ar-
ce recò tanti danni, e costò tante lacrime; e avanzerà poi le
« sue idee sulle regole da osservarsi, e sulle cautele da
« praticarsi, per erigerne un nuovo più ordinato e più so-
« lido ».
Nel II articolo (^Difetti del nostro sistema) riduce tutti i
difetti degl' invalsi pubblici reggimenti ai seguenti :
1. « All'aver confuso il sacro col profano;
2. a Al non aver voluto mai emendare molti sbagli
« con quella magra ragione: Si é fatto sempre cosi;
3. « All'aver adottato la massima: Badiamo di non far
^<- peggio, ed all'averla portata tant' oltre, che meritamente
« venne caratterizzata da molti per l'eresia de' nostri tempi;
4. « All'aver perduto o dimenticato la scienza di co-
« noscere gli uomini ».
T)ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 39
Ne deduce « quindi la conseguenza, che, per non ca-
« dere negli antichi errori, bisogna indispensabilmente :
1. «Separare lo spirituale dal temporale;
2. « Correggere quanto vi è di abusivo, senza arre-
« starsi per de' piccoli pretesti, e segnatamente per la con-
ce traria consuetudine;
3. « Bandire afflitto, massime nelle cose ecclesiasti-
« che, ogni male appreso timore, e qualunque soverchia
(( condiscendenza ;
4. « Imparare a conoscere bene a fondo gli uomini,
« e provvedere non le persone, ma le cariche » .
Circa al separare lo spirituale dal temporale, osserva che
« il sommo pontefice riunisce in sé la doppia rappresen-
« tanza di capo della Chiesa, e di sovrano temporale
« de' suoi Stati. La prima prerogativa è essenziale ed ine-
« reme al suo carattere. La seconda è accidentale ed ac-
ce cessoria. Quella deve spiccare sopra di questa, l'una non
« deve mescolarsi coli' altra. Ne siegue dunque, per legit-
(( tima conseguenza, che se tali qualità sono tra loro di-
te stinte, non abbiano insieme a confondersi ».
Del pretesto della contraria consuetudine dimostra la fal-
lacia da ciò, che « la Chiesa ha derogato più volte con
« savissima economia all'antica discipHna, anche in punti
« di gravissima importanza », e che non pochi de' presenti
ordinamenti della curia papale non sono poi tanto antichi
« quanto forse si vorrebbe far credere » .
Di « quel sistema di paura e di soverchia condescen-
« denza adottato infelicemente quasi regola invariabile »
negh ultimi tempi, afferma, essere esso un grande errore,
che « ripete principalmente la sua origine da una strana
(( confusione d' idee, per cui, adattando agH affliri di Chiesa
(( i principi della mondana politica, abbiamo, senza avve-
« darcene, cooperato di mano nostra ai disegni de* nemici
« della religione e della S. Sede... Abbiamo anche confuso
« bene spesso lo spirituale col temporale, sacrificando quello
40 ^' Cu g noni
« per la lusinga di sostenere questo, e cosi perdemmo l'ano
(( e l'altro ».
La scicii'^a degli uomini, a essenzialmente necessaria in
« chi presiede, e dalla quale dipende in gran parte il buon
(( ordine e la felicità pubblica, come deve interessare qua-
« lunque ben regolare governo ; cosi dev'essere propria in
« un modo specialissimo del governo pontificio, il quale
<( abbraccia, oltre gli oggetti temporali, anche i spirituali ».
E questa scienza la considera l'autore sotto due aspetti.
(( Il primo consiste nell'escludere tutti i soggetti immeri-
« tevoli e nel prescegliere le persone di merito; il secondo
« nel saper assegnare a ciascheduno il suo luogo. Posti
« questi principi (conclude), a me sembra che già da molto
« tempo si fosse o perduta, o dimenticata la scienza degli
« uomini », e ne adduce in pruova, con liberissime parole,
nomi e fatti recenti.
Nel III articolo (Si sciolgono le ohie^toni contrarie al
piano di riforma^ indovinando le opposizioni, « che o per
« la loro apparente ragionevolezza, o per il peso, che fos-
« sero per attaccarvi le persone impegnate a sostenere gU
(( antichi abusi, potrebbero attraversare, e forse anche ro-
« vesciare del tutto l'opera importantissima della riforma »;
le riduce ai seguenti capi :
1. « Tutte le novità sono pericolose, massime in
« materie ecclesiastiche, e molto più in un'epoca, nella
(( quale si sono veduti li tristi effetti del rovesciamento
(( degU antichi sistemi.
2. « È cosa oltremodo difficile l' indurre gli uomini
« a rinunziare alle vecchie abitudini, segnatamente se siano
« conformi al loro genio ed ai loro interessi.
3. « Essendo il papa un principe ecclesiastico, ed
« essendo lo Stato, che egli gode, la dote della Chiesa
« romana, non vi è alcun inconveniente che si serva
« ne' diversi rami di amministrazione di soggetti eccle-
« siastici, essendo anzi conforme ai sacri canoni che li
^clla l'ita e degli scritti di G. oA. Sala 41
« vescovi ed i chierici amministrino il patrimonio della
« Chiesa.
4. « Il cambiare con forza e tutt'ad un colpo sistemi
«inveterati, urta l'opinione pubbHca; l'adoperare rimedi
« troppo forti, è un inasprire la piaga invece di curarla ;
« il pretendere l'ottimo ed il perfetto nelle cose umane, è
(( una chimera.
5. (( Eseguendosi la riforma nel modo, che viene
« progettata, verremmo a confessare pubbHcamente da per
(( noi stessi i nostri torti, e in vari articoli ci faremmo imi-
te tatori dei sistemi francesi, che sono e saranno in odio
(( perpetuo presso tutti quei popoli che ebbero la disgrazia
« di sperimentarli » .
Passando poi a ribattere ad una ad una le cinque op-
posizioni, scrive: « La prima difficohà è più apparente,
(( che reale. Se si tratti di materie ecclesiastiche, io sono
(( allenissimo dal proporre nuovi sistemi. Intendo anzi di
(( richiamar le cose agli antichi principi, ogni qual volta
(( siano quelH in contraddizione coi più recenti regolamenti.
(( Se poi si tratti di oggetti di altra natura, non è mio im-
(( pegno di rovesciare le basi del nostro governo, ma di
« consolidarle per mezzo di una più savia amministra-
« zione, e di una miglior scelta d'idonei ministri; non il
« cambiare legislazione, ma il perfezionarla con toglierne
« i difetti, e col renderle quel vigore, che aveva perduto o
(( per le calamità de' tempi, o per l'abuso degli uomini.
« Neppur la seconda difficoltà può recare imbarazzo.
« E pur troppo vero che gli uomini difficilmente rinunziano
« alle antiche abitudini, massime quando ne cavano partito
« per i loro vantaggi. Ma è vero altresì, che già vi hanno
<( dovuto rinunciare per la forza delle ultime vicende, ed
« e vero egualmente che le abitudini da distruggersi, se
(( sono care ed utili a qualche ceto di persone, sono disap-
(( provate dal pubblico, e riescono pregiudizievoli ad altre
« classi. Se gli ecclesiastici non continueranno ad esercitare
42 G. Ciig
moni
(( certi impieghi, questa privazione sembrerà loro alquanto
(( dura ; ma i laici all'opposto ne goderanno, e cesserà la
« doglianza, che li preti vogliono tutto per loro. Se l'erario
« del principe incasserà le sue rendite senza fiirne ingoiare
« la miglior parte dagli affittuari camerali; gli appaltatori
« grideranno, ma il popolo esulterà nel vedersi libero da
« tante avarìe. Se cesserà la collusione dei tribunali, se pe-
ce rirà eternamente il regno della sbirraglia, se verranno
(( abolite le franchigie ed eliminati tanti altri abusi; è ben
(( d'aspettarsi i reclami di chi vorrebbe perpetuare le liti,
« e non pagar mai li debiti, i clamori degl' ingordi satelliti,
« le querele dei diplomatici e de' potentati ; ma si udiranno
« in confronto le universali benedizioni per la pronta ed
« imparziale amministrazione della giustizia, per la cessa-
(( zione di mille strapazzi ed aggravi a danno de' poveri,
«per veder tolta l'impunità ai delitti e cacciate in bando
« le soperchierie e le prepotenze. Resta decidere se voglia
« preferirsi il privato interesse per non ascoltare doglianze
« passeggiere e irragionevoli di pochi, o non piuttosto
« promuovere il pubblico bene per non opporsi alli giusti
« e perpetui lamenti delle moltitudini.
« Per rispondere alla terza difficoltà è necessario fissar
(( bene lo stato della questione. Io credo che passi una no-
ce tabilissima differenza tra i patrimoni ordinari delle chiese,
c< consistenti in fondi, decime, oblazioni, il di cui prodotto
c( serve al mantenimento del divin culto, al sostentamento
c( de' vescovi e de' sacri ministri, al sollievo de' pupilli, delle
ce vedove e de' poveri ; e il patrimonio attuale della Chiesa
« romana, costituito da un dominio temporale, cui vanno
c( annesse tutte le prerogative di un'assoluta sovranità. Il
ce primo caso è contemplato dai canoni, e riguarda un'am-
ce ministrazione né molto vasta, né imbarazzante. Il secondo
ce caso però non solo é molto diverso dal primo, ma non
ce può nemmeno equipararsi all'antico stato della Chiesa
ce romana, quando cioè possedeva anche in lontane parti
^ella vita e degli scritti di G. (òi. Sala 43
« vastissimi fondi, senza però avere de' popoli, che le ap-
« partenessero a titolo di sovranità.
« Poche parole sono sufficienti a dileguare la quarta
«difficoltà: imperciocché li cambiamenti di un inveterato
« sistema allora soltanto urtano la pubblica opinione, quando
« prendono di fronte un ordine di cose o realmente van-
« taggioso, o riputato tale dalla maggior parte. Siccome
« però alla moltitudine poco importa che i giudici siano
« ecclesiastici o laici, purché venga amministrata la giusti-
« zia ; che gì' impieghi vengano assegnati piuttosto agU uni
« che agli altri ; che si lasci o si tolga il giro delle cariche,
« quante volte si vegga premiato il merito e promosso il
« pubblico bene; e siccome le persone illuminate conoscono
« i difetti, e ne desiderano l'emenda: così non è a temersi
« alcun urto pregiudizievole. Quanto poi é vero che i ri-
« medi troppo forti inaspriscono talvolta la piaga, invece
« di curarla, altrettanto é certo che i mali invecchiati esi-
« gono bene spesso ferro e fuoco, onde non degenerino in
« cancrene insanabiU. I palliativi poco o nulla giovano, ed
« é perciò che io suggerisco di dare alla radice del male,
« affinché non ripulluli dopo breve tempo.
« Mi spedisco pur brevemente dell'ultima difficohà. Io
« trovo scritto nei proverbi : Justus prior est accusator sui :
« e so che l' ingenua confessione de' propri errori concilia
« stima ed applauso, anziché discredito e biasimo. Alla per-
« fine errare humaiium est, e siccome molti de' nostri sbagli
« sono abbastanza noti, cosi quando anche avessimo ad
« incontrare delle critiche nel correggerli, sarebbero queste
« più miti e meno durevoli di quelle incontreremmo se ci
« ostinassimo a sostenere gli antichi difetti del nostro si-
« stema. Quanto poi all' imitazione degli altri sistemi, io
« non mi arresto per le difficoltà proposte, e considerando
« le cose in se stesse, senza cercarne gli autori, prendo il
« buono e l'utile ovunque lo trovi ».
Nel IV articolo (jyisposi:(ioni preliminari per la riforma).
44 ^- Cugnoni
premesso che « il primo mezzo essenzialissimo per ese-
« gli ire la riforma consiste nella scelta de' soggetti, che
« dovranno occuparsi di questo importante affare », vuole
che per le materie ecclesiastiche sia commesso l'incarico
a sacerdoti « i più distinti per dottrina, per esemplarità,
« per cognizioni pratiche » . Giacche « una scienza ordina-
« ria non sarebbe sufficiente all' intento ; una virtù me-
« diocre non concilierebbe il credito troppo necessario in
« chi è destinato a promuovere la riforma; e le sole co-
(( gnizioni speculative, senza le pratiche, non riempireb-
<( bero l'oggetto. Per gh oggetti temporaH potranno as-
ce sumersi indistintamente ecclesiastici e laici, dotati di
« probità e versati nelle materie legali, politiche ed econo-
« miche ». Per render poi meno malagevole l'attuazione
della riforma, propone di « prevenire immediatamente la
« ripristin azione di alcuni degH antichi abusi, che sarebbe
«poi troppo difficile di estirpare », e suggerisce « varie
« altre provvidenze, che appianino la strada » da battere,
per giungere alla meta.
Nel V articolo (Basi della riforma), dopo aver breve-
mente esposto il disegno del nuovo edifizio, ch'egli accin-
gesi ad innalzare, osserva che, trattandosi di oggetti spiri-
tuali, gU si potrebbe opporre « la dottrina di Paolo apostolo:
« Fundamentum alitid nemo potest ponerc, praeter id, quod po-
« situm est, quod est Chrìstus Jesus. E tosto soggiunge : « Ma
a Dio mi guardi dalla sacrilega temerità di toccare questo
«fondamento divino, che rimarrà saldo ed immobile sino
« alla consumazione dei secoli. Siccome però il medesimo
« apostolo soggiunge : Si quis autem super aedificat super
v^ fundamentum hoc, aurum, argentum, lapides pretiosos, Ugna,
(.(.foenum, stipulam, uniuscujusque opus manifestum erit: Dies
« enlm Domini declarahit, quia in igne revelabitur : et unius-
« cujusque opus manserit, quod superaedificaverit: mercedem ac-
« cipiet. Si cujus opus arserit detrimentum patietur ; cosi non può
« essere giustamente riprensibile un lavoro diretto ad edifi-
^clla vita e degli scrìtti di G. oA. Sala 45
<( care sullo accennato fondamento aiirunij argentum, ìapides
« pretiosoSj e ad escludere dalla nuova fabbrica tutte quelle
« altre materie, che potrebbero essere consumate dal fuoco.
« Si aggiunge che il nostro edifizio, simile ad una reggia,
(( la quale, oltre all'abitazione del principe, racchiude tante
« altre parti destinate ad albergare la sua corte, e a molti
« e diversi usi, servir deve a non pochi oggetti o affatto
« estranei, o non essenzialmente connessi con quella fab-
« brica immobile che a ninno è lecito di variare. Dovendo
« quindi il mio piano estendersi ad una serie ben lunga di
« articoH di ogni specie, se troverommi forzato alcuna volta
« a proporre un tal cambiamento di sistema, cosicché venga
(( qualche parte della mistica flibbrica a riedificarsi fino dai
« fondamenti ; non per questo potrà condannarsi il mio
« lavoro, e sarà all'opposto esente da ogni censura, e me-
(( ritevole di lode, quando concorrano a giustificarlo la ne-
« cessità o l'utiHtà ».
Fin qui il lavoro è tutto d'apparecchio. Lo svolgimento
ordinato della materia comincia dall'articolo VI, il quale è
dato all'argomento più importante e fondamentale dell'o-
pera, cioè la Separazione dello spirituale dal temporale. In
proposito di che, sebbene ravvisi l'autore per « una dispo-
« sizione ammirabile della divina Provvidenza, che il ro-
« mano pontefice riunisse alla dignità di capo della Chiesa
« il grado di principe sovrano assoluto »; nondimeno av-
verte « che la temporalità non è in alcun modo essenziale,
« anzi è affatto distinta dalla spiritualità ». Donde consegue:
1. « Che gli affari spirituali formar debbono il prin-
« cipalissimo oggetto ed impegnare le cure più assidue del
« romano pontefice, cosicché non rimangano giammai po-
« sposti agh oggetti temporali.
2. « Che in tutto deve singolarmente risplenderc la
« modestia e la gravità ecclesiastica, onde chiaro apparisca,
«che la sovranità temporale si considera come un acces-
« serio, e si fa servire unicamente al maggior decoro della
46 G. Cugnoni
« dignità pontificia, senza fasto e senza ostentazione, e al
« maggior vantaggio della Chiesa, senza vista d' ingrandi-
<( mento e di altri mondani interessi.
3. « Che per ottenere la bramata separazione dello
« spirituale dal temporale bisogna stabilire la massima, che
« tutte le cariche di loro natura secolari vengano conferite
<( ai laici.
4. « Che sarebbe conveniente che negli atti risguar-
« danti la temporalità si procedesse sempre con forme di-
ce verse da quelle si adoperano per gli oggetti ecclesiastici.
«Nel Bollano s'incontrano tante bolle relative ai pubblici
<( dazi, agli statuti di corpi d'arti e collegi, e ad altre cose,
« che nulla hanno che fare collo spirituale. Come ci entra
<( qui il titolo : Servus, servorum Dei, l'assoluzione dalle cen-
« sure, Ad effectum praesentium consequendum, il decreto irri-
« tante : Indignationem Omnipotentis Dei ac Beatorum Petri et
(.(. Pauli Apostolorum ejus se noverit incursurum ? Quando il
« sommo pontefice agisce come capo della Chiesa, parli da
« papa; quando esercita atti di sovranità, parli da principe.
« Cosi dalle stesse forme estrinseche renderassi manifesto
(( che, senza confondere le due potestà, si assegna a cia-
(( scuna il suo luogo ».
Nel VII articolo (Dell' ah atisnio) toglie a screditare la
«mascherata dell' abatismo», cioè l'invalsa moda dell'abito
ecclesiastico « abusivamente adottato da tanti laici », la
quale « contribuisce in qualche modo a confondere lo spi-
« rituale col temporale ».
Neir Vili articolo {Cariche^ vengono considerate le ca-
riche « sotto due aspetti, cioè in quanto alla diversità loro,
« e in quanto alla scelta de' soggetti che debbono eserci-
« tarle ». Per ciò, che è della loro diversità, riferendosi
questa « alla stabilita separazione dello spirituale dal tem-
« porale, dovrà fissarsi colla possibile sollecitudine quali
« siano gl'impieghi, che rimarranno agli ecclesiastici, e quali,
« che apparterranno ai laici » . E del numero di questi se-
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 47
condi dovrebbero essere, per avviso dell'autore, « tutti i
<( governi, incominciando da quello di Roma ; tutte le
« aziende economiche, non escluso il tesorierato ; tutta la
« giudicatura criminale, buona parte della giudicatura ci-
« vile )). In ordine poi « alla scelta dei soggetti che deb-
« bono esercitare » le cariche sì ecclesiastiche e si laiche,
sebbene Fautore non si faccia a trattarne separatamente in
questo articolo, tuttavia dalla somma del discorso si rac-
coglie essere suo intendimento, che, attribuite le prime ai
sacerdoti, le più importanti delle seconde vengano confe-
rite ai laici, tenendo ragione non pure della loro idoneità,
ma ancora dei loro natali.
Negli articoli IX, X e XI {Franchigie - Uffici delle poste
straniere - Diritti feudali) si caldeggia l'abolizione degli
odiosi avanzi d'una età barbarica, e, a guarentire la spedi-
tezza e la credenza, massime per le faccende di Stato, del
commercio epistolare, si propugna l'annullamento de' cor-
rieri nazionah, per mezzo de' quaU a quel tempo « si fa-
« ceva tutto il carteggio cogli esteri » .
L'articolo XII {Sacro collegio) si aggira sulla riforma
dei cardinah, giusta le norme prescritte dai decreti del Tri-
dentino, ai quali « se si fosse tenuto dietro costantemente,
« non si sarebbero commessi degH errori assai pregiudizievoli
«alla scelta dei cardinali, ne sarebbe accaduto che nella
« distribuzione de' cappelli si contemplassero de' soggetti
« poco idonei, se non anche del tutto immeritevoH ».
Similmente nell'articolo XIII {Vescovi e vescovati) col-
l'autorità del Tridentino si richiamano in vigore gli antichi
metodi usati dalla Chiesa nell'elezione de' pastori, e minu-
tissimamente si annoverano le rare doti di virtù e di dot-
trina a questi necessarie.
Argomento del XIV articolo ò la Prelatura, La quale
« quantunque non formi una classe a parte nell'ecclesiastica
« gerarchia ; pure essendo specialmente addetta al servizio
« della S. Sede, e godendo di molte onorificenze e privi-
48 G. Ciignoni
« legi, deve riguardarsi come un ceto distinto nel clero,
« tanto più che rimane sempre illustrata da buon numero
« di soggetti ragguardevoli per nascita e per merito, ed è
« solita fornire quasi tutti i candidati pel rimpiazzo de' posti
« vacanti nel sacro collegio ». Dei tre modi, pe'quali con-
seguesi il grado prelatizio, cioè: « per compra, per processo,
« per grazia », l'autore vuole a eliminato affatto il primo »,
conservati il secondo ed il terzo; ma in quanto al secondo
non in modo che « il processo si riduca ad una formalità
« di poco momento », né che, in ordine al terzo, la grazia
cada sopra persone immeritevoli, « osservando la regola di
« Pio II: Dignitatibus viri danài, non viris dignitates ». Enu-
merate poi le cariche prelatizie, che dovrebbero essere tras-
formate in laiche, propone de' compensi pel ceto, che ne
verrebbe spogliato. E per ultimo ragiona de' nunzi, della
somma importanza del loro ufficio, e però della molta di-
ligenza, che è da usare nel trasceglierli.
Nell'articolo XV si tratta della riforma del Clero secolare,
che l'autore divide « in cinque classi », cioè: «,i. Capitoli
« delle basiliche e delle collegiate; 2. Parrochi; 3. Confes-
« sori e predicatori; 4. Impiegati nelle sagrestie e in altre
« incombenze, che non sono contrarie alla professione ec-
ce clesiastica; 5. La residuale turba di quelli, che non avendo
« alcun legame, per cui siano impegnati ad una determinata
« occupazione in servizio della Chiesa, o ne assumono di
« quelle contrarie ai sacri canoni, o passano la loro vita
« senza far nulla ». Annovera di ciascuna classe i difetti e
gli abusi, e ne suggerisce l'emenda. « Si tacciano giusta-
« mente (pglì scrive) vari de' nostri capitoli di una soverchia
« precipitazione nel salmeggiare, di una somma negligenza
« nell'esercìtare le sacre funzioni, di un indecente contegno
« di assistere al coro». Nota « quell'aria di dissipamento,
« colla quale alcuni canonici o passeggiano, o parlano, aspet-
« tando il segno del coro »; ne addita « altri sdraiati con
« ributtevole indecenza, altri taciturni nel tempo che dovreb-
T>ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 49
« bero cantare, altri occupati in discorrere coi loro vicini,
« altri trascuratissimi nel ministrare all'altare . . . Nell'afFac-
« ciarsi a qualche coro, dando semplicemente un'occhiata
« a queUi che seggono più alto, si direbbe che vi stanno
« come dominantes in cleris, e che il grado più distinto e la
« rendita più pingue danno loro un'esenzione da ogni legge,
« e un diritto di scaricare tutfto il peso dell'ufficiatura su
i( chi siede più basso. Se la cosa deve andare cosi, tor-
« nerebbe meglio il riempire li staUi di belle statue vestite
« in abito corale, e l'appHcare le rendite ad usi più pii. Ecco
« come sono trattate le funzioni le più auguste, come sono
(( edificati i fedeli, com'è servitala Chiesa. Che meravigha
« poi, se per que'canali medesimi, pe'quali dovrebbero scen-
« dere le celesti benedizioni, si schiudono sopra del popolo
« i vasi della collera divina ? »
Vuole i parrochi scelti fra i sacerdoti più dotti ed esem-
plari, provveduti di sufficienti rendite, e posti in grado « di
« star poco attaccati agl'incerti, e che la loro sussistenza
« non dipendesse in gran parte dagli emolumenti de' batte-
« simi, de' matrimoni e de' funerali ».
Biasima « certi predicatori alla moda, che rassomigHando
« niibes sino aqua, quae a ventis circumferuntur, predicano se
« medesimi in suhlimìtate scrmonum, in vece di predicare
« Jesum Christum, et hunc Crucifixum, e trasformano i per-
« gami in cattedre accademiche, e poco meno che in palchi
« scenici »; e certi altri, che, sebbene « pieni di zelo e di
« buone intenzioni », sono » cosi scarsi di scienza, e cosi
« infelici nel dire, che propriamente fanno pietà ».
Scopre tra i confessori « lupi divoratori delle anime », e
vuole bandito da questo ceto chi non abbia « le tre qualità
« desunte dal Salmista, bonitatem, et disciplinam et scientiam ».
« Degli ecclesiastici addetti in buon numero alle segre-
« terie delle Congregazioni, o applicati ad altre incombenze,
« che riguardano il servizio della Chiesa, o almeno non
« siano proibite dai sacri canoni », avverte che « sarebbe
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 4
jo G. Cugnonì
« assai meglio, che certe' incombenze si abbandonassero in-
« teramente ai laici »: e nota « che in passato a molti fa-
ce ceva impressione il vedere un prete nella segreteria de'
<( Luoghi di Monte : un altro in quella del Buon governo ;
« un altro in quella delle Finanze ».
Dei rimanenti preti, « che senza rendere alcun servizio
« alla Chiesa, eccettuato TufEzio, che recitano per disobligo,
(( e la messa, che celebrano per interesse; o fanno cose,
(( che far non dovrebbero, o fanno il grandissimo nulla »,
vitupera T inutile vita, nega loro ogni benefizio, e giunge
perfino a domandare, se non si abbia ragione « di asserire,
« che il soverchio numero di ecclesiastici reca pregiudizio,
« anziché vantaggio ». Ad evitare taU disordini consiglia
ai vescovi la severità nelle ordinazioni, e la retta educazione
de' chierici ne' seminari diocesani.
Nell'articolo XVI, destinato alla riforma àQ Regolari,
dopo una triste pittura della rilassatezza introdottasi ne'
chiostri, stabilisce « due principi : il primo, che li disordini
« delle comunità religiose erano giunti a tal punto, da me-
« ritare che Iddio le annientasse, come in gran parte se-
« guitò (i); il secondo, che siccome sta scritto iratus es,
(i) Su questo medesimo proposito scrive nel suo Diario, sotto
il IO settembre 1798: « Per questo tanti servi di Dio hanno asse-
« rito costantemente già da più anni, che sovrastavano grandi flagelli,
« massime per le colpe dei preti, frati e monache ». Le cose esposte
e discusse dal Sala in questo XVI articolo (Regolari) e nel succes-
sivo XVII (Monache) consuonano mirabilmente con quelle, che
Giulio Cesare Cordara venne svolgendo, intorno allo stesso ar-
gomento, nel suo scritto De. profectione Pii VI Pont. Max. ad aulam
Vindolonensem, pubblicato dal P. Giuseppe Boero della Compagnia di
Gesù. Se non che l'editore, (debbo queste indicazioni al mio amico
march. Gaetano Ferraioli) non so se o per difetto dell'esemplare,
dal quale trascrisse, o a bello studio, non ne mise a stampa il
luogo, al quale si riferisce questa mia osservazione, e che però
parmi opportuno di qui trascrivere dal ms. della biblioteca Vallicel-
liana segnato R. 93 : ed è l'esemplare che, offerto da Francesco
Cancellieri a Pio VI, dopo la dispersione della privata biblioteca di
niella vita e degli scritti di G. oA. Sala 51
« etmisertus es nohis ; così dobbiamo sperare ch'egli favorisca
« propizio r impresa della ripristinazione, quante volte nel-
(( l'effettuarla si abbia in mira unicamente la sua maggior
« gloria e il vantaggio della Chiesa ». Al quale scopo puossi
giungere per una sola via, quella, cioè, di cercare « d' in-
« dovinare ciò, che farebbero K santi fondatori, se tornas-
« sero al mondo ». E questo sforzasi di fare l'autore con
pieno e minuto discorso.
quel pontefice, acquistato da Ruggero Falzacappa, prete dell'oratorio,
fu da esso*, morendo, legato a quella insigne biblioteca. Il luogo si
rappicca alla pag. 145 dell'edizione del Boero, dopo le parole hene-
fìciis augendi, ed è come segue:
« At plus nimio excrevisse memoria nostra Franciscanorum, sive
« Observantium, sive Reformatorum, sive quos Cappuccinos nomi-
« nant numerum, sunt qui putant : nec vana, uti reor, eorum opinio
« est. Duplex certe malum inde manat in publicum. Alterum, quod
« sumptu publico alendi sunt, subtrahiturque saepe liberis, aut pau-
« perioribus quod in eos confertur. Alterum, quod agri magnam
« partem sine cultura, artesque ad socialis vitae usum institutae sine
« operis relinquuntur. Non enim in hos ferme ordines nisi proletarii,
« ac capite censi immigrare sunt soliti, ex agricolarum vel .opificum
« plerique gente, homines demum ad tolerandam labore vitam nati.
« Ex hoc autem genere hominum nunquam petitores, et candidati
« desunt, qui, si certam pecuniam ferunt, facile admittuntur. Atque illi
« quidem sacram cum petunt tunicam, nihil praeter Dei famulatum,
« vitamque sanctiorem et salutem animae sempiternam praetendunt.
« At ipsa re, vel commodo, vel ambitione plerique ducuntur. Nimirum
a paupertatem voluntariam vovebunt, ea tamen lege, ut panem cum ob-
« sonio nunquam in omni vita desiderent; et paupertatem necessariam
« eamque severiorem relinquent domi. Vestem induent e crasso ru-
« dique panno, nihilo meliorem habituri si viverent Inter suos. Com-
» modius ad extremum ducunt nocte concubia consurgere ad psal-
« lendas divinas laudes in tempio, quam ardente sole boves exstimulare
« et aratrum in agro ducere, aut laborem assiduum, diu noctuque
« insudare super incudem, aliamve inter sellularios artem exercere.
« Haec fere prima sanctae vocationis causa. Majores etiam illecebras
« habet ambitio. In ilio namque sacro ac venerabili amictu instar
« nobilium omnes sunt. Itaque claras amicitias cum potentioribus jun-
« gunt, ac matronarum saepe raensae accumbunt li, quorum germani
52 G. Cu g noni
Circa la riforma delle Monache, che è la materia del-
Tarticolo XVII, ed ultimo della parte del Piano stampata,
scrive: « Il primo articolo essenzialissimo è quello delle
« vestizioni. Anche ne' monasteri si offrono delle vittime
« deboli ed imperfette, e quel che è peggio, si consumano
« de' sacrifizi, non già volontari, ma forzati. Una monaca
« senza vocazione è il tormento di se stessa e dell' intera
« comunità. Parrebbe che questo caso fosse quasi impossi-
« fratres aut strigili fricant equos in stabulo, aut caligas in taberna
« consarcinant. Quid vero si quem in coenobio magistratum, si quam
« praefecturam adepti sint ? Supercilium tollunt, aequales alios suos
« et consanguineos vix obtutu dignantur. Superbiam hausisse diceres
« in schola humilitatis. Num proinde coenobia supprimenda ? Minime
«gentium. At multis partibus minuendum coenobitarum numerum
« prudens quisque facile opinabitur. Habenda ratio utilitatis, quam
« sive sacris ministrandis, sive divino serendo verbo in commune fe-
ce runt. At si pauciores idem possunt, cur ita multi sint cum tanto
« civitatis onere, ac reipublicae detrimento? Exiguum Jesuitarum col-
« legium, duodenum, ut summum, capitum, plus fere praestabat po-
« pulo, quam istiusmodi cucuUatorum quinquageni, aut eo amplius.
« Cur non ergo certus eorum numerus prò modo cujusque civitatis
« praefiniatur ? Id si cum debita auctoritate fìat, nemini credo vi-
ce deatur incongruum.
« Jam locus ipse me admonet ut, quando de coenobitis hactenus
« dictum est, nunc etiam de sacris virginibus panca dicam. Namque
« earum quoque plura coenobia Caesar suppressit. Visum id multis
« inhumanum, in eo praesertim principe, qui sua Consilia omnia in
« bonum humanitatis se dirigere profìtetur. Et si enim multae e junio-
« ribus ex arcto in apertum perquam libenter exierint, ast aliae senio
« consumptae, atque Inter suas auctoritatem adeptae, sive alia in coe-
« nobia, sive paternas in domos migrare cogerentur, rem indignissime
« accepere, contemptui videlicet futurae in posterum, aut magnam
« molestiarum molem laturae, quae pacate hactenus in suo mona-
« sterio nec indecore vixerant. Num vero id etiam, pontifìce assen-
te tiente, factum? Incertum: non tamen, si certas conditiones adjicias,
« incredibile. Sane ultra modum multiplicata sacrarum virginum mo-
« nasteria cernimus. Civitatem invenias, ubi capitum millia haud plura
« decem, aut duodecim, monasteria quindennis non pauciora nume-
te rantur. Horum minui tantisper numerum, abs re certe non erat;
belici vita e degli scritti di G. oA. Sala S3
<( bile ad accadere; eppure accade più di sovente di quello
« che alcuni pensano. Simile disordine non è nuovo, ma
<( pure dovrebbe essere cessato dopo gli anatemi fulminati
« dal Tridentino contro coloro, i quali quomodocumque coe-
« gerint aìiquam virgmem, vel vìduam, aut aliam quamcumqtie
« mulierem invitam, praeterquam hi casibus a jure expressis, ad
« ingrediendtim monasteriiimj vel ad suscipiendum hahitum cu-
« JHSCiimque relìgionis, vel ad emìttendam professionem; quiqiie
« modo optio detur virginibus eligendi quod malint, sive alìud in mo-
« nasterium transeundi, sive paternam in domum revertendi, et salva
« singulis honeste vivendi conditio sit. Ipsas enim virgines nimis
« crebro, ac nimis facile sacra inter claustra recipi, atque ad solemnem
« votorum nuncupationem admitti multi putant, utque variabilis est
« Ecclesiae disciplina, nonnihil temperandum hodie ejusmodi consue-
« tudinem arbitrantur. Quid enim? puella annorum vix decem, dum
« sacras inter virgines nutritur, vel amitae cujusdam blanditiis, mu-
te nusculisque capta, vel ipsa socialis, et innocentis vitae hilaritate pel-
« lecta, per causam sacrarum exercitationum, insolita pellente aetate,
« facile pronunciat, velie se quoque vitam coelibem in eodem mo-
« nasterio vivere, idque palam evulgat; quod semel imprudenti exci-
« dit, id postmodum revocare grandiusculae verecundia est. Subit
« interea rei familiaris angustia , honestarum conditionum infre-
« quentia. Quo magis a matrimonio deterreantur, nuptarum saepe
« molestias, et casus calamitosos sibi narrari audit. Quid vis? Ut
« primum per aetatem licet, ne sibi minus constare videatur, nec pa-
« rentum spem eludat, et vota, sacrum velamen suscipit, et cum in-
« genti apparatu solemnibus se votis obstringit. Cunctis videlicet hu-
« manae vitae oblectamentis momento nuncium remittit, seque intra
« angustum ambitum murorum includit ea lege, ut inde pedem ef-
« ferre nunquam in omni vita possit, idque praeter amictum rudem,
« victum tenuem, et severiorem saepe ordinis disciplinam, cui in
aperpetuum se subjicit: legem denique moUis et rerum inexperta
« virguncula sibi imponit, humanis prope majorem viribus, et quae
« miracull instar haberetur, nisi esset frequens, et quotidie oculis ob-
« vcrsaretur. Quid vero si decursu temporis vitae ejus, et carceris sa-
« tietas subeat? Quid si arder ille primus pietatis, quo nihil facilius,
« refrixerit? NuUumnc locum esse regressui? et idcirco doloro, ac rabie
« misera contabescat ? Haec mihi cogitanti, vcnicbat aliquando in
« mentem opinari, ferendam a pontifice legcm, in morcsquc inducen-
54 G. Cugnoni
« consilium, auxilium, vel favorem dederint ; quique scientes
« eam non sponte ingredi monastcrinm, aut habitum suscipere,
« aut professionem emittere, quoquomodo eidem actui vel prae-
« scntianij vel consensum, vel auctoritatem interposuerint. Quanti
« si bevono di queste scomuniche, non escluse le monache!
« Vi sono di quelle, che si affezionano soverchiamente a
« qualche giovane educanda, e cercano d' indurla ad ab-
« bracciare la vita monastica, dipingendolene tutto il buono,
« e nascondendolene tutto l'arduo e tutto Tamaro, che vi
« si trova. La fanciulla, che talvolta usci di casa prima di
« arrivare agli anni della discrezione, che nulla sa di mondo,
« e che s'immagina che l'esser monaca consista nel portare
« l'abito, nel cantare in coro, e nel mangiar paste ; si lascia
« facilmente persuadere, ed eccola già con una vocazione
« decisa, e con un fervore straordinario. Entra in prova, e
« viene trattata con molta indulgenza; incomincia il novi-
« ziato e vi trova una maestra, che la lascia fare a suo modo,
« e se mostrasi malcontenta per qualche poco di rigore, le
« dice, che da professa non avrà più legame, e sarà più
« libera. Nello scrutinio passa a pieni voti, perchè le pro-
«dam, ne qua deinceps puella sese votorum sacramento obligaret,
«nisi ad quìnquennium. Hoc evoluto spatio, si constaret animus, ad
« aliud quìnquennium vota protraheret, deinde ad aliud, donec annum
« aetatis quintum supra trigesimum esset supergressa, ac tum demum,
« si vellet, se obstringeret in perpetuum. Sic, ajebam, huic fluxae pa-
« riter, atque aeternae earum felicitati provisum iri. Ut minimum non-
« nihil emolliendum existimabam durum illud votum, quo se nunquam
« extra claustrum pedem elaturas spondent. Permittendum ut certa intra
« annum die prodire possint in publicum, circuire tempia, consangui-
« neos invisere. Exemplum Urbe praebuit Benedictus XIV, eoque pri-
« vilegio etiam nunc nonnullum monasterium aditur. Cur non etiam
« matrem sororesque identidem, cum bona antistitis venia, ad se intra
« claustrum admittant ? Id satis bonis vìrginibus ad solatium, ac leni-
« mentum aerumnosae vitae futurum, effecturosque dies paucos, ut toto
« anno vivant sua sorte contentae.Verum de bis viderit Summus Pon-
te tifex, cui Christian! gregis cura commissa.
« Ceterum non est, etc. ».
^ella pita e degli scritti di G. oA. Sala ^^
« tettrici la spalleggiano, il monastero ha bisogno di sog-
« getti, ed essendo in fondo una buona ragazza, si spera
« che poi diventi una buona monaca. Cosi F infelice pre-
ce nunzia li voti solenni, e quando non è più tempo si ac-
« corge di essere stata tradita, e si affligge e si dispera senza
« rimedio. Certe fanciulle poi, immolate dal dispotismo e
« dalla barbarie de' loro parenti, non possono nascondere
« il malcontento e T angustia, in cui si trovano ; eppure
« vengono ricevute ed ammesse alla vestizione e alla pro-
« fessione ». Ad impedire questa carnificina di anime in-
nocenti, vuole l'autore, che « non isdegnino i vescovi di
« esplorare essi stessi le monacande, tutte le volte che pios-
« sono, e trovandosi impediti, ne affidino l' incarico ad ec-
ce clesiastici dotti e sperimentati; esclusi sempre quelli, che
« abbiano dei rapporti col monastero, in cui rimangono le
« postulanti. E che in tutti i monasteri, prima de' scrutini
« per le vestizioni e professioni, si leggano tradotti in lingua
« volgare » i decreti del Tridentino risguardanti questa
materia. « Il fulmine delle scomuniche atterrirebbe le mo-
« nache, né più s'indurrebbero a dare il voto senza piena
« cognizione di causa, e molto meno per umani riguardi ».
Dopo ciò l'autore si fa a discorrere de' mezzi da risvegliare
ne' monasteri lo spirito di osservanza e di fervore, allun-
gando specialmente il ragionamento sulla scelta de'confes-
sori, e sulla severità della clausura.
Tale è in iscorcio la parte stampata del lavoro del Sala.
La quale, come prima fu divulgata, da altri venne messa
in cielo, da altri rabbiosamente maledetta; secondochè
l'affetto alla religione e al pubblico bene, ovvero il privato
interesse gli uni e gli altri diversamente stimolava. E giun-
tone rumore, certo per opera di qualche maligno, insino
a Vienna, dove il cardinale Ercole Consalvi era di que*
giorni a congresso coi deputati delle principali potenze
d'Europa; quegli, alla cui assoluta balla stavano allora le
cose dello Stato, comandò che senza indugio venisse im-
^6 G. Ciignoni
pedita la diffusione della stampa, e si adoperasse ogni pos-
sibile diligenza per ricovrarne gli esemplari già sparsi (i).
(Continua)
G. CUGNONI.
(i) Nell'archivio Vaticano trascrissi da un fascicoletto (nella cui
coperta è notato di pugno del Sala: 1814 - Piano di Riforma - So-
spensione del proseguimento della stampa, e ritiro de' fogli già distribuiti)
le seguenti lettere, che coUegansi con questo fatto.
I.
(c 18 luglio 1814. — A. C. — Sua Eminenza (il card. Bartolomeo
« Pacca) desidera dentro la mattinata di domani di parlarvi. Mi ha
« ordinato perciò di darvene un cenno. Lo eseguisco, vi abbraccio,
« e sono di cuore — AfF.mo amico S. Mauri ».
II.
« C. F. — Potete facilmente immaginarvi che anco la mia umanità
« non ha potuto non risentirsene. Conviene alzare gli occhi al cielo
« e tranquillizzarsi lo spirito col riflesso, che appunto le buone opere
« sono compensate dal mondo in tal guisa.
« Voi non ignorate che il pensiero del ritiro è in me nato non
« adesso, ma dapprima, e forsechè penserò a realizzarlo, se mi riu-
« scirà. Rispetto a voi però nelle attuali circostanze non mi sembre-
« rebbe opportuno il nudrire simili idee: conviene aspettare il tempo,
« che suol dare consiglio.
« Procurate di quietarvi, e nella Congregazione di dimani sera
« mostrarvi disinvolto, lasciando correre l'acqua dove vogliono, ba-
« standovi il testimonio della buona coscienza ed il desiderio del
« bene, che non permette Dio che si ottenga Addio, addio —
«Li 20 luglio 1814 — (Domenico Sala)».
III.
« 21 luglio 1814. — A. e. — Ho ricevuto la Raccolta, e la let-
« tera acclusami.
« Siate tranquillissimo sul vostro affare. Sono stato dagli E.mi So-
ft maglia, e Litta. Il primo mi ha detto, che il parlar chiaro giova
« all'affare, e non nuoce quando si mantiene il segreto, come è incul-
« cato ; il med. ha desiderato di non restituir le stampe, e mi ha
« detto, che ne avrebbe parlato questa sera col Card. Pacca ; il se-
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 57
« condo me le ha restituite, e vi assicuro, che si è lodato del vostro
« zelo, ma avrebbe desiderato che la materia non si fosse stampata
a per il timore che possa andare nelle mani dei nostri nemici. Non
« sto a riferirvi quello, che io ho detto. Sicuramente ho corrisposto
« ai sentimenti della nostra amicizia. Non ho potuto andar da Mattei.
« Il Card. (Pacca) mi ha detto che da questo Porporato sarà cura
« sua di ritirar le stampe. Non vi è dubbio che sarebbe stata più
«semplice la via che m'indicate per riaverle nelle mani, ma a que-
« st'ora ci vuol pazienza.
« Amico, scrivo tanto a rotta di collo, che non so quel che scrivo.
« Le faccende dopo l'arrivo di Giovannino (il cameriere del cardi-
« naie Consalvi) mi strozzano. Vi abbraccio. Addio — Aff.mo amico
« V. S. M. (Mauri) ».
EVOLUZIONE DEL TIPO DI ROMA
nelle rappresentanze figurate dell' antichità classica
§ I. — Introduzione.
LQ
•Jrj^ F^P^^'UTTE le antiche rappresentanze simboliche, ed in
f^i WjA ispecie le effigie delle divinità, hanno subito, come
b=^ gS^ era naturale, una modificazione progressiva se-
condo la modificazione progressiva delle idee e dei senti-
menti. Cosi, per esempio, il tipo di Pallade che noi troviamo
nei primordi dell'arte greca immaginato da Omero come
la vergine guerriera che gode delle battaglie (i) e nelle
sculture corrispondentemente figurata in atto di 7ipó|jiaxos,
o mentre scaglia il dardo, passa poi, coli' ingentilirsi del-
l'animo greco, dalla forza fisica alla più nobile espressione
della forza intellettuale, diviene cioè protettrice delle arti (2)
ed assume per suoi emblemi persino il fuso e la rócca (3).
(i) 'AsmvatTi Xaoadooi;: Omero, Jìiade, XIII, 128.
(2) Cosi nel concetto greco, essendo Pallade figlia di Giove, l'arte
è quasi nipote a Dio, come nel concetto Dantesco :
Vostr'arte a Dio quasi ò nipote.
Inf., XI, ICS-
(3) MOLLER, Handbuch der Arch., § 370.
6o qA. Tarisotti
Ora si poteva ben supporre che anche il tipo di Roma si
fosse cambiato secondo il cambiare de' tempi, ed è però
importante lo studio di tali trasformazioni. Inflitti nel corso
di questo lavoro noi vedremo come l'effigie di Roma, che
sul principio ha tale rassomiglianza con quella di Pallade,
da dover dar luogo a non poche false interpretazioni ed a
contestazioni tra gli archeologi, si discosta in seguito da
essa tanto da non potersi più affatto dubitare della sua iden-
tità; e progredendo ancora si riavvicina di nuovo alla Pal-
lade pacifica, anzi si sostituisce quasi ad essa, e finalmente,
dopo il tempo costantiniano, si stacca dalla simbolica pa-
gana, assumendo gli emblemi cristiani. Tutta l'evoluzione
completa ci mostra adunque, dirò così, la grande sintesi
della storia, mentre le piccole e direi quasi accidentah de-
viazioni dal tipo, le quali noi verremo via via notando, ci
riportano ai parziaH avvenimenti di cui sono immagine fe-
dele. Ma tutte queste osservazioni saranno fatte più diste-
samente a loro posto : intanto è necessario di fare qualche
osservazione generale sul presente lavoro. E primieramente
quanto alla sua utilità non è necessario spendere molte pa-
role, essendo fuor di dubbio che la retta intelligenza della
storia di un popolo e del suo carattere riceve luce grandis-
sima dallo studio dei monumenti figurati. Si potrebbe piut-
tosto dubitare se convenga far un tale studio sul tipo di
Roma, pensando che altri, assai più valente, ha già trattato
lo stesso soggetto. Ed infatti lo stesso pensiero era venuto
anche a me, quando, già fatta una parte di questo lavoro,
mi capitò r indicazione di un opuscolo del dotto Federico
Kenner intitolato appunto Die Roma- Typen. Ma quando, dopo
molte ricerche, potei averne una delle ultime copie, essendo
l'edizione pressoché esaurita, dovetti convincermi che, non
ostante la dottrina dell'autore e le sue acute ed erudite os-
servazioni, il suo lavoro era deficiente per difetto di mate-
riali e poteva bensì servir di guida allo studio del tipo di
Roma, specialmente per ciò che riguarda le origini, ma era
Evoliiiione del tipo di ^oma 6i
ben lontano dall' esaurire le ricerche che possono farsi su
quell'importante argomento, particolarmente riguardo al-
l'evoluzione di esso tipo durante il corso della storia romana
nel tempo della repubbhca e, ciò che è da notarsi assai
più, nel tempo imperiale. Il Kenner, alla p. 4, così si esprime:
« lo studio dei monumenti si poggia principalmente sulla
« numismatica », e basta questa frase per essere sicuri
che il suo lavoro si basa unicamente sulla numismatica:
io credo invece che si debba certamente tener conto del
materiale monetario, ma primieramente che esso non
debba essere la sola fonte; secondariamente che ciascuna
classe di tipi debba essere giudicata tenendo conto del luogo,
della circostanza in cui fu coniata e della persona che aveva
il maneggio della pubblica cosa al prodursi di ciascun tipo.
Che non debba essere la sola fonte risulta chiaro, se si ri-
fletta che l'impressione di una moneta è cosa puramente
ufliciale, e che perciò la determinazione di un tipo non di-
pende unicamente dal sentimento dell'artista, ma segue ne-
cessariamente, almeno in parte, quello che correva già sulle
monete del tempo precedente. All'opposto, la produzione
artistica è spontanea, senza vincoli di sorta e rappresenta
perciò il modo di sentire dell'artista, che è, specialmente
nell'antichità, interprete di quello del popolo. Potremo perciò
essere sicuri che i cambiamenti di tipo non vanno dalle
monete all'arte figurata, ma da questa alla numismatica, e
per conseguenza, seguendo esse la trasformazione e non
iniziandola, non potranno mai esser preferite ai monumenti
d'altra specie. Ho detto in secondo luogo che le monete
vanno giudicate tenendo conto delle circostanze di tempo,
di luogo e di persona: e qui ritorna lo stesso argomento,
LMacchè la moneta, essendo cosa ufficiale, ci darà la indica-
zione di un fitto, ma non l'apprezzamento che il popolo
portava su di esso. E per citare un esempio, una moneta
di Galba ci rappresenta Roma in ginocchio dinanzi all'im-
peratore stante che la solleva colla destra ; ed intorno v' è
62 (3^. Tarìsotti
scritto: ROMA RESTIT (i); ora qual valore possiamo noi
attribuire a questa rappresentanza se pensiamo che il popolo
non poteva davvero credere che Galba fosse il restitutor
Urbis ? Ecco forse la cagione che ha fatto sì che nel lavoro
del Kenner la parte che tratta del tempo repubblicano pro-
ceda abbastanza bene, mentre nella parte imperiale si è tro-
vato costretto a fare grandi classificazioni della immensa
varietà di tipi che si incontrano, aggruppandoli secondo la
somiglianza loro e secondo le leggende; sicché si perde
intieramente di vista lo svolgimento storico e razionale della
figura di Roma. A noi, all'opposto, che vogliamo seguitare
questo filo e conoscere qual fu il concetto che il popolo
romano ebbe di sé stesso, dai suoi primordi fino alla caduta
dell' impero, concetto che forma poi l'addentellato colle idee
medioevali e moderne, « a noi » dico « convien tenere altro
viaggio ». Noi adunque considereremo tutte le manife-
stazioni del pensiero artistico e reHgioso, senza per questo
trascurare le impronte monetarie, ma giudicandole per quel
che esse possono valere a dare un' idea del sentimento
popolare. Avremo riguardo, cioè, al fatto che può aver ca-
gionato una data impronta monetaria, il quale può essere
notevole come circostanza storica speciale, senza costituire
perciò da sé solo nel tipo e nell' idea di Roma quel muta-
mento che é invece il risultato di molti avvenimenti e di
molte idee nuove che entrano in circolazione, le quali non
possono dar luogo ad una notevole modificazione se non
dopo un lungo tratto di tempo. Ma non per tutto il corso
della storia romana potremo aver sott'occhio altri monu-
menti oltre alle impronte monetarie ; anzi, per tutto il tempo
della repubblica e per alcuni periodi speciaH durante l' im-
pero, non abbiamo che quelle ; questa mancanza però non
porta tanto danno allo studio quanto potrebbe a prima vista
sembrare. Infatti, nei primi tempi della repubblica, cioè
(i) Thes. Morelianus, Num. imp., tav. v, 12.
Epolu^wne del tipo di ^^oma 6^
quando si stabilisce dapprima il tipo di Roma, non v'era
una tradizione o consuetudine artistica né altre cause le
quali impedissero che il tipo, qual era nella mente di tutti,
a cagione delle comuni leggende, fosse liberamente e fe-
delmente effigiato con quella ingenuità propria delle civiltà
nascenti.
Nella seconda metà della repubblica poi, che prepara la
crisi per cui dalla forma libera si passò a quella della mo-
narchia, il tipo si mantiene uguale, come uguali alle prece-
denti restarono tutte le forme di governo, intanto che però
si maturava il rivolgimento che doveva dar luogo alla nuova
Roma ed alla nuova costituzione.
Nel tempo dell'impero la consuetudine artistica e l'es-
sersi perduta la fede sincera delle antiche leggende contri-
buirono a rendere convenzionali o false le impronte mo-
netarie, dando loro da un lato un carattere fisso ed ufficiale
per cui non seguivano più la tradizione in tutti suoi atteg-
giamenti, e dall'altro aggiungendo alla figura determinazioni
svariate che erano effetto dell'adulazione o di altre cause
estrinseche, invece di corrispondere al sentimento popolare.
Ma se il nostro studio, nella parte che riguarda l' impero,
si stacca da quello del già citato Kenner, e pel metodo e
pei materiali, nella prima parte non ci potremo contentare
di citarlo qua e là, ma dovremo fare una breve ed esatta
esposizione delle sue idee e delle sue conclusioni perchè si
possa poi più pienamente istituire il confronto in tutti quei
punti dove esse sono differenti dalle nostre.
Il Kenner adunque considera in primo luogo la tendenza
dei Romani alle astrazioni mitologiche, ed osserva che la più
alta di queste astrazioni, cioè il genius, era per essi la di-
vinità (i). Il tipo di Roma perciò si sviluppò sotto l'azione
di due leggi: i° il genio dello Stato che rappresentava l' idea
astratta di esso; 2° il ìnomento plastico, come egli lo chiama,
(i) Op. cit., p. 4.
64 C^- "Pan'sotti
che dA corpo e vita a questo genio. La prima idea dello
Stato, tutta appoggiata alla famiglia, si allarga e si rafforza
al tempo delle guerre sannitiche e delle guerre di Pirro. Le
virtù domestiche dell'economia e della unione stretta dei
vari membri sotto al capo di famiglia, divennero le virtù
politiche della sapienza di Stato e della forza guerriera.
Finalmente lo Stato romano si fa il centro dei popoli ita-
lici, protettore della loro nazionalità contro gli stranieri e
stabilisce la sua potenza accentrata strettamente e fortemente
in Roma e felice e rispettata al di fuori. A questo si rilega,
sempre secondo il citato autore, lo sviluppo dei vari culti
di Fortuna, Mens, Concordia, Salus, Honor, Virtus, Vi-
ctoria, ecc., nelle quali si trova, come diviso fra tutti, il
genio dello Stato. L'aver Roma riunito, al tempo di Pirro,
insieme ai popoli italici anche i popoli greci fu cagione che
ella da questi prendesse la forma colla quale rivesti il suo
genio. La Pallade Poliade di Atene e la Corinzia, dopo le
ultime trasformazioni subite dall'arte greca al tempo ales-
sandrino, poterono ben passare ad essere protettrici di città
e servire per le impronte monetarie: sicché per essere il
culto di Pallade sparso per la Grecia e per le colonie, le mo-
nete delle città della Magna Grecia ebbero nel diritto la
testa di Pallade Poliade o sul rovescio la figura di Pallade
Corinzia. A questo contribuì anche la tradizione di UHsse
rapitore del Palladio, e di Enea diffusa generalmente per
ritaUa e i racconti di Dionigi di Alicarnasso, di Servio, di
Pesto, Qcc. fecero sì che la testa di Pallade Poliade passasse
anche sulle monete romane a figurare il genio della città (i).
Questa prima effìgie dei diritti delle monete non è però da
prendere come divinità, ma come segno della città, e perciò,
(i) « Die Romasagen beweisen nun, dass diese mythologische
« Form einer Stadtgottheit, nàmlich die in Athen organisch entwickelte
« und als Vorbild von Stadtgottheiten weithin verbreitete Polias, im
« Bereiche griechischer Auffassung auch auf die Roma als Genius
« der Stadt Rom, ùbergegangen sei ». Op. cit., p. io.
Epoluiione del tipo di ^l{oma 6^
agli occhi del Kenner, essa ha un significato più storico che
mitologico ed è perciò nulla più che la città abitata dai
Romani. Inoltre le teste poste sui diritti delle monete ri-
masero più o meno sempre uguaH ; ma i rovesci, che por-
tavano l'intera figura, presentano molti cambiamenti ed è
su questi che principalmente bisogna fermar l'attenzione (i).
Fatte poi brevi osservazioni sulle monete barbariche di
Spagna e di Gallia, dice che esse portano il medesimo capo
sul diritto, perchè la somiglianza colle monete romane dava
credito alle loro nei lontani confini. Finalmente osserva che
il tempo fra Pirro e le guerre di Sulla è della massima im-
portanza per la rappresentanza di Roma e spiega la scom-
parsa quasi totale dell' immagine di Roma dalle monete di
quel tempo col dire che l'idea dello Stato era rimasta offu-
scata dietro la confusione e l'agitazione dei partiti, ma era
per rinascere con nuove forme e che così il capo di Roma
scomparì dalle monete per ritornare più tardi come divinità.
Negli ultimi tempi della repubblica le conquiste estese ave-
vano turbato il sentimento di nazionahtà italica degli an-
tichi tempi : una monarchia che comprendesse tutto il mondo
conosciuto era lo scopo proprio del tempo, e questo scopo,
essendo riuscito ai Romani meglio che a qualunque altro
popolo, fece sì che alla perdita della nazionalità si opponesse
in qualche modo una reazione dello spirito romano fondata
sulla forma. Cosi la rappresentanza di Roma sostituì il mondo
delle divinità degli altri popoli. Questo stesso movimento
continuato negli ultimi due secoli della repubblica fece
cambiare aspetto alla famiglia, la cui importanza fu assai
limitata, e fece sparire il partito nazionale. La trasformazione
delle città italiche e la plebe, divenuta vero partito, diedero
origine ad una nuova divisione (fella società, nella quale non
ebbero importanza che tre classi ; senatori, commercianti e
soldati. All'amor patrìo si sostituì T interesse personale e per
(0 Op. cit., p. 15.
Archivio della R. Società romana di storia fiUna. \'ol. XI. 5
66 ■ Q/l. Tansottt
niun altro scopo si fecero le agitazioni politiche che per
salire al potere ed aver in mano i beni dello Stato. Tutto
ciò doveva produrre naturalmente una certa noncuranza
della costituzione, e perciò far entrare nell'allegoria il mo-
mento ufficiale (i).
Ma in mezzo a tutto questo rivolgimento essendo ri-
masto lo spirito guerresco, era naturale che la forma più
conveniente della quale fu rivestita V idea allegorica dello
Stato fosse quella di un'eroina contraddistinta da emblemi
militari. Tuttavia anche lo spirito guerresco si era cambiato
e mentre per l' innanzi era una conseguenza dell'amor patrio
e della conservazione della propria indipendenza, divenne
poi la guerra un'arte, la vittoria non più del paese ma di
un partito ed un obbligo dei soldati. Di qui nacque l' idea
di un destino che assicurasse a Roma continui trionfi, ed
essendo costante la fortuna dei Romani, e non interrotta la
serie delle loro vittorie, la dea di esse divenne un attributo
costante dì Roma: finché quando lo Stato fu riunito nelle mani
di un solo, la Fortuna fu tutt'uno col suo governo. Da ul-
timo le religioni e le divinità di tutti i popoli conquistati,
trasportate in Roma ed in certo modo riconosciute ufficial-
mente, mentre perdettero la loro nazionalità, servirono a
stringere sempre più i popoli stessi al dominio romano. Cosi
queste stesse divinità nelle loro rappresentanze partecipa-
vano, per cosi dire, dell'autorità dello Stato, ciò che atte-
stava che le religioni dei vari popoli erano anche religioni
ufficiali, ma attestava ancora che essi popoli erano allo Stato
soggetti, e da questa doppia significazione delle allegoriche
rappresentanze delle divinità straniere prese le mosse Y al-
legoria ufficiale 'dello Stato e dell'imperatore (2). Tracciata
cosi a grandi linee la strada percorsa dall'allegoria, torna il
Kenner ad esaminare le singole specie di rappresentanze per
(i) Op. cit., p. 19.
(2) Op. cit., p. 21.
Evoliiiione del tipo di ^oma 6j
dimostrare come esattamente esse corrispondano alle idee
da loro simboleggiate. E primieramente egli considera la
figura intera di Roma quale apparisce sulle monete : e come
ha già dimostrato la connessione che esiste tra il capo di
Roma delle monete consolari e quello di Pallade Ippia delle
monete greche, cosi opina che l'intera figura di Roma sia
stata presa dalla figura di Pallade Ippia che con vari sim-
boli s' incontra sulle monete delle città rappresentata come
divinità eroica. Questa appHcazione è resa facile dal fatto
che la testa di Pallade, appunto a cagione di questa sua va-
rietà di simboli, aveva finito per perdere il suo significato
speciale ed assumere quello di fondatrice di città. Di più gli
autori nei racconti delle fondazioni delle varie città confu-
sero le fondatrici con ninfe ed amazzoni, le quali però non
erano le stesse che quelle della Cappadocia, ma riunivano
in sé stesse lo spirito guerresco di quelle con ciò che rima-
neva ancora dei caratteri della Pallade Poliade. In questo
modo anche le prime figure di Roma sono prese da queste
amazzoni o ninfe, e ciò con tanta maggiore convenienza
considerando il carattere guerresco della città e della sup-
posta fondatrice^ che segui nella figura il tipo della amaz-
zone di Fidia o di Sosicle.
Considerate così le cose, il Kenner divide le monete
della repubblica in due gruppi: alcune non mostrano che
una rappresentanza della città; altre si rilegano a memorie
storiche. In quelle del primo gruppo è Roma considerata
come divinità locale protettrice della città e come tale effi-
-giata, cioè sedente con armi, con corto abito, e colla mam-
mella destra o sinistra scoperta. In quelle del secondo gruppo
ci si mostrano invece diversi avvenimenti, poiché secondo
i casi Roma apparisce come guerresca, o come vittoriosa,
o come pacifica, qcc. Da ultimo lo stesso autore osserva
che la figura di Roma, anche nel suo massimo sviluppo,
non ebbe mai \;ilore di divinità. La sua superiorità come
Stato e come cultura non era ancora generalmente sentita
^8 qA. Tarisotti
e, poggiando su ciò la divinità di Roma, ne derivò che essa
fu solò potenza materiale e superiorità di forza alla quale i
popoli necessariamente sottostavano : e perciò fu una divi-
nità meramente terrestre e senza alcuna idealità.
Bastano queste poche parole sul modo che il Kenner
ha tenuto nel corso di questa trattazione, per intendere su-
bito che egli prima delinea, per così dire, una' storia ideale
e razionale delle modificazioni che l'allegoria subì necessa-
riamente secondo le diverse condizioni dello Stato romano
e poi procura di mettere d'accordo le conclusioni tratte dalla
teoria coi tipi che si incontrano sulle varie monete.
Certamente le idee fondamentali circa il primo sviluppo
dell'allegoria presso i Romani e del significato tutto patrio
che avevano le prime divinità latine di Mens, Concordia,
Honor, Virtus, qcc. non si possono mettere in dubbio :
ma non è cosi di tutto il resto. Abbiamo veduto come
il Kenner dica, che la forma onde fu rivestita la prima idea
allegorica di Roma fu data dal contatto coi popoli greci (i).
Ora questa giusta osservazione è da lui connessa colle altre
sulle trasformazioni del tipo greco di Pallade Poliade ed
il passaggio che ella fa a significare una divinità protet-
trice di città : e similmente egli conclude col dire che, in
forza di questa mutazione, la testa di Pallade passò a rap-
presentare Roma sulle prime monete della repubblica, cioè
che quella testa fu l'espressione figurata del genius dell'al-
legoria astratta.
La verità di questa conclusione ci sembra assai discu-
tibile, a cagione della incertezza del significato che si deve
attribuire alla testa colla galea alata, che forma il distintivo
del diritto delle monete romane dei primi secoli e di molte
altre monete italiche. Non dissimuleremo la gravità della
questione nella quale ci è d'uopo entrare in questo mo-
(i) Op. cit., p. 7.
Evoliiiione del tipo di ^J{oina 6^
mento: Olivieri (i), Eckhel (2), Aldini (3), Mommsen (4),
Cavedoni (5), Klùgmann (^6), Friedlander (7), Zoega (8)
la esaminarono già con risultati differenti, e sarebbe te-
merità il pretendere di definirla; noi non aspiriamo a tanto:
solo chiediamo che ci sia permesso di esprimere una no-
stra opinione, la quale, concordando in parte con alcune
delle già espresse, ne differisce solo perchè tende a togHere
alla suddetta testa quel significato preciso e sicuro che
gli archeologi delle due parti le hanno voluto dare. Rias-
sumiamo qui in poche parole la questione secondo che
dice FAldini. Dal tempo dell'Orsino, che aveva detto: « Ar-
<( genti notae antiquiores fuerunt Romae galeatae imago ex
« una parte et Castorum signa equitantium ex altera », tutti
gli archeologi, sicuri su questa autorità, avevano attribuito
alla dea Roma, ossia al genio della città, la testa muUebre
armata di galea alata ed adorna il collo di monili. Anni-
bale degli Abati Olivieri, trovando questa medesima testa
sopra una moneta sannitica del tempo della guerra sociale,
dubitò che potesse simboleggiare Roma, ma non trasse
nessuna conclusione.
L' Eckhel (9), poi, riprendendo gli argomenti dell'Oli-
vieri ed aggiungendone altri, dichiarò invece che l'effigie
della moneta sannitica, come anche quelle romane, rap-
presentavano Pallade vincitrice. Questa interpretazione,
accettata dal Mionnet (io), dal Sestini (n), dallo Zan-
(i) Saggi accademici di Cortona, IV, 133.
(2) Doctr. num. vet., V, 84.
(3) Sul tipo prim. delle moti, della rep. rom., p. 201 e sgg.
(4) Gesch., d. rom. Mun^wesen, p. 287.
(5) Num. Fmnc, p. 26.
(6) Vefigie di Roma sui tipi monetali più antichi, p. 46 e sgg.
(7) Uebersicht, p. 185.
(8) Bassorilievi, I, 143, n. $.
(9) Op. cit., proleg.
(io) Catalogo univ.
(11) Catalogo del museo Fontana.
70 C^. Varisotti
noni (i), dal D'Ailly (2) e dal Cohen (3), lasciò sospesi tut-
tavia lo Schiassi (4), il Cavedoni (5) e il Borghesi (^), che
abbandonarono l'antica denominazione di testa di Roma ga-
leata, sostituendo ad essa quella di « solita testa con galea
alata », invece di quella eckheliana di caput Palladis ga-
leatum. Erano a questo punto le cose, quando l'Aldini (7),
opponendosi all'Olivieri ed all' Eckhel, credè con argomenti
riconosciuti poco convincenti anche dal Kenner, suo stesso
fautore (8), poter dimostrare che quella tanto disputata
testa fosse invece di Roma. Il Kenner, in una lunga e dotta
nota (9), torna a rivangare la questione, stabilendo che,
sebbene il capo galeato simboleggi Roma, fu in origine
Pallade Poliade. Inflitti, se per ispiegare il citato tipo san-
nitico l'Aldini potè dire che era naturale il capo di Roma
su quella moneta, perchè i Sanniti lottavano solo con un
partito, che negava loro la cittadinanza (io), non si potrebbe
ripetere altrettanto, né si potrebbe trovare un qualunque
appiglio per le monete greche diTurio (i i), Metaponto (12),
Velia (13), Camarina (14) ed anche di altre città (15), che
hanno lo stesso capo di Pallade Poliade, a cui è stata ag-
(i) Notii. dei den. trovati a Fiesole.
(2) Rech. sur la mon. rom.
(3) Descript, gen.
(4) Ritrov. di med. cons.
(5) Ragguaglio.
(6) Osserv. num.
(7) Op. cit , p. 5 e sgg.
(8) Op. cit., p. II, n. 3: «Aldini dessen Beweìsgrunde dafùr
« dass dieser der Kopf der Roma sei eben nicht sehr einleuchtend und
« uberzeugend sind ».
(9) Op. cit., p. II, n. 3.
(io) Op. cit., p. 7.
(11) V. Carelli, Num. It. vet., tav. clxvii, 27.
(12) Ivi, tav. cLvi, 136.
(13) Ivi, tav. cxxxix, 43-45.
(14) PooLE, Catalogue of greek coins, p. 40.
(i-j) Il Kenner cita anche le città di Eraclea Brutti! e Siracusa.
Evoluzione del tipo di ^oma 71
giunta l'ala sull'elmo, cosa che ha fatto subito pensare che
sopra quei tipi si modellassero gli artisti che coniavano in
Roma (i). Inoltre, lo stesso autore dell'opuscolo Die Roma-
Typen crede ragionevolmente che l'aggiunta delle ali sul-
l'elmo sia in relazione coU'arte etrusca, già per tanti rap-
porti corrispondente allo stile corinzio, e nella quale le
ali erano segno di protezione divina. Quanto agli altri or-
namenti osserva che la Poliade eginetica e quella di Fidia,
come anche quella delle monete italiche, essendo conside-
rata come dea protettrice di città, aveva naturalmente tutti
quegli ornamenti dei quali i popoli che la toglievano a
loro patrona erano vaghissimi, come moniU, collane e si-
mili (2). Gli unici cambiamenti essenziali, evidentemente
fatti a bella pòsta, per dare al tipo di Pallade il significato
di divinità tutelare (3) invece di quello di divinità olim-
pica, sono lo sguardo audace e bellicoso dell'effigie delle
monete, invece che dimesso e tranquillo di Minerva, e la
bocca larga e dura in cambio di quella sottile e sorridente
di questa: mentre la vera Pallade rivien fuori, anche sulle
monete romane, coli' egida e senza ali sull'elmo. Tutto
questo è assai ragionevole, ma dimostra solo che il capo
di Minerva sulle monete greche aveva assunto questo si-
gnificato di dea tutelare della città: ma i Romani, che non
avevano assistito alla trasformazione di quel tipo, potevano
intenderlo allo stesso modo ? Dove sono le prove per di-
mostrare che sulle monete romane esso passò a significare
Roma ? O piuttosto, considerando che mai la figura di
Roma ebbe elmo alato, e fino a tempi assai tardi non ebbe
ornato di sorta, non siamo piuttosto persuasi che quella
impronta delle monete greche, trasportata in Roma dovette
restare, per dir cosi, estranea al sentimento del popolo ro-
(i) MoMMSEN, Gesch. der ròm. Mun^w., IV. Abschnitt, p. 294.
(2) Kenner, loc. cit.
(3) Ivi.
72 G^. ^arisotti
mano ? Alla prima di queste osservazioni, accennata già
dall'Olivieri, risponde l'Aldini (i) domandando « dove si
« abbiano altri monumenti di scultura romani del quinto
« secolo, allorquando fu immaginato quel primo tipo sic-
« come proprio e generale alla moneta di argento per la
«prima volta fabbricata nella romana repubblica ». Ma c'è
bisogno forse di ricorrere alla scultura ? Non vediamo su-
bito appresso alle prime emissioni di quadrigati e bigati
venir fuori la figura intera di Roma colla galea senza ali
e senza ornamenti al collo? La testa del diritto non ha
dunque nulla che fare con quella della figura del rovescio.
Ed è anche naturale che il capo colla galea alata venisse
ad ornare le monete di Roma, poiché gli artisti greci che
le coniarono seguirono il modello che avevano sott'occhio,
cioè quelle che essi stessi usavano : ma il popolo che ri-
ceveva e si serviva di queste monete, doveva dare a quella
testa solo il significato di un puro simbolo monetario. Si
potrebbe anzi a questo proposito congetturare che, come le
città della Spagna (2) e di altre provincie assunsero più
tardi questo tipo, perchè, corrispondendo a quello usato
in Roma, dava credito alle loro monete (3), così Roma
abbia preso ella medesima alla sua volta la testa della Pal-
lade Poliade delle città greche perchè il denario della na-
scente repubblica acquistasse quella sicurezza e quel cre-
dito che aveva quello dei fiorenti empori commerciali della
Magna Grecia. È anzi da osservare che le monete di ar-
gento furono per la prima volta coniate in Roma nel 48^
d. R. (4), cioè dopo la presa di Taranto, quando la repuh*
(i) Op. cit., p. 6.
(2) Valentia, Carmo e Sagunto. V. Mommsen, R. G., I, 495, II, 280;
Florez, Medallas de las colonias de. Espana, tav. lxv, 15, lxviii, 5-8;
MioNNET, Descript, des mon. atti., I, nn. 55, 8, i, io; Ackermann,
Ancient coins Hispania, p. 113.
(3) Secondo che osserva il Kenner, op. cit., p. 16.
(4) Liv. Epit. XV; Plin., Hist. nat., XXXIII, 3, 44; Mommsen,
Gesch. der ròm. Mun:(w., IV, 4, p. 300.
Epoluiione del tipo di T{oma 73
blica romana era in pieno possesso delle città della Magna
Grecia, ed anche per questo riguardo era naturale che da
loro prendesse il suo tipo monetario. Né vale dire che quelle
città fossero allora in decadenza, perchè cosi non era di
tutte: Taranto, per esempio, era ancora abbastanza pro-
spera, ed anche qualche sua moneta ha per impronta la
testa coir elmo alato (i), e se questa è non tanto comune,
ciò non può far difficoltà, dovendosi supporre che i Romani
scegliessero un tipo che non fosse speciale di questa o
quella città, ma comune a quasi tutte, come quello della
Pallade Poliade coli' elmo alato. Inoltre le varie monete
greche che nel diritto avevano cosi una rappresentanza co-
mune, si distinsero Funa dall'altra pel rovescio, sul quale
si riunirono i significati allegorici e gli emblemi caratte-
ristici di ciascuna città. Mi sembra adunque che nella ri-
soluzione della questione della così detta testa di Roma
sia di grande importanza il tener conto dei rovesci, la qual
cosa non credo che sia stata notata da altri.
Ed invero la relazione intima che corre tra il diritto ed
il rovescio di una moneta non si può negare : cosi quando
una nota caratteristica od una leggenda non entra più da
un lato, si trasporta sull'altro, come avvenne allo stesso
nome ROMA, che dovette abbandonare il suo vero posto
nel rovescio e fu scritto spesso sul diritto sotto una testa
di Giano o di ApoUine. Ora, posta una tal relazione, chi
non vede come il vero emblema allegorico di una moneta
romana, per es. dell' aes grave, sia riposto nella prora di
nave e non nella insignificante testa del diritto ? Sul ro-
vescio si scrissero i nomi delle città e si incisero tutti i
simboli relativi alla loro posizione geografica, al loro com-
mercio, alla loro ricchezza e cosi via, mentre il diritto restò
in genere occupato dalla testa delle divinità. Cosi, nelle mo-
nete greche, il delfino, il fascio di spiche, l'eroe TAPAi]
(i) Carelli, op. cit., tav. cxvi, 249.
74
Gf. Tarìsotti
non sono essi segni assai più espressivi di una testa di
Giove o di Paliade ? Lo stesso fatto si ripetè ancora sulle
monete romane imperiali, il cui diritto fu intieramente oc-
cupato dalla testa dell'imperatore, mentre sull'altro lato
furono effigiati gli avvenimenti principali del tempo : e con-
giarì ed edificazioni di templi e spedizioni militari e am-
bascerie e giuochi nel circo formano, colle loro figure,
importantissime pagine di storia. Se una moneta adunque
di Turio o di Metaponto ci offire sul diritto quella me-
desima testa che troviamo sopra un denario romano, po-
tremo noi dare ad essa un significato in qualunque modo
simbolico ? Certamente no : Turio, Taranto, Metaponto,
Camarina e le altre, quantunque si distinguano realmente
pei rovesci, essendo tutte città greche, mantengono tut-
tavia un legame comune nella testa di Paliade Poliade o
di una qualunque divinità loro comune protettrice, che
risalga in certo modo a quella: mentre per Roma non si
può dire altrettanto, si perchè i Romani sentivano poca o
ninna relazione con Paliade, e si perchè la vera personi-
ficazione della città ed il vero genio di Roma si svilup-
pano poi in modo assai differente e meglio rispondente al
loro sentimento nazionale. E neppur si può dire, come il
Kenner, che quella testa indichi la città abitata dai Ro-
mani (i), perchè nessun simbolo topografico indica che
essa sia Roma piuttosto che un'altra città e perchè ad una
originaria immagine di divinità accennano chiaramente le
ali sull'elmo ed il fiero carattere della testa stessa. Dunque
dovremo dire che essa, trasportata sulle monete romane, se
non ha ripreso l'antico significato di Paliade, non abbia
(i) « Mochte Roma immerhin den Helm, das Haar, den Schmuck'
« der Pallas haben, sie war deshalb doch nicht mehr in der Auffas-
« sung der Ròmer, als die Stadt, in der sie wohnten, oder hòchstens
« noch die Stadt Rom gegenùber von Italien ». Op. cit., p. 14. Non so
come tragga questa conclusione mentre questa testa non ha nulla di
nazionale, ed è ripetuta anche sulle monete di altre città d' Italia.
Epolu\ione del tipo di T{oma 75
avuto alcun significato inteso verarfiente dal popolo, ma
sia stato invece, ripetiamolo ancora, un puro simbolo mo-
netario messo là come conseguenza di una lunga tradizione
esclusivamente artistica (i).
Ma ciò che ha tratto in errore gli archeologi si è, a
parer mio, Tessersi sviluppata poi la personificazione di
Roma colla galea in capo; circostanza che ha fatto loro
rilegare due figure affatto differenti; cioè, Tuna con elmo
alato in capo e con cimiero ed intorno al collo monili ed
altri ornamenti, cose tutte che accennano ad un vestiario
dell'intera persona corrispondente alla ricca acconciatura
del capo; l'altra invece che ha qualche volta il capo sco-
perto, ovvero coperto con un berretto firigio o con un sem-
plicissimo elmo basso e senza cimiero e vestita poi in modo
rozzamente guerriero. Per lo contrario le altre cittcì che
nelle loro rare personificazioni non ebbero figura guerriera
non fecero venire in mente ad alcuno che potessero avere
qualsiasi relazione col capo di Pallade Poliade. Finalmente,
anche lo stesso Kenner osserva (2) che le teste dei diritti
restarono sempre uguali e che è sulle intere figure del ro-
vescio che bisogna fermar l'attenzione per lo studio dei
cambiamenti del tipo di Roma che seguono quelli dell'alle-
goria e dell' ideale politico del popolo, ed io aggiungo che
questo fatto ci dimostra ancora una voha che la testa dei
diritti delle monete non rappresenta Roma, tanto più che
col progredire dello Stato romano quell'antico capo termina
per iscomparire dalle sue monete. Dopo di che, flicendo
tesoro dell'osservazione dell'autore tedesco, entreremo senza
(i) Non istaremo qui a ripetere gli eccellenti argomenti addotti
dal Klùgmann per dimostrare che la testa coll'elmo alato non può
avere la significazione di Roma; ci limiteremo perciò a rimandare
alla p. 46 e sgg. del suo lavoro già citato, dove egli esamina la que-
stione con sicurezza e precisione straordinaria.
(2) Op. cit., p. 15.
7^ QA. Tan'sotti
più a parlare dello sviluppo della figura intera di Roma,
delle sue caratteristiche e della sua origine.
§ 2. — Origine del tipo
e suo svolgimento sopra i denari repubblicani.
Un fatto abbastanza strano si. è quello di trovare dap-
prima personificata Roma nelle città greche dell' ItaUa e
dell'Asia Minore (i), tra le quali Smirne le aveva già
dal 559 di R. innalzato un tempio (2). La cagione di
questo fatto mi sembra si possa giustamente attribuire, se-
condo che osserva anche il Preller (3), all'avere le città
greche dell'Asia Minore volto lo sguardo a Roma per averne
appoggio, seguendo l'esempio di Rodi e dei re di Pergamo;
tanto più che il secondo tempio alzato in onore di Roma
da un'altra città greca, Alabanda, fu in seguito ad un'am-
basceria spedita a Roma per la guerra che alcune città ave-
vano intrapreso contro Perseo. Quanto alla dedicazione di
questi templi, siccome il culto di Roma ebbe poi uno svi-
luppo sino ai tempi tardi, ne faremo oggetto di un capitolo
speciale. Per ora, accontentandoci di questo cenno che è
in relazione colla figura di una moneta dei Locri epizefiri
che esamineremo più tardi, vediamo qual fosse e donde
fosse presa la figura di Roma. È noto che essa fu dapprima
personificata sotto le sembianze di una donna con corta tu-
nica succinta che lasciava scoperta una mammella, ordina-
riamente la destra, con una piccola e sempHce galea in capo,
parazonio al fianco ed asta in mano. Generalmente seduta,
Roma aveva aspetto tranquillo, benché, come si è potuto
(i) Sestimi, Dòscrii- d'alcuno tned. del prìnc. di Dan., p. XIX,
tav. II, 8.
(2) Tacito, Ann.^ IV, 56.
(3) Ròm.Myth., I, 353 e sgg.
Evoluitone del tipo di ^oma jj
vedere, si le sue vesti che il suo trono, spesso formato da
un mucchio di armi, la indichino eminentemente guerriera.
Due sono i tipi dai quali si vorrebbe far derivare questa
primitiva figura di Roma: l'uno, secondo il Kenner (i),
dalla amazzone di Fidia; l'altra, secondo il Cavedoni (2),
dalle figure rappresentanti TEtolia, impresse sulle monete
di quella regione al tempo delle ultime sue lotte per l' in-
dipendenza. Esaminiamo ambedue queste opinioni.
Il Kenner crede che la figura di Pallade Ippia, perduto
ogni significato speciale tranne quello di fondatrice e pro-
tettrice di città, fosse confusa con quella delle ninfe od
amazzoni, le quali, anche secondo la leggenda, erano fon-
datrici di città, e. che alla rappresentanza di questo concetto
abbia servito di tipo l'amazzone di Fidia, dalla quale derivò
cosi anche la figura di Roma. Ora io non so quale ana-
logia possa avere la Pallade con una eroina essenzialmente
umana e come la figura della dea olimpica possa passare
poi in quella di un'amazzone, e per quanto sia maggiore
la relazione che corre tra questa e la figura di Roma di
quella che corre tra Pallade e la stessa figura di Roma, non
credo tuttavia che a rigore si possa dire che questa sia de-
rivata dall'amazzone di Fidia. Infatti l'amazzone fidiaca (3)
ovvero quella creduta un' imitazione dell'altra di Poli-
cleto (4) hanno veramente una corta tunica che non giunge
a coprire le ginocchia e nuda la mammella destra, ma, se
bene guardiamo, differenti tutte le altre parti del vestiario.
L'elmo è più stretto al capo che non quello di Roma, e,
mentre questa ha calzari assai alti, le amazzoni non hanno
che una piccola cinghia che involge il tallone sinistro per
adattarvi lo sprone : nelle armi poi nessuna rassomiglianza :
non scudo rotondo come Roma, ma pelta, non asta e para-
(i) Op. cit., p. 22.
(2) Ka^^., p. 157 ; Spicihg., p. 74.
(3) WiESELER, Alias in K. O. MùlUr Handb. Taf. xxxi, tomo I.
(4) PlRANESi, Race, di statue, n. 3.
yS «M. Tarisoitt
zonio ma scure: la figura poi è sempre in movimento conci-
tato mentre Roma è sempre in riposo. Tutte queste parti-
colarità dell'azione e delle armi sono, è vero, accessori, ma
tali da cambiare interamente il carattere di una figura. Ed
infatti, se si faccia astrazione da tali accessori, che cosa resta
di comune nelle due figure ? La sola tunica corta e la mam-
mella scoperta. Ma questa coincidenza dei tipi non basta
per concludere che necessariamente Funo è derivato dal-
l'altro. Senza bisogno di ricorrere ad alcun tipo anteriore,
gH operai, gli schiavi, i marinai non erano tutti vestiti della
tunica è^wfJit? ? Vulcano stesso e qualche volta Ercole non
hanno il petto scoperto dalla parte destra ? E qual' altra po-
trebbe essere la cagione di ciò se non che gli operai e gli
eroi e cosi anche le eroine, avendo continuo bisogno di
agire liberamente colla destra, lasciavano da quel lato di ap-
puntare la tunica sulla spalla ? Né alcuna difficoltà può fare
che anche le donne usassero di un tal mezzo per rendere
spediti i loro movimenti, giacché quelle che cosi si rappre-
sentano sono eroine, cioè donne di sentimenti assai virili.
Una tal foggia di vestire è dunque necessario attributo di
chi s' immagina come attivo e guerriero, ed appunto come
tale é immaginata Roma che, lungi dall' aver carattere di-
vino, è invece essenzialmente eroica. Anzi mi parrebbe assai
coerente ai racconti che ci fanno gli antichi di una Roma
figlia di Telemaco o figUa di Ulisse o moglie di Enea o di
Ascanio, immaginata come una matrona guerriera che ha
col suo braccio aiutato lo stabihrsi dei profughi Troiani sul
suolo latino, ha, in una parola, veramente combattuto, e dopo
le vittorie si è tranquillamente assisa sulle spogHe de' vin-
citori (i). Si potrebbe però opporre che anche Minerva,
benché abbia carattere essenzialmente guerriero, non ha
mai né il petto nudo né la tunica corta e che perciò queste
(i) Per altre leggende relative al nome di Roma ed alla vita del-
l'eroina, V. Atto Vannucci, St. dell' It. ani, I, 567 e sg., nota h.
Epohipone del tipo di '^{oma 79
non sieno caratteristiche necessarie di una figura guerriera.
Ma quest'unica figura di Minerva non segue il tipo generale
per molte e potentissime ragioni. E primieramente quanta
distanza tra Minerva e Roma ! La distinzione che si è fatta
di dèi e semidei non risponde forse a qualche cosa di vero
neir intima natura della mitologia greca ? Non faremo dun-
que alcuna differenza tra una delle più potenti divinità olim-
piche, figlia dello stesso Giove, ed una eroina tutta terre-
stre, figha di un mortale e che pure in istretta relazione
cogli dèi acquistò l'immortalità coli' opera del suo braccio?
Minerva inoltre è vergine, e come tale le sue vesti, il suo
portamento debbono essere essenzialmente modesti. Se poi
queste considerazioni sul concetto di Pallade non dessero
abbastanza ragione della differenza della sua figura da quella
di Roma, altre considerazioni di fatto non saranno di minor
peso. Possiamo dire infatti con tutta certezza che Minerva
non ha bisogno dell'abito amazzonico perchè, sebbene guer-
riera ed amante di battaglie, non combatte mai coi mezzi
umani. A lei basta di scuotere l'egida e di mostrarla al
nemico perchè esso cada; fra le mani di lei l'asta è un puro
simbolo di divinità, ma giammai se ne serve per colpire
Essa e cosi tutte le divinità nei poemi omerici sono, per dir
così, nel punto più umano della loro evoluzione: da quelli
in poi si vanno sempre più divinizzando; ebbene, consi-
deriamo Minerva uqW Iliade e vedremo quante volte e come
essa combatta.
Pallade, figura principalissima del poema di Omero, è
menzionata in esso più di trenta volte: fino dal principio
scende non vista e prende per le chiome Achille impeden-
dogli di scagharsi sopra Agamennone (i) e nello stesso
libro è ricordata come colei che, insieme a Giunone e Net-
tuno, tentò di legar Giove (2) : comparisce poi allorché in-
(i) Lib. I, V. 194.
(2) Ivi, 397.
8o qA. Tarisotti
duce Ulisse ad opporsi ai Greci fuggenti (i) e nel libro IV,
prendendo la figura di Laodoco, persuade Pandaro a rom-
pere i trattati scagliando uno strale a Menelao (2). Fino a
questo punto la dea dalle luci azzurre prende parte all'azione
de' Greci solo come consigliera, ma nel libro V si pone a
fianco di Diomede e gli fa fare prove di valore tali che
l'àp^aTsca del figlio di Tideo si può dire in sostanza che sia
quella di Pallade. La protezione della dea comincia sino
dal principio del canto, là dove si dice che infuse vigore a
Diomede (3) e poi, alle preghiere dell'eroe, gh ridonò Tagi-
htà giovanile : finalmente, non contenta di proteggerlo
dall'alto dell' Olimpo, si presenta a lui sotto sembianze
umane (4) e lo conforta e lo inanimisce a tal segno che
egh ferisce la stessa Venere, di che Pallade poi ride in cielo.
Ma volgendo a male le cose dei Greci, torna di nuovo nel
campo e sale sul carro con Diomede (5). Qui veramente
si potrebbe aspettare che ella vibrasse la sua lancia immor-
tale per abbattere i Troiani e per cacciare dalle loro schiere
l'impetuoso Marte: ma no; Omero ha avuto cura di dirci
che prima di scendere in terra si è gettata sulle spalle la
terribile egida col mostruoso capo della Gorgone (6). In-
fatti, come avevamo già detto, è con queste prodigiose armi
che ella combatte, e quando Diomede viene alle prese con
Marte, neppur allora ella scaglia l'asta, ma si contenta di
sviare il colpo dell'avversario e di dirigere quello del suo
fedele (7), sicché il ferito dio, senza che ella abbia tirato
un sol colpo, fugge tostamente all' Olimpo. L'azione di Mi-
nerva nel libro VII ed Vili ha luogo in cielo ed è solo
(i) Lib. II, V. 173.
(2) Lib. IV, V. 86.
(3) Lib. V, V. I.
(4) Ivi, 121.
(5) Ivi, 837.
(6) Ivi, 738.
(7) Ivi, 853.
Evoliiiione del tipo di ^o?7ta
nel libro XVII (i) che scende di nuovo in terra, ma anche
qui per rianimare i Greci onde restino vincitori nella lotta
impegnatasi sul cadavere di Patroclo. Finalmente, dopo aver
nel libro XIX ristorato con ambrosia Achille, nel libro XX
ritorna in terra e vi continua a combattere pe' Greci: ma
anche questa volta nel solito modo, cioè sviando il colpo
che Ettore aveva scagliato ad Achille (2), e da ultimo ella
stessa scaglia addosso a Marte un sasso (3) e colpisce poi
colla mano Venere che era andata per soccorrere il caduto
dio (4). Sono questi i soli colpi che ella vibra e sempre
contro immortali : ed è anzi da osservarsi che le armi non
sono che un simbolo della forza di Pallade, perchè non ne
usa mai.
Tutta questa digressione sul modo di combattere di
xMinerva non sembrerà troppo lunga ove si consideri di
quale importanza fosse stabilire una differenza tra le ninfe
od amazzoni terrestri e la invitta figlia di Giove e che per
conseguenza Tessere essa interamente armata ed interamente
vestita non può opporsi a ciò che dicevamo per T innanzi,
che, cioè, lo stesso concetto di una persona che solo attenda
a menar le mani è necessariamente unito colFidea di una
succinta veste e che lasci liberi i moti della destra.
Quanto all'opinione già accennata del Cavedoni, secondo
la quale il tipo di Roma avrebbe preso le mosse da quello
delT Etolia, sebbene tra le due figure si riscontrino parec-
chie differenze, tuttavia è assai probabile che il monetario
romano abbia tratto il suo tipo dalle monete etoliche (5).
Su di queste è impressa adunque F Etolia sedente sopra una
congerie di scudi, coll'asta nella destra, il parazonio al fianco,
ed una piccola immagine della Vittoria nella sinistra, col
(i) Lib. XVII, V. 544.
(2) Lib. XX, V. 438.
(3) Lib. XXI, V. 405.
(4) Ivi, 424.
(5) KlOgmann, op. cit., p. 17.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 6
82 qA. Tartsottt
braccio disteso in atto di incoronare. Le differenze che il
Klùgmann trova tra questo tipo e quello di Roma sono
costituite principalmente dall'essere Roma, dice egli, in at-
teggiamento più modesto, e dal reggere l'asta colla sinistra
ed in modo piuttosto proprio di un pastore che di un guer-
riero. Ma tali osservazioni possono farsi solo sul denario
che egli considera (i), nel quale Roma è figurata con abito
piuttosto lungo e perciò non corrispondente a quello del-
l' Etolia e coir asta a traverso sul braccio sinistro, ma non
sugli altri e specialmente su quelli coniati in Nicomedia da
Papirio Carbone (2), i quali ci fanno vedere in quella vece
Roma sedente su spoglie con asta nella sinistra e Vittoria
nella destra e su moltissime altre del tempo più tardo. La
vera differenza che mi sembra che corra tra la figura del-
l' Etolia e quella di Roma è nella copertura del capo : quella
porta la causia, ciò che ha fatto pensare sia un'allusione
alla celebre caccia del cinghiale CaHdonio: questa invece
ha quasi sempre la galea, se si eccettuino alcuni pochi de-
nari nei quali è a capo scoperto. Per ispiegare questa diffe-
renza però si può assai facilmente congetturare che in queste
prime monete dove Roma è a capo scoperto si sia presa
la figura dell' Etolia togliendole la causia non adatta a si-
gnificare Roma, e che subito dopo vi sia stata sostituita
la galea come assai più corrispondente a tutto il carattere
guerresco della città ed al resto della sua figura.
Ed ora, considerata l'origine del tipo di Roma, possiamo
passare a far qualche osservazione sopra le singole rappre-
sentanze del tempo repubblicano.
La prima che incontriamo, secondo che già abbiamo
detto, non è su moneta romana, ma sopra un didrachmon
dei Locri epizefiri che, secondo il Klùgmann, rimonta al-
l'anno 548 di R. (3). In questa moneta Roma è espressa
(i) Riportato anche dal Morelli, Num. v&t., « Fani. ine. »,tav. i,n. 7.
(2) Morelli, 'Nim. vet., « Papiria », lett. C, D, E, F.
(3) Op. cit., p. 9.
Epolu^ione del tipo di T{oma 83
in modo affatto differente da come fu poi effigiata sui de-
nari romani e dirò anzi che mi par di vedere meno adatta
a significare Roma questa figura che le altre. Infatti essa
è vestita con un lungo chitone e seduta sopra una sedia
presso cui è uno scudo: su questo ella appoggia il braccio
destro ed ha al fianco sinistro il parazonio: incontro a lei
un'altra donna in piedi le pone in capo una corona: dietro
la prima è scritto PQMH e dietro l'altra IIISTIS. Il con-
cetto della figura di Roma in questa moneta il Klùgmann
lo crede, giustamente mi pare, desunto dal tipo della Mi-
nerva pacifica e per questa ragione mi sembra che questo
tipo non abbia quella forza e quell'espressione speciale che
caratterizza Roma nelle altre rappresentanze. La presenza
poi della IIiaTL? è spiegata assai bene come un attributo dei
Romani ricordato anche in quelle poche parole che Plu-
tarco ci riporta (r) dell'inno che i Calcidesi cantarono in
onore di Flaminino ; cosi anche Diodoro (2), a proposito
dei fatti che forse furono cagione del conio del didrach-
mon, dice che i Locri invocarono Tr]V xwv TwfJiaLWV ufaxtv
perchè riparassero ai danni loro arrecati da Pleminio (3).
A questo tipo si rannodano bene quelle rappresentanze assai
più tarde nelle quaH Roma ha un carattere più spiccata-
mente divino; ma lo sviluppo vero della figura di Roma
è nei suoi primordi tutt'altro. Già nel secondo periodo mo-
netario, secondo la divisione del Mommsen (4), cioè quello
che corre dal ^00 al 620 di Roma, comparisce sul rovescio
dei denari la lupa lattante i gemelli sotto il fico ruminale,
presso l'albero il pastore Faustolo che mira il prodigio ap-
poggiandosi al pedo, e sui rami tre uccelli (5). Questa non
(i) Flam., 16.
(2) Lib. XXVII, 5.
(3) Livio (XXIX, 6-9, 16-21) fa dire all'ambasciatore de' Locri
al Senato: « ad vos vestramque fidem supplices confugimus ».
(4) Gesch. der ròm. Mun^w.
($) Cohen, xxxiii, « Pompeia »; Mommsen, op. cit., p. 55 1, n. 1 59.
84 O^. Tarisotti
e che una preparazione di una compiuta immagine della leg-
genda romana, la quale si trova effigiata più tardi sopra alcuni
denari anonimi della quarta epoca (^40-^50 di R.), dei quali
abbiamo già dato qualche cenno di sopra. In essi (i) Roma
lunga è seduta sopra una congerie di scudi ed è vestita con
tunica (2) : ha in capo il berretto frigio e regge colla si-
nistra Tasta alquanto penduta come fosse un bastone pa-
storale: innanzi ai piedi la lupa colla testa rivolta verso
di lei allatta i gemelli e nel campo due uccelli volano in
senso opposto verso la figura di Roma. Sebbene sia giu-
stissima l'osservazione del Kenner (3) a riguardo di questo
tipo, là dove dice che la lupa è cosa interamente staccata
dal resto perchè essa non è che il simbolo del monetario,
tuttavia questo uso di porre l'emblema della propria fa-
miglia, già quasi abbandonato nella terza epoca, è stato
assai opportunamente richiamato in vigore in questa rap-
presentanza (4). Così, riguardo ai due uccelH volanti nel
campo del denario, il Klùgmann (5) li vuole posti là per
un fine puramente artistico, cioè per empire quello spazio
che altrimenti sarebbe rimasto troppo vuoto : e sia pure
cosi, ma questo è certo tuttavia che non si poteva con
maggiore pienezza esprimere in poche figure tutta la leg-
genda di Roma. Il berretto frigio, la lupa, gli uccelli ed
il modo affatto speciale col quale Roma regge qui l'asta
ci fanno pensare alla leggenda troiana, al miracoloso al-
lattamento dei gemelli, alla scoperta di Faustolo e final-
mente all'augurio di Romolo. GH scudi poi sui quali è
seduta Roma ci continuano, per dir cosi, la storia e ci
(i) Cohen, tav. xliii, n. 14 incerti ; Riccio, tav. lxxi, n. 5 ;
Morelli, Num., « Farti, ine. », tav. i, n. 7.
(2) Per la piccolezza del tipo non si può distinguere se abbia il
petto nudo.
(3) Op. cit., p. 22, n. 4.
(4) Cf. anche il Klùgmann, op. cit., p. 15.
(5) Op. cit., p. 16.
Evoluiione del tipo di ^oma 85
mostrano l'effetto dell'augurio di Romolo, cioè la potenza
militare che derivò da quello e fu cagione della gloria di
Roma. Anche la lupa (i), sebbene stia per sua mossa con-
sueta col capo rivolto all' indietro, mi fa supporre che non
a caso in questo tipo si volga a Roma: poiché, essendo il
lupo l'animale sacro a Marte e Roma figlia di questo
nume (2), è giusto che la lupa volga a lei la testa, quasi
aspettando un comando. A questo tipo si rannoda anche
bene ciò che narra Licofrone (3), il quale presenta Roma
quasi come una sibilla o profetessa consigliera di Evandro.
Ma, se bene si considera,, dalla rappresentanza del di-
drachmon alla presente, anzi che procedere, si è flitto un
passo indietro: dalla Roma coronata da Pistis ed altera-
mente seduta in posizione simile a quella di Minerva, siamo
passati ad una semplice figura che non ha superbi emblemi
di corone. Niun' altra può essere, a mio parere, la cagione
di ciò che Tessere quel tipo coniato da stranieri che cer-
cavano di adulare la potente città e cattivarsene così la
protezione, mentre questo, sebbene sia lavorato da mani
straniere, dovendo aver corso in Roma stessa, esprime il
sentimento grande che il popolo aveva di sé e dei suoi
destini, senza pretendere tuttavia di innalzarsi al grado di
divinità.
Ma questi destini di Roma si vanno mano a mano av-
verando: l'una appresso all'altra le città cadono sotto il suo
dominio ed ella esce dalla lotta sempre più potente, sempre
(i) Tre sono le posizioni della lupa sui moaumenti romani: at-
teggiamento d' indifferenza : atteggiamento di vigilanza: atteggiamento
di maternità. Così e più diffusamente il Tomassetti, Musaico mar-
moreo del principe Colonna, Roma, tip. della R. Acc. dei Lincei, 1886.
Bull. dell'Ut. Arch., v. I.
(2) Cf. per questa idea anche l'inno eì? Pwixnv attribuito a Me-
limno. V. Hainebach, Specimen script. Grcuc. min., p. 9 ; Stobeo,
VII, 13.
(3) Cassandra, v. 1253.
86 Q^. Tarisotti
più grande : cosi nelle rappresentanze Roma assume figura
ed officio sempre più nobile. Infatti subito appresso al de-
nario anonimo, di cui abbiamo già parlato, troviamo nella
stessa q^iarta epoca il denario di M. Fourius L. F. che ha
sul rovescio Phili Roma ed una donna galeata e stolata
che colla destra pone una corona sopra un trofeo di armi
galliche mentre colla sinistra regge lo scettro (i). Questo
tipo, nel quale Roma fa le veci di Vittoria, serve poi come
di passaggio a quelli che seguono. È mirabile pertanto il
vedere con quanta gradazione si passi da una rappresen-
tanza all'altra. In un denario della ge?ts Cornelia coniato
circa alla metà del periodo quinto, Roma è in piedi col-
Telmo in capo e la lancia in mano ed è coronata dal genio
del popolo romano figurato in un giovane seminudo che
colla destra pone l'alloro sulla testa di Roma, mentre nel-
l'altra mano ha il corno dell'abbondanza (2). In questo
tipo adunque Roma ha fatto un gran passo : invece di
coronare, essa stessa è coronata : non però da Vittoria, ma
dal proprio genio. Si potrebbe perciò interpretare questa
rappresentanza dicendo che ella in certo modo si incorona
da sé. Finalmente nello stesso periodo le famiglie Caecilia
e Poblicia pongono sui denari loro la figura di Roma, quasi
riassumendo tutte quelle precedenti, e la rappresentano se-
duta sopra armi, con elmo in capo e parazonio al fianco,
colla lancia e coronata dalla Vittoria (3). Tutte queste rap-
presentanze, comechè coniate quasi nello stesso tempo, ci
fanno vedere come per gradi il concetto di Roma s'an-
dasse aumentando in corrispondenza cogli avvenimenti. Da
quando s'era cominciato a coniare l'argento, infatti, s'erano
fatti grandi passi. La distruzione di Cartagine, di Corinto,
di Numanzia avevano enormemente ingrandito il dominio
(i) Morelli, Thes., « Furia», III; Cohen, tav. xix, « Furia», 3.
(2) Cohen, tav. xiv, « Cornelia », nn. 5 e 6.
(3) Cohen, tav. vm, « Caecilia », n. 4, tav. xxxm, « Poblicia »,
nn. 5 e 6.
Evoluiione del tipo di '\F{oma 87
della repubblica : negli ultimi tempi poi la guerra Giugur-
tina e la gloriosa vittoria di Mario sui Cimbri e sui Teu-
toni avevano compiutamente assodato le conquiste già fatte.
Ma nuove condizioni si erano venute preparando intanto,
le quali dovevano ritardare la dilatazione maggiore della
potenza romana. I rapporti dell'Italia con Roma intorno
a quel tempo erano tali che non era più possibile evitare
una grande lotta. L' Italia che era stata tanta parte della
forza di Roma in tutte le sue ultime vittorie reclamava
pei suoi servigi una giusta ricompensa. Perchè gli alleati,
cosi chiamati con un nome che mentiva la loro vera con-
dizione di soggetti a Roma, mentre avevano si grande-
mente contribuito a ridurre in provincie tanti paesi, non
dovevano avere quella parte che loro spettava nel governo
dello Stato ? Era possibile che il nome ed i diritti di cit-
tadino romano restassero ancora prerogativa solo di una
piccola parte del popolo mentre tutti colle loro forze ave-
vano aiutato Roma nelle conquiste ? Ed essi già, col desi-
derio e colla sicurezza che dà il diritto, la consideravano
come patria comune e come tale volevano che fosse loro
riconosciuta dal Senato, anche a costo di dover sostenere
le loro ragioni con una guerra. E la guerra infatti scoppiò
feroce, ostinata, terribile più di quelle combattute cogU stra-
nieri, siccome guerra civile. Non è necessario dire che
accenniamo a quel grande rivolgimento italico che fu la
guerra sociale : e non poteva essere a meno che un av-
venimento di tanta importanza non si riflettesse anche
nell'arte figurata. Le monete di quel tempo sono piene di
simboli relativi alla lotta: si combatteva con tutto ed il
Morelli stesso esprime quest'idea in quelle parole: « Romani
« non armis tantum sed et nummorum typis contra Italos
« usi sunt atque suam suae omnibus Italiae civitatibus prae-
(( rogativam expresserunt » (i). Noi ci contenteremo
(i) V. MoR., Thes., p. 460. Benché, a dir vero, egli dica queste pa-
88 C/^. Tarisotii
di notare i tipi più cospicui : ed in primo luogo osserviamo
che nelle monete romane, le quali hanno qualche allusione
alla guerra sociale, Roma non indossa più il suo consueto
abito amazzonico, ma è vestita di toga. Kon si poteva im-
maginare una più felice trasformazione del tipo: poiché chi
considera l' importanza che aveva presso i Romani la fog-
gia del vestire (i) e quale stretta attinenza essa aveva,
dirò cosi, colla condizione giuridica di una persona, s'av-
vedrà di leggieri che lo scopo degli alleati italici nel soste-
nere la guerra sociale si poteva ridurre alla conquista della
toga. La toga infatti fu, sino a tempi abbastanza tardi, il
distintivo del civis : nessun altro poteva indossarla, mentre
per lui era un dovere (2). Il poter portare la toga adunque
significava la possibilità di aspirare alle cariche e di poter
percorrere il cursus honorum e perciò di poter prendere parte
al governo della repubblica.
E che cosa chiedevano di più i popoli itaUci? Ma Roma,
che voleva serbare a sé tutti questi diritti, indossa la toga
nel tempo della guerra sociale per affermarli propri e per
dimostrare ancora che ella combatte appunto per ciò che
abbiano solo i suoi figli la piena civitas. Un'altra osserva-
zione importante si può fare sull'essere Roma in questo
tempo rappresentata assai più spesso in piedi, con atteggia-
mento più fiero e con tutte le armi, cioè elmo, scudo,
lancia e parazonio: circostanze le quaU accennano ad un
passaggio dal carattere di tranquilla dominazione ad uno
assai più bellicoso. L' Italia, all' incontro, rappresentata di
solito come una giovane inerme col capo cinto di spiche
ed il corno dell'abbondanza tra le mani, diviene alla sua
role a riguardo di una moneta anteriore alla guerra Marsica, tuttavia
r idea resta sempre giusta.
(i) Importanza che si è mantenuta sino, si può dire, ai giorni
nostri.
(2) Servio, ad Aen., I, 282 ; Plin., Epist. IV, 1 1 ; Orazio, Odi, III,
n. 5, V. IO.
Evolu-{ione del tipo di Roma 89
volta guerriera ed usurpa in tutto la figura di Roma. Non
poche monete sannitiche (i) la mostrano seduta su scudi
con asta e parazonio e colla galea in capo: d'altronde la
leggenda ITALIA non ci lascia dubbio sulla interpretazione
della figura. Anche Libertas è espressa in modo simile, salvo
che col piede sinistro calca un globo, quasi a significare
che quella stessa libertà che gli alleati volevano per sé stessi,
volevano anche per tutti. Un'altra moneta dei confederati
porta impresso un simbolo abbastanza significativo sul ro-
vescio, cioè un bue che colle corna dà addosso ad una
lupa gracile (2). Ognun sa come il bue od il vitello siano
l'emblema dell' ItaHa: ora il vederlo in lotta con una gra-
cile lupa ci fa chiaramente intendere quanto fossero con-
sapevoH della loro forza gU alleati italici, i quali cosi giudi-
cavano che la potenza della lupa, cioè di Roma, perduto il
loro appoggio, sarebbesi ridotta a ben poca cosa. Un'altra
moneta di famigUa incerta (3) compie il quadro della lotta :
in essa Roma in piedi, cinto il capo di galea ed appoggiata
all'asta, indossa la toga e col pie sinistro calpesta la gamba
di un bue che giace presso di lei:
et laevo pressit pede
exanimem (4).
Da questa bella composizione che ci mette in mezzo
agH odi della guerra (5), passiamo ad altre monete nelle
quali con non minore evidenza è rappresentata la conclu-
sione della pace. Sul diritto di queste i capi congiunti
(r) Carelli, N. V. L, « Num. foed. belli Marsici », 25, 26, 27, 28.
(2) Carelli, ivi, n. 2.
(3) Morelli, Thes., « Fara. ine. », tav. i, n. 4.
(4) Viro. Aen., X, 495.
(5) Altre monete ci indicano avvenimenti della guerra stessa: in
quella, p. e., pubblicata dal Friedlander, OsL Muti., p. 84, tavv. 10, 13,
due guerrieri che si stringono la mano fanno pensare all'alleanza dei
confederati con Mitridate.
90 C^. T^arisotti
dell' Onore e della Virtù, questa armata di elmo, quello
adorno di corona d'alloro, sembrano come corrispondere
l'una all'Italia, l'altra a Roma (i), le cui figure sono sul
diritto : ed insieme forse alludono al tempio innalzato da
Mario. Nel diritto adunque delle monete di cui discorriamo
è celebrata la Virtù, cioè il valore guerriero di Roma, e
r Onore, cioè il decoro che Roma stessa riceve dall' Italia.
Il rovescio di questi denari ce la mostra in forma di una
giovane vestita di stola col corno dell'abbondanza in mano
e che stringe la destra a Roma, la quale ha ripreso l'antico
abito succinto, ha deposto scudo e lancia e tiene nella si-
nistra uno scettro come simbolo d'imperio (2). Cosi Roma
ed Italia stringendosi in alleanza si promettono un reciproco
aiuto : quella assicurando a questa l'assistenza sua forte, e
questa concedendole di ricambio tutta la sua ubertosità. Due
nuovi simboli però compariscono in questa moneta : dietro
l'Italia il caduceo che serve a ribadire l'idea della pace:
giacché, secondo che osserva il Klùgmann (3), esso non è
solo attributo di Mercurio, ma eziandio della Pace. Sotto il
piede destro di Roma poi è disegnato un globo : attributo
nuovo, ma che diviene quindi innanzi frequentissimo. Il
tempo in cui fu battuto il denario or ora esaminato non
si può determinare esattamente, essendo incerto a qual gente
appartenessero i due monetali Cordus e KaUnuSj i cui nomi
si trovano scritti quello sul diritto e questo sul rovescio della
moneta. Tuttavia, dopo una serie di congetture abbastanza
probabili, il Klùgmann (4) conclude che Kaleniis potrebbe
essere quello stesso 0. Fufiiis 0. F. 0. N.^ il quale sarebbe
stato triumviro monetale circa nel 6Si di R. e tribuno
(i) Anche il Visconti osserva ciie la figura di Roma è la stessa
che quella di Virtus: ed è realmente cosi, se non che con altri distin-
tivi diviene Virtus populi romani.
(2) Morelli, Thes., « Fufia », I, « Mucia », I.
(3) Op. cit., p. 34.
(4) Op. cit., p. 30.
Evoluiione del tipo dì ^0J7ìa 91
del popolo nel ^93 di R. e console nel 707 di R. Questa
data assegnata al denario non sarà certo troppo recente se
si considera che una moneta che spira in tutto pace e con-
cordia non si può supporre coniata se non dopo termi-
nate le guerre civili che furono come un funesto seguito
della guerra Marsica. Ora, quanto alla parte formale, giusta
mi pare l'osservazione del Klùgmann, secondo cui l'idea
del globo sarebbe derivata da quello che è attributo costante
della musa Urania, la cui statua si ammirava nel palazzo di
Pirro. Quanto airallegoria è assai facile ammettere che,
pacificate le cose interne, la repubbUca sentivasi forte nei
domini di recente acquistati e coli' amicizia di Nicomede III
di Bitinia poneva un piede nell'Asia. Inoltre, circa allo stesso
tempo, si preparavano le guerre Mitridatiche, colle quali la
repubblica si estese su que' regni che erano l'avanzo dell'an-
tico imperio di Alessandro. Essa perciò si sentiva erede di
quella vasta monarchia e dominatrice del mondo.
Lentuìus P. f. L. n. ha introdotto, forse pel primo, questo
segno del globo sulle monete romane, ponendolo però sotto
il piede del genio del popolo ; ed anche Cw. Cornelius Len-
tuìus MarceìUnus aveva posto il mondo sul rovescio di alcuni
suoi denari in mezzo ad altri simboli (i). Ma l'emissione
di questi denari, anche secondo le congetture del Klùgmann,
cadrebbe circa dal 681 al ^83 di R., per essersi trovati al-
cuni di essi nei ripostigli di Roncofreddo e Frascarolo (2).
Una tale frequenza adunque di monete collo stesso simbolo
di imperio ci dimostra come questa idea allora nascesse od
almeno cominciasse a dominare la mente del popolo, sicché
esso allargò il significato delle tradizioni circa la sua origine
divina e i suoi gloriosi destini, congiungendo il sentimento
di sé stesso, fatto potente dalle recenti vittorie, ali* idea del
dominio del mondo. Né mi sembra che si possa ammettere
(i) Klùgmanm, op. cit., p. 30.
(2) Ivi, loc. cit.
92 qA, l^arisotti
ciò che dice il Kemier (i), il quale interpreta questo segno
del globo come una millanteria, poiché, oltre ad essere ri-
pugnante al carattere positivo de' Romani, non sarebbe stata
sanzionata dallo Stato coll'esprimerla sulle monete. La spie-
gazione storica mi sembra invece assai più probabile per
la ragione che, sebbene il principio della potenza di Roma
sia stata la distruzione di Cartagine, tuttavia, per coloro
che erano parte de' fritti, che noi oggi consideriamo come
compiuti, la cosa andava in modo assai differente. Essi do-
vettero aprire gli occhi sulle sorti della repubblica assai
tardi, quando, cioè, compiendosi gli effetti di quelle cause
che già da tempo erano avvenute, si trovarono d'un tratto
potenti in tanti paesi diversi e lontani dall' Italia. Infatti, il
globo e la vittoria e lo scettro in cambio dell'asta, tre em-
blemi che d'ora in poi divengono frequentissimi, accen-
nano chiaramente ad una trasformazione del concetto di
Roma, da quello guerriero a quello di dominatrice e regina.
Un'altra caratteristica è il ritorno delle leggende che ci
mostra il legame tra la origine divina della città e il suo
destino (2). Un denario di C. Egnatius Maxsumus Cu. f,
Cn. n, ci mostra Roma con tunica e manto e colle solite
armi: l' intera figura è disegnata di faccia, in piedi, e colla
gamba sinistra sopra una testa di lupo, mentre accanto a
lei sta Venere vestita in modo simile, salvo che senza elmo
in capo. Questa seconda figura è caratterizzata da Cupido,
che è disegnato tra le due e vólto verso Venere : ai lati
esterni poi dell' intero gruppo due remi infissi in prora di
nave (3), a riguardo della qual composizione osserva il
Klùgmann che Roma qui è sostituita a suo padre e perciò
(i) Op. cit., p. 2zl.
(2) Sebbene un poco più tardi del tempo di cui discorriamo, mo-
strano questo ritorno all'antico anche alcuni denari di Sesto Pompeo
(MoR., Thes., «Pompeia », tav. iii, n. 5), il rovescio dei quali mostra la
rappresentanza della lupa e di Faustolo che abbiamo già considerato.
(3) Cohen, « Egnatia », xvii, i, 2, 3.
Evoluiione del tipo di 1{oma 93
fa le veci di Marte (i). Quanto al remo infisso nella prora
di nave potrebbe essere si un'allusione alle recenti vittorie
navali sui pirati come un ritorno all'antico simbolo dell'asse.
Il nome di questo monetario è citato da Cicerone ad At-
tico (2) e sembra che vivesse nel 704 di R. Anche sui de-
nari- di Sex. Nonius Sufenas Roma comparisce di nuovo se-
duta sopra una lorica, colle solite armi e le soHte vesti, e
coronata dalla Vittoria, la quale colla sinistra regge una
palma (3). La presenza della Vittoria però ha in questo
tipo una importanza differente : poiché, mentre è un attri-
buto di Roma, risponde anche alla leggenda PR. L. V. P. F.,
concordemente interpretata dal Pighio e dal Mommsen (4)
come praetor hidos Victorìae primus fecit. S'allude perciò ai
giuochi istituiti dopo la vittoria di Sulla alla porta Col-
lina (5) avvenuta nel 672 di R., ma la moneta sarebbe stata
coniata circa nel ^92 di R. essendosi ritrovata nel ripostigho
di Compito che risale al 6^6 di R. (6), Ma nel denario qui
sopra riportato, forse per gli avvenimenti differenti a cui
accenna, mancano gli emblemi del globo e dello scettro che
sopra alcuni quinari di T. Carisio (7), circa del tempo di
Giulio Cesare, sono rimessi in vigore : sopra altri poi dello
stesso monetario (8), il rovescio porta un globo, una de-
cempeda, un timone ed un corno di abbondanza in mezzo
ad una corona di alloro. Finalmente nei denari di C. Fibkis
Pausa C. f. C. n. (monetario nel 711) (9) troviamo i soliti
(i) Op. cit., p. 40, oltre il chiaro accenno alla leggenda troiana.
(2) XIII, 34.
(3) Cohen, « Nonia », xxix.
(4) Op. cit., p. 625, n. 265.
(5) Appiano, De Bello, civ., XCIII, 94; Plut., Sulla, XXIX, 30;
Vell. Pat., II, 27.
(6) KlDgmann, op. cit., p. 43,
(7) Ivi, op. cit., p. 44.
(8) Morelli, « Carisia », vi.
(9) Ivi, « Vibia », 2.
94 G^- T^arisotti
attributi dati a Roma incoronata dalla Vittoria volante verso
di lei. Quest'ultima forma, usata assai spesso anche con
altre divinità, non è che un modo per dare maggior im-
portanza alla figura che deve essere incoronata : poiché,
mentre nella forma che abbiamo riscontrato prima, Vittoria
rende^ questo onore a Roma, restando però pur sempre
uguale a lei, in quest'ultima maniera si fa di Vittoria una
messaggiera spedita da Giove, divinità nicefora per eccel-
lenza (i), per deporre l'alloro sulla testa di Roma. Questa
idea della differenza di grado è messa maggiormente in
chiaro dall' osservare che presso gli antichi l'eccellenza di
un nume sopra i mortali era significata dalla maggiore sta-
tura loro o dal maggior loro peso e simili (2). Altre va-
riazioni meno importanti nella figura di Roma si trovano
sulle recenti monete autonome dell'Asia Minore e special-
mente su quelle di Bitinia, Amiso e Nicomedia, nelle quali
ella conserva il suo tipo consueto, ma prende anche alcuni
attributi che si potrebbero dire locali. Così, per esempio,
alcune monete di Nicomedia e di Bitinia, coniate sotto Pa-
pirio Carbone (3), mostrano sul rovescio Roma che intorno
alla galea ha una corona d'edera, attributo poco conveniente
per lei cui spetta piuttosto la corona d'alloro, ma tuttavia
facilmente spiegabile se si pensi al culto speciale che i Ni-
comedi avevano per Bacco. Infatti il diritto della stessa mo-
neta è occupato dalle teste congiunte di Ercole e Bacco, e
(i) La statua di Giove olimpico aveva in mano una piccola Vit-
toria che faceva atto di incoronarlo: la parola d'ordine dei Greci alla
battaglia di Cunassa era Csù; crwTrip xaì Nìxvi (Senof., Anah., I, viii, 16).
(2) Ì^QÌV Iliade, Marte, caduto, occupa sette jugeri (Ih, XXI, 407)
e quando Minerva salisce sul carro di Diomede ne fa scricchiolare
l'asse (11, V, 839).
^jÀ^ct. o'I^^Qi.yj. cpr-^tvo; à^o)V
Bpt^ocuvTi Ssivriv -^àp Sc-^s-v Ssòv avSpa T'àpt<TTOv.
Anche i Dioscuri superano di mezza la persona i loro cavalli.
(3) Morelli, Thes., « Papiria », C, D, E, F.
Evoliiiione del tipo di ^{oma 95
mentre questo rappresenta il culto patrio, quello si riferisce
assai convenientemente, siccome emblema della forza, alla
figura di Roma che campeggia nel rovescio.
Riassumendo ora tutte le osservazioni fatte sin qui in uno
sguardo generale, possiamo stabilire i seguenti punti capitali:
I. La figura di Roma si sviluppa prima fuori della città
e sotto forme assai vicine a quelle della Pallade pacifera.
IL La personificazione della città prende, per dir cosi,
nuovo nascimento in Roma, conformandosi a tradizioni na-
zionali, ed assume una figura che ad esse accenna. Il suo
tipo adunque ebbe dapprima in Roma un significato esclu-
sivamente mitico e leggendario e tutto alludente alle prime
origini del popolo, delle quali fu come una sintesi figurata.
III. Roma, benché riiai in movimento concitato, con-
servò sempre carattere guerriero e la sua allegoria passò
dalla espressione dei vaticini, che promettevano a lei guerre
gloriose e trionfi, all'espressione delle guerre stesse e dei
felici loro esiti, rappresentati dai trofei, dalle corone e dal
primo apparire di Vittoria insieme con Roma.
IV. Finalmente la riflessione portata sugli avveni-
menti stringe ancor più il legame tra le antiche tradizioni
e i fatti avvenuti : e questo è mostrato dal tornare per un
momento alla espressione delle leggende e poi di nuovo a
Roma. Questa riflessione che il popolo romano portò su
sé stesso, mentre s'accorgeva della veridicità delle promesse
divine insieme coi trionfi degH ultimi tempi della repub-
blica, diedero nuovo carattere alla figura di Roma. Essa,
cioè, restò tuttavia guerriera, ma crebbe a segno tale in di-
gnità che acquistò il maestoso carattere di regina. Ciò fu
come la preparazione al futuro suo trasformarsi in divinità:
ma sino ad ora però nulla si trova nella sua figura che ac-
cenni a qualche cosa di divino : ella non è altro che la
personificazione della città e della repubblica.
Quanto alle figure speciali, il Kenner stabilisce due
gruppi, l'uno nel quale Roma è divinità locale, l'altro che
9^ QA, Tarisolti
comprende le allusioni ai vari fritti' storici. Ma io credo che
si abbia a restringere assai il significato di divinità in questo
caso, che, cioè, Roma sia divinità locale, come lo è, per
esempio, il Tevere, cioè collo stretto valore di personifi-
cazione e come tale riunisca in se anche l'idea dell'antica
eroina progenitrice della schiatta romana. Il gruppo che il
Kenner poi dice formato di tutte quelle figure che accen-
nano ad avvenimenti storici mi sembra poi che sia tutt'uno
colla personificazione della città. In altre parole, siccome
molti avvenimenti formano poco a poco nuove condizioni,
sicché, come loro conseguenza, avviene un qualche rivol-
gimento che tutte le riassume e le sintetizza, cosi i vari
tipi che alludono ai differenti fatti storici precedono e pre-
parano la formazione del nuovo tipo di Roma vittoriosa e
dominatrice.
E poiché siamo tornati a parlare del lavoro del Kenner,
quel che egli dice dell'aver il popolo romano perduto il
sentimento di nazionalità in seguito alle conquiste (i) mi
sembra che s'abbia a trasportare al tempo in cui i popoli
già conquistati cominciarono a mescolarsi ed a fondersi
in Roma. Cosi è vero ciò che egli dice della trasformazione
della società romana e della perdita degli ideali politici,
ma mi sembra affrettata la conclusione che egli ne trae
che, cioè, questi rivolgimenti portarono nell'allegoria il
momento ufficiale (2). Invece mi sembra che la figura di
Roma, fino alle ultime che abbiamo considerato, conservi
ancora assai di vita e di significato : mentre quella osser-
vazione si può fare giustamente sulle monete del tempo
imperiale.
Ed ora, prima di abbandonare questa trattazione, note-
remo come la figura che il Kreuzer attribuisce a Roma,
per essere troppo comprensiva, non risponde ad alcuna
(i) Op. cit., p. 20.
(2) Op. cit., p. 19.
Evoluitone del tipo di ^I{oma 97
rappresentanza speciale. Egli la descrive con elmo e spada,
sedente sopra i sette colli, con una lupa lattante i gemelli
presso di lei e più lungi il Tevere : il qual tipo è come una
riunione dei differenti emblemi di molte figure senza essere
nessuna di (Quelle, e per ciò stesso è assai vago ed inde-
terminato (i).
IL
IL CULTO DELLA DEA ROMA.
Poiché i templi eretti in onore di Roma ebbero una
storia, e poiché lo sviluppo di questo culto ha, come é
naturale, stretta relazione coi vari mutamenti del tipo che
noi ci siamo proposti di studiare, credo opportuno tener
parola di esso culto e delle sue manifestazioni in un capi-
tolo speciale. Quanto alla convenienza del porre questa
trattazione dopo lo studio sulle rappresentanze repubblicane
e prima di quello sulle imperiali, mi hanno indotto a ciò
due ragioni. In primo luogo la storia dei templi comincia
prima delle più antiche figure sulle monete e termina, si
può dire, al secondo secolo dell'era volgare; perciò è na-
turale trattare di questo soggetto tra la repubblica e T im-
pero: in secondo luogo il culto di Roma ha servito per
dare alla sua figura un carattere speciale che riunisce in sé
quello dei tipi precedenti e forma il passaggio alla figura
del tempo imperiale.
Il Kenner, che nella fine del suo lavoro dedica poche
parole al soggetto che imprendiamo a trattare, si contenta
di enumerare i templi eretti alla dea Roma senza ricercare
quali fossero le cagioni di un tal culto e quale importanza
(i) Symholik una Mythologicj p. 846.
Archivio delta R. Società romana dittoria patria. Voi. XI. 7
98 qA. Tarisotti
esso abbia nella storia si del tipo di Roma e si del popolo
romano.
Il Klùgmann ne fa un breve cenno sul principio del
suo opuscolo, ma più vi si diffonde il Preller nella sua ci-
tata opera sulla mitologia romana. Noi ci restringeremo
alle cose di maggior importanza, senza però perder d'occhio
il nostro scopo, cioè di conoscere quale influenza ebbe il
culto di Roma sulle modificazioni del tipo di essa nelle
rappresentanze figurate.
Racconta Plutarco (i) che il console Flaminino diede
la libertà alle città greche dell'Asia, e subito appresso sog-
giunge (2) che nella città di Calcide si cantava anche ai
suoi tempi un inno in onore di Flaminio che terminava
colle seguenti parole :
xàv [Ac-^aXsuxTOTarav opscoi^ cp'jXdcrastv
uÀXtzztz )coupai
^rva [jÀ-^as 'Pwaav ts Tìton s' àf/.a "^Ptóu.a'cov re tticttiv
Iris Tlaiàv w Ti'xs awrep.
Tacito (3), dopo aver parlato delle undici città dell'Asia
che si disputavano l'onore di erigere un tempio a Tiberio,
dice che quelli che avevano migliori ragioni erano gli
Smirnei e i Sardiani : quelli tra gli altri loro meriti adduce-
vano « se primos templum urbis Romae statuisse M. Porcio
« consule magnis quidem iam populi romani rebus, nondum
(( tamen ad summum elatis, stante adhuc punica urbe et
« validis per Asiam regibus ». Confrontando adunque i rac-
conti di Plutarco e di Tacito, non potremo dubitare che
il tempio sia stato innalzato dagli Smirnei nell'occasione
del fatto di Flaminino.
Nel 582 di R. poi la città di Alabanda nella Caria,
(i) Flam., 12.
(2) Ivi, 16.
(0 Ann., IV, 56.
Epo! untone del tipo dì ^oma 99
stretta con altre in guerra contro Perseo, mandò un'am-
basceria a Roma, e i legati portano come un vanto della
loro patria l'aver eretto un tempio alla dea Roma e l'aver
istituito giuochi annui in onore di lei (i), i quali saranno
assai probabilmente quelli che spesso troviamo menzionati
col nome di Twfiatà (2). Dopo questi templi un' iscrizione
del comune dei Liei (3) ora perduta sembra offrire al Se-
nato, a Giove Capitolino e al popolo romano una statua
di Roma o qualche altro anatema simile. Altre iscrizioni (4)
parlano di onoranze rese al popolo romano, ma poche
con tanta precisione ci dicono gH onori fatti a Roma ed al
suo simulacro, come quella trovata a Milo presso il teatro (5).
Il testo di questa iscrizione merita di essere trascritto:
OAHMOSOMAAIQNETIMASEN
TANPQMANEIKONIXAAKEAI
KAISTEOANQIXPrSEQI
APETHSENEKAKAIETEP
rESIASTASEISEATTON
nOATANBHS SQKPATEIS
EnOIHSEN
Da questa adunque sappiamo che la popolazione di Milo
pei soliti benefìci di Roma le aveva innalzato una statua di
bronzo e le aveva dedicato una corona d'oro : e sappiamo
ancora che il lavoro fu eseguito da Pollante Socrateo, nome
finora ignoto nella storia dell'arte.
(1) « Templum urbis Romae se fccisse, ludosquc anniversarios
« ei divae constituisse ». Livio, XLIII, 6.
(2) Cf. Preller, Rom. Myth.y II, p. 354.
(3) C. /. L., VI, I, 373. Aux^wv TÒ xoivòv xoy.taàagvov tt^v irarpiav
òtiu.ojtpaTtav t:^,v 'Próainv Au KaireToX'a) xal T'Ò 5ry.w twv 'Pwy.aiwv àperi^;
ittMH xai eùvoi'a? xal eùjp-yeaia; rr; eie tì xoivò'^ tò Auxtwv.
(4) C. /. L., VI, 374.
(5) Bull, deli' Ist., 1860, p. 56.
00 «^- ^arisotti
Il culto di Roma era adunque già tanto fiorente prima
di Augusto (i) che il popolo di Milo, non certo tra i
primi dei greci, erigeva in onore di lei un si ricco monu-
mento. In Roma invece neppure la più lontana idea di
culto, e così le impronte monetarie rappresentanti Roma
cominciano presso i Locri epizefiri, cioè presso Greci. La
cagione di un fiuto cosi strano mi sembra si possa assai
facilmente ritrovare nelle condizioni dei popoli ellenici in
quel tempo.
La caduta delle libertà al tempo di Filippo e di Ales-
sandro, la corruzione dei tempi che seguirono, le lotte, lo
stabilirsi delle grandi monarchie bruttate dal fasto orien-
tale, avevano dato ai Greci quel carattere di servilismo che
non perdettero più di poi. Finché essi respinsero i Persiani
mantenendosi nei limiti propri, conservarono il loro spirito
nazionale; quando invasero le terre orientali e si mescola-
rono coi barbari e da loro accettarono usanze e modi, ne
ebbero quello stesso danno per evitare il quale avevano
combattuto Leonida e Aristide e Temistocle; perdettero
cioè lo spirito di libertà e quel santo orgogHo di Greci, e
furono pronti a genuflettersi innanzi ad un mortale.
Chi non ricorda le basse e vergognose adulazioni di
cui furono oggetto Antigono e Demetrio Poliorcete ? Il
sacro peana trasportato ad onorare un uomo, e il tempio
divenuto comune segno del culto per mortali ed immor-
tali. In simili eccessi ancora si intende assai bene come
dovessero andare assai più innanzi i Greci d'Asia siccome
quelli che avevano sempre avuto più somiglianza cogli
orientali. Perciò il culto prestato a Roma dovette fiorire
assai presto presso tutti quei popoli sì per T importanza che
aveva per essi l'amicizia di Roma e sì perchè, come dice
(i) Il Mommsen crede che l'iscrizione di Milo sia del tempo
della repubblica, perchè se fosse stata dei tempi imperiali avrebbero
i cittadini di Milo unito alla statua di Roma quella di Augusto.
Evoluiione del tipo di ^oma loi
il Kliigmann, « le idee elleniche si combinavano in modo
« singolare col culto monarchico » (i). Ma il grande svi-
luppo di esso ebbe luogo al tempo di Augusto : allora in-
finite città eressero templi in onore di Roma, e finalmente
ne sorse uno nella stessa capitale dell' impero. La cagione
però di questo nuovo movimento non fu solo il servilismo
greco, bensì anche il senno politico dell'accorto Ottaviano.
Infatti, allorché Augusto sali al trono, permise alle città
che lo richiedevano già da lungo tempo, di innalzare templi
al divo Giulio od a sé, purché fossero comuni anche alla
dea Roma. Questa importante notizia ci è data da Sue-
tonio (2), il quale aggiunge poi che in città fu sempre
alieno dal concedere questo permesso. Ecco le parole dello
storico : « tempia... in nulla provincia nisi communia suo
<( Romaeque nomini recepit : nam in Urbe quidem perti-
« nacissime abstinuit hoc honore ». Non é difficile inten-
dere la cagione di questo suo ostinato rifiuto. Egli che
cercava di illudere il popolo dando a credere di voler es-
sere un semplice cittadino, non poteva permettere che gH
si erigessero templi in città. Ma per le provincie la cosa
era ben differente : là Augusto rappresentava, per cosi dire,
il popolo romano; l'astuto imperatore perciò volle mettere
a profitto la servilità greca che gli offriva onori divini, ac-
cettandoli solo alla condizione che il proprio tempio fosse
il medesimo che quello della dea Roma. Così egli strinse
la propria persona alla personificazione dello Stato, ciò che
assodava sempre più il suo potere, poiché lusingava l'or-
goglio romano facendogli credere che nella persona del-
l'imperatore si venerasse davvero il popolo stesso che era
da quello rappresentato, e nella dea Roma la repubblica
alla quale nessuno certo rifuggiva dal tributare i massimi
(r) Klugmann, op. cit., p. 7, e cf. anclic il Preli.i-r, op. cit.
^l 354.
(2) Octav., 52, e Tacito, Ann., I, io; IV, 37.
102 G^. ^art sotti
onori. Fu adunque in seguito a questo sapiente permesso
di Augusto che nelle provincie sorsero templi a lui sacri
ed alla dea Roma, ed in quelle città dove esisteva già un
tempio ad essa fu aggiunto nella cella il simulacro dell' im-
peratore. Una preziosa iscrizione (i) ci fa sapere che il
decreto col quale fu permesso agli Asiani di celebrare il
natalizio di Augusto fu fatto da Paolo Massimo, proconsole
in quella provincia dopo Fu a. C, anno in cui era stato
console, ed è importante ricordare un tal personaggio che
ci richiama alla mente forse il padre di quello di cui parla
Orazio con tanta lode (2).
Il permesso di Augusto ebbe subito effetto nella città
di Pergamo (3), dove sorse un tempio dedicato TcafA-o xal
SspaaTw, mentre le monete della città presentano Roma
turrita coli' iscrizione 6EAN PQMHN e cosi più tardi, al
tempo di Traiano, sulle monete della stessa Pergamo è
rappresentato un tempio con Augusto armato di asta e co-
ronato dalla dea Roma, che ha tra le mani il corno del-
l'abbondanza ed intorno la leggenda PQMHi KAI SEBA-
2TQi (4). Dione Cassio racconta che la stessa conces-
sione fu fatta ad Efeso e a Nicea, che eressero templi a
GiuHo ed alla dea Roma, e che gli Asiani potevano tribu-
tare onori divini ad Augusto ed alla dea Roma nel capo-
luogo della provincia, cioè a Pergamo, e i Bitini a Nico-
media (5). E molte monete, infatti, portano impresso un
tempio colle parole communitas Asiae (6).
L'esempio di queste fu seguito poi da quasi tutte le
altre città principaH delle provincie dell' impero. Milasa (7),
(i) C L Gr. Ili, 3902 Z^.
(2) Lib. IV, ode I, vv. io, 11.
(3) Tacito, Ann., IV, 37.
(4) ECKHEL, D. N., VI, lOI.
(5) LI, 20.
(6) Cohen, « Med. imp, Octav. Aug. », n. 34.
(7) Caylus, Ree. d'antiq., II, 189-190; C. I. Gr., II, n. 2696.
Evoluiione del tipo di ^I{oma 103
Cuma (i), e poi i Nysacenses (2), e i Cizicieni (3),
tutti edificarono templi in onore delle stesse due divi-
nità. Le città di Galazia, cioè, Ancira, Pessinus, Ta-
vium, ecc., chiesero di essere chiamate Sepaaxai, ed il co-
mune dei Calati ebbe il sacerdozio del tempio di Augusto
costituito nella loro capitale, cioè Ancira (4), la dedicazione
del qual sacrario ebbe luogo circa 9 anni dopo l'era vol-
gare. A Cesarea poi, Erode fece edificare un tempio assai
sontuoso, nel quale Augusto era effigiato sotto le sembianze
di Giove Olimpico, e la dea Roma sotto quelle di Giunone
argiva (5), ed a questo proposito è da notare il riscontro
tra la figura di Ottaviano e quel che racconta Suetonio del
padre di lui, che, essendo in Tracia, vide in sogno suo fi-
glio simile in tutto a Giove Olimpico (6). Un altro tempio
splendido, di forma rotonda e con un peristilio di 12 co-
lonne, sorse in Atene: esso anzi restò in piedi sino al tempo
di Maometto II (7). Né è da credere che la divinizzazione
di Augusto e Roma si limitasse alle città dell'Asia: anzi
poco a poco si propagò per tutte le provincie dell' impero
e basta dare un'occhiata al C. I. L., per convincersi che
la Spagna (8), il Norico, la Pannonia (9), l'Africa muni-
(i) C. I. Gr., II, n. 3524 ó hri[J.o<i Kaioapt Ssoo uifT) ae^aaTo h^yii^v.
;v,j-ylaT<i) xat 3eà 'Ptóu-Yl, e CayLUS, Ioc. cit.
(2) C. I. Gr., II, 2943.
(3) Tacito, Ann., IV, 36; Dione, LVII, 24.
(4) ZuMPT, Mon. Ancyr., p. 4 e sgg. L'iscrizione diceva: TAAA
'mN[T]0[KOINON - lE] PASAMENON - 0EQi lEBAITlli - KAI 0EAi
PtiMHi. C. /. O., Ili, 4039.
(5) Gius. Flav., Antiq. lud., XV, 13 ; De Bello lud., I, 21, 7.
(6) Octav., 94.
(7) Beulé, L'Acrop. d'Athènes, II, pi. i, p. 206. L'iscrizione di
questo tempio ò nel Corpus del Boekh., I, n. 278.
(8) C. /. L., II, 750. Questa provincia chiese il permesso a Ti-
berio. V. Tacito, Ann., I, 78.
(9) C. I. L, Ili, 3368-5443.
104 ^' T^^^^isoiti
cipale (i) e la Gallia (2) avevano anche esse siffatti templi
e sacerdozi. Sappiamo anzi che a Lugdunio v'era un tempio
per tutta la comunità dei Galli, ed un'ara coli' iscrizione
di 60 popoli; che esso fu dedicato nel 742 di R., e ne fu
fatto sacerdote C. Giulio Vercondaridubio di nazione
Eduo (3): secondo Dione, però, la festa di Augusto cele-
bravasi già da due anni anni a Lugdunio (4). Quanto al-
l' Itaha, lo stesso storico dice che Augusto non v'ebbe mai
culto (5). Ma questa notizia è errata, poiché il tempio di
Fola d' Istria, dedicato ROMAE ET AUGUSTO GAE-
SARI DIVI F. PATRI PATRIAE, fu fatto, forse, mentre
egli era vivo (^), ed altrettanto possiamo supporre per
Verona, Pavia, Brescia, Trento (7), Sorrento (8), Ostia (9)
e Terracina (io), delle quali sappiamo che avevano altari e
sacerdoti in onore di lui. A Napoli, anzi, si celebravano
anche giuochi (n), e possiamo ben credere che per l'Italia
si serbasse la stessa legge che per le provincie, che, cioè,
il caesareiim dovesse avere anche l'immagine di Roma.
Dall'altro canto erra anche Aurelio Vittore, il quale af-
ferma che non solo nelle provincie, ma anche in Roma si
(i) C. /. L., Vili, 1091.
(2) Strabone, IV" p. m. 292, e Suet., Claud., 2; Dione, LIV, 32.
Per il culto di Roma ed Augusto nelle provincie v. anche Ephemeris
epigraphica, l, 200 e sgg.
(3) Stradone, Suet. e Dione, Ioc. cit., e Livio, ep. L, 137.
(4) Questo tempio si vede effigiato ^opra una moneta di Lione
e le colonne dell'altare ancora esistenti, segate in due pezzi, servono
ora come pilastri per sorreggere la vòlta del coro nella chiesa di Aisnay.
V. MiLLiN, Gal. mit., 664, clxxxviii.
(5) Dione, LI, 20.
(6) EcKHEL, D. N., VI, 135.
(7) C. I. L., V, parte I, n. 5036.
(8) Ivi, X, 688.
(9) Orelli, 7172-7174.
(io) C. L L., X, parte I, 6805.
(11) Preller, op. cit-, p. 355
Evoluiione del tipo di T{oma 105
ebbero templi ad Augusto, vivente lo stesso monarca (i),
notizia che è smentita da tutti gli altri scrittori (2).
Morto Augusto^ però, si cominciò dal consacrare la
casa dove era nato (3), e poi la casa a Nola dove aveva
cessato di vivere (4), e Tiberio e Livia gli edificarono un
tempio nella regione X (5). Questo sacrario, a somiglianza
di quelli delle provincie, ebbe anch'esso le due immagini
di Roma e di Augusto? Esso è sempre chiamato iempliun
Augusti siccome quelH delle provincie benché avessero anche
la dea Roma, ed è perciò opinione comune che a lui solo
forse consacrato, tuttavia è notevole che le medaglie di
Tiberio e di Caligola l'uno dei quali cominciò l'edificio e
l'altro lo dedicò, hanno un tempio colla scritta ROM. ET
AUG. (6). Sappiamo ancora che nell' incendio neroniano,
il tempio fu distrutto e poi subito riedificato. Quanto alle
persone che vi si veneravano, v'è chi dice che vi fu ado-
rata anche Livia (7) la quale sarebbe stata posta nel tempio
da Claudio, ma sul primo ella non fu che sacerdotessa (8).
Una moneta di Antonino Pio accenna evidentemente al
restauro flitto al tempio di Augusto, mostrando nel ro-
vescio un tempio ad otto colonne con due figure nel-
l' interno ed intorno le parole TEMPL. DIV. AVO.
REST. COS. IIIL S. C. (9). Un esemplare del pro-
(i) Hist. abh., parte II, i, § 6.
(2) In Roma invece i poeti chiamavano nume Augusto (Ovidio,
Ars amandi, III, vili, 51; Orazio, IV, 5), uso che si perpetuò poi
e contro il quale si scagliò Marziale, Vili, 15.
(3) SuETON., Ociav., 5.
(4) EcKHEL, D. N., VI, 125.
(5) Plin., Hist. Nat., XII, 19; Dio., LXI, 46, 42; Muratori, he,
p. CLXXvii, n. I ; Becker, Thopo^raphie, p. 430.
(6) Cohen, I, « Calig. », nn. 18, 19, 20; w Tib. », nn. 39,40,41,
42, 43» 44, 45» 46.
(7) Muratori, loc. cit. ; Dìo., LX, 5.
(8) Eckhel, D. N., vi, 125.
(9) Cohen, II, 797. Antonino in questa moneta ha la XXII po-
testà tribunizia.
io6 qA. Tarisottì
spetto deir antico tempio lo abbiamo forse in quel ri-
lievo che esisteva altre volte alla villa Medici, e del quale
non si vede oggi che una copia gettata in gesso. Esso è
composto di una gradinata, sulla quale si innalzano otto
colonne corinzie, che sorreggono un timpano ornato ai
lati da Vittorie : tra le figure del frontone v'è una Venere
che ricorda la famiglia di Augusto (i). Una figura barbata
nel mezzo ha fatto credere che si trattasse del tempio in-
nalzato da Adriano, ma quello era decastilo, come vedremo
più tardi. Il prospetto di un altro di tali templi, ma posteriore
ad Antonino, è rappresentato in un piccolo rilievo edito nella
Archàologìsche Zdtiing (2), di cui diamo una riproduzione
alla tav. I (V. in fine). Esso è annesso alla base di una statua
della Galleria delle Statue al museo Chiaramontì (3). Seb-
bene il lavoro sia pessimo ed accenni appunto ad un'età
anche posteriore a quella degh Antonini, l' importanza di
questo marmo non è piccola. Sopra una gradinata, indicata
da linee, s'innalzano le sei colonne che sorreggono il fron-
tone : neir interno si vedono i due simulacri posti nelle
celle: quello alla sinistra di chi guarda si riconosce subito
per Roma, dal capo galeato, dalla corta tunica e dalla mam-
mella destra scoperta : la dea si appoggia colla sinistra sullo
scudo e colla destra sull'asta. L'altra divinità è col capo tur-
rito ed il corno dell'abbondanza nella mano sinistra ed è
in generale creduta Fortuna; non si potrebbe supporre esser
essa Livia sotto le sembianze di una Tyche, ovvero della
Magna Mater? L'artista per amore di simmetria avrebbe
in tal caso sostituito ad Augusto l' immagine di Roma.
Oltre il caesareum, che sappiamo essere stato costruito
(i) ZoEGA, app., 381, 37; Bull, deirist., 1853, ^4^5 ^^^^^^- deU'Ist.,
V, 40; Annali dell' IsL, 1852, 358; Codex Cohurgensis, 467, 38.
(2) Voi. V, p. 49, tav. 4. L' illustratore propone come congettura
la interpretazione delle lettere che si vedono ai lati, così : IN HAC
AEDe saBINI MATerni luDI LOCANTUr.
(3) La statua è segnata col n. 401.
Evoluiione del tipo dì l^ma 107
nel bosco dei fratelli Arvali, troviamo menzionato anche mi
tempìum Romae et Augusti, ovvero solamente Romac, nel
fóro, e precisamente facente parte di quel gruppo di tre edi-
fici, che oggi formano la chiesa de' Ss. Cosma e Damiano.
Ma questa denominazione di tempìum Urbis sembra che
sia assai tarda e non abbia a che far nulla col culto della dea,
essendo forse originata dall'essere stata affissa, nei tempi
di Severo, sulle pareti di quel monumento la pianta mar-
morea, i cui avanzi sono oggi al Campidoglio, la quale rap-
presenta appunto la città ai tempi Severiani (i).
Ma col procedere del tempo la divinizzazione di Roma
fece ancora un passo di più : in tutti i templi che abMamo
sinora veduto, essa dea era ancora assai terrena, anzi unita
nel culto ad un mortale, mentre più tardi essa divenne una
divinità di ordine superiore.
Adriano le innalzò l'ultimo e più magnifico tempio, co-
mune anche alla figlia stessa di Giove, a quella Venere, dalla
quale Roma in certo modo ripeteva la sua origine. Di
questo splendido edificio, ideato, come credesi, dallo stesso
imperatore, rimangono oggi pochi avanzi presso la chiesa
di Santa Francesca Romana al Foro. Sarebbe cosa troppo
lunga il parlare qui distesamente dell'edificio Adrianeo e
perciò, piuttosto che darne qualche cenno generale, riman-
diamo il lettore ad un recente ed accurato lavoro di un pen-
sionato dell' AccademiaNazionale di Francia, il signor Laloux,
il quale si è nuovamente occupato della restaurazione di
quell'importante monumento (2).
De' simulacri che si veneravano in tutti questi tempH
non ci rimane disgraziatamente nulla, ma sino ad un certo
(i) De Rossr, Boll, d'arch. crisi, a. 1867,* p. 62 e sgg. ; Lancian'I,
Boll, comm., 1882, p. 48 e sgg.
(2) Mélanges d'arch., 1872, III- IV. - V. anche il rilievo che si crede
una copia del tempio di Adriano. Canina, Edijìi., II, tav. lii, i, ecc.
Un frammento del fregio di questo tempio esiste in Roma presso lo
scalpellino Viti.
io8 G^. Tarisotti
punto però ci è possibile di fare delle congetture abbastanza
fondate.
In primo luogo le immagini che dovettero essere con-
sacrate alla dea Roma nelle città di Smirne e Alabanda sin
dal tempo della repubblica assai probabilmente ebbero una
figura simile a quella di Pallade, non essendo ancora co-
minciata una personificazione della città di indole più na-
zionale. Infatti nel didrachmon dei Locri cpizefiri, di cui
abbiamo già parlato, Roma ha un lungo chitone e siede
appoggiando il braccio destro sopra lo scudo in una posi-
tura simile a quella che spesso ha Minerva pacifica. Più
tardi poi nei templi delle città dell'Asia Minore la dea Roma
fu rappresentata variamente secondo i culti locali: sicché
ella ebbe la figura di una Tyche o della Magna Mater e per-
sino di Giunone argiva (i). Ma tutte queste rappresentanze
ebbero quasi sempre un fondo comune che si riferisce al
tipo della moneta di C Vihiiis C. f. C. n. Pausa, che ab-
biamo già esaminato. Infatti sulle monete di Papirio Car-
bone a Nicomedia, Roma difì^erisce da quella di Fìbhis Pausa
solo perchè tiene ella stessa in mano la figura della Vittoria
e perchè ha sulla galea una corona di edera. Così in quelle
monete coniate da C. Cecilie Cornuto ad Amiso, Roma ha
la stessa figura del denario di Vibio, salvo che calpesta una
galea invece del globo (2) e neppur molta differenza si
riscontra in un denario coloniale di Augusto (3). Finalmente
una statuetta del museo Pio dementino illustrata dal Vi-
sconti (4) rappresenta la dea Roma nella solita maniera,
cioè sedente sopra una corazza con un corto abito e col
petto a destra nudo, un piccolo elmo in capo e colla mano
sinistra poggiata sul parazonio^ mentre colla destra ora so-
(i) Preller, op. cit., II, 355; Gius. Flavio, loc. cit.
(2) Morelli, Thes., «Caecilia», B.
(3) Ivi, « Plotia ».
(4) Museo Pio CUnimtìno^ II, 15.
EpoI unione del tipo dì ^oma 109
stieiie un'asta evidentemente mal sostituita ad una Vittoria
sul globo, come osserva lo stesso Visconti (i). Questa figura,
che concorda cosi bene colle altre già osservate, mi sembra
che ci possa dare un' idea della immagine di Roma nei templi
deiritaHa e delle provincie occidentah, poiché, confrontando
quella statuetta colla figura del bassorilievo vaticano già ci-
tato, le troveremo abbastanza corrispondenti tra loro : perciò,
considerando che ai tempi degU Antonini la personifica-
zione della città aveva assunto forme differenti, come ve-
dremo in seguito, potremo ragionevolmente credere che
in quel rilievo si sia resa l'effigie di Roma come era in qual-
cuno dei templi suddetti. Anche simile a questa fu pro-
babilmente il s'igìium reipubìicae^ di cui parlano gli storici (2) ;
anzi, osserva il Klùgmann (3), che, come il Giove di
Ohmpia aveva in mano una piccola immagine della Vittoria,
riferendosi esso strettamente ai giuochi, cosi il Giove Capi-
tolino avesse invece quella di Roma, quasi come fosse il
Palladio ; alla quale idea accenna anche chiaramente Dione
Cassio.
Ma nel tempio innalzato da Adriano la dea dovette
essere figurata in modo assai differente. L'apogeo a cui era
giunta la potenza romana e l'apoteosi di Roma personifi-
cata, che già durando da qualche tempo cominciò necessa-
riamente allora ad essere meglio compresa e più sentita
dal popolo, fecero sì che ella assunse un'apparenza assai
più maestosa. Di questo cambiamento del tipo dovremo
parlare più particolarmente in appresso: per ora basti il dire
che le figure del tempio di Adriano hanno un lungo chi-
tone, il petto coperto, ed invece della piccola galea, un
grande elmo con ricco cimiero e con una specie di Stefana
sul dinanzi, che ha l'apparenza di una cinta di torri. In tal
(i) Loc. cit.
(2) Su.ETON , (>.!u.., 94; Dio. Cass., XLV, 2.
(3) Op. clt., p. 9.
no C^. Tarisottt
guisa è rappresentata nella famosa pittura Barberiniana (i),
la quale, non a torto, si ritiene aver stretta relazione col
simulacro di Roma posto nel tempio del Foro.
Riepilogando ora ciò che è stato detto in questo capi-
tolo, faremo dei templi innalzati in onore della dea Roma
tre classi:
La prima, composta di quelli antichissimi di Smirne e
di Alabanda colla dea simile nell'aspetto a Minerva o me-
glio alla effigie del didrachmon dei Locri epizefìri; e questi
non hanno nessun significato veramente reUgioso, ma solo
uno scopo politico. Essi, cioè, ci dimostrano non che sin-
cera venerazione fosse sentita per la dea Roma dai popoli
greci, ma piuttosto ci attestano l'uso frequentissimo del-
l'apoteosi con che quelli cercavano, servilmente adulando,
di rendersi benevolo altrui.
La seconda classe è composta di tutti gli innumerevoH
templi sorti nell'età di Augusto e dei suoi primi successori,
Tiberio, Caligola e Claudio. In questa seconda fase le im-
magini della divinità hanno avuto assai probabilmente co-
muni le linee generali : cioè corto abito che lascia il petto
ignudo da una parte, alti calzari ai piedi, semplice galea in
capo e lo scettro o il parazonio o l'asta da una mano e la
Vittoria coronante dall'altra. La qual rappresentanza ha ab-
bandonato, come si vede, il tipo del didrachmon di Locri,
che non aveva nulla di nazionale, sostituendogli quel tipo
che abbiamo veduto svolgersi poco a poco nel tempo della
repubbUca fino ad acquistare la maestà necessaria per es-
sere una figura da porsi in un tempio. Quanto al signifi-
cato morale di questa nuova classe di templi, abbiamo già
osservato che anche questo è un culto puramente formale
che non corrisponde ad alcuna idealità (2) ; ma che fu sug-
(i) MiLLiN, Gal. Mith., 660, clxxx; Bunsen, Beschr. der Stadt.
Rom., Ili, pane II, 436, e così la statua della tav. iii, che è pure di
tempo certamente posteriore ad Adriano.
(2) Cf. il Kenner, op. cit., p. 25.
Evolii'{ione del tipo di ^oma iii
gerito dal senno politico di Ottaviano, il quale profittò del
servilismo dei popoli per stringerli maggiormente alla sog-
gezione della repubblica, e nello stesso tempo legare alla
sua persona il concetto di rappresentante della repubblica
stessa.
Da ultimo l'estrema fase del culto di Roma, dataci dal
tempio di Adriano, ci mostra quanto fosse cambiato il sen-
timento del popolo, assumendo la figura della dea carattere
più ideale. Sarebbe vano cercare uno scopo politico nella
costruzione del tempio di Venere e Roma, che anzi esso ri-
sponde invece alle nuove idee del popolo. La persuasione
che una divinità in cielo rappresenti, per dir così, la Roma
della terra, domina l'animo di tutti. Essa si collega col
titolo di eterna che allora per la prima volta vien dato alla
città. Questo nuovo appellativo, che ha la sua origine dalla
discendenza divina della dea Roma, trova un bel riscontro
nell'unione del culto di essa con Venere ed è nello stesso
tempo la radice da cui germogHarono poi le personifica-
zioni fatte da Claudi ano (i) e dagli altri poeti tardi e le
leggende di cui è pieno il medio evo. Di queste cose con-
verrà tornar a parlare con maggior ampiezza quando trat-
teremo in particolare la trasformazione del tipo al tempo
di Adriano. Ci basta intanto di averle accennate per mo-
strare il legame che esiste tra questo nuovo tempio e la
figura che noi crediamo più conveniente alle nuove condi-
zioni, cioè una Roma che torna ad essere in tutto assai
simile a Minerva, ma con aspetto matronale, altero ed assai
più fiero di quella.
(i) Claudiano, De huHÌih. Stilic, II, 270 e sgg.
112 QA. T^ar {sotti
III.
L' IMPERO.
Seguendo il sistema che abbiamo tenuto sinora, con-
verrà innanzi tutto dare un breve cenno del modo che il
Kenner tiene nello studio del tipo di Roma durante il tempo
dell' impero.
Egli, dopo fatte breve osservazioni sulle mutate condi-
zioni dell'allegoria, col procedere degli anni da Augusto in
poi, conclude col dire che la figura di Roma assume tre tipi
principali. Il primo di dominatrice (Herrschende), attorno
al quale aggruppa tutti i passi di autori che la descrivono
come regina gentium e tutte le rappresentanze delle monete
che similmente le danno gU attributi della dominazione,
cioè l'asta pura, il globo e, secondo la sua opinione, anche
la figura di Giunone. Il secondo tipo è di Roma genitrice
o nutrice (Nàhrende), attorno al quale aggruppa nello stesso
modo espressioni di molti scrittori che la denominano tale, e
fa loro corrispondere le monete imperiali che portano la
figura di Roma con alcuno di tali emblemi, come per esempio
il corno dell'abbondanza o le spiche. In terzo luogo egli
pone il tipo di Roma combattente (Wehrende) che richiama
assai da vicino quello dell'epoca repubblicana, cogli stessi
attributi e lo stesso aspetto bellicoso. È da notare però che
in questa divisione egli non tiene alcun conto delle diffe-
renze di tempo e però mette insieme indifferentemente tutte
le monete da Augusto fino all'età barbarica, le quali presen-
tano caratteri taU che le facciano corrispondere ad uno ov-
vero ad un altro dei tipi stabifiti.
Evolu:^ione del tipo di ^oma 113
Ora, un tal metodo, come si vede, potrà essere utilissimo
per ordinare sistematicamente le impronte imperiali che rap-
presentino l'effigie di Roma, ma non mi sembra che sia il
più acconcio per porre in rilievo lo sviluppo e lo svolgi-
mento storico che l'effigie stessa ha subito. Questo difetto,
del resto, è una necessaria conseguenza dell'aver fondato lo
studio unicamente sulle monete : e già, come avevamo os-
servato fin dal principio, per tutto il tempo della repubblica,
esse sono sufficienti per formarsi un concetto esatto della
rappresentanza di Roma ed anche del suo svolgimento,
perchè questo segue più da vicino il progredire delle idee
e dei sentimenti del popolo, mentre, nel tempo dell' impero,
la varietà e la confusione dei tipi è tale, che sarebbe assai
difficile mettervi un ordine, se non ci venisse in aiuto l'arte
figurata.
Con un tale sussidio adunque ci proveremo noi di ve-
dere quale è il tipo che predomina in ciascuna età, e quali
sono le ragioni per le quali esso meglio corrisponde alle
condizioni del tempo.
L' impero, per conseguenza, resterà diviso in tre grandi
periodi che rappresentano le tre grandi mutazioni della so-
cietà romana e corrispondentemente della rappresentanza di
Roma. Il primo da Augusto ad Adriano, cioè lo stabilirsi del-
l'impero e il suo consolidamento; il secondo dagli Antonini
a Costantino, cioè il periodo filosofico ed il principio della
decadenza; il terzo ed ultimo da Costantino alla caduta del-
l' impero occidentale, cioè la traslazione della sede, lo sta-
bilirsi della nuova Roma e perciò il nascimento di una nuova
personificazione e le ultime trasformazioni della figura del-
l'antica prima di quelle delle età barbariche e del medio evo.
§ I. — Da Augusto ad Adriano.
La figura della dea Roma comparisce cosi raramente
nelle impronte augustce, che si starebbe a cattivo partito
Archivio della R. Società romana di Storia patria. Voi. XI. 8
114 ^' ^arisotti
volendosi fare un' idea della trasformazione di quel tipo du-
rante l'accennato periodo di tempo, se non vi fossero altre
rappresentanze. Tuttavia la moneta di Amiso, di cui abbiamo
già parlato innanzi, ed altre portate dal Morelli (i) ce la mo-
strano ancora secondo il tipo consueto, cioè colla veste
amazzonica e colle solite armi : una differenza però è da notare
in ciò, che ella ha in questi tipi quasi costantemente una piccola
immagine della Vittoria nella mano. Nella moneta di C. Vi-
bius Pausa la figura della Vittoria era divenuta assai piccola
ed incoronava Roma volando; ora è addirittura un suo attri-
buto. La dea Roma adunque prende l'aspetto di divinità
nicefora, ciò che la pone subito in un grado più elevato
della semplice personificazione della città. Ma questa circo-
stanza sarebbe di ben poco valore, se nel resto la rappre-
sentanza non avesse acquistato una maggiore dignità. Per
mettere in chiaro quest' idea ci serviremo di un bassorilievo
che si conserva nel cortile del palazzo Mattei in Roma e
che fu già pubblicato dal Winckelmann e da Raoul Rochette
ed oggetto di vive discussioni. Ultimamente però il Reif-
ferscheid e il Lùbbert (2), che se ne occuparono, mi sembra
che abbiano posto fine alla controversia.
La rappresentanza di questo rilievo è come divisa in
due nel senso della lunghezza. Nel mezzo, in basso, giace
una figura di donna seminuda che dorme, verso la quale si
avanza da sinistra un giovane, anche esso nudo, colFelmo
in capo : nel fondo il dio del sonno sporgendo fuori, sembra
versare da un corno un qualche sonnifero sulla vergine
perchè non si desti. Alla destra di questo gruppo, pure in
basso, giace la dea Teìlus volta di spalle e coronata di spiche,
(i) Tbes. num. imp., tav. xliii, 19, 20: Testa di Germanico a s.
t Roma seduta su trono a s. con Vittoria coronante nella s. e para-
zonio nella d. con abito succinto exerta mamma, tav. xlvi, 4, 5 : Testa
di Augusto laureata a d. SEBASTOI KTIITHI ^ KAAZOMENIiiN ; Roma
stame galeata con abito amazzonico, scudo nella s. e asta nella d.
(2) Mem. deirist. di corr. arch., II, 143, 464..
Evoluzione del tipo di T{oma 115
e alla sinistra un dio marino generalmente chiamato Oceano.
Al disopra di questo siede il Tevere col remo in mano, e al-
l'estremità sinistra il quadro è compiuto da una figura fem-
minile seminuda in piedi. Nella parte superiore poi, una corona
di divinità sono come spettatrici del fatto. Per ispiegare il
presente rilievo furono tratte in campo naturalmente la leg-
genda di Peleo e Teti, quella di iMarte e Venere e quella
di Marte e Rea Silvia. Quest'ultima è sostenuta dal Lùb-
bert (i) ed il Reifferscheid (2) dal genere del lavoro e dalla
unione della divinità si fa strada all'idea che il rilievo sia
dell'età di Augusto. Alla destra adunque, nella parte supe-
riore, siede maestosa Giunone colla stephane in capo e lo
scettro in mano; appresso a lei da sinistra una figura di
donna coli' elmo in capo, che non si può scambiare con
Minerva (la cui immagine che segue è caratterizzata da un
albero di olivo a cui si appoggia e dal serpente) e che perciò
è interpretata come Roma. Essa non è solo spettatrice del
fatto, ma in certo modo vi prende parte rivolgendosi a Giu-
none perchè protegga il connubio dei genitori di Romolo.
Alla sinistra di Minerva è Vulcano colla exomis e la face
ed accanto a lui due figure, d'una delle quali si vede solo
la testa, che il Reifferscheid crede Liher e Libera,
Continuando appresso poi alla sinistra di Marte, Apollo,
poi Diana appoggiata ad un albero di alloro in corrispon-
denza con Minerva, poi Mercurio e Vesta, tutti caratteriz-
zati dai loro attributi. Questa interpretazione, che è quella
del Reifferscheid, mi sembra la più probabile ed assai giusta
l'osservazione che egli fii sopra l'unione di queste divinità.
Egli dice : « Questa riunione di dei è formata da quelli del
(( Palatino e quelli dell'Aventino che, insieme col dio Tevere,
e ci si offrono come spettatori e testimoni dell'avvenimento
<' più solenne per la città di Roma ».
(i) ycm. J.ÌÌ'Ll., Il, 14-;.
(2) Ivi, 464.
ir^ qA. Tarisotti
Noi aggiungeremo che il vedere Roma tra queste divi-
nità è una particolarità assai nuova e che sorprende gran-
demente ; tuttavia non parrà strano se si pensa che tutti quei
numi essendo scesi in terra per proteggere colla loro pre-
senza il congiungimento di Marte con Rea Silvia, è natu-
rale che ad essi si unisca quella Roma che vedemmo già
immaginata come moglie di Ascanio e perciò progenitrice
di Rea e protettrice di lei, del suo figlio e della città da lui
fondata. Ma anche più conveniente si vede essere la figura
di Roma in questa composizione poiché tutti quei numi
hanno in tal caso semplice carattere di personificazione del
Palatino, dell'Aventino e del Tevere e perciò ella stessa resta
al grado di personificazione dell'intera città. Quanto all'es-
sere Roma qui completamente vestita, ciò può derivare o
dall'averle voluto dare l'artista una figura più maestosa do-
vendola porre insieme cogli altri numi, ovvero da alcune
altre rappresentanze della età di Augusto che ce la mostrano
pure interamente coperta perchè figurano Livia sotto le sem-
bianze di Roma.
Tali sono le due preziose gemme del Gabinetto impe-
•riale di Vienna (i), la prima delle quali rappresenta nella
parte inferiore fatti allusivi alla vita di Augusto e nella parte
superiore Augusto seduto a destra sotto le sembianze di
Giove, collo scettro nella mano sinistra ed incoronato dal
di dietro da Cibele, presso cui è Nettuno, per indicare così
che Augusto signoreggia la terra ed il mare. Alla sua destra
siede Livia sotto le effigie della dea Roma col capo coperto
di ricco elmo, vestita di lungo chitone, coli' asta nella de-
stra ed il parazonio nella sinistra. Da questa parte segue
Germanico in piedi vestito militarmente, poi Tiberio togato
sul carro: una figura seminuda che si appoggia al trono
dell' imperatore è creduta dall' Eckhel Agrippina. L' altra
gemma ci fa vedere le sole due immagini di Augusto e
(i) Eckhel, Cboix des pierres gravées, tavv, i, il
Epolujione del tipo di ^I{oma 117
Livia; egli simile a Giove Olimpico col doppio corno nella
destra e lo scettro nella sinistra; ella simile alla dea Roma,
vestita come nell'altra gemma e colle mani poggiate sopra
uno scudo che regge sulle ginocchia. Anche il dotto illu-
stratore del Gabinetto imperiale osserva che l'artista le ha
dato qui un abito più decente dovendo ella rappresentare
Livia. Che questo costume però non sia stato seguito di
poi, ce lo mostrano le altre rappresentanze che si possono
assegnare a questo medesimo tempo. Tra le monete dei
Cesari quelle che più frequentemente portano sul rovescio
la figura di Roma sono le Neroniane. In esse la dea è quale
l'abbiamo già veduta in abito succinto, seduta sopra un muc-
chio di armi e colla Vittoria nella destra (i) ed oltre a queste
monete la stessa effigie è posta in un bassorilievo di villa
Medici edito dal Bartoli (2). Il soggetto sembra che siano
i vicennali di qualche imperatore la cui persona manca. Roma
è la figura principale e siede maestosamente volta verso de-
stra, vestita col suo solito costume di amazzone, reggendo
colla destra uno scettro sormontato da un'aquila che stringe
negli artigli i fulmini. Un'altra figura di donna alla destra
del rilievo, intieramente vestita e col capo cinto di torri, sta
inginocchiata in atto supplichevole innanzi ad una donna
che scrive sopra uno scudo
VOTIS ^ X
ET XX ^
la quale è certamente una Vittoria. Alla destra pure del
rilievo si allontana un uomo calvo ed imberbe, vestito con
una specie di lunga clamide, colla lancia sul braccio sinistro
e la destra sul petto : ma di questa figura, che Zoega crede
(i) Cohen, « Med. imp. Neron. », nn. 52, 53, 54, 150, 190, 197,
199, 200-205, 219-240, 262, 263, 264.
(2) Admir. Urbis Romae, 12, 13 ; Zoega, app., 381, 32.
ii8 <3^. Tarisolti
interamente moderna, assai poco di certo è antico : forse il
collo, la parte inferiore del capo e la lancia colla spalla si-
nistra: ma quello che è rimasto della testa ci basta per
poter affermare che la rappresentanza è anteriore ad Adriano,
essendo un uomo imberbe. Quanto s'accordi in questo ri-
lievo l'effigie di Roma con quelle che sono sulle monete
di Nerone non è a dire, poiché non solo le vesti, ma eziandio
gli attributi e la posizione e la dignità dello sguardo con-
cordano in tal modo da farci intendere chiaramente esser
questo il vero tipo che si mantenne costante in tutto quel
lungo periodo che corre da Augusto ad Adriano, Ma anche
meglio conviene colle monete Neroniane la statuetta del
museo Pio dementino (i), della quale abbiamo già parlato.
Questa osservazione, Eitta già dal Bunsen nella Beschrei-
bung (2), lo porta alla conclusione abbastanza giusta di porre
nella mano sinistra della detta figura una Vittoria o forse
megho un globo sormontato dalla Vittoria, in luogo dello
scettro di cui l'ha insignita il moderno restauratore.
Poste le quali cose, ogniqualvolta noi troveremo l'effigie
di Roma in questo aspetto, potremo ascrivere la rappresen-
tanza con grande probabilità ai primi tempi dell'impero,
semprechè il genere del lavoro o qualche altra circostanza
non la dimostri di altra età. Crederei perciò anteriore ad
Adriano il frammento di sarcofago che si conserva nel pa-
lazzo Camuccini in-Roma. Per quanto mutilato, si può ri-
conoscere un lavoro non cattivo, ma non è possibile inter-
pretare sicuramente l'azione rappresentata, se non forse
essa sia un sacrificio. La figura meglio conservata è anche
qui quella di Roma che siede a destra, questa volta sopra
una roccia (3) colle vesti consuete e lo scettro nella mano
sinistra. Presso di lei un fanciullo con veste barbara, poi
(i) Visconti, M. P. CI, II, 15.
(2) Voi. II, II, 251.
(3) Cf. la moneta di Vespasiano: Cohen, I, 315, nn. 375 a 376.
Evoluiione del tipo di ^^oma 119
un avanzo di figura militare forse sacrificante, ed un'altra
figura virile con tunica e mantello, di cui mancano pure
le estremità. Non è questo il luogo di proporre una resti-
tuzione di questo avanzo nel quale la effìgie di Roma non
ha subito alcuna modificazione, ma crediamo utile di aver
tratto fuori un tal monumento, essendo assai raro il tro-
vare la dea Roma rappresentata sui sarcofaghi, e però al-
lorché vi si vede, si può concludere con qualche probabilità
che il sepolcro abbia chiuso le spoglie di un qualche il-
lustre personaggio, poiché ella di solito trovasi effigiata
insieme o coi numi ovvero colle persone della famiglia
imperiale.
Un altro monumento che, sebbene manchi di ogni em-
blema, possiamo ascrivere al miglior periodo dell'arte, é il
celebre busto Borghesiano, del quale ammirato oltre ogni
credere il Visconti dice (i): « I capelli che si mostrano
« sulle tempie fuori della celata sono lavorati con molto
« gusto, quasi in quella foggia che osservasi nei lavori di
« bronzo. I lineamenti del volto e i contorni tutti sono
« disegnati con somma intelligenza e con una certa finezza
« che ci fa comprendere non aver fiorito l'artefice in quei
« tempi, quando il lusso della capitale ammolliva e cor-
« rompeva le arti della vinta ed ammirata Grecia». Che
in questa testa sia rappresentata Roma e non Minerva si
riconosce chiaramente dalle due lupe scolpite, una per cia-
scun lato dell'elmo, dallo sguardo fiero e superbo che di-
stingue in modo sicuro l'una divinità dall'altra; ed a questo
proposito il Visconti stesso (2) riferisce le idee del Win-
kelmann e dice che secondo questo autore « i distintivi
« del volto di Pallade sono la serietà scevra da ogni de-
« bolezza del sesso che sembra aver dominato Amore me-
« desimo, una immagine di pudor virginale che dà un
(1) Moti, scelli Borghesiuni, tav. xxxiii, 257.
(2) Musco Chiaramonti, 121.
120 C^. T^artsotti
« certo abbassamento alle luci come chi tranquillamente
« medita, quando Roma, altera dominatrice del mondo, gira
«all'opposto franche le luci e mostra un'aria feroce».
Terminata la famiglia dei Cesari, l'impero è preso per
breve tempo da Galba, il quale sembra si credesse ripara-
tore dei guasti fatti alla città dall'incendio neroniano e
delle sevizie sofferte dai cittadini sotto il governo dello
stesso Nerone, tanto sono frequenti le monete che ci mo-
strano al diritto la testa di Galba e dall'altra parte la figura
di Roma inginocchiata dinanzi all' imperatore che la sol-
leva, ed intorno scritte le parole: ROMA RESTITVTA,
ovvero anche con altre rappresentanze, ROMA RENASCES
od anche RENASCENS e spesso in piedi con abito mili-
tare (i). Cosi per la prima volta vediamo Roma in posi-
zione umile : una moneta, in cui si accenna forse quali fos-
sero questi benefici fatti da Galba alla città, la mostra vestita
militarmente colla scritta: ROMA R. XL, che il Morelli
interpreta per remissae quadr agesimae (2).
Queste stesse rappresentanze restituite da Vitellio (3)
e poi da Vespasiano (4) non sono certo da tenersi in gran
conto: tuttavia è da notare che il tipo tradizionale non si
perde, anzi continua con qualche piccola modificazione
su quelle monete che mostrano Roma seduta, con un ramo
di alloro fra le mani e le parole ROMA VICTRIX (5).
(i) Cohen, « Med. imp. Galba », nn. 3, 4, 55-59, 60-64, 65-67.
VICTRIX, nn. 68-71. Così Roma in abito militare e in piedi, nn. 191-
200, ROMA RESTI, n. 201.
(2) Morelli, loc. cit , iii, 3, 4.
(3) Morelli, op. cit., « Vit. num. arg. et aur. », 11, 9; iii, 3, 4;
IV, 2, 3.
(4) Cohen, op. cit., « Vesp. », n. 424, ROMA RESURGES S. C.
In questa moneta Roma è presentata a Vespasiano da Minerva.
(5) Morelli, op. cit., « Galba», v, 15, 16; vii, 20, 23; « Vitelli!
num. arg. », in, 9, io; « ex aere magno », ni, 2; « ex aere medio »,
IX, i; «Vespasiani», vni, 5, 6; xi, io; xii, 7, 8.
Epolw^tone del tipo di ^^oma 121
Ma sebbene la Roma victrix posta su questi tipi abbia,
come significato storico, ben poca importanza, come anche
la Roma restitiita, pure queste deviazioni dal tipo antico
sono da notare perchè servono come di passaggio ad una
nuova rappresentanza. Primieramente l'essere Roma in abito
militare concorda assai bene cogli imperatori militari che
seguirono la famigha dei Cesari: in secondo luogo la sua
figura che abbiamo veduto sinora sedente siccome si con-
veniva ad una personificazione di città, ora, per circostanze
accidentali, ho preso atteggiamenti vari e la vedremo conti-
nuare per qualche tempo ad essere rappresentata cosi. Questo
mostra che ella non esprime più solo la città o lo Stato, ma
che la sua figura, atteggiandosi con movenze ed atti vari,
acquista una vera personalità. Lasciando da parte le monete
di Tito che continuano l'antica tradizione artistica, l'arte figu-
rata ci fa vedere questa mutazione della rappresentanza che
corrisponde naturalmente ad una maggiore idealità nel con-
cetto. Sull'arco di Tito vi sono due figure di Roma : 1' una
sulla chiave, daha parte che guarda l'anfiteatro Flavio, l'altra
nell'interno. La prima è stante e coll'asta in mano e non
ha per noi grande importanza, essendo una figura di pura
decorazione e seguendo perciò il tipo delle monete: l'altra
invece, vestita forse anche essa come la prima (i), precede
il carro su cui sta Tito trionfante e coronato dalla Vit-
toria (2)'. Questa nuova movenza è dunque quella che dà
alla figura un significato simbolico nuovo. Quella che con-
duce il carro del trionfiitore non può essere ne la città,
né lo Stato, giacche sarebbe una assai strana personifica-
zione : né si potrebbe intendere come la città conduca
dentro la città l'imperatore. Dunque la Roma rappresen-
tata in quell'atteggiamento dovrà essere una vera divinità,
una Roma celeste che dall'Olimpo regola i destini della
(i) Non si può riconoscere essendo guasta la figura.
(2) Rossini, Archi trionfali, tavv. xxxvi, xxxiv.
122 (ì4. T^ ari sotti
Roma terrestre, ne protegge la vita e la ricolma di glorie
e di trionfi. Non possiamo perciò accettare quelle parole
del Kenner (i) colle quali egli afferma che durante l'im-
pero ogni aura di idealità spari dalla personificazione di
Roma e ciò perchè l'idea del genius, da cui prima ella era
animata, passò ad incarnarsi neh' imperatore. E ciò è vero,
ma appunto perchè questi divenne il genius populi romani
anche la personificazione di Roma crebbe in idealità, av-
viandosi ad essere una vera dea nel sentimento del popolo,
come avvenne più tardi. Possiamo dire per conseguenza
che, anzi, quanto più il popolo col progredire dell' impero
restava escluso dalla vita politica, quanto più la città per-
deva la sua fisionomia caratteristica, a cagione della me-
scolanza dei popoli, ed era soggetta alle dolorose vicende
dei continui mutamenti di governanti, tanto più gli affetti
si concentrarono su questa Roma ideale che si vagheggiava
splendida e felice, maestosamente assisa tra i celesti e che
scendeva di quando in quando in terra a far sentire il suo
spirito divino aleggiante tra le bassezze umane. Ne questa
mutazione del sentimento del popolo poteva osservarsi li-
mitandosi allo studio delle impronte monetarie, giacché
anche i conii di Domiziano (2) e Traiano (3) sono presso
a poco uguaH agli altri già asservati.
Di quest'ultimo però abbiamo un importante ritorno
agli antichi concetti nella restituzione di quel denario re-
pubblicano sul quale è Roma seduta in mezzo ai due av-
voltoi e la lupa sul dinanzi (4). E qual valore abbia questa
(i) « Nur diese Verànderung ist zu bemerken, die in der Auffas-
« sung ihres (Romas) Gedankenkreises vor sich ging, dass selbst der
« noch so geringe ideale Hauch aus dem Inhalte ihrer raytholo^ischen
« Formen entschwand sowie die Idee des Genius auf den Imperator
« ùberging », p. 29.
(2) Morelli, op. cit., Lxvir, nn. 15, 16.
(3) Cohen, « Med. imp. Trajan. », nn. 68, 69, 204, 217, 289, q.cc.
(4) Cohen, « Med. cons. », tav. xlv, n. 18, p. 340, n. 13.
Evoluiione del tipo di l^oma 123
figura, ripristinata al tempo di Traiano, cioè nel periodo
più felice deir impero, quando il dominio romano aveva
raggiunto la sua massima ampiezza e i vaticini antichi si
erano interamente avverati, ognuno lo può vedere. Cosi,
senza uscire dai tipi fin allora usati, fu rimesso in vigore
quello che, dando alla figura di Roma un carattere «cosi
mistico, s'accordava in modo singolare col sentimento del
popolo.
Anche sugli archi eretti in onore di Traiano si vede
più di una volta effigiata Roma. Il bassorilievo, che fini
poi per adornare l'arco di Costantino (i), ci mostra alla
destra la battagUa ed alla sinistra la figura dell'imperatore
coronato dalla Vittoria, e presso di lui Roma in piedi colla
galea in capo e col corto abito succinto. Essa regge colla
destra un frammento di asta e colla sinistra un oggetto
che il Rossini dice confusamente accennato, mentre il Bel-
lori (2) lo definisce un parazonio. Questo, che è un sim-
bolo tutto militare, l'abbiamo veduto scomparire da che
la figura ha assunto come emblemi lo scettro ed il globo:
sarebbe perciò abbastanza strano il trovarlo di nuovo in
questa rappresentanza: ma siccome in essa Roma sembra
scesa in terra ad assistere Traiano nella battaglia, si può
supporre che abbia ripreso le antiche sue armi.
L'arco di Traiano in Benevento (3) porta sulla chiave
la figura di Roma con tunica e paludamento, col globo
nella destra ed asta nella sinistra. Questo emblema del
dominio terrestre, che prima era sotto i piedi di lei, ora,
posto nelle sue mani, ci fa vedere con quanta maggiore
tranquillità ella domina ora il mondo: poiché, invece di
tenerlo soggetto a sé colla forza, ne mostra il possesso
sorreggendolo colla mano con quella sicurezza di chi si
(i) Rossini, op. cit., tav. lxx; gran bassorilievo di Traiano.
(2) Bellori, Archi trionfali, tav. xlii.
(3) Rossini, op. cit., tav. xl.
124 ^- Sansoni
fida della propria potenza divina: e si noti che questo
emblema non più si vede sotto di lei. Nello stesso arco
il Rossini (i) crede di vedere effigiata Roma sotto la figura
di Berecinzia che assiste ad una distribuzione di grani, ma
io non riconosco alcun tratto caratteristico in essa che
possa farla ravvisare. Ma se anche qui fosse rappresentata
Roma, sarebbe necessariamente la divinità ispiratrice del
generoso atto all'imperatore.
§ 2. Da Adriano, a Costantino.
Giunto al massimo splendore l' impero, anche la rap-
presentanza di Roma sali al massimo grado di idealità e
di magnificenza. Al tempo di Adriano Roma era già di-
venuta il centro dove tendevano e dove si mescolavano
tutte le nazioni della terra; allora si accentuò quella sua
caratteristica che la distinse anche ai tempi moderni, che,
cioè, se ella non fu madre di tutti gli artisti e poeti, ne
fu però la maestra e Y ispiratrice.
Di tutte quelle città che vantavano origine divina nes-
suna certo era stretta cogli dei da legami tanto forti quanto
Roma, il cui principio si rannodava a Venere e Marte. Di
tutte quelle città nessuna era ormai più Hbera : molte di-
strutte: nessuna cosi potente, così illustre, cosi grande. Di
tutte quelle città nessuna aveva verificato in sé in modo così
pieno le promesse divine quanto Roma. Essa aveva come
data una riprova della sua discendenza da Marte coll'aver
soggiogato il mondo : da circa nove secoli il nome romano,
prima oscuro e ristretto, si era continuamente andato allar-
gando fino a non conoscere più limiti: né per questo era
scemata T intensità del potere magico che ella operava sugli
(i) Op. cit., tavv. xxxvin-XLm, tav, iii dell'Arco.
Evoluiione del tipo di 'T{oma 125
animi: anzi colla sua grandezza aveva, per dire così, rim-
piccolito il mondo :
« Gentibus est aliis tellus data limite certo
« Romanae spatium est urbis et orbis idem »
aveva già cantato Ovidio (i) quando si preparava il do-
minio universale di Roma: ma al tempo di Adriano quel
sentimento era di tutti.
L'antichità adunque a cui rimontavano le prime me-
morie romane e le sue glorie contribuivano a colpire forte-
mente la fantasia del popolo ed a dare alle cose un certo colo-
rito mistico che portava naturalmente alla venerazione (2).
Intanto però gli uomini avevano poco a poco perduta
interamente la fede, sentivano dentro di sé un vuoto ter-
ribile. Il nome della patria, gli ideali politici avevano ces-
sato già da molto tempo di far' battere i cuori.
Gli dei dell'Olimpo erano caduti l'uno appresso del-
l'altro e le misteriose divinità orientali avevano finito per
essere esse pure vuoti nomi e non avevano fatto altro che
accentuare la tendenza dei Romani alla superstizione. La
filosofia aveva invaso le menti di tutti, e stoici e platonici
ed epicurei cercavano tutti un ideale, senza però poterlo
raggiungere mai. D'altra parte gli uomini avevano bisogno
di una fede che tenesse luogo di quella politica e religiosa,
ed a ciò, non bastando né le vecchie tradizioni della mito-
logia greca né la filosofia, bastò appunto la superstizione.
Perciò, mentre in Roma si accalcavano nuovi riti e nuove
forme di culti, la superstizione divenne gigante e divenne
(i) Fasti, II, V. 683.
(2) Confronta ciò che narra S. Agostino {De haeresibus, VII) di
una donna della setta carpocraziana che adorava Cristo ed Omero:
nò essa comprendeva certamente Teccellenza poetica de! cantore di
Troia, ma sì la lontananza del tempo e sì la grandezza delle cose da
lui narrate riempivano l'animo di lei di tanta ammirazione verso quel-
l'uomo che ella si piegava naturalmente ad adorarlo.
126 C^. Tarisoiti
comune e ferma la credenza della misteriosa predestinazione
di Roma.
In questo stesso tempo, quasi come conseguenza degli
altri appellativi che ebbero vigore sotto Vespasiano e sotto
Tito, vien fuori quello di Roma aeterna (i), nome che ci
fa vedere che, sebbene fossero dimenticate o derise le an-
tiche favole, ne restavano tuttavia gli effetti. Cosi ciò che
prima era un vago presentimento divenne certezza : oscure
e lontane erano le origini di Roma e misterioso e fanta-
stico se ne presentiva l'avvenire : questo però era certo tut-
tavia che ella non doveva perire. Un soffio divino aveva
improntato su di lei un carattere di eternità, ponendola
cosi d'un tratto fuori della legge comune della mutazione
e distruzione di tutte le cose. Nel medio evo si disse :
<( Quamdiu stat Colysaeus stat et Roma: quando cadjt
« Colysaeus cadet et Roma*: quando, cadet Roma cadet et
« mundus » (2).
Ora questa idea trova le sue radici nella Roma eterna
di Adriano , e già Tacito (3), allorché riferisce l'editto di
Tiberio per far cessare il popolo dalle lamentazioni per la
morte di Germanico, fa dire all'imperatore: « Principes
(c mortales, rempublicam aeternam esse ». Lo storico, pieno
anche esso della superstizione comune per questa grande
idea di Roma, trasporta i tempi di Tiberio ai suoi, e sup-
pone che nelle moltitudini di quella remota età un accenno
alla eterna potenza della repubbhca avrebbe fatto tanta im-
pressione quanta al tempo in cui egli scriveva.
Roma adunque, che sì nella letteratura che nell'arte
aveva dapprima rappresentato la città fondata da Romolo
e poi lo Stato, come abbiamo veduto a proposito del $•-
(i) Preller, op. cit., p. 357. Cf. anche il medaglione del musco
Tiepolo coU'epigrafe: « Urbs Roma aeterna ».
(2) Graf, Roma nella memoria, nella immagina:(ione del medio evo,
I, 119-120, n. 31.
(3) Ann., Ili, 6, e cf. anche il Graf, II, xxii.
Evoluii one del tipo di T{oma ii'j
gnum reipuhlicae di Suetonio , divenne una vera divi-
nità. Cosi quella Roma che aveva da eroina combattuto a
fianco di Romolo, di Camillo, di Scipione e di Cesare,
aveva abbandonato la terra e proteggeva dal cielo colla
sua mente quello Stato, cui colla forza del suo braccio ella
aveva dato la vita. Tale sarebbe stata la leggenda di Roma
se i poeti l'avessero cantata, o meglio tale essa fu quale ci
è messa innanzi dall'arte; nò si dovrà trascurare di tenerne
conto, pensando che è utile conoscere tutte le leggende di
un popolo, anche quelle che non si sono completamente
svolte, ma di cui possediamo tutti gU elementi. Di più,
poiché anche l'arte è una ve^te particolare del pensiero, si
dovranno dire vere leggende anche quelle che non ci sono
narrate che dal marmo (i).
Certamente però pei Romani, la cui religione era subor-
dinata alla poHtica, dovette acquistare un gran valore una
divinità che riuniva in sé anche l' idea dello Stato.
Ma mentre gli altri dei furono dapprima adorati per
vero sentimento religioso e terminarono per essere pure
forme e puri simboH della religione ufficiale, Roma all'op-
posto, che cominciò coll'essere solo un'allegoria esprimente
la città di Romolo ed il popolo romano, terminò per avere
un sincero culto allorché prese origine la leggenda della
sua eternità e de' suoi destini celesti.
La trasformazione di questi sentimenti si riflette nella
forma in più modi: ma in generale si può dire che la fi-
gura di Roma assume in questo tempo un carattere assai
più dignitoso e veramente divino, sicché si raccosta molto
più nelle vesti e nella maestà a Minerva. Due sole cose
però la distinguono da lei : l'atteggiamento fiero e superbo
(i) Anche la letteratura però tratta in certo modo la Icggeniia d"
Roma assai spesso. Livio, I, 6, fa predire da Romolo a Procolo i de-
stini della città; cosi Claudiano (Ice. cit.) e Sidonio Apollinare
(paneg. ad Majorianum)\ Viro., Aen., I, v. 278; Servio, ad Aen., !X,
V. 188; RuTiLio NuMAZiANO, Hitur., I, V. 13}.
128 qA, Tarisotti
del volto ed il carattere matronale della persona. La di-
stingue ancora la foggia speciale delFelmo che ha sul di-
nanzi un ornamento simile ora ad un diadema, ora ad una
cinta di torri. Le vesti di cui è coperta poi sono quasi
sempre tunica talare e manto, e le armi Tasta pura, sim-
bolo di divinità, e lo scudo in luogo del parazonio, sim-
bolo di virtù militare. Finalmente ella siede assai più spesso
sopra un trono che sopra un mucchio di armi, come
nelle figure dei tempi precedenti. Ed infatti è assai più
proprio per lei, divenuta dea, un trono come quello degli
altri numi di quello che una congerie di armi che le si
addice meglio quando è immaginata come Roma ergane.
La figura di Roma era dapprima necessariamente se-
dente per un significato tutto materiale, non convenendo
che una personificazione di cittcà fosse rappresentata in
altro modo : in seguito però, staccandosi da questo signi-
ficato materiale, prese atteggiamenti propri di una per-
sona, ed ora finalmente torna ad essere quasi sempre se-
duta perchè questa posizione è propria di una divinità
superiore.
Potremo prendere come tipo di una tale rappresen-
tanza della dea Roma la famosa pittura Barberiniana. Sarà
inutile ripetere la storia del ritrovamento (i) di essa presso
il battistero del Laterano, circostanza che diede origine alla
opinione che appartenesse al secolo iv: ma il Bunsen
pensa che invece debba ascriversi ad un tempo migliore
per le arti (2), e cosi anche il Winckelmann (3) ed il
Preller (4), il quale non sembra lontano dall'accettare
(i) Avvenuto il 7 aprile 1655, secondo che il Wickelmann vide
in una lettera ms. del comm. del Pozzo a Nicolò Heinsio, ed anche
secondo ciò che è scritto sulla copia che ne fu mandata a Ferdi-
nando III.
(2) Bunsen, Beschreihung, III, 11, 436.
(3) Storia delle arti, II, 408.
(4) Op. cit., II, 357, n. 3.
Epoluiione del tipo di ^oma 129
r idea del von Duhn che suppone la pittura fatta sotto il
diretto influsso del tempio di Venere e Roma. È inutile
ancora spender parole a descriverla, mentre basta solo dare
un'occhiata alle riproduzioni che ne sono state fatte (i)
per convincersi che questa pittura, benché più moderna-
mente restaurata, se non è del tempo costantiniano è cer-
tamente posteriore ad Adriano e perciò ci può servire per
riconoscere le altre rappresentanze posteriori a quell'impe-
ratore. Infatti parecchie statue presentano tal somiglianza
coir accennato monumento Barberiniano che non si può
a meno di riconoscere che debbano appartenere circa al
medesimo tempo. Tale è, per esempio, una statua di gran-
dezza naturale posta all'ingresso della villa Medici. Il sog-
getto del lavoro è certamente la personificazione di Roma:
le vesti sono di marmo grigio, mentre le parti scoperte sono
di marmo bianco. Ad onta dei numerosi restauri, essendo di
lavoro assai buono, ne diamo in fine una riproduzione (2).
Nella stessa villa Medici v'è un'altra statua, ma di gran-
dezza colossale, all'estremità della gran piazza che prospetta il
casino (3). Lo Zoega dice che questa è V unica statua grande
di Roma, poiché le altre, secondo lui, sarebbero invece Mi-
nerva a cagione dell'egida (4). Ma in primo luogo più di
un'altra rappresentanza, come quella citata di sopra, non ha
sopra di sé un tale ornamento, e se sopra alcuna esso si ritrova,
ciò non può fare alcuna difficoltà. L'egida essendo passata
ad ornare le corazze degli imperatori, poteva benissimo
stare sul petto di Roma, e cosi é che io crederei che il si-
mulacro posto sulla fontana di Campidogho sia veramente
questa dea, mentre questa opinione fu contrastata appunto
a cagione dell'egida. In secondo luogo, se anche questo
(i) Archuologische Zeitung, anno 1885, p. 23, tav. 4.
(2) Tav. II.
(3) Edita dal Baltard, La villa Méàicis à Rome.
(4) Bassoril, I, 150.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI.
ijo qA. Tarisotti
attributo di Minerva si trova sul petto di Roma, restano
sempre le altre caratteristiche che impediscono di scambiare
una dea coU'altra. Il Bunsen (i), parlando della statua co-
lossale di villa Medici, chiama inverosimile la supposizione
dello Zoega (2), secondo cui esso sarebbe una copia di
quello del tempio di Adriano. Ad ogni modo sarebbe una
copia assai tarda, ma la posizione stranamente raggomito-
lata della figura dà ragione al Bunsen. Piuttosto potreb-
bero credersi tali l'altra già citata di villa Medici o quella
che è sotto il portico in fondo al cortile del palazzo dei
Conservatori (3), o l'altra semi-colossale che prospetta lo
ingresso del palazzo di villa Albani dalla parte interna (4).
Anche questa ha le vesti di marmo bigio ed il resto di
marmo bianco; ma di queste parti solo la testa sembra
antica, e forse neppure essa appartiene alla statua (5).
Alle rappresentanze di cui ci siamo or ora occupati e che
non hanno indosso l'egida, conviene contrapporne un'altra
che più non esiste in Roma, essendo stata da poco traspor-
tata ad Arsoli. Essa adornava il piazzale della villa Massimo
ed era creduta rappresentare la Giustizia, mancandole gli
attributi che doveva aver nelle mani. L' insieme di questa
figura però non può lasciar dubbio che ella non sia Roma
e, per ciò che poco più innanzi abbiamo detto, non può
far difficoltà a questa interpretazione la testa di Medusa
onde è ornata la corazza di cui la dea è coperta.
Del resto, ciò che riferisce Flaminio Vacca nelle sue
memorie (6) non saprei se si debba attribuire a questa od
all'altra statua colossale di villa Medici: poiché quel dih-
(i) Op. cit., Ili, li, 602.
(2) Bassorilievi, I, 141 e sgg.
(3) Edita dal Montagnani, Mttseo Capitolino, tav. 11, 2$.
(4) Quantunque di lavoro non eccellente, è migliore di quella
colossale edita dal Baltard.
(5) V. tav. III in fine.
(6) N. 41. •
Evoluzione del tipo di T{oma 131
gente raccoglitore ci fa sapere clie quella che fu trovata
sulla piazza del Quirinale fu comperata dal card, di Ferrara,
« che la condusse nel suo giardino presso Monte Cavallo ».
Questo giardino fu poi espropriato da Gregorio XIII per
farvi quello annesso al palazzo pontificio, perciò questa
statua fu probabilmente allora mandata in dono piuttosto
che venduta. Resterebbe perciò a sapere se fu regalata al
card. Medici ovvero al card. Montalto che fu quegli che
fece fare il piazzale della villa alle Terme e vi fece erigere
quel monumento (i).
Le monete di Adriano ci dimostrano ancora una volta
come non si debba fidare intieramente sulle loro rappre-
sentanze. Il cambiare di un tipo è cosa di tanta importanza
che deve naturalmente accadere con una certa difficoltà.
Cosi è che sulle monete si trova ancora spesso Roma in
abito succinto (2) ed inoltre con abito talare, ma con una
mammella scoperta (3), circostanza che ci fa subito inten-
dere come, per trasportare sulle monete l'effigie di Roma
qual'era data dall'arte, le si aggiungeva il segno del petto
ignudo che, richiamando alla memoria l'antico tipo, la ren-
deva riconoscibile a chiunque. Del resto non mancano anche
monete sulle quali Roma ha in tutto e per tutto la figura
stessa che abbiamo veduto nelle statue di villa Albani e di
villa Medici (4),* anzi in alcuni casi ha anche un ramo di
ulivo tra le mani, siccome attributo di eternità (5), ov-
vero l'appellativo di felix (6). Resterebbero perciò alcuni
pochi tipi nei quali è figurata indubbiamente Roma con
(i) Massimo, Noti:(ìe istoriche della villa Massimo. In quel volume
è anche edita la statua di cui si parla.
(2) Cohen, op. cit., « Adrian. », nn. 79-84, 95, ecc.
(3) Cohen, «Med. imp. Adrian. », nn. 714, 715.
(4) Ivi, nn. 1097, 1106.
(5) Ivi, n. 1304.
(6) Ivi, n. 714.
M2 qA. l^arisotti
abito succinto (i) : in due di essi però si capisce subito la
ragione del ritorno all'antico tipo, giacche si celebra il ri-
torno di Adriano cui Roma va a stringere la destra, e perciò
diviene nuovamente la personificazione della città ; il terzo
poi esce addirittura dalle forme consuete, poiché in esso
Roma ha tra le mani il corno dell'abbondanza, attributo
rarissimo e che allude in genere a qualche spedizione di
grani. Né si deve credere poi che la trasformazione del tipo
sia così generale da non ammettere eccezioni: si intende
bene che la varia mente dell'artista od il vario scopo a cui
serviva il lavoro poteva modificare in tutto od in parte la
figura stessa : cosi, p. e., il bassorilievo che si conserva nella
villa Albani (2) è una di tali eccezioni. Noi però non cre-
diamo opportuno di diffonderci a parlare di quel monumento
illustrato gicà dallo Zoega (3) e del quale pei numerosi restauri
è difficile dire con sicurezza qual parte sia certamente antica.
Anche altre figure dei tempi successivi ritornano pure
al tipo antico, senza però perdere quella dignità che ave-
vano acquistata coll'accostarsi a Minerva nella recente tra-
sformazione come quella del musaico marmoreo del principe
Colonna edita ed illustrata del Tomassetti. Un'altra di queste
è effigiata sopra una base che si conserva alla villa Pam-
phili in Roma (4), edita ed illustrata dal Winkelmann (5)
e poi in modo più preciso e sicuro dal Kòhler (6). Questi,
oltre al riconoscere una base in luogo di un'ara, ha poi
dato una giusta interpretazione alle figure che vi sono
scolpite secondo che si poteva pei guasti loro. L'impera-
tore Antonino Pio, adunque, togato e coronato d'alloro
(i) Cohen, nn. 79, 95.
(2) BuNSEN, Bòschr., Ili, 11, 472.
(3) Zoega, BassorilUvi, I, tav. 31.
(4) Bunsen, op. cit., Ili, III, 632,
(5) Mon. iriòd., parte III, 233.
(6) Ann. delV Ist., anno 1863, p. 197; Mon. dell' IsU, VI e VII^
tav. Lxxvi, 1-3, e in modo alquanto differente dal Purgold, Mise,
Capii., 1879, 22. Cf. anche Zoega, App., 355.
Evolu\ione del tipo di ^oma 133
sorregge colla sinistra una specie di scettro che termina
con una piccola mezza figura che il Bunsen crede un
penate. Alla sinistra dell'imperatore la figura di Roma
rappresentata con abito succinto, coli' elmo in capo,
colla metà del petto scoperta e cogli alti suoi calzari ai
piedi. Appresso a lei un'altra figura muliebre che il Win-
kelmann e il Kòhler sono pure concordi nel credere Juno
Laniivina a cagione della pelle di capra che le ricopre le
spalle, dello scudo che ha nella sinistra e, come dice il
Kòhler, «di una certa rigidezza arcaica nell'attitudine».
Dall'altra parte di Antonino segue Marte colla lancia nella
sinistra, il parazonio nella destra, la clamide e lo scudo
poggiato in terra : dopo Marte, Venere (forse Venus geni-
trix) col diadema in capo e l'asta nella sinistra (i)." Dal-
l'altro lato di Venere è una Vittoria colla palma nella mano
ed appresso uno spazio vuoto, poi una figura virile im-
berbe, poi anche un'altra di cui sono rimasti appena i con-
torni e poi ancora un personaggio togato. Nello spazio
vuoto, le traccie rimastevi essendo troppo basse per un
uomo, si suppone che vi fosse scolpito un trofeo : le altre
persone, poco riconoscibili, specialmente quella di mezzo,
sono probabilmente appartenenti alla famiglia di Antonino
cioè M. Aurelio, L. Vero e Commodo. Ora se noi ripen-
siamo l'insieme di questa composizione, non crederemo
certo che la figura di Roma abbia perduto di dignità as-
sumendo qui il suo antico costume amazzonico, essendo
anzi ella nobilitata dal trovarsi in unione colle maggiori
divinità dell'Olimpo. Dirò di più che è naturale che in
questo rilievo ella abbia ripreso il suo tipo primitivo, poiché
stando insieme con altre effigie di numi era necessario che
un chiaro segno la distinguesse. Cosi nell'altro rilievo che
abbiamo già accennato della villa Albani nulla toglie alla
(i) WiNKELMANN, Mon. i/ied., I, 37, parlando di Venere celeste
dice che aveva per suo attributo l'asta e che perciò era detta "E-yx"»?*
134 C^- ^arìsotti
maestà della figura la veste, essendo ella assisa presso un
tempio, evidentemente eretto in suo onore e che, sebbene
sia assai restaurato, pure è indicato da un avanzo di co-
lonna che è antico.
Lascio ora da parte un altro bassorilievo di villa Albani,
rappresentante un congiario di Antonino Pio (i), perchè
in esso la figura che dicesi di Roma è espressa- in tal guisa
da rendere assai poco probabile quella interpretazione. Essa
non ha elmo in capo e sta nell'atto di togliersi il balteo,
circostanza che, secondo il Blessig (2), alluderebbero alla
pace di cui godette lo Stato romano sotto T impero di
Antonino; ma noi abbiamo veduto che Roma, anche pa-
cificamente rappresentata cogli ulivi, colle palme e colla
cornucopia, non depone mai l'elmetto che è la sua caratte-
ristica principale.
Ci resta perciò da esaminare l'apoteosi di Antonino scol-
pita nella base della colonna a lui innalzata da M. Aurelio,
bassorilievo che si conserva nel giardino della Pigna
al Vaticano (3). Antonino e Faustina sono portati in
cielo da un genio, forse dell'eternità, che ha nella si-
nistra il globo su cui è scolpito lo zodiaco. In basso a
sinistra v'è una figura seminuda che il Visconti assai ra-
gionevolmente crede il genio del Campo Marzio poiché è
caratterizzato dall'obelisco per rammentare « il luogo dove
si fecero le esequie dell' imperatore » . A destra poi anche
in basso Roma quasi giacente poggia i piedi sopra armi di
vario genere ed è vestita precisamente come abbiamo ve-
duto sopra qualche moneta di Adriano, cioè coli' abito ta-
lare, ma colla metà del petto ignuda.
Questa foggia di rappresentanza è, come abbiamo accen-
nato, una specie di conciliazione tra la vecchia e la nuova
(i) Blessig, Ann. ddl'Ist., 1844, p. 115 ; Mon. dell' Ist., IV, tav. iv.
(2) Ann. ddl'Ist., 1844, P- ^55; ^on. dell' Ist., IV, iv.
(3) Visconti, Museo Pio dementino, V, tav. 29.
Evoluzione del tipo di T^ma 135
forma. Del resto sulle monete di Amonino Pio Roma (i)
ha sempre la lunga veste e qualche volta ha persino tra
le mani il palladio, cioè il sacro segno della città (2). Cosi
anche su quelle di Commodo, il quale forse, per la sua
pretensione della Roma commodiana, ebbe una predile-
zione speciale per la personificazione di lei (3). In alcuni
tipi quest' imperatore unisce sempre più la propria persona
colla dea Roma, ora facendosi da essa consegnare il globo,
ora restituendo il tipo adrianeo ddYadventus Augusti, nel
quale ella strìnge la mano dell'imperatore, ora poi allu-
dendo ad una prosperità annonaria che non sembra però
fosse molto grande sotto il suo impero. Infatti le monete
di Commodo pongono spesso tra le mani di Roma un
corno di dovizie, ciò che farebbe credere a grandi opere
fatte da quel principe pel benessere della città, mentre Lam-
pridio (4) dice solo che « classem africanam instituit quae
« subsidio esset si forte Alexandriae frumenta cessassent » .
Una insigne rappresentanza che ci mostra di nuovo
Roma coU'abito di amazzone è quella che figura sul basso-
rilievo che si trova ora al palazzo de' Conservatori, e che
in altri tempi decorava l'arco di M. Aurelio, demolito da
Alessandro VII nel 1662 (5). Senza diffondermi a parlare
lungamente della composizione di questo rilievo abbastanza
conosciuto, noterò solo che anche qui assai opportunamente
la figura di Roma riprende il tipo antico. Infatti, secondo
(i) Cohen, n. 1029.
(2) Cohen, «Ant. », n. 934.
(3) Cohen, « Commodo», n. 857. Roma seduta a d. con asta e
Vittoria; la Pace incontro, seduta con ramo di ulivo e corno d'abbon-
danza e in mezzo un tripode su cui Commodo sacrifica velato in piedi
a s. Incontro a lui due giovani di cui uno suona la doppia tibia. Vedi
anche il n. 513-562. Roma sed. a s. su corazza con scudo accanto
regge colla s. una cornucopia e colla d. dà un globo a Commodo stante
coronato da Vittoria ; al secondo piano Felicità stante a s. con caduceo.
(4) Commodus, XVII.
(5) Rossini, Archi trionfali, tav. xlix; Bartoli, Admir., tav. 6.
13^ C^. Tansotii
quel che dice il Bartoli, l'arco fu innalzato quando, per la
morte di L. Vero, M. Aurelio restò solo a governare T im-
pero: e però in quella scultura è il popolo romano che
consegna a lui il globo (i).
Dall'altra parte al concetto, non di un'azione fatta dal
popolo o dal Senato, ma di un'onoranza resa alla dea,
corrisponde opportunamente il tipo di divinità, come ve-
diamo sopra alcuni medaglioni clipeati di L. Vero (2) sui
quali a Roma, assisa e vestita di tunica talare, l' imperatore,
che rappresenta il popolo ed il Senato, offre, standole in
piedi dinanzi, un ramo, mentre a tergo della dea è una
Vittoria in atto di coronarla. Da notare è pure che T im-
peratore in piedi è appena alto quanto Roma sedente, ciò
che potrebbe essere l'espressione della dignità di lei signi-
ficata, secondo il costume, dalla sproporzione di altezza.
Un tal genere di rappresentanze, che piacquero tanto
agU Antonini, si riscontrano ancora sotto Severo e Cara-
calla: ma per la decadenza dell'arte, che già si fa sentire
abbastanza forte, o perchè si andasse perdendo quel certo
gusto antico che con ogni figura esprime un' idea, la rap-
presentanza di Roma diviene confusa ed incerta e prepara
in certo modo la strada a quella del tempo Costantiniano.
Sull'arco di Settimio Severo ella è effigiata una volta nella
chiave (3) con corazza ed elmo alato, strano ritorno a
quelle antiche teste repubblicane, ed un'altra volta nel grande
bassorilievo che rappresenta la pompa trionfale (4). In
questo siede ella col globo nella mano sinistra ed a lei sono
condotti tutti gli schiavi barbari che le si inginocchiano
(i) Altri bassorilievi di archi trionfali, che sono al cortile di Bel-
vedere, ripetono il solito concetto di Roma che conduce il carro
del trionfatore. V. Bunsen, Beschr., II, 154.
(2) Boll, della Com. arch. mun., 1877, p. 79, tavv. vi-vii; Cohen, III,
14, n. 92.
(3) Rossini, op. cit., tav. lvi.
(4) Ivi, LV.
EpoI unione del tipo di T{oma i^j
dinanzi supplichevoli. Orbene, in altri tempi dell'arte la '
figura di Roma non avrebbe mancato di avere qui aspetto
divino ed invece ella ha la corta tunica ed il seno scoperto;
ma la decadenza artistica andava sempre più galoppando e
l'idea della grandezza di Roma continua ancora ad accre-
scersi, ma non sono più le sue figure che ce la esprimono,
sono invece i titoli che le si danno.
Abbiamo veduto la Oeà P(jl)[ji7] dei templi augustei e
poi la Roma victrix di Galba e Vespasiano e poi la aeterna
e la felix di Adriano ed i titoli votivi in cui ella è posta
insieme colle massime divinità, come l'iscrizione di Locri (i):
Jovi opt. max. diìs deahusqiie immortalihus et Romae aeternae.
Ora non poteva venir fuori che un appellativo spiccata-
mente divino e cosi avvenne : l' Urbs sacra Augustoriim no-
strorum (2) compì la serie dei titoli dati a Roma e ne portò
al massimo l'apoteosi. Questo nome di sacra dato alla città
fu come il principio di tutti quei titoli che ebbero origine
sotto Diocleziano, quando la Corte prese un carattere cosi
orientale che tutto ciò che aveva attinenza coli' imperatore
fu detto sacro. Ma la città aveva già da molto tempo rice-
vuto questo onore, e certo se ancora l'espressione figurata
di un' idea fosse stata naturale o possibile, non sarebbe
mancata una forma, la quale avesse fissato sulla rappresen-
tanza di Roma questa parola di sacra, che conteneva in sé
le due idee della divinità e della fatale eternità (3). Ma in
(i) MoMMSEN, /. N., n. 8.
(2) Boll, della Com. arch. mun., 1882, p. 48.
(3) Le monete di Severo e Caracalla (Cohen, « Severo », nn. 605,
610. «Roma col Palladio», n. 613. « Caracalla » nn. 548-552. Roma
aeterna col Palladio, n. 554) portano la effigie di Roma colla leg
genda: Restitutori Urbis, che non è vana millanteria, ma una lode che
si addice bene tanto a Severo che a Caracalla, secondo quel che dice
Sparziano (« Sev. », 23) che « Romae omnes aedes publicae quae vitio
« temporum labebantur instauravit, nusquam prope suo nomine ad-
« scripto, scrvatis tamcn ubique titulis conditorum ». Nella serie delle
monete poi degli altri imperatori merita solo di essere menzionata una
ijS qA. Tarisotti
tutto quel tempo che corre appunto da Severo a Diocle-
ziano, l'abbassarsi dello spirito della romanità, il sentimento
della propria decadenza, attestato anche dagh scrittori là
dove raccontano che nel circo spesso si levava un lamento
senza alcuna ragione, preparavano la società alle nuove
condizioni che dovevano sorgere in seguito al grande ri-
volgimento costantiniano (i).
Possiamo adunque concludere in generale, riassumendo
quello che è stato detto in questo capitolo, che la personi-
ficazione di Roma, quando assume la forma di divinità, ha
tutti quei caratteri che esprimono un tal grado maestoso,
cioè l'abito talare, l'asta pura e qualche volta persino l'egida;
quando poi è rappresentata in azione, torna ad essere ve-
stita da amazzone; ma in alcuni casi questa foggia di ve-
stire non toglie nulla alla dignità della figura, la quale invece
è nobilitata dal resto della composizione o da qualche altra
circostanza.
§ 4. — Da Costantino alla caduta dell' lmpero.
L'editto di Milano fu il segno della caduta dello splen-
dido edificio del paganesimo già da gran tempo preparata :
con esso rovinò ancora il sentimento classico che era in-
tieramente fondato su quello. Infatti, quando nel rinasci-
mento lo studio dell'antichità portò l'entusiasmo pel clas-
sicismo, si ritornò per quanto fu possibile al paganesimo.
Al tempo di Costantino adunque la società fu mutata
di Giulio Filippo, il quale, nell'occasione del millenario di Roma, resti-
tuisce acconciamente il tipo e la leggenda di Romae aeternae (Cohen,
«Filippo », n, 164, e la Lupa con Romolo e Remo, n. 177. Saecu-
lares Augg.). Degli altri imperatori basterà dire che si trova sulle loro
monete Roma rappresentata frequentemente secondo il tipo adrianeo
e qualche volta secondo il tipo antico, sebbene un po' contrafatta
(V. Cohen, agli imperatori dopo Giulio Filippo).
(i) Preller, op. cit., parte II, p. 358 e Dione Cassio, LXXII, 15.
Epolii\ione del tipo di ^^ma 139
dalle basi e si cominciò a prepararne una nuova che
rinsanguata poi e rimescolata dai barbari, doveva essere
in seguito la società medioevale. È per questa condizione
di cose che, se l'arte continuò, nell'ultimo secolo dello im-
pero, ad esprimere idee antiche, usurpò bensì forme clas-
siche, ma senza alcun significato e senza alcuna corrispon-
denza tra esse e lo spirito si dell'artista e si del popolo. Da
ciò ebbe origine necessariamente un simbolismo afflitto
convenzionale per indicare il significato allegorico di una
rappresentanza : l'arte cioè divenne una specie di linguaggio
geroglifico che per mezzo di segni rappresentò e caratte-
rizzò le varie idee. Questo stesso fatto avvenne, come era
naturale, anche alla figura di Roma, e se per l' innanzi la
O-eà Tcó{jiyj del tempo di Augusto o la Roma aeterna di Adriano
si riconoscevano, oltreché dai simboli, anche dall' insieme
della persona e dall'atteggiamento, allora essa divenne né
più né meno che una figura di donna colFabito e con tutto
l'ornato proprio degli ultimi tempi imperiali, caratterizzato
da alcuni segni fissi, i quali, se per avventura mancano, è
assai diffìcile riconoscere Roma invece di un'altra figura.
Non è meraviglia adunque se, mentre negh ultimi secoK
la leggenda di Roma continua sempre, anzi per la deca-
denza politica e per le tendenze mistiche, resta sempre più
separata dalle cose terrene, le rappresentanze abbiano poca
relazione con essa. Non tenendo conto adunque di quella
base che si conserva al Palatino, illustrata dall' Helbig (i),
nella quale la figura di Roma, più delle altre guasta, è poco
riconoscibile, l'unica figura di qualche importanza si é quella
che adorna la chiave grande dell'arco di Costantino (2).
Questa immagine che più di un'altra volta abbiamo trovato
come ornamento degli archi, è qui effigiata col tipo più
(i) Abhandl. des Mùnchen Akad., 1880, p. 493, ed edito dalla
Sachs. Ber., 1868, tav. iv.
(2) Rossini, op. cit , tav. lxx.
140 Q^. ^ansotti
tardo, cioè collo scettro e col globo, in abito talare e se-
dente, posizione poco adatta per essere la figura posta sulla
chiave di un arco. Questa rappresentanza perciò segue in-
teramente il tipo derivante dalla Roma aeterna e niente altro
la pone in relazione con Costantino all' infuori dell'essere
sopra un monumento a lui dedicato.
Ma i due grandi avvenimenti dell'editto del 321 e della
traslazione della sede sono il tratto caratteristico del tempo :
la figura di Roma perciò, priva quasi di significato finche
non ha relazione con quei due fatti, diviene una completa
sintesi storica di quel periodo quando con essi si collega (i).
Ma si per la decadenza dell'arte e si perchè ambedue gli
avvenimenti hanno carattere ufficiale, converrà cercarne il
riscontro sulle monete. Sulle monete di Costantino si tro-
vano bensì emblemi religiosi, ma anche impronte affatto
pagane e la figura di Roma costantemente con aspetto pa-
gano (2). La ragione di ciò è abbastanza chiara. Primiera-
mente il riconoscimento della religione cristiana era troppo
recente per poter d'un tratto trasformare una divinità pa-
gana in una figura cristiana, tanto più essendo l'idea di
Roma ancora assai strettamente collegata colle antiche cre-
denze : secondariamente poi, essendo il pontefice, cioè il rap-
presentante della religione cristiana, una delle cagioni che
spinsero Costantino a partire da Roma per non trovarsi di
fronte ad una autorità che non si poteva sapere fin dove
sarebbe giunta, non doveva far piacere all' imperatore stesso
di mettere in relazione intima tra loro Roma e gli emblemi
cristiani, con che si sarebbe potuto credere che non solo di
fatto, ma che anche nel diritto Roma fosse abbandonata al
(i) La figura dell'arco come anche l' intero edificio a nulla ac
cennava delle mutate condizioni religiose, poiché le parole QUOD
INSTINCTV DIVINITATIS dell'iscrizione sono state aggiunte dopo
sopra altre, delle quali ancora si vede qualche segno.
(2) Cohen, VI, 121, n. 176, e 77, nn. i, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, io,
II, 12, 13, 14.
Evoluzione del tipo di Q{oma 141
pontefice. Tra i suoi successori però il primo che dia em-
blemi religiosi alla personificazione di Roma è Nep oziano (i)
ed anche questo è abbastanza naturale. I figli di Costantino
seguono la politica paterna, ma Nepoziano, il cui brevissimo
impero non fu che una lotta contro Magnenzio, si servi di
quella trasformazione del tipo per metterla in rapporto colla
propria causa. Magnenzio infatti era considerato come ribelle,
mentre il suo competitore si rannodava alla famiglia di Co-
stantino. Quello sosteneva in certo modo il paganesimo,
giacché le sue monete hanno impronte pagane (2), Nepo-
ziano invece, appunto perchè nipote di Costantino, per con-
trapporsi all'altro si presenta come campione del cristiane-
simo: finalmente la lotta non ebbe altro scopo che il possesso
di Roma, perciò mentre V uno mostrava in suo dominio la
Roma pagana, l'altro la ostentava sua e cristiana, ponendole
in mano il globo sormontato dalla croce.
Tra i successori, più tardi però, la rappresentanza va
diventando poco a poco assai più comune e le monete
di Valente (3), Valentiniano II (4), Teodosio (5), Valenti-
niano III (6) e Massimo (7) mostrano Roma figurata come
una matrona con tutti gli ornamenti propri del tempo e col
solo elmo che resta degli antichi emblemi militari, e che
sorregge tra le mani ora il labaro, ora uno scudo sormon-
tato dal monogramma y^, ora il globo sormontato dallo
stesso monogramma ed ora finalmente, benché elhi sorregga
il semplice globo, il segno y^ è posto nel campo della mo-
neta. Questi cambiamenti del tipo ci pongono d'un tratto
(i) Cohen, VI, 322, n. i.
(2) Ivi, 324, n. 41, e sulle sue medaglie spesso il labaro e senza
(3) Cohen, VI, 413, n. 24.
(4) Ivi, 446, n. 35, e VII, 405 addiz.
(5) EcKHEL, Catalogo, n. 65.
(6) Cohen, VI, 503, nn. 3, 4, e 506, n. 22.
(7) Ivi, 467,11. 13.
142 <yl. T^arisotti
in mezzo al cristianesimo già potente, non solo, ma ancora
in mezzo alle leggende che dal cristianesimo sorsero rela-
tive a Roma. Infatti, come noi abbiamo considerato la Roma
di Adriano siccome espressione dell'indistruttibilità della ca-
pitale dell'impero, così questa che sul globo ha posto la
croce si collega assai bene con un'altra leggenda che corre
parallelamente alla prima per tutto il medio evo e giunge
anzi colla sua influenza fino ai tempi moderni, la quale fa
di Roma il necessario centro della cristianità. Dante (i) e
molti altri scrittori di tutta l'età media accennano frequen-
tissimamente all'essere la città di Romolo predestinata a
dominare il mondo perchè poi fosse degna sede del cristia-
nesimo. Ma se con questo fatto religioso si avvantaggiava
r ideahtà di Roma, coli' altro di natura schiettamente politica
la città vera e materiale andava totalmente in ruina: ed il
non trovar traccia nelle rappresentanze di questa decadenza
ci dimostra che si figurava non la Roma materiale, ma la
ideale. Accanto ad essa però, e di un tratto fatta nobile quanto
quella, sorse un'altra figura, quella di Costantinopoli. Troppo
dovremmo allontanarci dal tema se volessimo parlare mi-
nutamente di questa nuova rappresentanza; ma noi ci limi-
teremo a notare le differenze che distinguono dall'antica la
nuova Roma. Questa ha il capo coperto spesso da una cinta
di torri, ovvero qualche volta da un elmo, cinto però sempre
di torri: la lunga tunica ed il manto, i monili e gli adorna-
menti come l'altra e finalmente ha quasi sempre sotto i piedi
una prora di nave (2). Questo simbolo che abbiamo veduto
(1) La quale e '1 quale a voler, dir lo vero,
Fur stabiliti per lo loco santo
U' siede il successor del maggior Piero.
(/«/., e. II, 22).
Cf. anche Santa Caterina da Siena, che, scrivendo ad Urbano VI
perchè torni in Roma, dice : « qui è il capo e il principio della nostra
fede ». V. lett. XXII, capo ii.
(2) Cohen, VI, « Med. imp. », 175, n. i ; 176, n. 6.
Evoluiione del tipo di ^l^ma 143
una volta in una moneta repubblicana era un segno affatto
estraneo alla figura e che non aveva relazione se non con
qualche fatto accidentale a cui si voleva alludere.
Ma nella personificazione di CostantinopoH invece la
prora di nave è quasi una parte integrale e non può avere
altro significato che quello di dimostrare la postura delia città
sedente sul mare e regina di esso. Tali sono le caratteri-
stiche della rappresentanza di Costantinopoli; ma del resto
le figure delle due Rome non sono quasi mai separate Y una
dall'altra, ma spesso siedono ai lati di uno scudo su cui
sono scritti i vicennali dell'imperatore (i). Qualche volta
poi a queste due si aggiungono le personificazioni delle altre
grandi metropoli dell'impero, cioè Alessandria ed Antiochia.
Cosi fii fatto su quei pomi di una lettiga ritrovati al-
l'Esquilino nel 1793 (2), nei quali Roma è caratterizzata dal-
l'asta e lo scudo, Costantinopoli dalla cornucopia, altro sim-
bolo frequente nei medaglioni (3) e dalla patera ed in quella
vece la prora di nave insieme aile frutta e spiche sono pas-
sate ad indicare Alessandria, mentre Antiochia ha la sua
solita figura dei medaglioni (4) e delle statue (5) coll'Oronte
sotto i piedi. È da notare che di queste quattro personifi-
cazioni solo le due Rome hanno l'elmo in capo, mentre le
altre due sono turrite ; la qual differenza abbiamo già osser-
vato che è costante per distinguere Roma dalle altre città;
in questo caso però, trovandosi le due capitali a riscontro
di Alessandria ed Antiochia, prendono come simbolo co-
mune l'elmo, il quale non sarebbe in giusta regola proprio
altro che di Roma. Il Visconti inoltre nel luogo istesso fa
(i) Cohen, VI, 251, n. 39,6 279,11. 34, ed altrove spesso, ovvero
le due Rome reggono uno scudo col y^ (Ivi, 413, n. 24).
(2) Visconti, « Lettera sopra un'antica argenteria », Opere varie,
I, 226 e sgg.
(3; Cohen, V, 176, n. 6.
(4) Ivi, VI, 365, n. 54.
($) Museo Pio Clem., III, tav. XLVi.
144 ^' ^a^^ìsottì
importanti osservazioni sull'uso delle immagini delle cittcà
dell'impero e nota come queste figure facessero parte in
certa maniera delle decorazioni ed insegne di coloro che
esercitavano le primarie magistrature e cita ancora le mi-
niature aggiunte ai codici della Notitia dignìtatum la tavola
Peutingeriana con Roma, Costantinopoli ed Antiochia (i)
simili alle già esposte ed un altro manoscritto che conte-
neva lo stesso calendario del codice Vindobonense, ma con
maggior numero di miniature, tra cui le immagini di Roma,
Costantinopoli, Alessandria e Treveri. Ma importanza assai
maggiore hanno per noi le figure dei dittici consolari, le
quali, quantunque posteriori alla caduta dell'impero, pos-
sono servire di congiunzione tra lo studio presente ed un
altro che se ne potrebbe fare sulle rappresentanze di Roma
nel medio evo.
Né sarà meraviglia che da Costantino siamo subito pas-
sati alla caduta dell'impero, poiché basta guardare le mo-
nete di Teodosio (2), di Arcadio (3) e di Onorio (4), per
persuadersi che nessuna variazione importante era avvenuta
nel tipo.
Poche osservazioni adunque faremo sulle figure dei dit-
tici consolari, essendoci impossibile, senza uscire dai Hmiti,
fare uno studio completo su di essi.
Le figure di Roma e Costantinopoli su questo genere
di monumenti non sono che accessori, poiché, general-
mente parlando, stanno ai lati del console insignito dei
distintivi della sua dignità, cioè subarmellare tunica pal-
mata, toga pietà e trahea, e colla mappa circense tra le
mani. Infatti al dare il segno nei giuochi o poco più si
erano ridotte le attribuzioni dei consoli. Le figure delle
due città non istavano più sedenti, ma in piedi, e Co-
(i) Desjardins, Table de. Peutinger.
(2) Cohen, VI, « Teodosio ».
(3) Sabatier, Monete hi:(antine.
(4) Cohen, VI, « Onorio ».
Evolu\ìone del tipo di ^^oma 145
stantinopoli quasi sempre caratterizzata dal corno dell' ab-
bondanza, Roma ora dai fasci consolari, ora dal globo,
ora dallo scettro (i). Le loro vesti sono le stesse, a riserva
dell'elmo, il quale, quando è sul capo di Costantinopoli,
ha un maggior numero di quelle sporgenze che danno
al dinanzi di esso l'apparenza di un diadema. Del rima-
nente in ambedue le figure lunghe sono le vesti sino ai
piedi ed adorne di palme e ricami : il petto ornato di bulle
pendenti, ed i capelli e le orecchie ed il collo di ogni
sorta di gioielli. In tanta confusione di simboli gU artisti
ebbero ricorso alle antiche figure di Roma per far si che
ella si distinguesse dalla nuova, e pur mantenendo il pom-
poso vestiario, scolpirono la parte superiore di esso, come
se fosse tirata su a bella posta per lasciare scoperta una
mammella, artificio, se si vuole, poco bello, ma decisivo
per distinguere una figura dall'altra.
Cosi, mentre nelle antiche figure amazzoniche il petto
di Roma è da una parte scoperto perchè la tunica non è
afiìbbiata su di una spalla, la quale perciò resta anche
ignuda, in queste la spalla è coperta e l'abito sollevato
precisamente all'altezza della mammella. Non è a dire
però quanto questa circostanza sia ripugnante colla pom-
posità di quelle goffe immagini.
Sopra uno dei dittici illustrati dal Cori, e precisamente
su quello del museo Riccardiano di Firenze (2), merita
che fermiamo l'attenzione più in particolare per la inesat-
tezza che mi sembra riscontrare nelle osservazioni del ci-
tato autore.
Il dittico è diviso in due parti : a sinistra di chi guarda
è una figura muliebre stante con galea ornala di grande
cresta e di corona di alloro: è vestita di abito che dalla
(i) GoRi, Diitici, II, tav. 20; tav. 17, 18 e tav. 2; I, tav. ix;
Meyer, Zwei Antike Elfenbeintafehiy 20; Meyer, in fine, n. 18; Boll,
dell' Ist., 185 1, 82.
(2) GoRi, Dittici, II, 177, III.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. io
1^6 qA. Tarisotti
vita le scende ai piedi, e di una piccola clamide affibbiata
da una borchia con due uniones sulla spalla destra e sol-
levata da un lato per lasciare ignuda la mammella. Ha
nella mano destra uno scettro terminante in due pigne e
coir altra sorregge un lembo della clamide sul quale poggia
il globo sormontato dalla Vittoria con ramo e corona.
L'altra figura alla destra di chi riguarda è turrita, ha un
collare al collo e bulle ed uniones, un lungo abito cinto
sotto il petto da uno strofio da cui pendono pure gioielli
ed una veste talare. Nella mano sinistra regge un piccolo
scettro e nella destra il corno dell'abbondanza: sulla spalla
sinistra poi di questa figura è un amorino.
L'opinione del Gori su questo dittico è che esso sia
stato fatto in occasione del natale di Costantinopoli, e ciò
non so con qual fondamento; ma quel che è peggio si
è che egli chiama CostantinopoH la prima delle due figure
da noi descritte e Roma la seconda, dicendo che, sebbene
il segno della mammella ignuda sia proprio di Roma, tut-
tavia non si può dubitare che quella sia Costantinopoli,
essendo alla destra dell'altra.
Fin qui mi sembra che per porre le cose nel loro vero
essere non si dovrebbe far altro che rovesciare la sua in-
terpretazione, ma e' è ancora di più.
Il Gori dice: « Christianis imperatoribus regnantibus
« Victoriae simulacrum omnem exuit superstitionem quod
« ut apertius ostenderetur cum ea vel Dominicam criicem
« vel laharum Christi monogrammate ornatum et alia Chri-
« stianae religionis mystica simbola coniunxerunt » . Ma in
questo dittico invece non e' è nulla di tutto ciò, anzi la
figura della Vittoria ha in tutto gli attributi delle rappre-
sentanze pagane e pagano è anche l'amorino. Di più, l'altra
figura, che egli riconosce effigiata come Fortuna Urbis e
turrita come Cibele, sarebbe, secondo il Gori stesso, quella
a cui Adriano innalzò il tempio, e l'amorino alluderebbe
alla Venere che era insieme con Roma nel suddetto tempio.
Evoluiione del tipo di ^oj?ia 147
« Igitur Inter utramque imaginem magnum vides di-
« scrimen quo Roma heic sculpta est, quia antiqua paga-
« nici cultus tempora designantur Romae imagini conve-
« niunt, omnia vero imagini Costantinopoleos ea aptantur
« ornamenta quae sedi Christìanorum imperatorum haud
(( dedecere creditum est ». Se osserviamo invece le figure
descritte sono tutte due piene di simboli pagani, quali e
l'Amore e l'acconciatura da Cibele e le palme che partono
dallo scettro e la Vittoria sul globo. Da tutto ciò per
conseguenza mi sembra che si debba concludere che il
dittico sia anteriore agli imperatori cristiani, ed allora la
figura dal petto ignudo potrebbe rappresentare Roma; l'altra,
che non potrebbe più essere CostantinopoH, sarebbe invece
un' imperatrice sotto le sembianze di Cibele. Né potrebbe
far difficoltà che vi fosse la figura dell'imperatrice e non
quella dell'imperatore, giacché lo stesso Cori osserva:
« fortasse etiam hoc monumentum antiquius esse potuit
<( polyptychon adeoque vel imperatoris vel consulis ima-
<( gines praeferre in aliis duabus tabulis quae periere ».
Dall'esame poi dei verticilli che sono rimasti attaccati a
queste due tavole, conclude che, presentandosi esso chiuso,
il primo luogo era tenuto da quella che egli chiama Roma,
e ciò dice che sarebbe cosa naturale perché seguirebbe
l'ordine della loro fondazione, ed anche questo non solo
non si può ammettere, ma viene a convaHdare la nostra
congettura. Infatti, ancorché le due effìgie rappresentassero
Roma e Costantinopoli, questa dovrebbe essere sempre
gerarchicamente anteposta all'altra: e perciò giusto sarebbe
interpretare come noi avevamo detto per Costantinopoli la
figura turrita e per Roma l'altra. Se poi si vogha ammet-
tere in quella eflBgiata un'imperatrice sotto le forme di
Cibele, anche questo porterebbe di porla al primo posto
ed al secondo Roma.
Diamo ora uno sguardo generale su tuttociò che è
stato detto sin dal principio.
148 qA. Tarisotti
Ricordiamo che la figura di Roma ha origine primie-
ramente su suolo straniero, e perciò senza alcuna relazione
colle tradizioni patrie. Si sviluppò in seguito in Roma, ed
in modo più consentaneo a quelle leggende, ma senza
altro significato che quello di personificazione o di eroina
fondatrice della città. Cominciò poi ad essere coronata
dalla Vittoria e poi a prendere simboli di dominazione,
quali il globo sotto i piedi. A queste rappresentanze segue
una prima divinizzazione al tempo di Augusto (non te-
nendo conto di quelle anteriori e non nazionali di Efeso
e di Alabanda) e dei suoi immediati successori, che non
ha alcuna corrispondenza coi sentimenti del popolo, ma
che portò come effetto la mutazione di alcuni simboli,
come sarebbe quello del globo tra le mani e della Vittoria
pure posta come attributo: e la sostituzione in generale
degli emblemi di tranquillo dominio a quelli di pura forza.
Dipoi Roma è chiamata victrix ed aeterna, ed ha luogo
una seconda divinizzazione consentita dallo spirito del
tempo ed il principio del suo significato mistico: in con-
seguenza ella assume aspetto e simboH di vera divinità.
Ancora più innanzi riceve l'appellativo di sacra, e final-
mente prende gH emblemi della religione cristiana, dive-
nendo cosi un essere di natura assai incerta, siccome è
quella di Clan diano e degU altri poeti di quel tempo.
Essa al cadere dell' impero resta una figura che non
può essere più pagana, ma non essendo propriamente cri-
stiana e mantenendo tuttavia tutto il suo carattere mistico,
si va a confondere colle nuove superstizioni, le quali sono
avanzi delle antiche divinità che il popolo non ha ancora
abbandonato, ma ha riadattato, e, per quanto era possi-
bile, conciliato colle nuove idee cristiane.
Alberto Parisotti.
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imperiale^ il suo curator ; e tale apparisce Gn. Mimatius Aure-
lius Bassus in lapide di Mentana^ ora al Vaticano (i). Altre
menzioni di essa sono in bolli figulini (2) perchè parecchie
officine dollari sorgevano presso cotesta via, come, ed
anche più, vedremo ora nella Salaria. Con tal nome passò
negli atti cristiani e pontifici (3) ; coerentemente alle altre
fonti topografiche del medio evo (4); e si mantenne im-
mune da corruzioni tentate da qualche sognatore di etimo-
logie (5), finché riapparve colla sua classica doppia deno-
minazione (6), Nel secolo xv il nome figidensis diede causa
all'errore che derivasse dalle officine delle figuline (7).
L'antica via Nomentana partiva dalla porta Collina del
recinto Serviano, le cui vestigia furon vedute nell'anno
1872, quando si posero le fondamenta del palazzo delle
Finanze (8); e nel posteriore recinto Aurelianèo usciva
(i)C./.L., XIV, 3955.
(2) Marini G., Iscri\. ant. dollari, nn. 375-376 con nota del profes-
sore Dressel; Bull Arch. Comunah, 1873, p. 247.
(3) Martirologio, cod. di Berna, via Nomentana in De Rossi, Bull.
Crist.f i87i,p. 106; diploma di Sergio I in s. Susanna, idem, ivi, 1870,
p. 116. Cf. Liher pontificalis in AUxandro : il miglior testo è Numen-
tana; così il Duchesne, Lib. p., p. 127, 323, 332, cioè in Honorio, in
Theodoro, ecc. Del resto è una corruzione ovvia e di nessuna im-
portanza, ma che fu avvertita dal Marini {Iscrix. dol., n. 376).
(4) Regionarii, in Urlichs, Cod. top. u. R., p. 24-25 ; codice Vien-
nese 85, fol. 58, ivi, p. 51. Itinerario Eìnsidlense, ivi, p. 70 (via numen-
tana); Epìtome Salishurgense, ivi, p. 84 (via numtana).
(5) « Numentana via est... a more denominationum portae per
« Numam qui clemens fuit, per quam itur ad eum : in qua via invenie-
« bantur omnia bona Numae regis w. Anon. Magliabecchiano. Cf. Ur-
lichs cit., p. 152.
(6) Cf. Urlichs cit, p. 45.
(7) Il primo ad errare in ciò fu I'Albertino. Del resto non fa
d'uopo insistere su questa opinione già smentita abbastanza ; cf. Broc-
chi, Stato fisico del suolo di Roma, p. 96; Mariììi, Iscri:;^. dol., ad n. 375, ecc.
(8) Canevari Raffaele, Noti:(ie sulle fondazioni, qcc. in Atti dei
Lincei, serie II, v. 11, 1875. Cf. Lanciani in Bull. Arch. Com., 1876,
niella Campagna Romana 151
dalla sua omonima porta, che tuttora esiste sulla destra
della porta Pia, cioè di Pio. IV. Continuava il suo cammino
entro il moderno quartiere, già villa Patrizi, a destra della
via moderna, come hanno dimostrato le recenti scoperte
del suo lastricato e de' numerosi sepolcri che la fiancheg-
giavano (i) ; e giungeva a Nomento, donde si volgeva, come
ancora al presente, verso la via Salaria, nella quale essa ha
fine. Ne appariscono vestigia in più luoghi; ma il tratto più
lungo e meglio conservato è sulla metà della strada, presso
la tenuta di Casenuove,
La via Salaria, costruita nella valle intermedia tra il
Quirinale ed il colle degH orti (Pincio), ha fasti archeologici
e storici degni di nota; ha menzioni epigrafiche del curator,
ch'ebbe, come una delle maggiori (2), e di luoghi posti
vicino ad essa (3) ; ha memorie singolarissime, incomin-
ciando dal nome che ne addita la vetustà, siccome quello che
non derivò da un autore, né da un paese, ma dai commercio
del sale colla Sabina (4). Un'altra memoria speciale fu quella
p. 166 sg., che determina a m. 70,55 la distanza dell'antica Nomen-
tana dalla via Venti Settembre.
(i) Alcune prove dell'andamento della via a destra della moderna,
entro il perimetro delle mura attuali, veggansi in De Rossi, J5m//. Crisi.,
1869, pp. 94-95. Fuori il perimetro suddetto, cf. Notizie degli scavi, 1884,
p. 347; 1885, pp. 226, 251, 528; 1886, pp. 52-53, ecc.; Bull. Arch. Com.,
1886, p. 156, GCC.
(2) Lapide ostiense di C. Sahucius Maior Caecilianus... curai, viae
Salar., ecc. ìhWilmanns, 1196. Un altro Q. Licinius (Attius) Modesiinus
Laheo è in lapide Veliterna, in C. I. L., XIV, 2405.
(3) C. I. L., VI, II 99 (la iscrizione del ponte Salario di Narsete).
Numerose, più che sulla via Nomentana, sono le iscrizioni doliari col
nome di questa via. Cf. Marini cit. (indice, p. 542) e specialmente il
n.947 colla indicazione /m/ìm^F^/Zx de via Salaria, ecc. e un comento del
citato autore alla p. 130. Le figline della via Salaria ebbero una grande
importanza. Altre menzioni sono in Bull. Arch. Com., 1876, p. 116;
1883, p.204; in Archivio di sioria pairia, IX, 31, ecc. Un iabularius viac
Salariae i noto nell'epigrafia (Donati ad Mur., 329, 6).
(4) Pesto, 5. K. Cf. Nibbv, Analisi dei ditti, di R., Ili, 632, ecc. Una
152 G. Tomassetti
del Incus tra l'Aniene ed il Tevere, ove i Romani si nasco-
sero dopo la tremenda sconfitta àdVAllia, onde lucana fu-
rono detti i giuochi che vi si celebravano (i).Varrone assegna
un'ahra origine a questi giuochi, dei quali i calendari romani
fanno menzione ai 19 di lugUo (2). Sulla Salaria fu la tomba
di Mario; su di essa sorgevano importanti città; cose che
verremo brevemente illustrando nel corso di questo lavoro.
La denominazione della via Salaria rimase intatta negli atti
cristiani, pontifici ed, in genere, del medio evo fino all'età
moderna. Per la qual circostanza, non avendo avuto luogo
alcuna corruzione onomastica degna di nota, né alcuna equi-
vocazione, io posso fare a meno di annoverare le relative
fonti, che verrò invece ricordando ai singoH luoghi. L'an-
damento di essa fu dalla porta CoUina del recinto Ser-
viano, attraverso il quartiere ora costruito sulla proprietà già
Spithòver, in linea diretta verso la porta Salaria del recinto
AureUanèo, alla quale corrisponde esattamente la moderna ;
e quindi seguiva quasi la via attuale, pochissimo più sulla
destra; procedeva per dieciotto miglia romane fino 2.à.Eretum,
la prima stazione dell'itinerario relativo, e quindi ad novas
tra Correse e Rieti e, dopo altre dieci, perveniva ad Hatria nel
Piceno. Lo esaltare l'importanza strategica e storica di una
via, che attraversava la Sabina e tutta l' Italia, in linea quasi
retta, mi sembra superfluo (3). Non dovette mai essere in-
recente monografia sulla via Salaria è di Castelli Giuseppe, La
via consolare Salaria Roma - Reale - Ascidum - Adriaticum con carta iti-
neraria del Piceno; Ascoli Pie, 1886. Egli rovescia il viaggio del sale
pei Sabini, che rilevasi dalle parole di Pesto, e sostiene che i Sabini
lo traevano dalle saline Picene (p. 11). Aggiungasi alla bibliografia
della via Salaria anche lo studio del general Filippo Qerroti, P^r ««a
ferrovia Roma- Ascoli- Adriatico, nella quale si discutono le storiche
memorie della via.
(i) Pesto, Epit., p. 119.
(2) Varrone, De l. l, V, 8. Cf. Mommsen in C. /. L., I, 397, che
lascia la quistione insoluta,
(3) Della tomba di Mario accenna Lugano, Phars., 2°, che venne
^ella Campagna ^l{omana 153
terrotta la cura di questa via, come rilevo dalla storia ric-
chissima delle contrade adiacenti; e rammento che nel-
l'anno 1392 s'impiegarono al ristauro della via Salaria le
gabelle di Ripa e di Ripetta (i).
Una via molto breve si apre a sinistra della via Salaria,
e la dirò via Pinciana, come è nominata nella pianta del
suburbano del Censo del 1839, perchè vi si accedeva anche
dalla porta omonima, che peraltro non è nota nella let-
teratura anteriore a Procopio, siccome porta secondaria (2).
Nei documenti del medio evo essa ha nomQ Pinciana, cornei
fondi adiacenti vengono indicati /om portam Pincianam (3).
Credo che anticamente dovesse nominarsi Salaria vetus, via
indicata nelle fonti agiografiche e cimiteriali (4), ed il cui
violata per ordine di Siila, il quale fece gittar nell'Aniene prossimo le
reliquie del suo nemico (Cicerone, De leg., II, 22 ; Val. Mass., IV, 11, i).
Della densità dei sepolcri su questa via fa ricordo Prudenzio : den-
sisque Salaria bustis (conira Symm. I in spect.) e ne facciamo noi dolo-
rosa sperienza, che ci siamo stancati di fare una nota delle epigrafi
venute in luce sui margini della Salaria ! E che dirò dei fasti cristiani
della via? Una scoperta di sepolcri cristiani avvenuta sulla Salaria
nel maggio del 1578, nella vigna Sanchez, ha dato origine agli studi
del Bosio, creatore dell'archeologia cristiana. (De Rossi, R. S., I,
p. .12). Un solo epitafio della martire Severa diede campo al Lupi di
scrivere, nel secolo scorso, un libro, che è una piccola enciclopedia
archeologica. Otto pontefici romani furono tumulati sulla sola via
Salaria, ed uno solo (s. Alessandro) sulla via Nomentana.
(i) Gregorovius, Storia di R. nel m. evo, XII, e 4, § i.
(2) NiBBY, R. A., I, 142. .
(3) Nella topografia detta Malmesburiense, Urlichs cit., p. 87,
dove si dice che quando pervenit ad Salariam nomen perdit; nell'itine-
rario Einsidlense, idem, p. 67. È certo che il nome Pinciana, prove-
niente dalla domus della gens Pincia sul colle degli orti, non può es-
sere anteriore al secolo quarto.
(4) Cf. l'indice Chigiano delle catacombe segnalato dal prof. Giorgi
Ign.\zio al comm. De Rossi (Bull. Crist., 1878, p. 46), ove si legge:
« cymiterium basillc ad sanctum hcrmetem via Salaria vetere ».
Un'altra menzione in un codice di Pistoia, ecc. Cf. De Rossi, Roma
sotterranea, I, 131. Il Nibby impugnò già quel nome di Salaria vetus,
154 ^' 'domasse Iti
andamento, tra le vigne, fu indicato nel secolo scorso (i)
dalla porta Pinciana perla YÌgii^dQ'Domenicani,YÌgn3,Pallotta,
poi De Rossi, poi l'antico clivo del cocomero, vigne dei collegi
Germanico e Romano (ora del Seminario Romano), e che
giunge da sinistra fino alla Flaminia e dalla destra fino ai
prati del ponte Salario (2). Si tratta dunque di un'antica via
che nel primo tronco poteva essere una Salaria primitiva,
cioè fino al sito detto le tre Madonne, da un'osteria cosi
denominata, dove un bivio ci conduce a destra verso il
ponte Salario, a sinistra verso il clivus Cucumeris e i Pa-
e disse che la sua apertura è contemporanea a quella della porta
Pinciana (nel Nardini, IV, 83); ma ciò è falso, perchè la porta
invece apparisce costruita secondo la obliquità di essa via.
(i) Nel Giornale d&' Letterati, 1750, in Fea, Miscellanea, 11, p. 100.
Vi si descrivono monumenti ed iscrizioni scavati allora nella vigna
Del Cinque, dirimpetto all'altra De Rossi.
(2) La contrada del clivus cucumeris, posta in sito ameno, elevato,
detta perciò anche capitìnianum, dovette contenere ville, fondi, sepolcri
anteriori ai cimiteri cristiani di s. Ermete e di s. Pamfilo, che quivi
erano sotterra. Infatti vi si trovarono pitture pagane, marmi e iscri-
zioni. Quivi furono, tra il cinque ed il seicento, la vigna del barbiere
di Giulio III, le vigne Garosi, Amiani, De Bovis ed altre, tutte ricche
di monumenti antichi. Questo luogo portò anche il nome septem co-
lumhas o palumhas indovinato dal De Rossi su falsa lezione dei mar-
tirologi, confermato poi splendidamente dall'indice Chigiano dei
cimiteri suburbani. Tanto questo nome quanto l' altro del cocomero
derivarono al certo da marmi antichi adornanti qualche cancello o
qualche monumento. Ardisco anche di definire il cocomero per una
pigna od altro ornamento di forma analoga sopra una calotta o tetto
circolare, noto partito artistico degli antichi. E lo deduco da notizie
del medio evo, che ho trovato nel libro dei compendi del monistero
di s. Silvestro (Archivio di Stato), cioè in 2 enfiteusi del 13 13 e 13 14,
ed in una vendita del 1354, riguardanti vigne in trullo cocumeris
o cocummario. Così in quella serie ho trovato una massa de vestiario
dominico confinante con Gapitiniano, santa Colomba e chiesa di s. Fi-
lippo, tutti nomi storici del sito, anche l'ultimo, eh' è rimasto al
viottolo dei Parioli.
^ella Campagna ^l{omana
^55
rioli (i). Era questa via antica e publica la sola che po-
teva aprirsi, e si è sempre mantenuta publica, a sinistra
della Salaria (2). Le tracce del lastricato del cìiviis, che
(i) Questo cenno lineare potrà servire di schiarimento a questa
digressione topografica.
PORTA
flNCIANA
VILLA
LUDOVISI
PORTA
SALARIA
(2) Non mi sembrano solidi gli argomenti letterari e topografici
addotti dal eh. prof. Meucci, nella memoria a stampa sulla quistione
della villa Borghese, per provare che il principe Borghese chiuse
una via publica nell' ingrandire la villa. Non potè venire in possesso
1^6 G, Tomassetti
fu detto del cocomero nella bassa età, si scorgono tuttora
nel viottolo dei PariolL
Detto ciò sulle tre vie in generale, riassumerò i fasti
delle tre porte Nomentana, Salaria e Pinciana, e quindi
uscirò nella campagna già verdeggiante e solitaria; ora,
per le nuove costruzioni suburbane, popolata e romorosa.
La porta Nomentana conservò il nome della via, anche
nell'età media, come rilevasi dalle fonti relative; ma nel-
l'ultimo periodo acquistò i nomi de domina, di 5. Agnese
e di 5. Costanza, dalle due sante sepolte sulla via (i), di
Cartidaria, di Viminale, di Cornelia (2). Più officiale restò
il nome di S. Agnese soltanto, che vediamo in atti del se-
colo XVI (3), quando mutò nome e posto per munificenza
che di vie campestri consorziali; ma l'unica via publica, la Pinciana,
fu dai Borghese lasciata libera; ed anzi la villa ebbe sempre il
nome di Pinciana (cf. la pianta del Nolli) dall'ingresso che se ne
apriva su quella via, il quale esiste tuttora; e dall'estendersi della
villa lungo il lato sinistro di essa.
(i) Lih. pont. in Innocentio. Cf. Duchesne, II, 223, colla notizia
del comm. De Rossi sul dazio della porta stessa nel secolo quinto,
ceduto dalla proprietaria Vestina ad uso pio. Altre fonti in Urlichs,
pp. 70, 88; nella Graphia è detta mòtana, probabile sinonimia di collina;
ma io preferisco di crederla errata per nomtana, ivi, pp. 115, 127. Nella
polistoria del Cavallini, insieme ad errori popolari cagionati dalla
corruzione numentana, si trovano i due altri nomi ch'ebbe questa porta,
cioè de domina e sanctae Agnetis et Conslantiae, ivi, p. 142. Il nome
de domina (s. Agnese stessa) anche tradotto, cioè della donna, si con-
servò nel secolo xiv e xv (il castello di Monte Gentile è detto posìtum
extra portam domne in una sentenza del 1388 dell'archivio di S. Maria
Maggiore; Adinolfi, Roma ne.lV età di meno, I, 107). Cosi pure è
chiamata la porta da Antonio Di Pietro in Muratori, R. I. S., XXIV,
981. Cosi nel registro di Ambrogio Spannocchi tesoriere pontificio
del 1454 nell'Archivio di Stato.
(2) Cf. Adinolfi, op. e 1. cit.
(3) Nelle carte del Mochi, nell'archivio dell'Annunziata, t. 121,
f. 94. Nelle piante del Bufalini porta pure il nome di S. Agnese.
Nelle piante anteriori, la porta è segnata col nome 'Numentana, nelle
più antiche (secolo xiii), con questo e S. Agnese insieme nelle
Della Campagna T{omana 157
di Pio IV (i). Destinata a singolari vicende, questa porta
Pia rimase incompiuta, come può vedersi riprodotta nella
bella tavola dell' architetto Luigi Ricciardelli {Cedute delle
porte e mura di Roma disegnate ed incise all'acqua forte,
Vanno i8]2), e in quella di William Geli (tav. IX : Le mura
di Roma, ecc.), finché fu a' giorni nostri fatta compiere da
Pio IX con disegno del conte Vespignani. Finalmente
ha sofferto un'ultima trasformazione di semplice ristauro
nel prospetto esterno, colla remozione delle statue di
s. Alessandro e di s. Agnese, dopo i danni ricevuti nella
memorabile giornata del 20 settembre 1870, quando
sulla sinistra di essa porta è stata aperta la breccia dal-
l'esercito italiano. Ne fu questa la prima breccia di porta
Pia. Un'altra, quando la porta era detta della donna, cioè
nel 140^, fu aperta dai Colonnesi, ma sulla destra di
chi esce, dalla parte che guarda il castro Pretorio, contro
gli Orsini. L'episodio sanguinoso, causato dalla guerra civile
provocata dal re Ladislao di Napoli, fini colla vittoria di
Paolo Orsini, che ne abusò, facendo mozzare il capo a
Riccardo Sanguigni, uno dei capitani fatti prigionieri (2).
posteriori, con S. Agnesa soltanto nel panorama di Mantova (edizione
De Rossi, Piante di Roma). Noto il nome Viminalis segnatovi cogli
altri due nella pianta Rediana del 1474 (ivi, tav. iv).
(i) Veggasi il motu-proprio di Pio IV in Bicci, Notiiia della fa-
miglia Boccapaduli, p. 230, dal quale risulta che volle il papa dare
alla porta il suo nome, e ne fece custode un conte Ranieri, col per-
messo di costruirvi un albergo a sue spese. Le medaglie, altre parti-
colarità relative a questa porta, e la giusta critica fattane dal Milizia
colla menzione della satira di Michelangelo Buonarroti sull'origine
del pontefice, veggansi riassunte in Nibby, R. A., I, 143. La nota delle
spese e degli artisti che vi lavorarono è nel protocollo di ser Ot-
tavio Gracco nell'Archivio di Stato in Roma, ed è stato pubblicato
dal Gotti neUa Vita di Michelangelo.
(2) Diario di Antonio di Pietro in Muratori, R. J. S., XXIV, 981.
La porta Nomcntana ha pure i suoi fasti nell'epigrafia romana, nella
lapide dei sodales serrenses (Ann. dell' Istit., 1868, p. 387), e nel se-
158 G. Tomassettt
Della porta Salaria più brevemente dirò, che il nome
di essa rimase invariato, tanto negli itinerari religiosi,
quanto nei documenti (i). Notissima quanto infausta è
la memoria dell'entrata che per essa fece Alarico nel-
l'anno 410 (2). Per essa fece una vigorosa sortita, con soli
200 soldati, un tal Traiano, uffiziale di Belisario nella guerra
gotica famosa (3). Delle due torri del tempo di Onorio, che
la difendevano, restava una soltanto e smantellata; dell'al-
tra soltanto uno stilobate rettilineo e un pezzo del corpo,
come può vedersi nel disegno del Geli citato (tav. viii
della monografia suddetta). Avendo anche questa porta
subito gravi danni nella giornata del 20 settembre 1870,
fu finita di demolire, e quindi ricostruita con disegno del
conte Vespignani, nel 1873. In quella occasione torna-
rono alla luce parecchi antichi sepolcri già incorporati
nelle mura di Aureliano (4). Fu con essi, dirò quasi, inau-
gurata la serie copiosissima delle iscrizioni e delle me-
polcro degli Haterii, scoperto dal maggiore austriaco Zamboni nel
1826 sulla destra della porta (Memorie Romane, III, p. 456).
(i) Urlichs cit., pp. 71, 87, quae (porta) modo sancii Silvestri dici-
tur (nell'itinerario Malmesburiense, che è del settimo secolo), pp, 115,
127, 142 (è il Cavallini che dopo l'etimologia dal sale, ne propone
una da solitaria!), p. 151 (è l'anonimo Magliabecchiano che fa deri-
vare Salaria dal fiume Allia !!....) Nelle piante in genere è tracciata
col suo nome; in quella del cod. Vat. i960 è posta dietro il Vaticano,
ed è detta quae vadit ad... Sabenam (De Rossi cit., tav. i) ; nella Re-
diana, porta anche il nome di Quirinalis (tav. iv) nel panorama di
Mantova è notata porta Salare.
(2) Procopio, G. Vand., I, 2.
(3) Procopio, G. Got., I, 27,
(4) Alcuni spettavano alla gens Cornelia; uno all'undicenne poeta
Q. Sulpicius Maximus, il cui poema estemporaneo greco, recitato nei
certami Capitolini istituiti da Domiziano, è inciso ai lati della sua
statua. Si conserva nel museo Capitolino (cf. Visconti C. L., // se-
polcro di Q. Sulpicio Massimo, ecc.).
"Della Campagna ^I(omana 159
morie monumentali di questa via, che formerebbero un
ricco volume, ove fossero raccolte ed illustrate (i).
Della porta Pinciana, il cui nome si trova in qualche
scrittore medievale attribuito anche alla porta Flaminia (2),
ripeterò che dovette la sua fama a Belisario, quantunque
il nome procopiano di Belisaria voglia da alcuno attri-
(i) Questo corpo dovrebbe incominciarsi col notare i monumenti
scoperti sul tronco ora intramuraneo della via, cioè della villa già
Bonaparte, già Valenti Gonzga. Q.uivi sono stati trovati i sepolcri dei
Calpurnii Pisoni Frugi, Liciniani (Not. scavi, 1874, p. 394). Che i Pi-
soni Frugi possedessero presso questo luogo lo deduco anche da una
iscrizione rinvenuta fuori la porta Nomentana che ricorda 19 termini
posti da Scribonianus e Fiso Frugi ex depalatiom T. Fìavii Vespasiani
arbitri (Creili, 3689). Altri Calpurnii giacevano da queste parti. Una
lapidetta di due loro liberti si vede murata presso la io* torre esterna
delle mura, a sinistra dopo la porta. Nella villa suddetta stavano
7 bellissimi sarcofagi scolpiti (Not. cit., 1885, p. 43 sgg. (Cf. Me-
langes della Scuola francese ih R., 1885, avril). E che dirò delle vigne
di Gabriele Vacca, poi dell'antiquario Flaminio e di Muti nelle sue
memorie illustrate (mem. nn. 59, 58), poi Borioni, poi parte della villa
Ludovisi; e di questa villa monumentale, ora scomparsa, e superstite
ora in un album dì vedute, donato al Comune di Roma dal suo pro-
prietario principe d. Ugo Boncompagni?
Il comm. Lanciani ha testé, provato la esistenza^ nel sito della vigna
già Vacca, del tempio di Venere Ericina, che propone essere tutt'uno
con quello di Venere hortorum Saìlustianorum, nota per monumenti epi-
grafici (Buìl.Arch. Com., 1888, pp. i-ii). Egli osserva che Aureliano
non alterò il margine sinistro della via Salaria nel fare il suo recinto ;
che quivi giungevano gli orti Sallustiani, e che infatti non vi sono
stati rinvenuti sepolcri, mentre dal lato opposto ne sono apparsi nu-
merosi. Egli ha ricordato altri titoH epigrafici dì Saììustii sparsi su
questa zona finitima agli orti famosi; e finalmente ha fatto notare che
il tratto delle mura tra la porta Salaria e la Pinciana non può essere
opera di Belisario, come oggi si crede, ma ofl"re il più conservato
esemplare della cinta Aureliana. Del luogo ad nuccm, delle due vie
Salarie e di altre topografiche notizie promette di dare ulteriori e
definitive spiegazioni, che attendiamo ansiosamente.
(2) WiDO, Fcrrariensis in Wattekich, Vitac poiit. RR., I, 462.
i6o G. Tomassetti
buirsi alla Salaria (i). Del resto la porta Pinciana nel se-
colo ottavo era chiusa (2) ; anzi fu allora appunto chiusa,
perchè nel secolo antecedente venne indicata, quantunque
col nome storpiato in Por ciana e Portitiana, dall' anonimo
descrittore inserito da Guglielmo di Malmesbury nel suo
noto libro (3). Dovette poi essere riaperta, perchè della
chiusura non fan cenno scrittori di età posteriore al 1200 (4).
Un altro argomento per dimostrarne la riapertura è la con-
tinua indicazione che se ne trova nelle note catastali e no-
tariH del secolo xiv, come poi vedremo, di fondi situati
fuori di essa. Non solo dalla frequenza della via relativa
esterna dovette esser suggerita tale riapertura, ma ancora
dal fatto che le gabelle della porta del Popolo spettavano
al monistero di s. Silvestro; e perciò l'erario publico aveva,
presso la riva sinistra del Tevere, questa sola porta. Infatti
nell'elenco relativo di Ambrogio Spannocchi tesoriere pon-
tificio dell' anno 1454, ch'è nell'Archivio di Stato, è ta-
ciuta la porta del Popolo, e messa la Pinciana come
aperta (5). Nell'anno 1808 è stata chiusa (6); ed ora è
stata riaperta (7). Finirò col rilevarne il pregio storico.
(i) Cfr. Jordan, Topogr. der Stadi Rom, I, 354, nota.
(2) Urlichs, Itinerario Einsidhnse, p. 78.
(3) Urlichs, p. 87.
(4) Ivi, pp. 115, 127, 142 (è il Cavallini che deduce il nome da
pignaclum, cioè pinnacolo: poi accenna alla casa dei Cornelii quivi
presso situata). Essa è taciuta nell'anonimo Magliabecchiano, p. 151.
(5) Non dissimulo una difficoltà, che mi si potrebbe opporre, del
trovarsi, cioè, talvolta chiamata Pinciana la porta del Popolo. Ma
questa era una denominazione erronea poco probabile in un docu-
mento ufficiale amministrativo , come il registro del tesoriere.
(6) Che sotto Adriano VI era aperta, e ne erano custodi Gio.
Batt. degli Ubaldi e Tomaso Guerrieri lo trovo nelle carte del Mochi
all'Annunziata, t. 121, f. 194.
(7) In occasione della riapertura di essa porta, tra i marmi della
soglia n'è stato rimosso uno che ha EROTIDi in grandi lettere; si
vede che apparteneva a qualche sepolcro {Bull. Com., 1888, p. 41).
^ella Campagna Romana i6i
conservando essa la croce equilatera, nella chiave dell'arco,
e le sue forme delFetà di Belisario, al quale si riferiva il
motto date obulum Belisario graffito già sopra una pietra in
basso a destra di chi entra, e che spetta ad età moderna,
quando si è sparsa la favola della cecità e mendicità del
famoso duce bizantino.
Oltrepassate le antiche mura di Roma, dovendo io il-
lustrare il primo tratto della zona già suburbana, ora quasi
tutta abitata, voglio liberarmi dalla storia di quella con-
trada intermedia tra le vie Pinciana e Salaria nuova, ch'è
breve, affinchè Y itinerario che segue proceda più spedita-
mente.
(Continua)
G. TOMASSETTI.
Archivio delh R. Società romana di storia patria. Voi. XI.
ATTI DELLA SOCIETÀ
Assemblea del ^o aprile i88y.
Presenti, signori O. Tommasini, presidente, U. Bal-
zani, A. Corvisieri, G. Cugnoni, B. Fontana, C. Mazzi,
E. Monaci, G. Levi.
Letto e approvato il verbale della seduta precedente
(30 dicembre 188^) il Presidente compie il doloroso do-
vere di commemorare due illustri stranieri, benemeriti degli
studi e dell' Italia, il socio barone Alfredo von Reumont,
e il dottore Guglielmo von Henzen. Del Reumont ricorda
il lungo soggiorno in Italia, e i molti importanti lavori
di storia italiana, e l'assidua collaborazione \\q\Y Archivio
storico italiano, e nelY Archivio della Società nostra. Nel Con-
siglio comunale della capitale del regno vennero comme-
morati gli altissimi pregi del Reumont verso gli studi ita-
liani ; alla sua tomba fu mandato il saluto di Roma, a cui
si associa riverente la Società nostra.
Il valore scientifico, l'operosità, le virtù del compianto
Segretario dell' Istituto archeologico germanico non hanno
certo bisogno di essere ricordate ai convenuti. Una par-
ticolar prova di affetto verso questa Società era la cortese
premura con cui egli non mancò mai d' intervenire alle
riunioni sociali. Il presidente ricorda anche la recente per-
dita di un egregio cultore della storia in Italia, il prof. Age-
nore Gclli, direttore dQÌV Archivio storico italiano.
Il Pri.sidente poi comunica una lettera del socio profes-
164 Q/^iti della Società
sore T. von Sickel che ringrazia pel telegramma inviatogli
dalla Società in occasione del suo sessagesimo.
Viene infine presentato il consuntivo dell'anno 188^.
Procedutosi alla nomina dei sindacatori di detto bilancio
vennero eletti a unanimità i soci signori A. Corvisieri e
B. Fontana.
Preparazione del Codex Diplomaticus Urbis Romae.
Nel dicembre 1887 la Presidenza inviò ai soci il se-
guente schema per la preparazione del Coàtx Diplomaticus
Urbis Romae :
In seguito alla deliberazione dell'Istituto storico italiano del
31 maggio 1887 (Bulldtino, n. 3, p. 31), la R. Società Romana di storia
patria è chiamata a preparare la pubblicazione del Codex Diploma-
ticus Urbis; il quale invito, se corrisponde a un antico" proposito
della Società stessa, l'affida che non saranno per mancare i mezzi per
attuarlo.
Desiderando di procedere col concorso di tutti i soci a stabilire
le basi e le linee principali dell'opera, il Consiglio direttivo propone
alla considerazione dei colleghi i seguenti punti, intorno ai quali è
necessario di venire a certa determinazione:
1° Tempo. Si propone dì partire da Gregorio Magno, con ri-
serva di risalire, se le indagini daranno frutto, fino al trasporto della
sede dell'Impero a Costantinopoli;
2° Luogo. Roma, l'Agro Romano, il Ducatus, il Comitatus et
Districtus, e i comuni collegati con il comune di Roma, salvo a deli-
berare sull'esatto limite topografico, quando sia raccolto il materiale;
3° Oggetto. Storia civile e storia ecclesiastica, in quanto la
storia della Chiesa sia congiunta direttamente colla storia della città;
4° Per DOCUMENTI storici da comprendere nel Codice Diplo-
matico s'intendono:
a) tutti gli atti pubblici (documenti storici propriamente detti e giu-
ridici) ;
l) quelli privati che hanno attinenze dirette colla storia della città
e la genealogia delle famiglie;
e) i monumenti narrativi in quanto diano notizia di documenti
storici o di particolari condizioni e vicende della costituzione civile e
politica della città;
oAtti della Società 1^5
5° Gli spogli si dovrebbero condurre sopra le fonti edite e le
manoscritte. Si sottomette ai soci una nota delle principali opere a
stampa, e dei principali fondi manoscritti di archivi e di biblioteche,
con preghiera:
a) di dare ulteriori indicazioni di fonti;
l) di indicare se il socio intende di partecipare al lavoro, e in tal
caso di determinare quale parte di spogli assuma per sé ;
6° Intendendo il socio di collaborare al Codex Diplomaticus Urbis,
è pregato di dichiarare, se oltre il lavoro di spoglio, sia disposto a
far quello della collazione e dell'esame dei singoli documenti.
La preparazione del Codex Diplomaticus Urlis darà occasione a
predisporre VHisioria Urbis Diplomatica, che potrà venir pubblicata
come appendice, nella quale si raccoglieranno ancora tutti quegli
altri documenti che possono illustrare il costume, l'arte e la coltura
della città.
Fonti edite.
Regesti Pontifici (Jaffè, Potthast, Berger, Benedettini, ecc.).
Regesti Imperiali (Bòhmer, Mùlbacher, Stumpf-Brentano, ecc.).
Regesti di Farfa, Subiaco, Tivoli, ecc.
Codici diplomatici (Lùnig, Dumont, Leibnitz, Marini, Troya, Huillard-
Bréholles, Cenni, Theiner, Funi, ecc., ecc.).
Acta Imperli inedita.
Epistolae Romanorum Pontificum.
Collezioni storiche (Muratori, Bouquet, Pertz, Chronicles & Memo-
rials, ecc.).
Vitae Pontificum Romanorum.
Annalisti (Baronie, Rainaldi, Tillemont, Muratori, lahrbilcher der deut-
schen Gescbichte, ecc.). Annali Benedettini (Mabillon), Camaldo-
lesi (Mittarelli), Francescani (Waddingo), ecc.
Concini (Labbc, Mansi, ecc.); Diritto Canonico, AnaUcta Juris Pon-
tificii, ecc.
Patrologia.
Leggi imperiali.
Statuti municipali.
Bollandisti, Acta Sanctorum, Storie delle famiglie, dei magistrati, di
luoghi pii, chiese, monasteri, ospedali.
Jlinera, viaggi ed esplorazioni d'archìvi e biblioteche (Montfaucon,
Blume, Bethmann, Pflugk-Harttung, ecc.).
Cataloghi d'archivi e biblioteche; Repertori (Potthast, Chevalier,
Oesterley).
i66 Q^tti della Società
Fonti manoscritte.
Archivio di Stato: Carte, diplomi, registri camerali, atti dei notai,
statuti, ecc.
Archivio Storico Comunale: Carte e statuti.
Archivio Vaticano : Diplomi, carte, regesti, libri dei censi, conti, ecc.
Archivi d'ospedali, di famiglie romane, di congregazioni, capitoli, cor-
porazioni, ecc.
Biblioteche dello Stato, del Comune, Chigiana, Barberini, ecc.
Biblioteca Vaticana.
Archivi della provincia, dei comuni, notarili, qcc.
Lo schema essendo stato discusso ed approvato nel!' as-
semblea generale dell' 8 gennaio 1888, venne diramata la
circolare che segue:
In seguito all'approvazione dello schema per la preparazione del
Codòx Diplomaticus UrUs, il Consiglio direttivo della R. Società Ro-
mana di storia patria invita i suoi soci a voler dichiarare a tenore
dell'art. 5° e 6° dello schema stesso quale parte intendono di assu-
mere del lavoro sia di spoglio, sia di collazione e d'esame de' do-
cumenti.
È naturale che ciascuno preferisca quel limite cronologico e quella
qualità di ricerche che coincide coli' indirizzo de' particolari suoi studi.
Ma necessita che non vi sia né parte di lavoro inconsapevolmente
duplicata, né parte omessa. E dove è bisogno di larga comparteci-
pazione di opera, sarà bene che questa si consegua indirizzando il
corso pratico di metodologia della storia alla preparazione del Codex
Diplomaticus Urbis.
Si pregano pertanto i soci a far pervenire alla sede sociale, prima
del giorno 26 del corrente mese, la dichiarazione che il Consiglio
direttivo per sua norma richiede; avvertendo che, dopo la detta di-
chiarazione, verranno distribuite ai singoli soci le schede apposite,
le quali, contraddistinte colle iniziali del socio, saranno testimonio
del contributo di ciascuno all'opera sociale, e serviranno anche di
fondamento a determinare il concorso che l'Istituto storico italiano
accorderà a questa.
(Segue scheda).
A dar sollecito conto della cooperazione dei singoli
soci a questa importante impresa d'indole veramente so-
ciale si aprirà nQÌY Archivio una rubrica apposita.
Q/ltti della Società i6j
R. Società Romana di Storia Patria.
Prodotti e Spese deiranno 1886.
PRODOTTI.
Dal Ministero della pubblica istruzione per sovvenzione
ordinaria L. 2,000 —
Dal suddetto per sovvenzione straordinaria 2,000 —
Dal suddetto per incoraggiamento pei Facsimili e Diplomi
imperiali e reali 3,000 —
Dal Comune di Roma per sovvenzione 2,000 —
Dai signori soci contribuenti 2,615 25
Interessi sulla Rendita e sul fondo di cassa 91 40
Valore d' inventario dei libri ricevuti in dono .... 1,500 —
Simile dei mobili acquistati 100 —
L. 13,306 65
SPESE.
Spese pel personale L. 766 —
Id. accessorie alle pubblicazioni:
Stampa L. 6,114 88
Spedizione e posta ... . 287 25
6,401 43
Spese diverse d'amministrazione 178 20
Id. per la Biblioteca Vallicelliana .... 649 55
Mobili e acconcimi 326 —
Spese casuali e di esigenza 443 ^5
L. 8,764 33
RIASSUNTO.
Somma dei prodotti L. 13,306 65
Id. delle spese ....... . 8,764 33
L. 4,542 32
1^8 oAtti della Società
Stato attivo e passivo della Società
chiuso al 3i mar-^o i88y.
PASSIVO.
Credito del conto avanzi e disavanzi per esuberanza at-
tiva della gestione dell'anno precedente . . . . L. 20,104 05
Creditori diversi 500 —
Esuberanza dell'entrata sull'uscita 1886 4>542 32
L. 25,146 37
ATTIVO.
Debitori diversi 2,575 —
Titoli di credito 1,000 —
Mobili 1,^31 _
Biblioteca e deposito delle pubblicazioni sociali . . . 11,984 —
Resto di cassa 79656 37
L. 25,146 37
Roma, 20 maggio 1887.
I sottoscritti, trovando regolare in ogni sua parte il Consuntivo
della R. Società Romana di Storia Patria per l'anno 1886, ne pro-
pongono l'approvazio^^e.
Firmati: Alessandro Corvisieri
Bartolommeo Fontana.
BIBLIOGRAFIA
D/ Karl Korber. Beitràge zjir romischen Mun:(kunde : I. Ein
ròmischer Silbermùnzen-Fund aus der Mitte des 3 Jahr-
hunderts n. Chr. — II. Unedierte ròmische Mùnzen
aus der stàdtischen Sammlung in Mainz (Mainz, 1887;
programma ginnasiale).
I.
Nella prima parte (pp. 1-18), l'A. dà notizia di un ripostiglio di
monete romane imperiali rinvenutosi casualmente nell'agosto 1886
dentro la città di Magonza, facendosi lo scavo di un pozzo. Le mo-
nete si trovarono contenute in vaso di terracotta, e, rotto il vaso, se
ne numerarono ben 3220; ma, come purtroppo avviene il più delle
volte in tali trovamenti, gli scopritori, per meglio sottrarle ai diritti
del proprietario del fondo, le mandarono a vendere fuori di città, e
cosi un buon terzo del ripostiglio andò perduto. Il proprietario, si-
gnor F. Mùller, riuscì nondimeno a ricuperarne n. 1676, e le presentò
al direttore del Gabinetto'numismatico di Magonza, sig. D/ Welke,
il quale fu sollecito di acquistarle per quel Gabinetto. Ivi il nostro A.
potè studiarle ed esaminarle, compilarne il catalogo ed aggiunger-
vene anzi altre 195 da lui potute ripescare presso gli antiquari ed i
privati cittadini. Cosi il catalogo del sig. Korber comprende effettiva-
mente n. 1871 pezzi. Ei divise queste monete secondo le specie in
denari (corona laureata) ed antoniniani (corona radiata), e le classi-
ficò con la scorta della 2^ edizione del Cohen (Description des mon-
naies impériales) seguendo il sistema tenuto dall'Hettner nella descri-
zione di un simile ripostiglio pubblicata nella IVesd. Zeitschrift, VI, 131.
Sono tutte monete di biglione (bianco e nero); i denari sono in
numero di 539 e vanno da Antonino Pio a Gordiano III; gli anto-
niniani sono in numero di 1332 e vanno da Caracalla, il creatore
della specie, a Gallieno e Postumo. I denari per la più parte appar-
tengono a Settimio Severo (pezzi 55), Elagabalo (pezzi 114) ed Ales-
sandro Severo (pezzi 168); gli antoniniani a Gordiano III (545), Fi-
lippo I (289), Filippo II (63), Traiano Decio (loi) e Treboniano
lyo
bibliografia
Gallo (89). I due antoniniani di restituzione di Traiano e Commodo,
meglio che a capo lista, potevano addirittura riferirsi a Gallieno. Per
comodo e maggior interesse degli studiosi ho creduto opportuno di
ricavare il seguente specchio quantitativo di tutto il ripostiglio:
Imperatori Denari Antoniniani
Antonino Pio 2 —
Commodo 2 —
Crispina i —
Pertinace i —
Didio Giuliano i —
Pescennio i —
Albino 2 —
Settimio Severo 55 —
Julia Domna 15 4
Caracalla 19 8
Plautina 2 —
Geta 3 —
Macrino 3 —
Elagabalo 114 7
Julia Paola 4 —
Aquilia Severa 4 —
Julia Soemia 9 —
Julia Mesa ^t, i
Alessandro Severo 168 2
Orbiana 2 —
Julia Mammea 31 —
Massimino Trace 33 —
Massimo i —
Balbino — 4
Pupieno — 6
Gordiano III . 9 545
Filippo I — 289
Ottacilla — 58
Filippo II — 63
Traiano Decio — loi
Etruscilla — 27
Erennio Etrusco — 15
Ostiliano — 3
Treboniano Gallo — 89
Volusiano — 63
Emiliano — 4
Valeriano * — 12
Mariniana — i
Gallieno — 22
Solonina — 3
Postumo < — 4
Restituzione a Traiano — i
Id. a Coramodo — i
Incuso R. DIANA LVCIFERA. . . i —
Incerte 13 2
Totale . . . 539 n- 1332 = 1871 pezzi.
bibliografia iji
Le varietà descritte dal signor Kòrber ascendono a ben 500 nu-
meri. Fra le varietà non descritte nella 2" ed. del Cohen e segnalate
coi numeri similari del Cohen ^ messi in parentesi quadra, noto: tre
denari di Settimio Severo [230, 321, 324]; uno di Caracalla [120];
tre di Elagabalo [50, lor, 109]; uno di Julia Mesa [7]; uno di Ales-
sandro Severo [57]; uno di Massimino Trace [46]; — due anto ni-
ni ani di Gordiano Pio [98, 98]; uno di Filippo II [86]; uno di
Traiano Decio [m]; uno di Erennio [20]; uno di Gallo [67], e uno
di Volusiano [48]. Sono tutte piccole varietà di tipo o. di leggenda ;
ma non prive d'interesse.
Il den. IMP ANTONINVS PIVS AVG )(LIBERALITAS AVG II,
attribuito dall'A. all'imp. Caracalla (ved. p. 17 sg.), io dubito molto
non s'abbia a mantenere piuttosto ad Elagabalo, del quale è noto il
corrispondente quinario Cohen ^, Elagabale n. 81. Gli argomenti con
cui l'A. si sforza di rivendicare a Caracalla questa moneta, e due altre
della 2^ liberalità inesattamente descritte dal Vaillant (Cohen ^, Ca-
racalla nn. 119, 120), non mi persuadono. Il tipo fanciullesco della
testa corrispondente più a Caracalla che ad Elagabalo è il principale
argomento dell'A.; ma trattandosi di due imperadori di tratti fisio-
nomici poco diversi, l'uno cugino dell'altro e fatti Augusti l'uno al-
l'età di IO e l'altro all'età di 14 anni, non mi pare che l'argomento
fisionomico possa bastare per istabilirvi sopra tutta una conseguenza
storica. Per lo meno sarebbe d'uopo che questa dififerenza fisiono-
mica nei tipi della 2" liberalità di Elagabalo fosse confortata da una
buona serie di esempì, e non sopra l'eccezione dell'A. Tutte le ra-
gioni analogiche e storiche stanno in favore dell'attribuzione ad
Elagabalo.
Il den. VOTA PVBLICA di Elagabalo [n. 306] è ugualissimo a
quello descritto dal Cohen ^ al detto numero, per cui non veggo la
ragione della parentesi quadra.
Il den. LIBERTAS AVG di Elagabalo messo in dubbio dall'A.
mi par più probabile e verisimile appartenga a Caracalla, e sia una
varietà del n. 143 Cohen ^.
Quanto agli antoniniani di Gordiano Pio [n. 173] PAX AV
GVSTI (io esemplari) non sono in niun modo diversi da quelli de-
scritti nella i*^ ed. del Cohen, IV, 132, n. 70, e che nella 2^ ed. si
si diedero con leggenda errata PAX AVGVST invece di PAX AV
GVSTI.
Lo stesso sbaglio si verifica per gli antoniniani di Filippo I AE-
QVITAS AVGG [n. 9 e 12], che nella 2"* ed. del Cohen sono errati
nella leggenda, mentre sono esattamente descritti nella i'^ ed., IV, 176,
nn. 8 e io.
A tal proposito non posso dispensarmi di mettere in guardia tutti
i descrittori di monete imperiali romane, affinchò non sieno facili ad
ammettere le varietà nuove, fidandosi della esattezza della seconda
edizione del Cohen, edizione la quale in effetto è invece molto meno
esatta della prima. Ebbi ad avvedermi di questo imperdonabile di-
172 bibliografìa
felto studiando testò particolarmente le monete di Traiano (V. nel
2° voi. del Museo italiano di antichità classica il mio scritto Di alcuni
riposticrli di monete romane, p. 316 sgg,), ma pur troppo vado consta-
tatido che il difetto si estende a tutta l'opera. Appena si può imma-
ginare di quali e quanti errori nel campo numismatico e storico
potrebbe esser fonte la nuova edizione dell'unico nostro grande re-
pertorio delle monete romane imperiali, se il solerte suo attuale
curatore non affida a collaboratori competenti e coscienziosi la revi-
sione dell'intera opera, e ritarda la pubblicazione del desideratissimo
errata-corrige (i).
Ritornando al nostro A., piacemi dichiarare che egli, con la pub-
blicazione del ripostiglio di Magonza ha per certo reso un segnalato
servizio alla scienza numismatica; una scienza la quale è diventata più
degna emula dell'epigrafia e più utile ancella della storia dal giorno
in cui Cavedoni e Mommsen hanno insegnato al mondo di quali e
quanti risultati storici può esser fonte e scaturigine un semplice ri-
postiglio di monete. Per questa scienza è certamente più importante
la descrizione di un ripostiglio nuovo che non quella di molti pezzi
inediti e rari ; ma acciocché i risultati che si traggono dall'esame
di un ripostiglio sieno sicuri e fecondi convien che il descrittore sia
accurato fino allo scrupolo, e non dimentichi due principali avver-
tenze. Prima avvertenza è quella di assicurare che le monete di un
dato ripostiglio non sono andate mescolate con altre sporadiche : se-
conda avvertenza è quella di annotare diligentemente lo stato di
conservazione dei pezzi ed il loro stato relativo di freschezza.
Il nostro A. non ebbe la prima avvertenza, perchè non distinse
nel suo catalogo le 195 monete che egli rinvenne in possesso di al-
cuni antiquari, da quelle spettanti al gruppo originale ricuperato dal
sig. F. MùUer. Sulla origine di quelle 195 monete è sempre lecito
avere qualche dubbio, mentre le altre, costituenti la massa principale,
presentavano una sicura garanzia che fossero appartenute tutte senza
eccezione al ripostiglio di che si tratta. Non ebbe la seconda avver-
tenza al punto da non far nemmeno cenno dello stato di freschezza
delle ultime monete del ripostiglio. Se l'A. avesse riguardato allo
stato di freschezza dei pezzi spettanti ai due ultimi imperatori del ri-
postiglio, Gallieno e Postumo, egli avrebbe avuto modo di control-
lare efficacemente e stringentemente la sua stessa opinione circa la
data probabile del nascondimento del tesoretto. Qjaesta data egli a
p. 5 la ricava dall'esame delle monete di Postumo, e segnatamente
dall'ant. Cohen ^ n. 261 recante il cos. Ili (TR P COS IH PP) e di
data estensibile dall'anno 260 al 266. Egli si ferma preferibilmente
all'anno 261, vista la scarsità delle monete di Postumo in un trova-
mento dove si era in diritto di aspettarsele abbondantissime; ma l'os-
(i) È da sperare che la I. Accademia di Berlino, la quale ci ha liberato una buona
volta dagli errori del dilettantismo epigrafico col Corpus inscriplionum, vorrà por mano
a liberarci altresì dai non meno gravi errori del dilettantismo numismatico col promes-
soci Corpus nummoruin.
'Bibliografia 173
servazione del Mommsen (Geschichte d. rómische Milnztvesens, p. 775,
nota 809) relativa alla incetta ed alla scelta che si faceva nel sec. iii
delle specie monetarie meno scadenti per parte dei tesoreggiatori, lo
fa rimanere perplesso e titubante anche verso questa data.
In tale incertezza è chiaro che potrebbe vincere il dubbio o far
pesare la bilancia appunto l'osservazione intorno allo stato di fre-
schezza delle ultime specie tesoreggiate. Se, per esempio, si potrà con-
statare che le ultime monete di Valeriano (nn. 36, 71, 208) riferibili
agli anni 257-260 (Cf. Brock, Zeitschr. f. Num., 1876, pp. 5 e loi) corri-
spondono per il grado di freschezza alle piìi fresche monete di Gal-
lieno e Postumo, ecco che si avrebbe una bella prova in favore della
conclusione cronologica cui arriva il nostro A.; ma se le ultime mo-
nete di Gallieno (nn. 751, 936, 940, 1173, 1309) e quelle di Postumo
fossero invece relativamente usate e non mostrassero in niun caso
l'asprezza o le sbaveggiature del conio recente, avremmo per con-
verso un assai attendibile argomento per ricondurre la data del ri-
postiglio verso il 267, che è l'anno dell'assedio di Magonza, operato
dallo stesso imperatore Postumo contro il nuovo usurpatore Leliano
(Eutr., IX, 9). In tal caso il tesoretto di Magonza verrebbe a coin-
cidere con un fatto storico speciale, e la ragione del suo nascondi-
mento non sarebbe più da cercare in qualche ignoto avvenimento
politico o militare.
Confido che il nostro A., il quale si è reso benemerito delle ri-
cerche storiche pubblicando un così notevole ed interessante ripo-
stiglio di monete, avrà modo ed agio di sopperire agli osservati
difetti di descrizione, e potrà ancora fornirci il catalogo riveduto del
ripostiglio, accompagnato dalle desiderate note di freschezza. Intanto,
dovendo rimanere nel dubbio, posso persuadermi che, anche in prin-
cipio del burrascoso e contrastato regno di Postumo, non fossero man-
cate in Magonza, come su tutta la strada di Cologna, occasioni ripe-
tute di panico e di terrore per la guerra che Gallieno fu costretto di
dichiarare all'usurpatore delle GaUie e suo competitore.
II.
Nella seconda parte del suo scritto (pp. 18-23) l'A. descrive una
bella serie di monete romane imperiali esistenti nel Gabinetto di Ma-
gonza e non descritte nella 2^ ed. del Cohen. La descrizione è fatta
col medesimo sistema, cioè riportando le leggende in cui si osserva
qualche differenza e rilevando le divergenze di tipo. La descrizione ò
generalmente esatta, e ninna particolarità degna di nota parmi essere
sfuggita al vigile suo occhio.
Le monete descritte in questa seconda parte cominciano da Au-
gusto e finiscono con Massimiano Erculeo: sono ben 141 varietà che
l'A. segnala come mancanti nella detta edizione del Cohen; ma, al
solito, c'è da temere che alcune differenze dipendano dalle inesattezze
del testo curato dal Feuardent, né io ho agio di farne per intero la
174 bibliografia
verifica. Fra le monete descritte dal sig. Kòrber ve ne hanno parec-
chie che io stesso verificai mancanti al Cohen, sia nel mio Ripostiglio
della Venera pubblicato negli Atti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV,
sia nel più recente mio scritto: Di alcuni ripostigli di monete romane
citato di sopra. Quasi tutte le monete che il Kòrber riporta come
inedite da Aureliano in poi furono da me pure descritte nel Riposti-
glio della Venera, un ripostiglio composto di ben 46,442 pezzi (V. la
giunta nel Mus. Ital, II, 1 1 5"), tutti appartenenti alla seconda metà
del sec. in d. C. e che il sig. Feuardent non si curò altrimenti di spo-
gliare per la nuova edizione dei tomi V e VI dell'opera del Cohen.
Del pari i denari di Vespasiano, che il Kòrber aggiungerebbe alla
pag. 375 del voi. IlCohen^, sono descritti anche da me fra le mo-
nete del ripostiglio di Roma, Mus. Ital., II, 43, nn. 51-4, 43, n. 50.
Relativamente alle altre varietà descritte dal Kòrber trovo degne
di speciale attenzione le seguenti:
1° Un dupondio od asse di Augusto insignito di doppia con-
tromarca, quella di Tiberio: TIB A/G, e quella di Nerone: IM^ N.
— Intorno a tali contromarche vedansi le mie osservazioni nel
Mus. Ital., II, 57 sgg. Oltre gli scritti ivi citati, si confronti De
Saulcy: Les contromarques monétaires à l'epoque du haut empire^ nella
Revue numismatique, 1869-70, p. 300.
2° Tutte le monete di Traiano, specialmente dopo lo studio
storico e cronologico cui le assoggettai nel Mus. Ital., II, 81 sgg.
— Il den. simile al n. 394 Cohen ^ con COS VI merita conferma!
Sarebbe il primo tipo del Bonus Eventus apparso dopo quelli battuti
per l'occasione delle guerre daciche (V. op. cit., p. 105).
— Il medio bronzo IMP CAES NER TRAIANO OPTIMO AVO
GER etc. SENATVS POPVLVSQVE ROMANVS SC con due
insegne dell' esercito, particolarmente interessante perchè non era
finora conosciuto nessun tipo del bronzo degli anni 113-114 col tipo
militare delle insegne (V, op. cit., p. 83 e p. 92).
3° Una moneta ibrida di Giulia Domna (IVLIA AVGVSTA)
col tipo del rovescio : PRINC IVVENT
4" Un sesterzio di Massimo (MAXIMVS CAES GERM) col
rovescio preso da un sesterzio di Alessandro Severo (Cohen ^ n. 441).
5° Un antoniniano di Volusiano, col nome del gentilizio er-
rato : VI(j (sic) invece di VIB. La terza lettera sbagliata, rovescia e
capovolta, farebbe per poco sospettare l'uso delle lettere mobili nella
monetazione del secolo iii, se in questo tempo non fossero frequenti
errori monetari anche piìi strani. Parecchi errori simili sulle monete
di Probo furono segnalati dal Missong (V. Numismatische Zeitschrift di
Vienna, IX, anno 1877, pp. 1-20, estr. : Stempelfehler und Correcturen
auf Mùnien des Kaiser Probus, Taf. IV).
(Firenze).
Luigi A. Milani.
'\Bibliografia 175
Heim (Baurath) und Velke W. Die ròmische Rheinbriicke
bei Main^ nel Festgabe der Generalversammlung des Ge-
sammtvereins der deutschen Geschichts und Alterthums-Ve-
Teine zu Main^ am jj bis 16 Sept, 18 Sj, p. 1^9 sgg.
Il Governo tedesco diede ordine, nell'anno 1880, che venissero
rimosse le pile dell'antico ponte romano giacenti nel fondo del Reno
fra Magonza e Kastel. Si prevedeva da tutti gli archeologi un buon
risultato di notizie e di oggetti da cotesto lavoro ; né le loro speranze
sono rimaste deluse. In questa monografia del eh. Heim abbiamo
una dotta relazione tecnica su tali scoperte, nella quale, riassumendo
le cognizioni che si avevano sul ponte fino dal 1847, e componendole
colle attuali, egli ne forma un lavoro, quantunque breve, abbastanza
completo. Incomincia egli col ricordare la falsa opinione, formatasi
dopo il 1855, che attribuiva quell'insigne monumento all'età caro-
lingia. Descrive poi il metodo adoperato nelle lavorazioni subacquee,
ed in tre tavole, in calce allo scritto, ne porge una eccellente grafica
riproduzione. I piloni del ponte erano undici. Ora l'autore riferisce le
particolari scoperte avvenute in ciascuno, colle misure esattissime,
come, p. e., i numeri incisi sui pali rotondi di quercia, ond' erano
formate le grandi palizzate dell' undecimo pilone (p. 174). Singolari,
sotto l'aspetto epigrafico, vi sono le cifre IICXXI e 6XXIKI. In un
palo del decimo pilone v'è il numero ZXVII; in uno del sesto vi
è IIIX, che a noi sembra scritto a rovescio per XIII ; in uno del quinto
pilone v'è IXXIK.
Importantissime scoperte sono: un mazzuolo di quercia trovato
nel settimo pilone, nel quale si legge: L . VALE . LEG . XIII; e un
sigillo di ferro con LEG . XXII . A^Toniniana.
Passa l'autore a mostrare la costruzione dei fondamenti delle pile
(p. 187) colla fedeltà indispensabile in una tecnica descrizione.
Accenna quindi alle cose quivi rinvenute (p. 196). Vi sono pietre
quadrate, alcune scritte, alcune anche ornate di rilievi decorativi, rin-
venute, la maggior parte, presso le testate del ponte. Vi sono, oltre
i sigilli già ricordati, alcune ascie, alcune monete di bronzo, uno scal-
pello ed un pezzo di catena.
Segue, nella seconda parte di questo lavoro, la relazione del si-
gnor W. Velcke, la quale riguarda la parte archeologica e storica
delle scoperte avvenute. Essa forma una pregevole monografia in
complemento di ciò che il Lehne, il Grimm, lo Schneider ed il Pòll-
niz hanno scritto sul ponte romano di Magonza. Accurati disegni lito-
grafici degli arnesi e dei sigilli descritti in questa monografia ci per-
mettono di possederne gli esemplari. Fra le pietre scritte noteremo
quella col titolo ansato, che ha:
LEG • XIIII
G • M • V
•>-G-VELSI-SECV
176 bibliografia
edito giù dal Keller e dall' Hùbner {gemina, mart'ia, victrix ò notis-
sima appellazione della XIV legione). Oltre la nota delle sculture e
degli oggetti rinvenuti, il Velke porge breve ed importante esame
sulla cronologia del ponte, manifestando la ben fondata opinione, che
precisamente tra gli anni 70 e 100, se ne facessero le fondazioni ; che
sotto Domiziano fosse costruito dalla legione XIV, non dalla XXII,
come pensò 1' Hùbner. Seguendo la storia delle guerre romano-germa-
niche sotto i Flavii, egli dimostra questa successione di epoche.
Spiega come vi si trovi una menzione della legione XVI, cioè perchè
spettante all'epoca delle fondazioni di un ponte primitivo anteriore a
Caligola (stando sotto i primi Cesari quella legione a Magonza), ed
infatti rinvenuta in luogo profondo e intermedio ai piloni. Prova
finalmente che alla legione XXII, dell'età di Caracalla (Antoniniana)
non deve attribuirsi che un'opera di riparazione. Le sette tavole che
illustrano i due lavori dell' Heim e del Velke sono precedute da una
riproduzione di un piombo edito dal Fròhner, rappresentante il ripe-
tuto ponte romano, colle due città di Magonza e di Castellum sulle
due opposte rive del Reno. G. T.
Keller d/ J. Die neuen rómischen Inschriften des Miiseums :(u
Main^. Zweiter Nachtrag x^im Becker' schen Katalog. (In
Festgabe der generalversammliing der detitschen Geschichts-
und Alterthums-Fereine :(u Main^^ an i) bis 16 Sept. i88y.
Mainz, von Zabern, 1887).
Come apparisce dal titolo della monografia stessa, il signor dot-
tor prof. Keller porge in essa un catalogo delle iscrizioni romane
pervenute nel museo di Magonza, dopo la pubblicazione della prima
appendice al catalogo del Becker, la quale fu edita nel 1883. Pre-
cedono la nuova appendice alcune osservazioni e rettifiche alla
prima. La nuova pertanto contiene 38 lapidi e un diploma militare
(in bronzo), ordinate per classi conforme al catalogo originale. Cia-
scheduna iscrizione è accompagnata dalla relativa U^jone, e da qualche
sobrio e ponderato comento. Per non avere adoperato tipi epigrafici
è stato obbhgato l'autore ad aggiungervi anche taluni schiarimenti
sulle lettere connesse o irregolari. Vi abbondano le lapidi della le-
gione XXII, molte militari, dedicatorie in onore degl'imperatori e
di divinità. Alcune hanno singolare importanza epigrafica, sì per le
cose in esse ricordate: p. e. legioni xxii ... honoris virtutisq. causa ci-
vitas Treverorum in ohsidione ah ea defensa (p. 142), come per le for-
mole epigrafiche, p. e. : honori aquilae legionis XXII, tee. La maggior
parte di queste epigrafi spetta alla legione XXII, eh' era di presidio
a Magonza. Vi sono parecchie date consolari, che arrecano pregio
a questa serie, degli anni cioè 205, 213, 214, 242, ecc. Alcune di que-
ste date danno luogo a ricerche; come, p. e., quella del 205 ci sem-
brerebbe piuttosto spettare al 206. Importantissimo è quel console
bibliografia 177
per la terza volta A. Didius Gallus (p. 134) nella tavola di bronzo
votiva a Kemetona, insieme colla consorte indicata epigraficamente:
Attica ejus. Noto nella storia come uomo ricoperto d'onori (copia ho-
noriim in Tacito, Agric. 14 - come curator aqiiarum in un cippo aqua-
rio di Roma, Bull, dell' Istìt. 1869, p. 213) sarà ora registrato nella serie
dei consoli dell'età di Tiberio. Un frammento di lezione e di restitu-
zione difficile ci sembra quello trovato nel febraro 1887 (p. 143) dell'età
degli Antonini, come rilevasi dalla residua parola NIAN giustamente
supplita in Antoniì^lKì^ai, come soprannome della legione suddetta.
Delle iscrizioni sepolcrali presentate in questa pregevole mono-
grafia, è ragguardevole il cippo di C. Faltoniiis Secimdus, milite della
legione stessa XXII, di Tortona, la cui figura è scolpita nel cippo
medesimo, in singolarissimo abito civile, con due servi, forse come il
Keller osserva (p. 146), l'uno vestiarius, l'altro tahellariiis. Una riprodu-
zione eliotipica di questo bel monumento adorna il volume nel principio.
Noteremo finalmente la singolare coincidenza del diploma mili-
tare (tabulae honestae missionis) del solito tipo, che chiude la serie di
cui parliamo (p. 157), poiché in esso fu riconosciuta la seconda ta-
voletta di quello già esistente a Worms (cf. Mommsen nella Ephemeris
epigraphica, V, 632). G, T.
Tommaso Sandonnini. Della venuta di Calvino in Italia
e di alcuni documenti relativi a Renata di Francia. — To-
rino, fratelli Bocca, 1887, p. 1-33. {Rivista storica ita-
liana, IV, III, anno 1887).
Il Sandonnini avendo veduto che coloro i quali hanno studiato
l'episodio di Renata di Francia hanno promesso più lunghi lavori, ma
si sono limitati a brevi pubblicazioni, pubblica anch'egli alcune no-
tizie sulla Renata. Ma egli, ricordando le pubbUcazioni àtW Archivio
della Società Romana di storia patria, e avvertendone l' importanza,
dichiara insieme, che dalle promesse di scrittori, che sì limitarono a
pubblicare brevi e staccate memorie, fu distolto da un lavoro che
aveva vagheggiato.
Sull'importanza dei nostri documenti non sembra cadere disputa.
Ma il Sandonnini prima di pubblicare i suoi, usciti da Modena come
molti dei nostri, si prova a demolire le nostre conchiusioni con un
seguito di ragionamenti, dai quali sembrerebbe ch'egli non tien ragione
della grande opera del Corpus refortnatorum, in cui tutti sono confu-
tati, contro coloro che per primi li produssero. Non ispcnderemo
adunque molte parole, rimandando ai Prolegomeni di quell'opera chi
avesse vaghezza di conoscere il valore degli argomenti risuscitati dal
Sandonnini (i). Che la questione principale si risolve nel sapere, se
(1) Corpus refotm., tom. 29, Prol. caput II, fol. xxiii.
Il titolo del capitolo secondo è questo: « Editionem insdtutionis latinam anni 1536
omnium primam fuisse demonstratur ».
È contro questa serie ordinata che deve disputare il Sandonnini, prima che contro di noi.
Archivio della R. Società romana di storia patria Voi. XI. la
178 "Bibliograjia
l'edizione della Istituzione della religione cristiana del 1536 fosse o no
l'edizione prima, o ve ne fossero altre anteriori. Se ve ne furono altre
anteriori certamente le nostre conclusioni vacillerebbero in qualche
parte, non però in tutte; ma poiché il Sandonnini afferma di avere
molte prove di ciò, noi diciamo, che, come prove, ne egli, nò altri,
non ne produssero neppure una finora di buona lega.
È inesatto, intanto, ciò che afferma il Sandonnini, che l'edizione
del 15 36 porti per data della prefazione il 1535. Non può essere cfubbio
che non sia stata scritta nel 1535, ma in quell'edizione l'anno è stato
omesso. È del tutto erroneo che « le altre edizioni fatte mentre era
« ancora in vita l'autore corrispondevano tutte più o meno a quella
« del 1536» (i). L'edizione immediata del 1539 è già più lunga: la prima
edizione occupa nel Corpus 252 colonne; le sei edizioni successive,
cioè fino al 1554, composte in una, ne occupano 900; quella del 1559
ne occupa 11 18. La prima edizione adunque, di 252 colonne, è un
vero enchiridion. Se poi il Sandonnini pensa che avanti la edizione la-
tina del 1536 (egli non lo dice, ma lo dicono gli autori ch'egli può
avere consultato) ve ne sia una francese, Calvino stesso, nell'edizione
del 1541, dice, che tradusse il suo lavoro, per non defraudarne co
loro che di latino non sanno. Non arriviamo a capire come egli in
terpreti dalle parole quum nemo sciverit me authorem esse, che l'edizione
del 1536, essendo la prima, dovesse essere anonima; e non troviamo
chi più vi si fermi. Martianus Lucanius, od Espeville che Calvino si
chiamasse, mette il suo vero norne sull'edizione del 1536 e si allon-
tana da Basilea : qual necessità di allontanarsi se l'edizione fosse stata
anonima ?
Ma queste cose sono tutte dette. Quanto al viaggio di Calvino,
che il Sandonnini nega, al Masi, essere stato fatto per le Alpi deiGri-
gioni, egli lo fa procedere verso la valle di Aosta, per induzioni tutte
sue. Nell'archivio modenese da cui il Sandonnini ha tratti i suoi prin-
cipali documenti, a noi non ignoti, sta la prova e la riprova, che gli
ambasciatori estensi, quelli di Venezia, quelli di Toscana e quelli di
Urbino non battevano quella via, durante la guerra, per recarsi, vuol
saperlo dove il Sandonnini ? a Lione, Figurarsi poi a Basilea e ad
Argentorato, andando e tornando, se non era più comodo (diremo
anche per dove passavano) per Peschiera e per la Bernina.
Nega il Sandonnini la presenza di Calvino a Ferrara, dove noi
l'abbiamo messa. Per quanto fermissima ipotesi, la nostra, e avvalo-
rabile da nuovi argomenti, è sempre cosa facile l'opinamento con-
trario, e spesso fa ciò il Sandonnini. Ma egli erra di sicuro col Marot,
quando dice che « allude certamente al Marot il dispaccio 4 ottobre 1 5 36
« del residente estense a Venezia » (2) : il segretario era il Cornillau e
allusioni al Marot da Venezia non ve ne sono, se tutti non abbiamo
visitato quei dispacci, che crediamo di sì. Il Marot è annunziato al
(i) Sandonnini, loc. cit., 5.
(2) Id., ibid., II. . ■
"Bibliografia 179
venire a Ferrara, e al ritorno a Ginevra : sul soggiorno a Venezia si-
lenzio completo.
Ci dispiace poi ch'egli muti i termini delle nostre conchiusioni:
noi non abbiam mai scritto che Calvino « arrivasse a Ferrara il 2 3 marzo
«e ne ripartisse il 14 aprile del 1536» (i) come cifa dire il Sandon-
nini. Noi abbiamo concluso che entro quello spazio di 22 giorni vi si
doveva trovare ; arrivasse prima, o partisse dopo, ciò poco importa.
Il mettere becco sulla fuga di un francese, col designarlo per Giovanni
Soubise, è ameno, poiché v' è certa notizia ch'egli rimase ancora a
Ferrara: ma noi troppo dovremmo fermarci a cogliere inesattezze:
prendiamo per quel che vale la sua pubblicazione, e, se constateremo
qualche documento che non possediamo, gli saremo ben grati. Quanto
al lavoro completo, che fu promesso col nostro saggio, s'egli vuol
credere alla nostra parola, per tutta quell'epoca è fatto.
B. Fontana.
E. Stevenson. Topografia e monumenti di Roma nelle pit-
ture a fresco di Sisto V della biblioteca Vaticana.
Il quinquennio del pontificato di Sisto V è per la città di Roma
così pieno d'opere arditamente concepite e frettolosamente eseguite,
che lo storico è tratto a domandarsi che cosa non avrebbe divisato e
fatto il pontefice Peretti se giovane, e non già grave di sessantaquattro
anni, avesse assunto il governo dello Stato ecclesiastico e indirizzato
i tramutamenti della città di Roma. « Se avesse vissuto pochi altri
« anni noi avremmo la basilica (di s. Pietro) non a croce latina e
« colla fronte del Maderno, ma a croce greca e colla facciata di Miche-
langelo ». Così scrive lo S. (a pp. 22-3), e questo non sarebbe stato pic-
col vantaggio. Ma la vera grandezza e lo squisito gusto' dell'arte che i
pontefici del rinascimento avevano potuto aggiogare alla loro signoria
era venuto meno. « Cesare Nebbia e Gio. Guerra - annota altrove l'au-
« tore - favoriti dal pontefice per la rapidità colla quale lavoravano,
«prendevano in certo modo l'appalto delle pitture; nei conti delle
« spese essi soli figurano, mentre agli artisti che li aiutavano è dato il
« nome di soci ». Così la nuova fabbrica da lui divisata a congiungere
le due grandi gallerie che vanno dal palazzo pontificio al Belvedere,
non serve, come le opere de' tempi di Sisto IV, di Paolo II, d'Inno-
cenzo Vili, di Giulio II e di Leone X, ad eccitare la fina ammirazione
delle persone che sono al culmine della cultura; bensì colpisce la mol-
titudine grossa coir aspetto della mole, dei colori smaglianti, cogli ef-
fetti che possono sperarsi da opere frettolose e date in appalto. Ma
lo S. non entra in considerazioni artistiche per questo rispetto: bensì
con solerte dottrina si fa a raccogliere quanto ò possibile da quelle
pitture per la conoscenza topografica del Vatfcano antico, e per la
(i) Sandonnini, loc. cit., 7.
1 8o bibliografìa
storia della biblioteca, integrando i dotti lavori del Muntz e del De
Nolhac. All'opera sono annesse cinque tavole fototipiche, non tutte riu-
scite egualmente bene. La prima rappresenta la facciata dell'antica ba-
silica Vaticana, e l'A. la illustra alle pp. 8-11 : « La piazza scorgesi pa-
ce rata a festa; arazzi e drappi pendono dalle finestre e dai palchi eretti
« per gli spettatori : suonano le tube (?) e tuonano le artiglierie, mentre
« la turba del popolo assiste plaudente. Accanto al vetusto ingresso
« della basilica s' innalza il trono del pontefice entro uno steccato, al
« cui ingresso ò una specie di arco trionfale (?) decorato di festoni
« collo stemma di Sisto V ». Nella tavola II riproduce, da un aff'resco
del Vasari nel palazzo della Cancelleria di Roma, l'immagine dei
luoghi e dello stato dei lavori quali si trovavano quarant'anni prima,
sotto Paolo IIL La tavola III ofì're in una delle vedute il trasporto
dell'obelisco; e presso la torre campanaria ben riconosce lo S. rap-
presentata nella parte superiore d'un edifizio parte del musaico giot-
tesco della navicella che ornava l'antico quadriportico. Descritte le
vicende che alterarono il monumento, altrove trasferito e restaurato
più volte, lo S. ofì're nel n. 4 della tavola V un elemento assai antico
e pregevole per ricostituirne il primitivo aspetto, tratto da un disegno
della biblioteca Ambrosiana. « L'occasione - scrive l'autore - mi in-
« duce a divulgare un frammento di musaico attribuito a Giotto che
« è serbato a Banco, nelle vicinanze della Badia di Casamari, in una
« cappella privata », quantunque sull'autenticità dell'angelo giottesco
non si avventuri a pronunziare giudizio. E questo, e la testa di Gre-
gorio IX, ch'era pur essa nel musaico sotto al timpano all'ingresso
del quadriportico; e la testa d'Innocenzo III, la cui figura era nella
conca dell'abside ed ora si trovano nella cappella della villa già
Conti, ora Torlonia, presso Poli, costituiscono i tre frammenti di de-
corazioni musive scampati alle distruzioni, che lo S. divulga per la
prima volta nella tavola V del presente scritto. Nella parte inferiore
della tavola III è anche figurata la piazza Colonna, colle umili ba-
racche e co' pergolati che fanno cosi misero contrasto colla grande
colonna di Marco Aurelio restaurata da Sisto V. La tavola IV ripro-
duce, nella parte inferiore, una lunetta con la veduta del patriarchio
lateranense e degli annessi edifici, divulgata già dal Rasponi e dal
Rohault de Fleury; nella superiore, la pianta prospettica di Roma
indicante il piano regolatore della città a' tempi di Sisto V; ad illu-
strazione della quale lo S. reca fra le altre notizie quella della data
certa della « desfattura della scola di Virgilio houer Settezonio », le
cui spese figurano nei conti alla data de' 15 maggio 1589. Ora, tali
registri de' conti che rivelano preziosi ragguagli intorno alle basiliche
cristiane ed agli antichi monumenti di Roma, non pare che fossero
cogniti al Tempesti, furono trascurati dall' Hùbner, e lo S. U usò primo
e ne dette indicazione.
"bibliografia i8i
Emmanuel Rodocanachi. Cola di Rienzo - Histoire de
Rome de 1342 à 1354. — Paris, A. Lahure, imprimeur-
éditeur, il
Cola di Rienzo è tal figura storica che non può non esservi in
tutti i tempi chi si lasci attrarre da essa potentemente. Non è solo fra
gli artisti o i romanzieri che certi antichi nomi, certi episodi, certi
periodi storici trovano, a preferenza di altri, simpatie più vive ; anche
fra gli studiosi e fra i severi eruditi, per i quali tutto dovrebbe valere
ugualmente quanto si può chiamar fatto documentato, v'han certi
tèmi, cui per bisogno inconsciente dello spirito la rigida ricerca obiet-
tiva si volge con più intelletto d'amore. Mal giudichiamo i freddi esplo-
ratori del passato, figurandoceli quasi atrofizzati dalle carte ingiallite e
dalle logore pergamene : eglino comprendono, invece, come per certi
fatti, per certi rivolgimenti, per certe figure del passato il lavoro loro
non è se non l'umile compagno di quello che spetta al filosofo, al
politico, allo psicologo. Di qui la straordinaria attrattiva di certi ar-
gomenti.
Tale si presenta quel periodo della storia medievale di Roma che
va dal 1342 al 1354, nel quale la figura dell'ultimo tribuno domina
e campeggia sovrana, anche quando dobbiamo andarla a ritrovare
nella solitudine di monte Maiella o nel triste carcere di Raudnitz.
Ben venga adunque questo nuovo volume del signor Emanuele
Rodocanachi su Cola di Rienzo, che s'aggiunge cosi alla biografia di
Felice Papencordt, sintesi felicissima di tutto quanto erasi anterior-
mente scritto su la storia del tribuno. Questa Società di Storia patria
ha ormai riunito e s'accinge a pubbUcare l'epistolario di Cola, ed è
questa una ragione di più per accogliere con schietta soddisfazione
il presente lavoro, che serve, se non altro, a ravvivare l'attenzione
del pubblico colto per quel memorabile decennio di storia romana.
Se dicessimo che l'opera del Rodocanachi porta agli studi un con-
tributo veramente nuovo, non saremmo nel vero e sorpasseremmo
forse gli stessi intendimenti dell'A. Fonti nuove, oltre quelle, mano-
scritte ed a stampa, già utilizzate dal Papencordt, non ò venuto fatto
all'A. di scoprire, e noi non gli moviamo di ciò il benché minimo
rimprovero: fondamento principale della narrazione resta sempre la
Vita dell'anonimo contemporaneo, sussidiata non tanto da varie cro-
nache di città italiane e da qualche annalista ecclesiastico, quanto dalle
lettere di Cola a noi pervenute e già in buona parte, benché assai
male e sparsamente, pubblicate.
Questo il materiale che servì agli anteriori biografi e che per la
via di essi, e, abbiam motivo di credere, non per la via dei mano-
scritti, venne a conoscenza del Rodocanachi. E ad aggiungere però
ch'egli ebbe primo l'aiuto, mancato agli altri, della nota raccolta del
Theincr: Codex diplomalicus domimi temporalis Sanctae Sedis, stampata
nel 1862, della quale opportunamente si valse a meglio chiarire i
rapporti del tribuno colla Curia pontificia. Ciò solo basterebbe a
1 82 ^ibliografa
farci riconoscere tutt'altro che inutile il libro, del quale un breve e
sommario esame potrà, crediamo, non riuscire discaro agli studiosi.
La prima parte del volume comprende i primi anni di Cola, l'am-
basciata ad Avignone, la fondazione del buono stato, la politica in-
terna ed esterna del tribuno e la sua prima caduta.
L'A., dando maggiore sviluppo ad alcune parti della narrazione
non interamente sviluppate dai precedenti biografi, rifa con forma bril-
lante la storia di quei sei mesi in cui la potenza di Cola andò aumen-
tando con una rapidità uguale a quella con cui s'operò la sua prima
caduta. Intorno ai rapporti fra i Romani e la Curia d'Avignone, pare
all'A. (e giustamente) di poter stabilire, su la testimonianza d'una
lettera del papa pubblicata dal Theiner (t. II, n. CXXX), che le am-
basciate a Clemente VI furono due e che della prima non fece punto
parte Cola di Rienzo, il quale soltanto posteriormente venne inviato
ad Avignone (i). Cola fu più fortunato di Stefano Colonna e de' suoi
colleghi: il 27 gennaio dell'anno 1343, Clemente pubblicò la bolla
« Unigenitus Dei Filius » e formulò i doveri imposti ai fedeli che si
sarebbero recati a Roma pel giubileo nel 1350. Rienzo approfittò delle
simpatie incontrate in Avignone per parlare con grande veemenza
contro i baroni romani e per dipingere al papa coi più tristi colori la
loro licenza e la loro crudeltà. I senatori di Roma, Paolo Conti e
Matteo Orsino, se ne risentirono aspramente, e decretarono contro
Cola le misure più rigorose.
Fu allora che intervenne il papa colla lettera sopra ricordata, nella
quale difendeva il giovane anlbasciatore da ogni accusa e lo racco-
mandava alla benevolenza dei suoi concittadini. Cosi Rienzo potè tor-
nare a Roma al sicuro dalle rappresaglie dei suoi nemici.
Ad Avignone il futuro tribuno conobbe, com'è noto, il Petrarca,
e da allora cominciarono le relazioni fra l'uno e l'altro. Il Rodoca-
nachi scrive: «Il semble probable que Pétrarque et Rienzo lièrent
« connaissance dès cette epoque ; animés tous les deux d'une égale
« passion pour l' Italie, ils durent s'entretenir sans doute plus d'une
«fois de leurs pensées et de leurs espérances sur son avenir». Alle
quali parole, assai scarse in verità, tenuto conto degl'intendimenti del
volume, o noi c'inganniamo o la forma dubitativa, usata dall' A., toglie
gran parte di valore. Ci sia lecito pertanto notare come il Petrarca
dia principio ad una sua lettera (Lett. sen^a titolo, 7), scritta dopo la
partenza di Cola da Avignone, appunto ricordando un lungo colloquio
avuto con lui dinanzi all'antico tempio di Sant'Agricola. « Quando
« ripenso - scrive il poeta - a quella nostra conversazione, mi sento
« pieno di fuoco e d'entusiasmo ». Nìun dubbio quindi che durante
la dimora di Rienzo ad Avignone (1343) si stabilisse l'affettuosa ami-
cizia tra Cola ed il Petrarca,
(i) Ecco il luogo preciso della lettera papale: « Cum autem per aliquos ipsius Ni-
« colai emulos vobis, ut asserit, suggestum extiterit, licet falso, eumdem Nicolaura dixisse
«corani nobis aliqua, que in vestrorum et eiusdem Romani populi ambassiatorum dudum
« missorum ad nostrani presenc'am preiudicium ac vituperium redundabant, etc. ».
bibliografia 183
A quest'amicizia, che esercitò senza dubbio un' influenza non pic-
cola su l'indole dei rapporti stabilitisi dipoi tra Cola divenuto arbitro
di Roma e papa Clemente VI, il Rodocanachi consacra iln intero ca-
pitolo, dov'è opportunamente esaminata la corrispondenza epistolare
tenuta fra il Petrarca e il novello tribuno. « Ce fut probablement
« vers cette epoque - aggiunge l'A. - que dans son premier mouve-
« ment d'enthousiasme le poète composa en l'honneur de Rienzo la
« canzone célèbre connue sous le noni de Spirito (sic) gentile y^. E ri-
porta una traduzione francese della canzone, fatta dal signor Esmé-
nard du Mazet. Delle lunghe e spesso anche dotte discussioni cui
diede luogo l'incertezza del destinatario di quelle strofe, il Rodoca-
nachi mostra di non essere affatto informato, per quanto il nome dei
letterati che presero parte alla disputa, come il Carducci, il Bartoli,
il D'Ovidio e molti altri, avrebbe dovuto non fargliela ignorare.
L'A. invece non giunse più oltre dei ragionamenti tenuti quarant'anni
fa da Zeffirino Re, dichiarando che dopo la sapiente discussione di
questo erudito non si può più mettere in dubbio che la canzone fosse
realmente indirizzata a Cola di Rienzo. Ora, noi non contestiamo al
Rodocanachi il diritto "di ritenere una tale opinione, sostenuta da va-
lidissimi argomenti; ma non è davvero Zeffirino Re che, tra i pro-
pugnatori di essa, abbia detto l'ultima parola. A buon conto, un co-
dice Ashburnhiano, scoperto e segnalato dal Bartoli in questi ultimi
anni, reca in capo alla canzone il nome di Rosone da Gubbio, e in
questo nuovo fatto molti letterati valenti, fra i quali il D'Ovidio, han
veduto una prova di più della tesi già sostenuta dal Carducci, che
cioè il nome di Cola di Rienzo fosse venuto in campo soltanto po-
steriormente per opera degli eruditi del cinquecento. Bisognava quindi,
una volta entrati nella disputa, ribattere con nuove ragioni (e ce ne
sono!) questa opinione.
Per ciò che riguarda i preparativi della rivoluzione popolare e lo
stabilirsi del buono stato, i capitoli IV e V del presente volume nulla
aggiungono all'opera del Papencordt, che seguono abbastanza da vi-
cino. La politica esterna del tribuno e le sue relazioni col resto
d'Italia (cap. Vili e IX) vengono esposte dall'A. con molta chia-
rezza. Non fa d'uopo ricordare ne' suoi particolari il piano di Cola :
egli voleva istituire un'assemblea, nella quale tutte le principali città
italiane dovevano essere rappresentate con egual numero di voti,
per discutere e risolvere tutte le querele delle città confederate, esa-
minare le questioni d'interesse generale e rappresentare l'Italia di
fronte ai paesi stranieri. In questo grande consiglio egli avrebbe tro-
vato modo di dare a Roma il primato e la preponderanza. Con tale
intendimento inviò in sulla fine di giugno al comune di Firenze una
speciale ambasceria, munendo i suoi legati d'una lettera crcJcn/.iale
che conservasi, insieme a varie altre, in copia sincronn, ncirArchi-
vio di i'irtiizc (Capiloli del Comune, voi. XVI) e ^ho tu già pubbli-
cata dal Gayc (Curtci^i^io inedito d'artisti). Da questo documento risulta
che gli ambasciatori furono quattro, e non cinque, come dice il Ro-
1 84 'Bibliografia
docanachi (pag. no), e cioè: Pandolfuccio di Guido de' Franchi,
Matteo de' Beccari (non dò' Becinni, come scrive il nostro), Stefanello
de' Boezi e Francesco de' Baroncelli (i). Il 2 luglio del 1343, due
degli ambasciatori parlarono, a nome del tribuno, avanti alla Si-
gnoria. I discorsi di costoro - avverte l'A. - si trovano nel codice 557,
fondo italiano, della biblioteca Nazionale di Parigi, conosciuto dal
Papencordt sotto l'antica segnatura (7778 della biblioteca Reale), ma
da lui non potuto consultare (2): occorre però aggiungere ch'essi
trovansi, tradotti in italiano, anche nella cronaca di Giovanni Vil-
lani (Firenze, 1823; voi. Vili, p. cxx e sgg.). Il Rodocanachi omette
questa citazione, e dà in francese qualche passo dei discorsi. Primo
parlò Pandolfuccio (cod. 557, e. 79), poscia il Baroncelli (cod. 557,
e. 80), e, il giorno seguente, alla proposta di Tommaso Corsini ri-
spose ancora Pandolfuccio (cod. 557, e. 81 r.).
Risultato dell'ambasceria fu, com'è noto, l'invio da parte della
Repubblica fiorentina di cento cavalieri, e la partenza di suoi rappre-
sentanti alla volta di Roma. Poco dopo, giungevano a Rienzo am-
basciatori anche da Siena, da Arezzo, da Todi, da Spoleto, da Rieti,
da Pistoia, da Foligno, da Tivoli, da Velletri: i signori del Nord
d' Italia gli offrivano doni preziosi ; la regina Giovanna sottoponeva
al giudizio di lui la sua lite con Luigi d' Ungheria, e perfino Giovanni
Paleologo entrava in amichevoli relazioni col capo del popolo ro-
mano. <( Per tal modo - conclude il Rodocanachi - Cola seppe inte-
« ressare alla rivoluzione che s'era compiuta in Roma tutti i popoli
«d'Italia e i sovrani d'Europa. E mentre Crescenzio, Arnaldo da
« Brescia, Stefano Porcari, pur animati dallo stesso amore di libertà,
« videro la loro fama e i loro sforzi circoscritti dalle stesse mura della
« città, il tribuno, appena arrivato al potere, si vide trattato da pari
« a pari dai più potenti monarchi ».
Ma all'esteriore potenza mal corrispondevano in Cola le qualità
psichiche : certamente, la rapidissima ascensione alla gloria meno spe-
rata apportò nel suo spirito uno squilibrio, che non può sfuggire a
chi, dopo cinque e più secoli, cerchi penetrare la storia intima di
quell'anima. E a questa storia, non meno interessante di quella este-
riore del tribunato, parecchie fra le lettere di Cola servono assai
bene. Ci basti ricordarne una (3) ch'egli diresse il 15 luglio 1347 a
un suo amico in Avignone, e in cui con grande famigliarità apre
tutto l'animo suo. Già il Papencordt ne citò un brano, che ora anche
(i) Ecco il relativo passo della lettera:
« . . . . quedam, que corde gerimus, vobis oretenus exponenda, nobili et strenuo viro
« Pandolfutio Guidonis de Franchis, domino Macteo de Beccariis causidico et providis
« viris Stephanello de Boetiis et Francesco de Baroncellis, dilectis civibus et ambaxatori-
« bus nostris, exibitoribus harum, piena fide commisimus.... ».
(2) Cod. cartaceo della fine del secolo xiv, con legatura del secolo passato in ma-
rocchino rosso, di 108 carte. Contiene anche un'assai nota lettera di Cola a' Viterbesi.
La prossima edizione dell'epistolario di Rienzo, che la Società Romana di Storia patria
sta curando, darà l'indice del contenuto di questo importante manoscritto.
(3) Cod. D, 38 della biblioteca Nazionale di Torino; carta 175.
"bibliografia 185
il Rodocanachi riporta tradotto in francese, traendolo evidentemente
dal precedente biografo di Cola. Noi lo diamo nel testo latino, quale
trovasi nell'unico codice che ce lo ha conservato.
« Et novit Deus - scrive Cola all'amico - quod non ambitio di-
ce gnitatis, ofRcii, fame, honoris vel aure mondialis, quam semper
« aborrivi sicut limus, sed desiderium comunis boni totius reipublice
« huiusque sanctissimi status induxit nos colla submittere jugo adeo
« ponderoso attributo nostris humeris non ab homine, sed a deo, qui
« novit si officium istud fuit per nos precibus procuratum, si officia,
« beneficia et honores consanguineis nostris contulimus, si nobis pe-
« cuniam cumulamus, si a veritate recedimus, si nobis vel heredibus
« nostris facimus compositiones, si in ciborum dulcedine aut voluptate
« aliqua delectamur, et si quidquam gerimus simulatum. Testis est
« nobis Deus de iis que fecimus et facimus pauperibus, viduis, or-
« phanis et pupillis. Multo vivebat quietius Cola Laurentii quam
« Tribunus ».
Fin qui il Rodocanachi, che più oltre non poteva andare, serven-
dosi del Papencordt anziché del codice torinese. Ma la lettera appare
importante anche in altre sue parti. Sembra che l'amico avesse scritto
a Cola che si diceva ch'ei cominciasse già ad aver paura del suo
nuovo stato : e Cola a smentire la falsa voce : « Ad id autem quod
« scribitis audivisse quod incepimus iam terreri, scire vos facimus
« quod sic Spiritus sanctus, per queni dirigimur et fovemur, facit ani-
ce mum nostrum fortem, quod ulla discrimina non timemus : vero si
« totus mundus et homines sancte fidei cristiane et perfidiarum he-
«braice et pagane contrariarentur nobis, non propter ea Urreremury).
E più sotto : « Sed frustra tumescunt maria, frustra venti, frustra ignis
« crepitai contra hominem in domino confidentem, qui, sicut mons
« Sion, non poterit commoveri ». E chiude invitando l'amico a tor-
nare in Roma, dove gli ha destinato un onorevole ufficio.
Quest'altèra sicurezza di sé stesso venne naturalmente accresciuta
in Rienzo dai fatti che seguirono, e specialmente dal successo ch'ei
riportò nella lotta contro quel Giovanni di Vico, che pareva assolu-
tamente invincibile. Ond'è che a lui sembrò facile sbarazzarsi d'un
tratto dei principali baroni romani e che preparò loro il noto agguato
in un celebre banchetto, del quale parla con efficace e bonaria sin-
cerità la Vita dell'anonimo. A spiegare quella veramente impolitica
vendetta di Cola, il Rodocanachi parla d'un sicario, cui i baroni avreb-
bero dato mandato d'assassinare il tribuno, e che invece fu scoperto
e imprigionato. L'assassino, messo alla tortura, avrebbe svelata la con-
giura e i più potenti baroni si sarebbero trovati compromessi. Da
questo fatto il tentativo di Rienzo sarebbe abbastanza spiegato. Ma
noi non sappiamo su quali fondamenti e da quali fonti l'A. abbia nar-
rato tali particolari, dei quali la Vita non fa parola. C'ò anche per-
venuta una lettera di Cola a Rainaldo Orsini, notaio del papa (Hoc-
semius, Gesta pont. Tun^r., II, 496), nella quale ei si scusa dell'avere
a tradimento incarcerati i baroni, e afferma d'averlo fatto soltanto per
i8,6 'Bibliografia
indurli a confessare le loro colpe. « A questo fine - egli scrive - il
« 1 5 di settembre mandai ai baroni nel carcere alcuni frati, i quali,
« ignorando la mia finzione, e credendo eh' io avrei usato la maggior
« severità, dissero loro : Il tribuno vi danna a morte. Ed essi allora,
« credendo imminente la morte, si confessarono colle lacrime agli
« occhi. Io invece li trassi in presenza di tutto il popolo, li perdonai e li
« colmai d'onoranze ». Non c'è facile scoprire setanta clemenza fosse
già da prima nell'intenzione di Cola, o se non piuttosto gli fosse
imposta (come pare) dai più influenti cittadini: certo è però che,
qualora il tradimento del convito fosse stato provocato da una con-
giura, antecedentemente ordita a fine di assassinare Rienzo, egli non
avrebbe davvero omesso di dirlo in una lettera ch'è appunto dettata
in sua discolpa e per frenare il prevedibile sdegno di Clemente VI.
Ma gli umori divenivano ad Avignone sempre più contrari a Cola :
il capitolo XIV del volume del Rodocanachi parla appunto dell' in-
tervento della Curia pontificia nelle cose di Roma, dopo il quale la
rivolta degli Orsini di Marino e il combattimento di porta San Lo-
renzo furono pel tribuno come gli ultimi lampi di gloria, che resero
più dolorosa la sua caduta.
Veniamo così alla seconda parte del volume. Qui la figura di Cola
assume un carattere più mistico, l'uomo d'azione si fa asceta, e ce-
lato tra i fraticelli della Majella pare che altro non cerchi se non
d'essere aff'atto dimenticato. Nel 1350 - anno del giubileo - egli de-
cide di recarsi in Terra Santa, ma la paura ne lo distoglie (p. 267).
Intanto le esortazioni di fra Michele di Monte Angelo tornano a com-
moverlo di nuovo e a convincerlo che l'opera sua è più che mai
necessaria al rinnovamento del mondo. Ma ad intendere l'influenza
che esercitarono sull'animo di Rienzo le predizioni del santo eremita,
bisognerebbe che a questa parte fosse dato sviluppo maggiore che
non le dia l'A.: le profezie, ripetute dal frate, si trovavano ad essere
già popolari nel mondo medievale ed erano quelle che Cirillo, gene-
rale dell'ordine carmelitano (1192), aveva ricevute, secondo la leg-
genda, in tavole d'argento e che circolavano per tutto l'occidente com-
mentate dall'abate Gioacchino e da Gilberto Cistercense (1280).
Il Rodocanachi, sorvolando su tutto questo nucleo d'idee, che pur
rappresentano un portato così caratteristico del pensiero medievale,
non solo non ne tenta una critica esposizione o comparazione, ma
s'accontenta di tradurre semplicemente una lettera di Cola a Carlo IV,
pubblicata già dal Papencordt, nella quale le profezie di fra Angelo
sono ricordate.
Incitato dalla parola del santo eremita, ecco Rienzo arrivare im-
provvisamente a Praga, presentarsi incognito all' imperatore, e implo-
rare la sua protezione. Ma Carlo IV doveva in gran parte la sua ele-
zione al papa, e non poteva permettere che s'attaccasse, come faceva
Cola, impunemente la persona stessa del pontefice : ritenne quindi
prigioni, come eretici, Cola e i suoi compagni di viaggio. Il periodo
della prigionia (cap. XXI, XXJI, XXIII) ci è specialmente rappresen-
'bibliografia 1 87
tato dal carteggio di Rienzo coU'arcivescovo di Praga e con Giovanni
di Neumark, canonico di Breslavia e di Olmùtz e poscia cancelliere
dell'Impero: le lettere dirette da Cola a questi due alti personaggi
furono già nella massima parte fatte conoscere dal Papencordt. Ma
le accuse d'eresia portate contro Cola impedivano tanto all'uno quanto
all'altro dei due ecclesiastici d' intercedere per lui ; laonde egli pensò
di dirigere all'arcivescovo una lunghissima memoria, che intitolò:
Verus tribuni libellus cantra scismata et herrores. TI documento fu già
stampato dal Papencordt, e il Rodocanachi non fa che riassumerne
i punti principah. Qui lo stile di Cola si fa più che mai contorto e
involuto, cosicché l'interpretarne il pensiero riesce spesso difficile;
merita quindi d'essere scusato l'egregio A., se non sempre intende a
dovere il linguaggio dell'esaltato scrittore. Veggo infatti che la chiusa
della lunga lettera non è bene interpretata dal Rodocanachi. Dopo
essersi difeso dalle molte accuse d'eresia. Cola torna a citare la pro-
fezia di Cirillo, dove si parla appunto d'un rigeneratore che, dopo
essere stato esaltato alla maggior gloria, sarebbe imprigionato nel-
l'anno del giubileo; ma la profezia è poscia illustrata e commentata
con sì oscuri e prolissi ragionamenti, che indussero il Papencordt a
risparmiare la trascrizione di questa parte del manoscritto. Quindi
Cola prosegue : « Non so come stamane mi venne fatto d' intrattenervi
«su questa profezia: me ne mancava il tempo, non avevo né in-
« chiostro nò penna adattata, e perciò scrissi con carattere grossolano
« e con grossolano stile. Se avessi avuto dinanzi il testo della profezia,
« l'avrei esposta meglio di qualsiasi glossatore ......
Non sembra dunque giusta l'interpretazione del Rodocanachi, che
riassume questo punto così : « En terminant, il s'excuse de n'avoir
« pu mieux écrire par suite du nianqiie de livres et de la mauvaise qua-
« lite de Tenere ». Questa dichiarazione di Cola si riferisce soltanto
all'esposizione della profezia di Cirillo, non potendosi assolutamente
l'espressione : si textum haherem tradurre : se avessi avuto dei libri.
Ma intanto seguitavano le trattative fra la Corte di Praga e quella
di Avignone per rimettere Cola dinanzi ai giudici ecclesiastici. Carlo IV
esitava, e il pontefice, poco abituato a veder l'imperatore resistere alla
sua volontà, reclamava sempre più imperiosamente il prigioniero.
Un'ambasciata fu finalmente spedita da Carlo a Clemente VI per ac-
cordarsi su la partenza di Rienzo, e ne fu capo lo stesso arcivescovo
di Praga. Questo fatto, non segnalato dagli storici e biografi antece-
denti, vicn dato come certo dal Rodocanachi, e a noi manca il tempo
di controllarlo, tanto più che nel relativo luogo del volume non si
trova nessuna citazione.
Il ritorno degl' inviati troncò gì' indugi, e tutto fu disposto perchè
il prigioniero di Raudnitz fosse tradotto alla Curia papale. E qui il
Rodocanachi apporta un'importante rettifica all'opinione finora gene-
ralmente accolta intorno alla data della partenza di Cola da Praga
per Avignone.
Una ben nota lettera del Petrarca a Francesco di Nello, scritta
i88 "Bibliografia
il 12 agosto 1352, contiene le seguenti parole: « Venit ad curiam
« ntiper, imo vero non venit, sed captivus ductus est, Nicolaus Lau-
« rentius » ecc. Cola, dunque, doveva essere probabilmente giunto
ad Avignone nel luglio del 1352, come porterebbe anche a credere
un breve passo della Cronaca di Alberto Argentinese (i).
Tuttavia, dacché il cronista non diceva se intendesse parlare del
luglio 1352 o del luglio 135 1, il Papencordt e altri con lui si pro-
nunziarono pel '51, non lasciandosi troppo convincere da quel nuper
del Petrarca, espressione - scrive il Papencordt - assai vaga e inde-
terminata. Per contrario, egli sosteneva la sua tesi colle seguenti con-
siderazioni: La lettera del Petrarca (12 agosto 1352) è scritta indub-
biamente quando il processo contro Rienzo era già terminato, e quindi,
se Cola arrivò in Avignone ai primi di luglio, bisognerebbe conclu-
dere che il processo non occupasse più di cinque o sei settimane :
il che, secondo il Papencordt, è inverosimile. Se invece ammettiamo
che l'andata da Praga in Avignone avvenisse nel luglio del 135 1,
tutto combina perfettamente, perchè, prima che l'esame finisse colla
sentenza, dovè trascorrere quasi un anno. L'argomentazione del Pa-
pencordt appare già debole per sé stessa, dacché nulla ci obbliga a
ritenere indispensabile una così lunga durata del processo, senza dire
che difficilmente il Petrarca avrebbe potuto chiamare recente un fatto
avvenuto un anno prima. Ma il Rodocanachi tronca addirittura la que-
stione, citando una lettera di Clemente VI, in data del 24 marzo 1352,
nella quale il papa dà incarico a Giovanni di Spoleto, a Raimondo
di Molendinuovo e'd a Ugo di Carluccio di farsi consegnare dall'ar-
civescovo di Praga il prigioniero Cola di Rienzo, onde trasferirlo da
Raudnitz alla Curia d'Avignone. Probabilmente non poterono subito
i tre incaricati eseguire il mandato, a cagione forse delle tergiversa-
zioni dell'imperatore Carlo IV; quindi Cola non arrivò ad Avignone
se non ai primi di luglio. Certo è, ad ogni modo, che ai 24 di
marzo 1352 egli trovavasi ancora a Raudnitz, prigioniero dell'arci-
vescovo Ernesto. Adunque, la rettifica del Rodocanachi va accolta
definitivamente: soltanto egli avrebbe potuto o trascrivere intera la
lettera di Clemente VI, o citare almeno la fonte da cui ne trasse la
notizia.
Ma questa nostra osservazione si collega in certa guisa al giu-
dizio complessivo che si voglia dare del sistema seguito dall'autore
riguardo alle citazioni delle opere a stampa utilizzate. Esse sono ri-
cordate soltanto in principio del volume, in una brevissima e som-
maria bibliografia, e poscia, nel co"rso dell'opera, non più citate, anche
quando se ne traggano testualmente lunghi brani. Ora, un tale sistema,
mentre lascia assai spesso insoddisfatto il lettore (come nel caso su-
enunciato della lettera di Clemente VI), induce anche l'autore in qual-
che non lieve omissione. E valga un esempio: a pag. 233, il Rodo-
canachi riporta, tradotta in francese, una lettera diretta dal tribuno
(i) «... Quem postea de mense julii Carolus rex papae transmisit ».
"Bibliografia 189
alla comunità di Aspra in Sabina il 2 dicembre 1347, e non dice donde
l'abbia tratta. La lettera fu pubblicata nel tomo XI della vecchia ri-
vista Biblioteca italiana, la quale non è punto citata nella bibliografia
sommaria premessa al volume : ecco dunque che il lettore, anche vo-
lendolo, non può sapere la fonte d'un documento utilizzato dall'A.
E giacché siamo su la via del censurare, noteremo qua e là qual-
che citazione inesatta di nomi, come quella dì Bertrando De Deulx, ch'è
invece De Deux, e di Ernesto di Pardubi^, ch'è invece di Parbuhiti;
qualche nota ingenua od inutile, come quella spesa a dirci che Assisi
si trova in Umbria; qualche osservazione che o noi c'inganniamo 0
può sembrare inopportuna in un lavoro d' indole storica, come quella
a p. 285, dove, a proposito della predizione di Cola che gli avveni-
menti da lui annunziati si sarebbero avverati fra un anno e mezzo,
l'A. avverte : « C'est aussi le case de M. Auguste Comte, qui indi-
ce quait dans ses ouvrages l' epoque précise à laquelle devait s'accom-
« plir la rénovation du monde ».
Il capitolo XIV narra la dimora di Cola in Avignone e l'esito del
processo che gli fu intentato. Dalla sua nuova residenza Cola scrisse
una lettera ai Romani, che comincia : « O quam profana dieta sunt
«centra te, civitas Babylonis ! », dov'egli, collo stile più ampolloso,
si paragona a un grand'albero che per la sua stessa altezza è più fa-
cilmente scosso dai venti: « Arbor eminens, multis fecunda ramusculis
« ultra pondus ipsorum, prona est ventorum procella recipere et everti ! »
Questa lettera sembra all'A. doversi ritenere come apocrifa, per quanto
egli (p. 325) non dia ragione alcuna di questa supposizione. La lettera
si trova in un importante Codice miscellaneo, contenente in gran
parte documenti di storia medievale romana, e che conservasi nella
biblioteca Feliniana di Lucca (Capitolo della Metropolitana), Plu-
teo Vili, 545. Il manoscritto è tutto di carattere della fine del quat-
trocento. Il Rodocanachi non conosce, dacché non la cita, la sede
del documento, e aff'erma soltanto eh' esso è da ritenersi come apo-
crifo. Ma noi non possiamo acconciarci così facilmente all'opinione
dell'egregio autore.
Ad Avignone, il processo di Cola fini, com' era a prevedersi, con
una condanna capitale; ma il noto movimento di simpatia sorto
nella città intorno a Rienzo per essersi diffusa la voce ch'egli fosse
un grande poeta (vedi la lettera del Petrarca a Francesco di Nello), fece
differire l'esecuzione fino a tanto che, morto Clemente VI, successe
a lui Innocenzo VI, al quale parve che di Rienzo avrebbe potuto
ancora efficacemente valersi la Santa Sede per i suoi interessi in
Italia. Di qui la missione del cardinale Albornoz, la partecipa-
zione di Cola a quella missione, la sua nuova e fugace potenza in
Roma e la sua tragica fine: dei quali avvenimenti trattano con suf-
ficiente larghezza gli ultimi capitoli (XXVI-XXIX) del libro del Ro-
docanachi.
Giunti così alle fine del volume, non muta l'opinione che esprime-
vamo in principio, quando, pur facendo buon viso al lavoro del Rodoca-
190 bibliografia
nachi, poco o nulla dicevamo di trovarvi, che s'aggiungesse alla storia
di Cola o la modificasse in qualche guisa. Ci correva però l'obbligo
di giustificare, come che fosse, il nostro giudìzio, e a tale scopo fu-
ron dirette le poche cose che siam venuti dicendo, mentre molte
altre dovemmo ometterne per brevità. Comunque, a far perdonare
all'A. la leggerezza di qualche affermazione, la condotta talvolta su-
perficiale delle ricerche, la non raggiunta perfezione del metodo po-
trebbero ragionevolmente invocarsi i suoi pregi di scrittore efficace
e di brillante narratore.
Annibale Gabrielli.
Zdekauer L. Statutum potestatis comunis Pistoriensis anni
MCCLXXXXFL Milano, Hoepli, 1888, p. Lxv-343.
Merita sincero plauso l'autore di questa pubblicazione, condotta
con buoni criteri e soda erudizione. Lo Zdekauer ha creduto oppor-
tuno di limitare l'oggetto della prefazione all'esame del codice, e a
raccogliere così dai statuti stessi che pubblica, come da altri docu-
menti pistoiesi tutte le tracce della legislazione statutaria in Pistoia
dal secolo xii a xiii, mostrandoci così come essa si sia venuta for-
mando. Si astiene di proposito da una illustrazione intrinseca dello
statuto, segnalandone le difficoltà. « Ingens comparationum series, ut
« fiat, necesse est ad interpretanda quae propria et peculiaria unius
« urbis esse videntur ». Lo Zdekauer ad ogni modo mostra di avere un
esatto concetto di che cosa voglia essere l'illustrazione di uno statuto,
mentre ha corredato il suo lavoro di copiosi ed accurati indici ana-
litici, quanto indispensabili altrettanto troppo spesso trascurati in
altre recenti edizioni. Merita anche di esser ripetuto il voto che
l'A. fa nel dar ragione di aver ommesso il glossario. L' Italia non
può ne dovrebbe ormai contentarsi di fare addizioni o continuazioni
al glossario del Ducange, formato specialmente su fonti francesi.
Occorre un'opera completamente originale sulla latinità medievale
italiana, « linquenda semita, - com'egli dice - ut viam consularem
assequamur ».
I limiti di questa recensione non ci permettono che di riassu-
mere assai succintamente la bella prefazione, che movendo dai fram-
menti pistoiesi del secolo xiii editi dal Muratori, dallo Zaccaria e
dal Berlan, mostra che ben 24 di essi hanno lasciato traccia di sé nello
statuto Angioino, mentre una rubrica anteriore, anche anteriore a detti
frammenti (11 5 2), ci è conservata da Dino di Mugello. Indi abbiamo
leggi del II 91, 1206, 1213, 121 7, 1219 relative alla pace di Pistoia
con Bologna conchiusa dal card. Ugolino d'Ostia e così via fino ad
uno statuto de casis non alienandis del 1260. Il trionfo di parte guelfa
sotto Carlo d'Angiò modificò grandemente l'anteriore legislazione,
massime quanto al diritto pubblico, e lo Zdekauer crede che una re-
dazione angioina che riferisce all'anno 1267 abbia servito di base a
bibliografia 191
quella pervenutaci del 1296. Il prof. Schupfer (Rendiconti dei Lincei,
18 marzo 1888) non trova che gli indizi raccolti dall'A. per stabilire la
data del 1267 siano sufficienti, ed inclina invece per il 1272, trovandosi
un frammento di carta pistoiese del 1321, che comincia così: « Hoc
« statutum noviter factum correctum et emendatum per constitutarios
« comunis Pistorii tempore dei et regis gratia honorabilis potestatis
« Pistorii a. d. 1272». Ma forse nemmeno questo documento è de-
cisivo, mentre gli statutari dovevano intervenire anche per riforme di
singole leggi. Ne abbiamo la prova nelle deliberazioni cheprecederono
e promossero lo statuto appunto del 1296, e per le quali fu data balìa
al comune di Firenze di riformare la città e popolo di Pistoia. Questi
statuti ed ordinamenti sono gli uni « facta et condita per Gherardum
(c Guidi, preconem comunis Pistorii » ; un altro successivo « per Cion-
« dorum Lanfranchi preconem et statutarium comunis Pistorii », dove
cotesti banditori convertiti in legislatori hanno l'aria di comparse,
tanto per rispettare la lettera della legge.
All'autorevole recensione dello Schupfer rimando chi desideri più
ampia notizia dell'opera, e ivi troverà importanti notizie sugli ordi-
namenta sacrata et sacratìssima che Pistoia ebbe da Bologna, e che sono
ciò che Firenze chiamò gli ordinamenti di giustizia. Tali ordinamenti
già vigevano in Pistoia quando eravi a podestà Giano Della Bella, di
cui lo Zdekauer pubblica un importante documento (1294, marzo 16).
Come esso opportunamente rileva l'importante rubrica (III, xxiii)
sulle fazioni dei Bianchi e Neri, così forse ricordando il nome di
Giano Della Bella veniva in acconcio un cenno sulle molte rubriche
relative al clero, verso i quali lo statuto mostrasi abbastanza severo
per far dubitare che alcun poco in esse siavi traccia della mano del
Della Bella, persecutore dei falsi chierici. Opera adunque del comune
di Firenze lo statuto del 1296 è naturale che molto s'accosti a quello
fiorentino, come appare dal confronto di molte rubriche.
G. L.
NOTIZIE
Il signor A. De Waal, rettore del campo santo teutonico di Roma,
ha preso a pubblicare una rassegna trimestrale, ad illustrazione delle
antichità cristiane, dal titolo: Romische Quartalschrift fùr christUche Alter-
ihumskunde und KirchengeschichU.
È uscito in Milano il i° fascicolo della Rivista italiana di numi-
smatica, diretta dal dottor Solone Ambrosoli, nata a sostituire il Bul-
lettino di numismatica e sfragistica per la storia d' Italia, che ha cessato
le sue pubblicazioni.
A Bordeaux è venuto in luce un i° volume in-4, di pp. 616,
d' Inscriptions romaines de Bordeaux, raccolte da Camille Jullian.
Nell'adunanza del 18 marzo la R. Deputazione di storia patria
per la Toscana, l'Umbria e le Marche approvava la pubblicazione
di un Codice diplomatico pistoiese proposta dal dottor L. Zdekauer.
Sono in corso di stampa, a cura della Deputazione, il Libro di Mon-
taperti di C. Paoli, e i Documenti dell'antica costituzione fiorentina fino
al T2^o pel prof. Pietro Santini.
Il fascicolo 8 del tomo II dei Registres d' Innocent IV contiene
un importante studio del signor E. Berger sulle relazioni tra la
Francia e la Santa Sede sotto il pontificato di quel papa.
Il tomo VIII dei Monumenta Germaniae historica, Scriptores anti-
quissimi, contiene gli scritti di Sidonio Apollinare, pubblicati da
Ch. Luetjohan; il tomo I, p. I, delle Epistolae del registro di Gre-
gorio I dà i libri 1-4, editi dal compianto nostro socio P. Ewald.
Archivio della R, Società romana di storia patria. Voi. XI. 13
194 ^N^tiiie
Il 13° fascicolo della nuova edizione dei Regesta pontijìcum roma-
norum del Jaffé comprende gli anni 1184-1193 (n. 1 5297-1 1038).
In occasione del giubileo sacerdotale del pontefice, il personale
superiore addetto all'Archivio pontificio ha fatto omaggio al papa
d' un fascicolo di Specimina palaeografica regestorum pontificium ab In-
nocentio III ad Urhanum V. — Sottoscrivono alla dedica il cardinale
Hergenròther, l'abate Tosti, monsignore Delicati, il p. Denifle, il
Carini, ilWenzel, il Palmieri e Fr. Hergenròther. Sono sessanta tavole
di bellissime eliotipie eseguite dal Martelli ; precede un breve proe-
mio e una succinta illustrazione di ciascuna tavola. Il nostro Ar-
chivio terrà particolare ragione di questa pubblicazione importante.
PERIODICI
(Articoli e documenti relativi alla storia di Roma)
Anzeigen (Gòttingische Gelehrte). 1887, n. 18. — Soltau,
Prolegomena zu einer ròmischen Chronologie (Prolegomeni ad un
sistema dì cronologia romana).
Archiv fiir òsterreichische Geschichte. Voi. LXXI. — W. Hau-
THALER, Aus dcm Vaticanischen Regesten, vornehmlich zur Ge-
schichte der Erzbischòfe von Salzburg bis zum Jabre 1280 (Dai
registri Vaticani. Scelta di documenti e regesti, precipuamente per la
storia dell'arcivescovato di Salzburg, sino all'anno 1280), pp. 211-296.
— Voi. LXXII. B. ScHROLL, Urkunden-Regesten zur Geschichte
des Hospitals am Pyrn in Oberòsterreich. (Registri di documenti
perla storia dell'ospedale a Pyrn nell'Austria superiore, 1190-1417).
-Brevi di Celestino ITI (nn. 7-8), d'Innocenzo IV (28).
Archivio storico dell'arte. Fase. I. — A. Venturi, Il Cupido
di Michelangelo. (L'articolo è principalmente rivolto' a combattere
le conclusioni del Lange che il Cupido michelangelesco possa esser
ravvisato in quello del museo di Torino o nella collezione Obizi
del Cataio). - E. Muntz, L'oreficeria a Roma durante il regno di
Clemente VII (1523-34). (L'ili. A. si propone di far conoscere il
gusto di Clemente VII e l'estensione dei sacrifizi che s'imponeva
per l'arte dell'oreficeria; di fornire nuovi particolari biografici sopra
orefici toscani, lombardi, romani, già cogniti dalle memorie di Ben-
venuto Cellini; e di completare la storia degli orefici di Roma). -
D. Gnoi,i, Le opere di Donatello in Roma. (L'A. conclude che opere
certe del D. non rimangono in Roma che due: il ciborio di S. Pietro
e la sepoltura del Crivelli all'Aracoeli). — Fase. II. A. Rossi, La casa
e lo stemma di Raffaello. - D. Gnoli, Nota all'articolo precedente
(a conferma deiropinione emessa dal Gnoli nella Nuova Antologia^
1^6 Periodici
1887, fase. XI). - Corrado Ricci, Lorenzo da Viterbo, pittore, -
E. Muntz, L'oreficeria sotto Clemente VIL (Continuazione).
Archivio storico italiano. Tom. XX, fase. 3°, anno 1887. —
G. Sforza, Episodi della storia di Roma nel secolo xviii. Brani
inediti dei dispacci degli agenti lucchesi presso la corte papale. -
G. Stocchi, La prima conquista della Britannia per opera dei Ro-
mani. - Rassegna. - Bibliografia. - Notizie varie.
Archivio storico lombardo. Anno XV, fase. 1°. — C. C, Diari
di Marin Sanudo. - F. Calvi, Il poeta Giambattista Martelli e le
battaglie fra classici e romantici. - Varietà. - Bibliografia.
Archivio storico per le provincie napoletane. Anno XII,
fase. 4°. — N. Barone, Notizie storiche tratte dai registri di can-
celleria di Ladislao di Durazzo. - M. Schifa, Storia del principato
longobardo in Salerno. - V. Simoncelli, Della prestazione detta
calciarium nei contratti agrari del medio evo. - B. Capasso, I regi-
stri angioini dell'archivio di Napoli, che erroneamente si credettero
finora perduti. - Rassegna bibliografica.
Archivio veneto. Tomo XXXIV, parte 2*. — A. Della Ro-
vere, Dell' importanza di conoscere le firme autografe dei pittori. -
G. GiURiATO, Memorie venete nei monumenti di Roma. - Aned-
doti, ecc.
Atti della Società ligure di storia patria. Voi. XVIII. Ge-
nova, 1887. — Il secondo registro della Curia arcivescovile di Ge-
nova trascritto da L. Berretta e pubblicato da L. T. Belgrano.
(Contiene qualche lettera pontificia e sentenze di giudici delegati
dalla corte romana). — Voi. IX, fase. I. Cornelio Desimoni, Re-
gesti delle lettere pontificie dai più antichi tempi fino all'avvenimento
d'Innocenzo III, raccolti ed illustrati con documenti (26 lettere ine-
dite da Gregorio VII a Innocenzo III).
Bibliothèque de l'école des chartes. XLVIII, fase. VI, p. 725.
— Alexandre III et la commune de Laonnois. (Ripubblica la let-
tera pontificia in data de' 4 agosto 1179 indicata col numero 13460
nella nuova edizione dei « Regesta pontificum romanorum », secondo
l'originale che già appartenne alla raccolta del signor Bayle e fu ven-
duto recentemente a Parigi, notando come il testo datone dal Brial
nel Recueil des historiens de la France, XV, 967, sia molto scorretto.
Periodici 197
Bulletin d' histoire ecclésiastìque et d'archeologie religieuse
des diocèses de Valence. A. VII, fase. 4-5. — Dottor Francus, Note
sulle commendatone degli Antoniniani a Aubenas (pp. 143-52, 169-75).
Ballettino della Commissione archeologica comunale di
Roma. XVI, fase. 3. — R. Lanciani, Il campus salinarum roma-
norum. - L. Borsari, Del pons Agrippae sul Tevere fra le regioni XI
e XIIIJ. - L. Cantarelli, Osservazioni onomatologiche. - G. Gatti,
Trovamenti risguardanti la topografia e la epigrafia urbana. - C. L. Vi-
sconti, Trovamenti di oggetti d'arte e d'antichità figurata. - R. Lan-
ciani, Notizie del movimento edilizio della città in relazione con
l'archeologia e con l'arte.
BuUettino di numismatica e sfragistica per la storia d' I-
talia. Voi. Ili, n. 4. — M. Santoni, Un giulio inedito ed unico del
pontefice Leone XI. - M. Santoni, F. Raffaelli, La zecca di Ma-
cerata e della provincia della Marca.
Centralblatt fùr Bibliothekwesen. IV, 1887. — Drei italie-
nische Handschriftenkataloge, pp. xiii-xv (Catalogo dei mss. della
chiesa di S. Andrea della Valle; cf. F. Novati, Giorn. stor. di htter.
ital, X, 413-414)-
Giornale ligustico di archeologia, storia e letteratura. A. XV,
fase. 1° e 2°. — L. De Feis, Una epigrafe rituale sacra a Giove Behe-
leparo.
Giornale storico della letteratura italiana. Voi. X, fase. 3®.
— L. BiADENE, I manoscritti itahani della collezione Hamilton nel
R. museo e nella R. biblioteca di Berlino. - Varietà.
Jahrbuch des kaiserlich deutschen archaologischen Insti-
tuts. 1887, voi. II, pp. 77. — M. Mayer, Amazonengruppe (Bat-
tagha delle Amazzoni, gruppo nel museo della villa Borghese). -
E LòWY, Zwei ReHefs der Villa Albani (Due rilievi della villa Albani,
Asclepios, Hygieia e un adorante).
Jahrbuch (Historisches) im Auftrage der Gòrres-Gesell-
schaft. IX, I e 2. — St. Ehses, Die papstliche Dckretale in dem
Scheidungsprozesse Heinrichs VIII (La decretale pontificia nel pro-
cesso di divorzio d'Enrico VIII), pp. 28-48. - K. v. Hòfler, Ein
Gedenkblatt auf das Grab A. von Reumont (Commemorazione di Al-
198 T^er iodici
fredo di Reumont), pp. 49-75. - Recensioni delle opere : del Geigel F.,
« Das italienische Staatskirchenrecht » (Il diritto politico-ecclesia-
stico italiano), Muny, Kirschheim. 2" ediz.; dello Scaduto Fr., i. Gua-
rentigie pontificie e relazioni tra Stato e Chiesa; 2. Stato e Chiesa
secondo fra Paolo Sarpi; 3. Stato e Chiesa sotto Leopoldo I gran-
duca di Toscana; 4. Slato e Chiesa nelle Due Sicilie, dai Normanni
ai giorni nostri.
Mittheilungen des Instituts ftìr osterreichische Geschichts-
forschung. Voi. IX, fase. I. — H. Bresslau, Papyrus und Pergament
in der pàpstlichen Kanzlei bis zur mitte des 11 Jahrunderts (Pa-
piro e pergamena nella Cancelleria pontificia sino alla metà del se-
colo xi), pp. 1-33. L'articolo è' un complemento ai lavori dell' Ewald,
(N. A., VI, 392; XI, 327 e sgg.) e del Delisie (Bull histor. du Co-
mite des travaux historiques, n. 2). In appendice pubblica una bolla di
Giovanni XVIII dall'Archivio de la Corona de Aragon a Barcelona, in-
tegrato con una carta di S. Cucuphati. - F. Wickhoff, Die « Mo-
nasteria bei Agnellus » (I « Monasteria » in Agnellus), pp. 34-45. -
A. RiEGL, Die Holzkalender des Mittelalters und der Renaissance
(I calendari di legno del medio evo e del rinascimento). - Piccoli co-
municati. - E. MùHLBACHER, Due diplomi Carolingi inediti. (L'uno
di Carlo III alla chiesa di Chàlons-sur-Marne, n. 886, 22 nov.
L'altro di Zuenteboldo re alla chiesa di Cambrai, 898, oct. 3. Hòr-
chingen). - L. v. Heinemann, Heinrichs VI, angeblicher Pian einer
Sàcularisation des Kirchenstaates (Supposto piano di secolarizzazione
dello Stato ecclesiastico di Enrico VIII; interpretazione d'un passo
dello « Speculum ecclesiae» di Giraldo Cambrense, dist. IV, e. 19),
Moyen àge (Le). BuUetin mensuel d' histoire et de philologie,
fase. 3°. — G. Platon, Recensione dell'opera dello Schupfer « L'Al-
lodio, studi sulla proprietà dei secoli barbarici ». — Fase. 4°. A. Ma-
RiGNAN, Recensione dell'opera del Ficker « Die Darstellung der Apo-
stel in der altchristlichen Kunst » (Le rappresentazioni degli Apostoli
nell'antica arte cristiana).
Palestra Atemina. Voi. VI, 1888, fase. I. — Moscati, Il medio
evo e i papi.
Quartalschrift (Theologische). — Weimann, Ueber die Pilger-
fahrt der Silvia in das heilige Land. (Sulla pubblicazione del Ga-
murrini «S. Hilarii tractatus de mysteriis et hymni et S. Silviae Aqui-
tanae peregrinatio ad loca sancta »).
l^er iodici 199
Review (The english historical). — Balzani U., Recensione
della pubblicazione: « Gesta di Federico I in Italia », edite da
E. Monaci.
Revue des questions historiques. XXIII, fase. 85. — Delarc,
Le pontificat d'Alexandre II. - Vacandard, Saint Bernard et le
schisme d'Anaclet II en France.
Revue historique. — Nel Bulletin historique si discorre del « Ma-
nuel des institutions romaines » del Bouché-Leclerq ; della traduzione
dell' Humbert, del « Manuale » del Mommsen e Marquardt; del
« Précis des institutions politiques de Rome » del Morlot; delle note
di Leon Renier suU' « Épigraphie romaine » ; della « Description
historique et chronologique des monnaies de la république romaine
vulgairement appelées consulaires » del Babelon; delle « Mélanges
d' histoire du droit et de critique, droit romain » di A. Esmein. —
Fase. 2, pp. 398 e sgg. Recensioni lusinghiere delle opere del ge-
suita P. Pierling: « La Sorbonne et la Russie », Paris, Leroux, 1882.
- Ant. Possevini, Missio moscovitica, id. ibid., 1882. - Rome et Mo-
scou, id, ibid., 1883. " Préliminaires de la trève de 1582, id. ibid, 1884.
- Le Saint-Siège, la Pologne et Moscou, id. ibid., 1885. - Un arbi-
trage pontificai au xvi^ siede (par Méthode Lerpigny), Bruxelles
et Paris. - Bathory et Possevino, Documents inédits publiés et an-
notés, Paris, Leroux, 1887.
Revue (Nouvelle) historique de droit fran9ais et étranger.
XII, fase. I. — Fournier, La question des fausses décrétales. (A so-
stegno dell'opinione emessa dal Simson, accettata dal Duchesne e
dall' Havet, persevera a provare che l'opera dei falsificatori di Mans,
nell'interesse del vescovo Aidrico, e le compilazioni isidoriane por-
tano l'impronta dell'officina medesima; e che gli operai dell'officina
appartenevano al gruppo dei chierici che contornavano Aldrieo). -
- Recensione dell'opera dell' Humbert « Essai sur les finances et la
eomptabilitc publique chez les Romains ». — Fase. II. A. Esmein,
Le serment promissoire dans le droit canonique.
Rivista storica italiana. Anno IV, fase. 4°. — G. Paolucci,
L'idea di Arnaldo da Brescia nella riforma di Roma.
Studies (Johns Hopkins University). Serie V, XII. — A. White,
European schools of history and polities (Scuole europee di politica
e di storia). Pag. 18 parla dell'università di Roma.
200 T^eriodìci
Studi e documenti di storia e diritto. Anno Vili, fase. 3°
e 4°. — I. Alibrandi, Osservazioni giuridiche sopra* un ricorso de'
monaci di Grottaferrata al pontefice Innocenzo II. - G. Tomassetti,
Note storico-topografiche ai documenti editi dall'Istituto Austriaco
(Campagna romana). - C. Calisse, id. (Patrimonio di S. Pietro in
Tuscia). - De Nolhac, Les correspondants d'Aide Manuce. Maté-
riaux nouveaux d' histoire littéraire. - Cenni bibliografici. C. No-
cella, Le iscrizioni graffite nell'escubitorio della settima coorte dei
Vigili. - L. DucHESNE, Notes sur la topographie de Rome au moyen-
àge. - P. Allard, Les dernières persécutions du iii« siècle d'après
les documents archéologiques. - Karl Zangemeister, Theodor
MoMMSEN als Schriftsteller. Verzeichniss seiner bis jetzt erschienenen
Bùcher und Abhandlungen (Indice de' libri e delle dissertazioni
finora pubblicate dal Mommsen). - Documenti. G. Gatti, Statuti
dei mercanti di Roma. (Compimento della Prefazione e dell' intero
volume).
Taschenbuch (Historisches). 1888. — Noeldechen, TertuUian
und die ròmische Kaiser (Tertulliano e gl'imperatori romani). -
Maurenbrecher, Le deliberazioni del concilio di Trento.
Zeitschrift fiir katholìsche Theologie. 1887, fase. IV. — Grisar,
Paralipomena zur Honorischen Frage (Paralipomeni sulla questione
dell'eresia di papa Onorio). - Kolberg, Verfassung, Cultus und Di-
sciplin der christlichen Kirche nach den Schriften Tertullians (Am-
ministrazione, culto e disciplina della Chiesa cristiana secondo gli
scritti di Tertulliano). - Ehrle, Controversie sull'origine dell'ordine
francescano.
Zeitschrift fur romanische Philologie. X. — Pakscher, Aus
einem Katalog des F. Ursinus (Da un catalogo di Fulvio Orsino).
Zeitschrift (Historische). XXIII, fase. I. — Simson, Die Ent-
stehung der pseudo-isidorischen Fàlschungen in Le Mans (L'origine
delle falsificazioni pseudo-isidoriane in Le Mans). - Altmann, Die
Wahl Albrechts II zum ròmischen Kaiser (La elezione di Alberto II
a imperatore romano).
PUBBLICAZIONI
RELATIVE ALLA STORIA DI ROMA
1. Adams H. C. The history of the Jews from the War with Rome
to the present time. Loiiàon, Religious Tract. Society, 1887.
2. Ademollo A, Gorilla olimpica.
Firen'^e, tip. C. Ademollo e C, 1887.
3. Ademollo A. I teatri a Roma nel secolo decimosettimo. Me-
morie sincrone, inedite o non conosciute di fatti ed artisti tea-
trali, librettisti, commediografi e musicisti, cronologicamente or-
dinate per servire alla storia del Teatro italiano.
Roma, L. Pasqualucci editore, 1888.
4. Album Carando J. Sépultures galloises, gallo-romaines et
mérovingiennes de la ville d'Ancy, Ceyenil, Maast et Violaine. «
Saint- Quintin, Poette, 1887.
5. Aloysius. Souvenir d'un voyage à Rome et en Italie.
Annecy, Ahry, 1887.
6. Amalfitano F. Delle relazioni politico-religiose fra gli abbati
antichi e moderni del monastero dei Ss. Vincenzo ed Anastasio
alle Acque Salvie di Roma e la comunità di Orbetello; e del-
l'emolumento al predicatore della quaresima nella pro-cattedrale
dell'abbazia. Memoria. Grosseto^ tip. F. Pero:(^o, 1887.
7. Angeletti F. I gladiatori. Roma e Giudea.
Roma, Perino, 1887.
8. Armellini M. Le chiese di Roma dalle loro origini sino al
secolo XVI. Roma, tip. edit. Romana, 1887.
9. Balan P. Clemente VII e l'Italia dei suoi tempi. Studio sto-
rico (estratto dalla Scuola cattolica, anni 1884- 188 5- 1886 e 1887.
Milano, tip. di Serafino Ghe:^:^, 1887.
202 T^ubblicaiioni relative alla storia di T{oma
10. Baumgarten H. Ròmische Triumphe (Trionfi romani). (Co-
stituisce la 2* dispensa delle Flugschriften des Evangelischen Bandes).
Halle, Sirien, 1887.
11. Bergsoé G. L'amphithéàtre des Flaviens.
Poitiers, Oudin, 1887.
12. Bersezio V. Roma, la capitale d' Italia. Disp. XX, pp. 457-480.
Milano, fratelli Treves, 1888.
13. Bertolini. I Celeres ed il Tribiinus celerum.
Roma, Loescher, 1887.
14. Bertolotti a. Divertimenti pubblici nelle feste religiose del
secolo XVIII dentro e fuori le porte di Roma; ricerche nell'ar-
chivio di Stato romano. (Estr. dal giornale II Buonarroti, serie III,
voi. 2°, quad. x-xi, 1887).
15. Bertrand A, C. Conduite du pape vis-à-vis de la France et
de TAUemagne. Discours. Tours, impr. Bertrand, 1887.
16. Beyschlag W. Der Friedensschluss zwischen Deutschland und
Rom (La conclusione della pace tra la Germania e Roma).
Hallen, Strien, 1887.
17. BiRTH T. De Romae urbis nomine sive de robore romano.
Marburg, Elwert's Verlag, 1887.
18. Blancard L. Théorie de la monnaie romane au iii^ siècle
après Jesus Christ. Marseille, impr. Barlatier-Feissat, 1887.
19. BlummerH. Technologie und Terminologie der Gewerbe und
Kunste bei Griechen und Ròmern (Tecnologia dell'arte e dei
mestieri presso i Greci e i Romani). Voi. 4°, sez. 2^
Leipzig, Teubner, 1887.
20. Bocker F. Damme als der mutmassliche Schauplatz der Va-
russchlacht, sowie der Kàmpfe bei den « Pontes longi in Jahre 15
und der Ròmer mit den Germanen am Agrivarierwalle in Jahr 16 »
(Damme ; probabile luogo della sconfitta di Varo, ecc.)
Koln, Bachen in Comm., 1887.
21. BoNANNi T. Le legislazioni dell'antico diritto romano (ammi-
nistrativa-finanziaria-giudiziaria) poste in relazione con le legisla-
zioni napoletana ed italiana; relazione archivistica dell'anno 1886-
1887. Aquila, stab. tip. Grossi.
22. BoRGEAUD C. Histoire du plébiscite. Le plébiscìte dans l'an-
tiquité. Grece et Rome. Genève, Georg, 1887.
Pubblicazioni relative alla storia di ^J^oma 203
23. Bosio G. Roma intangibile.
Roma, tip. dell' istituto Gould, 1887.
24. Brucht H. Geschìchte der catholische Kirche in i9Jahrhundert
(Storia della Chiesa cattolica nel secolo xix). I. Gesch. d. cath
Kirche i. Deutscht. Magon:(a, Kircheinn
25. Bruns C. G. Fontes juris romani antiqui, edidit C. G. Bruns
Editio quinta, una Theodori Mommseni.
Frihurgi in Brisgavia, 1887
26. BuDiNGER M. Zeit und Schicksal bei Ròmern und Westariern
(Tempo e fato presso i Romani e gli Arii occidentali) ; studio di
storia universale. Wien, Gerold's Sohn in Comm.j 1887
27. BuET C. Notre sainte-père le pape Leon XIIL
Tours, liirairie Marne et fils, 1887
28. BuNGENER F. Pape et Concile au xix^ siècle. Nouvelle édition
Paris, Lévy, 1888
29. Campi L. Tombe romane presso Cles.
Trento, tip. edit. di Giuseppe Marietti, 1887
30. Carle G. Le origini della proprietà quiritaria presso le gent
del Lazio. Nota. (Estr. dagli Atti della R. Accademia delle scien:(e
di Torino). Torino, stamp. Reale, 1887
31. Carr a. The Church and the roman Empire (La Chiesa e
l'Impero romano). London, 1877
32. Chin'iq.uy C. Fifty years in the Church of Rome (Cinquan
t'anni nella Chiesa di Roma). New edition corrected and revised,
wich introductory note by G. R. Badenoch.
London, Protestant literature depository, 1887.
33. Chotard H. Le pape Pie VII à Savone, d'après les minutes
des lettres inédites du general Berthier au prince Borghése et
d'après les mómoires inédites de Al. de Lebzeltern conseiller d'am-
bassade autrichien.
Paris, impr. et libr. Plon, Kotirrit et C, 1887.
34. Chroust a. Beitràge zur Geschichte Ludwigs des Bayerns
und sciner Zeit (Contributo alla storia di Ludovico il Bavaro e
del suo tempo). Parte i^ (Comprende il viaggio di Ludovico a
Roma, 1327-29).
35. Ciampi I. Opuscoli vari storici e critici (pubblicati dal Casta-
gnola). Imola, Galeati, 1887.
204 T^ubblicaiioni relative alla storia di ^l\oma
36. Claretta G. I Genovesi alla Corte di Roma negl' anni lut-
tuosi delle loro controversie con Luigi XIV (1678-1685). Nota
storica ed anedottica. (Estr. dal Giornale ligustico, fase, di gen-
naio e febbraio 1887). Genova, tip. Sordo-muti.
37. Clementis V Papae Regestum ex Vaticanis archetypis SS.
•D. N. Leonis XIII pontificis maximi iussu et munificentia nunc
primum editum cura et studio monachorum ordinis S. Benedicti.
Annus sextus. (Regestorum voi, LVIII).
Roma, ex typ. Vaticana, 1887.
38. CoGLiOLO P. Manuale delle fonti del diritto romano secondo
i risultati della più recente critica filologica e giuridica. Parte 2^.
Torino, Unione tipografico-editrice, 1887.
39. Cooper A. N. A walk to Rome; being a journey on foot
of74i miles, from Yorskskire to Rome (Passeggiata sino a Roma
dall' Yorkshire, 741 miglia). London, Simphird, 1887.
40. CosNEAU. De romanis viis in Numidia.
Paris, Hachette et C, 1887.
41. Cristofori. Le tombe dei papi in Viterbo.
Siena, tip. S. Bernardino, 1887.
42. Decker (De) P. La Chiesa e l'ordine sociale cristiano. Prima
traduzione italiana autorizzata dall'autore.
Firenx_e, Ciardi, 1888.
43. Deriege F. I misteri di Roma. Roma, Artero, 1887.
44. DuBOis C. V. Droit romain: du droit latin; droit frangais:
de la nationalité d'origine. Paris, impr. et libr. Lefort, 1887.
45. DucHESNE L. Le Liber pontificalis; texte, introduction et com-
mentaire. T. 1°. Paris, Thorin.
46. DucouRTiEUX P. Découvertes faites sur l'emplacement de la
ville gallo-romaine à Limoges en 1886.
Limoges, impr. V. Ducourtieux, 1887.
47. DuRUY V. Petite histoire romaine. Nouvelle édition.
Paris, impr. Lahure, 1887.
48. EiDAM H. Ausgrabungen ròmischen Ueberreste in und um
Gunzenhausen (Scavi romani in Gunzenhausen e nei dintorni).
(Dalla Festschrift :Qir Begrussung, des XV III Kongresses des deutschen
Antbropologischen Gesellschaft in Nurherg). Nurberg, Ebner, 1887.
Tiibblicaiionì relative alla storia di ^I{oma 205
49. Ferrerò E. Di alcune iscrizioni romane nella valle di Susa.
(Negli Atti della R. Accademia delle scien-^e di Torino, voi. XXIII,
disp. 2^-3^).
50. Fetger C. a. Voruntersuchung zu einer Géschichte des Pon-
tifikats Alexanders II (Indagini preparatorie ad una storia del
pontificato d'Alessandro II). Strassi)., Diss., 1887. (Heir.).
51. Filippi G. Il comune di Firenze ed il ritorno della Santa Sede
in Roma nell'anno 1367. (Estr. dalla Miscellanea di storia italiana,
S. II, XI [xxvi], 387).
Torino, stamp. Reale della ditta G. B. Paravia e C.
52. Fleury. Pélerinage à Rome en 1869, ou notes sur l'Italie.
5™® édition. Tours, Marne et fils, 1887.
53. Flora ou une martyre à Rome. Traduit de l' anglais, avec
autorisation exclusive de l'auteur. T. I.
Mayenne, impr. Ne^an, 1887.
54. Fontana I. Les églises de Rome les plus illustres et plus vé-
nérées et recueil des mosaiques de la primitive epoque. Voi. I,
disp. i. Torino, 1887.
55. Friedrich). Géschichte der Vatic. Konzils (Storia del concilio
Vaticano). III voi. ult. XVI-XVII, p. 1258. Bonn, Neuger.
56. Gattinelli G. Vittoria Colonna e Michelangelo. (Nel Teatro
Drammatico, voi. II, « Opere postume »). Roma, Squarci, 1887.
57. Gebhardt B. Adrian von Corneto. Ein Beitrag zur Géschichte
der Curie und der Renaissance.
Breslau, Preuss e funger, 1887.
58. Giacchi V. Amori e costumi latini. Studi. Seconda impres-
sione. Città di Castello, stah. tip. S. Lapi, 1887.
59. Gomme L. Romano-british remains (Reliquie romano-britan-
niche), voi 2.
60. GouRRAiGNE L. G. Histoire romaine, rcsumòs et récits.
Bordeaux, impr. V. Riffaud, 1887.
61. Grethen R. Die polìtischen Beziehungen Clemens VII zu
Karl V in den Jahren 1523-1527 (Le relazioni politiche tra Cle-
menle VII e Carlo V). Hannover, Brandes, 1887.
2. Hare A. J. C. Walks in Rome (Passeggiate per Roma). 1 2* ediz.
London, Smith and Elder, 1887.
2o6 "Piibblicaiioni relative alla storia di ^^oma
63. Harnach a. Lehrbuch der Dogmengeschichte (Dottrina della
storia dei dogmi). Voi. 2". Freiburg in Breisg, Mohes.
64. Hartmann L. M. De exilio apud Romanos inde ab initio bel-
lorum civilium usque ad Severi Alexandri principatum.
Berlin, Gartner, 1887.
65. Hauthaler P. Aus den Vaticanischen Regesten (Dai regesti
Vaticani). ^, JVien, Gerold.
66. Hergenròther F. (Card). Konziliengeschichte nach d. Quel-
len bearbeitet (Storia dei concili composta secondo le sue fonti),
V. Hefele, fortges. v. Vili. Bd. Freib. i-B., Herder.
67. Hertzberg G. F. Storia della Grecia e di Roma. Disp. Vili.
Milano, L. Vallar ài, editore, 1888.
68. Herzog F. Geschichte und System der ròmischen Staatsver-
fassung (Storia e sistema della costituzione romana). 2 voi. Die
Kaiserzeit von der Diktatur Càsars bis zum Regierungsantrict
Dioclesians. Parte i^. Geschichtliche Uebersicht.
Leipzig, Teubner, 1887.
69. HocK C. F. Histoire du pape Sylvestre II et de son siècle.
Traduite de l'allemand et enrichie de notes et de documents iné-
dits par J. M. Axinger. Paris, Debécourt, s. a.
70. Huebner (De) A, Sisto V dietro la scorta delle corrispondenze
diplomatiche inedite tratte dagli archivi di Stato del Vaticano,
di Simancas, di Venezia, di Parigi, di Vienna e di Firenze. Ver-
sione dal francese del p. m. Filippo Gattari consentita dall'autore.
Voi. I. Roma, Salviucci, 1887.
71. Ideville (D') H. Le comte Pellegrino Rossi, sa vie, son oeuvre,
sa mort (1787- 1848). Paris, impr. Chaix, 1887.
72. Imagine (L') di S. Maria di Grotta Ferrata. Memoria storica
per il secondo centenario della coronazione.
Roma, tip. poliglotta della S. C. di Propaganda fide, 1887.
73. I sommi pontefici e Lucca. Ricordi storici in epigrafi.
Lucca, tip. arciv. S. Paolino, 1887.
74. Jacquelin F. Le conseil des empereurs romains en droit
romain, la commission départemental en droit francais.
Poitiers, impr. Oudin, 1887.
75. Jaffé P. Regesta pontificum romanorum ab condita ecclesia
ad annum post Christum natum M. C. XCVIII. Ed. II correctam
^ubblicaiioni relative alla storia di ^I(oma 207
et auctam auspiciis prof. Guil. Wattenbachii curaverunt S. Loev-
venfeld, F. Kaltenbrunner, P. Ewald. Fase. 12.
Leip^g, Veit und C, 1887.
76. Janvier. Le eulte de la sainte face à Saint-Pierre du Vatican
et en d'autres lieux célèbres. Notices istoriques. 4™® édition.
Tours, impr. Juliot, 1887.
77. Kraus F. Z. Kirchengeschichte (Storia della Chiesa).
Tr eviri f Lint:;^ 1887.
78. Kuhn A. Rom, die Denkmàler des christlichen und des heid-
nischen. Rom in Wort und Bìld (I monumenti plastici ed epigra-
fici di Roma pagana e cristiana). Einsiedeln, Bmziger, 1887.
79. Lagréze (De) G. B. Les catacombes de Rome.
Mesnil, impr. Firmin-Didot ; Paris, librairie Firmin-Didot, 1887.
80. Laigue (De) L. Constantin-le-Grand et sa mère Hélène. Tra-
duction d'un roman-légende de la décadence latine.
Roma, For'^ani e C, 1887.
81. Landucci L. Stoiia del diritto romano dalle origini fino a Giu-
stiniano. ' Padua, Sacchetto, 1886-87.
82. Largaiolli D. Della politica religiosa di Giuliano imperatore
e degli studi critici più recenti.
Piacenza, tip. Marchesotti e C, 1887.
83. Léotard E. Les guerres Puniques. Legon d'ouverture du cours
d'histoire romaine. Lyon, impr. et librairie Vilte et Perrusel, 1887.
84. Lettre (La) du pape et l'Italie officielle.
Paris, impr. Doumolin A. e C. et librairie Perrin et C, 1887.
85. LiEL H. F. J. Die Darstellungen der allerseligsten Jungfrau
und Gottesgebàrerin Maria auf den Kunstdenkmàlern der Kata-
komben (La rappresentazioue della Beatissima Vergine Maria nei
monumenti artistici delle catacombe).
Freiburg, B. B. Herder, 1887.
86. Langlois e. Les registres de Nicolas IV. Recueil des bulles
de ce pape publióes ou analysées d'apròs Ics mss. originaux des
archives du Vatican. Paris, Thorin.
87. LoN'iGO M. Costituzione dell'archìvio Vaticano e suo primo
indice, sotto il pontificato di Paolo V. Manoscritto inedito di Mi-
chele Lonigo. (Negli Sludi e documenti di storia e diritto^ Vili, fa-
scicoli 1-2. Pubblicato da F. Gasparolo).
2o8 Pubblicazioni relative alla storia di ^oma
Lerpigny M. Un arbitrage pontificai au xvi° siòcle.
Bruxelles et Paris, s. d.
LuGARi G. B. Le catacombe, ossia il sepolcreto apostolico del-
l'Appia descritto ed illustrato. Roma, Befafii, 1888.
Manfrin P. Gli Ebrei sotto la dominazione romana. Voi. I.
Roma, fratelli Bocca, 1888.
Manning a. True story of the Vatican council (Storia del
concilio Vaticano), 3. ediz. London, Burns and Oates, 1887.
Marcellino (Padre) da Civezza. Il romano pontificato nella
storia d'Italia. Firenze, Ricci, 1887.
Marchetti R. Sulle acque di Roma antiche e moderne.
Roma, tip. A. Sinimberghi, 1887.
Maréchal e. Histoire de la civilisation ancienne, Orient, Grece,
Rome. Paris, impr. et lihrairie Delalain, 1887.
MARQ.UARDT J. L'amministrazione pubblica romana, tradotta
sulla 2^ edizione tedesca dall' avv. Ezio Solaini. Voi. I. (Organiz-
zazione dei domini romani). Firen:(e, G. Pellas Uh, edit.
96. Marciuardt J. und Mommsen T. Handbuch der ròmischen
Alterthumer (Manuale dell'antichità romana). Voi. Ili, i* parte.
Ròmisches Staatrecht. Leipzig, Hir^el, 1887.
97. Martens W. Die Besetzung des pàpstlichen Stuhls unter des
Kaisern Heinrich III und Heinrich IV (L'occupazione della Sede
papale sotto gl'imperatori Enrico III ed Enrico IV).
Freiburg i. B., 1886. (Mohr).
98. Marucchi O. Nuova descrizione della casa delle Vestali e degli
edifizi annessi secondo il resultato dei più recenti scavi.
Roma, tip. A. Befani, 1887.
99. Maschke R. Der Freiheitsprozess im klassischen Altertum,
insbesondere der Prozess um Virginia (Il giudizio della libertà •
nell'antichità classica e particolarmente il giudizio di Virginia).
100. Mayerhoefer a. Geschichtlich-topographische Studien uber
das alte Rom (Studi storico-topografici sull'antica Roma).
Muncken, Lindauer, 1887.
loi. Mazegger B. Ròmer-funde in Obermais bei Meran und die
alta Maja-Feste (Scoperte romane ad Obermais presso Meran e
l'antica fortezza di Maja). Meran, Potxelheryer, 1887.
Pubblicazioni relatipe alla storia di 1{oma 209
102. Memorie sopra la vita e virtù del sac. Pier Filippo Strozzi
canonico della basilica di Santa Maria Maggiore, raccolte da un
religioso della Compagnia di Gesù. 2^ edizione.
Roma, tip. Guerra e Mirri, 1887.
103. Merchier a. Essai sur le gouvernement de l'Église au temps
de Charlemagne. (Estratto dal T. Vili, 4^ sèrie des Mémoires de
la Société acad. de St-Quintin). St-Quintin, itnp. Poette.
104. Merlino G. E. Clemente V e fra Dolcino. (Nel Museo sto-
rico-ariisiico Vahesiano, III, 8).
105. MicHELis F. Die katolische Reformbewegung und das vati-
kaniscke Concil (Il movimento di riforma cattolica e il concilio
Vaticano). Nach der Urschrift d. merewigten. Prof. Dr. Fr. M., he-
rausgegeben v. Dr. Adoph Kohut. Giessen, Roth, 1887.
106. Mitro VIE B. Una lettera di Pio IX a Carlo Alberto.
Trieste, tip. di Giovanni Balestra.
1 07. MoMMSEN T. et MARauARDT J. Manuel des antiquités romaines.
Tom. I. Le droit public romain. Traduit par. P. F. Girard.
Paris, Thorin, 1887.
108. MoNTLÉON (De) C. L'Église et le droit romain; études histo-
riques. Bar-le-Duc, impr. Schorderet et C.; Paris, au bureau
de V Association catholique, 1887.
109. MoNTLÉON (De) C. L'Église et le droit romain; études histo-
riques. Paris, impr. Devàlois; lihrairie Poussielgue, 1887.
no. Monumenta Vaticana historiam regni Hungariae illustrantia.
Series I. Tom. I, cont.: Rationes collectorum pontifìciorum in
Hungaria, 1 281- 13 75. Budapest, Rath, 1887.
111. Moscatelli A. Le unioni e i figli illegittimi nel diritto ro-
mano. Contributo alia storia della famiglia e del diritto romano.
Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1887.
112. Nacher J. Die ròmischen Militarstrassen und Handelswege
in Sudwestdeutschland, in Elsass-Lothringen und der Schweiz
(Strade militari e commerciali romane nella Germania meridioc-
cidentale, in Alsazia-Lorena e nella Svizzera).
Strassburg, Noiviel in Comm., 1887.
113. Neuhaus J. C. Die Sagen von den Gòttern und Helden der
Griechen und Ròmer (Le tradizioni degli dei e degli eroi de'
Greci e de' Romani). 2. Auflage. Dusseldorf, Schwann.
Archivio della H. Società romana di storia patria. Voi. XI. 14
210 l^iibblica\ioni relative alla storia di ^oma
114. Nocella C. Le iscrizioni graffite nell' escubitorio della set-
tima coorte dei Vigili. Interpretazione.
Roma, Forcarli e C, 1887.
115. NoLHAC (De) P. La bibliothcque de Fulvio Orsini. Contribu-
tions à r histoire des collections d' Italie et à l'étude de la Re-
naissance. Paris, Vieweg, 1887.
116. Opera Patrum Apostolicorum edidit Franciscus Xaverius Funk.
Voi. I, editio nova: doctrina duodecim Apostolorum adaucta.
Voi. IL Clementis Rom. epistulae de Virginitate ejusdemque mar-
tyrium; Epistulae pseudo-Ignatii, Ignatii martyria tria; Vaticanum
a S. Methaphrasta conscriptum, latinum; Papié et seniorum apud
Irenaeum fragmenta; Policarpi vita. Tuhinga, 1881-87.
117. O' Relly B. Life of the pope Leo XIII. (Traduzioni anche
in tedesco e francese di quest'opera adulatoria e faziosa).
London, Low, 1887.
1 18. PiGNATA G. Avventure di Giuseppe Pìgnata fuggito dalle car-
ceri dell' Inquisizione di Roma. Traduzione e prefazione di Olindo
Guerrini. Città di Castello, stab. tip. S. Lapi edit., 1887.
119. Pilliers (Des) P. La cour de Rome et les trois derniers évé-
ques de Saint-Claude, 6^ edizione. Cbamhéry, Menard, 1887.
120. Pio vii. Motuproprio in data 2 agosto 1822 sul lago Trasi-
meno e Perugino. (Riprodotto dall'originale stampato in Roma
nel 1822 presso Poggioli stampatore della R. C. A.).
Castiglione del Lago, tip. G. Caponi e C, 1887.
121. Piombanti G. Biografie popolari dei papi dedicate agli Italiani.
Livorno, tip. G. Fabhresci e C, 1887.
122. Pinzi C. Storia della città di Viterbo illustrata con note e
nuovi documenti in gran parte inediti. Volume I.
Roma, tip. della Camera dei deputati, 1887.
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Bar-le-Duc, Contant-Laguerre; Paris, lihrairie Laros et Forcel, 1887.
124. Prou. Les registres d' Honorius IV. Recueil des bulles de
ce pape publiées ou analysées d'après le manuscrit originai des
archives du Vatican, fase. 1-3, Paris, Thorin, 1886-87.
125. Ravioli C. I reduci dell'epoca napoleonica romani o statisti
cogniti in servizio o in pensione al redattore delle presenti me-
'\Puhblica'{toni relative alla storia di ^T{oma 2 1 1
morie con appendice di un compendio inedito di notizie sulla
morte di G. Murat. Roma, tip. Righetti, 1887.
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in Roma dal 1875 al 1887. Roma, tip. ddla Pace, 1888.
127. RoDOCANACHi E. Cola di Rienzo. Histoire de Rome.
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Lettres à un arai. 8*^ édition, revue et augmentée.
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Venezia, tip. Gio. Cecchini, 1887.
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numeros qui accurate defìniri non poterant expresserint.
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tische Beitràge zum io, Buch d. Briefe (Plinio il Giovane e Cas-
siodoro senatore. Saggio critico). Barien, Darmstadt, 1887.
132. ScHMiDT M. P. C. Zur Geschichte der geographischen Litte-
ratur bei Griechen und Ròmern (Contributo per la storia della
letteratura geografica presso i Greci e i Romani).
Berlin, Gartner, 1887.
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ner, Ròmer und Franken in deutschen Reiche (Le antiche vie com-
merciali e militari dei Romani e Franchi nell'Impero tedesco).
Nach òrtlichen Untersuchungen dargestellt. Dispensa 5*.
Leipzig, Z. O. Weigel, 1887.
1 54. ScHWARZLOSE K. Die Patrimonien der ròm. Kirche bis zur
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sino alla fondazione dello Stato ecclesiastico).
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135. ScHWERDT F. J. Papst Leo XIII. Ein Blick auf scine Jugend
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reference to its use in art (Nuova ediz. a cura di G. H. Bronctie).
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del Paradiso. Studio su nuovi codd. Todi, Franchi.
142. Teoli p. B. Teatro istorico di Velletri, insigne città e capo
dei Volsci: opera riveduta e corretta coll'aggiunta della vita e
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Deneuvre (Meurthe-et-Moselle). (Estratto dal Bulletin de la Société
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148. ViLLENEUVE (De) L. Recherches sur la famille della Rovere.
Contribution pour servir à 1' histoire du pape Jules IL
Rome^ Befani.
149. Warga L. Geschichte der lateinische Kirche (Storia della
Chiesa latina), voi. II, làrospatass.
150 Zeller J. Entretiens sur l' histoire du moyen àge. Deuxième
partie:I. Chute des Carolingiens; féodalité et chevalerie ; premiers
empereurs allemands ; premiers rois Capétiens; Sylvestrell; Gré-
goire VII; Urbain II; la Croisade.
Coulommiers, impr. Brodart et Gallois; Paris, lihr. Perrin et C, 1887.
G. Cugnoni 213
Memorie della Vita e degli Scritti
CARDINALE GIUSEPPE ANTONIO SALA
(Continuazione e fine, vedi pag. 57).
Fino dal 1801 il Consalvi, per occasione del conclave
di Venezia, avea preso ad avversare Domenico, il fratello
del nostro Giuseppe Antonio, il quale così ne lasciò me-
moria (i): « I servigi da lui (da Domenico) resi in quella
« circostanza (del conclave) avrebbero meritato un premio.
«Egli però non cercava né compensi né avanzamenti; ma
ce non doveva mai aspettarsi che il suo zelo dovesse par-
te torire frutti amarissimi. Monsignor Consalvi, che fu se-
« gretario del conclave, e che mirava ad essere segretario
« di Stato e cardinale, come ottenne non molto dopo, es-
ce sendo quello che si mise alla testa degli affliri in Venezia,
(( e che non istruito abbastanza delle cose nostre, avrebbe
u commesso de' sbagli, soffri di malanimo di avere per
'.( correttore l'abate Sala, e di dover cedere talvolta al sen-
« timento di persona a lui inferiore. Concepì quindi un'av-
« versione, che si mantenne per lungo tempo, e che por-
'( tollo a far poco conto di lui, e ad usare nel nominarlo
« epiteti e frasi non molto convenienti >•> (2). Or tale av-
(i) Bròve. notizia dell' ab. D. Sala cit.
(2) Nelle citate Memorie del Consalvi sul conclave tenuto a Ve-
//.;/</ (presso il Ck/ìTINEAU-Joly, op. cit., I, 199 seg.) di tutto repe-
rito da Domenico Sala in quella congiuntura non v'ha fiato, e non
e ne ricorda nemmeno il nome.
Arcliirin della R. Società romana di storu ritin Voi. XI. 15
214 G. Ciignoni
versione del potente ministro dovevasi naturalmente allar-
gare a Giuseppe Antonio, si perchè è naturale disposizione
del cuore umano il confondere tutte insieme le attenenze
dell'oggetto inviso, e si perchè in lui pure ravvisava, se
non il correttore autorevole e palese, certo il privato bia-
simatore di certi suoi concetti e di alcune sue teoriche in
opera di governo civile ed ecclesiastico. « Ecco perchè
«(nota altrove Giuseppe Antonio (i) ) l'ab. Sala non gli
« fu mai accetto, come non lo ero neppur io, parte per ri-
« verbero della contrarietà al fratello maggiore, parte perchè
« in più circostanze non convenni ne' sentimenti del por-
(( porato ». Aggiungasi a questo (2) « che il card. Consalvi
« all'epoca della liberazione della sa: me: di Pio VII (quando
« appunto il Sala divulgava una parte del suo Piano di ri-
(<. forma) esternava de' sentimenti ben diversi da quelli, che
« aveva prima degli antecedenti fatalissimi avvenimenti, e
« pienamente conformi alle giustissime massime del S. Padre.
(( Noi ne facciamo testimonianza di fatto proprio per i di-
ce scorsi sentiti da lui nel tempo del viaggio di Sua Santità
« verso Roma, e segnatamente nei giorni di trattenimento
« in Fuligno, da dove il cardinale ripiegò per tornare in
« Francia, progredendo in seguito a Londra e a Vienna.
« Disgraziatamente quesjo giro fu causa che, lasciandosi
« sorprendere dalla cabala dominatrice, che infestava tuttora
« i Gabinetti, concepisse quelle idee, che sviluppò meglio
(( al suo ritorno, e che prepararono la strada a quei nuovi
« dolorosi avvenimenti, che hanno poi sconvolta tutta l'Eu-
«ropa, e de' quaH risentiamo (scriveva nel 1833) ancor
(i) Br&v& notila cit. Su tale proposito Gaetano Moroni, in una
sua del 21 gennaro 1881, scriveami : «Ma l'onnipotente cardinal
« Consalvi geloso di alcuni eminenti uomini, o discrepante colle loro
« idee (come del p. Cappellari, cui ingiustamente, e contro le inten-
« zioni di Pio VII, antepose il p. Zurla poco conosciuto) vivamente
« avversò, ecc. ».
(2) Breve, notizia cit.
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 215
« noi i tristi effetti )>. Del quale sviamento politico del Con-
salvi fanno altresì fede certissima le sue Memorie^ Per entro
alle quali egli espone ed afferma appunto que' principi e
quelle massime di pubblica amministrazione, che sono,
come dire, il centro, attorno a cui si raggira ed agglomera
tutto il lavoro del Sala, da quello con tanta furia persegui-
tato. « La Providence (egli scrive (i) ) a permis une se-
te conde chute du gouvernement pontificai, onze ans après
« son rétablissement. Si cette Providence permettait une
(( seconde résurrection, il serait à désirer que le nouveau
« pouvoir , en trouvant tout changé et détruit derechef,
« profitàt de ce malheur pour en recueillir plus de fruits
« qu'on n'en avait tire lors de la première restauration. En
« maintenant les constitutions et les bases du Saint-Siège,
(( il faudrait d'une manière victorieuse surmonter tous les
« obstacles s'opposant aux changements, et aux réformes
« que pourraient avec raison exiger l'antiquité ou Taltéra-
« tion de certaines institutions, les abus introduits, les en-
« seignements de l'expérience, la dìfférence des temps, des
« caractères, des idées, et des habitudes. Il est permis de
« formuler les voeux à celui qui ne les exprime point par
« mépris des choses anciennes, par amour de la nouveauté
« ou par singularité d'idées, mais qui ne souhaite tout cela
« que pour le plus grand bien du gouvernement pontificai,
« dont il est si fier d'étre membre, malgré son indignité.
« Gouvernement auquel il reste si profondément attaché,
«qu'il sacrifierait pour lui jusqu'à son existence ». Or con
questi generali concetti del Consalvi non consuona ap-
punto in tutte quante le sue parti il disegno di riforma del
Sala, il quale, come già abbiamo notato, sin dalle prime
mosse si protesta, ch'egli non intende « di parlare dell'e-
« difizio immobile della Chiesa », ma si solo « dell' im-
« pianto delle cose » romane « rapporto alla doppia am-
(i) Mémoires cit., I, 239. - Daudet, Dipìomates et hommes d'État
conUmporains, I, 32.
21 6 G. Cngnoni
« ministrazione ecclesiastica e politica »? Altrove il Consalvi
scrive (i): « En rétablissant l'ancien ordre de choses, il
« était facile de tirer un bien de ce mal. Quoique les ins-
« titutions du gouvernement pontificai fussent très-sages,
« il est cependant hors de doute qiie certaines d'entre elles
« dégénéraient de leur primitive origine. On en avait al-
ce téré, changé ou corrumpu quelques autres, et il s'en
« trouvait qui ne convenaient plus au temps, aux idées
« nouvelles et aux nouveaux usages, Les effets et les ten-
« dances de la revolution, survivant à la revolution elle-
« méme, exigeaient des atermoiements et des ménagements,
(( non moins pour la stabilite du Saint-Siège qu'il fallait
« restaurer, que pour l'avantage du peuple. Je pourrais
(( étendre et développer beaucoup plus au long cette thèse,
« mais le peu de calme dont je jouis et les obstacles dont
« j'ai parie plus haut, sans compter d' autres raisons excel-
« lentes ressortant de la nature du sujet, s'y opposent abso-
« lument. Du reste, ce que j'ai dit suffira à tout lecteur
« perspicace pour saisir que de très-légitimes et de tròs-
ce justes motifs nous engageaient àprofiter de la circonstance
« et à différer de quelque temps la restauration des anciennes
« formes gouvernamentales afin d'en modifier quelques
« parties, du moins les plus urgentes. Cela valait mieux
« que de le rétablir de suite tei qu'il était avant la révolu-
«tion; et le Saint-Pére lui-méme émettait ce voeu ».
De' quali avvisi il primo articolo del Piano del Sala é ap-
punto largo e minuto svolgimento. Né diversamente dal
Sala lamenta il Consalvi i falliti sforzi di quella particolare
congregazione, che Pio VII istituì ne' primordi del suo
pontificato, per discutere i diversi punti di quel disegno di
riforma, che, per frapposizione di ostacoli pressoché insor-
montabiH, andò affatto in dimenticanza. Sul quale proposito
scrive il Consalvi (2) : « En méme temps que cette pro-
(i) Mémoires cit., II, 233. - Daudet, op. cit., 35.
(2) Mémoires cit., 235.
Isella vita e degli scritti di G. (yl. Sala 217
(( rogation se régularisait, on forma une congrégation com-
<( posée de plusieurs cardinaux, de quelques prélats et des
<( séculiers les plus instruits et les plus estimés pour leur
« bon esprit et leur conduite. On les chargea de tracer un
<( pian pour la restauration du gouvernement, fonde sur les
<{ bases et sur les constitutions antiques, mais adapté aux
« conditions modem es ainsi qu'à la nature des temps, en
(( le dépouillant des vices ou des abus qui auraient pu se
« glisser dans Tancien peu à peu avec les années, comme
« il arrive à toutes les choses de la terre. La congrégation
« re(;ut ordre de terminer son travail pour la mi-octobre.
« Le provisoire devait prendre fin le i ^^ novembre, après
« l'approbation du nouveau pian par le Saint-Pere, et alors
« on remettrait Tautorité entre les mains des prélats... (i).
« Pendant ce temps, la congrégation formée pour le réta-
« blissement de l'autorité acheva son travail, qui ne ré-
« pondit point entièrement aux espérances concues. Ce
« travail indiquait plusieurs changements et certaines mo-
te difications sur divers points, mais il ne réglait pas tout,
« et peut-étre méme ne régla-t-il pas le plus important.
« S'il est partout difficile de vaincre les vieilles habitudes,
« d'opérer des réformes et d'introduire des innovations, il
« faut avouer que cela le devient bien davantage à Rome,
« ou, pour mieux dire, dans le regime pontificai. Là, tout
« ce qui existe depuis quelque temps est regardé avec une
« sorte de vénération, comme consacré par Tantiquité méme
« de son institution. Personne ne prend la peine de rer
« marqu'jr qu'il est souvent faux que telles et telles règles
« aient été établies dans l'origiifè comme elles apparaissent
« actuellement. Parfois méme il arrive qu'elles sont alté-
« rées, soit par les abus dont nulle institution humaine ne
« peut assez se garantir, soit par d'autres vicissitudes, soit
« par le temps lui-méme. En outre, ce qui à Rome plus que
(l) Mémoires cit., 237.
2i8 G. Cugnoni
« partout ailleurs s'oppose aux réformes, c'est la qualité de
« ceux qui, dans ces réformes, perdent quelques attributs de
« leur juridiction ou d'autres privilèges. La qualité dont ils
« sont revétus fait qu'il est plus malaisé de vaincre leur ré-
« sistence, et, par ces justes considérations, le pape lui-méme
« se trouva quelquefois force d'y avoir égard. Et c'est pré-
« cisement en vue de telles déférences que je ne puis pas
{( longuement énumérer ces obstacles et d'autres semblables
« fourmillant à Rome plus que partout et s'opposant à toute
« espèce d'innovations. Je me tairai donc sur ce point. Je
« me bornerai à dire que le pian de la congrégation amenda
« quelques abus, changea des institutions, en retrancha ou
« en ajouta de nouvelles, selon que le permirent les obsta-
« cles ci-dessus indiqués. Je dois avouer encore que, sans
« l'efficace volonté du Gouvernement, qui insista avec ri-
« gueur pour qu'on se mìt à ouvrir la brèche aux réformes,
« rien ne serait fait peut-étre, car le Gouvernement ne pon-
ce vait pas agir seul. L'opinion publique ne devait point fa-
ce voriser les innovations que le Saint-Siège aurait édictées
(( de son chef. Ceux, auxquels ces réformes n'étaient point
(( avantageuses, et qui, en raison de leur qualité ou à cause
« de leurs rélations, aspiraient à diriger l'esprit public, an-
ce raient su les discréditer dans les masses. La recente élé-
c( vation du premier ministre, encore jeune et promu à ce
ce poste au désappointement de ceux qui l'ambitionnaient,
ce la nouveauté du pape lui-méme, devaient fournir des ar-
ie guties et des prétextes contre les modifications et les
ce changements. Il importait de les étayer, du moins en
ce apparence, sur les idées, les conseils et les réflexions d'un
ce grand nombre, c'est-à-dire d'une congrégation, d'après
ce l'usage existant à Rome en pareli cas. Le pape lui-méme
ce par suite de la douceur bien notoire de son caractère —
ce qu'il soit permis de produire respectueusement cet autre
ce motif de la nécessité ou Fon était de recourir à une con-
ce grégation dans cette affaire — le pape lui-méme n' aurait
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 219
« peut-étre pas pu tenir téte aux opposants et protéger les
« réformes contre les attaques de tout genre auxquelles il
« aurait fallu se résigner, si le Saìnt-Siège eùt agit seul et
« spontanément. Il devint de necessitò absolue de se servir
<( d'une congrégation, et une congrégation ne pouvait den-
te ner que ce que Fon obtint. On se vit obligé de s'en con-
ce tenter : cela vaut mieux que rien, comme dit le proverbe
« vulgaire. Le pape approuva et sanctionna le pian de la
« congrégation par une bulle intitulée : Sur le rétabìissement
« du gouvernement, et qui commence par ces mots : Post
(.(■ diiilurnas » .
Adunque il Consalvi si per antico rancore, e si 'per le
sue mutate opinioni politiche cadde nella contraddizione
di perseguitare nello scritto del Sala i propri concetti e le
proprie persuasioni, e di perseguitarle con tale veemenza,
da impedire vigorosamente la diffusione di quel libro, e da
ordinare, che ne venissero raccattati con minutissima dili-
genza gli esemplari distribuiti (i). Nel che fu cosi pun-
tualmente obbedito, che all'istante ne scomparve ogni traccia.
Sicché io a potere averne per pochi giorni sott' occhi una
copia, dovetti moltiplicare le ricerche per oltre a 25 anni.
Per tal modo il lavoro del Sala, frutto di matura espe-
rienza ; risultamento di lunghi ed accurati studi ; espressione
sincera e liberissima d'animo profondamente persuaso; ri-
medio ai passati danni della Chiesa e dello Stato ; proba-
bile impedimento dei futuri : appena nato fu spento, non
avanzando all'autore né meno il compenso di richiamarsi
dell' ingiusto tratto al giudizio del pubblico, e solo restan-
dogli da amaramente lamentare quell' « andamento di cose
. (i) Questo si desume dalla terza delle lettere superiormente tra-
scritte nella nota a pagina $6. Raccontavami poi su tal propo-
sito Antonio Coppi, che il Consalvi, tornato da Vienna in Roma,
adoperò tutte le arti, dalle cavalleresche alle diplomatiche, per car-
pire di mano a certa gentildonna russa una copia di quella stampa ;
ma che la scaltra signora non se ne lasciò punto cnn;licre.
220 G. Cugnoni
« (scriveva nel 1833 (i) ), che afflisse i buoni, e che stava
« in aperta opposizione alle massime esternate in principio
« dal Santo Padre.... Tema vasto ed affliggente, che basta
(( avere toccato di volo, affinchè rammentando la falsa
« strada, nella quale s impegnò il Governo pontificio, si ri-
« cordi altresì che il vento non spirava propizio per gli uo-
« mini sinceramente attaccati al principe ». Amari accenti,
ma che rivelano una tal quale compiacenza dello scrittore
d'avere antiveduti i tempi, i quali poi, divenendo a mano
a mano più grossi, recarono finalmente, tra il 1847 e il
1849, il tardo, e perciò inutile, trionfo delle riforme con-
cepite e caldeggiate da lui ben ^^ anni innanzi.
Della parte inedita di questo Fiano (la quale, se non
pel dettato, certo per la materia sopravanzava di gran lunga
la stampata (2) ) ninno, per quanto io so, ebbe mai notizia
certa e di fatto, salvochè, in sin dalle prime mosse della
sua gloriosa carriera, il Santissimo nostro Padre Leone XIII.
Questi, mentre giovanetto compieva in Roma nella nobile
Accademia ecclesiastica gli studi teologici e legali, recavasi
di frequente al Sala, che amavalo di peculiare benevo-
lenza (3). A costui adunque mostrò egli un giorno il vo-
luminoso manoscritto, e appresso gli consenti pure che lo
leggesse, consegnandogliene a tale effetto con grande cau-
tela ad uno ad uno i quaderni. I quaU recatisi in casa il
giovane alunno, non pure leggevali, ma con grande dili-
genza li ricopiava. E ciò fu doppia ventura: Tuna, che i
disegni del grande riformatore venissero a mano di chi un
giorno li avrebbe potuti a suo senno, tenendo conto della
(i) Breve notii^ia dell' ah. D. Sala cit.
(2) Ciò si apprende dai due Indici di sopra recati del primo sbozzo
di questo lavoro, e dalle stesse parole dell'autore, il quale nell'arti-
colo VI scrive : « Dovendosi quindi il mio Piano estendersi ad una
serie ben lunga di articoli di ogni specie, ecc. ».
(3) Bonghi R., Leone XIII e l'Italia; Milano, Treves, 1878, 227,
in nota. - Civiltà Cattolica, ser. X, V, 675. - Moroni, Dt:(. di erud.
ecch. Indice, V, 160.
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 221
varietà de' tempi e degli avvenimenti, colorire; l'altra, che,
smarritosi poscia il manoscritto originale dell'opera, ne sia
almeno rimasta una copia autorevole. Come poi quel
manoscritto andasse smarrito, è cosa in tutto misteriosa.
Che esso al tempo della morte del Sala esistesse, non è da
porre in dubbio; quando Niccola Milella, ragguardevole pre-
lato della curia romana, asserisce d'avere caldamente pre-
gato il cardinale Lambruschini, allora segretario di Stato,
perchè, raccattatolo dal luogo ove egU stesso (il Milella),
per ordine del defunto, avealo colle proprie sue mani poco
innanzi collocato, lo ponesse in salvo, come cosa di pregio
inestimabile ; e che quel cardinale pochi giorni appresso gli
significò d'averlo riposto nella bibHoteca Vaticana. Ma ogni
più diligente ricerca ivi fattane riusci a nulla; né megho
profittarono le indagini usate nell'archivio Vaticano.
Donde viene non Heve impedimento a queste mie me-
morie, mancandomi cosi il modo da chiarire il valore di
Giuseppe Antonio ne' maneggi giuridici, politici ed ammi-
nistrativi, ai quali appunto si riferiva la parte perduta del-
l'opera. Valore certo non comune, come si può argomen-
tare dai primi articoli di essa opera messi a stampa, e
meglio ancora dalla qualità del suo ingegno singolarmente
pratico; che è il sommo pregio di chi pigh a trattare l'arte,
sopra tutte difficile, dell'ottimo governare. Ma oramai basti
di ciò, e riprendiamo il filo dell' interrotto racconto.
Ricomposte adunque nei primi mesi del 18 14 le pub-
bliche cose, mosse Giuseppe Antonio incontro a Pio VII,
che dopo cinque anni d'indegna prigionia tornavasene a
Roma. (( Lo raggiunsi (egli scrive (i) ) a Bologna, e fui
« graziosamente invitato da Sua Santità a seguirlo nel resto
<( del viaggio, che, com'è ben noto, fu interrotto da varie
(( fermate, e non tanto brevi in Imola e in Cesena » (2).
(r) lircvc noti^ui dell' ah. D. Sala clt.
(2) l'enne, durante quel viaggio, l'ufficio di cerimoniere, a Com-
« prendo (scrivcvagli il fratello Domenico, il 25 aprile 1814) Tacere-
E in Cesena il pontefice, cui tardava di attestargli la
sua riconoscenza per lo zelo operoso nei giorni della
prova addimostrato, gli diede, per biglietto privato, con
fermato poi in Roma con breve, grado di prelato do-
mestico e divisa di protonotario apostolico (i). Cosi fu
ad esso aperta quella, che in corte di Roma chiamasi car-
riera, fuor della quale a ninno, d'ordinario, è concesso di
aspirare agi' importanti uffici, che sono scala al cardinalato.
E come non ragione di sangue o di ricchezza, né sforzo
d' intrighi vel misero dentro, ma bella fama di virtù e di
dottrina ; così egU non vi si affi-ettò per arti superbe, o per
vili raggiri, ma gloriosamente percorsela col vigore dell'a-
nimo sostenuto e guidato da sapienza. Ancora è da notare,
come delle dignità, alle quali di mano in mano egli venne
innalzato, ninna fu di natura laicale, ma tutte di uffici ec-
clesiastici. La qual cosa chi si conosca degli usi della curia
papale, dove il salire è per lo più effetto del chiedere, non
recheralla al caso; ma vi ravviserà il suo costante propo-
sito a volere stabilita « la massima, che tutte le cariche di
(( loro natura secolari vengano conferite ai laici » (2).
E in prima ai due modesti ordinari uffici di correttore
e di datario della Sacra Penitenzieria, i quali l'uno dopo
l'altro portò, gli si aggiunse lo straordinario di consultore
di una speciale Congregazione ordinata sopra il ristabili-
mento degli istituti religiosi annullati tutti dal dominio
francese. Qui tolse con grande animo a propugnare le
massime, che su tal punto aveva ampiamente svolte negli
«scimento dei vostri imbarazzi per dovere supplire anche da cerìmo-
« niere, ma spero che il Signore Iddio vi assisterà, e vi darà salute».
(i) A questo proposito scrivevagli, il 30 aprile 18 14, il fratello
Domenico: « L'amorosa vostra dei 22, cui ho trovato annessa la
« copia del grazioso biglietto di decorazione accordatovi dal S. Pa-
ce dre, ecc. ... La cosa è valutabile per se stessa, ma io la valuto
« principalmente per la graziosa maniera, e termini con cui è stata
« eseguita ».
(2) Piano di riforma, art. VI.
^ella vita e degli scritti di G. oA, Sala 223
articoli XVI e XVII del suo Piano di riforma; sostenendo,
doversi restituire soltanto le professioni di prima regola,
come quelle, che conformandosi agi' intendimenti de' loro
fondatori, ne serbano intero lo spirito e l'indirizzo; lad-
dove le altre di seconda e di terza mano non sono per lo
più che rilassamenti e snervamenti di quelle. « Li disordini
« delle comunità religiose (son sue parole (i) ) erano
« giunti a tal punto, da meritare che Iddio le annientasse,
« come in gran parte è seguito ». Per ripristinarU a dovere,
fa d'uopo (c indovinare ciò, che farebbero li santi fondatori,
« se tornassero al mondo » (2). Certo a questo effetto era
assai propizia congiuntura il trovare distrutta ogni cosa,
tanto che a rifabbricare non si avrebbe avuto impaccio
da' vecchi ed intristiti ruderi sopravanzati all'universale
ruina. Ma né men questa volta la sua voce non fu ascol-
tata ; e monasteri e conventi risorsero quanti prima, e più
di prima; quasi che alla gloria di Dio e ai vantaggi della
Chiesa megUo i moki rilassad, che i pochi austeri rispon-
dessero.
Frattanto Pio VII, spaurito dai noveUi moti di Gioac-
chino Murat, che accintosi all'impresa d'Italia s'era cac-
ciato con forte soldatesca nella Marca d'Ancona, fuggì
segretamente a Genova con picciol numero di seguaci, e
tra questi Giuseppe Antonio (3). Narrano che coki, avvi-
cinandosi la festività dell'Ascensione, il pontefice, pressato
da alcuni patrizi perchè in quel giorno volesse assistere
alla messa solenne in una delle principali chiese della città,
rimettesse la decisione della cosa nel Sala, come in uomo
(i) Piano di riforma, art. XVI.
(2) Ivi. - Gaetano Moroni (JDii. d'erud, eccl, LX, 239) dice che
i lavori fatti dal Sala per la riforma dei corpi morali, furono depo-
sitati dopo la sua morte nella segreteria della S. Congregazione dei
vescovi e regolari.
(3) Gregorio XVI nel crearlo cardinale fece onorevole menzione
di questo suo viaggio.
224 ' ^' Cugnoni
disimpacciato e prontissimo ai ripieghi; e che questi, an-
corché, pel difetto degl'infiniti arredi e paramenti all'au-
gusto rito necessari, giudicassela soprammodo difficile;
pure confortato dal buon volere e dalle larghe profferte di
que' signori, provvide e dispose in brevissimo tempo tutto
quanto all'uopo occorreva: di sorte che la solenne ceri-
monia fu celebrata con sfoggio e magnificenza inaspet-
tata (i).
Appresso a questo tempo fu esaminatore de' vescovi,
referendario delle due Segnature, segretario della Congre-
gazione de' riti (2), e di quella de' negozi ecclesiastici
straordinari.
Nel 1823 sperimentò di nuovo gli efl^etti dell'avver-
sione del Consalvi: che « mentre (egli scrive (3) ) nella
«promozione del 1823, quando, secondo il costume, avrei
« dovuto muovermi dalla Segreteria dei riti, e tutti erano
« persuasi del mio ascenso a quella del concilio, fui pre-
ce terito, e si pretese che fosse sufficiente compenso e una
« pubblica testimonianza della più marcata fiducia lo avermi
« aggiunta una Segreteria tanto importante, quanto quella
(( degli affari ecclesiastici straordinari, e un canonicato di
« S. Maria Maggiore, che né domandavo né volevo, avendo
«ricusato tanto prima quello di S. Pietro ». Più tardi poi
il Consalvi mostrossi pentito dell' indegno tratto. « Non
(i) V. la Rela:(ione del viaggio di Pio VII a Genova del card. Bar-
tolomeo Pacca; Orvieto, Pompei. 1844, 41; e il Diario di Roma
13 maggio 181 5.
(2) Mons. Baccili, che sin dal decembre del 18 14 sollecitavagli
dal papa l' importante ufficio di segretario dei Riti, scriveagli ai 22
del detto mese ed anno: « Non lascerò di fare il sollecitatore, onde
« evitare, re infecta, il ritorno del Politico di Vienna, le cui ultime
« lettere a' suoi amici assicurano entro il mese la sospirata ventura
« di rivederlo ». Ciò non ostante, la pratica fu trascinata per molti
mesi, e nel settembre del 181 5 il Consalvi proprio fu quegli che gli
partecipò quella elezione.
(3) Breve notizia dell'ab. D. Sala cit.
'Della vita e degli scritti di G. oA. Sala 225
« lascerò per altro (prosegue il Sala (i) ) di rimarcare che
« il cardinal Consalvi ne manifestò in seguito il suo ram-
« marico, che si mostrò impegnatissimo per affrettare la
« mia promozione, che se in fondo non mi amava, aveva
« dichiarato più volte di stimarmi, e me ne aveva dato
« frequenti prove, consultandomi in affari di rilievo. Gli
« renderò inoltre la lode, che più volte, quando il mio sen-
« timento fosse contrario al suo, si mostrava pieghevole
« alla forza delle ragioni, e smontava dalla prima opinione ».
Rara e edificante temperanza di discorso dell'offeso circa
l'offensore. Del quale non lascia pure di notare il tardo
imbonire inverso del fratello Domenico, e di toccarne le
lodi. « Quanto all'ab. Sala (egli continua (2) ), negli ultimi
« tempi sembrava che fosse divenuto verso di lui meno
« duro ; e poiché spesse volte nella trattativa degli affari
« vedevasi il cardinale nella necessità di sentire persone
« esperte, e di aver notizie da uomini, che ben conosces-
« sero le cose nostre, o a suggerimento degli uffiziali della
« Segreteria di Stato, o ben anche di proprio impulso lo
« consultava, e gli scriveva sempre in termini obbliganti.
« Nel breve tempo poi che sopravvisse sotto il pontificato
« di Leone XII, tanto a mio fratello, quanto a me nell'in-
« contrarci accidentalmente, o nel recarci talvolta a visi-
« tarlo, ci ^QCQ sempre tutte le buone grazie. Conchiudo
« pertanto, che il card. Consalvi in fondo era un uomo di
« ottime intenzioni, e se per mala sorte non si fosse lasciato
« trasportare dalla corrente, sarebbe stato un egregio mi-
te nistro ; che ad onta della diversità di opinione sapeva
« conoscere, e non si ricusava di adoperare le persone ver-
te sate negli affari della S. Sede ; che dimostrò abbastanza
« di essersi ricreduto e di voler compensare i disgusti re-
te cati a mio fratello ed a me ; e che Dio si sarA voluto
(i) Breve twtiiìu cit.
(2) Ivi
226 G. Cugnoni
<( servire del di lui mezzo per esercitarci con qualche tri-
<( bolazione. Se il desiderio, che mostrò il cardinale di gio-
(( varmi, quantunque tardi, rimase senza effetto, io gliene
(( professo eguale riconoscenza, e per parte dell' ab. Sala,
(( che nulla cercava e nulla voleva da lui, sono persuasis-
<( simo che aveva dimenticato e perdonato tutti i disgusti
(( antecedenti, e godeva che fossero svanite le antiche ani-
ce mosità )) .
Leone XII, che da privato avealo sempre avuto in
grande stima ed amore, aprendo, poco dopo la sua ele-
zione, la visita apostolica straordinaria, se lo tolse a con-
visitatore col grado di assessore (i); lo promosse quindi
al segretariato della Congregazione del conciUo; commisegli
di condurre il nuovo concordato con la Francia, e di av-
viare le pratiche con la Corona di Sardegna in ordine agH
assegnamenti delle rendite ai luoghi pii del Genovesato e
del Piemonte (2) ; lo nominò visitatore di tutti gli spedali
di Roma.
(i) MoRONi, Dii. d'end, eccl, XVI, 288.
(2) V, MoRONi Di^. d'erud. eccl., XXXV [II, 75. Di quanta briga
fessegli tale maneggio, può ricavarsi dalla seguente lettera comuni-
catami dall'amico march. Gaetano Ferraioli:
« Roma, 19 aprile 1828.
« Veneratissimo sig. avvocato,
« Mi trovo veramente confuso, e smarrito. Possano ha scritto a
« un cardinale esponendo che rimase estremamente sorpreso nel leg-
« gere gli articoli, e che lei disse che doveva essere o un pasticcio
« del Commissionato, o un estratto del breve fatto da qualcuno dor-
« mendo. Aggiunge che comunque siasi si deve concludere non es-
ce sersi qui capito, o creduto quanto fu esposto, e che le infedeltà
« commesse nell'esposizione non potevano dar luogo a tali domande.
« Suppone che il Commissionato partisse senza aver cupito affatto il
« Piano, e che non sapendo alle obiezioni contraporre delle buone
« ragioni, deve averne dette delle cattive, le quali sempre rovinano .
« la causa. Confessa che voleva impugnare il riparto delle 20 mila
« lire di fondo, perchè oltre i missionari molte altre corporazioni ave-
« vano rendite per lo stesso titolo ; rileva che l'abolizione del rito
Della vita e degli scritti di G. oA. Sala 227
Quest' ultimo ufficio, che poi sotto altri nomi, secondo
il variare di quelle amministrazioni, portò fino al termine
de' suoi giorni, gli diede occasione di esercitare la carità
verso de' tribolati. Istituì nell'ospedale di Sancta Sanctonim,
colla cooperazione della principessa donna Teresa Boria,
la Regola delle suore ospitaliere, le quali prestassero alle
inferme, cui quello spedale è destinato, ogni maniera di
servigi, insino a quelli della chirurgia inferiore. E se n'ebbe
«Augustano porterà dell' inconvenienti assai più gravi di quello si
« crede, e che l'aggiunta al Capitolo d'Asti è buttata. Si duole che
« niente siasi fatto per la povera sede di VentimigHa, né per i censi
« inesigibili, né per tante altre cose. Conchiude che il bene della
« Chiesa esigge che siano esattamente conservati gli articoli del rie-
« pilogo della sposizione, e si mostra persuaso che il Governo in
« coscienza non sia obligato a far di più di quello che propone di
« fare in seguito dell'ultima sessione.
« Inserisce un foglio per narrare il risultato di detta sessione, ed
(c io ne soggiungo l'epilogo.
« Bisogna dire che il Commissionato mutasse anche il titolo del
«progetto, mentre Possano lo nota cosi: — Traccia da servire per
« l'estensione del pontificio breve circa i crediti della Chiesa verso
« lo Stato del Piemonte, ecc. — Suppongo che gli articoli non siano
« stati cambiati, e lei è in grado di verificarlo avendogliene io man-
« dato la copia : ma passiamo all'epilogo.
« Opposizione di alcuni magistrati sulla massima toccante i beni,
« da non potersi ammettere senza pregiudicare ai diritti del Governo,
« sotto la cui dipendenza si é sempre conservata l'amministrazione
« delle Opere pie laicali. L'arcivescovo rammentò che Sua Maestà
« fin da principio aveva esternato essere sua intenzione che si evitasse
« d'entrare in discussione di massime. Lo stesso arcivescovo e il ve-
« scovo di Possano, attesa la loro qualità, non poterono assoluta-
te mente prender parte nella discussione. Il secondo, dopo la protesta
«che i vescovi, qualora s'intendesse d'impugnare apertamente la
« massima, dovrebbero sostenerla, aggiunse che siccome lo scritto
« veniva communicato al Congresso acciò osservasse se potesse in-
« sorgere qualche difficoltà, poteva questo naturalmente rilevare, che
« r inserzione di un tale articolo nel breve avrebbe suscitato degli
« ostacoli all'accettazione del medesimo, onde senza esaminare se gli
« ostacoli fossero ragionevoli, o no, poteva benissimo proporre di
228 G. Cuffuont
in breve cosi ottima prova, che, pochi anni dopo, Leone XII
con motuproprio del 3 gennaio 182^ riconobbe solenne-
mente il novello istituto, e ordinò si allargasse agli altri
ospedali femminili della cittA. Dettò, nel 1835, una pro-
posta di riunione di tutti gli ospedali di Roma, salvo quello
di S. Spirito, da effettuarsi « mediante un regolamento, che
(( leghi fra loro le diverse parti del generale institiito, e che
«abbia per base: 1° di conservare a ciascuno ospedale il
«suo patrimonio distinto, in modo però che venga ammi-
« nistrato con diligente economia, e che trovandosi nello
« stabilimento qualche sopravanzo di rendita, serva a ripia-
« nare il vuoto di quegli ospedali, che si trovassero in bi-
« sogno, evitando così qualunque spesa superflua, non che
« il pericolo di nuovi aggravi al pubblico erario: 2° di con-
« prescindere da tale articolo per evitare se non altro le lunghezze
« che seco portano ognora gli ostacoli, ancorché poi in fine si su-
'c perino. Fu quindi adottato di proporre una tale omissione.
«Non si capirono varie cose degli altri articoli. Per esempio
« perchè si dovessero continuare le pensioni ai religiosi rientrati nelle
« case dotate : si dovè credere che U senso dell'articolo fosse di non
«togliere maggior numero di pensioni di quello cui corrispondesse
« l'annuo reddito della dotazione, e quindi si concluse che riunendosi
« in qualche convento un numero di pensionati maggiore di quello
« che portasse la dotazione assegnata, si provvederebbe colla conti-
« nuazione delle pensioni a quei religiosi che formassero l'eccedenza
« del numero.
« In ossequio della S. Sede si astenne il Congresso dal fare alcun
« rilievo contro la distribuzione delle lire 20 mila, e avendo il vescovo
« di Possano incominciato a combattere la ragionevolezza di tale di-
ce stribuzione, fu interrotto concludendosi unanimemente che non con-
ce veniva di fare la menoma osservazione sopra una cosa espressa-
c( mente gradita alla S. Sede.
« Non si capì l'articolo sulle congrue delle parrochie, trovandosi
« già portate a 500 franchi.
« Non si capì neppure perchè si voglia la liquidazione de' residui
« Monti ex-gesuitici, qual obligo non passerebbe giammai colle mas-
cè sime de' magistrati che ne pretendono padrone il Governo, e l'am-
ce mortizazione di tali residui monti era chiesta in compenso di altre
^ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 229
« servare le amministrazioni particolari, organizzando però
« una deputazione generale incaricata di esaminare i pre-
ce ventivi; di sindacare i rendiconti ed invigilare sulle spese
« straordinarie; di tener fermi i regolamenti e le massime
« generali. Questa specie di unione contribuirebbe al per-
« fezionamento di un'opera, che può dirsi della più ampia
« importanza, come quella, che tende al grande oggetto di
« procurare la salute spirituale e corporale de' poveri in-
« fermi». E proponeva all'uopo le seguenti massime.
i"" (( Gli ospedali di Roma, dovendo considerarsi come
« parti, le quali unite insieme completano l'istituto, che ha
« per scopo di prestar soccorso all' umanità languente per
« ogni specie di malattia, conserveranno la divisione delle
« rispettive attribuzioni tanto saggiamente prescritte e san-
« zio nate nel breve della s. m. di Pio Vili;
(c ragioni a cui il Governo rinunzia, come si è esposto nel Piano. Q,uan-
« tunque la cosa si lasci alla coscienza del re, ciò darebbe sempre
« luogo a scrupoli per il religioso sovrano. Si è quindi presa la de-
ce terminazione di liquidare altre 30 mila lire annue, assegnandosene
« IO mila ai Gesuiti de' Ss. Martiri, e riservando il resto per prove-
« dere alle domande giunte posteriormente al Congresso.
« Inoltre si è proposto che quando le pensioni regolari saranno
« ridotte ad annue lire 800 mila, si destineranno altre lire 100 mila
« per megliorare la condizione de' parrochl.
« Termina il vescovo dicendo che non ricorda che siasi trattato
« d'altro, e non ha copia ne dello scritto del progetto, né del processo
« verbale che non ha per anche veduto. Crede però di non aver à\-
« menticato cosa alcuna di sostanza.
« Io vado consumando tutto il mio tempo in lettere, e in disbrigo
« degli affari della giornata, nò posso avere un solo giorno di quiete
« per attendere airultimazione di quest'affare che mi fa perdere la
« testa. Se Dio non mi aiuta sono perduto.
« Riceva le assicurazioni della costante stima e amicizia con cui
« sono a tutte prove
« D"^° ObbP" servitore e amico
« GlUSEPPANTONIO SaLA ».
« Sig. avv. Ant° Tosti, qcc.
« Genova ».
Archivio della R. Società romana di Storia patria. Voi. XI lò
230 G. Cugnoni
2^ (( Resteranno ferme le deputazioni speciali stabilite
« nel suddetto breve, come pure la separazione de' rispettivi
« patrimoni, scritture, computisterie e ministero. I rinvesti-
« menti sia di lasciti, sia di capitali soggetti a cambiamento,
(( sia di sopravanzi che rimangano disponibili, dovranno
« farsi per conto, ed a nome dell'ospedale a cui apparten-
(( gono ;
3^ « Una deputazione generale avrà cura di assegnare
« in principio d'anno alle deputazioni speciali la somma
«spendibile a norma de' preventivi da essa approvati; di
« sindacare i rendiconti ; di provvedere alle spese straordi-
« narie e bisogni imprevisti ; di regolare i concorsi per for-
« mare la massa delle famiglie medico-chirurgiche, e dare
<( i rimpiazzi e movimenti opportuni ; d' invigilare su tutto
« ciò che riguardi gì' interessi comuni degli spedali, e sul-
« r uniformità ed osservanza delle massime e regolamenti ;
4^ « Le deputazioni speciaH insieme unite, coll'ag-
« giunta di sei deputati estranei alle deputazioni particolari,
« due ecclesiastici e quattro laici, formeranno la deputazione
« generale, la quale sarà presieduta dal cardinal presidente
« dell'arcispedale del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum,
« protettore dell' Istituto delle suore ospedaliere. I due ec-
ce clesiastici aggiunti si occuperanno particolarmente di tutto
« ciò che riguarda l'adempimento dei legati pii, l'assistenza
« spirituale agl'infermi, la condotta religiosa e morale delle
« rispettive famiglie; due deputati laici saranno incaricati
« della sorveglianza sull'amministrazione de' beni, sui nuovi
« affitti, sull'escussione de' debitori, sulla regolarità delle ri-
« scossioni e versamenti : gli altri due avranno l' incarico
« di rivedere i preventivi e consuntivi e di esaminare le
« richieste straordinarie che occorrano nel decorso del-
« l'anno ;
5^ « Nelle generali adunanze ciaschedun deputato avrà
« voto deliberativo. Trattandosi però gì' interessi di una
« deputazione particolare, i membri che la compongono
T>ella vita e degli scritti di G. oA. Sala 2
« avranno soltanto voto consultivo. La votazione sarà
« segreta ;
6^ (( Le adunanze della deputazione generale si ter-
« ranno sei volte all'anno, e anche straordinariamente qua-
« lora lo esiga il bisogno, nei giorni da stabilirsi dal car-
{( dinaie presidente;
7^ « Il segretario generale e assessore della depu-
« tazione, per quelli aiuti di cui possa abbisognare, potrà
« servirsi dell'opera degli antichi impiegati della cessata depu-
(c tazione complessiva degli ospedali, che trovansi in riposo,
« e che godendo del soldo in ritiro, sono in obbligo di
« prestarsi senza nuovo appuntamento, secondo gli ordini
« che verranno dati su tal proposito dal cardinale presi-
« dente ;
8^ « Le deputazioni speciali prima del cadere del-
« Fanno esibiranno il preventivo delle spesa per l'anno pros-
« simo. I due deputati sindacatori ne faranno rapporto alla
« deputazione generale, la quale stabilirà la somma spen-
« dibile;
9^ « Le deputazioni particolari amministreranno libe-
« ramente la loro azienda entro i limiti del preventivo ap-
« provato. Dovranno però ogni bimestre trasmettere alla
« segreteria generale lo stato di cassa, affinchè la deputa-
« zione complessiva confrontandolo col preventivo sia in
« grado di conoscere se procede in regola, o se vi sia pe-
ce ricolo di esaurimento di fondi innanzi tempo ;
IO'' « Ciascuna deputazione particolare presenterà
(( ogni anno il bilancio alla deputazione generale, la quale
« cogli avanzi di uno stabilimento potrà supplire al deficit
« di un altro. Che se restino tuttavia dalle somme libere e
« disponibili, verranno queste erogate a profitto dell'ospe-
« dale, al quale appartengono ;
1 1 * « Di quelli oggetti ch'esigessero speciali prò vvi-
« denze, il cardinale presidente ne farà relazione alla Santità
« di N. S. Esso unitamente ai presidenti delle deputazioni
232 G. Cugnoni
« speciali presenterà ogni anno i rapporti e i rendiconti
« delle rispettive amministrazioni ;
12°- « Queste disposizioni riguardano gli ospedali ad
« Sancta Sanctorum, di S. Giacomo in Augusta, di S. Gal-
ee licano, della Consolazione e di S. Rocco, i quali forme-
« ranno T unione, di cui si è parlato negli articoli precedenti.
« In conseguenza non saranno applicabili all'arcispedale di
« S. Spirito e suoi annessi, i quali per se medesimi costi-
« tuiscono un corpo o un'azienda abbastanza vasta, né al-
ce r Ospizio de' convalescenti, che trovasi unito all'Opera dei
« pellegrini e ad altre opere pie sotto la direzione delFàr-
<( chiconfraternita della SS. Trinità.
« Le surriferite disposizioni, senza punto alterare la so-
ft stanza del citato breve della s. m. di Pio Vili, contri-
te buiranno ad ottenere l'esatta esecuzione, principalmente
« in quella parte, che ha rapporto all' uniformità dei rego-
« lamenti quae in valetudinariorum honum invecta sunt, non
« che ad assicurare il buon andamento delle rispettive am-
« ministrazioni, e a fornire un mezzo facile e pronto per
« accorrere ne' casi straordinari al bisogno, in cui possono
« trovarsi gli ospedaH per il momentaneo rimpiazzo de' pro-
« fessori » .
A dar mano a questo disegno avealo infervorato lo
stesso papa, dacché « nell'occasione di umiliargli (scriveva
« egli, il Sala, all'avv. Stolz il 28 settembre 1835) il ren-
« diconto dello stralcio degli ospedali ebbi campo di ram-
« mentare gli artifizi che furono adoperati per indurre la
« s. m. di Pio Vili a distruggere l'opera de' suoi imme-
« diati antecessori: ed esposi le conseguenze dell'attuale
« isolamento, rilevando in particolar modo i disordini del-
« l'ospedale di S. Giacomo e l'errore commesso da mon-
« signor Fabrizi col lasciarlo in mano all'abate Acquari.
« Mostrossi il S. Padre persuaso della soHdità de' miei ri-
« lievi, e propenso a prendere qualche misura, per riallac-
« ciare 1' unione, in modo però che le amministrazioni con-
^ella vita e degli scritti di G. oA, Sala 233
« tinuìno ad essere separate. Domandai se Sua Santità mi
« avrebbe permesso di umiliarle qualche progetto, ed ebbi
« risposta affermativa » . • ,
Or come il Sala in ogni cosa guardava principalmente
alla pratica; cosi, a facilitare che il suo disegno venisse co-
lorito, minutò perfino la bolla, con la quale il papa gli
desse sanzione (i). Ma sopravvenuti fra questo tempo i
timori e le minacce della pesta colerica, bisognò rivolgere
gli studi e le cure ad altri apparecchi: perchè la proposta
del Sala fu messa da banda. Più tardi però fu riassunta
dal pontefice Pio IX e mandata ad effetto (2).
Oltre questo lavoro generale, ne {qcq altri speciali per
le amministrazioni separate degU ospedaH di S, Spirito, di
S. Giovanni ad Sancta Sanctorum, e di S. Gallicano (3).
A questi provvedimenti radicali e duraturi aggiungeva
una continua ed esatta vigilanza sul governo dei malati.
Al qual uopo mostravasi d' improvviso, quando in uno e
quando in altro ospedale, nell'ora del mangiare, ed assag-
giava le vivande; e dove non le trovasse buone e nutri-
tive, ne rampognava acremente ed in pubbhco i provve-
ditori e i soprastanti. Egual modo tenea co' medici e co'
chirurgi, sorprendendoU di sovente nell'atto della visita, per
accertarsi della loro puntualità. Per le quaU sue diligenze
avveniva che i meschinelli, ammalando, non abborrissero
dagli ospedali, quasi da ricoveri tristi e spietati; ma anzi
di buona voglia vi si lasciassero recare come a stanze con-
fortevoli ed agiate (4).
(i) « SS.mi D. N. Gregorii Div. Prov. Papae XVI Literae Apo-
« stolicae quibus nosocomiorum Urbis administrationi prospicitur :
Altnae Urbis yy^ ecc.
(2) Moto proprio della S. di N. S. papa Pio IX sulla Commis-
sione degli ospedali di Roma, esibito negli ntti dell'Argenti segretario
di Camera il giorno 18 settembre i8$o. Rom;i, tip. della R. C. A., 1850.
(3) MoRONi, Di^. d*erud. eccl, LX, 239.
(4) In qual pregio avesselo Leone XII per questa sua operosità
234 ^' Cugnoni
Degno altresì di memoria è il caso della restituzione
del vescovato di Ginevra, occorso sotto il pontificato del
Della Genga, e menato a buon fine dalla prudenza del Sala.
L'abate Vuarin, un parroco di Ginevra, stimando oppor-
tuno agl'interessi religiosi del luogo che il cantone di
Ginevra, sottratto alla giurisdizione del vescovo di Losanna,
venisse eretto in sede vescovile ; ne fece proposta al pon-
tefice. La riuscita del maneggio, per le difficoltà che ne
sarebbero naturalmente insorte da parte del diocesano e da
quella del Governo locale, mostravasi dubbia oltremodo e
malagevole. Fu all' uopo ordinata una Congregazione, com-
posta dei cardinali per senno e per dottrina più ragguardevoli ;
e furono SeveroH, Della Somaglia segretario di Stato, Zurla
vicario, Castiglioni penitenziere maggiore e Pacca. A questi
vennero aggiunti don Mauro Cappellari, che fu poi Gre-
gorio XVI, come consultore teologo, e monsignor Sala
quale mediatore Tra i cardinali e il pontefice, e fra questo
e il Vuarin. Stimava la Congregazione, che si dovesse
adoperare in modo con quel vescovo, da indurlo a spon-
taneamente rassegnare il suo grado : era d'opinione il Vuarin,
che decretato senz'altro della Santa Sede quello smembra-
mento, se ne desse notizia al vescovo con invito di acco-
glierne sommessamente la sentenza. Il Sala, entrato nell'av-
viso del parroco, riusci con rara destrezza a farlo prevalere.
Sicché il papa, notificata per breve a quel vescovo la presa
nell'amministrazione ospitaliera, si può ricavare dai due seguenti bi-
glietti, scrittigli dal fratello Domenico :
A) « Il Cardinale (Pacca) ha riparlato per tentare di stringere,
« anco perchè gli sarebbe commodo un abile Segretario. Il Papa ha
« continuate le lodi e si è mostrato in angustie per non aver di chi
« valersi nelV oggetto Spedali, ed insieme ha mostrato rammarico se non
« aderisce alle premure del Cardinale ».
B) « Il Papa ha interrogato il Cardinale (Pacca), il quale ha
« risposto proponendo voi. Il Papa ne è convenuto e ne ha parlato
« con lode. Ha soggiunto però di trovarsi sospeso, perchè crederebbe
« che fosse meglio deputarvi Presidente degli Ospedali ».
^ella vita e degli scritti di G. OA. Sala 235
decisione, non pure non l'ebbe avverso, ma anzi coope-
ratore (i).
La dignità cardinalizia ritardatagli per gli accennati con-
trasti del Consalvi, non gli fu conferita né da Leone XH
né dal costui successore Pio Vili: e sebbene Funo e l'altro
ne avessero fatto disegno, non giunsero però in tempo da
porlo ad effetto (2).
Pio Vili, legato a lui per antica amicizia, appresso alla
sua esaltazione lo spedi a Cingoli, sua patria, per recare a'
suoi congiunti la lieta novella (3) ; e alla chiesa catte-
drale di quella città (4), e al santuario Lauretano (5) fece
tenere, per suo mezzo, ricchi donativi.
Toccava omai il settantesimo anno, quando Grego-
rio XVI, nel suo primo concistoro del 30 settembre 183 1,
lo creava cardinale dell'ordine de' preti, magnificandone i
meriti, ed esaltandone le virtù (^). La grandezza del nuovo
(i) Del Vuarin V. Moroni, jDì:(. d'erud. eccL, XXX, 144-246.
V. Bresciani A., L'Ebreo di Verona, cap. LVI, Suor Clara.
(2) Il fratello Domenico, il 6 febbraio 1830, scrivevaglì: «... Dal
« medesimo (cardinale De Gregorio) avrete saputo che il Padrone
« (Pio Vili) facendo molti elogi, dichiarò ieri mattina al Card. Pacca,
« e ier sera allo stesso Card. De Gregorio, che vi riserverà in petto,
« perchè questa volta non può fare più di tre Cardinali ».
E tre giorni appresso scrivevaglì : « Il Card. Pacca è venuto a
« dirmi che ha avuto il permesso di manifestare che siete riservato
« in petto ».
Ed egli stesso, Giuseppe Antonio, ringraziando per iscritto il pon-
tefice Gregorio XVI, non sì tosto ne ebbe avviso, della destinatagli
dignità cardinalizia, cosi notava : « Se i servigi da me debolmente
« prestati alla S. Sede fecero concepire ai due immediati suoi Antc-
« cessori l'idea di decorarmi della S. Porpora; nò l'uno, nò l'altro
« giunse ad eseguire i suoi disegni ».
(3) MoRONi, Di:(. d'erud. eccl, LX, 238.
(4) Ivi, XIII, 174.
(5) Ivi, XXXIX, 260.
(6) Sanctissimi D. N. Gregorii div. prov, Papae XVI Allocutio habitu
in Concistorio secreto die XXX septembris MDCCCXXXI; Romae, eod.
2}6 G. Cugnoni
stato non gli guastò l'animo, né punto lo distolse dalla
sua consueta operosità. E oltre alla continua faccenda, che
s'aveva di studiare le infinite e svariate materie di molte
^acre Congregazioni (i), le cui adunanze costantemente
frequentava, recando nelle discussioni tale lucidezza d'idee
e vigorìa di discorso, che il suo parere prevaleva sempre
su quello degli altri; era di sovente adoperato dal papa
come suo particolar consigliere intorno a partiti di straor-
dinaria importanza, o come esecutore di commissioni ge-
lose. Fra le quali è da annoverare la pubblicazione dei
Documenti relativi alle contestazioni insorte fra la Santa Sede
an., ex tip. R. C. A. Nella quale allocuzione così il pontefice del Sala
favellò :
« Quibus autem laudibus Venerabilem Fratrem Beryti Archiepi-
« scopum, et Apostolicum Nuntium Nostrum (il card. Luigi Lam-
« bruschini) prosequuti sumus, iisdem Dilectum quoque Filium Pro-
(c tonotarium Apostolicum Josephum Antonium Sala Pontificiae
« Congregationis Tridentinae Synodi interpretis Secretarium ornamus.
« Nam et ipse in rerum Ecclesiasticarum tractatione triginta ànnorum
« spatìo scite, indefesseque versatus, dignum se reddidit, quem S. R. E.
« Cardinalem renuntiemus. Is enim comes datus Cardinali Caprarae
« Episcopo Aesino, quando Legatus a latere a Pio VII Lutetiam Pa-
ce risiorum missus fuit, Legationis illius perquam salebrosae ac discri-
« minis plenae Secretarius; quo ingenii acumine, qua sacrarum rerum
« scientia, qua fide, qua animi firmitate eminuerit, nemo Vestrum
« ignorat. Nihil igitur mirum Praesulem, de quo agitur, tanti a Summo
«•Pontifice Pio VII factum esse, ut idem Pontifex nunquam satis lau-
« dandus eum itinerum in re trepida a se susceptorum comitem, et
« lateri suo adhaerentem voluerit. Congregationum postea Sacris Ri-
« tibus ordinandis, extraordinariis Ecclesiae negotiis pertractandis,
« Tridentinae Synodo interpretandae gradatim Secretarius, merita
« sibi ad sublimem Cardinalatus Dignitatem assequendam, quae la-
«borum Sedi Apostolicae insumptorum merces simul et praemium
« est, intente cumulavit »,
(i) Le Sacre Congregazioni, fra i cui E.mi Componenti venne an-
noverato, furono quelle del Concilio, degli Affari ecclesiastici straor-
dinari, de' Riti, per la riedificazione di S, Paolo, della Residenza de'
vescovi, dell' Indice, di Propaganda, Particolare della Cina.
^ellà vita e degli scritti di G. oA. Sala 237
ed il Governo francese dal 1801 al 1814 (i). Aggiungev'ansi
a tutto questo i minori, e spesso fastidiosi negozi, che ve-
niangli dai protettorati e dalle presidenze d'ordini regolari,
di municipi, di pii istituti, di confraternite, di accademie (2) ;
(i) Documenti relativi alle contesta:(ioni insorte fra la Santa Sede ed
il Governo francese. S'. 1., 1833-34, voi. 6.
(2) Fu uno de' Protettori dell'Accademia teologica nell'Università
romana; socio delle Accademie degli Aborigeni, de' Q.uirini, de' Forti,
di S. Luca, Tiberina, di archeologia e della Congregazione de' Vir-
tuosi al Pantheon; aggregato all'Ordine Certosino, e al Benedettino
Cassinese. I municipi di Trevi nell'Umbria (5 ottobre 1814), e di Ma-
telica nelle Marche (26 luglio 1831) lo ascrissero al loro patriziato.
Il municipio di Trevi volle così attestargli la sua gratitudine « per
« avergli ottenuta la grazia di potersi liberare dai tanti mali, che soffre
« dalle devastazioni di questi torrenti » (Leti, della pubh. Rappresen-
tanza di Trevi, II ottobre 1814). Appresso (marzo 1819) aggiunse il
Sala a quella città altro beneficio. E fu che con suo pieno consenso
vennero, per l'autorità di un breve pontificio del 5 febbraio 18 19,
« devoluti al Collegio Lucarini (del luogo) tutti e singoli beni e red-
« diti, sì rustici che urbani e di qualunque altra specie essi siano,
« spettanti al Priorato di S. Tommaso, e tali e quali si godevano da
« S. E. R.ma Mons. Giuseppe Antonio Sala domiciliato in Roma»,
secondo che leggesi in un foglio privato del 1° marzo 18 19, con cui
gli amministratori del Collegio Lucarini si obbligarono, in corrispon-
denza di tale cessione, di pagare al Sala, finché vivesse, l'annuo ca-
none di ducati 215 fissato nello stesso breve. Del qual fatto è me-
moria nella seguente iscrizione, dipinta in fresco, e omai in parte
scomparsa, sulla fronte di quella chiesa di S. Tommaso, sede di quel
priorato :
« Pio . VII . P. M. [ Parenti . optimo | Benignissime . annuenti ]
« Atque I Amplissimo . Principi . Julio Card. Gabriellio | Sacrae .
« Congregationis . Concili! . Praefecto | Collegii . Lucarini . Trebii |
« Patrono . praesentissimo | Juvanti ] Quod | Per . abdicationem
«Josephi . Ant. Sala | Proton. Apost. S. Kit. Congr. A . Secretis j
« Patricii . Trebiatis | Vacans . Simp .... Beneficium . Prior. | Tit.
« S. Thomae . Apostoli | Auditis . precibus .ve ... . Sodalitii | Sa-
« crorum . Stigmatum . S. Francisci . Assisicn. | Eiusdem . Collegii .
« Administratoris | Suasioncs . scqvvti | Antonii . Mariae . Bovarini .
a patricii . Trebiatis | Collegii . in . pracsens . Praefecti . bene . de •
« patria . mercntis | Eidem . Collegio pietatc . et . discìpli-
238 G, Cugnoni
ai quali egli, che non era « uno di que' porporati, che
« tutto abbracciano, e poco stringono, e si riducono a pre-
« stare il solo nome » (i), soleva attendere con studiosa
premura.
Ai 12 di febbraio del 1832 mortogli il fratello Dome-
nico, ne prese tristezza indicibile, oltreché per ragione di
naturale affetto, per i molti obblighi, che gli aveva come
a singolare benefattore e a spertissimo maestro. Ne scrisse
una Breve notizia con animo di metterne in chiaro le virtù
« nis I Alendam . cum . canone . temporario | Atq. . onerib ....
« adnexum . perpetuo . fuerit [ Rescript .... Dat | Anno .
« MDCCCXIX I Sodalitii | Prior | Et . Consiliarii | Gratiarum . actio-
« nem | Et . monumentum . lubentes . merito ».
Quali i particolari servigi, onde i Matelicani lo ascrissero al loro
patriziato, non m'è accaduto di rintracciare. Soltanto in un atto della
Congrega:(ione del libro d'oro di quella città trovasi così notato:
« Matelica, 5 Febraio 183 1. — Convocata la Cong.ne del Libro di
« Oro, alla medesima sono intervenuti i nobili signori, ecc., ecc. - Il
« Gonfaloniere propone che il lustro della Città è tanto maggiore,
« quanto maggiore è il numero de' rispettabili patrizi, che sono ascritti
« nel suo albo. - Riflettendo che i Mons.ri Sala Giuseppe Antonio,
« segretario della Congine del Concilio, e Grossi Serafino, Decano
« della Segnatura, se potesse aversi l'onore di ascriverli nel nostro
« Libro di Oro, accrescerebbero lo splendore del nostro Patriziato ;
« la Cong.ne ad unanimità prega la Magistratura di avanzare supplica
« al nuovo Sovrano, onde si degni di farne effettuare la descrizione
« nel nostro Libro suddetto ».
(Seguono le firme dei presenti).
Spedita nello stesso giorno al card, segretario di Stato la supplica
da presentare al pontefice, quel cardinale, con dispaccio del 12 feb-
braio diretto a mons. delegato di Macerata, segnato col n. 90, notificò
la sovrana annuenza; ma o che quel dispaccio non giungesse al suo
destino, o che quel delegato trasandasse di dargli corso; la Magistra-
tura matelicana, con lettera del 19 maggio, tornò a sollecitare dal
card, segretario di Stato la risoluzione della domanda. Rispose il
cardinale il 28 dello stesso mese, e chiarita la cosa, segui l'ascrizione
del Sala al patriziato di Matelica.
(i) Appendice al progetto di riunione degli ospedali.
^ella vita e degli scritti di G. (yl. Sala 239
e il valore, e di proteggerne il buon nome dagF ingiusti
assalti di nemici potenti, e dalle vili suggestioni di codardi.
È una serie di memorie alla buona « non destinate alla
« pubblica luce, ma che servir debbono unicamente perchè
« a qualunque evento se ne possano cavare i materiali a
« difendere T innocenza oppressa e la virtù denigrata » (i).
Non mancano però qua e là d' importanza anche sotto il
riguardo storico, allargandosi spesso ad esporre ignote ra-
gioni di pubblici fatti, e ad esplorare ed apprezzare F indole
e la condotta di alti personaggi. Alla narrazione poi de'
casi del defunto fratello, dalla culla al sepolcro, fa seguito
un minuto ragguaglio delle ultime volontà di lui, e della
accuratezza con cui lo scrittore erede le mise ad effetto.
Giunta non vuota di curiosità, e splendido testimonio della
larghezza e della carità di Domenico.
Nel marzo del 1834 ^^ surrogato al cardinal Ca-
prano nella prefettura della Congregazione dell' indice, e
nel novembre dello stesso anno succedette al cardinale Ode-
scalchi in quella della Congregazione de' vescovi e regolari.
Nella primavera del 1837 era in Roma grande scon-
forto e turbamento per le immense stragi, che il còlerà
asiatico menava nella Sicilia e nel NapoHtano, e temeasi
che da un giorno all'altro a noi si avventasse. Era perciò
tempo di provvedimenti e di sollecitudini per impedire il
disastro, o almeno per scemarne la veemenza. La ordinaria
Deputazione di pubblica salute non parve a ciò sufficiente,
e si credè più acconcio al bisogno l' istituire una specie
di dittatura sanitaria, la quale con sovrano arbitrio operasse
franca e spedita. Ma perchè riuscisse a bene, voleasene in-
vestire personaggio autorevole, attivo, e soprattutto assai
pratico dei reggimenti e dell'azienda degli ospedali. Qua-
lità, che nel Sala, come risulta dai fatti sin qui esposti, so-
prabbondavano. E pertanto su lui il pontefice riversò l' im-
(i) Brev& notizia dell' ah. D. Sala cit.
menso carico, nominandolo presidente della Deputazione
straordinaria di pubblica incolumità. Sebbene riavutosi di
recente da lunga e penosa malattia, non rifiutò : e anzi senza
indugio occupato l'ufficio, mise in opera ogni possibile mezzo
per allontanare il crudele flagello; ma tutto fu indarno, e
d'un tratto la città si riempi di gemiti e di cadaveri. Ciò
non ostante, egli non si smarrì ; ma invece pigliando animo
dalla sventura, è incredibile a dire lo sforzo di vita, nel
quale durò dal mezzo agosto all'ottobre, quando maggior-
mente la morìa infuriava. Consultazioni, leggi, provvidenze,
ricorsi, ispezioni senza fine né posa ; a tutto ponea mente,
nulla, per lieve che fosse, trasandava. Recavasi di frequente
ai ricetti degli appestati, e con maravigliosa sicurezza fa-
ceasi loro da presso per spiarne il trattamento. Cosi, com-
piendo ad un tempo le parti di moderatore e di esecutore,
tenea in offizio i medici e i serventi, e coli' esempio ani-
mavali a non temere.
Dileguatosi d'un tratto il morbo per le acque e le fre-
scure autunnali; alla guisa che dopo la battaglia suol le-
varsi fra i vinti il rumor grande addosso al loro mal ca-
pitato condottiere ; scagliavansi dai maligni contro al Sala
i biasimi e le querele di mala amministrazione de' capitali,
di crudele abbandono degli appestati, di difetto di medici-
nali, di trascurati nettamenti e purgazioni, e cento altre
accuse di tal fatta ; onde lo sfrenato allargarsi del male non
impedito a tempo, non curato a dovere, non distrutto ne'
suoi effetti. Dicerie pazze e da non curare (i), come poi
pienamente dimostrò la pubblicazione dello specchio di
tutto l'operato in quei giorni dalla Deputazione sanitaria
da lui preskduta (2). E il papa, per attestargli la sua appro-
(i) V. il Diario di Roma, anno 1837, numeri 75, 85, 86.
(2) Statistica di coloro che furono presi dal cholera in Roma nel-
l'anno iS^y, umiliata alla Santità di Nostro Signore papa Gregorio XVI
dalla Commissione straordinaria di pubblica incolumità. Roma, tipografia
Camerale, 1838, in-4°.
"Della vita e degli scritti di G, oA. Sala 241
vazione, gli conferì la presidenza dell'ospedale di S. Gia-
como in Augusta, la quale sebbene brevemente tenesse,
tuttavia non fu indarno per l'azienda di quel pio istituto.
Pigliando possesso di quell'uffizio, fattiglisi innanzi chirurgi
e spedaligni barbuti, domandò, ridendo, se in quei dintorni
non fosse chi radesse ; e soggiunse : non perseguitare le
barbe (ed era la stagione da ciò), ma neppure temerle.
Appresso a questo tempo ingrossatiglisi gli umori, fu
preso da uno straordinario fastidio. Inquietavasi d'ogni cosa,
fuggiva la conversazione, rifiutava il cibo, non poteva dor-
mire. Durava tuttavia nelle usate occupazioni de' suoi uf-
fici, tra le quali parea non sentisse più il male. Nella pri-
mavera del 1839 si portò, per consiglio de' medici, a
Civitavecchia, donde, riavutosi alcun poco, recossi a Cor-
neto presso i signori Braschi suoi amorevolissimi. Qui di-
speratamente aggravatosi, volle tornare in Roma, e vi fu
condotto con grande stento, adagiato in una carrozza a
modo di letto. Giuntovi ai 20 di giugno, cadde imman-
tinente in profondissimo letargo. Risentitosi sul declinare
del 21, chiese e ricevette i sacramenti: poi, detto ai cir-
costanti parole di molta edificazione, perde il senno, né
più lo riacquistò. Sul mezzodì del 23 cessò di vivere in età
di anni presso a 77.
Non appena morto, susurrossi per . Roma, prima ca-
gione della sua infermità fosse stato un diverbio avuto col
papa per occasione del nuovo segretario assegnato alla
Congregazione de' vescovi e regolari da lui presieduta : e
contavano perfino, che nel calor del discorso il Sala accen-
nasse alla rinuncia della porpora, e che Gregorio gli rispon-
desse, che, posto il caso, l'accetterebbe. Del che forse altri
potrebbe ravvisare una riprova nel seguente paragrafo di
lettera scritta a Giuseppe Antonio dal cardinal Lambruschìni
il 25 aprile 1839: « La prima medicina è l'astinenza da ogni
« mentale occupazione, e perciò mi è rincresciuto, dal piego
« che mi ha spedito, di vedere che Vostra Eminenza con-
242 G. Cugnoni
« tinua ad occuparsi di affari. A suo tempo ci parleremo
« meglio, e fin d'ora le dico nella nostra vera ed antica
« amicizia, che bisognerà sgravarsi di più cose, onde non
« compromettere una sanità veramente preziosa, e che im-
« porta troppo di conservare. Convengo che i patemi
« d'animo logorano assai più la vita, che non la fatica me-
<( desima : ma come si fa ? Alzar gli occhi al cielo, e cercar
<( di diminuire l'effetto colla rassegnazione. Io che sono di
« fibra assai sensibile, so cosa siano le interne afflizioni e i
« dispiaceri, quelli segnatamente che non dovrebbero aversi,
<( e non trovo mighor rimedio di quello accennato di sopra » .
Ma se pure la cosa passò di tal guisa, la vivacità di un di-
verbio non dovè certo aUenare l'animo del pontefice da
chi con tanto studio ed affetto gli si era porto in ogni caso
consigliere fedele, e validissimo aiutatore. In fatti Gregorio,
uditane la morte, se ne commosse altamente (i), ed affermò
con enfasi, che col mancare del Sala era venuto meno
V Archivio ambulante della Santa Sede (2), alludendo per tal
motto all'immensa copia del suo sapere, e alla prontezza,
con la quale ad ogni più nuovo caso faceane l'applicazione.
Che questa fu la più speciale valentia di lui, recare ad atto,
senza indugio, i dettami della scienza, e trarre profitto dagli
insegnamenti della storia. Onde fu uomo pratico per ec-
cellenza, e per questo appunto utilissimo alla Chiesa ed allo
Stato, la quale e il quale delle teoriche e delle astrattezze
non saprebbero che si fare. Ma di ciò è già detto abbastanza
nelle presenti Memorie : e ora piuttosto è da volgere il di-
scorso all'indole e ai costumi suoi.
Sorti Giuseppe Antonio da natura ingegno vasto e spe-
dito, cuor generoso e oltre misura sensitivo ; e queste na-
turali disposizioni, già ottime di per sé, col lungo esercizio
perfezionò. Negli studi sdegnava la mediocrità, e sforzavasi
(i) MoRONi, Df;(. di erud. eccl, LX, 240.
(2) Ivi, XIX, 154; LX, 240.
^ella vita e degli scritti di G. cA. Sala 243
alla eccellenza, e certo nei sacri la raggiunse. Delle reli-
giose credenze tenacissimo, non però aveva in sospetto il
progredire della scienza, né mai si addisse a metodi e a
scole speciali per modo, da non ammettere, che fuori degli
uni e delle altre non si potesse investigare e raggiungere
la verità. Il perchè, sebbene imbevuto in sin da giovanetto
della filosofia tomistica, non tenne il broncio alla novella
del Rosmini ; ma anzi non appena la vide nascere, e tosto
ne ravvisò la convenienza, e ne presenti vantaggi alla fede.
Ancoraché dell'arte dello scrivere, colpa della falsa istitu-
zione d'allora, mostrisi in tutto digiuno; pure nel suo det-
tato trionfa il grande principio Condillacchiano del più ser-
rato legamento delle idee, e in ninno scrittore meglio che in
lui si avvera il motto, lo stile esser l'uomo. In modo dal suo
spigliato periodare trasparisce quella schietta candidezza
d'animo ; onde mai non si sarebbe egH indotto a velare i
propri pensieri, e a non dire le cose altrimenti da quello
che le sentiva (i). La quale incHnazione congiunta a viva-
(i) Non voglio omettere su tal proposito di qui trascrivere alcuni
periodi di una liberissima memoria, che egli fece tenere nel maggio
del 1800 al nuovo pontefice Pio VII:
« B.mo Padre,
« Un'anima oltremodo sensibile ai mali gravissimi, che affliggono
« da tanto tempo il principato e la Chiesa, aveva concepito le più
(c belle speranze che l' innalzamento della Santità Vostra al soglio
« pontificio segnar dovesse l'epoca fortunata di un nuovo ordine di
« cose. Q,uesta dolce lusinga però non incomincia fin qui a realizzarsi,
« e vi è luogo a sospettare fondatamente, che le buone intenzioni di
« Vostra Santità rimangano vuote di effetto, e che tutto vada di male
« in peggio, quante volte la Santità Vostra non apra gli occhi per
« guardarsi dai lacci, che forse le vengono tesi da quelli stessi, che
« cooperar dovrebbero al comun vantaggio, e alla gloria di Vostra
« Santità. Degnisi pertanto dare un'occhiata a questi brevi riflessi
a usciti dalla penna di chi non arrossisce di parlare il linguaggio della
« verità, e riferisce soltanto per impulso di vero zelo ciò che a tutti
244 ^- Cugnoni
cita di spinti sovrabbondante, facealo di sovente aspro ed
impetuoso nel ragionare (i); ma poi subito se ne pentiva,
e a chi avesse bravato raddoppiava i favori; perchè lo di-
cevano il burbero be?tefico. Alla simiglianza di Giulio Agri-
cola, del quale racconta Tacito, che « fu da alcuni tenuto
« è noto, quantunque probabilmente ignoto in gran parte alla Santità
« Vostra.
«Senza parlare dell'infinite dicerie originate dal sapersi che nel-
« l'ultimo Conclave sono seguiti li soliti pettegolezzi e gli antichi
« maneggi, e che i Cardinali per la maggior parte nulla profittando
« delle grandi lezioni date loro da Dio per mezzo delle passate cala-
« mità, sono in tutto e per tutto gli stessi di prima, si rimarcano di
« volo le seguenti cose.
« Le persone dabbene non cessano dai loro pianti, e Roma non
« lascia di mormorare, di rilevare che anco sotto l'attuale pontificato
« li buffoni hanno facile accesso ; che il regno de' Braschi continuerà
« come per lo addietro ; che le cose anderanno di male in peggio.
« Ecco, Beatissimo Padre, la nuda verità esposta con tanta mag-
« gior confidenza, quantochè si crede che la Santità Vostra ami di
« conoscerla. Non isdegni di valutare questi avvisi, né dia ascolto agli
« adulatori, o peso agli elogi, che le vengono tributati. Non vi fu chi
« ne avesse più di Pio VI, eppure è noto quali fossero i clamori, che
« soUevaronsi contro di lui, massifne negli ultimi anni del suo ponti-
«ficato. Roma aspetta da Vostra Santità cose grandi: che i comuni
« voti rimangano adempiti ; che il vizio sia depresso, che la virtù ed
« il merito abbiano il premio; che venga per sempre chiusa la bocca
« alla menzogna e all'adulazione, e si ascolti soltanto il linguaggio
« della verità ».
(i) Gaetano Moroni in una lettera del 21 gennaio 1881 scriveami:
«■ Quanto alla vivacità di spiriti sovrabbondante, che facealo di sovente
V. aspro ed impetuoso nel ragionare; nella mia stanza al Quirinale, adia-
« cente alla pontificia, n'ebbi una prova notevole e personale in sul
« punto dello scoppio in Roma del colera, perchè vivacemente soste-
te nendolo avvenuto col calmo cardinal Gamberini, segretario per gli
« affari di Stato interni e preside della Congregazione speciale sani-
« tarla di tutto lo Stato pontificio, quel prefetto di quella della S. Con-
ce sulta; questi l'impugnava: essendo io solo tra loro, ebbi timore che
« venissero alle mani 1 »
niella vita e degli scritti di G. OA, Sala 245
« rotto nelle bravate, come piacevol coi buoni, così terribil
« contro a' malvagi : ma dopo nulla di collera gli restava,
« né era pericolo ch'ei si stesse più grosso : stimando aver
«più del buono l'offendere, che l'odiare». Tuttoché for-
nito di mediocre fortuna, cui non potè accrescere coi pro-
venti degli esercitati uffici, perchè tutti « o di tenue, o di
(( niun emolumento » (i); pure nello spendere non fu scarso,
né venne mai meno al decoro del suo grado « e fece sempre
« buona figura, ed invalse Topinione che fosse uno de' pre-
ce lati più ricchi » (2). Magnifico poi era in tutto ciò, che
riferìvasi al culto divino, per la qual cosa la sua privata sa-
grestia d'ori, d'argenti e di preziosi paramenti in singoiar
modo risplendeva. Pose insieme un'assai copiosa libreria^
che, morendo, legò ai gesuiti, e che quindi andò incorpo-
rata alla biblioteca Vittorio Emanuele. Edificò il campanile
di Santa Maria della Pace, suo titolo cardinalizio; alla ba-
silica Liberiana, della quale fu prima canonico, e poi car-
dinale arciprete (3), donò una muta di candelieri di metallo
dorato del valore di quattromila scudi (4), e oltre la metà
del prezzo di un nobile baldacchino del costo di settecento
scudi. Usava 'larghissima carità ai bisognosi, liberalmente
le offese rimetteva, e facevasi pure talvolta avvocato de' suoi
offensori; come avvenne di certo cameriere, che, rubatogli
ingente somma di danaro, fu per le sue autorevoli premure
sottratto alla galera e messo in temporaneo esilio, durante
il quale sovvenne l'infelice famiglia del ladro con stabile
assegno mensile (5). Piacevolissimo nel conversare, spes-
(i) Breve notiiia dell' ab. Doni. Sala cit.
(2) Ivi. - Abitò signorilmente per lunghi anni, in lino alla morte,
l'intiero palazzo Imperiali nella via de' Barbieri, composto di tre
grandi appartamenti e stanze terrene vastissime.
(0 MoRONi, Dii. d'erud. eccl, XII, 133.
(4) Ivi.
(5) Dalla seguente lettera, del 3 agosto 1835, a monsignor Ciacchi,
Archivio della R, Società romana di storia patria. Voi. XI. 1 7
2^6 G, Cugnoni
saggiava in motti ed arguzie, che spontanee gli correano
sul labbro. Vestiva netto ed elegante, e dèlie foggie del
governatore di Roma, raccogliesi quanto virtuosamente il derubato
si facesse avvocato del ladro.
« Il premuroso interessamento, che V. S. 111. ma e R.ma mi ha di-
ce mostrato nell'amaro frangente del furto domestico da me sofferto,
« e nelle gravi angustie che provai per più mesi, non avendo dati
« sufficienti per rintracciarne l'autore, siccome eccita in me la più
« viva gratitudine; così m'ispira la più estesa fiducia ch'Ella voglia
« prestarmi la sua mano adjutrice per dar termine a questo disgusto-
« sissimo affare.
« Rammenterà V: S. 111. ma e R.ma che la Santità di N. S. nel
«sentire l'accaduto, e nell'essere ragguagliato della mia dolorosa po-
« sizione, per un tratto singolarissimo di Sovrana Clemenza, le con-
ce ferì illimitati poteri per ammettere al benefizio dell' impunità, per
ce agire anche in via economica, e per fare tutto quello che contri-
cc buisse a sodisfare i miei desideri, e a rendermi la perduta calma.
« Il Reo Giovanni Toccaceli, che da molti anni trovavasi al mio
c( servizio in qualità di Cameriere, prima che si procedesse contro di
c( Lui, mi fece giungere qualche indizio per mezzo di Lettere anonime,
c( e manifestò apertamente in seguito la sua delinquenza al mio Se-
c( gretario, e anche a me, facendo poco dopo una eguale Confessione
(( innanzi al Giudice Processante.
« Le prove da Lui somministrate fecero conoscere avere Egli solo
ce commesso il furto senza alcun aiuto di complici, e così dileguan-
cc dosi ogni sospetto su gli altri miei famigliari, s'impedì il loro ar-
ce resto, al quale tanto ripugnava il mio cuore.
ee Sembra quindi che il Toccaceli in forza delle promesse, ch'erangli
ce state fatte, possa godere del benefizio dell'impunità.
ce Restava la seconda parte, cioè il discarico del denaro involato,
ce e la restituzione della somma tuttora esistente in potere del Reo.
ce Non può impugnarsi che sulle prime la sua confessione non fu sin-
ce cera, quantunque si prestasse senza difficoltà ad un atto legale, in
ce cui enunciò l' intero ammontare del furto, e obbligossi alla restitu-
ce zione. La renitenza a manifestare tutto schiettamente produsse il di
ce Lui arresto, dopo del quale non tardò a svelare quanto rimaneva
ce tuttora in essere, rendendo anche ragione del di più che aveva dis-
ee sipato principalmente nel giuoco del lotto.
«Frutto degl'indizi dati dal Reo fu la ricupera di oltre a mille
ce scudi, e l'assicurazione di altra somma di poco inferiore alla prima,
ce cosicché verrò io a ricuperare circa la metà del danaro involatomi.
^ella vita e degli scritti di G. CA. Sala 247
suo grado era piuttosto studioso, e Gaetano Moroni (i)
notalo come uno degli ultimi porporati, che indossassero
l'abito viatorio cardinalizio. Ebbe mezzana persona, volto
virile ed ordinariamente grave, carnagione fresca e tendente
al bruno, fronte alta e spaziosa, morati i capelli, che al so-
praggiungere della vecchiezza non imbiancarono, folte e
prominenti le ciglia, occhio nereggiante, vivissimo. Tutto
insieme, allorché morì, avea apparenza appena di cinquan-
t'anni, sebbene ne contasse settantasette. Il suo corpo, im-
balsamato, dopo le consuete solenni esequie in San Carlo
« Io considero questo articolo sotto l'aspetto di un mio privato
« interesse, e se protestai fin da principio di esser pronto a ricom-
« prare la rnia quiete a qualunque costo; è facile persuadersi che non
«mi cade neppure in pensiero d'insistere per la restituzione totale,
ce che d'altronde sarebbe impossibile ad ottenersi.
« Dunque il Fisco per questa parte rimane esonerato da ulteriori
« procedure, e se il ritardo dell' intera confessione del Reo fu meri-
« tevole di castigo, crederei che fosse punito abbastanza mediante la
« detenzione in una segreta, che ha sofferto sin qui.
« Mi avanzo quindi a pregare fervorosamente che il Toccaceli
« venga dimesso dal Carcere, e solo ardirei suggerire, che sarebbe
« espediente lo allontanarlo da Roma anche per suo vantaggio, mentre
« qui non troverebbe come impiegarsi, essendo troppo conosciuto, ed
« essendosi troppo divulgato il suo delitto.
« Spero che V. S. Ill.ma e R.ma sia per avvalorare le mie Sup-
« pliche, riportando dall'Animo clementissimo del S. Padre la grazia
« che imploro, non solo per quello spirito di mansuetudine e di ca-
« rità, che tanto conviene al mio carattere ; ma ben anche per il mio
« proprio interesse, avendo in questo triste avvenimento troppo sof-
« ferto il mio spirito, non senza notabile pregiudizio di mia salute.
« Ho positivo bisogno di tranquillizzarmi pienamente, e aspetto questo
« favore dalla Sovrana benignità.
« Ella nel coadiuvare l'adempimento de* miei desideri aggiungerà
« un nuovo titolo a quei sentimenti di distinta stima e di viva rico-
« noscenza, con i quali mi confermo nel baciare di vero cuore le mani
« Ser.* Vero
« G. A. Card. Sala ».
(1) Di:^. d'erud. ad, XLII, 157.
248 G. Cugnoni
a' Catinari, fu deposto in Santa Maria della Pace, suo titolo
cardinalizio, dove poi il nipote erede Pietro Sala gli eresse
dalla destra della porta principale del tempio onorato mo-
numento (i).
(i) Ne dettò l'elogio e la iscrizione sepolcrale il P. G. B. Rosani
delle Scuole Pie nel modo che segue:
« EUogium • Josephi • Antonii • Sala | S • R ' E • Presbyteri • Car-
« dinalis I Plumbeo • tubo * inclusum • et • cum • corpore • conditum |
« Josephus • Antonius • Sala | Presbyter • Cardinalis • titulo * Maria |
« Pacifera.
« Hic . Romae . VI . Kal. Novembr. . Anno . M . DCC . LXII .
« Josepho . Sala . et . Anna . Sacchettia . parentibus . honestissimis .
« ortus . humanioribus . litteris . ac . philosophicis . disciplinis . in .
« Collegio . Romano . egregie . excultus . Theologiae . lauream .
« Dominicanis . institutoribus . summa . ingenii . laude . meritus . est.
« Sacerdotio . initiatum . et . religionis . studium . unice . anhe-
« lantem . Petrus . Antonius . Tioli . V . C . a . quo . summopere .
« diligebatur . ad . negotia . ecclesiastica . pertractanda . usu . et .
« exercitatione . informabat . Quantum . vero . in . illa . palestra .
« profecerit . comprobavit . eventus.
« An . M . DCCC . I . Adjutor . ab . actis . Card. . Joanni . Bapti-
« stae . Caprara . in . Gallias . Legato . in . re . tam . salebrosa . et .
« piena . discriminis . animo . invictissimo . adeo . perutilem . Eccle-
« siae . Catholicae . navavit . bperam . ut . si . natio . illa . civili .
« ab . aestu . resipiscens . avitam . religionem . retinuit . haud . sua .
« laudis . parte . Josephus . noster . fraudandus . sit.
« Reversus . in . patriam . dum . ad majora . vocabatur . sensit .
« tyrannidem . Cyrnaei . hostis . qui . Pium . VII . Romana . Sede .
« exturbaverat . crudeliter . comprehensus . coactusque . exulare .
« inops . errans , gravissimas . maximasque . toleravit . aeruranas .
« Sed . animum . propositi . tenacissimum . nec . blanditiae . nec .
« minae . ab . adjutanda . Ecclesia . et . captivo . Pontifice . Maximo .
« per . epistulas . consulendo . numquam . dimovere . potuerunt.
« Pace . per . Principes. foederatos . An . M . DCCC . XIV .
« feliciter . parta . inter . Antistites . Urbanos . et . Basilicae . Libe-
« rianae . Canonicos . adlectus . difficile . dictu . est . quot . quantos-
« que . exhantlaverit . labores . in . Dioecesum . calamitatibus . re-
« parandis . in . viror. . religiosor. . Ordinibus . restituendis . ac .
« reformandis . in . christianae . reipublicae . rebus . per . Orbem .
« prospere . componendis . quorum . omnium . pars . magna . erat .
^ella vita e degli scritti di G. qA. Sala 249
Queste brevi Memorie non saranno vuote di ammae-
stramento per coloro, che dedicarono la vita ai servigi della
Chiesa romana. Modello più acconcio di dottrina, di zelo e
di disinteressatezza difficilmente potrebbe all'uopo immagi-
« ac . moderator . Praeter . alia . quotidiana . extra . ordinem . ne-
« gotia . fuit . a . Secretis . Sacri . Consilii , legitimis . ritibus . ec-
ce gnoscendis . et . Tridentinis . decretis . interpretandis . Quae . mu-
« nera . praeclarissime . obivit . ac . idcirco . Pio . VII . Leoni . XII .
« Pio . VITI . Pontificibus . Maximis . acceptissimus . probatissimus.
« Tarn , eximiis . ornatum • meritis . Gregorius . XVI . P. . M. .
« prid. . Kal. Octobr. . Anno . M . DCCC . XXXI . in . Patrum . Car-
« dinalium . Collegium . plaudente . toto . Orbe . Catholico . coopta-
« vit . At . purpura . fuit . praemium . virtutis . non . arrha . quietis .
« Nullum . ferme . fuit . in . Urbe . Sacrum . Consilium . cui . non .
« addictus . et . in . quo . plurimi . non . habita . sententia . ejus .
« Primum . Sacro . Consilio . Libris . notandis . deinde . Negotiis .
« Episcoporum . et . Religiosorum . Ordinum . expediendis . sapien-
« tissime . praefuit . Valetudinarium . depositorum , soUicitudine . ac .
« vigilantia . refecit . Nosocomium . Joannianum . Lateranense . Col-
te legio . Foeminarum . a . misericordia . adauxit . deditque. leges .
« sanctissimas . Templum . sui . tituli . pretiosa . supellectile . locu-
« pletavit . Cholerica . pestilitate . per . Urbem . grassante . An. .
« M , DCCC . XXXVII . praepositus . publicae . incolumitati . tuen-
K dae . ope . providentia . Consilio . fovit . aegrotos . egenos . erexit .
« nemini . defuit.
« Hisce . tam . diuturnis . tam . improbis . laboribus . defatiga-
« tus . cum . pertinax . herpes . quo . jamdiu . laborabat . ex . epider-
« mide . in . interiores . corporis . partes . penitus . recessisset . gravius .
« aegrotare . coepit . Accedente . morbo . regio . frustra . adhibitis .
<( medicae . artis . praesidiis . mortem . vitae . consentaneam . pie .
« sancte . fortiter . oppetiit . ingenti . bonorum . omnium . moerore .
« IX . Kal. Jul. . An. . M . DCCC . XXXIX.
« Vir . nihil . ad . assentationem . omnia . ad . veritatem . lo-
« quens . piotate . in . Deum . benignitate . in . egenos . innocentia .
« morum . scientia . divinarum . rerum . spcctatissimus . adversis .
« calamitatum . fluctibus . immersabilis . fulgens . intaminatis . hono-
« ribus . in . hoc . unum . semper . intcndit . ingenium . cogitationes .
« curas . et . operam . ut . Sedis . Apostolicae . jura . tueretur . di-
« gnitatem . amplificaret.
« Salve . Coelo . recepte . salve . inclyte . Josephe . tuorum . me-
250 ' G, Ciignoni
narsi. Non abbracciò già il Sala il sacerdozio come scala a
salire; ma sì come arringo fliticoso, né da altra speranza
confortato, che di una eterna mercede di là della tomba.
Che se anche su questa terra non gli mancarono agi ed
onori, egli certo non li cercò, e anzi si può affermare, che
facesse di tutto per non averH. Lontanissimo dal simulare
e dall'adulare, le due pessime, più usate e sicure arti degli
ambiziosi; disse sempre con cristiano coraggio tutta ed
aperta la verità, a costo anche della vita. Non andò mai
a' versi de' grandi (i), e fuggi ogni mostra di troppo ligia
(c moria . benefactorum . manebit . perpetuo . infixa . animo . nostro .
« et . dum . religio . doctrina . caritas . erunt . in . honore . apud .
« homines . nulla . unquam . de . tuis . promeritis . silebit . posteritas .
« Epìtaphium | Inscriptum . tumulo | Cardìnalis . Sala [ In . tem-
« pio I Mariae . Sanctae . a . Pace .
« Qvieti . et . memoriae | losephi . Antonii . Salae | S. . E. . R. .
« Presbyteri . Cardinalis | Ingenio . doctrina . religione . pietate . in-
« signis I Qyi virtvtis . ivstitiaeqve . propvgnator . acerrimvs | In*.
« Gallica legatione . Card. . Caprarae . adivtor | Apostolicae . Sedis .
« ivra I Eximìa . animi . magnitvdine . constantia . adservit | Div-
«tvrnis . laboribus .per . adversa . praesertim . tempora | De . Ca-
« tholica . Ecclesia , egregie . meritvs . est | Plvrimis . vrbanis . V2.-
« letvdinariis . regvndis . Antistes . datvs | Stvdiosissimam . diligen-
« tissimamqve . praestitit . operam | A . Gregorio . XVI . Pont. Max. |
« In . Patrvm . Cardinalivm . CoUegivm . cooptatvs | Archipresbyter .
« Liberianae . Basilicae | omnibvs . fere . Sacris . Consiliìs . adscri-
« ptvs I Praefvit . primvm . Sacro . Consilio . libris . notandis | Dein ,
« alteri . negotiis . et consult. . Episcopp. . et . Sodd. . Religiosor. |
« Cholerica . pestilitate . Romani . depopvlante ( Praepositvs . pro-
« videntissimvs . extra . ordinem | Pvblicae . ìncolvmitati . tvendae |
« Cvnctis . mvnerìbvs . honoribvs . sancte . perfvnctvs | Singulari .
« in egenos . liberalitate . enitvit | vixit . a. . LXXVI . m. . Vili . d. .
« XXVI I Decessit . dolor . et . Ivctvs . bonorvm . omnìvm | IX .
(c Kal. . Ivi . Anno . MDCCCXXXVIIII | Hoc . in . tempio . sede .
« titvli . sui I Quod . mire . dilexit | Ac . praetiosis . omnis . generis .
« donariis . locvpletavit | Condi . volvit | Petrvs . Sala eqves . pa-
ce truo . optimo . B. . M. . P. . C. ».
(i) Veggasene un esempio a pag. 289 del voi. XLIX del Dix_.
d'erud. ecd. di Gaetano Moroni. In una lettera dell' 8 ottobre 1831
^ella vita e degli scritti di G. qA. Sala 251
suggezione, serbando ognora in faccia all'autorità o pregiu-
dicata, o prepotente la dignità dell'uomo e del sacerdote.
E da ciò si chiarisce come un personaggio di cosi alto va-
lore non fosse premiato con la porpora che settuagenario,
dopo essersi affaticato per più di quarant'anni in prò della
Chiesa e dello Stato, e in negozi di massima conseguenza;
mentre tanti altri, men degni, o disutili, sono pressoché
imberbi portati a volo a quell'altezza. Non fu avido di ric-
chezze, e non ne ebbe, né si valse della sua autorità e del
suo credito per fabbricare tumultuari patrimoni ai con-
giunti (i): e i modesti proventi degli esercitati uffici volse
sempre al decoro del suo grado, ai servigi del culto, al
solHevo del prossimo. Attese con diligenza ed assiduità ma-
ravigliosa allo spaccio degl' infiniti e spesso gelosissimi ne-
gozi si ordinari delle sue cariche, e si straordinariamente
commessigli ; non dandoli punto a studiare a consulenti o
uditori; ma di per se stesso esaminandoli e rivoltandoli per
ogni verso : e dove a tale ricerca gli venisse meno il giorno,
proseguivala nella notte, togliendosi dagli occhi il sonno,
del quale ebbe sempre pochissimo bisogno ; come fu altresì
del cibo, che prendeva scarsissimo, e non bevea vino. Per
tal modo accadeva, che alle sue determinazioni altri non
potesse far mai censura, e che ne' consigli delle Congrega-
zioni il suo voto sempre prevalesse. Lo che davagli fra i
colleghi una certa autorità universalmente riconosciuta,
della quale però egli non abusava procedendo tronfio e con
aria di protezione, come usano i dappoco fra le pieghe e gli
a mons. Polidori, segretario del Concistoro, così scrive : « Io nella
« mia piccolezza mi glorierò sempre di essere stato negligentato,
« perchè nemico acerrimo dell'adulazione e sostenitore imperterrito
«della verità, a fronte anche de' potentati della terra».
(i) Del suo modesto patrimonio, oltre ad alcuni legati in danaro
ed in robe a congiunti, amici, famigliari, chiese e pii istituti, chiamò
erede fiduciario, con testamento del 28 ottobre 1833, il suo nipote
Pietro Sala.
252 G. Cugnoni
svolazzi delle sete paonazze e porporine; ma trattava con
tutti alla buona, e spesso scherzevolmente, da parere tal-
volta per poco rude e disadorno. Sostenuto, ma manieroso,
coi suggetti; riservato coi supplicanti, difficilmente promet-
teva, ma difficilmente pure non esaudiva : e morendo si
consolò « che non gli rimordesse la coscienza di ninna vo-
« lontaria ingiustizia » .
Cosi, passando per questa vita, compiè Giuseppe An-
tonio Sala le parti di sacerdote santo ed operoso, al quale,
pel bene della Chiesa, è desiderabile che molti si rasso-
miglino.
G. Cugnoni.
DOCUMENTI MILANESI
INTORNO A PAOLO II E AL CARD. RIARIO
I. Cicco Simoìietta e papa Paolo II
(1470-
I Cicco Simonetta « per grandezza e per lunga
pratica eccellentissimo », come ebbe a proclamarlo
il Machiavelli (i), non occorre tessere la biografia,
che ben note sono T opera sua quale segretario dei duchi
Francesco e Galeazzo Maria Sforza e la miseranda fine sugli
spalti del castello di Pavia nell'ottobre 1480. Fu uomo dot-
tissimo e d' una fedeltà a tutta prova (2).
È però prezzo dell' opera comunicare una importantis-
sima lettera diretta dal Simonetta, ai 19 febbraio 1471, al-
l' ambasciatore milanese Antonio de' Bracelli in Roma, colla
quale si scagiona delle accuse mossegli da papa Paolo IL
La lettera è lunga, ma altrettanto interessante per la
franchezza che ne traspira, congiunta a talune particolarità
finora rimaste ignote. Porta la firma autografa del celebre
segretario calabrese, ma il testo della lettera è calligrafia di
qualche addetto alla cancelleria ducale sforzesca.
(i) Ut. fiorentine, Vili, 405.
(2) ViLLARi, Machiavelli, I, 39.
Archivio della R. Società romanci di stori j patria. Voi. XI.
18
254 ^' ^otta
I principali appunti mossigli dal papa, e che Cicco ri-
batte, ci sembra vittoriosamente, erano di poca gratitudine
verso Paolo II per i benefìci resigli; di scemato interesse
per le cose pontificie, e di eccitamento del duca Sforza a
scrìvere in mala parte del papa al re di Francia. Rimprove-
ravaglisi altresì d'essere amico del re Fernando d'Aragona,
qualificandolo degna razza di calabrese, peggiore della na-
politana !
I lettori àdV Archivio consultino attentamente la difesa del
Simonetta. Il documento gioverà egualmente per la costui
biografia come per quella di Paolo II, morto pochi mesi
dopo dalla data del documento (agosto 1471), e la fine del
quale fu accolta da' Veneziani, suoi concittadini, con gaudio
fuor di misura. « Non si poterla dire quanta festa ha facto
a questa cita universalmente de questa morte (scriveva allo
« Sforza il suo oratore in Venezia, Gerardo Colli, ai 2 ago-
« sto 147 1) (i), io me ritrovay qua ala sua creatione, ma
« niente fu la alegreza de alora ad quella della morte. In
« soma si havesaro recuperato Ne^roponte non haveriano più
(( craudio et ano scripto ad Roma a tutj li lor cardinali amici
« vogliano far capo et ellegere Niceno grecho » (il Bessa-
rione) (2). Ma riuscì Sisto IV savonese.
Ed ecco la menzionata giustificazione di Cicco Simo-
netta.
Magnifice et prestantissime doctor, tanquam frater honorandissime.
Ritrovandose de presente la Magnificentia Vostra presso la Santità
de Nostro Signore m è parso confidentemente darvi faticha de expo-
nere alla Santità Soa la risposta de alcune cose che quella ha havuto
ad dire con diverse persone, et in diversi tempi, circa li facti mei,
comò intendarete qui de sotto. Le quale cose ve sforzareti fargli ben
(i) Arch. di Stato di Milano, Potenze estere: Venezia.
(2) Per la scissura di Venezia con Paolo II (Barbo) vedi il Ma-
LiPiERi (Annali Veneti) e gli altri autori. Supponiamo que' fatti a co-
noscenza di chi ci legge.
T*aolo II e il Card. T{iario 255
intendere, exponendole con quella reverentia et humilità che se con-
vene al Summo Pontifice, et come me rendo certo che per vostra
summa prudentia sapereti meglio exponere et dire che non vi saperla
mi scrivere, né ricordare.
El è già bon pezzo che prefata Santità ha dicto che quella è semper
stata ben disposta verso mi in compiacerme, et che da ley ho havuto
molti benefici] et gratie, et tra le altre cose me haveva compiaciuto
gratis de una dispensa matrimoniale, quale non seria facta ad altri
per 500 ducati, ma che mi non riconosceva ali bisogni] li suoy be-
nefici], cioè in non essere stato fautore alle cose soe; et che la San-
tità Soa desijderaria eh io me disponesse ad dare più favore alle cose
de Sancta Chiesia et soe, che non ho facto per el passato. Ha etiamdio
dicto chio ho dicto male de Soa Santità et che ho confortato questo
nostro 111."^° Signore ad'scrivere male de quella alla Maestà del Re
de Pranza: et con alcuni altri ha havuto ad dire eh io son più affectio-
nato alla Maestà del Re Ferrando che alla Santità Soa ; et demum
che li Sicihani hanno fama dessere cativi, ma che se impichariano
per la golia, se li Calavresi non fuossero più cativi de loro etc. Delle
quale cose ne ho preso non pocha admiratione, perchè diete cose
sono edificate et suggeste molto longo da la verità.
Et respondendo prima alla parte che Soa Beatitudine dice haverme
facti de molti benefici], et tra H altri haverme compiaciuto dessa di-
spensa matrimoniale etc. è vero: vedendo mi in simile caso, comò
era el mio, che 1 papa non si rende difficile ad concedere tale dispense,
delle quale ne ha compiaciuto et compiace ogni dì ad molti, fu sup-
plicato ad Soa Santità che se dignasse dispensare tale gratia, cre-
dendome non dovesse denegare quello che senza difficultà concede
ad altri. La Soa Santità me tene in pratica el spacio circa sey mesi,
mostrandose alle volte bene disposta, et interdum gli ingeriva delle
difficultate che non accadevano ad proposito. Puoy dixeche dovendola
fare ne voleva mille ducati, se reduxe deinde alli octocenti, tertio et
ultimo alli 500. Ex quo vedendo che ogni dì gli emergeva qualche
nova difficultà, fu necessario che li ambaxiatori del 111.'"^ Sig.""® no-
stro, che ad quello tempo se ritrovarono lì, ne prendessero caricho.
Et sic havendo havuto la cosa in pendente tanto tempo corno è dicto,
tandem per el mezzo de dicti ambaxiatori me concesse gratis dieta
dispensa, la quale per essere stata molto tempo in dilatione, non ha
parturìto fructo alcuno, immo parturito el contrario del bisognio. Che
quando l'havessc facto al principio, come poteva, havria operato 1 ef-
fecto suo. Siche dove la Beatitudine Soa se credeva haverme facto
uno singulare et relevato beneficio, tengo che per la tardità soa me
habia facto el contrario.
2^6 E. oMotta
Appresso che la Santità Soa voglia dire haverme compiaciuto de
labbadia de S.^° Bartholomeo de Pavia per uno de li mei figlioli (i):
dico con debita reverentia, che de questo el mio IH.'"" Signore ha
supplicato alla Santità Soa, et ad luy quella mha compiaciuta, siche
con bona venia de Soa Santità dico chel mio Signore ne è obbligato
ad quella, et io ad Soa Signoria et non ad prefata Santità. Havria
ben havuto ad caro et reputato per gratia da Soa Santità quando li-
beramente me havesse conceduto che dieta abbadia fuosse conferita
ad mio figliolo legitimo, comò fu supplicato prima, ad che havendo
la Santità Soa facto difficultà per rispecto della minorità desso mio
legitimo (2), è vero che messer Augustino Rosso 1 obtenete per Gui-
dantonio mio figliolo naturale, ad questo effecto che Soa Santità puoy
da lì ad uno pezzo la conferesse ad dicto mio legitimo. Per il che fu
reiterata già mesi xviij la suplicatione ad Soa Santità et quella me
fece respondere eh io vedesse, che tucto quello che la poteva fare
circa ciò, salva conscientia, era contenta de farlo volontieri. Fece fare
uno consiglio examinato et sottoscripto de mano de sette sive octo
doctori theologhi et canonisti, quali tucti concorreno in questo pa-
rere che Soa Santità può dare in commenda ad esso mio figliolo le-
gitimo dieta abbadia, non obstante la minorità, distribuendo in tre
parte le intrate dessa abbadia, quale è circa ducati seycento: cioè la
terza parte alli monaci per el vivere suo, 1 altra parte per la fabrica
della chiesa et 1 altra terza parte ad esso mìo figliolo. Et non havendo
la Santità Soa fin qui facto altra expeditione circa ciò, non so se de
quello che facilmente compiace ad altri, che è de consuetudine et
recusa farlo ad me, debba mettere queste cose nel numero de li be-
nefici] che quella dice havermi facti. Confesso ben questo: bavere
obtenuto uno breve absolutorio da Soa Santità quale ho instato de
bavere solum prò forma, et non già per robba che havesse may del
(i) Trattasi di Guid' Antonio, figlio naturale del Simonetta, avuto
nel 145 1 in Lodi da una tale Giacobina.
Dal 1466 al 1479 ^^ ^^ trova commendatario dell'abbazia di Brembo
nel Lodigiano e di quella di S. Bartolomeo in Pavia (Cfr. Redaelli,
« Biogr. di Cicco Simonetta » in Annali universali di statistica, di Mi-
lano, aprile-giugno 1829, pp. 276-277).
(2) Cicco Simonetta si maritava nel 1452, a 42 anni, con Elisa-
betta Visconti, figlia di Gaspare, segretario ducale, ed ebbe sette figli
in undici anni. Qui trattasi d'uno dei quattro maschi: Gio. Giacomo,
Antonio, Sigismondo o Lodovico (Cfr, Redaelli, loc. cit., p. 277;
LiTTA, Famiglia Simonetta).
T^aolo II e il Card, T{iarìo 257
altruy illicitamente né robbato ad homo che vive, né anche perchè
may commettesse homicidio che fin qui non ho facto, né é mia in-
tentione de fare, ma de operare bene et vivere comò Christiane et
catholico. Et benché de questi se ne faciagratia ad molti, nondimancho
ne resto obligatissimo ad Soa Santità quanto dire se possa; et così
vuy gli ne rendereti condigne gratie da mia parte.
Quanto ad quello che la Santità Soa dica eh ella desyderaria eh io
me disponesse ad dare più favore alle cose de Sancta Chiesa et soe,
che non ho facto per el passato, dico che voluntieri io voria essere
de tale condlcione et auctorità, che io potesse fare quello che dice
soa Santità, cioè de giovare ad quella et ad Santa Chiesa, chel faria
voluntiera, comò é debito de caduno catholico. Ma essendo la con-
dlcione mia minima, non vedo che 1 accade quello che Soa Santità
dice. Et pure quello poco eh io potesse, potendolo fare con reserva-
tione del honore et debito mio, lo faria volontieri, comò è dicto. Ben
debbe pensare la Santità Soa che manegiando le cose eh io manegio
per rispeeto al officio mio d essere secretarlo, che richiede ut non solum
carcam culpa, sed etiam suspicione et per essere feudatario et che ho
jurato fidelità non una volta ma più volte, così in mane del Sig.''^
passato comò de questo, sono obstricto per tutti questi vincuh, ultra
la naturale fede et servitù, non dependere da altro luocho che da
qui. Et se io non volesse mutare la natura, me seria admodum im-
possibile in eterno declinare da quella eh essa mia natura me ha in-
clynato; et deinde li vineuli et oblighi de la fidelità mia me stringono,
per essere io allevato et instrueto sotto quello mio Signore et maestro,
quale fu de quella magnanimità, virtuie et prudentia che s è veduto,
che se può dire essere stato splendore de Italiam, da 1 excellentia del
quale hebbe in instructione et commandamento che io non havesse
may dependentia da persona de questo mondo che da quella eh io
serviva. Et secundum mandatum quod dedit mihi pater, ita feci, et
facio et faciam. Dicendogli ultra ciò quod ego sum Cichus parvulus,
Jhesu Christi servulus et vere sfortianus, confidens semper in verbis
Domini ubi dicit : euge serve fidelis, quia in pauco fuisti fidelìs, super
multa te constituam etc. Siche son vero servitore et schiavo del
111.'"° Sig."" duca Galeaz, et non son el vescovo da Parma né messer
Angustino Rosso, né altri che sa la Santità Soa, che non voglio no-
minare per più honestà. Et questo basta quanto ad questa parie.
Alla parte eh io habia dicto male de Soa Santità io non son né
me tengo d essere reputato così lezero, quod auderem ponere os in
celum però chel non fu may mio costume de dire male d homo che
viva et maxime della Santità Soa, quale è vicario de Christo qui in
terra.
258 E. adotta
Alla parte eh io habia confortato el prelibato Signore nostro ad
scrivere male de Soa Santità al Sig/^ Re de Pranza, dico così che
sicome io non dixe may malo de Soa Santità, né hebbe may vena
che gli pensasse, conoscendo mi la perfectissima dispositione, fede
et devotione che de continuo ha portato et porta 1 ex^^* del Signore
nostro verso Soa Beatitudine, molto mancho è da credere chio habia
persuaso Soa Sig."^ ad scrivere cosa alcuna in mancho d honore de
quella perchè questo nostro 111."^° Sig/'^ è de tale bontà et grandeza din-
zegno, et de tale devotione verso la Beatitudine Soa che frustra la-
borare esset, quando né mi né altri volessimo persuadere el contrario.
Che prefata Santità dica che tutti li Calavresi siano cativi, perché
questo tocha ad mi, respondo così che la Calabria é la più fertile et la
megliore provincia che sia nel Reame benché la sia nel uhima et ex-
trema parte de Italia. Nondimancho in Calabria gli ne sono et de
boni et de cativi, comò é anchora ad Vinexia, ad Roma, ad Napoli
et ad Milano et neli altri luochi: pure io me reputo nel numero de
li boni, et credo haverne facto le opre et professione, che ne pono
testificare qualche parte. Et quando fuosse licito ad fare compara-
tione da prelato ad seculare, credo gli siano de tali prelati che quanto
al vivere dirìtamente et bonamente, io non seria stimato in questa
parte inferiore, resservando però la sacra et grado spirituale.
Alla parte eh io sia più affectionato al Re Ferrando che ad Soa
Santità é vero che Calabria, provintia del prefato sig.""^ Re per geni-
tura é stato, patria originaria ad messer Angelo mio barba, ad mi,
mei fratelli et tutti li altri de casa mia. Ma per essere puoy tucti nuy,
barba et fratelli et molti altri de casa nostra allevati usque ab ineunte
etate in casa sforzesca et continuati semper et fidelmente ne li ser-
vitij suoy, cioè esso messer Angelo per anni 1 iiij°'vel circa, et io
circa anni 39 in 40, havemo mei fratelli, et mi, et altri de casa no-
stra, che siamo de qua, renuntiato ad quella patria né più intendemo
bavere affare con quella, perché la nostra patria è questa dove è la
casa sforzesca, in la quale sinmo accresciuti et allevati: et lo nostro
bene è qui, et ubi bonum ibi patria, ergo etc.
Vivente autem la felice memoria del 111.'"" qd."^ duca Francesco,
la Maestà del Re dapuoy chel reame fu reducto ad tranquillità, me
volse donare castelle et terre. Io non volse may acceptare tanto che
valesse uno soldo, etiam chel prefato sig.'' duca Francesco fuosse
contento, perché sicome io era allevo et servitore de Soa Sig.''^^ ap-
presso el quale, vindicato perpetua patria, così etiandio la mia natu-
rale servitù et fermo proposito, me moveva ad non reconoscere be-
neficio d alcuno altro principe né persona del mondo che da Soa
Signoria, la quale per soa benignità et liberalità me provedete per
T^aolo II e il Card, ^ario 259
tale forma che per quello et per la gratia et amore che ho da questo
111.™° Principe duca Galeaz suo figliolo me trovo, gratia Dei, havere
tante facultate et beni de la fortuna, acquistati con mie extreme fati-
che et sudori, che ho da vivere honorevolmente per mi, mei fratelli,
mei figlioli et tutti quelli de casa mia.
Essendo aduncha el longo habito convertito in natura, me seria
difficile, immo impossibile reconoscere né havere altra patria, né altro
signore che questo eh io servo de presente : imitando quello proverbio
O serve corno servo, o juge corno cervo. Et quello mio signore passato,
et così questo presente, veramente poteva dire: Non inveni tantam
fidem in Israel, et tu es Petrus et super hanc petram aedificabo etc.
Et non me tribuisco questo ad arrogantia per doctrina né virtù che
habia, ma per una sincerissima fede et integerrima devotione mia, et
de tutti li mei verso questa 111."^^ Casa, quali siamo stati, et siamo
sinceri et neti et nullus nostrorum unquam venalis fuit etc.
Dal altra parte credo habiati inteso che tucta la provincia de Ca-
labria si è Angiovina, et maxime la casa mia : et lo principe de Ros-
sano per tale sospecto è deponuto da la signoria et da mancho da
quatri anni in qua per la parte Angiovina alcuni de li mei ne sono
stati privati de qualche suoy beni. Et mentre chel reame de Napoli
era posseduto dal re Renato, nuy et tucta la casa nostra semper heb-
bemo de grande honore et benefici] da Soa Maestà, ne dubito quando
quella fuesse richiesta, et gli potesse fare cosa grata et accepta, gli
la farla anchora voluntieri et de bona voglia, comò ad suoy carissimi
servitori che gli sono. Siche se prefata Santità tene questa opinione
de mi, el é tanto da longe dalla verità quanto è da qui in India, et
inganase molto del opinione soa. Et se non chel non è lecito né
honesto ad uno mio pare de bassa et infima condicione, come son
io, de parlare in alcuno obprobrio de Signori né grandi Maestri, par-
larla taliter del dicto Re che non dubito, se maravigliarla grandemente
Soa Santità, Ma per honestà voglio tacere.
De la fede et devotione mia verso la Santità Soa el non é da fare
parole perché 1 è cosi cosa minima chel non n é da farne mencione.
Ma corno bon christiano et bon catholico, dove che me son trovato,
ho ricordato sempre el bene et honore de Soa Santità et de Sancta
Chiesa presso questo 111.'"° Sig.""^ quantunche non è stato necessario,
ne che mi né che alcuno altro che gli staga appresso gli ricordasse
questo, perché da sé stesso, suo instinctu et dispositione, è stato et é
dispostissimo al bene et honore de Soa Santità et Sede Apostolica :
et lo ha dimostrato con cfTecto ne le cose de Arimino, perché se Soa
Ex."* non fuosse stata de quella dispositione che 1 era et non ha-
vesse facta la reparatione che i^ct^ so come le cose de Sua Santità
26o E. oMotta
et Sancta Chiesa in che ruina sarebbeno andate, et la Santità Soa lo
sa bene anchora ley. Et se questo Sig/^ mio fuosse stato figHolo de
Soa Santità o uno de li cardinali suoy, non so come havesse potuto
fare né operare più in beneficio de quello et de Sancta Chiesa comò
fece. Del opra mia noi voglio dire, perchè non me pare molto hone-
sto. Ma perchè spero pure che questo mio ili.™" sig/^ qualche volta
se havrà abbochare con Soa Santità lassarò et de questo et de le
cose del re Ferrando, che 1 Ex.^^^ Sua come meglio informatissima de
mi ne renderà vero testimonio alla Soa Santità, che son certo quando
1 havrà inteso sera de contraria opinione che 1 è de presenti. Et perchè
quella ha dicto più volte con alcuni che non me sa intendere, dico
quando la Santità Soa havrà inteso tutta questa mia lettera, me rendo
certo che quella restarà chiara et fuori de questo dubio.
Fin qui ho dicto in resposta de quelle cose che la Santità Soa s è
lamentada de mi : hora accadendo assay in proposito, m è parso non
tacere questo che io dirò adesso, non per querela, ma per una infor-
matione et commemoratione. Vivendo la recolenda memoria de papa
Pio, la Santità Soa ad intercessione del prefato IH.'"'' Sig.""® passato
duca Francesco, conferite labbadia de Sancto Zohanne de Fiore in
Calabria ad uno mio nepote (i): et fu pronunciato abbate canonice
in pieno consistono, et per vigore delle bolle fu messo alla posses-
sione, et goldetela pacificamente per el spacio de tri anni. Sublata
autem ex humanis la Beatitudine Soa, dicto mio nepote fu levato de
facto per el presente pontifice da la possessione ad instantia de uno
fra Karlo Sytaro, quale diceva pretendere bavere certe rason, benché
non n havesse alcuna in dieta abbadia, perché altre volte 1 haveva im-
petrata falsamente per fiorini cento, donde vale seycento vel circa,
per il che fu necessitato ad piatire circa anni tri o quatro, facendogli
de molte injurie : non volendo may concedere cosa alcuna, che la
rasone permettesse, et luy et tucti quelli de casa furono scommuni-
cati et interdicti per li grandi /avori che faceva Soa Santità ad esso
fra Karlo. Tandem da puoy longo litigio et dispendio è stato de ne-
cessità eh esso mio nepote habia redemuto la rasone soa con dinari
dati al adversario oltra el dispendio grandissimo et strage che ha
havuto. Pure ad questo prestò patientia, veduto quello ha facto ad
(i) Il nipote dovrebb'essere Cesare Prothospatharo, di Calabria,
forse figlio di Matteo, fi'atello di Cicco Simonetta, e che quest'ultimo
ricorda nel suo Diario (ms. all'Archivio di Stato milanese) ai 25 no-
vembre 1473. (y- Redaelli, loc. cìt., I, 1829, p. 176 in nota e II,
p. 267).
T^aolo II e il Card, ^arìo 261
questo mio Signore che è hormai cinque o sey anni, che ha tenuto
in praticha Soa Signoria per labbadia de Chiaravale, che è del 111.'""'
et Rev.'"" monsg/® Ascanio suo fratello, che non ha anchora potuto
havere 1 expeditione de le bolle de dieta abbadia per suppUcatione
né per instantia che habia saputo fare. Siche havendo prestato pa-
tientia Soa Ex."% non pare honesto ad mi de lamentare : el poria però
essere che queste cose diete de sopra sariano facte preter scientiam
et voluntatem de Soa Santità, nondimancho quanto al effecto, come
voglia se sia, esso mio nepote ha patito tucti questi disturbi], incom-
modi et dispendi]. Ma per certificare la Santità Soa né per questo né
per veruno altro rispecto, per mi se restarà may eh io non facia 1 of-
ficio de vero et bon servitore, et comò deve fare ciascuno fidele chri-
stiano et bon catholico verso la Santità Soa et Santa Chiesa, in tucte
quelle cose che accaderano in beneficio et honore de Soa Santità per
quello pocho ch'io posso, con reservatione del honore et debito mio
corno è diete de sopra.
In questa mia lettera poria anche essere che harebbe dicto qual-
che cosa più che non seria al bisogno. Ma me confido tanto ne la
benignità et clementia de Soa Santità et in la prudentia vostra, che
sporzareti questa cosa sì saviamente che la prefata Santità acceptarà
ogni cosa ad bon fine, alli pedi de la qua!e me recommandereti
humelmente.
Dat. Papié die xviiii'' februarij 147 1.
Vester Cichus manu propria,
f Ihesus autem transiens per medium illorum ibat. f
[A tergol. Magnifico et prestantissimo J. U. doctori et patri hono-
randi.^®""° domno Antonio de Bracellis consiliario et....
Rome, cito (i).
(i) Arch. Milano, Carteggio diplomatico, cartella n. 331.
262
E. motta
II. La morte del cardinale Riario.
(1474).
Al pari di quella di Cicco Simonetta, anzi di più, presso
gli storici romani, è nota la vita di Pietro Riario, cardinale
di S. Sisto e nepote di papa Sisto IV. La di lui morte,
come si sa, avvenne ai 5 gennaio 1474, nel bel fiore di
sua età, per eccesso di piaceri o per veleno, come altri
dissero. Ci sia concesso di non diffonderci oltre intorno
al lusso sfoggiato dal Riario nel 1473 in Roma, in occa-
sione del passaggio di Eleonora d'Aragona (i), ed in Lom-
bardia, recatovisi a trovare l'alleato duca Galeazzo Maria
Sforza.
Interesserà invece di conoscere una testimonianza si-
cura, e dell' epoca, del come spirasse il Riario, e chi ce la
fornisce, nel medesimo giorno del di lui decesso (lettera
5 gennaio 1474) è l' ambasciatore milanese presso il papa,
il protonotario apostolico Sagramoro da Rimini, presente
all' agonia del S. Sisto.
Ecco quanto scriveva al suo signore a Milano:
111."^° p. et Ex."^® Sig/^ mio singularìssimo. Quando io consy-
dero ala gran perdita che questa matina ale XIIJ bore ha fatto la
V. III.'"'' Sig."^ de uno sì sviserato amico et partexano corno era
(i) Vedi le informazioni curiose offerte dal Corvisieri in questo
Archivio (I, IV, 1878 e X, 1887) nel suo lavoro: « Il trionfo romano di
Eleonora d'Aragona nel giugno del 1473 ^'- Diffuso, degli storici
dell'epoca, il milanese Bernardino Corio.
Cfr. altresì : Una cma carnevalesca del cardinale Pietro Riario. Let-
tera inedita di Lodovico Genovesi (a Barbara di Brandenburgo, mar-
chesa di Mantova), 2 marzo 1473. Roma, Forzani, pp. 13, in-8°.
Opuscolo per nozze Vigo-Magenta,
Taolo II ^ il Card. T{iario 263
el nostro Rever."^® cardinale de San Sisto, duro me è parso essere
quello che li significhi tal novella. Pur el mio debito voi così.
Il bon signore è morto cum tale contritione usque a 1 ultimo
fiato, che sei fosse vissò (vissuto) semper in uno heremo, io non
credo che Riavesse possuto farne più. La confessione sua, Sua pre-
fata Sig.'"'" non una volta ma omne dì due o tre volte 1 ha voluta
fare, chiamando spesso el veschovo de Viterbo et adomandandoli
et pregandolo chel pensasse se cosa alchuna el se recordasse de che
luy non havesse così ala memoria. De la comunione non bixognia
dire che la tolse cum tale parole chel demostrò reconoscere le gratie
havute da Dio et la fragilità de questo mondo : et sei stomacho non
fosse stato così mal disposto, omne matina 1 haverìa fatto. Poi ve-
dendosi strengere da la morte chiamò tutta la famiglia et parlò a
tutti, domandandoli perdono se Sua Rev."'^ Sig.""^^ may li havesse fatto
offensione, et pregandoli che quello amore che haveano portati al
corpo, lo volesseno volgere al anima, che li seria più caro. Et disse
chel se adaptava volontera ala volontà de Dio, et uxò queste for-
male parole: « Cupio dissolvi et esse cum Christo». Solo li pesava el
morire per non havere possuto demostrare a tutti li soy amici et a
loro servituri gratitudine de la loro fede et fatiche, ma che li las-
sava in le brazze de N. Signore che facesse quello paresse ala sua
bontà. Et ita fecit. Et his dictis chiamolli tutti ad uno ad uno se-
cundum ordinem et baxolli et abrazolli, che per Dio, Signore mio,
non fò persona che non li schiattasse el core. Deinde retornò ala
croce et racomandandosi a Dio la strengeva dicendo : « Domine mi-
serere. mey. Io non so se may più bavero tempo a baxarti ». Post-
modum mandò el ditto veschovo a pregare nostro signore che ha-
vesse per racomandato el Conte Hyeronimo et che lo racomandasse
ala lU.'"^ Sig."", et tanto più quanto sua prefata Rev.'"'^ Sig."'^ non ce
seria più. Et le medesime parole ha ditto a mi, dicendo io me ne
vò tanto più consolato quanto io spero che 1 amore del Signore ac-
crescerà verso el conte, manchandoli io, et spero che Sua Ex.^'* se
recordarà de la mia servitù et affectione verso quelle. Et molte altre
cose ha fatto et ditte in questo ultimo suo, che per Dio ha demo-
stro essere altro che quello che 1 è parso vivente et che altri 1 ha
giudichato. Et fino al ultimo spirito, el disse tre vo\iQjesu,Jcsu, mi-
serere mey et siandoli letto el passio, quando el frate che lo legeva
diceva quelle parole et inclynato capite emisit spiritnm, cosi luy cmisit
ultimum spiritum. El nostro Varixino (i) ha demostro in questo la
(i) Varesino. Forse Carlo Varesino, famiglio ducale, il cui nome
ricorre spesso nei documenti sforzeschi dcWArchivio Milanese. Nel
2^4 ^^W E. oMotta
sua fede che may ha lassato Sua Rev.'"^ Sig."'* et cum tanta fede che
veramente 1 ha fatto prova essere fidele et bono giovene: dicolo per-
chè 1 è stato obediente ali comandamenti che la Excellentia Vostra
li havea fatto et in vita et in morte. El povero Conte (i) è moggio,
fora de sì, tamen pur fa prova de la sua virtù per non attristare
Nostro Sig." che ne haverà uno colpo excessivo : et ben li bexogna
boni conforti etiam da la Sublimità Vostra corno scripsi a questi
di che bono seria a farly. Racomandasi el prefato Conte a quella et
hammi pregato che io la supplichi che la voglia havere per raco-
mandato corno è sua ferma speranza. Racomandomi a ley.
Rome v.^ Januarii 1474.
Servulus Sacramorus.
[a tergo']
principi et Ex."^° domino, domino
domino Duci Mediolani (2).
Aggiungiamo, a titolo di curiosità, T informazione che,
ai 30 dicembre 1473, dava allo Sforza, da Roma, il vescovo
Arcimboldi (3) d' una nuova e stupenda cattedra fatta fare
dal cardinale Riario. Scriveva:
L altro giorno el nostro mons/^ de Santo Sixto ne ha dato un altro
disnare non mancho pontificale che 1 altro, et poy ce monstre alcune
de le sue degne cose che ha. Tra le altre una cathedra che nova-
mente ha facto fare, coperta de brochato doro cremesino bellissimo,
con li pomi d argento sopradorato, et lavorati dignamente et li piede
similiter d arzente dorato a forma de piedi de griffoni con le franze
novembre-dicembre 1476 accompagnava Lodovico il Moro e il duca
di Bari, fratello suo, alla corte di Luigi XI di Francia.
(i) Il conte Girolamo Riario che aveva sposato Catterina, figlia
naturale del duca Galeazzo Maria Sforza. Vedi l'elenco delle gioie
donate alla sposa dal Riario (20 gennaio 1473) ^^ Registro Missive,
n. Ili A (Arch. Milano).
(2) Arch. di Stato Milano, carteggio diplomatico, cartella n. 401.
(3) Sua lettera in Carteggio diplomatico, cartella n. 400 (Archivio
Milano)
"Paolo II e il Card, piarlo 26$
d oro et setta (seta) bellissime, et con li chiodeti in forma de rosete
dorate, in modo è una bellissima cosa da vedere, et bastarla ben al
papa et 1 imperatore. Dice che gli è constata ducati, v*^, doro. Et perchè^
essa cathedra ha un podio alto el sedere, gli ha facto fare uno sca-
bello tutto coperto de veluto carmesino, per tenirlo sotto li piedi.
Un altra ne fa fare in simile mò (modo), et de medesimo pretlo ma
el brochato sarà morello. N ha poy molte altre, coperte de veluto de
diversi colori in modo è cosa maravigliosa vedere li ornamenti ha
per casa.
Emilio Motta.
G. Tomassetti 267
DELLA CAMPAGNA ROMANA
(Continuazione, vedi pag. lói).
Le memorie antiche del suolo intermedio alle vie Pin-
ciana e Salaria spettano quasi intieramente alla epigrafìa;
poiché vi si sono scoperte, in ogni tempo, numerose tombe
con iscrizioni (i).
Le memorie del medio evo si collegano in parte alle
antiche. Infatti, avendo per esempio già veduto le memorie
(i) Sono tutte riportate nel C. I. Z,. nel voi. VI, e son troppe
perchè io possa noverarle: stanno adesso in gran parte nel giardino
Aldobrandini sul Q.uirinale. Le vigne Nari, Pelucchi e dei Dome-
nicani furono miniere di epigrafi (Fea, Misceli, I, pp. 148, 149; II,
p. i6i,Ye\\jti, Marmora Albana, p. 37, FicoRO^tiiy delarvis, p . 113, etc;
C. cit., 2501 a 2986, 8408, 8516, 7845 a 7986). In quella Nari ab-
bondarono le militari, oltre liberti dei Vigellii e degli Ottavii, il mo-
numento dei Palangii e, nella vigna già Del Cinque, le lapidi dei
Caninii (C. cit. 7987-7996) Recentemente, nelle moderne fabbrica-
zioni, se ne sono trovate ancora molte (cf. Noliiie de^^li scavi, 1886,
pp. 160, 328, 364, 420, 454; 1887, pp. 21, 74, 118, 147). Dopo circa
60 metri, in direzione della 3*'^ torre delle mura a sinistra della porta
Salaria, sono apparse le rovine del mausoleo di « M. lunius Menander
« scriba libr. aed. cur. princeps et q. » (Bull. Com., 1886, p. 371).
L'esistenza di un a(rer Volusii Basilidis ientibus (sic) ab urbe parte sini-
stra sulla via Salaria è indicata da una iscrizione (Wilmanns, n. 310).
Non mancarono in questa contrada epigrafi cristiane, come quella di-
ce Hireneus v. e. et Albinus e. p. » nella vigna dei Domenicani (Set-
tele, mss. presso il conte Aless. Moroni, n° 16).
26S G. Tomassetti
epigrafiche dei Cornelii rinvenute presso le mura di porta
Salaria, non ci sarà difficile lo spiegare il nome dì forma Cor-
nelia rimasto nella contrada Pinciana nell'età media, come
rilevasi dagli atti di S. Silvestro nelF Archivio di Stato (i).
Altri nomi appartengono alle memorie cimiteriali, ossia ai
martiri, altri a memorie di famiglie, altri a condizioni del
suolo. Sottopongo l'elenco di questi nomi della contrada
Pinciana nel medio evo, limitandomi ad annotare qualche
menzione diplomatica relativa più singolare :
I. Canicatorio
12.
5. Romita
2. Capitiniano
13-
S. Saturnino
3. 5. Ciriaco
14.
trullo Cocumero
4. S. Colomba
15.
Valle 0 lovallo
5. fonte Malonome (?)
16,
Falle dell'oro
6, forma Cornelia
17.
Valle Augusta
7. forma di S. Silvestro
18.
Valle Mar^aro
8. f or niello de Tedallini
19.
Valle Piscina
9. Gorgini 0 Gonchini
20.
Vangiarola
IO. Porcari (vicolo dei)
21.
Zoccoli.
1 1 . Pantano di legno
Num. I. Da un atto di S. Silvestro del 1329, nel
quale apparisce tra i confinanti del terreno Antonio de' Te-
(i) I documenti riguardanti forma Cornelia, ossia terreni in mas-
sima parte vignati, posti in tale contrada, sono degli anni 13 12, 131 5,
1317, 1322, 1328, 1379. Per brevità ne riferisco due soltanto:
Tino procuratore del mon. di S. Silv. in cap. concede nel 13 17
in enfìt. perp. da rinnovarsi ad ogni 7 anni col pagam. di 5 soldi pro-
visini per ciascuna rinnovazione a yiaccoc'w di Pietro Sorice falegname
(falleniame) del rione Colonna una pezza d'orto posto a FORMA
CORNELLA conf. cogli eredi di Angelo Peregrino, con Pietro Basi-
Iella, cogli eredi di Francesco di Paolo Andrea e colla via publica,
col patto di coltivarla a vigna e coll'annuo canone della quarta parte
di mosto mondo ed acquato e di un canestro pieno di uva a favore
del detto monistero (Ardi. S. Silv., fase. 4).
Suor Giovanna Colonna badessa etc. nel 1379 presta il consenso
^ella Campagna 1{omana 2^9
dallini ed un rivo; ciò che serve ad illustrare anche il
num. 8.
Num. 2. Capitinìaniim, S. Columha e Formellum sono
nomi di luoghi che succedevansi dal declivio dei Parioìi
fino alla pianura del ponte Salario. Il Galletti ne ha trat-
tato perchè li vide nei documenti di Farfa (i), ma non ne
discusse il sito, che mi pare evidente, dopo ciò che già
ho sopra accennato, in proposito delle septem palumbae e
del clivus Cocumeris, Il documento Farfense 688 determina
la distanza di S. Colomba ed annessi foris ponte-m Salar ium
mille ah urbe Roma passimm; ma deve intendersi del fondo,
e per la via Salaria nuova. Associando i nomi Farfensi con
quelli che io trovo in un documento di S. Silv. del 1258
(lib. dei compendi), vale a dire : chiesa di 5. Filippo (super-
stite ancora nella discesa dei Par ioli), S. Columha, fossato,
Capitinianum e massa de vestiario dominico, mi convinco che
si tratta dello stesso gruppo di fondi, e che essi occupavano
tutta la discesa suddetta fino al ponte ed anche forse oltre
YAniene. Sembra opporsi a questa ipotesi il fatto che la
chiesina esistente nel bivio dei Parioli è dedicata a S. Fi-
lippo Neri; e v'è anche la tradizione, presso quei contadini,
che ivi spesso il Neri si recasse a pregare: cosa verosimile
perchè il Neri frequentava le catacombe cristiane, e colà ve
n'erano. Tuttavia il nome di S. Filippo del documento Sil-
vestrino è di quasi 300 anni più antico del Neri; forse
questi andava a venerare l'omonimo antico santo apostolo;
e col tempo egli quivi, come altri altrove, ha scacciato il
santo vecchio. Ciò che principalmente deve notarsi fin da
alla vendita fatta da Martino di Cola della reg. Colonna a Potrò di
Giovanni da Tivoli di due pezze di terreno situato in Roma fuori
porta Pinciana nel luogo detto FORMA CORNELLA. Confini: beni
di Sinibaldo del Giudice, di Paolo Panetosto e colla via publica, salvo
l'annua corrisposta della 4* parte di mosto mondo e di un canestro
d'uva (Arch. di S. Silv., fase. 26).
(i) Galletti, Gabio in Sabina, p. 128.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 19
270 G. Tomassettì
ora si è la coincidenza dei nomi Capitignano e 5. Colomba
in due latifondi assai lontani, confinanti col territorio di
Monterotondo e di Mentana, che vedremo al loro luogo.
L'esservi unito anche il nome di 5. Stephanus dimostra che
quel gruppo spettava pure alla chiesa di S. Silvestro, già
S. Stefano; ed in tal modo si spiega ancora la ripetizione
dei nomi suddetti (i).
(i) Ancora una nota archeologica sulla zona Pinciana dei Pa-
rioli-; Neil' intemo di questa collina scorre l'acqua Vergine, che quindi
passa nella villa di Giulio III, donde ritorna per Muro torto nel monte
Pincio. Sappiamo anzi che questo speco romano dei Parioli venne
mutato ossia raccorciato da Mario Frangipani e Rutilio Alberini nel
secolo XVI (Cassio Alb.^ Corso delle acque antiche, I, p. 136). I corsi
sotterranei delle acque erano dagli antichi additati sopra terra con
cippi scritti, distanti un iugero tra loro. Nel C. I. L. VI sono ripor-
tati tre cippi iugerali dell'acqua Vergine, l'uno d' ignota provenienza,
l'altro della villa Medici, il terzo a Muro torto, Vinea Vallaea secondo
il Fabretti (Inscr., pag. 661). Osservo primieramente che la vigna
Valle non era a Muro torto ma sui Parioli, vicina a S. Filippo, e tut-
tora può vedersi il nome sul cancello CAROLVS VALLIVS, e cor-
risponde alla vigna dei 5 orologi di S. A. il principe Orsini. Ristabi-
lita questa coincidenza, quel cippo collima benissimo con un altro,
sfuggito agli autori del Corpus, e che io trascrissi nel 1875 nella
parte esterna del muro della vigna ora Telfener, ove tuttora si vede.
Lo lessi con molta difficoltà per essere in travertino e molto corroso;
e lo pubblico ora più esattamente che V Ephemeris'epigraphica (IV, 282).
VIRG
TI • C L AVD IVS
5 DRVSI-F • CAESAR
è AVG-GER^^^NICVS
PONTIFEXtrM AXIMVS
TRIBVNIC-POTESTAT-IIII
(sic) COS-II\ IMP VIII P P
XLV P • CCXX
m. 0.74
È importante pel numero XLV a sinistra, oltre quello ordinario
dei CCXX piedi, ch'è la distanza di un cippo all'altro. Se i cippi
ebbero un numero progressivo dalla foce dell'acqua in città il nu-
1)ella Campagna ^^omana 271
Num. 3. Deriva dal monistero di S. Ciriaco in via
Lata, che vi possedeva parecchi fondi. I documenti relativi
risalgono al 1040 (i).
Num. 4. Da un atto di S. Silvestro del 1258, ove si
parla del casale massa de vestiario dominico.
Num. 5. Da un atto di S. Silv. del 1330: essendovi
tra i confinanti il monistero di S. Agnese, suppongo che
questo luogo stesse sulla via Salaria, e che il nome di via
Pinciana vi sia stato apposto erroneamente ; perciò vi ho
aggiunto nell'elenco il segno dubitativo (?).
Num. 6, Ne ho discorso testé, prima dell'elenco.
Num. 7. Da un atto del 12^8, di S. Silv. Sul monte
Parioli era, naturale questa denominazione dal possessore.
V'era anche la grotta di 5. Silvestro.
Num. 8. Da un atto di S. Silv. del 132 1. Veggasi il
num. I . Si tratta di nota famiglia romana. Un fondo posto
adformam ruptatn è ricordato con un altro posto ad 5. Her-
metem, altro nome cimiteriale antico, in una pergamena
di S. Silv. del 1 172; ed altre vigne ad S. Hermetem in altra
pergamena del 1198.
Num. 9. L'antichità di questo nome rilevasi dalle
bolle di Agapito II e di Giovanni XII (2); e la perma-
nenza di esso da atti di S. Lorenzo in Panisperna del 1284
(n. 214) e di S. Silv. del 135^, del 1388 e del 1400, tro-
vandosi tra gli enfitetui di S. Silv. un Oddone di Lamentana
possidente in Gorgini (lib. dei compendi).
Num. IO. Da documento Capitolino del 1385 (notaio
lacobellus Stephani de Caputgallis) riguardante una vigna
mero 45 non e eccessivo per un cippo quasi alle porte di essa? In-
vecesarebbe forse conveniente se la numerazione incominciava dalla
sorgente. Rimetto la discussione ad altro scritto, come ancora la prova
che la data del cippo debba essere l'anno 45 dell'Ora volgare.
(i) Cod. Vat. 8048, f. mod. 23, 119; Cod. Vat. 8049, ^- "\o^- 52»
64» 72. 73» 135, 145-
(2) Marini, Papiri, pp. 39, 46.
272
G. Tomassetti
di S, M. in Campo Marzio extra portam Pincianam - al vicolo
dclli Porcari - Me lo partecipò il eh. signor Leone Nar-
doni. Non è il solo possesso di questa celebre famiglia in
questa parte della campagna romana. Sulla via Nomentana
ne vedremo un altro.
Num. II. Da un atto di S. Silv. del 123^ (lib. dei
compendi).
Num. 12
Num. 13
Da un atto di S. Silv. del 1350 (ivi).
Da documento Capitolino (not. Bern. Ca-
putgallis, del 147^ riguardante una vigna di S. Agnese affit-
tata ad un Cola Mansi) comunicatomi dal signor L. Nar-
doni ; e dal testamento di Geronima Pierleoni vedova
Cardelli, nell'archivio di S. M. in Campo Marzio, donde
rilevasi che Ritozza Pierleoni, sua madre, vi possedette
una vigna confinante colla via publica (Pinciana) e che
questo luogo S. Saturninus non doveva distar molto dalle
mura (i).
Num. 14. Luogo già ricordato nel clivus Cucumeris
delle fonti cimiteriali. Arguisco che fosse, come ho accen-
nato di sopra, derivato da un pinnacolo monumentale, per-
chè negH atti di S. Silv. del 13 12, 13 13, 1354 trovo la in-
dicazione trullum Cocumeris e trullo Cociimmario (Hb. dei
compendi); ed in un documentò Capitolino (not. Caput-
gallis) del 147^, indicatomi dal signor L. Nardoni, lo
trovo segnato turre Cocumero (è una vendita di 'vigna dal
mon. di S. Agnese ad un Sante Angelucci).
Num. 15. La Valle o lo Vallo j è indicato in un docu-
mento di S. Silv. del 1355 (fase. 23) e in uno del 1388
(fase. 2^).
Num. 16, Da un atto di S. Silv. del 1255 (lib. dei
compendi). Il fondo relativo confinava per tre lati colla
via publica.
Num. 17. Da un atto di S. Silv. del 1251 (ivi).
(i) Cf. Cod. Vat. 7931, f. mod. 93 sg.
'Della Campagna ^I^omana 273
Num. 18. Da un atto Capitolino (not. Petrus lacc-
he Ili de Caputgallis) del 1463 favoritomi dal signor L. Nar-
doni. Doveva essere vicina aìVAniene, perchè spettava al-
l'ospedale de' Ss. Sanctonim ; e questo fu proprietario fino ai
nostri giorni della tenuta di ponte Salano.
Num. 19. Da più atti di S. Silv. Nel più antico,
del II 68, si legge piscina de Io. Laviano, in altro dei 1198
è scritto piscina soltanto, in uno del 12 14 valle de pi-
scina (lih. dei compendi). L'origine aquaria del nome è evi-
dente.
Num. 20. In un atto di S. Silv. del 13 12 è scritto
Vargiarola, in uno del 1322 Vangiarola, in uno del 1370
Dangiarola (Inventario di S. Silv. e fase. 23).
Num. 21. Da documento Capitolino (not. Petrus de
Caputgallis) del 1455 indicatomi dal signor L. Nardoni.
In conclusione, il suolo Pinciano era nel medio evo
tutto vignato e solcato da rivi e viottoli vicinali, come
rilevo dai documenti; e terminava nella gran pianura del
ponte Salario suìYAniene.
Prima di riprendere l' itinerario dalle due porte Nomen-
tana e Salaria, per le due vie principali, dirò che i fondi
posti su queste vie, i quali appartennero, nel medio evo,
alla Chiesa romana, formavano parte del patrimonium Sa-
hinense o Savinense, uno dei cospicui patrimoni, ma meno
ricco di quello della Tuscia.
Il nome classico della regione Sabina dominò adunque
nell'amministrazione della romana curia per tutto il medio
evo (i). Quali fossero i confini del patrimonio Sabinense,
entro il raggio delle 30 miglia che io mi propongo d'illu-
strare, non è facile il definire. Le fonti diplomatiche pon-
(i) Si mantenne anche nel secolo xvi nelle amministrazioni reli-
giose. In un atto del 1583 dell'archivio di S. Silvestro in capite, riguar-
dante la tenuta di Maìpasso presso il ponte Salario, essa e indicata nel
territorio Sabinese (Archivio di Stato, lib. instrum. S. Silv.).
274 ^' 'domasse ttt
tificie antichissime non esprimono gli estremi geografici
con tale accuratezza, che se ne possa ritrarre molta luce.
Sembra certo che da questa parte fossero i patrimonia
suburbani cosi ordinati ;
patnm.
Tusciae
patnm. patrim. patnm. patnm.
Sabinense Tiburttnum Labicanense Appiae
Secondo le lettere di Adriano I (i) e il diploma di Lu-
dovico il Pio, Carlomagno concesse il territorio Sabinense
a s. Pietro e successori, e pose i limiti fra i Reatini ed i
Sabini (2). Perciò su questa suddivisione dell'antico terri-
ritorio Sabino io vorrei appoggiare una congettura, che,
cioè, nel noto elenco dei patrimoni ecclesiastici dato nel
sinodo Ravennate, dopo il Traiectanum, il Theatinum
essendovi la voce utrumque che precede il Sabinense,
questa potesse piuttosto attribuirsi al medesimo Sabinense.
che al Traiectanum, come invece sembrò al Zaccaria.
Non veggo infatti la ragione per una duplicità del ter-
ritorio Traiettano, mentre ho ricordato quella del Sabi-
nense (5). Comunque sia stato diviso, era certamente un
patrimonio assai ricco nei primi secoli del medio evo; ed
oltre a numerosi fondi amministrati dalla curia pontificia,
(i) Cenni, Monum. dom. pont. I, p. 384.
(2) Zaccaria, De rebus ad hist. eccl. pert. etc. II, p. 152.
(3) Il Gregorovius (St. di R. nel m. e. V, 6, § i) legge in modo il
passo del sinodo Ravennate da intendere compresi i due territori Tihur-
tinum e Theatinum dentro il Sabinense. Ma ciò mi sembra improbabile,
si perchè converrebbe leggere Reatinum invece di Theatinum, giacché
non potrebbero associarsi Tivoli e Chieti; sì ancora perchè v' è di
mezzo il Traiectanum. Q.uanto poi alla promiscua intitolazione ch'ebbe
la Sabina, nelle lettere pontifìcie, di patrimonium e territorium, notata
già dal Cenni (1. cit.) dirò che l'una è voce di ordine economico,
l'altra di ordine geografico ; ma l'associazione geografica essendo la
base dell'amministrazione, deve sempre aversi presente nella Inter-
It
^ella Campagna ^T{omana 275
ne conteneva molti di S. Silvestro, di S. Ciriaco e special-
mente del famoso cenobio Farfense, le cui memorie ci ser-
vono di guida in gran parte del nostro viaggio.
Il suolo attiguo alle due vie principali, nell'età antica,
fu occupato da suburbana, o luoghi di temporanea dimora,
in gran parte forniti delle consuete tombe, le cui memorie
tornarono e tornano alla luce (i). La villa Patrizi, aggre-
gato già di più vigne di privati, che possono vedersi nella
pianta del Bufalini, a destra della via Nomentana; le vigne
a sinistra, già Capizucchi, Lancellotti, Pitoni, Pasquali,
tutte scomparse e trasformate ora in moderni caseggiati,
contenevano ruderi di portici, di sepolcri, di muri d'ogni
età. Le vigne Accoramboni, Ercolani ed Orsi furono compe-
rate dal card. Alessandro Albani^ e tramutate in quella splen-
dida non meno che deliziosa signoria, eh' è la sua villa, ora
del principe Torlonia, la sola scampata finora nel rinnova-
mento generale (2). Ma questo ha servito, in occasione dei
pretazione dei testi. Infatti nello stesso patrimonio Tiburtino abbiamo
una Massa Sahinensis contenente otto fondi, il cui nome geografico
si oppone all'economico ; ma si spiega facilmente per la vicinanza.
Così troviamo che sotto Gregorio Magno il territorio Carseolitano era
compreso nell'amministrazione della Sabina, perchè paese confinante;
ma non si potrebbe dire altrettanto di Rieti e di Traetto. Cosi pari-
menti troviamo che nel secondo medio evo, cioè nel secolo xiv,
quando diminuiva grandemente la importanza statistica e politica
della regione Sabina, che decade insensibilmente sempre, e cresceva
al contrario quella della Tuscia, il rettore óqì patrimonium Tusciae,
ch'era il meno lontano ed il più potente, riceveva l'appello quale
Comes Sahinensis (Theiner, Codex dipi. II, p. 94 ed altrove).
(i) Ad un trar di pietra della porta Nomentana fu scoperta la
lapide arcaica pregevolissima di L. Aurelius Hermia lanius de colle
Viminali (C. /. L. I, loii); poco lungi, il cippo importante di Cai-
purnia llias Eborensis (C. cit. VI, 14234), ov'cra la vigna Giani, a
sinistra.
(2) Questa ricchissima raccoha di antichità greche e romane ed
ancora egizie, quantunque in parte impoverita, alla quale ha recente-
mente il principe Torlonia aggiunto un museo di gessi, per lo studio
2'j6 G. Tomassettì
lavori necessari, a farci conoscere molte particolarità del
suolo antico (i). Di tutte le scoperte avvenute nel primo
tratto della via Salaria, nel tempo decorso (2) e nell'odierno,
principale si è quella del mausoleo rotondo di M. Lucilius
Paetus, di 34 metri di diametro, apparso nella villa Bertone,
dell'arte antica figurata, è stata illustrata in opere numerose del Win-
ckelmann, del Zoega, del Visconti, del Morcelli e di altri archeologi.
Le monografie speciali, che riguardano la collezione Albani-Torlo-
nia, sono:
Venuti Rodulfino, Marmora Albana sive in duas inscriptiones già-
diatorias, etc. conjecturae. Romae, 1756.
Marini Gaetano, Iscrixiotii antiche delle ville e de' palaci Albani,
raccolte e pubblicate con note. Roma, 1785. (Contiene anche le iscri-
zioni delle altre case Albani).
Anonimo (Fea Carlo), Indicazione antiquaria per la villa subur-
bana dell' ecc.**"^ casa Albani, ed. 2^. Roma, 1803.
BuNSEN in Beschreibung der Stadi Rom. Stuttgart und Tubingen, 1838,
III b., p. 455 e sgg.
Morcelli-Fea-Visconti, La villa Albani ora Torlonia descritta,
ed. 2^ Roma, 1869.
(i) Una via normale alla Nomentana, oltre le tracce di questa,
è stata scoperta nell'area già Patrizi (Nat. Scavi 1886, pp. 52 e 53).
Importante vi è stata la scoperta del sepolcro ante-augustèo dei Rabirii
(ivi, p. 156), di L. Laevius Asiaticus, dei Munatii, di C. Clodius Diony-
sius, ecc. (pp. 160, 209 e 235). Altre scoperte ivi registrano le Not.
cit. (1887, p. 328). V'erano anche sepolcri cristiani, noti da qualche
tempo (De Rossi, Bull. 1868, p. 32), e il cimitero di S. Nicomede,
che possedette un horticellum im via Nomentana secondo gli atti nei
BoUandisti.
(2) Tra le lapidi esistenti già nella vigna Gangalandi, poi Della
Porta, contigua già alla villa Albani, vi è quella proveniente dal foro
boario (De Rossi, Ara Massima, p. 14). Anche di recente si è trovata
vicino alla porta Salaria un'importante lapide di provenienza urbana
(Not. cit. 1885, p. 476). Nei prati già degli Antoniani francesi di Vienne,
contigui anch'essi alla villa Albani, poi vigna Carcano, fu scoperto
il rilievo di Euripide, ora nel museo Albani. Quivi era il cimitero
di Massimo ad sanctam Felicitatem, e l'aveva già determinato il
De Rossi; e le odierne scoperte l'hanno confermato. Tra queste v' è
un dipinto rappresentante S. Felicità coi sette figliuoli (cf. De Rossi,
Bull. 1885, p. 149).
niella Campagna Romana 277
nell'anno 1883, dagli archeologi descritto, ma non ancora
pubblicato con disegni (i). Auguriamoci che sia conser-
vato per l'avvenire; poiché per l'età e per la forma esso è
degno confronto, nella campagna romana, di quelli di Me-
tella e di Cotta sulla via Appia. Nel coperchio di un sar-
cofago ritrovato presso il monumento è inciso:
PETRO — LILLVTI PAVLO
che significa aver questo sarcofago servito di tomba ad
un Pietro Paolo Lilhiti nel medio evo (2).
Tra le vie Nomentana e Salaria, in questo primo tronco
quasi parallele, si estende una valletta profonda, che si può
limitare, verso Roma, dal cosi detto vicolo Alberoni, e verso
la campagna dal vicolo di 5. Agnese, due viottoli che con-
giungono le due vie da questo punto fino alla valle del-
l'Aniene. Nel fondo della valletta corre la così detta mar-
rana di S, Agnese che sbocca nelY Aniene quasi ad egual
distanza dai due ponti Nomentano e Salario. Questa val-
letta ha pur essa la sua storia : vi si rinvennero vestigia
di fonificazioni arcaiche simili a quelle dell' ^^^^r^ di Servio
Tullio, e rehtti di terrecotte pure arcaiche (3). Da un
documento Tiburtino del 982 rilevasi che ebbe nome ager
Velisci, nome arcaico significante palude ed acqua in ge-
(i) Cf. Not. cit. 1885, pp. 189, 225 e 253; 1886, pp. 54,2096 235.
Vi si sono rinvenuti attorno sepolcri numerosi con quasi 200 tra iscri-
zioni e frammenti di età posteriore all'augustèa, eh' è quella del
mausoleo. L'interno di questo si è trovato scavato, adoperato per
tombe cristiane e sconvolto in età moderna.
(2) Un'ultima notizia epigrafica su cotesto sito, ov'era nel se-
colo XVII la vigna Buratti, già dei Gavotti. In un gradino della casa
del giardiniere lesse il p. Lupi un importante frammento relativo al
ius monumenti (Dissertai, ed. Zaccaria, II, p. 167).
(3) Le rinvenne il cav. Michele Stef. De Rossi nell'orlo di que-
sto cratere (vigna Crostarosa). Cf. Bull. Comunale 1883, p. 256. Era
dunque un sito fortificato attorno come prossimo tanto alla città,
quanto a nemici pericolosi nell'antichissima età.
G. Tomasseiti
nere (i). Al qual nome fa egregio riscontro l'altro di ad
capream dato allo stesso luogo in una iscrizione cristiana
relativa al coemeterinm maius, ch'era costì, e precisamente
VOstrianum, presso S. Agnese, decorato della leggenda ubi
Petrus bapti^abat, perciò principalissimo nelle tradizioni
religiose di Roma (2). Altro riscontro rileviamo dalla in-
titolazione ad nymphas (forse anche lymphas) del suddetto
cimitero nelle fonti storiche relative (3).
Sul margine destro di questa valle, cioè sulla via No-
mentana, abbiamo a sinistra la villa già Alberoni, la vigna
Nataletti, la vigna Casalini e poi le monumentali chiese
di S. Agnese e S. Costanza; a destra la villa Lucernari, ora
ridotta a villini, la villa Torlonia (già in parte Lucernari)
in questo secolo adornata con opere monumentali dall'ora
estinto principe D. Alessandro (4), le ville Mirafiori già
Lepri, Ferrari e Malatesta, e le vigne Lezzani e De Solis.
(i) Bruzza L. in Bull, del De Rossi 1882, p. 96.
(2) De Rossi in Bull. Cornuti. 1883, p. 224 e sgg. Questa notizia
ha servito^ al De Rossi per abbattere la vecchia opinione, che la pa-
lude Caprea, ove si disse scomparso Romolo, fosse nel campo Marzio
(presso il Pantheon), e per supporla nella valle di S. Agnese. Ci sem-
bra persuasivo il suo ragionamento nel campo letterario, ossia delle
fonti. Anche la storia, per quanto oscurata dalle leggende, ci può
far balenare uno scontro fra Sabini e Latini sulla via Nomentana,
seguito dalla scomparsa di Romolo e dalla elezione del secondo re
sabino. Anche la corrispondenza topografica del tempio di Quirino,
sul colle omonimo, colla via Nomentana non ci sembra estranea a
questo fatto.
(3) De Rossi, Bull. A. Crisi. 1876, p. 150; Armellini M., 5^o/>^r/a
della cripta di s. Emerm^iana. Roma, 1877, p. 11.
(4) Tra le magnifiche opere dal principe Torlonia fatte eseguire
nella sua villa Nomentana si veggono i due obelischi in onore di suo
padre D. Giovanni e di Anna Maria Sforza sua madre, fatti tagliare
nelle cave di Baveno, trasportare per acqua fino all'Aniene, cioè alla
prossima riva di Saccopastore, coU'opera del comm. Cialdi, nel 1839;
ed incisevi le iscrizioni geroglifiche dettate dal p. Ungarelli, final-
mente innalzati coU'opera del Carnevali. Cf. Pignotti Leonini An-
niella Campagna ^T^mana 279
Sul margine sinistro della valle medesima, cioè sulla
via Salaria, abbiamo le vigne già Della Porta e Filoma-
rino, che fronteggiano la villa già Potenziani ora Telfener.
Anche in questa parte della via, la contrada è stata ricca
di epigrafi sepolcrali, in occasione dei lavori edilizi quivi
eseguiti (i). Nel primo medio evo fu abitata questa re-
gione ; come rilevasi dalla notizia della basilica di S. Fe-
licità quivi esistente nel secolo quinto, quando veniva da
Bonifazio I fornita di suppellettili, e quindi doveva esser
frequentata (2).
(Continua)
G. TOMASSETTI.
TONIO, Gli ohelischi eretti nella villa sulla via Nomentana del principe
D. Alessandro Torlonia, Roma, 1842 ; Gasparoni Francesco, Sugli
ohelischi Torlonia nella villa 'Nomentana, ragionamento stor.- critico,
Roma, 1842. Una medaglia incisa dal Girometti e fregiata di epigrafe
dettata dal p, Marchi è pure monumento di questo fatto, che deliziò
il popolo romano nell'anno 1840, e forni occasione a poeti, letterati
e disegnatori per farsi onore. Un sonetto del Visconti (Pietro Ercole),
amico del principe, porgeva il confronto degli obelischi egizi in
Roma, trofei di battaglie, e questi, simboli d'amor filiale :
In lei (Roma) d'un figlio sol l'amore eguaglia
L'opre di tanta gloria e tanto impero.
(i) Cf. Bull. Comunale 1886, pp. 331, 372 e sgg. Vi si rinvennero le
memorie dei liberti degli Appulei. Cf Not. Scavi 1885, p. 528; 1886,
pp, 364 a 404; 1887, pp. 21, 74, 191, 328 e sgg. Importante v' è stato
il sepolcreto dei curatores della tribù Follia {Bull. Comun. 1887,
p. 187, ecc.).
Prima di lasciare questo primo tronco della Salaria ricorderò
agli studiosi di epigrafia come da falsa lezione di un epitaffio cristiano
il p. Paoli ricavasse un libro, per dimostrare che quivi era sepolto
Felice II papa (che invece stava sulla via Portuense). Fu un con-
flitto serio dell'autore col Marini, Tiraboschi e Oderici, che lo con-
futarono con ardore superiore al valore della cosa. (Cf. De Rossi,
Inscript. Christ. I, p. 177).
(2) Liber pontificaliif ed. Duchesne, in Bonifatio, p. 227-228.
VARIETÀ
Iscrizioni etiopiche ed arabe di S. Stefano dei Mori,
Nel voi. IX di questo Archìvio il prof. Guidi, publi-
cando due lettere che si riferiscono alla prima stampa del
Nuovo Testamento in etiopico fatta in Roma nel 1548-49,
ricordava Tasfa Sion ed altri abissini che dimorarono nel
convento di S. Stefano, per cagion loro detto « dei mori »
e dei quali si leggono li epitaffi nella chiesa. Di tali epi-
taffi parte sono in latino, e questi furono già publicati,
parte sono in geez ed in arabo ancora sconosciuti. Così
mi è parso di fare cosa gradita tanto agli studiosi delle cose
orientali quanto agli amatori di curiosità romane publi-
cando queste iscrizioni etiopiche ed arabe ancora esistenti
in S. Stefano.
Da assai tempo la chiesa e il convento di S. Stefano
furon dai papi concessi agli abissini; ma intorno alla data
di questa concessione, e, quindi, al nome del pontefice da
cui fu fatta non sono d'accordo coloro che scrivono sul-
l'argomento: cosi TAlfarano dice che Sisto IV (1471-84)
ristorò il monastero e lo consegnò agli abissini; e il Piazza
(^Opere pie di Roma, p. 123) che Clemente VII nel 1525
concesse agli abissini S. Stefano e una casa contigua; e,
infine, H. Salt, nel suo Viaggio in Abissinia (II, p. 274, n.)^
ritiene la fondazione del convento per gli abissini in Roma
esser avvenuta al tempo del viaggio in Europa di Zaga-Zabo,
282 F, Gallina
che parti dall' Abissinia con D. Roderigo de Lima e con
TAlvarez nel 152^; ma nessuna prova è recata a sostegno
di queste affermazioni.
Opinione più comune è che l'edificatore dell'ospizio
per gli abissini sia stato Alessandro III; e così scrivono
TAlveri (Roma in ogni stato), il Nibby {Roma nel 18)8,
p. 726), e il Forcella nelle brevi notizie sulla chiesa di S. Ste-
fano che precedono le iscrizioni (VI, p. 307), e ultima-
mente anche rArmellini (Chiese di Roma, p. ^22). E questa
ipotesi fu fatta la prima volta dal Baronio quando pu-
blicò (ex Rogerii Annalihus Anglicanis) la lettera di Ales-
sandro III : « Charissimo in Christo filio illustri et magni-
« fico Indorum regi sacerdotum sanctissimo.... Qcc.n. Ma il
Ludolf che si occupa di tale questione, tanto nella Historia
(lib. Ili, e. 9), quanto nel Comentario (ad lib. Ili, n. 9^),
dice che il Baronio è in errore quando crede la lettera di
Alessandro III diretta al Prete Janni; e asserisce che il
tenore della lettera stessa nulla contiene circa la chiesa e
il convento di S. Stefano, (i)
Più recentemente FAssemani, in una importante disser-
tazione publicata dal Mai nella Scriptorum veterum nova
collectioy V, riporta l'opinione del Baronio, ma crede « più
« verisimile che i monaci abissini non abbiano ottenuta la
« chiesa di S. Stefano che da Eugenio IV, dopo il concilio
« Fiorentino, a cui vennero da Gerusalemme e dall' Egitto
« molti monaci abissini e copti », e allo stesso
papa Eugenio IV aveva già attribuita tale concessione il
PanciroU nei Tesori nascosti, p. 54^. Il Bruce e il Salt più
sopra citato scrivono che, per volontà del re Zara-Ja*qob,
Nicodemo, superiore del convento abissino di Gerusa-
(i) Anzi R. Basset negli Etudes sur Vhistoire d'Ethiopie (Parigi,
1882) scrive : « . . . questo documento è probabilmente apocrifo, come
« r ha dimostrato lo Zarncke » (Commentatio de epistola Akxandri
papae III, ecc.; Lipsiae, 1875).
V aitici à 283
lemme, mandò l'abate Andrea ed altri religiosi al concilio
di Firenze, e il Bruce (i) aggiunge (II, p. 73) che Zara-
Ja'qob ottenne il consenso del papa per stabilire a Roma
un convento di abissini. Ma qualunque parte abbia avuta
in ciò Zara-Ja'qob (del quale il Ludolf dice : « ab Ecclesia
« Romana alienum fuisse » (2), è certo che gli abissini ven-
nero al concilio; e se n'ha memoria, oltre che negli atti
del concilio, nei versi che si leggono sulle porte della
basilica di S. Pietro fatte da Eugenio IV, e in un quadro
del Vaticano, nel quale Gregorio, l'amico del Ludolf, « po-
« pulares suos agnoverat ».
Ora se aache l' ipotesi del Baronio è da escludersi
(come pare veramente) essendo poco fondata, invece si
hanno prove della dimora di abissini a S. Stefano non
molto tempo dopo il concilio di Firenze, cosi che sembra
ragionevole ritenere che, nell'occasione della venuta degli
abissini al concilio, fosse da Eugenio IV il monastero di
S. Stefano destinato per sede agli abissini stessi.
Dice il Gibbon : « Circondati da nemici della loro reli-
<( gione, gli Etiopi stettero circa un millennio dimentichi
« del resto del mondo, dal -quale essi stessi erano dimen-
« ticati » ; ma la venuta di religiosi abissini al concilio Fio-
rentino e le relazioni che i Portoghesi strinsero con l'Etiopia
tornarono a stabilire continue comunicazioni fra 1' Europa
e questo unico Stato cristiano d'Africa. Poi fu intrapresa la
conversione dell' Abissinia dalla eresia monofisita alla fede
cattolica : cosi dal principio del xvi secolo si mantennero
i monaci abissini (ricevendo anche gli alimenti dal palazzo
Apostolico) nel convento di S. Stefano sino verso la fine
del secolo xvii.
(i) È noto che il Bruce inserì nella narrazione del suo viaggio
gli annali d' Abissinia tratti da un testo ge'ez.
(2) Del resto per ciò che rignarda Zara-Ja*qob e i suoi istituti
ecclesiastici vedi Dillmann, Ueber die Re^icnui :, ./r. dcs Kònigs Zar'a-
Ja*qob.
284 F. Gallina
Poi, essendo morti quelli che vi erano, e non venen-
dovene altri (i), fu la chiesa data in cura a D. Matteo
Naironi maronita. Nel 1705, da Clemente XI fu fatto cap-
pellano e rettore perpetuo di S. Stefano Tabate Campana,
il quale mori nel 1729 lasciando la carica alFEm. Ansidei,
già destinatogli a coadiutore con futura successione fin
dal 1724. Frattanto, dice TAssemani nella Controversia
coptica già citata_, copti ed abissini (chiamati a Roma
dalla Congregazione di Propaganda Fide) domandavano
di esser reintegrati nel possesso della loro chiesa : e morto
nel 1730 TAnsidei, l'ottennero. Clemente XII confermò la
concessione del monastero e gli alimenti, e con breve del
15 gennaio 173 1 stabili che gli abissini di S. Stefano di-
pendessero in perpetuo dalla S. Congregazione di Propa-
ganda Fide, e deputò a rettore ed amministratore del con-
vento l'Assemani. Nel 1732 altri copti giungevano a Roma
e nel 1807 vi arrivava Giorgio Galabbada, che fu l'ultimo
ospite di S. Stefano, e vi morì.
In breve: gli abissini, ricevuta, assai probabilmente da
Eugenio IV, la chiesa di S. Stefano col convento, vi stet-
tero per circa due secoli; e in loro mancanza la chiesa fu
data ad altri, fino a che, nel 1730, ne furono gli abissini,
insieme coi copti, reintegrati in possesso.
Sarebbe certo importante publicare tutte le notizie che
si possano raccogliere intorno ai religiosi abissini e copti
che furono a Roma, e le memorie che di loro rimangono;
al quale scopo gioverebbero le postille che si leggono nei
(i) Il LuDOLF nel Coment., che fu publicato nel i69i,dice della
chiesa: « Hoc tempore alii clerici eam possident, ex quo nulli Habes-
« sini amplius Romam venerunt ».
Gli Etiopi che giungevano a Roma venivano spesso da Gerusa-
lemme; tuttavia a lasciare senza ospiti il convento di Roma influì
certo anche questo : che l' impresa della conversione degli Etiopi
era fallita proprio quando, sul finire del regno di Susnejos, sembrava
compiuta.
Varietà 285
codd. Etiop. della Vaticana; ma mi limito per ora, come
ho detto, a publicare le iscrizioni etiopiche ed arabe di
S. Stefano. Le più antiche sono le etiopiche; le arabe sono
solamente del secolo scorso, perchè, come è detto più sopra,
solo allora dimorarono nel monastero dei copti (i); una
sola iscrizione ha una riga di copto.
Le iscrizioni etiopiche contengono qualche errore, ma
più numerose sono le inesattezze di scrittura, assai frequenti
nei mss. Etiopici (2), e derivate dalla pronuncia del tempo,
quali sarebbero :
a) lo scambio delle vocali e ed a; ad esempio: l'iscri-
zione I ha ''m per 'ama, e subito dopo ha mahrat per m'hrat;
cosi le iscrizioni II e III hanno entrambe l'harwó per z^lz'rwo :
h) lo scambio delle gutturaU h, h e h ; per esempio :
luarha per warha (iscrizione III) e hahta per hahta (iscri-
zione IV);
e) lo scambio di s con s: nalisi per nahase (iscri-
zione I);
d) lo scambio di h ed m: ^abana per pantana (iscri-
zione III).
Ecco ora, nella seguente pagina, la più antica delle
iscrizioni.
(1) Tuttavia anteriore a questo tempo è l'iscrizione latina d
« Musa Franciscus Afferia, filius principis Libiae », morto nel 1626
Essa fu riportata dall'Alveri e dal Gualdi, e da questo la tolse il For
cella.
(2) Nel cod. Et. ms. GLI del British Museum, uno dei monaci d:
S. Stefano, Habta Miryam, di cui si parla più sotto, dA chiare prove
delle scarse nozioni di ortografia che egli possedeva.
Archivio delia li. Società romana di storia patria. Voi. XI.
286
F. Gallina
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Varietà 287
Cloe:
Qui è sepolto Tasfa Sion etiope [sacrifizio
prete : ricordatelo nelle vostre preghiere e nel vostro santo
per Cristo e per la Madre di Gesù - Amen,
mori il 18 di nahasè (agosto) nell'anno di grazia 1550 (i).
TasflT-Sion era monaco dell'ordine di Takla Haimanót,
e fu, senza dubbio, il più distinto di quanti abissini dimo-
rarono a Roma. Di lui conservano memoria alcuni codici
Etiopici Vaticani; nel codice XXIX, per esempio, si parla
di una specie di sinodo fatto dai monaci di S. Stefano
sulle regole interne del convento: Tasfà-Sion, che vi prese
parte, è chiamato manfìfr 'ahà Tasfà S'yon.
Paolo Giovio (il quale, come è noto, da lui (2) ebbe
le notizie intorno alFAbissinia che egli pose nel lib. XVIII
della sua storia) lo chiama : « huomo d' honorato et illu-
« stre ingegno » e di lui dice che : « possedendo molte
<( lingue, rendutosi frate, in Roma imparò benissimo la
(i) Nel computo degli anni dalla nascita di Cristo, gli abissini si
trovano in ritardo di circa sette anni dal computo nostro. Ma chi
scrisse l'epigrafe etiopica di Tasfà Sion adottò il millesimo della iscri-
zione latina (MDL); e forse volle anche adottarne la data del mese,
che è 28 di agosto, ma per errore scrisse invece 18. Suppongo que-
sto perchè il 18 di nahasè non corrispondeva punto ai 28 di agosto
del calendario Giuliano.
Q.UÌ non sarà inopportuna una breve notizia sul calendario etiopico:
L'anno etiopico consta di dodici mesi, di trenta giorni ciascuno, e di
un tredicesimo mese detto PSguetnSn, cioè aggiunto, il quale ha sei
giorni nell'anno bisestile, che porta il nome di « anno di S. Luca »,
e cinque giorni nei tre anni successivi, che portano i nomi degli altri tre
evangelisti. Nel secolo presente l'anno etiopico comincia il io settem-
bre del nostro calendario; ma l'anno che segue a quello di S. Luca
comincia l'ii settembre, perchè, come s'è detto, nell'anno di S. Luca
il mese PUguentSn ha sei giorni.
(2) Ed anche dal comentario che P. Alvaro lasciò scritto del suo
viaggio.
288 F. Gallina
« lingua nostra, e ad alcuni uomini curiosi insegnava
« l'abissina ».
Probabilmente egli ebbe parte nel tentativo di con-
versione della sua patria, se, come credo, è di lui che parla
il Salt dove dice che « le istanze di un degnissimo prete
«.abissino, chiamato Pietro, condussero Ignazio, il fonda-
« tore della C. di G., ad intraprendere la conversione del-
« TAbissinia » (II, p. 27^); anche lo Harris ac-
cenna, senza farne il nome, ad un abissino che in Roma
ispirò al Loyola Fidea della conversione dell' Abissinia. Ma
il maggior titolo ch'egli ebbe ad esser rammentato dai
posteri fu la stampa da lui fatta del Nuovo Testamento
in etiopico, che non dovette essere facile lavoro : le dif-
ficoltà che bisognò vincere sono adombrate nelle parole
che stanno in capo al libro, e che il Ludolf riporta :
« O padri miei, o fratelli miei, non vogliate male in-
« terpretare gli errori di questa (edizione): poiché coloro
« che la stamparono non sapevan leggere; e noi non
« sapevamo stampare : cosi che essi aiutaron noi, e noi
« aiutammo loro come il cieco aiuta il cieco. Perciò per-
« donateceli ......
E né pure fu fatica iterile, poiché, dice Paolo Giovio,
gli abissini, che per divozione venivano da Gerusalemme
a Roma, solevano i libri della S. Scrittura stampati in
Roma « per un gran miracolo portare a casa loro». Certo,
come dice la iscrizione latina, avrebbe Tasfa-Sion fatto più
cose, se non glielo togheva la morte che lo colse all'età di
soH quarantadue anni.
Dopo l'iscrizione di Tasfa-Sion, per ordine di tempo,
vengono due iscrizioni del 1599 (i).
(i) L'iscrizione di « Pater frater Marcus aetiops », morto nel 1582,
è solo latina. Essa fu già stampata dall' Alveri e dal Forcella.
Varietà 289
II.
n t> r /*> : n^A- ^ 'n
♦ /ì ^ : A 0 : / ^ # -n
^i\I :a f^ r. r ft 'n
Ricordatelo nelle vostre preghiere
pellegrini - qui è se
polto padre Ja'qob
figlio del padre nostro Eustazio (jnonaco delVordine di Eu-
nell'anno 1599 [stazio)
dalla nascita di Cristo
fino a in Marco ....
Non saprei spiegare le ultime parole di questa iscrizione
se non come facenti parte di una frase simile a quella che
si legge nella iscrizione seguente ; e tuttavia la lapide non
mostra di essere stata rotta.
Un Qasis Ja*qob, che è probabilmente colui che ò no-
minato in questa epigrafe, è ricordato in postille dei codd.
Et. Vatic. V, VII, XXIV e XXXVI.
II, 1. I. Per :(^k*riud 5. ?tr yTistatyTis 7. Per 'amiha
290 F. Gallina
In questa iscrizione, e nella seguente, sono nominati i
due principali ordini monastici di Abissinia, cioè quello
di Takla Haimanòt e quello di Eustazio.
III.
:<fò (DI %n9 f)(!)Cuao:y
Ricordatelo o fratelli nostri pellegrini
qui è sepolto Zaccaria etio
pe del paese di Dawarò
figlio del nostro padre Takla Hàimanot
nell'anno di grazia 1599
dalla nascita di Cristo
fino a che mori nel tempo di Marco {iielYanno di S. Marco)
evangelista nel mese di maggabit (rnar^o).
Ili, 1. I. Per i^trwò 2. Per :(akàryas 6. Per ''mudata 7. ha-
lamana mdrqòs 8. Per hawarha maggabit
Varietà 291
IV.
^rcDAÒ^ ^'{Soo:} <t>g /\cm ^ /i ^, fo . q> ^
n c r : "H P -.A 0 : *! m C P- >» •. h a ? t •
CDA n: (h fi t: ^ C f ?o ' ti Pt^-i.>
/^ *>! '. ero > /* /^ .* ^ 0 ^ ; u/ r jp ;
7 p : aj 3 f ù/ 0
fi °% 1 :
Padre Takla Hàymanót di Dabra Dima pellegrino di Ge-
e dopo di essa venne a Roma per [rusalemme
visitare S. Pietro e Paolo.
e morì il 12 di maskarram (settembre)
e l'abbiamo sepolto qui (noi) padre Gregorio di Layad
e padre Habta Maryàm di Dabra Guba'e
(e) padre Antonio di Taqùsa.
Fratelli nostri pellegrini, se
verrete dopo di noi
ricordatelo nelle vostre preghiere
questo monaco dabbene.
1649
dalla nascita
di Gristo Signor nostro
Amen.
IV, 1. I. Per na-^acli 6. Per huhlu 7. Per antjn's S. Per
abawina 14. Per /Wslós
292 F. Gallina
Questa iscrizione ha il pregio di recare i nomi di alcuni
abissini conosciuti dal Ludolf quando fu a Roma nel 1^49.
Il P. Gregorio di questa iscrizione e quello con cui
il Ludolf strinse amicizia, che andò poi a trovarlo in
Germania, e del cui aiuto egU si giovò per scrivere la
sua Historia, ecc., sono assai probabilmente la stessa per-
sona, benché nella iscrizione sia detto :(a Layad, e nel
Ludolf invece: '"mbeta 'amhàra 'mmakana s'iàsè.
Del P. Antonio di Taqùsà dice il Ludolf: « Antonius
« d'Andrade, patre Lusitano et matre Habessina, Takuessae
(( in Dembea natus ......
Il P. Habta Maryam pure è ricordato dal Ludolf; e
copiato da lui è il cod. Et. ms. GLI del British Museum.
V.
'iìtSy-'ntP-nHtM'MChtfyS'ìf CD
^ vro^xh? wn© e* >:MP>» nd^-<romj-^p
CD C-f^CT^: K.^ 7'rt^hc;oA:J«PVW7/)Ci-A
V, 1. 2. L'iscrizione precedente ha guha'é 2. L'iscrizione prece-
dente lia dahra dima 11. Per t^r
Varatela 293
Ecco ricordiamo noi padre Habta Màryam di Dabra
Gùbà'è e padre Takla Haymanjt di Dabra Dima
pellegrini, che per questa chiesa la quale
ci diedero i papi antichi quando la trovammo
vetusta e rovinosa ci siamo adoperati molto per essa
e l'abbiamo restaurata col nostro denaro, che è circa la
[somma di 400
e 70 piastre. Non crediate, fratelli nostri, che abbiamo
[fatto {ciò)
per gloriarci ma perchè ci ricordiate nelle vostre preghiere,
nell'anno 1^38 dalla nascita di Cristo
Signor nostro, a lui gloria. Sepoltura di P. Habta
Màryam la cui morte fu il 14 del mese di Ter (^gennaio)
nell'anno 1(354 ^^ Nostro Signore.
Vengono ora alcune iscrizioni arabe. La prima riga
della iscrizione VII è scritta in copto.
VI.
Hadà darìh gad yil'asaf min madinet gir gì
Questo è il sepolcro di Gad Joasaf della città di Girge.
VII.
Makarios pkigdmanos (i) ou pimonachos agibthios
Macario egumeno e monaco egizio.
'al-qass maqàryùsraìs dér 'as-saydah 'aUmuhannà
hibarryat slhat ' eli adi f ima ha'd
sàr rais dcr mar 'estafànùs
'aUmuìuiuiia bidcr 'ai-ì)abas waqad
tanayyaha fi yóm. 2y fi sahr ti'sriii 'dt-idiiì
— n40 — (2)
(i) sic.
(2) Il I"orcclla legge la data della iscrizione latina così : MDCCXI.
294 ^' Gallina
Prete Macario superiore del convento della Vergine, detto
« del deserto di Sceti » il quale di poi
divenne superiore del convento di S. Stefano
detto « convento degli Abissini ». Ed egli
morì il di 27 del mese di novembre
— 1740 —
Questo P. Macario (chiamato dall' Assemani Macario
Asmalla') è uno dei due monaci copti che nel febbraio 1730
furono introdotti nel monastero di S. Stefano. L'iscrizione
latina dice che egli mori in età di anni CVII e mesi vii.
Vili.
'ahunà 'al-qass yuhanna 'al-haha'sy raheb mar 'anWnyós min
[madinet danhyat min mudun 'al-hahas
'atà 'ila rùmyat fi 'l-yóm 'ar-ràh" min sahr ti'srin' awwal 1^4^
[waaqama bihadà 'al-mahall wàhad
waialatin sanai zva'sahrain watanayyahafì 'lyóm 'at-talai 'asar
[min sahr kànun 'awwal
ij8o wakàn lahu min 'aWomr talàtat tua sittin sanai hakadà
[kaiaba bilìàtini
' al-munstnyùr 'asiafànUs Borga kaiim fna^ma" 'iniisàr 'Vimàn
Yhnuqaddas,
Padre Giovanni abissino monaco di S. Antonio del paese
[di Denba (uno) fra i paesi d'Abissinia
venne a Roma il di quattro del mese di ottobre 1749 e
[stette in questo luogo
trentun anni e due mesi, e mori il di 13 del mese di di-
[cembre
1780. Ed aveva l'età di 7^ anni. Cosi ha scritto in latino (i).
mons. Stefano Borgia segretario della Gong, di Prop. Fide.
Vili, 1. 5. Probabilmente per katib' asrar. L'iscrizione latina ha: a
secretis.
(i) Questa iscrizione è preceduta da quella latina già publicata
dal Forcella.
Varietà 295
Giorgio Galabbada, morto nel 1845, non ha epitaffio
in etiopico: non essendoselo preparato da sé stesso quando
viveva, non ebbe poi alcuno che glielo scrivesse. L'iscri-
zione latina si legge, come le altre, nel tomo VI del For-
cella.
F. Gallina.
2^6 qA. Liiiio, 9^. ^Henier
^l^lapone inedita sulla morte del duca di Gandia.
L'omicidio avvenuto in Roma nella notte dal 14 al
15 giugno 1497 impressionò grandemente tutti i contem-
poranei. Si trattava della morte di un personaggio rag-
guardevole, di uno dei figli di papa Alessandro VI^ Gio-
vanni duca di Gandia, e il delitto era stato perpetrato con
tanta circospezione e tanto mistero che ben presto si sup-
pose dovesse esservi sotto un antefatto borgiano nefando.
La voce che incolpava Cesare Borgia, prima buccinata in
segreto, non tardò ad essere riferita come cosa certa dagli
ambasciatori e quindi, affermata dai migHori storici, passò
in giudicato (i).
Parecchie sono le ragioni che militano a favore di
questa supposizione divenuta affermazione recisa; poten-'
tissime fra queste la natura dell'uomo, la sua sfrenata am-
bizione, il vantaggio che a lui veniva dalla morte del fra-
tello primogenito, il contegno del papa, che dopo essersi
(i) Cfr. Gregorovius, Storia ài Roma, VII, 474-75; Alvisi, Ce-
sare. Borgia duca di Romagna; Imola, 1878, pp. 44-45. Il Giraldi
CiNTio è da aggiungersi al novero di quelli che incolparono Cesare
del fratricidio. , È noto come nella novella 10^ della IX decade degli
Ecatommiti egli riferisce, sotto falsi nomi di persone e di luoghi, i
fatti dei Borgia. Quivi è detto di Timorico, sotto cui si cela il Va-
lentino : « E fra molti segni della sua crudeltà, ne diede uno orri-
« bile sopramodo; però che avendo questi un fratello, e parendogli
« che Eutico (cioè Alessandro VI) lo tenesse in maggior stima, che
« lui, fingendo Timorico di amarlo singolarmente, egli, insieme con
« alcuni altri malvagi, lo tagliarono crudelmente a pezzi ». Cfr. D'An-
cona, Varietà storiche e letterarie, II, 239.
Varietà 297
in sulle prime scalmanato a cercare il reo, finiva col sep-
pellire la cosa nel più tenebroso silenzio.
Ma se queste ed altre ragioni sono forti, indubitato è
d'altra parte che a quanti si trovavano in Roma all'epoca
del triste flitto non venne dapprima alcun sospetto del
firatricidìo.
Noi possediamo relazioni sincrone, estese e per ogni
rispetto attendibili, quella lunga e piena di particolari che
è nel prezioso diario borgiano di Giovanni Burcardo (i) ;
quella che il residente veneto scrisse il 17 giugno alla Si-
gnoria di Venezia, che venne riferita dal Malipiero (2) e
con qualche variante dal Sanudo (3) ; una lettera latina del
16 giugno, parimenti recata dal Sanudo (4); il rapporto
del 17 giugno con cui Alessandro Bracci, ambasciatore
fiorentino, informava il suo governo dell'accaduto (5); la
lettera infine che il cardinale Ascanio Sforza scriveva il
16 giugno al fratello Ludovico il Moro (6), In nessuna
di tali relazioni è pure un motto che si riferisca a Cesare,
ne diverso è il risultato se consultiamo le cronache del
jtempo, la napolitana, la leccese, la ferrarese, la fiorentina
del Cambi, la modenese del Lancellotti (7). Eppure in
tutti è desiderio sommo di scoprire il reo, e varie e di-
scordi supposizioni si fimno. I primi sospetti si aggirarono
intorno agli Orsini e al cardinale Ascanio Sforza (8):
Alessandro VI rassicurò quest'ultimo, che si era con ra-
(i) Johannis Burchardi [Diarinm, ed. Thuasne, voi. II; Parigi,
1884, pp. 387-90.
(2) Annali veneti, in Arch. star. Hai. VII, I, 489-9 1.
(3) Diarii, I, 658-60.
(4) Diarii, I, 657-58.
(5) Documento edito dal Thuasne in Diarìiun Burcìianli, 11,669-70.
(6) La trasse dallo archivio di Modena il Gregorovius, VII,
465 n.
(7) Alvisi, op. cit., p. 34 n.
(8) Sanudo, I, 652.
298 (l4. Lu^to, 7^. ^eiiier
gione impaurito (i), ma trasse in seguito profitto da quelle
dicerie per la sua politica contro gli Orsini (2). Più te-
nace fu la voce che accusava Giovanni Sforza di Pesaro,
r infelice marito di Lucrezia, che in quel medesimo anno
1497 doveva veder sciolto il suo infausto matrimonio. La
lettera riferita dal Malipiero reca : « Si dice che 'l signor
(( Giovanni Sforza, signor di Pesaro, ha fatto questo ef-
(( fetto, perchè il duca usava con la sorela, sua consorte,
« la qual è fiola del papa, ma d'un' altra donna». Qui
vediamo già formarsi quella leggenda degH amori ince-
stuosi di Lucrezia coi fratelli, che trovò poi nel Matarazzo
il più grossolano interprete (3). Secondo il Matarazzo, lo
assassinio viene commesso in casa di una meretrice per
mano di Giovanni Sforza e de' suoi seguaci (4). Né a
queste sole persone si fermavano i sospetti. V era chi ti-
rava in mezzo il conte Antonio Maria della Mirandola,
perchè il duca, che corteggiava una figlia di lui, era stato
ucciso non molto discosto dalla casa sua (5), e v' era chi
ne faceva carico al principe di Squillace e persino al duca
d'Urbino (^). Non uno pensava al Valentino.
Su quali prove di fatto riposa la terribile accusa di fra-
tricidio lanciata contro di lui ? D'onde mosse quella per-
(i) Lettera del Bracci in data 23 giugno, pubblicata dal Thuasne,
II, 672.
(2) Lettere di Manfredo dei Manfredi, oratore estense a Firenze,
del 12 agosto e 22 die. 1497. Vedi Cappelli, Fra Girolamo Savo-
narola, in Atti e mem. di Parma e Modena, IV, 385 e 396.
(3) Vedi in Gregorovius, Lucrezia Borgia (Firenze, 1874, p. 105),
ciò 'che deva pensarsi di tali enormità.
(4) Arch. stor. Hai. XVI, i, 70-72.
(5) Lettera 17 giugno del Bracci.
(6) Secondo il Sanudo (I, 653), il papa avrebbe detto nel conci-
storo del 19 giugno : « L'è sta divulgato l'habbifato amazar el signor
« di Pexaro; ne semo certi non esser vero. Del principe de Squilazi
« fratello dil prefatto ducha, minime. Dil ducha de Urbino etiam
« semo chiari. Idio perdoni chi è stato ! »
Varietà 299
suasione che fu tanto potente da indurre sette anni dopo
i giudici del famigerato Micheletto, sicario di Cesare, a
chiedergli conto, tra gli altri assassini, anche di quello del
duca di Gandia? (i) Da dove nacque quella diceria che
divenne cosi presto storia e romanzo ? (2) Il Gregorovius,
che è pur cosi alieno dalla leggenda borgiana, è costretto
a dire : « Stando all'opinione universale di quel tempo, e
« tenendo conto di tutte le ragioni di probabilità. Cesare
(( fu l'assassino di suo fratello » (3). L'opinione, osserve-
remo noi, divenne universale soltanto parecchi anni dopo
la uccisione del duca; le ragioni di probabiHtà vi furono
e vi sono; ma badiamo bene che esse indussero troppe
volte in errore e che i Borgia ebbero sempre giudici poco
sereni. Disperando oramai di trovare la prova, noi cre-
diamo che il processo indiziario vada rifatto.
A questo scopo tornerà forse non inutile un'altra rela-
zione sincrona, sino a qui rimasta inedita, che concorda
in quasi tutto con quelle sopra citate, sì nella esposizione
del fatto, si nel riferimento delle dicerie che corsero in-
torno al suo autore. È tratta dall'archivio Gonzaga di
Mantova ed è scritta al marchese Francesco dall'oratore
mantovano a Roma. La conobbe il Gregorovius e ne recò
(i) Secondo un dispaccio del Giustinian del 31 maggio 1504.
Vedi Gregorovius, Vili, 34.
(2) Curiosissima ò la narrazione romanzesca che dà del fatto una
vita ms. di Alessandro VI citata dal Leti, Vita di Cesare Borgia;
Milano, 1853, pp. 198-200 n. Quivi Cesare e Giovanni cenano col
padre presso Vannozza. Poi Alessandro viene accompagnato alla
sua stanza e i due fratelli escono. Avviatisi verso ponte S. Angelo,
si fa loro incontro un frate che chiede l'elemosina, a cui Cesare fa
segno che il compagno è il fratel suo, e allora il frate gli salta al
collo, lo strozza, lo spoglia e lo getta nel vicino Tevere. - La fonte
ò delle più torbide, ma qualunque sia il tempo in che fu inventata
tale storiella, attesta il lavorio della leggenda.
(3) Lucrezia, p. 102.
3 00 qA. Liiiio, 9^. T\enier
appena un passo nella Storia di Roma (i), designando
Fautore col solo prenome di Job. Caroìiis. Era questi Gian
Carlo Scalona, ambasciatore a Roma dal 1495 al 1497,
adoperato poi dal xMarchese in altre importanti missioni
all'estero, e in uffici primari nelFamministrazione interna.
Lo Scalona, ne' molti dispacci che di lui si conservano,
ci appare un osservatore acuto, diligente, imparziale ; e la
sua parola ha perciò del valore anche in una faccenda te-
nebrosa, come questa, nella quale è a desiderare che ven-
gano poste alla luce tutte le testimonianze genuine e di-
rette.
A. Luzio,
R. Renier.
Ill.mo et Ex.mo signor mio. Mercori p. p. circa le xx bore parti-
rono di pallazo lì R.mi monsignori cardinali de Valenza, Borgia et
ducha de Gandia, et andoreno de compagnia a cenare ad una vigna
de M^ Vanoza, matre del prefato cardinale de Valenza et ducha.
Doppo cena sul tardo et quasi nocte, venero in Roma, e gionti presso
Ponte S. Angelo il ducha solo prese licentia da li cardinali excu-
sandose haver ordine in certo loco dove havea andar solo. Li car-
dinali fecero tuto il possibile per non lassarlo andar solo et similiter
fecero prova alcuni suoi servitori, unde che non fue remedio che '1
volesse compagnia. Cussi partito, chiamoe un suo staffiero coman-
dandoli che andasse a la camera sua a pallazo a tuor certe sue ar-
mature da nocte, cum le quali havesse a venire ad aspectarlo in
piaza Judea. Il staffiero come obediente partì ad exequire la commis-
sione del ducha, et in lo andar a pallazo fue asalito, et datoli al-
cune puncte cum nullo male perchè era forte. Non stette per questo
che '1 staffiero ritornoe al luoco ordinato cum le armature ordinate,
e stattovi per un pezo non vedendo il patrone tornosene a casa, pen-
sando che '1 ducha, comò era qualche volta suo costume, fusse re-
stato a dormire in casa de qualche donna de respecto. Doppo che '1
ducha ebbe parlato a questo suo staffiero, fue visto saHrli un in croppa,
che era a cavallo a mulla, et questo tale era incapuzato negro, per
il che se presume che '1 fusse un ordine dato per trapelarlo come
(i) VII, pp. 463 e 466 n.
Varietà 301
hanno facto. Li cardinali stettero più volte ad aspectarlo al ponte,
dove havea il ducha promisso de ritornare, et vedendo che '1 non
comparea, cum qualche anxietà et dubio de mente andoreno a pallazo ;
siche la cosa per tuto heri fin a le xx hore stette cussi sopita, persua-
dendose ogniuno che '1 fusse restato in qualche loco in apiacere. A le
XXI hore il papa domanda instantemente d'esso ducha et manda a le
camere sue a sapere che è de lui. Alcuni suoi compagni homini da
conto che erano in diete camere non sapeano che respondere, et
chiamati dal papa dubitoreno andare. Unde che Sua Beatitudine
mandoe per Valenza et per Borgia, interogandoli cum grandi pro-
teste che li dicessero che era del ducha. Essi apertamente li dis-
sero il tuto come scrivo : hoc audito il papa volsi intendere se l'era
morto o non; che se era morto, disse sapeva l'origine et la causa.
Loro non sapéro dire altro, se non quello haveano visto et intieso
dal staffiero che fue mandato dal ducha a pigliare l'armatura da
nocte, — Hoggi, facto giorno, che la nocte passata non se era facto
altro che tramar per ogni via per haverne spia, se intesi per rela-
tione de un schiavone marinaro che era cum lo navilio suo a la
ripa del Populo, non troppo distante da la porta del Populo, et era
posto per dormire, che '1 mercori circa le quatro hore de nocte per
una parte de la nave dove era vide proximarse a la ripa un homo
de mediocre statura a cavallo ad un cavallo liardo, che havea in
croppa una cosa in forma de uno grande fardello, et che sentite
un grande strepito de strapozare ne l'acqua, e intese dire ad una
voce formalmente: « creditu che '1 sia andato a fondo? » et quello
tale respondere: « signor si ». Cussi il papa questa mane fin a le xviii
hore è facto piscatore del figlio ; che a tal hora è sta' ritrovato in-
volto in un saco cum la gola tagliata et li brazi et cosse ferite in
li pessetti mortalmente. È gitato in lo luoco dove se gitano li letami
a Roma, da quello canto.
Se fanno vari] comcnti sopra questo caso ad ogni modo do-
lendo ; chi imputa siano stati Viterbesi per queste seditione loro, che
a loro forsi pare de patire per poca provisione o culpa del ponte-
fice; alcuni danno colpa che per essere questi signori alquanto di-
solti la nocte in voler femine de Romani non sia stato conducto a
la trapola da qualchuno iniuriato ne l'honore; chi la dice ad un
modo, chi ad un altro.
Per quanto io habia potuto investigare da persone di qualche
credito in casa d'esso ducha et de Valenza, la cosa, se non è facta,
è facta fare o consultata cum persone che ha denti longi; e questo
judicio non se fa senza fundamento et qualche colore. Doppo che
Ascanio è convaliuto, sono pur stati alcuni termini fra questi signori,
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 21
302 qA. Liiiio, 9^. 'I(enìer
maxime Valenza et ducha, che Borgia non intra in simile scara
muza; e s'è dicto che se Ascanio mancava et fusse morto de v<
neno non imputava altro che Valenza. Ultra questo havendo Sfoi
cino questa quadragesima passata facto amazare un signore spagnolo"
in casa de una femina cortesana, o ferire a morte, siche se ne morse
in pochi zorni, la cosa stette tanto tacita et cum nulla demonstra-
tione che circha un mese questo ducha m-anibus proprijs piglioe de
nocte alcuni stafiferi de Sforcino et condusseli in presone come quelli
che haveano ferito a morte esso signore spagnolo, et il zorno se-
quente circa le xx fuoreno irapicati a li merli de Torre de Nona
senza alcuno respecto, ancora che Ascanio per mezo de l'oratore
ducale facesse ogni prova presso N. S. per liberarli et camparli.
Come è dicto fuoreno impicati suxo li ochij a l'amico, quale doppo
etiam personalmente se n'è dogUuto, e talmente che '1 papa se è
sforzato reconciliare il ducha cum Ascanio et cum Sforzino, cum
termini dal canto del ducha di chieder venia ad Ascanio, et Sfor-
zino al ducha ; tamen se crede per certo che in secreto dal canto
de Ascanio li fusse più pensiero di vendetta che dispositione de re-
mettere.
Se scià poi certo che esso ducha era inamorato et pazzo de la
figlia del conte Ant" Maria de la Mirandula et che cum questo mezo
sia stato tirato a la trapela, perchè il loco dove è sta' submerso non
è troppo distante da la casa del conte. E poi lo mercore nocte fue
ritrovata la mulla d'esso ducha voda che erava da la casa del conte
verso casa de Parma; e pigliata da alcuni che passavano e con-
ducta presso la casa del conte, trovose dui armati acostati a li muri
d'esso conte, a li quali fue domandato se la mulla era loro, che
prima dissero si, ma domandatoli il contrasigno de la mulla non
sapéro dire altro se non che havea la sella picola, e facendo quelli
tali che haveano ritrovato la mulla renitentia de darla per quello
solo signo de la sella, quelli armati resposero che li lassavano la
mulla et si andassero per li facti loro.
Quello tale che salite in croppa al ducha se- pensa e presume
fusse uno Jaches de casa de Ascanio, cum lo quale se era per il
passato facto grande instantia che '1 pigliasse per mogliere la figlia
del conte Antonio et mài non havea vogliuto attenderli. E pur in
questo ultimo del caso de Ascanio li furono lassati per testamento
dece mille ducati se la pigliava ; casu che non, non havea se non
quattromille.
Fin qua queste sono le più millitante coniecture che siano, ben-
ché ancora se suspichi da qualchuno del signor de Pesaro, et in li
denti del ducha de Urbino.
Varietà 303
Il papa per quanto se debbe consyderare è de la pezor voglia
che fusse mai, e non se può pensare che non ne succeda qualche
grande inconveniente, secondo che la cosa se andarà verificando a
la zornata. Se stima, et quasi non può essere altramente secondo il
dire di cui l' ha visto morto, che collui che li salite in croppa ama-
zasse esso ducha cum lo suo pistorese che l'havea dreto et che '1
non intrasse in casa veruna. Del successo V. Ex. sarà copiosamente
advisata. Raccomandome in buona gratia de V. Ex.
Romae, xvi junij 1497.
S.tor
Jo. Carolus (Scalona).
ATTI DELLA SOCIETÀ
Corso pratico di Metodologia della storia
Trascriiione d' un rotula membranaceo contenente un
esame testimoniale circa i diritti delTabbadia di
Far fa su Montefalcone,
Lasciato cortesemente in deposito presso la R. Società
romana di storia patria un rotulo membranaceo del se-
colo XIII, noi avemmo agio di trascriverlo, ed ora lo pub-
blichiamo, non mancando di qualche interesse, perchè si
riferisce ad una questione dibattutasi tra una forte città ed
una potentissima badia.
Il rotolo consiste di nove fogli di pergamena cuciti
insieme, scritti da un sol lato, in carattere minuscolo, tutto
di una sola mano.
Esso è nondimeno frammentario e doveva essere molto
più voluminoso, a quanto si può giudicare dall'importanza
delle due parti e della questione, e dal poco che nel fram-
mento esistente si contiene.
Il testo comprende Tesame di alcuni testimoni in un
giudizio tra la badia di Farfa e la città di Fermo sul pos-
sesso del castello e della terra di Montefiilcone.
La biella (li I^arfa sin da tempo remotissimo ebbe nelle
Marche amj)i possedimenti, che costituirono il Prcsidalo
l-'iirjrìi:,r. La prima memoria di un possesso nelle Marche
risale al secolo vili, nel qual tempo la badia possedeva già
il monastero di S. Ippolito nel territorio di Fermo, dove
^o6 Q/ìtti della Società
mori l'abbate Guaiidelperto o Vandelperto. Sulla fine del
secolo IX, per sfuggire alle scorrerie de' Saraceni, i monaci
di Farfii, guidati dall'abbate Pietro, si ritirarono nella Marca,
sul monte Matenano, dove poi sorse la terra di Santa Vit-
toria, che prese questo nome quando l'abbate Ratfredo, tor-
nato in Sabina e ricostruito l'antico monastero, mandò in
compenso al monte Matenano il corpo di santa Vittoria (i).
Questo abbate Ratfredo, che probabilmente fu in carica
dal 929 al 93^, acquistò il castello di Montefalcone, « cur-
« tem videlicet quae mons Falconis dicitur — dato pretio
« noviter comparavit » (2).
Un atto importante relativo a Montefalcone è quello
pel quale Matteo abbate del monastero Farfense, « con-
ce sentientibus fratribus», concedeva nel maggio 1214 agli
abitanti di quel castello, in compenso della loro fedeltà, di
eleggersi un Consiglio, il podestà, il giudice, i massari, i
notai, di fare statuti pel regolamento del proprio comune (3).
Nel 12 14 adunque il castello di Montefalcone era in possesso
della badia di Farfa. Ma troviamo più tardi una bolla di
papa Innocenzo IV a Gerardo Cossadoca, rettore della
Marca anconetana, sulla restituzione al comune della città
di Fermo del castello di Montefalcone, occupato da alcuni
cittadini fermani (4). Questa è datata da Anagni, il do-
(i) Chron. Farj. nel Muratori, II, parte 2^, 343.
(2) Ivi, 455.
(3) V. il n. 57 nel Sommario cronologico di carie fermane anteriori
al secolo xiv, inserito nel tomo IV dei Documenti di storia italiana pub-
blicati a cura della R. Deputazione di storia patria per la Toscana,
Umbria e Marche; nonché il n. io del supplemento al Codice diplo-
matico di S. Vittoria (Colucci, Antichità picene, XXXI). Il nome
di Matteo dato ad un abbate di Farfa vivente nel 12 14 non coinci-
derebbe col catalogo Muratoriano (VII, parte 2^, p. 298), secondo
il quale dal 1191 al 1235 sarebbe stato abbate Pandolfo. Ma, come
vedremo, è molto difficile poter precisare la successione degli abbati
in quel tempo.
(4) Sommario cronologico di carte fermane nel cit. voi. IV dei Do-
cumenti, n. 225.
oAtti della Società 307
dicesimo anno (1254) ^^^ pontificato di Innocenzo IV.
Adunque nell'intervallo di tempo fra il 12 14 e il 1254
Montefalcone fu occupato dalla città di Fermo, e da essa
tenuto in modo da potersi poi rivolgere al pontefice e far
constare il proprio diritto per ottenerne la restituzione.
Fermo, che, dopo la sconfitta del marchese Marcoaldo
d'Anninuccio nel 1 199 (i), aveva cominciato a governarsi a
comune, aveva con varia vicenda aderito ai due partiti guelfo
e ghibellino, riconoscendo spontaneamente il più forte e
sottraendosi in tal modo ai pericoli della resistenza, otte-
nendo anzi la conferma de' privilegi già avuti ed altri nuovi.
Cosi Fermo nel 1208 riconosceva il dominio di Ottone IV,
nel 12 14 passava con Aldobrandino d'Este al partito guelfo,
nel 1224 si assoggettava spontaneamente al proprio ve-
scovo, nel 1242 riconosceva a signore Federico II (2), e
nel 1249 ritornava all'obbedienza de' pontefici (3).
In tal modo, quando nel 1254 Innocenzo IV scriveva
al rettore della Marca perchè il castello di Montefalcone
fosse restituito ai Fermani, questi da pochi anni erano tornati
sotto il dominio della Chiesa; né dovevano molto rimanervi,
che nel 1258 mandarono ambasciatori a re Manfredi, e ot-
tenutane la conferma de' privilegi, a lui si sottomisero. E di
Manfredi abbiamo un atto nel quale egli conferma al comune
di Fermo « iura et iurisdicionem quam et quae curia nostra
« habet in castro Mariani . . . castro Montisfalconis ...» (4).
Con questi fatti si collega il nostro documento. Come
abbiam detto, esso contiene un esame testimoniale: in
quel che a noi è pervenuto sono comprese le deposizioni
di undici testimoni; del primo però non abbiamo che le
risposte agli ultimi sei articoli dell' interrogatorio, e rimane
(i) Compagnoni, Re^^ia pie, p. 79.
. (2) Sulla sottomissione di Fermo all' imperatore Federico, vcggasi
HuiLLARD Bréholles, Hìst. diplotu. Fridcr. II, VI, 790 e sg.
(3) Fracassetti, Noliiie storiche della città di Fermo.
(4) WiNKELMANN G., Actu imperii inedita saeculi xiii, I, 414.
3o8 oAttì della Società
ignoto il nome del teste. Le deposizioni degli altri dieci
testimoni sono complete.
L' interrogatorio ebbe luogo in vari giorni : nel primo
giorno furono raccolte le deposizioni del primo teste, di cui
ignoriamo il nome, e dei testi Rainaldo di Benedetto da
Force, Berardo cappellano di Santa Maria Nova in Force e
Beraldo di Benazano da Settecarpine ; in un altro giorno,
die XI marta, VII mdictionis, furono sentiti Mainardo, cap-
pellano di S. Biasio da Teramo, Gualtieri di Enrico da
Force e Bono di Meliorato da Teramo; die XV martii,
furono sentiti Rainoldo monaco di S. Catervo da Tolentino
e Giacomo priore di Santa Maria da Offida; die XVI martii
fu sentito Pietro di Nicola da Monte di Nove, con la cui
deposizione termina il frammento.
Le deposizioni furono fatte presenti le parti e innanzi
al rettore, che senza dubbio è il rettore pontificio della
Marca, ma di questo manca il nome, che certamente do-
veva essere in testa al manoscritto^ perchè al principio di
di ogni deposizione troviamo che questa è fatta « coram
« rectore prefato » .
Gli articoli dell' interrogatorio sono dodici ; e, salvo
l'ultimo, tutti mirano a stabilire il possesso del castello di
Montefalcone da parte della badia farfense.
Nel primo articolo si domanda chi era in possesso del-
l'abbazia farfense nella Marca e del castello di Montefalcone
prima dell'invasione di Federico II imperatore, come si
esercitava questo possesso e per quanto tempo fu esercitato.
Su' questo articolo le risposte dei testi sono pienamente con-
cordi. L'abbazia farfense nella Marca e il castello di Montefal-
cone prima dell' invasione di Federico erano in possesso degli
abbati, di cui vengono ricordati Matteo di Subiaco, Enrico
di Cosseiano, Gentile, Matteo di Arsoli. Di questi abbati
non è possibile stabiHre con sicurezza la data, perchè regna
una grande incertezza su questo periodo di tempo nella
storia della badia farfense nella Marca.
oAtti della Società 309
Tuttavia si può assegnare, con probabilità di essere
molto vicini al vero, al governo dell'abbate Matteo di Su-
biaco il periodo di tempo dal 1238 al 1242; all'abbate
Enrico di Cosseiano, dal 1242 al 1243; all'abbate Gentile,
dal 1247 al 1250; all'abbate Matteo d'Arsoli, dal 1250
al 1257 (0* La successione degli abbati non fu sempre
continua; ma dopo la morte di alcuni di essi la carica
rimase vacante. I testi, rispondendo all'undecimo articolo
dell' interrogatorio, depongono concordemente che da oltre
trent'anni e dopo l' invasione dell'esercito imperiale vi fu-
rono ad intervalli interruzioni nella successione degli abbati
per un periodo di sette a dieci anni. L'ultimo teste, Pietro
di Nicola da Monte di Nove, ricorda che le vacanze avven-
nero per la morte dell'abbate Stefano, per la deposizione del-
l'abbate Nicola e per la morte dell'abbate Peregrino. Il go-
verno dell'abbate Stemmo può fissarsi tra il 1245 e il 1247,
quello dell'abbate Nicola tra il 1259 ^ i^ ^^^^ (^^59"
12^0, secondo il Colucci), e quello dell'abate Peregrino
tra il 12^1 e il 1277 (12^0-1275, secondo il Colucci).
Questa parte delle deposizioni, sulle vacanze dell'abbazia,
sarà utile, come vedremo, per stabilire la data dell' inter-
rogatorio.
Tornando ora alle deposizioni sul primo articolo, ab-
biamo veduto che queste sono concordi nello stabilire il
possesso degli abati di Farfa sul castello di Montefalcone
prima dell' invasione di Federico. Il possesso era vero do-
minio pieno ed assoluto sui beni della badia, con giurisdi-
(i) Queste date le abbiamo desunte: i** Dal catalogo pubblicato
dal Muratori (v. II, parte II, p. 298); 2" Dall'elenco degli abbati
pubblicato nelle « Memorie storiche dell'antica badia di Farfa » (Co-
lucci, Antich. pie. XXXI); 3** Dagli Annales sacri et imperialis Moti.
Farf. di Gregorio Urrano, manoscritto esistente nella bibl. Vitt.
Eman. di Roma (fondo Mon. Farf. XXXVII-31), lavoro questo re-
cente, perchò non rimonta oltre la metà del secolo xvii, ma fatto
da un monaco della badia e quindi su materiali abbondanti e sicuri.
3 IO oAtti della Società
zione su tutte le cause civili e criminali. Il dominio era
esercitato per mezzo di vicari, come si vede dalle risposte
al secondo articolo; e questi erano due, uno per la giuris-
dizione temporale, ed uno per la spirituale. Al tempo del-
l'invasione, o poco prima, era vicario per la giurisdizione
temporale Fildesmido da Mollano.
Gli abbati possedevano tutta l'abbazia, e gli uomini e
i vassalli dell'abbazia e de' castelli soggetti, ne' quali tene-
vano gastaldi o visconti. La giurisdizione penale si esten-
deva fino alla pena di morte, « etiam quo ad sanguinem
« et capitalis pene impositionem », e taluni testi ricordano
vari supplizi corporali, come l'accecamento. E la natura e
i limiti del dominio degli abbati e della rappresentanza affi-
data ai vicari, la quale era amplissima, perchè essi facevano
« quod faciunt domini », « que dominus et comes facit in
«sua terra et in suis vassallis », formano l'argomento del
terzo articolo.
Il quarto articolo tende a stabilire i nomi di parecchi
vicari e il tempo in cui esercitarono il loro ufficio. Rica-
viamo che Gentile di Attone da Force e Fildesmido da Mo-
llano furono vicari prima dell'invasione; gli altri che ven-
gono nominati da' testimoni lo furono in tempi diversi. Il
nome di Fildesmido (o Fildesmindo) di Mollano si ritrova
in qualche carta del tempo: così sappiamo che Gregorio IX
comandò nel 1230 a Filippo vescovo di Fermo di conoscere
e giudicare la controversia tra il comune di Camerino e
Fildesmido sopra il castello di Morico (i).
E il Colucci (2) pubbhca l'atto di concordia intervenuto
il 5 maggio 1247 tra Fildesmido di Mollano e Balignano,
Corrado e Giberto di Giovanni sopra il Poggio di S. Co-
stanzo.
Fra i vicari menzionati da vari testimoni vi è Alber-
(i) Catalani, Ecclesìa Firmana, p. 178.
(2) Antichità picene, XIX, xxvi.
CAtti delia Società 311
tino figlio del conte Alberto de Exmirillo, del quale il teste
Brunoro di Silvestro da Force dice che possedeva in Mon-
tefalcone quosdam vassallos e che faciebat fideìitatem all'abate.
Di un altro de' vicari nominati troviamo tracce nelle carte
de' tempi, di Arpinello figlio del quondam Giberto della Valle,
il quale con atto dell' 8 novembre 1258 vendè al comune di
Amandola il Poggio, ossia castello delle Valli, e il borgo
di detto Poggio, con tutti i vassalli (i).
Il quinto articolo si riferisce al modo pel quale l'abbazia
venne privata del suo territorio e del castello di Monte-
falcone. I testimoni sono tutti concordi nel rispondere che
la spogliazione avvenne a causa dell'invasione delle solda-
tesche di Federico imperatore. Rainaldo d'Acquaviva, nunzio
del re Enzo, con forte mano di saraceni e di tedeschi venne
al castello di Force, dove era l'abbate Matteo di Subiaco, il
quale non volle prestargU obbedienza e dovette fuggire,
« recessit de ipso castro plorando » ; e così quegli rimase
padrone del territorio, « et tunc privatum fuit dictum mo-
« nasterium de tota dieta possessione », e gli abitanti « fe-
ce cerunt mandata eius )). L'imperatore non venne perso-
nalmente contro l'abbazia, ma uno de' testi, Gualtiero di En-
rico da Force, depone di averlo veduto all'assedio di Ascoli.
Ora noi sappiamo che l'esercito imperiale assediò e prese
Ascoli nel 1242 (2), ma il re Enzo aveva già invaso la
Marca nel settembre 1239 (3), e nel novembre si trovava
nel territorio di Macerata e assediava Montecchio (4).
(i) Appendice diplomatica II della terra di S. Ginesio (Colucci,
Antichità picene, XXIV, p. 20).
(2) Riccardo di S. Germano (nel Muratori, VII, 1049-E,
1050-B).
(3) « HenricusrexGallurac naturalis filius imperatoris in Marchiani
« Anconitanam venit, centra qucm mittitur a Gregorio papa Joanncs
«de Columna cardinalis, mense octob. (anno MCCXXXIX) ». Rice.
DI S. Germano nel Muratori, VII, 1043.
(4) Compagnoni, Reggia picena, pp. 102, 103; ove si riporta il
testo dell'atto « datum in castris in obsidione Monteclae, 1239, mense
312 oAtti della Società
L'occupazione del territorio dell'abbazia farfense, ese-
guita da una masnada (come dice il nostro manoscritto)
di tedeschi e di saraceni comandati da Rainaldo di Acqua-
viva, deve esser quindi avvenuta tra la fine del 1239 e
il 1242, mentre era abbate Matteo di Subiaco, come depon-
gono concordemente tutti i testi; e infatti un Matteo, come
abbiamo veduto, era abbate nel 1238, e probabilmente lo fu
fino al 1242, nel qual anno si trova come abbate Enrico, il
quale, non trovandosene altro di questo nome, deve essere
r Enrico di Cosseiano ricordato da' testi nelle risposte al
primo articolo.
Siccome però dalla deposizione di Beraldo domini Bo-
naxani di Settecarpine rileviamo che Rainaldo era nunzio
del re Enzo, la sua invasione nel territorio dell'abbazia si
può riferire al tempo in cui il re Enzo entrò nella Marca
spingendosi oltre Macerata, cioè all'autunno o all' inverno
del 1239(1). E questo ci vien meglio confermato dalla
deposizione di Gualtiero di Enrico da Force, che riferisce
appunto all'esercito di tedeschi e di saraceni comandato da
Enzo l'occupazione dell'abbazia.
Rainaldo d'Acquaviva, dopo aver cacciato dal castello
di Force l'abbate Matteo, si diresse lo stesso giorno alla
chiesa di San Januario verso il castello di Montefalcone, ed
ivi ricevè gli uomini di questo castello a far atto d'ob'bedienza
(deposizione di Brunoro di Silverio da Force).
« novembris » col quale « Henricus Dei et imperiali gratia rex Tur-
« rium et Galluris et domini imperatoris filius sacri imperii totius
« Italiae legatus », conferiva alla città di Macerata alcune immunità
e diritti.
(i) Nello stesso anno 1239 Rainaldo era stato compreso fra i
baroni abruzzesi ai quali furono affidati da Federico II i prigioni lom-
bardi (HuillardBréholles, Hist. dipi. Frider.II, V, 611). Nel 1240 era
inviato come capitano a Viterbo (v. il Chronicon di Riccardo di San
Germano nel Muratori, VII, 1028-B; e I'Huillard Bréholles,
V> 779) '•> s fu poi potestà di Cremona (Huillard Bréholles, V, 1070).
oAtti della Società 313
Il comune di Fermo, il quale, come abbiamo visto, nel
1242, dopo l'assedio di Ascoli, si era dato alla devozione
dell'imperatore, approfittando certo di un momento in cui
le forze de' Guelfi erano oppresse dagli imperiali, dovette
occupare Montefalcone, e lo tenne, secondo le testimo-
r^ianze raccolte nel nostro manoscritto, relative all'arti-
colo settimo, per venti anni. Per meglio tenere il ca-
stello, i Permani vi costruirono una torre e un girone, o
recinto di mura; ma non pare che il loro dominio si esten-
desse molto al di là del castello, perchè i « servitia debi-
talia » furono prestati ancora all'abate.
Ritornata Fermo nel 1249 alla devozione del pontefice,
previa la conferma de' privilegi ottenuti dall'imperatore nel
1242, Gerardo, vescovo di Fermo (i), pose mano tosto
perchè fossero restituiti alla Chiesa i castelli tolti nell' inva-
sione di Federico; insieme al comune di Fermo ricorse a
Innocenzo IV, e questi, il 24 novembre 125 1, scriveva al
rettore della Marca di dare aiuto al vescovo e al comune (2).
Fermo però non restituiva alla badia Farfense il castello di
Montefalcone, che anzi, come abbiamo visto, nel 1254 ^^^
nocenzo IV scriveva al rettore perchè il castello occupato
da alcuni cittadini fermani fosse restituito al comune, il
quale aveva già concesso la cittadinanza agli abitanti di
Montefalcone nel 1251 (3).
Partito l'abbate Matteo, rimase il monaco Nicola di
Puzzallia come vicario, e, « cum gereret offìcium vicaria-
« tus », venne un certo Salomone, il quale prese a coman-
dare a nome dell' imperatore, cosicché Nicola per timore
si allontanò. Questo Nicola fu poi abbate anche lui, dal
1259 fino al 12^1, o sino al 1260, secondo il Colucci,
(1) Dal 1250 (e forse dal 1251) al 1272 (Gams, Serics epp. p. 692).
(2) Catalani, De Ecclesia Firmana, p. 180.
(3) V. n. 186 nel già citato regesto Fermano, pubblicato dal De
MlNICIS.
314 Q^tli della Società
e perciò nelle deposizioni (che sono, come vedremo, po-
steriori) si dice di lui olim abbas, E durante il vicariato di
Nicola il castello di Montefiilcone passò al rettore della
Marca. Il modo in cui si operò questo passaggio forma
l'argomento del sesto articolo dell' interrogatorio. Il castello
di Montefalcone era stato occupato dai signori di Smerlilo,
i quali, sulla richiesta di Nicola di Puzzallia, a lui lo resti-
tuirono, e Nicola vi andò personalmente e ne prese possesso.
Dalla deposizione particolareggiata del teste Giacomo,
priore di Santa Maria di Offida, parrebbe che quando Ni-
cola ebbe dai signori di Smerlilo il castello di Montefal-
cone, e quando questo fu poi fatto occupare dal rettore
della Marca, egli fosse già abbate del monastero. Ma la
consegna del castello a Nicola fu anteriore all'occupazione
fattane dal rettore, che era Gerardo Cossadoca, e questa
non può essere posta oltre il 1254 ^ ^^55^ ^^^^ 4^'^^ tempo
Gerardo era vescovo di Verona. Nicola invece divenne
abbate solo nel 1259, secondo l'attestazione conforme delle
tre fonti da noi citate sulla cronologia degli abbati far-
fensi, le quali portano come abbate in quel tempo (dal
1250 al 1257) ^^^ Matteo, che è ricordato dai testi col
nome di Matteo d'Arsoli. Ci sembra quindi doversi rite-
nere che in quel tempo Nicola fosse soltanto vicario per
l'abbate nella Marca; ma, essendo poi divenuto abbate, il
teste, parlando di lui, gli dà quel titolo, benché deponga
su fatti avvenuti anteriormente alla dignità ottenuta da
Nicola.
I signori di Smerlilo e di Montepassillo, che qui tro-
viamo citati, erano una nobile ed antica famiglia, il cui
castello di Smerlilo si trovava nel territorio di Comunanza,
sulla vetta di Montepassillo, a poche miglia da Montefal-
cone. Ai fratelli Giorgio e Albertino di Montepassillo,
ricordati nella deposizione del teste Giacomo, priore di
S. Maria di Offida, la città di AscoU accordò nel 1249
la franchigia dalle gabelle, perchè essi promisero di andarvi
oAtti della Società 315
ad abitare e comprarvi case e poderi, e si obbligarono a te-
nere fanti e cavalli in servizio della città, e andare alla guerra
ove occorresse. I figli di Albertino nel 1295 venderono a
messer Nicolò di Emidio di Ascoli il castello per 3600 libbre
ravennati.; ma essi continuarono a possedere vasti domini
nel territorio; e la loro famiglia, che portava il casato di
Nobili, non si spense che al principio del secolo scorso (i).
Anselmo di Smerlilo, che troviamo pure nominato nella
citata deposizione, intervenne alle capitolazioni che furono
conchiuse il 15 settembre 1256 tra Anibaldo degU Anibal-
densi della Molara, rettore della Marca, e vari comuni e
signori della Marca per mantenersi nella fede della Chiesa (2).
Rimasto Nicola in possesso del castello di Montefalcone,
a lui restituito pacificamente da' signori di Smerlilo, venne
a lui un tal Oddone di Firenze, inviato da Gerardo Cossa-
doca dei Vicedomini, cappellano pontificio e rettore della
Marca, poi vescovo di Verona (3), a nome del quale si fece
consegnare il castello, il che Nicola fece, protestando però
di farlo per rispetto della Chiesa Romana, salvo e riservato
ogni diritto deihi Chiesa Farfense.
L'ottavo articolo dell'interrogatorio tende a stabilire i
rapporti tra l'abbazia e gli abitanti delle terre sottoposte ad
essa : i vassalli prestavano giuramento di fedeltà agli abbati
o ai loro vicari, talvolta per syndiciim, come gli abitanti di
Offida (deposizione di Pietro di Nicola da Monte di Nove),
(i) « Descrizione delle terre di Comunanza d'Ascoli » (Colucci,
Anlicb. pie. XXI, p. 5 e seg.).
(2) Compagnoni, Re^^gia picena, p. 121.
(3) Dal 1255 al 1259 (Gams, Seri&s episcop., p. 806). L'occupazione
del castello di Montefalcone deve essere quindi avvenuta non più
tardi del 1255, e dopo il 1252, nel qual tempo era ancora rettore
della Marca l'arcidiacono di Luni, a cui Innocenzo IV scriveva da
Perugia « II Kal. sept. pontific. nostri anno X » (Compagnoni, Reggia
pie. p. 118), e poi il 29 novembre 1252 (Colucci, Anlich. pie. XXX,
p. 15).
31^ dAtti della Società
per lo più singulariter, pagavano i censi dovuti e rendevano
i servizi d'uso.
L'articolo nono riguarda le fortificazioni erette da' Fér-
mani a Montefalcone. I testi riferiscono che i Permani co-
struirono una' torre e un girone, ossia recinto di mura. Essi
vi tennero anche un castellano.
Il decimo articolo riguarda l'occupazione della Marca
e dell'abbazia da parte delle genti dell' imperatote : e anche
su questo punto le deposizioni sono concordi, perchè tutte
convengono nel fatto che l'occupazione della Marca e del
territorio dell'abbazia, compiuta hostiliter dalle genti dell'im-
peratore sotto gli ordini di Roberto da Castiglione, Gia-
como da Morra e Rizardo, fu continuata sotto Manfredi,
che mandò i suoi nunzi nella Marca.
L'articolo undecimo riguarda la vacanza della dignità
abbaziale che ebbe luogo per qualche tempo; e, come ab-
biam già visto più sopra, essa si ripetè parecchie volte, per
un periodo da sette a dieci anni.
Il duodecimo ed ultimo articolo, che ha un valore pu-
ramente processuale, tende a far conoscere se le cose dette
dal teste sono pubbliche e notorie, e che cosa egli intende
per pubblico e notorio.
Dato così un rapido esame al contenuto del manoscritto,
ci resta ad esaminare la data probabile in cui avvenne l'in-
terrogatorio. Nel manoscritto abbiamo tre sole date: die
XI marta, FU indictionis, nel quale furono interrogati quattro
testimoni; die XV martii, nel quale ne furono interrogati
due ; e die XVI niartii, della qual giornata ci è pervenuta
una sola deposizione. Di queste tre date, la sola che possa
essere utile è la prima, in cui il giorno è seguito dall' indi-
cazione dell' indizione. Nella seconda metà del secolo xiii
gli anni a cui si adatti la settima indizione sono il 12^4,
il 1279, il 1294. Ora, fra queste tre date, ci pare facile il
poter stabilire che solo la seconda, cioè il 1279, può essere
quella alla quale si possa riportare l' interrogatorio. I testi-
oAtti della Società 317
moni sono concordi nello stabilire che T invasione delFeser-
cito imperiale avvenne trentasei a quarant'anni avanti la
loro testimonianza; ora siccome abbiam visto che re Enzo
entrò nella Marca nel 1239 e che molto probabilmente Rai-
naldo d'Acquaviva occupò il territorio dell'abbazia nell' in-
verno di quell'anno istesso, fissando nel 1279 la data del-
l'interrogatorio, questo avrebbe avuto luogo precisamente
quarant'anni dopo l'invasione dell'esercito imperiale.
Inoltre, rispondendo all'undecimo articolo, i testi sono
concordi nell'afFermare che le vacanze dopo l'invasione
nella dignità abbaziale avvennero ad intervalli da oltre tren-
tanni. Essendo avvenute queste vacanze per la morte del-
l'abbate Stefano, per la deposizione dell'abbate Nicola e per
la morte dell'abbate Peregrino, troviamo che tra la morte
di Stefano e l'anno 1279 corrono difatti oltre trent' anni,
perchè, secondo il catalogo Muratoriano, le citate Memorie
storiche della badia di Far fa e gli Annales Mori. Farf. di
Gregorio Urbano, in questo concordi, Stefano era abbate
nel 1245 e il suo successore Gentile era abbate nel 1247; ed
essendovi stato intervallo tra i due abbati, convien porre la
morte di Stefimo nello stesso anno 1245, oppure nel 124^.
Crediamo quindi che la data dell' interrogatorio possa
riportarsi al marzo 1279; nel qual caso è probabile che a
questo giudizio si riferisca V istrumento « mandati procurae
« ad causas » fatto da Morico, abbate farfense, in persona
di frate Bernardo da Rieti, « sub anno Domini 1278,
«tempore Nicolai papae tertii )> (i).
E se l'interrogatorio ebbe luogo nel marzo 1279, il
rettore della Marca alla cui presenza fu fatto, e del quale
manca nel frammento il nome, dicendosi al principio di
ogni deposizione, come abbiam visto, che è fiuta corani
rectore prefato, deve essere Bernardo o Berardo da Monte
(i) V. il num. 386 del citato regesto Fermano, pubblicato dal
De Minicis.
Archivio delia R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 22
3 1 8 oAtti della Società
Mirto, abbate di Monte Maggiore d'Arles in Francia. Oltre
la menzione che di questo rettore fa il Compagnoni (i),
abbiamo che l'università e il comune di Fermo fecero
nel 1279 un istrumento « mandati procurae, in personam
« Johannis Massonis, ad comparendum coram domino Ber-
(( nardo, abate Montis Maioris, provinciae Marchiae Anco-
« nitanae rectore » per chiedere l'assoluzione di una con-
danna di quattro mila libre inflitta al comune di Fermo
da Antonio di Montefalco giudice (2).
Septimo articulo sibi lecto, dixit quod dictum castrum cum perti-
nentiis et munitione que tunc erat pervenit ad civitatem Firmanam
et illud castrum habuit et possedit. Sed per quantum tempus dixit se
non recordari.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines dicti castri montis
Falconis et homines abbatie prestiterunt et prestare consueverunt sa-
cramenta fidelitatis et hominitia sicut vaxalli prestant suis dominis,
et hoc per tempus .xv. annorum, ut supra dixit in primo articulo.
Interrogatus si interfuit prestationi dictorum sacramentorum, dixit
quod aliquando vidit, sed de paucis. Sed scit bene predicta vera fuisse
auditu et per publicam famam.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fieri fecit post
dictam invaxionem et occupationem in preiudicium dicti monasterii
quandam turrim in capite dicti castri. Interrogatus quomodo scit,
dixit quia vidit et fuit palese toti contrade.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod gens imperatoris Frederici
et nuntii regis Manfredi occupaverunt Marchiam, licet non totam, et
dictam abbatiam et castra hostiliter tenuerunt occupatam per .vm.
(i) Reggia pie. p. 141.
(2) V, il num. 392 del citato Sommario cronologico di carte fer-
mane, pubblicate dal De Minicis. Il nome dell'abbate Bernardo, o
Berardo, abbate di Monte Maggiore e rettore della Marca, si trova
anche nelle carte segnate ai numm. 383, 384 e 385, dell'anno 1278, nel
citato Sommario. Egli era ancora rettore nel 1281, avendosi un suo
atto del 4 marzo di quell'anno (Colucci, Antichità picene, XXX,
p. 38).
dAtti della Società 319
annos. Interrogatus quomodo scit, dixit quia vidit dominationem eo-
rum et audìvit.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod de predictis de quibus
asseruit sunt pubblica et notoria. Interrogatus quid est dicere publicum
et notorium, dixit quod que gentes communiter dicunt.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod a .xxxv. annis cltra et a
tempore diete privationis monasterium dictum vacavit abbate per
.VII. annos. Interrogatus si dictum tempus septennium fuit continuum
vel per intervalla, dixit quod per intervalla. Interrogatus per mortem
quorum abbatuum vacavit, dixit quod non recordatur.
Die predicta.
Rainaldus Benedicti de Furce, testis, iuravit presentibus partibus
coram domino rectore prefato. Primo articulo sibi lecto, dixit quod
monasterium suprascriptum et abbates dicti monasteri! qui fuerunt
prò temporibus de quibus recordatur, silicet dompnus Herrigus de
Coxeiano et abbas Matheus de Sublacu et alii de quorum nomìnibus
non recordatur qui fuerunt duo, habuerunt, tenuerunt et possederunt
prò dicto monasterio totam abbatiam positam in Marchia et castrum
montis Falconis ad plenam iurisdictionem in solidum et in totum pa-
cifice et quiete et in dicto castro palatium quod erat ibi, et vidit ha-
bere gastaldos in ipsa abbatia et in castro montis Falconis, et vidit
dominum Rogerium de Rivotino prò ipso monasterio et abbatibus
cognoscere de causis civilibus et criminalibus, et vidit eos generaliter
omnia et singula facere que dominus et comes faceret et exerceret
in sua terra et in suis vassallis, et hoc dicit se vidisse per tempus
.XII. annorum usque ad tempus quo imperator Fredericus per suam
gentem occupavit Marchiam et abbatiam predictam hostiliter contra
Romanam Ecclesiam. Interrogatus si predicti abbates fuerunt perso-
naliter in dieta possessione, dixit quod sic, et quod fuerint abbates
dicti monasteri!, dixit se scire per voces et publicam famam. Inter-
rogatus quantum tempus est quod predicta occupatio et privati© facta
fuit, dixit quod fuit .xxxvi. anni et plus. Interrogatus quantum tempus
habet ipse testis, dixit quod .lx. annos ut credit. Interrogatus si fuit
presens ipse testis, per tempus .xii. annorum dixit quod fuit in castro
Furcis et est de ipso castro.
Secundo articulo intentionis sibi lecto, dixit quod tempore diete
occupationis et invaxionis abbas Matheus de Sublacu erat abbas dieti
monasterii. Sed quod dominus Fyldesmidus de Moliano esset vicarius,
dixit quod non, sed prius fuerat. Interrogatus quomodo scit, dixit
quod vidit.
520 oAtti della Società
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse quod abbas Matheus erat
abbas, ut supra dixit, et possidebat dictam abbatiam et castrum mentis
Falconis et homines et vaxallos ipsius abbatie et erat in possessione
vel quasi cognitionis et iurisdiclionis plenarie in tota dieta abbatia
et dicto castro, et vidit vicarium abbatis Henrici qui prius fuerat, qui
vocatus fuit Acto Baracta de Coxeiano, et vidit punitum tunc tem-
poris Rainaldum Dionisum de Furcis in oculis, et dicebatur quod
dominus vicarius abbatis fecerat fieri eo quod confoderat territorium
castri Furcis.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de castro Furcis, et dominus Fyldesmidus de Mollano, dompnus
Nicola de Puczallia, monachus dicti monastcriì, fuerunt vicari! in
dieta abbatia prò dicto monasterio, silicet dominus Fyldesmidus et
dominus Gentilis dicto tempore .xii. annorum de quo asseruit. Sed
dompnus Nicola predictus fuit longe post, a pauco tempore citra. In-
terrogatus quomodo scit, dixit quia vidit, et plures alios de quorum
nominibus non recordatur.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
sic piene possideret dictam abbatiam et dictum castrum cum generali
iurisdictione, ut supra dixit, privatum fuit omnibus predictis per oc-
cupationem et usurpationem gentis dicti domini imperatoris rebellis
tunc et hostis Romane Ecclesie. Interrogatus quomodo scit et quo-
modo facta fuit dieta privatio, dixit bene quia vidit dominum Rai-
naldum de Aquaviva cum masnada quam habebat de sarracenis et
christianis venire ad castrum Furcis in quo eratdictus abbas Matheus
et petiit mandata sibi fieri a dicto abbate, qui respondit quod nolebat,
et tunc ad certum pactum recessit de castro et tota contrada, et tunc
homines montis Falconis et alii de abbatia fecerunt mandata illius
domini,
Supra sexto articulo sibi lecto, dixit se nichil scire.
Supra septimo articulo sibi lecto, dixit quod castrum montis Fal-
conis cum gyrone pervenit ad civitatem Firmanam, ut audivit. Sed
per quantum tempus possideret, dixit se nescire.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines castri Furcis pre-
stiterunt iuramenta fidelitatis abbatibus dicti monasterii, et prestare
consueverunt, et honorare eos et reverere eis ut dominis, et hoc a
tempore recordationis ipsius testis, et de aliis hominibus de abbatia
dixit similia auditu et per publicam famam. Interrogatus quantum
tempus recordationis ipsius testis, dixit .l. annos et plus.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi post ipsam
occupationem de dicto castro fecit fieri fortilligium in capite ipsius
castri, et si fortilligia ibi esset alia quam illa que erat prò Ecclesia
<yltii della Società 321
ante dictam occupationem et quod Firmarli fecerunt eam, dixit se
scire auditu.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus, et
post mortem eius rex Manfredus, hostiliter occupaverunt Marchiam,
et abbatiam et castra ipsius abbatie, et occupatam tenuerunt. Sed per
quantum tempus non recordatur.
Undecimo et duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod a .xxx. annis
citra monasterium suprascriptum vacavit abbate, sed per quantum
tempus, dixit se non recordari, et dixit predicta de quibus asseruit
notoria esse in tota contrada. Interrogatus quid est dicere publicum
et notorium, dixit quod que gentes dicunt.
Eodem die.
Dompnus Berardus, cappellanus ecclesie Sanate Marie Nove de
castro Furcis, testis. luravit presentibus partibus coram rectore pre-
fato, dixit quod monasterium suprascriptum et abbates dictì mona-
sterii qui fuerunt prò temporibus, silicet dompnus Matheus de Sublacu
quem vidit; alios si vidit non recordatur. Qui abbas et dictum mo-
nasterium in solidum et in totum habuerunt [et] tenuerunt per se- et
nuntios ipsius abbatis ad plenam iurisdictionem civilium et crimina-
lium causarum continue et pacifice totam dictam abbatiam sicut au-
divit. Sed de castro montis Falconis vidit cum gy[rone] et pertinentiis
ipsum castrum possideri per dictum abbatem generaliter ad omnia
que quilibet dominus facit in suo castro, et hec vidit per .vi. annos
et plus, et usque ad tempus et eo tempore quo gens imperatoris ho-
stiliter occupavit Marchiam, sed non totam, et abbatiam suprascriptam
et dictum castrum et alia castra ipsius abbatie. Interrogatus quomodo
scit quod dictus abbas Matheus fuerit abbas, dixit quod homines de
abbatia habebant eum prò abbate et vidit eum recipi et obbedir! ab
hominibus castri Furcis prò eorum domino sicut abbatem honorifice.
Et cum veniebat gd ipsum castrum clerici exhibant obvia ei cum
processionibus et ahi homines de terra. Interrogatus quantum tempus
est quod predicta occupatio facta fuit, respondit quod fuit .xl. anni
parum plus aut minus. Interrogatus quot annorum est ipse testis, re-
spondit quod .Lini, annorum et plus. Interrogatus qui sunt fines teni-
mentorum castri montis Falconis, dixit quod ab uno latere est fluraen
Asi, ab alio latere tenimenta castri Exmirilli, ab alio latere tenimenta
castri Tcrami cum aliis finibus. Interrogatus si ipse testis est de terra
subiecta ipsi monasterio, dixit quod sic, et ipse testis est subiectus
monasterio ratione ecclesie sue.
Secando articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
erat abbas dompnus Matheus de Sublacu et [eius vicarius] crat do-
322 Q/ltti della Società
minus Fyldesraidus de Mollano In temporallbus ut ipse testls audlebat,
et dompnus Nicola [de Puczallla], monachus dicti monasteri!, erat vi-
carlus supra spirltualibus In tota abbatia et in dicto castro mentis
Falconls. Interrogatus quomodo scit, dixit quia vidit eum In ipso
officio.
Tertio articulo sibl lecto, dixit quod tempore diete Invaxlonis di-
ctus abbas Matheus, de quo asserit [vlsu], et dominus Fyldesmidus
eius vlcarius, ut asserit auditu, possidebant et habebant totam dlctam
abbatlam et castrum predictum in omnibus et quoad omnia prò dicto
monasterio, ut supra dixit, habendo gastaldum et vlscontem in dicto
castro montis Falconls. Interrogatus quls fuit viscons, seu gastaldus,
respondlt quod Rainaldus Gratiani aut Potentls de dicto castro. In-
terrogatus si vidit Ibi punlrl allquos dellnquentes per Ipsos offitiales
abbatis, dixit quod non, sed audivlt, de nominibus quorum non re-
cordatur.
Quarto articulo sibi lecto, dixit dompnum Nlcolaum de Puczallìa
fuisse vlcarium prò dicto monasterio, et dominum Fyldesmidum, ut
supra dixit; de domino Gentile, de domino Albertino dixit se nescire.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
sic piene possideret dictum castrum et abbatiam, ut supra dixit in
primo articulo, prìvatum fuit ipsa possessione per dictam invaxionem
et occupationem dicti [imperatoris hojstis et rebellis Romane Eccle-
sie. Interrogatus quomodo fuit facta dieta privatio, dixit quod, cum
dominus Ra[inaldus] de Aquaviva tunc esset in ducatu masnade plu-
rium sarracenorum et teotonicorum, venit cum ipsa masnada ad ca-
strum Furcis, in quo erat dictus abbas Matheus, et dum homines castri
fecissent mandata ipsorum hostium, abbas Matheus aufugit, dlsce-
dendo de ipso castro et de tota contrada. Interrogatus quomodo scit,
dixit quod stetlt et presens fuit. Item dixit post hec alii homines alio-
rum castrorum de abbatia fecerunt mandata ipsius domini Rainaldi,
ut ipse testis audivlt.
Supra sexto articulo, dixit se nichll sclre nisi auditu.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines dicti castri Furcis
prestiterunt et prestare consueverunt iuramenta fidelltatls abbatibus
dicti monasteri!, et honorare et recognoscere eos ut dominos per
magnum tempus quantum non recordatur. Sed quod alii homines
de (i) abbatia fecerint similia credit auditu et per publicam famam.
Interrogatus si homines de ipso castro Furcis prestabant sacramenta
abbati syngulariter vel per syndicum, dixit quod singularlter, et
(i) Nel ms. seguono le parole : castro Furcis prestabant sacramenta,
cancellate.
oAtti della Società 323
quandoque abbati et quandoque vicario eius, Interrogatus si fuit pre-
sens predictis, dixit quod aliquotiens fuit presens.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod comune Firmi post dictam
invaxionem fecit fieri gironem et turrim in dicto castro in preiudi-
cium monasterii dicti, et preter gironem quem prius habebat Ecclesia
suprascripta in dicto castro. Interrogatus quomodo scit, dixit bene,
quia vidit et audivit.
[Decimo] articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus et
rex Manfredus post mortem dicti imperatoris [occuparunt] Mar-
chiam seu occupari fecerunt hostiliter, et dictam abbatiam et castra
eius in preiudicium [Romane] Ecclesie et dicti monasterii. Sed quanto
tempore occupata tenuerunt, dixit de decem et octo annis ut supra.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit de vacatione abbatis seu ab-
batum se nichil scire nisi auditu.
[Duodec]imo et ultimo articulo sibi lecto, dixit quod sunt publica
et notoria de quibus asseruit supra. Interrogatus [qu]id est dicere pu-
blica et notoria, dixit quod que gentcs dicunt comuniter, et dixit
quod non fuit doctus.
Eodem die.
Beraldus domìni Bonazani de Septecarpine, testis. luravit presen-
tibus partibus corani rectore prefato. Primo articulo sibi lecto, dixit
quod monasterium suprascriptum et abbates dicti monasterii de quo-
rum nominibus recordatur, silicet abbas Matheus de Arzula, et abbas
Herrigus de Coxeiano, et abbas Stephanus, et abbas Gentilis, et ab-
bas Matheus de Sublacu, et alii de quorum nominibus non recordatur,
habuerunt, tenuerunt, et possederunt libere et absolute ad plenam
iurisdictionem civilium et criminalium causarum, puniendo omnes
follias per vicarium et iudices eorum pacifice et continuo totam ab-
batiam suprascriptam que est in Marchia, et castrum mentis Falco-
ni», cuius confinia sunt tenimenta Sancte Victorie, Exmirilli et Te-
rami, et alia et fortiUizia in ipso castro per quam faciebat guerram
et pacem ad suum sensum, habendo gastaldos in ipso castro, et
faciendo puniri malefactores et delinquentes secundum quod facie-
bant delieta, et vidit cos facere generaliter omnia que [solet?] domi-
nus facere et exercere in sua terra et hominibus pertinentibus ad
eos, et hoc vidit per tempus [.xl.] annorum et plus usque ad tempus
et eo tempore quo gens imperatoris et regis Ensis hostiliter occu-
pavit et invaxit abbatiam suprascriptam et castrum predictum, sicut
aliam Marchiam. Interrogatus quomodo scit predicta, dixit [quod]
vidit. Interrogatus quomodo [scit] quod prcdicti fuerint abbates pre-
324 / oAtti della Società
dicti monasterii, dixit quia vidit eos dominare in ipsa terra sicut supra
dixit. Interrogatus si personaliter fuerunt in dieta possessione, dixit
quod sic. Interrogatus quot anni sunt [quod] predicta occupatio facta
fuit, dixit se non recordari. Interrogatus quot annos habet ipse testis,
dixit quod [prope] ,c. annos. Interrogatus si per dicturti tempus .XL.
annorum fuit pre'sens in contrada, dixit quod sic et predicta vidit et
audivit.
Secundo articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
et occupationis dompnus Matheus de Sublacu erat abbas dicti mona-
steriii, et dominus Fyldesmidus de Moliano erat eius vicarius, et co-
muniter habebatur vicarius ab hominibus diete abbatìe. Interrogatus
quod officium faciebat ibi dictus vicarius, dixit quod puniebat delin-
quentes et faciebat totam dominationem per abbatem, et faciebat
iudicìa civilia et criminalia. Interrogatus inter quos faciebat iudicia,
dixit quod vidit placitare coram eo dominus Benecavalca cum certis
vassallis et alios de quorum nominibus non recordatur.
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse que in ipso articulo con-
tinentur, quia vidit dìctum abbatem Matheum esse in possessione diete
abbatìe Marchie et dicti castri montis Falconis, quia ipsum castrum
erat magis in domanio abbatis quam aliquod aliud. Interrogatus in
causa scientie quomodo scit, dixit ut supra in primo articulo. Inter-
rogatus si vidit iudices per abbatem in dieta terra, dixit quod vidit
dominum Rugerium de [Rivojtino et alios de quorum nominibus non
recordatur.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Aetonis
Mili de Puree, dominus Albertinus de Exmirillo, dominus Fyldesmidus
de Moliano, dompnus Nicola de Puczallia, monachus dicti monasterii,
fuerunt vicarii [dicti] monasterii, et prò ipso monasterio et abbatibus
et publice fuerunt habiti prò vicariis ab hominibus diete abbatie et
dicti [eastri] per dictum tempus .xi. annorum et plus. Interrogatus
quomodo scit predicta, dixit se vidisse quoslibet ipsorum vicariorum
in ipso officio.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
sic piene possideret, et quasi totam dictam abbatiam et dictum ca-
strum montis Falconis et homines et vaxallos ipsius, cum dieta co-
gnitione et iurisdietione universali etiam quo ad sanguinem et capi-
talis pene impositionem, dictum monasterium privatum fuit omnibus
predictis per dictam invaxionem dicti Frederici imperatoris rebellis et
hostis Romane Ecclesie. Interrogatus quomodo scit, et quomodo facta
fuit dieta occupatio et privatio, dixit quod dominus Rainaldus de
Aquaviva, sicut nuntius dicti regis Ensis, cum sua masnata et gente
ad dictum castrum Furcis, et dictus abbas Matheus de Sublacu erat
oAtti della Società 325
in ipso castro, et tunc abbas quod noluit iurare fidelitatem eius se-
cessit prò timore de ipso castro, et aufugit et discessit de tota Mar-
chia, et tunc privatum fuit dictum monasterium de tota dieta posses-
sione.
Supra sexto articulo dixit quod cum dompnus Nicola, olim abbas
dicti monasteri:, post occupationem [predictjam possideret dictum
castrum montis Falconis cum pertinentiis et iurisdictione, quidam
bonus homo et creditus quod fuerit index venit prò parte domini Ge-
rard! Coxadoca, tunc rectorìs in Marchia, et accepit tenutam dicti
castri contra voluntatem abbatis. Interrogatus quomodo scit, dixit
bene, quia stetit et presens fuit. Interrogatus si fuit illata violentia ipsi
abbati, respondit quod non alia, nisi quod dictus rector misit prò dicto
abbate, et ipse abbas ivit ad cum, et antequam rediret abbas venit ille
prò eo, et abstulit castrum, ut supra dixit. Interrogatus quantum
tempus est quod predicta fuerunt, dixit se non recordari.
Septimo articulo sìbi lecto, dixit quod predictum castrum montis
Falconis cum pertinentiis et fortillizia pervenit ad Firmanos, et ipsi
firmam tenuerunt per plures annos, de quorum numero non recor-
datur, et scit quod possederunt in preiudicium monasteri! predicti,
illam-rocchettam, que prius erat ibi, tenebant adeo quod non permit-
tebant intrare aliquos prò monasteri©, et dixit quod illa roccha te-
netur nunc prò marchione, et scit predicta bene, quia vidit masnadam
et sergentes ipsius communis Firmi esse in ipso castro.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines castri montis Fal-
conis et homines et vassalli ipsius abbatie prestare consueverunt et
prestiterunt sacramenta fidelitatis abbatibus dicti monasteri!, honorando
et recognoscendo eos ut dominos suos, et hoc vidit per tempus .xl.
annorum et plus. Interrogatus si omnes homines dicti castri prestite-
runt predicta sacramenta, dixit quod sic. Interrogatus si iurabant fi-
delitatem per syndicum vel synguli, dixit quod tam ipsi quam ali! de
abbatia iurabant singulariter, et non per syndicum. Interrogatus quibus
abbatibus prestiterunt predicta, dixit quod abbatibus Matheo, abbati
Herrigo et aliis de quibus asseruit in primo articulo. Interrogatus si
fuit et crat presens quando ipsa sacramenta prcstabant, dixit quod sic.
Interrogatus in quibus locis vidit dieta sacramenta prestari, dixit in
castro Furcis, in monte Falcone et in aliis castris abbatie, quia ipse
erat et fuit familiaris ipsorum abbatuum.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fecit fieri in
dicto castro unum turronem postquam habuerunt dictum castrum et
in preiudicium Ecclesie Farfensis, preter fortillizia que erat prius ibi.
Interrogatus quomodo scit, dixit bene, quia erat in ipso castro montis
Falconis quando Firmani murabant dictum turronem.
^26 Q^tti della Società
Decimo articulo intentionis sibi Iccto, dixit quod imperator Fre-
dericus et rex Manfredus post mortem dicti imperatoris occupaverunt
Marchiani et abbatiam, et castra eius, et occupata tenuerunt hostiliter
per tempus .xx. annorum per gentes et vicarios quos mittebant in
Marchiani. Interrogatus quomodo scit, et si fuit presens in contrada,
dixit quod fuit presens et scit bene, quia ibat cum masnata dictorum
dominorum per Marchiani per magnani partem dicti temporis.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod a .xxx. annis citra et plus
dictum monasterium vacavit abbate bene per .x. annos. Interrogatus
qu'omodo scit, dixit bene, quia fuit in contrada abbatie Marchie, et
quando dicti abbates eligebantur in monasterio veniebant in Mar-
chiam, et quando vacabat abbate dicebatur in contrada diete abbatie.
Interrogatus per mortem quorum abbatuum fuit dieta vacatio, dixit
se non recordari. Interrogatus si dicti .x. anni fuerunt continui, dixit
quod non.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod de his quibus testificatus
est supra sunt publica et notoria in dieta contrada et manifesta. In-
terrogatus quid est dicere publica et notoria, dixit quod que gentes
communiter, et dixit quod non fuit doctus.
Die .XI. martii, .vii. indictionis.
Dompnus Mainardus, cappellanus Sancti Blasii de Teramo, testis.
luravit presentibus partibus coram rectore prefato. Primo articulo sibi
lecto, dixit quod monasterium suprascriptum et abbates qui fuerunt,
silicet abba[s] Matheus de Arzulo, et abbas Herrigus de Coxeiano, et
abbas Stephanus, et abbas Matheus de Sublacu, nomine dicti mona-
sterii in solidum et in totum habuerunt et possederunt ad plenam iu-
risdictionem omnium civilium et criminalium causarum et spiritua-
lium et temporalium totam abbatiam suprascriptam in Marchia, et
castrum montis Falconis spetialiter sicut cammeram eorum cum for-
tillizia et pertinentiis, ut quis possidet suum, habendo in tota dieta
abbatia et in dieto castro gastaldos et baiulos, et vidit eos cognoscere
et facere cognosci de omnibus causis per iudices suos, et generaliter
omnia facere que facit quilibet dominus et comes in sua terra, et
plus quia in spirìtualibus et temporalibus, sed alii domini in tempo-
ralibus tantum, et hoc vidit continue et pacifice per tempus .xxx.
annorum, antequam imperator fecisset occupari Marchiam et di-
ctam abbatiam et etiam eo tempore occupationis. Interrogatus quo-
modo scit, dixit bene, quia vidit eos personaliter in dieta possessione
et vidit dominari eos in dieta abbatia. Interrogatus si vidit eos pos-
sidere dictum castrum montis Falconis cum fortiUizia, dixit quod
sic, quia erat et fuit ibi scolaris ad diseendum seribere per duos
oAtti della Società 327
annos, et de aliis scit per publicam famam. Interrogatus quantum
tempus est quod dieta possessione [privatum est] monasterium, dixit
se non recordari. Interrogatus quot annorum est ipse testis, dixit quod
nonaginta, Interrogatus si per dictum tempus nonaginta annorum
fuit continuus in contrada, dixit quod sic in contrada Marchie.
Secundo articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
dompnus Matheus de Sublacu erat abbas dicti monasterii, sed quod
dominus Fyldesmidus de Moliano fuerit eius vicarius non recordatur.
Interrogatus quomodo scit, dixit quia vidit dictum dompnum ab-
batem dominari tunc in tota dieta abbatia et in dicto castro, et do-
minus Rainaldus de Aquaviva cum sua gente venit ad castrum Furcis,
et intravit et cepit castrum in quo erat tunc dictus abbas qui recessit
de ipso castro plorando, ut ipse testis audivit. Interrogatus si tunc
discessit de tota contrada abbatie, dixit se non recordari.
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse que in ipso articulo con-
tinentur, excepto quod de domino Fyldesmido non recordatur vel
fuerit vicarius eo tempore. Qiiesitus in causa scientie, dixit in omnibus
et per omnia ut in primo et secundo articulo dixit et testificatus est.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod vidit dominum Albertinum
comitis Alberti de Exmirillo vicarium abbatis in dieta abbatia. Sed
de domino Fyldesmido, domino Gentili Actonis Mili et dompno
Nicolao de Puczallia audivit, sed non quod viderit eos in vicariatu.
Interrogatus quantum tempus est quod predieta fuerunt, dixit se non
recordari.
Quinto articulo sibi lecto, dixit vera esse contenta in eo, quia
supra retulit sic esse, et in eausa scientie dixit ut supra.
Sexto articulo sibi lecto, dixit se de eo nichil seire.
Septimo articulo sibi lecto, dixit quod castrum montis Falconis
cum gyrone superiori pervenit ad civitatem Firmanam. Sed quod
pervenit ad Firmanos totum castrum cum iurisdictione, dixit se ne-
scire, quia servitia debitalia reservata fuerunt abbati, ut audivit. Inter-
rogatus per quantum tempus possederuntipsum gyronem, dixit se non
recordari, et dixit quod modo curia tenet dictum gyronem, ut audivit.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines montis Falconis et
alii homines de abbatia, sicut audivit per publicam famam, prestite-
runt sacramenta fidelitatis et prestare consueverunt dicto monasterio,
et honorando abbates ut domìnos suos, et hoc per tempus .xxx. an-
norum ut audivit.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fecit fieri turrim
in gyrone et castro montis Falconis, quam turrim ipse testis vidit a
castro montis Paxilli in preiudicium monasterii suprascripti et contra
voluntatem abbatis. Interrogatus quomodo scit, dixit quod vidit.
328 oAtti della Società
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod ea que in ipso articulo con-
tinentur credit, ut audivit per publicam famam, sed aliter nescit.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit se de contentis in eo non re-
cordari.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod de omnibus quibus te-
stifìcatus est supra, et reddit causam scientie, sunt publica et noto-
ria in contrada, et quia castrum montis Paxilli coniìniat cum castro
montis Falconis. Interrogatus quid est dicere publicum et notorium,
dixit id quod gentes dicunt manifeste et publice. Interrogatus si fuit
doctus, dixit quod non, et non fuit rogatus, sed dixit ipse testis ex
corde suo ut meminit.
Die eodem.
Gualterius Herrici de Furce, testis. luravit presentibus partibus
coram rectore prefato. Primo articulo sibi lecto, dixit quod monaste-
rium suprascriptum et abbates dicti monasterii, silicet abbas Herrigus
de Coxeiano et dompnus Matheus de Sublacu et alii de quorum no-
minibus non recordatur, in solidum et in totum habuerunt et tenue-
runt et possederunt prò suo ad plenam iurisdictionem omnium civi-
lium et criminalium causarum pacifice, quiete et continue totam
dictam abbatiam suprascriptam et castrum rnontis [Falcjonis de abba-
tia predicta, cum suis pertinentiis, tenimentis, fortillizia, munitionibus
et palatio, [qu]od castrum est in Marchia, iuxta tenimentum Sancte
Victorie Terami et Exmirilli, et [alia] latera, habendo in dieta abbatia
et dicto castro gastaldos et baiulos et cognoscendo de [omnibus]
causis civllibus et criminalibus, puniendo et condepnando homines et
vassallos diete abbatie et dicti castri, secundum natura et qualìtas de-
lieti requirebat, et generaliter omnia facere, que quilibet [domi]nus
et Comes facit in sua terra et in suis hominibus, et hec dicit fuisse
per tempus .xv. annorum ante occupationem et usque ad tempus oc-
cupationis facte per gentem imperatoris seu regis Ensìs cum venerit
hostiliter contra Ecclesiam Romanam, et occupavit Marchiam, et ab-
batiam et dictum castrum montis Falconis. Interrogatus quomodo
scit quod predicti fuerint abbates dicti monasterii, dixit quia habe-
bantur prò abbatibus et homines terrarum diete abbatie obbediebant
eis. Interrogatus si predicti abbates fuerunt personaliter in dieta pos-
sessione, dixit quod sic, sed quanto tempore fuerit quilibet eorum
non recordatur. Interrogatus quantum tempus est quod predieta oc-
cupatio facta fuit, respondit quod a .xxx. in .xl. annos ut credit. In-
terrogatus quot annos seu quanti temporis erat ipse testis tune tem-
poris, respondit se nescire, sed seit bene, quia tune portabat iam arma,
et erat robustus iuvenis. Interrogatus si fuit presens in contrada con-
Qy^tti della Società 329
tinue, vel absentavit se de provinzia eo tempore quo dixit monaste-
rium possedisse predicta, et abbates ipsius monasterii, respondit quod
fuit presens in contrada per dictum tempus, et non absentavit se de
Marchia.
Secando articolo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
dompnus Matheus de Sublacu erat [abbas] dicti monasterii, et domi-
nus Fyldesmidus de MoHano erat eius vicarius et prò suo vicario ha-
be[baturj. Interrogatus quomodo scit quod dominus Fyldesmidus
predictus fuit vicarius, dixit bene, quia fuit presens in monasterio
Sancti Salvatoris de Aso ubi factus vicarius fuit in tota abbatia a dicto
abbate de Sublacu. Interrogatus quod officium faciebat ibi dictus vi-
carius, dixit quod precipiebat et faciebat que faciunt domini.
Tertio articulo sibi lecto, dixit quod dictus abbas et dominus
Fyldesmidus faciebant tempore diete invaxionis ea que supra dixit
et possidebant totam abbatiam et homines et vassallos ipsius abbatìe
et dicti castri ad plenam iurisdictionem, et erant in possessione co-
gnitionis plenarie in tota dieta abbatia et dicto castro, habendo in
ìpsis castris gastaldos seu viscontes. Interrogatus quomodo scit pre-
dicta, dixit ut supra in primo dicto. Interrogatus qui fuerunt viscontes
in ipso castro, dixit se non recordari de nominibus, sed in castro
Furcis fuerunt dominus Moricus de Nirano, Rainaldus Benedicti. In-
terrogatus si vidit iudices eo tempore prò abbate in dieta abbatia,
dixit quod vidit dominum Rugerium de Ruvetino, sed de aliis non
recordatur, quem iudicem vidit ibi indicare causas civiles et erimi-
nales et Inter homines diete abbatie. Interrogatus que fuerunt cause
et qui fuerunt iudicati, dixit se non recordari.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de castro Furcis, dominus Albertinus comitis Alberti, dominus
Fyldesmidus de Mollano et dompnus Nicola de Puczallia monachus
dicti monasterii fu[erunt] publice h abiti vicarii in tota dieta abbatia
prò dicto monasterio et ab hominibus totius abbatie [et dicti] eastri
mentis Faleonis. Interrogatus quomodo scit, dixit quod vidit predietos
in ipso officio vicariatus. Interrogatus per quantum tempus quilibet
ipsorum fuit vicarius, dixit se non recordari.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monastcrium
sic piene possideret dictum castrum et aliam [abbatiam] in pace de
qua nullam litem habebat, dictum monastcrium fuit privatum omni
possessione predictorumperadventum gentis imperatoris. Interrogatus
quomodo scit, dixit quod vidit. Interrogatus quomodo fuit facta dieta
privatio, dixit quod gens regis Enzis venit cum exercitu magno cum
Sarracenis et Theotonicis ad castra ipsius abbatie, et vidit eos venire
ad castrum mentis Faleonis, et homines ipsius castri fecerunt corum
330 oAttì della Società
mandata, et tunc abbas recessit de contrada. Interrogatus si imperator
venit personaliter in dictam abbatiam, dixit quod non, sed vidit eum
in obsscessionem super Asculum.
Supra sexto articulo, dixit quod dompnus Nicola abbas monasterii
dicii post occupationem predictam possidebat dictum castrum totum
sicut homo habet suum. Et tunc marciiio qui erat misit quosdam
nuntios ad dictum castrum, et tunc abbas reliquit eis castrum, sed non
voluntarìe. Sed quod aliam violentiam fecisset non vidit, et tunc pre-
dicti nuntii asscenderunt roccham ettenuerunt. Interrogatus quomodo
scit, dixit quia presens fuit.
Supra septimo articulo, dixit quod postquam fuit id quod dixit
supra sexto articulo, commune Firmi tenuit dictum castrum. Interro-
gatus quomodo scit, dixit bene, quia vidit sergentes prò commune
Firmi tenere roccham ipsius [castri. Sed] quanto tempore tenuerit
dixit se nescire,
[Octavo] articulo sibi lecto, dixit vera esse que in ipso articulo
continentur. Interrogatus quomodo scit, dixit quod [vidit predicta], et
ipse testis multotiens fecit. Interrogatus per quantum tempus vidit
predicta, dixit quod tempus .xv. [annorum] et plus.
[Nono] articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fieri fecit cas-
sarum in ipso castro in capite [dicti] castri muratum undique. Inter-
rogatus quomodo scit, dixit quia vidit preter fortilliziam que prius
erat ibi prò ecclesia suprascripta. Interrogatus si hec facta fuerunt in
preiudicium monasterii, dixit quod sic. Interrogatus quomodo scit
quod fuisset in preiudicium monasterii, dixit bene, quia monasterium
non potuit fructare castrum sic ut prius.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus et post
mortem eius rex Manfredus hostiliter occuparunt Marchiam et occu-
pata tenuerunt abbatiam et castra eius de Marchia per .xx. annos.
Interrogatus quomodo scit, dixit quod vidit et audivit et fuit in con-
trada. Interrogatus si absentavit se de Marchia, dixit quod non. Inter-
rogatus si contra Romanam Ecclesiam, dixit quod sic.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod a .xxx. annis citra dictum
monasterium vacavit abbate per dictum tempus et plus, sicut credit,
et nescit aliter, nisi quia vidit abbatie Marchie sine abbate per dictum
tempus, sed quod fuerint abbates in monasterio ve! non, dixit se
nescire.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod de omnibus quibus te-
stificatus est supra et reddidit causam scientie sunt publica et notoria
in contrada. Interrogatus quid est dicere publicum et notorium, dixit
quod que gentes publice dicunt, et non fuit doctus.
oAtti della Società 331
Eodem die.
[Brjunorus Silver! de Furce, testis. luravit presentibus partibus
corali] rectore prefato. Primo articulo sibi [lectjo, dixit quod mona-
sterium suprascriptum et abbates dicti monasterii qui fuerunt prò tem-
poribus, silicet dompnus Matheus de Arzulo, [dompnus] Henrigus de
Coxeiano, et abbas Oderiscius, dompnus Matheus de Sublacu i"t alii
de quorum [nominijbus non recordatur, nomine dicti monasterii et
prò ipso monasterio habuerunt, tenuerunt et possederunt totam [ab-
bajtiam et castrum montis Falconis ad plenam iurisdictionem cum
pertinentiis et gyrone, quod castrum positum est in Marchia, iuxta
tenimenta castri Furcis, Exmirilli et fluminis Asi et allos fines, et
vidit eos habere gastaldos et viscontea in ipso castro, et aliis de ab-
batia, et iudicem qui cognoscebat de omnibus causis civilibus et cri-
minalibus et condepnabat in pecunia et in personis, et vidit eos gene-
raliter omnia facere que quihbet dominus et comes facit in sua terra
et in suis vaxaUis, et hec dicit se vidisse per tempus .xxx. annorum,
usque ad tempus et eo tempore quo imperator et rex Ens per suos
nuntios hostiliter occupaverunt Marchiam, abbatiam et castrum pre-
dictum montis Falconis. Interrogatus quomodo scit, dixit bene, quia
vidit eos habere et tenere, ut supra dixit. Interrogatus quomodo scit
quod predicti fuissent abbates dicti monasterii, dixit quia vidit homines
abbatie facere eis obbedientiam et fidelitatem. Interrogatus quantum
tempus est a dieta occupatione citra, dixit se non recordari. Inter-
rogatus quot annos habet ipse testis, dixit quod octuaginta annos et
plus. Interrogatus si fuit presens in contrada et non absentavit se de
Marchia, dixit quod presens fuit per tempus illud .xxx. annorum et
non absentavit se de Marchia. Interrogatus qui fuerunt gastaldi seu
viscontea in dicto castro montis Falconis et aliis castris dicto tempore
prò ipsis abbatibus, dixit quod in dicto castro montis Falconis fuit
Marsilius Paracasei, Rainaldus Gratiani, et alii quos non cognovit
nomine; et alii fuerunt in castro Furcis [dominus] Acto Albrici, do-
minus Moricus de Nirano et Giso Actonis Todini et magister Phy-
lippus Herradi Let[onis], qui fuerunt prò illis temporibus et co
tempore.
Secando articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete occupationis
dompnus Matheus de Sublacu erat abbas dicti monasterii et dominus
Fyldesmidus de Moliano erat eius vicarius in tota abbatia marchie.
Interrogatus quomodo scit predicta, dixit quia vidit. Interrogatus quis
fccit vicarium dictum dominum Fyldesmidum, dixit quod non inter-
fuit ordinationi eius vicariatus, sed vidit quod homines diete abbatie
obbediebant sibi ut vicario dicti abbatis. Interrogatus quod erat offi-
332 <2Atti della Società
cium eius, dixit quod in omnibus, quia abbas comictebat sibi vices
suas in temporalibus.
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse ut in dicto articulo con-
tinentur, et in causa scientie dixit ut in primo articulo sui dicti te-
stificatus est. Interrogatus si vidit offitiales dicti abbatis in ipsa ab.
batia et iudices eo tempore, qui iudicarent et punirent, dixit quod
sic. Interrogatus qui fuerunt dicti iudices, dixit quod dominus Phy-
lippus de Coxeiano, et dominus Rogerius de Rivotino, et dominus
Arnolfus de Coxeiano, et alii de quorum nominibus non recordatur,
et vidit aliquos punitos in oculis, silicet Rainaldum Dionisii, Petrum
Albertucii, Venturam Carradi et Cambium Morici Mattelle, quos di-
cebant homines punitos esse per dictos iudices, et ipse testis vidit
exire illa die qua fuerunt orbati de gyrone Furcis.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de Puree, dominus Albertinus comitis Alberti de Exmirillo, do-
minus Fyldesmidus de Moliano et dompnus Nicola de Puczallia mo-
nachus dicti monasteri! et dompnus Tebaldus monachus dicti mona-
sterii fuerunt vicarii prò ipso monasterio in dieta abbatia et in dicto
castro mentis Falconis. Interrogatus quomodo scit, dixit quia vidit
predictos in vicariatu.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod tunc monasterium possidente
dictam abbatiam et dictum castrum ut supra dixit, privatum fuit pos-
sessione ipsa. Interrogatus quis privavit monasterium ipsa possessione
et quomodo scit, dixit quod dominus Ralnaldus de Aquaviva tunc
nuntius imperatoris venit cum sarracenis et militibus multis ad castrum
Furcis, et tunc dictus abbas Matheus erat in ipso castro Furcis, et
cum noUet facere mandata ipsorum recessit de dicto castro, et
homines ipsius castri Furcis fecerunt mandata ipsius domini Rainaldi,
quia non potuerunt aliud. Et eadem die ivit ipse dominus Rainaldus
versus castrum mentis Falconis ad ecclesiam Sancti lanuarii, et ibi
recepit homines mentis Falconis ad mandata. Interrogatus quomodo
scit, dixit bene, quia stetit et presens fuit et erat ipse testis torresia-
rius et custos gyronis dicti castri Furcis.
Supra sexto dixit quod post dictam occupationem abbas Nicola
cum possideret dictum castrum mentis Falconis, audivit dici per pu-
blicam famam quod dominus Gerardus Coxadoca rector marchie tunc
misit suos nunties ad castrum mentis Falconis et fecit auferri castrum,
sed non quod ipse testis aliter sciret.
Supra septimo dixit quod commune Firmi apprehendidit rocham
dicti mentis Falconis, et eam tenuit per plures annos, sed per quot
annos tenuit non recordatur. Interrogatus quomodo scit, dixit auditu.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines abbatie et dicti
oAtti della Società 333
castri montis Falconis prestiterunt et prestare consueverunt iuramenta
fidelitatis abbatibus dicti monasterii obbediendo eis sicut dominis
eorum et recognoscendo eos ut dominos. Interrogatus quomodo scit,
dixit se vidisse quasi per omnia castra abbatie, quia abbates ducebant
ipsum testem prò eorum familiare, quilibet eorum de quibus dixit suo
tempore. Interrogatus per quantum tempus vidit predicta, dixit a
tempore sue recordationis, excepto tempore quo imperator tenuit
terram, ut supra dixit.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fecit fieri in
capite dicti castri montis Falconis post dictam occupationem unum
receptum preter fortillizia seu palatium quod abbas prius habebat ibi.
Interrogatus quomodo scit, dixit quod a longe videbat quando fiebat
dictum receptum, et dicebatur quod Firmani faciebant fieri.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus, et
post mortem ipsius imperatoris rex Manfredus, occupaverunt Mar-
chiam et dictam abbatiam et tenuerunt occupatam; sed per quot
annos non recordatur. Interrogatus quomodo scit predicta, dixit quia
vidit.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod a .xxx. annis citra va-
cavit abbatia abbate in istis partibus Marchie bene per .vii. annos,
ut credit et sibi videtur, et aliter nescit.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod ea que supra testifi-
catus est et reddit causam scientie sunt publica et notoria in contrada.
Interrogatus quid est dicere publicum et notorium, dixit quod que
gentes communiter dicunt, et quod non fuit doctus neque rogatus.
Eodem die.
Bonus Meliorati de Teramo, testis. luravit presentibus partibus
coram rectore prefato. Primo articulo sibi lecto, dixit quod mona-
sterium suprascriptum et abbates qui fuerunt prò temporibus, silicet
abbas Gentilis et abbas lacobus, abbas Philippus, et abbas Herrigus
de Coxeiano, et abbas Matheus de Sublacu et alii de quorum no-
minibus non recordatur, nomine dicti monasterii, et prò ipso mona-
sterio in solidum et in totum habuerunt, tenuerunt et possederunt ad
plenam iurisdictionem totam abbatiam et castrum montis Falconis
pacifice et quiete et continue, ponendo ibi baiulos et gastaldos seu
viscontes in tota dieta abbatia et in dicto castro, et generaliter vidit
eos omnia facere iustificando homines, et per iudices et vicarios
eorum sicut facit dominus et comes in sua terra et intra suos ho-
mines; et hec vidit per tempus .xxx. annorum et plus usque ad
tempus quo imperator sivc gentes ipsius imperatoris hostiliter occu-
pavit Marchiam et abbatiam predictam et dictum castrum. Interro-
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI 23
534 ^^^^ della Società
gatus quomodo scit predicta, dixit se vidisse, et quod per visum non
habuit per publicam famam scivisse. Interrogatus quomodo scit quod
predicti fuerint abbates dicti monasteri!, dixit quia vidit eos obbedir!
et honorari ab hominibus diete abbatie et sicut honorantur abbates.
Interrogatus quantum tempus est quod predicta fuerunt, dixit se de
numero annorum non recordari. Interrogatus quantum tempus habet
ipse testis, dixit .lxxx. annos et plures. Interrogatus si fuit presens per
dictum tempus .xxx. annorum in contrada [et in] provinzia Marchie,
dixit quod sic.
[Secundjo articulo sibi lecto, dixit quod dompnus Matheus de
Sublacu erat abbas dicti monasterii tempore [inv]axionis predicte,
et dominus Fyldesmidus de Moliano erat suus vicarius in dieta ab-
batia, et communiter homines [abjbatie habebant eum prò vicario.
Interrogatus quomodo scit , dixit quia vidit. Interrogatus quod
officium faciebat [dictus] vicarius in dieta abbatia, dixit quia omnia
faciebat et iustificabat et rationem requirebat ab offitialibus [cell]a-
rariis et baiulis qui erant in abbatia predicta, et omnia faciebat in
temporalibus, quod dicti abbates per se faciebant dum erant pre-
sentes.
Tertio articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
predicti dompnus Matheus abbas dicti monasterii, et dominus Fyldes-
midus eius vicarius, nomine dicti monasterii habebant et possidebant
pacifice et quiete totam dictam abbatiam et eastrum montis Falconis
et homines et vassallos ipsius abbatie et castri montis Falconis etiam
tamquam homines et vassallos ipsius monasterii et ad plenam iuris-
dictionem, tempore diete invaxionis et occupationis erant in posses-
sione vel quasi possessionis cognitionis et iurisdictionis plenarie
exercende in tota dieta abbatia et eastro montis Falconis in pecunia,
et in membris, et in persona, faciendo etiam eosdem homines et
vassallos delinquentes suspendi et decapitari, secundum quod requi-
rebat natura et qualitas delieti. Interrogatus qui fuerunt viseontes et
gastaldiin ipso castro montis Falconis [et in aliis cajstris, dixit quod
in castro montis Falconis vidit Rainaldum Gratiani primo viscontem
et post eum cellararium eo tempore, et Morieum Tofani qui fuit
gastaldus. Interrogatus si vidit ibi iudices, dixit se non recordari. In-
terrogatus qui fuerunt puniti seu condepnati in persona eo tempore
in ipsis loeis, dixit se non recordari.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de Furee, dominus Albertinus comitis Alberti, dominus Fyldes-
midus de Moliano, dompnus Nieolaus de Puczallia monachus dicti
monasterii fuerunt vicari! dicti monasterii prò dicto monasterio et
ipsorum abbatuum, et publice habiti sunt prò vicariis in ipsa abbatia.
oAtti della Società 355
Interrogatus quomodo scit, dixit quìa vidit. Interrogatus si dominus
Albertinus aliquid possedit in castro mentis Falconis, dixit quod ha-
buit quosdam vaxallos, et audivit quod dictus dominus Albertinus
faciebat fidelitatem abbati.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
sic piene possideret et quasi totam dictam abbatiam et dictum ca-
strum montis Falconis, et homines et vassallos ipsius, cum dieta co-
gnitione et iurisdictione uni [versali] etiam quo ad sanguinem et ca-
pitalis pene impositionem, dictum monasterium privatum fuit omnibus
predictis per dictam invaxionem et occupationem dicti Frederici im-
peratoris rebellis et hostis Romane Ecclesie. Interrogatus quomodo
facta fuit dieta privatio, dixit se non recordari, sed scit predìcta au-
ditu et per publicam famam.
Supra sexto articulo, dixit nichil scire aliud nisi auditu et per pu-
blicam famam.
Supra septimo articulo, dixit quod Firmani abstulerunt dictum
castrum montis Falconis et lenuerunt ipsum castrum prope .xx. annos,
et vidit eos ibi facere turrim.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines et vassalli ipsius
abbatie et homines ipsius castri consueverunt prestare et prestiterunt
sacramenta fìdehtatis abbatibus dicti monasteri!, qui fuerunt prò tem-
poribus, eos honorari et revereri sicut dominos eorum ab eis, et hec
vidit a tempore recordationis ipsius testis, excepto tempore quo mo-
nasterium caruit possessione ipsa per dictam occupationem. Interro-
gatus a quot annis citra recordatur ipse testis, dixit quot a .lx. annis
citra. Interrogatus si fuit presens prestationi ipsorum sacramentorum,
dixit quod multotiens et in pluribus locis abbatie ipsius, et scit per
auditum et per publicam famam.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod postquam commune Firmi
habuit dictum castrum fieri fecit a capite ipsius castri unum gyronem
preter guardiam que erat ibi prius. Interrogatus quomodo scit, dixit
quia vidit et audivit sepius, et vidit ibi lohannem de Barlecta ca-
stellanum prò commune Firmi.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus et
rex Manfrcdus occupatam tenuerunt Marchiam et abbatiam hostiliter
contra Ecclesiam Romanam per .xx. annos. Interrogatus quomodo
scit, dixit quod vidit prò magna parte et audivit. Interrogatus si
discessit de provinzia per dictum tempus, dixit quod non.
Undecime articulo sibi lecto, dixit supra co nichil scire nisi au-
ditu et per publicam famam.
Supra duodecimo articulo, dixit quod sunt publica et notoria ea
que testifìcatus est supra. Interrogatus quod est dicere publicura et
33^ ^tti della Società
notorium, dixit se nescire. Interrogatus si fuit doctus vel rogatus hoc
testimonium facere, dixit quod non.
Die .XV. martii.
Dompnus Rainaldus, monachus Sancti Katervi de Tolentino, te-
stis. luravit presentibus partibus coram rectore prefato. Primo articulo
sibi lecto, dixit quod monasterium suprascriptum et abbates qui fue-
runt, silicet abbas Matheus de Arsulo, abbas Herrigus de Coxeiano,
et post eum in tempore non continuo quod sibi recordetur abbas
Stephanus, et abbas Oderiscius, et post istos abbas Matheus de Su-
blacu, nomine dicti monasterii in solidum et in totum habuerunt,
tenuerunt et possederunt quo ad plenam iurisdictionem civilium et
criminalium causarum pacifìce, continue prò suo, sicut abbates tenent
suamterram, totamdictam abbatiam suprascriptam et castrum montis
Falconis et abbatiam predictam, cum suis pertinentiis et tenimentis,
et cum domo que erat in capite castelli. Quod castrum est in Mar-
chia, cuius confinia sunt ista: castrum Sancte Victorie, tenimenta
castri Exmirilli, castri Terami et flumen Asi; habendo in ipsa ab-
batia tota gastaldos et viscontes et in ipso castro et in tota abbatia,
cognoscendo de causis civilibus et criminalibus, et per iudices eorum
vidit aliquos homines plures puniri in pecunia et in personis, et vidit
eos et omnia et singula facere que quilibet dominus et comes facit
in sua terra, et plus quia in spiritualibus dominabantur. Et vidit pre-
dieta per tempus .xl. annorum usque ad tempus et eo tempore quo
rex Enz filius imperatoris intra vit Marchiam et usque quo occupavit
provinciam totam et dictam abbatiam et dictum castrum montis Fal-
conis. Interrogatus quomodo scit predicta, dixit quia vidit et interfuit.
Interrogatus quomodo scit quod predicti fuerint abbates in dieta abbatia
et in ipso castro, respondit quia homines vocabant ipsos abbates, et
ipsifaciebant ea que faciunt abbates in dieta abbatia et in ipso castro.
Interrogatus quantum tempus est quod predicta fuerunt, dixit se non
bene recordari. Interrogatus quantum tempus habet ipse testis, dixit
.Lxxx. annos et plus, ut ipse credit. Interrogatus si predictum tempus
.XL. annorum fuit presens in provinzia Marchie, et in dieta contrada,
dixit quod sic, excepto quod una vice ivit in Lombardiam ad ab-
batem Stephanum predictum qui erat in Lombardia, in eundo mo-
rando et redeundo transierunt .xx. dies. Interrogatus in qua terra
dictus testis fuit ortus, dixit in monte de Nove, quod est castrum su-
biectum ipsi abbati et dicto monasterio.
Secundo articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete occupationis
diete provinzie et diete abbatie dopnus Matheus de Sublacu erat abbas
dicti monasterii et dominus Fyldesmidus de Mollano erat eius vica-
oAlti della Società 337
rius in dieta abbatia. Interrogatus quod erat officium dicti vicarii,
dixit quod ordinabat et faciebat prò ipso abbate que spectabantur ad
temporalia et publice habebatur prò vicario ab hominibus diete ab-
baile, et ipse vicarius et prò eo dominus Rogerius iudex de Rovetino,
quem vidit eum iudicem prò domino Fyldesmido, et Meliorem de
Brunforte, et dominum Uguiczionem filium naturalem dicti domini
Fyldesmidi, qui fecerunt iudicia plura in delinquentibus, de quorum
nominibus non recordatur.
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse et fuisse que in ipso ar-
ticulo continentur, hoc adiecto etiam, quod vidit viscontem in quo-
libet castro diete abbatie. Quesitus in causa scientie, dixit in omnia
et per omnia ut supra in primo articulo dixit.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de Furce, dominus Albertinus comitis Albertini de Exmirillo,
dominus Fyldesmidus de Moliano et dopnus Nicolaus de Puczallia.
Item et Arpinellum domini Giberti de Valle, dopnum Laurentium pe-
rusinum, dopnum Berardum de Montenigro, dopnum Nicolaum de
Toffia vidit vicarios prò abbatibus qui fuerunt prò tempore in mo-
nasterio dicto. Interrogatus quomodo scit predicta, dixit se vidisse.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
possideret dictam abbatiam et castrum montis Falconis et vassallos
ipsius cum iurisdictione plenaria, ut supra dixit, monasterium fuit
privatum omnibus predictis. Interrogatus quomodo scit et quomodo
facta fuit dieta privatio, respondit quod cum exercitus imperatoris et
gens eius cum rege Entio ad partes illas venirent, videlicet ad castra
ipsius abbatie, et castra facerent mandata eorum, quia gens illa erat
excomunicata, et abbas timebat, aufugit et exivit de ipsa terra.
Sexto articulo sibi lecto, dixit quod audivit dici quod Gerardus
Coxadoca, rector in Marchia, fecit sibi dari castrum montis Falconis,
et dicebatur quod de mandato domini abbatis fecerat.
Septimo articulo sibi lecto, dixit quod castrum montis Falconis
pervenit ad civitatem Firmanam, et illud castrum habuit et possedit
per .XX. annos et plus in preiudicium dicti monasteri! et contra ius
et in detrimentum animarum suarum, et nunc possidct licet nomine
Romane Ecclesie teneatur. Interrogatus quomodo scit, dixit quia au-
divit, et est in pubiica fama. Interrogatus quale preiudicium fit mo-
nasterio, dixit quod Firmani faciebant ibi pontem et dominantur ca-
strum, exceptis domaniis et debitalibus,
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines et vassalli diete
abbatie et dicti castri prestiterunt et prestare consueverunt sacramenta
fidelitatis abbatibus qui fuerunt prò temporibus in dicto monastcrio,
honorando et rccognoscendo eos ut dominos suos, facicndo dcbitalia
338 (yìtti della Società
et usualia servitia et hoc a tempore recordationis ipsius testis, excepto
tempore quo dictus imperator tenuit terram. Interrogatus quomodo
scit predicta, dixit quia vidit pluries et pluries et multotiens interfuit
prestationibus dictorum sacramentorum et servitiorum a dicto sue
recordationis tempore. Interrogatus si sacramenta predicta presta-
bantur singulariter per homines diete abbatie et dicti castri vel per
syndicum, dixit quod singulariter.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fecit fieri in
preiudicium dicti monasterii in capite dicti castri montis Falconis
unum gyronem, non quod ipse testis interfuit quando fuit factum, sed
vidit post, et per publicam famam scit quod Firmani fecerunt ipsum.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod imperator Fredericus, et
post mortem eius rex Manfredus, per nuntios eorum cum exercitum.
occuparunt Marchiam, totam abbatiam et dictum castrum, et dominus
Herrigus de Aquaviva cum exercitu imperatoris advenit in Marchiam
et in dictam abbatiam, et tempore regis Manfredi vicarii eius occu-
pans dictam provinciam et abbatiam hostiliter contra Romanam Ec-
clesiam et in preiudicium dicti monasterii, et occupatam tenuerunt
per .XX. annos et plus, ut credit.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod monasterium suprascri-
ptum a .XXXV. annis citra vacavit abbate aliquando, [u]t credit; sed
per quantum tempus nescit.
Duodecimo articulo sibi lecto, dixit quod ea supradicta de quibus
testificatus est et reddidit causam sciende sunt nota et publica ho-
minibus de contrada et manifesta, et dixit quod non fuit doctus,
ncque rogatus dictum testimonium.
Die predicta.
Dopnus lacobus prior ecclesie Sancte Marie de Ofida, testis. lu-
ravit presentibus partibus et coram rectore prefato. Dixit quod mo-
nasterium suprascriptum et abbas Matheus de Sublacu, nomine dicti
monasterii et prò ipso monasterio, de aliis abbatibus precedentibus
in tempore dictum abbatem Matheum, excepto abbate Herrigo de
Coxeiano quem recordatur in abbatia predicta et tempore cuius ipse
testis receptus fuit monachus dicti monasterii, qui abbates habuerunt,
tenuerunt et possederunt in solidum et in totum prò ipso monasterio
ad plenam iurisdictionem causarum civilium et criminalium continue
dictam abbatiam et castrum montis Falconis de ipsa abbatia cum
pertinentiis et domibus que erant in ipso castro, prò ipsis abbatibus;
et vidit eos habere gastaldos et baiulos in dieta abbatia et castro
predicto, et vidit eos cognoscere de causis civilibus et criminalibus
per eorum vicarios et iudices, et vidit eos generaliter omnia facere
oAtti della Società 339
que dominus et comes facit in sua terra et in suis vassallis, et plus
quia in spiritualibus dominabantur ; et hec per tempus .x. annorum
et plus usque ad tempus et eo tempore quo rex Enzis intravit Mar-
chiam et occupavit abbatiam totam et sicut aliam terram. Interro-
gatus quomodo scit predicta, dixit se vidisse, quia vidit dictos abbates
possidere, et alios erant prò eis sicut supra dixit. Interrogatus quo-
modo scit quod predicti abbates fuerint, dixit quod vidit eos haberi
prò abbatibus, et scit bene, quia fuit de ipsoruni familia. Interrogatus
quantum tempus est quod predicta fuerunt occupata ut supra dixit,
dixit se non recordari. Interrogatus si dominus imperator venit per-
sonaliter ad dictam abbatiam et dictum castrum, dixit quod non, sed
vidit gentem regis Enzis venire in exercitu super Ofidam, et gentes
publice dicebant quod predictus erat ibi, et tunc dictus abbas qui tunc
erat et vicarius eius recesserunt de abbatia prò timore. Interrogatus
si per tempus dictorum .x. annorum de quibus annis asseruit fuit pre-
sens in contrada, dixit quod sic. Interrogatus de qua terra fuit oriundus
dictus testis, dixit quod de castro de monte de Nove de dieta abbatia.
Secundo articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete occupationis
erat abbas dicti monasterii dopnus Matheus de Sublacu, sed quod do-
minus Fyldesmidus de Moliano esset vicarius eius non recordari. Et
vidit dominum Rugerium filium dicti domini Fyldesmidi et dominum
Uguiczionem filium naturalem eius et Bonsaltum de Moliano esse in
dictu vicariatu, et dicebant homines eos stare prò dicto domino Fyl-
desmido.
Tertio articulo sibi lecto, dixit vera esse que in ipso articulo con-
tinentur, excepto quod dominum Fyldesmidum non vidit in vicariatu,
ut supra dixit, sed vidit dictos filios eius, et Bonsaltum familiarem
eius cognoscere et punire delinquentes, et vidit eos facere torqueri
Rubertum Rainucìi et lacobum Berardi de monte de Nove prò eo
quod dicebantur furtum commisisse de biado in nocte. Interrogatus
quomodo scit predicta, dixit quod erat in terra et castro montis de
Nove, et vidit bladum portari per illos quibus dicebatur substractum
fuisse furtive quod deberet eis reddi, non quod viderit eos torqueri,
sed quia publice dicebatur per terram.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod alios vicarios quorum no-
mina in ipso articulo continentur non vidit, sed vidit dopnum Nicolam
de Puczallia, monachum dicti monasterii, vicarium prò dicto mona-
sterio in dieta abbatia. Interrogatus per quantum tempus vidit, dixit
per .X. annos. Interrogatus quomodo scit quod fuerit vicarius, dixit
bene, quia vidit licteras privilegii vicariatus ipsius, in quibus contine-
batur quod homines abbatie deberent ei obbedire in temporalibus et
spiritualibus.
340 dAtti della Società
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium
sic piene possideret, ut supra dixit in primo, dictam abbatiam et dictum
castrum montis Falconis dictum monasterium privatum fuit dieta
possessione per occupationem et invaxionem prefatam, Interrogatus
quomodo scit, dixit quod cum dictus abbas Matheus iam recessisset
de ipsa abbatìa timore gentis dicti regis, ut dixit in primo articulo, et
dopnus Nicola predictus remansisset et gereret officium vicariatus,
venit quidam dominus Salomon, et dicebatur quod prò inperatore
venerat et prò domino in contrada illa, et cum inciperet dominari,
dictus dopnus Nicola recessit prò timore, quod predictus dominus Sa-
lomon minabatur ei, ut ipse testis audiebat. Interrogatus quomodo
scit et ubi fuerunt predicta, dixit quod in castro montis de Nove vidit
dictum dominum Salomonem sic se habere ut supra dixit.
Supra sexto articulo dixit quod cum dopnus Nicola abbas olim
dicti monasterii esset in terra Ofide misit dominum Gentilem de
monte Sancti Poli, et cum eo ìpsum testem, ad castrum montis Fal-
conis predictum, ad petitionem dominorum de Exmirillo, qui tenebant
dictum castrum, qui cum pervenissent ad ipsum castrum, domìni de
Exmirillo qui ibi erant, seu dominus Anselmus et nepotes de Exmi-
rillo, et dominus Georgius, et dominus Albertinus [de] monte Paxillo,
qui cum relaxari sibi peterent et dicerent prò parte dicti abbatis, qui
deberent readsignari ipsum castrum dicto domino abbati, dicti domini
responderunt eis: « veniat dominus abbas et readsignabimus sibi ca-
strum, quia suum est m. Et sequente die cum dictus abbas properasset
ad ipsum castrum, predicti domini readsignaverunt ipsi abbati ipsum
castrum, dicentes: v.q.ccq, readsignavimus vobis dictum castrum quia
vestrum est ». Quibus dominis recedentibus de ipso castro, remansit
dictus abbas cum familia et comitiva que secum erat, et comisit ipsi
testi claves portarum dicti castri, et post dictum tempus cum dominus
Gerardus Coxadoca esset rector Marchie, misit quemdam dominum
Oddonem de Florentia ad dictum castrum, et cum prius precepisset
ipsi quod dictum castrum montis Falconis deberet adsignare ipsum
castrum nuntiis eius qui abbas quamquam invitus accessit ad dictum
castrum, et dicto iudici Oddonì adsignavit dictum castrum dicendo
et protestando : « ego volo obbedire marchioni prò honore Ecclesie
Romane, salvo et reservato iure monasterii et Ecclesie suprascripte,
quod hoc non fiat in preiudicium monasterii ipsius ». Interrogatus quo-
modo scit, dixit bene, quia fuit presens omnibus predictis et vidit et
audivit.
Septimo articulo sibi lecto, dixit auditu se scire quod predictum
castrum montis Falconis pervenit ad civitatem Firmanam, sed quanto
tempore tenuit, dixit se nescire.
Q/ltti della Società 341
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines abbatie et castri
predicti prestare consueverunt sacramenta fidelitatis abbatibus qui
fuerunt prò tempore in dicto monasterio, et honorare et recognoscere
eos ut dominos. Interrogatus per quantum tempus, dixit per .xx. et
.XXX. annos et plures. Interrogatus quomodo scit, dixit bene, quia
stetit et presens fuit et vidit multotiens et pluries. Interrogatus si
dieta sacramenta prestabantur per syndicum vel singulariter, dixit
quod per syndicum in aliquibus castris et prò maiori parte singulì
prestabant sacramenta homagii et fidelitatis abbatibus ipsis.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi post occu-
pationem et perventionem dictam fieri fecit in ipso castro turrim et
palatium preter domos que erant ibi prius et in preiudicium dicti mo-
nasterii. Interrogatus quomodo scit, dixit se vidisse postquam Fir-
mani habuerunt castrum illud heddificium factum per eos, quod non
erat ibi tempore quo fuit ipse testis ibi, ut asseruit supra in .vi. ar-
ticulo.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod computato tempore quo impe-
rator et rex Manfredus tenuerunt Marchiam per nuntios eorum cu-
currerunt .xx. anni. Interrogatus quomodo scit, dixit bene, quia stetit
continue in provinzia.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod a ,xxxv. annis citra mo-
nasterium suprascriptum vacavit abbate per .x. annos. Interrogatus
per mortem quorum abbatuum, dixit se non recordari.
Duodecimo et ultimo articulo sibi lecto, dixit predicta de quibus
asseruit publica et notoria esse in contrada abbatie predicte. Interro-
gatus quid est dicere publicum et notorium, dixit quod est illud quod
multis est notum et publicum. Interrogatus si fuit doctus, dixit quod
non, et predicta non dixit odio, pretio, prece, amore, vel timore.
Die .XVI. martii.
Petrus Nicole de monte de Nove. luratus presentibus partibus
coram rectore prefato, primo articulo sibi lecto, dixit quod monaste-
rium suprascriptum et abbates quos ipse testis vidit prò dicto mona-
sterio, silicei abbas Matheus de Arzulo, abbas Herrigus de Coxeiano,
abbas Oderiscius et abbas MatL ;us de Sublacu, et alii quos perso-
naliter non vidit, scit tamen auditu, predicti quos vidit prò dicto mo-
nasterio habuerunt, tenuerunt et possederunt prò suo ad plenam iuris-
dictionem causarum civilium et criminalium pacifice et continue
totam dictam abbatiam et castrum montis Falconis, cuius confinia
sunt flumen Asi, tenimentum castri Sancte Victorie, castri Exmirilli,
et alia latera cum fortillitiis et tenimentis, ut quis possidet suum,
habendo gastaldos et baiulos in ipso castro et in aliis diete abbatie,
342 oAtti della Società
et vidit vicarios et iudices eorum cognoscere de causis criminalibus et
civilibus et punire malefactores delinquentes in persona et in pecunia,
et generaliter omnia facere que quilibet dominus et comes facit in
sua terra, et dixit se predicta vidisse per tempus .xxx. annorum et plus
usque ad tempus et eo tempore quo rex Ensis fìlius imperatoris prius
intravit Marchiam et occupavit tunc predictam terram per forziam
ipsius abbatie et dictum. castrum. Interrogatus quomodo scit predicta,
dixit quod vidit et presens fuit. Interrogatus si predicti abbates fue-
runt personaliter in dieta possessione, respondit quod sic, predicti quos
vidit. Interrogatus qui fuerunt prò eis gastaldi seu viscontes, respondit
quod in ipso castro montis Falconis vidit magistrum Rainaldum Pet-
tenarii viscontem et Rainaldum Gratiani, et baiulos alios de quorum
nominibus non recordatur, et in aliis castris vidit alios quos asseruit
in testimonio perhibito per eum in causa cum Ecclesia Romana. Inter-
rogatus quantum tempus habet ipse testis, dixit octuaginta annos et
plus. Interrogatus si ipse testis absentavit se de provinzia eo tempore
quo dixit monasterium possedisse predicta, dixit quod non. Interro-
gatus si ipse testis est vassallus monasterii, dixit quod sic quantum ad
quedam.
Secundo articulo sibi lecto, dixit quod tempore diete invaxionis
et occupatignis dopnus Matheus de Sublacu erat abbas dicti monasterii,
et dominus -Fyldesmidus de Moliano erat vicarius ipsius abbatis in
dieta abbatia et homines ipsius abbatie comuniter habebant prò vi-
cario. Interrogatus quod officium faciebat ibi dictus vicarius, dixit quod
omnia faciebat ibi temporalia, habendo ibi iudicem suum, seu do-
minum Rogerium de Rovitino, qui cognoscebat de omnibus causis
civilibus et criminalibus. Interrogatus quantum tempus est quod dictus
dominus Fyldesmidus fuit in dieto offitio, dixit quod sunt bene .xxxviii.
vel .xxxviiii. anni.
Tertio articulo sibi lecto, asseruit vera esse quo, in ipso articulo
continentur, affirmando ea que dixit supra in primo articulo, que vi-
dentur sibi eadem cum his que sunt in tertio. Interrogatus si vidit
tempore dieto per officiales ipsorum abbatuum puniri aliquos, dixit
quod sic. Interrogatus de nominibus, dixit quod in eastro Furcis fue-
runt orbati Rainaldus Dionisii, Cambius Moriei Matthelle de ipso ca-
stro, et in castro montis Falconis vidit post ipsum tempus Potentem
occasione prodictionis facte per eum de ipso eastro, condepnatus fuit
per abbatem Nieolam in omnibus bonis eius et perpetuo exbanitus.
Quarto articulo sibi lecto, dixit quod dominus Gentilis Actonis
Mili de Furee, dominus Albertinus comitis Alberti de Exmirillo, do-
minus Fyldesmidus predictus et dopnus Nicola de Puczallia fuerunt
vicari! ipsius abbatie et publiee habiti prò abbatia vicarii abbatuum
oAtti della Società 343
qui fuerunt prò temporibus, et hec per tempus supra assertum per
eum. Interrogatus si dictus dominus Albertinus possedit per se ali-
quid in dicto castro montis Falconis, dixit quod non, sed habebat ibi
aliquos vassallos a dieta ecclesia suprascripta.
Quinto articulo sibi lecto, dixit quod cum dictum monasterium sic
possideret, ut supra dixit, ipsam abbatiam et dictum castrum et ipse
abbas esset in castro Furcis, dominus Rainaldus de Aquaviva cum
sua gente christianorum et sarracenorum, et post hec dictus abbas
venit ad castrum montis de Nove, et coadunatis hominibus ipsius vi-
cinantie et contrade, predicavit ibi, et monuit eos ut starent fideles in
servitiis Romane Ecclesie, et si non possent aliud, non paterentur de-
structionem et facerent quam melius possent, et recessit tunc de
contrada, et post hec venit dominus Salomon quidam (i) prò parte
regis Ensis, et recepit sacramenta per violentiam, quia faciebat caval-
cata et incendia contra illos et in terra eorum qui nolebant facere
mandata et gentis sue, et tunc privatum fuit monasterium possessione
predicta.
Sexto articulo sibi lecto, dixit quod cum dompnus Nicola, ohm
abbas dicti monasterii, post dictam occupationem possideret dictum
castrum montis Falconis cum pertinentiis suis, quidam iudex de Flo-
rentia venit prò parte domini Gerardi Coxadoca tunc rectoris in
Marchia, et prò parte dicti domini petiit castrum ab abbate, et ipse
abbas prò bono pacis contrade adsignavit sibi castrum, salvis et re-
servatis omnibus iuribus ipsius monasterii. Interrogatus quomodo
scit, dixit quia vidit et presens fuit.
Septimo articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi abstulit
rochetam que est in capite castri montis Falconis et ipsam rochetam
habuit et possedit commune Firmi per .xx. annos et plus. Interro-
gatus quomodo scit, dixit quod vidit commune Firmi ire, et abstulit
dictam rochetam in preiudicium monasterii.
Octavo articulo sibi lecto, dixit quod homines dicti castri et alii
ipsius abbatie prestiterunt et prestare consueverunt sacramenta fide-
litatis dictis abbatibus et aliis qui fuerunt post dictum tempus, vide-
licet abbati Nicole, abbati lacobo, abbati Peregrino, abbati Gentili,
et vidit eos honorari, recognosci et obbediri ab hominibus ipsius ab-
batie et dicti castri. Interrogatus per quantum tempus vidit fieri pre-
dicta, dixit per dictum tempus .xxx. annorum, et excepto tempore
quo imperator tenuit terram dum vixit, et rex Manfrcdus aliis tem-
poribus, vidit predicta fieri abbatibus supra nominatis. Interrogatus
(i) Dopo la parola quidam si trovano le parole in terra eorum,
rinchiuse fra tre lince in segno di cancellazione.
344 oAttì della Società
si predicti homines de abbatia in castris eorum prestabant dieta sa-
cramenta singulariter an per syndicum, dixit quod singulariter et
personaliter, excepto castro Ofide in quo prestabatur sacramentum
per syndicum. Interrogatus qui fuerunt syndici, dixit se non recordari.
Nono articulo sibi lecto, dixit quod commune Firmi fieri fecit in
ipso castro montis Falconis in rochetta in capite castri montis Fal-
conis unam turrim, ut ipse testis audivit et scit bene; quia dieta
turris facta fuit postquam ipsi habuerunt castrum et fecerunt fieri
alios muros, et in preiudicium monasterii. Interrogatus si sunt ibi
hedificia que erant prius preter illa que fecit fieri commune Firmi,
dixit quod sic. Interrogatus si dictum monasterium fecit de ipso ca-
stro aliquam concessionem alicui, dixit quod non, ut ipse sciat.
Decimo articulo sibi lecto, dixit quod inter regem Enzium, Ru-
bertum de Castellione, lacobum de Morra et comitem Rizardum,
tempore imperatoris, et post mortem eius nuntii regis Manfredi,
contra Ecclesiam Romanam tenuerunt Marchiam occupatam bene
per .X. annos aut .xii., et plures. Interrogatus si se absentavit de
provinzia illis [temporibus], dixit quod non. Interrogatus si vidit
predictos personaliter in provinzia, dixit quod sic.
Undecimo articulo sibi lecto, dixit quod monasterium predìctum
vacavit abbate bene per .x. annos a .xxxv. annis [citra]. Interrogatus
per mortem quorum abbatuum, dixit per mortem abbatis Stephani
et per depositionem abbatis Nicole, et per mortem abbatis Peregrini.
Interrogatus quantum tempus fluxit per syngulas vacationes, dixit se
non recordari.
Duodecimo et ultimo articulo sibi lecto, dixit quod predicta de
quibus asseruit sunt publica et notoria in contrada. Interrogatus quid
est publicum et notorium, dixit quod que communiter gentes dicunt,
et dixit quod sunt predicta vera
G. B. Cao-Mastio
D. Feliciangeli.
BIBLIOGRAFIA
Atto Paganelli, La Cronologia rivendicata per d,A. P. monaco
vallombr osano, offerta a Sua Santità Leone XIII nella
fausta occasione del suo giubileo sacerdotale. — Milano,
tip. pontificia di San Giuseppe, 1887, in-f grande.
La cronologia è un ramo degli studi storici che ebbe sue vicende
particolari. Ma è d'uopo avvertire che non si deve intendere questa
parola nel senso in cui è presa ora abusivamente. Ora si denominano
cronologie le opere che riassumono la storia secondo le date. Intesa
la cosa a questo modo, riesce difficile comprendere come la crono-
logia possa essere per se stessa un ramo di studio, quali ne sieno gli
elementi e le difficoltà. Cronologia è lo studio comparativo dei di-
versi sistemi di computo del tempo, per accertare le date degli avve-
nimenti storici.
Questo studio sorse infatti quando, raccoltesi già molte notizie
della storia di diversi popoli, si sentì il bisogno dì ordinarle. E ciò
accadde presso i Greci dopo le conquiste d'Alessandro il Grande. Ma
speciale impulso ai confronti cronologici provenne poi, nei primi se-
coli del cristianesimo, dal bisogno di dimostrare l'autorità della Bibbia
come storia del mondo fin dalla sua origine. La storia allora cono-
sciuta si limitava ai popoli di cui i Greci avevano conservate notizie
e di cui ne conteneva la Bibbia: una ristretta orbita, se si giudica
colle idee d'oggi, nella quale trovavano posto soltanto i paesi che
furono sottomessi da Alessandro Magno. Questi furono, ad ogni modo,
i limiti della Storia universale allora e per molti secoli dopo, fino quasi
ai nostri tempi. L'India, la Cina, allora sconosciute, ne rimasero sem-
pre bandite.
Nuovo impulso alle comparazioni cronologiche provenne nei se-
coli XVI e XVII dalle dispute religiose. L'argomento era estraneo alle
controversie tra cattolici e protestanti ; ma l'attenzione era richiamata
su esso dagli studi che gli uni e gli altri dovevano fare della Bibbia.
E allora vennero alla luce voluminose opere così di cattolici (i gesuiti
Petau, Riccioli) come di protestanti (Usher, Scaligero). I canoni ero-
34^ bibliografia
nologici da esse fomiti furono poi seguiti sempre fino al nostro se-
colo, quando la condizione delle cose mutò per scoperte di nuovi
materiali storici, che modificavano profondamente le cognizioni che
s'avevano della storia antica.
Un'opera di piccola mole pubblicata mezzo secolo fa in Germania
col modesto titolo di Manuale della cronologia tecnica e matematica (i)
ci aveva divezzati dai pesanti volumi in-foglio dei secoli xvi e xvii,
pur soddisfacendo alle esigenze di qualunque più scrupoloso ricerca-
tore di cronologia. Alla economia del lavoro s'aggiungevano, per
conciliare favore a quest'opera, una grande semplicità, correttezza e
chiarezza d'esposizione, e l'autorità che proviene da vaste cognizioni
di astronomia, di filologia, di storia, e da un metodo rigorosissimo.
L'Ideler non si propose di farla da teologo, ed evitò le questioni di
carattere meramente teologico ; ma su tutte le altre controversie agi-
tate fra i precedenti cronologi versò tanta luce, che ha dissipato tutti
i dubbi che si potevano dissipare.
La Cronologia rivendicata del P. Paganelli ci riconduce ora ai pe-
santi volumi in-foglio, ed al genere di studi dei cronologi antiquati.
L'operetta dell' Ideler, benché conosciutissima, è rimasta a lui scono-
sciuta. Pare che la sua ambizione sia stata destata dai vecchi allori
appassiti del P. Petau (Petavio), e contro lui ha preso ad armeggiare.
Diremo subito che in tal genere di ricerche il successo dipende
in buona parte dalla fiducia che l'autore riesce ad ispirare. È neces-
sario che questa sia intera, perchè le sue conclusioni non possono
esser controllate se non' rifacendo tutto il lavoro. E tale fiducia si
ispira con un metodo di ricerca rigoroso e con molta cultura. E non
si ispira invece quando le conclusioni appariscono precipitate, quando
apparisce che non si conoscono tutti i materiali a gran pezza, e quando
ognuno s'accorge che all'autore non furono accessibili né i testi nelle
loro lingue originali, né le opere moderne in lingue straniere.
E che questo secondo sia il caso dell'opera del P. Paganelli si
scorge a prima vista. L'A. ha avuto cura di mettere in mostra nelle
prime pagine sei lettere, che gli furono dirette da persone il cui giu-
dizio doveva, a suo avviso, conciliargli la fiducia di chi apre il vo-
lume. Ma, ohimè ! un po' per lo stesso contenuto di quelle lettere,
un po' perchè questo singolare modo di procedere par troppo atten-
dere dalla prevenzione, l'espediente non produce l'efifetto desiderato.
Che anzi nasce subito il sospetto che chi fa ciò non sia un erudito
semplicemente infervorato della sua scienza. Per decoro degli studi
italiani giova sperare che l'esempio non abbia imitatori né fra gli
ecclesiastici né fra i laici.
Per dare un qualche ordine a questi appunti, ci fermeremo un
momento a considerare di questo lavoro:
1° La condotta generale;
(i) L. Ideler, Handbuch der mathematischen und technischen Chronohpe, voi. 2 in-
r' ed., Berlin, 1825-26; 2» ed., invariata, Berlin, 1885.
bibliografia 347
2° I materiali adoperati per le ricerche ;
3° Alcune conclusioni.
L'A. ha segnato in 123 tavole o pagine la serie progressiva degli
anni secondo varie ere. Ciascuna pagina è divisa in tante colonne
quante sono le ere. Dapprincipio si incontrano solo le ere che co-
minciano più da antico ; man mano, accanto a queste prendon posto
le altre ere : sicché, mentre le prime pagine contengono solo tre co-
lonne, le ultime ne hanno fin 25. Tra gli anni qua e là son segnati,
all'anno corrispondente, alcuni fatti storici di cui l'A. volle accertare
la data. Tutto ciò nella pagina a destra del libro. Nella pagina a si-
nistra sono segnate le citazioni dei testi antichi che servono di prova,
e qualche osservazione dell' A. Questo lavoro si estende per 4750 anni,
cioè dall'a. 4713 av. E. V. all'a. 36 dell'E. V.
A queste tavole furono premesse nove dissertazioni, denominate
conferente perchè sono discussioni tenute con un esaminatore deputato
a quest' ufficio dal card. Massaia, patrocinatore dell'opera. Il quale
esaminatore è il P. Gabriello da Guarcino, cappuccino, che occupa
in Vaticano varie cariche ecclesiastiche, e che ha in fatto di crono-
logia tutta la competenza che può avere un teologo.
Si capisce come in queste conferenze l'esaminato ha buon giuoco
d'un esaminatore che non è della partita; e quindi la pesantezza del-
l'argomento non gli toglie il buon umore. Questo dialogo non sarà,
questo nò certo, un modello di tal genere letterario, perchè la gio-
vialità vi è mantenuta ben spesso a spese della convenevolezza ed
anche della grammatica ; ma per l' indole degli scherzi e la potenza
della dialettica trasporta facilmente il lettore nella compagnia dei
due ecclesiastici interlocutori. Talora il cronologo, udita l'obbiezione,
« guarda sorridendo », « scuote il capo leggerrnente sorridendo »,
sicché l'esaminatore esce a dire: «che maniera è questa? forse mi
canzona? » In realtà però Tesaminato non canzona l'esaminatore; e
glielo dimostra profondendogU riverenze senza risparmio. E quanto
dovette ammirarlo l'esaminatore, quando gli confessava che nel corso
delle sue lucubrazioni « gli bolliva la testa fuor di maniera, e qualche
volta la sentiva andar via quasi da per so ! »
Alle obbiezioni risponde ragionando e spiegando le tavole. « Alla
lett. (/;) vi (sic) troviamo il perchè Antioco, avendo nel settembre del
più volte ricordato anno 585 di Roma.... dovuto buttar giù quella pil-
lola amara a lui apprestata da Popillio legato de' Romani, se n'an-
dasse, per digerirla un po', a rifarsene co' Giudei a Gerusalemme,
quali pasta più morbida, secondo il parer suo, per i propri denti »
(pag. 16, col. 2). « Pur tuttavia per farle dono d'un altro fiorellino,
affinché se ne formi un mazzetto, la condussi all'a. 691 ecc. » (pag. 27,
col. 2).
Finalmente In conferenza giunge al termine, non per volontà del
cronologo, ma perchè l'esaminatore è chiamato dal campanello ad
altre occupazioni: «tutto ad un tratto ne fui distolto da quel solito
548 'Bibliografia
amico, che con quel suo tintilin-tintilin richiamava altrove la nostra
attenzione» (pag. 16, col. 2).
Se si tolga r importunità di queste e simili piacevolezze che infio
rano il dialogo, è d'uopo riconoscere che il P. Paganelli è riuscito
generalmente nella sua esposizione chiaro e vivace, e gliene va dato
elogio.
Sopratutto poi il P. Paganelli mostra una singolare attitudine gra-
fica. Il concetto di raccogliere graficamente la cronologia in tavole
è molto lodevole, perchè agevola grandemente la ricerca delle date
storiche. E questo concetto fu da lui attuato con molta felicità.
I materiali sono quelli medesimi di cui si servivano i cronologi
dei secoli xvi e xvii ; ed identica è la mira cui l'A. intende. « La
« mia cronologia adunque, rilevata dalla Santa Scrittura, intendo dire
« unicamente dalla Volgata, unita che s'è storicamente ed astronomi-
« camente con tutte le altre ere più note, facendo con esse allora un
« sol corpo, addiviene quel tutto che ne piacque chiamare la Crono-
« logia rivendicata » (pag. 2, col. 2). Dunque, la cronologia che ricava
dalla Bibbia è l'asse intorno a cui si volge tutto il sistema : ad essa
vien coordinata la cronologia che deduce dagli scrittori greci e latini.
Della Bibbia segue « unicamente » la versione volgata. Così sia.
S'intende che tutte le opere di cui la Bibbia si compone hanno per
l'A. la stessa indiscutibile autenticità ed autorità : Pentateuco, Re, Da-
niele, Esdra, Maccabei, tutte valgono ad un modo, cioè alla lettera.
Le discussioni che si fanno a questo proposito l'A. le ignora ; e deve
ignorarle. Per vero dire, così si faceva nei secoli xvi e xvii ; ma ora
si dovrebbe fare alquanto diversamente. Non già che il cronologo
debba entrare in quelle discussioni; ma dovrebbe tener conto del ru-
more che fanno, ed esserne avvisato che, per giovare davvero alla
cronologia ed alla storia, bisogna battere altre vie. Che se si tratta
solo di lavorare per i teologi, allora è inutile rifare il già fatto, che
ha servito egregiamente finora, e continuerebbe a servire egualmente
bene per l'avvenire.
Quanto agli scrittori greci (tradotti) e latini utilizzati, son pochini
davvero; i soliti d'una volta, e neppur tutti. Ove poi abbia omesso
Clemente Alessandrino, Eusebio, Giorgio il Sincello perchè non dà
loro importanza, allora è bene che lo dica per nostra norma.
E tutti i materiali egiziani, e tutti i materiali assiro-babilonesi ve-
nuti in luce da mezzo secolo in qua? Appena è se menziona due
iscrizioni cuneiformi persiane, di cui ebbe notizia dalla Civiltà Catto-
lica! (pag. 37, col. 1-2). Egli si limita a fare il seguente voto: « Un
voto del mio cuore consistente nel desiderare che i signori assirio-
logi si degnino tentare in questo medesimo senso i monumenti di
quelle regioni là, afifin di vedere se essi pure concordino, come io lo
ritengo fermamente, con questi intimi e reconditi veri, sì della Sacra
Scrittura, che della medesima storia profana » (pag. 7, col. i). Se
sapesse per quanto diversa via camminano i signori assiriologil
bibliografia 349
Pensi a questo solo, che tutta la serie dei re medi, per ricostruire
la quale egli s'affanna tanto sulla scorta di Ctesia e d'Erodoto, e
che è una chiave di volta del suo edifìzio, è da essi riguardata come
una pura leggenda di cui non s'occupano neppur più, E v'è anche
di peggio! Han torto essi; ma del suo voto non se la daranno per
intesa. Sa come deve fare per tirarli a bene? Non si contenti di udir
parlare di loro come d'abitatori della luna ; esamini i loro scritti, e
li emendi. E si rammenti anche degli egittologi; poiché anche questa
piaga esiste, che gli è rimasta nascosta.
Devesi però tener conto all'A. d'aver spinto la sua industria fino
a consultare la tavola delle eclissi del Pingrè, che tutti conoscono
poiché trovasi nell'or/ àe. vérifier les dates, la quale cita quattro o
cinque volte. E poi che due egregi astronomi, il Respighi ed il Ce-
loria, dietro sua richiesta d' un giudizio sulla Cronologia rivendicata,
si limitarono a dichiarare esatta la tavola del Pingré senza voler
entrare nell'argomento della Cronologia, VA. si vale delle loro due
lettere per accrescere autorità al suo volume, e le pubblica nella prima
pagina, ove il Respighi ed il Celoria si trovano nella compagnia di
cinque o sei dignitari ecclesiastici i quali, questi sì, lodano senza reti-
cenze l'opera del P. Paganelli.
Intorno alle conclusioni non si può spendere troppe parole, perché
questa rassegna non consente spazio. Ma se si mostrerà come ne
sono tratte alcune, s'avrà un criterio sufficiente per giudicare il va-
lore di tutta l'opera.
Ma veggasi prima come interpreta i testi.
Censorino dice : « Primum tempus sive habuit initium, sive semper
« fuit, certe quot annorum sit non potest comprehendi ». E l'A., citan-
dolo, spiega per « primum tempus » il « tempo antidiluviano ».Va poi
da sé che l'A. non ammette che vi sieno difficoltà a spiegare quanto
abbia durato il tempo preistorico (tav.VI, nota h).
Giustino dice : « Assyrii qui postea Syri dicti sunt ». E l'A. v'ag-
giunge: « Che gli Assiri vengano come nazione primitiva da quel-
« l'Assur , lo ritengo fermamente; ma che poi essi si sieno con-
« vertiti in Sirii, non lo reputo vero ; perché questi nacquero da
« Camuel, figlio di Nacor, fratello d' Abramo Per il che quell'in-
« ciso di Giustino non dice la verità, essendo stati sempre, secondo
« la Sacra Scrittura, gli Assirii ed i Sirii due nazioni differenti » (tav. XX,
nota b). Occorre altro per mostrare che han torto tutti coloro che
ritengono che il nome greco di « Siri » provenga dall'originario « As-
siri » ?
Erodoto, citato in latino, dice: «Omnibus namquc cum (Cheo-
« pcm) templis obserratis, ante omnia iEgyptiis ne sacrificarent inter-
« dixisse ». Orbene, dopo « uEgyptiis », l'A. mette una parentesi in cui
scrive: « ma qui si legga Hebraeis » (tav. XLIX, nota f). E perché?
Questa ò marchiana davvero! E continua dopo imperturbabilmente
ad applicare agli Ebrei il racconto che Erodoto dedica agli Egiziani.
Archivio delia R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 34
350 bibliografia
E poi che Erodoto, parlando dei lavori che il re Cheope imponeva
spietatamente ai suoi sudditi per fabbricare la grande piramide, dice:
« Aliis (hominibus), ut lapicidinis arabici montis saxa excìperent », il
nostro A., dopo « arabici montis », mette una parentesi in cui scrive
« che è il Sinai, dove tuttora vi (sic) esistono le iscrizioni in caratteri
« ebraici antichi ». Ma che necessità vi era di questa sciagurata paren-
tesi che contiene tali spropositi? Che ha che fare la catena dei monti
arabici dell' Egitto col Sinai? Che han che fare qui le iscrizioni
ebraiche? E dove sono queste iscrizioni ebraiche del 1530 av. E.V.?
Questa data 1530 non si creda messa qui ad arbitrio; è dell' A.; il
quale, da quanto racchiude in questa nota, argomenta che gli Ebrei
erano in Egitto ai tempi dei re Cheope e Micerino, circa il 1530
av. E. V. Vi è di che far raggrinzare la pelle a chiunque conosca
anche solo 1 primi elementi di storia dell'Egitto. Poiché Cheope e
Micerino appartengono alla IV Dinastia, e verso il 1530 av. E.V. re-
gnava la Dinastia XVIII : la dimora degli Ebrei in Egitto poi non ha
che far nulla né coli' una né coll'altra. Vedasi in che baratro é preci-
pitato l'A. per quel grillo di voler leggere « Ebrei » dove Erodoto
non s'è neppur sognato di scriverlo.
Queste licenze d' interpretazione dei testi non sono in alcun modo
scusabili. Si trattasse di testi biblici, allora l'A. potrebbe addurre la
ragione che adduce a pag. 2, col. 2, che « altrimenti non se ne cave-
« rebbe costrutto nessuno: e la parola di Dio non deve esser vota, ma
« piena di senso ». Ma qui non ne é il caso. E poi, questi testi hanno
un senso chiarissimo.
E quindi, come fidarsi delle conclusioni che l'A. va preparando?
Ancora un'osservazione merita d'esser fatta, per formarsi un cri-
terio dell'autorità che meritano tali conclusioni.
Il nostro cronologo crede sinceramente che le ere siano state
istituite l'anno da cui il loro computo incomincia. Varie volte dice
che le olimpiadi « furono istituite l'a. 777 av. E.V. » (pag. Vili, col. i ;
pag. 28, col. i). Poiché egli non sa che le olimpiadi sono una cosa,
ed i giuochi olimpici ne sono un'altra; e poi che il P. Petau non ha
fatto tal confusione, lo trova confuso da non potersi intendere (pag. 28,
col. 1-2; pag. 35, col. i). Ed ecco come ragiona dell'istituzione del-
l'era volgare: « Che Dionigi il Piccolo abbia inventato l'èra volgare
« nel 532 dell'era volgare medesima, per me implica tale contraddi-
ce zione in termini, che ogni volta che mi vien messa davanti son
« proprio costretto a riderci su ! Imperocché se Dionigi il Piccolo
«scrivendo produceva i suoi studi nel 532 dell'era volgare, segno é
« che questa la correva già da 532 anni prima che egU scrivesse»
(pag. 26, col. i). Lasciamolo ridere: uomo allegro il ciel l'aiuta. Poi
prosegue : « Dionigio adunque, gliene concludeva io, non inventò
« quest'era nostra volgare, giova ripeterlo; perché usata già da tanto
« tempo prima di lui in tanti registri, e seguita da popoli cristiani, da
« molte chiese, ed in un modo più che speciale poi tenuta in gran
« conto dai nostri comuni, i quali, con piccolissima differenza, la di-
"Bibliografia 351
« cevano : " ab Incarnatione domini „ o " a Nativitate „ e gli altri " ab
« anno reparatae salutis „, ma da tutti era seguita ». Oh quanta pru-
denza usò qui l'esaminatore P. Gabriello da Guarcino, per ascoltare
tutto ciò, e tacere! Un altro avrebbe chiesto che citasse qualche esem-
pio; che almeno indicasse qualcuno dei nostri comuni prima dell'a. 532
dell'E. V.: e forse l'esaminato avrebbe scoperto qualche novità che
tutti gli storici hanno finora ignorato. Ma rispettiamo le ragioni per
cui il P. Guarcino tacque. Certo, argomentando da questi esempi, si
deve credere che l'A. consideri l'èra dì Adamo, di cui egli si serve,
come istituita da Adamo o da un suo contemporaneo.
Quanta fiducia meritano le conclusioni preparate da un crono-
logo che ha un concetto sì inesatto delle ere, cioè dei computi del
tempo, che sono i principali ferri della sua arte?
Prendiamo ora tra le mani alcune di queste sue conclusioni, e
vediamo quanto valgano.
Lasciamo in disparte tutte quelle che riguardano i tempi per i
quali l'A. si giovò solo della Bibbia, non conoscendo altre fonti. Colla
scorta della Bibbia ha creato una sua propria èra di Adamo, che co-
mincia dall'a. 4093 av. E. V. Alle cento e più ere del mondo che già
furono escogitate ha voluto aggiungere ancora questa; e si serva.
Tutti i computi che istituisce per illuminare la Storia Sacra furono già
istituiti le mighaia di volte, e sempre si trovò chi ritornava daccapo.
Chi vi si accingerà dopo lui a rifare il lavoro forse scioglierà megho
la difficoltà dell'età d'Esdra, cui egli accenna a pag. 19 con questi
termini: «è certo però, che se anche ai giorni nostri da taluno si
« arriva per in fino ai 100 anni, e da tanti altri si oltrepassano an-
ce cora , quale difficoltà vi sarebbe, che un uomo di que' tempi
«lassù, e poi com'era Esdra, non potesse aver campato ancora 125
« o 130 anni ? » Nessuna, risponderemmo noi. Ma chi rifarà il lavoro
domanderà forse: e che uomo era dunque Esdra? E vorrà sapere
« per in fino » che tempi fossero « que' tempi lassù » avvolti in sì so-
lenne mistero; tempi che corrispondono in sostanza alla metà del
v secolo av. E. V., e quindi punto misteriosi. Ma noi ci fermeremo
sulla cronologia profana.
L'A. mena grande scalpore contro il P. Petau, perchè contando
gli anni dell'E. V. comincia subito coll'a. i, invece di cominciare
coll'a. 0; ossia perchè colloca l'a. i dell'E. V. all'a. 4713 del Periodo
Giuliano, mentre egli sostiene che va collocato all'a. 4714 (Conf. VII).
Questa non è una discussione da cui scaturiscano conseguenze gravi
per la storia. Basta intendersi. Chi sa come furono forniate le ere è
arrendevole intorno al modo di servirsene.
Alla storia importa invece sapere se sono fondate le conclusioni
dell'A., che la battaglia d'Arbela, con cui finì l'impero persiano, sia
avvenuta l'a. 326 av. E. V., e non l'a. 331 come si è sempre am-
messo; e se Alessandro il Macedone è morto l'a. 318 e non l'a. 323
av. E. V. Ora dai testi che egli cita, e dai ragionamenti che vi ag-
352 bibliografia
giunge (pag. 32), si ricava cosi poco, che davvero non si è rassi-
curati.
A questa conclusione, e ad altre di cui si dirà dopo, egli fu tratto
nel seguente modo. Egli ha tracciato la serie dei re persiani con quei
sussidi di testi che gli somministra lo scarso repertorio dei suoi ma-
teriali. Secondo essa, l'ultimo re persiano, Dario Codomanno, co-
minciò a regnare l'a. 334 av. l'È. V.; e poi che si sa che regnò 8 anni,
dunque la sconfìtta finale da lui toccata ad Arbela nella guerra contro
Alessandro cade l'a. 326.
Quanto alla data della morte d'Alessandro, qualche indicazione
tratta da Q.. Curzio, contrapposta a quelle di Giustino, convalidata
colla conclusione già accennata, riguardante la data della vittoria
d'Arbela, e non occorre altro per rovesciare tutta una falange di sto-
rici e cronologi, da Arriano ed Eusebio, che l'A. ha trascurato, fino
ai dì nostri.
Ma la conclusione più grave è quella che forma argomento spe-
ciale della conferenza IX, oggetto della quale è di « dimostrare che
« chi mandò i suoi eserciti contro i Greci a Maratona fu Astiage re
« dei Medi, e non il re persiano Dario d'Istaspe » ; e chi li condusse
a Salamina « fu il re Ciro e non il re Serse ; e che Erodoto fu la
« cagione di questa confusione dei nomi ». Come si vede quest'enun-
ciato è gravissimo ; è un'accusa solenne contro tutti i cronologi e gli
storici, specialmente contro Erodoto, il padre d'un errore che si per-
petuò poi, per ignoranza ed ignavia di tutti gli scrittori seguenti, fino
a Don Atto Paganelli eccettuato.
La chiave dell'enigma è questa, per dirla in breve. L'A. trova
che Alessandro Magno tolse l'Egitto ai Persiani quando rovesciò
r impero persiano colla battaglia d'Arbela sopra menzionata, nell'a. 326
av. l'È. V. secondo lui, 331 secondo tutti gli altri. Trova scritto che
il re persiano che aveva conquistato l' Egitto era stato Cambise padre
di Dario. Trova scritto che i Persiani hanno dominato in Egitto
120 anni. Dunque 120 anni prima della battaglia d'Arbela, cioè nel 446,
od anche 451 av. E. V., regnava in Persia Cambise, e non è possibile
che suo figlio Dario regnasse al tempo della battaglia di Maratona,
che accadde l'a. 490 av. E. V. ; come non è possibile che regnasse
Serse, figlio di Dario, al tempo della battaglia di Salamina, che ac-
cadde l'a. 480 av. E. V. Pertanto, o spostare Dario e Serse, o spo-
stare Maratona e Salamina. Nel bivio egli prese il secondo partito.
Come si vede, la spiegazione calza ch-e non fa una grinza. Un
solo dubbio potrebb'esservi: i 120 anni conducono proprio fino al
termine d'ogni dominazione persiana in Egitto ? Veramente le no-
tizie che si hanno intorno all'Egitto negli ultimi tempi della domina-
zione persiana sono scarse e confuse. Sarebbe da vedere come interpre-
tano la cosa i cultori speciali della storia egiziana, Lepsius, o Mariette,
o Maspero: ma dove si va a pescare qualcuna di queste opere ignote?
Bando al dubbio dunque: slam pronti.
Ora si badi che, nelle serie delle dinastie egiziane, quella dei re
bibliografia ^^s
persiani che comincia con Cambise è la XXVII secondo alcuni,
la XXVIII secondo altri ; e che quella cui appartiene il re persiano
spodestato da Alessandro Magno è la XXXI. Tra l'una e l'altra vi
sono due o tre dinastie di re nazionali; poiché l'Egitto ricuperò l' indi-
pendenza, poi venne risottomesso dopo circa 65 anni dai Persiani,
che vi dominarono nuovamente per nove anni, fin che furono spode-
stati da Alessandro.
Se il P. Paganelli avesse tenuto conto dei 65 anni d'intervallo, e
dei 9 della seconda dominazione persiana, eran bell'e trovati i «75 anni »
che gli mancavano nel conto generale degli anni trascorsi dal prin-
cipio della dominazione persiana in Egitto con Cambise, alla con-
quista d'Alessandro: poiché 331 -I- 120-4-65 -I-9 = 525 ; laddove egli
ha 331 H- 120 = 451. Maratona poteva dunque continuare a stare con
Dario all'a. 490, e S alamina con Serse all'a. 480, come han fatto
sempre. Si richiedeva così poco per vederlo !
Preso un granchio, l'A. ne pigliò dopo una retata. Cosi si spiega
come dovette credere d'aver fatto un atto meritorio separando i nomi
di Dario e Serse da quelli di Maratona e Salamina. E quindi l'accusa
contro Erodoto ; il quale dovrebb'esser stato lui il grande ignorante,
poiché quasi contemporaneo a quelle battaglie sì gloriose per i Greci,
avendo conosciuto molti che vi si erano trovati, non seppe i nomi
dei re persiani nemici.
E poi, veniamo alle corte. Abbiamo un testimonio oculare, ed é
Eschilo, il quale si trovò ad entrambe le battaglie, e nella sua tra-
gedia / Persiani introduce fra i personaggi Atossa, vedova di Dario e
madre di Serse, e parla spesso di Salamina e della sconfitta ivi toc-
cata da Serse, che forma appunto l'argomento della tragedia.
Da questa sola conclusione del P. PaganelH, che é la più clamo-
rosa di tutta r opera, si può argomentare quanto valga la sua Cro-
nologia rivendicata.
Ecco qua, pertanto, un enorme volume, che s'annuncia nella de-
dica al papa come con somma pa-^en-^a e pertinace applicazione com-
posto a rischiarare tutta l'antica cronologia, che vien tratto fuori con
massima pompa e lusso di stampa, e che non serve a nulla. A ciò
conduce un metodo inane di studi: a brancolare nel vuoto.
A. Rolando.
L. Duchesne. Le Liber Pontificalis, texte, introduction et
commentairc; tome premier. — Paris, Thorin, 188^.
Una dimostrazione di grata accoglienza non deve mancare in
questo Archivio alla nuova edizione che il signor abbate Duchesne
vien pubblicando del Liber episcopalis in quo continentur acta beatorum
pontificum urbis Romae. È un'edizione profondamente ed ampiamente
ragionata ed illustrata, un'edizione critica come non era mai stata
354 ^Bibliografia
intrapresa per innanzi. Testo e varianti derivano questa volta non
solo dalla scoperta, sotto certi Compendi, di un primo strato, per cosi
dire, di Liher Pontificalis , ma da un instancabile spoglio di tutti i ma-
noscritti conosciuti e da un esame accuratissimo del loro valore ri-
spettivo. Commento analitico al contenuto di questa storia, intro-
duzione sintetica, che è storia veramente magistrale di questa storia,
derivano questa volta dalla piena coscienza che il L. P. studiato a
dovere, e dentro e fuori, può dare e ricevere molta luce intorno all'es-
sere suo. Tutto r insieme, questa volta, deriva da un raro ingegno,
da un raro tatto, da una rara attività, da una rara dottrina, ma anche
da un raro carattere.
Un commento al /,.?., pubblicato in Parigi nel 1680, incomin-
ciava con questa dedica a Michele Le Tellier: «Cancellarle illu-
« strissime, notas et observationes in Anastasium De vitis romanorum
« pontifìcum non uno titulo tibi offero. Scio qua reverentia et reli-
« glone spectes Romanam Ecclesiam, Sedemque Apostolicam, et omnia
« quae ad eam colendam pertinent, benevole et devote legas et audias.
« Italiam a Longobardorum iugo armis Pipini regis et Caroli M.
« ereptam, simul et Patrimonium D. Petri, regum nostrorum bene-
« ficium verius quam Constantini esse, non sine suavi animi sensu
« leges. Fidei Gallicanae vestigia a primis clara temporibus, sacrae et
« prophanae antiquitatis quae ibi occurrunt, monumenta observare
« non pigebit » (i). Degli affetti espressi in queste ottantasei parole,
la « reverentia », la « religio » sta sicuramente nell'animo dell'abbate
Duchesne, ma il suo libro non conosce altro programma all' infuori
di quello che può tradursi colle undici parole ultime. « Quanto all'in-
« tendimento col quale sono concepite e proseguite queste ricerche
« (scriveva il Duchesne nel 1876), esso non può essere che quello
« dell'esattezza e il desiderio di chiarire le origini d'un documento in-
« teressante per la storia e l'archeologia cristiana. Il lettore può cre-
« dere che l'onore della Chiesa Romana e de' suoi pontefici non è per
« me cosa indifferente, e che se io non esito a sacrificare tutto ciò che
« è falso ed apocrifo nei documenti che ci si danno come loro storia,
« sono ben lungi dal confondere la causa coi cattivi argomenti che
« si è preteso invocare per difenderla. Questi sentimenti non mi
« avranno fatto deviare, lo spero, dal rigore necessario in simile di-
« scussione ; altro è la probità scientifica, altro è l' indifferenza » (Étude
sur le L. P., 1877, p. iv). Ma poiché la nuova edizione mi ha fatto
cercare, tra gli altri, il vecchio volume dell' Altaserra, e poiché è bello
osservare il carattere non solo nel D. storico, ma nel D. erudito, pia-
cerai notare come piia d'un problema od enigma nel testo (2), egli
segnali si, ma senz'altro, e contrapporre alle fantasie ed ai pruriti di
(i) Antonii Dadini Alteserrae Notae ei observationes in Anastasium De vitis roma-
norum poniificum; Parisiis, M. DC . LXXX.
(2) Eleutheria (p. 298, 1, 6), luculos . . . respectoribus (p. 372, 1. 16), scevrocarnali
(P- 373» 1- 4), Botarea (p. 391, I. 13), lecticaria (p. 502, 1. 22), Vagauda (p. 507,!. 11), ecc.
bibliografia 355
altri commentatori, la sistematica resistenza del D. al demone della
congettura.
Ma parmi più che superfluo dar lode ad un uomo al quale è stata
ed è resa giustizia da coloro che hanno avuto od hanno una parte
personale ed onorevole nello studio del L. P. Ho testé udito dire
dall' illustre Mommsen che dopo i Maurini la Francia non aveva
avuto un dotto pari al Duchesne. Neppur mi sembra conveniente
descrivere, qui in Roma, un libro che in Roma dev'essere ed è tutto
giorno fra le mani degli studiosi. Mi vo' restringere a quello che posso
fare, curiosando qua e là nel L. P. in proposito della nuova edizione.
177,7: «donum quod obtulit Constantinus Augustus beato Petro apo-
« stolo per diocesem Orientis: in civitate Antiochia: . . . domuncula
« in Caene . . . cellae in Afrodisia . . . balneum in Cerateas. . . ». Al
D. che tratta con giusta predilezione e illustra con molta cura
(p. cxLix segg., Étude, p. 146) il gruppo di notizie intorno alle do-
tazioni di chiese, guidandoci queste ad una fonte sincera ed archivi-
stica del L. P., piacerà senza dubbio sapere che il desiderato riscontro
esiste anche pel Cerateas di Antiochia. È in Procopio, Bell. pers. II, io:
TÒ Xsyóixsvov xspaxatov. 178,2: «per Aegyptum, sub civitatem Ar-
menia (var. Armeniam A^: Armentam C^): - possessio Passinopo-
limse (var. Passinapolimse A*: Passinopolimre B^: Passinopolim-
semper C ': Passinopolimpse C^), praest, sol. dccc, charta decadas ecce,
. . . linu saccus e, . . . papyru racanas mundas i; - possessio quod do-
navit Constantino Aug. Hybromius (far. Hybrion A' : Hybrimon a^:
Ypromius B^: Ubromius C^: Ymbromius C^: Ybromius C^: Bro-
mius D: Hybromias E) ». Armenia può pretendere sicuramente dì
stare nel testo (cfr. p. cexxix), ma fuori del testo non merita tanti
riguardi, la si può discutere (cfr p. eexiii). Or mentre in Egitto
un'Armenia non c'è (p. cxlix), c'è invece V Armeni degli Arabi, Ar-
month dei Copti, Hermonthis dei Greci (Quatremère, Mém. gèogr. et
hist. sur l'Ég. I, p. 272), che nella gara dei manoscritti e lor varianti
dà la palma a\V Armenia di C^ manoscritto eccellente (p. cexx),
Passinopolimse, Hybromius : due proprietari ermontiti, del terzo o quarto
secolo (p. cl), de' quali è curioso che i nomi, passando per tante
bocche e tante penne forestiere, da Hermonthis ad Alessandria, a
Costantinopoli, a Roma, e in Roma dalle stanze episcopali a quelle
dei chierici minutanti del Laterano, abbiano pur conservato cosi rico-
noscibilmente la loro aria nativa (cfr. Parthey, Aegyptische Personenna-
men, 1864, p. 93 : Psan-, Psen-, Psin-, Pson- ; p. 100, 105 : -mse, -mpse,
p. 27: Bromius). Papyru racanas: non compariscono nel Commento
e neanche nell'elenco a p. cl dell'Introduzione. Altra volta, con altro
testo, si credeva necessario o prudente distinguere (Du Gange s. v.)
queste racanae del L. P. dalle racanae (genus vcstis) di Papia, Gre-
gorio M., ed Ennodio. Oggi l'identificazione è (credo) agevolata dal
testo nuovo. D'altra parte papyru (che qui non può avere il senso
di carta, poiché la charta è già segnata nella lista), non essendo nò
qui né altrove (p. 179, 1. 9) seguito, come tutti gli altri prodotti, da
^^6 bibliografia
cifra, non può stare da sé, va congiunto alla parola che segue, pa-
pyru racanas, come linu saccus (p. 178, 1. 5 ; p. 179, 1. 9). Ora in Teo-
frasto {Hist. plant. 4, 8, 4) si legge: ò TtocTtupog upò^ TiXeToxa yj^rioi^oq,...
'Ex %fiz pipXou... uXéxouot... xaL èad-yjxà xtva. 179,4: « basilicae (beati
« Pauli apostoli) hoc donum (Augustus Constantinus) obtulit : ... sub
(cavitate Aegyptia (yar. Egyptia C3: Aegypti E): possessio, etc. r>\
dunque nel territorio (cfr. p. cxlix) di una civitas (pp. 177-180) chia-
mata Aegyptus. Verrebbe voglia di protestare. Eppure è un fatto,
Aegyptiis è anche nome di città, è nome di Memfi, nella Cosmografia
del Ravennate (ed. Pinder e Parthey, 1860, p. 135) e in un Vocabo-
lario copto presso Champollion (L'Ég. sous les Phar. I, 91). 389,13
« misit suprafatus imperator (Justinianus) ad Constantinum pontificem
« sacram per quam iussit eum ad regiam ascendere urbem. Qui san-
« ctissimus vir iussis imperatoris obtemperans illieo navigia fecit pa-
ce rari, quatenus iter adgrederetur marinum. Et egressus a porto Ro-
« mano... VeniensigiturNeapolini... Siciliamperrexit; ubiTheodorus
« patricius et stratigos . . . occurrens pontifici » (confesso che non ar-
rivo a capire la nota del D. : « probabilmente egli incontrò il papa
<( a Palermo, dappoiché questi, continuando il suo viaggio, ebbe a
« passar per Reggio ») «... inde egredientes per Regium et Cotronam
« transfretavit Callipolim . . . Dum vero Ydronto moras faceret. . . Unde
« egressi partes Greciae, coniungentes in insula quae dicitur Caca,
« occurrit Theophilus patricius et stratigos Caravisianorum, cum
« summo honore suscepit; et amplectens ut iussio contìnebat, iier
« absolvit peragere coeptum. A quo loco navigantes venerunt . . . Con-
ce stantinopoUm ». È interessante vedere questo itinerario del L. P.
presentato in correlazione ad altri nel Bròndsted, Voy. dans la Grece,
1826, p. 3 seg. (ile de Zea): ce... bel porto, senza dubbio, uno dei
« migliori dell'arcipelago . . . frequentato in ogni tempo ... a causa del
(c suo ancoraggio, dai navigli partiti di Levante che si dirigevano
(( verso le coste occidentali del Mediterraneo, o che provenendo da
« questo mare volevano guadagnare le acque della Grecia. Così . . .
« Sesto Pompeo approdò a Ceo nel primo secolo della nostra èra,
« allorché partitosi da un porto d'Italia faceva vela per l'Asia Minore
«(Val. Max. II, 6, 8). Al principio dell' viii secolo, all'anno 710, il
« papa Costantino, ecc. ». 417,5 : « Hic (Gregorius III) concessas sìbi
« columnas VI onichinas volutiles {var. volubiles AC^G: volutiber
« C^) ab Eutychio exarcho, duxit eas in ecclesiam beati Retri apo-
« stoli ». Nel volubiles di AC^G c'è, se non m'inganno, la vera le-
zione, anzi un'aggiunta da farsi ai vocaboli latini di architettura. Vo-
luhilis applicato nell'aurea e nell'infima latinità agH attortigliamenti
degli uomini, alle spire dei serpenti, ecc. (Ovid. Metam. 3, 41 ; Du
Gange s. v.) si adatta benissimo a colonne torte, attortigliate. Vien
fatto di ragguagliare sotto questo aspetto uomini e colonne; per lo
meno venne fatto al Settembrini nelle sue Le^. di leti, ital., 5* ediz.,
1879, II, p. 391: «Voglio dirvi una mia fantasia. A me pare che la
« colonna sia fatta a somiglianza dell'uomo ... La bizantina a spire
bibliografia 357
« mi ha somiglianza ai Greci degenerati, pieghevoli, astuti ... ». Del
resto ancor oggi i botanici chiamano volubili quelle piante (convol-
volo, fagiolo, lupo, ecc.) il cui fusto sale a spire. 509,21: « Cymite-
« rium . . . Sanctae Felicitatis via Salaria, una cum ecclesiis Sancti Si-
« lani martyris et Sancti Bonifacii confessoris atque pontificis, uno
« coherentes solo » (in altri termini, come ha spiegato il commen-
dator De Rossi, B. A. C, 1884-85, p. 174 segg. : «ecclesiis Sancti Bo-
« nifacii confessoris atque pontificis sursum et Sancti Silani martyris
« sub terra deorsum »). Al testo del L. P. e forse alla dimostrazione
del De Rossi (giacché Alessandria era per metà sub terra), va racco-
stato Amm. Marceli. 22, 11,6 che alcuni vorrebbero correggere contro
l'autorità dei codici : « dicebatur (Georgius) id quoque mahgne do-
« cuisse Constantium, quod in urbe praedicta aedificia cuncta solo
« cohaerentia, a conditore Alexandro magnitudine impensarum publi-
« carum exstructa, emolumentis aerarli proficere debent ex iure ».
L'accurato D. meriterebbe di non essere mai tradito dal tipografo,
neppure in cose da nulla, come numeri, da testo a nota, sbagliati
(pp. CLXXv, ccxxxvi), o mancanti (pp. 117, 129, 155), o intestature
spostate (p. ccxLVii), o simili inezie (p. ccxxxvii: s'était; p. ccxxxix:
se à renare). Il « comte Cardenas de Vorlanga (?) », a p. clxxv, n. 2,
infatti, non può essere. L'amico comm. Promis mi dice che i De Car-
denas sono di Valenza sul Po e conti di Valleggio : due varianti a Vor-
langa, tra le quali bisogna scegliere. Ma è meglio rivedere la nota
annessa a quel manoscritto torinese.
Giacomo Lumbroso.
Pressutti P. Regesta Honorii papae III ex Faticanis archetypis
aliisque fontibus; voi. I. - Romae, ex typ. Vaticana, 1888.
Il signor abbate Pressutti deve essere molto riconoscente al pon-
tefice, che, volendo a sue spese rifatta e proseguita la pubblicazione
dei regesti di Onorio III, ha offerto modo all'autore di riparare a
quanto la critica trovò di meno perfetto nel primo saggio edito
nel 1884. Mi affretto a dichiarare che le mende piìi gravi sono in-
fatti state riparate, e il lavoro appare condotto con maggiore dili-
genza. È da lamentare però che l'autore non abbia creduto di tener
conto, non dico delle critiche, ma dell'esempio autorevole di quanti
lo precederono nella compilazione dei regesti Vaticani, compresi i padri
Benedettini, e non sia rimasto pago dei regesti Vaticani, e abbia vo-
luto aggiungervi anche lettere estranee ad essi, aliisque fontibus. Ma
queste altre fonti, come mostrammo parlando della prima edizione,
si riducono, salvo rarissime eccezioni, a quelle indicate dal Potthast.
Or essendo tutt' altro che esaurite le indagini di lettere pontificie del
secolo XIII, disseminate per gli archivi e biblioteche del mondo, non
mai cercati dall'abbate Pressutti, questa appendice che egli pone ai
regesti Vaticani non fa che accrescere inutilmente la mole del vo-
358 bibliografia
lume. L' impresa della pubblicazione dei regesti è di tale lunga lena,
che occorrerebbe in chi 1' imprende la maggiore economia di
tempo, di fatica ed anche di spesa, non pensando solo alla munifi-
cenza di chi fornisce i mezzi, ma anche agli studiosi che devono
acquistare i volumi. Il Pressutti fa precedere al regesto la prefazione
premessa al primo saggio, senza altro ritocco che la soppressione
della nota i a pag. lv della prima edizione, e alcuna più ampia
notizia dei regesti di Onorio, ed è singolare che rinnovi (p. xli) l'er-
rore del Kaltenbrunner dicendo, che quel Floretus copiavit scritto in
margine del primo foglio indica lo scrittore del regesto originale,
mentre alla pagina precedente ha citato la memoria del Denifle, che
ne ha dato la giusta interpretazione. Della prefazione non occorre
dir altro, e possiamo concedere al Pressutti che continui, poiché così
gli piace, a far cominciare l'epopea del papato medievale da Gre-
gorio VII; vorrà dire che S. Gregorio I, Giovanni Vili, Giovanni X
non sono figure epiche per lui. Ma un'appendice afifatto nuova è la
pubblicazione ed illustrazione della bolla concistoriale di Onorio a
favore della basilica Lateranense, secondo l'originale dell' archivio
di quella chiesa, raffrontato col testo che se ne ha nel regesto. Op-
portuna la pubbUcazione così raffrontata della bolla; erudita l'illu-
strazione e particolarmente pregevole per copia di documenti inediti
tratti dall'archivio Lateranense e da quelli delle case Orsini, Caetani,
Cesarini e Colonna (veramente, invece dell'archivio Colonna, cita una.
Miscellanea presso di sé, e si riferisce al Gregorovius quanto all'esi-
stenza degli originali). Ma l'A. avrebbe meglio provveduto all'eco-
nomia dell'opera stampando a parte o in altra sede cotesto ampio
commento storico-topografico dei principali possessi della basilica
di San Giovanni, fra i quali Carpineto, patria del pontefice. Accen-
niamo i principali documenti inediti attinenti alla storia di Roma:
9 aprile 978. Giovanni abbate di Sant'Andrea in Selce, nel ter-
ritorio di Velletri, concede in enfiteusi a Crescenzio di Teodora
Castelvecchio (cxviii).
15 ottobre 988. Giovanni e Crescenzio, figli di Crescenzio di
Teodora e di Sergia, illustrissima femina, donano all'abbate Alberico
la detta chiesa di Sant'Andrea in Selce (cxix).
27 dicembre 1106. Pasquale II designa i confini della parroc-
chia Lateranense (lxvii).
26 maggio 1122. Simile bolla di Calisto II (lxix).
7 maggio 1128. Bolla di Onorio II a favore dell'ospedale Late-
ranense (lxiii).
20 giugno 1138. Simile bolla di Innocenzo II (lxiv).
10 agosto 1179. Alessandro III obbliga alla chiesa Lateranense
<c possessiones de lacu » e quattro mulini « prò 294 libris prov. quas
« ad eas recuperandas Petro Pandulfi, Alierotio et Alierotio (sic) Ro-
« manis civibus et judicibus et advocatis nomine nostro solvisti et
« prò sexagìnta quattuor quas prò aqueductu reparando expendistis »
(p. Lxvi). Evidentemente il pegno è dato dal pontefice perchè il Ca-
'Bibliografia 359
pitelo Lateranense aveva redento detta possessione da quei giudici
romani, anteriori creditori del papa, e non, come interpreta il P., perchè
avesse « imprestato denari a cittadini romani » (lxvi).
7 novembre 12 16. Onorio III conferma la sentenza pronunciata
quando era cardinale a favore della chiesa Lateranense, dichiarando
comprese nella parrocchia San Bartolomeo e San Daniele (lxx).
13 giugno 1370. Urbano V, avendo assegnalo alla Mensa vesco-
vile di Montefiascone i beni ivi posseduti dalla basilica di Laterano,
indennizza questa coi beni della scola cantorum, soppressa « quia dieta
« ecclesìa scole cantorum et eius domus adeo sunt destructe quod vix
« earundem ecclesie et domorum appareat vestigia, propterquod ipsura
«collegium deinceps inutile seu supervacaneum reputetur» (lxxii).
Quanto alla compilazione del regesto, sebbene notevolmente mi-
gliorata, si può ancora raccomandare in parecchi casi maggior bre-
vità, omettendo formule consuete e inutili, e maggior cura nel
porre in evidenza gli accenni storici. Ad esempio, nei seguenti sunti
potevano omettersi le parole che pongo in corsivo. N. 430: « Pre-
« posito Caminensi. Villas, clusuras et redditus de Lubri cum omnibus
(( pertinentiis suis ad preposituram spectantibus ìpsì eìusque ecclesiae con-
ce firmat » ; n. 480 : « concedit usum mitrae et anuli quibtis uti possit in
« processionibus, synodis et precipuis festivitaiibus » ; il n. 1278 è più dif-
fuso, senza aggiungere nulla di più al sunto del Potthast 5750. Anche
•nel 1187 si poteva essere più breve, e non omettere invece la clau-
sola « relaxatione Maguntini archiep. non obstante ». Qua e colà si
avverte anche qualche inesattezza: nel n. 1359, in luogo di « colli-
gant », andrebbe detto : « assignent comiti Hollandiae ». Così al n. 1723
non è chiaro che la scomunica era stata pronunciata dall'arcivescovo
dì Treviri. Al n. 1789, non si sa se sìa errore dei regesto o del trascrit-
tore decanatu invece di ducatu : ma era facile correggerlo col raffronto
del n. 1791 e coU'edìzìone del Rodemberg; dal quale pure poteva
desumere che il negotium « haud sane in regesto nominatum » del
n. 821 deve concernere le trattative per il conferimento del ducato
di Spoleto. Al n. 253 non sarebbesi dovuto trascurare l'accenno che
il nipote del re di Boemia era crociato ; e cosi al n. 548 quanto al
re d'Inghilterra. Al n. 594 è omessa la facoltà di imporre la croce.
Insufficiente pure il sunto n. 654; non meno del n. 670 (epistola tut-
tora inedita), nel quale si omette di ricordare il passaggio in Inghil-
terra di Luigi, figlio del re di Francia e del conte di Olanda. Lo-
devole è riferire esattamente i nomi di luogo secondo il testo dei
regesti; ma pur converrebbe, ove occorre, aggiungere la forma cor-
retta ed usuale. Parrà minuzia di critica questa, ma a che ser-
virebbe un regesto se allo studioso non e dato di potervi attingere
COI» piena sicurezza?
Guido Levi.
NOTIZIE
Il fascicolo 4° del Buìlettino dell'Istituto Storico Italiano contiene :
L'organico per i lavori dell'Istituto; una comunicazione del presi
dente sopra la proposta di pubblicazione di documenti Colombiani ;
le relazioni delle regie Deputazioni e Società di storia patria sui la-
vori pubblicati negli anni 1886-87 5 relazione del prof. V. Fiorini
^uUa ristampa delle Cronache bolognesi, e del prof. F. Novati suWEpi-
stolario di Coluccio Salutati.
Il fascicolo 5° è interamente dedicato all'inventario delle lettere
a stampa di L. A. Muratori, per A. G. Spinelli, lavoro preparatorio
per una edizione àtW Epistolario intero, a cui da tempo si è accinto.
« Ne risulterà una ponderosa serie di volumi, nei quali si troverà la
« schietta cognizione di tutte le fatiche poderose e sapienti di questo
« padre della storia italiana e la genesi, il parallelo commento, il co-
« rollarlo delle opere tutte di lui, e insieme la più diretta e schietta
«manifestazione della complessa e multiforme sua attività».
In occasione del giubileo papale gli archivi Vaticani hanno pub-
blicato : Specimina palaeografìca regestorum Romanorum Pontificum db In-
nocentio III usque Urbanutn V, collezione di 60 tavole, eseguite in elio-
tipia dall' ing. A. Martelli, e 58 pagine di testo. Ne daremo conto nel
prossimo fascicolo.
Il signor Auvray òtWEcole franfaise, mentre sta attendendo alla
compilazione dei regesti di Gregorio IX, ha preparato uno studio
critico sulle antiche Vite di questo pontefice.
Con regio decreto 18 maggio 1882, a proposta di S. E. il mini-
stro della pubblica istruzione, fu stabilito che <r sarà pubblicata nella
3^2 V^tiiie
« solenne ricorrenza del quarto centenario della scoperta dell' Ame-
«rica (1892), per cura ed a spese dello Stato, una raccolta degli
« scritti di Cristoforo Colombo, di tutti i documenti e di tutti i mo-
« numenti cartografici i quali valgano ad illustrare la vita ed i viaggi
« del sommo Navigatore, la memoria ed i tentativi dei suoi precur-
« sori e le successive trasformazioni dell'opera sua pel fatto di altri
« navigatori italiani.
« Tale raccolta dovrà essere seguita da una bibliografia degli scritti
« pubblicati in Italia sul Colombo e sulla scoperta dell'America dai
« suoi primordi fino al presente ».
Ad ordinare la raccolta ed a curarne la pubblicazione fu istituita
una Commissione speciale.
PERIODICI
(Articoli e documenti relativi alla storia di Roma)
Archeografo triestino. Nuova serie, voi. XIV, fase. i°. —
F. SwiDA, Miscellanea (Documenti di Pio II, estratti dagli archivi
di Roma).
Archiv fiir Literatur- und Kirchen-Geschichte des Mittel-
alters. Voi. IV, fase. I-II. — Ehrle, Die Spiritualen, ihr Ver-
hàltniss zum Franciscanerorden und zu den Fraticellen (Gli Spi-
rituali e loro relazione con l'ordine Francescano e i Fraticelli, con
importanti documenti sui Fraticelli in Roma). - Der Constantinische
Schatz in der pàpstlichen Kammer des 13. und 14. Jahrhunderts (Il
tesoro di Costantino nella Camera pontificia del xiii e xiv secolo).
Archivio storico dell'arte. Anno I, fase. 3-5. — A. Venturi,
Gian Cristoforo romano. - C. Ricci, Lorenzo da Viterbo.- E. Muntz,
L'oreficeria sotto Clemente VII. - E. De Paoli, Donazioni di Mi-
chelangelo a Francesco Amatore detto Urbino e ad Antonio del
Francese suoi domestici. - N. Baldoria, Un avorio del museo Vati-
cano. - D. Gnoli, Il banco d'Agostino Chigi.
Archivio storico italiano. Serie V,tom. I, fase. 1°. — C. Guasti,
Ricordanze di m. Gimignano Inghirami, concernenti la storia eccle-
siastica e civile dal 1378 al 1452. — Fase. 2". P. Villari, Nuove
questioni intorno alla storia di G. Savonarola e dei suoi tempi. —
Fase. 3**. L. Zdecauer, Lavori sulla storia medievale d'Italia in Ger-
mania; 1880-87. - F. Tocco,* Due documenti intomo ai Beghini
d'Italia.
Archivio storico lombardo. Anno XV, fase. 2°. — L. Frati,
La contesa fra Matteo Visconti e papa Giovanni XXII, secondo i
'ertoatct
documenti dell'archivio Vaticano (pubblica l'indice del codice 3937
[antica segnatura] ).
Archivio storico per le provincie napoletane. Anno XIII,
fase. 1°. — N. Barone, Notizie raccolte dai registri dì cancelleria
di re Ladislao di Durazzo. - Elenco delle pergamene Fusco (N. 114,
Ep. di Innocenzo III: 19 febbraio 121 2).
Bibliothèque de l'école des chartes. XLIX. — L. Cadier, Les
archives d'Aragon et de Navarre.
Bollettino della Commissione archeologica comunale di
Roma. Serie III, anno XVI, fase. 4°. — R. Lanciani, Notizie del
movimento edilizio della città in relazione con l'archeologia e con
l'arte. - G. Gatti, Trovamenti risguardanti la topografia e la epi-
grafia urbana. — Fase. 5°. C. Huelsen, Vedute delle rovine del Foro
Romano, disegnate da Martino Heemskerk. - G. Gatti e R. Lan-
ciani, Notizie del movimento edilizio della città in relazione con
l'archeologia e con l'arte. - G. Gatti, Trovamenti risguardanti la
topografia e la epigrafia urbana. - C. L. Visconti, Trovamenti di
oggetti d'arte e di antichità figurata. — Fase. 6°' L. Cantarelli,
Intorno ad alcuni prefetti di Roma della serie Corsiniana. - E. Pe-
tersen. Penelope. - G. Gatti, Trovamenti risguardanti la topografia
e la epigrafia urbana.
Bollettino della Società geografica italiana. Serie III, voi. I,
fase, 3-5. — F. PoRENA, La geografia in Roma e il mappamondo
Vaticano.
Bollettino dell'Istituto di diritto romano. Anno I, fase. 1°. —
V. SciALOjA, Nuove tavolette cerate pompeiane. - I. Alibrandi,
Sopra una tavoletta cerata scoperta a Pompei il 20 settembre 1887.
- V. SciALOjA, Libello di Geminio Eutichete. - C. Ferrini, Ad
Gai, 2, 51. - C. Padda, Sul così detto pactum de jurejurando, -
P. BoNFANTE, Res mancipi o res mancipiiì
Giornale ligustico. Anno XV, fase. 5-6. — L. De Feis, La Bocca
della Verità in Roma e il Tritone di Properzio. - A. N., Un maz-
zetto di curiosità (contiene lettere di Celso Cittadini, del poeta pisano
Ippolito Neri e dell'abate Lorenzo Mehus, con accenni a cose ro-
mane). — Fase. 7-8. G. Rezasco, Del segno degli Ebrei.
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L'EPISTOLE DI COLA DI RIENZO
E UETISTOLOG%AFIA mE'DIEVALE
'Istituto Storico Italiano, dietro proposta di que-
sta Società di storia patria, si prepara a pubbli-
ij^^^L ^^^^ ^^^ breve una completa raccolta delle lettere
di Cola di Rienzo.
Pare pertanto opportuno che, quasi parallelamente al-
Tedizione dell'Epistolario, si riassumano in un breve scritto
i resultati delle ricerche fatte intorno alle lettere di Cola
e ai manoscritti che ce le hanno tramandate.
Ma lo studio dell'epistolario d'un personaggio sto-
rico come Cola di Rienzo non poteva non indurre chi
r ha tentato ad allargare lo sguardo eziandio a tutto il
complessivo sviluppo che venne prendendo nel medio evo
la forma epistolare, cosi generalmente diffusa e cosi co-
piosamente illustrata da tutta quella curiosa letteratura che
è costituita dai Dictamina e dalle Summae medievali. Pe-
rocché, nel riandare la nostra istoria letteraria e nel pas-
sarne in rassegna i generi più comunemente trattati, a
nessuno può sfuggire il fatto della speciale e simpatica
predilezione con cui gì' Italiani sempre si volsero alla
forma della lettera. I numerosi trattati medievali di epi-
stolografia, dove le regole s'alternano cogli esempi, la
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. a6
382 qA. Gabrielli
teoria s'accoppia alla pratica, sparsi in gran numero per
tutta ri.talia, presentano alle odierne ricerche un campo
quasi affatto inesplorato, dal quale potrebbe non solamente
venir fuori un sussidio prezioso alla nostra storia civile, ma
anche discoprirsi una faccia interamente nuova della vita
del medio evo. Eppure, a questo argomento, cosi essen-
zialmente nostro, cosi schiettamente italiano, gli studi ita-
liani s indirizzarono fino ad ora con assai mediocre ope-
rosità.
Queste considerazioni mi trassero a reputare non inu-
tile che a quella parte del presente scritto, dove più spe-
cialmente si discorre dell' Epistolario di Cola, un'altra ne
andasse innanzi, che riassumesse gli studi finora intrapresi
su l'epistolografia del medio evo, e servisse sopratutto a
questo scopo : dar modo a chi legge riunite le lettere del
tribuno di vedere quali tra gh elementi già acquisiti al-
l'anteriore coltura italiana ancora vi sopravvivano.
Lo stesso ordine naturale del nostro tèma richiede che
prima si passino rapidamente in rassegna i principali dicta-
tores itaHani (della Francia s'avrà a parlare soltanto per
incidens), e poscia s'esponga sinteticamente il contenuto
comune a tutti i trattati d'epistolografia medievale.
I.
Uno scritto che voglia, per cosi dire, coglier l'essenza
di quella caratteristica forma letteraria che fu l'epistola nel
medio evo, non può prescindere dalla relazione in cui essa
trovavasi non solo colle altre parti dell'insegnamento di
quel tempo, ma con tutta la coltura generale dei secoH xi,
XII e XIII. Ora, chi a questa ponga mente, non può non
riconoscere, appena sul principio dell' xi secolo, il progresso
che s'andava operando nello spirito umano, quando accanto
alla scienza divina, alla teologia, che teneva il primo posto
Intorno all'epistole dì Cola di ^en^o 383
neir insegnamento delle scuole, cominciavano a trovar
luogo più onorevole quelle cognizioni semplicemente
umane, che, quale retaggio dell'antichità latina, s'andarono
aggruppando sotto le famose denominazioni di Trivio e
di Quadrivio,
Tutto il sapere adunque (lasciando da un lato la teo-
logia, e dall'altro l'aritmetica, la geometria, l'astronomia
e la musica, che costituivano il Quadrivio) riassumevasi
allora nelle tre scienze del Trivio : grammatica, retorica e
dialettica. Ma (e questo è il fatto più notevole) ecco che
il campo da principio assai ristretto, che queste tre disci-
pline comprendevano, viene di mano in mano allargato
per opera della scuola, la quale, pur non uscendo dalla
tradizionale divisione del Trivio, estende i confini del sa-
pere e v' introduce elementi nuovi.
E invero, se ci proponessimo guardare alla dialettica,
vedremmo la sua importanza penetrare grado a grado in
tutti i rami del sapere, non esclusa la stessa teologia. Già^
prima del secolo xii, più che mai spiccata si manifesta
negU spiriti la tendenza all'argomentazione e alla disputa:
un cambiamento quasi radicale di metodo e di termino-
logia s'opera nelle scuole : Aristotele, nuovo oracolo, vi
stabilisce inimitato il suo impero. Così lo spirito umano,
pur restando nell'ambito delle sette scienze tradizionali,
sottostanti dWaìta scienza (come allora dicevasi), alla scientia
divinarnm rerum, fa un passo notevole in avanti, e getta
come le basi d'un' istruzione secolare.
Ma, anziché il cammino della dialettica, a noi importa
seguire quello delle altre due scienze a lei compagne.
Grammatica e retorica s'andavano anch'esse, quasi paral-
lelamente alla dialettica, ampliando e sviluppando, ed anzi
in alcune parti d'Europa la retorica pigliava addirittura il
sopravvento su la scienza del disputare e del ragionare.
Ciò appunto avveniva in Italia; e che v'avvenisse parrà
ben naturale sol che si pensi come presso di noi lo studio
584 C/^. Gabrielli
del diritto non fosse mai cessato del tutto e come glo-
riosamente l'università di Bologna stesse a capo di quel-
la insegnamento. Ora, che allo studio del diritto andasse
per antichissima tradizione letteraria più specialmente le-
gato quello della retorica, è cosa che non occorre ripetere
e tanto meno dimostrare. Basti solamente notare come di
quella connessione si può trovar prova sin dal secolo x,
se si ricordi quel Sigifredo, che, quale index sacri palatii
in Pavia, congiungeva tra il 974 e il 1104 l'esposizione
e lo studio del diritto alla retorica (i).
In seguito, questa felice commistione degli studi lette-
rari coi giuridici viene sempre meglio fissata dal meravi-
glioso sviluppo dell' tì^rj ìiotaria, che raggiunge in Bologna
il suo massimo fiore (2). A mano a mano che il notaio
medievale dal suo umile ufficio primitivo saliva ad occu-
pare nella vita sociale quell'importantissimo luogo a cui
potè pervenire ; a mano a mano che l'azione di lui s'an-
dava estendendo, e mutavasi e rinvigorivasi la sua coltura;
sempre più appariva la necessità ch'ei sapesse anche di
retorica e di grammatica, e cosi queste due scienze s'an-
davano nel medio evo ognor più avvicinando alla giuri-
sprudenza, colla quale finivan quasi per fondersi. E chi
misuri l'altezza, cui nel paese nostro arrivò da un lato la
retorica, che Boncompagno qualificava « liberalium artium
imperatrix etutriusque iuris alumna», e dall'altro il diritto,
non sa se maggiore debba ritenere la gloria venutaci da
questo o da quella.
Sotto la denominazione di retorica vennero, com' è
noto, a collocarsi molte discipline secondarie, che ad essa
(i) Merkel, Appunti per la st. del Dir. Long. Ili, 31 e 32 (trad.
di E. Bollati), in appendice al Savigny, St. del Dir. Rom. nel M. E.;
Torino, 1857.
(2) Cf. il cap. Ili del recente lavoro di Francesco Novati, La
giovinezza di Coluccio Salutati (Saggio d'un libro sopra la vita, le
opere, i tempi di C. S.); Torino, Loescher, 1888.
Intorno all'epìstole dì Cola dì ^'en^o 385
in qualche guisa si ricongiungevan o ; ma tutte, si può dire,
furono sopraffatte dàìVars dictandi o pratica dictatoria, ri-
guardata per secoli qual parte principale degli studi retorici.
Scienza non nuova certamente pel medio evo era questa
dell'epistolografia; ma fu senza dubbio portato nuovo dei
secoli XI, XII, XIII tutta la riduzione a sistema ch'essa ebbe
a subire.
Agli scrittori medievali riusci straordinariamente cara
la forma epistolare. Antichissima era la tradizione deìVepi-
stola e rimontava, si può dire, a Sidonio Apollinare. E dopo
di lui, che lunga serie di scrittori, ai quali questa parve
la forma più adatta alla sincera espressione del pensiero!
Alenino, Eginardo, Servato Lupo, Fulberto Carnotense,
Ivo Carnotense, Lanfranco, Ildebertp Cenomanense, Pietro
il Venerabile, San Bernardo, Giovanni Sarisburiense, tutti
questi ed altri molti lasciarono lettere, che, o trattassero di
affari privati, o di cose pubbliche, andavan sempre, ugual-
mente celebrate, per le mani di tutte le persone còlte di
que' secoli.
Ma questa lunga tradizione letteraria sarebbe forse
stata insufficiente a produrre cosi rigoghosa fioritura del-
l'ara dictandi, se non v'avesse concorso, quale cagione
anche più diretta e immediata, il fatto che l'arte dello scri-
ver lettere scaturiva da un bisogno urgente della vita so-
ciale del medio evo. L'opera del dictator era cercata do-
vunque e largamente retribuita: non solo le cancellerie, e
specialmente l' imperiale e la papale, sentivano ogni di più
la necessità di dictatores, ma, anche tra i privati, ogni uomo
d'una certa levatura doveva aver sempre a lato il suo scriba,
il suo clericns o, come dicono i tedeschi, il suo Pfaff. Poi
vennero i comuni, e con loro quel gran numero di notai
che dallo scriver lettere, dal redigere note ufficiali traevano
non soltanto i mezzi di sussistenza, ma «gloria ed onori
insperati. A chiunque fosse in condizione di saper com-
porre lettere sui più svariati argomenti non mancava mai
^S6 qA. Gabrielli
una posizione elevata, e sovente toccavano le più ambite
fortune.
Di questi futuri impiegati delle varie cancellerie, semen-
zaio copioso erano sopratutto le scuole, dove la compila-
zione d'epistole fu esercizio quotidiano e usuale fino dai
tempi di Carlo Magno. È noto infatti ciò che narra la cro-
naca del monaco di San Gallo (i): che, cioè, quell'im-
peratore, visitando di persona le scuole, voleva che gli si
mostrassero tutti i compiti degli scolari. E che cosa, secondo
la cronaca, gli veniva sempre posto sott'occhio ? Sempre:
epistolas et carmina.
Dinanzi a una forma letteraria cosi popolare, cosi amo-
rosamente accarezzata dagli scrittori, cosi strettamente con-
nessa alla vita, come Yepistoìa, non poteva non affermarsi
più che mai viva quella tendenza, tutta propria delle menti
medievali, a ridurre ogni parte dello scibile a formule fisse,
a sistematizzare quasi meccanicamente il sapere.
Alla copiosa letteratura epistolare segue cosi un'altra
letteratura, più curiosa e più caratteristica, che in certa guisa
si rifa sulla prima, e la studia, e ne trae norme e precetti,
cominciando dalla definizione (2) dQÌYepistola e terminando
a prefiggere ad essa le regole più minute, a enumerarne
le singole parti, a dar certi speciali metodi atti a formarla.
E non al solo insegnamento teorico limitavasi la Summa :
essa presentava anche formule già beli' e fatte, esempi di
lettere adattate alle più varie circostanze della vita.
(i) Lib. I, cap. HI.
(2) Tra le infinite definizioni dell'epistola che potrebbero citarsi,
scelgo quella ch'è forse la più antica del medio evo e che si legge
nélVArs dictandi d'ALBERico da Monte Cassino:
(c Est (igitur) epistola congrua sermonum ordinatio ad exprimen-
« dam intentionem delegantis instituta. Vel aliter epistola est oratìo
« ex constitutis sibi partibus congrue ac disti ncte composita, dele-
« gantis aff"ectum piene significans ».
Vedi anche la definizione di Boncompagno Fiorentino nel co-
dice C, 40 (f. 13) della biblioteca Vallicelliana.
Intorno all'epistole dì Cola dì ^ìen^o 387
Invece di persone e di luoghi veri, ora troviamo sem-
plicemente delle iniziali, ora una o due A^; talvolta uno o
più punti, altra volta un talis o tale o de tali, qcc. Perfino
certe simulate note imperiali o papali eran compilate dai
dictatores sulla base di fatti già noti, che si utilizzavano op-
portunamente nei modelli redatti per favorire la pigrizia
dei numerosi epistolografi d'allora.
Di tutta quest'attività, scuola e notariato ci appaiono
due massimi fattori. Le Summae dictaminum venivansi
moltiplicando accanto ai formulari notarili, e Vars dictandi
e Yars notarla si sviluppavano parallelamente, spesso in-
contrandosi e Tuna penetrando nell'altra.
« Sono - scrive il Novati (i) - come due correnti che,
sgorgate dalla medesima fonte, dopo aver corso per alvei
separati e discosti, si vennero poi di nuovo ravvicinando,
e finirono per occupare il medesimo letto, senza confondere
però del tutto le loro acque ».
IL
Il Rockinger, che dottamente ragionò dell'^r^ dictandi
in una sua breve e succosa memoria (2), non dubita di
ritenere che tutta quest' interessante letteratura dei Dieta-
mina, la quale accompagnò e segui lo svolgimento ò.q\V epi-
stola medievale, sorgesse propriamente in Italia. Egli è in-
fatti con Alberico da Monte Cassino che la teoria dell'ara
dictandi s'annunzia per la prima volta quasi completa e
assume tutti i principali caratteri che poscia le rimasero.
Alberico ci appare come un vero caposcuola. La sua Ars
dictandi è come la guida della scienza dictatoria del medio
(i) Op. cit. p. 72.
(2) Die Ars dictandi in Italien in Sitiungsherichte der kònig. buyer,
Akademie der ÌVissenschaflen, 1861, I, Hcft. I; Monaco, 1861.
388 qA. Gabrielli
4
evo, e costituisce il fondo comune a pressoché tutte le
Summac che con questo o con nome simile produsse in se-
guito r Italia. Poche modificazioni vennero infatti recate
alle teorie d'Alberico dai dictatores che seguirono presso di
noi. E che lunga e gloriosa schiera se n'ebbe! E quanti
nomi in essa si ritrovano, notissimi anche a chi non s'oc-
cupi del nostro tèma ! Noi entreremmo senz'altro a ricor-
darne almeno i più illustri, se non ci occorresse prima ac-
cennare allo sviluppo che Vars dictatoria, nata in Itaha e
quasi fissata da Alberico da Monte Cassino, andò prendendo
anche in Francia, dove una scuola particolare sorse e si
contrapose alla tradizione italiana.
Il costituire, come abbiamo detto, l'arte epistolare la
principal parte della retorica, portò per conseguenza che
dall' Italia essa passasse in Francia nel tempo stesso che vi
trasmigrava eziandio la scienza del diritto. Ecco pertanto
apparire accanto alle Summae dei maestri italiani quelle di
maestri francesi, e fiorire già prima del secolo xiii gran nu-
mero di dictatores ultramontani, i quali esclusivamente de-
dicavansi a insegnar l'arte dello scrivere lettere, e ai loro
trattati attribuivano il miracoloso potere di far d'un analfa-
beta il più abile redattore d'epistole !
Tutti questi maestri di Francia facevan capo ad Orléans,
dove s'andò formando quasi una scuola-madre dell'arte
epistolare. Ma Orléans non era per loro un gran centro di
coltura, e nuli' altro : quella scuola divenne anche, per cosi
dire, un posto di combattimento. E la lotta ardeva special-
mente contro l'università di Parigi, al cui sistema di studi
i maestri d' Orléans s'opponevano con bell'ardimento. A
Parigi infatti imperava, signora assoluta, la teologia, e la
filosofia aristotelica e la logica le tenevan bordone : a Or-
léans, per contrario, il dominio spettava alla retorica e alla
grammatica. Inde irae e gelosie e satire e dispettucci e in-
giurie tra studenti d'Orléans e di Parigi, e questi dare ai
loro emuli dei Gomeriaiix, e quelli, alla lor volta, porre in
Intoì^no air epìstole di Cola di ^enio 389
burletta la logica e chiamarla collo strano appellativo di
Ouiqueìique... (i). Tutta insomma una guerricciola inces-
sante, pettegola, cosi bizzarramente rappresentata da quel
curioso fahlìcaux eh' è La batailh de sipt arts (2) dell' iro-
nico Rutebeuf. Ivi il poeta ci mette innanzi la Grammatica
e la Logica, la dominatrice d'Orléans e quella di Parigi,
che si muovon guerra accanita. Ciascuna di esse forma
un'armata de' suoi vassalli : 1' esercito d' Orléans non ha
che poeti antichi e qualche prosatore contemporaneo ; per
contrario, quello di Parigi conta fra i principaH combat-
tenti Aristotele e Platone; ma nell'uno e nell'altro campo
l'ironico Rutebeuf non tralascia di porre qualcuno degli
insegnanti più celebri del tempo. Quanto più s'avvicina il
giorno della battaglia, tanto più i due eserciti si van rinvi-
gorendo: all'armata di Parigi, oltre i due simbolici com-
battenti. Trivio e Quadrivio, s'unisce anche l'Alta scienza
o Teologia ; ma a questa il poeta attribuisce, in cambio del-
l'armi ben affilate, una voglia matta di vino buono.
Madame la Haute-science
A Paris s'en vint, ce me samble,
Boivre les vins de son celìer,
Par le conseil au chancelier,
Ou elle avait moult grant fiance,
Q.uar c'ert le meillor clerc de France (^).
Il combattimento è bizzarramente descritto nell'allegro
fabÌLcaiix . . . Fra i primi che rimangono a piedi, ci si mo-
stra niciitenicno che il povero Aristotele: un valoroso ma-
nipolo, composto da Persio, Vergilio, Giovenale, Omero,
Lucano ed altri poeti lo schiaccerebbe, se in suo aiuto non
(i) ii Qii\ , ,, (hiìqiiiìikikc: le cri du coq, pour designer quelque
« personnage impcrtincnt » (R0Q.UEFORT, Diclioinuiiì i </<• !u ìuti^ue ro-
mane).
(2) A. ]vBW\Lt Qìuvres complctes de Rutebeuf, trouvhe du xiii*W^
ck; Paris, Duffis, 1875, voi. III.
(3) Versi 79-86.
390 qA. Gabrielli
sopravvenissero tutte le sue opere, rappresentate come al-
trettanti guerrieri. Dopo altre strane vicende, la povera Lo-
gica, stanca dal menar colpi a destra e a manca, se ne fugge
impaurita verso la cittadella di Montlhery, accompagnata
dall'Astronomia; ma i guerrieri della Grammatica la inse-
guono senza tregua.
Qui però il poeta ci fa assistere a un ben strano spet-
tacolo : la Retorica, anziché aiutare la Grammatica, viene
in soccorso alla Logica. E la battaglia si fa sempre più ar-
dente :
Les dames ont les langues lasses,
Logìque fìert tant en sa main
Qu'ele a mis sa cotelé au pain.
Coutele nous fet sanz alemele,
Qui porte manche sanz cotelé
De ses braz nous fet aparance,
Lors le cors n'a point de substance.
Rhetorique lì vait aidant,
Qui a les deniers en plaidant.
Autentique, Q,ode, Digeste
Li fet les chaudiaus por la teste;
Quar eie a tant d'avocatiaus
Qui de lor langues font batiaus
Por avoir l'avoir aus vilains,
Que toz li pais en est plains (i).
Una volta assediata nel castello dall'esercito della Gram-
matica, la Logica manda a chieder pace; ma il messo da
lei scelto all'uopo conosce tanto poco le regole del linguag-
gio e parla cosi goffamente, eh' è rimandato senza manco
essere udito. Ma ecco all' improvviso operarsi il più impre-
veduto mutamento: Astronomia, alleata di Logica, scara-
venta sugh assediami una terribile folgore, che brucia le
tende, disperde le schiere e le mette in fuga.
(i) Versi 357-371-
Intorno all'epìstole dì Cola dì T{ienio 391
Da quel giorno:
Versifières li cortois
S'enfui entre Orliens et Blois ;
Poesia, cortese ed altèra, non s'aggira più per la Francia,
là ove domina la sua rivale. Ma, conclude il poeta, le cose
non andran sempre cosi, e tra qualche anno la nuova gor
nerazione farà della Grammatica il conto che deve :
Seignor li Siècles vait par vaines:
Emprès forment vendront avaines,
Dusqu'à XXX anz si se tendront,
Tant que noveles genz vendront,
dui recorront à la Gramaire,
Ansi com l'on soloit faire
Quant fu nez Henri d'Andeli
Qui nous tesmoigne de par si
Con doit le cointe clerc destruire
Qui ne set la lecon construire;
Quar en toute science est gars
Mestres qui n'entent bien ses pars (i).
Dopo ciò, è inutile notare che anche quella parte della
retorica, che concerneva la pratica dìctatoria, veniva appena
coltivata alle scuole di Parigi e posponevasi alla teologia,
alla filosofia, alla dialettica.
Specialisti adunque, come diremmo oggi, dell'arte epi-
stolare restavan sempre i maestri d'Orléans. Ma, pur nel
ristretto campo della sola epistolografia, alla più insigne
scuola di Francia se ne contrapone un'altra, che trova la
sua naturai sede in quella stessa Italia, dove le teorie del-
l'ari dictatoria si erano fissate la prima volta, e precisa-
mente nella cancelleria papale.
La curia romana non aveva molto tardato a formarsi
un usHS, uno stylus suo proprio, contrasegnato da speciali
caratteristiche. Ciò è mostrato da una serie non breve di
(i) Versi 450-461.
392 qA. Gabrielli
attestazioni, che va dal Liber diurnus ponti ficum (i) (sec. viii),
fino a quella dataci dal fatto che sui primi del secolo xiii
un papa dichiarava false certe lettere pervenutegli, solo per-
chè - diceva - si discostavcmo a dictamine e a stylo della
curia pontificia (2).
La duplice tendenza, che da un lato metteva capo ad
Orléans e dall'altro a Roma, ci si mostra sempre più accen-
tuata pochi anni dopo, quando il battagliero Boncompagno
Fiorentino, nella prefazione del suo Liber X tahulanim,
scrive cosi : « Divisi autem librum istum per tabulas, ut
« omnes quibus placebit et precipue viri scholastici, qui per
iifalsam et siipersticiosam doctrinam Aurelianensium hactenus
« hac arte abutebantur, tanquam naufragantes ad eas recur-
« rant et formam sanctorum patrum, curie romane stylum
« in prosaico dictamine studeant imitari » (3).
Ancora: della scuola d'Orléans, quale contraposto a
quella della curia romana, trovo fatto cenno, a proposito
dei cursus o numerus, nel Candelabrum di Bene di Firenze,
contenuto nel codice Chigiano I, V, 174, del quale dovrò
occuparmi più innanzi (4). Appare qui pure manifesta la
differenza tra la forma epistolare d'Orléans e lo styìus della
cancelleria papale. Ecco ciò che si legge nel codice Chi-
giano (e. 47 v°) : « Artificialis est illa compositio, que le-
(i) LibòT diurnus pontificum opera et studio Ioannis Garneri;
Vienna, 1762.
(2) « Literis ipsis diligenter inspectis, ipsi rescripsimus eas
« tam ex dictamine quod a stylo cancelleriae nostrae discrepabant,
« omnino falsas esse » (Innocenzo III [1198-1216], XIV, ep. 137).
(3) Biblioteca Nazionale di Parigi, ms. lat. 8654, fol. 125 v. (Cf.
più innanzi il presente scritto, p. 406 e sgg., dove discorresi di Bon-
compagno di Firenze).
(4) È anche contenuto, ma senza nome d'autore, nel ms. 906
(F° S. Victor) della Nazionale di Parigi. (Cf. C. Thurot, Notices et
extraits de mss. latins pour servir a Vhisloire des doctrines grammaiicales
au moyen dge, in Notices et extraits des mss. tomo XXII, par. II ; Pa-
rigi, 1868).
Intorno alV epistole di Cola di ^en\o 393
« pidam orationem reddit Sed hoc aliter ab Aurelia-
« nensibus, aliter a Sede Apostolica observatur. Aurelia-
« nenses enim ordinant dictiones per ymaginarios dactilos
« et spondeos Nos vero secundum auctoritatem Romane
« curie procedemus, quia stylus eius cunctis planior inve-
ce nitur » .
Il determinare i singoli punti nei quali esplicavasi questa
differenza di scuola non sarebbe difficile; ma ci menerebbe
a lunghe e minute analisi delle singole teorie, che troppo
ci distrarrebbero dal nostro tèma. Al quale, del resto, ba-
stava segnalare in generale il fatto della duplice tendenza
che dicemmo.
Piuttosto, è curioso notare che fra i molti maestri di
epistolografia formati dalla scuola d'Orléans (conosciutis-
simo quello Stefano, che fu prima abate di Santa Geno-
veffa e poi vescovo di Tournai) (i), se ne contarono al-
cuni che, nonostante Tantica opposizione di scuole, anda-
rono, sulla fine del secolo xii, a prestar la loro opera, come
segretari e compilatori d'epistole, alla cancelleria pontificia.
Segretario, per esempio, d'Alessandro III fu un Giovanni
d'Orléans (Johannes Aiireììanensis), del quale ci lasciò me-
moria una lettera a lui diretta dal sopra nominato Stefano
vescovo di Tournai. In essa lo scrivente invita l'amico a
tornarsene ad Orléans, dicendo che, per chi nacque a Or-
léans, il dimorare nell'estate a Roma dev'essere un vero
supplizio; d'akra parte, senza farsi illusioni, prevede che
l'amore dello stipendio seguiterà a tenere Giovanni inchio-
dato al lucroso ufficio suo nella curia (2). Un'altra let-
(i) Cf. Histoire littéraire de la France, tomo IX (discorso d'AN-
TONio Rivet: Ètat des lettres en France dans le xii' siede).
(2) a Dilecto suo lohanni Aurelianensi, domini papae scriptori,
« Stephanus de Sancta Genovefa rogat ut pctitiones suas ad effectum
« pcrducat. Natis sub Aurelianensi aere et Ligeris aqua perfusis aestivo
«tempore Romae morari niiiil aliud est quam mori: facilius est aurea
« paupertate frui cum salute, quam periculosam corrogare pccuniam,
394
qA. Gabrielli
tera del medesimo Stefano e indica altri due scolari della
scuola d'Orléans, impiegati, sotto Lucio III (1181-1185),
alla cancelleria papale : Guglielmo e Roberto. Dopo aver
confessato che il dispiacere della partenza dei due giovani
epistolografi alla volta di Roma gli viene lenito dal pen-
siero del grande vantaggio ch'essi possono trarne, il buon
abate di Santa Genoveffa raccomanda loro alcune peti-
zioni da lui mandate al pontefice, affinchè o egli o il suo
cancelliere ne prendano sollecitamente cognizione (i).
« quae et sollecitudine pulset animum et corpus agitet cum labore.
« Inde est quod ad reditum te hortarer, si tua te contentum fortuna
« crederem, si ad maiora, quam habeas, successus pristinos tibi prae-
« sumerem non blandiri. Interim dilectionem tuam rogo, ut petitiones
« nostras ad effectum perduci facias, si potueris, et maxime super
« confirmatione excomunicationis communiae Meldensis, quoniam
« episcopum eorum in excommunicatione sententiae, a bonae me-
« moriae lohanne Carnotensi episcopo in prefatam comuniam latae,
« negligentem experti sumus et mandati apostolici contemptorem.
« Quere, si potes, domini papae literas ad ipsum, ut, sicut praedictus
« Carnotensis episcopus excommunicavit auctores communiae, ita
« et ipse in ecclesia sua excomunicatos denunciet. Pro latore prae-
« sentium, familiari meo et amico nostro, tibi supplico, ut in negotiis
« suis quantum potueris eum iuves. Valete ». (Magistri Stephani Tor-
NACENSis, ahbatis S. Gmovefae Parisimsis, iunc episcopi Tornaunsis, Epi-
stolae; Parigi, 1682, lxv, 84).
(i) « Charissimis suis Guillelmo et Roberto, domini papae scripto-
« ribus, frater Stephanus de Sancta Genovefa aget de negotiis seris
« in Romana curia promovendis. Comune vobis commonitorium
c< ofFero, congaudens peregre profectis, si profectio vestra profectum
« vobis pariter pariat et provectum. Utrumque vobis facile compa-
« rabant duae divini palatii virgines, humilitas et honestas ; si vel
« alter vel uterque vestrum alterutram excluserit, quisquis ille fuerit,
« excludetur. Sohìtt plerique Aurelianensium aurei Inter alienos esse, qui
« nec argenti fuerant inter suos. Metalla morum metior, quamvis non
« mentiar, si de pecunia faciam mentionem. Augeat vobis Deus gra-
« tiam suam, ut qui in curia sunt, gratos vos habeant, et nos de
« vobis faciant gratulantes. Quasdam petitiones nostras Herveo de
« Rocchis commisimus, Ecclesiae nostrae negotia continentes. Rogo
« vos ut per vos et amicos vestros, quanta sedulitate et sollecitudine
Intorbilo all'epistole dì Cola di ^'eJi^o 395
Cosi anche fuori di Francia s' imponeva Tautorità della
scuola d'Orléans. Tanto era il prestigio di cui essa go-
deva, che i maestri francesi d'ars dictandi venivano indi-
stintamente chiamati Aureliamnses. Tutto il meglio che, in
fatto d'epistole, si scrivesse, specie sugli ultimi del secolo xiii,
si presumeva a priori prodotto da quella scuola.
Di là era venuto il primo e più antico trattato d'epi-
stolografia che avesse avuto la Francia, la nota Stimma
dictaminis aurelianensis, composta, secondo il Rockinger,
che l'ha in buona parte pubblicata (i), circa il 11 80 d. C.
da un anonimo insegnante d'Orléans (2). Da allora, sempre
più viva si va facendo l'attività di quell' importante centro
letterario, e, appena sei anni dopo, ecco apparire un'altra
Summa dictaminis per magistrum Dominicanum Hispanum,
che, secondo la storia dei Benedettini (3), conservavasi alla
biblioteca della cattedrale di Beauvais. E ancora un gruppo
d'altri tre importanti trattati d'epistolografia, pure usciti
da Orléans, fu segnalato da Leopoldo Delisle in una sua
breve memoria su le scuole d'Orléans nei secoH xii e xiii (4).
« poteritis, opem et operarti impendatis quatinus petitiones illae no-
« strae a domino papa aut a domino cancellario et exaudiantur be-
« nevole et benefìce compleantur. Si de retributione cogitetis, pa-
« ratus sum, loco et tempore, praestito mihi beneficio respondere ».
Stephani Tornac. Ep. già citate, lxxxv, 126.
(i) V. Briefsteller iind Formelbùcher des eilften bis vier:(ehnten Jahr-
hunderts, bearbeitet von Ludwig Rockinger in Quellen und Erorte-
rungm ^ur hayerischen und deutschen Geschichte, Band IX; Monaco,
1863 e 1864 (95-114).
(2) La Summa è contenuta nel ms. 1093 della biblioteca Nazio-
nale di Parigi (fol. 55-73). Il codice è del secolo xiii, ma ì nomi
che figurano nei modelli epistolari mostrano l'opera composta pre-
cisamente nel tempo assegnatole dal Rockinger.
(3) Histoire littérarie de la France, XIV (1859), 377.
(4) Les écoles d'Orléans au xii* et au xni^ siede ndVAnnuai re-bui-
letin de la Società de V histoire de France, voi. VII (1869).
I* Summa, probabilmente incompleta, contenuta nel già citato
ms. 1093 della biblioteca Nazionale di Parigi (fol. 81-82). Tra i
39<3 QA. Gabrielli
Parimenti è ad Orléans che ritroviamo forse il più po-
polare, se non il più dotto, dictator di Francia, il noto
Ponzio Provinciale, fiorito tra la prima e la seconda metà
del secolo xiii.
Aveva dapprima, l'ambizioso maestro, ammaestrati nel-
l'epistolografia i giovani a Tolosa e a Montpellier, finché,
cresciuta la rinomanza di lui, non era pervenuto all'ago-
gnata meta d'Orléans. Documento pieno di curiosità e
d'interesse è quella specie di proclama, che, dando principio
al suo insegnamento, egli indirizzò ai dottori e agU scolari
d'Orléans. Dice in esso il nostro dictator che la retorica
gli si è presentata sotto la forma d'una giovinetta bellis-
sima e gli ha dato sette chiavi per aprire a chi ne lo ri-
chiede le sette porte della grande città che si chiama la
Pratica dello stile epistolare (^Pratica dictatoria^. « Vengano
dunque a me - egli esclama - tutti coloro che vogliono in
modelli, che si rapportano quasi tutti a giovani studenti d'Orléans,
curiosissima è una letterina che due scolari scrivono ai genitori per
chieder loro un po' più di danaro:
« Paternitati vestre innotescat quod nos, sani et incolumes in ci-
« vitate Aurelianensi, divina dispensante misericordia, coramorantes,
« operam nostrani cum affectu studio totaliter adhibemus, conside-
« rantes quia dicit Cato: " Scire aliquid laus est, etc. ". Nos enim
« domum habemus bonam et pulcram, que sola domo distat a scolis
« et a foro, et sic pedibus siccis scolas cotidie possumus introire.
« Habemus etiambonos socios nobiscum, hospicio vitaque et moribus
« comendatos ; et in hoc nimium congratulamur, notantes quia dicit
« Psalmista : " Cum sancto sanctus eris, etc. ". Unde, ne, deficiente
« materia, deficiat et effectus, v. p. duximus deposcendam quatinus . . .
« denarios nobis ad emendum perchamenum, incaustum, scriptoriam
«et alia nobis necessaria... velitis trasmittere copiose..,».
2* Stimma, contenuta nel ms. 8653 dell'antica biblioteca Imperiale
di Parigi, scritta nella prima metà del xiii secolo da un maestro
Guido, da non confondere col nostro Guido Faba.
3* Summa, contenuta nel ms. 18595, ^^oWa. data (fol. 16) del 1259.
È un rimaneggiamento della Summa di Ponzio Provinciale, ad uso
degH scolari d'Orléans.
Intorno alVepistole di Cola di l^ien^o 397
poco tempo diventare esperti dictatores ; io ho le chiavi, e
son qui pronto ad usarle» (i).
Ma chi credesse che nella Francia soltanto ad Orléans, e
non anche altrove - sebbene con assai minore intensità di
lavoro - si coltivasse questa geniale arte epistolare, non
sarebbe nel vero. Maestri insigni d'epistolografìa e trattati
(i) Il curioso proclama, contenuto per intero nella terza delle tre
citate Sutnmae indicate dal Delisle, merita, a parer nostro, d'essere
ancora qui trascritto :
« Universis doctoribus et scolaribus, Aurelianis studio commoran-
« tibus, Poncius, magister in dictamine, salutem et audire mirabilia
« que secuntur.
« Cum ego Poncius irem sollicitus per montes et planicies et
« convalles, inveni quandam virgìnem, in amore cuius fui statim me-
« duUitus sauciatus: nec fuit mirum, quoniam ipsius virginis decoro
« capiti flava cesaries, auro multo splendidior, inherebat. Generosa
« frontis planities non calcata, nive candidior, hìnc capillis erat, hinc
« superciliis circumfulgens Mentis nobilitas faciei sic partibus
« conformatur, ut nec postremum medio, nec primo medium videatur
« in aliquo decidere. Sic cetera membra, que vestis oculit, nec patent
(< oculis meis, conformia predictis arbitror vel etiam meliora. His
« igitur Poncius ego factus attonitus, prostratus cecidi ad pedes vir-
« ginis, et extendens brachia, velud eger ad medicum, exclamavi: " O
« virgo preclarissima, ecce morte defficiam in brevi tempore, nisi tua
« misericordia me in suum recipiat servitorem ". Et ait tunc virgo, re-
te spiciens oculos subridentes: " Si quod invenisti, tenueris custodire ".
« Et me capit per manum dexteram et surrexit, et ostendit michi pul-
« cherrimam civitatem et imraensam, dicens: " Civitatem istam nul-
« lus ingreditur, nisi transiverit septem portas ". Et postmodum ad pri-
« mam portam venimus, et ibi fuerunt salutationes, benedictiones et
« oscula secundum gradum et distinciones personarum supcrioruni,
« mediocrum et minorum ; et ibi erant scripta nomina transeuntium
« universa, et omnes, qui transibant per dictam portam, variis et dì-
« versis vinculis ligabantur. Et ad secundam portam accessimus, et ibi
« erant antiqui proceres, circumspectì ,et providi, quorum erat offi-
<f cium atque virtus inter homines seminare benivolentiam et nutrire,
« et futura predicare. Et ultra proccdentes ad tertiam portam venimus,
« et ibi erant de omni genere linguarum nuncii expoditi et succinti
a breviier et veloces, et omnia, que in tote orbe fiebant, refcrebant.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 37
398 Q/1. Gabrielli
di pratica dictatoria se ne trovano anche sparsi qua e là in
altri luoghi di Francia. Si ricorda, per esempio, nel 121^,
un Dictamen che, quantunque d'evidente provenienza fran-
cese, si vede non compilato ad Orléans, né da uno di quella
scuola, né ad uso di quegli scolari (i). Esso è composto da
.Trasmondo, abbate di Chiaravalle, e poscia, come indica
« Et ad quartam portarti ultra processimus, et ibi erant due scale
« longissime, quarum gradus vix possent per aliquem numerari: et in
« una scala erant omnes clerici, et in alia omnes laici ; in superiori
« gradu huiusmodi scale sedebat summus pontifex, et sub ilio alii
« pontifices et prelati, per gradus debitos, usque ad ultimum clerico-
« rum, et in gradu superiori scale alterius sedebat imperator, et sub
« ipso reges et comites, at alii gradatim descendentes usque ad ulti-
« mum laicorum Et qccq ad quintam portam venimus, et ibi
« erant mulieres antiquissime, et erant tante scientie quod de omnibus
« dicebant negotiis, si fierent vel non fierent, quod et quale inde co-
te modum eveniret. Et qccq ad sextam portam venimus, et ibi erat
« homo antiquissimus et barbarus, vestitus tamen vestes varias et de-
ce coras, et loquebatur transeuntibus tribus linguis. Et accessimus ad
« portam septimam, et ibi fuerunt multi lascivi iuvenes, saltantes et
« currentes velociter. Et sic intravimus in civitatem. In civitate ista
« erant .xviii. palatia hedificata lapidibus preciosis, et erat ordinatum
« qui et quales et quo tempore et quibus negociis deberent in quolibet
« palacium invenire. Et cum hec vidissem omnia, dixi prediete vir-
«gini: "O virgo speciosissima, die mihi nomen tuum et cuius est
«ista civitas et quo nomine nuncupatur". Et ipsa respondit: "Ego
« vocor Rhetorica. Ista civitas appellatur Pratica dictatoria. Et quam-
« vis soror mea Gramatica se dicat fore in hac civitate mea pro-
« porcionariam, ego tamen obtineo principatum. Et quoniam paucos
« bonos habitatores habeo, tibi claves accomodo, tali federe quod
« .VII. portas, per quas tota doctrina epistolaris dictaminis figuratur,
« aperias benigne volentibus ". Ad me veniant igitur qui esse desi-
« derant in brevi tempore optimi dictatores. Ego enim sum qui claves
« habeo, et sum paratus quibuscumque ydoneis aperire. Valete ». De-
LiSLE, scritto citato, p. 150 e segg.
(i) È contenuto nel cod. 585 (F° Mazzarino) e nel cod. 13688
della biblioteca Nazionale di Parigi. Cf. N. Valois, De arte scrtbenii
epistolas apud GalUcos medii aevi scriptores; Parigi, 1880.
Intorno al V epistole di Cola di "^enio 399
eziandio T esordio dell'opera sua, notaio papale (i). Un
amico lo aveva, a quanto sembra (2), pregato di racco-
gliere in unum corpus le lettere da lui indirizzate a ogni
specie di persone e per i più svariati negozi, ed egli cede,
sed timide, a quel desiderio, e ci dà una breve collezione di
lettere, facendola precedere da regole e da precetti su Io
stile epistolare. Quest'operetta di Trasmondo acquista una
singolare importanza dal fatto che l'autore non era un pro-
fessore che pomposamente insegnasse dalla cattedra, ma
un modesto scriba, cui il dovere dell'ufficio obbligava a
penetrare tutti i segreti della tecnica àdVars dictandi.
Delle molte altre Summae provenienti da scuole e da
dictatores francesi trattò con sufficiente larghezza il dottore
Natale Valois (3), e noi non dobbiamo, per questa parte,
che rimandare al suo lavoro. D'altronde, la Francia non
rientrava nel nostro tèma, se non in quanto rapportavasi
all'opposizione esistente tra la scuola d'Orléans e lo stile
epistolare della cancelleria papale.
Aggiungeremo soltanto l'osservazione che Vars dictandi,
anche all' infuori delle scuole laiche e delle cancellerie, vìsse
(i) « Incipiunt introductiones magistri Transmundi, Apostolice
« Sedis notarli, de arte dictandi ».
(2) « Rogastis me multociens et vestris michi literis supplicastis,
« ut cedulas mcas pauperes exeuntes de pera pauperc et personis
« variis prò variis negociis destinatas, sive ad experientiam tantum-
« modo ingenioli mei oppositas, quas nec purpura sententiarum nobi-
« litat, nec coloris retliorici picturata loquacitas floribus compositionis
« adornet, in unum corpus redigens, sarcinarem, vobisque ipsas celeri
« sub festinatione transmitterem, putans in cis aliquid invenire dul-
« cedinis, quod vestrum placidum pectoris appetitum dclectet, et ad
« sui lectionum curam continuam vestri desiderii gustum proprie di-
te ctionis onata provocet et invitet. Faveo, sed timide, petitionibus
« vestris, ne laudabilis vestri cordis cupiditas, gustibus informata non
« placidis, vane speì penitus expcctatione fraudetur, et prò frumcntis
« lolium capiat ».
(3) Op. cit. VI, p. 39 e segg.
400 qA. Gabrielli
e fiori nei conventi e negli ordini monastici : tanto essa era
strettamente collegata a qualsiasi condizione sociale. Baste-
rebbe ricordare, su la menzione fiutane dal Le-Clerc (i),
Elia de Boulhac, abbate di San Marcello nella diocesi di
Caliors, il quale compose nel 1378 un copioso formulario
di lettere dedicato ai suoi fratelli Cisterciensi e da servire
esclusivamente al loro uso: Formularium valde utile episio-
larum toto ordine servandiim (2).
Dopo ciò, volgiamo per poco lo sguardo all'Italia.
III.
Un'accurata rassegna dei più insigni cultori di ars di-
ctandi che fiorirono nel paese nostro darebbe al nostro
studio assai maggiore estensione che non ci siamo proposti.
Basteranno, quindi, intorno ai principali dictatores italiani,
quegli accenni generali che servono, più che altro, a trac-
ciare la linea non interrotta della nostra tradizione epi-
stolare.
Dell'importanza che ha per l'epistolografia medievale la
produzione d'Alberico da Monte Cassino (1075-1110) ab-
biamo già fugacemente toccato (3). Vero capo-scuola per
i dictatores posteriori, egli sta, colla sua Ars dictandi (4),
quasi a cavallo fra il secolo xi e il xii, e a lui, si può dire,
fanno capo le compilazioni di tutti i maestri che seguirono.
Scrittore fecondo e immaginoso, di lui conosciamo anche
(i) Histoire littéraire de la Franca au xiv^ siede - Discours sur Vétat
dis lettres, par Victor Le-Clerc; Parigi, Lévy, 1865, voi. I, p. 465.
(2) De-Wisch, Bibliolheca scriptorum sacri ordinis Cisterciensis, 1856 ;
p. lOI,
(3) V. sopra, p. 387.
(4) Pubblicata in gran parte dal Rockinger, cit. Quellen und Eròr-
tirungen etc. I Abth. pp. 1-46.
Intorno air epistole di Cola di T^enio 401
due opere minori, che s' intitolano : Flores rethorici o Dieta-
mimmi rada e Breviarium de dictamine. Ma degno per noi
di speciale attenzione sembrami l' esordio dell' opera sua
maggiore : « Cogimur - egli scrive - erudiendorum sedu-
(( litati de ratione dictandi quedam summatim perstringere.
« Sed ea rogamus ne dictandi peritus irrideat, ne emù-
« lorum lividus dens corripiat, ne ignarus artis abhorreat,
« quoniam etsi lima perfectionis non assit, non ideo tamen
« in omni parte erit inutile. Quapropter simpliciter edita
« simplices simpliciter audiant, et audita intelligant, et in-
« tellecta in cordis arcula tenaciter fìngant. Et in eadem
« arte promoti aliquos in aream de suis manipulis gratia
« excutiendi grani adiiciant » .
A chi alludevano quelle aspre parole d'Alberico: «ne
aemulorum lividus dens corripiat » ?
La risposta non è difficile, se si ricordino i dictatores
che fiorirono, a lui contemporanei, dopo il iioo.
Ora, tra questi, a non parlar del suo scolare Giovanni
di Gaeta, poi divenuto papa col nome di Gelasio II, a non
parlare d'Alberto d'Asti, d'Aginulfo e di altri men noti,
rifulgono specialmente Alberto di Samaria e Ugo di Bo-
logna. Si sa del primo che viveva sotto il pontificato di
Pasquale II ( 1 099-1 1 18) e che conobbe Alberico di Monte
Cassino, già in età molto avanzata. Un suo scritto, del
quale una parte fu riportata dal Rockinger, mostra essere
appunto questo Alberto uno degli emuli cui Alberico al-
ludeva. Egli infatti non si fa alcuno scrupolo di biasimare
acerbamente quelle ch'el chiamava le nenie Qmenias) d'Al-
berico, e di condannarlo quando, per esempio, ei vuole
stabilire « qualiter per indicativum ceterosque modos et
(( impcrsonalia fieri decet epistolas ». Secondo l'inesorabile
critico, « tales barbaras inusitationes sapientes et nostri se-
« culi potentes spernunt ». Deve invece tenersi di mira
soltanto la constructio di Prisciano, adottarsi Vusus e lo stile
epistolare di Cicerone e studiarsi Macrobio e Boezio, che
402 qA. Gabrielli
Alberto dice d'avere, dal canto suo, cercato d' imitare,
sempre che gli è stato possibile (i).
Ammiratore sincero d'Alberico è invece Ugo di Bo-
logna (2), il quale dice del vecchio maestro : « In epistolis
« scribendis . . ., non iniuria creditur ceteris excellere » (3),
e biasima la nuova e indisciplinata dottrina (tenicritateìn et
indiscipìinatae doctrinae novitatem) d'Alberto di Samaria.
S'andavano dunque fin da allora accendendo, fra questi
nostri gravi dictatores, quelle ire erudite, che son parte
così caratteristica della nostra storia letteraria ! E neanche
in mezzo a loro venne tanto presto alzata bandiera bianca;
vedremo anzi tra breve come ai tempi dell'arguto Bon-
compagno la discordia si facesse anche più acuta. La lotta
non era soltanto fra persona e persona, ma fra città e
città, fra scuola e scuola ; che già quell'Alberto rappresen-
tava lo studio di Pavia e quell'Ugo lo studio di Bologna,
rivali l'un contro l'altro armati, e disputantisi il primato
nella retorica.
E procedendo oltre il secolo xii, c'incontriamo sui primi
del XIII in quel Goffredo di Vinesauf che fu tra i più ce-
lebri insegnanti di Bologna, e, oltre una Poetria dedicata
a Innocenzo III (11 98- 12 16), scrisse un'^r^ dictatninis,
della quale tanto il prologo quanto l'epilogo son composti
in esametri. Feste pudoris ahiecta, egli dice:
vobis referam quo sidere vestrum
Dictamen lucere queat, quo clausola possit
Lascivire gradu, quis sit dictaminis ordo,
Q.ue partes; ubi fessa suum distinctio sistat
(i) V. RocKiNGER, scritto cit. in Sit:(imgsherichte der Ah. der JViss.
di Monaco, p. 124.
(2) V. le sue Rationes dictandi, pubblicate dal Rockinger, cit.
Quellen und Erdrtemngen, I Abth. pp. 47-94.
(3) V. la prefazione a un suo scritto di ars dictandi, dedicato
a un giudice palatino di Ferrara (Rockinger, scritto cit. in Siiiungs-
lerichte der Ak. der Wiss. p. 125).
Intorno all'epistole di Cola di ^en^o 403
Vel renovetur iter, que sint connubìa vocum,
Et quibus auxiliis verbi redimatur egestas (i).
E contemporaneo a Goffredo, ecco presentarcisi mae-
stro Bene di Firenze, del quale già ci è occorso (2) nomi-
nare il trattato : Candelahrum seu Stimma recte dictandi, con-
tenuto nel codice Chigiano (del principio del secolo xiii),
segnato I^ V, 174, nel quale non sai se maggiore sia
r interesse storico o il paleografico. È noto come, dietro
un'erronea induzione del Muratori, fosse questo dictator
identificato con Boncompagno Fiorentino; ma l'errore del
grande storico venne subito emendato dal Tiraboschi (3),
che conosceva l'opera di Bene per averne veduto un ms.
nella biblioteca dei Padri Domenicani di San Giovanni e
Paolo in Venezia. Si ha poi sicura attestazione del giura-
mento di fedeltà, prestato da maestro Bene all'università
di Bologna, nonché della nomina di lui a cancelliere del
vescovo di quella stessa città (anno 122(3). Mori non vec-
chio, e la sua perdita era amaramente deplorata da Pier
della Vigna.
Cosi comincia l'opera di Bene nel codice Chigiano,
di cui io mi sono servito per la conoscenza di questo epi-
stolografo: «Incipit Summa perfecte dictandi, a doctore,
« qui Bonum dicitur, ordinata » .
Il perchè dell'altro titolo di Canddahrum ci è fatto
noto dallo stesso autore (e. 42): « Presens opus Can-
ee delabrum nominatur, quia populo dudum in tenebris
« ambulanti lucidissimam dictandi peritiam cognoscitur
« exhibere ».
(i) S. F. Hahn, Collectio monumentorum veterum et recentium inc-
ditorum ; Brùnsvich, 1724, voi. I, n. V. Cf. Rockinger, scritto cit.
in Sitiungsherichte der Ak. der Wiss. p. 134.
(2) V. sopra, p. 392.
(3) Storia della letteratura italiana, \o\. II, libro III, cap. v, p. 190
(cdiz. di Milano, Bottoni e Comp. 1S33: Biblioteca enciclopedica ita-
liana, voi. XXII, XXIII, XXIV e XXV).
404 <^' Gabrielli
E alla fine delFopera, in una Oraùo finitiva opus dilu-
cidans quod processit, dichiara: « Opus inchoatum iam ad
(( finem desideratum perducitur, divina gratia largiente, in
« quo ars dictatoria continetur. Licet clara Florentia nos
« genuerit, fructum tamen scientie vel saltem alicuius bo-
« nitatis a Bononia contrahentes, ipsam precipue, matrem
« nobilium studiorum, debemus et volumus semper ma-
« gnifice honorare » (e. ^^y
Ma contributo anche maggiore che non desse all'epi-
stolografia del secolo xiii Bene di Firenze, portò Guido
Faba (i), come quei che sempre meglio sviluppò nella
Siimma la parte pratica , formata dagli innumerevoli
esempi di lettere, dispose con più armonia il materiale, e
spesso, accanto ai modelli in latino, altri ne collocò in
lingua volgare. Le sue opere, tra cui sono le principali
la Sumnia dictaminis e i Dictamina rethorica, portano i ti-
toli seguenti: Arengae (2)^ Gemma purpurea, Summa de vir-
tutibus et vitiis e Doctrina ad inveniendas, incipiendas et for-
mandas maierias et ad ca que circa huiusmodi requiruntur.
La Summa dictaminis e i Dictamina rethorica, le due
opere, cioè, che più e interessano, trovansi nel codice I,
IV, 10^ della biblioteca Chigiana (sec. xiii), che è forse,
tra i parecchi manoscritti che le contengono, il più impor-
tante. Precede in esso (3), com'era uso costante, la parte
teorica (Summa dictaminis^, terminata da una Epistola laudis
commendationis, ch'è una specie di dedica che Fautore fa
(i) RocKiNGER, cit. Quellen una EròrUrungen etc. I. Abth. pp. 175-
200, e cit. scritto in Sit:{ungsherichte der Ak. dòr Wiss. p. 137.
(2) È un'assai caratteristica collezione d'esordì da preporsi alle
varie lettere, secondo le piìi varie circostanze. Gli esordi chiama-
vansi comunemente appunto col nome di arengae. V. cod. Chigiano
I, IV, 106 (e. 49): (( Incipiunt arenge magistri Guidonis ad Dei
« laudem et decus et decorem studentium sub compendio annotate,
« que tanquam prefationes preponuntur w.
(3) Ce. 1-25.
Intorno all' epistole di Cola di ^ien^o 405
del proprio lavoro ad un alto personaggio: « A Domino
(( - scrive Guido Faba - factum est istud, cuius gratia summa
« vivimus, et ad honorem, gloriam et laudem magnifici
« viri ac feliciter triumphantis, cuius praeconia mirificae
« bonitatis nec silere possum nec stylus invenitur sufficiens
« ad dicendum, quoniam de ipso iam loquitur omnis terra
« et omnes gentes, nationes et populi magnificant sua gesta
« tanquam militìs strenuissimi et praeclari, cuius fama lu-
« cidissima militarem gloriam decorat et totam illuminat
« parentelam ... ». E conclude : « Accipe nunc praesentem
(( libellum, egregie potestas, laudabili manu dextera, etc. ».
Se tra Guido e questo Aliprando Faba (i) corresse
parentela, non sappiamo stabilire con certezza. Possiamo,
per contrario, affermare che il nostro dictator vestiva l'abito
ecclesiastico, e che fors'anche, con qualche ufficio chieri-
cale, viveva a Bologna (2).
Alla Summa dictaminis seguono nel codice Chigiano i
Dictamina, una lunga e curiosissima serie di modeUi epi-
stolari, dove trovano applicazioni le regole esposte dal di-
(i) D'un tal podestà di Bologna sappiamo solamente ciò che ne è
detto nella Cronica di Bologna, pubblicata dal Muratori, Rer. Ital.
Script. XVIII, 256: « Messere Aliprando Fava fu podestà di Bolo-
« gna. A dì 4 di settembre (1229) i Bolognesi andarono a campo
« a San Cesario, e combatterono il detto castello, e lo presero. E
« tutti gli uomini che vi erano dentro furono presi in numero di 520.
« E disfecero il castello, malgrado de' Modenesi, de' Parmigiani e
« degli Ariminesi e di que' di Pavia, ch'erano tutti col carroccio di
« Parma nella campagna di S. Cesario. Dipoi l'oste de' Bolognesi
« con pochi loro amici combattè co' predetti della parte di Modena
« nella detta campagna, e dall'una parte e dall'altra molti ne furono
« morti e presi. A dì io di decembre il vescovo di Reggio e un
« frate ch'avea nome Guala fecero tregua tra i Bolognesi e i Mo-
« denesi e co' seguaci di cadauna delle parti per nove anni, e tutti
« i prigioni furono lasciati, e andarono alle loro città ».
(2) Infatti più d'una volta egli si nomina: « Magister Guido fi-
«'delissimus clericus et devotus >», e in qualche luogo anche ag-
giunge: « Sancii Michaelis Bononiehsis ».
4o6 kA. Gabrielli
ctator nell'opera precedente : « Incipiunt dictamina a magi-
« stro Guidone composita, quae celesti quasi oraculo edita
(( super omni materia suavitatis odorem exhibent literalis,
« quia de Paradisi fonte divina gratia processerunt ». Ogni
lettera, presentata come modello, ha la corrispondente ri-
sposta : si trova cosi, per esempio : Ep. de fiìio ad parentes
e subito appresso : Responsiva parenttim; Ep. de sorore ad
fratrem e Responsiva ad predictam, e cosi di seguito. Ma sul
Chigiano I, IV, io6, che meriterebbe da solo un'ampia illu-
strazione, le proporzioni del nostro lavoro non ci consen-
tono di soffermarci più oltre.
Volgiamoci piuttosto a quello che, fra gli epistolografi
del secolo xiii, meglio incarna il tipo caratteristico del di-
ctator, a quel bizzarro Boncompagno di Firenze, che fu, nel
campo deir^r^ dictaminis, un vero innovatore (i). Profes-
sore dei più illustri allo studio bolognese e a Bologna co-
ronato solennemente di lauro, scrisse con instancabile fe-
condità buon numero di opere retoriche, delle quali l'elenco
ci fu lasciato da lui stesso (2), per quanto non tutte sieno
in quella enumerazione ricordate. È dunque colla scorta di
(i) TiRABOSCHi, Su della leti. ital. IV, 463 ; Rockinger, cìt. Quellen
und Eròrt. I, 11 5-174, e cit. scritto in Sit:{. der Ah der Wiss. p. 134.
(2) Trovasi inserito in un curioso dialogo tra Lihòr e Auctor, pre-
messo al trattato che s' intitola : Boncompagnus, ed. dal Rockinger in
Quellen und Eròrt. già cit. I, p. 133. Scrive dunque Boncompagno :
« Libri quos prius edidi sunt .xi. quorum nomina hoc modo spe-
« cifico, et doctrinas, que continentur in illis, ita distinguo : Quinque
« nempe tabule salutationum doctrinam conferunt salutandi. Palma
« regulas inìtiales exhibere probatur. Tractatus virtutum exponit vir-
« tutes et vicia dictionis. In Notulis aureis veritas absque mendatio
« reperitur. In libro qui dicitur Oliva privilegiorum dogma continetur.
« Cedrus dat notitiam generalium statutorum. Myrra docet fieri testa-
te menta. Breviloquium doctrinam exhibet inchoandi. In Ysagoge epi-
« stole introductorie sunt conscripte. Liber amicitie viginti sex ami-
te corum genera distinguit. Rota Veneris laxiva et amantium gestus
t( demonstrat ». Cf. Tiraboschi, St. della lett. ital. voi. II, lib. Ili,
cap. v, p. 187, ediz. citata.
Intorbo all'epistole di Cola di ^en^o 407
Boncompagno medesimo che possiamo registrare le se-
guenti opere di lui :
I* Qtiinque tabule salutationutn, volte a disciplinare e a re-
golare la saltitatio della lettera. Ho potuto vedere queste
tabtilae in un bel codice della Vallicelliana, segnato
C, 40 (i). La prima tavola dà le saìutatioms da usarsi
dal papa, prima per omnes christianos (2), e poi, via via,
per l'imperatore, l'imperatrice, il re di Francia, i pa-
triarchi, gli arcivescovi, i vescovi, qcc; la seconda, le
saìutationes di tutti questi alti personaggi al pontefice;
la terza, le saìutationes vicendevoli tra i potentati laici ;
la quarta quelle fra gli ecclesiastici di tutti i gradi ge-
rarchici ; la quinta finalmente quelle tra i laici o saecu-
lares (3).
(i) Cod. pergam. del sqc. xiii, composto di ce. 205. Contiene:
(ce. i-7^)Boncompagni opuscula; (ce. 74-138) Magistri Alani da diversis
vocdbulorum vocationihus ; (ce. 139-140) De. ordine iudiciorum d'autore
incerto; (ce. 141-205) i tre scritti di Ssini' Agostino \ Enchiridion, Liher
de decem chordis, Sermo de iur amento. Alla fine dei Bon compagni opu-
scula trovo, della stessa mano, questa nota : « Iste liber est monasterii
« Sancti Bartholomei de Trisulta Carthusiensis ».
(2) « Primiter vicarius Christi et magister catholiee fidei
« summus pontifex generaliter salutat omnes christianos in hune mo-
(cdum: Celestinus, servus servorum Dei nomen recipiens, salutem
« et apostolicam benedietionem ».
(3) Null'altro che una nuova redazione o un'amplificazione delle
Quinque tahulae salutationum è il Liber X tàbularum dello stesso Bon-
compagno. Ivi alle cinque antiche tavole egli ne aggiunse altre cinque,
nelle quali w continebuntur omnes modi componendi epistolas, ser-
« mones, privilegia, orationes rethoricas et testamenta ». Nella pre-
fazione della sua nuova opera l'A. medesimo si riferisce all'opera
antecedente, a Presens opusculum, - egli scrive - quod in civitate
« Regina nuper inceperam pcrtractare, de quo solummodo .v. saluta-
« tionum tabulas perfeceram, quibus ad presens in civitate Bononia
« multa superaddidi, easque diligcntiori lima correxi, gratis vestre
« offero univcrsitati, socii peramandi, cruditioncm vcstram humiliter
« deposcens, ut quod gratis datum est, gratis curetis impartiri
4o8 QA. Gabrielli
2* Lihcr qui dicitur Palma (cod. Valile. C, 40; e. 13 r°),
dove si tratta dell* epistola in generale e dei testamenti.
3" Tractatiis virtntum, ove s'espongono i pregi dello stile
e i vizi contrari (cod. Valile. C, 40; e. 7 v'').
4* Notulae aureae (cod. Valile. C, 40; e. 1 1 r°), che formano,
per confessione dello stesso Boncompagno (i), come
un'appendice al Tractahis virfutum.
5* Liher qui dicitur Oliva (^coà. Valile. C, 40; e. 17 v°), che
tratta dei privilegi ecclesiastici.
6^ Cedrns (cod. Valile. C, 40; e. 33 v°), che tratta degli sta-
tuti (2).
7^ Myrra (cod. Valile. C, 40; e. SS^°^^ ^^^ discorre dei te-
stamenti.
S'' Breviloquium (cod. Valile. C, 40; e. 38 v°), che tratta della
composizione degli esordì.
9^ Ysagoge (cod. Valile. C, 40; e. 58 r°), che torna a par-
lare della introduzione dell'epistola.
10^ Liber amicitiae (cod. Valile. C, 46; e. 42 v°), nel quale
TA., entrando tutt'a un tratto in piena filosofia, tratta, a
imitazione di Cicerone, deiramicizia, distinguendo, come
al solito, anche in questo tèma, la bagatella di ventìsei
generi d'amici.
11^ Rota FeneriSj che potrebbe dirsi una specie d'ars ama-
toria (cod. Valile. C, 40; e. ^^ r°).
« Liber siquidem iste dicitur liber .x. tabularum, quia, sicut in .x. pre-
ce ceptis continebatur omnis perfectio veteris Testamenti, ita et in
« istis .X. tabulis omne complementum prosaici dictaminis contine-
«turw. Ms. latino 8654 della Nazionale di Parigi, f. 125. Cf. De-
LiSLE, cit. scritto neW Amiuaire-hulletin de la Soc.de l'hist. frang. appen-
dice VI, p. 152.
(i) Cod. Valile, e. 11: «In Tractatu virtutum non dicere omnia
« potui, que ad scientiam dictaminum pertinebant. In hiis autem [no-
ce tulis] prout poterò supplebo ».
(2) È il solo scritto di Boncompagno pubblicato per intero dal
RocKiNGER, cit. Quellen und Eròrt. de. I. pp. 121-127.
Intorno all'epistole di Cola di T^ienio 409
A questi scritti sono da aggiungere le Arengae, una serie
d'esordì simile a quella di Guido Faba, pure contenuta nel
sopracitato codice Vallicelliano (e. ^8 r*"), e le due opere che
Boncompagno compose ultime, cioè Y Antiqua e la Novissima
rethorica, dove più s'appalesa il suo ardire d'innovatore.
Del resto, da tutta la produzione di Boncompagno Fio-
rentino non potrebbe esser meglio reso il tipo del cultore
medievale di ars dictandi : grammatico e giurisperito, uomo
di lettere e uomo di legge, e fin qualche volta, come nel
libro De amicitia e nella Rota Vmeris, filosofo a tempo per-
duto ! Colla stessa facilità, onde scolasticamente distingueva
e divideva e suddivideva le parti ò.q\Y epistola e ne dava le re-
gole e ne compilava gli esempi, l'arguto maestro, nella Retho-
rica novissima, si fliceva a ricercare stranamente e ad esporre
a suo modo l'origine del diritto, intitolandone appunto : De
origine iuris il primo libro, ed enumerando nientemeno che
quattordici ordines iiiris, dei quali il primo si ritrovava in
coelis, il secondo in paradiso deìiciarum, il terzo in Adamo,
e cosi via di seguito fino al decimoquarto, del quale « iniu-
« riosa et damnabilis origo fuit tempore Mahometti, qui,
« dum iumentos et asinos custodiret, se transtulit in prophe-
« tam, et quandam legem detestabilem adinvenit, quam su-
« spendit super cornua tauri viventis et ipsam insipientibus
«populis praesentavit » (i).
Quale figura potrebbe, più spiccatamente che non faccia
questa dell'allegro derisore di Giovanni da Vicenza, deli-
neare a' nostri occhi il cerchio in cui si muovevano questi
omniscienti maestri d'epistolografia e di retorica? E chi
più genialmente di Boncompagno rappresenta il legame,
che era nell'organismo delle scuole, tra retorica e diritto ?
Come poi all' ingegno di Boncompagno debba ricono-
scersi una certa autonomia, e come a lui ripugnasse la fredda
(i) Cf. RocKiNGER, scritto cit. in Sitiungsherichte der Ak.der Wiss.
p. 140 e segg.
410 Q/ì' Gabrielli
e scolastica imitazione, è, sembrami, specialmente dimo-
strato dall'esordio della sua Paìma, Ivi egli confessa con
sincerità, fors' anche soverchia, di non ricordarsi d'aver mai
letto Cicerone, sebbene (troppa degnazione!) non Tabbia
mai del tutto sconsigliato a chi voleva studiarlo. Manco
' male che non si dissimula il rischio di poter essere per ciò
giustamente biasimato! Infatti, egH dice, la mia audacia
non può non recar meraviglia, dal momento che Aristotele
affermò nessun' arte nuova potersi inventare naturaliter e
senza ricorrere all'esempio di coloro che ci precederono.
Come dunque - ei sente domandare- potè costui trovare una
rethorica novissima, quando una retorica era già fino da Ci-
cerone stabilita e fissata ? Che cosa avrà potuto dire di
nuovo ? Ed egH risponde, giustificandosi : « Dividere, deffi-
« nire vel describere, dare praecepta et semper iubere, nihil
<( aliud est quam emittere tonitrua et pruinam non largiri ».
Siate più pratici! sembra ch'ei voglia dire ; e dichiara: « Re-
« thorica compilata per Tullium Ciceronem iudicio studen-
« tium est cassata, quia tanquam famula vel ars mechanica
(( latentius transcurritur et docetur».
Un tale spirito di ribellione doveva necessariamente
acuire gli sdegni degli avversari, cosicché, in moltissimi
luoghi degli scritti di Boncompagno^ sempre crescenti si di-
mostrano le irose guerricciole tra i maestri d'allora. Invano
Goffredo di Vinnesauf aveva augurato :
Tabescens igitur livor marcescat in aevum
Nec praesens corrodat opus, nec clara lituret
Dictis dieta suis, nec verbuni verba venenent (i);
la maldicenza e la calunnia continuavano a dominare tra
gli uomini di lettere, e Boncompagno, preludendo alla sua
Palma, doveva fare agli studiosi questa raccomandazione :
« Rogo illos, ad quorum manus hic Hber pervenerit, qua-
(i) Hahn, op. cit.
Intorno all' epìstole di Cola di ^'en^o 411
(( tinus ipsum dare non velint meis emulis, qui, raso titulo,
« me quinque salutationum tabulas non composuisse dice-
« bant, et qui mea consueverunt fumigare dictamina, ut per
(( fumi obtenebrationem a multis retro temporibus compo-
« sita videantur, et sic mihi sub quodam genere meam glo-
« riam auferrent » .
Pochi, io credo, avranno mai pensato alla potente arma
di guerra... letteraria che questa interessantissima attesta-
zione di Boncompagno ci scopre usarsi assai facilmente nel
medio evo. I mezzi della diffamazione erano, come si vede,
spesso disonesti, e i detrattori punto scrupolosi ! Ed anche
altrove, annunziando il proposito d'unire in un sol corpo i
due libri Cedrus e Myrra, Boncompagno cosi s'esprime :
« Obtestor demum invidos, ut libros istos per fumum te-
« nebrare non velint, sicut quidam fecerunt de quibusdam
« tractatibus meis . . . Coniuro per Omnipotentem furtivos
« depilatores, ne, abrasis titulis, ipsos excorient, sicut quidam
(( meos alios Hbros turpiter excoriarunt » .
Boncompagno, che la superiorità dell' ingegno faceva
principal bersaglio alle invidie dei mediocri, segna come il
culmine dello sviluppo a cui Yars dictandi, qual' è rappresen-
tata nelle Summae e nei Dictamina, arrivò nel secolo xiii.
Quell'arte s'era andata intanto sempre più immedesi-
mando colla pratica notarile, elevata oramai a dignità di
scienza ufficialmente insegnata.
Troviamo, infatti, a Bologna alcuni insegnanti, specia-
listi di ars notar ia (i), ed altri che, come Pietro Paolo
de' Boatterii (2) nel principio del secolo xiv, v'insegnavano
a un tempo ars dictandi e ars notar ia.
(i) Sarti, Da cìaris archygimnasii Bononiensis professoribus a saec. xi
iisque ad xiv ; Bologna, 1769, tom. I, par. I, p. 421 e segg.
(2) Questo insigne maestro è specialmente noto come quegli che,
mentre continuò le belle tradizioni dei dictatores antciit)ri, compose
anche il più celebrato commento alla famosa opera sullarte nota-
rile di I^olandino de' Passagerii. Morì P. Paolo de' ikiauerii poco
412 qA. Gabrielli
Data una cosi Eitta affinità dell'^r^ dìctandi coli' arte nota-
rile, e poiché le collezioni pratiche di modelli prodotte dall' una
finivano per servire cosi facilmente anche all'altra, appare
ben naturale che, fira le numerosissime collezioni di lettere
pervenute fino a noi, molte ve ne siano che non hanno pro-
priamente quell'indole dottrinale e scolastica che fin qui
v'abbiamo riscontrato, che non provengono da maestri e
da insegnanti all'uopo destinati, ma scaturiscono più di-
rettamente dalla pratica della vita, dagli eventi di tutti i
giorni.
È tutto un gruppo di raccolte epistolari, aumentatosi
specialmente nella seconda metà del secolo xiir, dove, an-
ziché la grave teoria della scuola, voi ritrovate la manife-
stazione appassionata della vita pubblica, l'operosità giorna-
liera delle cancellerie, massime della papale e dell'imperiale,
la vitahbera del comune; grossi e fitti zibaldoni, nei quali
gli stessi scrittori, ch'erano dal loro ufficio obbligati a com-
porre lettere in servizio ed a nome del signore o del co-
mune, andavano (a mano a mano che venivano redigen-
dole) a trascriverle e a raccoglierle insieme, perché poi
servissero altrui d'esempio e di modello.
Ogni città libera ha il suo dictator, al quale spetta dar
forma solenne alla volontà popolare, e la cancelleria pon-
tificia sta come a capo di questa numerosa schiera di notai,
sparsi per tutta ItaUa. Ma come discorrere in poche pagine
d'un soggetto così attraente, ma pur cosi vasto ? Basterà
ricordare di volo le lettere papali raccolte da Tommaso di
Gapua, cardinale di Santa Sabina e notaio pontificio, e
scritte tutte da lui medesimo: collezione celebrata quan-
t' altra mai nei secoli xiii e xiv, e proposta come eccellente
modello di stile epistolare. Il Dictator epistolamm (i) (cosi
dopo il 1321. Cf. RocKiNGER, cit, scritto in Sit:(ungsherichte der AL der.
Wiss. pp. 150 e 151 ; NovATi op. cit. cap. III.
(l) Pubblicato dall'HAHN, op. cit. I, v.
Intorno all'epistole dì Cola di T^en^o 413
Tommaso di Capua intitolò la sua raccolta) indicato al
suo tempo qual tipo dello stile curiale romano {ad nativam
Romani styli indoleni), mentr'è ancora una prova del carat-
tere speciale ch'ebbe lo stile cancelleresco della curia pon-
tificia, riesce anche importante per ciò: che le lettere del
pontefice finiscono per rappresentarvi il minor numero, di
fronte a quelle scritte in nome proprio dall'autore... Curioso
fatto, e non unico tra questi epistolografi ufficiali; in cui
sovente Tambizioncella dell'uomo sopraffa la burocratica ri-
gidezza del cancelliere! E son lettere d'ogni genere e d'ogni
misura, dove Tommaso ora avvisa ad un amico, troppo
pigro a rispondere, di non esser solito a ripetere due volte
una preghiera (i); ora invita un altro a farsi vivo in per-
sona, e non con epistole soltanto (2); una volta annunzia
a un seccatore l'inesorabile dilazione d'un sussidio richie-
sto (3) ; un' altra volta accompagna con brevi parole il re-
galo d'un cavallo, già appartenuto ad un prete... (4). È
insomma un vero uomo di mondo, questo dotto segretario
di Gregorio IX 1 (5) E accanto a lui come non ricordare
(i) « Scripsìstis super eo quod scitis; sed cur non exaudivistis
« preces nostras ? Non est nostri moris vilescere in precibus iteran-
« dis ». Hahn, op. cit. I, 335.
(2) « Quia solent esse, que apprehenduntur visibus hominum, no-
« tiora, de statu vestro me aliosque nostros de curia certificare cu-
« retis, non per epistole vel nuncii missionem, sed per exhibicionem
« presencie corporalis ». Hahn, op. cit. l, 342.
(3) « Venturus ad colloquiumprincipis, pecuniam expetis in subsi-
« dium expensarum. Verum, cum adhuc incerta sit surama, usque
« ad reditura poterit dififerri peticio, ut ex certitudine sumptuum sub-
te sidii ccrtitudo formetur ». Hahn, op. cit. I.
(4) « Mittitur equus, qui et palefridum gressus placentia et dexta-
« rium persone statura presentai. Sane quod clerici erat, recepii a
« clerico. In rcliquo vero, si quid forte dcfuerit, adicctio suppleat ex-
« perientie militaris ». Hahn, op. cit. I, 366.
(5) Fu egli probabilmente che, delegato da Gregorio IX a trattare,
insieme con Giovanni vescovo di Sabina, la nota pace del 1230 tra
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. a8
414 G^- Gabrielli
un'altra collezione epistolare, che circolava per tutto il mondo
còlto di quel tempo ?
Intendo la raccolta di Pier della Vigna, di questo mas-
simo trai notai medievali, ch'ha in pugno la sorti non d'una
sola città, ma d'un regno, e che tanto bene incarna il tipo
dell'antico cancelliere, quale lo vagheggiavano gli uomini
dei secoli xiii e xiv. Con Tommaso di Capua, il segretario
di Federico II stette anche in corrispondenza (i), e il com-
mercio epistolare di questi due uomini, di questi due ar-
denti meridionali, che la politica non era riuscita a divi-
dere, e inspira oggi una schietta simpatia.
E dopo la collezione di Pier della Vigna, eccone altre
tenerle dietro, e primeggiare quella di Berardo di NapoH (2),
notaio della cancelleria papale sotto Urbano IV (12^1-12^4)
e Clemente IV (12^5-12^8). Egualmente dotto in retorica
il papa e Federico II, scrisse la famosa lettera 2\V amatissimo nostro
figlio, che comincia :
« Si Anna, discessum Tobiae filii sui non sustinens patienter, mox
« lacrymis effluebat; si, morae impatiens, quotidie circuibat omnes,
« per quas reditum anxie praestolabatur, vias, et tandem in supercilio
« montissedens, viso de longinquo fìlio redeunte, inexplicabili gaudio
« exultavit; quanto nunc tripudio hilarescatMater Ecclesia, quae fìlium
« excelsum prae regibus terrae ad se recepit redeuntem ! ». Ray-
NALDi Oberici AnnaUs ecclesiastici, anno 1230, n. x.
(i) Ecco, come saggio, una lettera brevissima, un vero liglietto,
indirizzato dal segretario di Federico II, a nome dell'imperatore, a
Tommaso di Capua:
« Equum hispanum gratanter accepimus, ab experto probatum.
« Quem tanto chariorem habemus, quanto gratiora sunt munera sa-
« cerdotum ». Epistolarum Petri de Vineis libri VI; Basilea 1566,
libro III, lett. xix.
(2) Cito i due testi più notevoli in cui riscontrasi il nome di Be-
rardo. Una lettera d'Urbano IV (Pertz, Archiv, V, 449) ricorda:
« Magister Berardus de Neapoli, subdìaconus et notarius noster ».
Clemente IV, a dì 1° novembre 1265, si scusa di non poter inviare
il suo notaio Berardo alla corte della regina di Francia. (Potthast,
n. 19407).
Intorno alF epìstole di Cola di T^ienio 415
e in giurisprudenza, anch'egli trascriveva e riuniva le sue
lettere, che, raggruppate in collezioni adattate ai bisogni
cosi delle scuole come delle cancellerie, erano alle une e
alle altre proposte qual modello di stile epistolare.
Il Delisle (i) indicò nella biblioteca Nazionale buon
numero di raccolte epistolari certamente a lui dovute. An-
ch'egli, come Tommaso di Capua, inseriva spesso lettere
proprie tra quelle scritte in nome del papa e che forma-
vano il fondo della collezione ; nei suoi Dictamina (2), una
specialmente ne va menzionata da lui diretta al re di Na-
poli. Nel ms. 7^1 della biblioteca di Bordeaux, illustrato
dal Delisle (scritt. cit.), si trovano anche altre tre lettere
composte da Berardo in nome proprio, una delle quali, in-
dirizzata a Gregorio X, felicita quel papa per la sua recente
elevazione alla sedia papale. Finalmente, le Epistolae nota-
hiìes (3), di Berardo pur esse, contengono parecchie let-
tere d'altri illustri personaggi di quel tempo.
Ma chi affermasse che col graduale modificarsi dello
spirito medievale sia quasi cessato il culto deir^r5 dictandi
in Italia, non sarebbe nel vero. Se noi estendessimo la nostra
rapida rassegna anche ai primordi del Rinascimento, ve-
dremmo facilmente come quest'^r^ dictandi, avente il suo
caposaldo nelle lettere di Cicerone e di Plinio, uscita per
breve tratto dall'insegnamento, venga poi, quando gl'Ita-
hani ritornano all'adorazione dell'antichità classica, a rien-
trarvi qual parte ragguardevole delle humaniores literae.
Ma qui ci trattengono i limiti imposti allo studio
nostro.
(i) Noticcs sur cinq manuscrits de la bibliothèque Natiotiah et sur un
manuscrit de la bibliothèque de Bordeaux contenants des recueils i^pistolairiS
de Berard de Napks in Notices et extraits des mss. etc. tomo XXVII,
parte I ; Parigi, 1885.
(2) Bibl, Naz. dì Parigi, mss. lat. 8581 e 14173.
(3) Bibl. Naz. di Parigi, ms. lat. 4311.
41 6 QA. Gabrielli
IV.
I trattati epistolari di cui ci è occorso far cenno fin
qui, hanno già dato modo di vedere come ciascuno di
essi comprendesse due parti distinte: teorica l'una, ed
esposta in forma afflitto dottrinale, ed era Yars dictandi
propriamente detta; l'altra, per contrarlo, tutta pratica, e
costituita dalle formule e dai modelli epistolari, ed era
quella che chiamavasi la siimma. Ma, dovendo preporre il
titolo a una compilazione, si pigliava il tutto per la parte
e s'usava indifferentemente Funa o l'altra delle due deno-
minazioni.
Quella duplice forma però non manca mai nelle opere
dei dictatores, e con essa i Dictamina costantemente si ri-
producono, ripetendosi, copiandosi e rassomigliandosi in
t.il modo, che pur da un materiale assai limitato (i) non
riesce difficile trarre le teorie più generali e più largamente
accolte. Ed è appunto questo contenuto comune ai nume-
rosi trattati d'epistolografia medievale che, secondo l'ordine
dato alla nostra esposizione, ci conviene ora presentare
nelle sue linee principali; cercando di stabilire come la
tradizionale autorità dei maestri volesse formata l'epistola,
quante e quali parti le prescrivesse, quali ornamenti di
stile consigliasse, quali escludesse; che forma, insomma,
assumesse, uscendo da una scuola di retorica, una lettera
del XII o del xiii secolo.
(i) Mi corre l'obbligo dì notare che allo studio dei Dictamina già.
a stampa per opera specialmente del Rockinger, m' è sembrato suf-
ficiente pel mio lavoro, d'indole affatto generale, aggiungere sola-
mente il contributo che mi veniva dai citati codici : Vallicelliano C, 40,
Chigiano I, IV, 106 e Chig. I, V, 174, i quali tuttavia non sono se
non piccola parte del materiale che può opportunamente servire al
nostro argomento.
Intorno alV epistole di Cola di ^en\o 417
Una stabile e sicura distinzione delle parti, nelle quali
debba dividersi la lettera medievale, non si ritrova prima
d'Alberico di Monte Cassino, che fu, sembra, il primo a
enumerarle. Sui passi di lui camminarono i dictatores che
vennero poi, cosicché, tranne lievi modificazioni, la teoria
delle scuole rimase per questa parte tal quale qui la rias-
sumiamo.
Cinque parti, possiamo dire, doveva contenere l'epi-
stola: la salutatiOj Yexordium o henevoìentiae captatiOj, la
narratio, la petitio e la conclusio. A queste, qualche trat-
tato aggiunge la vaìedictio e la data, che, insieme alla
saìiiìatio, vengon chiamate estrinseche, mentre intrinseche
sono dette le altre. Ma il maggior numero dei maestri ita-
Hani non riproduce una cosi fatta distinzione.
È anche da notare che qualche altra enumerazione
(come una, per esempio, che vuole le parti à^ìY epistola di-
stinte in sahitativa, motiva, progressiva e conclusiva (i))
non è in fondo differente se non per la variata dizione,
potendo sempre in essa rientrare le cinque parti più ge-
neralmente adottate.
La sahitatio ha specialmente sviluppo nelle lunghe serie
di modelU che se ne davano. La semplice e piana formula
classica : « Alcuinus Theophilo salutem » si trova alterata e
amplificata fino dal ix secolo. E già.a quel tempo ci occorre
una sahitatio come questa: « Optimo Theophilo, bis binae
(( evangehcae veritatis discipulo et sanctarum quadrigae vir-
« tutum, fidelium quadriga amicorum, piena charitatis nave,
« trans alpinas aquas dirigit salutem ». Con non minore ar-
(i) La parte salutaiiva « personas nominatur et debitum charitatis
« exsolvit »; la molivu « fundamentum est persuasionis, fulcimentum
« intcntionis, incitanicntum affectionis, causam concipiens efìicacem
a ad propositum obtinendum »; la progressiva tratta il negozio prin-
cipale; la conclusiva « sicut fidelis obstetrix, fructum ab aliis clau-
« sulis gcneratum receptare conalur ». Ms. latino 14357 della biblio-
teca Nazionale di Parigi, illustrato dal Valois, op. cit. VI, 51.
41 8 d/l. Gabrielli
tificiosità i dictatores dei secoli xii e xiii danno, a seconda
della persona cui la lettera è diretta, la formula di saluto
già bell'e fatta, e, usando talvolta anche certi prospetti o
tavole sinottiche, insegnano con quaK parole si debbano
salutare i vescovi, gli abbati, gli studenti e ogni sorta di
persone (i), sempre tenendo fisse le due grandi categorie
in cui dividevasi la società medievale: laici ed ecclesiastici,
e ciascuna di queste due grandi classi distinguendo nei tre
gradi: supremus, mediuSj, infiniiis.
A queste formalità della salutatio si stava rigorosamente
attaccati, e i maestri davano ad esse una singolare impor-
tanza. D'altra parte insegnavano che, a differenza di qualche
altra parte adì' epistola, che potevasi omettere, la salutatio
era d'obbligo, qualunque fosse il tèma della lettera.
L'esordio (exordiimì) era detto anche proemium o pro-
verbium, e tale denominazione venivagli dall'essere, secondo
il consigHo dei dictatores, generalmente formato da una sen-
tenza o da un motto tolto ora dai pochi scrittori classici
studiati, or dalla Bibbia e ora dagU scrittori sacri più fa-
voriti.
Di questa parte tuttavia l'epistola poteva anche man-
care: non era, a ogni modo, necessario aver sempre alla
mano il motto o proverbium (2) con cui aprire la lettera.
(i) Sebbene già riportate dal Valois (op. cit. p. 56), ci piace
trascrivere ancora, a modo di saggio, le seguenti formule di salutatio,
che si trovano nei manoscritti, appartenenti al dìctator Transmondo,
da noi già sopra citati (p. 398). Dice adunque quello scrittore che,
scrivendosi alle sante vergini, così devesi salutare : « Virginibus
« sacris talis cenobii, talis persona, salutem et veniente sponso ha-
« bere succensas lampadas oleo sanctitatis ». E scrivendosi a studenti :
« Salutem et facundiam consequi tullianam », oppure: « In sacris ca-
« nonibus gratiam promereri»; od anche: « lustinianum iuris pru-
« dentia imitari ». E ad un usuraio : « salutem et de lucro captando
a et crastino cogitare», oppure: « tantis abundare successibus, ut
« universitas invideat vicinorum ».
(2) « Si dictator non habet proverbium ad manum ad id
Intorno all'epìstole di Cola di ^ien^o 419
V'erano, del resto, a risparmiar la fatica delle ricerche,
lunghe serie di proverbia già raccolti e raggruppati dai
maestri per uso degli scriventi ; troviamo, per esempio, nei
Dictamina : Proverbia Saìomonis, Proverbia de libro Ecclesia-
sten, Proverbia de libro lesti, Proverbia Senece, Proverbia de
libris decretalium siimpta.
Per i casi in cui non si volesse esordire con un motto
o con una sentenza già nota, s'han moltissime altre serie
d'exordia già formati dai maestri e adattati alle più varie
circostanze.
Ed uno li dispone per ordine alfabetico, secondo, cioè,
l'iniziale della prima parola, e ne presenta dieci per ogni
lettera; un altro li ordina secondo il verbo che v'è adope-
rato, e cosi via. Arengae son chiamati questi esordì da Guido
Faba (i) e da Boncompagno Fiorentino (2), che entrambi
ne danno serie abbondanti e interessantissime.
Su la narratio mi par curioso notare questo ben strano
precetto, quasi costantemente ripetuto dai maestri : - Si
dee narrar sempre qualche cosa, anche quando nulla real-
mente vi sia da narrare. - La cosa, però, non è difficile a
spiegarsi : essi avevano appreso da Cicerone essere la nar-
ratio una parte essenziale dell'orazione, e ciò che a propo-
sito di questa insegnò Marco Tullio, avevano, senz'altro,
esteso anche 2lìY epistola, genere pur tanto diverso di scrittura !
Anche la narratio doveva sempre cominciare con talune
espressioni fisse e immutabili, le quali sono, si può dire,
riassunte tutte da una specie di prospetto compilato da
Ponzio Provinciale e stampato opportunamente dal Va-
« quod intendit captet benevolcntiam auditoris ». (Biblioteca Nazio-
nale di Parigi, ms. latino 994. Cf. Valois, op. cit. VII, 59). Di qui
s'intende facilmente come l'esordio venisse assai comunemente chia-
mato dai maestri : henevolentiae captatio.
(i) Cod. Chigiano I, IV, 106, e. 48 v°. V. sopra, p. 404 del pre-
sente scritto.
(2) Vedi sopra, p. 409 del presente scritto.
420
qA, Gabrielli
lois (i). Lo scrittore cominciava, per esempio: « Insinua-
tione praesentium discretioni vestrae clareat venerandae
quod », e qui seguiva l'esposizione dei fatti.
La petitio era Tunica parte, clie, secondo gli stessi dicta-
tores, non poteva disciplinarsi con regole fisse.
La conclusio finalmente veniva cosi definita: « Con-
ce clusio est extrema clausula epistolaris eloquii, que sermo-
« nem terminat materiamque consummat, in qua maxime
« curandum est ut, que superius dieta sunt, digna et recepta-
« bilia comprobentur, et quedam abreviato compendio reci-
« pientis animo profundius infigantur » .
Dopo la distinzione delle cinque parti, i trattati episto-
lari indicano gli ornamenti di stile (ornamenta), onde la let-
tera va abbellita.
Abbiamo già accennato come per designare il ntimerus,
di cui parla Cicerone uQÌYOrator, s'usava dalle Artes dicta-
(i) Op. cit. p. 62. Lo riportiamo qui integralmente:
Reseratione
Declaratione
•Insinuatione
Demonstratione
Significatione
Indicatione
Tenore
Apertione
Notificatione
Enucleatione
praesentium
praesentis paginae
huiusmodi paginulae
istius cedulae
huiusmodi petitorii
scripti huius
praesentium literarum
istius scripti
scripturae istius
istorum apicum
praesentium
ista litteratoria
praesentis paginulae
dominationi
discretioni
nobilitati
strenuitati
paternitati
sinceritatì
probitati
sanctitatì
honestati
benignitati
religioni
caritati
pietati
mansuetudini
societati
dilectioni
vestrae
vel
tuae
clareat
pateat
liqueat
appareat
clarnm fiat
declaretur
manifestetur
insinuetur
significetur
notìficetur
venerandae
honorandae
metuendae
peramandae
excellenti
praecellenti
divulgatae
apertissimae
generosae
provulgatae
nominatae
Intorno all'epistole di Cola di ^T^ien^o 421
minum la parola cursus (i), e quelle regole d'armonia con-
sigliate da Cicerone all'arte oratoria e volte a governare
le cadenze del discorso forense, applicavano anche al ge-
nere epistolare. Sembra che in ciò i primi maestri d'Or-
léans fossero molto parchi, e del numerus facessero conto
si, ma senza regole troppo rigide, e solo badando, ad
orecchio, a certa musicalità del periodo. L'esempio del-
l'esagerazione venne ai Francesi dall' ItaHa, e specialmente,
fin dai primi del secolo xii, dai notai pontifici, i quali an-
darono formulando regole d'ogni genere, massime intorno
ai suoni onde dovevano finire gl'incisi (2). Già d'un tale
artificioso ornamento abusavano i notai d'Onorio II (1124-
1134); ^'^^ negH anni che seguirono, venuto in moda il
cosi detto stile gregoriano, al cursus s'attribuì un' impor-
tanza addirittura soverchia dalle cancellerie d'Eugenio III
(i 145- II 53), d'Anastasio IV (1153-1154) e d'Adriano IV
(11 54- II 57). Invece, fuori d' esse, gli scrittori non si la-
sciarono, sembra, pigliar troppo la mano dal nuovo arti-
ficio, e rimasero più strettamente fedeli allo stile di Cice-
rone, « stylo videlicet Tulliano, in quo non esset observanda
(i) « Appositio, que dicitur esse artificiosa dictionum structura,
« ideo a quibusdam cursus vocatur, quia, cum artificiose dictiones lo-
ft cantur, currere sonitu delectabili per aures videntur cum benepla-
« cito auditorum ». Bon'COMPAGNO, ms. 8654 della Nazionale di Pa-
rigi. Cf. cit. Notices et extraìts des mss. eie. XXII, parte II, 1868;
cit. lavoro di C. Thurot.
(2) « Pedes autem, secundum cursum Romane curie, taliter ordi-
« nabis. Debes enim incipere tuam clausulam ab uno spondeo et di-
< midio, vel a pluribus, a dactylo nunquam, nisi sunt coniunctiones,
«■ ut: ideo, igitur. Punctum vero facies vel super duos spondeos,
« dactylo precedente, ut hic : lalorcm prescntium mitto vohis, aut super
« dactylum, ut hic : noscat vestra discretio presentì pagina. Finis epi-
« stole fit quatuor modis, aut super duos spondeos, aut super tres,
« aut super tres et dimidium. aut super quatuor ». Ponzio Pro-
vinciale, Summa dictaminis, ms. 8653 della Nazionale di Parigi, f. 6 v°,
descritto nelle cit. Notices et extraits des mss. etc. XXII, parte II, p. 38*
422 qA. Gabrielli
« pedum cadentia, set dictionum et senteatiarum colo-
« ratio » (i).
Lo stile gregoriano adunque mostravasi, nel cursus, più
artificioso, secondo le attestazioni che ci vengono dalla
cancelleria pontificia. Molti scrittori però seguivano la tra-
dizione della scuola d'Orléans: più spigliata semplicità,
meno bavagli di dattili e di spondei, e solo quella garbata
coloratio dictionum et sententiarum, che Giovanni Anglico
raccomandava. Tuttavia, a cotesta forma più libera e franca
s'opponeva, tra gli altri. Maestro Bene di Firenze in un
luogo notevole da noi già citato (2), schierandosi coi se-
gretari papali contro i maestri d'Orléans. 1 quah -se s'ha
a credere a Boncompagno - non guardavan troppo pel sot-
tile alle brevi e alle lunghe, e poco lusingavano l'orecchio
delicato di coloro, che rimanevano più attaccati ai precetti
della cancelleria pontificia.
Un'infinità d'altre regole, attinte da Cicerone, da Quin-
tiliano, da Isidoro di Siviglia, s'aggiungono a governare
lo stile nelle Artes dictandi; ma tutte non sono meno appli-
cabili -AY epistola che a qualsiasi altro genere di scrittura. Si
può dunque senza danno lasciare questa parte, e citare
piuttosto qualche norma dittatoria che si riconosca essere
un portato nuovo della coltura medievale, e non una ne-
cessaria conseguenza dell'antica tradizione classica.
Ma, una volta messi per questa via, quante sottigliezze,
quanti bizzarri artifici, quante vane distinzioni e suddistin-
zioni non dovremmo faticosamente seguirei Eppure, tali
regole, al tutto meccaniche ed esteriori, che potente aiuto
ci prestano a scoprire i diversi atteggiamenti che pren-
deva il pensiero degli uomini del medio evo!
(i) Poetria magislri Iohannis Anglici t/t? arte, prosayca, metrica et
rithmica, pubblicata in gran parte dal Rockinger, cit. Quellen und
Eròrterungen etc. I Abth. pp. 485-512.
(2) V. sopra, pp. 392, 393.
Intorno alTepistole di Cola di ^ienio 423
Dicevano, per esempio, che il vocativo non doveva
porsi mai in principio d'una data sentenza, ma in mezzo
od in fine. Invece il nominativo, se trovavasi in una frase
insieme con casi obliqui, doveva a questi posporsi ; e ciò per
riuscire all'opposto di quel che avveniva nella declinazione,
dove il nominativo si preponeva. Se poi occorrevano più
casi obliqui, dovevano sempre collocarsi nello stess'ordine
ond'essi seguivansi nella declinazione; cosi, per esempio:
« Trium puerorum (gen.) laudibus (dat.) hymnum debitum
(acc.) voce consona (abl.) persolvamus ».
Fra tutti i casi, il genitivo riscuoteva le maggiori e più
spiccate simpatie. A moltiplicare quanto più potevasi le
occasioni d'usarlo, i dictatores consigliavano di mutare il
nominativo in genitivo, sostituendo al nome, che dal primo
caso erasi trasportato al secondo, un altro nome. Cosi, per
esempio, invece che: « Vestra agnoscat probitas », megho
si scriveva : « Vestrae probitatis agnoscat discretio » . E
tutto ciò per dire : Sappiate !
Discorrevano poi a lungo del luogo ove fosse da porre
il verbo, prevedendo tutte le possibili combinazioni.
S'usassero, insegnavano, più parole che fosse possibile,
ad esprimere il proprio pensiero; cosicché l'abbondar nei
vocaboU superflui non solo era lecito, ma costituiva un
peculiar pregio dello stile. Non si risparmiassero avverbi,
dove e quando potevasi, e di preferenza s'usassero : quideni,
equidem, sane, profecto, quippc, scilicet, videlicet e iitiqtie, e
non soltanto se efficaci o necessari, ma « sola ornatus et
« bonae sonoritatis causa». Insomma, Y epistola, massime
se composta a particolare gravità, tanto più era pregevole,
quanto più riuscisse ornata et prolixa, scritta con cnfiisi,
ripiena di metafore e di traslati... E a raggiungere questa
pretesa perfezione, le Artes dictaminum davano giA prepa-
rati i mezzi.
Questi, a ogni modo, non sono che accenni; il copioso
materiale esplorato si presterebbe a uno spoglio paziente,
424
lungo, minuzioso, del quale il poco ch'abbiam detto co-
stituirebbe appena una piccolissima parte. Quel poco è tut-
tavia sufficiente a disegnare le caratteristiche generali del-
l'^r^ dictandi.
Dopo ciò, se, rifacendoci presente quanto s'è venuto
notando sui dictatores e sull'opera loro, ci volgiamo per
poco - nella seconda metà del secolo xiv - al modesto
scriba di Roma, che ne divenne poi il supremo signore, e
attirò sopra di sé gli sguardi di tutt' Italia, occorre spon-
tanea la domanda: Fino a qual punto quest'abbondante
letteratura degli epistolografi, perfezionata, più che altro,
nelle scuole medievali di retorica, potrà rispecchiarsi dalla
lettera appassionata di uno che, come Cola di Rienzo, non
fu certo, nel senso dato fin qui alla parola, un epistolo-
grafo ? Vero è che negli anni giovanili Cola esercitò la
professione di notaio : ma che cosa rimase dell'antico ta-
bellione nel novello tribuno del popolo romano?
Studiare con cosifatti intendimenti le lettere di Cola di
Rienzo è coglierne l'aspetto più singolare e più curioso; e
un tale aspetto non può essere del tutto trascurato da chi,
come noi, si prepari a discorrere dell' Epistolario di Cola.
Cola di Rienzo è tal figura storica, che non può non
attrarre potentemente chi si faccia a studiarla. Oggimai
non è più soltanto fra gli artisti e i romanzieri che certi
periodi storici, certi episodi, certi antichi nomi trovano, a
preferenza di altri, simpatie più vive. Anche la rigida ri-
cerca obbiettiva si volge con maggiore intelletto d'amore
a quelle figure del passato, le quali si possano in ogni loro
lato studiare sotto punti di vista cosi differenti e molte-
plici, che, accanto al ricercatore erudito, lavorino anche.
Intorno al F epistole di Cola di ^en\o 425
ognuno per la parte sua, il filosofo, lo storico, il poli-
tico, lo psicologo.
Tale è, sembraci, il caso di Cola di Rienzo, intorno al
quale gli studi moderni hanno ancora tutto un lungo lavoro
da compiere. Perocché - è bene notarlo subito - ciò che si
scrisse di lui nei tempi andati è, per universale giudizio,
ben povera cosa, e si può ormai riassumere in poche
parole.
Il maggior nucleo di notizie su Cola pervenne ai vecchi
eruditi italiani della nota Fifa dell'Anonimo, riprodotta in
un grandissimo numero di manoscritti (i), e, oltre che
dal Muratori (2), stampata più volte anche a parte (3).
Ad essa sono poi da aggiungere le Istorie pistoiesi (Mura-
tori, Rer, Ita!. Scr. XI), la Cronaca di Giovanni Villani, il
Chronicon Estense (Muratori, Rer. Itaì. Scr. XV, 41 8), il Chro-
nicon Mutinense (Muratori, Rer. Itaì. Scr. XV, 108) e pochi
altri scrittori che toccano per incidenza della storia di Cola.
Ancora: alla storia, per quanto grossamente narrata,
del tribuno servirono alcuni annaHsti ecclesiastici, come il
Bzovio (4), il Rainaldo (5), l'Hocsemio. Quest'ultimo anzi
- come notò già il Papencordt - ci ha pure tramandate
alcune lettere di Cola.
Così andò formandosi il fondo delle notizie per i bio-
grafi che vennero poi ; ma bisogna pur riconoscere che
(i) Solamente alla biblioteca Vaticana, una fugace esplorazione
da me compiuta m'ha segnalato otto manoscritti della Vita: « Ot-
tobon.1511 »; « Ottobon. 2568»; « Ottobon. 2615 »; « Ottobon. 2616»;
«Ottobon. 3183 »; « Cappon. 241 »; «Cappon. 242 »; «Vatican. 5522 ».
Anche alla Casanatense ho potuto vedere una copia della Vita nel
ms. E, IV, 21.
(2) Anliq. hai. Ili, 249.
(3) Per la storia esterna di questo curioso scritto e per le di-
spute agitatesi intorno alla sua genuinità, rimando al Papencordt,
Cola di Rienzo und scine Zeit; Amburgo, 1841, p. 318 e sgg.
(4) Armala ecclesiastici, t. XIV.
(5) Annales ecclesiastici, t. XVI.
42(
alcuni di essi, lasciando da parte le altre fonti, s'atten-
nero semplicemente alla Vita dell'Anonimo. Solo per ob-
bligo impostoci dal tèma, ci occorre ricordare i vecchi
lavori del padre Du Cercau (i), di Tommaso Gabrini (2),
di Zeffirino Re (3), di Francesco Benedetti (4), rimaneg-
giamenti abbastanza affrettati^, e privi d'un qualunque va-
lore critico.
Altri storici intanto, come il Sismondi (5) e qualche
altro, eran tratti, dagli avvenimenti stessi che narravano,
a discorrer di Cola, mentre studiosi come il De Sade (^)
e il Levati (7), illustrando la vita del Petrarca, s'occupa-
vano anche per necessità del tribuno di Roma.
Questi erano i libri apparsi su Cola di Rienzo, allorché
Felice Papencordt pubblicò il suo geniale e notissimo
volume.
Dopo il dotto storico tedesco, niun altro forse si volse
di proposito alla vita di Cola di Rienzo, se si eccettuino
lo Zeller (8), l' inglese Schmitz (9) e, ultimo per ordine di
tempo, il signor Emanuele Rodocanachi (io). Mala breve
compilazione dello Schmitz non ha lasciata traccia dure-
vole nel campo degli studi, e il volume del Rodocanachi,
(i) Conjiiration de Nicolas Gabrini; Parigi, 1733.
(2) Osservazioni storico-critiche su la vita di Cola di Rienzo ; Roma,
1806.
(3) Vita di Cola di Rienzo ; Forlì, 1828; ristampata recentemente
dal Le Monnier, Firenze, 1854.
(4) Vita di Cola di Rienzo nelle Opere di F. Benedetti, per cura
di F. S. Orlandini; Firenze, Le Monnier, 1858, voi. IL
(5) Histoire des répuhllques italiennes ; Parigi, 181 8.
(6) Mèmoires pour servir à T histoire de Pétrarque, 1764- 1767.
(7) ^^'^SS^ ^^^ Petrarca; Milano, 1820.
(8) Les trihiins et les révolutions en Italie; Parigi, Didier, 1874.
(9) Cola di Rienii Rom's Tribiin; Londra, 1886.
(io) Cola di Rienzo, histoire de Rome de ^42 a 1^)4; Parigi, A. La-
hure, 1888. Cf. V Archivio della R. Società Romana di storia patria,
XI, 181 e sgg.
Intorno all'epistole di Cola di 1{ienio 427
secondo gl'intendimenti stessi dell' A., non va oltre i limiti
d'una narrazione abbastanza brillante e d'una biografia
discretamente accurata.
In conseguenza, non è punto scemata la necessità di
tornare, guidati da mire alquanto diverse, sull'argomento,
e, anzi tutto, di porre fuori d'ogni discussione il documento
più attendibile sul quale si fonda la storia del rivolgimento
politico promosso in Roma da Cola di Rienzo: intendo i
frammenti di storia romana, scritti in romanesco nel se-
colo XIV e pubblicati dal Muratori, i quali comprendono
in sé anche la sopra citata Vita dell'antico tribuno. Un'edi-
zione critica di questo libro, comparso finora in pessime
edizioni, è tra i più vivi desiderata degli studiosi.
Or nulla meglio dell'Epistolario di Cola può spianare
la via a questa ristampa, e completare nel tempo stesso
la Fita in quelle parti dov'essa più scarseggia di notizie ;
e tale fu il motivo principale, da cui venne consigliata la
nuova edizione delle lettere di Cola.
Questo r interesse dell'Epistolario in rapporto alla storia
di Roma. Ma, come il lettore avrà già notato, lo studio
riassuntivo, che noi abbiamo fatto precedere all' illustra-
zione delle lettere di Cola, ci addita anche un altro curioso
aspetto, per il quale esse debbono necessariamente attirare
l'attenzione degli studiosi. Egli è che, colla scorta dell'Epi-
stolario, l'antico tribuno si presta ad essere considerato
nella sua peculiare qualità di scrittore di lettere, e Yepistola,
quale fu da lui concepita e redatta, ad essere esaminata
nella struttura, nello schema, nella composizione, in tutta
insomma la sua parte formale ed esteriore.
Un tale studio ci pare opportuno per più riguardi, e
assai utilmente, a nostro avviso, può precedere le brevi
considerazioni, che poscia esporremo, sul contenuto delle
lettere, sui fatti che vi si accennano, sulle persone a cui
sono dirette.
Il problema da porre è assai semplice: — Per quanto
428 q4. Gabrielli
lontane da qualsiasi pretesa dottrinale, continuano esse in
qualche parte, le lettere di Cola, la tradizione dotta del-
l'epistolografia medievale ?
Nessuno certo al suo tempo sognavasi di vedere, nelle
lettere del tribuno, dei modelli scolastici, come, per esem-
pio, nelFaccennate collezioni di Tommaso di Capua o di
Pier della Vigna : ma esse non avevano minor diffusione
di quelle composte dai due celebri cancellieri. Basta ricor-
dare l'attestazione di Francesco Petrarca : « Unum sane -
« scriveva egli a Cola (i) - an scias, an cogites, an ignores
« nescio, litteras tuas, que istinc ad nos veniunt, non exti-
« mes apud eos quibus destinantur permanere, sed confe-
« stim ab omnibus tanta sedulitate describi tantoque studio
« per aulas pontificum circumferri, quasi non ab homine
« nostri generis, sed a superis vel antipedibus misse sint )) .
Beli altro però che didattici erano i motivi, per i quali ogni
cólta persona, e primo il Petrarca, ricercava con crescente
mteresse quasi ogni parola scritta da quest'uomo, che par-
lava sotto l'impulso della passione, parlava di cose che
accadevano mentr'ei le narrava, di fatti di cui era egli stesso
il protagonista !
Riconosciuto alle lettere di Cola un tale carattere,
riesce subito facile immaginarsi se esse potevano sempre
rispondere alle regole formulate dalla scuola, consacrate
nelle Siimmae, prefisse all'epistola medievale da una tradi-
zione letteraria non interrotta.
Eppure anche Rienzo, mentre talvolta s'adattava assai
male a quell'esagerato formalismo, molte altre volte non
si sottraeva interamente alle tendenze letterarie del tempo
suo. Se, per esempio, consideriamo nelle epistole di Cola
la distinzione delle note cinque parti, in più d'una di esse
non la troviamo riprodotta con quella rigidezza che pre-
scrivevano le Artes dictandi ; ma in parecchie altre vediamo
(i) De Sade, Mèmoires, tomo III, Pieces justif. XXXI.
Intorno all'epistole di Cola di ^en^o 429
vediamo le parti nettamente divise. E queste si prestano
alle seguenti osservazioni, che riassumerò brevemente.
A cominciare dalla parte introduttiva delYepistola - la
salutatio - noto che la soverchia ampollosità di stile, pro-
pria (come vedemmo) alle salutationes delle lettere medie-
vali, non si riscontra in Cola quasi mai : egli si mostra in
generale assai parco tanto nel pensiero quanto nell'espres-
sione. La salutatio a lui più usuale è la seguente : « x\uctore
« clementissimo Domino nostro lesu Christo » ; e qui segue
il nome dello scrivente : « nobili viro » o « nobilibus et po-
« tentibus viris » ; e qui il nome del destinatario o dei de-
stinatari : c( salutem et cum reconciliatione Dei pacem et
« iustitiam venerari » (i). Talvolta la salutatio è anche più
semplice e più breve, come, per esempio, questa : « Auctore
« clementissimo Domino nostro »; segue il nome dello scri-
vente: « magnificis viris»; segue il nome dei destinatari:
« salutem et plenitudinem gaudiorum » (2) ; taFaltra allude
ai doni dello Spirito Santo, dal quale Cola si riteneva inspi-
rato : « salutem et dona Spiritus Sancti suscipere iustitie,
(( libertatis et pacis » (3). Quando la persona, alla quale la
lettera era destinata, fosse, per condizione sociale, superiore
allo scrivente, la consuetudine epistolare imponeva piut-
tosto alla salutatio la forma del vocativo; e questa infatti
si vede adottata da Cola tutte le volte che scrive al papa
o air imperatore Carlo IV, sempre da lui salutati cosi :
« Sanctissime pater et clementissime domine», e « Sere-
« nissime Caesar Auguste ». Del resto, anche indirizzandosi
a un amico di Avignone (che non sappiamo con certezza
chi fosse), Cola usa la forma del vocativo : « Amice karis-
« simc » (4). In questi casi il nome dello scrivente, anziché
(i) Epist. lett. II e VI.
(2) Epist. lett. XIV.
(3) Epist. lett. XVI.
(4) Epist. lett. XII.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 29
430 qA. Gabrielli
far parte, al modo classico, della salutatio, vien posto in
fondo aìYepistolay ora semplicemente enunciato, ora nella
forma: «Vester servulus Nicolaus recomendat » (i), ov-
vero : « Nicolaus recomendat in oratione » (2). Nel pe-
riodo della prigionia a Raudnitz e ad Avignone, quando
l'uomo d'azione s'è fatto asceta solitario e la figura di lui
ha assunto un carattere mistico di veggente, egli seguita
a sottoscriversi : « Cola Rentii tribunus », come se quelli non
fossero che anni di riposo volontario per l'esaltato domi-
natore di Roma.
L'esordio, nel maggior numero delle lettere di Cola,
obbedendo alla regola consacrata nella Stimmae, costituisce
una parte a sé, distinta e separata dalle seguenti. A prova
di ciò basterebbe ricordare le lettere al papa del 5 agosto,
del 15-31 agosto e dell' 11 ottobre 1347, nonché quelle
ai Fiorentini del 5 e del 20 agosto 1347. Ma non sola-
mente Yexordium doveva formar parte a sé: i maestri da-
vano anche le regole per comporlo, e spesso presentavano
essi medesimi beli' e fatte quelle lunghe serie di arengae,
che già abbiamo menzionate, traendo di preferenza il pro-
verbium dai libri più in uso nel medio evo. Cola, nel cui
spirito r inspirazione biblica era cresciuta vivissima fin dagli
anni giovanih, e nella cui coltura la Bibbia aveva così no-
tevole parte, ci dà più d'una volta esordi tratti dai libri
sacri e specialmente dai Salmi. Cosi nella lettera del 20 no-
vembre 1347, diretta in un esemplare a Rinaldo Orsini
e in un altro, pressoché simile, ai Fiorentini (3), per an-
nunziare la sua vittoria sui Baroni a porta San Lorenzo,
esordisce colle parole di David : « Haec est dies quam fecit
« Dominus; exultemur et laetemur in ea » (4). Pure un'altra
(i) Epist. lett. XXXVI.
(2) EpisL lett. XXXVII.
(3) Epist. lett. XXVII e XXVIII.
(4) Liher psalmorum, CXVII, D, 24.
Intorno all'epistole dì Cola di ^I^ien^o 431
lettera al popolo romano, contenuta in un importante co-
dice miscellaneo della biblioteca Felinìana di Lucca (capi-
tolo della iMetropolitana, pluteo Vili, 545) e pubblicata
già dal Mansi (i), comincia col noto versetto: « Popule
« meus, quid feci tibi ? aut in quo contristavi te ? responde
« mihi » (2). Un'altra lettera a Clemente VI (3) comincia
anch'essa: «Ne dolosarum linguarum astutia, a quibus
« propheta supplicat liberari, vestra Clementia suspe-
(( ctum teneat, etc. », e si riferisce evidentemente al ver-
setto: « Sepulcrum patens est guttur eorum, linguis suis
« dolose agebant, indica illos, Deus » (^Psaìm. V, C, 1 1).
Si vede tuttavia a ogni pie sospinto che le rigide norme
dei Dictamina sono per il Nostro più una necessità che
subisce inconsapevolmente, che un'emanazione del suo spi-
rito e dell'indole sua. Fatta loro appena quella parte che
(i) Stephaki Baluzii Miscellanea, opera ac studio Iohanxis Dom.
Maxsi LucENSis (Lucca, 1762), toni. III.
(2) Del resto, non soltanto negli esordì Cola ha frequenti ci-
tazioni bibliche, ma anche nel corpo di qualche lettera. In una, per
esempio, da Raudnitz all'arcivescovo di Praga (Inc. «Recepì hoc die»),
scrive così : « Intitulorum assumptione . . . me alias excusavi, et
« dignum, dixi, et bonum est, quod hiwiiliasti me, Domine, ut discerem.
« ìnstijìcationes tuas » (Psalm. XXVII, D, 19). E poco dopo, nella let-
tera medesima: «.... Dicere possim: Castigans castigavit me Do-
(( ininiis, et morii non tradidit me » (Psalm. CXVII, C, 18). Ancora in
un'altra: «Et sic vere, ilio die Penthecostes, impletum extitit ver-
« bum illud, quod cadem die decantatur: Exurgat Deus et dissipentur
« inimici eiìis d juj^iaiit {Psalm. LXVII, A, 2). Et iterum: Mitte Spiritum
'( Sanctum iuum et renovahis faciem terre» (Psahn. CHI, D, 30). Nella
stessa già citata lettera all'Orsini e ai Fiorentini ci occorre il passo :
« Deus noster .... digitos nostros, quos ad calamum ars ipsa docuerat,
'^ docens ad bellum, etc», che si rapporta al versetto: « Bcnedictus
« Dominus Deus meus, qui docet manus meas aì\ proeliuni, et Ji-itos
« meos ad belkim » (Psalm. CXLIII, A, i): ed è anche reniiiiiseenza
biblica il passo della stessa lettera « confuiimus inl)e(),qui lecit
" mirabilia magna solus ». Ma gli esempi potrebbero continuare in
I^Mandissimo numero.
(3) Epist. lett. XXII.
432 qA. Gabrielli
vuole la pratica epistolare, la forma è nelle sue lettere
come sopraffatta dal contenuto : egli si sente incalzato dagli
eventi, ch'or gli preme di narrare al papa, ora alle città
vicine, ora agli amici più autorevoli, affinchè (dice Cola)
« Teco non ne giunga alterata dalle male lingue, e se ne
sappia piuttosto il vero della penna medesima di chi n'ò
l'attor principale ».
Quindi, minuziose e prolisse narrazioni occupano le
lettere di lui, e specialmente quelle scritte nel primo e più
fortunato periodo della sua autorità in Roma; e la nar-
ratio, che i Dictamina volevano costituisse quasi la parte
centrale della lettera, esce sempre dalla penna di Cola svi-
luppata nei più minuti particolari.
« Sappiate » - coìnincia egli a dire -, « non resti ascoso alla
« vostra Paternità » che le cose andarono cosi e cosi ; « vi
«facciamo sapere », « desideriamo che sappiate », « signi-
« fichiamo alla vostra amicizia » che questo e questo è av-
venuto I quali modi di dar principio alla narratio
(« Vestram non lateat Sanctitatem » o « Clementiam
« quod etc. » (i), « Noverit vestra Paternitas » o « Sancti-
« tatis vestre benignitas » (2), « Scire vos facimus » o « cu-
ce pimus », « Vos cupimus non latere» (3), « Amicitie vestre
« significamus » (4)) erano già inalterabilmente prescritti
dai dictatores, come abbiamo di sopra notato.
Poco o nulla è da dire su la petitio e su la conclusio.
In questa Cola usa assai di rado il vale o valete, che,
secondo l'arte epistolare, non era sempre opportuno ag-
giungere. « Et superabundanti tamen - scrive un maestro
« de' più autorevoli - a quibusdam subiungitur valete, quod
« non tamen in omnibus literis ponere estoportunum». Piut-
(i) Epist. lett. Vili, XVI, XXII.
(2) Epist. lett. Vili e XXII.
(3) Epist. lett. XII.
(4) Epist. lett. XIV.
Intorno al F epistole di Cola di ^ienio 433
tosto, egli offre a colui, cui la lettera è indirizzata, i suoi ser-
vigi nella forma che troviamo in una lettera al Petrarca (i):
« Nos autem prontissimi sumus ad singula, que vestrum
« respiciunt comodum et honorem ».
Quanto allo stile (del quale vedemmo distinguersi due
maniere: la naturale e Yartificiaìej e questa costantemente
consigliarsi a preferenza di quella), molti e non brevi
passi di grande chiarezza potrà, chi legga l' Epistolario
di Cola, porre accanto a periodi contorti, a lunghi brani
intricati ed oscuri. Nondimeno, anche là dove lo stile
appar gonfio ed enfatico, si ritrova sovente una non co-
mune efficacia d'espressione. Non si può, per esempio,
negare certa spontanea vigoria a molti tra i luoghi, nei
quali il tribuno difende l'opera sua: « Novit ÌDeus - scrive
« egli all'amico d'Avignone - quod non ambitio dignitatis,
(( officii, fame, honoris, vel aure mondialis, quam semper
« aborrivi sicut limus, sed desiderium comunis boni totius
« reipublice huiusque sanctissimi status induxit nos colla
(( submittere iugo adeo ponderoso attributo nostris hu-
« meris non ab homine, sed a Deo, qui novit si officium
« istud fuit per nos precibus procuratum, si officia, bene-
« ficia et honores consanguineis nostris contuhmus, si nobis
« pecuniam cumulamus, si a ventate recedimus, si nostris
« heredibus facimus compositiones, si in cihorum diilcedine
« aut voluptate aliqua delectamur, et si quidquam gerimus
« simulatum. Testis est nobis Deus de iis que fecimus et
« facimus pauperibus, viduis, orphanis et pupillis. Multo
« vivcbat quietius Cola Laurentii quam tribunus » (2).
Sembra che l'amico, a noi ignoto, avesse scritto a Cola
correr voce ad Avignone ch'ei cominciasse ad aver quasi
paura del suo nuovo stato, e Cola a smentire la f:ilsa di-
ceria: « Ad id autem quod scribitis audivisse, quod ince-
(i) Epist. lett. XV.
(2) Epist. lett. XII.
434 ^' Gabrielli
«pimus iam terreri, scire vos facimus quod sic Spiritus
« Sanctus, per quem dirigimur et fovemur, facit animum
« nostrum fortem, quod ulla discrimina non timemus: vero
« si totus mundus et homines sancte fìdei Christiane et per-
« fidiarum hebraice et pagane contrarientur nobis, non propter
« ea terreremur » .
E più sotto: « Sed frustra tumescunt maria, frustra
« venti, frustra ignis crepitat contra hominem in Domino
(( confitentem, qui, sicut mons Sion, non poterit commo-
« veri » .
Efficace è anche in molte parti - tenuto conto del
gusto letterario del tempo - l'ultima lettera scritta ai
Romani, nella quale Cola li apostrofa cosi (i) : « Que
« fella, que canina rabies fecit vos bibere sanguinem, in-
« quam, mundum, sanguinem commaternum, et iisdem
« pedibus, quibus paulo ante virum hunc repetistis, leta-
« lius letaliter impetistis, et eodem ore, quo : Fivat, vivai
« cantaveratis, eidem : Morìatur, moriatur proclamastis, et
« iisdem manibus, quibus in resumptione plaudebatis ipsius,
« eum transfodistis, distraxistis, membratimque cesis (^fc)
« cecidistis ? »
Incitando Clemente VI a negare ogni fede a' suoi de-
trattori, dice che, mercè sua, lo Spirito Santo aveva dalle
fauci leonine di costoro tratto il popolo semiglutittim (2),
e, scrivendo a Carlo IV, si paragona a un grand' albero,
che l'impeto dei venti abbia privato dei rami e delle
fronde (3). Ma, aggiunge, a provar chi egli sia, resta sem-
(i) Biblioteca Feliniana di Lucca, pluteo Vili, 545.
(2) Epist. lett. XVI: « Dignemini non credere illis, a quorum
« faucibus et ore Iconico semiglutitum populum Spiritus Sanctus
(c traxit per me ». Questo passo trova certo riscontro in quest'altro
della lettera XXXI a Carlo IV: « Nulla adhibeatis fiducia verbis meis,
« donec veritas sit masticata mature maturius et digesta... ».
(3) Epist. lett. XXX : « Factus sum sterilis usque ad tempus, sicut
« arbor ventorum austeritatibus denudata ». Anche nella cit. lettera
Intorno all'epistole dì Cola di ^ien-{o 435
pre il suo glorioso passato: la sua figura seguita a dominare,
alta e maestosa, come un vecchio, castello solitario su la
vetta d'un monte (i).
Tal era l'uomo: e dove ritrovate fin qui lo scrittore di
lettere ?
Ma ecco, di nuovo, T influenza della retorica e àeìVars
dictatoria tornare ad affermarsi in certe particolarità di stile,
che il Nostro prendeva e appropriavasi dalla tradizione epi-
stolare d'allora. Cosi è^ ad esempio, per le espressioni: purae
dilectionis affectiis (2), sincerae dilectionis affectio (3), ^elum
amoris (4), usate costantemente per amore, hemvolenia e
siniiH, al modo stesso che pel verbo amare adoperavasi
spesso dagli scrittori medievali: x.^lare amorem (5). Ancora,
un tributo al vezzo del tempo sono, nelle lettere di Cola,
espressioni come : audivi auditum vestrum (^), facere facta
vestra, videre videor (7), letalius letaliter, maturius mature (8),
le quali tutte ricorrono assai frequenti nel latino dei se-
coli XII e XIII.
Importantissimo riuscirebbe uno spoglio minuto delle
forme più accette al nostro scrittore, dei vocaboli quasi
esclusivamente propri! all'epistolario di lui. Noto, per limi-
tarmi solo a qualche esempio:
al popolo romano, che trovasi alla Feliniana di Lucca, si paragona,
usando lo stile più ampolloso, a un grand'albero, che per la sua
stessa altezza è più facilmente battuto dai venti: « Arbor eminens,
« multis fecunda ramusculis, prona est ventorum procellas recipere
« et everti ».
(i) (( duis ego sim occultar! non potest, tamquam civitas sita
« super montem ».
(2) Epist. lett. XX.
(3) Epist. lett. VI.
(4) Epist. lett. XIV.
(5) Epist. lett. XVI.
(6) Epist. lett. XXV.
(7) Epist. lett. XXXI.
(8) Epist. lett. XXX.
4s6 qA. Gabrielli
a) existere usato costantemente invece di esse (i);
F) intendamus e simili invece à! intendimus (ital. inten-
diamo),
e) huiiismodi quasi sempre sostituito ad huius (2);
d) termimis declinato qual sostantivo della seconda
declinazione; esempio: « elapso prefato termino » (3);
t') parole latine affatto medievali, come : stantale (4)
(bandiera, insegna), disrobatio e disrobare (spogliare') (5:),
usate soltanto da Pier della Vigna, liga (alleanza) (6), re-
laxare nel significato di scarcerare (7), intonare e intombare, nel
senso che ha la frase: « Orbem intonizare processibus » (8);
oppure parole di bassa e corrotta latinità, quali offendicu-
ìum (9), usato la prima volta da Plinio, damnificare (dan-
neggiare) (io), di Cassiodoro, affectare per procurare, cercare
con insisten'^a e simili, come nel passo : « prò vestre desi-
« derio libertatis, quam affectamus » (n).
Più facilmente che in questa minuta analisi di forme
isolate, ci è dato vedere la relazione fra Rienzo e Yars
dictandi degli anteriori epistolografi in certi strani orna-
menti di stile, che ricorrono incessantemente nei modelli
dei dictatores. Rammentiamo, per esempio, la cosidetta agno-
minatio, per la quale essi studiavansi di riunire artificialmente
in una frase parole di suono al tutto simile^ e le alternavano
e le ripetevano e le intrecciavano variamente. Ecco qualche
(i) Veggansene specialmente esempi nelle lettere XVIII e XXI
deW Epistolario.
(2) Epist. lett. I.
(3) Epist. lett. XXIV.
(4) Epist. lett. XVIII.
(5) Epist. lett. XXVI.
(6) Epist. lett. XXIV.
(7) Epist. lett. XVI.
(8) Epist. lett. XV.
(9) Epist. lett. XVII e XVIII.
(io) Epist. lett. XVIII. ,
(11) Epist. lett. XXIX.
Intorno alTepistole di Cola dì ^enio 437
esempio ; « Traxisti miserando, trahe beatificando. O
« anima miserabiliter mirabilis, mirabiliter miserabilis, ve-
« nerabiliter amabilis, am abilitar venerabilis ! »; « Felix con-
ce ventus, felix concentus, ubi aquilo non fiat ventus » ;
« Mittimus vobis hominem plenum melle, sine felle ; plus
« enim habet mellis, quam fellis, plus amoris quam hor-
« roris; simpliciter prudentem et prudenter simplicem; tur-
« turem cum casti'tate et columbam cum simplicitate » (i).
Or bene, di questo genere d'ornamento Cola usa con
discreta parsimonia, in confronto di coloro, dai quali gliene
veniva l'esempio : niun' altra applicazione io credo potrebbe
scoprirsene nell'Epistolario, fuori che nei tre luoghi se-
guenti.
Una volta, all'abate di Sant'Alessio, scrive: « Peto pati
« quecumque Dominus passus et quecumque placuerint
« Domino prò me passo » (2). Dice un'altra volta al solito
amico in Avignone: «Si ad literas non respondimus, pro-
« cessit ex diversitate ardua et arduitate diversa negotio-
« rum » (3). E infine nella chiusa d'una lettera al figlio:
« Benedictus Benedicti benedictionem eternam » (4).
Si noti anche, fra le stranezze di stile, il seguente esem-
pio d'un curioso bisticcio o giuoco di parole: « Dicitur -
(( scrive Cola - quod pueriliter agimus : respondemus quod
« veruni est quod pure agimus, quod per pueritìam denota-
c( tur; et Deus mandat (\\iodi pueri laudent ipsum » (5).
Altri invece fra i tanti ornamenta^ enumerati dalle Artes
dictaminis, veggonsi usati dal Nostro con insolita frequenza;
come, ad esempio, la quasi costante sostituzione delle pa-
role : mea parvitas, ima humilitas e simili al semplice ego,
o la straordinaria profusione degli avverbi : quidem, equidem,
(i) Cf. Valois, op. eh. cap. III.
(2) Epist. lett. XLI.
(3) Epist. lett. XII
(4) Epist. lett. XLIII.
(5) Epist. lett. XXIII.
43^
qA. Gai
quippc, sane, profecto, scilicet, titique, videlicet, adoperati « sola]
« ornatus et bonae sonoritatis causa » .
Come dunque nelle lettere di Cola si rispecchiano e il
culto singolare per l'antichità classica e lo studio non in-
terrotto della Bibbia e le attente letture dei classici più ben
accetti al medio evo (i), vi si scorge anche indubbiamente
(pur tenendosi alle sole e scarse osservazioni che abbiamo,
come saggio, presentate) l' influenza non piccola della scuola
e della tradizione epistolare anteriore. Conclusione questa
che ognuno prevederebbe a priori, ma che non sarà sem-
brato inutile avvalorare con qualche prova.
VI.
Allo studio intorno alla parte esteriore, formale, scola-
stica dell'Epistolario potrebbe seguirne un altro, più fine e
sottile, che cercasse di cogliere nelle lettere di Cola le
successive fasi per cui andò passando e modificandosi a
grado a grado lo spirito di lui: dai primi tempi del buono
stato - quando con mirabile lucidezza d' intendimenti egli
sa concepire, se non attuare, la nuova lega delle città ita-
liane - ai giorni tristi di Praga - quando la sua mente,
perduto a mano a mano l'equilibrio altre volte serbato, ci
sembra talvolta addirittura quella d'un allucinato. Egli allora
(i) Basterà citare due soli esempi di classici citati da Cola. La
lettera XXXI dice : « Quapropter imperiali supplico Maiestati qua-
« tenus non patiatur nomen meum bonum contaminari . . . . ,
(c nam, ut Boetius noster ait, que miseri patiuntur, creduntur ah homi-
« nihus tneniisse ». (Boezio, Philosophiae consolationis libri V; Lipsia, Teu-
bner, 1871, 1, 4, 149). E la lettera XXXVIII: «Et ideo, quanto acrius
« neronizat in me, tanto tucior ad patiendum impetus iniusticie pro-
« ficiscar. Nam^ ut obmittanus allegationes sacras, sub quibus pie-
ce rumque ypocrisis delitescit, Salustius noster ait immunditias mulie-
« rihus et viris lahores convenire, et Titilivius : fortiter agere et fortiter
«pati Romanum esty>.
Intorno all' epistole di Cola di T^ien^o 439
si dice e si contradice, si difende e si accusa, oggi super-
bamente sdegnoso, domani in umile atto di pentimento
dinanzi ai suoi persecutori. Un'onda sempre crescente di
misticismo lo invade tutto, e paralizza in lui qualsiasi altra
attività del pensiero, e diventa credulo e pauroso come un
bambino : « Se un fanciullo, - dice egli medesimo - incon-
trandomi per via, mi dicesse : Trihimo, domani morrai, un
immenso terrore s' impadronirebbe di me, e temerei che
proprio dallo Spirito Santo venisse quel triste avviso » (i).
Tratti come questo sarebbero un sussidio davvero prezioso
alle ricerche dello psicologo che volesse esaminare le let-
tere nei riguardi della propria scienza.
Ma fermarci su tali considerazioni non è lecito a noi
che assai più modesto compito ci siamo proposto, e che
solamente vogliamo seguire l'Epistolario nei più importanti
fatti che gli porgono occasione.
Per poco che si rivada col pensiero la vita di Cola di
Rienzo, apparirà naturale la divisione delle sue lettere in
due principali gruppi, che corrispondono a due ben distinti
periodi della sua vita.
Tutto pieno d'avvenimenti incalzantisi senza posa, ci
si mostra nella storia di Roma l'anno 1347; ma è appena
cominciato il 1348, che già Cola è scomparso dalla vita
politica. Così chiudesi per il tribuno il primo e brevissimo
periodo d'attività. Passano due anni, e nessuno forse pensa
più al povero Cola, chiuso nella contemplativa solitudine
della Maiella: quand'ecco le esortazioni d'un santo ro-
mito smuoverlo d' improvviso dalla sua inazione e richia-
marlo dalla vita ascetica del convento alle lotte dell'uomo
politico. Cola lascia il ritiro dell'Abruzzo, si pone in viaggio
(i) Epist. lett. XLII: «.... Et sum adhuc talis semplicitatis et
« tante, quod si parvulus unus puer transeunti milii per viam diccret:
« Tribune, cras procul dubio morieris, ego an Spirltu S.mcto verbum
aillud existeret, formidarem . . , Sed vos, domini s.ipicntes, estis ita
«animo excellentes,quod formidatio huiusmoJi non subintrat I ».
440 Q/ì. Gahìnelli
per la Germania, presentasi a Carlo IV in Praga e gli espone
i voleri di Dio. Cosi per l'antico tribuno comincia un periodo
nuovo d'attività, rappresentatoci dalle lettere a Carlo IV,
all'arcivescovo di Praga, al cancelliere Neumark, nelle quali
si rispecchiano i moti intimi dell'anima sua, si ripercuotono
le sue sofferenze, si riflette insomma tutta la non lieta storia
della sua prigionia, ch'ebbe fine, insieme col relativo pro-
cesso, nel 1352.
La morte di Clemente VI fu, com' è noto, la salvezza
di Cola. Innocenzo VI, divenuto papa nel dicembre 1352,
non solo cessa di perseguitare il tribuno di Roma, ma si
serve anzi di lui, quando invia il cardinnle Albornoz a ri-
conquistare il patrimonio della Chiesa. Cola, rimasto dap-
prima a fianco del cardinale nella guerra contro il Di Vico,
ritorna poscia da Perugia a Roma, non più tribuno, ma
senatore. Può questo dirsi l'ultimo bagliore della gloria di
lui, e noi non possiamo ripensarvi senza deplorare che nes-
suna luce getti su di esso l'Epistolario.
Basta dunque fermarsi unicamente alla distinzione nei
due primi gruppi. Quale differenza fra le lettere del 1347
e quelle del 1350! Quale mirabile chiarezza di concepi-
menti nelle prime, dirette a Governi e a signori d'ItaHa, al
papa, ad altri personaggi della corte avignonese! E che
vivo e strano contrasto esse presentano colle posteriori
del 1350!
Tutte le lettere del primo gruppo appartengono al 1347,
tranne una, che Cola scrisse al popolo romano nel 1343
per dar conto della sua ambasceria presso Clemente VI (i).
All' infuori di questa, non ci è pervenuta alcun' altra lettera
che il Nostro abbia composta prima della sua elevazione
al tribunato. In conseguenza, 1' Epistolario non dà, e non
può dare, particolari di sorta intorno ai mezzi coi quali Cola
andò preparando il rivolgimento che meditava.
(i) Epist. lett. I.
Intorno alV epistole di Cola di ^en^o 441
La prima lettera scritta da Cola nella qualità di tribuno
porta la data del 24 maggio 1347, quindi^ di soli tre giorni
dopo quello memorabile di Pentecoste, in cui egli fu ac-
clamato nuovo signore di Roma. Per mezzo di essa, Cola
dà egli medesimo, indirizzandosi al comune di Viterbo, no-
tizia del nuovo stato instauratosi nella città (i). Due set-
timane appresso, scrive le stesse cose ad altri Stati e città
d' Italia, come può vedersi nelle lettere del 7 giugno. Ri-
vestono queste la forma, nel medio evo molto frequente,
di circolare, e a noi non pervennero che negli esemplari
destinati ai Governi di Firenze, di Perugia e di Lucca (2).
Quello che venne tramandato dal Chronicon Mutinense (3)
è soltanto un riassunto della circolare, diretta anche ai Mo-
denesi. Sappiamo però con certezza che le stesse cose, in
forma pressoché uguale, furono scritte a Todi, a Siena,
a Pisa, a Mantova e fors'anche ad altre città italiane (4),
nonché agli Estensi in Ferrara e ai Visconti in Milano. Dal
duca Gonzaga, già assai potente in Mantova, Cola si con-
tentò d'invocare una parola di raccomandazione, affinchè
la lettera da lui indirizzata alla comunità fosse accolta be-
nevolmente (5).
Subito in queste prime lettere comincia a disegnarsi il
progetto concepito da Cola, ed esso veramente ci appare
anche oggi d'un uomo di genio. Trattavasi di costituire
un'Assemblea italica, nella quale le nostre principali città
(i) EpisL lett. II.
(2) EpisL lett. Ili, IV, V.
(3) Muratori, Rer. It. Scr. XV, 108.
(4) Intorno all'esistenza di questa lettera interrogammo successi-
vamente le Direzioni degli archivi di Siena e di Todi, di Mantova e
di Pisa. Gli archivisti comunali di Siena di Todi risposero, l'uno il
23 gennaio, l'altro il 17 febbraio 1888, che dopo attente ricerche non
avevano punto rinvenuto la circolare richiesta ; e la mancata risposta
degli archivisti di Mantova e di Pisa fa supporre, anche per questi
altri due esemplari, un resultato ugualmente negativo.
(5) Epist. lett. VI.
442 qA. Gabrielli
dovevano essere tutte rappresentate con ugual numero di
voti, e che doveva discutere e risolvere le querele dei sin-
goli Stati della penisola, esaminare le questioni d'interesse
generale e rappresentare Y Italia di fronte ai paesi esteri. In
questo grande Consiglio - si vede chiaro - Cola voleva
trovar modo di dare alla sua Roma la preponderanza e
il primato.
Mentre il nuovo tribuno va cosi delineando quella che
oggi diremmo la sua politica estera, non lascia di metter
sott'occhio alle città italiane, cui si dirige, i notevoli mi-
glioramenti operati nell' interno della città, consistenti, se-
condo lui, specialmente nella quasi miracolosa cessazione
dell'intestine discordie e nella sicurezza riacquistata dalle
strade che solevan percorrere i pellegrini nel recarsi a vi-
sitare la tomba degli ApostoH. A questo proposito, si noti
come quest'uomo, sulla cui azione politica non cessò mai
di pesare straordinariamente l'influenza d'una fede reli-
giosa viva e ardentissima, non trovava motivo, che, a parer
suo, fosse più acconcio di quello addotto a procurargli il
favore di tutta l' Italia : e e insisteva, e ci tornava su ad
ogni occasione con mal celato compiacimento.
Ma più ancora che l'amicizia degli altri governi italiani,
importava a Cola, per molte ragioni, acquistarsi quella dei
Fiorentini. A questi pertanto ei non si tien pago d'aver
diretta la suaccennata circolare, ma, verso la fine di giu-
gno, invia pure quattro ambasciatori romani coli' incarico
d'esporre a voce il suo pensiero (i). La credenziale, con cui
questi erano accreditati presso la Signoria, è data per in-
tero dall'Epistolario (2).
TaU i primi atti di Cola, sui quali il corpo delle sue
(i) Gli ambasciatori furono quattro, e non (come altri disse)
cinque. Cf. il mio scritto pubblicato ntW Archivio della R. Società Ro-
mana di storia patria, XI (1888), 183.
(2) Epist. lett. VII.
Intovìio alFepistole dì Cola di T^tew^o 443
lettere sparge non poca luce. Ma, in mezzo a così repen-
tini mutamenti operatisi in Roma, non poteva il tribuno
celarsi gli obblighi, che il -nuovo stato a lui creava verso
la corte d'Avignone, né trascurare i rapporti fra il papa
e la nuova repubblica. Che le preoccupazioni di Cola sotto
questo riguardo fossero in principio assai vive, com' è atte-
stato dalle fonti indirette della storia di quel periodo, cosi
è ripetutamente comprovato dalle lettere di lui.
Riferendoci, entro i limiti del nostro scritto, solamente
a quest'ultime, dobbiamo dire anzitutto che la corrispon-
denza tra Clemente VI e Cola di Rienzo non cominciò
colla prima lettera che di quest'ultimo ci sia pervenuta,
diretta al papa 1' 8 di luglio (i). Già Clemente VI aveva,
il 26 di giugno, mandata al tribuno e al proprio vicario
Raimondo, vescovo d'Orvieto, un' epistola cumulativa, la
quale fu tosto seguita da un'altra, indirizzata il 27 di giugno
al popolo romano (2). Anche Cola, come si desume dal-
l'esordio della citata sua lettera al pontefice, aveva, prima
che con quella, con un'altra missiva notificato a Clemente VI
il nuovo stato sórto in Roma. Ad ogni modo, la lettera dell' 8
luglio è, tra le non molte pervenuteci, la prima, dove i rap-
porti del tribuno colla curia trovino una quasi completa
illustrazione.
Bene intende Cola per quale via riesca a lui più facile
guadagnarsi l'animo del papa, e indovinando la soddisfa-
zione, con cui Clemente avrebbe appreso che, mercè il
nuovo regime, le più baldanzose e potenti famiglie patrizie
di Roma avevano, loro malgrado, abbassata la testa, si ferma
in modo speciale su questo punto. E in realtà, fin dai primi
giorni del nuovo stato, i più illustri baroni, e primo il
vecchio Stefano Colonna, avean dovuto lasciare la città e
ritirarsi nel contado. Poscia, chiamati alla presenza del
(i) Epist. lett. Vili.
(2) Pubblicate entrambe in: Papencordt, op. cit. doc. in e iv.
444 ^' Gabrielli
nuovo tribuno, gli avevano giurato obbedienza sul corpo
di Nostro Signore, obbligandosi a non combattere mai con-
tro di luì, a non dare asilo a masnadieri, a star sempre
pronti al suo comando. Le leggi, che seguirono poco ap-
presso, contro i nobili sono abbastanza note. — Decretai
- dice Cola nell' accennata lettera - « quod nullus Romanus
« deinde auderet aliquem, nisi solum Sanctam Ecclesiam
« Sanctitatemque vestram in dominum nominare, ut co-
« gnoscat Romanus populus se alii quam Deo Sanctaeque
« Ecclesiae ac summo pontifici non subesse; et quod nul-
« lam armorum picturam Ursinorum, Columnensium, Sa-
« bellensium et aliorum quorumcumque magnatum, quibus
« singulae Romanae domus erant inscriptae, haberent in
« domibus suis, deferrent in scutis, nisi solum arma Sanctae
(c Ecclesiae Sanctitatisque vestrae et Romani populi » (i).
Nel tempo stesso, per far fronte alle spese, Cola, fra i primi
atti del suo governo, ordina un notevole aumento nella
tassa focatico (2).
Questi ed altri fatti del mese di giugno, già segnalatici
da altri documenti, vengono con. sufficiente estensione ri-
cordati dalla citata lettera dell' 8 luglio a Clemente VI, e
confermati da quella seguente, che Cola dirigeva, ai quindici
dello stesso mese, al già ricordato suo amico, residente in
Avignone (3). Qui però si annunziano anche altre leggi da
mettere fra le prime del tribunato, quali, ad esempio, Tas-
soluta proibizione del giuoco dei dadi, le pene sancite contro
la bestemmia, i mezzi di repressione del concubinaggio.
Insomma, per quanto riguarda le prime manifestazioni della
politica di Cola, le due lettere ricordate hanno un'eccezio-
nale importanza e servono cosi a dar notizie nuove, come
a controllarne di già date dalla Vita dell'Anonimo e dalle
diverse fonti indirette.
(i) Epist. pp. 21-2.
(2) Epist. lett. Vili.
(3) Epist. lett. XII.
Intorno alVepistole di Cola di '^en\o 445
Frattanto, gì' ideali e le speranze, che agitavansi entro
lo spirito esaltato di Cola, lo portavano naturalmente a
vagheggiare la solennità di quella ben nota incoronazione,
ch'egli annunziò alle città italiane con lettera dei 9 di lu-
glio, della quale soltanto le versioni indirizzate a Firenze,
a Lucca ed a Mantova sono pervenute fino a noi (i).
Agli strani e curiosi concetti, che nei secoli xii, xiii
e XIV s'eran venuti formando sul conferimento delle corone,
quale, secondo l'opinione del medio evo, s'usava nel-
l'antica Roma, non poteva sottrarsi l' immaginosa ed en-
tusiastica natura di Cola (2). Doveva a lui sembrare in-
dispensabile che alla sua promozione a cavaliere, annunziata
per il primo d'agosto, seguisse la solenne incoronazione
col tribunizio alloro. L'una e l'altra solennità viene per-
tanto da lui annunciata nel tempo medesimo e nella me-
desima lettera.
Or giudicherebbe assai male chi nella promozione di
Cola volesse quasi vedere la prova di un innegabile di-
squilibrio nelle sue facoltà intellettuali. Ognuno che abbia
studiato nei principaU suoi aspetti la vita del medio evo,
riconoscerà facilmente che, intitolandosi cavaliere dello Spi-
rito Santo, Cola di Rienzo seguiva semplicemente delle
costumanze già da molto entrate nella civiltà medievale.
Né è un' innovazione del romano tribuno quel carattere
mistico e religioso ch'egli diede alla cerimonia, perchè non
da allora soltanto il cristianesimo erasi infiltrato nel ceri-
moniale dell'antica cavalleria e v'aveva lasciata la sua im.
pronta.
I vari e ben noti atti, onde si compose la solenne
promozione, nulla contengono in sé, che esca o si discosti
da usanze già invalse. La Vita e le cronache narrano che
la notte precedente al primo d'agosto Cola dormì nella
(i) Epist. leu. IX, X, XI.
(2) V. Papencordt, op. cit. p. 118.
Archivio della R. Società romana di ttoria patria. Voi. XI 30
44^ G/^. Gabrielli
chiesa di San Giovanni in Laterano; ma già da un secolo
la veglia dell'armi era negli usi cavallereschi. Quando ac-
canto al rito laico, col quale creavansi i cavalieri, s' intro-
dusse parallelamente, e con maggior fortuna, il rito eccle-
siastico, questa vegha fu forse la più importante innovazione
del nuovo cerimoniale (i), se pure innovazione può chia-
marsi, quando si ponga mente che, a prescindere dalle
grandi veglie liturgiche di Pasqua e di Pentecoste, già
un notissimo testo dei primi anni del secolo xii (2) parla
di lunghe veglie, dove si cantavano le gesta degli eroi e le
vite dei santi.
1^0 stesso è a dire del famoso bagno, che Cola prese
nella vasca di San Giovanni in Laterano, dove, secondo
la leggenda, Costantino fu battezzato e mondato dalla lebbra.
Un tale uso, secondo un'assai verosimile opinione (3), nulla
aveva in sul principio di simbolico, ma era un vero atto
d'igiene; in seguito, però, la sua somiglianza col battesimo
non tardò a imprimergli un carattere affine al primo sa-
cramento della religione cristiana.
Dopo la veglia del nuovo cavaliere, spuntata appena
l'alba, il cerimoniale prescriveva che si celebrasse la messa
e quindi avesse luogo un solenne banchetto. Anche in ciò
la promozione di Cola di Rienzo riproduce 1' uso comune,
e prima egli assiste alla messa, celebrata dal vescovo Rai-
mondo d'Orvieto, poscia si asside con lui al rituale ban-
chetto.
Nello stesso giorno (1° d'agosto). Cola fa pubblica-
mente la nota dichiarazione dei diritti che competono al
popolo romano e la citazione agli imperatori e agli elet-
tori (4) : il 2, consegna rispettivamente ai rappresentanti
(i) L. Gautier, La chevahrie; Parigi, 1884.
(2) Vita S. Willelmi (Ada Sanctorum maii, VI, 811).
(3) Gautier, op. cit.
(4) Cf. Re, op. cit. p. 217.
lìitorno all'epistole di Cola di %ienio 447
di Perugia, di Firenze, di Siena e di Todi uno stendardo
(stantale) figurato, pegno della sua immutabile amicizia (i).
Infine, il giorno dell'Assunta (15 agosto) ha luogo la
coronazione (2).
Intorno a questi fatti notissimi, le varie biografie di
Cola danno sufficienti particolari, tratti dalle fonti sincrone.
Ma, meglio che dagh altri biografi, queste vennero utiliz-
zate dal Papencordt, nel cui libro la pittura di quei ca-
ratteristici quadri, che solo il medio evo può darci, appare
abbastanza viva e colorita. Nei riguardi dell'Epistolario di
Cola, rimane soltanto ad aggiungere che la più importante
lettera, in cui egli parli del bagno sacro, è indirizzata a
Clemente VI (3). Il tribuno aveva cominciato a comporla
avanti il primo d'agosto; ma obbligato a tardarne l'invio
«propter nuncii tarditatem», aggiunge a ciò che aveva scritto
il 27 luglio, l'annuncio dell'avvenuta sua promozione a ca-
valiere e della consegna degli stendardi alle varie città.
Ancora dopo la festa dell'Assunta, Cola torna a scri-
vere al papa, giustificando il suo operato e dicendo che
soltanto i suoi nemici potevano metterlo in mala vista
presso Clemente VI. La lettera, infatti (4), ha questo
esordio : « Ne dolosarum linguarum astutia Vestra
« Clementia suspectum teneat, de cognitione meae
« puritatis auditum praesens litera Sanctitati vestrae trans-
« mittitur, veri nuncia, mendacii inimica et dolo obvia
« alicuius, qui ex acuta lingua, ut gladio in iaculatum sa-
« gittarum, nititur in occuho ». Si vede dunque come
fin d'allora Cola nutrisse il timore di destare gravi sospetti
nella curia, mostrataglisi nei primordi del tribunato abba-
stanza benevola.
(i) V. Chronicon Estense; Papencordt, op. cit. p. 133 e sgg. ;
RODOCANACHI, Op. Cit. p. I56.
(2) Papencordt, op. cit. p. 137.
(3) Epist. leu. XVI.
(4) Epist. lett. XXII.
448 qA. Gabrielli
Ma per tornare, colla guida dell' Epistolario, ai più no-
tevoli avvenimenti del luglio, ci occorre rivolgere per poco
la nostra attenzione alle lotte che Cola affrontò nel Patri-
monio in difesa del nuovo regime. Domati i baroni ro-
mani, egli diede opera a debellare i due più ostinati e po-
tenti avversari che resistevano al suo governo. Uno di
questi era il forte e fiero Giovanni Di Vico.
Sull'importanza che quest'antica famiglia ha nella storia
di Roma medievale richiamò già l'attenzione degli stu-
diosi il dott. Carlo Calisse (i), né giova ora spender su
ciò altre parole. I Di Vico non furono soltanto signori po-
tentissimi in quella parte del territorio, che si chiamò Pa-
trimonio di San Pietro in Tuscia, ma rivestirono anche,
quasi per trasmissione ereditaria, la carica dì prefetti ur-
bani in Roma. In questa famiglia si perpetuò, come per
diritto acquisito, la prefettura, che, restaurata dagli Ottoni,
stava a rappresentare in Roma l'autorità imperiale. Neces-
sariamente, «la cupidigia di regnare trasse i Di Vico a
« star sempre in armi, or contro i papi, or contro il co-
« mune di Roma, che non cessavano, gli uni e l'altro, per
« ragioni diverse, di rivendicare a sé la signoria dell'antico
« ducato romano. E per sostenersi nella lotta ineguale, i
« Di Vico usarono di accomunare la causa loro a quella dei
« nemici della Chiesa o del Campidoglio; quindi fautori di
« scismi, seguaci d'antipapi, ghibellini, nemici di ogni de-
ce mocrazia, pronti sempre a trar vantàggio dal disordine^
« che spesso a ragion veduta provocavano » (2).
Giovanni Di Vico, succeduto nella prefettura urbana
a Manfredi Di Vico (1337), ci appare, più degli altri suoi
antecessori, avido di dominio e di gloria. Aveva comin-
ciato col prendere Viterbo; poi s'era acquistato Vetralla,
(i) I prefetti Di Vico, nelV Archivio della R. Società Romana di storia
patria, X (1887).
(2) Calisse, op. cit. p. 7.
Intorno alF epistole di Cola di ^ien^o 449
Toscanella, e gran parte del Patrimonio. Il papa da Avi-
gnone lanciava scomuniche, ed egli proseguiva noncurante
il suo cammino. Poteva dunque l'altèro prefetto piegarsi
dinanzi alla nuova signoria di Cola di Rienzo?
Già nella prima lettera al papa, da noi ricordata (i),
il tribuno scriveva d'aver dichiarato il Di Vico decaduto
dall'ufficio di prefetto per non aver egli risposto all'inti-
mazione frittagli, di restituire al popolo romano la fortezza
di Rispampani, posta fra Toscanella e Vetralla. Quindi,
anche dopo l'S di luglio (data della lettera sopra detta).
Cola continua ad informarci colle sue parole delle vicende
per cui passa la guerra contro il prefetto: la lettera XII
è scritta appunto nel tempo che l'esercito del tribuno te-
neva assediata Viterbo, dov'eransi ridotte le forze di Gio-
vanni.
Per quest' impresa, abbastanza grave. Cola s'era pro-
curato, oltre le cittadine e le mercenarie, anche milizie al-
leate. Già la citata lettera VII, colla quale s'accreditano
quattro ambasciatori presso la Signoria, aveva lo scopo di
persuadere i Fiorentini a mandare aiuti alla Repubblica ro-
mana. Ma quelli non si mostrarono troppo solleciti a ri-
spondere all'invito, e la guerra del luglio contro il pre-
fetto sembra che fosse compiuta senza le milizie fiorentine.
Solo Giovanni Villani (2) dice che Cola ottenne dalla
Signoria cento cavalieri, e promesse di nuovi soccorsi. Sap-
piamo però con certezza che Perugia gli mandò centocin-
quanta cavalieri, Siena cinquanta per tre mesi (3), ed altri
gliene somministrarono Corneto, Narni, Todi (4).
Nel novero delle lettere dirette a Firenze, la nota cre-
denziale è ben presto seguita da un'altra lettera del 19 lu-
(i) Epist. lett. Vili.
(2) Cronaca, lib. XII, cap. 90.
(3) Cronaca Sanese in Muratori, Rer. It. Sor. XV, 118.
(4) Vita, I, 16.
450 qA. Gabrielli
glio (i), in cui Cola prega i Fiorentini di non concedere
il passaggio sul loro territorio a talune milizie, che il
Di Vico aveva assoldate in Lombardia; ma, prima forse che
questa lettera giungesse alla propria destinazione, già il pre-
fetto era vinto. La lettera a Firenze del 22 luglio 1347 (2)
non è che il lieto annunzio della tanto sospirata vittoria. Il
tribuno invita i Fiorentini ad allietarsi e a partecipare della
sua gioia, ma non lascia di soggiungere : « Gli aiuti di
soldati, che generosamente m'avete offerto, piacciavi in-
viarli ugualmente, giacché dovrò servirmene per sottomet-
tere altri audaci ribelli )> .
Con tali parole Cola alludeva evidentemente a Nicolò
Caetani, conte di Fondi, contro il quale, liberatosi del
Di Vico, rivolse le armi. Prima, però, gli prefisse un termine
di sei giorni, entro il quale egli doveva presentarsi in Cam-
pidogUo ; altrimenti, sarebbe stato dichiarato ribelle, e si sa-
rebbe proceduto a mano armata contro di lui. Questo scri-
veva Cola il 27 di luglio (3) ed evidentemente durante
il periodo dei sei giorni concessi al Caetani.
Il conte di Fondi non si piegò ali* intimazione, e una
lettera del 5 agosto al comune di Firenze (4) ed un'altra
del 6 a quello di Todi (5) dimostrano che Cola intendeva
abbatterlo coli' aiuto delle milizie mandategli dalle due città.
Ma i soldati di Firenze e di Todi protestarono di non
potere, a seconda del mandato avuto, uscire in campo fuori
di Roma; laonde il tribuno, in una specie di postscriptum,
prega i respettivi Governi di revocare, se mai lo avessero
dato, quell'ordine.
La guerra contro Nicolò Caetani presentavasi non
meno difficile dell'altra già intrapresa contro il prefetto, e
(i) Epist. lett. XIII.
(2) Epist. lett. XIV.
(3) Epist. lett. XVI.
(4) Epist. lett. XVIII.
(5) Epist. lett. XIX.
Intorno alVepistole di Cola di ^en^o 451
r Epistolario dà modo di seguirne abbastanza da presso gli
eventi. Quasi tutto l'agosto si passò nell'aspettazione, mentre
i soldati fiorentini persistevano nel rifiuto di combattere
fuori della città, e Cola per altre due volte - il 20 (i) e
il 27 (2) - scongiurava la Signoria d'obbligarli ad ubbi-
dire. Ma questa par che fingesse di non intendere un cosi
fatto latino.
Tuttavia verso la fine d'agosto Cola scrive al papa (3)
che un esercito, comandato da Giovanni Colonna, sta com-
battendo con buon esito contro il conte di Fondi, e che
Angelo Malebranca ne devasta le terre. Sermoneta, rócca
dei Caetani, era attaccata dalle milizie di Cola, le quali co-
stringevano eziandio il nemico a levar l'assedio da Pro-
sinone, che faceva parte del Patrimonio della Chiesa. Poco
dopo, anche Gaeta spontaneamente s'arrendeva: Nicolò e
Giovanni Caetani domandavano pace. Cosi è che ai 17 di
settembre Cola può affermare il Caetani essere vinto e ri-
dotto ad obbedienza (4). Ma la vittoria fu di breve durata :
nell'ottobre il conte di Fondi riprendeva le ostihtà.
A misura che le nuove di Roma erano andate giun-
gendo ad Avignone, gli umori della curia riguardo a Cola
eransi venuti peggiorando, e già nella seconda metà del
settembre si raccoglievano gli argomenti per muovergU un
severo processo (5). Possediamo un'importante lettera al
(i) Epist. lett. XX.
(2) Epist. lett. XXI.
(3) lìj'ist. lett. XXII.
(4) La lettera XXIII, dalla quale ci viene questa notizia, è diretta
.1 Rinaldo Orsini, e comincia cosi : « Post conculcationem Fundorum
« comitis, quam fecit virtus Spiritus Sancti ahsquc effusione sanguinis
i< et aliquo ictu ensis, etc. ». È chiaro però come l'espressione ahsque
effusione sanguinis non debba riferirsi che ai soli Caetani, intenden-
dosi che ad entrambi fu serbata la vita e la libertà.
(5) « Miror equidem si Clcmentie vestre prudentia*. . . flecti se pa-
ce titur dolosis suggestionibus, fraudibus et astutiis malignorum ad ali-
452 (ìA. Gabrielli
papa (i), nella quale il tribuno si difende dalle principal
accuse rivoltegli. <c Sono accusato - egli dice - con tante
accanimento, perchè ho preso il militare lavacrum nella
conca dove fu battezzato Costantino; ma o che forse ciò che
fu lecito ad un pagano, il quale mondava se stesso dalla
lebbra dell'antico errore, non sarà concesso ad un cristiano
che ha mondato un'intera città dalla lebbra della tiran-
nide ? O che forse quella pietra è più santa del tempio in cui
essa si trova, e nel quale fu sempre lecito il penetrare? E
mentre un uomo, pentito dei suoi falli, può sempre ricevere il
corpo del Signore, non potrà costui entrare in un battisterio,
quasi che questo fosse più nobile del corpo di Gesù ? » (2).
Appaiono, insomma, fin d'allora gli stessi argomenti
all' incirca che Cola ripeterà due anni dopo, quando, pri-
gioniero a Praga, tornerà sul suo passato politico, e cer-
cherà difendersi da accuse più che mai vivaci. Questo
tuttavia si può affermare con certezza : che le due celebri
giornate del primo e del 15 agosto avevano più specialmente
contribuito a peggiorare le disposizioni di Clemente VI ri-
guardo al tribuno, e a mutare in severità la primitiva be-
nevolenza.
Cola intanto si lasciava sempre più blandire dalle lu-
singhe della sua apparente fortuna. L'Epistolario nella citata
lettera XXV dà notizia di quello che parve a Cola uno dei
« quid praeter verum, et contra vestram humillimam creaturam mo-
« verit dictum, et inchoasse processus » (Epist. lett. XXV).
(i) EpisL lett. XXV.
(2) « Et si in Pelvi, in qua baptizatus extitit Constantinus, lava-
« crum militare suscepi, unde redarguor, numquid [id] quod mundando
« a lepra pagano, christiano mundanti Urbem et populum a lepra ser-
« vitutis tirannice non licebit ? Et numquid lapis existens in tempio,
« in quod intrare licitum extitit et debitum, est sanctior ipso tempio,
« quod conferret lapidi sanctitatem ? Numquid homini confesso et
« corde contrito, cui licet prò salute sumere corpus Christi, non li-
« cebit intrare concham lapideam, que etiam prò nihilo propter desue-
« tudinem habebatur, quasi increpantibus huius sine devotione factum
Intorno all'epistole di Cola di ^enio 453
suoi più brillanti successi, cioè deirambasciata speditagli
dai re d'Ungheria. Non senza celare la baldanza che ne
traeva, il tribuno osserva che quegli ambasciatori non solo
sottomisero al suo giudizio la quistione dell'assassinio
d'Andrea, ma gli chiesero anche di permettere la discesa
di re Luigi in Italia, e gli proposero una formale alleanza
(%rt). Ora, quanto all'uccisione d'Andrea, Cola rispose
che, domandandosi a lui giustizia, ei non potea negarla;
ma nulla disse intorno alla seconda richiesta, e, quanto
alla formale alleanza, assicurò bastare la semplice amicizia.
Dall' 1 1 ottobre al 9 novembre nessuna lettera del tri-
buno ci è pervenuta, la quale concorra ad illustrare gli av-
venimenti operatisi in quel breve periodo. Tra questi, spe-
cialmente uno, ricordato dalla Vita e da molte altre fra le
fonti contemporanee, ebbe una seria influenza su le sorti
del buono stalo j e fu l'arrivo del cardinale Bertrando De Deux.
Infatti, il legato pontificio, venendo da Napoli a Roma in
atteggiamento chiaramente ostile al tribuno, dava a vedere
quale ormai fosse la linea di condotta fissata dalla curia.
Da quel momento la lotta fra Cola e la corte d'Avignone,
dapprima latente, assunse il carattere di guerra aperta e di-
chiarata. Tanto più adunque si deve deplorare che non una
lettera ci conceda di scoprire il pensiero di Cola intorno
alla nuova attitudine di Clemente VI. Tale lacuna è pro-
babilmente causata dal fiitto che in quel tempo Cola rimase
quasi continuamente lontano da Roma, occupato a guer-
reggiare contro i Colonna e gli altri baroni, radunati nel
contado. Quindi è che neanche dell'episodio più interes-
sante di quella guerra - la presa di Castelluzzo - ci è dato
apprender nulla dalla penna medesima di Cola.
« introitum videatur concham nobiliorem esse ipso corpore Domini
« nostri lesu Christi ... ? Et si dicor auxisse nomina mihi et titulos
« ampliasse, coronasque varias assumpsisse, quid refert fìdci antiqua
« officiorum romana nomina cum antiquis ritibus rcnovassc ? » (Epist.
ictt. XXV;.
454 ^' Gabrielli
In qual modo si comportasse il tribuno, venuto alla
chiamata del legato papale, non occorre ricordare qui, dove
non s'ha a narrare la storia del tribunato, ma solo indi-
care i più notevoli fatti cui le lettere si rapportano. Cola,
partito di nuovo da Roma e tornato all'assedio di Marino,
non ci si rifa innanzi con lettere sue, se non quando s'accorge
che la lotta stancava ormai soverchiamente i Romani e che
doveva esser condotta a termine al più presto. Ecco infatti,
il 9 di novembre, una sua nuova lettera ai Fiorentini (i).
Egli è specialmente indotto a scrivere dal fatto che i ba-
roni armavano più attivamente che mai in Palestrina, e di
là si preparavano a invadere colle loro genti la città: man-
dassero perciò i Fiorentini nuovi aiuti, i quali, quanto più
presto fossero giunti, tanto più sarebbero stati graditi (2).
Come rispondessero i Fiorentini a quest'ultima richiesta
non sappiamo con certezza; probabilmente, secondo avevan
fatto altre volte, non ne tennero alcun conto. Nella lettera
immediatamente successiva (3), dove il tribuno dà loro no-
tizia della famosa vittoria da lui conseguita a porta San Lo-
renzo (4), non v'è accenno di sorta a soldati fiorentini che
per avventura militassero tra le file che sconfissero i ba-
roni. La stessa epistola^ che servi per i fiorentini, fu anche
inviata in Avignone ad un uomo che fin da principio erasi
mostrato per Cola assai benevolo : al cardinale Rainaldo
Orsini, arcidiacono di Liegi, il quale doveva parteciparla
al pontefice (5). L'Orsini, che fu il nono cardinale della
(i) Epist. leu. XXVI.
(2) «... amicitiam vestram requirimus et rogamus quatenus ali-
« quid, et prout vobis est habile, gentis nobis subsidium impertire :
« quod quanto fiet ceUrius, gratius tanto erit » (Epist. lett. XXVI).
(3) Epist. lett. XXVII.
(4) Veggasi il racconto di questa battaglia, cavato dalle attesta-
zioni delle fonti, in Papencordt, op. cit. p. 177 e segg., e Rodo-
CANACHi, op. cit. XVI, '210.
(5) Epist. lett. XXVIII.
Intorno al V epistole di Cola di ^enio 455
sua casa (i), copriva nella curia la carica di notaio pa-
pale. Estraneo alle vicende della casa Orsini in Roma e
vivendone lontano, aveva accolto con favore il tentativo
di Cola di Rienzo, il quale già nei primi giorni del tri-
bunato, scrivendo all' ignoto amico d'Avignone (2), lo
pregava di communicare anche al cardinale il contenuto
delle sue lettere.
Così anche stavolta Cola informa l'Orsini della vittoria,
e questa lettera è una tra le più significanti manifestazioni
della mistica esaltazione cui abbandonavasi lo spirito di Cola,
tutta piena di reminiscenze bibliche, di sogni, dì profezie,
di visioni.
Ma (è superfluo il notarlo) dalla sua stessa natura Cola
era tratto da un eccesso all'eccesso opposto. Già fu da altri
segnalata (3) quella specie di trasformazione che l'ultima
vittoria produsse in lui, e com'egli, riconoscendo per il primo
e quasi ingrandendo i propri errori, fosse preso da quella
morbosa e infantile pusillanimità, che due anni dopo non
si peritava di confessare sinceramente (4). Il tribuno vo-
leva tornare sul suo passato, portarvi rimedio, emendarlo
dove ancora poteva.
Questo brevissimo periodo di reazione alla troppo spinta
baldanza dei mesi scorsi ci è nell'Epistolario rappresentato
dalla lettera XXIX, dove, oltre ad essere da Cola medesimo
accennati gli umili e rimessivi atti compiuti a quei giorni,
annunziasi ancora la prossima venuta in Roma ,del legato,
ch'egli aveva di nuovo eletto suo collega nel governo. La
città di Aspra, insieme con Tarano, Torri, Collevecchio,
Stimigliano, Santo Polo e Selci, sì era data spontaneamente
al tribuno; ma questi, temendo ora il danno che da ciò
(i) Sansovino, L'bisloria di casa Orsina; Venezia, 1565.
(2) EpisL lett. XII. Vedi sopra, p. 444.
(3) Papencordt, op. cit. pp. 190, 191.
(4) Epist. lett. XXXV.
45^ C^- GabìHelli
poteva venire all'autorità del pontefice e volendo prima in-
tendersi con Raimondo vescovo d' Orvieto, richiama da
Aspra il luogotenente che v'aveva mandato e ch'era un Gian-
notto di Enrico.
Ma Cola non è ormai più in tempo ad arrestare il corso
degh avvenimenti, e la data di questa lettera - eh' è l'ul-
tima di questo periodo - segna il principio della vertiginosa
discesa, per la quale precipitò il tribuno del popolo romano.
Il racconto delle vicende di Cola, a principiare dal giorno
deHa sua fuga da Castel Sant'Angelo, è troppo noto, perchè
occorra rifarlo nel caso presente.
Succede il secondo periodo della vita di Cola, e, dopo
un intervallo di più che due anni, s'entra nel secondo gruppo
delle lettere sue, dal quale la figura del tribuno vien su
quasi al tutto diversa: non più l'antica baldanza, non più
l'altèra sicurezza di sé, ma l'attitudine umile d'un povero
perseguitato che lavora con ben poca fortuna a riconqui-
stare l'alto luogo tenuto per l' addietro. Due anni trascorsi
nella solitudine d'un convento perduto fra i monti non
possono non aver modificata in qualche modo la fisonomia
morale del tribuno : gran parte delle qualità proprie al suo
talento ci si mostrano affievolite o scomparse del tutto il
giorno che lo ritroviamo impetrante grazia e protezione
dall' imperatore Carlo IV di Boemia. Il carteggio ch'egli
tenne, durante il suo forzato soggiorno a Praga, coli' im-
peratore, col suo cancelliere Giovanni di Neumark e coli' ar-
civescovo di Praga, riflette interamente lo strano e inva-
dente misticismo che ormai informava la vita dell'antico
signore di Roma : le lettere, più che segnalare flitti nuovi,
presentano tutta una serie di considerazioni teologiche o
morali, ora fondate su la Bibbia, ora inspirate alle credenze
e alle profezie che a quel tempo circolavano in Francia, in
Germania, in Italia, e che annunziavano prossimo il tanto
aspettato regno dello Spirito Santo.
La fede in un prossimo principio del regno di Dio, dal
Intorno al F epistole di Cola di ^en^o 457
quale il mondo sarebbe uscito rinnovato, fu quasi il fon-
damento del Cristianesimo, e anziché scemare, s'afforzò poi
di secolo in secolo. Anche dopo il mille, quel nucleo d'idee
che aveva prodotto gli ascetici entusiasmi dei millenari,
seguitò ad animare migliaia e mighaia di credenti, e, assunte
forme ed atteggiamenti diversi, trovò nel secolo xir il suo
più celebre apostolo in Gioacchino di Fiore :
Il calavrese abate Gìovacchino,
Di spirito profetico dotato (i).
Quel povero monaco, che con picciol numero di seguaci
erasi ridotto ad abitare poche e misere capanne su le falde
del Sila, ma che aveva pur predetta la morte al Barbarossa
e fatto tremare Riccardo Cuor di leone, apparve al medio
evo come il suo nuovo oracolo, come il suo profeta. Tosto
la leggenda s' impadroni di lui, e narrò come Yoììo che ar-
deva su la sua tomba bastasse ad oprar miracoH d'ogni ge-
nere (2). Il nome di Gioacchino di Fiore diventò quasi il
simbolo, sotto il quale, benché il monaco calabrese non
fosse stato in realtà che un teologo abbastanza ortodosso,
fu combattuta la guerra contro la curia romana. Il grande
movimento francescano scaturì direttamente, se non dal-
l'azione personale, certo dall' influenza di Gioacchino di
Fiore. Or chi non sa che quel tentativo, ascetico in appa-
renza, celava alti fini politici e sociali ? Quando si predicava
la povertà essere il sommo e l'unico bene, e s'additava
all'uomo una perfezione ben diversa da quella, di cui la
Chiesa ha il segreto, non si diceva implicitamente che la
Chiesa doveva finire e far posto a una società nuova ?
Mentre ancora Gioacchino viveva, la fama di lui era
giunta fin ncll' Oriente, e di là un eremita del monte Car-
melo, Cirillo, dotato anch'esso di spirito profetico, gli scri-
(i) Dante Alighieri, Farad. XII, 140-141.
(2) Gervaise, Histoire de l'ahbé Joachim; Parigi, 1754.
458 ^. Gabrielli
veva per sapere il significato d'una visione da lui avuta (i).
Avvenne pertanto assai naturalmente che, in seguito, si as-
segnasse all'abate calabrese un precursore in questo Cirillo,
che morì molto prima di Gioacchino.
Cosi le profezie di questi due eletti di Dio, a misura
che la schiera dei gioachimisti andava ingrossando, erano,
insieme a molte altre, addotte in testimonio per dimo-
strare vicinala sostituzione d'una Chiesa povera e monastica
alla Chiesa ufficiale. S'aggiungevano inoltre le numerose
attestazioni della Sacra Scrittura, e tutte le più vive imma-
gini dei libri santi erano prese a prestito per dipingere a
foschi colori i prossimi castighi che preparavansi ai prelati
empì e mercenari. Gli abusi del potere temporale della
Chiesa erano insomma perseguitati con tale violenza da farci
credere che le cause d'una rivoluzione religiosa esistevano
latenti già fino dal secolo xiii.
Nel secolo xiv, anche dopo le condanne di varii papi
e specialmente di Bonifacio Vili, le idee gioachimiste se-
guitarono, a traverso la formazione delle tante altre sètte
affini, ad agitare e ad appassionare gli spiriti : la certezza
della vicina era dello Spirito Santo rimase ugualmente fissa
nelle menti e nei cuori.
Il soffio di tutte queste idee era forse appena arrivato a
Cola di Rienzo prima ch'ei prendesse stanza tra i fraticelli di
monte Maiella, i quaHne erano naturalmente apostoli caldi e
instancabili. Ma quanto più tardi le generali aspirazioni ven-
nero a conoscenza di Cola, tanto più dovettero invaderne lo
spirito, trovando nella natura sua il terreno più adatto che
mai si possa immaginare. Da una parte si gridava al tri-
buno: guerra alla corte avignonese; dall'altra gli si an-
nunziava vicino un nuovo regno dello Spirito Santo. Come
non accogliere lietamente quel primo invito? E come
non pensare che a lui, al salvatore di Roma, all' inviato
(i) Gervaise, op. eh. II, 383,
Intorno air epistole di Cola di ^en^o 459
di Dio, non dovesse nella nuova era toccare la parte prin-
cipale ?
Quando dunque frate Angelo si fece a richiamarlo alla
vita del secolo e a significargli le grandi cose che doveva
compiere, Cola trovavasi già apparecchiato ad accettare il
consiglio. «Il regno dello Spirito Santo s'avvicinava: egli
era chiamato a fondarlo». Questa l'idea che ormai domina
Cola e che lo conduce a Praga; questo il concetto che
informa pressoché tutte le lettere del secondo periodo." Ogni
volta che scrive air imperatore, al papa, a* prelati. Cola di
Rienzo 'non è più che una voce del suo tempo ; ciò che
noi leggiamo non è che la ripetizione di quanto cento altri ,
mille altri uomini andavano proclamando d'ogni parte. I
nomi di Gioacchino di Fiore, di Cirillo, di Merlino, che
ricorrono assai di frequente nelle sue lettere, sono sufficiente
attestazione delle idee, dalle quali egli era dominato. « Iddio
voleva fino dal tempo di san Francesco punire gli uomini
degeneri, ma T intercessione del poverello d'Assisi e di
san Domenico fermò la sua mano onnipotente. Ora però
la divina vendetta sta per iscoppiare, e l'era dello Spirito
Santo è vicina. Un uomo sarà chiamato, una cum cheto im-
peratore, a riformare il mondo ». Cosi dicevano le profezie.
E le stesse cose scrive Cola, appena giunto a Praga (i),
nella prima sua lettera a Carlo (2). Ma questi non risponde,
(i) L'arrivo di Cola in Praga è posto sotto due date diverse: il
Chronicon Ar^entinense ritiene la data della seconda quindicina di lu-
glio; la Vita invece assegna la data del i** agosto. Noi crediamo da
preferire alla seconda la prima data, perchè altrimenti, dal 1° al
15 agosto, troppi avvenimenti sarebbero accumulati. Difatti^il 17 agosto
già il papa rispondeva alla lettera colla quale Carlo IV gli comuni-
cava l'imprigionamento di Cola, e che doveva quindi essere stata
scritta almeno il 7 o T 8 di agosto. S' aggiunga che l'espressione di Cola
medesimo: «... dum per memes triginta quadam arta vita laborassem »
{Episl. lett, XXX) porta a credere che trenta mesi giusti siano corsi
dalla fine del tribunato airarrivo in Praga.
(2) Epist. lett. XXX.
4^0 qA. Gabrielli
e lo mette sotto custodia. Toma egli allora a scrivere (i),
narrandogli la nota storia della propria origine imperiale (2),
e stavolta V imperatore risponde che su questa non poteva
dare alcun giudizio ; che alle addotte profezie egli non pre-
stava alcuna fede; che se i vicari ecclesiastici mandati in
Italia ogni dì più la sgovernavano, non ispettava a lui il
punirli (3). Cola ritenta la prova in una terza lettera (4),
ma Carlo IV, che doveva in gran parte al papa la sua ele-
zione e la cui politica s'era sempre più accostata a quella
d'Avignone, non se ne dà per inteso. E invero la prigionia
di Cola, anziché all' imperatore, dovevasi a Clemente VI
e agh ecclesiastici che lo dirigevano.
Alle antiche accuse, riflettenti gli atti compiuti da Cola
durante il tribunato, venivano ora ad aggiungersene delle
nuove e più gravi, provocate dalle opinioni eterodosse che
Cola esprimeva. Se quelle idee avessero soltanto rappre-
sentato le utopie d'un esaltato, forse la curia non se ne
sarebbe data pensiero. Ma la Chiesa andava combattendo
cosi fatte aspirazioni da più d'un secolo, e doveva neces-
sariamente vedere con sospetto farsene eco un uomo che
cosi considerevole parte aveva rappresentata nella politica
di quel tempo. Di qui le persecuzioni contro Cola, nelle
quali una cosa sola si nota con certa meraviglia : ch'esse
non siano state assai più aspre e violente.
Cola citava Gioacchino di Fiore e gli altri più diffusi
scrittori di profezie, e la curia non cessava di dichiararli
falsi e mendaci. « Assai mi meraviglio - scrivevagU l'arci-
vescovo di Praga - che tu dia cosi illimitata fede a pro-
fezie apocrife, delle quah un vero cristiano non può, senza
grande temerità e senza pericolo per l'anima sua, affer-
(i) EpisU lett. XXXI.
(2) Papencordt, op. cit. p. 64.
(3) Papencordt, op. cit. doc. xiv.
(4) Epist. lett. XXXII.
Intorno all'epistole di Cola di ^iew^o 461
mare la veridicità. Su ben altre fondamenta tu dovresti
elevare la tua difesa ! » (i).
Tutto ciò non è nuovo: Cola da un lato, e dall'altro
l'arcivescovo di Praga non ci rappresentano se non un
certo momento d'una lotta da gran tempo accesa e pro-
lungatasi.
Ma l'Epistolario presenta anche un altro lato che do-
vrebbe, a parer nostro, studiarsi di proposito e contraporsi
alle costanti tradizioni della curia: si dovrebbero, cioè, te-
nere nel dovuto conto i concetti meramente poHtici che
Cola di Rienzo propugna in questo secondo gruppo delle
sue lettere. Noi ci contenteremo d'accennarvi fugacemente.
A che mirino tutte le lettere scritte da Cola in Praga,
occorre appena ricordare : egli chiedeva a Carlo IV di po-
tere, colla stessa autorità avuta in passato, presentarsi di
nuovo al popolo romano. Ma già il titolo, che Cola doman-
dava d'assumere, era ben diverso: non doveva esser più
il tribuno che scongiurava il papa a lasciare Avignone e a
tornare in Roma, ma solo un vicario dell' imperatore, con
imperiale plenipotenza. E anzi. Cola suggeriva a Carlo IV
di farlo partire occultamente, prudentemente, senza strepito,
cosicché il suo ritorno in Roma riuscisse una vera sorpresa.
Basterebbe, forse, un tal finto a dimostrare come il con-
cetto ghibellino si fosse fatto strada nell'animo del tribuno ;
ma una ben più sicura conferma ne danno molti luoghi
delle lettere a cui ci riferiamo. Infatti, le teorie ghibelline,
che vanno dall'ossequioso riserbo del De monarchia alle au-
dacie del Defensor pacis, e che diventate, da filosofiche,
politiche, erano state dalla curia dichiarate eretiche dopo il
famoso libro di Marsilio da Padova e dopo la lotta con
Ludovico il Bavaro, fanno apcrtnmente la loro comparsa
negli scritti di Cola. Per questa ragione il tribuno aveva
trovato un alleato potente anche nel Petrarca, sebbene questi,
(i) Papencordt, op. cit. doc. xviii.
Archivio della li. Società romana di storta patria. Voi. XI, 31
4^2 qA. Gabrielli
in realtà né guelfo, né ghibellino, s* inspirasse a un concetto
eminentemente italico ed eminentemente nazionale. Egli
pertanto diede a Cola il suo appoggio, finché le idee di lui
si rivolsero alla restaurazione di Roma e d'Italia, e l'abban-
donò quando il tribuno volle spingersi eziandio oltre le Alpi.
Nella prima lettera indirizzata a Carlo IV (i), Cola offre
all'imperatore il proprio aiuto, nel caso che voglia recarsi
in Roma, e promette d'acquistargli il favore di quegli stessi
fra gli Stati d' ItaHa, che più si mostravano avversi all'im-
pero. E anche più chiaramente s'esprime nella lettera XXXI:
« Destati adunque - egli scrive all'imperatore- e impugna
validamente la tua spada, perché, come non devi esser tu
il clavigero {clavigcrus), cosi non deve il pontefice esser
V armigero (armigerus) : la spada, che fu data a Cesare, fu
negata a Pietro » .
Cosi il concetto della divisione tra la spada e il pastorale
trova in Cola un sincero aderente. Ma nella medesima let-
tera egli aggiunge : « Or mentre tutti gli altri Stati godono
pace e tranquillità, le provincie rette da uffiziali ecclesiastici
sono dalla inerzia e dalla cattiveria di costoro trascinate di
male in peggio . . . Quanto megHo sarebbe che ciò eh' è di
Dio, si desse a Dio, ciò ch'é di Cesare, si desse a Ce-
sare! ». E continua ad accusare il papa e i cardinaH, che
proclamano giusto ciò che fa loro comodo, ingiusto ciò
che non li soddisfa nell'illegittime aspirazioni, e che, do-
vunque si veggono contrariati, stan pronti col fulmine delle
scomuniche. Per tal modo, approvano oggi ciò che con-
dannarono ieri! (2).
Opinioni di tal fatta, espresse con franca parola, spie-
gano come Cola non riuscisse ad ottener nulla neanche dal
Neumark e dall'arcivescovo di Praga, ai quali si diresse dopo
che vide inutile lo sperare nell'imperatore.
(1) Epist. lett. XXX.
(2) Epist. cit. lett. XXXI.
Intorno alV epistole dì Cola di ^'enjo 4^3
La vita di Giovanni di Neumark, l'alto luogo da lui
tenuto nella corte di Boemia, le sue relazioni con Carlo IV
e col Petrarca, offrirebbero tèma a un'interessante mono-
grafia. Il Papencordt, accennando all'importanza ch'ebbe
quel personaggio nella politica d'allora, prometteva di pub-
blicarne varie lettere inedite, e la promessa sarebbe certo
adempiuta ormai da gran tempo, se l' immatura morte non
avesse troncato gli studi del geniale storico tedesco. Cosi,
ora, chi non intenda d'imprendere studi affatto speciaH,
s'accontenta, quanto alNeumark, di ricordare come, al tempo
della dimora di Cola in Praga, sebbene non peranco can-
celliere dell'impero (i), ma semplicemente canonico di
Breslavia e di Oltmùtz, egli tuttavia potesse, se voleva,
occuparsi con frutto della sorte del tribuno.
La prima lettera, colla quale Cola si volse al Neumark (2),
rivela nello scrivente una perfetta conoscenza cosi dell'uomo
al quale s' indirizza, come delle tendenze e dei gusti di lui...
E intendo gusti letterari, dacché il canonico era fra i dilet-
tanti della letteratura e degli studi d'allora. Cola gli scrive
in tal forma, eh' è brutto esempio della più roboante am-
pollosità di stile, usata a dire le cose più sempHci, e che trova
nella risposta del Neumark (3) degno riscontro. Questi in-
fatti con istraordinaria enfasi porta a cielo i meriti del tri-
buno ; ma, al punto di rispondere qualcosa di meno vapo-
roso, non sa far altro, che consigliare a Cola di tacere e
obbedire ai voleri di Cesare. Dopo ciò, nuova lettera dei
prigioniero (4); ma da tutto quel retoricume vien sempre
meglio dimostrato il risultato affatto negativo delle preghiere
fatte al futuro cancelliere di Carlo IV.
(i) Tuttavia, un atto della cancelleria di Carlo IV, pubblicato
dal WiNKELMANN {Actu Imp. ined. 764) e colla data del 1350, reca
la seguente firma : Per dominum regem Johannes Noviforensis.
(2) Epist. lett. XXXIII.
(3) Papencordt, op. cit. doc. xvi.
(4) Epist. lett. XXXIV.
4^4 ^' Gabr^ielli
Anche su Tarcivescovo di Praga, Ernesto di Pardubitz,
né le antiche storie della Boemia (i), né opere più recenti
danno notizie particolareggiate. A costui, qual rappresen-
tante della giurisdizione ecclesiastica, sotto la quale Coki
più direttamente ricadeva, il tribuno si fece innanzi la prima
volta, meglio che con una semplice lettera, con, una prolissa
memoria, intitolata : Verus tribuni libellus cantra scismata et
errores (2); ma la risposta dell'arcivescovo (3), oltre a re-
spingere, come già di sopra notammo (4), le argomenta-
zioni fondate su le profezie, condanna con severità assai
maggiore il concetto politico, dal quale Cola era stato mosso
durante il tribunato. E si capisce: come poteva, ad esempio,
il Pardubitz mandar buona la teoria, messa innanzi da Cola,
che r elezione dell' imperatore spettasse, quasi per diritto sto-
rico, al popolo romano ? « Cuius legis auctoritate, - egli scrive
« al tribuno - seu qua potestate, Inter caetera iura et officia,
{( in Urbe dudum abolita, quae posse reassumere Romanum
« populum declarasti, etiam quod monarchiam eligere posset
« et deberet sanxisti ? »
Ma non s'acqueta Cola di Rienzo, e altre lettere dirige
al Pardubitz; ora mostrandosi, insolitamente per quel pe-
riodo della sua vita, audace e coraggioso (5), ora invece
tentando di far vibrare la corda del sentimento e di com-
muovere l'arcivescovo colla narrazione delle proprie soffe-
renze. E una volta dice che il carcere é privo affatto d'aria
e di luce, freddo ed angusto: un'altra che neanche ha un
po' di fuoco per riscaldarsi; e sempre domanda che almeno
s'affretti un aperto esame del suo operato.
In tutte queste lettere, simili fra loro per tanti riguardi.
Cola si dà a vedere occupato da una sola, costante, irrefre-
(i) Aeneae SiLYii PicoLOUim Historia hohemic a; Amburgo, 1592.
- (3) Epist. XXXV.
(2) Papencordt, op. cit. doc. XVIII.
(4) V. pag. 460.
(5) Epist. lett. XXXVII
Intorno alTepìstoie di Cola di ^en-:{0 4^5
nabile preoccupazione : quella d'esagerare i meriti propri, di
vantare T inspirazione e l'aiuto venutogli dallo Spirito Santo,
di amplificare i benefizi recati al popolo romano dal tribu-
nato, di magnificare il valore non perituro del suo tentativo.
Seguono altre lettere al suo antico aderente, l'abate di
Sant'Alessio sull'Aventino, al cancelliere del Comune di
Roma, a un fra Michele di Monte Sant'Angelo (i), nelle
quali Cola esorta tutti costoro a non iscoraggiarsi e a sperar
bene della sua sorte.
Anche notevole è nel presente periodo la lettera (unica,
a nostra notizia) al cardinale Guido di Boulogne. Era questi
da poco tornato alla corte d'Avignone, reduce da quel
suo quasi trionfale viaggio in ItaHa, che tanto aveva a lui
concihato l'affetto del Petrarca (2). I servigi resi al pon-
tefice, non solo in quella legazione, ma anche nell'altra
antecedente presso il re Luigi d'Ungheria; la dupUce pa-
rentela colle case di Francia e di Lussemburgo; lo spirito
dolce e conciUante : tutto ciò dava alla voce del cardinale
un'autorità maggiore che a qualsiasi altra. È dunque a
quella veramente simpatica figura d'ecclesiastico che, me-
more della benevolenza ottenutane nel suo primo soggiorno
in Avignone, Cola si rivolge fidente, e da Praga gli scrive
una lunga e minuziosa lettera, cercando d'indurlo a in-
tercedere per lui presso Clemente VI (3).
Ma la speranza, che le lettere antecedenti mostrano
ancora viva nel tribuno, sembra quasi perduta del tutto in
quella diretta al figlio suo, Lorenzo (z|): qui pare che Cola
non s'aspettasse più che o la morte o la prigionia perpetua.
Ma, a dire il vero, tutt' altro che feroce spicgavasi la
persecuzione della corte boema. Carlo IV, benché amico a
(i) Epist. leu. XXXIX, XL, XLI, XLIV.
(2) De Sade, citate Mémoires, III, 52-7$.
(3) Epist. kit. XLV.
(4) Epist. lett. XLIII.
466 ^. Gabrielli
Clemente VI, che avevci conosciuto in Francia ne' suoi anni
giovanili, benché obbligato verso di lui da promesse scritte,
stipulate nel momento della sua incoronazione, temporeg-
giava, e le trattative fra Praga e Avignone, onde rimettere
l'antico tribuno ai giudici ecclesiastici, procedevano piut-
tosto lentamente. Un'ambasciata sembra che fosse mandata
dall'imperatore a Clemente VI (i) al fine d'accordarsi su
la partenza di Cola dì Rienzo. Tornata questa. Cola final-
mente lasciò la Boemia, e può quasi con certezza (2) rite-
nersi che giungesse in Avignone ai primi del luglio 1352.
Poco dopo il suo arrivo, e precisamente nell' agosto,
il tribuno diresse una nuova lettera - tutta pentimento ed
umiltà - al Pardubitz (3), ed è questa l'ultima che ci sia
pervenuta del periodo della prigionia.
In seguito, le fasi del processo sono abbastanza note,
e si sa eziandio come dapprima la strana voce diffusasi
che Cola fosse un grande poeta, e poscia la morte di Cle-
mente VI cambiasse interamente le sorti del prigioniero.
Del resto, questo periodo della sua vita si sottrae ^ natu-
ralmente al nostro tèma pel fatto che dall'agosto del 1352
all'agosto del 1354 l'Epistolario presenta una lacuna, che
non sarà, credo, colmata mai.
La lettera ai Fiorentini del 5 agosto 1354 (4) ci mette
innanzi il tribuno nella nuova ed ultima fase della sua po-
tenza: ci pare, leggendola, d'essere tornati alle tante altre
somiglianti scritte a' bei tempi del tribunato ! E infatti, la
curiosa illusione d'Innocenzo VI, che aveva creduto ancora
utile alla Santa Sede valersi di Cola di Rienzo e che lo
aveva per ciò dato compagno all'Albornoz, fece vagheg-
giare alla mente esaltata dell' inviato dello Spìrito Santo
(i) Vedi RoDOCANACHi, op. cit. p. 315.
(2) Vedi il nostro scritto noìVArch. della R. Soc. Rom. di st. patria,
XI, 188.
(3) EpisL lett. XLVI.
(4) Epist. lett. XLVII.
Intorno all'epistole di Cola di ^en^o ^6j
un'era nuova di fortuna e di gloria. Ed eccolo a Roma,
non più tribuno del popolo, ma senatore. Il sogno però dura
ben poco; e quei due mesi d'effimera potenza si direbbero
fatti apposta per rendere più drammatico il quadro della
caduta finale !
L'Epistolario riflette quest'ultimo e brevissimo periodo a
traverso le lettere dirette al povero Giannino di Cuccio (i),
riguardanti gli strani casi di lui. Per il racconto di questi,
ci basterà rimandare al Papencordt (2), che ne discorre
con sufficiente larghezza. Ma non sappiamo trattenerci dal
rilevare come anche tutta quella strana leggenda, e la parte
quasi puerile rappresentatavi da Cola di Rienzo, non po-
trebbe più efficacemente darci l'immagine del decadimento
intellettuale che s'era operato nell'uomo. Così l'interesse
delle lettere sue non si restringe solo ai fatti da esse re-
gistrati o raffermati, ma s'estende a tutta la sua fisonomia
morale, a tutta la sua vita interiore, a quella specie di pa-
rabola che descrisse la sua mente e il suo spirito.
VII.
Resta che brevemente diciamo dei manoscritti, nei quali
le lettere ci furono conservate (3).
Il Papencordt, che enumerò (4) le fonti per la storia
di Cola, distinte in Notizie di scrittori contemporanei e Lettere
di Cola medesimo, usò senza dubbio l'una e l'altra serie
di esse con acuto discernimento. Ma, vincolato, com'egli
era, dal carattere espositivo del suo lavoro, al modo stesso
(i) Epist. lett. L-LIII.
(2) Op. cit. pp. 296 e sgg. 349 e sgg.
(3) Per questa parte cf. anche la Prefa\ionc al volume delle Lot-
terà di Cola di Rienio.
(4) Op. cit. pp. 318 e sgg.
4^8 qA. Gabrielli
^
che le testimonianze dei contemporanei non potè che ri-
stampare, non pubblicò se non alcune delle lettere, la cui
esistenza era pur nota. Di qui l'opportunità, nello stato
attuale degli studi su la storia romana medievale, di dare riu-
nite in un sol corpo le lettere del tribuno, tanto perche
servano come di controllo al già scritto intorno a lui,
quanto perchè vengano a chiarire alcun punto meno con-
siderato della sua vita.
L' ideale di chi imprende un'edizione di questo genere
sarebbe il poterla, almeno in gran parte, condurre su ma-
noscritti originali ; ma pur troppo non sempre al desiderio
risponde la realtà delle cose. Tale il caso dell'Epistolario
di Cola di Rienzo. Infatti, nonostante l'appello rivolto a
biblioteche, ad archivi, a studiosi d'Italia e di fuori (i),
altre lettere originali non possiamo annunziare, all'infuori
di quelle già note (2) e segnalate dal Papencordt.
Ma alla mancanza dei testi originali ha provvidenzial-
mente suppHto il fatto che tale apparisse ai contempo-
ranei ed ai posteri più a lui vicini l' opera di Cola, da
indurli a conservare per mille guise le sue lettere. E già
abbiamo ricordato come il Petrarca si rallegrasse della
religiosa attenzione ond'esse venivano lette e custodite (3).
Cosi è che possediamo ancora oggi più d'una raccolta,
dove le lettere del tribuno sono accuratamente trascritte e
sopra cui si può con discreto frutto condurre un'edizione.
Codesti manoscritti vogliamo, coni' è obbligo nostro,
enumerare brevemente, non senza dire che, in generale,
ciascuno di essi venne già da altri utilizzato o in una o
in altra sua parte.
(i) Vedi ndVArch. della R. Soc. Rom. di sL patria (X, 1887,
p. 323) r« Elenco delle lettere di Cola di Rienzo » e l'annessa circo-
•lare^ che la Società si die' cura d'inviare dovunque potessero supporsi
esistenti scritti del tribuno di Roma.
(2) Epist. lett. VI, XI, XXIX.
(3) Vedi sopra p. 428.
Intorno all'epistole di Cola di ^en^o 4^9
Un primo codice si conserva alla biblioteca Nazionale
di Torino, segnato H, III, 58 (i). Se ne servì già T Ho-
bhouse (2), traendone parecchie lettere di Cola; ma cosi
piena d'errori presentasi la trascrizione di lui, che la nostra
non ha potuto menomamente avvantaggiarsene. Conobbero
anche questo manoscritto il De Sade, il quale ne cavò
r unica lettera di Cola al Petrarca che ci sia pervenuta (3),
e il Levati, che di questa stessa lettera fece una tradu-
zione italiana (4).
Una particolareggiata esposizione del contenuto del co-
dice sarebbe superflua, dacché tutti i documenti, che vi si
leggono, riflettenti la storia di Cola di Rienzo, furono già,
secondo 1' ordine onde vengon dati dal manoscritto, enu-
merati dal Papencordt (5).
Una seconda collezione di lettere e documenti attinenti
alla vita di Còla fu indicata dal Pelzel, che su la fine del
secolo passato scrisse la storia di Carlo IV di Boemia (6).
Quest' importante codice del secolo xiv era anch' esso
noto al diligentissimo Papencordt; ma, nonostante le più
(i) Cod. cartaceo (tranne le ce. 1-6 in pergamena), dimen-
sione 280 /( 205, appartenente alla fine del secolo xiv e al prin-
cipio del XV : antica segnatura E, II, 18: di carte 201 e due di
c;uardia. Contiene, oltre i documenti relativi a Cola di Rienzo, molte
lettere dei secoli xii e xiii, e specialmente di Federigo II, di Pier
della Vigna, di Gregorio IX e Innocenzo IV, tutte riflettenti la con-
tesa tra l'Impero e la Curia; varie lettere di Coluccio Salutati, una
di San Girolamo, alcune arengae e discorsi d'indole politica; e tutti
questi documenti raccolti senz'alcun ordine e come venivan sotto
mano. Il cod. e evidentemente scritto da mani diverse. (Cfr. Pasini,
Codices manuscripti bibliothecae regii taurinensis athenaei ; Torino,
1799, II, 257.
(2) Historical iìlustrations of the fourl Canto of ChiUìe Harold ,
Londra, 18 18.
(3) Citate MémoireSy III, Pikes justificalives, XXX.
(4) Op. cit. II, 448.
(5) Op. cit. 319.
(6) Kaiser Karl der Vierte\ Praga, 1780.
470 QA. Gabrielli
accurate ricerche, egli confessa di non averlo potuto rin-
venire. Dovette adunque contentarsi d'una copia fattane
eseguire dal Pelzel medesimo; ma la trovò cosi irta d'er-
rori, da dover ritenere impossibile il ristabilire quel testo
senza avere sott'occhio il codice autentico.
Egli tuttavia non esitò a trarre intanto da quella cat-
tiva copia la maggior parte delle lettere contenutevi e a
stamparle, tali quali erano, fra i documenti aggiunti alla bio-
grafia di Cola. Ne rimanevano però sempre alcune inedite,
di cui egli diede semplicemente un breve sunto (i).
Noi siamo stati più fortunati dell' illustre storico, dac-
ché il tanto desiderato codice abbiamo rinvenuto all' ar-
chivio Vaticano, dove non sappiamo quali vicende lo ab-
biano condotto (2). Così l'Epistolario conterrà il testo delle
lettere senza le lacune e gli errori lamentati nella copia
del Pelzel.
Il contenuto del codice, tranne la cambiata numera-
zione dei fogli, è lo stesso della copia esplorata dal Papen-
cordt, che ne diede un ordinato indice (3). A lui, dunque,
senz' altro, possiamo rimandare.
Questi sono, come a dire, i due capisaldi dell' edi-
zione. Ma un altro codice - e questo il Papencordt non
conobbe - si conserva nella Feliniana di Lucca (4), alla
quale provenne dal cardinale Nicolao d' Aragona (5). Il
codice è ivi segnato : pluteo Vili, 545 ; membranaceo, di
(i) Sono, ntìV Epistolario, le lettere XXXII e XXXIV.
(2) Ce ne diede cortese indicazione il rev. Don Pietro Pal-
mieri, custode nell'archivio Vaticano, cui rendiamo grazie pubbli-
camente.
(3) Op. cit. pp. 321 e sgg.
(4) Questa biblioteca - per chi ami ricordarlo - è quella del Ca-
pitolo della Metropolitana, chiamata anche Feliniana, perchè dono in
gran parte di Felino Sandei, notissimo canonista e vescovo di Lucca
(-4- 1503).
(5) Debbo questa notizia ed altre intorno al codice al chiaro
S. Bongi, direttore dell'Archivio di Stato in Lucca.
Intorno alF epistole di Cola di ^ien\o 471
carattere della fine del secolo xv o del principio del xvi,
contenente un' importante miscellanea di documenti ri-
guardanti la storia di Roma medievale. Fra questi, ai
fogli 359-3^4, leggonsi due lettere di Cola, senza data,
al popolo romano, precedute da altre di Clemente VI a
Carlo IV.
Noi diamo dal manoscritto lucchese le due lettere, che,
■del resto, furono già edite, benché malamente, nelle Mi-
scellanee del Baluzio (i).
Accanto alle sopra dette raccolte, d'indole in certa guisa
letteraria, sono da porre le copie redatte dalle varie can-
cellerie e conservate negli archivi d'alcuni tra i Governi,
coi quaU Cola ebbe relazione. E ricordiamo anzi tutto
l'archivio di Firenze, dove, al volume XVI dei Capitoli
del Comune, conservansi in copia sincrona ben dodici let-
tere di Cola, dieci delle quali furono pubblicate dal Gaye (2),
una fu per la prima volta edita dal Papencordt (3), e un'altra
- l'ultima - vede la luce nell' odierno Epistolario (4).
Anche nell'Archivio di Stato di Lucca, il manoscritto
"• 55 (5) àdh Serie degli Anziani avanti la libertà (jo)
contiene un esemplare delle due lettere del 7 giugno e
del 9 luglio 1347 (7), che appariscono simili ad altre
(i) Stephani Baluzii Miscellanea, opera ac studio Iohannis
DoM. Mansi Lucensis; Lucca, 1762, voi. III.
(2) Carteggio inedito (T artisti dei secoli xiv, xv, xvi ; Firenze,
1859, ^^^' ^•
(3) Op. cit. doc. XXXIV.
(4) Epist. lett. XXVIII.
(5) Nell'antica distribuzione segnato: Armadio ^, n. 26.
(6) « Liber literarum missarum et reccptarum ex officio dom. An-
ce tianorum Lucani comunis, factus, compilatus et ordinatus prò
« anno N. D. .mcccxlii. incipicndo in kal. ianunrii dicti anni,
« existente cancellano dictorum doni. Antianoruiii previde viro ser
« Cecho Ghiova de Luca not. et scriba diete can.x Il.uio prcf.Udrum
« dom. Antianorum, me Aytante filio Vannis A\ laniis not. ci\ , lue. ».
(7) Epist. lett. V e X.
472 . qA, Gabrielli
dirette, in forma di circolare e colle stesse date, a Firenze, a
Perugia, a Mantova. L'archivio di quest'ultima città ci
ha pure conservata, oltre quella del 9 luglio, una seconda
lettera a Guido Gonzaga (i), l'una e l'altra nell'originale.
A queste due, in conseguenza, e a quella mandata al Comune
di Aspra (2), si riducono le lettere, che ci è dato leggere
nell'originale, anziché nelle copie.
Dopo le fonti manoscritte, che per le lettere di Cola
rappresentano il maggior numero, van ricordate le fonti
a stampa, delle quali è pur forza tenersi paghi nella defi-
cienza dei codici. Ma queste, nel caso nostro, si riducono sol-
tanto alle note Gesta pontificnm Tungrensium dell' Hocsemio,
dove due lettere sono inserite per intiero (3), e al volume II
delle opere del Petrarca (edizione di Basilea), che contiene
la lettera al cardinale Guido di Boulogne (4). E si noti,
quanto al secondo dei due documenti datici dall' Hocsemio,
com'esso si presenti pressoché simile alla lettera XXVII,
scritta nello stesso giorno ai Fiorentini e conservata, come
già dicemmo, tra i Capitoli del Comune ; cosicché la ricosti-
tuzione dell'un testo trova nell'altro un efficace controllo e
un vaKdo sussidio. A ogni modo, la provenienza delle tre
citate lettere resta sempre un problema insoluto, che noi
sottoponiamo all'attenzione degli studiosi.
Tali le fonti di tutta quella serie di lettere che va dal
1343 al 5 agosto 1354 (5). Oltre a questa data, non resta
se non il curioso carteggio con Giannino di Cuccio, per
il quale ci soccorre un gruppo di manoscritti affatto stac-
cato e distinto. Ma di tali fonti sarà detto qui solamente
quel tanto che strettamente occorre al nostro téma, spet-
(i) Papencordt, op. cit. doc. i; Epist. lett. VI.
(2) Epist. lett. XXIX.
(3) Epist. lett. XXIII e XXVIII.
(4) Epist. lett. XLV.
(5) Questa è la data dell'ultima lettera diretta ai Fiorentini. Inc.
« Mirabilis virtutem dominus ».
lìitorno alTepistole di Cola di T^ieti-^o 473
tando piuttosto a chi imprenda un'edizione critica dell' Hi-
storia di Giannino parlarne di proposito.
Agli studiosi non può riuscir nuovo il fatto che la
leggenda di Giannino di Cuccio è a noi stata tramandata
per via di molteplici codici. Ed è parimenti superfluo
l'avvertire come appunto da quel testo si ricolleghino le
lettere indirizzate a Cola a quella misera larva di preten-
dente, e come in conseguenza esse si veggano riprodotte
in una pressoché identica versione italiana, se non da tutti,
dalla maggior parte dei manoscritti dell' Historia. Basterà
segnalare i due ben noti dodici della biblioteca Comunale
di Siena, C, IV, 16 (i) e A, III, 27 (2) e il Barbe-
riniano XLV, 52 (3). In questo però, ch'è tenuto pel più
antico e autorevole^ al racconto dell'avventura non segue
la trascrizione delle lettere che vi si riferiscono. E pure
(tranne che per cotesta parte epistolare) sono copie del
(i) Codice miscellaneo, cartaceo, proveniente dalla libreria
d'Uberto Benvoglìenti, scrìtto nel secolo xviii, la massima parte
da una stessa mano: di carte 312 (nuova numerazione), di cui
alcune bianche.
La Historia 0 leggenda del re Giannino è ivi contenuta da .e. 197
a e. 286. Seguono (ce. 287 r-292 r) altre notizie raccolte dal copia-
tore della leggenda, relative a Giannino di Cuccio e ad alcuni suoi
discendenti.
(2) Cod. miscellaneo, cartaceo, composto dalla riunione di mss.
diversi dei secoli xvi, xvii e xviii, con un quaderno di minor for-
mato, inserito tra le ce. 153-176, che credesi scritto nel sec. xiii
(se non è piuttosto una contrafazione); di ce. 335 (numerazione
moderna).
Della Leggenda non contiene che la parte epistolare, cioè due
lettere di Cola a Giannino, e una d'Antonio romito a Cola; la scrit-
tura di questo frammento è del secolo xviii, ed esso è una copia
materiale fatta dalla Leggenda completa, contenuta nel sopra citato
codice C, IV, 16.
(3) Cod. cartaceo, del secolo xv, con legatura modernissima,
di ce. 61 ; dimensioni 228 X ^^o: con fregio alla sola iniziale della
prima pagina, e intitolazione in rosso.
474 ^- Gabrielli
Barberiniano il codice della biblioteca Nazionale di Parigi
«Ital. 393 » (i) e il Chigiano Q., I, 27 (2).
A foglio 219 del codice parigino (3), dove comincia
il testo delle lettere di Cola, si trova scritto da mano diversa
dalla solita : Lettres de Nicolas de Rien^i, e subito dopo :
« Les nombres marqués à la page extérieure se rapportent
« aux pages et aux numéros des Osservazioni di Girolamo
« Gigli sopra la storia del re Giannino ». Vedesi dunque
chiaramente che questa trascrizione non può essere ante-
riore ai primi anni del secolo scorso, dal momento che
il trascrittore aveva innanzi le Osserva:(ioni composte su la
leggenda di Giannino da Girolamo GigH (4).
(i) Cartaceo, di fogli 234, con legatura modernissima in maroc-
chino rosso. A e. 2 (precede il foglio di guardia) si legge la se-
guente intitolazione : Historia del r& Giannino di Francia, copiata dal-
l'antico manoscritto, che fu in mano del signor Celso Cittadini, nobile
senese, et bora si trova alla biblioteca Barberiniana ; dal che eviden-
temente risulta essere il manoscritto parigino una copia del Bar-
beriniano.
(2) Cod. cartaceo, di ce. 140. Contiene, oltre V Historia di Gian-
nino (ce. 1-60), un estratto delle Historiae Senarum di Sigismondo
Tizio. Sul frontespizio si legge (come nel citato codice parigino) :
Historia etc. tratta dall'antico ms. che fu in mano del signor Celso Citta-
dini, nobile senese, et hora si trova nella biblioteca Barberiniana, 1662. La
leggenda di Giannino manca, anche in questo codice, del cap. XXIII,
che appunto, negli altri manoscritti, contiene l'epistole relative al
curioso episodio.
(3) I fogli dal 4 al 218 sono occupati dal racconto; quelli dal 219
al 234 dalla corrispondenza.
(4) Giova ricordare come queste Osservazioni fossero state ideate
dal Gigli quasi ad illustrazione dell'edizione, ch'ei proponevasi di
condurre a termine, dell' i^f^/orf a di Giannino di Cuccio. Egli infatti
ne discorreva nel sxxo Diario Sanese (Lncca., 1723), dove registrava per
ordine cronologico gli avvenimenti di Siena. « Noi non parleremo
« qui - egH scriveva - di questo principe sventurato, perchè abbiamo
« promessa questa curiosa istoria a tutti i letterati, e stiamo ormai
« per pubblicarla, non solo per mettere alla luce un illustre perso-
« naggio finora quasi a tutti ignoto, ma per aggiungere un ottimo
Intorno al F epistole di Cola di ^en^o 475
Parimenti, da qualcuno fra i codici italiani ddVHistoria
sono tratte le copie del secolo passato, nelle quali la bi-
blioteca Reale di Parigi possedeva le lettere di Cola
che vennero trascritte e poi messe a stampa dal Mon-
merqué (i). Che anzi, secondo il parere di quest'ultimo,,
chi avrebbe, durante una lunga dimora in Italia, redatte
quelle copie, sarebbe precisamente il De la Porte du Theil,
erudito insigne del settecento.
Ma si rispetto alle fonti genuine, sì rispetto n quelle
adoperate dal Monmerqué, Tautorità del codice Barberi-
niano rimane sempre maggiore, ed è veramente a deplo-
rare che in esso manchi proprio quella parte che più serve
al caso nostro.
A questo punto però dobbiamo ristare un momento
dinanzi al fatto notevole della parallela lezione latina, in
« testo di lingua toscana agli altri del buon secolo. Promettemmo
« questa edizione a' giornalisti di Venezia, che nel primo giornale ne
« parlano, colle note dell'insigne letterato m"' Giusto Fontanini;
« ma avendo egli avuto alle mani cose di maggior rilievo, le com-
« pilammo per noi medesimi, e ne lasciammo un originale nella
« libreria del Collegio Romano con altri manoscritti sanesi in osse-
« quio all'eminentissimo card. Giov. Batt. Tolomei, nostro gran
« benefattore » (Diario, I, 138).
Quest'originale della trascrizione e dell'illustrazioni del Gigli esi-
steva infatti, in tre volumi segnati 8, d, 1-3, alla biblioteca del Col-
legio Romano, quando il Papencordt, che ne fa cenno (op. cit.
p. 349), preparava il suo Cola di Rien:(o. Ma, alla biblioteca Nazio-
nale, i tre codici, del pari che la maggiore e miglior parte del fondo
gesuitico, non sono, com'è noto, pervenuti. Una copia però, tanto
del testo, quale avevalo preparato il Gigli, quanto deìV Osservazioni
dì lui si trova alla Chigiana, in due volumi segnati: Q, 1, 28 e
a, 1, 29.
(i) Dissertatìon historique sur Jean J"', roi de France et de Navarret
par M. M0NMERQ.UÉ; Parigi, Tabary, 1844. Anche il Rodocanachi
(op. cit.) ristampò recentemente queste lettere; ma egli, che ignorava
la pubblicazione del Monmerqué, si servi del codice A, III, 27 della
Comunale di Siena.
47^ ^' Gabrielli
cui i medesimi documenti ci sono stati tramandati nella
Storia di Sima di Sigismondo Tizio (i), che conservasi
manoscritta alla Chigiana ed è l'unica fonte che ce H
dia in quella forma. Quivi leggiamo le stesse epistole,
che i codici sopra citati contengono nella lezione ita-
liana.
Or donde trasse il Tizio queste lettere? Nulla egli ce
ne dice : e soltanto della Dichiaratone del 4 ottobre 1 354 (2)
afferma d' aver veduto Foriginale. Dal Tizio trasse il Pa-
pencordt questa Dichiaratone e la mise a stampa in fine al
suo Cola di Rienzo (3).
Ma, tre anni dopo ch'era apparso il libro del Papencordt,
il già ricordato Monmerqué trovò la Dichiarazione in una
pergamena del secolo xiv, che è probabilmente la stessa ve-
duta dal Tizio. Essa infatti faceva parte dell'archivio della
casa Piccolomini di Siena, e nel catalogo della vendita,
dalla quale pervenne al Monmerqué nel 1 842, era appunto
annunziata fra i titoli di quella casa.
Il Monmerqué, oltre la ristampa del testo, diede del do-
cumento un buon fac-simile (4), ch'è quello appunto uti-
lizzato nell'Epistolario. Quanto poi alle altre tre lettere (j),
non si poteva uscire dalla trascrizione del Tizio, che pare,
del resto, abbastanza accurata.
Ora, data questa duplice lezione delle lettere, un pro-
blema si presenta spontaneo : - in quale delle due forme esse
uscirono dalla mente di Cola ? - Alcune parole, che il Tizio
fa precedere alla lettera di quel frate Antonio, dal quale fu
(i) Per le opportune notizie intorno alle Historiae Senenses del
Tizio, rimandiamo al Papencordt (op. cit. p. 353).
(2) Epist. lett. LII: « Hic est modus et tenor declarationis in
« omnibus et per omnia compilatus qualiter fuit subalternatus filius
« regis Luygii et regine Clementie tempore nativitatis filii prefati ».
(3) Doc. XXXVII.
(4) Allegato alla citata Dissertation eie.
(5) Epist. lett. L-LIII.
Intorno al V epistole di Cola di T^ien^o 477
segnalata a Cola l'esistenza di Giannino (i), spargono una
certa luce su la questione. « Antonii autem iiterarum - scrive
« il Tizio - transmissarum ad Senatorem, tenor huiusmodi
« fuit, a nobis hic in latinum conversus his verbis », e qui
segue la lettera sopraddetta. Ma avrà il Tizio tradotte egli
anche le lettere di Cola di Rienzo ? E perchè il tribuno
avrebbe, in questo caso speciale, fatta un'eccezione al co-
stume cancelleresco, da lui sempre seguito per Finn anzi, di
scrivere in latino } E se la pergamena conosciuta dal Mon-
merqué è redatta in latino, perchè gli altri documenti lo
sarebbero in volgare ? E perchè Cola avrebbe rotta in tal
guisa una tradizione cosi radicata ? Noi non sappiamo farci
persuadere dalle poche parole di Sigismondo Tizio; ma
richiamiamo sull'interessante problema l'attenzione degli
studiosi.
Dalla brevissima rassegna fatta dei manoscritti, che ser-
vono alla stampa delle lettere, il lettore ha già potuto ve-
dere come non si presenti quasi mai la simultanea esistenza
d'una medesima lettera in due o più manoscritti: dal che
il lavoro dell'editore viene di molto semplificato.
La più rilevante eccezione a questa, che può dirsi la
regola generale, è costituita dalla citata lettera al Comune
di Viterbo (2). Anche di essa abbiamo una duplice lezione,
latina e italiana; ma, mentre la prima si trova soltanto nel
noto codice della Nazionale di Torino (ed è certamente in
tal forma che il documento uscì dalla cancelleria romana),
la seconda (3) è contenuta in più d'un codice, tra le più
diffuse epistolac che circolavano nel medio evo, come quelle,
ad esempio, di Dante ad Arrigo VII e di Morbosiano,
principe dei Turchi, a Clemente VI. Sembra insomma
(i) Vedi la narrazione del Papemcordt (op. cit. pp. 296-302)
e lo schiarimento di lui: Ueber Gianni di Guccio (op. cit. pp. 349-554).
(2) Epist. lett. II.
(3) Epist. Appendice, I.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 33
478 qA, Gabrielli
che la lettera ai Viterbesi fosse di preferenza destinata, fra
tutte quelle composte da Cola, a rimanere nel medio evo
la più generalmente nota, la più tipica, la più popolare.
Dei codici che contengono la detta lettera citiamo i tre
più importanti, cioè i Laurenziani XL, 49 (i) e XLII, 38 (2),
e il cod. 557 (fondo italiano) della Nazionale di Parigi (3),
sul quale abbiamo condotto la ristampa del documento.
Discorrere dei criteri, coi quali l'edizione è stata con-
dotta, in un caso come il nostro, in cui ad ogni documento
corrisponde costantemente un'unica fonte, sarebbe comple-
tamente ozioso. E non è neanche a dire che i manoscritti
enumerati, né nuovi, né esaminati ora la prima volta,
traggano seco di necessità la trattazione di qualche grossa
questione preliminare. Le note, che accompagnano il testo
(i) Cod. cartaceo della fine del sec. xiv o del principio del xv;
legato in pelle rosso -cupa, con fregi impressi e con borchie portanti
in rilievo l'arma medicea. Sur un tassello di carta, in capo al r" della
coperta: Can:(oni di Bindo Bonichi, di Dante et prose di diversi. Mi-
sura 0,285 XO'2io: fascicoli 15, quasi tutti quinterni (il X è qua-
derno, il XIV e il XV sesterno). Scrittura minuscola rotondeggiante
del secolo xv, con iniziali a inchiostro rosso, fregi in capo a ogni
componimento, e le iniziali di ciascun verso colorate in cromo.
A e. 121: Pistola di Cola di Rienzo al Comune et a retori della città
di Viterbo.
(2) Cod. cartaceo, sec. xiv, carattere gotico; legato ai modo
stesso del precedente; misura 0,280 X 0,210; di carte 32 moderna-
mente numerate. A e. 14: Pistola di Cola di Rienzo al Comune et
rettori di Viterbo.
(3) Corrisponde al cod. 7778 della Biblioteca del re, citato dal Ba-
LL'ZE (Vitae paparum Avenionensium, Parigi, 1693, I, p. 884, col. 11) e
indicato dal Papencordt (op. cit. p. 325) come terza fonte delle
lettere di Cola. Ma, contrariamente a quanto supponeva il Papen-
cordt medesimo, che non aveva punto visto il manoscritto, esso
non contiene, oltre la lettera ai Viterbesi, alcun altro documento ri-
flettente la vita di Cola. È un cod. cartaceo del secolo xiv, ca-
rattere tondo dell'epoca, legatura in marocchino rosso, di carte 108.
A e. 78: Pistola di Cola di Rien:(o al Comune e rectori della città di
Viterbo.
Intorno alVepistole di Cola di ^ien^o 479
dell' Epistolario, risolvono, volta per volta, tutte le questioni
minute, alle quali esso possa dare occasione, e, quanto ai
codici adoperati, la Prefazione alle lettere dice brevemente
tutto ciò che non ha potuto trovar luogo nel presente
scritto, d'indole sintetica e generale.
A noi dunque rimane solamente a sperare che tanto
il ravvicinamento qui tentato fra l'epistolografia del medio
evo e la produzione letteraria di Cola di Rienzo, quanto
le osservazioni fatte intorno ai caratteri e al contenuto
delle sue lettere, traggano gli studiosi a sempre meglio
riconoscere l'importanza della pubblicazione proposta dalla
Società Romana e intrapresa dall'Istituto Storico Italiano.
Annibale Gabrielli.
// TJiario di Stefano Infessura
STUDIO PREPARATORIO
ALLA NUOVA EDIZIONE DI ESSO
Iella sua adunanza plenaria dell' 8 aprile 1 886
r Istituto Storico Italiano approvava all'unanimità
che si procedesse alla ristampa del diario di Ste-
fano Infessura (i). Il presente saggio intende a dichiarare
quali furono gli studi che precedettero e i criteri che servi-
rono di base alla nuova edizione.
È noto che primo a pubbUcare questa fonte di storia
fu già nel 1723 Giovan Giorgio Eckhart, amanuense del
Leibnitz, poi professore di storia ad Helmstadt (2). Egli
r incorporò al secondo volume del suo Corpus historicorum
meda aevi, dandolo in luce da un manoscritto della biblio-
teca Reale d'Hannover, riscontrato con un altro codice Ber-
linese (bibl. Reale it. fol. 37) che, a quanto sembra, co-
nobbe dopo (3). Nel 1730 il nostro Muratori scriveva al
Marmi : « Il diario dell' Infessura l'ho anch' io nell'Estense
(i) Bullettino dclV Istituto Storico Italiano, I, 6^-66.
(2) Vedi intorno all'Eckhart il von Wegele, Gescl.Uil.'li- dcr deut'
schen Historio^raphie, Lipsia, 1885, p. 638 e sgg,
(3) EccARDi Corpus historic. medii aevi, Lipsia, Glcditsch, II,
col. 1863-2016. V. Pref. n. xvii.
482 O. Tommasini
« e pensava di darlo fuori io il primo (i). Il signor Ec-
« cardo (cosi latineggiato compariva il nome dell'Eckhart
« nella repubblica delle lettere), il signor Eccardo intanto
« rha pubblicato nella Raccolta de' suoi Scrittori Germanici;
«con tuttociò penso di ristamparlo» (2). Né l'idea del
Muratori era men che buona; dacché il diario dell' Infes-
sura interessa troppo più la storia italiana e romana, che
non la tedesca; e se l'edizione italiana fosse riuscita mi-
gliore, avrebbe fatto dimenticare per certo quella che in
ordine di tempo era stata la prima. Ma il Muratori trasse
il suo testo solo da un codice del secolo xvii, ora conser-
vato nella biblioteca dell'Archivio di Stato in Modena, di-
verso da quel che servi all'Eckhart, ma non migliore; e
per quanto il Muratori sapesse ch'altri manoscritti ne stes-
sero alla Vaticana, non gli era facile allora averne copia.
Anzi, dopo che la prima edizione dell'Eckhart aveva fatto
conoscere intero il testo del diario, citato prima a spizzico
e dove giovava, segui che l'amore dell' Infessura alla li-
bertà comunale di Roma, e l'animo acerbo da lui mostrato
verso pontefici che la spensero, fecero ritrosi gli storici,
in tempi non liberi e non sinceri, ad occuparsi di esso, e
più ritrosi ancora gli archivisti e i bibliotecari in conce-
derne i manoscritti allo studio.
Anzi, il Muratori stesso, ripubblicandolo, ebbe bisogno
(i) Questa lettera basta a mostrare quanto ben s'apponesse il
teologo Frantz, quando accintosi a purgare dalle gravi accuse la me-
moria di papa Sisto IV, armeggiando contro il diario dell' Infessura,
che insieme colle lettere del Filelfo e cogli scritti di Luigi XI gli
sembrava costituire « das Hauptarsenal der Angriffe gegen Sixtus IV »,
scrisse: « Muratori trug mit Recht Bedenken, sie der Sammlung seiner
« Scriptores Rer. Hai. einzureihen und entschloss sich nur deshalb
« dazu, weil Eccardus dieses Tagebuch bereits den " Gelehrten "
« zugànglich gemacht hatte ». Cf. G. Frantz, Sixtus IV und die Re'-
publih Floreni, Regensburg, 1880, p. vi e sgg.
(2) Vedi LuD. Ant. Muratori, Lettere inedite scritte a Toscani,
Firenze, Le Monnier, p. 322.
Il diario di Stefano Infessura 483
di attenuare con considerazioni difensive il fatto suo, sop-
primendo qualche brano, rimandando chi avesse desiderato
di più all'edizione tedesca (i); a lui bastando che un testo
di tanta importanza non fosse escluso dalla sua grande rac-
colta italiana.
Per r innanzi maraviglia invece che precipuamente dalla
scuola storica ecclesiastica sia da ripetere il credito e la
diffusione che conseguì il diario di questo scribasenato. Del
qual fatto è da ripetere l'origine un po' dalla materia e un
po' dalla forma dell'opera di lui. Dacché tra molti nota-
menti in cui egh adombra, più spesso che non dichiari, la
storia comunale di Roma, n' à di quelli che grandemente
interessano la Chiesa. Dove egli, per esempio, accredita
una reliquia, o attesta un miracolo, o registra una canoniz-
zazione, o dà relazione d'un conclave, o allega un parti-
colare del cerimoniale, l'autorità di lui parve preziosa.
Quindi il Panvinio (2), il Bosio (3), il Martinelli, il Ni-
(i) Muratori, Rer. It.Scr. Ili, par. 2^, e. ino, pref. : « pauca mihi
« placuit expungere, quae foediora mihi visa sunt atque indigna, quae
« honestis auribus atque oculis offerantur. Q.ui eiusmodi sordibus de-
« lectatur, editionem Eccardi adeat».
(2) Cf. le sue Vite di Sisto IV e d' Innocenzo F/// scritte in conti-
nuazione alle Fitae poniificum del Platina. Il Pouget, le cui note « ex
« chronicis bibliothecae Colbertinae » riferisce il Montfaucon {Bihì.
biblioth. mss. e. 1151), a proposito del ms, Colbertiano dell' Infessura
osserva: «De Sisto IV, quem tamen laudat Onuphrius, horrenda
« narrai, nec quibusdam aliis pontifìcibus pprcit », senza rilevare
quanto appunto il Panvinio stesso accatta dall' Infessura.
(3) F. Martinelli, Primo trionfo della 5'»« Croce, 165$, e. 64;
Iac. Bosio, La trionfante e gloriosa croce?,» Roma, 1610, nella stam-
peria del signor Alfonso Ciacone, p. 62; Ho. Niq.uet, Titulus S. Cru-
cis, Parisiis, 1698; i quali autori citano il brano dell' Infessura «die
« prima mensìs februarii anni 1492 ». Soresini, De Capitibus Ss. App.
Petri et Pauli in sacrosanta Lateranensi ecclesia asservatis, Romae, 1673,
PP' 53, 54, 59, 106, 107, 115. Delle citazioni del Rainaldi e degli
annalisti terrò più particolare proposito altrove. Il Niquet lo allega
« ex antiquo rerum Romanae urbÌ3 diario a Laelio Petronio, Paulo
484 O. Tommasini
quet, il Rainaldi, lo Chacon (Ciaconius), il Vittorelli,
rOldoini, il padre Casimiro, il Marini, il Severani, il So-
resini, il Gattico, il Garampi vi si riferirono con certezza,
taluni anche segnalandone i manoscritti in buon numero,
per sino a che l'edizioni non ne diffusero il testo; di
guisa che può sembrare non estraneo all'ultima forma di
compilazione che il Lìber pontificalis assunse nel se-
colo XV (i), e quasi un anello di congiunzione tra l'effe-
meridi della storia civile di Roma, che col secolo xv muore,
« de Magistris et Stephano Infessura conscripto, quod manuscriptum
« habetur in bibliotheca Fulvii Archangeli Balneoregiensis ». Il p. Ca-
simiro (Storia d'Araceli, pp. 416, 418, 424, 468, 469) ne cita i mss.
Chigiano 1226, Vatic. 6389, 5394, un ms. «presso il signor marchese
« Pompeo Frangipane » e quello v presso il signor Francesco Vale-
« sio ». Marini, Archiatri, II, 200, n. 14; G. Severano, Memorie sacre
delle sette chiese di Roma, Roma, 1650, pp. 162, 511, 520, 574. Gat-
tico, Acta selecta caeremonialia S. R. E. ex variis mss. codicihus et
diariis saeculi xv, xvi, xvii, Romae, 1753, cita l' Infessura a e. 366,
e nella prefazione (pp. xiv-v) osserva : « Illa autem ipsa causa, quae
« me ad Burcardi excerpta huic collectioni inserenda permovit eadem
« multo magis impulit ut ex aliis Libris Diariis Romanarum Rerum,
« quos in Archiviis inveni, fragmenta aliquot eruerem; licet ipsorum
« aliqui Inter Scripta Rerum Italicarum collocati fuerint »
« Idem Muratorius iterum edidit Diarium Romae scriptum a Ste-
« phano Infessura Scriba Senatus populique Romani, quod antea alibi
« fuerat editum, licet lucem non mereretur publicam ob acerbitatem
« mordacissimam, qua sine debita maioribus reverentia, quorumdam
«. acta proscindit. Ab isto Diario, cuius varia inveni mss., vix unum
« alterumve fragmentum erui, cum ferme tantum exorta dissidia et
(( contentiones inter Romanos proceres narret, quae penitus aliena
« sunt a meae CoUectionis scopo ». Garampi, Saggio di osserva:(ioni
sul valore delle monete pontificie, App. pp. 79-80, 163-64, iji-ji, ecc.
(i) DucHESNE, Étude sur le Liber pontificalis, p. 217; Laemmer,
Zur Kirchengeschichte des xvi. und xvii. Jahrhunderts, p. 140. A pro-
posito dei Diaria Sixti IV, auctore Bartholomeo Platina, osserva : « Die
« Abhàngigkeit Sacchis von Infessuras Tagebùchern steht ausser
« Frage ; sein Standpunlit, ist aus den Vitae Rom. Pontificum bekannt
« und hier nicht verleugnet ».
Il n[)iario di Stefano In fessura 485
e la serie dei diurnisti della curia che col secolo xvi (i) s' ini-
ziano.
Il Contelori, il quale non lo allega né nella sua Vita
Martini V, né ndY Elenchiis S. R. E. cardinaìium ab anno 1294
ad annum 14)0 (si ponga mente a quell'anno che è comune
punto di partenza e pel Contelori e per Y Infessura), né lo
cita nella Genealogia familiae Comitimi, dove pur citò il
(i) Il Gregorovius rimproverò al Ranke d'aver confuso coi ceri-
monieri pontifici l'I. il quale fu invece scribasenato e podestà ad Orte.
L'abbaglio parve nell'edizione del 1874 della Geschichte der romani-
schen und germanischen Vòlker, Appendice :(ur Kritik neuerer Geschicht-
schreiber, p. 98: « Infessura's tagebùcher sind immer als eine Einleitung
« zu Burcardus betrachtet worden, und voli schòner Notizen ». Gre-
gorovius, Gesch. d. St. Rom. VII, 606, scrive del nostro diarista:
« Sein hochverdienstliches Werk wurde vielfach benutzt. Selbst Bur-
« ckhard welcher Bischof von Horta und wol mit Infessura befreundet
« war, Schrieb ihm fùr das Jahr 1492 stellenweise aus », Cf. ms.
Vat. 9136 del Suares, e. 39 e sgg. e Vat. 9026, apografo del Marini, a
e. 267 : « Suaresii, De. Diariis et Actibus Concistorialibus, ex orig. in BB ».
In questo si citano: 1° « Diaria ab obitu Bonifacii 8 ad Alexandriim 6
« in B B, Vaticana, n. 5622, codice seu Ephetnerides », notando in mar-
gine : « italice » ; 2° « Diarium dictum Mestican:(a, collectum e qui-
« busdam Diariis olim apud Gentilem Delphinum at incerti auctoris
« ab Urbano V^o ad Gregorium XII"™ ab anno 1379 ad 1427 in B B
« et in archivio Vaticano e libris Card. Stae Susannae Cobellutii »;
3" (( Diaria Stephatii Infessurae civis Romani a tempore Curiae Romanae
« e Gallis reductae in Urbem ad Alexandrum VI Poni, sive ab a. IJ14
« ad i4g^ rerum romanarum suorum iemporum ». E cita in margine :
« Codex Vatic. 5299 partim italice, partim latine, incipit: pontifical-
« mente, et disseti : piglia tesauro italice ». E annota a e. 269 : « Omnes
« Codices Diariorum Caeremonialium reconditi fuerunt in Biblio-
'< thecis Farnesiorum cardinaìium Alexandri et Rainutii exemplati ut
« adnotat p. 4, d. i diar. Io. Paulus Mucantius ad ann. 1 590 ». Nel ms.
Vat. 4909 si citano a p. 21 fra i mss. di cui si giovò l'autore della Storia
della Serenissima Nobiltà dell'alma città di Roma, libro apocrifo di Alfonso
Ceccarelli, i « Diarii di Stefano Infessura delle cerimonie Ecclte (!)
« quali sono manuscritti in tutto foglio nella libraria del signor Fran-
« Cesco Mucante maestro delle cereraonie di N. S. ».
4^6 O. Tommasini
Diario del Notaio delF Antiposto (i), lo conobbe per certo,
ne possedè un manoscritto, e un codice nel museo Britan-
nico (add. mss. 8433) ce ne fornisce la prova. Tutti i cul-
tori della storia civile e di quelle discipline che le valgono
di sussidio, come la topografia, la genealogia, la numisma-
tica, ne invocarono l'autorità. Tutte le combriccole lette-
rarie che in Roma tennero successivamente il campo, da
quella di Fulvio Orsini, del cardinal Delfini e del Sirleto,
a quelle della regina di Svezia, del barone de Stosch,
degh Albani, del Valesio, del CanceUieri, tutte ne fecero
conto (2).
Se non che il diario di Stefano Infessura fu creduto
sulla parola assai più che esaminato; della persona sua bastò
conoscere quelle notizie che negli appunti cronici die di
se stesso: bastò l'appunto, che sì spesso ricorre in principio
ai manoscritti del diario, ch'egH, cioè, fu podestà ad Orte
nel 1478 (3). Ricerche originali non si fecero, o non si
potè; non si raccolsero quelle sparse ne' libri a stampa. Il
Valesio e il Cornazzani, pur giovandosene per la storia e
la genealogia di casa Colonna, non videro come l'influenza
di casa Orsina erasi provata a intorbidare la fonte loro ; il
Cancellieri, che pur ricorse a lui per stabilire l'origine del
mercato di piazza Navona, le solennità dei possessi ponti-
fici^ financo il « sonare a gaio » delle campane di Campido-
(i) CoNTELORi, Genealogia familiae Comitum, p. 26. Non lo nomina
espressamente, ma lo designa: « in Diario Italica lingua scripto quod
«incipit ab anno 1481 ».
(2) De Nolhac, La bihliothèque de Fulvio Orsini, Paris, 1887, pas-
sim; JusTi, Lehen Winkelmanns, II, 229; Id. Antiquarische Briefe des
Baron Philipp voti Stosch, p. 22 e sgg. ; Valesio, Istoria di casa Co-
lonna, ms, archivio Colonna, cred. XIV, t. 26, pp. 80, 171, ecc.
(3) Lo JòcHER (Allgemeines Gelehrtm Lexikon) lo chiama « ein Se-
« cretarius des Raths zu Rom, war erst Stadt-Richter zu Orta ». I
rass. che, secondo le sigle indicate in seguito, lo danno come potestà
di Orte, sono A, O', R, S, V^ — S" in due note diverse lo dà « po-
« testas Ostiae » e « p. Ortae ».
// diario di Stefaìio In fessura 487
glio (i), della famiglia dell' Infessura non aggiunse verbo ;
né la storia dello studio romano sospettò che dovesse appa-
rire il nome del nostro diarista fra quelli de' suoi profes-
sori. Di guisa che, sino a questi ultimi tempi, in cui la
critica si è esercitata in ogni maniera d'indagini e di rap-
presentazioni, il valore storico, la struttura e la compagine
intrinseca degli scritti dell' Infessura rimasero intentati.
Qualche dubbio sulla giustezza d'alcuna delle sue date
affacciarono il Muratori (2), il Giorgi, il Papencordt. Il Gre-
gorovius, pieno di simpatia pel nostro scribasenato, affermò,
ripetè, congetturò, ma non provò nulla sul conto di lui (3) ;
(1) Cancellieri, Lo campane di Campidoglio, p. 42.
(2) Muratori, Annali d' Italia ad ann. 1458, 1464, 1488; Giorgi,
Vita Nicolai V pont. max. ad fidem veterum monumentorum, p. 159;
quantunque altrove (p. 169) scriva: « at dubitare non sinit inscriptio
« nunc aliata, atque Stephani Infissurae testimonium » ; Papencordt,
Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, pp. 471, 476.
(3) Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom, VII, 605 : « Zu wir-
« klicher Bedeutung erhebt sich unter diesen ròmischen Journalisten
« erst Stefano Infessura. Das Leben dieses Mannes ist unbekannt,
« ausser dass man durch ihn selbst weiss, er sei im Jahre 1478 praetor
(c in Horta gewesen, dann Schreiber der Senats geworden. Er ver-
« fasste ein Diarium der Stadt Rom teils in italienischer, teils in la-
« teinischer Sprache, dessen Anfang nur fragmentarisch ist ; denn er
« beginnt mit 1295, springt dann zu 1403 ùber, gibt die Geschichte
« der ersten Hàlfte des xv. Jahrhunderts wie im Auszuge aus anderen
i( Chronisten, und wird darauf selbstàndig und reichhaltig namentlich
« von Sixtus IV an. Offenbar fùhrte Infessura einen gròsseren Pian nicht
« aus (?!), Er ward wie Burckhard ohne humanìstische Bildung. Vom
« wissenschaftlichen und kùnstelrischen Leben in Rom nani er nicht
« die geringste Notiz. Im Hofbcamten Burckhard wagt sich nie der
« Mensch hervor; in dem rechtlichcn Infessura aber schliigt das Herz
« und urteilt der Verstand eines freimùtigen Bùrgers. Er zeigt sich
« als praktischen Mann von einfacher und rauher Art, als echt rómi-
ce schen Patrioten, Republicaner aus Neigung und Princip, als Feind
e der Papstgewalt, daher er sich offen als Bewundcrer Porcaro's be-
« kennt. Deshalb fràgt er bei scinem Tadel ùber die Piipstc, namentlich
« den ihm so tief verhassten Sixtus IV, die grellsten Farben auf. Fai-
488 O. Tommasini
il Reumont male lo dipinse come il rappresentante vero
deir inesauribile maldicenza romana (i), quantunque avesse
ragione d'affermare che per i Liutprandi del secolo xv
si voglia critica non meno acuta che per quei del x ; al
Greighton non s' intende ben chiaro se talvolta l'origina-
lità di lui parve più preziosa o sospetta (2) ; il Pastor, fi-
nalmente, dopo averlo rappresentato come un violento av-
versario della dominazione papale, dopo averlo censurato,
andando sulle orme del Giorgi, per cronologica inesattezza,
promette poi di provare nel secondo volume della sua
storia de' papi, e di provzre funditus, che l'Infessura, secondo
lui, non merita fede (3). La quale promessa non trattiene
l'esame scientifico, libero da preconcetti aggressivi ed apo-
logetici, dal saggiare una buona volta la compagine di
« schung der Geschichte sind ihm nicht nachzuweisen. Da er das
« Papsthumdurchaus von seiner weltlichen Seite darstellt, gab ihm das
« Nepotenwesen zu moralischer Entrùstung und bettern Ausfàllen
« Grund genug. Nur ist er einseitig; von dem Guten was Sixtus IV
« geschafifen hat, weiss er kaum ein Wort zu sagen. Man kann ihn
« den letzten Republicaner der Stadt Rom nennen ; einen Mann der
c( tùchtigsten Gesinnung, voli bùrgerlichem Ehrgefùhl. Das òfìfentliche
« Leben zur Zeit von Sixtus und Innocenz Vili lehrt er am besten
«kennen; dafùr ist er Hauptquelle. Sein hochverdienstliches Werk
« wurde vielfach benutzt ». Nelle partigiane Geschichtslùgen, Paderborn
und Mùnster, 1887, non trovandosi menzione dell' Infessura, vuol dire
che o non s'ebbe come un « Gegner des Papsthums » o non parve
uno storico mendace.
(i) Il Reumont, Geschichte der Stadt Rom, III, par. 1% p. 367: « der
« àchte Repràsentant der unverwùstlichen ròmischen Medisance ».
(2) Greighton, A history of the papacy, II, 510: « (Infessura's diary)
« grows more connected as it approaches his own time, but has some
« informatìon, not given elsewhere, of the events of the years 143 1
« and 1434 ».
(3) Pastor, Geschichte der Pàpste, seit dem Ausgang des Mittelalters,
I, 342, in nota: «Infessura, ein heftiger Feind der pàpstlichen Herr-
« schafft »; p. 433, nota 2: « Auf die Unglaubwurdigkeit Infes-
« sura's wird der zweite Band dieses Werkes noch nàher eingehen
« mùssen ».
// ^T>iario di Stefano In fessura 489
questo diario, l'autore del quale di molte delle cose che
racconta fu senza dubbio testimonio di veduta. Fino a che
punto fosse egli in condizione di vedere il vero, come
lo raccontasse, quanto lo colorasse del suo umore personale,
quanto accettasse da' contemporanei, se l'opera sua ci perve-
nisse schietta o a quaH alterazioni andasse soggetta nel
tramandarcisi, queste sono le ricerche che sembra necessario
di premettere, prima di poter portare coscienzioso giudizio
della fede che merita.
È cosa certa che, se non fosse pel diario di Stefano,
oramai non resterebbe più memoria del nome e della ca-
sata degl' Infessura (i). Di tanti documenti a lui anteriori
in cui s'incontrano lunghe liste di cittadini romani, come,
ad esempio, nelle tante convenzioni d'accordo e transazioni
tra il Comune di Roma e i pontefici, quali furono pubbli-
cate e dal Vitale e dal Theiner, il cognome degl' Infes-
sura non capita mai; né capita in documenti privati a
stampa, o in altre cronache, se si eccettua quella mano-
scritta, assai sospetta, di cui £1 parola il Bicci (2), che già
si conservava nell'archivio dei Boccapaduli. In questa, tra
gì' intervenuti ad una festa di Testacelo, si citano « vestuti
« all'antica ... li riformatori dello studio che erano Luca
«Antonio Boccapadura et l'altro Matteo Infesura ». Pure
non è dubbio che la casata degl' Infessura fu, tra le popo-
lari, delle più spettabili, e basterebbe l'autorità di Marcan-
(i) Nei Registri dd camerlengo della Camera di Roma (Arch. di Stato)
il nome di lui apparisce notato nelle seguenti forme: 1° Stefano in
fessura; 2" infessura; 3* inffessura ; 4°infusura; 5" Infusurj; 6'* ó^ yn-
fìxuris.
(2) M. Bicci, Noti:(ìa della famiglia Boccapaduli, Roma, 1762, p. 25,
in nota. La cronica, per quanto riferisce il Bicci, fu scritta « in Roma
«nello rione delli Monti per Nardo Scocciapile nell'anno 1572 del
« mese di agosto per santa Maria ». Di questa cronica il Bicci dà un
lungo estratto fra i documenti (pp. 589-595). Sembra scritta con
preconcetti genealogici e ad esaltazione specialmente della famiglia
dei Maddaleni.
490 O. Tommasini
tonio Altieri a rendercene testimonio. Era delle romane
natie e s'andava assottigliando e nascondendo fra le romane
fiitte (i). Le memorie manoscritte che se ne raccolsero,
risalgono sino all'anno 1397, cioè sino all'avo del nostro
Stefano ; ma prima della metà del secolo xvii si rabbuiano
e il nome, l'eredità e le carte della famiglia trapassano di-
sperdendosi in casate commemorate per censo largo e re-
lazioni profittevoli colla curia (2).
Nel 1397 Lello degli Infessura comparisce arbitro tra
Lorenzo di Cecco Palochi e Ludovico de' Papazzurri, sen-
tenziando in una questione di loro orti contigui per la
distruzione d'una fratta. Egli ebbe ad essere pertanto, se-
condo ogni probabilità, dottore di legge. Nel 1408 assistè alla
(i) M. A. Altieri, Li nuptiali, ed. Narducci, p. 15 : « Roma, già
« regina et dea universale, vedese al presente tanto nihilata che
(( per romani naturali terriase obscurissima et solitaria latebra. Prin-
(( cipiando dalli Monti et per Cavallo, per lo Treio et per li Conti,
(c mancatice Cerroni, Novelli, Paparoni, Petrucci, poi Salvetti, Nisci,
(c Cagnoni, Lupelli, Pìrroni et Vennettini, Dammari, Foschi, Pini,
« Masci, Capogalli, Mantaci, Carvoni, Palocchi, Acorarii, Pedacchia
«et Valentini; Palelli, Arcioni, Migni, Capomaiestri, Subbattari,
« Negri; et poi Mancini, H Scutti, li Infessura, etc. ».
(2) Nel testamento d'Agnese Branca, rogato dal notaio Buccio
di Paolo di Buccio di Angeli, in data de' 12 gennaio 1401, esistente
nell'arch. di S. Spirito, e citato dall' Adinolfi (Roma nell'età di me^^o,
II, 26, in nota), si descrive una casa che confina colla « domus here-
« dum condam Petri de Columna, ab alio latere tenet Lellus Fe-
ce sur e, retro est locus qui dicitur la Sede, et locus qui dicitur la
«Mesa», or Infessura s'imparentarono coi Giovenali e i Ghislieri.
Le loro carte passarono da queste casate nei Simonetti e da questa
poi nella famiglia dei conti Savorgnan di Brazzà, che con grande
cortesia mi concessero di averle a studio. Rendo grazie in quest'oc-
casione alla colta e gentile signora contessa di Brazzà, anche per
altri schiarimenti verbali che mi favori rispetto all'archivio dome-
stico. Le pergamene degl' Infessura fino a' tempi dell'archivista Aro-
matari furono vedute nell'archivio Brazzà; poi scomparvero. Vedi in
App. n. I le Notizie relative alla famiglia Infessura e documenti che la
riguardano.
Il diario di Stefano Infessiira 491
lettura e alla conferma de' capitoli della società del Santis-
simo Salvatore. Poi Giovan Paolo, suo figliuolo, aromatario
o speziale della regione di Trevi, è de' caporioni nel 1428;
non risulta con cui s'ammogliasse, ma ebbe buona fi-
gliuolanza; la Vannozza, maritata ad un Benedetto di
Felice de Fredis, di Valmontone, antenato di quel de Fredis
che diventò famoso per aver ritrovato, scavando in una sua
vigna presso le Sette Sale, nel 150^, il gruppo del Lao-
coonte; poi Lello, il nostro Stefano, Lorenzo, Antonio,
Domenico e Ceccolo che fu celebrato come uom faceto e
« da supplire ogni defecto » ( i ). Ma non sembra che costoro
godessero di numerosa prole o vivessero a lungo. Lello
era già morto nel 1483. E appunto in quest'anno Stefano,
curatore d'Antonina, figlia di lui e sua nipote, comparisce
come « eximius iuris utriusque doctor », e stipula patti
dotali fra lei ed Antonio, figlio di Giovan Battista della
Pedacchia. La subarratio seguì « in regione Trivii in domo
(( habitationis dicti d. Stephani ». La dote era di 400 fio-
rini, da pagarsi metà subito in contanti, metà fra un anno,
dando ipoteca su d'una casa del « q. Lelio de Infessuris
« in regione Trevi cui ab uno latere tenet Laurentius de
«Infessuris ipsius d. Stephani et q. Lelii germani fratris».
Lo sposo in pegno dotale costituì una casa paterna posta
«in loco qui dicitur la Pedacchia». Le nozze si fecero in
Ss. Apostoli; testimoni spettabiH intervennero all'atto so-
lenne. Ceccolo aveva pur egU già nel 151^ lasciato vedova
la sua Maria, rimasa con due figli : Teofila e la Lucrezia
che andò a marito ne' Patrizi. Figlia della Vannozza, Mad-
dalena de Fredis sposò Pietro di Licovo « condam do-
« mini Galeotti de Normandis olim de regione Columpne
« et nunc de regione Trivii ». Cosi gì' Infessura s'impa-
rentarono coi discendenti di quel Galeotto Normando che
re Ladislao fece cavaliere a San Marcello nel 1404, e cui
(i) M. A. Altieri, Li nupliuli, loc. cit.
492 O. Tommasini
cinque anni dopo, a* 21 di giugno, la fazione orsina ed
ecclesiastica tagliò la testa. E Stefano ammogliatosi a
Francesca^ vedova già d'un Paparoni, ebbe pur esso due
soli figliuoli: Marcello e Matteo. Quest'ultimo nel 1505
era già morto ; quasi fosse destino che cittadini amanti
della libertà dovessero ormai vivere vita agitata e breve.
E agitata ebbe a menarla nella sua giovinezza anche
il nostro Stefano. Si trovò a' rumori e alle giustizie della
cospirazione di Stefano Porcari; si trovò a vederlo appic-
cato al torrione di Castel Sant'Angelo : « e veddilo io -
« esclama - vestito di nero in iuppetto et calze nere pennere
« queir huomo da bene, amatore dello bene et libertà de
« Roma » (i). Egli e suo padre e tutti i fratelH ebbero
brighe con Gasparraccio della Regola, brighe che nel 1470 si
terminarono con atto di securtà e di pace solenne (2), ma
che prima dovettero turbare non poco la pace della famigha.
L'anno in cui Stefano nacque non ci risulta da docu-
menti. Sappiamo che nel gennaio del 1500 era morto,
dacché appunto in quel mese Marcello e Matteo suoi figli
convengono col camerlingo della chiesa di S. Maria in
Via Lata, promettendo al Capitolo un'annua cavallata di
mosto in compenso d'una messa alla settimana in giorno
di lunedì, da celebrare in perpetuo a suffragio de' morti
nella eappella di S. Nicola, di cui Stefano Infessura sin
dal 148 1 aveva acquistato il diritto di patronato per la fa-
miglia sua e pe' discendenti. Ma Stefano aveva costituito
vincolo sopra una vigna che aveva acquistato per la cor-
risposta alla chiesa della cavallata di mosto annuale; e
(i) Questo passo leggesì nelle edizioni d'Eccardo e del Muratori
assai guasto. (E) : « e viddelo io vestito di nero in vipetto et calze
« nere le perdete quell'huomo da bene ». - (M) : « e lo vidi io ve-
ce stito di nero in giuppetto, e calze nere. Perdette la vita quell'uomo
« da bene, ecc. ».
(2) Vedi in App. n. i : Notizie relativa alla famiglia Infessura e do-
cumenti che la riguardano.
// diario di Stefano In fessura '493
poiché questa vigna era fatta deserta e non dava frutto, i
figliuoli convennero nel 1500 coi canonici in altro modo
per la soddisfazione del debito. È probabile che Stefano
circa a quell'anno uscisse di vita e fosse sepolto nella tomba
gentilizia della medesima chiesa, dove già nel 1483 era
stato deposto suo padre.
Ora, se egli nel 1500 era morto; se nel 1478 si tro-
vava pretore ad Orte, e doveva per lo meno aver com-
piuto i trent'anni d'età; se ricorda d'aver visto pendere il
Porcari appiccato, è da credere ch'egli probabilmente na-
scesse circa all'anno 1440. Innanzi al 1471 era già rino-
mato per la sua perizia nel diritto (i), giacché nel primo
libro De gestis Palili II, Gaspar Veronese ricorda come in
una pressa della folla sul passaggio di quel pontefice, che
non visse oltre al 1471, mentre dal Vaticano si recava al
palazzo di San Marco o al Laterano, egli e Stefano Infes-
sura, « iuris peritissimus », ebbero per due volte a correr
pericolo. È singolare che Stefano nulla riferisca di tale
accidente, mentre Gaspar Veronese conta che questo fatto
«bis accidit», si verificò due volte. Nel rarissimo li-
bretto delle lettere d'Agapito Porcio o Porcari, dedicato a
Luca de Leni, che morì nel i486, pubblicato senza nota
d'anno o nome di stampatore, una ne à, e lo afferma il
Marini che vide l'opuscolo, diretta dal Porcari a Stefano
Infessura (2). E questo documento ce lo mostra in rela-
zione viva anche colla famigha Porcari. Fu inoltre lettore
(i) Marini, Archiatri, II, 183, App. di docutn.: « cum aliquotiens
a ex Sancti Petri sacratissimo tempio discederet ad Sancii Marci, aut
« Sancti lohannis Lateranensis, tanta erat eius videndi unicuique cu-
ce piditas et ardor, ut esset hominum mirabilisque pressura, et tanta
« laetitia et gaudium, ut nonnulli in iktum solverentur; quod Ga-
« spari Veronensi illius Compatri et Stephano Enfesario, iuris pcritis-
« Simo, bis accidit ». Il Marini che stampò « Enfesario », probabilmente
dove era a leggere « Enfesurio », riconobbe in esso Tlnfessura nostro.
(2) Marini, Archiatri, I, 177, II, 200.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI 33
494 ^' Tommasini
in civile nella università di Roma ; e ne' pochi registri della
Depositeria della gabella, per lo studio che ci rimangono
all'Archivio di Stato (i), capita il nome di lui non infre-
quente e vi s' incontra compagno con quello di Mario Sa-
lomonio, e di colui ch'esso e i contemporanei chiamarono
(i) Archivio di Stato in Roma, Registro della Depositeria della ga-
bella dello studio, anni 1481-82: e. 40 v: « Alla ditta adi ditto f. do-
« dici romani per mandato de' di .xxiiii. di giungnio a missore Stefano
« de Infiuris (sic) lettore civile per la iii^. » — e. 44 : « Alla ditta a dì
« detto [23 gennaio] f. quaranta romani per mandato de dì ,xx. di àì-
« cembre a missore Stefano de Ynfixuris lettore in ditto studio in iuris
« per la prima tersaria . . f. .xviiii. se. 42 ». Ibid. : Registro di « Nico-
« laus Calameus depositarius pecuniarum gabelle studii Alme Urbis » degli
a. 1482-1484: e. 11: «Alla gabella dello studio a di 30 di maggio
« f. venti romani per mandato de di 25 d'aprile a missore Stefano
« Inffessura condotto in iure civili la sera per le meta della sua se-
« conda terzeria porto ecc. f. .xx. » — e. 16: « A la detta a di detto
« [11 di novembre] f. venti a missore Stefano Infusura per resto della
«seconda terzeria conti allui f. .xx. » — e. 19 v: « A la detta a di
« detto [14 di marzo] f. quaranta per mandato de di primo di luglio
« a missore Stefano Infusuri in detto studio condotto in iure civili
« per la sua ultima terzeria dell'anno passato conti allui f. .xx. » —
e. 22: « A la detta a di detto [.xxviii. giugno] f. cinquanta per man-
« dato de di .xxii. de diciembre a missore Stefano Infesura per la
« sua prima terzeria del presente anno f. .l. » — e. 28 : « A la detta
«a di detto [18 di marzo] f. trentacinque per mandato de di .xxm.
« di deciembre a missore Stefano Infesura per parte della sua prima
«terzeria del presente anno f. .xxxv. » — e. 28 v: « A la detta a di
« detto [20 di marzo] f. trentacinque per mandato de di .xxvi. marzo
« a missore Stefano Infesura per parte della sua seconda terzeria
« dell'anno passato f. .xxxv. ».
Questi Registri non furono cogniti, per quanto sembra, al De-
KiFLE (Die Universitàten des Mittelalters bis 1400, p. 314 e sgg.), che
non si sarebbe altrimenti tenuto pago alle notizie e al ruolo dei
professori del Marini, e alle affermazioni del Renazzi, del Carafa e
del Moroni. Ad ogni modo la sola presenza di Pomponio Leto e
r influenza grande che v'esercitò non sembra che corrobori l'affer-
mazione del Denifle, p. 314: « Die Hochschule war zwar auch nach
« Eugens Tod manchen Wechselfàllen ausgesetzt, ja unter Sixtus IV
« hàtte ihr bald wider der Untergang gedroht, allein sie blieb nun-
// diario di Stefano In fessura 495
« messer Pomponio » e che fu il grande Pomponio Leto (i).
A' 17 di marzo 1487 sottoscrive una delle tanti leggi sun-
tuarie del Comune.
Queste relazioni rintracciate ci spiegano già la ragione
di parecchi notamenti e l'indole speciale del suo diario;
ma avremo occasione di doverne anche altre riconoscere
in seguito, senza le quali non si riuscirebbe a intendere
come e perchè certi episodi di leggende si siano potuti in-
trodurre nella narrazione di lui.
Ma, oltre che del diario, egli fu autore anche d'altro libro
in cui probabilmente si sfogava e concentrava tutta la sua
pratica delle leggi, tutta la sua perizia nella casistica del
diritto. L'opera s'intitolava: Lìhtr de communiter accidenti-
bus ; fu della biblioteca del cardinale Slusio ; scomparve con
questa (2). Ora ne rimane appena ne' catalogi la memoria.
« mehr doch fortbestehen ». A meno che intenda di alludere a quel
decadimento che veniva non da minor bontà o numero de' profes-
sori, ma in seguito di quello stato di cose che l'Infessura riferisce e
che probabilmente sperimentò.
(i) Iacopo Gherardi, il Volterrano, nel suo diario, lo chiama:
« Pomponius Romanus, princeps sodalitatis literariae ». Archivio di
Stato in Roma, Gabella dello studio, Depositario, 1482-84: (1481-82),
e. 43 v: « Alla detta gabella f. sessantasey f romani per mandato a
« di .XX. di die. a Pomponio lettore in rectoriche per sua provisione
« della p. ^. f. .XXXII. d. 46. o. — Ibid. (1482), e. 14 r: « A la detta
« a di detto [30 giugno 1482] f. trentatre b .x. den. 12 per man-
« dato de' dì 2$ daprile a m. Pomponio condotto in rettoricha per
«resto della sua s^^ terzeria p. Guliano suo». — Ibid. e. 15 v: «A
« la ghabella dello studio a dì .v. dottobre f. sessantasei e due terzi
« per mandato. de di .11. di q° per m. Pomponio in detto studio con-
« dotto in rettoricha per la sua terza et ultima terzeria conti allui
« f. .Lxvi. se. 23 d. 8 ». — Ibid. (1483), e. 22 v: « A la detta a di detto
« f. ottantuno e uno terzo per mandato de' di .xxii. di dicembre a
« m. Pomponio per la sua prima terzeria del presente anno ».
(2) Cf. Bihliothcca Slusiana sive lihrorum catalogus qtios ex omnigena
rei literariae materia Ioannes Gualterus Satictae Ko. Eccl. card. Slusius
hodiensis sibi Komae congesserat Petri Aloysii baronis Slusii fratris itissu,
labore ac studio Francisci Deseine Parisiensis digesta et in quinque partes
49^ O. Tommasini
Ma il culmine cui arrivò neiresercizio de' suoi civili uffici è
segnato dalla dignità di scribasenato, a cui non fu per certo
levato per intromissione papale (i). Egli certamente non fu,
come ser Marco Guidi (2), deputato all'ufficio suo in grazia
di un breve; né vi durò più del termine stabilito dall'ele-
zione. Quale fosse l'origine e la natura di tal magistrato di-
cemmo altrove, indicando le particolari attribuzioni che in
principio gli spettarono e quella cui venne riducendosi a
mano a mano. Dall'essere pertanto la loquela « amplissimi
<c Senatus et metuendi populi romani », quando il Senato si
stremò nella persona d'un solo e il popolo non fu più me-
tuendo, lo scribasenato rimase ritto come un vecchio titolo,
e più come scheletro che come simbolo del passato. Di lui
gli statuti della città facevano appena qualche piccolo cenno,
dissimulandone, piuttosto che determinandone le attribu-
zioni, malvolentieri accusandone la sopravvivenza, e dando
appena sentore dell' importanza antica coll'accenno a pri-
vilegi di libero arbitrio, come dicevasi, che si cautelavano
non potesse aver comuni col Senatore.
distrihuta, Romae, 1690; Blvme, Iter Ital. Ili, 197. Il fondo della
Slusiana entrò nella biblioteca Imperiali, e fu disperso con questa.
Sul card. Slusio v. Mabillon, Iter Ital. p. 96.
(i) In qualità di scribasenato, l'Infessura comparisce nei seguenti
documenti: Arch. di Stato in Roma, Registro del camerlengo della Ca-
mera di Roma: «Anno 1487, a dì .x. di ienaro. In questo libro se
« scriverano per me Baptista Barapta camerlengho della Camera
« tutte le spesse che se farano per leronnimo p° p° lo mio compa-
« gno ». — (e. 2, Un. 3) : « Item più pacavo a misere Stefano Infe-
« sura cari, doi cioè d. o t. 15 j) — (e. 2 v, lin. penult. et ult.): « per
« la noeta dello contratto nostro a misser Stefano Infesura carlini
« cinque, cioè d. o t. 37 1/2 ».
Nell'archivio storico Comunale, cod. membranaceo degli Statuta
A. U. Rome (crQd. IV, t. 88, n. 0335, p. 191) firma « die .xvii. martii
« 1487 » le « Reformationes, constitutiones et statuta super dote, le-
ce calibus, acconcio et ornatu ac nuptiis mulierum et super exequiis ».
(2) V. Atti e Mem. della R, Acc. dei Lincei, III^ p. 173 e sgg. il
Registro degli Officiali di Roma esemplato dallo scribasenato Marco Guidi.
// diario di Stefano Infessura 497
I due scribasenato, del resto, insieme col notaio della Ca-
mera della città^ assistevano ai consigli generali del Comune,
ne scrivevano le proposte, ne stendevano i verbali (dieta et
arrengationes consiliariorutn), ne registravano le risoluzioni
{statuto) e le riforme. Spettava ad essi di sottoscrivere di-
plomi di cittadinanza, di far lettura in publica forma, nel
giorno di sabato o di mercato, delle sentenze di diffidazione
o raffidazione di cittadini, traendone stabilite propine. Re-
centemente Ottone de Varris, soprannominato Otto Poc-
cia, protonotario, aveva ridotto il salario loro, per una
riforma flitta « de mandato pape » . Ad essi appartenevasi
di far quegli estratti delle pubbliche lettere, che rendevano
certa e stabile la tradizione degli affari in mezzo alle ma-
gistrature elettive e mutabili. Rilevammo altrove come i
notai avevano maggior incitamento a tener dietro a' pub-
blici avvenimenti e registrarne memoria ne' loro proto-
colli per la straordinaria condizione di diritto in cui erano
posti dagli statuti stessi, essendo i soli che non avessero
divieto di rielezione a quelli offici pe' quali particolarmente
necessitasse un notaio (i). Lo scribasenato inoltre aveva
allettamento ed" occasione più ampia a farsi storico de' suoi
tempi. Gli « scribae, qui nobiscum in' rationibus monumen-
« tisque pubHcis versantur », aveva osservato Cicerone ai
tempi suoi che non lasciavano « obscurum suum iudicium
« decretumque » (2), solo che volessero.
(i) Cf. il Registro di M. Guidi, citato negli Atti e Metti, della R. Acc.
dei Liticei, III*, p. 176. Stefano Cafari, notaio, cominciava nel 1438
il suo diario con queste parole: «In isto quinterno continentur
«multa et diversa in diversis codicibus nostris et
«diversis annis et tempo ri bus sparsa et hic suc-
«cincte de scripta, ne per varia volumina quis habeat inqui-
« Vere ». Cf. Arch. della R. Soc. Rotti, di st. patr. VIH, 559. Questo brano
del CafTaro non è di poca importanza per la conoscenza dell' istorio-
grafia medievale di Roma.
(2) Cicero, Pro domo sua, XXVIII.
498 O. Tommasini
L'occasione dunque non mancava alFInfessura nella
stessa sua professione e qualità a farsi storico de' tempi
suoi. Registrare ne' protocolli la memoria di fatti ch'erano
in relazione coll'ufficio, o recavano una nuova manièra di
datazione de' pubblici atti, o colpivano la vita civile, come
gli straordinari processi, l'esecuzioni di giustizie, il caro
delle derrate, le vicende di Campidoglio, quelle del pub-
blico studio, la morte dei pontefici, la loro elezione, era
naturale effetto della condizione sua rispetto alla città. Ma
forse non gli mancavano intrinseche disposizioni dell'animo
all'ufficio di storico; e chi consideri gYi scuciti frammenti
ora volgari ora latini di cui consta il suo diario, non dubita
di ravvisare tra le diverse parti di esso identità di natura,
differenze di forma e d'intendimenti che lasciano far con-
gettura legittima non già di un più grande disegno, come
parve al Gregorovius, ma di una diversità d'origine e forse
di fine nell'opera di lui.
Se non che, prima di discutere la compagine di questa,
non è inutile di tener proposito dei manoscritti, secondo
i quaU è giunta sino a noi; mondandola dell'imbratto che
i tempi diversi poterono lasciarvi sopra, per scrutarla nella
sua forma più prossima all'originale primitivo.
E innanzi tutto : fu chi vide mai l'autografo dell' Infes-
sura ? Il Valesio, dalla raccolta del quale è pervenuto il co-
dice all'archivio storico Capitolino, di cui più oltre terremo
parola, annota alla seconda carta non numerata del codice
stesso: « extat autograph. ms. in Archiv.° Vatic.° signat.
« n. CXI ». Questo ms. CXI è evidentemente il medesimo
che si allega negh Annali suoi dal Rainaldi col n. in,
reso per le stampe con un III (i). Un altro ms. del museo
(i) Però potè prendere abbaglio l'Eccardo stampando nellla pref. al-
l'edizione sua che il Rainaldi lo indica nell'arch. Vat. « sub numero III ».
Nel ms. Vallicelliano S, 21 (n. m. 01688), che contiene P. Raynaldi mo-
numenta prò Annalibus ah ami. 14^^ ad 14^^, t. XVII, alla e. 3 il Rai-
naldi cita : « Steph. Inf. IXI » ; ibid. a e. 1 5 : « ms. Vat. signat. nu. 1 1 1 » ;
// diario di Stefano Infessiira 499
Britannico, che reca la segnatura odierna P, 105 1, ed è del
secolo XVII, offre la nota identica a quella che s' incontra nel
citato ms. del Valesio. Ora, noi non sappiamo se il Vale-
sio vedesse l'allegato ms. dell'archivio Vaticano ; probabil-
mente non lo vide e non vide che il cod. 6389 della bi-
blioteca Vaticana, che egli e il ms. sopradetto del museo
Britannico citano insieme. Ma quello che risulta certo si è
che il Rainaldi, il quale se ne servì per primo citandolo e
pubbHcandone brani, non lo diede mai per autografo; e che
ad ogni modo il codice citato con quel numero e dal Rai-
naldi e dal Valesio, nell'archivio Vaticano e nella bibHo-
teca non esiste più, né se ne raccapezzano tracce. E poiché
dai signori archivisti P. Wenzel e G. Palmieri mi fu sem-
pre ficilitata nell'archivio Vaticano ogni ricerca con gran-
dissima cortesia, di che rendo loro pubbliche grazie, ed ò
ogni ragione di credere alla lealtà delle loro affermazioni,
convien dire che quel codice del quale sino al 1701 rima-
neva memoria, sia dopo quel tempo scomparso.
Ora ecco quanto dalle citazioni del Rainaldi si può rac-
cogliere intorno a quel codice.
Il Rainaldi la prima volta, fra le sue autorità indicate
in margine, allega il Diarium Steph. Infissurac con quello
di Paolo di Benedetto all'anno 1433, in occasione della
pompa per l'incoronazione dell'imperatore Sigismondo in
Roma, e non, come scrive l'Eckhart, « ab anno 1484 usque
«ad annum 1494 » (i); e lo cita, come dicemmo, dal « ms.
« arch. Vat. signat. nu. ni ». Ripete un'altra volta la me-
desima citazione all'anno stesso, e prosegue a citarlo per
nel ms. S, 23 (n. m. 01690), Montini, prò Annalih. 1448 ad 14)6, t. XX,
e. 154: «ms. Vatic. sig. n.IXI, pag. 12. Stcph. Infis.»; ibid. e. 166 v:
« Steph. Infiss. ms. Vatic. sig. nu. ni »; ibid. e. 1 70 v : « Steph. Infiss. :
« arch. Vat. sign. nu. IV (corretto sopra IX) >y ; ibid. e. 205 : « Steph.
«Infiss. in ms. Vatic. sign. IXI nu. iii »; nel ms. S, 24 (n. m. 01691)
« c. 44 v: Steph. Infissura m.s. arch. Vatic. signat. nu. in ».
(i) EccARD. pref. ed. cit.
500 O. Tommasini
gli anni 1434, 143^, 1438, 1440, 1447, 1449, 1450, 1452
nel modo medesimo. Una volta, pure all'anno 1452, cita:
« Steph. Infiss. m. s. arch. Vat. signat. n. 4 ». Riprende la
segnatura consueta pel 1453, 1455, 14^4, 14^7, i4<38.
Al 1471 indica: « ms. Vatic. arch. sign. n. 11 ». È svista,
o errore di stampa, o segnatura vera d'un diversò co-
dice? (i). Al 1473 poi torna a indicare il n. 11 1 come
« cod. m. s. Vat. » dando luogo a dubitare se si tratti d'un
codice dell'archivio segreto o della biblioteca Vaticana; ma
presso a quella citazione aggiunge di soprappiù l'altra « et
« m. s. Valile, bibl. » , che ci rivela come fin da quel tempo
esistesse nella Vallicelliana un manoscritto dell' Infessura (2),
e come il Rainaldi ebbe luogo a farne raffronti col codice
Vaticano perduto. Segue poi a citare il nostro diario al-
l'anno 1475, 147^, 1480, nel quale ultimo allega con l' In-
fessura anche Iacopo Volterrano, come se anche il diario
di questo si comprendesse nel medesimo manoscritto in.
Per gli anni 1481 e 1482 s'aggiunge all'indicazione solita,
quella « ex m. s. arch. Vat. sign. n. 49 », e l' Infessura si ac-
compagna con a alii vetustorum diariorum auctores», fra
i quali esplicitamente all'anno 1494 si menziona quello di
«Sebastiano Branca». Nel 1492 e negh anni seguenti ca-
pita di veder notato «m. s. arch. Vat. sign. n. ni etaliud
«ms. sign. eod. num. ». Dunque il ms. dell'archivio segreto
citato dal Rainaldi ebbe, per quel che pare, a consistere di
due tomi segnati collo stesso numero ; in questi due tomi
dovevano comprendersi, oltre quel dell' Infessura, i diari di
(i) Anche all'anno 1480 (n. io) s'incontra la citazione: «Steph.
« Infess. m.s. Vat. sign. n. 121 » che dà luogo alle stesse interrogazioni,
senza possibilità di certa risposta.
(2) È quello segnato I, 74 (n. m. 00833) con una postilla nel mar-
gine superiore esterno della prima carta, di mano del Rainaldi stesso:
« Extatin m. s. archivii Vatic. signat. n. Ili, p. 127 etc. ». Fu trascritto
per commissione del p. Cesare Beccilli; e però innanzi la prima
metà del secolo xvii. Nell'ediz. questo ms. è designato colla sigla S^
Il diario dì Stefano In fessura 501
Sebastiano di Branca di Tedallini, di Iacopo Volterrano e
del Burcardo, che il Rainaldi cita in seguito sotto il numero
medesimo. Se non che niuno dei mss. dell' Infessura o degli
altri diaristi indicati che si trovano nell'archivio Vaticano,
risponde alle condizioni espresse nelle citazioni del Rai-
naldi; non il codice dell'armario IX ord. i. r. proveniente
dall'archivio di Castello; non quello dell' arm. XV, n. 61 ',
non quelli in cui si contengono frammenti del nostro dia-
rista; al quale non sembra che mai toccasse opposta for-
tuna a quella del Burcardo che, com'è noto, dalla biblio-
teca Vaticana fu fatto trapassare nell'archivio segreto (i).
Infatti niuno tra i molti mss. dell' Infessura che si trovano
in quella biblioteca apparisce che sia quivi derivato dal-
l'archivio. Ben è vero che di fatti consimili che poterono
col volgere del tempo intervenire non si à alcuna nota a
registro in nessuna delle due sedi Vaticane, per quanto mi
venne fatto di sapere; ma ad ogni modo il cod.Vat. 1522, che
è il solo il quale, diviso in due tomi, insieme col diario del-
l' Infessura contiene parecchie altre scritture, non risponde
affatto pel resto del contenuto alle indicazioni desunte dalle
citazioni del Rainaldi. Al codice 1 1 1 convenne pertanto di
rinunciare, dopo averlo anche vanamente ricercato nell'ar-
chivio dei Ceremonieri pontifici; e il danno parve meno sen-
sibile, dacché per le cortesi cure di monsignor Stefano Cic-
colini, vicebibliotecario della Vaticana, mi fu possibile di
rinvenire almeno in questa il codice ^389 citato dalValesio
e dall' indicato ms. del museo Britannico, del quale pure i
cataloghi vaticani non lasciavano alcun sentore. Ben fu ritro-
vato suir inventario antico e, coll'aiuto di questo, ritratto
a luce.
E fu vera fortuna dacché, per quanto la copia ch'esso ci
dà non sia ottima e non vada immune da grossi errori, pure
questi medesimi mettono sulla via di riconoscere che Ta-
(i) Arch. della Soc. Rotti, di st. patr. I, 245-44.
502 O. Toiìimasini
manuense dovette aver sott'occhio un ms. degli ultimi del
secolo XV o dei primi del xvi, perchè molte delle avarie
nella lezione nascono appunto dalle cattive interpretazioni
di voci e nomi che erano famigUari a tutti in quei tempi,
da cattive interpretazioni d'abbreviature e segni che tra gli
scrittori di quei tempi erano appunto più in uso.
Ma di questo avremo agio a parlare più particolarmente,
quando sarà il luogo di descrivere i manoscritti di cui ci gio-
vammo per la nostra edizione. Ora continuando a tener
ragione di quelli che anticamente furono cogniti come esi-
stenti in librerie di privati o veduti in mano a studiosi, ricor-
deremo quello che Alfonso Ceccarelli « dice d'aver visto in
tutto foglio nella libreria del signor Francesco Mucante,
maestro delle ceremonie di N. S. », e che pertanto non potè
essere posteriore al secolo xvi; l'cc antico manoscritto che
era in mano del signor Angelo RoveUio da Camerino », da
cui fu trascritto il codice Chigiano G, II, 62 ; quello men-
zionato in un codice dell'archivio dei Cerimonieri come
esistente «nella libreria Rosi» (i); l'altro visto dal Man-
dosio « apud Io. A. Moraldum » (2); quello citato dal Ni-
quet nella biblioteca di Fulvio ArcangeU da Bagnorea (3);
l'Annoveriano e il Berlinese dell'Eccardo (4); l'Estense che
servi al Muratori e a cui pure l'edizione di lui non si tenne
(i) Arch. dei Cerimonieri pont. ms. A I. Nell'archivio stesso non
si trovano più quei mss. dell' Infessura che dal Formichi, Ristretto
delle principali indicazioni delVarch. dei Cerim.y vengono designati coi
numeri 353 e 354.
(2) Mandosio, Letter. Rom. Cent. 2", n. 62.
(3) N1Q.UET, Tit. S. Crucis, 140. Nel manoscritto da lui indicato
si trovavano insieme col diario dell'I, quello di Lelio Petroni e di
Paolo dello Mastro.
(4) Vengono da noi nell'edizione contradistinti colla sigla E^ con
cui si designa non solo la lezione dei codici, ma quella data nel-
l'edizione sua dall'Eccardo, che talvolta scade per inesatta lettura
dei mss.
// l^iario di Stefano Infessura 503
sempre fedele (r); il Vaticano 5394 e quello del Valesio,
citato da fra Casimiro (2) ; poi quelli descritti da bibliografi
come il Montfaucon, il Fabricius (3). Ma fu cosa impossi-
bile il riandar sulle tracce di codici appartenuti a librerie
private, delle quali niente si potè accertare, neppure quando
e come cessassero. Forse qualcuno di quei codici entrò
nelle biblioteche pubbliche; forse gli avemmo alle mani,
ma mancò ogni mezzo a riconoscerli e costatarne F iden-
tità. Per quelli poi che le pubbliche librerie conservarono,
fu facile aver notizie e raffronti di passi dubbi o caratteri-
stici, segnatamente per via di circolari e di lettere che in-
dirizzammo a' bibliotecari d' Italia e d'Europa, e per cortese
corrispondenza d'amici e compagni di studi, ai quali pro-
fessiamo viva e cordiale riconoscenza (4).
(i) Il codice Estense di cui si servì il Muratori è quello conser-
vato nella biblioteca dell'Archivio di Stato in Modena.
(2) Fr. Casimiro, Storia di Aracoeli, pp. 416-18, cita i mss. Chi-
giano 1226; Vat. 6389, 5393; quel del Valesio, ora nell'arch. Ca-
pitolino, e (a p. 424) il codice « presso il signor marchese Pompeo
« Frangipane ». Il catalogo della biblioteca della rinomata famiglia
Frangipane fu pubblicato in Roma dal Monaldi nel 1787. L'anno sus-
seguente andò venduta all'asta.
(3) Montfaucon, Bihl. bibl. mss. col. 11 5 1 ; Fabricius, Bibl. lat.
med. et inf. aetatis, V, 503.
(4) Rendo pubbliche grazie in questa occasione ai signori biblio-
tecari, archivisti, colleghi ed amici che contribuirono colla loro dottrina
e pazienza a vantaggio delle mie ricerche, e particolarmente ai signori
cav. Fr. Carta, già bibliotecario della Vallicelliana, cav. I. Giorgi
della biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, prof. G. Cugnoni della
Chigiana, prof. C. Schiaparelli della Corsiniana, dott. Guido Levi
dell'Archivio di Stato in Roma, mons. Stefano Ciccolini della Va-
ticana, mons. P. Wenzel e G. Palmieri dell'arch. Vatic, monss. Ca-
taldi e Sinistri per l'arch. dei Cerim. pontifici, prof. G. Tomassetti,
archivista della casa Orsini, sig. L. Simeoni, archivista della fami-
glia Colonna, pur troppo mancato ai vivi, al cav. Carlo Padiglione
della Brancacciana di Napoli, al prof. A. Bellucci della Comunale di
Perugia, al cav. B. Podestà della Nazionale di Firenze, al cav. Ales-
sandro Gherardi del R. Archivio di Stato in Firenze, al cav. A. Li-
504 O. Tommasini
Or ecco Telenco dei mss. dei quali ci potemmo gio-
vare neir ordinare la critica del testo da noi stabilito :
Roma. — Arch. Vaticano, arch. di Castello, armar. IX, ord. i r.
Ms. cartaceo, sec. xvi (0,350 X 0*250), rilegato in pergamena; sul
dorso: « Infessurae Historiae » ; di carte 217 numerate nel retto:
Historie . avanti . che . la . corte . gisse . in . Fran^^a \ Manca il prin-
cipio. Tra le linee del titolo e nel margine : « Delle quali se ne
« tratta brevemente nella prima, et seconda pagina. Seguita il me-
« desimo Stefano la sua historia da Gregorio XI ìnsino ad Ales-
« Sandro sesto inclusive ». E suU' altro margine interno : « Ste-
« phano Infessura | cittadino romano ] fu potestà ad Orta | sotto
« Xysto mi, e. 37». Inc. (e. i): « Pontificalmente et dissegli ».
Expl. (e. 165 v): « per andare a campo a Ostia». Il ms. presenta
due scritture di mano diversa; l'una va sino alla carta 104 v, e
alla linea: « gentes Ecclesiae et comes Robertus ibique stragem
a quum volebatfacere ». Indi è notato nel margine inferiore interno :
« Istam clavem invenies infra pag. 112, versu 17. Sequitur enim
« Deinde intendebat ». E della stessa mano nell'alto del foglio 105 r :
« duae sequuntur ab ista pagina 105 usque ad paginam ii2repe-
« riuntur. Sunt enim descripta supra a pag. 95 usque ad pag. 104 v ».
E dalla carta 105 in poi l'acido dell'inchiostro à sovente corroso
o macchiato il foglio. Seguono carte bianche dalla 166 alla 169,
nella quale comincia : S^° Dno Nro \ Sixto Papae Quinto \ Summa-
rium Diariorum fel : ree : Sixti \ Papae Quarti ab anno i4'j() usq. \
ad annum 1484 . cum Indice. È un sommario del Diario di Ia-
copo Volterrano. Expl. (e. 188 r) : « Augustinensis erant ». Segui-
tano Estratti ed appunti storici, l'ultimo de' quali (a e. 213 r) reca :
«Notanda. 1534. Alli 23 di marzo Clemente VII per sua sentenza
sini e signor Fr. Bandini Piccolomini dell'Archivio di Stato in Siena,
al cav. Foucard dell' arch. di Modena, al prof. A. Fabretti in Torino,
al cav. Carlo Castellani, prefetto della Marciana di Venezia, all'ili, si-
gnor L. Délisle, e sig. Elie Berger per i mss. delle biblioteche di
Parigi, a lord Carlthorpe che mi concesse d'aver le varianti richieste
dal ms. della sua biblioteca d'Yelverton, e al prof. M. Creighton
che volle con squisita cortesia recarvisi per favorirmele, al sig. dottor
O. Hartwig bibliotecario dell'università in Halle, all'amico Ugo Bal-
zani, che ovunque, nei suoi viaggi, prevenne le mie preghiere, co-
municandomi notizie e riscontri.
// 'Diario di Stefano In fessura 505
« consistoriale dichiarò valido il matrimonio tra Catarina, et En-
ee rico Ottavo regi d' Inghilterra ». Seguono carte bianche sino al
fine. A
Arch. sudd. arm. XV, n. 61. Ms. cartaceo, sec. xvii (0,250
X 0,190). Sul dorso della rilegatura a lettere dorate è impresso:
Infestur Diaria. Consta di carte 222 non numerate. Inc. (e. i):
«Nell'anno 1294 nella vigilia di Natale». Expl. (e. 222 v) : «per
« andare a campo ad Ostia». La carta 62 v è bianca. Riprende
a e. 6^ : De hello commisso inier \ Sixtum et Robertum de \ Arimino
« ex una et Regem \ Ferdinandum Ducemque Ca \ labriae ex alia parte,
« et de mar \ te dicti Roberti \ anno 14002. Inc. (e. 63): « Cum tempore
« Sixti quarti». Expl. (e. 80 v): « et verisimile iam est ». A e. 81 :
« .MCCccLxxxiv. faccio recordo io Stefano » e seguita sino al ter-
mine (e. 222 v) : « per andare a campo ad' Ostia ». Manca il ms.
di due carte, interrompendosi la lezione dall'ultima linea della
e. IO V, alle parole: « accompagnati da molti cittadini. Dell['anno
« 1407] » sino a: « [e per questa casciojne le moniche di San Sil-
« vestro et tucti li cittadini romani ». Il ms. à un'altra lacuna con-
siderevole dopo il notamento : « Deinde mense martii sequentìs
« anni 1485 », dopo le cui ultime parole: « dimiserunt et retroces
« serunt », salta al notamento : « die 20 iulii dominus Prosper de
« Columna etc. ». A*
Bibl. Barberini. Ms. LIV, 51 (num. ant. 3160). Cartaceo, se-
colo XVII (0,271 X 0,210), di carte 314 non numerate, delle quali
la tre prime e le due ultime sono bianche. Contiene : Stefani In-
fessurae \ civis romani \ Diaria \ rerum romanarum suorum tempo-
rum I post curiam romanam \ ex Galliis \ ad Urbem reversam usque \
ad Alexandri papae Sexti \ creationem. Inc. (e. 4): « Nell'anno del
« Sig""^ 1294 nella vigilia di Natale ». Expl. (e. 289 v): « per andare
« a campo d'Ostia ». Segue poi (e. 290): Aggiunta de' papi che \ man-
cano netti Diarii dell' Infessura \ mentre stettero in Francia. Inc.
(e. 290): « Nell'anno 13 16 fu in Provenza ». Expl. (e. 312 v) :
« Dell'anno 1404 Bonifatio 9 ultimò i giorni suoi ». Segue: « Qui
« si ripigliano i Diarii in questo tempo dell'Infessura correvano».
Recente compilazione di niun valore. B.
Bibl. sudd. Ms. LIV, 52 (num. ant. 1087). Cartaceo, in-fol. se-
colo XVII (0,290 Xo»2 io), di carte 277 numerate. Contiene : Stephani
Infessurae | Civis romani Diarium rerum romanarum \ Post Curiam
romanam ex Galliis ad Urbem \ reversam usque ad Alexandri papae \
sexti creationem \ Fi manca il principio. Inc. (e. i): « Pontifical-
« mente et dissegli ». Expl. (e. 142 v) : « per andare ad campo ad
« Ostia ». La e. 143 è bianca; a e. 144 seguitano Conclavi di Cle-
^o6 O. Tommasint
mente V, Niccolò V, Calisto III, Pio II, Paolo II, Pio III, Mar-
cello II, Paolo V, Clemente Vili, Gregorio XV. B'
Bibl. sudd. Ms. L V, 5. Cartaceo, in-f. sec.xviii (0,290 X 0,210),
di carte 234 non numerate. Diario \ della \ Città di Roma \ da \
Papa Bonifacio Ottavo \ fin ad \ Alessandro Sesto. Inc. (e. i): « Nel-
« l'anno Domini mille ducente novanta quattro ». Expl. (e. 234V) :
a per andare a campo ad Ostia ». B*
Bibl. sudd. Ms. LV, 56. Nella risguarda: « N° A^° (mancava).
Legato nel 183 1 ». Cartaceo, in-fol. sec. xvii (0,325X0)227),
di carte 198 numerate. Diario \ Overo Istoria di Stefano Infessura
la 1 qual comincia da Bonifatio VJII & \ continua fino ad Alessan-
dro VI I Dove si descrivono cose diverse concernenti | lo Stato della
città di Roma \ per lo spatio di 200 anni in circa \ Manca il prin-
cipio. Inc. (e. i): «Pontificalmente e'dissegli». Expl. (e. 197 v):
« per andare a campo a Hostia ». « Ex libris Fran*^^ de Fucciis »
sul frontispizio. B3
Napoli. — Bibl. Brancacciana. Ms. ii,F, io. Cartaceo, in-4, sec. xvii
(0,260X0,198). Miscellaneo. Contiene: Osservationi fatte in alcune
chiese di Roma et in particolare nella basilica Vaticana (ce. 1-17 nu-
merate nel retto). Segue : Stephani \ Infetsurae Civis Romani Diaria
Rerum Roma \ norum suorum temporum post Curiam Roma- \ nam ex
Galliis ad Urbem reversam ad \ Alexandri Papae Vlcreatìonem (ce. 1-293
numerate nel retto). Inc. (e. i): « Nell'anno Domini 1294 ». Expl.
(e. 292 b): « per andare ad campo d'Ostia». Indi segue dopo una
linea tracciata ad inchiostro e la nota marginale : « q^ è postilla » :
« quale hebbe finalmente in suo potere il card^« S» Pietro in
« Vincula passo in Francia ove stette tutto il pontificato di Alexan-
« dro 6° li fu da s. Fran*^° di Paola chiamato in quel tem.po in
«( Francia da Ludovico XI predetto il pontificato che lo consegui:
« et si chiamò Giulio secondo fu pontefice di gran cuore et di
« grandissimo valore ; addumò i Francesi et i Venetiani in gran-
« dissima maniera, ritrovandosi sempre in persona sotto li Padi-
« glioni, et nelli exerciti per difesa, et recuperatione dello Stato
« Ecc*^" et della giurisditione di S^^ Chiesa & ». B*
Berlino. — Kònigl. Bibl. Cod. Beri. ital. fol. 37. Lib. 36 delle così
d&tXQ Informazioni politiche. Cartaceo, in-4, sec. xvii (0,000X0,000)
(acquistato nel 1699. Cf. Wilken, Gesch. d. Berliner Bibl. p. 53.
È quello citato dall' Eccardo, loc. cit. II, pref. § xxvii). A e. 5 :
Stephani Infessurae Civis Romani \ Diaria Rerum Romanarum usque
ad Alexandri Papae Sexti Creationem. Vi manca il principio. Vi
è premessa un' aggiunta di 4 fogli, scritti d'altra mano in cor-
sivo: Diario della Città di Roma di Lelio Petronio, Stefano Infessura e
// T>ia7^io di Stefano In fessura 507
suol antenati. (Donde fosse l'Eccardo ebbe ansa a congetturare del
Petroni e di Paolo dello Mastro : « omnes tres successive scribas
« Senatus populique romani fuisse verosimile est ;)). Inc. (e. 2):
« Nell'anno Domini mille dugento novantaquattro ». Expl. (e. 4):
«regnò otto anni nel papato ». Inc. (e. 5): « Pontificalmente et
« dissegli ». ExpL: « per andare a campo ad Ostia ». B^
Bologna. — Bibl. Universitaria. Ms. n. 848, in-4 (i). Cartaceo, se-
colo XVII (0,197 X 0,260), rilegato in pergamena, di carte 245 nu-
merate. A e. I r è il titolo : Stephani Infesturae, Civis Romani, Diaria
rerum Romanarum suorum temporum, post Curiam Romanam ex Gal-
liis ad Urbem reversam usque ad Alexandri Papae Sexti creationem.
Inc. (e. 2 v) : « Neil' anno del Signore mille ducento novanta-
quattro » (2). Expl. (e. 245): « per andare a campo ad Ostia ». B^
Roma. — Ms. cartaceo del sec. xvi (0,307 X 0,210). Stephani Infessurae |
Civis Romani Diaria rerum Romanarum \ suorum temporum | Post
Curiam Romanam ex Galliis ad Urbem reversam \ usque ad Alexan-
dri Papae Sexti creationem \ Vi manca il principio. Inc. (e. i): « Pon-
ce tificalmente e dissegli ». Expl. (e. 218 v) : « per andare ad campo
«ad Ostia». Dalla p. 100 appariscono vestigi di numerazione
antica, che giunge coll'ultima carta n. 199. Proviene dalla biblio-
teca Gentili del Drago, venduta in parte al libraio Payne, in parte
al comm. Corvisieri, che acquistò con altri cartacei questo ms.
a me ceduto. La scrittura n' è buona, ma l'acido dell' inchiostro à
roso spesso la carta lungo le linee, spandendole attorno di colore
giallognolo scuro, più particolarmente verso le ultime carte. Oflfre
in genere assai buona lezione ; conserva molte forme del volgare
romanesco, e anche dove l'amanuense non fu esatto o fu men fe-
lice interprete delle abbreviature, dà agio a congetturare la con-
dizione del testo più antico da cui fu trascritto. C
Bibl. Chigi. Ms. G, II, 62. Cartaceo, sec. xvi (0,307 X 230),
rilegato, col dorso in cuoio giallo e le coste di tavola. Consta di
carte 262 numerate, ad eccezione delle tre ultime, cominciando
la numerazione dalla e. 37 e terminandosi alla 296 bianca. Sulla
copertina : « La presente Istoria è copiata da un antico mano-
« scritto, eh' è in mano del s. Angelo Rovellio da Camerino ».
Inc. (e. 38): « Historia \ In forma di Diario di Stefano \ Infcssura
(i) Nel cod. 519: Conclavium Ada ab Eugenio IV ad Gregorium XIII e in-
ferita quella parte del diario dell' Infcssura che va dal 9 agosto al 29 novembre
del 1484.
(2) Il copista aveva scritto: • cinquantaquattro». La correzione sembra di mano
sincrona.
5o8 O. Tommasini
Cittadino Romano : « Pontificalmente, et dissegU ». Expl. (e. 295 v) :
«per andare ad Campo ad Ostia». C
Bibl. sudd. Ms. G, II, 6r, cartaceo, sec. xvii (0,257 y(^Q,ic)o),
di carte 461 numerate. Stephani Infessurae \ Civis et Scrihae \ Po-
pidi Romani \ Opera \ cum suis Indicibus \ Locupletissimis. Nel foglio
successivo distingue le opere nelle seguenti parti: Memorie Histo-
riche dal 12^4 sino al 1484 (p. i). -De Bello commisso inter Papam
Sixtum iiij et Ferdinandum Regem Neapolis Liber unicus - Diaria
suorum temporum - Fragmenta latina et italica Pontificatus Alexan-
dri VI. Inc. (e. i) : «Nell'anno Domini 1294». Expl. (e. 452 v) :
« et egli si chiamò Giulio 2° ». Il ms. distingue i frammenti di cui
è composta l'opera dell' Infessura come tante parti indipendenti.
Il copista vuol essere spesso anche un raccontatore, che tende a
far scomparire le lacune, e, dove non può dare unità formale alla
storia, ne presenta i brani come indipendenti l'uno dall'altro.
Chiude ogni parte con un Index \ Rerum memorabilium o con un
Indice delle cose più singolari, secondo che questo seguita ad un
frammento latino od italiano (ce. 172-188, 227-234, 406-426 r,
455-461 r). E come incorpora il principio che si trova in R, ag-
giunge in fine la postilla dopo il comune expl. : « per andare a
« campo ad Ostia, quale hebbe finalmente in suo potere. Il car-
« dinaie di S. Pietro in Vincoli passò in Francia, e vi stette tutto
« il pontificato d'Alessandro VI, e li fu predetto il pontificato che
« conseguì poi da s. Francesco di Paola chiamato in quel tempo
« in Francia da Ludovico XI; et egli si chiamò Giulio 2" »; simil-
mente racconcia le forme del volgare e del latino secondo gram-
matica. C^
Bibl. Corsini 1344, segn. 38 E, 21, cartaceo, secolo xvii, di
carte 515 (0,197 Xo»H9)- Sommario di Diarii \ d' alcuni pontefici \
dall'anno 12C/4 sino al 14^4 \ autore \ Stefano Infissura \ et Pauli Ma-
gistri I civium Romanorum cum Compendio Vitae Alessandri 6 \ Il
Compendio non l'ho messo perchè non l'ho stimato bene. Inc. (e. i r) :
« Nell'anno del Sig*"^ 1294 ». Expl. (e. 214 v): « per porvi il campo
«ad Ostia». Lo scrittore non solo compendia, ma sopprime non
di rado, con animo d'apologista ecclesiastico. Più spesso ancora
amplifica da ceremonìere, assumendo anche particolari dal diario
di Paolo dello Mastro:
Lezione comune. Cod.
« Dell'anno 1475 a dì 6 di iennaro « 1475. Fu il p° anno santo che si
re Ferrante venne ad Roma allo per- celebrasse di 25 anni, ordinato da
dono » . Paolo 2» e cominciato da Sisto 4 a di
6 gennaro venne il re Ferrante, ecc.
// diario di Stefano In fessura 509
« E lo papa colli cardinali Io rece- « ... e andorno alle scale di S. Pietro, a
perone nelle scale di Santo Pietro, e capo delle quali stava il papa con i
collo detto imperatore deretto a lui cardinali, e l'imp" gli andò a baciare
ci giva la imperatrice sua sposa fi- i piedi. Poi l' imperatrice che era bella
gliuola del re di Portogallo, iovane oltremodo e circondata dalle sue dame
polita e bella, tanto qlanto si potesse e damigelle s' inginocchiò avanti al
dire, con molte donne e damicelle, et papa, gli baciò il piede e la mano, e
dopo lo imperatore fu collocato in poi assise a canto all'imp" quale dopo
quello palazzo che sta sopra le scale fu collocato in quel palazzo che sta
di Santo Pietro •> . sopra le scale di S. Pietro » .
«(1464) fo fatto papa Paolo II car- «...fu fatto papa mons. di San Marco
dinaie di S. Marco nipote di papa Eu- venetiano nepote d'Eugenio, e si pose
genio venetiano » , nome Paolo II quale concesse la ber-
retta rossa ai cardinali » .
Nel notamento dell'anno 1478, « die quarta mail morse ms.
« Pietro de Cesis senatore di Roma », manca la menzione del-
l'autore del diario che si trova in tutti gli altri codici : « et in quel
« tempo io Stefano Infessura stava per podestà di Orta ». Ma la
vera caratteristica di questo ms. è l'esser tutto volgare, trovan-
dovisi recato in italiano il Belliim Sisti IV e tutte le altre parti
che trovansi latine negli altri manoscritti. E non fu senza utilità
averlo a riscontro, giacché non di rado servì a raddirizzare qual-
che lezione di nomi propri che nei testi latini si presentavano
assai guasti. C 3
Bibl. Casanatense. Ms. XX, VI, 7, cartaceo, secolo xviii (0,261
X 0>i90, di carte 445 numerate, più tre in principio (i, 11, iii),
sulla prima delle quali è il titolo: Stephani Infesiure Civis Romani Dia-
ria I Rerum Romanarum suorum temporum post Curiam \ Romanam
ex Gallis ad Urhem reversam usqiie \ ad Alexandri Papae Sexti Crea-
tionem. Inc. (e. i): «Nell'anno Domini mille ducento novanta-
« quattro ». Expl. (e. 442 v) : « per andare al campo di Ostia ». C^
Hannover. — Bibl. Reale (Kònigl. Biblioth.), arm. V, 5 (cf. Archiv, I,
467) : Diario della città di Roma di Stephano Infessura, e suoi Ante-
nati, Scriba del popolo e Senato Romano dove si vede li maggiori suc-
cessi della suddetta città di Roma e di tutta Europa in tempo delli infra
scritti pontefici, Bonifacio Vili, Benedetto XI, Clemente V, Urbano V,
Gregorio X/, Urbano VI, Bonifacio IX, Innocentio VII, Gregorio XII,
Alessandro V, Giovanni XII detto XIII, Martino III detto V, Eu-
genio IV, Nicolao V, Calisto III, Pio II, Paulo II, Sisto IV, Inno-
centio Vili, Alessandro VI. Inc. : « Nell'anno Domini mille dugento
« novanta quattro ». Expl. : « per andare a campo ad Ostia ». È il
testo pubblicato dall'Eckhart, alla cui edizione mi riferisco nel
citarne le lezioni, sembrando quella condotta con grande fedeltà,
quantunque salti non di rado agli occhi qualche svarione soprat-
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 34
5 IO O. Tommasini
tutto rispetto all'interpretazione dei nomi propri e delle abbre-
viature. L' Eckhart nella prefazione (t. II, § xvii) cita un « codex
« Berolinensis, quem postea nacti sumus » del quale si giovò in-
sieme coir Hannoveriano per l'edizione sua. Evidentemente è il
medesimo citato nQÌVArchiv, Vili, 852, n. 37. E
Firenze. — Bibl. Naz. Cod. CXXVII Gino Capponi, cartaceo, del se-
colo XVIII, in-fol. (0,260 X 0>i90)> ^'^ carte 92 numerate. È il quinto
tra sei volumi di diari compresi sotto il medesimo numero. Con-
tiene il Diario di Antonio de Petris (1404-1413). Segue (e. 58):
Diarii delle cose succedute \ nella citta di Roma attribuiti à Stefano
Infessura I Dall'Anno 12^4, sino all'Anno 1^8^. Nel retto della e. 61 :
Altro principio di Diarii di Stefano Infessura come sta nel Codice Vati-
cano 682} pa. ^8. Inc. (e. 58): «Pontificalmente e disseli ». Expl.
(e. 60): «e morì a Peroscia, lo quale d" ». Indi è notato: « Se-
« guita come addietro in mezzo alla facciata terza». Seguono
bianche le ce. 61 v e 62. A e. 63 : Diarii di Stefano Infessura \ Delh
cose succedute nella città di Roma \ doppo il ritorno della Corte da
Avignone | sino alla crea:(ione di Papa Alesandro Sesto \ Diario in
lingua Volgare dall'anno \ 140^ all'anno 148J. Segue (e. 153 r): Dj
bello commisso etc. Expl. (e. 1 53 r) : « per andare a campo ad Ostia ».
Seguono : Annali Romani dal 1422 al 1484 di Paolo de Magistris, di
Paolo Petrone, del Notaio dell' Antiportico (sic), di Sebastiano di Branca
de Tellini, ed altri copiati dal cod. Vat. 6823. F
Bibl. sudd. (sezione MagUabechi). Ms. II, III, 422, Magi. XXXVII,
3,61, cartaceo, stc. xvi, in-fol. (0,280X0,210), di carte 365 non
numerate: Historia \ In forma di \ Diario \ di \ Stefano Infessura Cit-
tadino I Romano. Inc. (e. i): « Pontificalmente et dissegli ». Expl.
(e. 365): « per andare a campo ad Ostia ». F'
Bibl. Riccardiana. Ms. 11 82, cartaceo, in-4 (0,280X0,210), del
sec. XVIII, di carte 510 numerate di diversa scrittura; posteriore
nelle ce. 1-365 inclusive; anteriore nelle ce. 367-510, con qualche
quaderno del sec. xvii e xvi. Sul retto della carta che serve di
guardia è scritta la seguente nota: « Si averte il cortese lettore
« che in questo libro vi sono moltissimi errori, o sieno dell'autore,
« o dello scrittore ». Nella prima carta è il titolo : Stephani Infes-
sure I Civis Romani Diariorum Romanorum \ suorum temporum \ Post
Curiam Romanam ex Galliis ad \ Urbem reversam usque ad Alexandri
Papae Sexti Creationem. « Vi manca il principio ». Inc. (e. i r) :
(( Pontificalmente et dissegli ». Expl. (e. 510 r): « de quo adhuc
V sub iudice lis est ] de praecedentia Inter eos nondum decisa
« fol. 222 ». F^
Roma. — Bibl. Ferraioli. Ms. cartaceo, rilegato in pergamena,
// diario di Stefano In fessura 51
sec. XVII (0,240X0,186) ; à scritto sul dorso : «Infe. 324 » ; di carte
210 non numerate. Contiene: Diarii ài Stefano Infessura Cittadino
Romano delle \ Cose di Roma de' tempi suoi dopò il ritorno di \ Francia
della sedia a Roma fino alla \ Creatione di papa Alessandro 6. Inc. (e. i r):
« Nello anno del Sig.""^ 1294 nella vigilia di Natale ». Expl. (e. 162 v):
« per andar a campo ad Ostia ; finis, finis ». Segue della stessa
mano: Diario del viaggio fatto dal S/ Card.' Pietro Aldobrandino \ nel-
l'andar a Fiorenza legato di N. S/' per la celehratione delle \ no^^e della
Regina di Francia \ e di poi in Francia per la Pace. Segue similmente
(e. 175 r) : Ragioni de' Pretendenti a i Ducati di Mantova e Mon-
ferra \ to per via di successione. Il ms. altera le caratteristiche del
volgare, adattando il testo alle forme grammaticali. Sopprime le
parole in lode del Porcari all'anno 1453; ^^^^ ^^ versione della
fazione orsinesca all'anno 1404; non à rubriche marginali. F3
Bibl. sudd. Ms. cartaceo, sec. xvii (o,28oXo>20o), rilegato
in pergamena ; à notato sul dorso : H. H. Diari diversi; d'i
carte 156 numerate nel retto; assai guaste dall'umidità dalla 141
in poi. Le prime otto carte sono bianche e non numerate. Segue
un'altra carta non numerata in cui si à la Tavola de quello sta
Inquesto \ libro. Ac. i : Ex tribus Antiquis Paginis cuiusdam Diarii \
Gentilis Delfini ab Archiepiscopo Columna datis \ Incertis Autoris.
« Questa scrittura io la hebbi dal S.'' Fabritio Boccapadula quale
« la copio nel medemo modo come lo trovato da lui et prima ».
(Cf Muratori, SS. IIP, 842-846). Segue la Mesticanza di Paolo
di Liello Petroni. Inc. (e. 5) : « So certo che ve recordate ». Expl.
(e. 28 r) : « fo chiamato monsignor de Bologna ». Segue (e. 28 v) :
Memoria de occorrense alla giornata. Inc. : « A di .xxv. de iugno
« .MCcccLXXXii. morì papa Favolo secondo». Expl. (e. 33 r) :
« 1524. Circa il principio de 9bre retorno lo re de Francia nello
«Stato de Milano». Segue (e. 33 v) : Da un diario 0 mano-
scritto quale hebbi dal S. Curtio Muti. Comincia cosi: « Roma
« caput mundi. Nel tempo de papa Calisto terzo. Nel 1457 ^ ^^
« 9 8b''*= et fo de lunedì ». Expl. (e. 38 r) : « et a di 14 se pani
« per Napoli » (Frammenti pubblicati nel Diario di Paolo delio
Mastro (Cf. Buonarroti^ 1875, X^ 114-166). Segue (e. 39): Da un
altro diario 0 quinternetto avuto pure dal S: Curtio Multi trovo
così: « Nel tempo che in Avignone la corte Romana faceva
« residenza ». Expl. (e. 43 v) ; « scindici 2 » (Cf. Muratori, A. L II,
85.6-861). Segue d'altra mano con nuova numerazione (e. 1) :
Historie avanti chela Corte gisse in Francia. « Manca lo principio ».
Inc. (e. 740): « Pontificalmente et dissegli ». Expl. (e. 74 v) :
« per andare a campo a Ostia ». Segue (e. 7)) il Diario di Seha-
512 O. Tommasini
stiano di Branca de Talini. Expl. (e. 93 v): « questi gentìlomini
romani ». A e. 94 segue: « Gennaro .mcccclxxxi. A dì 30 ia-
« nuarii suspensus fuit Colutia » {Diario del Notaio del Nantiposto).
Expl. (e. Ili v^ : « alli 25 luglio morì papa Innocentio ». Seguono
(ibid.): Annali di Viterbo copiati. Inc. (e. 11 1 v): « Erano detti
« viterbesi arditi ». Expl. (e. 117 v): « guastando tutti li beni de fori
« poi detto imp''*' etc. ». Segue postilla : « Non trovo più scritto
« in questo libro prestatome da Hipolito Sasso et Fulvio de Ar-
ce cangeli a me Gio. P""" Cafarello questo presente anno 1602
« et da me copiato de mia mano tutto ». Allo estremo interno
del foglio: « De libro ultimo BuUarum messo in altro loco ».
Seguitano tre carte bianche róse da tarli. Indi (e. 121): Copiato
questo diario de verbo ad verbum conforme stava scritto in un libretto
longho de foglio piegato coperto in carta turchina avuto dal s: Ale-
sandro Orsino che sta con II Car^' Odoardo Farnese quale haveva
avuto dal S^ Agnelo Colei (sic) che se presopone fosse fatto da uno de
casa loro. Inc. (e. 121): « Mecordì a di p° Xbre 1521 fu de dome-
« nicha ». Expl. (e. 155 v): « e calonici con la vardia a cavallo ».
Dalla e. 126 sino al fine i fogli son guasti e disfatti dall'umido.
In fine si trovano alcuni fogli scuciti, che contengono compi-
lazione di notizie relative alle famiglie de' Frangipani e Benzoni.
Com'emerge dalla postilla citata alla e. 1 17, questo codice fu scritto
di mano di Giovan Pietro Caffarelli e nella famiglia de' Caffarellì
conservato. Appartenne poi a Pietro Ercole Visconti (i). F'*
Roma. — Bibl. Naz. V. Emanuele. Ms. 304, XVIII, fondo Gesuiti ^
cartaceo, sec. xvii e xvni (0,275X0,205), di carte 193 numerate.
Contiene: Monaldeschi Lud. Annali (ce. 1-12 v) ; Giovan Pietro
Scriniario, Cronica sive hist. rer. not. Romae {ce. 1 5-26 r) ; Steph. Infes-
surae Civis Romani Diaria rerum romanar. suor um temporum post cu-
riam romanam ex Galliis ad Urbem reversam usque ad Alexandri papae
sexti creationem. « Vi manca il principio ». Inc. (e. 27): « Pon-
ce tificalmente et dissegli ». Expl. (e. 1 14 v) : « Die sexta augusti
« card^^ omnes intraverunt conclave quod erat apud... ». G
Londra. — Museo Britannico. Additional Manuscripts 8431. Mano-
scritto cartaceo in-8 grande, delfine del xvii secolo (0,277X0,205).
È intitolato: Infetsurae Civis Romani \ Diaria rerum Romanarum
suorum \ temporum post curiam Ro \ manam ex Galliis ad \ Urbem
reversam usque \ ad Alexandri Papae Sexti \ creationem. Inc. (e. i r
(i) Fu acquistato recentemente dal sig. march. Gaetano Ferraioli, che per
somma cortesia, precorrendo ad ogni mia domanda, me Io inviò a studio. L' altro
codice F», anche da lui cortesemente trasmessomi, fu recente acquisto. Appartenne
prima al sig prof. Gennarelli.
// Diario di Stefano In fessura 513
secondo la numerazione presente, ma c'è una numerazione an-
tica contemporanea al ms. che comincia colla carta 127 r) :
« Nell'anno Domini mille duecento novanta quattro ». Expl.
(e. 294 r della numerazione moderna e 422 della numerazione an-
tica) : « per andare a campo ad Ostia ». Segue il diario del Mo-
naldeschi. L
Mus. sudd. Additional mss. 8432. Manoscritto cartaceo in picc.
quarto, sec. xvii (0,297X0,194): Stephani Infesturae \ ciu. Rom. \
Diaria Rer. Romanarum post Aulam \ Pontificiam ex Galliis ad Urhem
reversam usque ad Alexandri \ PP. VI creatiomm. Inc. (e. i r) :
«Nell'anno 1294 nella vigilia di Natale ». Expl. (e. 366 r):
«per andare a campo ad Ostia ». L*
Mus. sudd. Add. mss. 8433. Manoscritto cartaceo, secolo xvii
(0,280X0,200). Il ms. contiene il diario dell' Infessura e Le fami-
glie nobili dell' Arenula di Castallo Metallino. Il diario dell' Infes-
sura non è completo. È intitolato : Annali \ di \ Stefano Infessura
Dottore et \ Cittadino Romano delle co \ se fatte in Italia e special-
mente a Roma. Dall'anno di Christo .mccc. | fin'al anno .mcdxgii.
Inc. (e. 2 r): Historie avanti che la Chiesa gisse in Franca. « Manca
« il principio ». Inc. : « Pontificalmente et dissegli ». Expl. (239 r):
« die 4 februarii venerunt ambas""^^ Turcorum et dictum est Ma-
<c gnum Turcum in Constantinopoli mortuum esse ». Sulla prima
carta, ossia 2 r, a margine si legge: « Felix Contelorius» di mano
contemporanea del Contelori stesso: il nome è scritto per traverso.
Nel frontispizio, dopo le parole « fin'al anno mcdxgii » e alquanto
più in basso, è scritto di mano diversa la postilla «dal 1378».
A e. 2 r, a margine accanto all'incipit, si legge la postilla: « Ste-
a fano Infessura | Cittadino Romano | fu Podestà ad Orta | sotto
« Sisto mi, 1,37» e sempre a margine accanto alla parola « Pon-
« tificalmente » si legge la postilla: « di Bonifatio 8^° ». Non pare
sicuro che queste postille siano della stessa mano che scrisse il
diario. Il nome « Felix Contelorius » è di mano diversa. L*
Mus. sudd. Additional mss. 8434. Manoscritto cartaceo del
secolo XVII (0,315X0,215). Contiene: Diario \ della città di
Roma 1 di Lelio Petronio, Stefano Infessu \ ra e suoi Antenati | scriba
del Pop° e senato Romano. Dove si vede li magg.* successi della sud.**
Città I e di tutta Europa in tempo delV Infralii \ Pontefici Boni-
fatio Vili... Nicola V. Inc. (e. 2 r): «Nell'anno Domini 1294 ».
Expl. (e. 198 v): a per andare a campo ad Ostia ». Seguono
poi della stessa mano e come se fossero notamenti del diarista
medesimo (e. I99r): « A dì primo deccmbre 1521 fu de dome-
« nica a cinque bore e tre quarti, mori papa Lione». Il ms. ter-
514 O. Tommasini
mina colle parole (e. 233 v.): « Il mese di novembre (1561) furono
« levati tutti li depositi delli corpi morti, in alto delle chiese ». L3
Mus. sudd. Ms. 26, 802. Manoscritto cartaceo del sec. xvii
(0,308X0,205), di carte 191 numerate: Skphani Infessurae \ civis
romani Diaria \ Rerum Romanarum suorum temporum \ Post Curiam
Romanam ex Gdlliis ai \ Urbem reversam usque ad Alexan \ dri pape
sexti creationem. « Extat autographum in arch° Vatic. 12° CXI. In
« Bibliotheca Vaticana, cod. 6389». Inc. (e. 2 r): «Vi manca il prin-
« cipio. Pontificalmente e dissegli piglia thesauro ». Expl. (e. 191 r):
« per andare a campo ad Ostia ». h*
Modena. — Bibl. dell'Archivio di Stato. Sezione Mss. Cod. cartaceo,
sec. XVII (0,2*54 X 0,191), di quaderni numerati 54, scritto in una
sola colonna. Inc. : « Nell'anno Domini mille ducento novanta-
« quattro ». Expl. : « per andare a campo d'Ostia ». È il codice su
cui condusse la sua edizione il Muratori (SS. III, 2% 1 1 10-1252). M
Bibl. del marchese G. Campori. Ms. cartaceo in-4, sec. xviii
(0,270 X 0,208). Stephani Infessurae Civis Romani Diaria rerum Ro-
manorum suorum temporum. « Manca il principio ». Inc. : « Pontifical-
« mente, et dissegli». Expl.: «con le altre artiglierie per andare
« a campo ad Ostia ». M^
Venezia. — Bibl. Marciana. Ms. Ital. App. ci. VI, n. CXLIX, cartaceo
in-fol. picc. Proviene dalla biblioteca di S. Michele di Murano,
quivi notato col n. 39. Nel catalogo di S. Marco fu attribuito al
sec. XV ; affermazione ripetuta neWArchiv (IV, 164). Il Mittarelli
{Bihlioth. codd. mss. monasterii S. Michaelis Ven. prope Murianum,
p. 526) l'ascrisse al sec. xvi; forse è degli ultimi di questo secolo
o de' primi del sec. xvii. Inc. « Manca il principio. Pontifical-
« mente et dissegli ». Expl. : « per andare ad campo ad Ostia ». M^
Roma. — Arch. de' Cerimonieri pontifici. M. 4. Sul dorso: Stefano \
Infessu I Diario, voi. CCCLI, t. 1°. Ms. cartaceo, sec. xvi (0,340
X 0,250). In fine vi è inserto, scucito, VAnnale de lo anno i4y$ di
Ludovico Monaldesco da Orvieto. Inc. : « Pontificalmente et dissegli ».
Expl. : « per andare a campo ad Ostia ». M3
Arch. sudd. Ms. A i. Cartaceo, del sec. xviii (0,298X250),
di carte non numerate. Sul dorso: Volume CCCLII. Tomo li
Diarj. Diario d'Infessura \ Annali Monaldes chi. \ Rela:(.di Roma \ Tie-
polo. Nell'interno: Stephani Infessurae \ * \ Civis Romani Diaria
Rerum \ Romanor. \ suor. \ temporum \ post Curiam Romanam ex
Gallis I ad Urbem reversam usque ad \ Alexandri papae Sexti crea-
tionem. Da altra mano nel margine esterno è annotato : « con le
« apostille in | lettera più formata | di un certo male | contento
« de' Romani». Inc.: «Nell'anno Dni mille ducento novanta
// diario di Stefano In fessura 515
«quattro». Expl. : «per andare a campo ad Ostia». Nella ri-
sguarda si trovano le seguenti note : « Authorem memorat Ciaccon.
« in Vit. Pontif. in Vita Sixti IV, fol. 1272, litt. C, in Vita Innocen-
« tii Vili, fol. 13 16, litt. /. Diario di Stefano Infessura dell'anno 12^4
« sino all'anno 14^4. V'è n'un nella libraria Rosi et de su lessi il
« p° d'aple 1642 al quale manca il principio». Annali di Lodovico
Monaldeschi dall ipy sino al 1^40. - Relazione di Paolo Tiepolo sopra
Pio 4 Pio V e cardM. « Un sepolchro della famiglia Infessura si
« vede nella chiesa di S. M.^ in Vialata avanti d'arrivare alla porta
« della sagrestia con l'arme infrancta se mal non mi ricordo ». E
segue il disegno cognito. « Il diario di Monaldeschi dal 1324 al 1340
« è in fine del presente volume». Questo ms. à singolare impor-
tanza, perchè presenta come nota marginale di postillatori alcun
inciso che in altri mss. entrò a compenetrarsi nel contesto. M^
Napoli. — Bibl. Naz. Ms. X, D, 25, cartaceo, secolo xvii (0,307
X 0,222), in-fol. Nel retto della ci è il titolo: Stephani \ Infes-
sura Diaria \ Rerum Romanorum \ post Curiam a Gallis reversam \
usque ad \ Alexandri papae VI \ Creationem. Inc. (e. 2 r) : « Nel-
« l'anno Domini mille ducento cinquanta quattro». Expl. (e. 144 v):
«per andare a campo d'Ostia». Seguono (a e. 217): Diario di
Ludovico Monaldesco. - Relazioni delle differen:(e tra Paolo Ve Vene:(ia
al 160^. - Lettera del card, di Parma suW accomodamento tra Paolo V
e VeneT^ia. - Discorso delle differente tra Paolo Ve Veyie%ia. In fine è
la nota: « Delli manuscritti del signor Mauritio d'Asti s'è otte-
« nuta questa copia nel 1660». N
Roma. — Bibl. Vat. Ms. Vat. Ottob. 11 16, cartaceo, sec. xviii (0,304
X 0,202), di ce. 190 non numerate. Stephani Infessurae \ Civis Romani
Diaria rerum Romanarum \ suorum temporum \ post Curiam Roma-
nam ex Gallis ad Urbem | reversam usque ad Alex^* papae | sexti crea-
tionem. « Vi manca il principio ». Inc. (e. ir): « Pontificalmente e
«dissegli». Expl. (e. 189 v): «per andare a campo ad Ostia». I
titoli delle rubriche marginali, in cui i popolani di Roma son
più spesso chiamati romaneschi, appartengono all'amanuense. Per
es. : « Insolenze de Romaneschi - Romaneschi a Marino - . .. ca-
«stigo de' Romaneschi - ... libertà de' Romaneschi ». Talvolta
Tamanuense postilla. Il consiglio d'acconciare Castello dato a Bo-
nifacio IX vien notato come « conseglio savio ». Nell'ultima parte
del diario si trovano insinuazioni che non appaiono in mss. più an-
tichi e sono manifeste interpolazioni del Burcardo. A e. 16$, ad esem-
pio, parlando del cardinal Farnese, fatto cardinale da Alessandro VI,
vien chiamato: « consanguineum luliae bellac eius concubinae,
« quin imo cratfr. diete luliae et fuit postea papa Paulus 5""». O
51 6 O. Tommasini
Bibl. sudd. Ms. Ottob. 2626, cartaceo, sec. xvii (0,230 X 0,350).
(Provenienza Philip, de Stosch L. B.). Annali \ di Stefano Infessura
Dottore et Cittadino Romano \ delle cose fatte in Italia et specialmente a
Roma I dall'anno de Christo . ooccc . fino all'anno \ . oocdxcii. Le
carte anno doppia numerazione. La più antica va dal n. 125
ai 275. La più moderna dall'i al 166 v, proseguendo per ordine
anche dove l'antica, per quattordici carte, è interrotta. Inc.: « Pon-
ce tifìcalmente, et dissegli », Expl. : « per andare a campo a Ostia ».
In margine al principio si legge : « Stephano Infessura cittadino
« romano fu potestà ad O'rta sotto Xysto IIII ». Nella lezione il
ms. presenta molta analogia con O; coincide con questo nei passi
caratteristici; è più scorretto. Nell'interpolazione relativa al card.
Farnese (e. 165) questi vien detto: « consanguineum luliae bellae
« eius concubinam ». La scrittura è di due qualità: la prima va sino
alla e. 293 V. Comincia l'altra alla e. 240 r e va sino al fine. O*
Parma. — R. bibl. Ms. HH, III, n. 1086, cartaceo, della fine del
sec. XVI (0,200X05280), in-4 gr. À due parti; la prima va dalla
e. I alla 353. Dopo la 354 bianca, ripigha con nuova numera-
zione da I a 173. Nella prima comprende V Historia informa \
di I Diardo \ di Stefano Infessura Cittadino Rom°. Inc. (e. i) : « Pon-
« tificalmente et dissegli». Expl. (e. 353): « per andare a campo
« a Ostia ». Segue : Diario \ dell'Istoria \ del \ Concilio di Tren \ to
libro I primo. Inc. (e. i) : « Giulio 2° attese più all' armi ».
Expl. (e. 173): « et il papa se ne lassiò intendere ». P
Parigi. — Bibl. Naz. Ms. lat. 8988, sulla risguarda: Codex Col-
bertinus 2^4, Regius ^^20-2, legato in marocch. rosso colle armi
di Colbert. Nel dorso : Diarium Stephani Infesturae. Ms. cartaceo,
secolo XVII (0,355 Xo>235), di carte 391: Commentarti rerum
Urbanarum ab anno .mccclxxvi. usque ad tempora Alexandri VI
auctore Stephano Infestura cive Romano .mdclxviii. Inc. (e. i): « Nel-
« l'anno Domini mille ducento novantaquattro». Expl. (e. 391): «per
« andare a campo ad Ostia ». Non sembra corrispondere alla de-
scrizione data dal Montfaucon, desunta dalla nota del Pouget « ex
« chronicis bibliothecae Colbertinae » (Bibl. bibl. Mss. Col. 11 5 1). P*
Bibl. sudd. Ms, lat. 13733 (ancien Saint-Germain frangais,
Gévres, 116), cartaceo, sec. xvii (0,250 X-0, 186), di carte 503 (1006
facce) numerate. Il volume è legato in pergartiena, tinto in rosso
sul taglio. Nel i** foglio à uno scudo senza stemma, circondato da
diversi accessori e sormontato da un cappello, sotto a cui è
scritto il titolo: Stepìiani \ Infesturae \ civis romani dia \ ria rer.
romanarum \ suorum temporum \ post curiam romanam | ex Galliis
ad Urbem re \ versam usque ad Alexandri \ pape sexti creationem.
// diario di Stefano In fessura 517
Inc. (e. 2 r) : « Nell'anno Domini mille ducento novanta quat-
« tro ». Expl. (e. 503 r e v) : « per andare a campo ad Ostia ». P^
Perugia. — Bibl. Comunale Podiani. Mss. A, 30, sec. xvii (0,290
Xo>2io), cartaceo, di fogli 151 numerati, con alcune carte non
numerate. St&phani Infessurae \ diaria \ Rerum romanarum suorum
temporum \ post Curiam Romanam ex Galliis ad Urhetn reversam |
Usque ad Ahxandri papae Sexti Creatiofiem. Inc. (e. i): « Nel-
« l'anno Domini milleducento novantaquattro nella vigilia di Na-
« tale ». Expl. (e. 897): « de futuro bello timetur ». P3
Bibl. sudd. Mss. E, 7, sec. xviii (0,260X0,187), cartaceo di
pagine 897. È di mani diverse : l'una va dalla e. i alla 151, l'altra
sino alla e. 163. Dalla 164-167 incl. carte bianche: grande in-
curia e studio di compendiare. Dalla 167-173 si osserva una
terza mano. A questa carta s'interrompe il diario: seguono
quattro carte bianche. Sul 1° foglio di guardia è scritto il ti-
tolo ; sull'altro una nota del Vermiglioli : « è pubblicato dal Mura-
te tori, Rer. It. Script. ». Inc. (e. i): «Nell'anno Domini milleducento
«novantaquattro nella vigilia di Natale». Expl. (e. 173): « adeo
« quod incontinenti ». P^
Parigi. — Bibl. Naz. Ms. latino 12541, cartaceo, sec. xvii (0,266 X
0,195), di pp. 357 numerate, legato in pergamena (S.Germain 932).
Inc. (p. i): « Historie avanti che la corte gisse in Francia. Manca
«il principio. Pontificalmente e dissegli». Expl. (p. 357): «Ma-
« gnum Turcum in Constantinopoli mortuum esse ». P^
Bibl. sudd. Ms. latino 13732, cartaceo, sec. xvii (0,250X0,188),
di carte 465 numerate, legato in pergamena (Gévres 109). Inc.
(e. 24): « Nell'anno Domini mille duecento novanta quattro ». Expl.
(e. 429 v): « per andare a' campo ad Ostia ». Seguita il Diario di
Lodovico Monaldeschi. P^
Bibl. sudd. M^. ital. 670-671, cartaceo, sec. xvii (0,24$ Xo,i9o),
due tomi di 235 e 241 carte numerate, legati in cuoio. Inc.
(n. 670,0. i): « Nell'anno mille ducento novanta quattro ». Expl.
(n. 671, e. 197 v): « per andare a campo d'Ostia». Segue (e. 202)
il Diario di Lodovico Monaldeschi da Orvieto (Cf. Mazzatinti, Mss.
it. delle bibl. di Francia, p. 127). P*^
Bibl. sudd. Ms. ital. 672, cartaceo, sec. xvii(o,248Xo,20o), di carte
301, legato in marocchino rosso coH'arme di Filippo di Béthune.
Inc. (e. I r) : « Stephani Infessurae \ Diaria rerum Romanarum suorum
« temporum. Vi manca il principio pontificalmente et dissegli ».
Expl. (e. 301 r) : « per andare a' campo ad Ostia » (Cf. Mazza-
tinti, op. cit.)- P*
Bibl. sudd. Ms. ital. 193, cartaceo, del sec. xvii (0,257X0,185),
5i8 0. Tommasini
di carte 448 numerate, legato in cuoio colle armi di Louis Henry de
Loménie. Inc. (e. 2 r): « Nell'anno Domini mille ducento cinquanta
« quattro » . Expl. (e. 448) : « per andare a campo ad Ostia » . P?
Roma. -^ Archivio storico Comunale. Cred. XIV, to. 5, Ms. car-
taceo, sec. xvii-xviii (0,200X05228). Stephani Infissurae \ civis ro-
mani I Diaria \ rerum romanarum | ab a. .mccxciv. ad a. \ .mccccxciv.
Alla seconda carta, non numerata, sitrova l'annotazione : « Extat
« autograph. ms. in archiv^ Vatic° signat. n. CXI et in bibliot.
« Vatic. cod. sign. n. 6389 ». Inc. (e. i) : « pontificalmente et dis-
cesegli ». Expl. (e. 200): «per andare a campo ad Hostia ». Alla
e. 261 seguono quattro correzioni notate alle ce. 156, 192, 128, 139.
E dopo cinque carte bianche la Noti:(ia della famiglia Infes-
siira, che termina al verso del foglio, in cui è disegnato a
penna lo stemma della famiglia, che è di un elmo nell'alto di
un'asta confitta sopra tre monti. A lato è la firma : « Franc/"^
(( Valesius 1701 ». Il testo segue generalmente il ms. dell'archivio
Vaticano (A), ma aggiunge le forme dialettali non conservate
nel testo precedentemente trascritto, e insinua le correzioni che
s'incontrano nel testo del ms. bibl. Vat. 6389, A e. 3, dopo l'in-
testazione: Siephani Injessurae \ Civis Romani Diaria rerum Ro-
manarum suorum \ temporum post Curiam Romanam ex Gallis \ ad
urhem reversam usque ad Alexandri \ VI creationem, riprende l'ag-
giunta : « Nell'anno Domini 1294 » e va sino a e. 5: « et fuit
« Benedictus undecimus ». R
Bibl. Vaticana. Ms. Vat. 6389, cartaceo, secolo xvii (0,264
XOj20o). Contiene: Castallus Metallinus. Sotto v'è notato: « F.
« Abraham Bzovius S. T. Mgr. Ordis praed."^ Bibliothecae Va-
« ticanae dd. 1626. m. ppa. » dalla qual nota è fatta certa l'origine
e l'età del ms. Inc. (e. ir): « Civis romanus unus de tresde-
« cim ». Expl. (e. 25 r): « fede severa». A e. 26, Leggende ro-
mane: Prologo Et primo capitolo dove se demostra la | rascione
per la quale questa opera \ fatta fu. « Dice lo glorioso mis-
te sore etc. ». Seguono 28 capitoli sino a e. 87 v : « li fu tagliato
«la testa a Roma come ve dicerao». Indi è annotato: « Qui in
« uno manoscritto che fu del S. Cardinal Slusio | seguiva la Vita
« di Cola di Rienzo sino a tutto il cap. 3 del libro 2 come si |
«dice nell'indice de' capitoli in principio dì questa istoria ».
Segue a e. 88: Historie avanti la corte gisse in Francia \ Manca
lo principio. Nel margine superiore esterno: « videtur esse |
« Stephani Infessu | rae Vide Cod. n. 5522 | fol. i ». Inc. (e. 88):
« Pontificalmente, et disseli ». Expl. (e. 226 v) : « MagnumTurcum
« in Constantinopoli mortuum esse ». È annotato in fine : « In
Il diario di Stefano In fessura 519
« Cod. Vat. 5522 subiunguntur nonnulla idiomate italico de Re-
« gni Neapolitani rebus ut vìdere est. fol. 276. | Finis ». Segue
a e. 227 il Diario di Sebastiano de Branca de Talin. Inc. : « Conce
« sia de cosa che essendo discordia tra papa Alessandro sesto ».
Expl. (e. 272 r): « Gentilhuomini romani ». Segue (ce. 273-355):
Diario d'Antonio Petri. A e. 355 v: Ex quibusdam Diariis incerti
Auctoris olim apud Gentilem Deìphinum existentibus. « Desunt
a aliqua ». Inc. : « Con dicisette migliara di cavalli ». Expl.
(e. 359 V ): a et presence li castellani ». Segue (ibid.) : Pauli Lelli |
Petroni diarium \ alias Mestican \ %a. Inc.: « Dell'uscita delli Ro-
« mani anno, mcgccxxxiii. so certo che ve ricordate ». Expl.
(e. 383 v): « f o chiamato mons. Bologna ». In margine: « qui
« finisce I il Petronio | nel cod. dell' | Archivio secreto | che è il
« megliore | di tutti in 4° | Et anche nel Vat. n. 5522 | f. 387 ».
Segue (ibid.): Metnorie d'occorrenie alla giornata. Inc.: « A di
«25 de iugnio 1481 morì Paulo II». Expl. (e. 387 r): «nello
«Stato de Milano ». Nota alla e. 388 v: « Dell'autore del retro-
« scritto diario »: « È citato questo Liello Petrone nell'indice de'
« libri allegati da frat. Onofrio Panvinio nelle Vite de' Pontefici
« agiunte a Platina. Venne in luce questo fragmento della li-
« braria di Gentile Delfino Rom.° dottissimo et ricco di molte
« belle cose di curiosità et antichità » (i). Segue a e. 388 il Diario
del Notaio di Nantiposto: « lennaio .mcccclxxxi. ». Inc.: «a dì
« 30 ianuarii suspensus fuit Colutia ». Expl. (e. 420 v): « alli 25 lu-
« glio morì papa Innocentio ». A e. 421 : Diario di Cola Colleine.
Inc.: «a di primo Xbre 1521 fu de domenica». Expl. (e. 442):
« in alto delle chiese ». Questo ms. conserva meglio degli altri
codici le forme dialettali affini a quelle dei Fragmenta historiae
romanae, quali sarebbero il dittongamento, malgrado la posizione,
della vocale tonica breve e od 0, Il per Id, ecc. La parola « mis-
« sore » usata sino all'anno 1484 si trova primieramente in uo
notamente di questo anno mutata in « missere »: « mìssere Liello
« e lacouo della Valle », forse per scioglimento d' abbreviatura
fatta dal copista. Inoltre le inesattezze e gli errori stessi dell'ama-
nuense autorizzano la congettura che esso abbia avuto innanzi un
manoscritto abbastanza antico, da porgere le caratteristiche della
scrittura degli ultimi del secolo xv e de' primi anni del secolo xvi.
Così tal volta il 4 è preso per 9, e si à, per esempio, 1469, dove
(t) Circa a queste provenienze dalle collezioni del Delfìni è da nvcr presente
quel che annota il De Nolhac Im bibliothéqve de Fulvio Orsini, p. 85 : • Je
• n'ai pas retrouvé ceux qui vcnaient de Delfìni; ils ne portaient san» doutc point
• d'tx-libris • .
520 O. Tommasini
correttamente altri mss. danno 1464. Q,uando, all'anno 1443, gli
altri mss. parlando della pace tra Eugenio IV e l' imperatore Sigi-
smondo notano: « ad essere uniti », R* reca: « hance uniti », con
manifesto errore d' interpretazione per parte del copista che male
intese l'abbreviatura « ad essere ». Né per quanto il Valesio abbia
fatto collazione del testo dell'archivio Capitolino con questo Va-
ticano, la lezione dei due manoscritti manca di divergenze. Al-
l'anno 1405, dove R^ reca: « santo Marco delle letanie », R dà
solo : « santo Marco ». All'anno 1407, dopo la notizia dell'ele-
zione a pontefice del cardinale di CostantinopoH « lo quale se
« chiamò papa Gregorio 12 », queste parole che si trovano in
R'', mancano in R. Dove R, nel 1413, nota: « a dì 26 di settem-
« bre », R^ con C, M, E nota: « a dì 16 di settembre ». Nel 1420,
dove R^ legge: « romipeti », R à : « romei ». La morte di Mar-
tino V è posta in R: « a di 19 februarii », in R^; « nel detto
« anno e mese », senza la menzione del giorno. Si riscontra invece
concordanza più frequente con S^ All'anno 1404 R^ omette per
incuria la rubrica de' dì 24 del mese d'agosto che si trova in
tutti gli altri codici. Invece all'anno 1448 reca un notamento che
si trova solo in questo ms. È probabile che il ms. C sia deri-
vato da un apografo condotto sullo stesso archetipo di R^, meno
scorretto. Qualche brano che manca in C, manca pure in R* ;
come, ad es., quello che riferisce la morte del cardinale di S. Si-
sto « del 1474 a dì 5 de iennaro ». Altrove, all'anno 1452, i due
codici danno :
R. C.
« et dopo lo seguente dì lo .x. de « et dopo lo seguente di lo .x. de
marzo lo imperatore anco la detta marzo Io imperatore arrò la ditta
sposa andò alla messa... ». sposa depò la messa».
Bibl. Vallicelliana. Ms. I, 75 (n. m. 00834), cartaceo, sec. xvi
(0,270 X 0,200), di carte 134 numerate. H/j/orfa^ | et \ Diaria \ suo-
rum Temporum | Stephani Infessurae \ civis Romani, | qui fuit Po-
testas Ostiae sub Sixto IV \ summo Pontifiu. Inc. (e. i): «Manca
«il principio 1 Pontificalmente, e dissegli ». Expl. (e. 134 v):
« per andare a campo ad Ostia ». Segue d'altro carattere la
nota: «Vedi il restante d.* relazione nel manoscritto delle opere
« del med.° Infessura ove è la lettera I, num.° 74, pag. 147 ».
A e. 98 v, lin. 8, dopo le parole : « et ne deficerent angu-
« stiae in Urbe », manca l'episodio della morte di Bernardo San-
guigni, sia che il copista l'abbia omesso di proposito, sia che
per una svista, riprendendo il lavoro intermesso, abbia inco-
Il ^iaìHo di Stefano Iti fessura 521
minciato a trascrivere dove occorrevano più sotto le parole
stesse: « Et ne undique deficerent angustiae dictum et quidem
« afRrmatum fuit in Urbe regem Ferdinandum », tee. Similmente
è omesso (e. ni v, lìn. pen.) il lungo episodio di Falcone de' Si-
nìbaldi a' dì 4 di settembre 1489 (Cf. Muratori , Script. Ili,
par. 2% col. 1227-28; EccARD, Corpus Script, m. aevi, II, 1989-91).
Nel notamento « die 19 8bris 1489 » manca tutto il brano:
« Demum dicitur praefatum D. Francischettum » sino alle parole :
«non reddere servo» (Cf. Muratori, loc. cit. 1230, lin. 4-31;
Eccard, loc. cit. 1992, lin. 48; 1993, lin. 8). S
Bibl. sudd. Ms. I, 74 (n. m. 00833), cartaceo, stc. xvi e xvii
(0,278 X 0,210), di e. 257 di diversa scrittura. Historiae \ et \ Dia-
ria I suorum temporiim \ Stephani Infessurae \ Civis Romani \ Qui fuit
Potestas Ostiae sub Sixto IV | summo Pontifice | * | Accedunt \ Alia
Diaria \ Sebastiani Brancae Felini (sic) | Ab anno Dni 14^^. ad
ami. i^iy. \ * \ item \ Diaria aliar, rerum \ quae Romae et alibi ac-
ciderunt ab anno \ 1481 ad annum 14(^2 \ * \ Annales Viterbii ab anno
D. ii6(). ad annum Dni 1242. A ci: Historie avanti che la
Corte I gisse in Francia. Annotato nel margine superiore esterno di
mano del Rainaldi : « Extat in M. S. Archivii Vatic. signat. n. in,
« pag. 127 &c. ». E sopra d'altra mano : Annali di Stephano In-
fessura, dottore e cittadino Romano delle cose fatte in Italia et spe:(ial-
mente a Roma dell'anno de Christo 1^00 sin a l'anno i4<)2. Più sotto,
nel margine interno: « Stephano Infessura cittadino romano fu
«podestà ad Orta sotto Sixlo IV. I, 37». Inc. (e. i): « Ponti-
«fìcalmente; et dissegli ». Expl. (e. 147): «per andare a campo
« a Astia », quantunque nel verso della e. 146, ove ricomincia la
parte volgare, innanzi alle parole : « Conciosia cosa che essendo
«discordia» sia il tìtolo: Diario di Sebastiano Branca de Telini,
con manifesto errore, in vece che alla carta 147 v. Alla e. 146 v,
nel margine esterno, accanto al testo è la nota, di mano del Rai-
naldi : « Così sta nel d.° Cod. M. S. segn. n.** in ». E simil-
mente è sua scrittura quella che segna nel margine esterno infe-
riore della e. 147 r, ove termina -il testo: «Qui finisce la d.*
« historia anche nel d.° Cod. M. S. Archivio Vatic. segnato
« n. Ili ». Dove per errore è dato il titolo del diario di Branca
de' Telini è apposto un richiamo nel margine superiore esterno
al « M. S. biblioth. Card. Barber. sign. nu. 1 103 ». È pure
di mano del Rainaldi la postilla nel margine esterno a e. 73:
«Nell'istessa maniera sta nel d." Cod. Vatic. n." in ». Segue
Diario di Branca de Telini^ da e. 147 v a e. 192 v. Segue e. 193
in bianco. A e. 194 r: « Gennaro 1481 | adì 30: suspensus fuit
522 O, Tommasini
(K Colutia » {Diario dd notaio dell'Anteposto'). A e. 240 v : Annali
di Viterbo (di Lancillotto). Inc. : « Erano detti Viterbesi ». Expl.
(e. 246 v) ad ann. 1243 • " P^ì detto imperatore ». In fine è la
pota : a Io Gio. Ant.° lannarelli ho ricevuto dal M.}° Rev.'^° P.
«Cesare Beccilli se. 11 m.*^ quali sono per pagamento di questa
« scrittura ». S'
Torino. — Bìbl. Naz. Ms. n. II, 49 (segnatura amica nel catalogo
stampato del Pasini LXXII, 1. II, 29), cartaceo, sec. xvi (0,460
X 0,300), di carte 195, rilegato in pergamena. Sull'antiporta reca
il titolo: Historia di Stefano Infessura cittadino romano. « Manca il
«principio»: Inc. (e. 2v): « pontificalmente, et dissegli ». Expl.
(e. 194): « per andare ad campo ad Ostia ». T
Roma. — Bibl. Vat. Ms. Vat. 5294, cartaceo, sec. xvi (0,300 X 0,210).
Sulla rilegatura in pergamena, lo stemma del Braschi. Numerato
nel retto delle carte sino alla 163; seguono tre carte bianche.
Sull'alto del primo foglio, non numerato : « guarda non sia del
« C. Siri. Est Ext^ rer. Romanar ». Diarium Stepìf Infissurae
5294. Inc. (e. i) : « manca il principio, pontificalmen^®, et dis-
« segli ». Expl. (e. 1630): « dictum est Magnum Turcum in Con-
« stantinopoli mortuum esse ». E segue l'annotazione di mano
recente: « Sequuntur nonnulla alia in Cod. Vat. n. $522, fol. 276 ».
Come apparisce dalla nota del primo foglio, si dubita che abbia
appartenuto al card. Sirleto. V
Bibl. sudd. Ms. Vat. 1522, cartaceo, sec. xvi in fine, diviso in
due parti, rilegate in pergamena collo stemma del Braschi, con-
tenenti varie scritture, alcune degli ultimi del sec. xvi, altre
del XVII (0,170 X 0,230). La parte prima, di carte 278 numerate
nel retto, contiene : Historie avanti che la Corte gisse in Franca.
E nel margine esterno superiore : « Stefano Infissura Cittad.° Ro.
« fu podestà ad Orta sotto Sixto IIII, e. 37, 45, 70, pag. 96, 129 ».
« Manca il principio ». Inc. (e. i r) : « Pontificalmente et dissegli ».
Expl. (e. 277 v) : « per andare a campo ad Ostia ». Segue nel
tomo 11° (e. 279 r) : Alcune historie di Fioren:(a dove si fa men \
tione di molti Cardinali et Papi \ Et sono dall' anno 1406 \ fin al 14^8 \
Sunt aliqua Alex. V lulii 2 Leon 2 Leon X. E nel margine su-
periore esterno: « edidit Muratorius, t. 19, p. 950 v ». Inc.:
« Memoria che a dì .vini, d'ottobre 1406». Expl. (e. 329 v):
« coapiùdi Gff¥ cavagli ». La e. 330 è bianca. Segue a e. 331 :
De Anihaldo de Ceccano Carle Io XXII: « Anibaldus familia de
« Ceccano nobilis Ro : creat. Car.'^^ èpus. Tusculan. a Io. pp. 22
« die 15 cai. lanuarii an. D. 1327 Avinione, pontificatus eius
« anno 12° cum esset archiepùs neapolitan. Dehoc car^Mta scriptù
// nO>iarìo di Stefano In fessura 523
« legitur in quodam libro historiar Ro: lingua vernacula: Correvano
« ano Diìi 1350 quanno papa Chimento ». Expl. (e. 336): « se-
« cunno debita figuram sopito. » Ibid. segue : De loe Car^^ Co-
luna sub Clern. VI. « Molto concepeo papa Chimento ». Expl. (ibid.):
« camera de Roma ». Ibid. v: De Egidio Card. Hispan. sub Innoc. VI:
« Papa Innoc. VI la p^ cosa che se puse in core ». Expl.: « lani
« de Vico prefetto de Vitervo » (Frammenti delle Istorie romane).
Segue a e. 337 : Chronica senensis de Greg." XII. « Venne con gente
« d'arme in num° di 400 ». Expl. : « e di lì a Arimini ». A e. 338 :
Del med.° Greg.° XII tratto da certe altre chroniche : « Nel anno 1406
« nel dì s. Andrea fu creato pp. Gregorio XII ». Expl.: « se ne
« rifuggi a Rimini ». Seguono dopo la e. 339 sino a 346 carte
bianche. A e. 347: Favolo dello Mastro, 1422. Memoriale de Fa-
volo de Benedetto de Cola \ dello Mastro, dello Rione de Ponte. Inc.
(e. 385): « Inundatio Tiberis ». Segue bianca la e. 386. A e. 387:
Della cecità dei Romani. Inc. : « Son certo che vi ricordate ». Expl.
(e. 431 v): « et poi fu chiamato monsig.'' di Bologna » (Mesti-
canza di Faolo di Lello Fetroni. Cf. Muratori, Script. XXIV, lOO'y).
Bianco il foglio 432. Segue a e. 433 : « Anno Diìi III Herodes oc-
« cidit ». Expl. (e. 440 v): « adnutum Urbani ppe Vldefinitum ».
A e. 441: Vita di Cola de Rien^i: Inc.: «Cola de Rienzi fu de
« linaio vasso ». Expl. (e. 564 v): « secuno debita figura supino »
(Frammenti delle Historie romane). V^
Bibl. sudd. Ms. 6823, cartaceo, sec. xvi (0,264X0,202), di
carte 267 numerate nel retto, macchiate e chiuse in carta vege-
tale. Contiene (e. i r) : Lettera di M. Francesco Fetrarcha a Cola
de I Rienzo Tribuno di Roma \ et al Fo polo Romano (e. i-ior). Segue
(e. 1 1 r) : Lettera di M. Francesco Fetrarcha al Fopolo Romano \ per
Cola de Rienzo prigion del Fapa \ in Avignone (e. ii-i8r). Segue
(e. I9r): Al signor Horatio Farnese duca di Castro a Viterbo \ sopra
un caso occorso in Roma \ a tempo di Faolo ter^o (e. 19-22 r). Segue
(e. 23 r): Ordine e Magnificenia dei Magistrati romani | a tempo che
la corte del papa \ stava in Avignone (e. 23-30 r). È la scrittura stam-
pata dal Muratori, A. I. II, 856-861. Seguono (e. 30 v) il cap. V
e il XVII degli Statata Bobacteriorum del 1407. Seguono (e. 31-33 v)
appunti sulla dignità del Cancellarius Urbis cuna, bolla di Martino V :
De officio et dignitate Confalonieratus per Fetro de Astallis. Seguita
(e. 34-391): « Ex tribus antiquis paginis cuiusdam Diarii | Gen-
tilis Delphini, ab Archivio Columna | datis» (edito dal Muratori,
SS. Ili*, 842-846). Segue (e. 4or-77v) la Meslicania di Faolo di
Lello Fetroni. Segue (e. 78 r) : Historie avanti che la Corte gisse in
Francia. « Manca il principio ». È notato nel margine esterno da
524 O. Tommasini
mano più recente: « Stef.° Infessu | ra Vide | cod. ms. Vat. | 5522
« p. I. Inc. (e. 78) : Pontificalmente, e dissegli : ». Expl. (e. 221 v) :
« per andare a campo a Ostia ». Segue il Diario del Notaio del-
l'Anteposto. V^
Londra. — Bibl. Yelverton. Ms. cartaceo del sec. xvi in fine (0,260
X 0,200), condotto di bella scrittura italiana, rilegato in perga-
mena, di fogli 1 3 5 (pp. 270) : Stephani Injessure Civis Romani Diaria
Rerum Romanarum suorum tempo rum post Curiam Romanam ex Galliis
ad Urhem reversam usque ad Alexandri Pape sexti creationem. « Vi
« manca il principio ». Inc. (e. i) : « Pontificalmente e dissegli ».
Expl. (e. 270): «per andare ad campo ad Ostia» (Cf. Archiv,
VII, 103). Y
Chi gitti appena uno sguardo su tutta questa serie, si
avvede che un primo criterio di raggruppamento e di di-
stinzione fra i mohepHcì manoscritti è dato dalla diversa
maniera secondo cui principiano. In alcuni, e sono i più
antichi o evidentemente derivati dai più antichi, l' inizio
parte da un frammento di leggenda che non à perduto, nep-
pure ne' più corrotti, le tracce dell'antico volgare romano.
Altri codici invece danno evidente l'assetto secondo gram-
matica, e l'avvicinamento del periodo al tornio della narra-
tiva, magari a costo di parere una stonatura col resto del
diario, in cui l'elemento del volgare romano, non ostante
l'azzimatura e l'arbitrio degli amanuensi, trapela sempre
d'ogni parte. Secondo la diversità del principio abbiamo
pertanto la prima distinzione de' codici a questo modo:
Cominciano (ci. i^) : « pontificalmente, e disselì piglia tesauro » : A, B^
B3, c, c^ F, v\ F^ G, L^ L^ M^M^ m3, o,
0\ P, P5, P§, R, RS S, S^ T, V, Y\ V^ Y.
Cominciano (ci. 2^) : « Nell'anno del S^e 1294 nella vigilia di Natale » :
K\ B, B^ B^ B5, B6, C\ C3, C^ E, L, U, L3,
M, M^ N, PS P^ P3, V\ P6, P7, p9. ^
Ma noi vediamo in questa prima distinzione aggrupparsi
nella medesima classe M ed E, ossia il testo del Muratori
e dell' Eckhart, come se non avessero intrinseche e gravi
// diario di Stefano Infessura
5^5
divergenze tra loro. Pure il Muratori stesso ebbe a darne
sentore in una nota deiredizione sua, paragonando il testo
da lui dato a luce con quello comparso in Germania. Or
ecco le due lezioni :
Ed. MuR. (i) (lez. A).
« Dell'anno 1404 del mese di
settembre die primo morì papa
Bonifatio nono et lo popolo di
Roma si levò a rumore per rivo-
lere la libertà et fu sbarrata Roma
et tutto dì si combatteva alle
sbarre: li Ursini et la Ecclesia da
una parte et li Colonnesi per lo
popolo et furono morti pa-
recchi da parte a parte ; et molti
feriti et molti cavalli morti et f u-
rono sconfitti li Colon-
nesi che quasi sempre si
havevano la peggio; se
bene buona parte dello populo
seguitavano li Colonnesi ».
Ed. Ecc. (2) (lez. B).
« Dell'anno 1404 del mese di
settembre die primo si morio papa
Bonifatio nono et lo popolo di
Roma si levò a rumore per ri-
volere la libertate et fu sbarrata
tutta Roma et tutto dì si com-
batteva alle sbarre; li Ursini d'una
parte et la Ecclesia, et li Collon-
nesi per lo populo et furo
morti parecchi da parte a parte;
tra li quali ne fu morto Poncel-
letto Ursino, et molti feriti et
molti cavalli morti et furo
sconfitti li Ursini et tor-
narosene a Monte lor-
dano et sempre ne have-
vano la pelo li Ursini et
la malore parte dello populo se-
tavano li Colonnesi ».
Qui, com'è evidente, non si tratta solo di divergenza,
ma di opposizione diretta e determinata da interessi gen-
tilizi, da opposizione di clientele che nascondevano avver-
sione di fazioni e di parti cittadine, le quali toglievano nome
dalle due famiglie sovrastanti nella città, interessate a se-
guitare o il popolo o la fazione ecclesiastica. E secondo
queste due opposte lezioni si distinguono pertanto nova-
mente i mss., raccostandosi o separandosi nelle seguenti
categorie :
(i) Muratori, Script. IIP, col. 11 16.
(2) Io. G. EccARDO, Corpus hisi. med. acviy II, col. 1867
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI.
35
^26 O. Tommasìn i
Di parte Orsina (lez. A): A', B, B^ B^ B6, C\ C3, C^ F, L, L\
L3, M, M^ N, PS ?\ P3, P4, P6^ p7, p9.
Di parte Colonnese (lez. B): A, B', B3, B5, C, C% E, F^ G, LS LS
MS MS M3, O, OS P, PS PS, R, RS S,
SS T, V, VS VS Y.
Ragguagliando tra loro le due serie, ci è dato ravvisare
che la classe 2^ e la lez. A, la classe i^ e la lez. B quasi
si corrispondono. Le discrepanze son minime : tre codici
(B^, C*, E) della classe 2^ sono acquisiti alla lez. B ; due
della classe i* (C^ F) scendono alla lez. A. Donde pos-
siamo indurre che Falterazione determinata da partigianeria
gentilizia fu anteriore, com'è naturale, a quella introdotta
per preconcetti di forma.
Ora, niente è più ovvio e certo di questo : che essendo
r Infessura di parte popolare e de' più affezionati alla fa-
miglia Colonna (i), la lezione colonnese fu l'autentica nel
diario di lui, e l'altra la falsificata; che essendo quella l'au-
tentica, si trova appunto sui manoscritti più antichi o de-
rivati dai più antichi. Ma non è quel solo passaggio che
dà sentore d'un raffazzonamento diparte orsina nel testo del
cronista nostro. Altri ve n'ebbero, ispirati alla parzialità me-
(i) Egli chiama la parte popolare e dei Colonna « la parte nostra »
e in un notamento dell'anno 1484, ove il Muratori (ed. cit. 11650, 32-41)
legge secondo il suo codice: «et in quella scaramucciavi morirono
«parecchi uomini dall'una parte e dall'altra», l'Eckhart legge male
(1920 b, 28-37): «vi morsero quattro huomini della parte nostra
« dell' Ecclesia », dacché è evidente in quelP inciso la soppressione
di un et: « et dell' Ecclesia ». Circa la partigianeria ecclesiastica
degli Orsini, basti citare il seguente passo nella Oratio quarti hahuH
in funere- Latini card. Ursini in aede S. Salvatori s (ms. Vat. lat. 5626,
f. 71-86) Giovanni Gatti vescovo di Catania : « protulit hec amplissima
« domus pontifices maximos, praestantissimos cardinales, quampluri-
« mos Ecclesie antistites, dignissimos et in rebus bellicis [peritisjsimos
« duces consulares et triumphales viros et quod omnibus praestan-
« tius est Ecclesiam Romanam idest Christi Ecclesiam sin-
«gulari observantia prosecuti sunt».
// diario di Stefano In fessura 527
desima, ma non corrotti colla stessa audacia del passo re-
cato sopra, in cui il cliente baldanzoso volta a dirittura il
fatto in contrario, con offesa spudorata della logica e della
storia (i). In molti casi questa parzialità si limita a soppri-
mere r inciso che pregiudica la parte amica, o che favorisce
l'avversa. Cosi, per esempio, nell'edizione dell' Eckhart (2)
s'incontra un brano in cui son raccontate odiose crudeltà
degli Orsini, che nel Muratori comparisce già mutilo, che
manca in C^ e che si trova aggiunto posteriormente in R,
in seguito alla collazione che fece il Valesio di questo co-
dice coll'altro R' della Vaticana. E talvolta, quand'anche
le edizioni dell'Eckhart e del Muratori o concordano o
poco distano tra loro, i manoscritti apertamente discor-
dano e le alterazioni appaiono determinate dal motivo me-
desimo o gentilizio o apologetico per la Chiesa:
Ecc. (1922,1.32-33). ^^
MuR. (1167, 1. 23-24).
« si dovesse collegialmente an- « si dovesse collegialmente an-
dare per li Officiali e per lo pò- dare per li Officiali et per lo po-
polo al papa, al quale si dovesse polo al papa, al quale si dovesse
supplicare che daesse pace alli supplicare che daesse pace alli
detti signori Colonnesi & a noi, detti signori Colonnesi ».
attento che loro fino a mo non
hanno peccato in niente ».
(i) Altri esempi di faziosa corruzione del testo:
Ed. Ecc. 1932, lin. 3-5. ^, ^
» MuR. 1176 » 7-8. ' *
• quelli della parte contraria della Kc- « quelli della parte contraria della Ec-
clesia ne pigliarono la meglio». desia ne pigliarono la peggio».
Similmente :
Ecc. (1937, lin, 45-48) e ms. Mur. (ii8i, lin. 28-30), C, R.
« de gentibus Ecclesie circa octoginta • de gentibus Ecclosiac circa octuaginta
fuerunt reperti vulnerati et mortui et fuerunt reperti vulnerati et mortui e t
abstulerunt tentoria et quidquid intu» de Columnensibus longc maio-
erat, et cum magna laetitia reversi fue- res qui tristes reversi fuerunt ad dic-
runt ad dictum castrum • . lum castrum « .
(2) EccARDO, Ice. cit. col. 1918, lin. 28-40: « Itcm furono messe
« a sacco »... « come di sopra ». - Muratori, Ice. cit. col. 1 164,
lin. 4-16.
528 O. Tommasini
Così tutto il resto del periodo nel ms. è soppresso; e altret-
tanto si osserva in R, ove, per effetto del solito riscontro
col codice Vaticano, si trova poi aggiunto in margine. Si-
milmente, tanto il Muratori (i 1^3, lin. 30) quanto l'Eckhart
(19 17, lin. 41) riferiscono presso a poco con eguali termini
il brano relativo agli insulti fatti da Girolamo Riario al pro-
tonotario Colonna nella sua presura:
« e lo protonotaro sotto la fede del detto Virgilio fo menato allo
papa in lupetto, avvenga che dopò li fosse prestata una cappa nera,
e quando se menava lo conte Hieronimo li disse : * ah ah traditore,
che come ionge che t'impicco per la gola'. E lo signore Virgilio li
rispose : * signore, impiccarai inanti me che colui ' ; e più volte cacciò
lo conte Hieronimo lo stocco et ammenollo per volerlo occiderè et
lo detto signore Virgilio sempre si contrappose e non volse mai
che lì facesse male, et cosi la domenica a sera fu menato dinanti
allo papa ».
Ma in C^ tutto questo passaggio diviene :
« e lo protonotaro sotto la fede del detto Virgilio fo menato allo
papa in iupetto, et così la domenica sera fu menato dinante allo
papa ».
Ed R, quantunque pur esso sopprima nel contesto il brano
medesimo, ne accenna alcune frasi in noterelle marginali
e interlineari della pagina stessa, e poi lo riporta intero al
notamento primo e. 133. È chiaro pertanto che l'amanuense
ecclesiastico, pur di togliere la memoria d'atti brutali di
dosso alla famiglia pontificale dei Riari, sagrificava anche la
menzione d'un po' di lealtà soldatesca in prò di Virginio
Orsini (i).
(i) Altra consimile soppressione nel ms. C^ del brano conte-
nuto nell'ed. Ecc. (col. 1930, lin. 53-58) eMuR. (col. 1 174, lin. 21-26).
Lo spirito di clientela verso la casa Conti, ligia agli Orsini, cagionò
la soppressione del passaggio in cui si raccontano le dimostrazioni
crudeli fatte dal cardinale de' Conti per la strage dei Colonna che gli
erano nipoti carnali e figli di una sorella (cf. ed. Ecc. 193 1, lin. 21-26;
MuR. 1175, lin. 31-36).
// diario di Stefano In fessura 529
Altro esempio : cedutosi Marino alla Chiesa, si manda
un bando per rassicurare il contado e nelle persone e nelle
robe. Paolo Orsini, malgrado il bando, fa gran preda d'uo-
mini e d'animali. Ma questa ruberia all'amanuense orsi-
nesco, cui è dovuta la redazione C^ parve meno indegna a
registrare della riscossa che Prospero Colonna e Antonello
Savelli in breve ne fecero (i).
E nel passaggio che segue, dove le due edizioni e i mss.
più autorevoli consentono, la primitiva redazione di R, cor-
retta poi a e. 13^, n. XVI, e quella del testo chigiano, che
rappresenta il tipo più pieno del raffazzonamento di parte
orsina e della politica ecclesiastica, leggono :
M, E. R, C\
« Et insuper questo signor Pro- « Et insuper questo sig"" Pro-
spero et Antonello con lor gente spero et Antonello s' incontra-
roppero et sbalisciorono le genti rono con le gente della Chiesa,
della Ecclesia et più presto loro et tra loro seguì una gran bat-
guadagnaro della robba di co- taglia, dove che si morsero molte
storo della Ecclesia, che questi persone da una parte et l'altra
di quelli (2); et in quella batta- con assai feriti ».
glia vi furono morti quindici
huomini, et circa a centocin-
quanta feriti gravemente di questi
della Ecclesia et di quelli di là
molto pochi ».
Alcune volte è adoperata una perifrasi ambigua per tu-
(i) Ed. Ecc. col. 1929, Un. 6-12; Mur. col. 1173, lin. 24-31.
In C* si omette tutto il brano: « et finalmente rescossero tutta la
« preda et li presoni, eccetto sei bovi, li quali quando si combatteva
« forono menati in qua ». Queste due ultime parole lascian supporre
che r I. allora si trovasse a Marino : ma il testo C surroga invece :
« et finalmente non li riuscendo il disegno furono costretti a ritirarsi
« con qualche perdita loro ». Idem in R (e. 117) che rimanda, per
la correzione, a e 136, n. XVI.
(2) Ecc.: « che di questi e di quelli ».
530
O. Tommasìni
telare la fama della casata cui il raffazzonatore si sente
addetto (i).
Talvolta apparisce ancora il vestigio di una malignità
compendiosa, a cui per detrarre basta il tacere e il soppri-
mere :
Ms., ed. Ecc.
(col. 1929, 1. 24-31).
«... era stato forte-
mente tormentato per
li quali tormenti lui
haveva detto alcune
cose le quali non e-
rano vere. Et depò
quando, ecc. ».
C, R.
«... disseli come lui
era stato fortemente
tormentato dolendosi
extremaraente della
sua cattiva sorte, et
doppo quando, ecc. ».
Mss. e MuR.
(col. 1174, 1. IO- II).
«... era stato forte-
mente tormentato,do-
lendosi extremamente
della sua cattivasorte,
per lì quali tormenti
egli aveva detto molte
cose le quali non e-
rano vere. E dopo
quando, ecc. ».
Tal' altra capita sott'occhi l'indizio d'un tentativo di rea-
zione colonnese, sorta forse sotto lo stimolo dell'adultera-
zione orsinesca, a volgere la sincerità della narrazione del-
l' I. con scapito della verità, in tutto vanto dei Colonna. E
quantunque non ce ne paia che un solo esempio, ed anche
un po' incerto, pure si vuol segnalarlo, perchè non sembri
(i) Ed. Ecc.
(col. 1962,1.61-63)
Ms. e, C^.
« Et interim gen-
tes Ecclesiae, ani-
malia omnia Ursi-
norum quae versus
Galeram et partes
maritimas erant de-
praedatae sunt » .
Ed. MuR.
(col.i2o2_,l, 67-71)
« Interim gentes
Ecclesiae abduxe-
runt animalia om-
nia Ursinorum quae
versus Galeram et
partes maritimas e-
rant.SimiliteretUr-
sini animalia omnia
Romanorumquaein
partibus Latii erant
depraedati sunt » .
(*) S : « ex parte maritima » .
« Interim gentes
Ecclesiae abduxe-
runt animalia om-
nia Ursinorum quae
versus Galeram et
partes maritimas e-
rant. Et hi qui
in civitate e-
r a n t similiter ani-
malia Romanorum
quae in partibus
Latii erant deprae-
dati sunt » .
R, S, S^
« Et interim gen-
tes Ecclesiae ani-
malia omnia Ursi-
norum quae versus
Galeram et partes
maritimas (*) erant
depraedatae sunt ;
et hi qu i in e i-
vi ta te erant si-
militer vecturas et
alia animalia Roma-
norum quae in par-
tibus Latii erant si-
militer depraedati
sunt » .
// Diario di Stefano In fessura
Sì^
che abbiamo avvisato il male star tutto da un lato, o che le
fandonie possano esser sembrate utili ad una parte sola:
« Le genti della
Chiesa furo ributtate
et rotte con qualche
loro mortalità, et
quantunque di poi si
rifecero et pigliarono
Ripi lo dì seguente ».
« Le genti della
Chiesa furono sbar-
risciate et rotte e de'
loro uccisi circa a
dieci intra fanti et
huomini d'armi e fe-
riti circa sessanta, et
fuggendo lo resto s e
r e tirare et non
possero pigliare
lo d° castello».
Ed. Ecc.
(col. 1929, lin. 6-12)
MuR.
(col. 1173» 1- 24-31)-
« Le genti dell'Ec-
clesia furono sbara-
sciati (i) e rotti e de'
loro uccisi circa a
dieci intra fanti et huo-
mini d'armi, e feriti
circa cinquanta, e fug-
gendo lo resto per
quello tempo, quan-
tunque di poi si rife-
cero e pigliaro li dì
seguenti contro vo-
lontà di quelli della
terra ».
Rifletterebbe pertanto in questo caso un bagliore di par-
tigianeria colonnese in opposizione alla redazione orsi-
nesca. E qui è da osservare inoltre come l'amanuense
infedele che raffazzonò il testo del ms. chigiano C si
agiti per sue preoccupazioni, ma si senta già del tutto
fuori dell'orizzonte storico del secolo decimoquinto e dei
primi decenni del decimosesto; in cui dieci morti, tra fanti
e cavalli, e cinquanta feriti sembravano strage bastevole per
una grande battaglia; quando le guerre « si cominciavano
«senza paura, si trattavano senza pericolo e si finivano senza
danno », come scriveva il Machiavelli (2); e però, non sem-
brandogli che quel numero determinato e piccolo di feriti
e di morti fosse dicevole all'architettata dignità della storia,
pieno di compassione pel cervello piccino del cronista con-
(i) Ed. MuR. « sbaragliate ».
(2) Machiavelli, Storie fiorentine, lib. V, ìntrod. Principe^ XIL
^}2 O. Tommasini
temporaneo e fedele, lo mutò neirespressione generica e,
secondo lui, dignitosa di « qualche loro mortalità ». A
tante piccole insidie il testo dell' I. soggiacque ! alcune
delle quali non furono per verità premeditate.
Infatti non è maraviglia che le rubriche capricciose de'
postillatori entrassero col tempo a far parte del testo del
diario; che vi s'insinuassero noterelle di testimoni quasi
contemporanei agU avvenimenti. Questa è ventura comune
di tutti i manoscritti che passano per buon numero di copisti.
Né sono i copisti inetti che recano i guasti più gravi.
Della varietà delle rubriche da loro introdotte demmo
saggio, a quando a quando, tra le varianti delle lezioni.
L'insinuazione più disinteressata e rimarchevole ci parve
quella che s' infiltrò anche nel testo del Muratori, a propo-
sito del cadavere della bella giovinetta, ritrovato intatto,
morbido, imbalsamato, olezzante di neri profumi, adorno
di splendide vesti e di monili, esposto agli occhi del popolo
meravigliato in Campidoglio, ne' primordi del pontificato
d'Innocenzo Vili. Chi fosse quella giovinetta cosi bella,
sepellita con tanto amore da chi le sopravvisse, fu allora
domanda di tutti che la rimiravano, a cui pareva che qual-
cuno dovesse poter rispondere. Per la bellezza l'avrebbero
reputata una santa; ma la Chiesa non aveva ragione di rico-
noscerla; e, in mancanza di questa, gli archeologi d'allora
furono chiamati a divinarla:
Ed. Ecc. (1951, lin. pen.). Ed. Mur. (1193, Un. 15).
« Cumque Conservatoresineo- • « Quumque Conservatores in
dem pilo locum ìuxta Cisternum eodem pilo ad locum iuxta Cister-
in reclaustro cuiusdam Palatii pò- nam in reclaustro eiusdem Pa-
suissent, a dicto Innocentio iussi latiiposuissent, a dictolnnocentio
in locum incognitum de nocte iussi in locum incognitum de
extra portam Pinciangm in quo- nocte extra portam Pincianam
dam vico vicino eius in quadam in quodam vico vicino elus ubi
fovea proiecta fuit, reportaverunt, fovea defossa fuerat reportave-
ibique eam sepeliverunt. Et illis runt, ibique eam sepelierunt. E t
primis diebus, quibus inventa est, creditur fuisse corpus lu-
// diario di Stefano Infessiira 533
ad dictum Palatium inducta fuit, liaeCiceronisfiliae. Et il-
tantus erat concursus hominum Hs primis diebus quibus inventa
eam videre cupientìum, ut passim et ad dictum Palatium inducta
in platea Capitoliivendentes olerà fuit, etc. ».
et alia ad instar fori reperiren-
tur ».
Il Muratori, che divulgò la lezione, che T indica come
la figliuola di Cicerone ed erroneamente le dà nome di
Giulia, la trasse dal suo codice Estense (M). Degli altri
manoscritti cogniti ve n'ha due soH che la riferiscano alla
stessa maniera ; il Londinese del museo Britannico (add. ms.
8433, segn. od. P, 1052^), da noi contraddistinto colla si-
gla U, e il Barberiniano LV, 5 (B^). Tutti gU altri ne tac-
ciono, ad eccezione del ms. A, i dell'archivio dei Ceri-
monieri pontifici, nella nostra serie indicato colla sigla M'*,
il quale, al passo sopracitato, riferito secondo la lezione
dell' Eccardo, aggiunge la postilla marginale : « corpus q.
« luliae I Ciceronis filiae | fuisse -creditur » . È evidente che 1
quello « luliae » fu mal trascritto da « Tulliae » o « Tul-
c< liolae ». Stando ad Alessandro degli Alessandri, chi rischiò
la matta divinazione ebbe ad essere Pomponio Leto (i); ma
(i) Nella lettera di Bartolomeo Fonti a Francesco Sassetti, pub-
blicata dallo Janitschek, Die Gesellschaft der Renaissance in Italien, 1879,
p. 120, si dice apertamente: « et genus et aetas latet huius tam in-
« signis et admirandi cadaveris ». — « Molti credono sia stato morto
«degli anni 170», scrive il Notaio del Nantiposto (Mur. Rer.
It. Scr. IIP, 1094. Per contro si legge in Alexander ab Alexandro,
Genial Dier. Ili, 2, p. 208 : « Memini, dum Roniae agcrem, in vetustis
« sepulchris quae in via Appia plurima visuntur, inter aedificia hor-
<r tosque interque coagmenta lapidum erutum cadaver fuisse, multo
<c aevo vetustum, adolescentulae mulieris facie, capillo, oculis, naribus
« et rcliquis lincamentis prorsus integris et incorruptis; nisi quod vc-
« stigia liquaminum et unguentorum quibus dclibutum fuerat, appare-
« bant, recenti specie, inscriptione nulla, qua nomen defunctae inno-
« tesceret. Pomponius tamcn vir, ut in ea aetate, veterum litterarum
« impensc doctus, Tulliolam Marci Tulli Ciceronis filiam, de cuius
534 ^- Tommasini
probabilmente il dotto umanista, interrogato da chi chie-
deva un battesimo scientifico a quella bella reliquia che la
Chiesa rifiutava e temeva, si limitò a ricordare le lettere
di Cicerone a Servio Sulpicio o la Selva di Stazio sulla
morte di Priscilla. Il volgo poi fece il resto, e sbagliò forse
e diffuse lo sbaglio del nome prima ancora che un incolto
postillatore lo notasse a margini del diario del nostro Ste-
fano. Da' margini ebbe ad entrar nel testo, ma tardi, e
dopo che molti altri errori vi si erano già infiltrati. E si-
milmente nei margini dell' indicato M^ si leggono altri no-
tamenti di chi sopravvisse all' L, che pure entrarono col
tempo a far maligno corpo nel suo diario (i). Che quei
notamenti debbansi ripetere per la massima parte dai pic-
coli Procopì della curia, registratori delle cerimonie e delle
maldicenze, si desume dalle loro stesse parole : « ut per
« obitu ad Servium Sulpicium sunt epistolae, aut Prìscillam Aba-
« scantii de qua Sylva Papinii extat, fuisse augurabatur. là quibus
« argumentis asseveret, cum nulla inscriptionis vestigia extarent
« prorsus nescimus ». Cf. Matarazzo, Cron. di Perugia, II, i8o;
RiccY, Pago Lemonio, 112; Tomassetti, Camp. rom. Via Latina,
p. 50.
(i) Fra le altre note relative ai cardinali creati da Alessandro VI
si legge: « Item unum de domo Farnesia consanguineum luliae
« Bellae eius concubinae, etc. ». E di Cesare Borgia : « Caesar Borgia
« monstrum infame truculentissimum ex Vannozia catalana susce-
« ptus ». Consimili postille s' incontrano anche in C^ In C, C^ E, la
interpolazione si ritrova nel testo, ove si aggiunge a proposito del
cardinale Alessandro : « de domo Farnesia, quin immo erat frater
« dictae luliae et fuit postea papa Paulus III ». E nei mss. stessi è in-
sinuata r interpolazione seguente : « Ethuius luliae imaginem u t p er
« traditione m m aiorum nostrorum didicimus, in palatio
« apostolico, in loco qui a nepotibus inhabitari solet in magno quodam
« articulo turris Borgiae toto depicto ac inaurato (et a quodam... di-
ce viso in,..) super quadam ianua videre liceret. Omnibus enìm patet.
« In eo enim repraesentatur beata Virgo cum Infantulo in brachiis ac
« pontifice Alexandro ante ipsam genuflexo ». Le parole in parentesi
mancano in C^
// diario di Stefano In fessura S35
« traditionem maiorum nostrorum didicirrius » . Quanto
spesso non tradisce anche la tradizione!
Dopo queste discrepanze, che furono effetto di tendenze
più o meno manifeste dei trascrittori, i quali più o meno vo-
lontariamente raffazzonarono il testo del diario (i), seguitano
quelle che derivarono da negligenza dei copisti che salta-
rono spesso da un inciso all'altro, dove ricorreva, più o
men prossima, la parola medesima. Basti un esempio per
molti.
Ed. MuR. (1245, lin. 47)
Ed. Ecc. (2010, lin. 29), C, C^ C\ P, R, S, S^
«... adeo quod noluit amplius «... adeo quod, ut fertur, ìratus
redìre ad Urbem, sed remansit in recessit et per mare ad Ostiam,
arcem dictae Ostiae ». et cardinales S. Petri ad Vincula
cum eo; qui, ut dicitur, ex eo
quod favit dicto regi, factus fuit
inimicus papae, adeo quod noluit
amplius redire ad Urbem, sed re-
mansit . . . etc. ».
Se non che la forma estrinseca del diario ebbe pur
essa ad incitare coloro che, essendo o credendosi qualcosa
meglio che copisti, vennero con esso alle prese. E di questo
abbiamo argomento non tanto dai manoscritti, quanto dai
frammenti de'manoscritti di esso (2).
(i) V. le descrizioni dei mss. B*, C*.
(2) Ecco la nota di quelli che ci furono cogniti:
Roma. — Archiv. Vat. Pio, 7 (to. LII). Ms. cartaceo, sec. xvni,
(0,275 Xo» 190), rilegato in pergamena. Nella risguarda «Ex
« bibl. Piorum 1753 ». A. e. 16: Ex Diariis Stephani Infes \ surae
Civis Romani \ Xysti iiij Papae Obitus \ Conclave, et creatio \ Inno-
centii Vili I pontificis \ Maximi \ 1484. Inc.: « Die nona augusti P.
«f lacobus de Comitibus ». Expl. (e. 46) : « in die sancti Stephani
«elegìt». a
Archiv. Vatic. Ms. cartaceo, sec. xvi (0,300X0.205). Poli-
tica varia, tom. IV, e. 189: Ex Diariis Stephani In \ fessurae civis
Romani \ Xysti iiij. Conclave, et creatio Innocentii viij, \ Pont. Max.
Inc. : « Die nona augusti dominus lacobus de Comitibus Intravit
53^ O. Tommasini
Le parti diverse del diario parvero presentarsi come
sconnesse tra loro : mancava il principio ; cominciava in
italiano, anzi in volgare ; seguitava in latino ; spesso sgram-
maticava e nell'uno e nell'altro idioma. C'era pertanto un
bel campo da mietere: rifiirgli il principio mancante; ri-
durlo tutto ad una lingua e che fosse la buona; ordinarlo
secondo grammatica; e o distinguer bene tra loro le parti
diverse o ri connetterle.
Il principio si rifece, ordinandolo ad essere un rap-
picco possibile col primo capo di cui si aveva il titolo:
Quando la corte era in Francia, quando cioè fu fatto papa
«l'arcivescovo di Bordella». Niente era pertanto più na-
turale, se non che si facesse esordio regolare alla cronica
« Romam ». Expl. (e. 205 r) : « Prefectum Urbis id est nepotem
« Xisti, ac fratrem cardinalis S" Petri ad Vincula in capitaneum
« generalem in die sancti Stefani elegit ». b
Archiv. sudd. arm. Ili, 121. Ms. cartaceo, sec. xvii (o,29oX
0,130): Memorie diverse di Roma. Nella e. i: «Ex libris Congr.
« S. Mauri Romae ». Segue l'indice di mano del Torrigi. A e. 254:
Diario di Stefano Infessura Cittadino | Romano ridotto in Compendio
volgare \ mancando il principio, e \ parte in latino copiato \ nel 164'j.
Ine : « Il conte Romano Orsino venne con gìente mandato dal
«re Roberto». Expl. (e. 269 v): «Nel 1478 a di 27 d'aprile fu
« ucciso ». Traduzione e compendio sono inesatti. e
Archiv, sudd. Ms. C, XVI: Memorie diverse di Roma, III, 121.
A e. 244 V : Diario di Stefano Infessura cittadino \ romano ridotto in
compendio volgare \ mancando il principio, e \ parte in latino co-
piato I nel 164'J. ^^'^- ' ^^ Il conte Romano Orsino venne con gente ».
Expl.: «Nel 1478 a dì 27 d'aprile fu ucciso...». d
Archiv. sudd. 32 t. 36. Bullae diversorum et alia varia, sec. xvi.
A e. 96 : Historie avanti che la Corte gisse in Francia. Nel mar-
gine superiore interno : « Stephano Infessura \ cittadino Ro-
« mano | fu podestà ad Orta | Sotto Xisto iiij .1. 37 ». Inc. : « . . .pon-
« tificalmente, et dissegli piglia tesauro ». Expl. (e. 98 r) : « perchè
« voleva occidere Lodovico Colonna et non li venne fatta ». Fram-
mento del diario dell'I, di sole 5 facce. Passa da' notamenti del-
l'anno 1378 a quelli del 1416 del mese di agosto. e
Torino. — Codice miscellaneo di mano di Girolamo Baglioni, vis-
Il diario di Stefano Infessura 537
dall'anno in cui fu fatto papa « il cardinale di San Mar-
ce tino in Monte», quello che aveva lottato con Francia e
inaugurato un contrasto da cui pareva dovesse uscire la
servitù di Francia o della Chiesa. E s'incominciò cosi:
« Nell'anno Domini mille duecento novantaquattro, nella vi-
« gilia di Natale ». Ed ebbe così origine tutto il brano, dato
dall'Eckhart (col. 18^3-^4), e dal Muratori (col. 111-13),
e che nella prima edizione finisce alle parole: «regnò otto
« anni nel papato »; nell'altra alla linea 23 : « e fu seppel-
« lito in S. Pietro ».
suto nella metà del sec. xvii, come si ricava da una postilla ri-
cordata da A. Fabretti (Cronache della città ài Perugia, II, 105),
che ora possiede il ms., il quale ne parla nella prefazione al voi. 2°
di dette cronache, ed ebbe la cortesia di fornirmi altre da me de-
siderate notizie. Il ms. misura 0,265 X 0,195. Inc. (f. 29 n. m. 61) :
« e torricelli e le porte di Roma, massime quella di Testacelo »
(ad an. 1451). Expl. (f. 40, n. m. 183): « sed de his conditionibus
« pacis nihil aliud visum fuit, nisi quod Ursini steterunt in do-
« mibus eorum et d. Hubertus recessit. Et pax ut sequitur quae »
(ad an. i486). f
Roma. — Bibl. Vatic. Ms. Vat. 7838, p. 2*, e. 177 (n. a. 434): Ex
Stephani Infessurae Civis R. Diario \ rer. Roman, suorum temporum
posi curiam \ Romanam ex Galliis ai Urbem reversam \ usqiie ad
Alexandri 6 creationem. « Si conserva anco m.s. nella libraria Va-
«tic. I Manca il principio ». Inc. (e. 177): « Il conte Romano Or-
« sino venne con gente mandata dal re Ruberto ». Expl (e. 183 v) :
« si redirc non posset et ». Scrittura pessima di mano del Tor-
rigi; à un frego sopra ogni faccia. È compendio inesatto. g
Bibl. sudd. Ms. Capp. 181, cartaceo, sec. xvii (o,i4oXo»205),
rilegato in pergamena. Nella rìsguarda è la data: « 7bre 1737».
Contiene : Diario historico d'alquanti semiantichi successi \ di Roma.
Inc. (e. i): «Mentre hcbbe Francia la sedia del papato». Expl.
(e. 30 v) :« ridusse al porto la navicella di Pietro». Segue (e. 31):
Quando fu perduto lo Slato da Papa Eugenio IV. Inc.: « Del anno
« Domini 1434 ». Expl. (e. 59): « doppo fu lasciato senza alcun pa-
« gamcnto ». h
Bibl. Barberini. Ms. (1088 n. ant.) XXXV, 37. Citato dal Ma-
rini, Archiatri, I, 199, cartaceo, sec. xvii, descritto più oltre, i
538 O. Tommasini
Se non che a niuno che paragoni questo principio re-
golare con quello che è mutilo, sfugge ch'esso riposa sul
frammento sincero del diario dell' L, non come membro
rotto le cui parti siano disposte a risaldarsi insieme, ma come
un cappello qualunque gittato sopra una testa di statua che
non à modo di scuoterlo, ma cui non s'adatta per alcun
verso. Che mentre non è facile andare alla fonte o spiegar
la genesi della leggenda fantastica e frammentaria con cui
l'autentica narrazione incomincia, non si trova difficoltà a
riconoscere i materiali con cui il fittizio esordio regolare
è composto. Poco Villani, poco della Vita di Bonifacio Vili
di Bernard Gui, poco di Tolomeo da Lucca ; pochi appunti
degli Ada consistorialia e de' registri de' Cerimonieri basta-
rono. Il dettato poi è di chi sa tornir periodi e rannodarli
con espedienti di grammatica, non di chi segue il semplice
impulso del pensiero, di chi volle racconciare, non di chi
scrisse il diario. Dei mss. che ce lo tramandano non n'è
alcuno che offra sentore o vestigio del dialetto in cui fu
scritto tutto il resto volgare, del quale nessun manoscritto
à potuto interamente purgarsi, per quanto l'amanuense
l'abbia causato a studio o per negligenza. Le varianti
stesse fra i codici che danno l'esordio nuovo sono limi-
tatissime di numero e di natura, e si riducono per lo più
a errori di lettura o di trascrizione. Si capisce che dove
l'Eckhart à « Quieti », il Muratori legga « Rieti », e « Ric-
ciardo senese » in luogo di « Recciardo Segese»; che ilms. A
possa leggere « Agamense » ed R « Aponense » dove il
' Muratori e 1' Eckhart stamparono: «il vescovo Apamense ».
Ma queste differenze intrinseche ed estrinseche fra l'esordio
e il resto del diario, fra il modo per cui ci si tramanda il
testo di quello e di questo, indussero la persuasione che le
due parti non àn ragione da costituire tutto un corpo ; né
si convenga però di darle per tali. Collocammo quindi la
fittizia introduzione solo in fine nell'edizione nuova, come
appendice ; e ci rassegnammo, secondo la nota dei mss. più
// diario di Stefano hi fessura 539
autorevoli alla convinzione che dei nostro diario « manca
« lo principio ».
Per quel che concerne il tentativo di ridurre tutto il
testo ad una lingua sola, due manoscritti rimangono a te-
stimonio delle opposte prove : l'uno, il Corsiniano C 3, in
cui tutti i notamenti son fatti volgari, anzi italiani ; l'altro,
un codice Barberiniano, in cui non si à che un frammento
del diario stesso, e in cui precisamente la parte italiana si
trova parafrasata nel cosi detto buon latino delle scuole.
Il ms. fu cognito al Marini, e, per la citazione di lui, al
Fabricio. Ma il Marini lo conobbe male. Lo allegò come
a Diaritim ms. in Ubi, Barber. cod. 1088, p. 215; il qual
«non è altro che quello dell' Infessura fatto latino, ed in
« alcuni luoghi, siccome in questo, più pieno ». Se non che
tutto il più pieno è nel ripieno, e della parte che mancava
o il Marini non s'avvide o non die notizia.
Ora, questo codice, che è il Barberiniano XXXV, 37
(n. a. 1088), e corrisponde colla segnatura alle indicazioni
del Marini perfettamente, è un cartaceo del secolo xvii
incipiente. Contiene dalla p. i-io^: Ada \ in longissimo
omniu schismate \ Incipiente sub Clemente VI {i) \ anno Dni
1)^8 deprompta \ ex libro quodam. Seguitano poi facciate bian-
che sino alla 115, in cui principiano : Diaria \ sub Bonifatio
Nono et Innocentio VII. Nel margine destro occorrono, a
somiglianza degli altri mss. del diario, note marginali;
come: « eclypsis maxima in hieme », « populus tumultuat
« sub Columnensibus et Ursinis , sede vacante » ; ed è
questo il noto passo caratteristico sopra segnalato, che il
traduttore rende in tal modo:
« Anno 1404 mense septembris Bonifatius Nonus diem suum
clausit, et Romanus populus tumultum excitavit libcrtatis recupe-
randae causa et tota Urbs repagulis referta est, quotidic dimicantibus
Ursinis ex una prò Ecclesia, ex altera Columnensibus prò populo.
(i) Sopra, a lapis: « Urbano et ».
540 O. Tommasini
Interim Capitolium et turris noncupata del Mercato defecerunt ad
favorem popuH; quo cognito Ursini: eadem die Vesperi in Urbem
per portam Castri S" Angeli ingressi sunt ut Capitolio suppetias
ferrent, erant enim a multis Romanis comitati, qui Ecclesiae partes
sequebantur et dum pervenissent ad domum illor. de Rubeis, Co-
lumnenses cum populo illis occurrerunt et praelium ibi factum
est in quo utrìnque perierunt non pauci, inter quos Pancellottus Ur-
sinus, sed tandem victores remanserunt Columnenses a maiori po-
puli parte sequuti, quare Ursini se contrahere coacti sunt ad lordanum
Montem ».
Il passo relativo alla morte del Porcari è poi latineg-
giato in guisa da sopprimere ogni menzione dell'I., che
nel testo volgare si afferma testimonio di veduta :
P. 178V, lin. io: « Die 9 ianuarii die Martis suspensus est Ste-
phanus Porcarus in Arce S^i Angeli uni pinnarum turris quae de-
storsum {sic) est dum intras. Hic Stephanus fuit vir bonus, amator pacis
et libertatis Urbis, quare ut patriam liberam redderet dum desperatus
propter indebitam eius relegationem proditionem praefatam machina-
retur, seipsum et animum suum labefactavit et perdidit. Fertur ille
humatusin Traspontina ecclesia seu in flumen proiectus. Eodem die
suspensi sunt in furcis Capitolinis absque sacramentis Ecclesiae An-
gelus de Mascio et Clemens eius fìlius, qui ne patrem suspensum
videret, petiit ut pileus sibi ante oculos superponeretur; quod factum
fuit; laqueo etiam occubuit Savus Octaviani et alii multi, quorum
numerus novenarius fuit, mortis eorum causa in sententia lecta, fuit
huiusmodi, quia Stephanus Porcarius pontifìcem Nicolaum et aliquos
cardinales captivos facere tentaverat ut multas postea diriperet de-
mos et stupra committerent ».
Né parimenti, ove al luogo ben cognito F I. accenna
alla sua potesteria di Orte, nel 1478, si fa menzione al-
cuna di lui. La frase poi corre a tal guisa. Dove si ac-
cenna alla porta S. Paolo, il traduttore volge : « Trigemi-
« nam idest S. Pauli»; perla porta del Popolo, «perflu-
« mentaneam portam )> ; dove verrebbe alle prese col volgare
e colle corruzioni dei mss. : « si ruppe lo arrizzatore » (i),
à « auditorio fracto » (!). Ecco poi saggi dello stile :
(i) Mss. E, S : « accrizzatore » ; C, M : « accrizatore »; R : « aggrez-
zadore »•; S : « assidatore » ; R^: a accidatores » ; C^: « adrizzatore ».
Il Diario di Stefano In fessura 541
Ed. MuR. (col. 1118, Un. 56-8). Ms. p. 124 v., lin. 15.
« E rimase Paolo Orsino al soldo « Et sub Ecclesia merebat Paulus
di Santa Chiesa insieme col le- Ursinus apud eundem legatus»_
gato sopradetto ».
« e devoli Maritima et Campagna « et ad quinque annos Maritimae
per cinque anni ». et Campaniae illum praefecit ».
P. 225, lin. 13.
« Eodem anno a dì 12 di ìuglio « Die 1 1 iulii papa Roma di-
se partì lo papa et tornò ad Brac- scessit et Braccianum petiit. Die
ciano, et a dì 29 del ditto mese 29 eiusdem sol obscuratus est, et
scori lo sole, et fo la ecclisse defectus apparuit ad horam; die
per un bora vel circa, et depò vero 16 septembris pontifex ad
a di 16 de settembre lo papa Urbem rediit ».
tornò a Roma ».
Insomma l'odor del latino gesuitico di Famiano Strada
o del Cordara in tutta questa versione si fiuta mille
miglia lontano. Termina allapag. 225 colle parole: «pon-
ce tifex ad Urbem rediit. Reliqua diariorum Sixti quarti
(( videas in voi. cui tit. : Relationes variae et Diaria Sixti
« Quarti y).
Dell' azzi matura più completa, con acconcia separazione
di parti e ricchezza d' indici per ciascuna di Qsse, e abbon-
danza di rubriche rimane esempio il manoscritto Chi-
giano C^ il quale mostra tutto quel che la critica storica
nel tempo in cui venne ordinato poteva, raffazzonando se-
condo suoi criteri il testo, anzi che tentare di ricondurlo,
per quanto è sperabile, alla originale schiettezza.
Ora, accingendoci a tentar la compagine del diario e
a trarne poi la caratteristica dell'autore, non ci sembra su-
perfluo di riassumere anzitutto in uno specchio comples-
sivo le note croniche di cui è contesto (i) :
(i) Indichiamo con numero romano i mesi, secondo il loro ordine
progressivo dall' I al XII, cominciando dal gennaio. Le cifre arabe
dopo queste indicano i giorni dei mesi. I puntolini dopo il numero
romano significano che manca nel diario l'indicazione del giorno
Archivio della R. Società romana di itoria patria. Voi. XI. 36
542 O. Tommasini
(0 (1303), X 8 (a). 1416, vili ..., XII ...
J358, 1417, , VIII 28*, XI II*.
1376, 1420, IX 28, (29).
13 14, C3). 1422, XI 30.
1361, Vili 21. 1423, V ...
1378, VII 16, X ... 1424, VI 2*, 16, VII 21, 8*.
1379*, XI 9- 143 1. II* 12, 19, 20, III I, 3*,
1389*, II*, 16*.
1404, I I, III 17, IX i,X IO, 15. 1432, IV 15*, 23*, VI 3, 20*,
1405, IV 25, Vili 2, 3, 5, 6, 20, VII 17*, X 22, VI 4*.
21, 23, 26, IX I. 1433, IV 7 (8), 17, V 21*, 31,
1407*, IH* 13, XI 7*, 14, XII I. VI 17, vili 25, XII 5.
1408, IV 18, 21. 1434*, X 5, V 29, V 31, VI 14,
1409, IV 25*, VI 19*, 21, 27. 20*, X 27.
1410, X ..., XII 27, 30. 1436, III 20, V 19, VI 3, VIII ...
141 1, ,IV2*. 1437, IV..., VII...
1413, VI ..., III 13, VII ... 1438 , IV 12, VIII 22*, IX 4,
1414, IX 13 (15), 16, X ..., XI 8, 2, 4.
XII 9*. 1439, V ..., XI ..., III 19, IV 2.
nel mese; dopo il numero dell'anno, che manca ogni indicazione
particolare. I numeri in parentesi son quelli che, desunti dal contesto,
non si trovano esplicitamente determinati nel diario. Nel pseudo prin-
cipio s'incontrano le date 1294, XII 24; 1295, XI 30.
(2) Data erronea, originata probabilmente dall'aver 1' I. interpre-
tato doppiamente male il testo latino di Bernard Gui : « obiit Ro-
« mae .v. id. oct., sequenti vero die fuit in tumulo, quem sibi vivens
« praeparari fecerat, tumulatus in eccl. S. Petri ». È ovvio che l'I. pose
anzitutto per inavvertenza gl'idi d'ottobre ai 13, come i mesi comuni
del calendario, e non ai 15 dì, e che dopo errò anche d'un giorno
il computo. Gio. Villani (Cron. VIII, 63) ponendo la morte di papa
Bonifacio a' di 12, sbagliò pur egli probabilmente nel tradurre la
data dal latino. Quanti errori consimili non anno forse la causa
istessa !
(3) Alcuni mss. anno 1324, altri 13 14. L'equivoco della cifra i per 7,
del 6 per 9, del 9 per 2, la sostituzione di cifre arabiche o di pa-
role a numeri romani o viceversa àn dato luogo a frequenti discre-
panze dei mss. e ad errori delle edizioni e degli storici che vi si
sono affidati. Notiamo con asterisco le date intorno alle quali vi à
discordanza nei mss.
// diario di Stefano Infessura 543
1440, V (26). 1468, XII 24*, (31).
1442, XII, 15. 1469, I 1,9,23.
1443 *, V 27, IX 28, (29), XII 8*. 1470, V 18, VI 26, XI 3, VII 8.
1444*, IX 12. 1471, IV i,VII 2j, Vili 6,9,25,
1446, VII* 5. XII ...
1447, I 9' II 12, 23, III 4,6*, 18, 1472, I ..., II 27*, V 28.
VI 8, 24*. 1473, I23,IV29, VW,7,(8,9,
1448, IV 25 , V 23*, Vili 29, IO), VI 29.
IX ..., X 23, XI 4, XII* 1474, I 5.
20*. 147$*, I 6, XI II,...
1449, IV 23, 27. 1476, IV 30, I 8, IV 25, VI IO*,
1450, XII 19*. 12, 13, VII 6, XII 17, 26.
145 I, 1477, III 15, VI 23, 26, vili 21,
1452, III 8*, 9, IO, i8*, IV 22. IX 3, XII ... 15.
1453, I 5, 9*, 12*, 30,31, VII 8. 1478, IV 27, V4, 12, VII 12*, 29,
1454, X 12, 13*. IX 16.
1455, III ii*> 24*, IV 8, VI 29, i479> XI I.
XI 21*, 23. 1480, I 8, V 17*, Vili 2, IX 8.
1456, VII ...,24, Vili 22, XII 24*. 1481, III 3, V28*, IX, 13*.
1457, XII 24. 1482, IV 4, 14, V 21, 22, VI 2, 3,
1458*, II..., X* I*, VII*, 13*, 5, 6, VII 12, 8, 13, 16,21,
Vili, 6, 14*, 19, IX 3, XII 27*, 20*, VIII I, 8, 12*, 15,
22. 16, 19, 22, 24, 30, IX 15,
(1459), I 22; 1459, III •••*» V 16, XII 27, 30.
25, X 5, 29, (30). 1483, V 27*, XI 15.
1461, III 27*, (VI 29). 1484, V 30, VI I, 2, 4, 5, 7, (li),
1462, IV 12, V 4. (13), 18, 20*, 23, 25, 27,
1464*, VI 19, (Vili) (0, 14, 28*, 29*, 30, VII 2, 4, 16, (17),
30, IX 3, 16, XI 6*, II*, (18), 20, 23, 24, 27, 30, 31,
XII IO*. Vili..., 5,6,9*, 10,11,12,
1465, IV 22, VI 2*, IX 14*, 20, (13), 14, (15), (16), 17,
XI 25. (18), 22, 24, 25, 26, 29, XI
1467, VII 8*, IX 18, 29, XI 20*. 22.
(i) Quantunque redizione Muratori (col. 11 39, Un. 59) legga in
questo luogo: « eodem anno a dì 14 di agosto si mori Io detto papa
a Pio II », i mss. da me riscontrati e l'edizione d' Eckhard non re-
cano alcuna menzione del mese.
(2) Il Muratori corregge : « mense iunii » ed a ragione ; ma i co-
dici da me riscontrati danno: « mense may ». Lasciammo però l'ine-
sattezza all' I.
544 ^- Toinmasini
1485, 1 6 (x),iii ..., VI (23), (24), 1489, ni (21) (4), VI 13, 14, 30,
VII 14, 20, 2 i,X 16*, 19 ..., IX 4, X 19, 27, XI 15.
XI ..., (30), XII IO, 15, 16, 1490, , V 7, IX 27, 28, X 26>
28. XI 20, 30, XII 28, 29*.
i486, I 4, 5, 6, 7, 21, II 20*, III 1491, VI I, 18, 6, 9, VIII ..., 23^
17*, V^.., 30, VI (9) i^\ 24.
(12), ..., 19, (24), 28*, 29, 1492, II I, IV (19), (22) (s), V 27,
VII 2, 13, 17, 19*, 26, 28, 31, VII* 16, 22, 25, 26, 28,
VIII 4, II*, 12, 14, 15, 24*, Vili I, 6, 30*, II, 26*, IX
IX... 3,4, XII...
1487, V ..., VI 20 (3), 26, 29, VII 1493, IV 25, VI 10,11, 12,29*,
5, VIII 9, 17*, 18*, 25, X VII 3, (7), 23, 24, 28, 20,
15*. ' X 21, 27.
1488, I I, IV 7, V I, VI 2, 13, 1494, I 20, II 4, IV 22.
VII 8*, 15.
Da questo prospetto vien fatto, innanzi tutto, di rilevare
il gran numero di date intorno alle quali i manoscritti di-
scordano ; poi la relativa scarsezza dei notamenti del diario,
se si eccettuino quelli degli anni 1482, '84, '85, '8^, '92,
'93 ; poi la rarità delle note croniche ne' singoli anni, che
s'incomincino dal gennaio; e finalmente la lunga distesa
di tempo, per mezzo alla quale saltuariamente procede; e
soprattutto i molti anni e lontani fra cui si trascorre nel-
r introduzione.
Ora, da quelle date rispetto alle quali si à poca concor-
danza dei manoscritti, sorge tosto il difficile compito d' in-
(i) La data « .xxii. novembris 1884» si trova intercalata dopo
questa.
(2) Il testo à: « prima hebdomada iunii die Veneris ». Deve per-
tanto intendersi o il 2 o il 9 del mese. Così interpretammo il 12,
dal dato: «die lunae proxima tunc futura».
(3) Il testo à : « die vigesima vel circa ».
(4) Il testo à: « mense martii in die qua itur ad lerusalem », cioè
la domenica laetare.
(5) 1 mss. anno: « die dominica, videlicet die pasquae et secunda
«die dicti mensis ». E cosi le edizioni; ma parve naturale di sup-
plire « vigesima et secunda dicti mensis », restituendo colla parola
sfuggita agli amanuensi la data vera della pasqua di quell'anno.
// Diario di Stefano In fessura 545
vestigar le cause dell' aberrazioni, più che non emerga la
possibilità di facile fede rispetto a quelle intorno a cui si à
il consenso dei codici. Infatti, i codici convengono, per
esempio, a porre l'elezione di Bonifacio IX nel 1382; ma
chi non vede in questo caso l'ovvio tramutamento del ^
nel 2 che die luogo, probabilmente, ad una universale devia-
zione dall'autografo ? In altri casi, per converso, è una du-
plice lezione, sempre errata e diversamente errata, che ci
conduce a ristabilire la giustezza del presunto testo originale.
L' I., come sogliono tutti i cronisti del medio evo, indica
assai spesso il giorno dell'anno dalla festa del santo che ri-
corre nel calendario ecclesiastico ; e talvolta accoppia anche
questa indicazione colla data astronomica. Ora, il calendario
pone, per esempio, la festa di san Leonardo a' dì 6 di no-
vembre. Questa festa era tra le più cognite e certe in Roma,
dove il nome di Nardo occorreva comune nell'uso del po-
polo. Dicendo pertanto l'I. nel 14^4: «lo di di santo Lo-
ft nardo », egli sapeva benissimo di dar ad intendere la data
che corrispondeva alla festa, cioè il di 6 di novembre. E
aggiungendo in seguito l'accenno di « doi dì seguenti»,
era chiaro che determinava anche il di otto del novembre
medesimo. Se non che i manoscritti fecero qui un gran
garbuglio. Alcuni posero accanto all' indicazione della festa
ecclesiastica la data « a dì 5 » ; chi copiò omise forse l'asta
del numero romano « a dì .vi. » nel trascrivere la data
stessa in cifre arabiche ; e aggiunse di soprappiù per trasan-
datezza «doi dì sequenti che fo a dì 17 ». Altri poi, come
R^ per non saltare di pie pari dodici giorni in luogo di
due, avvertito della seconda trascuraggine piuttosto che
del primo errore nella datazione dal calendario ecclesiastico,
pose la festa « a di 15 », ma i due di seguenti ai 18; onde
è lecito di congetturare che dovette ben esistere un buon
testo primitivo che dava la lezione corretta : « a di .vi. » e
« doi di sequenti che fo a di .vili. » ; ma questa fu poi
guasta da chi avanzò il fatto di dieci giorni, secondo due
54^ O. Tommasini
maniere diverse di corruzioni, che appena ora si possono
raccapezzare e medicare, ragguagliandole insieme.
Con tutto ciò non è a credere che della inesattezza delle
note cronologiche sia da attribuire tutta la colpa a trascu-
raggine d'amanuensi. Pur troppo, anche rispetto ai fatti di
cui fu testimonio contemporaneo, T I. non è sempre regi-
stratore preciso.
Del convito d'Eleonora d'Aragona, in cui fu profusa
tanta dovizia da provocare T ironica esclamazione di lui :
« in qualche cosa bisogna che si adoperi lo tesauro della
«Ecclesia!», ei sbaglia la data, ponendola sbadatamente,
come vedemmo, nel maggio, anzi che nel giugno, quan-
tunque la designi pur giustamente secondo i giorni della
settimana. E la stessa incertezza si rileva nella determi-
nazione degU anni, sia ch'egli stesso abbia notato « eodem
« anno » come alla prima annotazione dell'anno 1449 « a
«di 23 d'aprile», dov'era necessario di segnare invece a
margine l'anno nuovo ; sia che la nota marginale sia sfug-
gita agli amanuensi, o che, pe' tempi anteriori a suoi, egli,
attingendo a fonti che noveravano gli anni ah incarnatione,
abbia fatto male la riduzione, o mal tradotto dal latino in
volgare. È certo che, secondo lo stile romano, ei chiama
il primo di gennaio « lo di di capo d'anno » (i) ; ma non
è men vero che assai di rado le note annali ch'egli re-
gistra cominciano prima del terzo mese. Può essere ef-
fetto di caso; può essere che tardi egli abbia raccolto,
come il notaio Caffari, « multa et diversa in diversis codi-
« cibus diversis annis et temporibus sparsa » ; può essere che
questo tardo raccozzamelo di date sparse spieghi anche l' in-
tercalamelo delle date anteriori dopo le posteriori, non in-
frequente. Ma quel che salta agli occhi subito è che i due
nuclei principali del diario sono il brano de hello commisso
Inter Sixtum et dominum Rohcrtum de Arimino ex una, et
(1) Infessurae Diar. ad ann. 1469.
// diario di Stefano In fessura 547
regtm Ferdinandum ducemque Calabriae ex altera parte e
la narrazione della presura e morte del protonotario Co-
lonna, tutti e due composti con gran sentimento di affetto
romanesco e di clientela verso la popolare famiglia dei
Colonnesi (i). Tutto il resto è ravvicinamento di cellule
più o meno vaghe, richiamate da parti diverse, senza con-
tinuità, senza proporzionata importanza, ma ordinate in-
sieme tuttavia, come in servizio di un medesimo sistema
d' idee, non tanto soggettivo e individuale, quanto popo-
lare e pubblico ; donde risulta il pregio principale all'opera
dell' I.
Se non che, se abbiamo già avuto luogo a discernere
come male egH si dibatta colle relazioni di tempo, non
però armeggia meglio con quelle di spazio. Prescindendo
dagli svarioni degli amanuensi che manomisero i nomi dei
luoghi e fecero del Monte degli Orsini, « M. Ursin », « Mar-
ce cici », (c Marini » e peggio (2), che scambiarono Sulmona
con Sermoneta, Troia con Stura (Astura), Mazzano e Naz-
zano con Genazzano, Genazzano con Genzano, Teano con
Ceccano, Capua con Mantova, prescindendo dagli svarioni
o equivoci che fecero comparire Antonio Caldora per
Antonio da Pontedera, Baltasar de Rivo per Baltasar da
Offida, noi vediamo 1' I. confondere Basilea con Costanza
(i) Cf. Diar. ad ann. 1404. Come la Chiesa, che avea stretto col
popolo di Roma il patto di Giacobbe con Esaù famelico, considerasse
i Romaneschi, veggasi nel Libro della vita et delle visioni della beata Frati'
cesca altramente delti Poniiani, di prete Giovanni Mattiotti, ed. Ar-
mellini, Roma, Monaldì, 1882, p. 113 : «... poni bene cura alli spiriti
« romaneschi, non so cica liali, et sono vili et tristi, se lassano in-
« gannare alli proprii siei, alla superbia naturale che li fa vergognare ».
Questa edizione è peraltro tanto inesatta, che chi vuol servirsi di questo
prezioso monumento della letteratura dialettale del sec. xv come ter-
mine di ragguaglio, deve ricorrere al ms. dell'archivio Vaticano,
fondo di Castel S. Angelo, XII, I, 23.
(2) SoucHON, Die Papstwahkn von Bonifa\ Vili bis Urban VI,
p. 29: « der schlechtc Druck liest Mercici a.
548 O. Tommasini
e i due concili che nelle due città si tennero; confusione
che è tutta sua, e che mostra com'egli non andasse colle
sue nozioni geografiche molto oltre le porte di Roma.
Che anzi le stesse menzioni topografiche dei luoghi e
monumenti della città additano com'egli si tenesse ancora
più presso alle fantasie e tradizioni del popolo registrate
dal Muffel (i), suo contemporaneo, che alle critiche ed
erudite instaurazioni del Biondo da Forlì e alle divinazioni
di Pomponio Leto e della sua Accademia, pur essi, vana-
mente, contemporanei suoi. Che, se anche per le designa-
zioni topografiche è a mondarlo delle scorie degli ama-
nuensi, e restituire^ ad esempio, « pel aviello » in vece di
« pelacciello » , « porta Accia » invece di «porta Avia»,
« lopa de metallo », la famosa lupa Capitolina al Laterano,
invece dell' « opera de metallo » (2), passata malamente
(i) Cf. N. MuFFELS, Beschreibung der Stadi Rom, 128*^ publication
des litterarischen Fereins in Sbittgai't, iSyé.
(2) Questa lezione originò, come è ovvio, dalla cattiva interpre-
tazione della voce « lopa » da parte degli amanuensi e degli editori.
Questa « lopa », che altro non è se non la lupa di bronzo, ora nel
museo Capitolino e che, non ostante le affermazioni autorevoli in
contrario, è lecito dubitare che sia monumento romano dell'età an-
tica repubblicana, nella edizione della Mesticanza di Paolo Petroni,
diventò «la lepa di metallo» (Cf. Muratori, SS. XXIV, col. 120).
I copisti che non intendevano le ragioni dialettali che nella regione
romana facevano « lopa » della lupa e « Montelopo » di Montelupo (per
Monteluco) credettero poi di sciogliere la voce « lopa » e d'interpretare
l'omissione di una abbreviatura nel p., d'onde trassero « l'opera ». Da
questa erronea trascrizione ebbe ad originare la lezione a stampa.
La cosa più singolare è che il Rohault de Fleury (Le Latran au
moyen àge, 498), pubblicando estratti del catasto della basilica Late-
ranense compilato da Agostino delle Celle nel 1450, stampò: «casa
« una posta in nela piaza de Sancto Ianni dove sta la lopa et opera
« de metallo », mentre invece nel codice, che per cortesia del reve-
rendissimo Capitolo potemmo osservare, a e. xx v si legge indubita-
tamente: « dove sta la lopa et Marche de metallo », cioè Marco Au-
relio.
Il diario di Stefano In fessura 549
nelle edizioni, riman sempre a suo carico la « colonna
« Adriatica », ch'egli indica al modo stesso del Prospettivo
milanese (i).
Dapoichè una cosa è a riconoscere : che dell' I. bisogna
dire quel che altra volta dicemmo del Godi e del Bripio (2).
Egli vive immezzo alla cultura del Rinascimento come un
uomo del medio evo; sa di giure e si ravvoltola nell'eser-
cizio della sua pratica, ma la fonte gliene riman torbida
e immota. L'onda classica bensì lo lambisce, ma non lo
vivifica; l'accademia gì' inocula, come un pregiudizio di
più, la triste passione dei distici messi a servizio de' pette-
golezzi e dell'odio ; ma il latino di lui non è mai quel del
Valla, bensì quello che s'andava travolgendo in curia nel
gergo dei cerimonieri; quello, a un dipresso, dell'autore
delle Gesta Benedicti XIII (^^^, dove le matelacia, le scutellae
sive piati, le taxeae, i picherii invadono, colle necessità bar-
bariche del linguaggio vivo, la rigida e pulita immobilità
della lingua morta. Così l' I. scrive : « prò bono foro » per
« a buon mercato » ; « in capite quinque dierum » per « a
capo a cinque giorni » ed « erexit se in pedes » per « si levò
in piedi», e poi: magaiena, fumarii, fortelicia, barilia, boti-
glios, hutigliomm, petias drappi imbracati, artellaria, tendae et
padigliones, partisciana, setolare. Questo latino del diario suo
non sarà diverso da quello dell'altro Ubro che gli si attri-
buisce : De comuniter accidentibtis ; ma che distanza da
questo a quel del Biondo, del Valla, di Poggio e del Bruni!
Del resto i contatti dell' I. col mondo classico non paiono
né molteplici né frequenti. Egli cita una volta Ovidio (4);
una volta Giovenale (5); ma l'allusione, quantunque strana,
(i) Prospettivo milanese, Antiquarie prospettiche romane in Atti
d. R. Acc. dei Lincei, IIP par. 3, p. 51.
(2) Cf. Arch. della Soc. Rom. di si. patria, III, 85 e sgg.
(3) Muratori, Stript. Ili, 777 e sgg.
(4) Cf. ediz. Muratori, Ioc. cit. col. 1225.
(5) Cf. ediz. cit. col. 1230, lin. 30-31.
550 O. Tommasini
alla Tulliola di Cicerone vedemmo che non gli appartiene ;
è amico di messer Pomponio, raccoglie pasquilli contro
Sisto IV, Innocenzo Vili, Alessandro VI, ma solo perchè
la curia e la città ne rigurgitano ; e non è da credere che
il brutto epigramma, soppresso nell'edizione del Muratori,
riferito in quella dell'Eckhart (i), gli spetti come ad
autore (2). Allega una volta il Platina (3) come autorità
storica; un volta un versetto di salmo, per maHgnarvi
intorno alla fecondità di papa Cibo, giovane e genovese (4);
altra volta come dictum Apostoli una sentenza (5) che né
nelle lettere, ne negli Atti degli Apostoli si trova certo;
ma di queste inesattezze di citazioni negli scrittori del se-
colo XV non è penuria né maraviglia. Bensì la vera auto-
rità che lo domina e gli pervade lo spirito, l'autorità che gli
sostiene il senso morale ferito, che gli nudrisce l' ironia e
la speranza civile é quella della profezia.
Il calabrese abate Giovacchino
Di spirito profetico dotato,
che Dante (^) pose immezzo ai campioni dell'esercito di
Cristo, nell'alto del Paradiso, l'unico profeta che in tutta
(i) Ed. EccARD, loc. cit. col. 1949, lin. 21 e sgg. Cf. Pasquilli,
Eleutheropoli, 1544, pp. 5, 76-78.
(2) Le parole che precedono immediatamente l'epigramma indi-
cato variano secondo i mss. L'Eccardo legge, insieme con i codici
B5, F^, PS; « ego tamen suscepi carmina infrascritta ». A, a, h, B*,
B3, F^ G, L% M3, M^ O, OS K\ S, V, V^: <c ego tamen scripsi carmina
« infrascripta » (B3 omette poi l'epigramma). A^ B, B^, B^, CS C^, F\
L, L^ L3, L^ M, P, P^ : « carmina infrascripta inscripsi ». F, F3, N :
« crimina infrascripta inscripsi ». S^ : « suhscripsi carmina infrascripta».
P^: « infrascripta carmina condidi». Omettono l'epigramma e le pa-
role che lo precedono B3, CS C3, V^
(3) Ed. Muratori, loc. cit. col. 12 16, lin. 52: « ut legitur in Pla-
ce tina tempore dicti lohannis papae undecimi ».
(4) Diar. ad. ann. 1484, psal. 128, v. 3.
(5) Ad ann. 1489 : « de male acquisitis non gaudebit tertius haeres ».
(6) Paradiso, XII, 140.
Il Diario di Stefano Infessiira 551
Téra cristiana egli conobbe dopo gli Apostoli, è anche per
r I. un, lume lucente che accerta il passato e il futuro. È
lui che « scripsit de pontificibus futuris usque ad nostra
« tempora »; è lui che «visse a' tempi di san Cataldo », del
quale ultimo pur si dissotterra nel 1492, a terrore di re Fer-
dinando, una profezia novella (i). Quando Bonifacio Vili
muore come un cane, nella leggenda con cui incomincia
il diario, egU non fa che finire « la sua profetia: intrabit
« ut vulpis, regnabit ut leo, morietur ut canis » (2). E tutto
quel viluppo di dettami profetici che pigliavano nome dalla
Sibilla, da Merlino, dall'abate di Fiora, da Cirillo, le cui
tavole argentee esercitarono già tanta potenza sulla fantasia
di Cola di Rienzo (3), quelli di Telesforo da Cosenza sopra
d'ogni altro, tale un predominio avevano preso sull' im-
maginazione del popolo da sostenere colla speranza nei mu-
tamenti, che le profezie promettevano, la fede dei cristiani
scossa nel veder la già unica Chiesa divisa dallo scisma, por-
tata via dalla sede tradizionale ed eterna di Roma, marcia
per la potenza mal goduta, per le ricchezze mal profuse
del clero, per la povertà evangelica dimenticata (4). E se si
(i) Infessura, Diar. ad ann. Cf. A A. SS. Boll, io maii, II, 570-578;
VII, 679; Ughelli, It. sacra, IX, 121.
(2) Questa forma della profezia s' incontra in Fr. Pipini Chronìcon,
SS. It. IX, 741, néiV Aquila volante di Leonardo Aretino, V, cxxv
(ed. Venezia, i $08) : « Et così è verificata in lui la prophetia de Mer-
« lino, la quale dicia così: intrabit ut vulpis, etc. ». Nelle Io. Abatis
Prophetiae, Vatic. VI, la profezia à forma diversa.
(3) Cf, DòLLiNGER, Der Weissagungsglauhe and das Prophetenthum in
der christlichen Zeit, p. 339; Papencordt, Cola di Rien:(o und scine Zeit,
p. 228 e sgg.; Renan, Nouvelles études d'bistoire rdigieuse, p. 308; Tocco,
L'eresia nel medio evo, p. 291 e sgg. Il Deììifle, Das Evangeli um aeter-
num und die Commission ^u Anagni, n^WArchiv fùr Litteratur- und
Kirchengeschichtc des Mittelalters, I, 90-8, dà notizia della tradizione
manoscritta delle opere dell'abate Gioacchino.
(4) Dòllinger, loc. cit. « In der Zeit der grossen Kirchentren-
« nung (13 78- 145 5) stand das Prophetenwesen in voller Biute ».
^$2 O. Tommasini
tollerava l'aspetto di pontefici studiosi delle basse utilità
della terra, della cheresia corrotta, della fede schernita come
cose che non fossero, come contingenze passeggere e desti-
nate a sparire, era per fiducia che sarebbe venuto il « de-
ce ricus absque temporali dominatione », il papa angelico,
scevro del temporale dominio, intento solo alle cose celesti,
(c qui solum vitam anìmarum et spiritualia curabit » (i);
perla speranza nell'era del Santo Spirito, che doveva seguire
a quella del Padre e del Figliuolo, le cui colonne sarebbero
state l'abate Ioachim, san Fancesco e san Domenico, come
nel principio della nuova alleanza erano stati Zaccaria, Gio-
vanni Battista e Gesù (2). Per questo il profeta di Fiora
era stato da Dante collocato coi due gloriosi istitutori di
ordini frateschi, che, come notò il Machiavelli, ritrassero
il cristianesimo verso le origini sue (3). E il commovi-
mento profetico che agitando i luminari del secolo scende
da questi sino alle infime plebi, come freme nel veltro
dantesco (4) e nella cronaca di fra Salimbene, parla in quella
del nostro scribasenato. Quell'onda d'odio, che, come scrive
il Renan (5), sono le predizioni ioachimistiche contro a Bo-
nifacio Vili, dal diario di Stefano, rimbalza ancora entro
la storia di lui, narrata dal Tosti {f). Se l'I. accogHe la
(i) Infessura, Diar., ad ann. 1491.
(2) GiRARDiNO DA BoRGO San DONNINO, IntrodiicloHus in Du-
PLESSis- d'Argentré, ColUcUo iudiciorum, I, 163.
(3) Machiavelli, Discorsi, III, i.
(4) Cf. Bongiovanni, Prolegomeni del nuovo Contento, p. 257. Dòl-
LiNGER, Akademische Vortràge, p. 94, citando il passo di Armannino
da Bologna : « Ma, come dice Merlino, tutte finiranno poi per la caccia
«di quel forte Veltro, che caccerà quell'affamata lupa, onde sorge
«tanta crudeltade », annota: « also batte sic im Volksmunde bereits
« eine merlinische Weissagung, die sich den Dante' scben Veltro
« aneignete, gebildet ».
(5) E. Renan, Joachim de Flore et Vévangile éternel, Nouvelles études
d'histoire religieuse, 1884, p. 308, in nota.
(6) Tosti, Storia di Bonifacio Vili, VI, 195 : « Ecco l'buomo
// diario di Stefano In fessura 553
leggenda della morte di Benedetto XI « attossicato in un
fico », è pel vaticinio ioachimistico che la predice (i). Se
al mancare dell' imperatore Federico III, nel 149^, annota
« et cum eo perierunt omnes prophetiae », egli è appunto
perchè vede cadere a vuoto tutte le predizioni guelfe che
avevano dipinto co' più foschi colori quel qualsiasi Federico
tedesco, che fosse venuto dopo il secondo, dopo l'Hohen-
staufen tanto detestato dalla Chiesa, persino nella memoria,
col quale avrebbe dovuto esser perito T impero (2). Per-
tanto, sino al tempo in cui l'I. chiude la sua cronica, dopo
la morte cioè dell' imperatore Federigo tanto profeticamente
formidabile, quanto storicamente alla Chiesa innocuo, è
campo a vedere, come i contemporanei facessero continuo
riscontro colle profezie ai fatti della storia. Ma i tentativi
a procedere oltre col sistema medesimo cadono poco ap-
presso scoraggiati e sterih in Italia (3), dove l'ultimo ba-
<f della progenie di Scarioto . . . neronicamente regnando, tu morirai
«sconsolato... perchè tanto desideri il babilonico principato? q.cc. ».
È notevole il seguente brano della storia del Tosti che par proprio
ispirato dalla fantastica narrazione dell'I.: « Seguivalo Napoleone
« degli Orsini cardinale, il quale, il pontefice, a dar segno che vera-
« mente lo avesse perdonato, umanamente convitò a mensa. Ma il sel-
« vaggio uomo osò con superbi modi parlargli : essere ormai tempo
«che dovesse accogliere in grazia i Colonnesi ».
(i) IoACHiMi ABATis Calabri Vaticinium VII: « Haec est avis
« nigerrima corvini generis, nigra Neronis operam dissìpans, subito
« morietur in terra petrosa, cum videbit fructum pulchrum,
«ad vescendura suavem, tunc enutriet in gemma qui sibi
«principium ministra bit mortis».
(2) Diì Leva, Dante qiial profeta, relazione estratta dagli Atti del
R. Istituto veneto di sciente, lettere ed arti, t. VI, serie VI, p. 14.
(3) Se ne scorge traccia nel manoscritto della biblioteca Boncom-
pagni di Roma, segnato E, 7, nel quale in seguito alle Kotahilia tem-
poriim del notaio de Tummulilli, edite dall'Istituto Storico Italiano,
si contengono profezie che giungono per insino ai tempi di Niccolò V,
Calisto III, Pio II e Paolo II. Ma prescindendo dalla scorrettezza
del testo, lo stile loro à perduto quell'enfasi apocalittica, quel « bora-
554 ^' Tommasini
gliore di fuoco profetico par che si spenga col rogo di
Girolamo Savonarola.
E dopo r influenza dei dettami profetici, quello del sen-
timento popolare e colonnese è il più caldo e cospicuo del
diario di Stefano. La catastrofe di papa Bonifacio, con cui
la cronica di lui sembra che incominciasse, sta come segno
della vendetta di Dio contro chi s'attenta a colpire la vir-
tuosa casa dei Colonna ; e i Riario dovevano meditare l'e-
sempio. L'esilio babilonico, il trapasso della Sede pontificia
in Avignone, da cristiani e da Romani si considerava come
la principale iattura per la Chiesa e per la città ; e il primo
principio di tale iattura il popolo voleva ripeterlo da casa
Orsina. Cosi l' L racconta che fu Napoleone degli Orsini
da Monte Giordano che « ruppe li cardinali » esitanti a
coronare Clemente V fuori di Roma; « e givosene in Francia
«et tutti H altri lo seguitorono et all'hora fu coronato».
Ed oggi se la storia imparziale riduce a più stretto limite
« bastischer Ausputz », come lo chiama il Dòllinger (loc. cit. p. 336),
che è il carattere precipuo del vaticinio ioachimistico. Invece nel co-
dice Vaticano Regin. 580, membranaceo, del secolo xv, si à proprio
l'esempio di quel nucleo di profezie che si riflette nel diario dell'I.
Dopo i vaticini di Merlino, ne' quali l'ultimo riscontro si ferma alla
e. 1 1 V. con: « D^us Gabriel (Condolmario) de Venetiis, deinde Euge-
« nius pp. IIII ellectus Roma .11. die martii 143 1 », segue a e. 18. v.
il lihellus fratris Thelofori presbiteri et heremite simul auctoritates supra-
scriptorum prophetarum et verarum cronicarum de causis statu cognitione
ac fine presentis scismatis et tribulationum futurarum, maxime tempore
futuri Regis Aquilonis vocantis se Federicum Imperatorem etiam usque ad
tempora futuri pape vocati Angelici pastoris et Karoli regis Francie futuri
imperatoris post Federicum Tertium supradictum. Item de summis ponti-
fi,cibus Romane Ecclesie ac status universalis Ecclesie a tempore et per
tempus dicti ultimi antixpi ac post mortem ipsius usque ad extremum Dei
iudicium et finem mundi. Le rappresentazioni figurate che accom-
pagnano il testo aggiungono pregio ed importanza al codice. Ad
ornamento della nuova edizione del diario dell'I, saranno riprodotte
quelle che rappresentano il « pastor angelicus » e la venuta di Fe-
derico III a Roma.
Il diario di Stefano In fessura S55
la responsabilità dell' Orsini, non però lo scagiona del
tutto (i).
Similmente, se nel diario di Stefano vien commemorato
r infelice Andrea Zuccomakeh, quel domenicano « archiepi-
« scopus de Cranea » (2) che gì' Italiani chiamarono Zuccal-
maglio, è solo perchè « multa mala dixerat de Ecclesia Dei,
« potissime de mala vita Sixti et comitis Hieronimi, et de
« inhonesta vita omnium praelatorum » ; e perchè ai Fio-
rentini, alla lega, non meno che ai Colonnesi, quel
(i) Cf. SoucHON, D/<j Papstwahlenvon Bonifa^ VlIIhis Urban VI una
die Entstehung des Schismas i^j8, Braunschweig, 188, p. 29. Cf. ibid.
app. II, Napoleonis de Ursinis cardinalis epistola ad Philippum, regem Fran-
corum, de stata Romanae Ecclesiae post obitum CUmentis V, p. 183 e sgg.
In essa l'Orsini dice apertamente : « et quondam cum multis cautelis
« quibus potuimus hunc, qui decessit, elegimus, per quem credeba-
« mus regnum et regem magnifice exaltasse ». E poco oltre: «Pro
« certo, domine mi rex, non fuit nec est intentionis meae sedem
« mutare de Roma nec Apostolorum sanctuaria facere remanere de-
« serta, quia in fundamentis fìdei sedes universalis Ecclesiae Roma
«est stabilita)). Bensì riconosce che « vobis domino nostro et mihi
«devoto vestro et ceteris dominis Italicis, qui solo intuitu
«regio defunctum elegimus, praemissa adscribuntur mala et
« mundo non ventura )).
(2)11 BuRCKKARDT^ Er^bischof Andreas voti Krain undder let^te Con-
cilsversuch in Basel, nelle Beitràge i- vaterl Gesch. i. Base!. V, 25, lo
dà per arcivescovo di Strigonio, st. Gran, jin Ungheria. Ma dalle
serie del Gams (Series epp. 380) sembra che sino all'anno 1482 di
quest'ultima sede fosse titolare Giovanni Peclcenschlager. Invece,
il Frantz, Sixtus IV und die Republik Floren^, Regcnsburg, 1880, p. 435,
lo fa arcivescovo della Carnioia, gli dà per residenza Laibach e ri-
tiene che dovesse il suo arcivescovato all'alta posizione politica che
godeva presso Federico III imperatore. Il Burckhardt trae dai docu-
menti dell'archivio di Basilea molta luce intorno al tentativo di con-
vocar un nuovo concilio in quella città per citarvi papa Sisto IV,
ad istigazione dell'arcivescovo Andrea; e trova che la notizia data
dall'I, della carcerazione fatta di lui dal conte Girolamo e della
deposizione fattane dal papa è per Io meno « ein an unrechter
« Stelle angebrachtes Einschiebsel im Juli 1482, da Andreas schon
« làngst in Basel war ».
^S^ O. Tomm asini
«Crania» potè parere, quale Baccio Ugolini lo descrisse:
« un huomo per fare ogni cosa, purché e' tuffi el papa e
« el conte » (i); per le speranze che i « conciliisti » d'Italia
riposero in lui.
Ma all' infuori di queste influenze del pensiero popolare
che s' insinua fra i notamenti dell' I. e l' inducono a regi-
strare anche l'insediamento dei fraticelli eremiti in San Gio-
vanni al Laterano come un trionfo del popolo (2), non
mancano argomenti per riconoscere qua e là anche l'ele-
mento personale e soggettivo nelle narrazioni e nelle regi-
strazioni sue.
Egli naturalmente partecipa a non pochi dei fatti di cui
rende testimonianza; ma di non tutti ragguaglia contem-
poraneamente all'accaduto. Qualche volta anzi par che
rilegga, dopo certo intervallo di tempo, l'appunto suo e
vi supplisca nuove notizie o commenti.
Uno degli appunti personali che copisti e bibliografi
furono solerti a raccogliere, è quello in cui nel 1478 egH
si dà come potestà ad Orte. Ma precisamente in quello
ci si attesta che il notamente non fu contemporaneo (3).
(i) Fabroni, Laurentis Medicis Magnifici Vita, II, 227 e sgg. Let-
tere di Baccio Ugolini da Basilea « a dì 20 e 30 diseptembre 1842 »
e « a dì 25 oct. ».
(2) V. nel Diario all'anno 1440: « et foro rimessi in Santo Ioanni
« li fraticelli, et questo fu del mese di iugno, et 'colla processione,
« et foro ad accompagnarli li Conservatori et caporioni novi et
« vecchi, etc. ».
(3) Diar. ad ann.: « et in quel tempo io Stefano Infessura
« stava per podestà de Horta ». Vanamente ricercammo nell'archivio
Comunale di Orte alcun documanto risguardante la potesteria del-
l'Infessura. Per cortesia del sindaco signor Filiacci^ vi consultammo
quanto interessa la storia del secolo decimoquinto. Ci parve meritare
importanza l' inventario cominciato : « Die xxiiij novembris. In no-
cf mine dui amen. Anno diìi ab eiusdem saluberrima nativitate mille-
« Simo quatrigentesimo sectuagesimo tertio indictione sexta tempore
« pontifìcatus santissimi in xpo patris diìi diìi nostri Sixti divina prò-
// Diario di Stefano Infessura 557
Sotto la data del « io giugno i^']6y> in cui pone la par-
tenza del pontefice, aggiunge la nota : « tornò a di 27 di
«dicembre». Chi non vede l'interpolazione posteriore?
tanto più che dopo seguita a narrare fatti del giugno ; di
guisa che il Muratori, considerando l'interpolazione come
estranea all'autore, la volle espungere dal suo testo. Il Por-
cari ei «1 o V i d d e » pendere, quantunque poi delle altre giu-
stizie susseguite alla cospirazione di lui ponga la data « in
«questo anno». Del protonotario Colonna, della cui pre-
sura ed uccisione riferisce tanto minuti particolari, registra
la risposta fatta ai Conservatori di Roma « etiam me prae-
« sente », ma poi scrive: « et io Stefano scrittore di queste
« historie con li miei occhi lo viddi et con le mie mani lo
«seppelHi». Egli scrive, cioè, quando il fatto è già abba-
stanza remoto da lui. Nel riferire l'assalto dato dai Turchi
a Rodi (1480) nota: « come fo ditto ». Conta a' di 6 d'a-
gosto del 1482 della rovina della torre del palazzo di San
Marco « prout nunc oculata fide videri potest ».E anche nel-
l'accennare alle fortificazioni che Alessandro VI fa di Castel
Sant'Angelo e al corridoio che conduce dalla fortezza al
Vaticano, « prout nunc videtur » scrive; cioè dopo che il
lavoro è compiuto. Pure nel 1484, quando Cave assediata
crudelmente si rende alla Chiesa, avvisa: «H quali patti
« videntia dignissimi pp. quarti die veri supradicto. Hoc est inven-
« tarium factum tempore magistratus ser Marii Leonardi consiliarii
« Petri Nardi, Cencii Finochi et Mactei Stefani dominorum priorum
« civitatis Ortane, vigore reformationis et decreti Consilii generalis
« populi civitatis Ortane rerum et scripturarum ac librorum tam
« civilium quam criminalium spectantium et pertincntium tam ad
« Comunitatem prcdictam quam ad particularcs cives in ordine ut
«infra». Nel detto inventario s'indicano: « Item uno rescripto che
« da pena de .l". ducati che non se dia stendardo ad alcuno potestà ».
E più oltre : « Item uno quinterno contenente uno processo de cip-
« ladini condempnati in tempo d'Eugenio per materia di Stato ».
Seguita poi l'inventario dei libri de' malefici e quello dei danni
dati ; manca la parte relativa all'anno 1478.
Archivio della R. Società romana di stona patria. Voi. XI. 37
SS^ O. Tommasini
« mo' veramente non si possono sapere, perchè chi dice in
«un modo et chi in un altro; credo doppo si saperà la
« verità » .
In questa condizione di cose, accade spesso agU scrit-
tori che la morale coscienza dei fatti prenda, malgrado la
migliore sincerità dell'animo, il posto della certezza risul-
tante da argomenti estrinseci, e che quella morale coscienza
non di rado venga in cozzo con questa. Gli scrittori d'au-
tobiografie ne danno frequente e manifesta riprova. Ma pel
critico uno spostamento di date, una voce riferita, che non
trovi facile conferma in documenti scritti, una insinuazione
di leggende può far luogo ad avvertenze e ad indagini,
non scemare il complessivo valore d'una fonte di storia.
Ora, il nostro I. non reca in mezzo facilmente nel
suo racconto i documenti che vede. Se si eccettua una
lettera del conte Girolamo Riario al pontefice di cui dà
il tenore ma sembra non guarentire la sostanza (i); un
proclama notificato dal duca di Calabria ai Conservatori,
che per lo meno traduce in latino (2); del resto allega
« unam cedulam » in cui si contenevano grazie e reinte-
grazioni di diritti • del popolo romano, giurate dai cardinali
nel conclave di Innocenzo Vili; una cedola, la cui impor-
tanza, dopo la pubblicazione del registro degli Officiali di
Roma dello scribasenato Marco Guidi, è più agevole di rile-
vare, e che troppo duole di non veder incorporata se-
condo il suo testo autentico nel diario. Similmente, registra
il giuramento di papa Cibo rilasciato in scritto ai Conser-
vatori a pie di certi capitoli (3) ch'egH stesso vide « in pa-
latio » ; ma non registra disgraziatamente i capitoli formali,
dei quaH riferisce appena quanto il papa violò o deluse. Pur
(i) Inf. Diar. ad ann. 1384: «Comes Hieronìmus scripsit pon-
« tifici litteras huius substantiae » e poi ne reca il contenuto.
(2) Inf. Diar. ad ann. 1484 : « eadem die (26 iulii) ».
(3) Inf. Diar. ad ann. 1484: « intra quae erat verbum huius
« tenoris vel substantiae ».
// diario di Stefano Infessura 559
non di meno, l'elemento personale medesimo quando entra
nelle notizie che dà, ne corrobora la fede. Sapendolo let-
tore in civile e temporaneo scribasenato (i), s'intende che,
fra le promesse del sacro collegio, dia importanza a quelle
che mallevano: « observare ad unguem buUam studii, remo-
te vere Officiales ad vitam » ; s' intende che tra le più forti
accuse lanciate sul feretro di Sisto IV sia quella d'aver
promesso e frodato « lectoribus qui in studio romano pu-
« blice legerunt salaria statuta; ... et eos insolutos dimittere
« etpecunias debitas ad illud exercitium acper eum saepis-
« sime promissas illis denegare et in alios usus convertere » .
E i regesti Vaticani provano che questa accusa di Stefano
è vera (2), e che non infondate son quelle d'aver ridotto
(i) Nell'arch. Vatic. Reg. diversor. Innoc. Vili, n. 44, e. 274,
questo pontefice nomina scribasenato per un quadriennio e due mesi
Giovan Pietro « de Spiritibus » cittadino romano, in sostituzione di
Lorenzo di Martino Evangelista de Lenis, dimissionario « dat. Rome
« in Cam. ap. die .xm. octob. i486 a. tertio ». A' 16 di marzo del
1490 poi, conoscendo che gli si devono « ducatos centum et viginti
« auri de Camera ratione cuiusdam domus ... in Urbe et foro Capi-
« tolii site prò ampliatione platee dicti fori de mandato S""^ d. n. et
« Cam. aplice demolite «, concede a lui e al figliuolo ed eredi per dieci
anni l'ufficio di scribasenato, comandando « 111""° diio Alme Urbis
« Senatori et dominis Conservatoribus sub pena arbitrii nostri et suc-
« cessores tuos durante dicto decennio in predicto officio scribese-
« natus eiusque libero exercitio manuteneant et conservent » (Divers.
Intl. Vili, t. 47, p. 117).
(2) Arch. Vat. Reg. divers. Cam. Sisti IV (t. 59), e. 2iiv: « Sp.
« v.'dno Migliaduci Cigala pecuniarum Camere Alme Urbis deposi-
« tarlo salutem in Dno. Auctoritate etc. vobis harum serie mandamus
« quatenus de summa illorum centum et vigintiquinque floren. de
V Camera quos his diebus ex ordinationc nostra retinuistis seu reti-
« nere debuistis ex salariis omnium doctorum in studio prefate Urbis
« legentium hoc anno solvatis et numeretis ven. viro dno Nicolao
« de Gigantìbus fior, de Cam. sexaginta quinque dandos magistris
« qui laborant in dieta fabrica, in deductioncm eorum salariorum,
«quos etc. Dat. etc. die .vili', februari 1475, p. n. a. quarto». Cf. ibid.
e. 217: « Pro magistro Paulo de Campagnano die. xxxiiii. feb. 1475 ».
S6o O. Tommasini
tutte le pene a danaro, violando il tribunale del Senatore
e gli statuti, e d'aver fatto incetta di grani col suoi geno-
vesi (i). Ed è cosa maravigliosa come con pochi tratti
incisivi il nostro scribasenato riesca a far rilevare i pas-
saggi e le mutazioni che si succedon rapide e spiccate tra
'i pontificati brevi e avventurosi del veneziano Barbo, in cui
la curia è veneta e parla di « zoie » e di « piezarie » ; e
Ibid. e. 222 v: « prò luliano Gallo, 1475, die .11. mensis aprilis ». Ibid.
e. 238 v: « de pecuniis gabellae studi! » siano pagati ai banchieri Pazzi
e compagni « quingentos florenos prò fabrica pontis Sixti, a. 1475,
« die .XXI.* iulii ». Ibid. e. 241 v : ai medesimi « fior. 633 de pecunia ga-
« bellae studii prò fabrica pontis Sixti, die 22 sept. 1476, anno quinto ».
Ibid. e. 244: «de pecuniis gabelle studii Sabbe de Porcariis fior.
« de Camera ducentossexagintaquatuor prò totidem expensis in eva-
« cuatione et emendatione aqueductus fontis Trivii ». Ibid.: « fior, auri
« de Camera in auro ducentos et quinquaginta prò expensis in strata
« matonata qua itur eundo a Castro S. Angeli ad palatium Aposto-
«licum». Ibid. e. 245 v: altri due mandati da pagare «de pecuniis
« gabelle studii Urbis » pel lastrico di ponte S. Angelo, per le cor-
nici di ponte Sisto a Francesco Mei scarpellino da Firenze. Ibid.
e. 261 V, ibid. e. 327, ibid. ce. 336, 339 v: « prò reparatura acqueductus
« Trivii ». E finalmente (Divers. Carrier, lib. VI, t. 41, e. 220) il breve
a Nicolò Calcagni : « gabelle studii 'ac Camere Alme Urbis generali
«vicedepositario, etc. » in cui gli concede: « liceat tibi tam presentia
« et penes te existentia quam futura emolumenta predicta in tuos
« tuorumque proprios usus et utilitatem convertere, nec ad redden-
« dum de eis computum a quoquo compelli aut coarctari possis.
«Anno 1484 die mensis ianuarii, p. n. a. .xiii. ».
(i) Per l'incetta di fromento: V. arch. Vat. Sisti IV (Divers.
Cam. I4'j2 ad 14^6, lib. 3), n. 38, e. 184: « Licentia emendi certas
« quantitates fromenti et ordei ex patrimonio prò Ex»» cariì Man-
« tuano ». Ibid. e. 191 v: « Commissione ad Angelo da Corneto ».
Ibid. e. 227 v: « Tracta ex portu Tiberis de modiis 81 grani prò Be-
« nedicto Gallo de Monella noclero». Ibid. e. 257 v: « prò domina
« Angela de Ursinis ». E finalmente (Sisti IV divers. Cam. 14^(^-1482,
lib. 5, t. 49, e. 40): « Patens, Universis et singulis presentes litteras
« inspecturis sai, etc. Ut necessitati Alme Urbis nostre que in presen-
« tiarum maximam grani penuriam sustinet consulamus, fecimus emi
« in provincia nostra Marchiae Anconitane certam frumenti quanti-
// Diario di Stefano Infessura ^61
quella dei Riario, dei Cibo e dei Borgia, in cui genovesi
e catalani sfruttano la vigna del Signore, e gli uffici ne
vanno ai marrani e i favori cedono a vaghezza di donne.
Pallido per contrario e quasi senza impronta corre il
pontificato del Piccolomini per T I. Pure ei fu benefico
ai Colonna; di quella casata innalzò a prefetto di Roma
Antonio, principe di Salerno; fu alacre e giusto pontefice,
e a Stefano non sarebbero mancate cagioni di celebrarne
le gesta. Invece egli appena ce lo fa vedere di sfug-
gita, in lettica, fiacco. La breve e troppo ironica o troppo
grulla risposta che il papa dà alla legazione del re di
Francia in concistoro, non è neppure accennata da lui (r).
Gli episodi stessi dell' Innamorato, di Tiburzio, di Bonanno
Specchio, gittati là quasi non altrimenti che germi di no-
velle, ci comparirebbero ben diversi per l' importanza e il
significato loro, se egli li avesse fatti precedere da alcun di
quei cenni che pur non mancano nel Memoriale di Paolo
dello Mastro e nelle Cronache del Della Tuccia. « Certi gio-
« veni romani - scrive il primo all'anno 14^0 - se levarono
« su, e non volevano stare a commannamento dello Reggi-
« tatem, que ad ipsam Almam Urbem nostrani a dilecto filio Hiero-
« nymo de Ridolfis mercatore fiorentino mittìtur. Intendentes autem
« granum huiusmodi nostrum quantocius et sine aliquo impenso vel
« molestia comportari, nos omnes et singulos hortamur in Domino,
« et nihilominus stricte mandamus, quantum gratiam nostram ca-
« ram habetis, ut per omnia loca et passus granum huiusmodi simul
« vel separatim libere et absque alicuius datii vel gabelle solutione
« seu exactione vehi et deferri permittatis. Itaque merito commen-
« dari valeatis. Dat. ut supra (21 nov. 1477). L. Grifus ». E veggansi :
Capitula super tractis gratti et dohanìeraius salis provinciarum Patrimonii
et Maritime (ibid. e. 164 v), i quali cominciano con questo pream-
bolo: «Quia ex multiplicibus subditorum nostrorum querclis intel-
« leximus per dohancrium tractarum et salis officium suum non recte
« administrantem non levia damna et incomoda Camere nostre Apo-
« stolice et ipsis subditis inferri », scaricando sul capo del doganiere
i rammarichi de' mercanti.
(i) Cf. De Tummulillis, Notabiìia temp. p. 97.
5^2 O. Tommasini
« mento e di continuo portavano Tarmi, e facendosi beffe
« delli officiali, lo Reggimento aveva paura di questi. Capo
« delli compagni era Tiburzio di m. Angelo de Mascio »
(un figliuolo di colui che fu appeso come complice nella
cospirazione del Porcari) « e Filippo Soattaro, e dicevasi
« ch'era grande compagnia de iovini, e fu fatta una com-
« messione generale fino a questo di 25 de maggio che as-
ce signaro Santa Maria Rotonna e ne andò lo hanno per
« Roma» (i). « Si levò fra quei tempi in Roma - registra
« il Della Tuccia - una gran brigata di giovani di cattiva
« condizione, e fero setta per due Romani che avevano briga
« insieme. Facevano assai ribalderie di furare femine, uc-
« cidere uomini e rubare, per modo che né il Senatore né
« altro officiale potevano tener ragione né far giustizia, e
« sotto mantello erano favoreggiati da molti cittadini ro-
« mani » (2). Stato di cose deplorevole e naturale: i pon-
tefici avevano malamente uccisa la libertà del Comune ; gli
officiaH di questo non più eletti, non più tratti, ma deputati
dal papa e razzolati nelF ingorda e bassa turma dei devoti
alla signoria ecclesiastica, mancavano non meno d'autorità
che di coraggio* La gioventù pertanto che non aveva più
campo onorato ove esercitare vigorosamente le forze sue,
dispettosa d'un governo che voleva parer tollerabile colla
fiacchezza, s'era sviata nell'anarchia e raccolta nelle tenebre
delle sétte,da cui sperava assicurarsi per ingiurie quella potenza
che, perduta la libertà, non poteva più aspettare dal giure.
Come notammo adunque, qui 1' I. sembra che smar-
risca il criterio storico, sia che gli sfugga la necessità di
collegar l'episodio, come un effetto colla causa sua; sia
che il nesso gliene paia cosi ovvio pei posteri come lo era
pei contemporanei; sia che dell'episodio stesso esageri l'im-
portanza a sé stesso.
(i) Paolo dello Mastro, Diario, loc. cit. p. 116.
(2) Della Tuccia, Cronaca ài Viterbo, p. 261 e sgg.
// diario di Stefano In fessura s^3
Se non che, a tal punto, convien proporci nettamente
la questione: presiedette o no criterio storico alla compo-
sizione del diario di Stefano ? fu questo meditato con un
intendimento unico, o sorse dall'aggruppamento delle note
disperse in protocolli da notaio o in registri di scriba ?
Da quanto premettemmo, ecco quel che ci sembra non
inadeguato di concludere: i due brani, De bello Sixti e il
Ricordo della presura e morte del protonotario Colonna, eb-
bero a nascere probabilmente indipendenti l'uno dall'altro;
furono scritti però in diverso idioma ed ebbero occasione
dall' aver lo scrittore assistito come testimonio oculare alle
vicende narrate, ed impulso dalla simpatia o clientela di
lui per la famiglia Colonna. Il resto poi si raccolse intorno
a questi due nuclei, accozzando appunti dispersi, attingendo
da notamenti forse non tutti precedentemente registrati
dallo stesso I. Forse il monco principio del diario accenna ad
un lavoro giovanile, frutto d'una naturale tendenza di Ste-
fano a raccontare le vicende del Comune romano, ispira-
tasi alla fantasiosa maniera delle Istorie dello filosofo (i), ad
(i) Designamo con questo titolo gV Hi stori ae romanae Frammenta
editi dal Muratori (Antiq. It. Ili, 251-548), che nei molteplici mss.
vengono intitolati: Historia di N. filosofo romano incominciando dal-
ranno i)oo sino al 13;;. V. bibl. Chigi, ms. N, 31, sec. xvi e xvii, a
e. 6. È notevole che il ms. incomincia a e. i : Morte \ miserabile e ca-
lamitosa I di papa Bonifatio 8 \ nell'anno i)o^. Inc.: « Havendo lo re
« di Francia preso sdegno ». Expl. (e. 4 v): « arrabbiò di dolore e di
a quello morio. E così fue adempito quello che si trovava scritto
« nella elettione de papi, che diceva così : Intrabit ut lupus, reptalnt
« ut leo et morietur ut canis ». La Historia di N. filosofo romano termina
a e. 128: « secundum debitam figuram supine». Altro ms. Chigiano
(G, IV, 103, sec. xvi-vii) contiene pur esso frammenti dcW Historia di
N. filosofo romano (capi 3°, 5*, 18"). Ibid. ms. G, II, 63, cartaceo, sec. xvi.
Inc. (ci): «Dice lo glorioso mìssore s. Isidoro». Expl. (e. 143 r):
« Como Cola de Rienzi morio ». — Bibl. Barberini, ms. LIV, io(n. a. 922),
cartaceo, sec. xvii. Contiene in principio lo stesso Chronicon incerti
auctoris italico idiomate antiquo conscriptum, fol. 1-301. Notato al mar-
gine destro superiore : « Chronicon. In codice Vaticano quod a.<* 1626
5^4 ^- Tommasiìii
uno stile di narrazione volgare che arieggia quello della
Mesticanza del Petroni. Pure anche in quel lavoro giova-
nile, l'elemento personale e lo spirito romanesco di clien-
tela verso i Colonnesi, a chi ben lo disamina, si lascia di
leggieri sorprendere, e non consente dubbio che anche quella
parte di leggenda debba attribuirsi a lui.
Ne accennammo già i motivi più remoti; ora ne svele-
remo i più prossimi, scrutando i punti essenziali della leg-
genda stessa. Questi si riducono a due : la difesa della me-
moria di Bonifacio Vili innanzi a Clemente V e al re di
Francia ; V incendio della camera della regina e il salva-
mento di lei, operato con meravigliosa difficoltà e coraggio
da I^ietro e Stefano Rosselli.
Circa al primo punto è facile ravvisare come la nar-
razione di Stefano entri assolutamente in quella cerchia di
« d/ Abrah. Bzovius donavit, et in codice D. Cassiani Putei haec
« extant». — Bibl. Vat. ms, Vat. 6880, cartaceo, sec. xvi: N. philoso-
phi Romani \ historia suorum temporum | ah anno .Mccc. | usque ad an-
num I 155/, Ms. di carte 73 numerate nel retto e incollate tra carta
vegetale. Inc. (e. i) : « Come lacovo Saviello senatore fu cacciato di
« Campituoglio ». Expl. (e. 73 r): « secundum debitam figuram su-
« pino ». E nel verso : « Questi mancano ». E seguono alcuni titoli
di capitoli, parecchi dei quali sono e in più e diversi da quelli recati dal
Muratori (loc. cit. p. 548). — Un altro ms. delle Istorie dello filosofo ro-
mano è nell'archivio Vat. (arm. II, n. 69). Qual esser si possa questo
filosofo romano, non vien fatto di poter affermare in modo alcuno.
Non sembra eh' ei si possa identificare con quel « quidam cogno-
« mento philosophus homo facinorosus et exul » di cui parla il Pla-
tina nella Vita di Paolo II (De vitis pontiff. ed, 1529, p. 174) come di
un accusatore dell'Accademia. Forse ebbe ad essere un astrologo
a' servigi del Comune di Roma, atteso che gli astrologi solevano più
spesso nell'età di mezzo chiamarsi filosofi, com'erano stati chiamati
matematici nell'antichità classica. Nei citati Notabilia temporum del
TuMMULELLi (cap. 199, p. 179) SÌ reca in mezzo un presagio d'astro-
logi a nome d'un « magister leronimus philosophus Eufordie et omnes
« alii philosofi concordantur». Ad ogni modo è desiderabile che una
nuova edizione preceduta da un diligente studio critico di questi
Frammenta historiae romanae vegga presto la luce.
// diario di Stefano In fessura s^^
leggende intorno a papa Bonifacio e al suo successore che
trova nel Villani, in Ferreto Vicentino, nell'autore del Pe-
corone, in quello degli Excerpta ex chronicis Urhevetanis, nel-
Y Aquila volante attribuita all'Aretino la traccia sua (i). È facile
ravvisare come il soffio fiorentino di Giovanni Villani gli
sia entrato più particolarmente nell'animo; come dalla Cro-
nica di lui abbia preso le mosse ; poiché dove questi, nel
concilio di Vienna in Borgogna fa difendere la memoria
di papa Bonifacio « per misser Ricciardo da Siena cardinale
« e sommo legista, e per messer Gianni di Namurro per
« teologia, e per misser fra Gentile cardinale per decreto, e
«per messer Carroccio e messer Guglielmo
«d'Ebole catalani, valenti e prodi cavaHeri per ap-
«pello di battaglia, per la qual cosa il re e' suoi ri-
<( masono confusi », Stefano invece fa confondere non già
il re, ma il pontefice da due cavalieri, italiani e non già di
Catalogna. E il sentimento che anima queste leggendarie
finzioni, destituite di realtà storica, rivela tuttavia una con-
dizione storica e morale verissima : la collera, cioè, di Spagna
e d' Italia al vedere, col trasporto della sede ad Avignone,
essere grettamente infrancesata la Chiesa cattolica; e chi fra
i moderni gitta via come mondiglia queste fiabe foggiate
dal commovimento popolare (2), solo perchè contrastano
con computi positivi di calendari e registri, dimentica che
la storia vive d'altra cosa, oltre che di mappe e di date, e
che, come la vera musica non si batte a metronomo, cosi
la morale coscienza dei popoli traversa il tempo resistendo
a' cronometri.
Ma come mai i due cavalieri italiani si personifica-
rono poi dall'I, in Pietro e Stefano Rosselli? donde trasse
(i) Cf. M. Landau, Beitràge \ur Geschichte der italiennchen Novelle,
Wien, 1875, p. 29 e sgg.; Gaspary, Gesch. der italienischen Liiera-
tur II, 72 ; V. gli Excerpta ex chronic. Urbev. nei Beitràge :(ur politischcn
Kirchlichen iind CuUur-Gesch. del Dòllinger, III, 317-353.
(2) Cf. ScHOTTMULLER, Der Untergang des Temphrs Ordens, p. 686.
^66 O. Tom masi ni
egli la storia deirabbruciamento della camera della regina
e del salvamento operato da loro? nelle croniche o nelle
leggende di Francia o d' Italia esiste alcun fondamento po-
sitivo alla fantasiosa narrazione di lui ? Queste domande ci
proponemmo, travagliandoci nell'indagine per ogni guisa.
Che se tra le fonti storiche d' Italia sembrò che la Cronica
del Villani stesse a base della narrazione di Stefano, tra le
croniche francesi non rilevammo alcuna analogia, anzi, come
era naturale, una antilogia completa, siccome in Godefroy
de Paris (i). Ninna traccia di cavalieri che difendessero col-
r armi contro « Guillaume de Longaret » la memoria di
Bonifacio; ninna memoria d'incendio nella camera della
regina; niuna negli Historiens de France; ninna nei Praeclara
(i) Godefroy de Paris, Chronique métrique, ed. Buchon; Pa-
ris, 1827, p. 124.
En cel an mil trois cens et six .
Fu le pape Clyment requis
De Guillaume de Longaret;
Et ce fut ce qu'il requeret
Que'le pape qui ot esté,
Boniface, feust geté
Tout hors de Saint-Pierre de Rome,
Car pas n'avoit esté tei homme
Que la sépulture éust;
Aius requéroit que il féust
De là jetez et sans respite,
Les OS ars comme d'un hcrite
Ainsi cil si bien se maintint
A la court du pape, et soustint
Contre Boniface maint cas,
Dont il fu au derrenier cas,
Et casse par droite sentence,
Et se ne fu le roy de France
Autrement le fust avenu ;
Mais par le roi fu soutenu.
Par sentence fu cil Guillaume
Condampné de France et du royaume,
Por ce qu'au pape avoit mesfet.
Et por ce que le roi le fet,
N'avoux pas que fait avoit
Biax sire Diex I qui vit trop voit.
// diario di Stefano In fessura 5^7
Francorum facinora ; niuna nella Cronica (i) di Jean Golein:
la regina stessa di Francia e di Navarra, « la très sage
«Jeanne» era morta sin dal 1305 (2). Né ci ristemmo di
leggieri dalla ricerca dei Rosselli tra i cavalieri vissuti a quel
tempo alla corte francese; anzi solo quando una voce au-
torevole ci scoraggiò dal poterveli rintracciare, volgemmo
la ricerca ad altro indirizzo (3).
Evidentemente, se il fondamento alla leggenda in do-
cumenti sincroni francesi mancava, questo aveva a sorgere
posteriore e interessato da motivo domestico ; e assai pro-
babilmente genealogico o «antropologico», come si disse
a' tempi, in cui le maggiori bugie s'architettarono per amor
della schiatta. Ora l'interesse più forte, e più da sospet-
tare, parve dover avvisarlo subito nella famiglia dei Roselli
stessi ; non già di quel Niccolò Roselli, che fu cardinal d'Ara-
gona (4), e autore delle Vite de pontefici; ma in un' altra,
romana e per qualche modo connessa di relazione con
(i) Cf. fra le Notices et extraits des manuscrits, XVVII, Delisle,
Notices sur les manuscrits de Bernard Gui, p. 226 e sgg. Le Croniche di
frate Jean Golein consultai nel ms. Vat, Regin. 697 membranaceo
in-4, sec. xiv, che chiude appunto col ritratto di Filippo V e della
regina Giovanna (a e. 129 v).
(2) GODEFROY DE PaRIS, Op. cit. p. 1 14.
(3) Consultato da me l'ili. Paul Meyer, nel 1886 scrivevami su
questo proposito: «J'ai le regret de vous informer que les recher-
« ches que j'ai fait immédiatement dans les documents imprimés que
« nous avons dans notre bibliothèque sur le règne de Philippe-le-Bel
« n'ont amene aucun résultat. Je ne sais si on serait plus heureux
« en consultant des documents inédits; mais j'en doute fort. Si un
« Roselli avait figure à la cour du roi, il est assez probable qu'il se-
« rait mcntionnò dans l'un des derniers volumes des Historiens de
« France, dont les tables sont remarquablement détaillées, et où du
« reste vous avez probablcment cherché avant mei. Le fait auquel se
« rapporte le récit du Diario me parali d*une authenticité fort con-
« testable ».
(4) Cf. Muratori, Scn/>^ III', 368; Souchon, Die Papstwahlerty
app. p. 179.
S6S O. Tommasint
Avignone e con Francia. Ora, una famiglia romana dei
Rosello o « Roscello » è memorata dall' Adinolfi insieme
con quelle de' Sinibaldi, de' Corte, de' Mattuzzo, dello
Schiavo, de' Petrucci, le quali avevano tombe in S. Qui-
rico e Giulietta (i). Inoltre nei prolegomeni al regesto di
Clemente V si riproduce dagli editori un breve del 1441
di papa Eugenio IV, già precedentemente pubblicato dal
Theiner, a un Rosello de' Roselli, chierico di camera, il
quale con Bartolomeo dei Brancaccio, nobile avignonese,
ebbe commissione di ritirare dal cardinale Pietro de Fuxo
in Avignone i privilegi, le reliquie, le insegne, gli orna-
menti, i regesti che già dagli archivi del Laterano e di
S. Pietro « ad partes Avinionenses » furono recati (2).
Non si anno notizie, scrive il Gachard, circa il successo
della missione del Brancaccio e del Roselli; quello che è
certo si è che una gran parte degli archivi ch'era nel pa-
lazzo d'Avignone non fu allora riportata in Roma (3).
Ma per noi, per la leggenda di cui studiamo l'origine e le
(i) Adinolfi, Roma nell'età di meno, I, 63. Cf. bibl. Vatìc. 1621-
^2 \ Repertorio lacovacci, fam. Roselli, p. 342.
(2) Cf. Regesti Clementis V Proleg. XLIV-V ; Theiner, Codex dipi.
Ap. Sed. Ili, 849, doc, ccxcv. Cf. Gachard, Les archives du Va-
tican, p. 7.
(3) Vi fu riportata invece a tempo di Urbano Vili e il Conte-
lori ripose nell'archivio Vaticano insieme cogli altri libri tornati da
Avignone anche il diario dell'lnfessura. Nel cod. Vat. 9026, p. 267 v
si legge : (Suaresii de diariis et actibus consistorial.) « In libris, qui
« Avinionensis palatii ex archiviis translati in Urbem fuere sub Ur-
ee bano 8° S™^ Mem"® PP. complures erant provisionum et obliga-
« tionum, quos lUmus Contelorus bo. me. intulit archivio Vat"° vir
«industrius et laboriosus. i. Diaria ab obitu Bonifacii 8 ad Alexan-
« drum 6 in BB, Vaticana n. 5622 Codice seu Ephemerides. 2. Dia-
« rium dìctum Mesticanza. 3. Diaria Stephani Infessurae civis Romani
« a tempore curiae romanae e, Galliis reductae in Urbem ad Alexandrum VI
i< pontifice sive ab anno 1^24 ad 14^^ rerum Romanorum suorum tempo-
«rww». E in margine annota: «Codex Vatic. 5299 partim italico
« partim latine; incipit: pontificalmente».
Il diario dì Stefano In fessura 5^9
fila, non è poco aver rintracciato un primo rappicco tra
Avignone e la famiglia dei Roselli nel secolo decimo-
quinto. Questo Rosello dei Roselli dalla sua dimora di
Francia ebbe forse a recare con sé la lusinga che taluno
dei suoi antenati, valente in armi, seguitando alcuno dei
cardinali italiani in Francia, si trovasse in corte del re o
del papa; può anche aver foggiato a conto suo la sto-
riella, e cercato o goduto che altri per lui la spacciasse in
Italia. In Roma poi, dove T istoriografia volgare sbucciava
dalla novella o s'andava appena staccando da questa, dove
VHistoria di Castalio Metallino (i), le Historie dello filo-
sofo, la Mestican:(a de' Petroni, il Libro Imperiale stesso
composto « per passare tempo et rubare alla fortuna li ac-
« cidiosi pensieri » e ad esaltazione e derivazione da Cesare
dei prefetti Di Vico e de' Colonnesi (2), provano come gli
scrittori acconciassero la fantasia al racconto, e come il
racconto potesse involgere domestici intendimenti abbar-
bicati alla tradizione classica; la leggenda dei Roselli ebbe
a parer modesta e a trovare facile accoglienza e diffusione.
Nel ciclo della clientela colonnese ebbe il Roselli stesso a
trovarsi compreso, quando Eugenio IV, nimicando i Co-
lonna, fin dal secondo anno del suo pontificato, lo deputò
governatore di Riofreddo, di Vallefredda e Roviano, e delle
(i) Il Ceccarelli, nel ms. Vat. 4909, a p. 21 scrive: « VHisio-
« ria di Castallo Metallino delle famiglie del Rione de la Regola, il
« cui originale antiche è in mano del s"" Cesare Giovenale et una
« copia presso all' 111'"" sig"" Giovangiorgio Cesarino et l'altra presso
« el s' Fulvio Archangeli ». Cita ancora ibid. r« Historia deVorigine
« della Famiglia de Palosci et de Normanni che sta insieme coWHistoria
« del Metalino in 4° foglio del s*"" Fulvio Archangelo ». Allega poi le
« Historie di Francesco Bandinotto Fiandrese in tutto foglio, tom. due
« havuti dall'archivio del n. s. Monaldo Monaldeschi della Cervara ».
Non sarebbero queste le Istorie che Giacinto Manni « reperit in ms.to
a codice nobilis magnatis Caesaris Baldinotti Ducis » e che pub-
blicò il Muratori (Ant. It. III)?
(2) Cf Arci), della Soc. Rom. di st. patr. V, 34 e sgg.
570 O. Tommasini
terre possedute da Antonio Colonna di Riofreddo (i). La
guerra con questo ramo dei Colonnesi non durò a lungo;
e probabilmente se Antonio da Riofreddo, un anno dopo,
ebbe mandato di trattare accordo col papa anche in nome
di Prospero, Edoardo, Gianni Andrea e Corradino d'An-
(i) Archivio Vatic. Regesta Eugenii IV (Secret, lib. XI), n. 370,
fol. Lxxxxv v: « Eugenius etc. Dilecto filio Mag''" Rosello de Rosellis
« aplicae Camere clerico terrarum Rivifrigidi, Ruviani, Vallamfrede
« Tiburtine dioc. ac nonnuUarum terrarum et locorum diversarum
« dioc. ad dilectum filium Antonium de Rivofrigido de Columna,
« quem cum ipsius terris et locis sub nostra et Romane Ecclesie tu-
« tela et proteccione suscepimus, pertinencium et spectancium nostro
« et Romane Ecclesie nomine gubernatori salutem etc. Dum onus
« universalis dominici gregis superna nobis disposicione iniunctum
« diligenter attendimus, videntes quod circa singula per nosmetipsos
« exolvere non valemus debitum apostolice servitutis, viros notabiles
« et insignes sciencia et virtute prò benegerendis negociis nostris et
« diete Ecclesie deputamus, ut ipsorum cooperatione iniunctum nobis
« a Deo ministerium facilius exequi valeamus. Sane licet cunctorum
« christifidelium statum pacificum intenta mentis acie attendamus,
« tamen terras Rivifrigidi, Ruviani et Vallamfrede Tiburtine dioc. ac
« nonnullas alias terras et loca ad praefatum Antonium de Rivofri-
« gido de Columna spectantia et pertinencia cum omnibus habitato-
« ribus et incolis eorumdem singulari caritatìs et benivolencie af-
te fectu intuemur. Attendentes itaque quod tu quem in magnis et
« arduis eximia virtute et scientia probatum graciarum Dominus mul-
« tifariam insignivit, praefatas terras et loca divina assistente gracia
« circumspecte et fideliter gubernabis, te in praefatis terris et locis
« gubernatorem prò nobis et dieta Ecclesia in temporalibus gene-
« ralem auctoritate apostolica ex certa sciencia usque ad nostrum
« beneplacitum facimus, constituimus et eciam deputamus, tibì nichi-
« lominus nostro et eiusdem Ecclesie nomine praefatas terras et loca,
« incolas et singulares personas cuiuscumque status vel condicionis
« fuerint nobis et diete Ecclesie rebelles ad nostram et eiusdem Ec-
« clesie obedienciam et devocionem reducendi, recipiendi nec non
« terras et loca praefata, habitatores et incolas dicto nomine refor-
« mandi, regendi, gubernandi et administrandi ac in eis iurisdictionem
« omnimodam exercendi, civiles et criminales causas per te vel alium
« audiendi et examinandi ac exequendi atque in praefatis terris et
« locis potestates, iudices et officiales constituendi, suspendendi et re-
Il ^Hario di Stefano In fessura 571
tiochia, e se l'accordo riusci (i), forse il governatore Ro-
selli non ne andò senza merito.
Stabilito per tal modo il vincolo di relazione probabile
tra i Roselli e la Francia, tra i Roselli e i Colonnesi, nella
clientela de' quali 1' I. viveva, si rende men difficile il con-
getturare per qual guisa la leggenda che li riguarda trovò
posto nel diario di esso; sia che egli medesimo l'abbia
foggiata, sia che l'abbia raccolta per primo. Certo che se
essa arieggia, come dicemmo, lo stile dei Fragmenta hi-
storiae romanae, certe caratteristiche filologiche la manten-
gono stretta al tempo in cui visse 1' I. Quando Stefano dei
Roselli mise mano alla spada e il pontefice voleva gU fosse
« movendi, treugas et vindicias inducendi et firmandi, occupataque
« iniuste ab illorum detentoribus eripiendi et recipiendi, processus
« quoque, condempnaciones diffidaciones et finas criminales latas tol-
« lendi, cassandi et eosdem reaffidandi, ac eciam centra omnes et
« singulos hostes et dictarum terrarum pacis inquietatores et turba-
« tores exercitus et auxilia indicendi et congregandi, et demum omnia
« alia et singula quae ad huiusmodi gubernatoratus officium eiusque
« liberum exercitium pertinent de consuetudine vel de iure, aliena-
« tione tandem rerum immobilium ac propterea mobilium dumtaxat
« excepta, et que ad quietem et pacificum statum dictarum terrarum
« et locorum, habitatorum et incolarum predictorum cedere videris,
« etiamsi mandatum exegerint speciale, faciendi, mandandietexequendi
« plenam et liberara concedentes harum serie potestatem. Mandantes
(c omnibus et singulis praedictarum terrarum et locorum officialibus,
« castellanis, stipendiariis quoque tam equestribus quam pedestribus
« in prefatis terris et locis ad dicti Antonii stipendia militantibus nec
« non incolis et habitatoribus supradictis quod tibi plerte pareant et
« intendant. Alioquin processus, finas et penas quos et quas per te
« proferri contigerit ratas habebimus ac facicmus auctore Domino
« usque ad satisfactionem condignam inviolabilitcr obscrvari. Tu igitur
« ipsius gubernatoratus officium tibi a nobis ut premittitur iniunctum
« sic exercere studeas sollicitc, fideliter et prudentcr quod ex lauda-
« bilibus operibus tuis propter nostram et diete Ecclesie graciam a
«largitore munerum superiorum beatae vitae pracmia tribuantur.
«f Dat. etc. .VI. id. iulii anno sccundo ».
(i) Cf. Theiner, Codex dipi. Ap. Sed. Ili, 322 e sgg.
572 O. Tommasini
tagliata la testa, «lo re di Pranza lo domandò per
«homo morto et habbelo », la qual frase sa dei tempi
delle milizie mercenarie (i); e muore non appena i mu-
tati costumi della guerra non più la mantengono nell'uso.
Del resto, non è questa la sola leggenda accolta dall' I.
con quella confidente indifferenza ad appurarne l'origine
che nasce all'udir cosa creduta e ripetuta dal popolo a du-
bitar della quale manca la necessità o l'impulso. Ad altro
punto del diario, nell'agosto del 1482, dopo la vittoria di
Roberto Malatesta a Campomorto e la disfatta del duca
di Calabria, Stefano racconta la morte di lui, trionfatore,
seguita improvvisamente a Roma per febbre, appena quin-
dici giorni dopa il segnalato trionfo. I maligni sospettarono
che Roberto, la cui potenza dava ombra a chi ne aveva go-
duto, fosse stato tolto di mezzo col veleno. « Sunt qui dicunt
« veneno necatum - scrive l' I. - cui papa fécit magnum
(i) È significazione che i dizionari non registrano. A noi pare
chiara la relazione àtìVuomo morto con quella àtWt paghe morte, proprio
della milìzia mercenaria. In una lettera di Iacopo d'Appiano al conci-
storo di Siena « ex Piombino die .xxviii. decembris .mccccxxxiii. »,
ringraziando il Comune d'aver prolungato di alcuni giorni la vita a
« Cacciaguerra suo uomo d'armi, in considerazione sua e del cardi-
« naie di Mantua », aggiungesi : « de novo per le presenti c'è parso
« suplicare quelle se voglino degnare farcenne un presente come
«de homo morto, del che li restaremo ultra alli altri oblighi
« obligatissimo ». (Arch. di St. in Siena, Lett. coiicist. ad ann.).
Questa locuzione non si trova più nella redazione della leggenda
quale è presentata dai mss. e, d, g, in cui è data nel modo seguente :
« Il re di Francia pregò il papa che dovesse restituire al cardinalato
« Pietro e Giacomo e che ardesse l'ossa di Bonifacio 8 come ere-
« tico. Et perchè non fu vero papa, non ti poteva far arcivescovo.
« Et Pietro et Stefano delli Roselli misse mano alla spada e disse :
« chi vuol dire che le ossa di Bonifatio non si ardino, mente come
« traditore. Il papa lo fece pigliare e volle gli fosse tagliata la testa ;
« ma il re glielo chiese in grazia per haver salvato la regina circun-
« data dal foco in sua camera ; perchè Stefano e Pietro andare per
« un trave e là se la presero in collo, e liberarono. Il papa cede ».
// diario di Stefano Infessura 573
« honorem eiusque corpus sepelivit in ecclesia Sancti Petri
« cum marmorea memoria singulari quae ibi videtur. Sunt
« qui dicunt quondam Senenses auxilio cuiusdam (la mag-
« gior parte dei mss. reca erroneamente eiusdeni) (i) magni
« capitanei fuisse liberatos ab oppressione Florentinorum.
« Traditur quod Senenses ipsi erant maximopere obligati
« et quotidie cogitabant quid possent ei dare dignum me-
« ritis prò tanto munere^ quod acceperunt ab eo ; et tan-
« dem iudicabant se impares tanto beneficio ; etsi fecissent
« eum dominum illius civitatis, adhuc non esset satis. Et
« stantibus illis in hac altercatione, quadam die in concilio
(( generali, quod prò ista re quotidie faciebant, quidam Se-
« nensis surrexit, et dixit se invenisse praemium meritum
« dignum tali viro, et quod de facili posset dictus populus
« facere vel concedere ; et imposito silentio fuit ei iussum
«ut diceret quidnam esset istud praemium, et dixit: occi-
« damus eum, et deinde adoremus eum prò sancto et prò
« nostro protectore perpetuo, et ita factum fuit » .
Per raffigurare l'occasione e l'origine di questa storiella
senese introdotta dal nostro scriba nella sua cronica, bisogna
risuscitare per un momento le circostanze vive della città
e del Campidoglio, nel momento in cui il nostro cronista
scriveva. Ciò era sui primi dell'anno 1483, quando Lorenzo
Lanti, che già si trovava in Roma oratore di Siena sua
patria, fu assunto all'officio di Senatore (2). Egli aveva con
(i) Dei codici da noi avuti a continuo riscontro per l'edizione
recano « eiusdem » C, C*, C*, E, R, S, S^; « cuiusdam » soli M, R^
Che debbasi poi leggere « cuiusdam » e non altrimenti vien poi sta-
bilito anche dal fatto che, per quanto consta dai documenti del-
l'archivio Senese, Roberto Malatesta non ebbe mai condotta dalla
città di Siena.
(2) Arch. Vat. Registro di Sisto IV, Offic. 659, a. e. XLViin :
« d. f. n. V. Laurentio de Lantis, equiti ac doctori Senen. A. U. n.
« Senatori. Datum Rome, a. .mcccclxxxiii. quarto i<al. aprilis, p. n.
« a. decimo ». È deputato « prò semestri incipiendo immediate post fini-
Archivio della R. Società romana di ttoria patria. Voi. XI 38
574 ^* Tommasini
sé in compagnia un suo fratello, che uccellato poi da' fo-
rusciti di Siena, convenuti in Roma a causa de' tumulti dei
Noveschi (i), gli fu cagione di compromessa non piccola.
Aveva con sé la sua brigata senese ; e di Senesi poi formi-
colava la città, dacché i forusciti bramavano coli' appoggio
del papa e del conte Girolamo Riario rovesciare, al so-
lito, il governo della patria loro. Le condizioni di messer
Lorenzo Lauti, per quanto savio e avveduto egli fosse, eran
dunque tutt' altro che facili, e le lettere di lui, conservate
nell'Archivio di Stato in Siena, ne danno fede. Il suo epi-
stolario pertanto riesce di grande utilità storica, poiché le
lettere del Senatore di Roma, fonte vivo di storia, valgono
di riscontro mirabile alle affermazioni dello scribasenato.
Ne feci però numerosi estratti, e ne pubblico le parti più
considerevoli in appendice a questo scritto, aggiungendovi
alcune lettere di Guidantonio Vespucci, orator fiorentino,
perché non si dubiti che Senatore e scribasenato si tengano
vicendevolmente il sacco.
Stabilita ora la ragione di contatto fra i Senesi e F L,
tra 1' L e Lorenzo Lanti, é a congetturare che quegh, allo
spettacolo delle ostentate essequie di Roberto Malatesta, se-
polto a San Pietro in Vaticano con tanta pompa, presente
il papa, ragguagliato nell'epitaffio a Cesare, morto non senza
gioia dei prelati (2), udisse da qualche senese novellare
« tum officium d. Ludovisi Vorsi militis forliviensis » . Arch. di Stato
in Siena, Leti, al Concistoro ad ann. « Laurentius Lantius orator et
« Senator Urbis, ex Capitolio .xii. aprilis 1483 : hieri con bona gratia
« del pontefice ricevei la bacchetta et possessione dell'offitio del Se-
te nato ».
(i) Peggi, Memorie storico- critiche di Siena, I, 17 e sgg.
(2) Ia. VoLATERRANi Diar. Script. XXIII, 179 ; Guiggiardini, Storia
a Firenze, cap. vii. Là scritta della sua tomba fu: « Veni, vidi, vici,
« lauream pontificis retuli, mors secundis rebus invidit». Il Volter-
rano, che rappresenta le opinioni della curia, scrive : « Creditum est
« a plerisque (ut est in omnibus liberum indicare) Roberti obitum
« magis usui quam detrimento fuisse rebus Ecclesiae ; erat namque.
Il diario di Stefano In fessura 575
d'un altro capitano, condotto già a gran prezzo dalla repub-
blica di Siena, per averne salvezza; e di cui la repubblica
ebbe invece paura ; tanto che quando la paura e il sospetto
soperchiarono, si consultò in comune che cosa fosse da fare.
E fu chi diede avviso di levarlo di mezzo e compiè l'opera
con gran gioia del concistoro. Ma non appena fu morto
poi, che come un santo ebbe onori, splendore di essequie,
luminaria e tumulo in duomo. L'allusione alla morte di
Gisberto da Correggio (i) sembra in tal caso assai proba-
« ut ii dicebant, tam a natura quam a tam recenti Victoria ita animo
<f elatus, ut nunquam prò his, quae egerat, extimasset sibi a summis
« pontificibus satisfieri potuisse ; non oppida Ariminensia cum appen-
« dicibus, non Fanensis civitatis et Senogalliae vicariatum digna suis
« meritis credidisset. Itaque non tam prò obitu dolendum quam
«quod non convaluerit mirifice laetandum».
(i) Intorno a Gisberto da Correggio vedi ntWArch. stor. it. serie IV,
t. IV; Banchi, Il Piccinino nello Stato di Siena, p. 224 e sgg. Le
Croniche di Gio. Bisdomini, ms. nell'Arch. di Stato in Siena, ce. 333-4,
anno : « a' 8 di ybre in sabbato el sig'' di Correggio venne in
« Siena, e subbito in palazzo de' Sig''^ Essendo a ragionamento in
« concestoro, gli fu mostro che esso haveva mancato del debito e
« de la fede e che era truffatore. E alterandosi e venendosi in ira,
« fu gittato d'una fenestra a capo la porta del Sale, e cosi mori. E
«fu gli fattoun bello ecsequio concento paradi torce, e fu
« sepolto in duomo appresso al campanile ». E ibid. nelle Croniche sanesi
attribuite a Tommaso Fecini, a e. 228 : « di settembre in sabbato
« il signore di Correggio venne in Siena, e subbito andò in palazzo
« de' Signori, accompagnato con più cittadini, et essendo a ragiona-
« mento nella sala del papa colla Balia, li fu mostrato per la Balìa
« ch'esso non aveva fatto il debito, e che egli era truffatore ; e mo-
« strandoli lettere, le negava, e venendo in ira, li fu mostrato sue
« lettere più vere, in modo che lui voleva uscire fuore, m. Ludo-
« vico Pctroni sedendoli a lato, lo prese per le stringhe del braccio
« e fello stare: sonossi il campanello, uscirono fuori alcuni, che lo
«gettarono per le finestre della porta del Sale, e mori, inde a un
« ora gli fu fatto uno bello esequio con 100 para di torce e
« fu sotterrato in duomo appresso al campanile ». Ma ceco il verbale
autentico, quale occorre nell'Arch. di Stato in Siena, Balìa, Delihe-
57^ O. Tommasini
bile e Tunica che soccorra a spiegare l'allusione e l'epi-
sodio recato in mezzo dall' I.
Ma è tempo di far epilogo delle cose esposte. Intorno
all'autore del diario raccogliemmo quelle notizie che po-
temmo per dimostrarne la certezza e la condizione di fatto,
che gli rese agevole il farsi testimonio dei tempi suoi. In-
torno all'opera di lui esercitammo il nostro esame, inda-
gandone l'origine, il nucleo primitivo, i modi del successivo
svolgimento, le necessarie discrepanze di forma che ne fu-
ra:(ioni lib. I, e. 65. Il notaio è ser Antonio di ser Giovanni: « Die
«sabbati .vi. septembris (1455).
« Leonardo priore , .
« Dieta die de sero inter .xx. et .xxi. horam dicti magnifici
« domini de Balia habentes notitiam qualiter dictus dominus Gili-
«bertus intravit civitatem Senarum et se contulerat ad mansionem
« suam in domo Laurentii de Mareschottis, transmiserunt ad eum
(c plures spectatìssimos cives dominum Francischum de Aringheriis,
« dominum Nicolaum de Saracenis et Dinum de Martiis secre-
« tos (*), et alios cives sociatos cum pluribus rotellinis palati], qui
« omnes ad domum praefatam in qua dictus dominus Gilibertus
« moram trahebat et ipsum de dicto loco ad palatium magnifi-
« corum dominorum priorum cum honore et pacifice sociati fuerunt.
« Et intrans palatium adscendendo schalas se conduxit in capella
« palatii, in qua aliquantulum requievit. Et paulo post intrans sa-
« lam seu cameram pape in qua dicti domini ofRciales Balie resi-
« debant, in qua et cum eo intravit dominus Lucha de Parma suus
« cancellarius, in qua ab ipsis officialibus honorifice receptus et inter
« eos, videlicet inter priores sedendo positus, multa colloquia simul
« habuerunt. Interea dum hec fiebant, ordine dato, fuit ianua princi-
« palis palatii obserata, cum omnibus aliis hostiis opportunis in pa-
ce latio, usque ad cappellam, transmissis postea omnibus familiis ipsius
« dni Giliberti qui eum sociaverunt in sala dele Balestre, obserata
(*) Questi nomi sono stati studiosamente cancellati dal cancelliere e le lettere attra-
versate da altri segni per confonderne la lettura; ma la confusione non è tale che non
si venga a capo di leggerli e di riconoscere coloro che si prestarono complici a si bel-
l'opera. Esprimo la mia riconoscenza al cav. A. Lisini, benemerito direttore dell'Ar-
chivio Senese, per avermi cortesemente aiutato ad interpretare i nomi sopraindicati.
// diario di Stefano Infessura ^jj
rono effetto, l'unità di pensiero che bastò a mantenerne
il complesso; la parte che in essa è riflesso del tempo e
delle circostanze, quella che è dovuta ai sentimenti e alle
relazioni personali dello scrittore. Certo, TI. non fu un
umanista; pure un critico odierno, che della società del
rinascimento in Italia à giudicato assai bene, potè trarre
solo dagli scritti di lui una pittura vivace della vita ro-
mana nel secolo xv (i). L'I., ardente della più pura fede
cristiana, rinfocolato dalle profezie ioachimistiche, ineso-
rabile coi pontefici mal cristiani di cui visse contempo-
raneo, fu dagli apologisti della Chiesa a tutt'oltranza tro-
vato testimonio incomodo, ma da non escludere (2). Scrisse
« cappella cum custodibus, magnificis dnis in consistono existen
« tibus. Et quum antea in cancellaria parva camere pape intromissi
« fuerunt aliqui robusti et validissimi iuvenes, cum armis opportunis,
« et in cursu consistorii aliqui pedites et robusti iuvenes cum armis
« bene muniti, post multa colloquia dicti iuvenes intra cameram pape
« existentes, dato signo, prout sic ordinatum fuerat, foras exeuntes,
« eumdem dominum Gilibertum cum armis aggressi sunt, eumque
« pluribus vulneribus percussum interfecerunt. Et dum hec fìebant
« alii pedites e consistorio exeuntes, in camera pape cum armis suis
« intraverunt, et nil aliud fecerunt quia iam mortuus erat. Capto tamen
« corpore extra fenestram in campo fori proiecerunt. Capti sunt do-
« minus Lucas de Parma et Guerrerus Senensis eius cancellarii cum
« pluribus aliis suis familiis, et post predicta Johannes de la Gatta eius
(f cancellarius, et in custodia mancipati. Verum corpus suum ho-
«norifice in e athedrali ecclesia sepultum et tumulatum est.
«Et totus populus clamabat hoc bene factum esse».
(i) BuRKHARDT, op. cit. in Beitràgc zur vaterldndischen GeschichU
in Basel, V, 19-20.
(2) Ecco a qua! modo giudicava delle condizioni della Chiesa,
ai tempi dell' Infessura, un testimonio non sospetto, il card. Pa-
PiENSE, Epfy. « Francisco Gonzagae card. Mantuano » (e. 272 r): « Adde
« publicum odium merito ex tanta insania in nos comparntum. La-
« mentari ecclesias vides, quod his cumulis egenorum panem eri-
« pimus : dolere populos quod veneranda pastoribus loca plaena nunc
(( mercenariis vident: indlgnari principes quod nulHs accessionibus
« nostra ingluvics saturatur. Clamant non esse nos mcmores pauper-
578 O. Tommasmi
volgare da trivio e latino da curia; ma quando ad Anton
di Pietro era bastato confessare « multa essent scribenda quae
« dimitto in calamo «(i)^ e il Papiense consigliava al Volter-
rano di non propagar notizie « ne videremur nimium cu-
ce tatis antiquae ; propter quam crevit Ecclesia : non videri discipulos
« Christi, qui de crastino vetuit esse soliicitudinem; et duas vestes
« habentem dari alteram non habenti praecipit. Omnia ad privatam
« pompam luxumque referrì. Quodque multorum esse oporteret
« iniusta dispensatione ad unum aliquem redigi. Animae autem tam
« esse curam exiguam quam magna est corporis. His indignationibus
« pernìtlosa de nobis aliquando ineuntur Consilia ; inque Apostolicam
« Sedem nationes tumultuantur. Id autem ut plurimum accidit; ut
« possessum nobis ire prohibitis aut indignis precibus cogamur quod
« datum est assequi, aut turpi cessione triumphare de nobis princi-
« pes doceamus ». Nel ms. Vallicelliano S, 21 (n. 01688), P. Raynaldi
Monumenta prò annalib. ah anno 14^^ ad 14)^, t. XVIII, il Rainaldi
scrive (an. 1484), e. 417 r, presso alle parole del testo : « Recrudescit in
« Urbe seditio Columnenses inter et Ursinos». (In margine è notato:
«Stefano Infessura imbroglia poca cosa; ma Rafaelo Volaterrano,
« p. 678, col 2^ in medio, si vede che le armi pontificie furono ri-
« volte contro Lorenzo Colonna protonotario ribelle a cui fu tagliata
« la testa. Id affirmat ms. diarium, p. 29). Compulsusque est pontifex
« adversus illos pacis leges detrectantes arma expedire, Hieronymi
« Riarii nepotis sui opera usus. — Bisognerà vedere Panvino che hora
« non mi trovo bavere. De eisdem factis agunt etiam Brutus erga
« pontìficiam partem aequus et Stephanus Infessura iniquissimus qui
« malevolentia in Sixtum suffusus invidiam ipsi confictis mendaciis
« conflare nunquam cessar, in sinistrumque sensum pontificia Consilia
« gestaque retorquet. — Si potrà copiar di lui ciò che si indica nel
« diario di Lorenzo Colonna, decapitato e la presa della Cava fatta
« da Girola° Riario cui ea re vicario gratulatus est (Lib. brev. anni 13,
« inter literas non. iuli) ipsum summis laudibus efferens quod man-
« suetudìnem egregie usus pulcherrimam eam censuisset victoriam
«esse, qua a captivis hostilique sanguine abstinuisset ». — Le lettere
del Lanti e del Vespucci provano poi come l'I. nel riferire dei fatti
di papa Sisto non mettesse niente del suo e non gonfiasse bugie.
Né il Rainaldi copiò del resto ciò che Stefano raccontò di Lorenzo
Colonna decapitato.
(i) Ant. Retri Diar. passim in Script. It. XXIV, 974 e sgg.
Il Diario di Stefano In fessura 579
« riosi » (i)^ Stefano invece notò coraggiosamente quel che
ascoltava e vedeva. «L'antiqua casa Colonna, e spetial-
« mente quella di Pellestrina, che sempre fo nimica della
« Chiesa e del popolo nostro di Roma » (2), maledetta da
Paolo Petroni, fu da lui benedetta, rappresentata giusta-
mente come popolare, e servita con fede. Quando Roma
tumultuò gridando da un lato: Chusa t Orso, Orso e Cre-
scendi, e dall'altra : Falle e Colonna, Stefano non pur compiè
fedele l'officio suo di scribasenato, ma quello d'amico af-
fezionato e devoto presso la salma tormentata di Lorenzo
Colonna, l' infelice protonotario ; mentre il notaio dell' Anti-
posto alle guerre si contentò di mettere « doi carratelli alla
« porta carichi de sassi et pontellare molto bene » (3).
Nota individuale, se si eccettua a quando a quando
qualche sprazzo d'acre ironia, manca agli scritti dell' L ;
però, mentre sembra che s'addentelli, in sul principio della
cronica, colle narrazioni leggendarie di Roma, verso il
fine tanto s'accosta alla maniera dei diaristi cerimonieri,
che una parte del diario suo potè incorporarsi in quella del
Burcardo (4). Con tutti gli scrittori di diari e di croniche
a lui anteriori e contemporanei à comune il difetto d'insinuar
nel racconto più quello che lo tocca, che quello che à impor-
tanza effettuale; di saltare a pie pari avvenimenti di prin-
(i) Card. Papiensis, Epp. et Comm. Milano, 1506, Ep. 625:
« Papiensis Volaterrano ».
(2) Paolo Petroni, Mesticatila in Script. XXIV, 11 14.
(3) Cf. Diar. in Script. IIP, 1088.
(4) II Thuasne {loh. Burcbardi ^Diaritim, III, xxii, Paris, 1885)
accennando ad una lacuna del Burcardo avverte : « Pour combler
« cette lacune, les copistes ont interpolé la partie correspondante du
«journal d' Infessura dont la relation s'arròte au mois d'avril 1494;
« ils ont eu le soin, d'ailleurs, de signaler en marge le noni de l'é-
« crivain auquel ils avaient fait l'emprunt et répondu d'avance à ceux
« qui, par des motifs intéressés, chcrcheraicnt à discréditer ces deux
« journaux, en objectant leurs points de ressemblance et en jòtant
« le doute sur l'authenticité du texte de chacun d'eux ». Lo stesso
580 O. Tommasini
cipale rilievo e commemorare bazzecole ; ma pure la storia
di Roma del secolo decimoquinto mancherebbe d'un ma-
teriale prezioso, se il diario dell'I, non le fosse stato ser-
bato. I documenti d'archivio coi quali si à agio di rag-
guagliarlo non fanno che saggiarne e assodarne il valore;
le opere d'arte, cui allude e che sopravanzano, confermano
le affermazioni sue; ma molto più delle notizie che esphca,
son pregevoli quelle che racchiude impHcite e che si dichia-
rano all'occhio di chi le analizza e raffronta col lume dei
documenti sincroni.
Resta finalmente che si accenni al sistema seguito per
ristabilire il testo e al modo della pubblicazione.
S'incominciò, com'era naturale, dal far comparazione
delle due edizioni del Muratori e dell' Eckhart, preso a
fondamento il testo d'un codice del secolo decimosesto, il
quale conservando in molta parte intatte le forme del vol-
gare romanesco e la grafia medievale del latino, e non pre-
sentando né sovrabbondanza di rubriche né indice, dava a
sperare d'esser rimasto immune da arbitrarie alterazioni di
copisti e d'aver avuto ad esempio una buona lezione più
antica. Questo codice fu designato nell'elenco colla sigla C.
Parve indispensabile ragguagUarlo col Vaticano ^389 (R')
e col Capitolino (R), già collazionato e corretto dal Va-
lesio; e la comparazione tornò tutt' altro che superflua,
mettendo a nudo le discrepanze originaH tra i due mss.
e quelle che vi rimasero poi, a collazione fatta. Del resto,
se W offre il gran pregio di non alterar mai la lezione per
preconcetto dell'amanuense, se la presenta migUore per es-
sere di certo condotto sopra miglior codice e però, anche
Thuasne (op. cit. II, 78-86) incorpora nella sua edizione un lungo
passaggio dell'Infessura, tratto da manoscritti in cui, siccome in-
dicammo a p. 534, si trovarono bensì intercalate posteriori insi-
nuazioni, ma senza dubbio è autentico, e pel consenso dei migliori
mss. e per ragioni intrinseche spetta al diario del nostro scriba-
senato.
// Diario di Stefano In fessura 581
dove erra, rimette non di rado sulla via di raccapezzar la
forma vera del testo, guasta attraverso le graduali trasfor-
mazioni d'errori nei trascrittori; il manoscritto R, segnata-
mente nella parte latina del diario, presenta rettificazioni
grammaticali che più spesso sembrano risultare dairaver
sciolto senza errore l'abbreviature di cui ebbe ad esser irto
Farchetipo, che dal proposito di correggere per dar garbo
al dettato, con intendimento di critico. Inoltre, nella scrit-
tura dei numeri, serba traccia dell'uso più antico, sia notan-
doli in caratteri romani, sia mescendo caratteri e cifre (i).
Segna bensì le date giornaHere più spesso in numeri arabi,
e talvolta dimostra a quali corrompimenti del testo potè
gradatamente dar luogo quella promiscuità di pratica.
Furon poi tenuti a costante riscontro, per l'opportunità,
i manoscritti Vallicelliani S^ S^; e questo secondo, che già
servi al Rainaldi e porta note di lui, come vedemmo, parve
concorrere coU'altro codice Vaticano per supplire al danno
dell'autografo smarrito. I due codici Chigiani CS C* e il
Corsiniano C^ rappresentarono ciascuno una tendenza pre-
giudicata della critica rispetto alla schiettezza del testo, che
era conveniente di non perdere di vista mai. Dacché il primo
offriva le alterazioni indotte nel diario dallo studio di parte
Orsina; l'altro, tutte le azzimature nel dettato, di che po-
teva esser capace quel tal secentista dei Promessi sposi che
considerando la istoria come una « guerra illustre contro il
« Tempo, imbalsamava co' suoi inchiostri le imprese dei
« prencipi » ; e però ristringeva in canaletti, secondo lui,
scevri di melma. Tonda libera e qualche volta o manche-
vole o torbida del nostro scribasenato. Finalmente, il co-
dice Corsiniano, dando tutto il testo italiano, potè soccor-
rere per r interpretazione di quelle forme dialettali, corrotte
(i) Per esempio: — . AlTanno 1436 « die 1$ augusti » fa succe-
dere: « mane deinde sequenti .xii. augusti ». È evidente l'erronea
lettura del 15 per 11 nella prima data.
582 O. Tommasini
nelle edizioni, incerte e multiformi nei codici ; ed offerse
talvolta, alla comparazione delle date storiche, qualche ele-
mento di più. E con diligenza raccogliemmo poi nella col-
lazione de' codici ovunque fosse residua e superstite la forma
del volgare romano, restituendola al testo. Nei passaggi
poi che ritenemmo caratteristici, fu procurato il ragguaglio
di tutti i manoscritti che ci furono a conoscenza.
Resta poco ad aggiungere delle norme seguite per la
stampa, le quali sono precipuamente quelle determinate nel-
l'organico per i lavori dell'Istituto Storico Italiano (Bull, del-
Vlst. Su It. IV, 8). Al capriccioso impiego delle maiuscole
e alla punteggiatura secentistica dell'edizioni precedenti e
di non pochi codici, non demmo peso; né importanza
paleografica al promiscuo uso dell'io vocale e consonante.
Nelle varianti relative alla lezione, indicammo i codici
secondo le sigle con cui vennero contradistinti in questo
scritto, curando che ne venisse conservata la serie alfa-
betica, ogni volta che non fu necessità di ordinarle in
altra guisa, per dare ad intendere come da progressiva al-
terazione della forma schietta si potè arrivare all'estrema
corruzione del testo, o, per l' inverso, come, paragonando
le progressive alterazioni dei manoscritti, fu possibile di ri-
suscitare la forma prima ed originale.
O. Tommasini.
// diario di Stefano Infessura 583
APPENDICE
I.
Notizie relative alla famiglia Infessura
e documenti che la riguardano.
I registri del Camerlengo della Camera di Roma, quelli
della Depositeria della gabella dello studio, il codice Capitolino
dello statuto vecchio, come vedemmo, famio ampia testi-
monianza della vita di Stefano Infessura. I Pacta et conven-
tiones cum filiis domini Stefani de Infessuris (doc. n. v) ci
determinano il tempo in cui era morto. Del padre e dei
fratelli suoi certifica l'atto di pace del 147 1 (doc. n. i). Da
un rogito del 1520 (arch. Stor. Comun. di Roma) sappiamo
che sua moglie ebbe nome Francesca, eh' ei la sposò già
vedova d'un Paparoni; e che, morto lui, si rimaritò con
Marco Antonio de' Martinelli. Oltre i numerosi documenti
sparsi in molti archivi di Roma, oltre le reliquie delle carte
domestiche che rimangono ancora per discendenza e re-
taggi presso la famiglia Savorgnan di Brazzà, si anno no-
tizie della famigHa Infessura negli spogli di Alfonso Cec-
carelli (bibl. Vat. ms. Vat. 49 n), nel Repertorio dello laco-
vacci (bibl. Vat. ms. Ottob. 2550), in quello del Magalotti
(bibl. Chigi, ms. G, V, 139 e G, V, 144), e nel manoscritto
Casanatense delle famiglie romane delFAmayden. Anche il
Valesio ne raccolse in fondo alla sua copia del diario di
Stefano (arch. Stor. Capit. t. V, cred. xiv). Sulla tomba
gentilizia in S. Maria in Via Lata era lo stemma consistente
in un bacinetto piantato sopra tre monti. Nel ms. M^ si
584 O. Tommasini
annota che la detta tomba si trovava « avanti d'arrivare
« alla porta della sagrestia con l'arme infrancta » (V. sopra a
p. 515). Facemmo ricerche accuratissime, col cortese aiuto del
parroco della chiesa; ma quella lapide più non esiste. L'arme
trovasi delineata nel ms. R, nel ms. Vat. 8253, p. 354 v,
e in altro ms. autografo di Antonio Caffarelli, Repertorium,
a e. 138, presso il signor comm. C. Corvisieri, dai quaH
due ultimi la riproducemmo, dacché in essi megHo sembra
rispondere alla descrizione data dal Magalotti (ms. Chigiano
G, V, 144): « hanno per armi un elmo chiuso sopra tre monti
« d'oro in campo rosso ». L'elmo chiuso diventa solo « un
« elmo » nella descrizione dell' Amayden (ms. Casanat. cit.
p. 283) ed elmo aperto comparisce a dirittura nel disegno
del Valesio e nell' incisione data dall' Adinolfi (Roma nelVetà
di mex^o, II, 292). La sagoma dello scudo poi in queste
ultime due rappresentazioni par del tutto cervellotica ed
arbitraria. L'epigrafe riportata nel ms. Vaticano 8253, II,
e. 354 V, dal Gualdi che la vide, è descritta a questo modo:
« lapide sepulcrale con tassello quadro, arma tre monti
« uguali, un morione antico sopra un palo sopra i tre monti,
(( lettere delineate : Sepulcrum D, Io. Paulilnfesurafiliorum ex
« suor, defamilia descendentium obiit annoDni. .mcccclxxxiii.
« mar. vi. » . Il Martinelli (Prhno trionfo della S""" Croce, Roma,
MDCLV, p. 180) dà già diverso il testo dell'epigrafe e
dello stemma non parla; ma in S. Maria in Via Lata ac-
cenna: « In terra è il sepolcro dell'Infessura diarista con
« quest'epitaffio, ecc, ». Attingono a lui il Valesio e il Maga-
lotti. Quest'ultimo (ms. G, V, 144) scrive in vece di Giovan
Paolo « Sepulcrum Ioannis Petri » e trae cosi in errore il
Marini (Archiatri, II, 200). Il Gaìkm (Inscript. RomJnf. aevi,
111,421) dà alla scritta la disposizione e il garbo classico; da
lui copia il Forcella (Iscri:(, delle chiese di Roma, Vili, 389).
Nel ms. di Tommaso Landuzzi (arch. Capit. di S. Maria
in Via Lata), Lapideae inscriptiones et memoriae quae nunc
extant in parictibtis et pavimento insignis eccl. Firginis Ma-
// Diario di Stefano Infessiira 585
tris ad Viam Latam, anno .mdcccxix. la scritta non è regi-
strata; non esisteva più. Lo lacovacci nel suo Repertorio
citato rimanda al ms. Vat. 491 1, che comprende il Ter'^o
tomo della serenissima nobiltà dell' Alma città di Roma del
noto falsario Alfonso Ceccarelli; intorno a cui annota il
Contelori : « in toto opere plurima sunt falsa, aliqua etiam
« vera ». E il Ceccarelli pone gF Infessura fra i nobili per
averli trovati «in registro nobilium familiarum urbis Romae
«facto aNicolao de Cerrinis » e tali gli cita ancora (fol. 208)
« ex catalogo nobilium familiarum urbis Romae Romani de
« Calvis » .
Noi diamo la serie cronologica dei documenti che so-
pravanzano relativi alla casata degl' Infessura, distinguendo
con asterisco quelli che pubbHchiamo poi per intero, e ac-
cennando, quando ne sia il caso, colle iniziaH quelli indi-
cati nelle raccolte dell' Amayden, dello lacovacci, del Ma-
galotti, del Valesio:
1397. « Compromissum Inter nobilem virum Laurentium Cecchi Pa-
lochi de regione Montium et dominum Lodoycum de Pappazuris
in personam discreti viri Lelli Infessurae die 9 decembris 1397.
lacobellus Stephani de Caputgallis notarius in quinternulo ».
Arch. di Stato in Roma, Notai Capitolini, n. 477, e. 2423. (A.
I. M. V.)
1408. Nel Catasto 5»»» Salvatoris: « Lellus Infessurae de regione Trivii
nominatur praesens ad lecturam et confirmationem capitulorum
societatis die 8" februarii 1408», (I. M. V.)
1428. Lello Infessura, caporione di Trevi. (M.)
1463. Nel detto Catasto S^^ Salvatoris: « Blasius Mutii Nanny alias
dictus Lampa sepultus est apud ecclesiam S"« Mariae inter Treyo
prò quo habuit Stephanus lannelli camerarius per manus lohannis
Pauli de Infessura, ut patet in libro dicti camerarii, liorenos .x. ». (I.)
147 1 *. Sicurtà e pace, tra Giovanpaolo di Lello Infessura a nome
suo e de' figliuoli Stefano, Lello, Renzo e Ceccolo assenti con
Gasparaccio dell'Arenula, « die .xviii. martii». (Roma, ardi. Notar.
Com. Protocollo ài Evangelista Bistusci, a. 1470-71, e. 61 r.)
1471. Immissione in possesso fatta da « lohanncs de Buccamaciis de
regione Trivii marescallus Curie Capitulinc et domini Scnatoris
commissarius » a favore di « Paulus lohanncs Infcsnra aroma-
586 O. Tommasùii
tarius de Regione Trivii de quibusdam domibus dirutis et rui-
natis ac discopertis positis in reg. Montium, in contrada qua di-
citur Caballus marmoreus, inter hos fines ab uno latere tenet res
heredum Luce lohannis lacobi... ab alio res lohannis de Marcel-
linis, retro tenet ecclesia Sancti Saturnini, ante est via publica,
die Siuniiindne 4^». (Roma, arch. Notar, Com. Protocollo Bistusci,
Ice. cit. e. 70 r.)
1472. Fidanze e patti sponsalizi « inter dominam Vannotiam filiam
lohannis Pauli de Infessuris de reg. Trivii, uxorem condam eximii
legum doctoris Benedicti Felicis de Fredis olim de Vallemontone,
matrem Madhalene eius et dicti q. diìi Benedicti filie et lacobum
condam domni Galeotti de Normandis olim de regione Columpne
et nunc de reg. Trivii, pater lohannis Galeotti... cumdote quingen-
torum florenorum currentium in Urbe ad rationem .xlvii. solid.
provisinorum Senatus prò floreno et cum ahis... quingentis fior,
prò acconcio, ornatu et rebus iocalibus ipsius Madhalene ». Gio-
van Paolo Infessura appare come fideiussore della figlia Van-
nozza. Il pegno dotale è « unam domum terrineam et solaratam
et tectatam cum scalis, cameris et coquina supra se, cum tinello
subtus se, cum orto post se, cum porticali columpnato ante se...
positam in reg. Montium inter hos fines, cui ab uno latere tenent
res ecclesie S. Lorensoli de reg. Montium, ab alio res Pauli ma-
gistri Petri; ante est via pubblica ». (Roma, arch. Notar. Com.
Proteo. Bistusci, a. 1472-73, ce. 75 r.-76 r.)
1474. « Lellus Ioannis PauU de Infessuris de regione Trivii » accede
come testimonio in due atti risguardanti due legati fatti da Bar-
tolomea moglie di Giovanni Tucci e da Antonina moglie di
Gio. Battista Matuzzi all'immagine del Salvatore ad Sancta San-
ctorum a'di 8 d'ottobre. (Roma^ arch. Com. Atti orig. voi. 57,
p. 68.)
1481 *. Vendita di due pezze di vigna fatta « eximio legum doctori
domino Stephano Io. Pauli de Infessuris de regione Trivii » da Pa-
lozza moglie di Domenico di Pietro de Zizì « de regione Columne ».
{Protoc. Bistusci cit.)
148 1 *. Quitanza per dieci fiorini « qui fuerunt et sunt residuum
quatraginta florenorum similium pretii cuiusdam vinee vendite per
dictum Dominicum et dominam Palotiam dicto domino Ste-
phano » a' di 30 ottobre. (Protoc. Bistusci cit.)
1483 *. «Fidantiae inter eximium I. U. D. Stephanum de Infessura
curatorem (i) honestae puellae Antoniae filiae q. Lelii fratris
(i) Lo I. legge: « socerum».
// l^iaì^io di Stefano In fessura 587
germani ipsius Stephani ex una et Antonium filium lohannis Ba-
ptistae della Pedacchia ex alia, die 19 mail 1483. Johannes Mat-
thias de Taglientibus notarius ». (I. M. V.) Arch. di Stato in Roma
Not. Capii, n. 1730, ce. 100- loi.
1483. Epitaffio in S. Maria in Via Lata: « Sepulchrum Io. Pauli In-
fessurae filior. filiar. et alior. descendent. ex eor. familia. Obiit
a. D. 1483 die 6^ mart. » (i). (A. I. M. V.)
1487. Stefano Infessura firma le « Reformationes, constitutiones et
statuta super dote, iocalibus, acconcio et ornatu ac nuptiis mu-
lierum et super exequiis die .xvii. martii ». (Arch. Stor. Com. di
Roma, cred. IV, voi. 88, p. 191.)
1496. « Locatio molendini minoris dicti « la mola piccola » extra
portam Lateranensem ad unum milliare ad tertìam generationem
facta Matthàeo de Infessuris prò responsione ducatorum 13 et
lib. 3 piperis. Bernardus de Caputgallis notarius ». (L) Arch.
Capit. Lateranense.
1500 *. «Facta et conventiones inhite cum filiis dni Stefani de In-
fesuris prò Capitulo S. M^ in Via Lata ». (Arch. di S. Maria in
Via Lata, Protoc. instrum. ab anno 1495 ad 15 14, e. 16 v.)
1505. Nel catasto del S^^o Salvatore: « Dna Perna de Cinciis et
uxor quondam Matthaei Infessurae sepulta est in ecclesia S^i Tho-
mae de Mercanello (2), prò qua soluti fuerunt floreni quinqua-
ginta per dictum Matthaeum d^o Gabriello camerario». (I. M. V.)
1508. Luca Antonio « de Infesuris » si obbliga a pagare 15 ducati a
Pietro Vizerro, notaio della Rota, per funzioni legali, a' di
31 maggio. De Toro Ferd. not. (Arch. Notar. Com. di Roma,
Atti originali, voi. 434.)
1 5 13. Copia « Instrum. dotalis D. Hiermac de luvenalibus de anno 15 1 3
die .XI. augusti ». Rogano i notai Gerolamo de Branchini e
Agapito Susanna. Giovan Gerolamo e Giovan Battista del q.
Biagio Giovenale de Manetti in vece e nome di Girolama loro
sorella promettono « de rato et ratihabitione », col consenso e
la presenza di Giuliano di Giovenale de Manetti loro zio e tu-
tore, di contrarre matrimonio col « nobilem virum Matheum
q. Stefani de Infesuris regionis Trivii « e: « cum dote et no-
mine dotis sexcentorum ducatorum de carlenis monete veteris
cum duobus aliis similibus ducatis ducentis prò acconcio et or-
natu diete d. Hieronime ». Ma i predetti: « Io. Hieronimus et
(i) Il Magalotti lo reca due volte: l'una nel mt. Oilg. G, V, 139, p. 224; l'altra
in G, V, 144, in cui pone « Ioannis Petri » in luogo di a Io. Pauli».
(3) Cosi in I. M. : « i. Toma di Mtircianallo ». V. che cita M. : « s. Tommasso in
Mercatello ».
588 O. Tommasini
Io. Baptista cum consensu praedicti prò quingentis similibus du-
catis parte diete dotis, ex nunc dederunt et consignaverunt eidem
Mathéo presenti et legitime stipulanti in fundum dotalem et prò
fundo dotali tantam quantitatem et portionem in duabus partibus
de quinque portionibus medietatis unius tertiae partis casalis et
sui tenimenti vulgariter noncupati S^o Abrocolo iunctum prò in-
diviso cum aliis consortibus etc; ex qua parte et quantitate
dìctus Matheus recipiat et recipere possit in reditibus, caseo, ter-
raliis et omnibus aliis computatis due. .xx. quolibet anno prò
fructibus et non ultra ad computum quatuor ducatorum prò
quolibet centenario ». E gli altri cento ducati gli vengon pa-
gati in danari. (Roma, arch. Brazzà, Carte, della famiglia Infes-
sura cit.)
1516. « Emptio domus in regione Montium e conspectu ecclesiae
S. Basilii facta per Petrum Tragalli (i) de Atana a dna. Maria
relieta q. nobilissimi Ceccholi de Infessuris, romana matrona,
die 21 augusti 15 16 (2). Theodorus de Gualteronibus not. ». La
detta Maria vende col consenso dei suoi propri figli Lucrezia
e Teofilo e di Cristofora « relieta q. Io. Bapte de Lianoris de
Bononia romana ». (I. M.) Arch. di Stato in Roma, Not. Capitol.
n. 899, e. 248.
1520. Matteo del q. Stefano «de Infessuris» e suoi fratelli e Paolo
. « de Paparonibus », fratello di madre, essendo debitori di Nicola
e Ludovico del q. Marco Antonio de' Martinelli, figli anche ed
eredi di Francesca «de Infessuris », per la somma di 380 ducati
di carlini vecchi, per residuo di dote e acconcio materno, dopo
lunga lite, considerati ducati 152, di cui Matteo era debitore, danno
in pagamento ai detti MartineUi, con patto di riscatto, cinque
rubbia del casale detto Palocco del valore di 150 ducati. L'atto è
de' 29 dicembre, rogato da Ercole de Grengolis, pubblicato da
Giovanni Nichelchin, scrittore dell'arch. della R. C. (arch. degli
Scrittori della R, C. voi. 64, Diversorum, e. 48. Vi si legge: « Cum
sit quod nobiles viri dni Nicolaus et Ludovicus quondam dni
Marci Antonii de Martinellis et filli et heredes quondam dne
Francisce de Infessuris eorum matris fuerint et sint creditores
prò residuo dotium et accontii ipsius q. diìe Francisce in summa
et quantitate tricentorum octuaginta ducatorum de carlenis ad
rationem decem carlenorum monete veteris prò quolibet ducato,
dominorum Mathei de Infessuris et aliorum eius fratrum et
(1) Cosi l'autogr. I. : «Marselli».
(2) Il M. pone l'atto nel 1515.
// T>iario di Stefano In fessura 589
etiam Pauli de Paparonibus ipsorum de Infessuris etiam fratris
ex latere matris etc. »).
1527. « Testamentum D. Mariae relictae quondam CecchoH de In-
fessuris, die 20 februarii. Alexius de Peregrinis notarius ». Lascia
erede il figlio Teofìlo Ci) : vuol esser sepolta in Araceli: a Lucre-
zia, sua figlia, « uxor d. Baldaxaris de Patritiis », una casa nel rione
Monti e una vigna « infra moenia Urbis, in loco qui dicitur Vin-
neto ». (L) Arch. di Stato in Roma, Not. Capit. n. 1259, e. 202.
1530. « D. Mattheus de Infessuris patruus Marii f. et her, q. d.Io.
Pauli de Infessuris civis Ro. promisit per se ac vice et nomine
dicti Marii . . . abbatisse et monialibus S^e Cecilie in regione Trans-
tyberim tradere, ad vitam sanctimonialem ducendam, Franciscam,
Vìrgiliam et Bartolomeam sorores carnales d» Marii cum dote
medietatis casalis Palochii prò indiviso cum alia medietate quam
ds Marius dedit monasterio S. Xisti prò dote Lucide, Instine, et
Livie sororum dicti Marii ad presens monialium S^ì Xisti. Die
8 ianuarii». (Arch. di Stato in Roma, Archivio 'di S. Cecilia
in Trastevere, a e. 55;ibid. ^//i relativi^ ce. $6,98, loi, 105, 490.)
1530-31. « Mattheus de Infessuris, consiliarius prò regione Mon-
tium ». (Arch. Com. di Roma, cred. 1% voi. 16, ce. 1-8, 13.)
1543. « Mattheus de Infessuris, consiliarius ut sup. ». (Arch. Com.
di Roma, cred. 1% voi. 17, e. 102.)
1550. « Testamentum Lucretiae de Infessuris relictae quondam do-
mini Baldaxaris Patritii de Urbino ». Lascia erede Maria sua
madre : vuol esser sepolta in Araceli. « Ioannes Bapt. Amodeus
notarius ». (I.) Arch. di Stato in Roma, Not. Capit. n. 27, e. 46.
1559. « Testamentum honestae matronae dominae Hieronymae de
luvenalibus relictae q. dni Matthaei de Infessuris, die 14 novem-
bris. Curtius Saccoccius notarius ». Lascia erede il figlio Dome-
nico : mille scudi a Claudia sua figlia : seimila a Bartolomeo,
figlio della q. Flaminia sua figlia : vuol sepoltura nella chiesa degli
Apostoli. (I. M.) Arch. di Stato in Roma, Not. Capit. n. 15 17,
e. 569 v.
(i) In una Copia di ceminunto fatto a Roma a' tempi di Paolo III, posseduta dal
comm. Corvisien, apparisce notata « per cinque bocche » nel rione Monti « Teofile Infes-
«sura (putana)». — L'archetipo di quel censimento h a Londra, ove fu portato dal Payne,
che ne fece acquisto insieme con altri mss. dell'archivio Gentile del Drago. Autore di
quel regi^ro apparisce un tal « lacobo Hellin lo quale ha scritto el presente libro».
Manca alla copia la parte del rione di Trevi, ove gì' Infessura avevano casa. La cortU
giana del rione Monti comparisce col nome di chi le faceva le spese ; dacché nel registro
dell'HcIlin si nota solo ed appena il nome del capo della casa e le bocche che mangiano
in quella.
Archivio della R. Società romana dittoria patria. Voi. XI. 39
590 O. Tommasini
1561. Domenico de Infessura, « consiliarius prò regioni Montium ».
(Arch. Stor. Com, di Roma, cred. I, voi. 21, e. 73.) 1564. « Con-
siliarius, ut supra ». (Ibid. voi. 22, ce. 34-35-) 1569. Id. (Ibid.
cred. I, voi. 4, e. 25.) 1572. Id. (Ibid. cred. I, voi. 25, e. 202.)
1574. «Caput regio prò regione Campi Martii ». (Ibid. cred. I,
voi. 26, e. 194.) 1577. «Consiliarius prò reg. Montium». (Ibid.
cred. I, voi. 27, e. 132.) 1581. « Consiliarius ut supra ». (Ibid.
cred. I, voi. 28, e. 61 e voi. 5, e. 16.) 1588. « Consiliarius ut
supra». (Ibid. cred. I, voi. 29, e. 197.) 1593- «Ut supra ». (Ibid.
cred. I, voi. 39, p. 107.)
i563.«Aliud testamentum n. d. Hieronymae de luvenalibus relictae
q. dni Matthaei de Infessuris, die io martii 1563. Curtius Sac-
coccìusnot. ». Lascia erede il figlio Domenico: alla figlia Claudia
settecento scudi: al nipote Bartolomeo un legato. (I. R.) Arch.
di Stato in Roma, Not. Capii, n. 1521, e. 195.
1567. Domenico vende una casa nel rione Monti a di 8 marzo. Curzio
Saccocci not. (M. V.) Roma, arch. Capitol.
1570. « Fidantiae inter d. Io. lacobum (1) de Ostia patrem et le-
gitimum admìnistratorem d. Catherinae eius filiae relictae q. Ste-
phani de Auria (2) ex una, et mag.cum j. Dominìcum de In-
fessuris no. rom. ex altera, die 13 novembris. Curtius Saccocci
not. ». La dote è di scudi duemila. (I. M.) Arch. di Stato in Roma,
Not. Capit. n. 1534, ce. 356V-352 r.
1583. Attestazione di atto di procura « die vigesima novembris 1583 »
fatta dal notaio Domenico Stella : « Fidem facio ego not» pub.
infrascriptus qualiter die .xiii. maii 15 18 in me personaliter con-
stituta d. Caterina q. lacobi Magne et uxor mag" diìi Dominici
de Infessuris nob. Ro. de Hostia quae sponte ratificando in primis
et ante omnia omnia acta et actitata per d. Dominicum q, Mat-
thei de Infessura eiusdem procuratorem maritum quomodolibet
facta, etc. ». (Roma, arch. Brazzà, Carte della famiglia Infessura.)
1592. Domenico Infessura affitta a m^o Giovanni Antonio del q. Do-
menico Antonini e a m^o Alessandro del q. Giovanni Bortucci
una cava di pozzolana esistente nella sua vigna alle Terme nel
luogo detto « Vivaro » per scudi quindici al mese, 13 maggio,
Arconi Gerolamo notaio. (Arch, Com. di Roma, Atti originali^
voi. IO, e. 261.)
1593. Caterina, moglie di Domenico (Infessura) (3), morta nel rione
(i) I. ed M. anno: « lacobum de Ostia ».
(2) M. : a Tauria ».
(3) Archivio Brazzà, Carte della famiglia Infessura. In una scheda: « Doni=o Infes-
// diario di Stefano Infessura 591
de' Monti, sepolta in S. Maria in Via Lata. (M.) Roma, bibl. Chigi,
ms. G V, 144, p. 224.
1604. Giacomo Goggi fiorentino vende a Giovanni Franchino Ta-
viani una vigna di circa venti pezze « in loco dicto Termini seu
Vivario » per scudi tremila e cento, vendutagli già da Domenico
Infessura romano, per atto rogato da Pietro Arcangelo Roberti,
notdo dell'A. C., in data 1° settembre 1599. A dì 22 aprile, Ga-
spare de Angelis not. (Arch. Stor. Com. di Roma, Atti originali,
voi. 266, lib. II, e. 437.)
1605. Concordia tra Domenico del q. Matteo «de Infessuris » e di
Girolama « de luvenalibus » e Giacomo Tolomei nepote ex filio
di Mario Tolomei e di Concordia « de luvenalibus » circa il Ca-
sale di S. Procolo (S. Abrocoli) fuori di porta S. Sebastiano con-
finante con Leone de' Massimi, i signori De Victoriis e Fabrizio
de' Massimi « die 2^ octobris ». Gaspare de Angelis in solidum
con Biagio Cigni notai. (Arch. Stor. Com. di Roma, Atti originali,
voi. 266, lib. II, e. 455. Copia anche nell'archivio Brazzà, loc. cit.)
1605. Domenico « de Infesuris » dichiara di aver ricevuto da Giacomo
Goggi come padre ed amministratore di Alessandro e dalla si-
gnora Girolama « de Infesuris » scudi mille per l'acquisto di al-
cuni beni in quel di Nepi, come risulta dall' istromento fatto da
Pietro Arcangelo Roberti, notaio dell'A. C, a dì 13 novembre.
Gaspar de Angelis not. (Arch. Stor. Com. di Roma, Atti origi-
nali, voi. 266, e. 459.)
1608. Istrumento di concordia tra Domenico Infessura e Iacopo To-
lomei di terreno della tenuta detta Muratella. « Cum versae fuerint
lites et differentiae ab antiquo tempore inceptae inter q. d. Hierony-
mam luvenalem et q. d. Mattheum Infessuram eius maritum ex
una, et q. d. Concordiam luvenalem uxorem q. d. Marii Tho-
lomei ex altera partibus, et successive continuatae inter ili. d. Do-
minicum Infessura filium et heredem d. q. Hieronymae, et q.
d. Petrum Antonium Tholomeum, filium et heredem d. q. Con-
cordiae, et post eius obitum inter ili. d. lacobum Tholomeum,
filium eiusdem q. d. Petri Antonii, etc. Die 12 iulii Antonius An-
geletti not. Capitol. ». (Roma, arch. Brazzà, Carte della famiglia
Infessura cit.)
1614. Mandato « de manutendo » simile al seguente « die 17 octobris ».
(Roma, archivio Brazzà. Carte cit.)
16 16. Mandato a favore di Domenico Infessura perchè possegga « prò
« sura alli i} maggio ij^j prese moglie la Vv« Fausta Vipereschi et in dote hebbe la
«di lei robba per istromento di Gio. Grillo not. del v<) sotto >.
592 O. Tommasini
indiviso » cogli altri creditori del q. Iacopo Tolomci in pacifica
e quieta quasi-possessione « ac possessione fructuum redditus et
proventus percipiendi rubiorum vigintì octo casalis noncupati « la
Moratella » positi in agro Romano extra portam Ss. Pauli et Se-
bastiani cui ab uno sunt bona M. de Victoriis, ab alio latere
d. Leonis de Maximis et ab alio l\\^° et Excno d. luliani Ce-
sarini, nuncupati « Piano di Frasone », ab alio tenutam Ardee, ab
alio via publica tendens ad Ardeam, etc. die 28 maii ». (Roma^
arch. Brazzà, Carte, cit.)
1Ó19. Domenico Infessura, morto di anni 70, a' 26 febbraio, sepolta
in S. Maria in Via Lata. (M.)
Archivio Notarile Comunale.
1471. Protocollo di Evangelista Bistiisci, anno 1470-71.
Yesus.
Indictione quarta mensis martii die .xviii.
In presentia mei notarii etc. Egregius vir lohannes Paulus con-
dam Lelli de Infesura, aromatarius de regione Trivii, prò se ipsa
et suo proprio nomine, sponte et ex certa eius scientia et non per
errorem, prò se ipso et suo proprio nomine ac ut pater et legitimus
administrator ac vice et nomine eximii legum doctoris domini Ste-
phani, Lelii, Laurentii, Ceccholi, Antoni! et Dominici eius filiorum
absentium prò quibus et eorum quemlibet dictus lohannes Paulus se
et bona sua prìncipaliter obligavit et promisit de rato et rati habi-
tione et se facturum et curaturum, ita taliter et cum effectu quod
dicti eius filli et quilibet ipsorum infrascriptam perpetuam securitatem
et omnia et singula infrascripta perpetuo ratificabunt, omologabunt^
acceptabunt et observabunt, rata, grata et firma habebunt, tenebunt
et observabunt, et contra non facient, dicent vel venient aliqua ra-
tione, iure, modo, titulo sive causa, sponte promisit et convenit Ga-
sparì condam Baptiste lacoboni, alias dicto Gasparraccio, de regione
Arenule, absenti tanquam presenti, et michi notarlo ut publica per-
sona presenti, recipienti et legitime stipulanti prò dicto Gasbare ac
omnium quorum nunc interest vel in futurum poterit quomodolibet
interesse quod ipse lohannes Paulus prò se nec dicti eius filli nec
alter eorum per sese ipsos, alium vel alios eorum nominibus et prò
eis non offendent nec ofìfendi facient supradictum Gasparem in per-
sona vel bonis, sub pena et ad penam quingentorum ducatorum
auri et legis toUenda et applicanda dieta pena prò medietate Camere
Urbis et prò alia medietate dicto Carpari, tollendà et applicanda to-
// Diario di Stefano In fessura 593
tiens quotiens per ipsum lohannem Paulum vel eius filiorum seu
altero eorum fuerit contrafactum, me notario ut publica persona pre-.
sente, recipiente et legitime stipulante vice et nomine diete Camere
et pactis, renumptians dictus Johannes Paulus prò se et quibus supra
nominìbus capitulo statutorum Urbis loquente de penis conventiona-
libus non exigendis, cum hac provisione et protestatione quod pre-
sens perpetua securitas non valeat nec teneat nisi fuerit per partem
adversam prestita similis securitas et quod non intelligatur fracta nisi
eo modo et forma quo pax frangitur secundum formam statutorum
Urbis. Et ad hec precibus et rogatu dicti lohannis Pauli prò se et
dictis eius filiis et eorum quemlibet providi et discreti viri Paulus
Mancini et Antonius condam Laurentii de Persona, ambo de regione
Trivii, ipsi et quilibet ipsorum in solidum sponte promiserunt et
convenerunt michi notario ut publica persona presenti, recipienti et
legitime stipulanti ut supra quod dictus Johannes Paulus nec dicti
eius filli nec alter ipsorum per sese ipsos, alium vel alios eorum no-
minibus et prò eis non offendent nec offendi facient dictum Gaspa-
rem in persona vel bonis ad penam predictam toUendam et appli-
candam ut supra. Cum provisionibus et protestationibus predictìs
prò quibus omnibus et singulis observandis et plenarie adimplendis
tam dictus Johannes Paulus prò se et dicti eius filli quam dicti eo-
rum fideiussores et quilibet ipsorum in solidum obligaverunt et pi-
gnori posuerunt michi notario ut publica persona presenti, recipienti
et legitime stipulanti ut supra, sese et omnia eorum et cuiusque
ipsorum bona mobilia et immobilia, presentia et futura. Et voluerunt
prò predictis posse cogi etc. Renumptiarunt etc. Et maxime dicti
fideiussores renumptiarunt epìstole divi Adriani beneficio nove con-
stitutionis et omni beneficio fideiussorum. Et generalìter etc. Et ad
maiorem cautelam omnium et singulorum predictorum tam dictus
Johannes Paulus quam dicti eius fideiussores iuraverunt etc. Que
quidem etc. Rogaverunt me notarium etc.
Actum Rome in regione Trivii, in apotecha spetiarie dicti lohannis
Pauli, prcsentibus, audientibus et intelligentibus hiis testibus Nicolao
Petri Pauli et Nicolao lannutii, ambo de regione Columpne, te-
stibus etc.
148 1. lina, 1429-83.
Yesus.
In nomine Domini. Amen. Anno Domini .m^.cccc^.lxxxi. pon-
tificatus Sanctissimi in Christo patris et domini nostri domini Sixti
divina provide»itia pape quarti, indictione .xv. mensis octobris die
ultimo. In presentia mei notarli et testium infrascriptorum ad hec
594 ^' Tommasini
specialiter vocatorum et rogatorum discretus vir Dominicus condam
Petri de Zizi de regione Colupne, cum consensu, presentia, verbo
et voluntate et assensu honeste domine Palotie eius uxoris ac etiam
dieta domina Palotia cum consensu, presentia, verbo et voluntate
dicti Dominici eius viri unus alteri et alter alteri consensiendo, et
que domina Palotia primo iuravit ad sancta Dei evangelia in ma-
nibus mei notarli infrascripti etc. contra infrascripta omnia et sin-
gula perpetuo non facere, dicere vel venire, nec non quo ad hec
renumptiavit auxilio Velleiani senatusconsulti autentice : si qua mu-
lier et omni suo iure dotali, donationis propter nuptias, alimentorum,
parafernorum relictorum, legi lulie de fundo dotali etc. quod et que
in favorem mulierum sunt introducta certificata dieta domina Palotia
per me notarium infrascriptum de dictis legibus auxilio autentica et
iuramento quid sint, quid dicant et quid importent de verbo ad
verbum materno sermone expositum ad omnem ipsius domine ple-
nam et claram intelligentiam etc. Et generaliter etc. unus alter et
alter alteri consensiendo eorum propriis et spontaneis voluntatibus
et non per errorem, renumptiaverunt, quietaverunt et refutaverunt
et per pactum de ulterius et perpetuo non petendo remiserunt eximio
legum doctori domino Stephano de Infessuris de Urbe, de regione
Trivii, presenti etc, videlicet omnia et singula iura, nomina et actiones
reales et personas utiles et directas, tacitas et expressas etc, que,
quas et quod dicti Dominicus et domina Palotia eius uxor et qui-
libet ipsorum habent vel habere possunt etc sibique conpetunt et
conpeteri eis possent quomodolibet in futurum contra dictum do-
minum Stephanum et eius bona pretextu, causa et occasione decem
florenorum currentium in Urbe ad rationem .xlvii. sollidorum pro-
visinorum Senatus per florenum, qui fuerunt et sunt residuum qua-
traginta florenorum similium pretii cuiusdam vince vendite per dictum
Dominicum et dominam Palotiam dicto domino Stephano, de qua
venditione patet manu mei notarli infrascripti, et generaliter de omni
alio eo quod dicti domina Palotia et Dominicus eius vir et quilibet
ipsorum ab eodem domino Stephano petere et exigere possent oc-
casionibus predictis, ita quod presens refutatio et quietatio sit gene-
ralis et generalissima, specialis et specialissima, et si ea venisse in-
telligantur que hic expressa non sunt, ac si de illìs esset facta mentio
specialis. Hanc autem rcfutationem et quietationem et omnia et
singula que dieta sunt et infradicentur fecerunt dicti Dominicus et
dieta domina Palotia, et quilibet ipsorum ut supra eidem domino
Stephano presenti, etc. Eo quia dicti Dominicus et domina Palotia •
supradictos decem florenos residuum pretii vinee predicte ab eodem
domino Stephano presentialiter, manualiter, numeraliter et in con-
Il diario di Stefano Infessura 595
tanti in monetis argenteis habuerunt et receperunt ; post quam ma-
nualem receptionem supradicti Dominicus et domina Palotia et
quilibet ipsorum de dictis .x. florenis residuo predicto sese bene
contentos, quietos et satisfactos vocaverunt et renumptiaverunt exce-
ptioni non habìte etc. Et generaliter etc. Et promiserunt dicti Do-
minicus et domina Palotia unus alteri et alter alteri consensiendo
ut supra et quilibet ipsorum in solidum etc. eidem domino Stephano
presenti etc. quod dieta iura supra renumptiata et refutata erant
et sunt ipsorum Dominici et Palotie, et quod ad ìpsos et quemlìbet
ipsorum spectant et pertinent pieno iure domimi vel quasi, et quod
non sunt alteri vendita, data, donata, cessa, concessa, obligata, pi-
gnorata, nec aliquo alio modo alienata, alìenationis largo modo
sumpto vocabulo, et quod de eis seu ipsorum parte cum aliqua alia
persona etc. factus non est nec factus apparet nec apparebit aliquis
alius contractus etc, et si coritrarium aliquo tempore appareret,
voluerunt teneri et obligati esse eidem domino Stephano et suis he-
redibus et successoribus de evictione etc. in forma iuris valida etc.
et ad refectionem omnium damnorum, expensarum et interesse etc.
Pro quibus omnibus et singulis observandis et plenarie adimplendis
tam dictus Dominicus quam dieta eius uxor et quilibet ipsorum in
solidum obligaverunt et pignori posuerunt eidem domino Stephano
presenti etc. sese ipsos et omnia et singula eorum bona etc. Et
voluerunt prò predictis posse cogi etc, Renumptiaverunt etc. lura-
verunt etc.
Actum Rome in regione Trivii, in domo solite habitationis dicti
domini Stephani, presentibus, audientibus et intelligentibus hiis, vi-
delicet Antonio Sancto Antonii luliani aromatario de regione Are-
nule, et Cola de Montanariis de regione Colupne, testibus etc.
1481. Ihid. 1479-83 e. 82 r.
Yesus.
Indictione .xiiii. mensis iunii die tertia.
In nomine Domini. Amen. In presentia mei notarli etc. Honesta
domina domina Palotia uxor Dominici condam Petri de Zizi de re-
gione Colupne. Q.ue domina Palotia primo iuravit ad sancta Dei
evangelia, manibus tactis per eam corporaliter scripturis, in manibus
mei notarii infrascripti contra infrascripta omnia et singula perpetuo
non Tacere, dicere vcl venire aliqua ratione, iure, modo, titulo sive
causa, nec non quoad hec renumptiavit auxilio Velleano senatuscon-
sulto autentice: si qua muHer et omni suo iure dotali donationis,propter
nuptias, alimcntorum, parafcrnorum, relictorum, legi lulie de fundo
dotali, falcidie, trebelleanice, debito iuris nature, quod et quo in fa-
59^ O. Tommasinì
vorem mulìerum sunt introducta, et generaliter omnibus et singulis
aliis legibus, legum auxlliis iuris canonici et civilis etc, quibus contra
predicta vel aliquod predictorum facere, dicere vel venire, et se
quomodolibet iuvare, tueri et defendere posset, certificata prius dieta
domina Palolia per me notarium infrascriptum de dictis legibus
auxilio autentica et iuramento et de eorum effectibus, quid sint,
quid dicant et quid importent materno sermone expositum de verbo
ad verbum, asserens se de illis plenam notitiam ac claram habere
scientiam, cum consensu, presentìa, verbo et voluntate dicti Domi-
nici eius viri presentis, volentìs, consensientis, et infrascriptis omnibus
et singulis suum consensum prestantis, ac etiam dictus Dominicus
cum consensu, presentìa, verbo et voluntate diete sue uxoris, unus
alteri et alter alteri consensiendo ipsi et quilibet ipsorum tam con-
iunctim quam divisim, omni meliori modo, via, iure et forma quibus
magis, melius et efficacius facere possunt, eorum propriis boìiis et
spontaneis voluntatibus et non per errorem vendiderunt, dederunt,
cesserunt et concesserunt, transtulerunt et mandaverunt in perpetuum
exìmio legum doctori domino Stephano Io. Pauli de Infesuris de re-
gione Trivii presenti, ementi, recipienti et legitime stipulanti prò se
suisque heredibus et successoribus, et cui vel quibus dictus -dominus
Stephanus vel eius heredes et successores vendere, dare, donare, ypo-
thecare vel alienare voluerint, et ementi de suis propriis pecuniis,
presente dicto Io. Paulo eius patre, et sic esse verum confitente et
afRrmante, videlicet duas petias vinearum cum vitibus et arboribus
fructiferis et infructiferis in ea existentibus, plus vel minus quanta
est, cum certa parte vasche, vascalis et tini et statii siti in vinea
ipsius domini Stephani, cum iuribus et pertinentiis suis positis extra
portam Pincianam, inter hos fines, cui ab uno latere tenent et sunt
res Matthie de Normandis, a duobus aliis lateribus sunt res ipsius
emptoris, ab alio sunt res lacobi Laurentii Nutii lacobutii vel si
qui etc, positis sub proprietate cappelle Sancti Nicolai site in ec-
clesia Sancte Marie in Via Lata, ad respondendum perpetuo diete
cappelle unam caballatam musti ad mensuram Senatus Urbis ad va-
scam tempore vindemiarum more romano liberam et exemptam ab
omni alio onere servitutis redditi sive census, cum omnibus et sin-
gulis suis iuribus etc, introitibus et exitibus universis ad dictas res
venditas quomodolibet spectantibus et pertinentibus tam de consue-'
tudine quam de iure, ad habendum, tenendum, possidendum, ven-
dendum, donandum et alienandum, et de dictis rebus venditis per-
petuo faciendum et disponendum ad libitum voluntatis ipsius emptoris
et suorum heredum et successorum. Item eodem titulo venditionis
prefati venditores et quilibet ipsorum vendiderunt, dederunt, cesse-
// T>tario dì Stefano Infessura 597
runt et concesserunt prefato domino Stephano emptori presenti etc.
omnia et singula iura etc. que, quas et quod dicti venditores et
quilibet ipsorum habent, habuerunt vel quomodolibet in futurum
habere possent eisque conpetunt, conpetierunt vel quomodolibet
competere possent in dictis rebus venditis et ipsarum occasione,
contra quascunque personas, universitates vel loca, nullo iure etc.
eisdem venditoribus, in, de et super dictis rebus venditis quo-
modolibet de cetero reservatis, volentes et mandantes dicti vendi-
tores quod ipse emptor prò dictis iuribus et actionibus suo proprio
nomine agat, petat, exigat etc, utilibus et directis actionibus utatur,
fruatur et experiatur in iudicio et extra iudicium, ac de illis faciat
et disponat quemadmodum dicti venditores et quilibet ipsorum de
dictis rebus venditis facere, agere, petere, esigere, recipere et di-
sponere poterant ante presentem contractum venditionis, ponentes
eundem emptorem presentem etc. in predictis in locum, ius et pri-
vilegium ipsorum venditorum, constituentesque eundem emptorem
in predictis procuratorem et verum dominum, sicut in rem suam
propriam. Et per discretum virum Colam dello Roselo testem in-
frascriptum de regione Trivii presentem et acceptantem,quem dicti
venditores eorum constituerunt procuratorem, investiri etc. prefatum
emptorem de dictis rebus per eum emptis voluerunt ac iuxerunt, ad
quam quidem possessionem apprehendendam et deinceps sibi ipsi
retinendam absque ipsius emptoris iurium lesione et alicuius curie vel
iudicis licentia vel mandato vel decreto dicti venditores eidem emptori
presenti' eie. auctoritate propria plenam contulerunt facultatem et
auctoritatem. Et donec etc. Hanc autem venditionem, dationem,
cessionem et concessionem, et omnia et singula que dieta sunt et
infradicentur feccrunt dicti domina Palotia et Dominicus et quilibet
ipsorum ut supra eidem domino Stephano emptori presenti etc.
prò pretio et nomine pretii quatraginta florenorum currentium in
Urbe, ad rationem .xlvii. sollidorum provisinorum Senatus per flo-
renum, de quibus quatraginta florenorum pretio predicto supradicti
venditores et quilibet ipsorum habuerunt et manualiter receperunt
in contanti a dicto domino Stephano emptore presente et solvente
de suis propriis pecuniis, dicto eius patre presente, et sic esse verum
confitente et acceptante florenos' triginta ad rationem predictam
manualiter, numeraliter et in contanti in monetis argenteis capientes .
dictam sumam .xxx. florenorum, reliquos alios decem florenos su-
pradicte emptionis promisit solvere et satisfacere eisdem venditoribus
in vendemiis proximis futuris. Et de inde etc. cum omnibus damnis,
expensis et interesse etc. Postque manualem receptionem supradicti
venditores et quilibet ipsorum sesc de dictis .xxx. florcnis per cos
598 O. Tommasini
receptis bene quietos, contentos et satisfactos vocaverunt et renum-
ptiaverunt exceptionì non habite etc. Et generaliter etc. Et si plus
dicto pretio quatraginta florenorum supradicte res vendite valent,
valerent vel in futurum valere possent, sive fuerit parva sive magna
quantitas, etìam si excederet dìmidiam iusti pretii, eidem emptori
presenti etc. inter vivos irrevocabiliter et in perpetuum dederunt,
cesserunt et concesserunt, quia sic sibi bene facere placuit. Et pro-
miserunt dicti venditores eidem emptori presenti etc. quod diete
res vendite erant et sunt ipsorum venditorum etc. et quod non
sunt alteri vendite, date, donate etc. nec aliquo alio modo alie-
nate, etc. Et quod de eis factus non est nec factus apparet nec ap-
parebit aliquis alius contractus etc. in preiudicium presentis con-
tractus et contentorum in eo et dicti emptoris. Et promiserunt buie
contractui venditionis facere consentire omnem personam etc, et
specialiter dictam ecclesiam, dominam et proprietariam etc. Et pro-
miserunt insuper dicti venditores eidem emptori presenti etc. in, de
et super dictis rebus venditis litem non inferre nec inferenti quo-
modolibet consentire, quin ymmo ipsum emptorem eiusque heredes
et successores defendere etc. ab omni molestante persona etc.
omnemque litem, causam, questionem et omnem iudicium ac omnem
Jibellum in dictis rebus venditis movendum, in sese ipsos eorumque
heredes et successores suscipere et defendere ab omni molestante
persona etc. cum propriis advocatis et procuratoribus a principio
litis usque ad finem omnibus sumptibus et expensis ipsorum vendi-
torum et suorum heredum et successorum etc. Et nichilominus
voluerunt teneri et obligatos esse eidem emptori presenti etc. de
evictione dictarum rerum venditarum in forma iuris valida, etc. Et
ad refectionem omnium dannorum et expensarum et interesse etc,
de quibus stare et credere voluerunt soli et simplici sacramento
dicti emptoris etc. Et precibus et rogatu dictorum venditorum, et
prò eis providi et discreti viri lacobus condam Laurentii Nutii la-
cobutii de regione Trivii, et Johannes condam Luce Cornamusa de
regione Colupne, scientes se ad predicta non teneri nec obligari,
sed teneri et obligati esse voluerunt ipsi et quilibet ipsorum in so-
lidum sponte etc. fìdeiusserunt et fideiussionem fecerunt prò dictis
venditoribus penes et apud dictum emptorem presentem etc. Et
sese facturos et curaturos ita, taliter et cum effectu promiserunt
quod dicti venditores omnia et singula per eos ut supra promissa
observabunt etc, et quod diete res vendite [non] sunt alteri ven-
dite etc. et [quod] facient consentire omnem personam etc. et
quod sunt ipso[rum] venditorum etc Aliter ipsi fìdeiussores et qui-
libet ipsorum in solidum voluerunt teneri et obligati esse eidem
// HDiario di Stefano Infessura 599
emptori presenti etc. ad omnia et singula ad que dicti venditores
vigore presentis contractus venditionis obligati existunt, et in omnem
casum, causarci et eventum evictionis omnium et singulorum pre-
dictorum et diete evictionis, prò quibus omnibus et singulis obser-
vandis et plenarie adimplendis tam supradicti principales venditores
quam dicti eorum fideiussores et quilibet ipsorum in solidum obli-
gaverunt et pignori posuerunt eidem emptori presenti etc. sese
ipsos et omnia et singula eorum bona etc. Et voluerunt prò pre-
dictis posse cogi etc. Renumptiantes etc. Et specialiter dicti fide-
iussores renumptiaverunt epistole divi Adriani beneficio nove con-
stitutionis et omni beneficio fideiussionis, et generaliter etc. Et
iuraverunt etc.
Actum Rome in regione Trivii, in studio domus solite habitationis
dicti emptoris, presentibus, audientibus et intelligentibus hiis testibus»
videlicet Dominico Cola de Roscio de regione Montium, et Petro
condam luliani de Bonsignore de regione Trivii, testibus, etc.
Archivio di Stato in Roma.
1483. Notai Capitolini, n. 1730, e. loo-i.
In nomine Domini. Amen. Anno a nativitate Domini nostri lesu
Christi millesimo .cccc°lxxxiii. pontificatus S"^^ in Christo patris
et d. nostri d. Sixti divina providentia pape quarti, indictione prima
mensis maii die .xviiii. In presentia providi viri Mariani Scalibastri
et mei lohannis Macthie Petri notariorum et testium infrascriptorum
ad hec specialiter vocatorum et rogatorum. Hec sunt fidantie date,
habite, tractate et firmate in Dei nomine etc. Inter eximium legum
doctorem d. Stephanum de Infessuris, curatorem honeste puelle
Antonine eius neptis et filie quondam Lelii ipsius d. Stephani ger-
mani fratris, de qua curatoria patet manu Pauli Stephanutii publici
notarli, presentis et fidem facientis ; prò qua se et bona sua princi-
paliter obligando promisit de rato et rati habitione etc. ex una, et
Antonium filium lohannis Baptiste della Pcdacchia de regione Pince,
cum consensu, presentia et voluntate dicti lohannis Baptiste sui
patris presentis etc, et qui promisit contra infrascripta omnia et
singula non facere, dicere vel venire ratione sue minoris etatis .xx.
seu .XXV. annorum restitutionemque in integrum non potere prin-
cipaliter vel incidenter etc. ex altera partibus. Hinc est quod dictus
d. Stephanus sponte etc. promisit etc. dicto Antonio presenti etc
dare et assignare sibi diciam eius neptem cum dote et nomine dotis
quadrigentorum fior, in Urbe currentium ad rntionem .xlvii. soli-
6oo O. Tommasìni
dorum prò quolibet flor. et cum tricentis similibus fior, expendendis
de comuni ipsorum partium voluntate prò ornatu et acconcio diete
Antonine, et prout et sicut apparet in quodam contractu scripto
manu mei Mariani notarii infrascripti. Et versa vice dictus Antonius,
cum consensu dicti sui patris, sponte etc. promisit et coavenit dicto
d. Stephano presenti etc. et nobis notariis presentibus etc. et sti-
pulantibus prò dieta Antonina etc. dictam Antoninam recipere et
habere in eius legitimam uxorem cum dote et acconcio predictis,
et prout apparet in dicto instrumento scripto manu mei Mariani no-
tarii infrascripti, et promisit tempore receptionis diete dotis curare
super bonis stabilibus dicti lohannis Baptiste sui patris presentis et
acceptantis sufficienter prò dieta dote et donatione propter nuptias
cum fideiussione de evietione partis, de lucranda et restituenda dieta
dote et lucranda donatione propter nuptias, clausulis et cautelis in
talibus in Urbe consuetis et sapientis diete Antonine. Quam paren-
telam promiserunt diete partes ducere ad effeetum infra terminum
octo dierum proxime futurorum, ad penarti et sub pena dueentorum
dueatorum auri applicanda prò medietate Camere Alme Urbis et
prò alia medietate parti fidem servanti, nobis notarii etc. Et prò
malori firmitate predictorum prestiterunt ad invieem osculum oris,
prò quibus omnibus et singulis observandis etc. obligaverunt diete
partes ad invieem sese et omnia et singula eorum bona etc. Et vo-
luerunt prò predictis posse cogi etc. Renuneiantes etc. Et genera-
liter omnia et singula eorum bona etc. Que quidem etc. Et ad
maiorem cautelam omnium predictorum etc. iuraverunt etc.
Actum Rome in ecclesia Sanetorum Apostolorum de Urbe, pre-
sentibus hiis testibus : nobilibus viris d. Lelio de Subattariis et
d. Agapito de Capriolis de regione Pinee, et Christofero de Novellis
de regione Campitelli, ac nobilibus et egregiis viris lohanne de
Buecamatiis capite regionis Trivii, d. Saneto de Craparola legum
doctore de regione Pontis, Francisco de Marganis de regione Campi
Martii et Alto de Nigris de regione Trivi!, ad predieta vocatis etc.
In nomine Domini, eadem die, loco et testibus, et statim post
predieta. In presentia nostrorum notariorum etc. Dictus Antonius
filius dicti lohannis Baptiste, cum consensu, presentia, verbo et vo-
luntate dicti lohannis Baptiste sui patris presentis, volentis et con-
sensientis etc. sponte etc. obligavit et in pignus dotale ac loco pi-
gnoris et ypotece dotalis posuit dicto d. Stephano presenti etc.
et nobis notariis presentibus et stipulantibus prò dieta Antonina etc.
idestquamdam domum ipsius lohannis Baptiste terrineam, solaratam
et tegulatam, et cum loviis in ea existentibus, et cum duobus ortis
et cum claustro retro eam, et cum puteo in dicto claustro existenti
Il nDiarìo di Stefano In fessura 60 1
et cum aliis dictis membris suis universis, positam in regione Pinee,
in loco qui dicitur La Pedacchia, inter hos fines, cui ab uno tenet
d. Sabina uxor q. lohannis Cossa, ab alio tenent res d. Sancte ....
retro sunt res ecclesie S. Marie de Araceli, ante est via publica.
Item etiam quamdam aliam domum dicti lohannis Baptiste terrineam
et solaratam, sitam in regione Pniee, in loco qui dicitur La Scesa,
inter hos fines, cui ab uno tenent res Dominici magistri Pauli Cal-
zolarii, ab alio tenent res Aloysii Falconerii, ante est via publica.
Item quamdam aliam domum dicti lohannis Baptiste terrineam tan-
tum, sitam in dieta regione Pinee, in loco qui dicitur La Pedacchia,
cura parte putei retro eam existentis, inter hos fines, cui ab uno
latere tenent res heredum q. Caroli de Mutis, ab aUo tenet Domi-
nicus Pauli Nutii Laurentii Petri, et ab alio tenet Christoferus ser
Nardi, ante est via publica. Item etiam quamdam vineam ipsius
lohannis Baptiste sex petiarum inter vineam et cannetum cum dua-
bus vaschis et tinis, positam extra portam Apie, in loco qui di-
citur La Valle daccia, inter hos fines, cui ab uno tenet Marianus
Principato, ab alio tenent res dicti loh. Baptiste, et ab alio rivus
aque Apie, vel si qui alii sunt vel esse possunt ad dictas domos et
vineam plures aut veriores confines antiqui vel moderni, et nomina
ac vocabula veriora liberas etc, et generaliter omnia et singula
ipsius lohannis Baptiste et Antonii bona etc. que nunc habent et
in futurum acquisiverint dum hoc pignus et obligatio perdurabunt.
Hoc autem pignus et hanc obligationem dotalem fecit dictus Anto-
nius, cum presentia, consensu et voluntate dicti lohannis Baptiste
sui patris presentis, volentis et consensientis, prò quadringentis flo-
renis in Urbe currentibus dote sibi Antonio promissa per dictum
d. Stephanum prò dieta Antonina sua nepte, de quibus nunc ma-
nualiter dictus Antonius cum consensu dicti sui patris habuit et re-
cepit florenos ducentos, de quibus ducentis florenis post dictam
manualem receptionem se bene quietum etc. vocavit etc. et re-
nunciavit exceptioni non habitorum etc. ceterisque aliis exceptio-
nibus etc. Reliquos ducentos florenos de dieta dote dictus d. Ste-
phanus curatoris nomine ipsius Antonine promisit diete Antonio
solvere et pagare cum effectu infra terminum unius anni proxime
venturi, et deinde ad omnem ipsius Antonii solam et simplicem pe-
titionem etc. cum omnibus et singulis dampnis etc. Et prò dictis
ducentis florenis obligavit diete Antonio presenti etc. quamdam
demuni dicti q. Lelii sui fratris et patris diete Antonine, terrineam,
solaratam et tegulatam positam in regione Trivii, inter hos
fines, cui ab uno latere tenet Laurentius de Infessuris ipsius d. Ste-
phani et q. Lclli germani fratris ante via publica, vel si
6o2 O. Tommasini
qui etc, liberam etc, cum pactis dotalibus infrascriptis, videlicet
inter dictas partes solempni et legitima stipulatione interveniente,
firmatis, videlicet: quod si contingat dictam Antoninam premori dicto
Antonio suo futuro viro sine legitimis et naturalibus filiis ex eis et
eorum comuni matrimonio nascituris, quod tunc et in dicto casu
promisit et convenit dictus Antonius cum consensu dicti sui patris
dictos ducentos florenos nunc manualiter receptos et alios ducentos
restantes, si tunc recepti reperirentur, reddere et restituere d. Hie-
ronime matri diete Antonine, si tunc vixerit, aut cui lex dederit, in
pecunia numerata et non in alia re vel specie infra spatium dimidii
anni a die obitus diete Antonine computandi. Si cum filiis, tunc et
in dicto casu dictus Antonius dictam dotem lucretur ad usumfructum
toto tempore vite sue, proprietatem vero prò comunibus filiis con-
servanda secundum formam iuris et statutorum Urbis. Si vero con-
tingat dictum Antonium premori diete Antonine tam cum filiis quam
sine filiis ex eis et ex eorum comuni matrimonio nascituris, tunc et
in dicto casu promisit et convenit dictus Antonius per se suosque
heredes et successores reddi et restituì facere diete Antonine dictos
ducentos nunc receptos et dictos alios ducentos, si tunc recepti re-
perirentur, in pecunia numerata et non in alia re vel specie infra
terminum dimidii anni a die obitus ipsius Antonii computandi, et sic
per suos heredes et successores restituì voluit etc. Et quia omnis
dos data et recepta meretur donatione propter nuptias secundum
formam iuris et statutorum Urbis, prò tanto dictus Antonius cum
consensu dicti sui patris etc. donavit propter nuptias diete Antonine
sue future uxori Domino concedente super dietis bonis superius obli-
gatis florenos eentum, reddueendos ad .xxv. fior, prò quolibet cen-
tinario, secundum formam statutorum Urbis, cum pactis infrascriptis,
videlicet: quod si contingat dictum Antonium premori diete Anto-
nine sine legitimis et naturalibus filiis ex eis comuniter nascituris,
quod tunc et in dicto casu dieta Antonina dictam donationem propter
nuptias lucretur ad proprietatem ad faciendum et disponendum de
ea prò suo libito voluntatis. Si cum filiis, quod tunc et in dicto
casu dictam donationem lucretur ad usumfructum toto tempore vite
sue, proprietatem vero prò comunibus eorum filiis conservando se-
cundum formam iuris et statutorum Urbis, quia sic actum etc. Et
quando predieta fuerint adimpleta, tunc hec carta nulla sit; alias lieeat
diete Antonine et eius heredibus et suceessoribus propria auctoritate
intrandi etc. Et promiserunt dicti Johannes Baptista et Antonius
huie presenti obligationi et pignori dotali facere consentire d. Ste-
phaniam uxorem dicti loh. Baptiste et matrem dicti Antonii et omnera
personam adiacentem ad omnem petitionem etc. diete Antonine.
Il diario di Stefano Infessura (303
Item promiserunt in solidum quod diete domus et vinca supra obli-
gate sunt ipsius lohannis Baptiste et ad eum spectant et pertinent
pieno iure etc. Quod si contrarium aliquo tempore appareret etc.
voluerunt in solidum teneri et obligatos esse de evictione etc. et
ad omnia dampna, expensas et interesse etc. Et ad hec, precibus et
rogatu ipsorum, et prò eis discreti viri Johannes de Sciarra de re-
gione Montium et Petrus Pauli Cole Rubei de regione Trivii et
quilibet ipsorum in solidum sese et eorum bona principaliter obli-
gando fideiusserunt etc. Et versa vice dictus d. Stephanus, curator
prefate Antonine, promisit etc. dicto Antonio presenti etc. supra-
dicte obligationi diete domus facte prò dictis ducentis fior, consen-
tire facere omnem personam adiacentem etc. ad omnem petitionem
dicti Antonii. Item promisit quod dieta domus est hereditas quon-
dam Lelii sui fratris et patris diete Antonine, et ad dietos pupillos
spectat et pertinet etc. Pro quo et eius precibus et rogatu nobiles
viri Petrus Stephanutii et Paulus Stephanutii eius germanus frater
et quilibet ipsorum in solidum etc. sese et eorum bona principa-
liter obligando fideiusserunt etc. Pro quibus omnibus et singulis
observandis etc. dicti Johannes Baptista et Antonius et eorum fide-
iussores ex una et dictus d. Stephanus et eius fideiussores ex altera
partibus singula singulis comode referendo obligaverunt etc. una
pars alteri et altera alteri se et omnia et singula eorum bona etc.
Et voluerunt prò predictis posse cogi etc. Citra etc. Et genera-
liter etc. Et specialiter dicti fideiussores epistole divi Adriani etc.
Que quidem etc. Et ad maiorem cautelam predictorum iuraverunt etc.
Actum ut supra et presentibus dictis testibus.
Eodem die et coram dictis testibus, et statim post predicta. In
presentia nostrorum notariorum etc. Dictus Antonius sponte etc.
subarravit dictam Antoninam in suam legitimam uxorem per verba :
de presenti vis volo, anulique subarratione ut moris est, cum ver-
bis etc.
Actum Rome in regione Trivii, in domo habitationis dicti d. Ste-
phani, presentibus supradictis testibus. Ego Marianus lohannis Sca-
libastri, cìvis romanus, publicus notarius, de predictis rogatus una
cum supradìcto lohanne Macthia notano meo collega ad fidem etc.
Arch. S. M. in Via L.\ta
1500. Prothocoll. instrum. ab anno 1495 ad 15 14, a e. i6v.
Pacta et conventioncs inhite cum filiis domini Stefani de Infe-
suris prò capitulo Sancte Marie in Via Lata.
6o4 O. Tomm asini
In Dei nomine. Amen. Anno Domini 1500, pontificatu domini
Alexandri pape sexti, indictione 3" mensis ianuarii die .xxvi. In pre-
sentia mei notarii etc. Viri nobiles Marcellus et Mactheus quondam
domini Stefani de Infessuris germani fratres, patroni cappelle sancti
Angeli site in ecclesia beate Marie in Via Lata de Urbe, prò sese
ipsis ac vice et nomine aliorum fratrum prò quibus de rato promi-
serunt in forma, et venerabilis vir D. Andreas de Clementinis, ca-
nonicus et camerarius prefate ecclesie vice et nomine capìtuli et
dominorum canonicorum eiusdem prò quibus et de rato promisit
in forma, parte ex altera, quin prefatus d. Stefanus pater et auctor
dictorum fratrum reliquit diete cappelle unam caballalam musti anno
quolibet supra quandam vineam que nunc deserta est, et ex ea nulli
fructus percipiuntur. Ideo prò bono et evidenti militate diete cap-
pelle sponte etc. devenerunt ad inffascripta pacta et convenerunt
ad hoc ut dieta cappella in divinis deserviatur in hune modum, vi-
delieet quod domini prenominati Marcellus et Mactheus promiserunt
et convenerunt prefato domino Andree presenti, stipulanti prò se et
prefatis dominis canonicis et capitulo, in vindemiis proxime futuris
huius presentis anni dare et satisfacere eisdem dominis canonicis et
capitulo unam caballatam boni et puri musti ad mensurani Senatus
Urbis, videlicet dominus Marcellus tria barilia musti et dominus Ma-
theus barile unum, et elapsis dictis vindemiis facere et curare cum "
effectu ac reperire unum fundum sive proprietatem terrarum vinea-
tarum supra quibus ipsi teneantur et debeant emere et acquirere
eorum suptibus dictam responsionem unius cabaliate musti pp° diete
cappelle ex dictis terris et proprietate annuatim tempore vindemia-
rum debìtam. Et versavice prefatus dominus Andreas nomine quorum
supra promisit dictis prenominatis fratribus presentibus et stipulan-
tibus prò dieta cappella et aliis suceessoribus. In ea quidem dieti
domini canonici et capitulum facient in effectu celebrare unam
missam singulo quoque die lune qualibet edomeda prò anima vi-
vorum et defunetorum ipsorum. Quia sic actum etc. Pro quibus
omnibus obligarunt sese dieti fratres et d. Andreas proprio nomine
ac bona omnia etc. in ampliori forma etiam cum clausulis et con-
stitutione proeuratorum et omni potestate extendendi etc. Et iura-
verunt et rogaverunt me notarium.
Actum Rome in regione Trivii, in domo mei notarii, presentibus
his, videlicet viro nobili Dominico de Casalibus eiusdem regionis
et Io. Piccinino de Caballis regionis Columne, testibus. Bernardus
Petri de Caput gallis not.
Lello Infessura
Ioan Paolo
aromatario nel rione di Trevi
Vannozza Stefano
m. Felice de Fredis m. Francesca
di Valmontone ved. de Paparoni
I rimaritata
a m. Antonio
dei Martinelli
Maddalena de Fredis
m. lacovo di Galeotto
N ormando
Lello
I
Antonina
1
Lorenzo
Ceccolo
m. Maria ..
Antonio Domenico
I
Marcello
Cristofora
m. Giambattista
de' Lianon
I
Lucretia Teofilo
m. Baldassarre
Patrizi
Arme degl'Infessura
1
Matteo
m.Perna Cenci
^.(+1505)
Si rammogha
a Girolama
di Biagio
Giovenale
de' Manetti
nel 1S13
Barto-
lomea
Ver-
gilia
Fran-
cesca
cida
Giu-
stina
Livia Mario
monache in S. Cecilia
di Trastevere
monache in S. Sisto
I . >.
Claudia Flaminia Domenico
m. Giacomo Goggi 1 m. Caterina di lacovo da Ostia
Bartolomeo
ved. di Steiano D'Oria
rammogliato
con Fausta V
ipcreschi
I I
Mario Giampaolo
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI.
40
6o6 O. Tommasinì
IL
Archivio di Stato in Siena, Balia, Lettere ad ann.
ed estratti da lettere.
Lettere di Lorenzo Lanti(i)
e di guidantonio boninsegni.
Magnificis dominis dominis Balie civitatis Senarum, Patribus et
dominis meis singularissimis. Ex Urbe .xxiiii. augusti 1482,
ora prima noctis.
Magnìfici domini Patres et -domini mei singularissimi post ecc.
Scrissi a li .xxii. per maestro Nicola quanto allora si poteva inten-
dare de la rocta data al duca di Calabria. Di poi per molti sono
(i) Intorno a Lorenzo Lanti veggasi Ugurgieri, Le pompe sanesi, p. 321, le cui no-
tizie non sono scevre d'errori. Dal dotto sig. cav. Lisini, direttore dell'Archivio di
Siena, riconosco inoltre le seguenti notizie . fu Lorenzo Lanti figlio d'Antonio, cava-
liere e dottore di medicina, e di Lisabetta di Francesco Malavolti senese, che condusse
in moglie l'anno 1475 con dote di fiorini mille e cento (Denuniie di gabella, a e. 33).
Non è noto l'anno in cui Lorenzo nascesse. Fu tra le persone più autorevoli dell'Ordine
o Monte del popolo ; però quando i fuorusciti Noveschi, che gli- dettero tanto cruccio a
Roma mentre e dopo ch'ei vi fu Senatore, nel 1487 ritornarono in Siena, nel far,
come al solito, le vendette contro tutti i principali cittadini degli altri Ordini, persegui-
tarono il Lanti fra i primi (Cf. Allegretti, Diari senesi in Script. XXIII, col. 823,
anno 1488). Nei libri di Beliberaxioni della Balia, voi. 34, e. 7, si legge: « 1488 agosto 14.
<f Messer Lorenzo Lanti paghi ducati trecento- et non escha di prigione : che paghi et sia
« confinato a Napoli et di longha a Napoli miglia .xl. per tempo d'anni quindici o dia
« securtà di ducati mille di observare el confino » . (Ibid. e. 20) : ai 5 di settembre mo-
dificarono la condanna, dichiarando che, invece di ducati, dovevano intendersi fiorini di
lire 4 l'uno. Ai 16 di settembre (ibid. e. 22) si legge: « Dominus Laurentius Lantus
« deliberaverunt quod possit et sibi liceat vendere per se vel eius procuratorem sua ca-
« pitalia Montis (Monte del sale, specie del Debito pubblico), idest omnia sua capitalia
« prout sibi videbitur, non obstantibus quibuscumque ». E a' 19 dell'istesso mese
(ibid. e. 22) : « Dominus Laurentius Lantus propter non solvisse eius condepnationem in
« tempore, sit absolutus a pena capitali et eidem proroghaverunt terminum unius mensis
« ad eundum ad confinia sibi ordinata » . Ai 22 del medesimo settembre gli officiali di
Balia deliberano: «quod d. Laurentius Lantus in iste mense et quousque vadat ad con-
o finum, stet in domo et non possit exire domum sub incursu etc. » (ibid. e. 24).
Nel 1502 tornò Senatore di Roma sotto Alessandro VI (Vendettini, Serie cronologica
de' Senatori di Roma, p. 100; Vitale, Storia dipi, del Sen. rem. Il, 490). Non si anno
altre notizie di lui: sembra che morisse fuor della patria.
// ni)iario di Stefano In fessura ^07
venuti di là et per le lectare s'è affermato el medesimo. Di poi s'è
inteso meglio el numero et le qualità de li pregioni de li quali
mando la lista inclusa in la presente cioè d'alchuni signori condo-
ctieri e altri oltre a li homini d'arme che erano in numero più
che .ecc. Dipoi sono arrivati hiersera alchuni del signor Roberto, li
quali dicano poi fatta la lista predetta da li villani del paese: sacho-
manni et altri sono andati cerchando hanno trovati per boschi, machie,
valloni e altri luoghi più che cento altri homini d'arme che si erano
aschosi: ne sono arrivati qui in Roma che sono venuti come amici
e sono stati conosciuti e presi et per le campagne di Roma in più
loci e bono numero. La persona del duca vedutosi superare, fuggì
mentre si faceva el fatto d'arme e con bona compagnia verso li
boschi li quali sono longo la marina et fu seguito circha .1111. miglia,
tanto entrò nel boscho, et fuggendo fu più volte quasi postoli le
mani addosso et per grande aiuto haveva da quelli l'achompagna-
vano fuggì : li quali continuo andavano ritenendosi et scharamuc-
ciando per dare tempo a la fuga del duca lo quale dicano fu ferito
in quella fuga: una volta li caschò el cavallo nel passare uno fosso ;
el luogo del fatto d'arme dicano era lontano dal mare circha .viii. mi-
gla. Per infino a hiersera non era nuova alchuna in pal'azo se el
duca fusse morto o vivo. Disse el cancelliere del capitano haveva
mandato a tutti li loci vicini per sapere dove el duca fusse arrivato
e non se ne trovava cosa certa.
Questa mattina è venuto el sindico e camarlingo di Civita di-
vina (i) : dicano el duca per certo essare a Neptunno che è in sul mare
et quasi solo. De le genti sue dicesi non si sa se ne sia salvate in
loco alchuno, excepto la squadra con la quale el duca di Malfi era
andato via per schorta de li carriaggi prima si cominzasse el fatto
d'arme un pezo. Et però dicano el duca si voleva levare dinanti a
costoro: ma furo soliciti agiognarlo in campo in atto di partire. Di-
cano che li Aragonesi si portorno benissimo di quello potevano,
taliter che dell'una parte e dell'altra sono morti più che .mcc, feriti
numero grandissimo, morti cavagli assai. Però dicano alchuni essare
morti pochi di quelli del papa. San Piero ad Vincula dice el con-
trario et questa Victoria fuit cructissima con perdita di molti homini:
in lo intrare si fece in campo, che si passò per bocha de le bombar-
darie, dicessi quasi tutti li ianizari, perchè non vanno con molta arme,
furo amazati. Questa mattina mentre era el pon. a Sancta Maria in
Populo a la messa sono venuti li sindici di Marino a portare le
(1) Cost il ms. È Civiu Lavinia, clve l'Infcssura chiama «Civita Innlvina •> e « Civitn
« Nevint ».
^o8 O. Tommasini
chiavi, ieri essendo esciti li villani li serrorno le porti et sonosi dati
al papa. Civita divina ha fatto el simigliante. Dicesi le bombarde del
duca erano a Civita divina : non hebbe tempo a levamele, l'à perdute.
Stimasi se durasse la fortuna del mare ch'el duca non si posse imbar-
chare sarà pigiato là dentro in Nettuno. Fu ferito el conte di Petiglano,
non però gravemente.
Hieri venne cavallaro di Lombardia con nuova certa de la presa
di Rovigo e tutto el Polesine. Q.ui è fatta grande festa et io per parte
de le S. V. col pontefice et altri s^» car. ho fatto el debito in ralle-
grarmi de la felicità di Sua B. cioè con li suoi cardinali quali sono
contenti de la Victoria. Q.uesti,de la lista entraranno domane in Roma:
dicesi saranno menati per li loci di Roma frequentati et con molto
strepito a mostrarli al popolo.
Mentre scrivevo la presente sentii uno grande strepito verso
Campo di Fiore. Mandai a vedere. Era il conte Girolamo che menava
con lui el duca di Melfi con alchuni di quelli de la lista. Di lì a uno
pezo arrivò cavagli e fantaria in bona quantità li quali ordinata-
mente andavano a due, uno de la Chiesa et uno pregione per la mano,
tutti a piei che fu el numero de li homini d'arme pregioni secondo
mi fu riferito .cclx. in circa, li feriti gravemente sono rimasti. Di poi
veniva lo stendardo del duca strascinandosi per terra : diretro a lo
srendardo era el resto di quelli de la lista et più altri infra li quali
è Nicolò Petrucci. Tutta questa turba fu menata in palazo al pon.
Dirietro a tutti erano parechie squadre per guardia di costoro. Di
nuovo non c'è altro per ora : basti questo poco. Molto a V. S. mi
rac. Ex Urbe .xxiiir. augusti 1482 ora prima noctis.
E. p. V.
Servitor Laurentius de Lantis.
\In un foglietto aggiunto'] : Duca di Melfi Rossetto da Capua
D. Maticello S. Baptista da Colalto S. Aloysì da Capua
S. Vicino Orsino S. Hieronimo da Mugnano D. lacobo della
Mottella lacomo Caldora Georgino Dassarrara D. Pietro
Favolo de la Sassetta El maior domo Antonello Pancoli
lohanni de la Vada Ferrante ciciliano El barone Quia-
letta Bisballe Ralniro da Lorgnino Molti gentilomini de
la guardia del duca di Calabria et molti homini d'arme assai in
modo sonno più di .ccc 300
Il diario di Stefano In fessura ^09
Concistoro, Lett. ad ann. 1483. Laurentius Lantus dnis prio-
ribus gubernatoribus comunis et capit. ppli civit. Senar,
Rome .XVII. ianuarii 1483, ora .111. noctis.
El prefecto non è perancho conducto con li Fiorentini secondo
oggi ma decto el card, di Sanpiero ad Vincula. Lo quale si lamenta
tanto delle S. V. che non lo potrei dire né scrivare, né vole accet-
tare excusazione alchuna, et che la fama d'essare condotto da le S. V.
ha fatto che la liga nolo ha voluto condurre. Invero si muove senza
ragione: per me li furo offerti .vi. ducati giatanti mesi quando le
S, V. melcomandaro con quelli modi etc. Et lui non volse accettarli
che ne voleva .xii. per .lxxx. coraze come scrissi. E se la lega lo
volesse condurre quella ombra non li farla danno. Altra cagione lo
move. In effecto ce'lo habbiamo perduto. Cosi oggi me ha ditto, che
non faccino caso le S. V. più di sua benivolentia. Io a tutto sempre
ho modestamente risposto, tamen rimase corrucciato. Quello che si
sia sappìno le S. V. chel conte e Sangiorgio sono el tutto, luì pò
fare poco male e poco bene. Questo è in effetto e questo ho da buon
loco; pure ho voluto advisare le S. V. del tutto. Le quali per gratia
questa parte terranno in bon secreto.
Ibid. id. eisd. Ex Urbe .xxiir. ianuari 1483.
El card, di Rovano stanocte passò di questa vita ale .vii. ore. La
robba andò in casa del conte excepto che per lo cielo dela chiesa
li fu entrato in uno suo riposticolo secreto et levato oro et argento
chi dice .xxxx. et chi .lx. due. La cosa non si sapeva. Tiensi per certo
sia stato uno canonico de Maximi, uno prete spagnolo et uno fameglio
del prete di quella chiesa. La robba andò a Venetia già più dì sub
colore chel canonaco andava a Padua a studiare. La casa sua è data
a Sangiorgio, li benefitii en parte distribuiti. El camarlengato a San-
piero a Vincula et a Sangiorgio per ancho nolo certo.
Ibid. id. eisd. Ex Urbe .xxv. ianuarii 1483.
El cardinal di Sangiorgio è creato camerlingo. Qui si dicano
delle cose assai et che la cita nostra babbi hauto garbuglo questi dì
passati: io ignaro di queste cose non so che rispondare a chi mi do-
6 IO O, Tommasini
manda e talvolta sto in casa per dubio di non essare domandato di
quello non saprei rispondare.
Qui è carestia grande di tutte le cose.
Lettera di Guidantonio Boninsegni oratore alla Balia di Siena.
Ex Urbe die .xvii. martii 1484.
Apresso sabato passato la S^^ del papa essendo in uno suo giar-
dino prese un poco di freddo el quale li de alteratione et non pi-
chola, cioè collica et frebbe. Del che ne seguì che essendo stato
affermato qua da uno certo astrologo che sua S^^ doveva morire
niezedima a di 16 del presente, quasi per tutti si teneva et giudi-
cava che Sua S*^ il di doveva morire. Et alcuni fondaghi di geno-
vesi a Ripa sgombrarono et redussero le robbe a luogo salvo. Il
cardinale di S" Pietro a vincola fé alcuna provisione in Castello
Sancto Agnolo. Li Orsini anno preso ponte Molle et due altri ponti
in sul Teverone et due porti di Roma. In monte Giordano è gente
assai et bene aordine. Tutte però gente romana, partegiani delli
Orsini inmodo che per tutti si stima che, seguendo la morte sua,
qui haverebbe a essere scandali et non piccholi; perchè se sene
dubbitò al tempo dela morte del pontefice passato, molto più sene
dubbita hora, perche a quel tempo li Colonnesi erano deboli sfavo-
riti, hora si sono alquanto riavuti, favori assai di tristi et malcon-
tenti in modo che, quando seguitasse la morte dèi pontefice, si dub-
bita assai non fusse più scandali hora che allora. Questa mattina
per molti si afferma la Sua S" non bavere troppo male, ma pure
iersera bavere havuto intramento di febbre che pure ne da suspitione
perchè si afferma, oltre al primo termine che fu ieri datoli da questo
astrologo, essergline dati due altri; uno per tutto questo mese; l'altro
per tutto maggio.
Balia. Laurentus Lantus dnis prioribus gubernatoribus comunis
et capii, ppli civit, Senar. Carteggio, 1884. Ex Capitolio
- .xiiii. aprilis 1484.
Sappino le V. S. ch'el papa ha posto el tutto in lo governo del
conte et Sangiorgio: el temporale, spirituale, denari et ogni cosa, et
non mancharia indice che desse la sententia al modo loro. Ora che
lo pare bavere conclusione di pace minacciano ogni homo
Misser Nicolò da Castello è venuto e cosi le cose di là si pos-
Il diario di Stefano Infessura (>\i
sano mectare per composte et assectate. El prothonotaro colonnese
hieri concluse con costoro la restitutione de li contadi; et a lui e
fratello si rende li denari. Virginio Orsino si pigia quelli contadi
d'Albi et Tagliacozzo.
Ihìà. là, eisd. Ex Capitolio .xiiii. mai 1484.
A me è fadiga assai a cavalchare spesso, perchè quando el Se-
natore esce di casa mena circha cento fra cavagli et a piedi.
Ibid, id, eisd. Ex Capitolio .xxii. maii 1484.
El signor Paolo Orsino non è più condocto. Ecci el s. Virgino.
La materia di Taglacozo et Albi tra loro e Colonnesi è più intrigata
che mai: Antonello Savello co le spalle de Colonnesi a questi di
assaltò li alloggiamenti del s. Paolo et li tolse molti cavagli vicino
a Lamentano. lernotte prese una terra di casa Conti. Si chiama To-
richia vicino a Velletri. Le cose stanno qui sollevate assai
Di poi scrissi insino a qui, veduto fare preparatione di gente et
d'arme a Monte Giordano casa deli Orsini, li Colonnesi si posero
a ordine per modo che tutta la nocte passata di venardi, venendo el
sabato, Roma è stata in arme, ogniuna de le parti proveduta; et perchè
hieri era deliberato mandare a recuperare Torricchia et ponare a or-
dine li Orsini, la cosa è bollita per modo che stimo el papa ci vorrà
pensare meglo. El carie Colonna non è in Roma. Ecci el prothono-
tario da Marino, Savello et tanti deli loro che bastano per fare ogni
pericolo.
Ibid. id, eisd. Ex Capitolio .xxix. maii, 1484.
Roma, perchè cole spalle de Colonessi fu tolto Tonchio a li Conti
amici degli Orsini, sta tutta in arme et dubitasi non si facci un dì qualche
grande tramazo. Li fuorusciti nostri si sono achostati con quelli dela
Valle che sono Colonnesi et minaciano ognomo.
Ibid. id. eisd. Ex Capitolio ultimo mai 1484.
Mag'^ dni Patres et dni mei humili recommendatione. Vedendo el
pontifice le insolentic si facevano per lo s. Antonello Savcllo, el s. Lu-
6i2 O. Tommasini
cido et molti altri, ac etiam la poca obedientia del populo di Roma,
deliberò hìeri bavere in poter suo el prothonotario di Colonna sig." di
Marino, Cavi et più altri loci ; lo quale con li soi partegiani si fé' forte
in casa del cardinale Colonna, lo quale era absente. El che sentendo
ditto prothonotario conli suoi partegiani mandò a ochupare una de le
porti di Roma, cioè porta Maiore, et mandò a dire a li frategli et
altri s" de la sua factione che venissero a Roma da li castelli loro
assai vicini, cioè Colonnesi et Savelli. El papa sapientissimo volse pre-
venire. Convocate le genti d'arme sue et fantarie con tutto lo sforzo
di casa Orsina, andò el conte a la ditta casa de Colonnesi in squadre
ordinatamente. Et subito assaltare dieta casa verso la montagna et
dale coste. In lo primo impeto furo morti et feriti di tuttedue le
partì. Et durò el facto d'arme circha unora e terza: tandem li Co-
lonnesi furo venti. El prothonotario preso et menato in Castelsancta-
gnolo al colchare del sole. Fu ammazzato lo s. Giovanfìlippo Savello
et più ahri, circha .xxx. in tutto : presi alquanti loro partegiani li quali
si crede capitaranno male: la casa posta a sacho et poi arsa. La
porta si recuperò. Questa notte li partegiani loro principali in bona
parte si sono assentati e naschosti. Questo ponto si combatte in
Trastevare certe case di loro partegiani. Et una nell'isola d'uno Renzo
Francescho vanno posto fuoco. Et stimasi saranno guaste parecchie
case et molti appichati. Per insino aora è fatto assai. Dirò una cosa
per bene che non la tengo molto certa.
Uno fuoruscito, non deli picholi, vedendo attachato questo ro-
more, hieri dolendosi de la fortuna, disse chel s. Paolo Orsino ha-
veva preso licentia, et non haveva preso soldo dal papa, per venirsene
a Siena a rimectargli in casa et che a tutto era fatto bono provvedi-
mento, se questa cosa de Colonnesi non havesse turbato. Le parole
decte tenete per certe sopra di me. Se è vero non so. Per mio de-
bito ho voluto dare questo adviso : le V. S. discerneranno el vero
et anch'io starò a vedere li andamenti. Non si vole bavere paura
né temere: ma aprire li ochi.
A li .X. di giugno a Dio piacendo fornirò l'ojffitio mio. Et Dio
volesse che mai lo havessi principiato, per le molte adversità ho so-
stenute. Et maxime di non essare pagato. Per l'amore di Dio S""^ miei
recommandatemi per lectare efficaci come ho più volte suplicato.
Tutti li fuorusciti lavorano contra di me. Et hanno deliberato che le
V. S. non ci tengino oratore et minacciano, finito l'offitio, tormi la
vita. Prego le V. S. non mi abandonino in questo pericolo.
Maestro Ambrosio di Sancto Austino presente latore è stato qua
più dì per alchune sue faccende apartenenti all'Ordine. Et per quanto
babbi inteso non s'è travaglato con persone suspecte al Reggimento
// diario di Stefano In fessura 6i^
In omnibus lo recomando a le S. V. a le quali molto mi raccomando.
Ex Capitolio ultimo maii 1484.
Servitor Laurentius Lantus
Senator Urbis.
Ibid. id. eisd. Ex Urbe .xviii. iunii 1484.
Magnifici dni Patres et dni mei sing. hùli r^e. Non si maravi-
glino le S. V. se dapoi scrissi la novità et presura del prothonotario
di Colonna, non ho molto fi-equentato lo scrivare. Enne suto cagione
le molte ochupationi et cose ochorse dipoi per servitio del ponte-
fice in bavere l'ochio che li altri Colonnesi di fuora et di dentro, che
li tre quarti di Roma si dice essere Colonnesi, non havessero fatto
qualche nuovo scandalo. Anchora non è ochorso dipoi cosa notabile.
Come per altra scrissi, el campo de la Chiesa andò contra Marino
et si fermò a Grottaferrata, vicino a Marino mancho d'uno miglo :
et al Borgecto h presso, quegli di Marino assaltare ochultamente Grot-
taferrata in aurora. Fu preso m. Sinolfo commissario, menato a Ma-
rino et subito relassato. Leone da Montesecho morì d'uno passatoio :
furo amazati assai cavagli ale mangiatoie. El s. Paolo Orsino si
salvò in lo campanile. Dipoi si sono fortificati di gente et ripari tale
che ognuno si sta a casa. Li Colonnesi hanno scritto al pontefice
sono boni figliuoli di Sua S^^, et non hanno colpa alchuna. Se el pro-
thonotario loro ha errato, ne facci iustitia. Et invochano sempre el
nome de la Chiesa, non di meno voglano lo Stato per se. El ponte-
fice ha decto li vole disfare per ogni modo. Fanno conto bavere in
campo squadre .xvi. fanti 800. Dicesi li Colonnesi si partano da Ma-
rino, et fannose forti in Rocha di Papa. Le V. S. pregino Dio che
duri la guerra. In caso s'aconciasse queste cose, di che dubito per
molti respecti, questo umore si porrla voltare in paese: et dico a le
S. V. haviamo da regratiare Dio. Non mi extendo più perchè sto a
sindacato et costoro mi tengano le mani ne capegli: da lunedì in là
sarò mio homo, a Dìo piacendo; sarà finito et allora alzarò la visiera.
Ho conferito tutto con Et dico che bisogna tenere li
ochi aperti.
De la materia d'Orvieto farò quanto V. S. mi comandano et già
ho parlato con alchuni de la Camera. Al camarlengo et a chi è bi-
sogno farò tutto intendare. Nec plura. Molto a V. S. mi r. Ex Urbe
.XVIII. iunii 1484.
E. D. V.
Servitor et orator
Laurentius Lantus.
6 14 O. Tommasini
Ibid, id, eisd. Ex Capitolio .xx. iunii 1884.
Scrissi la ruina de Colonnesi. Dipoi è seguito chel papa ha man-
dato el campo a Marino. Per ancho non se acostato. Sta a Grot-
taferrata. Continuo cresce la Chiesa, cioè fantaria, et mectano a ordine
questi Orsini. Dicesi che lo s. di Camerino, lo quale è soldato de li
Venitiani, aiutava li Colonnesi. Per ancho non se scuperto alchuno
in loro favore
È stato taglato la testa al s. lacomo de Montefortino perchè
era in casa de Colonnesi el di de la novità.
Ibid. id. eisd. Ex Roma .xxvi. iunii 1484.
.... dipoi è seguito che havendo in tucto deliberato el pontefice di
fare punire el prothonotario Colonna, di levargli la testa, proseguire
la impresa contro quella casa, essendo carichi molti carri di bom-
bardarla et artaglarie che ne vidi .xii. innanti Castello Sanctagnolo
et altre preparationi a la destructione loro, è nata praticha dachordo:
la cosa si porta molto secreta. El papa voleva Marino, Rocha di
Papa et Ardea. Li Colonnesi le volevano ponare in potere del col-
legio: come si sia, hieri vennero quattro statichi di Marino. Questa
mattina in palazo et per tutta Roma è ditto che Marino è assegnato
al commissario del papa. Pare sia dato principio a lo achordo. Al-
chuni dicano non è per achordo tanto strecto.
Ibid. id. eisd. Rome ultimo iunii 1884.
Scrissi sabato per lo procaccio quanto ochoriva et quello sen-
tivo del trattamento dela concordia. Dipoi è successo che non vo-
lendo li Colonnesi consegnare Roccha di Papa et Ardea al pontefice
et in suo proprio potere, questa mattina ale .vini, ore fu taglata
la testa al prothonotario Colonna: li carri et artaglarie continuo
creschano : el papa ha deliberato disfare li Colonnesi : la dieta execu-
tione fu fatta in Castello diSancto Agnolo. Non s'è mosso alchuno.
Chi ha male suo danno. Chi è vittorioso usando la prudentia dà
legge ad altri. El populo bolle umpoco e poi tace. Così hanno fatto
costoro. Non so che seguirà apresso : Marino è in potere del papa.
Alchuni dicano li Colonnesi noi potevano tenere, però lo lassano per
redursi al più forte, cioè a Rocha di Papa, Nectuno, Cavi et altri
loci: alchuni dicano per placare la mente del pontefice persuasi da
cardinali et cittadini de Roma. Dicesi che questa notte partiranno
questi carri et artaglarie, per che loco non si può sapere et forse non
Il 'Diario di Stefano In fessura 6i^
è deliberato : chi stima a Rocha di Papa et chi ad Ardea. Per li Co-
lonnesi non s'è scoperto alchuno per quanto s'intenta.
Come per altra scrissi finii loffitio. Fui sindicato et absoluto. Soli-
cito le polìze e pagamenti. Ho contraria la dispositione delli tempi,
né ancho trovo molto favore La peste fa danno assai per tutta
Roma.
Ihid. id. eisd. Rome .11. iulii 1484.
In questo ponto che sono le .vini, ore passa el conte Girolamo
con le squadre qui dinanti a casa et va fuore la porta di Sangiovanni
contra lì Colonnesi. A che loco in particulare non so : le caria de le
bombardarle, secondo sento, andaranno apresso. El populo di Roma
secondo le voluntà parla variamente. Molti laudano et molti biasi-
mano. Credesi li Colonnesi faranno male, perchè non è scoperto al-
chuno in loro favore.
Ibid. id. eisd, Rome .11. iulii 1484.
Scrissi la morte del prothonotaro CoIona. Poi la partita del conte
in campo. Oggi li carri de le bombarde et tutte artaglarie sono par-
tite con la fantaria verso le terre deli Colonnesi. In questo ponto è
suto decto chel campo si pone in mezo tra Paliano et Cavi. Tutto
con favore di casa Orsina si fa, et gridasi orso orso. Li contadi di
Taglacozzo et Albi sono in potere del s. Virginio. Stimasi univer-
salmente li Colonnesi capitano male questa volta. In questo ponto
uno di Marino, lo quale mi ha venduto orzo, ma decto la cagione
de l'arrendersi Marino : fu perchè li homini di quello loco non vole-
vano perdere la ricolta, et per questo li S" presero partito di las-
sarlo, et che facessero li fatti loro lo meglo potessino. Si li Aquilani
non eschano in difesa deli Colonnesi, per eh el conte di Montorio
è loro parente, le cose loro passano male.
Ibid, id, eisdem, Rome .viii. iulii 1484.
Roma non potrebbe essare peggio contenta. La ricolta è stata
robbata, buona parte più daglamici che da li inimici. Et Orsi e Co-
lonna ogni homo ha perduto di qua da Tevare.
Ibid, id, eisdem. Ex Roma .xi. iulii 1484.
Scrissi di quanto era ochorso li preteriti giorni. Et tandem la par-
tita del campo con le artaglarie et bombarde. Dipoi non c'c altro
6i6 O. Tommasini
se non che si sono accostati a Cavi, fanno li ripari per piantare le
bombarde et hanno presa una torre di guardia, era fuore di Cavi
circha uno miglo. Per ancho nullo si scuopre in favore de li Colon-
nesi. È vero si praticha lo achordo et questo molto piacerla al re.
El pontefice si mostra duro : chi stima di si et chi del no : li Colon-
nasi hanno impegnata una loro terra al conte di Fondi; hannone ri-
ceute parechie migliara di ducati. Dubitasi con quegli haranno fanti
dal Aquila e così potrebbe abonazare la cosa et nasciare achordo.
Ihid. id. eisd. Rome .xviii. iulii 1484.
non è successo altro doppo la mandata de le bombarde et ar-
taglarie, se non che hanno cominzato a trarre a Cavi. Ne si sente
però habbino fatto lesione notabile. Dicesi che dentro in Cavi sono
circha 80 Romani partegiani di quelli Colonnesi homini di bassa mano
li quali molto stanno intenti a la difesa con circa .ce. fanti forestieri
e che danno molestia assai al campo. El capo loro è el s. Antonello
Savello ribello del papa. Sento Cavi è situata in modo che non sì
può assidiare. Vero è le bombarde la possano guastare quasi tutta
perchè sta in una costiera relevata. È suto ditto lo s. Cola Gaetano
è andato vicino a lanazano per sochorrare con .xxxx. homini darme
et fanti. Non trovo però la cosa vera. Molti parlano secondo el de-
siderio. Per ancho di vero non s'intende habbino aiuto scoperto da
alchuno potente. La cosa passa mezanamente. Stimasi che li homini
desperati di sochorso vedutosi guastare le case et le possessioni pi-
gliarano partito. Et essendo Cavi loco principale et più forte, in caso
piglino partito, li altri faranno el medesimo ; et così la guerra po-
trebbe finire presto.
Ibid, id. eisd. Ex Roma .xxiiii. iulii 1484.
hieri venne al pontefice uno auditore del conte lo quale disse
che la rocha di Cavi era per terra in modo che al campo non po-
teva fare lesione alchuna et che le mura de la terra vicino la rocha
erano per terra taliter vi si può entra in squadra, e da la rocha
non si può ricevare lesione in lo intrare, in tal modo è minata. Mo-
strava essare venuto per intendare se la S^^ del pp. si contentasse vo-
lerla a patti o che si ponesse a sachomanno : et affirmava ditto au-
ditore a più cardinali presente me essare in libertà del conte pigliarla
a che modo si contenta. Alchuni altri dicano essarvi dentro grande
fantaria e non si dimostra : aspectano si dia la battaglia per coglare
el campo in disordine. La terra anchora è molto ruinata da le bom-
barde, et più volte è stato tempo da scuprirsi se vi fusse gente fo-
// diario di Stefano Infessura 61 j
Testiera, sì per assaltare e ripari come per altre oportunità. Né si sente
vi sia aiuto forestiero. Del s. Cola Gaetano et del conte di Montorio
non fu cosa vera. La più parte giudica che Cavi sia spacciata. È vero
li Colonnesi hanno lo Piglio, lanazano, Rocha di Papa et Neptuno,
loci da fare resistentia come Cavi o più.
Questa sectimana due cardinali si sono parlati col cardinale Co-
lonna in uno loco si chiama la Maglana. Dicesi per ordine del pp.
et eh el cardinale preditto sachorda col pontefice. Se fusse vero re-
starla a fare poco. Et cosi la guerra saria finita perchè le cose forti
restanti sono sue quasi tutte.
Ibid. id. eisd. Rome .xxviii. iulii 1484 a ore .xxiiii.
Questa nocte passata venne nuova di campo al pon. dal conte
et a li oratori del cancelliere del s. Lodovico Sforza è là col- s. conte
come hiersera li S" di Cavi renderò quella terra in potere del conte
come capitano di Sancta Chiesa, salve le persone et robbe, et cosi li
S" et lo s^e Antonello Savello e frategli vennero in campo a baciare
la mano al capit" et andarosì con Dio ad altre terre vicine acompa-
gnati etc. Dicessi è suta opera del prefato s. Antonello, lo quale è
acconcio lui et li frategli in questo achordo col duca di Milano con
buone conditioni. Et questo è vero. Manchando a Colonnesi el pre-
fato s^e che faceva el tutto et era capo de limpresa, si può mectare
questa cosa de Colonnesi al parere di molti expedita. Maxime come
per altra scrissi el car.le Colonna vole essare dachordo col papa :
ho voluto indutiare insino a questa sera lo scrivare per bavere la
cosa più certa
Sonmi ingegnato et per via del prefato oratore (i) et per
altri mezi intendare che sia la cagione che le cose publiche no-
stre et ancho deli privati cittadini nostri hanno tanto malo recapito
in questa corte : intra li quali so io. Emi dicto che il conte e San-
giorgio hanno tanto grande sdegno che non furo compiaciuti deli
grani domandar© a le S. V. che non lo possano dimenticare. Et di-
cano con ciaschuno non potere bavere piacere alchuno da questo
presente stato. Et volontieri vi rendarebbero cambio.
Ibid, id. eisd. Rome .111. augusti 1484.
El campo andò alla torre di Piscoli come per altra scrissi (2).
Nuova non c'è hoggi che babbi fatto : seguitasi contra li Colonnesi.
(i) Fiorentino.
(a) Q)iMt« lettera manca.
^i8 O. Tommasini
Dellachordo se ne ragiona. Però l'oratore fiorentino dice non crede
si faccia per ora et chel conte mostra volergli spacciare in tutto et
stima bavere quello Stato per se.
Ihid. id. eisd. Ex Roma .xiii. augusti 1884.
Questa nocte a le tre ore piacque al Nostro S" Dio chiamare a
se el papa, Requiescat in pace. La sua infermità è stata gocciola:
hìeri a ora di terza fu in pericolo. La nocte ne cavò le mani.
Ibid. id. eisd. Rome .xiiii. augusti 1484.
Hieri per Pachanino advisai le V. S. de la morte del pontefice
et volsi prima vedere che scrivare. Dipoi fu corso a furore di po-
pulo a casa del conte, saccheggiata, guasta, porti, finestre, ferrate,
giardino, et se non fusse la diligentia deli conservatori et altri of-
fitiali di Roma era abruciata. Oggi el conte è venuto a ponte Molle
colla gente d'arme da .X. squadre et circha 800 fanti cole spalle
deli Orsini. Stimasi per molti faranno prova di fare papa per forza
ala intentione loro. Sono stati sacheggiati li magazeni di Ripa
deli Genovesi. La terra è tutta in arme. Li fuorusciti nostri atti a
ciò, sono armati a la casa del camerlengo. La città è tutta in arme
e Castelsanctagnolo si tiene per lo conte.
Ibid. id, eisd. Rome xvi. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissìmihumili ree. etc.
Scrissi sabato quanto per insino alora era ochorso. Dipoi el colle-
gio si congregò in casa del camarlingo et deliberò in primis bavere
la possessione di Castello Santo Agnolo. Mandaro al castellano lo
quale è el veschovo di Narni, lo quale rispose essare vice del conte.
Mandato al conte fece risposta bavere hauto el castello in guardia
dal papa et promesso conservarlo al successore et così intendeva vo-
lere fare: li cardinali congregati un'altra volta udite tali risposte con-
sultare tra loro: li pareri sono stati diversi et tandem con poco achordo
si partirò. Dunde è seguito che lo Orsino, Conti, vicecancelliere e
Sangiorgio si sono strecti insieme et raunatisi a lo loco già detto,
dove qualche volta v'è andato Novara, Milano, Girona et Agri o
alcbuno di loro : San Pietro ad Vincola, Molfecta, Parma e San Chi-
mento non si sono voluti mai più congregare. Dunde è iuditio di
molti che li predecti quattro s'intendano col conte, cioè San Giorgio
// Diario di Stefano Infessura ^19
e compagni decti, a fare papa el vicecancelliere o quello de Conti per
mantenimento del conte, casa Orsina e de li seguaci loro : et questo
tacite mi ha confessato San Piero ad Vinchula e qualche altro, per
la qual cosa aspectano San Marco, Siena, Foschari, Santagnolo, Ra-
gona e Colonna. Savelli venne hiersera con grande stuolo di gente,
500 o più: Colonna s'aspecta d'ora in ora con molto malore e tutti
questi signori Colonnesi e Savelli con molta gente maxime fanti. Di
cavagli si dice hanno circha .c°.homini d'arme. Del popolo di Roma
li tre quarti. Et in effetto hanno deliberato havere el Castello a peti-
tione del collegio prima si venga a lectione delpon. et non si voglano
raunare più a tale effecto. Cosi ciaschuno solda gente e empiesi la
casa. Questi cardinali danno tre ducati el mese e le spese. El conte
era venuto co le genti come scrissi fece deliberare tra quegli cardi-
nali potè congregare che nullo barone potesse entrare in Roma. E
così lui entrò in castello. El campo col s. Virginio andò, a le terre sue
più proxime : exceptuo tre squadre che sono a Roma. Questi altri ba-
roni non observano tale decreto. Ogni homo è in arme. La cosa sta
in modo che si stima si farà una spartitura prima che si facci papa.
Alchuni cardinali si vanno mectendo di mezo, Napoli, Agri e simili :
nondimeno el conte sta fermo e vole co la parte decta restare grande.
Li adversarii non voglano comportare e cosi si stima venuti saranno
quest'altri si farà co le mani e dubitasi di cose strane che Dio cessi se
è per lo meglio per noi. Fu vero che li usciti per lo trattato havevano
cominzato ad aviarsi. Li fanti forestieri volevano essare chiari et
denari innanci. Messer Cino e compagni non furo d'achordo a lo
sborsare e contentarli e così con discordia si partirò chi qua e chi
là. A Foce era la fusta di Piombino, la saectia di Civita Vechìa,
el brigantino di Corneto per levargli secondo dice l'amico. Marchione
Zocho havendoli aspectati in quelli mari, veduto non venivano, venne
a Ostia. El castellano havendo saputo la morte del papa a quello
incognita, lo prese e tolsegli le galee e così lo tiene pregione. Incre-
scemi non havere possuto usare una cortesia a quello che revelò, che
è danno e vergogna.
Li Colonnesi hanno recuperato Cavi, Mnrufa, la Torre e tutto et
hanno guadagnata quasi tutta l'artigliaria e bombardaria.
Roma 6 tutta in arme. Stanocte si sono già afrontati e feritosi molti.
Ogni homo si vendica, robba, fura e ogni male si fa, ogni ribaldo ha
libertà. Io escho di casa con grande pericolo per li esciti che sono
soldati di San Giorgio: se mi aniazasscro saria poco honore. Al pu-
blico bisogna havere la scorta de li amici li quali non ho, così ogni
volta bisogna vorrei ora essare ogni dì co li cardinali come li altri
oratori che vanno bene accompagnali e recomandare, trattare, maneg-
620 O. Tommasini
giare etc. e che paressemo vivi non morti, intendare, advisare etc.
Non lo posso fare, non ho denaro e mi sarà forza tacitamente ve-
nirmi con Dio se le V. S. non provedano; è serrato ogni cosa, non
si trova a comprare per li contanti, li cavagli si morano di fame, io
stento : mai fu vista malore penuria. Non può andare una bestia ca-
rica che non sia tolta. Non so più che dire, la forza mi caccia di qua.
Ho visitati li cardinali nomine publico, condolutomi et offerto come
è solito. Hanno accectato et rengratiato le V. S. a le quali mi ree
Rome .XVI. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ibid. id. eisd, Rome .xviir. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimì humili
ree. etc. Scrissi li .xvi. di questo quanto era ochorso in sino alora.
Agiongo che el conte entrò in Castello Santagnolo et poi si tornò
a le genti d'arme con Virginio Orsino et si redussero a l'Isola e la
Storta, luoghi vicini a Roma. Di poi entrò el cardinale Colonna, el
s, Prospero, el s. Fabrizio Colonna con più altri caporali. Cavagli
non molti ma grande fanteria, et è in Sancto Apostolo col car. di
San Piero ad Vincula. Hieri fero mostra di fanti 4000 per chi si trovò
a vedere. Aspectano lo s. Antonello Savello e li fratelli con buona
quantità di homini d'arme et continuo scrivano fanti et mandano de
li comandati per le terre loro. La città maxime verso Capitolio, San
Marco, Pellicciaria secondo ho veduto questa mattina si sbarra et di-
cesi per tutto oggi ogni homo si vole sbarrare, fare ripari e fornirsi
Li cardinali hanno fornite le case loro come castegli di gente et ar-
trjglarie. Le genti d'armi di Lombardia vengano et sono arrivate le
squadre del s. lacomo Conte e del fratello del vescovo di Massa et
sono entrate in Roma parte alloggiate ne li Monti et parte ho visto
stamattina in Borgo presso a Sancto Spinto da quella parte di drietro.
Ogniuna de le parti si guarda, dicano che aspectano la venuta di questi
altri cardinali. Questa mactina a lo exequio del pon. che si cominzò
hieri vi fu el vicecancelliere, Napoli, Novara, Madiscone, Conti, San-
clemente, Racanate, Parma, Camarlengo et Orsino. Li altri non vi
vanno. San Pietro molto fornitola chiesa di soldati, pochi altri v'erano.
Ò visitati li cardinali e confortati a fare questa electione quieta, insta
et secondo el solito. Rispondano bene et che aspectano questi altri
per pigiare buono et salutifero partito. El camarlengo e compagni
fecero lacomo Conte guardiano di Roma a provedere che non si
robbi etc. La cosa è tanto scorsa che ogni homo straccorre a rob-
// "Diario di Stefano Infessura 621
bare e fare ogni ribaldarla, per modo non si può mandare e cavagli
a bere né muli fuori di casa. Non c^è tribunale alchuno che ministri
iustitia et ciaschuno che può se la fa co le mani. Chi leva suo danno,
chi ha buono mantel lo lassa a casa. Li meglo cittadini robbano
li forestieri senza riguardo. La casa dove habito è in mezo de le
sbarre e non vi posso fare venire soma né bestia carica: stiamo as-
sediati. Non si potrebbe credare come le cose vanno stranamente: cia-
schuno arma la casa per paura de la vita et de la robba.
Mentre scrivevo la presente sentii uno grande romore verso piaza
ludea. Mandai a vedere, là erano parechie centonara de homini Or-
sini e Colonnesi a le mani. Durò la questione assai et tandem li Con-
servatori li spartirò per mezo del s. Mariano Savello lo quale retrasse
e Colonnesi. Intesi vi erano morti .vi. persone e feriti assai.
El s. Antonello Savello in questo ponto m'é referito entra in
Roma con buona compagnia di homini d'arme e cavagli. Li Conserva-
tori praticano achordo tra li cardinali et che si facci la electione del
pon. in la Minerva.
Come per l'altra scrissi non ho modo a andare acompagnato né
a stare secondo saria conveniente a l'onore de le S. V. Piacci a quelle
provedere. El pericolo non può essare maggiore che andare per Roma
male acompagnato: bisognarla a la staffa parechi buoni compagni.
Molto a V. S. mi ree. et non voliate consentire sia morto per mano
di questi ribaldi. Rome .xviii. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus
orator.
Ibid. id. eisd. Rome .xx. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili
ree. etc. Scrissi li .xviii. di questo quanto era ochorso. Dipoi la sera
arrivò qui Siena et San Marcho et invero secondo la expectatione era
di loro S. R'"" penso la cosa harà buono assecto. Q.ui era venuto lo
s. Cola da Sermoneta in favore de li Colonnesi dicesi con tre squa-
dre. Le cose si scaldavano molto et si vedeva el pericolo manifesto
di grande uccisione et robbarie. Hiermattina a lo exequio si congre-
gare li cardinali excepto Colonna, Savello, Sanpiero ad Vincula,
Malfecta et Milano che ò infermo e l'Orsino che era andato per com-
missione del collegio al conte e altri signori Orsini. Doppo lo exe-
quio si congregare in la sacrestia ove stectero parechie ore. Non si
potè sentire altro se non li ragionamenti fatti di componare queste
discordie. Hicri mon. S. nostro assai andò travagliandosi. Questa
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 4»
622 O. Tommasìni
mattina similiter li cardinali convenero a lo exequio et Orsino era
tornato ; di poi in sacrestia là venne uno cancelliere del conte. Stectero
meno di due ore. Al tornare a casa mon. S. nostro mi disse come
el conte rimecte el Castello in le mani del collegio e sarà obediente
a le voluntà di quello. Similiter disse essare dato buono indirizo a
concordare le differentie di Collonesi et Orsini et spera, al tempo de-
bito, di buono achordo saranno in conclavi et la electione sarà libera.
Io come è debito ogni di ho accompagnata Sua S. R"^', visitati questi
altri che sono venuti, offerto, recomandato et cet. nomine pubblico;
et cosi visitarò Ragona che è venuto e li altri se alchuno ci restarà.
È fatiga maravigliosa, le sbarre impacciano lo andare a cavallo, a
piedi per lo caldo e polvere e la città grande è cosa da morire. Non
Inssarò però a fare ogni possibile.
Dice mon. S. nostro che si licentiarà questa gente d'arme et pensa
che per adventura ne mandarano per lo Patrimonio vicino a voi.
Che le V. S. non piglino admiratione; ho ricordato come ci potiamo
poco fidare del conte et sarìa bene non achostargli a noi per bene
s!;ia ancho lui in travaglo'; et cosi m' ingegnarò operare o che non vi
su ne mandi o che sieno lance spezate senza capitano suspecto.
Lo s. Nicola dì Sermoneta nomine publico mi visitò et offerse
ogni sua fortuna a li piaceri et comandi de le S. V. Rengratiai et
offersi io anchora come era conveniente.
Le cose di Roma doppo la tornata di questi cardinali R"^^ si sono
assai racquetate, le brigate cioè questi baroni si guardano le case loro,
per la città non traschorrano più così in grosso, li ladroncegli si vanno
rimenando e fassi de mali. Io vo a riguardo acompagnato lo più che
posso: li amici miei mi hanno facto scorta et ancho la borsa. Ricordo
a V. S. proveghino che non ho più denaio et Dio sa come ci posso
stare.
De le cose de la pace di Lombardia non ho che scrivare, li capu-
tuli non sono venuti, qua per la morte del pon. s'attende ad altro.
Eccene assai che vorrebbero essare papa. A uno tocharà se non si fa
scisma, el che non credo. Questi dì passati se n'è dubitato.
Nec plura. Molto a V. S. mi ree. Rome .xx. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus
orator.
Ihid. id. eisd, Rome .xxii. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili ree.
Per una vostra del dì 17 ho inteso quanto era ochorso per la diffe-
// diario di Stefano In fessura 623
rentìa suta tra Matheo et Marco et stato bene imponare silentio a
tale caso. Et meglo saria temperare le cose che non ochorissero si-
mili errori perchè la brigata di fuore giudica lo stato vostro non es-
sare consolidato né fermo. Li amici vostri ne pigiano diffidentia et
mala opinione et chi ha malo animo ne ingagliardisce. So bene che
mi dice l'oratore fiorentino, et basti per ora. Li usciti nostri hanno
al parere mio costì imbasciadori et corrieri. Per quanto posso com-
prendare hebbero l'advìso quando io o prima et già havevano comin-
zato a seminare che eravate in arme, et più cardinali me n'avevano
già domandato. Ho facto intendare tutto dove bisogna. El corriere
ne sa qualche cosa che si trovò tale nuova passata innanti a lui.
Et adviso le V. S. per essare morto Sisto non bisogna adormentarsi.
La materia del trattato di che scrissi fu verissima et io per decto
di più di questi esciti, che doppo la morte del papa ne hanno ragio-
nato, et molti di costoro s'erano adviati verso el paese vostro. Se
ochupassero alchuno de li loci vostri non saria senza alteratione. So
certo le V. S. haranno provisto e cassari, mutate chiavi, mutate le
persone suspecte. A chi vuole fare male non mancha aiuto.
Ceterum questa mattina secondo mi dice Mon. S''^ nostro R"°
è concluso dare 8000 ducati a la gente d'arme, li quali prestano al-
chuni cardinali; Castello Sanctagnolo si pone oggi in potere del col-
legio liberamente. Al conte prestano parechie squadre et uno pre-
lato, per acompagnarlo securo in le terre, sue et subito deve partire.
El conclavi si farà in palazo dove è solito. Li Colonnesi et Orsini
fanno tregua per uno mese doppo la creatione del pont. Et danno
securtà l'una parte a l'altra, comenzando oggi, tutte le genti d'arme
eschano di Roma.
Scrivano el s''® Lodovico el duca di Calabria che Deifebo et uno
di casa Savello si partano di Lombardia et vengano con gente d'arme
per racquistare lo Stato fu.del conte Adverso; et per tale cagione el
collegio manda gente d'arme a quello Stato per defcnsione. Così
Mon. S""® nostro dice, e che a le V. S. non sia suspittione di questa
mandata. Le V. S. credo intendaranno el camino di quelle genti et
con li S""' fiorentini provedaranno che passino largo da li paesi vostri,
che non faccino danno et ancho dandoli passo et rìcecto non saria
senza scandolo et forse contra li capituli de la lega havete con la
Chiesa, et daria al nuovo pont. causa di malignare. Le V. S. sono
prudentissime.
Le pratiche di fare el nuovo pon. sono frcqL.vi.Li.^.aic. Come le
V. S. per loro prudentia comprendano, li pareri sono secondo li apa-
titi. Comunamente da la corte et altri non passionati per utile de la
Chiesa sono desiderati Siena e San Marco. A Siena favorisce el re
^2 4 O. Tommasini
e lo Stato di Milano dicesi per contrapeso di San Marco. El vice-
cancelliere non lassa che fare per se; Conti, se lo tiene per certo
essare, parechi altri col collo torto ; ogni homo adopera li ferri suoi
et suo ingegno. Dio cel dia buono, credo non potiamo altro che me-
gliorare.
Postremo io tengo le V. S. prudenti e memoriose, havendo tante
volte scritto la mia necessità et che non posso più stare per non
havere hauto mai uno denaro del mio servito né havere più che
vendare o impegnare et maxime essendo advisato di costì che le
V. S. non fanno pensiero alchuno di mandarmi denaro né per le
spese né altro. Mi pare superfluo noiare più le S. V. a le quali fo
noto sarò necessitato fra pochi dì venirmi con Dio, non per non vo-
lere servire ma per non potere. Solo che le V. S. havessero provisto
a le spese in questo grave bisogno non mi sarei partito, non havendo
facta provisione né volendola fare come harò solo el basto per con-
durmi verrò a le V. S. et, più presto voglio patire costì ogni sup-
plicio che perdare l'onore mio qui, dove so stato senatore e oratore
con buona gratia di tutti. Con la gratia di Dio mi difesi dal papa,
San Giorgio et conte Girolamo li quali, per essare quello che so, al
presente Reggimento mi volsero fare fallire in costregarmi a pagare
ogni debito et loro mi ritenero mille due. Ora mi vedo entrare in
uno altro maiore laborinto per non havere più denaro. Non voglo
andare in pregione né havermi a fuggire. Le S. V. mi perdonino a
le quaU mi ree. Rome .xxii. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ihid. id. eisd. Rome .xxvi. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili
ree. etc. Per loiRosso fameglio de le V. S. scrissi la concordia (i) fatta
per lo collegio de li cardinali. Di poi ho supraseduto lo scrivare per,
havere visto vacillare le cose, El primo capo de la concordia fu, ri-
eeuti li .vili, ducati per la gente d'arme e due prelati con tre squadre
per sua secureza, el conte si dovesse recto itinere per le terre de la
Chiesa andare a le terre sue. Li denari furo pagati lunedì. La con-
tessa era in Castello. El collegio si fidò del camarlengo lo quale disse
et giurò havere fornito el Castello secondo el desiderio loro, remossi
conestabili et ogni altro sospetto, aggiorno al veschovo v'era prima,
.ms. Francesco fratello suo, et fatto quanto* lo collegio haveva ordinato.
(i) Ms. « concorda».
// nO>ia7^io di Stefano Infessura ^25
Furo deputati el vescovo di Nola et di Caiazaper compagnia, dato reca
pito al bisogno per lo andare loro. Fu detto la contessa essare al-
quanto indisposta et però era supraseduta la partita sua di Castello.
Et fu talmente creduto a San Giorgio che tutti li cardinali hieri furo
a lo exequio et posmodum in concistorio, che sono .xxv. compu-
tato Milano e Girona sono infermi. Questi giorni continuo el castello
ha atteso a fornirsi di vittuaglia. Questa nocte vi sono entrati 1 50 fanti
del conte ; questo ho da uno cardinale, et fecero gran festa dipoi furo
entrati per modo che la brigata si tiene giontata et questa mattina
è stato lo ultimo offitio o vero exequio; non vi è venuto cardinale
de la factione contraria a li Orsini et sono tanto sdegnati che hanno
mandato a sollicitare fanti aspectano da l'Aquila et Norcia per in-
fino a 1500; credano avergli questa nocte et deliberano non essare
né ingannati né forzati. Li Conservatori hanno di nuovo fornito el
palazo loro. Ciaschuno si mecte in ordine. Li caporioni hanno co-
mandato si rimettino le sbarre dove erano levate et che si stia pro-
veduto. Li cardinali rimasero in palazo, li oratori si partirò et ho
da buon loco che lo Stato di Milano ha preso cura de lo Stato del
conte, et fornitolo di genti, per modo che lui sta securo. Se in le
cose di Roma tengano mano ad aiutarlo non intendo bene; ciaschuno
lavora soctacqua et parla poco. Se li tradimenti, simulationi et in-
ganni fussero perduti, qui si ritrovano in questi giorni. Havendo scritto
hiersera infino a qui, tornò el mio spenditore e mi referi essare in
Castello Sanctagnolo 8 cardinah; fui a cavallo e andai là. Li detti
otto cardinali mandati dal collegio fecero partire la contessa e tutti
li fanti detti fornirò el Castello per lo collegio e così la cosa pare
quietata. In questo ponto cavalcho a palazo dove si dee dire la messa
del Spiritusancto e poi entrare in conclave. Dio cel dia buono, a me
è suto notificato stanocte che mi tocha a guardare el . conclave in
nome de le S. V. a le quali mi ree. Rome .xxvi. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ibid, id, eisd. Rome .xxvii. augusti 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humìli
ree. etc. Per altra scrissi come giovedì doppo la messa delo Spirito
Saneto li cardinali tucti di buono achordo entrare in conclavi. Dove
io con cinque altri oratori so deputato a la guardia del conclavi e
così stiamo dì e nocte in palazo a nostre spese. Questa mattina ce ,
suta nuova che Deifebo ha hauta la rocha di Roneiglione in la quale
era uno da Ymola cheTà venduta. Lo Stato di Milano come per altra
626 O. Tom masi ni
scrissi ha preso cura de lo Stato del conte Geronimo, fornitolo di
tutto el bisogno per modo che lui si sta a piacere, al parere mio,
aspectando la creatione del pon, Itaque non si può errare havere
l'ochio a le cose vostre, che costoro non si fichassero, cioè li fuo-
rusciti, in qualche loco de li vostri et col nuovo pon. si trovassero
con qualche cosa in mano. Nec plura: molto a V. S. mi ree. Rome
.XXVII. augusti 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ibid. ìd, eisd. Rome die .xxviiii. [augusti] 1484 a ore .xiiii.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili ree.
Come per altra scrissi giovedì, decta la messa de lo Spìrito Sancto,
li cardinali tucti entraro in conclavi di buono achordo in la capella
secondo è solito. Oggi col nome di Dio a ore .xiiii. hanno publi-
cato havere electo el cardinale di Malfecta in summo pontefice. Dio
lo disponga al bene de la patria nostra. Piaccia a le V. S. dare al.
portatore di questa arrivando in .xxiiii. ore ducati .x. per la sua fa-
tiga. Molto ad V. S. mi ree. Rome die .xxviiii. 1484 a ore .xiiii.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ibid. id. eisd. (i). Rome .1. sectembris 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili
ree. ete, Advisai le V. S. per due cavallari de le porte di Milano de
la electione faeta del pon. Innoeentio Vili et statim post creationem
fui intromisso con li altri oratori stati a la guardia del conclave ad
obseulum secondo è solito. Di poi per la frequentia de cardinali li
quali per diverse cagioni hanno continuato el palazo non ho pos-
suto prima di questa mattina havere colloquio con Sua B. a cui
recomandai per parte de le V. S. la città e stato di quelle, congratu-
landomi per parte di V. S, in primis de la felicità de la S^^ Sua, mo-
strando a quelle essare stata iucundissimo, extendendo le parole se-
condo mi parse conveniente. Sua S^A molto benignamente ascoltò et
poi commemorò con quanto amore et reverentia fu da le S. V. ri-
ceuto, visitato et facto cittadino; el che disse esserli suto carissimo e
acettissimo et per molti respecti havere sempre amata la città vostra
et disse queste formali parole: Scrivete a quelli vostri S""^ che stieno
(i) D'altra mano e presso l' indirizzo è stato scritto: « faciamus ei statuam auream ».
Il diario di Stefano In fessura 627
di buono animo, li portamenti nostri verso quella comunità saranno
tali che comprendaranno ci ricordiamo essare loro buono cittadino.
Accectai con debita reverentia l'offerta et rengratiai secondo mi parse
convenirsi mostrando le Vostre S. bavere unica speranza in la Sua
B. presa licentia partii. Poi visitando el cardinale nostro R™o ho in-
teso da Sua S. come hiersera Deifebo resignò Ronciglone el cassaro
in mano del pon. et si remisse totaliter a la clementia di quello. De
le due altre terre haveva ochupate che sia da farsi è rimesso in
Mon. S. nostro et tre altri cardinali. Deifebo è stato qui dal dì de
la creatione del pon.
Lo oratore fiorentino ha solicitato a Fiorenza faccino prova di
expedìrsi di Sarezana prima che el pon. habbi ordenate et consolidati
le cose sue. Dubita non facesse pensiero per impedire dare qualche
molestia a le cose vostre: per divertare potrebbe essare deliberas-
seno volere fare la impresa. Le V. S. prudentissìme haranno cura de
le cose loro maxime a li confini et so certo in ogni caso si porta-
ranno co la soHta prudentia taHter che non si scupriranno né si
provocaranno el papa, anzi conservaranno et acresciaranno la beni-
volentia.
La città di Roma è posta in assecto, deposte le armi la brigata
torna a bottega con quiete e tranquillità. Li fuoresciti frequentano el
palazo perancho non hano hauta audientia starò attento intendare li
andamenti loro.
Come per altra scrissi, finiti questi pochi denari verrò a le V. S.
lo maxime che ho intesa la electione fatta de li oratori, el che è
stato bene e forse saranno li primi a venire. Per ora qui non sarà
che fare; è vero però che li oratori hanno già cominzato a penare
innanti la materia de la liga et capituli da farsi e già si maneggiano
le cose. Per mentre starò (che sarà poco) sarò col fiorentino e ope-
rare per le V. S. quanto sia bisogno. Molto a quelle mi rac. Rome
.1. sectembris 1484.
E. D. V.
Ser\ùtor Laurentius Lantus.
Ihid. id. eisd. Rome .v. septembris 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili ree.
Vedendo io lì esciti nostri frequentare el palazo et vedendoli acha-
rezare da qualcuno, dubitando che socto spetie di carità non fusse
mostro al pon. cosa facesse a qualche proposito di Sua B. per bene
e conservatione de la libertà vostra con utile e comodo de li exciti
predecti, come dimostrava in parole Sixto bone memorie per paura
62S O. Tommasiìii
de la troppa amicitia et confidentia diceva noi bavere in li vicini
vostri* etc. Le S. V. bene m'intendano. Questa mattina havendo
buona comodità di poter riposatamente parlare col pon. come da
me stesso feci cadere al proposito di parlare di questa materia et
con acomodato modo li dimostrai li continui suspecti in che ci
teneva Sìxto pon., le versutie et pratiche del conte, li favori si fa-
cevano a li exciti, li disfavori si dimostravano centra la città vostra
publice et privatim, centra li cittadini in tutte le cose. Li apparati
de le genti, le opere si davano a ocbupare de le cose vostre. Per
tractati si maneggiavano per li exciti predetti. Inducevano per forza
li animi vostri a ficbarvi socto a cui pensavate potere in tali necessità
essere aiutati per necessità et quanto erano maggiori li suspecti e con-
tinui, bisognava più obligarsi per essare aiutati vedendo la necessità.
Commemorai la V. Rep. sempre essare stata obsequientissima a questa
Sedia, le S. V. bavere bauto inextimabile dolore in non bavere possuto
bavere quella speranza in la Sede apostolica a tempo di Sixto come
per lo passato et cbe da le V. S.non era mai mancbato volere essare
buoni et amorevoli figluoli di Sixto pon. Ma cbe Sua St^ istigato
da altri non vi haveva voluti, ancbo date le provisioni a costoro et
mantenutoli etc. Le quali cose ero certo non farà né permectarà
Sua B. per bene costoro si vantino del contrario e così la città vo-
stra ne tornarà a continuare la solita filiatione, amore e reverentia
con Sua S*^ padre e cittadino nostro, extendendo le parole quanto
mi parse convenirsi. Magnifici S. miei, sua S»^ mostrò bavere
carissimo fussero acbaduti questi ragionamenti et udì benignissima-
mente. Poi rispose cbe Sua S*^ come cittadino fu sempre afFectio-
nato a quella patria et oggi più cbe mai e li effecti lo dimostraranno
et che Sixto bone memorie l'aveva mandato costì et Sua B. v'era
venuta volentieri per bene et comodo di quella dove haveva trovati
li animi de li principali bene disposti, et che Sua B. per certo harebbe
facto buono fructo se el papa bavesse lassato fare a lui. Ma el conte
et messer Lorenzo da Castello havevano voluto sapere troppo et
guidare le cose per altra via per modo che loro furo cagione di
quello successe, et di poi continuando in li suoi disegni el conte era
suto causa de ogni inconveniente et factovi obbUgare etc. con le in-
telligentie et pratiche teneva con li esciti et amici loro, affermando
essare verissimo quanto dicevo et disse che Sua S^à mostrarà cbe el
pensiero suo è essare padre di tutti li cristiani, actendarà a quello sia
bonore de la Sede apostolica et di simili cose, come è trame di fuo-
rusciti, non s'impacciarà mai come quello cbe non ha posto el pen-
siero a fare grande nissuno né porrà solo actendare a trarre quello
sia ofEtio di bono pon. et de li vostri fuorusciti le S. V. vedranno
Il diario di Stefano In fessura 62^
che Sua S*^ non s'impacciarà mai né lo darà favore né fomento al-
chuno né di loro s'impacciarà in niun modo, excepto quando ne fusse
richiesto da le V. S. In tale caso come cittadino e padre offerirà in
ogni vostro comodo volersi amorevolmente travagliare in tutte le cose
fussero augumento de la città vostra: et che le V. S. ne piglino se-
curtà e lo trovaranno bene pronto a li comodi et honore de la città
vostra, et intorno a questa parte de li usciti parlò tanto aperto quanto
sia possibile. Del buono amore et affectione vostra la quale dissi più
ampiamente le V. S. per li nuovi oratori faranno intendare etc. Ac-
cedo amorevolmente et ringratiò dicendo saranno li benvenuti et li
vedremo molto volentieri. Accectai el bono animo di Sua S^^ et ren-
gratia' et dissi tutto farei intendare a le S. V. per lectare; ore tenus,
quando sarò a li piei de le S. V. le quali di sua optima dispositione
sono certissime. Sua S^à per sua clementia mi bacciò in faccia. Così
da li suoi sacri piedi mi partii e dissi che Giovanni di ser Lazaro scri-
vevo (i) di Sua Sta, lo quale é qui con quella, bene informato anchora
lui de la devotione e desiderio del populo vostro, a le giornate di
tutto potrà più particularmente dare piena notitia a Sua S**. Ho con-
ferito poi con Giovanni predicto, mostrogli el bisogno, et mi farà of-
fìtio di buono cittadino e sarà continuo apresso el pon. suo familiare
di casa, et so giovarà in ogni cosa. Tutto ho facto con buona fede per
amore porto alla patria et come ho decto per guastare e disegni et
per fare advertente el papa a non dar lo provisione né travagliarsi
di loro. Se ho facto cosa grata a le V. S. so molto contento. Quando
havessi errato le V. S. imputino tutto al mio buono animo, che harei
facto errore per non conosciare più, non posso altro che errare, do-
mando perdono. Molto a V. S. mi rac. Rome .v. septembris 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius de Lantis.
Ibid, id. eisd. Rome .xiii. septembris 1484.
Magnifici domini etc. Hieri col nome di Dio si fece la corona-
tione del pon. con grandissima tranquillità, con tutte le solenità opor-
tune, in modo si consumò tutto el giorno: et Mon. S. nostro R"^" fu
l'ordenatore del tutto et ò stato mollo commendato. Oggi Sua S<* ha
dato audientia solo a cardenali. Frequentarò el palazo per la licentia
et se la Sua S^^ mi volesse dire alchuna cosa come parse accennare
dicendomi che doppo la coronationc tornassi a quella. Ancora pi-
gliarò licentia da li cardinali come ò solito et poi mi conferirò a le
(1) Coti il mt., benché non n'esca chiaro il senso.
6^0 O. Tommasìnì
V. S. Sabato la nocte morì el cardinale di Madiscone francese, era
degno s''^ requiescat in pace. Li fuoresciti erano a Napoli non sono
anchora venuti. Questi di qui si vanno travagliando assai: per ancho
non sento habbino facto cosa alchuna col pon. Penso aspectino quegli
altri. Nec plura. Molto a V. S. mi rac. Rome .xiii. septembris 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus.
Ibid. id. eisd. Rome .xxi. septembris 1484.
Magnifici domini Patres et domini mei singularissimi humili
ree. Scrissi sabato quanto ochorriva. Di poi a nulla altra cosa ho
dato opera excepto che a domandare licentia al pon. la che non ho
hauta per non bavere possuto impetrare gratia d'audientia. Trovo
tutta la fameglia del papa intorbidata et hieri mi furo facte parechie
ribuffate, sono quasi tutti Genovesi, con dirmi che le V. S. hanno
hauto poco regaardo al pon. et a li Genovesi in bavere prestati a li
Fiorentini lì carri da condurre le bombarde contra Pietrasancta et
altre artagliarie, et fui minacciato che inanti passi troppo ci sarà fatto
intendare che aviamo errato, con molte parole ampollose, et qui
commemorano le cose di Siena quando el pon. allora cardinale fu
costi et dicano cose assai taliter da parecchi dì in qua mi pare es-
sare tornato al pontificato di Sisto et ricomenzare a trovare quelle
difficultà, taliter che qualche volta m'è venuto volontà di partirmi
senza licentia. Non di meno per intendare l'animo di Sua B. ho de-
liberato parlare con quella et intendare destramente se queste cose
sono di mente di Sua S^i. Io non sapendo altro ho excusatolo meglio
posso et decto sono male informati, et loro tanto più si riscaldano
affermando el sì. Le V. S. sono prudenti, non posso stimare che
senza grande cagione si ponessero in tali inimicitie et ora più che
mai: a ogni modo o vero o no ricordo con ogni reverentia el tenere
le cose vostre marittime e di frontiera bene guardate. Secondo le
parole di costoro hanno mala intentione. A me non pare potere vi-
vare tanto che mi levi di questi travagli et malinconie. El s^e lacorao
Conte è senza inviamento; desidera servire le S. V. et quando vi pe-
sasse tutta la spesa, offerisce condursi con le S. V. et con li Fioren-
tini insieme: è s^^^ da farne stima in le armi come a le V. S. è noto.
Hammi pregato ve scriva, parendo a le S. V. fare risposta a questa
parte per adviso et eo maxime in caso non facesse per voi ; et se fusse
al proposito vostro, molto più che costui è homo che sa el mestiero.
Attendo con ogni solicitudine per la licentia et giuro a Dio so con-
dotto a termino che non posso restare né partire con mìo honore,
Il ^iaiHo dì Stefano In fessura 6$i
per non bavere denari che mai più fui tanto di malavoglia et mi
pare le V. S. poco se ne curino e tanto più mi duole el male mio.
Non restarò mai di fare offitio di buono e leale cittadino mentre
barò lo spirito. Molto a V. S. mi recomando. Rome .xxi. septem-
bris 1484.
E. D. V.
Servitor Laurentius Lantus oraior. .
Ibid, id, eisd, Rome 1° octobris 1884.
Le cose di Roma stanno quietissime et tranquille quanto mai
fussero. A questo pont. dali Romani è prestato obedientia grandis-
sima, deposte le armi, assectate le brighe. La iustitia è rigorosa in
modo la brigata s'assecta a bene vivare. Le forche stanno fornite
in modo li ribaldi sono spaventati.
Archivio di Stato in Firenze.
Dieci di Balia, Carteggio. Responsiva.
Lettere di Guidantonio Vespucci oratore in Roma.
Rome .XXX. maii 1484.
Scripsivi per la mia de .xxviii. come el sig. Virginio si era re-
soluto volere andare ad pigliare li contadi per forza, veduto eh' el
prothonotario Colonna non mecteva ad executione alcuna delle sue
promesse. Hieri el conte mi dixe come omnino voleva acordare
questa cosa et fare il tucto perchè non si venisse all'arme, et che '1
prothonotario lì havea mandato a dire che si voleva rimettere nelle
mani di N. S. et del Revmo camarlingo : et a questo effecto, per
acozarsi con il prefato prothonotario, hieri a bore .xxi. el camar-
lingo si partì di palazo et venne ad casa sua et mandò per il pro-
thonotario che andasse ad casa S. Revma S., el quale recusò l'an-
dare, allegando che gli era stato detto che lo volevano ritenere et
che lo credeva perchè sapeva di certo casa Orsina si armava, et per
questo sospetto, questa nocte passata e Colonnesi et Orsini continuo
so!io stati in arme, et similiter tutta questa terra et la guardia di
N. vSig«; et così sono stati tutto dì d'hoggi non altrimenti che se
fussino nella bataglia: et ecci tra luna parte et laltra tra cerne et
fanti forestieri et romaneschi armati de le persone di più di vi et circa
dugento cinquanta homini d'arme, de' quali ci maggior tiuniLTO de
li homini d'arme et cerne et forestieri hanno li Orsini: de' Romane-
€^2 O. Tommasini
schi e Colonnesi. Per ancora non sono venuti alle mani, perchè
N. Sig*^ et questi conservadori di Roma molto si sono affatichati di
posar questa cosa in pace et fare ch'el prothonotario si rimetta in
N. Sig^, ma a questa bora, che siamo a hore .xxii., non si è fatto con-
clusione alcuna et dubito se costoro s'azufono, oltra el grande ho-
micidio che potrebbe uscire di tal zuffa, che questa terra non vada
ad sacco. È cosa di mala natura al iudicio mio et pel pubblico et
pel privato, perchè intendendosi per li nimici queste discordie, di-
venteranno più insolenti et animosi, et faranno di nuovi pensieri.
Dio sia quello che provegga al bisogno.
El conte tutto dì si è stato a palazo et dimostrasi con le genti
de la guardia in favore di questi Ursini.
Post scripta. A hore .xxii. et mezo questi Orsini ed il conte in
persona, con la guardia del papa, sono iti ad trovare questi Colom-
nesi ad casa loro con una bella gente: et tandem doppo una grande
uccisione d'homini hinc inde, hanno preso la casa del cardinale et
prothonotario Colomna, et messola a saccomanno : et continuamente
la spianano: el prothonotario si dice essere scampato: del cardi-
nale Colonna non vi scrivo altro perchè non è in la terra.
In questo punto, che siamo a hore .xxiiii., è passato dinanzi l'uscio
mio el prothonotario Colomna preso abbraccio col sig. Virginio,
con un mantelletto paonazo, in sur uno cavallo leardo magro : quel
seguirà apresso darò notitia a Vostre Magnale.
Ibid. id. eisd, Rome, die .i. iunii 1484.
Magnifici dni priores honorandi, commendatione premissa etc.
Per la mia de' ,xxx. detti notitia a V. M. come lo illmo sig. conte
con le genti della guardia di N. Sign""^, il sig. Virginio con le sue
genti d'arme e i suoi partigiani havevano assaltato el prothotario Co-
lonna, et tandem lo haveano preso, et saccomannato la casa sua et
del cardinale Colonna, et fere tutta bruciata. In decta battaglia morì
di homini di nome el sig. Filippo Savello per la parte del prothono-
tario ; per la parte Orsina uno gentilhomo napoletano et sette overo
octo altri: fu menato el decto prothonotario la sera medesima al
conspecto di N. Signore, el quale chiamandolo continuo bestiolino et
cervellino, ripetè tutto quello havea operato contro Sua Beatitudine
nella guerra passata : et come tutto li havea perdonato et rendutoli
tutto el suo Stato: et quanto S. B. havea humanamente tractato questo
caso de' contadi per ridurre la cosa dacordo : et come il prefato pro-
thonotario, poi che havea ridocto el sig. Virginio a fare quanto esso
voleva, molte volte contra le promesse facte per lui di depositare
// diario di Stefano Infessura 6^^
decti contadi, havea beffato e dileggiato Sua B^^, et ultimo loco, uon
havea voluto ubidire a Sua Santità quando havea mandato per luì,
né degnatosi di venire sotto la fede di Sua B^e, inimo si era ribel-
lato da lui et cercato di mectere sottosopra Roma, et preso una porta
della terra, et facto ragunata di genti con dire che Dio havea per-
messo quod omnino ubidisse di venire al cospecto di Sua Beatitudine,
et che de li demeriti suoi bisognava meritassi qualche pena. Et a
questo effecto comandò che lui fossi menato in Castello et detenuto
lì come quelli vi sono per la vita. El prothonotario con poche parole,
non scusando el passato, dixe, come tucto quello haveva fatto al pre-
sente era per sua sicurtà, essendoli stato messo in testa che S. B^e
lo voleva detenere andando a quella: et che mai havea pensato ri-
bellarsi da Sua Santità né machinare nulla contro a quella. Et repli-
cando N. S. che da lui non voleva se non ubidientia, li fu levato
dinanzi, et menato in Castello, secondo havea comandato.
La mattina seguente el magnifico messer Io. Agnolo et io andamo
ad casa el sig. conte dove lo trovamo molto allegro : et con lui ci
rallegramo de la Victoria hauta: di che prese Sua Sig^^ piacere et
gloria assai: et dixeci come sua intentione era in su quel punto im-
piccarlo, se non fussi ch'el sig. Virginio li obviò dicendo el pro-
thonotario essere suo prigione, et che lo voleva menare da N. Sig^,
et che li pareva omnino da tenerlo vivo per molti buoni rispecti : et
che a questo effecto lo havea campato; dicendo el prefato conte es-
serne contentissimo non lo bavere morto, con dire che omnino vo-
leva assicurarsi di questi Colomnesi et bavere le loro fortezze et terre
nelle mani, videlicet del prothonotario et de' fratelli: et che se non
l'haveva lo impiccherebbe: et in nostra presentia commise a un ma-
ziere di quelli del papa che andassi ad Marino et a laltre terre del
prothonotario et fratelli, et comandassi li homini di quelle terre, che
non dessino più obedientia a decti Colonnesi, et mandassino le chiavi
et giurare fidelità a N. Sig*: et dimostrò nel suo parlare ci conte che
credeva in octo di, quando decte terre facessino repugnantia, farle
venire per forza ad ubidienza. Demonstrando questa cosa essere molto
favorevole per la comune impresa : perché, se non si fusse assectata,
el sig. Virginio, né S. Sig* sarebbono potuti ire in Lombardia. Hora,
hauto che haranno decte terre et li contadi (le quali cose sperava
avere in brevi), et l'uno et l'altro saranno presti. Questa ultima parte
credo toccassi S. Sig'*, o perché credessi cosi essere il vero, aut per
tagliarci le parole, che noi non hayessimo cagione di sconfortarlo di
questa impresa : perchè essendo implicato di qua, non potrebbe con
tutte le forze unite attendere a la comune impresa. Et quamvis per
noi si cognosccssi questo parlare essere facto a questo effecto, nihilo-
^34 ^' Tommasini
miniis non sì cessò di dimostrarli che quando questa impresa non
riuscisse così facile come Sua Sig^ mostrava, non era da attendere a
questa per obmettere quella di Lombardia: et maxime lo andare di
S. Sig^ et del sig. Virginio, mostrandoli quanto era di riputatione
et di utile a la comune impresa lo andar loro. S. Sig^ a questa parte
niente altro rispose se non che si voleva assicurare et che non du-
bitava spacciare questa impresa in otto dì.
Per remuneratione di quanto havea facto lo illmo. sig. conte
contro a Colomnesi, la San^à del papa, in su l'hora del mangiare la
mattina, mandò a donare a S. Sig'^ due coppe bellissime d'ariento,
di valuta più che cinquecento ducati, le quali furono del sig. Co-
stanzo. Et furono di quelli arienti che Sua Beat^ hebbe per la inve-
stitura de quella illma Madonna di Pesaro: et uno rinfrescatolo di
cristallo con molti ornamenti d'oro et ariento, di valuta di ducati mille,
o più, el quale S. Beat^ hebbe in dono dal vescovo di Castres fran-
cioso.
In questa città era una famiglia che si chiamano Della Valle, e
quali hanno briga mortale con un'altra famiglia di qui chiamata Da
Santa Croce. La prima era adherente con casa Colomna: la seconda
con casa Ursina. L'una et l'altra era ritenitore di quanti sbanditi
et ribaldi erano in questa città, et stavano in modo forti in casa, che
sanza grande sforzo non si sarebbono poiuti cacciare dalla città. Questi
Della Valle, veduto preso il prothonotario Colomna, la nocte sgom-
brorono la città con tutti e loro partigiani, et similiter sgombrorono
la casa, non lasciato in casa se non certe vecchie. N. Signore per
extirpare tutte le radice ha comandato si gittino in terra le loro case:
et così continuo si gittono.
Hiersera al tardi vennono .vii. homini da Marino, castello de' Co-
lonnesi, et portorono le chiavi di decto castello, et col mandato del
Comune giurorono fedeltà a Nostro Signore.
Ibid. id. eisd. Rome .n. iunii 1484.
Magnifici domini priores honorandi commendatione premissa etc.
Per la mia del primo advisai V. M. quanto era successo nel caso
de' Colonnesi: di poi ci fu hierisera al tardi, come el duca di Cavi,
fratello del prothonotario, era in Marino con alquante gente d'arme
et fanti, et havea mandato ad raccomandarsi a Nostro Signore, con
dire che de la persona et de la robba sua poteva disporre a suo be-
neplacito.
Questa mattina la Santità di N. S., sotto el governo del sig. Paolo
Il diario di Stefano Iti fessura 6^$
Orsino et di Lione da Monte Secche, ha mandato circa octanta ho-
mini d'arma et circa secento fanti per dare el guasto a Marino et
le altre terre di questi Colonnesi in caso che non si arrendine : et
per questo si iudica che lo extirpare affatto questi Colomnesi harà
pure qualche difficultà, come per la mia del primo vi scripsi. Di
che mi è parso dare notitia a Vostre Magnificentie.
Ihid. id, eisd, Rome .mi. iunii 1484.
E' Colomnesi si tengono pure forti a Marino : et dove nell'ultima
mia dixi essere in Marino el duca di Cavi, voleva dire el sig. Pro-
spero. Farmi N. Sig. facci venire qui quelle genti havevano e Ba-
glioni da Perugia per seguitare decta impresa contro e Colomnesi.
Qui nella terra a tutti e loro partigiani è stato tolto gli officii che
havevano in corte et sono perseguitati, chi con disfarli le case, et
chi con farli ricomperare qualche somma di danari. El prothono-
tario è stato examinato con darli la stanghetta, né da lui s'è cavato
cosa di fondamento: non se glie dato corda per cagione d'una fe-
rita ha nella mano. A me pare che se a questi Colonnesi è dato
tempo, che questa habia a essere non meno pernitiosa cosa per la
lega, che si sia la guerra del reame, se li inimici danno qualche
auxilio di danari a li predecti Colomnesi, et è la cosa in luogo che
con sicurtà et con honore di N. Sig^ mal si può ritirare indrieto.
Dio sia quello che provegga al comune bisogno.
El sig. Virginio, questa nocte, con alcune gente d'arme è ito a
pigliare la possessione de li contadi : et di quello seguirà ne darò
notizia a V^ Magnificentie a le quali mi raccomando.
Ibid, id. eisd, Rome .viir. iunii 1484.
Magnifici dni priores honorandi, commendatione premissa.
Per la ultima mia de' .111. advisai V.^ Magn."*^ come el sig. Vir-
ginio era ito con alcune gente a pigliare et contado d'Albi et Ta-
gliacozo per forza: per noi non s'intende di poi quello sia seguito.
Le gente ecclesiastiche ch'erano ite ad campo ad Marino si sono
tirate indrieto, et per la maggior parte si sono inviate drieto al
sig. Virginio: nò credo prima si offenda a Marino che la impresa
de' contadi sia finita. Quelli di Marino attendono ad segare et ri-
porre el mietuto in Marino: et N. Sig. et il conte attende arragunare
gente insieme per quella impresa: et stimasi ragunerà circa .xvi. squa-
dre. Isto interim per la madre del prothonotario si tracia accordo
con N. Signore et col conte e quali non se ne mostrano alieni: pure
6^6 O. Tommasini
0 non ci presto fede, atteso la offesa grande a la natura di chi ha
offeso, et dubito non sia praticha per adormentare. Per noi, con
quel dextro modo si può non si obmette cosa alcuna perchè decto
accordo habbi luogo, quamvis el conte con noi pocho o niente con-
ferisca di questa praticha. La forma de lo accordo che si tracta ho
intexo variamente, et per questo, usque io non habbia la cosa con
fundamento, non ne darò altro adviso a V. M.
Per altre mie vi advisai come el sig. Virginio havea depositati
per dare al prothonotario circa .xiiii.'" ducati, e quali vanno al pre-
sente alla Maestà del re. Sua Celsitudine li havea deputati per le
prestanze del sig. di Rimino et di Pesaro et Feltreschi: parmi la in-
tentione del sig, conte sia che sien dati al duca di Calabria: pure
usque nunc, per quello intendo, né luna cosa né laltra ha hauto ef-
fecto : et di quello seguirà quamprimum ne darò notitia a Vostre Sig'^.
El prothonotario, dopo la stanghetta ha hauto le stecche alle
dita et a lunghie et il dado ali nodi del braccio, et arrandellatoli
con una corda la testa: non s'intende quello si habbia confessato,
et molto segreto sta el suo processo. La madre li é ita ad parlare
et per quanto lei habbia hauto a dire, el prothonotario non ha con-
fessato di preiudicio alcuno.
Ihid, id. eisd. Rome .xi. iunii 1484.
Magnifici domini priores honorandi commendationé premissa etc.
L'ultima mia fu de .viii. et per quella advisai V^ Magn^'® quanto
era seguito de la impresa de' Colomnesi. Dipoi mercholedì nocte é
successo che essendo parte de le gente ecclesiastiche in Grottafer-
rata, che è una badia in fortezza del rev.mo S. Pietro in Vincula,
presso a Marino circa tre miglia, quelli di Marino uscirono fuori,
et due hore innanzi dì con scale et per una certa fogna entrorono
in decto luogo et trovorono quasi ognuno in lecto che dormivano :
amazorono nelle stalle circa .xxv. cavalli, par la maggior parte del
sig. Paolo, et furono ale mani con li Ecclesiastici. Tandem furono
ributtati di fuori. Nientedimeno fu morto nella mixtia delli Eccle-
siastici Leone da Monte Secco, homo di capo et molto amato dal
conte, et era fratello di Giovan Battista da Monte Secco. La morte
sua si dice variamente; chi dice di una freccia di quelle larghe
nella gola; chi dice di uno scoppietto nel petto. Fu etiam preso
m. Sinolfo da Castelloctieri cherico di Camera et commissario di
N. Sìg^^ in questa impresa, et menato prigione a Marino, El sig. Paolo
Orsino et il sig. Hieronymo di Tuttavilla si rifuggirono nel campa-
nile, la qual fuga fu lo scampo loro. N. Signore immediate hieri
Il diario di Stefano In fessura ^37
fece fare trecento fanti, et non solura che per questo non si sia
sbigottito, ma deniostra essere molto più irritato contra decti Co-
lomnesi, et più gagliardo nella impresa. Ha mandato Sua Beat® pel
sig. Virginio, che, lasciato la impresa de' contadi, se ne venga ad
Marino, dove continuo si raguna gente ecclesiastice per potere cam-
peggiare con le bombarde. Et fassi per li Ecclesiastici questa
impresa molto facile; che cosi piaccia a Dio che sia per il bene
publico. In Marino, in favore de' Colomnesi è venuto fanti Aquilani,
et stimasi sia presidio che venga dal conte di Montorio el quale è
molto obbligato a casa Colomna per li gran beneficii ricevuti da
papa Martino. La Santità di N. Sig^ per obvìare a questo presidio
ha scripto al prefato conte che si debbi contenere di non dare adiuto
a Colomnesi, aliter procederà contro a lui con le censure et in tutti
quelli modi potrà: et similiter ha scripto alla Maestà del re che
debba scrivere alla comunità de l'Aquila et al predecto de Montorio
che non prestino alcuno adiuto a Colonnesi sotto pena de la di-
sgratia etc. Che se per questa via si togliessi a' Colonnesi quel fa-
vore, potrebbe essere la impresa sarebbe facile come dice N. Sig. et
il conte : aliter la indico molto dura. Di che m' è parso dare adviso
a Vostre Magnifìcentie.
Ihid. id. eisd. Rome .xvi. iunii 1484.
Dimostrano dubitare Vostre Magn^ che per queste novità de' Co-
lomnesi non si habbino a ritardare o diminuire li provedimenti di
Lombardia: et ideo m'imponete ch'io faccia ogni istantia che sia
possibile, con quella dextreza ricerca la materia, di volgere l'animo
di N. Signore et del conte al sedare queste discordie per qualche
modo da cordo: et quando questo non si possa, non si habbi perciò
per tale cagione ad ritardare o diminuire e provvedimenti in Lom-
bardia. A che vi dico el dubio di V* Sig'^ essere molto ragione-
vole: et ideo intendendo noi oratori questo inanzi a la ricevuta de
la vostra, et de luna cosa et de laltra, et di per se et insieme, ne ha-
biamo facto parole et ogni pruova con la Exc. del conte: et quanto
a la prima parte circa l'acordo, S. Exc. inanzi succedesse la morte
di Lione da Monte Seccho ci prestava orecchi, come per altra vi
scripsi: doppo decta morte, ritoccho da noi più volte, non solum
non ci ha prestato horecchi, ma se n'è molto crucciato, adeo che
dopo la ricevuta de la vostra, consultalo insieme tra noi oratori se
era bene parlargliene più, havendo hauto simile adviso el mag** dno
Anello, fu intra noi concluso che non era de directo buono ad ra-
gionarne, sed incidenter, quando si vedessi el tempo et Taptitudine
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 42
^38 O. Tommasini
che a proposito potessino cadere tali ragionamenti, al' bora ciascuno
di noi exeguisse la sua commissione. Si che circa questa parte, non
ho altro che rispondervi se non che veggo indurato el chore del
pontefice et del conte ad seguitare la impresa, et li Colomnesi più
tosto essere disposti ad volere perdere lo Stato loro honorevolmente
tutto, che cederne una parte dacordo. Quanto a la seconda parte,
Sua Sig'^ ha risposto non volere né differire né diminuire del nu-
mero de le genti che è obligato per li presidii de la S*"" Lega, ex-
cepto che de la persona del sig. Virginio. Et credo veramente man-
cherà pocho de li oblighi suoi: perchè queste gente che N. Sig^
adopera in questa impresa qua, excepto el sig. Virginio, non erano
nella lista de le gente ecclesiastiche, et per quanto ho inteso hoggi
dal secretarlo del sig. Lodovico, N. Sig^ di nuovo ha condocto
lovan Baptista Savello con cinquanta homini d'arme, el quale al
presente é con la Sig^^ di Vinegia ; et ha S. Exc* mandato e danari
per li fanti. Et continuo più animosamente si dimostra voler fare a
quanto é obbligato : et molto più, finita questa impresa de' Colomnesi.
Ibid. id. eìsd. Rome .xx. iunii 1484.
Magnifici domini priores honorandi, commendatione premissa etc.
Hiersera al tardi venne nuova come el sig. Virginio haveva hauti
tutti li contadi, excepto la roccha di Cervara, la quale quamvis sia
de le cose apartenente al sig. Virginio, nichilominus non è de li con-
tadi; et per questo ha licentiato si paghi a la Mtà del re e .x™. du-
cati depositati per dare al duca di Calabria, promettendo darli 4™
più fra il tempo convenuto con el sig. conte: et a questo effecto si
spaccia costi una staffetta con lectere di cambio a Filippo Strozzi che
paghi e decti .x"^. ducati, che è optimo rinfrescamelo a SuaExcellentia.
Ihid. id. eisd. Rome .xxv. iunii 1484.
Magnifici domini priores honorandi, commendatione premissa etc.
Per la vostra de' .xxi. V. Mìe mi exortano ad adiutare per ogni
via si può, se fusse possibile si potessi pigiare qualche forma da
cordo tra la Santità di N. Sig^ et questi Colomnesi : ad che vi dico
che per tucti questi oratori insieme con mecho, et di per se, quando
veggiamo el tempo, non si cessa di battere questo chiovo: nichi-
lominus insino a bora s'è facto pocho proficto: et hierisera venne
mess. Matheo da Furlì, el quale per altre mie vi scripsi essere Com-
missario in campo, con certi homini da Marino per tractare accordo
di dare quella terra. Non so che fructo si faranno, perché volendo
// diario di Stefano In fessura ^39
col dare quella terra sola, liberare le altre, sono certo faranno po-
dio fructo: con ciò sia che io, avendone qualche accenno da la
madre del prothonotario, la proferissi al conte : Sua Sig^ per niente
ci volle prestare orecchi. Ingegnerommi d' intendere quello seguirà,
et di tucto ne adviserò V. M.
Ihtd. id, eisd, .xxvi. iunii 1484.
E Colomnesi, inteso che uno figliolo di lacomo Conte era andato
in Campagna con alcuni homini d'arme et fanti; et dubitando di non
perdere quello Stato hanno quivi, et maxime Ghinazano ; et vedendo
di non potere tenere Marino, quello hanno abandonato et li homini
di Marino si sono dati alla Santità del papa. Et questa mattina
Sua B® ne ha mandato a pigliare la possessione ; che è una buona
nuova per questi Romani, che dubitavano che tucto el Latio, che è
il granaio di questa terra, non potessi sicuramente fare le sue ri-
colte.
Intendesi anchora, ma non lo affermo per certo, che e decti
Colomnesi sgombrano le case loro che hanno in Rocha di Papa; che
pare segno, o di volerla abandonare, aut di non credere potere re-
sistere alli Ecclesiastici.
Ibid, id. eisd, .xxx. iunii 1884.
Questa mattina fu tagliato la testa in Castello al revdo pro-
thonotario Colomna, cuius anima requiescat in pace. In su la terza
con quattro doppieri fu cavato di Castello in una cassa et portato
in una chiesetta quivi apresso al Castello: non si poteva perciò ve-
dere il corpo. Et fu messa decta cassa nel mezo di decta chiesetta,
coperta d'un panno nero, publice, che ognuno vi poteva andare ad
vedere. Dicesi, la madre et i parenti che sono qui anderanno pel
corpo per honorarlo: nichilominus non lo so certo; di quello se-
guirà ve ne darò notitia.
Tornò tre dì fa el sig. Virginio da li contadi con gran festa de
la parte sua: et fra due di si stima insieme col conte usciranno in
campo. Non si lasciano bene intendere se anderanno a Roccha di
Papa, terra dei fratelli del prothonotario Colonna, aut ad Neptunno
dove si trova il revmo cardinale Colomna, aut ad Cavi, dove si truo-
vano al presente e fratelli del decto prothonotario. Tosto se ne de-
verebbe essere chiaro di loro intentione, de la quale darò notitia a
V« Signorie.
640 O. Tommasini
Post scripta. Sono stato con lo illmo sig. conte in lungo ragio-
namento, né altro ho tracto da la S. Sigia degno di vostra notitia
nisi chel suo andare in campo sarà a di 2 di luglio : et che la morte
del prothonotario Colomna è stata senza partecipare niente col sig.
Virginio: la qual cosa io credo che sia più tosto decta per iscarico
del sig. Virginio, che il vero sia cosi.
In questo punto si è sepellito el revdo prothonotario con man-
cho che mediocre honore.
Storia esterna del Codice Vaticano
DEL
DIURNUS ROMANORUM PONTIFICUM
'origine e le vicende del prezioso codice che con-
tiene il Diiirnus Romanorumpontificum, appartenuto
^ó>^^l un tempo alla biblioteca Sessoriana di S. Croce in
Gerusalemme e custodito ora nell'archivio segreto Vati-
cano, sono ancora involte in un'oscurità che le indagini
dotte e pazienti dell' ultimo editore, Eugenio De Ro-
zière (i), non riuscirono a dissipare completamente. Rac-
cogliere notizie intorno ai possessori del codice, riunire le
indicazioni lasciate dai dotti che lo studiarono e le anno-
tazioni dei bibliotecari che lo segnarono ììqì loro indici, e,
risalendo cosi nel passato, cercare di avvicinarsi, per quanto
è possibile, alla origine del codice e di determinarne la
storia; ecco lo scopo del presente studio. E poiché dalla
storia del codice non può disgiungersi quella degli studi
fatti direttamente su di esso, cosi, servendomi delle traccie
tuttora esistenti o di cenni e racconti di alcuni eruditi, tenterò
di ricostituire la serie degU studi fatti su quel codice, siano
stati essi realmente eseguiti o si siano arrestati ad un punto
(i) Liber diurnus ou recueil des formules usitées par la chanctUirU
pontificale du v« au xi* sièck par E. De Roziére; Parigi, 1869.
Vengasi la nota alla p. 689.
6^2 I. Giorgi
più o meno avanzato di preparazione. Questo studio, diretto
principalmente a chiarire le questioni lasciate insolute nella
magistrale prefazione del De Rozière, ho impreso per con-
siglio e coir aiuto dell' illustre prof. Teodoro von Sickel di
Vienna. Il quale avendo ripreso il disegno di una nuova
edizione del Diurniis, lasciato interrotto dal compianto dot-
tor Diekamp, e saputo che io mi occupava della storia dei
manoscritti Sessoriani di S. Croce, volle, con cortesia pari
alla dottrina, lasciare a me le ricerche sulla storia esterna del
codice. Io gliene ho comunicato le conclusioni, ch'egU ha
riferito nei Prole^omena (i) premessi alla nuova sua edi-
zione; qui ne espongo distesamente il cammino e lo svi-
luppo.
I.
Cominciando la promessa rassegna a ritroso dai tempi
nostri in dietro, tralasciando di parlare degli studi recentis-
simi del Diekamp e del Sickel, de' quali si troveranno ampi
ragguagli nei citati Prolegomma e nella nuova edizione, di
quelli del De Rozière, che non potè vedere il codice e quanto
potè sapere espose nella sua prefazione, di quelH del car-
dinal Pitra, il quale ha riprodotto l'edizione Garnier del
Diurnus nel voi. CV della Patrologia del Migne (2) e ne ha
trattato brevemente nei suoi Analecta novissima (^^y, fra i
dotti che studiarono il codice del Diurnus troviamo primi i
nomi del Daremberg e del Renan. Incaricati dal Ministero
d'istruzione pubblica di Francia di fare, insieme ad altri studi,
(i) Prohgomena %iim Liher diurnus I. von Th. R. v. Sickel nel
voi. CXVII delle Sit:(ungsherichte der kais. Akademie der Wissmschafien
in Wim. Philosophische-historische Classe.
(2) Tom. CV, col. 9-187.
(3) Pitra, Analecta novissima, Spicilegii Solennensis altera conti-
nuano, I, 105-108,
Storia esterna del <( T)iiirnus » ^43
una collazione del testo del Diurniis dato dal Garnier sul
codice già Sessoriano, essi vennero in Roma nel 1850. Cre-
devano che il codice, appena soppressa l'edizione dell'Holste,
fosse stato tolto dalla biblioteca di S. Croce per ordine di
Alessandro VII, e che nessuno, meno il Mabillon, l'avesse
più veduto. Sapevano in modo vago che stava in Vaticano,
ma dove precisamente, ignoravano. Si rivolsero, come era
naturale, ai monaci di S. Croce in Gerusalemme e là dal
bibliotecario D. Alberico Amatori seppero che era conser-
vato nell'archivio segreto Vaticano (i).
Che i due dotti francesi, non avendo fatto studi spe-
ciali sulla storia del codice, lo supponessero trasportato in
Vaticano subito dopo soppressa l'edizione Holsteniana, è
cosa che fino ad un certo punto si comprende, e si può
pur comprendere come, fermi in quelF idea, non ponessero
mente alle parole del Mabillon, il quale, sebbene non lo
dica apertamente, fa intendere abbastanza bene che il ms. si
trovava sempre in S. Croce al tempo del suo viaggio a
Roma (2). Ma è strano com'essi, che certamente conosce-
vano YArchiv del Pertz cosi ricco di notizie sui fondi di
mss. italiani, anziché cercare li la notizia del luogo dove
era custodito il Diurnus, e ve l'avrebbero trovata, come ve-
dremo fra breve, si rivolgessero all'Amatori. Il quale penso
che non potesse dar loro subito l'indicazione desiderata,
(i) Archi ues des missions scientifiques et IHtèraires, I, 243 e sgg. Il
primo volume degli Archives è divenuto ormai introvabile. In Roma,
eh' io sappia, solo il sig. marchese Gaetano Ferraioli ne possiede
alcuni fascicoli e debbo alla inesauribile cortesia di lui se ho potuto
servirmi della relazione Daremberg e Renan.
(2) Riavvicinando il passo nel quale Mabillon {Iter Itaìiann, p. 75),
narrando di aver potuto finalmente trovare il codice Jcl Diurnus,
dice ch'esso .ivcva appartenuto ad Ilarione Rancati, col breve cenno
elle dà a p. 90 della Vita del Rancati stesso e de' codici ili hii rac-
colti in S. Croce, l'idea che si presenta inim 1 alla mente è che,
come realmente avvenne, egli trovasse il Diunim nella biblioteca
di S. Croce.
^44 ^' Giorgi
perchè deve aver creduto fino allora che il Diurnus si trovasse
nella biblioteca e non nell'archivio Vaticano. In una lista di
codici Sessoriani perduti dal tempo del cardinal Besozzi,
eh' è unita alla sua Bibliotheca membranacea manuscripta
Sessoriana, l'Amatori nota per ultimo il Diurnus e lo dice
esistente nella biblioteca Vaticana (i).
Oltre la collazione del codice, Daremberg e Renan fe-
cero in Roma altre ricerche intorno al Diurnus. Videro a
S. Croce una copia dell'edizione Holsteniana (2) del celebre
formulario e copiarono la seguente nota scritta di mano
del card. Besozzi su quell'esemplare : I. Ioachim Bessossi,
« abbatis S. Crucis, ex dono illustrissimi abbatis Compa-
« gnoni heredis cardinaHs Maresfusci. — Liber iste Diurnus
(( Romanorum pontificum rescriptus furtive fuit unius noctis
(( termino, ex codice huius nostrae bibUothecae Sanctae
(( Crucis, cum eodem Lucae Holsteriio commodasset P. ab-
« bas dom. Hilarius Rancatus.
« Rarus est, quoniam exemplaria huius libri, ne publi-
« carentur, fuerunt suppressa. Notandum tamen quod in
« codice nostro desunt quae capite primo ab Holstenio prae-
« mittuntur circa Siiscriptiones, quorum tamen in mutilis pri-
(( mis paginis aliqua vestigia reperiuntur, sicuti et quod codex
« formulas absque ullo ordine fere continet, cum tamen Hol-
c( stenium Qic) easdem per materias ordinaverit. linde Hol-
(i) Libai' diurnus Romanorum pontificum, ex quo Lucas Hoìstenius
suam vulgavit editiomm ah Abate Hilarione Rancato comodato olim in
hac nostra Bibliotheca reperiebatur, modo vero asservatur in Bibliotheca
Vaticana. Bibl. Naz. Vitt. Eman. cod. Sessor. 534, e. 285 r.
(2) La copia dell'edizione di Holste donata al cardinale Besozzi
dall'abate poi cardinale Mario Compagnoni Marefoschi e dal Be-
sozzi lasciata a S. Croce non è pervenuta alla Vittorio Emanuele.
Questa biblioteca ha una copia di quell'edizione, proveniente dalla
biblioteca del Collegio Romano ed appartenuta al p. Pietro Laz-
zeri. Posseggono questo raro libro anche la Vaticana, l'Angelica e
la Casanatense di Roma, la Palatina di Parma, la Fabroniana di
Pistoia, la Guarneriana Fontaniniana di S. Daniele del Friuli.
Storia esterna del « ^ìurnus » ^45
« stenius sumpserit kudatas superscriptiones, ipse non dicit
« et ego ignoro » .
Senza dire di alcuni errori di trascrizione grossolani e
quasi incredibili, poiché, ad esempio, non è da supporre
che il Besozzi non sapesse scrivere il proprio nome e quello
del card. Marefoschi, v' è un'osservazione da fare. Se Da-
remberg e Renan copiarono dall'esemplare dell'edizione
Holsteniana di S. Croce la nota autografa del Besozzi,
come mai non s'accorsero ch'era pure di mano del Besozzi
l'altra importante nota : « Pretiosissimus est iste codex, etc. »
che sta innanzi al codice e che fu ugualmente copiata da
loro ? Eppure la scrittura grossa e inelegante del dotto car-
dinale è cosi caratteristica che non si può non riconoscerla
da chi l'abbia veduta anche una sola volta.
Non so di altri studiosi che prima del 1850 e fino al 1832
abbiano consultato il Diurnus nell'archivio Vaticano. Nei
primi giorni del 1823 Giorgio Enrico Pertz, che da due
anni percorreva l' Italia cercando materiali e notizie pei Mo-
numenta Germaniae, potè penetrare nell'archivio Vaticano e
cominciarvi le sue ricerche. Merita d'esser riferita la breve
ma esatta notizia che il dotto tedesco dà del Diurnus nel
volume V dQÌVArchiv (i): « Der zweite und wenn ich rich-
« tig urtheile fùr die Geschichte wichtigere Theil des Ar-
« chivs sind die Handschriften oder Urkundenbùcher von
« denen ich unter andern den Liber diurnus Romanorum
« Pontificum sah, und die Handschriften des Cencius be-
« nutzte. Jener ist, Pergament in octav, aus dem 8**"" Jahr-
« hundert, in scinen ersten Bliittern sehr verletzt, und ver-
« dient cine sorgfàltige Vergleichung mit den Drucken, um
« so mehr, als in diesen, die einzelnen Bruckstùcke der
« ersten Blàtter willkurlich zusammengesetzt zu seynschei-
« nen ».
(i) Archiv der Gesellschaft fùr altere Deutsche Geschichtskundef V,
27-28.
646 I. Giorgi
IL
Coi primi anni del secolo presente cominciano i tempi
oscuri per la storia del Diurnus, Il De Rozière, abbandonata
giustamente V ipotesi ch'esso fosse trasportato in Vaticano
per ordine d'Alessandro VII dopo la soppressione dell'edi-
zione di Holste, crede che il codice seguisse la sorte degli
altri mss. di S. Croce trasportati alla biblioteca Vaticana
in virtù del decreto di Napoleone I del 3 settembre 181 1,
e non fosse restituito a S. Croce dopo la restaurazione di
Pio VII. Allora, soggiunge il De Rozière : « son caractère
« diplomatique determina sans doute le souverain pontife
« à le conserver dans ses archives » (i). Tale congettura,
a mio credere, s'avvicina alla verità e quasi, dirò cosi, le
gira intorno, ma non la raggiunge.
A questo punto, in cui qualunque indizio, sebbene
apparentemente insignificante, può dar molta luce, è ne-
cessario descrivere minutamente 1' aspetto esteriore del
codice.
Il codice del Diurnus è membranaceo di carte 99 intere
e 5 frammentarie, di o"" 170 X 0™ no senza la legatura,
o™ 180X0™ 115 colla legatura. Questa si compone di un
pezzo di pergamena ritagliato da uno più grande che prima
deve aver servito a ricoprire qualche altro volume, come
sembrano indicare due piegature che corrono nel senso
della larghezza attraverso alle due coperte e al dorso. Nella
parte esterna della prima coperta è scritto :
N 5
H h h h h 97
Ex Capsula X
(i) De Rozière, Introduction, p; cLVin.
Storia esterna del « l^iiirnus » 647
Sul dorso nella parte superiore fu scritto da prima di mano
frettolosa e trascurata Diurnus, la qual parola è ora allo
scoperto, per essere lacero e consunto negli orli un cartellino
in carta rossastra che vi fu appiccicato sopra posteriormente.
Sul cartellino, in caratteri stampatelli maiuscoli e minuscoli
tracciati a mino, è una scritta della quale resta quanto
segue :
Code I ""CCX I I I "^iurnu | \om P | ific
Nella parte 'inferiore del dorso è scritto di mano recentis-
sima: XI . 19. Sopra un primo foglietto di guardia in carta
forte sono le seguenti annotazioni :
« Codex 1^8 I Diurnus \ Romanomm Pontificum \ Pretio-
« sissimus est iste Codex scriptus [ Longobardorum tem-
« pore fortassis inter | septimum et octavum seculum ».
« Pagina 69 sexta synodus que habita | est anno ^81
« dicitur nuper celebrata | ex quo inferri potest codicem
« scriptum I vel septimo spculo vel inchoante 8° » .
L'ultima carta del codice, di cui non resta che un fram-
mento, ha nel verso la segnatura : D 117.
Ragionerò separatamente di ciascuna di queste indica-
zioni :
1. XI. ip. È la segnatura presente del codice apposta
di mano dell'attuale sottoarchivista D. Gregorio Palmieri.
Corrisponde al catalogo compilato da Pier Donnino De Pretis
custode dell'archivio Vaticano (1827-1840). L'annotazione
del catalogo De Pretis è: Armario XI i^. Hohknius Diur-
nus Poiiìijìcnm (i).
2. N ^y }. Hh h hh pjy 4, Ex Capsula X, Queste tre
sono pure segnature d'archivio. Della prima non ho trovato
riscontro in nessuno dei cataloghi ed indici dell'archivio
(i) La segnatura XI, 19, e l'annotazione del De Pretis, Holstenius
Diurnus Pontificum, si riferiscono ad un esemplare stampato dell'edi-
64S L Giorgi
Vaticano. La seconda corrisponde ad un indice cronologico
dei documenti di quell'archivio compilato dall'archivista
De Bellini intorno al 1850. Il De Bellini registra cosi il
Diurnus :
« H h h h h Diurnus Romanorum Pontificum quetn Lucas
97 Holstenius typis mandaverat cantra votum
Cardinalis Bona, D. Garnerius edidit » .
La terza è pure una segnatura d'archivio, e il prof. Sickel
crede sia stata scritta di mano di Gaetano Marini. Si ri-
ferisce aìY Index diplomatum bullis aureis munitorum dell'ar-
chivio Vaticano.
5. Pagina 6p sexta synodus, etc. È annotazione di uno
studioso che ha potuto esaminare tranquillamente il codice
quando era ancora nell'antica sua sede in S. Croce. È di
mano del dotto abate Gian Colombino Fatteschi, cister-
ciense anch'esso, che deve aver avuto famigliarità grande
coi suoi confratelli di S. Croce, poiché lasciò gran parte
dei suoi mss. all'abate di S. Croce D. Sisto Benigni.
6. Code I CCCX \ I \ '^iurnu \ \om P \ ific. È una se-
gnatura dei mss. della biblioteca Sessoriana sicuramente po-
steriore alla morte del card. Besozzi (1755), il quale aveva
dato a quei mss. un'altra numerazione. Quale fosse questo
numero romano, ora in parte illeggibile, possiamo sapere
per altra via. Quando, sulla fine del secolo scorso, era in
uso questa numerazione in cifre romane, un bibliotecario
di S. Croce compilò una lista dei mss. col titolo : Codices
bibliothecae 5'^ Crucis in lerusalem antiquiores et pretiosiores,
E fra questi è notato: « CCCXVI membranaceus in 12
zione di Holste, non al codice. E forse l'esemplare a stampa era
quello col frontespizio di mano di Holste, di cui parla Zaccaria
(Bihliotheca ritualìs, II, 11; Dissertatio, p. ccliii) dicendolo appar-
tenuto al Marini. Probabilmente, smarrito o spostato il volumetto
impresso, il posto e la segnatura di esso sono stati attribuiti al co-
dice.
Storia esterna del « ^iurnus » ^49
« charactere longobardico inter vii et viii saeculum exa-
« ratus in principio et in fine tineis et antiquitate corrosus.
« Est Diurnus Romanorum Pontificum. Vide 15 A » (i).
Tutto infatti corrisponde. In un prospetto topografico della
collocazione de' codici Sessoriani, compilato, sempre sulla
fine del secolo passato, dal bibliotecario Cipriano Treve-
gati, è notato che il palchetto A dello scaffale 15 era occu-
pato dai codici numerati CCIC-CCCXXXVI. Com'è natu-
rale, il primo e più alto palchetto (A) conteneva tutti codici
di piccolo formato come il Diurnus, e la maggior parte di
quei codicetti si trovano ancora nel fondo Sessoriano della
Vittorio Emanuele, anzi alcuni d'essi hanno ancora i car-
tellini rossastri simili a quello del Diurnus e portanti numeri
fra il CCIC e il CCCXXXVI. Ma in qual tempo, dopo
la morte del card. B esozzi, sia stata data ai mss. Sessoriani
tale numerazione in cifre romane non può esattamente
determinarsi. Nel codice CCCIII - uno di quelli del pal-
chetto A dello scaffale 15 - è notato che fu donato a
S. Croce dall'abate Ripamonti il 26 aprile 1783; e cosi,
salvochè fosse stato fatto uno spostamento per far luogo
al ms. donato dal Ripamonti, è da credere che la nume-
razione sia posteriore al 26 aprile 1783. Inoltre, in un rozzo
e incompleto indice alfabetico dei testi contenuti nei mss.
Sessoriani, al tempo in cui essi avevano questa numera-
zione in cifre romane, scritto dalla stessa mano dell'elenco
dei Codices antiquìores et pretiosiores, è notata una miscel-
lanea contenente scritti riguardanti cose politiche eventusqne
qui Romae conti^erunt (2). Con queste sole indicazioni non
m'c riuscito d'identificare la miscellanea, la quale doveva
portare il numero CCLXXII; ma se, com'è probabile, essa
(i) Bibl. Naz. Vitt. Eman. cod. Sessor. 490, e. 2141.
(2) Miscellanea continem nonnulla ad Roni. Ecclesiam, summum Poh-
tificem eventusqne qui Romae contigerunt spectantia 2^2. Bibl. Naz. Vitt.
Eman. cod, Sessor. 490, e. 194 v.
6^0 I. Giorgi
conteneva una raccolta di scritti sugli avvenimenti che pre-
cedettero la prima Repubblica Romana, salvo sempre il caso
di spostamenti e sostituzioni, la numerazione romana cui
appartiene la segnatura CCCXVI del Diurnus deve attri-
buirsi agli ultimissimi anni del secolo passato. E questo si
accorda perfettamente colla forma della scrittura dell' indice
e dell'elenco dei Codices antiqidores et pretiosiores che appar-
tengono sicuramente a quel tempo.
Potrebbe osservarsi che il codice del Diurnus registrato
nell'elenco dei Codices antiquiores et pretiosiores non è no-
tato nell'indice alfabetico sommario che precede l'elenco.
Ma questo - ne son convinto - non vuol dire che il Diur-
nus sia stato portato via da S. Croce nel tempo che corse
fra la compilazione dell'elenco degli antiquiores e la com-
pilazione dell' indice. L'elenco e Y indice sono scritti della
stessa mano sulla stessa carta, l'indice prima, l'elenco poi
in alcuni fogli rimasti bianchi dopo scritto l' indice. E
mentre l' indice, opera frettolosa e trascurata di persona
poco pratica di simili lavori, ha imperfezioni e omissioni
non poche, l'elenco degli antiquiores et pretiosiores è un
lavoro amministrativamente se non bibliograficamente
compiuto che ha vero valore di documento.
7. Codex i]8. 8. Pretiosissimus, etc. Gioacchino Besozzi,
abate di S. Croce, poi cardinale, uomo dotto e assai be-
nemerito della biblioteca Sessoriana, scrisse queste due note.
Nel fondo dei mss. Sessoriani, che aumentò di molti e pre-
gevoli, il Besozzi fece tre lavori. Stabili una nuova nume-
razione, non potendo più servire l'antica forse per le lacune
sopravvenute. E compilò due cataloghi illustrativi, uno di
142 de' più insigni mss. tanto membranacei che cartacei,
l'altro di 38 mss. di minore importanza e quasi tutti di
nuovo acquisto (i). Ma nessuno dei due cataloghi contiene
(i) Uno è il Cod. Sessor. 488 intitolato: Notae centiim quadra-
ginta duo in Sessorianos codices, l'altro è il cod. Sessor. 486 intitolato :
Storia esterna del « ^ìurnus » 651
una sola parola intorno al Diurnus. Né è difficile immagi-
nare la ragione per la quale T opera del Besozzi sul Diurnus
si limitò ad apporvi il numero 138 e la nota Pretiosissi-
mus, etc. Il Besozzi, bibliotecario diligentissimo, non poteva
lasciare senza il numero nuovo un codice cosi insigne, e con
quella nota volle avvertire i suoi successori del pregio sin-
golarissimo di esso, ma non volle comprenderlo in alcuno
dei due cataloghi, e non senza ragione. Avrebbe dovuto
parlare diffiisamente, com'era suo costume, del contenuto
e dell' importanza del codice, delle edizioni dell'Holste e
del Garnier, delle cause per le quali la prima era stata sop-
pressa, e, quello che è più, in uno scritto destinato ad an-
dare per le mani degli eruditi, parlare dell'esistenza d'un
codice che la Sessoriana doveva custodire come un tesoro,
ma sul quale è certo non doveva piacere ai monaci di ri-
chiamare di nuovo l'attenzione degli studiosi. Su questo
punto è pur da osservare che la massima parte dei mss. Ses-
soriani, siano o no compresi ne' due cataloghi del Besozzi,
portano nei fogli di guardia numeri e annotazioni simili di
mano di lui.
9. Diurni Ls Romanorum Pontificum. Questo titolo non è
di mano del Besozzi, che anzi la nota Preiiostssimus v'ò stata
scritta appresso da lui come illustrazione del titolo stesso.
Non è di mano dell'abate Ilarione Rancati o dell'abate
Franco Ferrari, i quaU, come si vedrà in seguito, chiama-
rono costantemente il codice Formularium Pontificum. De-
v'essere stato scritto negli ultimi anni del secolo xvii, pro-
babilmente dopo la visita del Mabillon a S. Croce.
10. D. iij. È la numerazione che portava il codice al
tempo del Rancati, e il trovarla scritta nel verso del fram-
mento dell'ultima carta, prova che allora il codice era privo
di legatura. Della storia del codice al tempo del Rancati
Uotae chronologicae, historicae et criticae in niauuscripta Sessoriana. Sono
ambedue autografi del Besozzi.
6^2 L Giorgi
parlerò in seguito; frattanto giova stabilire che la lettera D
non è un' abbreviazione della parola Diurnus sconosciuta
al Rancati, ma rivela un' incertezza nell' apporre la segna-
tura. I codici del Rancati eran divisi in due serie, una
di 138 segnata con numeri, l'altra di 34 con lettere; pro-
babilmente al Diurnus sarà stata assegnata prima una let-
tera, poi il numero che ritenne in seguito.
Da quanto ho detto intorno a questi segni esteriori,
mi pare si possa concludere sicuramente che il codice si
trovava ancora a Santa Croce negli ultimi anni del se-
colo xviii. È da vedere se il tempo del trasporto all'ar-
chivio Vaticano possa essere determinato con maggiore
esattezza. Per ciò il De Rozière, come ho accennato^ prende
come punto di partenza il decreto imperiale del 3 otto-
bre 181 1 (i). Sebbene quel decreto non riguardi le biblio-
teche, certo è che i mss. Sessoriani sotto l'amministrazione
francese furono trasportati alla Vaticana ; ma certo è pure
che al tempo del trasporto già fra essi non si trovava più
il Diurnus, Nella prefazione ai Regesti di Clemente V, è
stata stampata recentemente la relazione di monsignor Ma-
rino Marini, nipote e successore di Gaetano Marini, intorno
alla riconsegna e al viaggio di ritorno a Roma dell'ar-
chivio segreto Vaticano, il quale, com'è noto, era stato
trasportato per intiero a Parigi per ordine di Napoleone I
e fu restituito dopo la restaurazione. Ora fra i cimeli più
importanti de' quali vanta la ricuperazione il Marini nel
suo rapporto, è il Liher diurnus (2). Il quale, dunque, è
evidente, faceva parte dell'archivio segreto Vaticano prima
che questo andasse in Francia. Cosi il tempo del trasporto
del Diurnus all'archivio Vaticano deve Hmitarsi fra gli ul-
(i) Il decreto dei 3 settembre 1881 inserito nel BulUtin des lois
(serie IV, n. 390, decr. n. 7218) si riferisce agli archivi delle cor-
porazioni soppresse nei dipartimenti di Roma e del Trasimeno.
(2) Regesta Clementis V, I, ccxlix.
Storia esterna del « ^iurnus » ^53
timissimi anni del secolo xviir, epoca in cui esso compare
ancora fra i Codices antiquiores et pretiosiores di S. Croce,
e il 18 IO, anno del trasporto dell'archivio a Parigi. Ma è
ancora possibile una più precisa determinazione di tempo
e di circostanze, se si rifletta, che, secondo ogni proba-
bilità, fu autore o consigliatore del trasporto del Diurnus
Gaetano Marini. A lui, come a tutti gli eruditi del suo
tempo, doveva esser nota in genere l'importanza del Diur-
nus, e v'ha di più il fatto ch'egli, versatissimo in tutto ciò
che riguardava la storia del papato, conosceva o posse-
deva (i) la copia dell'edizione Holsteniana, che aveva ap-
partenuto allo stesso Holste, e nella quale si trovava il
frontespizio di mano di lui e il giudizio autografo del car-
dinal Bona, che provocò la soppressione. Di più, il Marini
aveva posto quella copia a disposizione dell'amico suo Fran-
cesco Antonio Zaccaria, e questi se n'era largamente ser-
vito per la dissertazione sul Diurnus, pubblicata nel voi. 2°
della Bibliotheca ritualis, cosicché egli doveva essere per-
fettamente al corrente delle ragioni per le quali fu soppressa
l'edizione di Holste. L' importanza intrinseca e l'antichità
del codice, la lunga storia delle controversie ch'esso aveva
suscitato e della soppressione, T interesse che doveva avere
la Santa Sede a custodire essa l'unico codice antico su-
perstite dell'antichissima raccolta di formole della cancel-
leria pontificia, i pericoH che in quegli anni di rivolgimenti
politici correvano i libri e i manoscritti delle chiese e dei
conventi, sono ragioni più che sufficienti per render pro-
babile la congettura, la quale, se non erro, è confermata
(1) Malgrado Tasserzìone, del resto non troppo esplicita, di Zac-
caria (Dissertano, p. ccliii), mi pare assai più verosimile che il pre-
zioso esemplare a stampa col frontespizio autografo di Holste e il
giudizio del card. Bona appartenesse all'archivio Vaticano anziché
al Marini. Si ricordi l'annotazione del catalogo De Pretis e quella
più significativa del catalogo De Bellini, le quali, a parere del Sickel
e mio, si riferiscono a quell'esemplare.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 43
^54 ^' Giorgi
da un appunto scritto dal Marini sulla sopraccoperta d'una
lettera esistente ora alla e. 982 del cod. Vaticano 9 114.
Il Marini annota : « Ho veduto ed esaminato il L. diurno
« che stava in S. Croce ... ed ora è dell'archivio Vaticano ».
Certo non dice d'averlo fatto trasportare esso, ma questo
non è strano in un appunto d'uso personale, scritto in
fretta da un uomo della modestia del Marini. Nel diritto
della sopraccoperta è l' indirizzo : « Al cittadino abbate Gae-
« tano Marini, bibliotecario ed archivista vaticano», cosicché
se, com'è più probabile, la noterella è stata scritta poco dopo
ricevuta la lettera cui apparteneva la sopraccoperta, il tra-
sporto del Diurnus in Vaticano verrebbe a cadere precisa-
mente nel breve periodo della prima Repubblica Romana,
cioè dal 15 febbraio 1798 al 30 settembre 1799. Il Ma-
rini, che salvò l'archivio di Castel S. Angelo, traspor-
tandolo in un giorno in Vaticano, pose in sicuro, io credo,
forse nel tempo stesso il Diurnus, provocando una riso-
luzione per la quale fu trasportato da S. Croce nell'archivio
Vaticano (i).
(i) Alla p. 107 del suo Commentario degli aneddoti di Gaetano
Marini, Marino Marini fa merito allo zio del ritrovamento della
copia del Diurnus « scritta di mano dell'Olstenio in una sola notte».
La cosa gli sarebbe stata narrata dal can. Battaglini cui l'avrebbe
più volte ripetuta il card. Zelada e confermata Gaetano Marini
stesso. E, non contento di queste testimonianze, cita, male a propo-
sito, i passi di Zaccaria relativi all'esemplare impresso del Diurnus
col frontespizio autografo di Holste e alle note pure autografe di
Holste possedute dal Zelada. Ma è chiaro che Marino Marini, ignaro
della non facile bibliografia del Diurnus, confonde stranamente le
cose e non comprende ciò che dice Zaccaria. Vedremo più tardi se
è possibile che Holste copiasse in una notte il Diurnus, ma ad ogni
modo, fatta o no in una notte, l'esistenza della copia autografa di
Holste è un fatto nuovo e della più grande inverosimiglianza. Se
in tanta confusione è lecito avanzare una congettura, i racconti del
Battaglini, del Zelada e di Gaetano Marini stesso si riferiscono al
trasporto del codice del Diurnus da S. Croce all'archivio Vaticano.
Storia esterna del « ^iurnus » ^55
III.
Sebbene custodito con cura tanto gelosa da far credere
che si volesse dissimularne l'esistenza, pure il codice del
DiurnuSy prima del trasporto in Vaticano, non rimase cosi
celato nella lontana e poco accessibile biblioteca di S. Croce,
che di tratto in tratto non riuscisse d'esaminarlo e studiarlo
a dotti, specialmente ecclesiastici, di gran fama e di nota
prudenza.
Non è possibile che il Marini non lo abbia esaminato an-
che prima del trasporto in Vaticano ; certo deve averlo stu-
diato e probabilmente collazionato per intiero l'amico di lui
Francesco Antonio Zaccaria, il quale aveva preparato una
nuova edizione del Diurniis, che poi non si decise a pubblicare,
e di cui resta solo la prefazione generale nella dissertazione
inserita, come ho già accennato, nel voi. 2° della Bibliotheca
ritualis edito nel 1781. Per un'altra edizione, che poi ri-
mase allo stato di disegno, fu collazionato il codice sul
principio del secolo xviii • quella che si proponeva di fare
il gesuita francese Daville. Giusto Fontanini e Domenico
Passionei lavorarono insieme alla collazione pel Daville (i)*,
dell'opera loro è rimasta qualche traccia nel cod. Ottobon.
Vat. 3142, che contiene pochi passi e qualche variante del
Diurnus, preceduti, alla e. 84 r. dalla seguente nota di
mano del Passionei : « Alcune varie lezioni del diurno che
« si trova ms. nella libreria di S. Croce in Gerusalemme in
« Roma. — Il libro suddetto fu intieramente collazionato
« da me insieme coU'abate Foqtanini e lo diedi a un certo
« padre Diauille, giesuita francese, affinchè lo stampasse,
« ma egli immortuus est operi. Questi sono pochi fogli
(1) Galletti, Memorie per servire alla vita del canlinuL Domenico
Passiotiei, Roma, 1762, p. 19; Éloge historique de M. le cardinal Pas-
sionei, La Haye, 1763, p. 9.
6^6 I. Giorgi
«perchè la collazione fu fatta sullo stesso libro stampato
« dal Garnerio. i jo6 » .
Dopo il Fontanini e il Passionei deve avere esaminato
il codice anche Daniele Schoepflin, a quanto si può argo-
mentare dai brevi cenni premessi al confronto dell'edizione
di Holste con quella di Garnier, stampata da lui nelle
Commentationes historicae et criticae (i).
Di larghi studi fatti sul codice del Diurnus per un'altra
edizione, rimasta anch'essa ineseguita, rimane la prova nel
codice Vaticano 6818 e in un codice della biblioteca Co-
munale, già dei Minori Riformati, di Castelgandolfo (2).
Questo sconosciuto lavoro, il più importante che sia stato
fatto sul Diurnus dai tempi dell'Holste, del Garnier e del
Baluze fino al De Rozière, merita d'essere esaminato
alquanto diffusamente.
Il codice Vaticano 6818, cartaceo, di 0™ 270 Xo"" 202,
della fine del secolo xvii, contiene il testo del Diurnus
preceduto da un Or do diurni, che è un indice delle formole,
e dal titolo :
DIVRNVS PONTIFICVM
sive vetus
FORMVLARVM LIBER
quo sancta Ro. Ecclesia
ante annos mille utebatur.
(i) Io. Daniel Schoepflin, Commentationes historicae et criticae;
Basilea, 1741. Nelle Observationes premesse alla sua collazione dell'ed.
di Holste con quella di Garnier, pp. 499-501, Schoepflin non afferma
esplicitamente d'aver consultato il codice; ma poiché dice dì esso:
« Est ille membranaceus venerandae antiquitatis, scriptus forma quam
« vocant octavam, extatque adhuc hodie Inter codices Cistercienses
« S. Crucis sodalium Romae », e narra d'aver veduto a Roma un
esemplare della Holsteniana presso il Fontanini e uno presso il
Vignoli, è assai probabile che lo abbia esaminato.
(2) Debbo alla cortese mediazione del presidente della Società
Storia esterna del « ^iurnus » 6^j
Il codice contiene inoltre il testo: AVXILII PRESBY-
TERI prò Formosi Papae eiusque ordinationum defensione
LIBER,
Il codice di Castel Gandolfo, segnato M. V. 9, appar-
tenuto un tempo al card. Giuseppe Maria Tommasi, è car-
taceo, di o"" 2^7 X o"" 19 ij di più mani della fine del se-
colo XVII o dei primi anni del xviii. Contiene:
1° (e. I r) Un frammento della tavola delle formole
secondo l'edizione di Holste (form. XXXIV-LXVI);
2° (e. II r) Un brano di note al Diurnus consistenti
in richiami alla collezione di canoni di Deusdedit, alle
lettere di Gregorio I e Gregorio II e ad Origene;
3° (e. Ili r) V Index formulanim codicis manuscripti
antiquissimi, copia incompleta dell' indice mandato da Hol-
ste al Sirmond;
4° (e. i r) Il titolo DIVRNVS PONTIFICVM etc.
in tutto simile, salvo qualche lieve variante ortografica, a
quello del codice Vaticano 6818;
5° (e. 2 r) VOrdo diurni, indice delle formole al-
quanto diverso da quello del codice Vaticano 6818;
6° (e. 6 r) Il testo delle formole;
7° (e. 93 r) Le note illustrative.
La parentela fra questi due manoscritti è evidente: non
è inutile indagare in che precisamente concordino e in che
differiscano.
Il titolo, eguale in ambedue, differisce da quello che
Holste voleva dare all'edizione sua per la sostituzione
delle parole Formuìarum Liher alla parola Formularinm, La
successione delle formole tanto nell'Ortis diurni che nel
nostra, comm. Oreste Tommasini, e al benevolo concorso del pre-
fetto di Roma e del sindaco di Castel Gandolfo la comunicazione
di questo codice che il De Rozière conobbe solo per un brevissimo
cenno datone dal Trova nel suo Discorso della condizione de' Romani
vinti da' Longobardi, Milano, 1844, p. 75.
658 /. Giorgi
testo è quasi uguale nei due manoscritti : le prime 30 for-
mole si seguono in ambedue coli' ordine stesso dell'edizione
Holsteniana, colla sola differenza che il Vaticano esclude
e quello di Castel Gandolfo include le formole 8, 26, 27
di quell'edizione; circostanza notevole, perchè quelle for-
mole, non esistenti nel codice Hi S. Croce, furono prese
la prima da Deustiedit, le altre due dalle lettere di Gre-
gorio I e inserite da Holste nella sua edizione. In ambe-
due i manoscritti vengono appresso 22 formole, non se-
condo l'ordine di Holste, ma secondo quello del codice
di S. Croce; poi dalla iormoì^ Episcopo de ordinando presbi-
tero fino alla fine si riprende in ambedue l'ordine dell'edi-
zione di Holste. Così il ms. Vaticano ^818 ha 106 formole,
mancandovi le tre sopradette; l'altro di Castel Gandolfo,
che contiene quelle tre, ne ha in tutto 109, numerate erro-
neamente 108 perchè, per una svista, è rimasta senza
numero la formola de altare dedicando.
Non è nell'indole di questo studio una minuta analisi
del testo delle formole nei due mss. che è pressoché uguale;
dirò solo che da alcuni confronti eseguiti qua e là risulta
ch'esso è stato fissato prendendo per base il codice di
S. Croce e adottando per qualche lacuna o per qualche
dubbio la lezione di Holste. Un particolare notevolissimo
e che prova lo studio posto nel riprodurre, per quanto era
possibile esattamente, il testo del codice antichissimo, lo
troviamo nelle parole finali dell'ultima formola (XCIX
dell'ed. De Rozière). Quantunque nelle poche copie del-
l'Holsteniana messe in circolazione sotto Benedetto XIII
l'ultima formola non sia la XCIX dell'ed. De Rozière colla
quale l'Holste voleva chiudere l'edizione, pure sappiamo
con certezza che di quella formola incompleta, perchè il
codice di S. Croce è mutilo, l'Holste non leggeva più
in là delle parole qiiae regulariter. Invece nel ms. Vati-
cano 6S1S le parole quae regulariter son seguite dalle altre:
in psalmis . . . deo salvatori .. . vigilias excubias; nel ms. di
Storia esterjia del « ^iurnus » ^59
Castel Gandolfo da queste : in psalmis et hymnis Domino
Deo salvatori nostro decantandis vigiles excubias agiint. Tutto
ciò si spiega agevolmente esaminando il codice di S. Croce.
Colle parole quae regulariter finisce la e. loi v.; della
carta 102 resta solo un frammento scritto da ambe le parti
e che l'umidità, la quale consumò il rimanente della carta,
rese quasi illeggibile. Eccone la lettura più probabile:
[e. 102 r]. [e. 102 v].
in psalmis vel cuncta con
deo saluatori sa in unum per
uigiles excubias deo laudes ^ersolue
lentiis exterioribus sicut a deo sibi
iugiter ualeant piis uit s.. iugiter per C^
ficia in eccl ili ex^ at... que sub uno ab ^.
constai tua rei 'oca constituta .<i
uilegii apostol nec qui
postular tur uen
tiones sibi re
que h uel
te nas
Il ms. Vaticano ^818 e quello di Castel Gandolfo ci
danno un tentativo simile di lettura del frammento. Nel
primo s'aggiunsero le prime parole leggibili, notando con
puntolini le lacune, ma leggendo vigilias invece di vigiles.
Nel secondo invece si volle fare di. più: si osservò più at-
tentamente il frammento, si lesse rettamente vigiles, e le la-
cune si cominciarono a colmare con ingegnose restituzioni.
Un'altra singolarità degna di osservazione è che nelle
prime pagine del ms. Vaticano 6818 la nota abbreviazione
ili del codice di S. Croce è spiegata iUustris, errore abban-
donato però ben presto in seguito e che non si ritrova
affatto nel codice di Castel Gandolfo.
In questo ms. le note illustrative son dirette a ricercare
nella storia Tuso delle formole del Dinrnus ; il loro merito
principale sta nella sobrietà del discorso e nell'abbondanza
66o I. Giorgi
dei documenti. L'autore, certo assai dotto negli studi del-
l'antichità ecclesiastica, e a cui dovevano esser famigliari
tutti i grandi depositi romani di manoscritti e specialmente
la biblioteca Vaticana, con mano esperta e sicura ha posto
a contributo le lettere dei pontefici, la raccolta di canoni
di Deusdedit, il regesto di Farfa, qcc.
Dopo questo rapido esame del contenuto dei due mss.
non può dubitarsi ch'essi abbiano uno stesso autore e che
rappresentino due diversi stati di preparazione di una nuova
edizione del Diurnus. Il Vaticano ^8i8 che non ha note,
che non contiene le tre formole estranee al codice di
S. Croce, che ha nel principio l'erronea spiegazione del-
l'abbreviatura ili, che ha un tentativo di lettura del fram-
mento finale più imperfetto e senza supplementi, è eviden-
temente un primo abbozzo; quello di Castel Gandolfo, col
suo ricco apparato illustrativo, colle tre formole già intro-
dotte da Holste nell'edizione sua, con ulteriori migliora-
menti nel testo, è una posteriore e più elaborata prepa-
razione.
Ora è da cercare chi, sulla fine del seicento o sui
primi del settecento, può aver pensato e condotto cosi in-
nanzi senza pubbHcarla una nuova edizione del Diurnus.
Su questo punto non posso che esporre una mia con-
gettura.
L'autore dei due mss. ebbe a mano e studiò tranquil-
lamente e a lungo il codice di S. Croce e l'edizione di
Holste. Il fatto d'aver potuto aver comunicazione del
codice antichissimo così gelosamente custodito mostra che
egli non era il primo venuto: ma anche più significativo
è l'uso di un esemplare della Holsteniana. Era certo un
esemplare anteriore alla rimozione del sequestro e al fret-
toloso completamento fatto nel 1724, perchè la scrittura
dei due mss. è anteriore. Se poi si pensi che l'autore dei
due mss. fece suo, con un lievissimo mutamento - Formu-
larum liber invece di Formularium - il titolo immaginato
Storia esterna del « nOiurnus » 661
da Holste e che trovavasi manoscritto in fronte all' esem-
plare presentato da lui per ottenere T approvazione della
curia; poiché non sembra possibile che a molta distanza
di tempo due persone differenti potessero, senza intendersi,
escogitare ambedue lo stesso titolo, conviene concludere
che l'autore dei due mss. abbia avuto a sua disposizione
l'esemplare a stampa col titolo manoscritto, presentato da
Holste. Ma non è possibile che la Congregazione dell'Indice,
negh uffici della quale doveva trovarsi quell'esemplare, lo
consegnasse ad altri che a persona degna della più assoluta
fiducia e preferibilmente ad uno de' suoi consultori. E a
questo punto il nome che mi si affaccia subito alla mente
è quello del padre, poi cardinale Giuseppe Maria Tommasi.
Chi meglio del dotto teatino, insigne specialista nello
studio dell'antica liturgia, aggregato alla Congregazione
dell'Indice fino dal 1^73, nominato esaminatore apostolico
da Innocenzo XII, poteva accingersi ad una nuova edi-
zione del Diurnus ? Forse il giudizio severo del cardinal
Bona pesava alla Congregazione, la quale doveva deside-
rare che, dopo r edizione soppressa di Holste e quella
disapprovata di Garnier, un così venerando monumento
fosse pubblicato di nuovo in una edizione approvata dalla
curia e quasi ufficiale. E il nome del Tommasi, cui cer-
tamente ha appartenuto, si legge per ben quattro volte
nel ms. di Castel Gandolfo.
A parer mio dunque il ms. Vaticano 6818 e quello
di Castel Gandolfo, sebbene lavoro materiale di più co-
pisti, rappresentano due stati diversi della preparazione di
una nuova edizione del Diurnus curata dal Tommasi. Se
questa congettura è giusta, non è nemmen difficile deter-
minare approssimativamente i limiti di tempo entro i quali
il Tommasi deve aver fatto il suo lavoro e immaginare
le circostanze in mezzo alle quali può esser sorta T idea
della nuova edizione.
Nel 17 13, poco dopo il suo innalzamento alla dignità
662 I. Giorgi
cardinalizia, morì il Tommasi, né credo che il disegno di
ripubblicare il Diurnus gli sorgesse in mente prima dei
colloqui che ebbe col Mabillon nel 1^85 e nel 168^. Il
grande benedettino nel suo viaggio d'Italia si trattenne in
Roma dal giugno 1^85 al marzo 16S6, allontanandosene
solo nell'ottobre e nel novembre pc;r visitare Napoli, Cava
e Montecassino. Fin dai primi tempi della sua dimora
chiese notizie del codice del Diurnus usato da Holste, e
dopo molte ricerche potè consultarlo, né credo che alle
ricerche e al ritrovamento fosse estraneo il Tommasi.
Mabillon aveva in grande estimazione il Tommasi, che
chiama « amicus noster in primis, modestia et pietate
« nonminus quam doctrina et scriptis commendandus » (i),
e- per una singolare coincidenza le due menzioni che fa
di lui ndY Iter Italicum (2) sono immediatamente vicine
ai passi nei quali parla della biblioteca di S. Croce in
Gerusalemme, quasiché il pensiero del dotto monaco fran-
cese associasse o almeno riavvicinasse il ricordo del Tom-
masi con quello della Sessoriana di S. Croce e de' codici
ivi studiati. Certo il Mabillon aveva gran desiderio di ve-
dere l'antichissimo codice del Diurnus studiato da Holste,
« cuius exemplar invenire magnopere avebamus » (3), e
lo cercò a lungo e seppe eh' esso si trovava nella Sesso-
riana da un dotto in Roma, « ab homine docto accepi-
« mus » (4). Il dotto non é nominato, e si comprende la
delicata riserva del Mabillon; ma non é improbabile che
questi fosse 1' « amicus noster in primis », il Tommasi. Il
lavoro cominciato dal Tommasi verosimilmente dopo il 1685
dovette trascinare in lungo, ritardato da altri studi e oc-
cupazioni. Lui morto, per qualche anno nessuno pensò più
(i) Mabillon, Iter Italicum, p. 90.
(2) Mabillon, It. Itdl. pp. 90, 132.
(3) Mabillon, It. Ital. p. 75.
(4) Mabillon, It. Ital. p. 75.
Storia esterna del i^ animus » 66^
al Ditirnus, finché nel 1724 alcune copie dell' edizione
Holsteniana ritrovate in Vaticano furono, com' è noto,
frettolosamente e malamente completate.
IV.
Avanzandoci sempre verso i tempi più antichi, giun-
giamo al periodo che corse fra il governo dell'abate Gioac-
chino Besozzi e quello dell'abate Ilarione Rancati, fondatore
della biblioteca Sessoriana (1724-1^26). In altro luogo rac-
conterò la storia di quella biblioteca e specialmente dei
manoscritti che, raccolti dal Rancati, rimasero dopo la morte
di lui a S. Croce ; qui basterà accennarne quanto è neces-
sario per la storia del nostro codice.
Il milanese Ilarione Rancati (i), per tre volte abate
di S. Croce in Gerusalemme, uomo dottissimo che ebbe
in Roma al tempo suo influenza e riputazione grandi,
raccolse una ricca biblioteca della quale era parte assai
pregevole un gruppo di codici provenienti da diversi mo-
nasteri cistcrciensi d'ItaUa: da Nonantola, da S. Salvatore
di Settimo presso Firenze, da S. Martino de' Bocci presso
Parma, da S. Maria di Casamari presso Veroli. Esiste
ancora un elenco sommario di 138 de' migliori codici del
Rancati compilato mentre esso viveva e forse da lui
stesso (2): dei medesimi 138 codici e di altri 34 ch'e-
rano sparsi per la biblioteca esiste una più larga descri-
zione che, per ordine di Alessandro VII, compilò, dopo
(i) Cf. Macedo, Fr. R. P. N. abbatis àomni Hilarionis Rancati in eius
exequiis praesente corpore ad Sanctae Crucis in Hierusahm habita laudatio;
e A. Fumagalli, Vita del P. D. Ilarione Rancali, Brescia, 1763.
(2) Index manuscriptorum anliquorum bibliothccae P. abbatis D. Hi-
larionis quo unice utebatur. Fra le carte di F. Ferrari nel cod. Am-
brosiano C. S. V. II.
66^ I. Giorgi
la morte del Rancati, il cisterciense Franco Ferrari, com-
pagno di studi al Rancati negli ultimi anni della vita (i).
Nell'elenco sommario di cui, fra le carte del Rancati
conservate nell'Ambrosiana di Milano, esiste ancora la
copia adoperata dal Rancati finché visse (2), il Diurnus è
notato : A^. iij Formularium Pontificum. Nella descrizione
più larga del Ferrari, sotto lo stesso n. 117, il Diurnus è
descritto cosi: « 117 in-4° pergam. Formularium pontificum,
« Plura perierunt tam in principio quam in fine, ideoque
« exordium sumit a formula scribendi epistolas episcopo,
« praesbiteris, diaconibus et plebi bis verbis ; Per charissi-
« munì nostrum etc, et finit in formula cuiusdam privilegii,
« euius hoc est initium: Cum in exarandis Dei laudibus, et
« quod nihilominus truncum est et explicit una cum codice
« bis verbis : quae regula. Hic codex conscriptus fuit Longo-
« bardorum tempore. Colligitur ex formula privilegii cuius-
« dam prò confirmatione donationis patrimonii Alpium Co-
(( tiarum S. R. E. in qua fit mentio de quadam regina
« eiusque filiis tamquam prò tunc viventibus, quae regina
« aha esse non potest ab ea quam Luitprandus rex Longo-
« bardorum non multo post dictam donationem ab eo factam
« uxorem duxit ut scribit Paulus Diaconus lib. 6 De gestis
(( Longoh. cap. 43, licet ipse illam Gualtrudam nominet
(c filiam Baioariorum ducis. Porro talis donatio a Carolo
« Sigonio, Regni Italiae lib. 3, refertur in annum 7i^ideo-
(i) Cod. Chigiano R, II, 64. È l'esemplare presentato dal Ferrari
ad Alessandro VII. Una copia di questo catalogo, appartenuta un
tempo alla biblioteca di St-Germain-des-Près, si trova ora alla bi-
blioteca Nazionale di Parigi ed è il n. 13075 del fondo dei mss.
latini. Da quella copia cavò il Montfaucon la lista di codici di
S. Croce inserita alle pp. 193 e 194 del tomo I della Bibliotheca
Mbliothecarum.
(2) È Vlndex esistente nell'Ambrosiana fra le carte del Ferrari
citato alla p. precedente, nota 2, e si trova riprodotto innanzi al cata-
logo del Ferrari nel codice Chigiano R, II, 64.
Storia esterna del « T)iurnus » 66^
« que circa ea tempora videtur scriptus codex iste, in quo
« insuper sexta synodus dicitur nuper celebrata in formula
« professionis sive indiculo episcopi et etiam Romani pon-
«tificis; synodus autem sexta fuit absoluta anno 68 1 et in
« indiculo episcopi de Longobardia habetur expresse quod
« liber scriptus fuerit tempore Longobardorum. Habet fol.
« n. 99 ». Lo stato attuale del codice, guasto in principio
e in fine per modo che delle prime quattro carte e del-
l'ultima restano solo piccoli brani, è presso a poco qual'era
a quel tempo; basterebbe a provarlo la segnatura D. iiy
apposta nel verso del frammento dell'ultima carta. Di nuovo
non v'è che la rilegatura e la carta di guardia aggiunta
sulla fine del seicento.
Ed ora eccoci ad uno dei punti più importanti, ma più
oscuri della storia del codice. Intorno al 1641 (i) Luca
Holste trova a S. Croce presso il Rancati il codice, lo tra-
scrive, e prepara su di esso quella edizione di cui vivo non
potè ottenere l'approvazione, e che fu soppressa dopo la
sua morte. Sulla scoperta dell' Holste, e sulla comunicazione
ch'esso ebbe del codice dal Rancati corse una specie di
leggenda, raccontata da tutti (2), posta in dubbio dal solo
(i) Il De Rozière crede che Holste scoprisse il codice a S. Croce
verso il 1644 o il 1645 ; il Sickel invece stima di poter riportare
la scoperta al 1641 ; ed io convengo in quest'opinione. Holste aveva
molte occupazioni e con facilità grande concepiva disegni di lavori
che poi per la forza delle cose era costretto a condurre innanzi
lentamente o a lasciare incompiuti. Così è verosìmile che assai
prima del 1644 egli vedesse per la prima volta il codice. Nel 1641
cominciò il secondo governo abbaziale del Rancati in S. Croce, e
a quel tempo le relazioni personali e letterarie di lui con Holste
erano già intime, come lo prova la commendatizia del Rancati che
riferisco alla p. 667.
(2) Mabillon, Iter Ilalicum, p. 75 ; Museum lUilicum, I, 3$ ; Besozzi,
nella nota ms. inserita neircscmplare dell'edizione Holsteniana che
esisteva un tempo a S. Croce (Archives des tnissions scientifiquts, I,
243, nota i); Fumagalli, Delle istituzioni diplomatiche^ I, 113. Anche
666 I. Giorgi
Baluze (i), da nessuno esaminata seriamente. Secondo
questa leggenda, narrata la prima volta dal Mabillon nel-
V Iter Italicum, l'Holste, riconosciuta l'importanza del co-
dice, avrebbe chiesto al Rancati di prestarglielo (2); questi
avrebbe consentito, ma solo per pochissimo tempo, e a
quanto pare, per consultarlo semplicemente, non per co-
piarlo. U Hoìste, furtim, furtive, contro la fede data, avrebbe
in una sola notte copiato tutto il codice egli stesso o fatto
copiare da altri, da Leone Allacci, dicono alcuni (3). Os-
servò il Baluze e riconobbe anche il De Rozière essere
materialmente impossibile che il codice sia stato copiato
in una notte, ma nessuno ha spinto più in là l'esame di
questo racconto.
nell'esemplare dell'edizione di Holste esistente nell'Angelica (H, 9, 2)
è una nota ms. che comincia così: « Liber diurnus Romanorum
« pontificum huius editionis per Lucam Holstenium fuit ab isto unius
« noctis spatio furtim descriptus ex antiquissimo codice bibliothecae
« monasteri! S. Crucis in lerusalem quem Celebris P. D. Hilarion
« Rancatus eiusdem monasteri! abbas ipsi Holstenio legendum com-
« modaverat. Rara est haec editio etc. ».
(i) De Roziére, XLI, nota 24.
(2) « Studio igitur incensus exscribendi Libri (Holstenius), cuius
« praetium nemo erat, qui penitius nosset, a Rancato petiit, ut sibi
« praestantissimum codìcem utendum ad brevissimum temporis spa-
« tium daret. Rancatus nonnihil repugnans tandem se amici doctis-
« simi precibus dedidit. Holstenius autem librum, ut Mabillonius
« aliique passim narrant, una nocte describendum curavit ». Zaccaria,
Dissertano, cclii.
(3) Che la copia del Diurnus in una notte sia stata fatta dal-
l'Allacci e non da Holste è una variante della leggenda che s'ap-
poggia, come mi ha fatto giustamente osservare il prof. Sickel, sopra
un errore di stampa incorso nella prima edizione (1687-89) del Museum
Italicum e corretto nell'edizione del 1724. Invece di stampare « quod
« Holstenius commodato cum accepisset » si stampò « quod Allatius
« commodato cum accepisset». L'errore riprodotto pel primo dal Cave
nelV Historia literaria (I, 621) è stato poi ripetuto dal Fabricio nella
Bibliotheca med. et inf. aetatis (II, 454) e dal Ginguené nel breve cenno
della vita dell'Allacci inserito nella Biographie universelle del Mighaud.
Storia esterna del « l)iiirnus » 66j
Il Rancati, teologo e canonista di gran valore, consul-
tato e ascoltato come un oracolo durante i pontificati di
Gregorio XV, di Urbano Vili, di Innocenzo X e di Ales-
sandro VII, era l'amico dei dotti e dei letterati del suo
tempo (i). Delle relazioni d'amicizia che correvano fra
lui e r Holste è testimonio la lettera seguente di racco-
mandazione del Rancati per F Holste. In essa, caso singolare,
si tratta di codici che l'Holste desiderava di vedere a Ca-
maldoli e dei quali il Rancati stesso gli aveva dato l' indi-
cazione (2).
Revmo pre prone mio Cor°
Il sig""^ Luca Holstenio gentilhuomo e bibliothecario del sig''^
card^® Barberino per la sua singolare eruditione stimatissimo in
questa Corte se ne viene a Camaldoli per vedere in cotesta libreria
alcuni manoscritti, de' quali io li ho dato notizia. Prego la V. P^^
Rev™* acciò con particolare carità e cortesia, oltre a quella che con
tutti si suole abbondantemente usare in cotesto luogo, li voglia es-
sere liberale dell'hospitio et ogni altra commodità per il tempo che
gli occorrerà dimorarvi, che oltre al beneficio che ella farà alle
buone lettere obligarà sommamente ancor me, il quale porto sin-
goiar osservanza e venerazione a questo gentilhuomo. Né occor-
rendomi altro la riverisco. Di Roma li 26 giugno 1641.
Di V. Pti Revma
Devotiss° Ser""*
D. HiLARiONE Rancati.
Al Rev'"^ P"-* Prone mio Col^^^
Il P""*^ maggiore di Camaldoli.
(i) Narra il Ferrari in una notizia biografica di lui che trovasi
nel codice Ambrosiano B. S. VI. io (voi XIX delle carte del Rancati)
ch'esso avesse due voti nel conclave in cui fu eletto Alessandro VII,
e che gli antiquari, o come diremmo noi i ciceroni, gli conducessero
i principi stranieri « per la curiosità di veder un huomo tanto nomi-
« nato ». E il Fumagalli, nella citata Vita del Rancati (p. 144), riferisce
sulla fede di Raimondo Besozzi che, udito della morte del Rancati,
Alessandro VII esclamasse: « Extincta est lucerna Urbis et Orbis ».
(2) Ho trovato una copia di questa lettera nella biblioteca Val-
licelliana, nel voi. CLIV delle carte dell'Allacci.
66S L Giorgi
Questa lettera prova, non solo ramicizla del Rancati
per THolste, ma l' impegno che il primo metteva per aiutar
l'altro nelle sue ricerche erudite. Ora si può credere che il
Rancati, il quale tanto s'adoperava per aprire al dotto te-
desco amico suo le porte delle altre biblioteche, gli chiu-
desse in faccia quella della propria ?
Il prestito dei codici era allora cosa abbastanza comune,
cosicché non si può pensare ch'egli avesse difficoltà di
privarsi per qualche tempo del Diurnus per favorire l'a-
mico suo. Piuttosto è da cercare se non possano esservi
state ragioni speciali per negare o limitare quanto al tempo
e al modo la comunicazione del codice. Il punto difficile
è qui. Nel 1^41 poteva il Rancati avere intorno ad una
futura edizione del codice i sospetti, i dubbi e le difficoltà
che sorsero verso il 1650 e determinarono tanti anni dopo
la soppressione ? Non lo credo.
Nell'elenco sommario del Rancati, nel catalogo più
largo del Ferrari il codice è chiamato sempre Formiilarlum
Pontificum. Raccolta delle formole che usavano anticamente i
pontefici romani (i), chiama il dotto gesuita Sirmond l'altro
codice, ora perduto, de'gesuiti del collegio parigino di Cler-
mont. L'applicazione del nome di Diurnus o meglio l'iden-
tificazione del testo contenuto nei codici di S. Croce e di
Clermont colla raccolta ufficiale citata nelle collezioni cano-
niche col nome di Diurnus è opera dell' Holste (2) o deve
(i) In una lettera al P. Terenzio Alciati della C. d. G. dei
14 agosto 1635, che si trova a p. 681 del voi. IV delle opere del
Sirmond.
(2) È questo un punto assai importante, forse il più importante
della storia degli studi sul Diurnus. Il Sirmond conosceva il formu-
lario pel codice che ne possedeva la biblioteca domestica dei ge-
suiti del collegio di Clermont e aveva concepito e partecipato al
cardinale Cobelluzzi il disegno di pubblicarlo, ma non sapeva che
fosse la raccolta ufficiale citata dai canonisti col nome di Diurnus.
Solo all'Holste, il quale s'era occupato di Deusdedit, potè balenare
Storia esterna del <( ^iurnus » 66<)
datare dal tempo degli studi di lui sul codice di S. Croce.
E da quel tempo cominciano le diffidenze: prima d'allora
nulla. Nel i6i6 il Sirmond promette al cardinale Cobel-
luzzi (i) un'edizione delle formole del codice di Clermont;
nel 1635 il Sirmond stesso scrivendo al P. Terenzio Alciati
parla senza ritegno del celebre passo relativo alla condanna
d'Onorio che motivò poi la soppressione dell'edizione di
Holste (2). Ma più tardi è dallo stesso Sirmond che comin-
ciano gU scrupoH e i dubbi, quando il formulario, di cui si
il pensiero della identità del Diurnus coi formulari contenuti nei codici
di Parigi e di Roma. Quanto fermo fosse Holste nella persuasione
di questa identità lo prova la lettera seguente colla quale egli inviò
a Pietro De Marca, arcivescovo di Tolosa, alcuni fogli del Diurnus. Il
De Rozière parla di quest' invio, ma non conosce la lettera di cui io ho
trovato la minuta autografa alla Barberiniana (cod. XXXI, 64) e una
copia più recente nellaVallicelliana fra le carte dell'Allacci (voi. CLIV).
La lettera non ha data, ma dalla risposta del De Marca, esistente
pure in copia in quel volume delle carte Allacciane e che è dell'ot-
tobre 1660 e allude al ricevimento della lettera di Holste nell'aprile,
è certo che fu scritta anch'essa nel 1660. Holste scrive così al dotto
arcivescovo, col quale entrava allora in corrispondenza: « Mitto etiam
« veteris formularli quod nunc excuditur capita nonnulla ex quibus
« perspicies Inter quotidianas et frequentes literarum pontifìciarum
(( formulas monasteriorum quoque exemptiones comprehendi. Diur-
« nus ille solemnis olim Ecclesiae Romanae liber Gregorii M. tem-
« pora antecedit cuius literac complures hac forma scriptae extant, ut
« videre est lib. 8, ep. 63 et lib. 4, epist. 20 et 21, ubi infine ad-
« ditur et celerà secundum morem. Earum autem epistolarum for-
« mulae integrae in hoc libro extant. Privilegia autem monasterio-
« rum eidem libro adiuncta Gregorii aetate in usa fuisse scriniariis
« Ecclesiae Romanae testantur formulac quae marmori insculptae
" nunc quoque in ecclesia SS. Ioannis et Pauli atque alibi supersunt.
'( Verum haec prolixe in observationibus ad librum illuni explico quas
" nunc excudi curo et brevi ad te mittam. Ioannis IV decretum ad
« rem tuam facturum existimavi. De aliis similibus proximc copiosius
« scribam, ne desidcrium tuum inani dilatione nunc suspcnsum te-
« neam. Vale ».
(i) Sirmond, O^era, IV, 651-652.
(2) Lettera del Sirmond citata alla p. precedente, nota i.
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. W. 1 1
6^0 L Giorgi
poteva prima discutere se fosse o no ufficiale, è statò iden-
tificato col Dìurnus Romanorum pontificum citato da Deusde-
dit. L'Holste che a Parigi doveva aver già veduto il codice
di Clermont (i), trovato e copiato il codice Rancati, scrive
e fa scrivere dal cardinal Barberini al Sirmond (12 e 19 no-
vembre 1^4^) (2) pregandolo di supplire con quel codice
alle lacune di quello del Rancati, del quale gU manda l'in-
dice delle rubriche. Pregato in tal modo, il Sirmond ri-
sponde al cardinal Barberini (^ decembre 16^6) (3) che
mandava e manda di fatto a Roma alFHolste il codice di
Clermont. Però nella lettera stessa colla quale partecipa al
cardinale l'invio del codice soggiunge; « iamque cum
« sororis eius filio (P. Lambeck) qui hic est condixeram ut
« Romam pergens ad avunculum deferret, sed ea lege ut
<( ad me postea, quod facturum confido, re confecta, hoc
(( est peracta collatione, remittat. Neque enim eam men-
« tem D. Holstenio esse puto utinlucem edat ». Cosicché
se da una parte abbiamo l'atto generoso e cortese del-
l' invio immediato del codice, dall'altra si tradisce il timore
di una possibile pubblicazione di esso.
In un' altra lettera diretta dal Sirmond all'Holste e che
(i) De Roziére (Introd. xlii) crede che Holste avesse notizia
del codice di Clermont da Pietro Lambeck suo nipote, ma è più
probabile l'opinione del Sickel (Prolegomena, I, 46, nota i), il quale
non trovando traccia di ciò nella corrispondenza finora nota fra
Holste e Lambeck, ritiene che ne avesse conoscenza già da prima.
Holste era già stato a Parigi ed era in strette relazioni coi dotti
francesi. Veggasi intorno a queste relazioni la interessante memoria
del mio dotto amico Leon G. Pélissier, Lès amis d'Holstmius, nei
Mélanges d' archeologie et d'histoire publiés par l'École frangaise de Rome,
tom. VIIL
(2) Lettera di Holste al Sirmond nella raccolta del Boissonade:
LucAE HoLSTENii Epistolae ad diversos, n. lxxvii. Lettera del car-
dinale Barberini al Sirmond nel voi. IV, p. 685, delle Opera del
Sirmond.
(3) Lettera del Sirmond al card. Barberini al voi. IV, p. 686.
Storia esterna del a^iurnus)) 6ji
deve appartenere a tempo alquanto posteriore, la premura
del dotto gesuita per impedire un'edizione del Ditirnus è
a^che più palese. In questa non cela la maraviglia e la
preoccupazione sua nel vedere ricordata la condanna di
Onorio nella formola di professione di fede del pontefice
nuovamente eletto, e dichiara che per questa sola ragione
s'astenne egli stesso dal farne la pubblicazione promessa
al card. Cobelluzzi. « Haec una me potissimum causa de-
« terruit » (i).
Questi scrupoli e questi timori nascevano dalla condi-
zione speciale in cui si trovava il Sirmond per gli studi
fatti e pel possesso del codice di Clermont. A Roma, invece,
nessuno a quel tempo poteva aver difficoltà o far riserve
per lo studio di quel codice sconosciuto di formole, molto
meno il Rancati, il quale era amico dell' Holste e, come lo
prova il lunghissimo elenco de' suoi scritti e la sua corri-
spondenza, non s'era mai occupato delle formole della can-
celleria pontificia. Il racconto dunque della riluttanza del
Rancati a prestare il codice all' Holste, della concessione di
studiarlo per poche ore e della copia in una notte è una
storiella domestica messa fuori per salvare la responsabilità
del Rancati quando del permettere o no la pubblicazione
dell'edizione Holsteniana si fece a Roma una vera questione.
A tanta distanza di tempo e dovendo giudicare solo da
sparsi frammenti di corrispondenze (2) le relazioni di quei
(i) Lettera del Sirmond ad Holste senza data, pubblicata da
Zaccaria, Dissertano, p. cclxxii. Il De Roziòre la crede contempo-
ranea air inviò del codice : io la ritengo d'alquanto posteriore, poiché
dal contenuto non pare sia un'accompagnatoria del codice.
(2) Io credo che la cautela di coloro che ebbero l'incarico di
ordinare gli scritti e le corrispondenze degli eruditi cattolici del se-
colo XVII dopo la loro morte, e la riservatezza anche maggiore degli
antichi editori dei loro epistolari, ci abbia privato forse per sempre dei
migliori documenti intorno alle questioni più delicate della loro vita
e della loro operosità scientifica. E poi il formalismo dominante nel
6^2 I. Gìorf^i
dotti, non è possibile asserire nulla con certezza; ma io
credo che le difficoltà le quali finirono per determinare
la soppressione vennero, non da Roma, ma da Parigi e
furono suggerite dallo stesso Sirmond. Il quale vedendo
che malgrado i suoi consigli si preparava l'edizione del
DiurmiSy deve aver dato l'allarme e svegliati i sospetti della
curia.
Il tramite pel quale si diffuse la leggenda della copia in
una notte dev'essere stato il racconto del Mabillon, e questi
non può averlo avuto da altri che dai monaci di S. Croce.
Quando Mabillon andò a S. Croce 1' Holste e il Rancati
eran morti da più anni, ma il ricordo della soppressione
dell'edizione di Holste durava, anzi s'era ravvivato per la
disapprovazione con cui la curia aveva accolto la nuova
edizione del Diurmis fatta dal Garnier sul codice di Cler-
mont. Era dunque spiegabile la gelosia dei cisterciensi nel
seicento, il sentimento religioso, il rispetto profondo per la suprema
autorità della Chiesa e i vincoli di amicizia che esistevano fra molti di
quegli eruditi dovevano legar loro le lingue e le penne, e intorno a
certe questioni imporre molti riguardi e reticenze. Holste, Sirmond, il
cardinal Bona, autore del giudizio pel quale fu soppressa l'edizione
Holsteniana, Rancati, erano in strette relazioni letterarie e personali
fra loro e cogli altri dotti d'Europa; ma nelle loro lettere, almeno
in quelle che ci son pervenute, si cercherebbero invano notizie espli-
cite intorno all'andamento di cosa cosi delicata come la soppres-
sione del Diurnus. Oltre agli epistolari a stampa del Sirmond, del-
l'Holste e del Bona, ho consultato i manoscritti e le lettere di Holste
esistenti alla Barberiniana e alla Chigiana, quelli sparsi nelle carte
dell'Allacci conservate nella Vallicelliana, ho esplorato minutamente
i grossi volumi della corrispondenza del Rancati che sono all'Am-
brosiana di Milano, ma ben poco m'è riuscito di trovare oltre i do-
cumenti già noti al Zaccaria e al De Rozière. Speravo bene da una
ricerca nell'archivio del Collegio Austriaco dell'Anima in Roma
dove Holste morì e nella chiesa del quale ebbe sepoltura, ma alle
replicate richieste fatte per me dal prof. Sickel si è sempre risposto
che l'archivio non conteneva alcun ms. di Holste o documento re-
lativo ad esso.
Storia esterna del ((^turnusn ^73
custodire e quasi nell'occultare il codice (i) e l'artifizio di
mettere in bocca al Mabillon, che l'avrebbe diffusa per tutto
il mondo erudito, la strana storia che scagionava la me-
moria del Rancati da ogni accusa d'imprudenza.
Colle ricerche precedenti ho tentato di rifare la storia
moderna del codice; ora è da indagare da dove proveniva
quando venne nelle mani del Rancati. E questa non è la
parte men difficile delle mie indagini.
Verso l'anno 1^41 il codice si trova già fra i mss. pos-
seduti dal Rancati. Il catalogo illustrato di que' mss. com-
pilato nel 1664 dal Ferrari ne registra 172, notando le
provenienze di alcuni, ma non dice nulla di quella del For-
mularium pontificum che è al n. 117 (2). Dalle poche indica-
zioni delle antiche provenienze date dal Ferrari e più da
una osservazione minuta dei segni esteriori dei mss. di
S. Croce che furono già del Rancati, si può stabilire che
essi venivano da cinque monasteri: 1° S. Silvestro di No-
nantola, 2° San Salvatore di Settimo (Firenze), 3° S. Mar-
tino de' Bocci (Parma), 4° S. Maria di Casamari (Veroli),
5° S. Anastasio ad Aquas Salvias (Roma). I codici venuti
da S. Anastasio e da Casamari son pochissimi di numero e
non antichissimi; quelli di S. Martino de' Bocci, alquanto
(i) Si rammenti la riserva del Mabillon nel parlare del modo
con cui rinvenne il codice romano del Diunius e la frase della let-
tera di D. Michel Germain a Claudio Bretagne citata dal De Ro-
ziÉRE (Introd. CLin) e pubblicata dal Valéry nella Correspondance
inèdite de Mabillon et de Montfaucon avec V Italie (ly 205): « Nous avons
« pris tout ce que nous avons voulu à Sainte-Croix en Jérusalcm,
« oìi nous avons trouvé trés secrétement un Diurnus romanus an-
te cien de huit cent ans où il y a huit ou neuf piòces nouvelles ».
(2) Veggasi a p. 664 la descrizione del codice data dal Ferrari.
6j4 I. Giorgi
numerosi, son tutti d'epoca relativamente recente. I codici
di Settimo sono 9 e vanno dal ix al xiv secolo : ma nella
storia, del resto poco nota, di quel monastero (i) non v' ha
nulla che possa aver relazione colla presenza là di un codice
cosi singolare come il Diurnus. Poiché non v'è probabilità
alcuna che il Diurnus possa appartenere ad una di queste
quattro provenienze, rimane da cercare se può esser venuto
da Nonantola.
I codici che nel principio del secolo xvii trovavansi
ancora in quel celebre monastero passarono pressoché
tutti (2) nella raccolta Rancati, della quale costituirono
il nucleo principale e più importante. Ve n'era tra essi un
buon numero di preziosi per l'antichità e pel contenuto, e
non pochi di quel gruppo scampati alle posteriori disper-
sioni e rimasti fino ai giorni nostri a S. Croce sono ora
custoditi nella biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele. Co-
sicché v'é già una ragionevole presunzione per credere che il
Diurnus appartenga alla stessa provenienza degli altri codici
antichi e preziosi della raccolta Rancati. Tale presunzione
non può acquistare valore di prova se non é accompagnata
da indizi più sicuri; questi sono da cercare nella storia della
badia Nonantolana.
Nell'anno 885, narrano gli annali di Fulda (3), il ponte-
fice Adriano III, invitato a recarsi in Francia dall' imperatore
Carlo il Grosso, il quale, come ne corse la fama, voleva
servirsi dell'autorità di lui per deporre alcuni vescovi e per
far dichiarare erede del trono il figlio Bernardo natogli da
una concubina, partì da Roma e, passato il Po, venne a morte
e fu sepolto a Nonantola. Nel Likr Pontificalis manca affatto
(i) Cf. Nic.Baccetii Septimianae hisioriae libri VII; Roma, 1724.
(2) Oltre qualche codice liturgico, restò a Nonantola, dove tuttora
si conserva, il codice miscellaneo che contiene la Vita Adriani 1,
della quale parlerò in seguito.
(3) Annahs Fuldenses, par. V, p. 402 (nel voi. I dei Mon. Gemi,
insù).
Storia esterna del « T)hirnus » 675
la vita di Adriano III, ma in quella del successore Ste-
fano VI si dice che questi fu eletto « defuncto recordandae
« memoriae Hadriano papa super fluvium Scultenna in villa
« quae Viulzachara nuncupatur». Dagli scarsi cenni di queste
due fonti si ricava cosi che verso T agosto dell' 885
Adriano III, il quale era in viaggio verso la Francia, mori
a Viulzacara, nome longobardo del borgo chiamato ora
S. Cesario, presso il fiume Panaro, ed ebbe sepoltura nel
vicino monastero di Nonantola (i).
Di questo avvenimento, del quale però ignoriamo quasi
tutti i particolari, era naturale che s impadronisse presto la
leggenda. Era già singolare il caso che i funerali di un pon-
tefice venissero celebrati lontano da Roma e dalla basiUca
Vaticana dove riposavano quasi tutti i suoi predecessori; più
singolare ancora era che il pontefice, il quale veniva a chie-
dere a Nonantola l'ospitalità del sepolcro, portasse il nome
stesso di quell'Adriano I che aveva cooperato alla fondazione
di Nonantola, concedendole le reliquie di S. Silvestro (2) e
confermando coli' autorità sua le concessioni del re Astolfo
per le quali la badia Nonantolana non tardò a divenire la
più ricca e magnifica d'Italia. L'uguaglianza del nome, le
relazioni dei due Adriani con due imperatori franchi che
ebbero nome Carlo, la fama dei miracoli e il culto che eb-
bero ambedue condussero, e presto, a scambiare Adriano III
con Adriano I. È naturale che l' immaginazione dei monaci,
sempre avida di quello che tornava a più grande onore del
monastero, non s'accontentasse di credere che il pontefice
Adriano sepolto nella basilica Nonantolana fosse il III, che
ebbe pontificato cosi breve e cosi scarso d'avvenimenti
(i) Veggasi la carta topografica del territorio del monastero
Nonantolano unita al voi. I della Storia dclV augusta Badia di S. Silvestro
di Nonantola del Tiraboschi.
(2) Cf. la Vita Anselmi abbatis Nonantulani a p. 567 e segg. degli
Scriptores rerum Langobardicarum et Jtalicarum saeculi vi-ix nella serie
in-4" dei Mon. Germ. hisL
^7^ I' Giorgi
degni di memoria da esser quasi dimenticato dal Liher Fon-
tificalis. Perchè non avrebbe dovuto essere invece Adriano I,
che ebbe regno così lungo e così ricco di fatti memorandi,
che era venerato come un santo e che, per soprappiù, era
stato singolare benefattore di Nonantola?
Sorta così nell'immaginazione dei monaci e fermata
negli animi loro e degli abitatori de' luoghi vicini la cre-
denza che il papa Adriano sepolto a Nonantola e venerato
da loro come santo fosse Adriano I, non si doveva tardar
molto a dar forma letteraria a quella domestica e popolare
leggenda. Infatti già in un codice Nonantolano dell'xi se-
colo (i) - ne è improbabile che ne esistessero in altri più
antichi - troviamo due pretese vite di Adriano I, una in
prosa, che è quella pubblicata dal Mabillon nel Museum
Italicum (2), l'altra in versi, che fu edita in parte dal-
rUghelU (3). La vita poetica è un rozzo panegirico pieno di
generalità e non contiene nulla che non si ritrovi in quella
in prosa; questa, formata in gran parte di documenti, è un
testo veramente notevole e che ha, a parer mio, non poco
interesse per la storia del Diurnus. Ne espongo il con-
tenuto.
Dopo l'intitolazione : Incipit vita et textus epistQÌarum
Adriani I papae antiquae Romae, la vita comincia colla breve
notizia: « Adrianus igitur natione Romanus ex patre Theo-
« doro et regione . . . Via Lata sedit annos .xxiii. men-
« ses .X. dies .xvi. Hic igitur domno Stephano papa rebus
(i) Veggasi la descrizione di questo codice in una nota alla pre-
fazione della Vita Anselmi cìtSitSL ora e neW Ikr Italicum dal Pflugk-
Harttung, p. 65. ~
. (2) I, 38.
(3) Italia sacra, II, 92. Intorno a queste due vite e allo scambio
di Adriano III con Adriano I veggasi il Tiraboschi a p. 76 del
voi. I della Storia di Nonantola. Egli riassume quanto avevano detto
prima di lui su quell'argomento l'Ughelli, il Pagi, il Muratori e il
bollandista Sollier.
Storia esterna del « T)inrniis » ^77
« humanis exempto ad ordinem episcopatus communi con-
« cordia omnium clericorum ac populorum electus est sicut
(( eorum decretum demonstrat quod ita se habet » : seguono,
tratti dal Dinrmis, il decretum che è la formola LXXXII
dell'ed. De Rozière, e, ricollegati da brevi frasi narrative,
Yindiculum (form. LXXXIII), la prima professione di fede
(form. LXXXIV) e la seconda (form. LXXXV). A queste
formole succedono una succinta relazione delle molestie
recate da re Desiderio alla Santa Sede, della chiamata di
Carlo Magno, della caduta del regno longobardo, dell'o-
rigine dell'eresia degl'iconoclasti e del secondo concilio
Niceno, riferendo a proposito di questo la divalis sacra di
Costantino e d'Irene ad Adriano I e la risposta di questi.
La vita si chiude con questo passo, che riferisco testual-
mente perchè costituisce la parte veramente originale del
racconto :
Hic etiam cum ad regem Carolum pergeret, ut veterum pandit
memoria, in locum qui Spinum-Lamberti vocatur, vitamfinivit .vili. id.
iulii, et ad ecclesiam monasteriumque beati Silvestri, quod Nonan-
tula dicitur, perductus, honorifice sepultus est: ubi etiam usque hodie
miraculis coruscare dignoscitur. Cuius morte Carolus Francorum rex
audita, nimium condoluit, diuque se in lamentis dedit. Nam ab ipso
Romanorum patricius constitutus fuerat, regnumque Italiae ipso fa-
vente susceperat. Cantores etiam doctoresque ecclesiae ab eo susce-
perat, et in Metensium urbe constituerat, cuius ecclesiae cantores
usque hodie Romanae Ecclesiae plus ceteris Gallis in cantu concordant.
Sepulto itaque summo pontifice et universali papa Adriano apo-
stolicis infulis involuto, uti mos est Romanum scpelire episcopum,
in praedicto Nonantulo monasterio, sicut superius praelibati sumus,
scptem de iam dicto coenobio diaconi et monachi stolidissiraum
consilium rcpercrunt dicentes: quid huic sancto et animae defuncti
prodest, quod tantae pulcrae vestes marcescunt terreno humore?
Melius certe esset, si haec sancta ecclesia illis honorem haberet.
Ideo hac veniente nocte omnes simul ad sepulcrum eius pergamus,
et lucidis ac coruscis vestibus eum exuamus et vilioribus vestibus
induamus. Luce igitur discedente, et tenebris tcrram obumbrantibus
omnes ad monumcntum cuntcs, eum cum silentio descpclicrunt, et
vestimenta eius arripuerunt. Et ut kicidius et apertius hoc ab omnibus
6^8 I. Giorgi
credatur, adhuc unam pulcram planetam, quam crassantes ei abstu-
lerunt, in nostro monasterio habemus. Sed ut animi simìlium de tali
facìnore contabescant, hoc in ventate scimus, quia nullus evasit im-
punitus. Omnis namque ille furiosus tumultus in eodem anno suae
vitae finivit cursus, nisi tantummodo unus.
Di quali fonti principalmente si sia servito il monaco
Nonantolano il quale compilò questa Vita non è difficile
fino ad un certo punto di stabilire. L'esordio è tratto dal
Liber Pontificalis o da un catalogo di pontefici con cenni
biografici presi dal L. P.; le quattro formole dal Diurnus;
il breve racconto della chiamata di Carlo Magno e della
fine del regno longobardo dalla Vita Karoli di Einhardo;
la lettera di Costantino e d'Irene, la risposta d'Adriano e
tutto quel che riguarda gì' iconoclasti dagli atti del secondo
concilio di Nicea; i cenni intorno alla morte, ai funerali e
alla profanazione della tomba dalla tradizione locale mista
di storia e di leggenda.
Che alla compilazione dell'esordio abbia servito il Liber
Pontificalis nel suo testo intero, ovvero un catalogo di pon-
tefici, è una questione legata a quella della buona o cattiva
fede del compilatore. Se questi aveva sott'occhio la breve
notizia biografica d'Adriano I contenuta in un catalogo di
pontefici, l'uso fattone può conciliarsi perfettamente col-
l'assunto preso in buona fede di dar forma letteraria alla
tradizione domestica, riunendo insieme tutte le fonti di cui
poteva disporre. Se però aveva a mano il testo intero
della Vita di Adriano I quale si trova nel Liber Pontificalis,
la mala fede è evidente e inescusabile. Come poteva as-
serirsi che Adriano I fosse morto a Spilamberto e sepolto
a Nonantola da chi aveva innanzi la lunga Vita del pon-
tefice nella quale è detto chiaramente che esso mori a
Roma e fu sepolto in San Pietro ì
Io inclino a credere che il compilatore abbia adoperato
un catalogo e sia stato in piena buona fede. Oltreché nei
diversi inventari dei codici di Nonantola non appare, che
Storta esterna del « Diurnus » ^79
io sappia, un Liber Pontificalis, - e questo non sarebbe argo-
mento decisivo come dimostrerò in seguito parlando del
Diurnus - pel racconto della chiamata di Carlo e della scon-
fìtta di Desiderio non sarebbe stato costretto a ricorrere
ad una fonte straniera^ la Vita Karoli scritta da Einhardo.
Dell'uso fatto dall'anonimo compilatore degli atti del
secondo concilio di Nicea non è qui il luogo di parlare; che
il cenno relativo a Carlo Magno e a Desiderio sia un con-
ciso riassunto del più lungo racconto di Einhardo è chiaro
dal confronto dei due testi (i); della profanazione della
tomba avrò occasione di parlare ora, trattando, come fonte
della Fifa Adriani, del Diurnus che è l'oggetto di questo
studio.
Al Diurnus l'anonimo ha attinto più largamente che
alle altre fonti. Delle dieci formole che contiene riguar-
danti l'elezione e l'ordinazione del pontefice, quattro ne
ha introdotte nella Fifa : il decretum, l' indiculum e le due
professioni di fede^ escludendone, come osservò già il
Mabillon, le sei lettere all' imperatore, all'esarca e agli altri
dignitari ravennati, il che mostra com'egli sapesse che al
tempo d'Adriano I eran cadute in disuso le formole le
quali ricordavano il vincolo di soggezione della Chiesa
(i) Il compilatore della Vita Adriani ha preso da Einhardo,
abbreviandolo, quel tanto che gli serviva per la narrazione sua.
Metto a confronto il passo nel quale il sunto dell'anonimo ripro-
duce frasi e parole di Einhardo:
Einhardo Vita Adriani
{Mon. Germ. hist. Script. II, 445). (Mabillon, Mus. Ital. I, 39).
■ Karolus vero post inchoatum a se • Qui etiam Carolus non prius destitit
bellum non prius destitit quam et Desi- donec Desiderium bello fatigatum per-
derium regem quem longa obsidione petuo exilio damnaret et (ìlium eius
fatigaverat in dcditionem susciperet . . . Italia pelleret, resque direptas Adriano
Finis tamen huìus belli fuit subacta papae restitueret • .
Italia et rex Desiderius perpetuo exilio
deportatus et filius eius Adalgisus Italia
pulsus et rcs a Langobardorum regibus
ereptae Adriano Romanae Ecclesiae re-
ctorì restitutac •.
^8o I. Giorgi
Romana all' impero d'Oriente. L'anonimo ebbe certamente
a mano un codice del Diurnus e da esso tolse il testo delle
formole che supponeva fossero state adoperate in occasione
dell'elezione di Adriano I.
Ma di qual codice si sarà egli servito ?
Del Diurnus, formulario il quale non poteva servire
che all'uso quotidiano del pontefice e della cancelleria pon-
tificia, i codici non possono essere stati mai molto nume-
rosi. Son noti la rarità e il pregio dei codici dell'alto medio
evo. La produzione di essi bastava appena ai bisogni della
Hturgia, della coltura e dell'amministrazione : chi poteva
pensare a sottoporsi all'inutile fatica di moltiplicare le copie
di un libro inutile per tutti, eccettochè per gli ufficiaH della
curia pontificia ? Tenuto pur conto delle distruzioni e di-
spersioni di libri avvenute in ogni tempo, può calcolarsi
che, salve alcune eccezioni, il numero dei codici di ciascun
testo giunti fino a noi deve star sempre in una certa pro-
porzione colla diffusione, la ricerca e la voga del testo
stesso e colla frequenza con cui venne copiato. Per questa
ragione, non solo nei cataloghi moderni dei manoscritti, i
quali si può dire che rappresentino gli avanzi d'un nau-
fragio, ma anche nei cataloghi antichi originaU abbondano
i testi dei quali l'uso e la ricerca erano più frequenti e per
conseguenza più larga la produzione. Ora di copie antiche
del Diurnus giunte fino ai tempi moderni non si cono-
scono che due, il codice di S. Croce, ora Vaticano, e quello
che fu già dei gesuiti del collegio parigino di Clermont, per-
duto da circa un secolo. Nessuno degli antichi cataloghi di
codici registra un Diurnus o un altro codice sotto il titolo
del quale possa supporsi nascosto un testo del Diurnus. Da
ciò io non intendo concludere che i codici di questo for-
mulario fossero ugualmente rari tra il x e l' xi secolo, epoca
approssimativa della compilazione della Vita Adriani, ma
certo l'esistenza fra il x e l'xi secolo di un codice del
Diurnus a Nonantola, da dove poi nel secolo xvii furon
Storia esterna del « ^iur^nus »
presi i codici più antichi della raccolta Rancati, nella quale
troviamo un Diiirnus, è un fatto che sorprende e che me-
rita d'essere attentamente considerato. Soprattutto è da
esaminare se intorno a questa singolare coincidenza venga
ad aggrupparsi qualche altro indizio il quale confermi
r idea che ci si offre spontanea alla mente dell' identità del
codice adoperato dall'anonimo compilatore della Fifa
Adriani con quello di S. Croce che appartenne al Rancati.
Un indizio importante e, a mio credere, decisivo ci è
dato dal testo medesimo delle formole inserite nella Vita.
Il codice di S. Croce e il codice di Clermont, alquanto dif-
ferenti pel numero e per la successione delle formole, ci
danno delle formole stesse testi somiglianti, ma non per-
fettamente identici; e qui giova ricordare che il testo del
codice perduto di Clermont ci è stato conservato fino ad
un certo punto dall'edizione del Garnier e con assai mag-
giore esattezza dal Baluze per l'edizione che ne aveva
preparata e della quale il De Rozière riferisce le varianti.
Ora, un minuto confronto istituito fra il testo delle quattro
formole inserite nella Vita, e quello delle formole stesse
nel codice di S. Croce e nel codice di Clermont, ci dà che
le quattro formole della Vita hanno tutte le lezioni per le
quali il testo del codice di S. Croce differisce da quello del
codice di Clermont. Le poche lezioni per le quali le for-
mole della Vita differiscono dal testo del codice di
S. Croce non coincidono col testo Claromontano, ma
sono lievi differenze nuove, errori di lezione, sinonimie e
varietà ortografiche facilmente spiegabili con una certa li-
bertà e con una certa ignoranza dell'anonimo compila-
tore (i).
Tutto dunque induce a credere che l'antichissimo co-
dice, poi Sessoriano di S. Croce ora Vaticano, si trovasse
(i) Veggasi il minuto confronto che fa dei due testi il Sickel
nei ProUgomcna il.
6S2 I. Giorgi
a Nonantola e che T anonimo nonantolano, compilatore
della Vita Adriani, ne togliesse di peso le quattro formole,
sostituendo, com'era necessario, al luogo dell'abbreviazione
ili, (i), il nome d'Adriano e del predecessore Stefano, e
aggiungendo in fondo al decretum la data « mense februa-
« rio indictione .x. », che egli trasse forse dallo stesso
catalogo di pontefici che gli aveva fornito le indicazioni del-
l'esordio.
La parte veramente originale della Fifa Adriani ci rivela
pure in quale occasione il codice del Diurnus, di cui doveva
esser sede naturale la libreria privata del pontefice o lo
scrinio del Laterano, fu portato a Nonantola.
Ho già detto come allo scambio di Adriano III per
Adriano I desse occasione il fatto vero della morte di
Adriano III e del trasporto e seppellimento di lui a No-
nantola. E la Vita compilata, per cosi dire, di maniera e su
documenti presuntivi, sulla fine serba ancora qualche ri-
cordo dell'avvenimento storico, il quale diede origine alla
leggenda. E questo è il racconto, di cui ho già riferito il
testo, della morte e dei funeraU d'Adriano e della rapina
delle vesti preziose di lui fatta da alcuni monaci di Nonan-
tola. Se Adriano III morisse a Viulzacara, come asserisce
il Liher Pontificalis, o a Spilamberto, come vuole la Vita, è
una questione estranea allo scopo di questo studio; forse
(i) L'esame del modo col quale l'anonimo ha sostituito l'abbre-
viazione ili. delle formole suggerisce al Sickel un'acuta osserva-
zione (Prolegomena II). Nulla di più facile pel compilatore che met-
tere ai debiti luoghi i nomi di Stefano e d'Adriano, né difficile pure
dovè essere per lui aggiungere la data in fondo al decretum; ma
dove trovare il nome del notaio che aveva dovuto scrivere Vindiculum
Pontiflcis? Il compilatore se l'è cavata con una ingenua ghermi-
nella. Ha raschiato il luogo che doveva essere occupato dal nome
e ha scrìtto sopra alla rasura la parola illum, sciogliendo così in un
pronome poco compromettente la nota abbreviatura ili. del for-
mulario. E anche questa è una prova di più in favore delle nostre
conclusioni.
Storia esterna del « ^iufvtus » ^83
però è più attendibile l'ultima versione che s'appoggia alla
tradizione domestica. Quello che mi sembra avere tutti i
caratteri della verità, e che difficilmente si sarebbe potuto
inventare, è il racconto del disseppellimento e della spoglia-
zione del cadavere, confermato dall'esistenza a Nonantola
della ricca pianeta ai tempi dell'anonimo, e tanto più cre-
dibile in quanto che, come è detto esplicitamente, la ra-
pina degli abiti sacri del defunto non aveva per movente
la cupidigia personale privata, ma il desiderio d'arricchire
di splendidi paramenti la chiesa del monastero. Era un'esa-
gerazione colpevole del sentimento, del resto generale nel
medio evo, che spingeva monaci e abati a procurare sopra
ogni altra cosa l'ingrandimento, la ricchezza e lo splendore
dei loro monasteri. E se al cadavere di Adriano III l'al-
tezza della dignità e la venerazione popolare non rispar-
miarono la profanazione e la rapina, tanto meno è da cre-
dere che i monaci nonantolani avessero cura di rinviare
a Roma i libri e le altre suppellettili del defunto pontefice.
Tutto o quasi tutto dovè rimanere a Nonantola ; special-
mente i libri che il pontefice aveva recato seco per servir-
sene durante il viaggio, de'quaUi Nonantolani arricchirono
la loro biblioteca, più specialmente il Diunius, di un codice
del quale sarebbe altrimenti inespUcabile l'esistenza e l'uso
in quel monastero (i).
(i) È mia ferma convinzione che il Diurnus non sia il solo co-
dice appartenuto ad Adriano III, rimasto a Nonantola e passato nella
raccolta Rancati. Se quella raccolta fosse stata conservata intatta
a S. Croce e fosse passata intera nella biblioteca Nazionale di Roma,
un esame minuzioso di tutti i codici più antichi ci potrebbe portare
- chi sa? - a ricostituire il catalogo delia biblioteca da viaggio di
Adriano III. Ma anche fra i più antichi codici attualmente superstiti
del gruppo Rancati è da credere si nasconda qualche reliquia dì
quella biblioteca. Il codice 55, che contiene una ricca raccolta di
testi ascetici e omiletici scritta in caratteri scmionciali del vi secolo,
il codice 63, che contiene la raccoha di canoni Dionisio-Adriana,
ed altri testi giuridici preceduti da un catalogo di pontefici, appar-
6S/\. I. Giorgi
Né si può dubitare che Adriano III possedesse e usasse
un codice del Dìurnns. Pochi atti ci restano di quel ponte-
fice che ebbe un regno cosi breve, ma in parecchi di quei
pochi non è difficile riconoscere qua e là Fuso delle formole
del Diurniis, Specialmente notevole è un privilegio concesso
da Adriano III al monastero di S. Maria di Grasse in
Francia. L'esordio di esso è tolto di peso dalla formola LXIV;
la chiusa contiene frasi prese dalle formole LXXXVI e
LXXXIX (ed. Sickel) (i). In questi passi il testo coin-
cide perfettamente, e quasi sempre anche nella forme orto-
tennero, io credo, del pari che il Diurnus, ad Adriano III. Partico-
larmente notevole è il codice 63, scritto tutto in caratteri del tipo
chiamato così impropriamente longobardo nel ix secolo. Nel cata-
logo dei pontefici che ha innanzi, solo una parte è scritta dalla mano
del resto del codice e questa si arresta a Leone III ; il resto è ag-
giunto di mano più recente. E quello che è più singolare è il rima-
neggiamento che il catalogo ha subito a Nonantola. Con inchiostro
d'un rosso più vivo è stato ripassato il nome di S. Silvestro patrono
della badia Nonantolana, e anche l'antica scritta relativa ad Adriano I
è stata abrasa e riscritta col nuovo inchiostro rosso in caratteri
più spiccati, di forma più recente, naturalmente, e con una iniziale
maiuscola più grande delle altre. La scritta dice: « Adrianus sedit
« annos .xxiii. menses .x. dies sedecim ». Ora, mentre il Lih&r Pontifi-
calis e gli altri cataloghi conosciuti hanno « dies decemseptem », questo
e la Vita Adriani hanno « dies sedecim ». Segno evidente che il
compilatore della Vita e il monaco il quale ripassò il catalogo dei
pontefici attinsero alla stessa fonte. Così anche quest'altro codice di
Adriano III avrebbe servito alla glorificazione del suo omonimo !
(I)
Bolla di Adriano III Diurnus (ed. Sickel).
per N. D. di Grasse (Bibl. Nazion. Form. LXIV.
di Parigi, fonds lat. cod. 5455).
« Convenir apostolico moderamini pia « Convenit apostolico moderamini pia
religione pollentibus benivola compas- religione pollentibus benivola compas-
sione succurrere. Et poscentium animi sione succurrere et poscentium animis
alacri devotione impertiri assensum. Ex alacri devotione impartire assensum;ex
hoc enim lucri potissimum praemium a hoc enim lucri potissimum premium a
conditore hominum Domino promere- conditore omnium Deo procul dubio
mur dum venerabilia . loca opportune promeremur, dum venerabilia loca opor-
ordinataad meliorem fuerint sine dubio tunae ordinata ad meliorem fuerint sine
Storia esterna del « T>iurnus » 685
grafiche, col testo del codice di S. Croce. Argomento non
lieve per ritenere che il pontefice Adriano possedesse pre-
cisamente quel codice che dopo la morte di lui dovè rima-
nere a Nonantola.
In mezzo a tanta concordia di prove e d'indizi sorge
una difficoltà: nessuno degli antichi cataloghi di codici
Nonantolani registra un Diurnus, un Fornndarium o un
altro codice che possa supporsi contenesse il testo del
Ditirnus. Di questa difficoltà, certo non heve, non conviene
né dissimulare né esagerare il valore.
Della bibhoteca Nonantolana esistono parecchi cata-
loghi: uno inedito del principio dell' xi secolo dei Hbri
« adquisiti tempore domni Rodulfi abbatis primi(ioo2-i033)
« per Petrum monachum Ardengum » (i), uno del 1 166(2)
statum perducta. Igitur reverentia ve- dubio statum perducta. Igitur quia pe-
stra postulavi! a nobis quatenus . . . » . tisti a nobis quatenus . . . » .
Form. LXXXIX.
I. Statuentes apostolica censura sub » Statuentes apostolica censura . . .
divini iudicii obtestatione et anathematis sub divini iudicii obtestatione et ana-
interdictum ut nulli umquam . . . » . thematis interdictum ut nulli um-
quam ... ».
Form. LXXXVf.
« Si quis autem (quod non opta- « Si quis autem, quod non opta-
mus) . . . » . mus ... ».
Form. LXXXIX.
« sciat se anathematis vinculo inno- « sciat se anathematis rinculo esse
datum et a regno Dei alienus existat » . innodatum et a regno Dei alienum ...■>.
In questi passi è pochissima la differenza fra il testo dei due co-
dici. Noto le lezioni interdictum e innodatum particolari del codice Va-
ticano, mentre il codice Ciaromontano, se qui il Garnier è fedele,
leggeva interdicto e innodatum. Debbo alla cortesia del eh. Michel
Deprez, conservatore dei manoscritti nella biblioteca Nazionale di
Parigi, la copia della bolla d'Adriano III per N. D. di Grasse.
(i) Q,uesto catalogo esistente in un codice della biblioteca Uni-
versitaria di Bologna m'è stato comunicato dal mio dotto amico il
prof. Augusto Gaudenzi. Lo pubblicherò nella prefazione al mio
catalogo dei manoscritti Sessoriani della Vittorio Emanuele.
(2) 11 catalogo del 1166 si trova alla e. 62 v del codice Sesso-
riano 31, dal quale lo pubblicò il Mai (Spicilegium Romanum, V,
Archivio della R. Società romana di ttoria patria. Voi. XI. 45
6S6 L Giorgi
edito dal Meli e riprodotto dal Becker (i), uno del se-
colo XIV, due del secolo xv (2). Né nei due primi che
ho attentamente studiato io stesso, né nei tre più recenti
che a richiesta del prof. Sickel ha cortesemente consultato
per me il eh. dott. Donabaum é notato alcun codice che
possa credersi contenesse il Diurnus. E cosi dinanzi ad
una serie di fatti e d'indizi i quali provano l'esistenza a
Nonantola nell* xi secolo d'un codice del Diurnus, starebbe
l'assenza di esso nei cataloghi di codici Nonantolani dal-
l' XI al XV secolo. È un argomento negativo di cui vale
la pena di discutere il valore.
Che il Diurnus non si trovi fra i codici acquistati
da Pietro Ardengo al tempo dell'abate di Nonantola
Rodolfo I è naturale e conferma la mia opinione che,
cioè, non per acquisto e in tempo molto anteriore il co-
dice pervenisse a Nonantola. Sembra strano invece
ch'esso non debba . trovarsi nell'elenco del 1166, risul-
tato di una inquisicio intesa a ricercare e fissare in carta
quah fossero allora i codici posseduti dal monastero. Ma
certo è che la inquisicio non fu troppo diligente e che
quell'elenco non rappresenta esattamente la bibhoteca No-
nantolana qual'era nel 1166. Infatti, sebbene la identifica-
zione dei codici su quell'elenco non sia facile cosa, e lo
prova il tentativo infelice che ne ha fatto il Mai, si può
assicurare che la biblioteca Nazionale di Roma possiede
ora fra i Sessoriani alcuni codici che nel secolo xii dove-
vano trovarsi certamente a Nonantola e che pure non sono
notati in quell'elenco. TaH sono, ad esempio, il codice 63
del IX secolo contenente la Collectio canonum Dionisio-
218-221), però con aggiunte e divisioni che lo sfigurano. Anche quel
catalogo sarà da me riprodotto secondo il codice nella prefazione
sopra annunziata.
(i) Cataìogì hibliothecariwt antiqui, pp. 220-223, n. loi.
(2) TiRABOSCHi, Storia della Badia di Nonantola, I, 187.
Storia esterna del « T>iurnus » 687
Adriana e il codice 55 del vi secolo contenente una grande
raccolta di testi omiletici e ascetici. Del primo è certa, del
secondo probabilissima la provenienza nonantolana, eppure
ambedue non figurano nell'elenco del 1 1 66,
Restano i cataloghi dei secoli xiv e xv : quanto a
questi non sarà inutile qualche considerazione più ge-
nerale.
Non è registrato a catalogo : dunque non esiste in hi-
bhoteca; è prova negativa di dubbio valore, specialmente
se si tratti d'identificare manoscritti negli antichi cata-
loghi. Il mio studio sui due cataloghi Nonantolani più
antichi, quello del dott. Donabaum sui più recenti ci fanno
certi che in quei cataloghi non è registrato alcun codice
col titolo Diurnus o Formiilarium o con altro titolo che, a
giudizio nostro, possa nascondere un testo del Diurnus,
Ma, qual diligenza o quale acutezza di divinazione può
assicurarci che in quei .rozzi elenchi il Diurnus non sia
stato realmente registrato con un titolo fantastico ? Si noti
che il codice, a notizia nostra mutilo in principio e in
fine da più di due secoli, poteva aver subito qualche guasto
in principio fin da quando pervenne alla biblioteca di No-
nantola, ed è naturale che per trovare un nuovo titolo ad
un codice il quale ne mancava, un monaco dell' xi e del xii
secolo potesse spaziare quanto voleva nei campi dell' im-
maginazione e della propria coltura.
Ma ammesso pure che il Diurnus non appaia assoluta-
mente e non sia stato notato di fatto in quegli elenchi, non
è argomento bastevole per dubitare dell'esistenza di esso
a Nonantola provata da altri fatti. Una collocazione in
luogo separato, ovvero fra le reliquie del pontefice Adriano
venerato come santo spiegherebbe l'assenza. E anche senza
ricorrere a questa ipotesi, v' ha una condizione di fatto
che potrebbe spiegarla. Oltre i codici già noti, il Rancati
possedeva un gruppo di frammenti aggiunto alla copia
dell' elenco sommario che è nell'Ambrosiana col titolo
688 /. Giorgi
Fragmenta codicum (i) e formante ora una miscellanea.
Il Diurnus mutilo e guasto in principio e in fine e privo
di legatura può esser rimasto inosservato in mezzo a quei
frammenti. Il Rancati separandolo da quei brani e inse-
rendolo nel suo elenco può avergli restituito quella qualità
di libro a sé e, direi quasi, quella individualità che, per lo
stato suo esteriore, gli era stata negata e gli aveva impe-
dito di figurare nei cataloghi Nonantolani.
Non sarebbe difficile trovare anche altre plausibili spie-
gazioni dell'assenza del Diurnus in quei cataloghi. Spiegare
in un modo o in un altro la cosa è una questione secon-
daria; più importante è fissare il canone critico che il non
trovare reo:istrato un codice nei cataloo:hi di una biblioteca
monastica del medio evo o del rinascimento non è la
prova assoluta che il codice non si trovasse in quella bi-
blioteca.
Da quanto ho esposto fin qui mi pare di poter con-
cludere che il codice antichissimo del Diurnus è quello
stesso che appartenne alla biblioteca da viaggio del pon-
tefice Adriano III e che, rimasto dopo la morte di lui a
Nonantola e adoperato dall' anonimo compilatore della
Fifa Adriani I, fu poi nel secolo xvii, insieme cogli altri
codici Nonantolani, portato a Roma a S. Croce in Geru-
salemme dall'abate Ilarione Rancati, e sulla fine del se-
colo xviii collocato neir archivio segreto Vaticano. È cosi
accertata l'esistenza di una reliquia della bibHoteca dome-
stica pontificia del ix secolo nel codice del Diurnus^ e
non solo s'ha un altro argomento per ritenere ch'esso sia
stato scritto a Roma (2), ma si può ragionevolmente sup-
(i) Quest'annotazione si trova in fine della copia del catalogo
Ferrari, fra le carte del Ferrari stesso, nell'Ambrosiana, al voi. C . S . V,
II. I Fragmmta codicum vi sono notati colla segnatura N N imme-
diatamente successiva a quella dell'ultimo codice della seconda parte
segnato M M.
(2) SiCKEL, Prolegomena I, iS q sgg.
I
Storia esterna del (.i^ìurnus)) ^89
porre che provenga dallo scrinio Lateranense. Se è così,
come io credo, non è da lamentare che il codice prezioso
sia stato separato dagli altri di S. Croce sulla fine del
secolo nono e chiuso nell'archivio Vaticano. Dopo circa
nove secoli d'esilio, quasi per diritto di postliminio, il Diur-
mis veniva cosi restituito alla sua sede naturale; reliquia
isolata, e per questo più veneranda, di una serie ricchissima
di libri e documenti che l'opera distruggitrice del tempo
e degli uomini ci ha rapito per sempre (i).
I. Giorgi.
(i) Sul punto di licenziare per la stampa queste mie ricerche,
il prof. Sickel ha pubblicato la nuova e aspettata edizione sua del
Diurnus. È intitolata : Liber Diurnus Romanorum Pontificum. Ex unico
codice Vaticano denuo edidit Th. E. ah Sickel, Consilio et impensis Aca-
demiae Caesareae Vindoh onensis (VÌQnnsij Gerold, 1889). Grazie all'usata
cortesia del prof. Sickel, io aveva potuto giovarmi di questa edizione
veramente definitiva anche prima che fosse pubblicata, specialmente
pel confronto del testo delle formole LXIV, LXXXVI, LXXXIX
colla bolla di Adriano III per N. D. di Grasse.
VARIETÀ
Il socio prof. Castellani, prefetto della biblioteca Nazio-
nale di S. Marco, ci ha trasmesso un documento importante
estratto dal codice Marc. 174, classe X dei Latini. Èia let-
tera originale, per verità molto servile, indirizzata dai Con-
servatori di Roma ad Alessandro VI per rendere conto al
pontefice del modo com' eglino avevano eseguita la com-
missione del ricevimento di Carlo Vili nella città. E il Ca-
stellani aggiunge in proposito le seguenti notizie:
Livio Podocatharo Capriotto, arcivescovo di Nicosia
(Leucosia), nipote al cardinale Lodovico Podocatharo, ve-
scovo di Benevento, trovandosi in Roma addetto alla corte
pontificia nei giorni del sacco della città dalla parte degl' im-
periali (1527), potè in quel trambusto impossessarsi di molte
carte preziose custodite in quella corte, tra le quali un con-
siderevole numero d'atti e lettere tutte autografe indirizzate
da principi, alti dignitari della Chiesa, da magistrati e let-
torati e infin da santi ai pontefici Sisto IV, Innocenzo Vili
ed Alessandro VI, e con Qsse si trasferì a Venezia, dove
mori nel 155^, sepolto onorevolmente in S. Sebastiano,
dove tuttavia s'ammira lo stupendo monumento erettogli
da Iacopo Sansovino. La repubblica prese allora possesso
di quelle carte e le depositò nella Segreta di Stato, donde
nel 1787 furono trasferite nella «Libraria pubblica» ora
Marciana, e ivi ora si conservano in cinque codici, Regnati
coi nn. 174-178 della classe X Latini.
6<)2 Varietà
Il Castellani promette continuare lo spoglio dei codici
suddescritti e comunicare nuovi documenti se corrispon-
denti al carattere di questa pubblicazione.
Beatìss.™® Pater et Clementiss.® Dne post pedum oscula beator.
humiliter còmendatis etc. Non miretur V. S.^^^ si ei antehac haud
scripserimus : occupationes enim rerum, ante et post adventum regis
Francorum providendarum, continuo nos detinuerunt. Omnia tamen,
que per V. S.^^"^ nobis mandata fuerunt summa cum diligentia, una
cum R ™^^ Dnis legato et gubernatore vestro dignissimo communi-
cavimus et expedivimus. Nam et ipsi regi oratores cives misimus.
Qui Sue M.*^ nuntiarent, qualiter V. S.^*^ nobis in suo discessu ex-
presse mandaverat, ut Suam M.^^™ leto animo et honorificentis-
sìme reciperemus, et deinde pridie eundem ad domum visitavimus.
Verum cum hoc mane, circa tertiam diei horam, ex Urbe cum
omnibus suis discesserit, omnes V. B.** felicem redditum tanquam
optimi domini et patris summo cum desiderio et hilaritate cupidi
expectant. Quam ob rem eidem V. B.^ ex parte totius sui devotis-
simi et peculiaris populi Romani humiliter et devote, ac ex ipso
corde supplicamus ut ad hanc suam Almam Urbem quam primum
comode potuerit reddire dignetur. Quod nobis et toti vrò prefato
Romano populo ac omnibus curialibus erit gratissimum ac perio-
cundum: et ad amplissimum decus perpetuamque gloriam V. B.'^
adscribetur et nobis precipere velit que in posterum facere debea-
mus. Nam suis mandatis tanquam veri servuli et obedientiss,^ filii
perpetuo ut teneraur obtemperantes erimus, nuUis parcentes laboribus
ac sudoribus prout hactenus efFecimus prò felici statu S/'^ V. que
feliciter valeat. Cui nos et hunc vestrum fidelem populum semper
humiliter commendamus. Ex vestra Alma Urbe die tertia iunii
.MCGCCLXXXXV.
E. V. B.^'
Fidelissimi servuli Conservatores Cam.®
v.re Alme Urbis.
[ah extra] •}- Sanctiss.*"" et clementiss.'"" D. N. pape.
ATTI DELLA SOCIETÀ
Seduta del g gennaio 1888.
Soci presenti, i signori O. Tommasini, presidente,
R. Ambrosi De Magistris, D. Carutti, G. Coletti, A. Cor-
visieri, C. Corvisieri, G. Cugnoni, E. De Paoli, B. Fon-
tana, I. Giorgi, I. Guidi, C. Mazzi, A. Monaci, E. Mo-
naci, G. Navone, E. Stevenson, G. Levi, segretario.
La seduta è aperta alle ore 3 50 pom.
Il Segretario legge il processo verbale delia seduta
precedente, il quale viene approvato.
Il Presidente commemora una perdita grave e dolorosa
fatta dagli studi e dalla Società per la immatura morte del
socio Paolo Ewald, venuto meno quando stava per rac-
cogliere il frutto di lunghi studi, diligenti e sagaci intorno
alle lettere di Gregorio Magno. A questo lavoro, di cosi
capitale importanza per la storia di Roma, rimarrà colle-
gato il nome di lui, caro a quanti dei soci ebbero la ven-
tura di apprezzarne le personali qualità nei vari soggiorni
da lui fatti in Roma.
I soci sindacatori A. Corvisieri e B. Fontana pro-
pongono l'approvazione del conto consuntivo 188^, che
è approvato all'unanimità senza discussione.
II Segretario legge il processo verbale dello spoglio
delle schede pervenute alla presidenza per proposte di nuovi
soci. In conformità di esso, a termini dello statuto, si
procede allo scrutinio segreto sul nome del prof. Dome-
^94 oAtti della Società
nico Comparetti, che risultò eletto a socio con Funanimità
de' suffragi sopra sedici votanti.
Procedutosi alla elezione del segretario, il socio Levi
risultò eletto con 13 voti sopra 16 votanti.
Il Presidente propone quindi alla discussione lo schema
già distribuito ai soci per la compilazione del Codex diplo-
maticus Urbis, che corrisponde ad un antico voto della
Società, reso ora di più agevole esecuzione per l'incorag-
giamento e offerta di aiuto da parte dell' Istituto Storico
Italiano. In un lavoro cosi capitale per la storia di Roma
e di natura veramente sociale, confida nel concorso di
tutti i soci.
Il socio De Paoli vivamente approva la proposta e
come soprintendente agli Archivi romani, dichiara che
comunicherà alla Società tutti quei documenti che sia
in originale, sia in copia, sia in sunto si trovino nell'ar-
chivio di Stato. La maggior parte delle serie dell'archivio
non va al di là del secolo xv. Oltre però che dalla col-
lezione delle pergamene, e dagli indici di S. Silvestro in
Capite, S. Cecilia, qcc, può sperarsi di raccogliere buon
numero di documenti anche per i secoli anteriori al xv
dai sommari aggiunti ai processi. Quanto allo schema lo
approva ; solo chiede se, come gU sembra, tra le fonti da
esplorare non siano da comprendersi gli epistolari e le
iscrizioni.
Il Presidente risponde che non v'à dubbio che anche
gH epistolari e le iscrizioni siano da comprendersi tra le
fonti pel Codex diplomaticus Urbis, quando contengano
notizie di documenti o diplomatici o relativi alla costitu-
zione della città ; mentre quelle sole relative alla storia del
costume, qcc, potranno servire per la Historia Urbis di-
plomatica, come nello schema è notato. L'elenco delle
varie categorie di fondi da esplorare, aggiunto allo schema,
non devesi del resto considerare come una completa e tas-
sativa enumerazione.
oAtti della Società ^95
Il socio barone Carutti di Cantogno applaude alla
nobile intrapresa, che dice degna dell* Italia nuova. L'Isti-
tuto Storico Italiano non poteva meglio auspicare Topera
sua che promovendo questo lavoro. Egli come presidente
della Deputazione di storia patria per le antiche provincie,
ringrazia la Società Romana che pronta e coraggiosa ri-
sponde all'invito e s'accinge a compierlo. Desidererebbe
conoscere con quali criteri è stato determinato il termine
cronologico da cui incominciare il Codex.
Il Presidente risponde che nell'atto di compilare lo
schema fu riconosciuta la difficoltà, allo stato attuale delle
ricerche, di stabilire un limite cronologico. Perciò parve di
non porre alcun termine ad quem, mentre fino a che
si anno atti relativi alla vita giuridica e civile del Comune
di Roma, questi dovranno trovar posto nel Codice. Quanto
al termine a quo non volendo pregiudicare la questione
se si debba cominciare dalla cessazione dell'impero o dal
trasporto di esso a Costantinopoli, e volendo lasciare libero
il campo alle indagini, si propone di cominciare dal tempo
di Gregorio Magno, termine intermedio da cui si può
prendere le mosse cosi per discendere come per risalire
fin dove le ricerche e i documenti lo consentiranno.
I soci De Paoli e Carutti ringraziano degli schiari-
menti.
Nessun altro chiedendo la parola, il Presidente pone
a votazione lo schema, avvertendo che verrà aperta appo-
sita rubrica neìV Archivio per pubbhcarvi i lavori prepara-
tori, e le adesioni relative alla pubblicazione del Codex.
Lo schema del Codex Urbis diplomaticus è approvato.
La seduta è levata alle ore 5 pomeridiane.
6^6 oAtti della Società
Preparazione del Codex diploma ticus urbis Romae.
(Relazione all'Istituto Storico).
Roma, a dì 20 novembre 1888.
Mi reco a debito di ragguagliare l'Istituto Storico Ita-
liano deirinizio che questa R. Società Romana di storia
patria à dato alla preparazione del Coàìct diplomatico di
Roma, in seguito alla deliberazione presa dall'Istituto me-
desimo nella seduta del 31 maggio 1887.
Grata delFincarico ricevuto, che corrispondeva ad un
antico desiderio dei colleghi, la Società procedeva per
mezzo del suo Consiglio direttivo a proporre le basi e le
linee principali dell'opera, sottoponendo ai singoli soci uno
schema, in cui s'indicavano i termini di tempo e di luogo
e il limite logico rispetto alla comprensione dei documenti
da incorporare nella raccolta.
Questo schema venne fatto oggetto di discussione per
lettera coi soci lontani, e coi presenti nell'assemblea ge-
nerale del dì 9 gennaio ultimo decorso, in cui, notificate
tutte le osservazioni, lo schema rimase definitivamente ap-
provato nella forma della circolare che mi pregio di ac-
cluderle (V. Archivio, XI, 64-66).
Le osservazioni d'autorevoli colleghi si erano aggirate
e intorno al termine cronologico iniziale, e intorno ai do-
cumenti a cui si limitava la comprensione dell'opera, e
intorno ai fondi scientifici che si proponevano ad oggetto
di esplorazione. I soci barone D. Carutti e W. von Gie-
sebrecht obbiettarono circa l'incertezza del termine a quo.
Il von Giesebrecht nel febbraio scriveva da Monaco : « Der
« Pian, wie er in December vorigen Jahrs in einem Cir-
ce cular dargelegt ist, scheint mir durchaus zu billigen, nur
(( mòchte ich der Erwagung anheimstellen ob nicht als
« Ausgangspunkt der Untergang des abendlàndischen Reichs
« zu vàhlen sei ». Il comm. dott. E. De Paoli, soprainten-
oAtti della Società ^97
dente al R. Archivio di Stato in Roma, proponeva che
tra le altre fonti si osservasse se non fosse bene attingere
anche ad iscrizioni ed epistolari. Il prof. Villari notava
che la storia del Comune di Roma trovandosi più d'ogni
altra connessa a quella di tutta l'Italia, le ricerche per le
fonti manoscritte bisognerebbe farle non solo nelle biblio-
teche ed archivi romani, ma anche in quelli del resto d'I-
talia; né forse converrebbe escludere del tutto gli archivi
stranieri; ed aggiungeva l'invito di tener conto anche delle
pubblicazioni periodiche, molte delle quah hanno documenti
importanti per -la storia costituzionale di Roma.
Alle quali osservazioni la Società rispose accettandole,
per quanto concerneva la moltipHcità dei fondi da esplo-
rare, confidando che il R. Istituto Storico Italiano avrebbe
determinato, d'accordo colla Società stessa, le modalità se-
condo le quali è possibile d'incoraggiare e sostenere viaggi,
dimore e ricerche di studiosi a quest'effetto. Nell'esame del
materiale già edito nulla deve essere omesso o trascurato,
essendo tracciate le Hnee generali dello schema solo per
indicare e non già per escludere. Il punto di partenza del
Codice non venne recisamente determinato perchè, se ve-
ramente al cessar dell'impero occidentale si tronca e muta
l'antica vita costituzionale di Roma, questa era già infirmata
da una serie non piccola di vicende storiche, prima fra
le quali l'edificazione d'una seconda Roma sul Bosforo, che
rassomigliasse e decapitasse la prima ; per cui, stabilitasi la
rivalità tra la città dell'oriente e quella dell'occidente, s'apri
la via alle vitali agitazioni del medio evo, fatte più chiare ad
intendere, se si parte da quella legge che vedevasi impressa
ad una colonna in mezzo allo strategie di Costantinopoli.
La questione si riduce pertanto a cominciare il Codice o
da un brano degli Excerpta di Malco (^Script, Bi^. Dcxippi
et aliar, fra^tn. pp. 235-236) o da un frammento della
Storia ecclesiastica di Socrate Scolastico (I, 16); la quale
determinazione potrà meglio aver luogo nel distinguere
698 oAtti della Società
quella parte del materiale che per la natura sua dovrà es-
sere incorporato nel Codice o nella Storia diplomatica di
Roma, alla cui compilazione porge naturale e contemporanea
occasione la preparazione di quello. Nella Storia diplomatica
potranno pertanto aver luogo gli estratti da documenti che
non avranno ragione d'esser compresi nel Codice. La cernita
delle schede sarà fatta dalla Commissione che verrà pre-
posta alla redazione definitiva dell'opera. Frattanto sembrò
opportuno di ordinare gli spogli preparatori in guisa che
i due lavori potessero aver comune Torìgine. Fu però di-
stribuito tra i soci un certo numero di schede, di cui si
allega l'esempio, curando che rispondesse agli intendimenti
sopra enunciati. La scheda stessa fu sottoposta prima al-
Tappròvazione dei colleghi: questi vennero invitati a de-
terminare il limite entro al quale, secondo i particolari
studi, intendevano di restringere le loro ricerche. Non man-
carono adesioni. All'esplorazione dei regesti pontifici editi
dichiararono d'accingersi i soci: Ugo Balzani, segnata-
mente per le lettere di Gregorio Magno; S. Lòwenfeld
per lo spoglio dei regesti editi dal ^04 al 1198; G. Levi
per queUi pubblicati dal Potthast e per l'analisi delle Vitae
pontificum Romanorum; ed esso e Alfredo Monaci offersero
ancora di curare l'esame dei regesti mss. dell'archivio
segreto e della biblioteca Vaticana, dividendo con oppor-
tuno accordo il lavoro; il prof. G. Gatti promise, d'intesa
col comm. G. B. De Rossi, di esaminare le raccolte d' i-
scrizioni, e di mettere a disposizione della Società i suoi
appunti intorno alla serie dei magistrati romani ; L Giorgi
di curare la collazione dei documenti pubblicati dal Gal-
letti nel Primicerio e Festiarario, estendendo, quando sia
possibile, ai documenti custoditi nell'archivio Capitolare
di S. Maria in Via Lata l'opera sua; il dottor E. Stevenson
e l'avv. R. Ambrosi di esplorare alcuni archivi della pro-
vincia, comunicando l'uno documenti veliterni, l'altro ana-
gnini; il rev. sig. Leone Allodi di comunicare i docu-
(yltti della Società ^99
menti membranacei della proto-badia Sublacense, che
possono avere importanza pel nostro assunto; il cav. Luigi
Fumi di esaminare gli archivi di Toscana, dell'Umbria, e
segnatamente di Perugia, Todi, Gubbio, Spoleto, Orvieto,
Terni, Narni, Assisi, e di far indagini nell'archivio Vati-
cano, preferendo fra tutti gli altri atti quelli che si conten-
gono nei registri del Patrimonio di San Pietro non pub-
blicati da altri; il comm. dottor Enrico De Paoli, come
sopraintendente agli archivi romani, di comunicare tutti
quei documenti che sia in originale, sia in copia, sia in
sunto si trovano nel R. Archivio di Stato; il prof. P. Vii-
lari di ricercare gli archivi di Firenze e di fornire la col-
lazione e la copia dei documenti reperti ; il prof. Ernesto
Monaci di fare lo spogHo delle croniche Muratoriane ; il
dottor Th. Hodgkin quello delle lettere di Cassiodoro; il
sottoscritto di percorrere le collezioni annalistiche e ricer-
care le fonti inedite, specialmente del decimoquarto e de-
cimoquinto secolo ; i signori prof. G. Cugnoni, bibliotecario
della Chigiana, C. Castellani, prefetto della Marciana in
Venezia, H. Winkelmann, bibhotecario della università di
Heidelberg, di contribuire coi preziosi fondi scientifici
delle librerie cui sopraintendono a vantaggio del Codice
diplomatico di Roma.
Necessitando poi di stendere Tesame al maggior nu-
mero di collezioni e d'archivi privati e pubblici della nostra
regione, fu indirizzata alle più illustri famiglie e alle Am-
ministrazioni civili ed ecclesiastiche principali della cittA
la circolare che segue :
Roma, li 31 maggio 1888.
On. ed III. Signore,
Fin dall'anno 1845 un giornale letterario e scientifico di Roma
annunziava con gioia « come alcuni signori e alcuni capi d'Amminì-
stra/ioni ecclesiastiche in Roma, pregiftndo la utilità che dalle an-
tiche carte possono trarre la storia ed il foro nella trattazione delle
cause civili, decretarono l'ordinamento de' loro archivi domestici o di
700 oAtti della Società
quelli sottoposti alla loro presidenza ». Il Saggiatore^ che in quel
l'anno pubblicava così bella notizia (an. 2, voi. IV, p. 319), aggiun-
geva lodi al Carinci, conservatore dell'archivio Caetani e ordinatore
del cartulario della Fabbrica di S. Pietro, dell'archivio del marchese
Patrizi-Naro e del principe di Piombino.
Ora questa R. Società Romana, che per invito dell'Istituto Sto-
rico Italiano si accinge a pubblicare il Codcx diplomaticus Urhis,
reputando che le belle disposizioni d'allora abbiano fruttificato, con-
fida che alla storia patria non verrà meno in questa occasione il cor-
tese contributo delle grandi e generose famiglie e delle potenti Am-
ministrazioni civili ed ecclesiastiche per cui la storia della patria è
gloria domestica e chiede che all'alta intrapresa che le è commessa
concorra il favore dei singoli, e si conceda pertanto, con quelle mal-
leverie che più sembrano desiderabili e d'accordo coi signori archi-
visti, che la Società faccia esplorazione, collazione e pubblicazione di
quei documenti che è sperabile si trovino in cotesto spettabile ar-
chivio, di tale qualità che non debbano mancare a un Codice e ad
una Storia diplomatica di Roma.
La R. Società Romana di storia patria confida che la preghiera
che avanza verrà dall'on.'"^ S. V. presa in considerazione e sarà lieta
di notificare nella rubrica della sua pubblicazione periodica riservata
alla preparazione del Codex diplomaticus Urbis, quella risposta che
all'on. S. V, piacerà di farle pervenire.
Con ossequio, ecc.
Famiglie ed Amministrazioni alle quali fu indirizzata:
Famiglie nobili.
Aldobrandini principe don Camillo — Altieri principe — Barbe-
rini principe don Enrico — Bolognetti-Cencì principe don Virginio —
Borghese principe don Paolo — Caetani duca don Onorato — Ca-
pranica marchese Camillo — Cardelli conte Alessandro — Chigi
principe don Mario — Colonna principe don Giovanni — Del Bufalo
Della Valle marchese — Doria principe don Giovanni Andrea — Ga-
brielli principe don Placido — Orsini principe don Filippo — Sforza
Cesarini duca don Francesco.
Capitoli, Collegiate e Monasteri.
Capitolo di S. Anastasia — di S. Angelo in Pescheria — dei
Ss. Celso e Giuliano — di S. Eustachio — di S. Giovanni in La-
terano — di S. Girolamo degli Schiavoni — dei Ss. Lorenzo e Da-
oAtti della Società 701
maso — di S. Marco — di S. Maria in Cosmedin — di S. Maria
Maggiore — di S. Maria ad Martires — di S. Maria di Monte Santo
— di S. Maria in Trastevere — di S. Maria in Via Lata — di S. Ni-
cola in Carcere — di S. Pietro in Vaticano — Monaci Benedettini
di S. Paolo.
Ospedali.
Ospedale di S. Giacomo — di S. Giovanni — di S. Spirito in
Sassia.
Archiconfraternite e Confraternite.
Archiconfraternita degli Adoratori alla Colonna — degli Amanti
di Gesù e Maria — di S. Andrea e S. Francesco — di S. Antonio
di Padova — dei Bergamaschi — dei Ss. Carlo ed Ambrogio —
di S. Caterina da Siena — del SS. Corpo di Cristo — del SS. Cro-
cifisso Agonizzante — del SS. Crocefisso — dei Curiali — di S. Gio-
vanni dei Fiorentini — dei Lucchesi — di S. Maria della Mercede
— di S. Maria dell'Orazione e Morte — del SS. Sacramento — di
S. Spirito.
Risposero all' invito con singolare cortesia i signori :
principe Paolo Borghese, marchese Camillo Capranica,
Onorato Caetani duca di Sermoneta, principe Mario Chigi,
principe Colonna, principe F. Orsini, duca F. Sforza Ce-
sarini; il rev. abate di S. Paolo, don Francesco Leopoldo
Zelli, pel Capitolo di S. Lorenzo in Damaso il chiarissimo
monsignor David Farabulini, le Amministrazioni ospita-
liere di S. Spirito in Sassia, del Salvatore ad Sancta San-
ctorum; l'archivista dei Bergamaschi; ed è luogo a sperare
che questi nobili esempi vinceranno altre ritrosie.
Dischiusa la via al lavoro, questo venne incominciato
e in apposita rubrica del nostro Archivio se ne renderA
conto. I contributi dello Stevenson, dell'Ambrosi, dagli ar-
chivi di Anagni e di Velletri e quelli dell'Allodi dall'abadia
Sublacense vi troveranno immediatamente il loro posto;
cosi in seguito i successivi.
Archivio della R. Società romana di ttoria patria. Voi. XI. 46
702 oAtti della Società
Se non che importa che Topera sociale sia ben disci-
plinata cosi nella preparazione come nella compilazione;
e ^e è desiderabile che, in quella guisa che si reputerà più
opportuna da cotesto R. Istituto Storico, si faciliti Tesplo-
razione d'archivi e di biblioteche, senza la quale sarebbe
vano accingersi all'intrapresa, importa pure che un primo
saggio della pubblicazione venga circoscritto dentro a ri-
stretti limiti cronologici; dacché se in tutte le opere il co-
minciamento è difficile, di questa, che non è lieve, neces-
sita ben fissare l'indole e i modi, acciocché il principio
del fatto sia guida eloquente anche a chi segue ad atten-
dere alle ricerche preparatorie.
Il Presidente
O. TOMMASINI.
BIBLIOGRAFIA
Alessandro Gherardi. Nuovi documenti e studi intorno a Gi-
rolamo Savonarola, Seconda edizione emendata e accre-
sciuta. — Firenze, Sansoni, 1887 (12°, pp. xii-400).
Merita lode il pensiero del cav. A. Gherardi^ di fare una nuova
edizione di questo libro, non che l'incoraggiamento dato all'opera dal
Ministero della pubblica istruzione ; perchè l'edizione prima stampata
a soli 50 esemplari era quasi irreperibile; e chi non poteva, o per do-
veri d'ufficio o per altro, recarsi ad esaminarla in qualcuna delle
principalissime biblioteche del Regno, doveva appagarsi d'argomen-
tarne la grande importanza dalle rassegne e dai libri, che ne par-
lavano o che facevano tesoro dei documenti e degli studi in quella
raccolti.
Questa lode ha da esser poi tanto maggiore, in quanto non si
tratta di una semplice ristampa ; ma il libro ci si presenta veramente
migliorato e accresciuto di molte cose, alcune delle quali d'importanza
non lieve. Come sanno quelli, che han visto o questa o la prima edi-
zione, il libro è diviso in tre parti, delle quali la prima, genealogica e
bibliografica, ha a fondamento gli studi del compianto cav. Napoleone
Cittadella di Ferrara sulla famiglia e sulla casa del Savonarola e su
tutte le pubblicazioni, che ne illustran la vita ; la seconda, sopra tutte
importante, è formata da documenti inediti scoperti in gran parte dal
p. Ceslao Bayonne, domenicano studiosissimo delle cose del Savona-
rola, e qui pubblicati, ordinati, illustrati; la terza contiene la tratta-
zione di certe quistioni cronologiche, alcune delle quali rilevantis-
sime. Or nella presente edizione la parte prima ò accresciuta di certe
notizie intorno a un amore giovenile del S. per Laodamia figliuola
naturale di Roberto Strozzi, la quale non aveva degnato la mano
del giovine nato di più umil casata (i); e soprattutto di molte no-
tizie bigliografiche, che hanno indotto il Gh., anziché a fare un sup-
(i) Par. I, 'j 11, pp. s-8. Le notizie son tratte, parte da un tratto del Vulntra dili-
ggnfii di PRA Benedetto, gii edito in parte e scorrettamente dal .Mcicr e dall'Aquarone ;
in parte da qualche nuovo documento, dei quali n'i pubblicato uno a p. $, a. l.
704 bibliografia
plemento alla hibliografia del Cittadella e aìV aggiunta fattavi nella
prima edizione, a riunire tutti i vecchi e nuovi materiali in un corpo
unico, che è riuscito davvero un bel saggio di bibliografia biografica
del frate ferrarese. La parte terza è soltanto trattata con maggiore
ampiezza, specialmente richiesta dal modo nel quale erano state toc-
cate quelle questioni nella nuova edizione dell'opera insigne del
prof. Villari. Quanto alla seconda, dirò colle parole stesse dell'edi-
tore, che « si avvantaggia qui notabilmente sulla prima edizione.
«Ventisei sono i documenti nuovi con le opportune illustrazioni...
«Basterà ch'io accenni ai principalissimi, che sono: alcuni brani
« della Storia manoscritta di Piero Parenti, che, insieme con una
« lettera di madonna Guglielmina della Stufa, formano il quinto pa-
« ragrafo, interamente nuovo ; diverse note di spese incontrate dalla
« Signoria e dai Dieci per il fatto dell'esperimento del fuoco, e per
« la cattura e il supplizio del S. e dei compagni (§§ ix e x) ; e altri
« brani di cronache, pur manoscritte, di due frati minori, che ho posto
«tra i documenti relativi alla memoria di fra Girolamo (§ xii) (i).
« Anche i documenti delle relazioni del Nostro coi Pratesi, così bene
«illustrati dal comm. Guasti, ritornano, con qualche giunta e qua
« e là ritoccati, in questa edizione » (2). E su questa seconda parte,
che forma quasi tutto il volume del libro, fermeremo particolarmente
la nostra attenzione, così sulle aggiunte, come su quel che già nella
prima edizione si conteneva, giacché la sua scarsa diffusione può
quasi farla considerare come un'opera nuova; e lo faremo seguendo
l'ordine dei dodici paragrafi, nei quali la materia è distribuita, per
quanto la qualità degli argomenti di ciascuno lo consentiva, se-
condo la successione dei tempi.
Contiene il primo, che si riferisce ai primordi della vita religiosa
del S., due lettere dell'illustre medico e letterato bolognese Giovanni
Garzoni, lettore di filosofia nel patrio ateneo, che nella prima lodava
il S. di esser venuto « ad urbem Bononiensem tamquam ad mercha-
turam bonarum artium », e gli preconizzava che si sarebbe fatto, alla
sua scuola, grande oratore, come altri, che ricordava, ma i cui nomi a
noi giungono ignoti (3); nell'altra usava espressioni, che non lo
mostrano troppo contento del discepolo (4).
Il secondo è formato da una nota, tratta dalle carte del convento
di S. Marco, delle limosine ricevute in vari tempi da esso convento
per le prediche del S. ; la quale, se pare in se stessa di poco conto,
pure mi sembra che possa essere utile a stabilire la cronologia della
prima dimora del S. a Firenze, sulla quale è regnata così lunga-
mente, e quasi può dirsi fino alla nuova edizione dell'opera del
(i) Veramente dice: § x; ma è un error di stampa evidente.
(2) Prefazione, pp. x-xi.
(3) Doc. I, p. 38.
(4) Doc. 2, p. 39. Secondo lui il S. aveva dichiarato la guerra a Prisciano e ferito
gravemente Apollo. Le lettere sono ambedue senza data.
bibliografia 705
Villari, che della pubblicazione del Gh. si giovò, così gran confu-
sione (i).
Il terzo contiene i documenti che concernono alla costituzione
della provincia toscana dei domenicani riformati, ossia alla separa-
(i) Vero è per altro, che appunto questi documenti mi condurrebbero ad allontanarmi
da quanto il V. scrisse nella nuova edizione dell'opera sua, specialmente intorno all'anno,
nel quale il S. venne la prima volta a Firenze, e di cui, per verità, non mi pareva di
poter essere interamente sicuro, quando feci una rassegna del volume I di quell'opera
(pubblic. nel Giornale stor. della leti. it. X, 238 sgg.), senza aver potuto consultare né
riscontrare, per le ragioni che in principio ho accennate, la pubblicazione del Gh. Il
quale, nella 3=* parte di questo libro, si occupa appunto di tal questione (§ i, p. 369 sgg.),
ed osserva giustamente: 1° che l'autorità dell'Ubaldini frate di S. Marco, che professò
nel 1490, e che nei suoi annali del convento lasciò scritta la data del 1482 accettata dal
p. Marchese, non è punto men valida di quella di fra Placido Cinozzi, che professò in
S. Marco nel 1496, e che scrisse nella sua epistola, biografica, a cui attinsero tutti gli
altri antichi biografi, la data del 1481, alla quale il V., nella seconda edizione, ritorna;
2° che i biografi, compreso il Cinozzi, nel dar la cagione di questa venuta, parlano della
guerra di Venezia contro Ferrara come già mossa e incominciata, e però non vale a so-
stenere la data del 1481 l'acuta osservazione del V., che se la guerra cominciò nel 1482,
« i torbidi, le incertezze, i preparativi erano già assai prima cominciati » (loc. cit. pp. 371-
372. Cf. Villari, La storia di G. S. ecc. nuova ed. pp. 32, 73-74). Al che, d'altra parte,
potrebbe anche aggiungersi che i torbidi e le incertezze furono nel 1481 cosi veramente
incerti, che poco ne poteva trasparire in modo da far temere sicura la guerra, e far pren-
dere ai domenicani di Ferrara il provvedimento di chiuder lo studio, o, come dice il Bde-
LAMACCHi (^Vita del p. f. G. S. Lucca, 1764, p. 14), di sgravare il convento;! preparativi
poi ci conducono senz'altro al 1482. Infatti, anche seguendo soltanto la testimonianza
del Navagero (Storia della R.p. veneiiana, in JR. /. S. XXIII), che ci riporta più indietro
di tutti, perchè fa cominciare i primi screzi fra la Repubblica e il duca nel luglio del 1481,
non vi fu vera minaccia di guerra per tutto quell'anno, ma un grande andare e venire
d' ambasciatori, con qualche soddisfazione data dal duca alla Repubblica, e con arti sue per
tirare in lungo e veder di liberarsi dagli obblighi che aveva con quella. Solo ai 3 di no-
vembre, una deliberazione del Senato di Venezia di far fabbricare nell'arsenale tre bastie,
da mettersi poi in certi luoghi di confino con alcuni fanti. E più tardi si mandavano genti
in certe castella del Padovano, « non già per desiderio di muover guerra al duca di Fer-
o rara, ma per indur quello con questo modo all'accordo». E il duca, pur tenendo am-
basciatori a Venezia, ne mandò ai suoi collegati re di Napoli, Milano e Fiorentini, i
quali protestarono presso il papa (e l'udienza ci descrive Iacopo Volterrano, in R. I.
S. XXIII, col. 258 e) che scrisse ai Veneziani un breve « esortandoli a non turbare la pace
«d'Italia», al quale essi rispondevano il 24 di gennaio del 1482, Seguitarono poi ancora
le pratiche, ma cominciarono insieme le condotte e gli armamenti, finché il 19 d'aprile fii
licenziato da Venezia l'ambasciator di Ferrara; e nondimeno sei giorni dopo ■ il canccl-
o liero del Visdomino restato in Ferrara, il giorno di S. Marco andò nella processione
V solenne collo stendardo di S. Marco spiegato, secondo il solito dei Visdomini ». Pure
il 3 di maggio (il Sanuto, Vitae ducum, in R. I. S. XXII, 121$ e, dice il 2) fu bandiu
solennemente la guerra a Venezia in piazza di S. Marco (loc. cit. col. 11 69-1 172). M« se
dovessimo seguire il Diario ferrarese d'anonimo (R. I. S. XXIV), più importante al c*so
nostro pel luogo dove fu scritto, e che in sostanza dal Navagero non discord*, le prime
minacce e lagnanze di Venezia al duca furono « da sancto Michacle », cioè alla fin di set-
tembre del 1481 (col. 2j6 a), c le bastie piantate presso a Rovigo, che intimorirono il
duca e lo fecero rivolgere agli alleati ed al papa. « di zenaro » 1482, e soltanto il $ di
aprile, in venerdì santo, una scorrerla dei Veneziani verso Codigoro, che dette origine «
proteste reciproche (col. 2jé-2J7. Cf. Navageko, 1171 e). Certi provvedimenti a difeM
aveva cominciati il duca, ma dopo U risposta rassicurante del papa (ivi), alla quale per
verità contrastavano un poco i gran favori, che usava ai Veneziani (Navacbro, 1171 a.
Cf. Iacob. Volaterr. 161 c-e, Sanuto, op. cit. 1114 e), i quali nel marzo, come ne £s
fede il Sanuto, che assegna le date precise, incominciarono a soldar gente (loc. cit.
jo6 bibliografia
zione della congregazione toscana, o di S. Marco, dalla provincia
lombarda; fatto tanto bramato dal S., che lo sperava principio fe-
condo di riforma e dell'ordine suo, e della vita fiorentina, e di tutta
la Chiesa. Al rogito di ser Giovanni da Montevarchi, col quale tutti
1214 e). Pure la soluzione, che il Gh., per conciliare le opposte sentenze, propone e che,
in sostanza, non è altra che quella del p. Marchese detta con maggiore esattezza, cioè
che il S. venisse a Firenze prima del 25 di marzo del 1482, quando secondo lo stile fio-
rentino durava ancora l'anno i:^8i, non mi sembra troppo fondata. Oltreché sarebbe un
po' strano che l'Ubaldini non seguisse lo stile fiorentino, ma il comune (cosa, d'altra
parte, che col raffronto del resto dei suoi annali, chi ha il modo di consultarli potrà age-
volmente verificare); se è vero quel che scrivono i biografi (vedine le parole citate dal
Gh. a p. 371, n. 2) che quando il S. venne a Firenze la guerra era già mossa, siamo
per lo meno nel mese di maggio, quando non c'è più fra i due stili nessuna differenza.
Ma rimarrebbe quell'argomento, che parve a me il più forte di tutti, cioè quello della
quaresima predicata in S. Lorenzo, che il Burlamacchi (p. 14), seguendo il Cinozzi, di-
ceva « la prima..., che successe alla sua venuta in Firenze » e che non poteva essere stata
se non quella del 1482 (Villari, op. cit. I, 73). Or questa lista d'elemosine lo toglie
di mezzo. Non apparisce da questa che il S. predicasse a Firenze nel 1482, se non l'av-
vento nel monastero delle Murate (p. 39); nel 1485, la quaresima nello stesso monastero
e in Orsammichele (p. 40) ; né questa duplicità di luogo fa difficoltà, perchè la predica-
zione poteva non esser quotidiana ; dopodiché troviamo quest'altra partita del 1484 (ivi) :
«A di 23 aprile, lire 39.8 avemmo contanti dal Capitolo di S. Lorenzo, per limosina
«delle prediche di fra Girolamo da Ferrara. L. 39,8 ». Ecco il quaresimale di S. Lorenzo
(la Pasqua cadde in quell'anno, se non erro, il 18 d'aprile), che non è poi gran fatto
se il Cinozzi e dietro a lui chi lo seguì credè, per un facile error di memoria, il primo
invece che il secondo dacché il S. era in Firenze ; tanto più che, trasportandolo, come
fu, al 1484 sta la predicazione simultanea del S. in S. Lorenzo e di fra Mariano in S. Spirito,
che il Villari aveva dovuto rigettare e che i biografi attestano. Né fa ostacolo la predi-
cazione di S. Gemignano, che si dice fatta nelle quaresime degli anni 1484 e 1485 (Vil-
lari, op. cit. I, 84), poiché queste date sono state argomentate dalle parole del primo
processo del S. (molto malsicure a stabilirvi su una data, perchè ripiene di circa, come
osserva il Gh. a p. 373) e nell'idea, chiarita falsa dal Gh. nel § ii di questa terza
parte, che nel i486 si tenesse il capitolo di Reggio, che fu invece convocato nel 1482.
Or da quelle parole del processo (poiché non vai la pena di citare la testimonianza er-
rata, come altre sue, del p. Marco della Casa, che riferi quella predicazione agli anni 1483
e 1484, in p. Marchese, Avvertimento premesso alla pubblicaz. delle lettere del S. Arch.
star. ìt. App. Vili, p. 78, n. 5. Cf. p. 80) non apparisce in sostanza se non questo, che
a S. Gemignano il S. predicò due anni (Villari, op. cit. II, p. e 1), senza che neppur si
possa dire se furono avventi o quaresime. Ma è probabile che fossero le quaresime dei
due anni 1485 e i486, nei quali non apparisce dal registro di cui pubblica gli estratti il
Gh. ch'egli predicasse in Firenze, dove invece lo, ritroviamo nel 1487, del quale anno è
la seguente partita (ivi): « Dalle monache e monastero di Santa Verdiana, a' di 17 aprile
«fiorini 5 larghi, per le prediche di fra Girolamo e di fra Tomaso Busini. L. 18.15 ">
sia che i due predicatori si fossero alternati, sia, come ci par più probabile, che durante
quella quaresima il S. fosse stato richiamato da Firenze in Lombardia, e il Busini avesse
seguitato a predicare in sua vece. E cosi viene ad accorciarsi il tempo della dimora del
S. in Lombardia accennato da lui nel processo nel solito modo indeterminato (« dove
stetti anni circa iiij », loc. cit.) ; ma intorno al quale, salvo il quaresimale di Brescia, nulla
affatto han saputo dirci i biografi.
Anche della intricata questione della seconda venuta del S. a Firenze ragiona molto
bene il Gh. nello stesso paragrafo della terza parte, dando giusto peso al « Kalendis au-
« gusti, die dominìco » del Compendium revelationum, che porta al 1490 il principio della
predicazione pubblica in S. Marco, e pur apprezzando a dovere le testimonianze, che in-
dussero il prof. Villari ed altri a por la sua venuta in Firenze nel 1489 ; e ponendo in-
nanzi due ipotesi a spiegare la contraddizione, che in quel passo del Compendium si ri-
scontra; delle quali, per verità, mi pare la più probabile quella che al Gh. par meno, cioè
bibliografia 707
i frati di S. Marco chiedevano la separazione, protestando di bra-
marla e chiederla spontaneamente e firmandosi di propria mano (i),
e alle lettere generalizie di fra Gioacchino Turriano, che aggrega-
vano il S. alla nuova congregazione (2), e ne lo costituivano provin-
ciale (3), e più tardi vicario generale (4), e la congregazione stessa
proteggevano dal mal animo dei frati lombardi (5) e ne estendevano
ad altri conventi la giurisdizione (6); altri documenti s'aggiungono
qui, che mostrano il gran favore che la Signoria di Firenze dava
con zelo premuroso all'opera di fra Girolamo e alla sua diffusione,
sia per mezzo del suo ambasciatore a Roma Puccio Pucci (7) e del
segretario Antonio da Colle (8), sia scrivendo direttamente al car-
dinale Oliviero Caraffa, protettore dell'ordine domenicano (9).
Il paragrafo quarto è il più noto e pubblico di tutti, perchè for-
mato dallo studio del comm. Guasti, che fu stampato l'anno 1876
nella Rivista universale di Firenze, e ha per titolo: // S. e i Pratesi.
Trova qui il suo luogo opportuno, perchè in esso il Guasti, dopo
che il S. scrivesse 1489 secondo lo stile fiorentino, riferendosi ai primi mesi di quell'anno,
e poi seguitasse : « quo quidem anno », senza avvertire che, scrivendo in quello stile, l'anno
finiva col 24 di marzo. A quel modo non occorre supporre errata la data della lettera da
Pavia (dalla quale, giustamente osserva il Gh., non resta provata né la sua andata a Ge-
nova, ne molto meno che egli predicasse tutto il quaresimale in quella città), e si spiega
un po' meglio anche quell' « anni circa iiij » del processo citato, specialmente se il S. era
sempre a Firenze a principio del 1487.
(1) Doc. I ; p. 42 sgg.
(2) Doc. 3 ; p. 54.
(3) Doc. 4; p. 56
(4) Doc. 17; p. 66.
(j) Docc. a, s; pp. 52, 56.
(6) Docc. II, 16, 18; pp. 61, 6j, 68. Il primo è veramente una lettera del priore di
Fiesole, che parla dell'aggregazione a S. Marco dei conventi di Fiesole e di Pisa; il se-
condo vi aggrega il convento di S. Maria del Sasso ; il terzo dà giurisdizione al S. sulle
terziarie domenicane di S. Lucia di Firenze. S'aggiunga il doc. 13, col quale il generale
dava facoltà al S. di mandar fuori dal convento quanti frati gli piacesse, per trattar questi
negozi, p. 63.
(7) Lettera della Signoria, del 2 giugno 1494. Raccomanda d'insistere col card, di
Napoli, per ottenere l'aggregazione a S. Marco dei conventi di Fiesole e di Pisa. Docu-
mento 15 ; p. 64.
(8) Lettere della Signoria scritte allo stesso fine, e anche per l'aggregazione del con-
vento di S. Domenico di S. Gimignano, il 28 novembre e il 17 decembre 1493, 1' 11 gen-
naio e il 7 d'aprile del 1494. Docc. 7, 8, 9, io; pp. 59, 60.
(9) Lettere della Signoria, scritte allo stesso fine, il 28 novembre 1493, il 1$ maggio e
il 2 di giugno del 1494. Docc. 6, 12, 14; pp. 58, 62, 63. Dicevano e ripetevano al cardi-
nale: « Nihil nobis facere potes in presentia gratius ». È assai notevole che tutte queste
pratiche si fanno, come ai vede, dalla Signoria, prima della cacciata di Piero dei Medici
e quando questi poteva molto in Firenze (Cf. anche i documenti pubblicati dal Villari in
appendice al volume I dell'opera tua, sotto i numeri xi, xtii, xiv dall'i al 4) e ne vien
confermato quello che il S. disse nel terzo processo, che anche la separazione del con-
vento di S. Marco da!la congregazione lombarda « era suto per mezo di Piero de' Me-
« dici» (ViLLARt, op. cit. II, clxxxvj). Or questo non mi par senza qualche peso a far
ritenere un po' difficile che il S. si fosse scoperto contrario alia politica medicea, dichia-
randola tiranoica, e intimando perfino a Lorenzo, al letto di morte, di rendere a Firenze
U libera.
7o8 bibliografia
accennato il bisogno di riforma che si sentiva cosi dentro come
fuori dei cenobi nel secolo xv, prende appunto le mosse dall'osser-
vanza introdotta in S. Marco, e dalla separazione della congrega-
zione toscana dalla provincia lombarda (i), per poi venire all'illu-
strazione di certi inediti documenti, che ci dicono qual fosse il favore
che la riforma trovò in Prato, e come s'unisse alla nuova congregazione
il convento pratese di S. Domenico ; come a favorir la riforma si desser
premura insieme e i Difensori di Prato e la Signoria di Firenze, provve-
dendo d'altra abitazione i domenicani conventuali e assicurando gli os-
servanti dalle molestie di questi (2). Segue poi a dirci l'A. come in
Prato risonasse con gran frutto la voce del S., e come sian da riferirsi
a questa predicazione alcuni fatti, che il Burlamacchi fa avvenuti a
Pisa (3); come i Pratesi in gran numero s'innamorassero della vita
cristianamente costumata e civilmente libera, che il S. predicava, e
v'aderissero con pubbliche soscrizioni, a quanto sembra potersi ar-
gomentare da un curioso e notevole documento (4), sebbene non man-
cassero neppur li al S. e alla vita costumata, ch'egli predicava, dei
nemici (5); come la riforma penetrasse a Prato anche in monasteri
d'altro ordine (6) ; come perdurasse anche con tutte le persecuzioni,
che seguirono la morte di fra Girolamo (7), e mantenesse vivo lo
spirito santamente liberale del convento di S. Marco, del quale l'A.
ci presenta un esempio, nel ritratto, col quale chiude splendidamente
\il suo studio (8), di fra Cipriano Cancelli del Ponte a Sieve, che
Yu priore in S. Domenico di Prato, e confortò l'agonia di quel gene-
roso amatore della libertà di Firenze, che fu Pier Paolo Boscoli, e ne
tessè un elogio ispirato a sensi liberi e generosi a Luca della Robbia,
il cui schietto racconto non si può leggere senza fremito e senza
lacrime.
Già altrove abbiamo avuto occasione di rilevare l'importanza del
paragrafo quinto, aggiunto, come abbiam visto, di sana pianta in
questa edizione, per quanto concerne alla parte, che ebbe il S. nella
provvisione del Governo di Firenze, fatta nel marzo del 1495, di con-
ceder perdono e pace universale per le cose politiche del tempo
trascorso, e facoltà d'appellarsi al Consiglio maggiore dalle condanne
capitali pronunziate dalla Signoria o dagli Otto (9). Qui aggiunge-
remo che la pubblicazione di quel tratto importantissimo della ver-
(i) § I ; p. 69 sgg.
(2) §§2, 3; P- 72 sgg.
(3) § 4; P- 83 sgg. Cf. ViLLARi, op. cit. Ili, IV, p, 464, n. 2, dovc è spiegato
come nascesse l'errore del Burlamacchi.
(4) § S ; P. 86 sgg.
(5) §§ 6, 8; pp. 91, 95 sgg.
(6) § 7; p. 92 sgg.
(7) § 9; P- 97 sgg.
(8) § io; p. 104 sgg.
(9) Nella recensione del volume II dell'opera più volte lodata del Villari (nuova edi-
zione), inserita nel Giornale storico della letteratura italiana di Torino, XII, 260-61.
bibliografia 709
bosa cronaca di Piero Parenti non solo ci dà notizia di fatti trascu-
rati dai più dei biografi (i), o ce ne fa meglio conoscere altri da
loro travisati o alterati (2) ; ma soprattutto ci rappresenta in modo
vivissimo quel che le carte non registrano, cioè quale fosse la vita
di quei giorni in Firenze, la passione che il popolo, quasi trascinato
ed affascinato, prendeva alle quistioni politiche, che i predicatori,
con forme or più or meno coperte, trattavano dal pergamo, snatu-
rando forse alquanto lo spirito della predicazione, sebbene si prote-
stassero di parlare pel bene morale, e civile, e religioso del popolo.
La narrazione del predicar simultaneo di fra Girolamo e di fra Do-
menico da Ponzo, il quale già anche altrove e con miglior successo
aveva trattato di cose di Stato (3), e che ora, forse istigato dal duca
di Milano, combatteva dal pulpito di S. Croce la legge dell'appello
dalle sei fave, che il S. in S. Maria del Fiore propugnava, ci fa vi-
vere in quell'ambiente, e ci fa comprendere in che cosa consistesse
e come si esercitasse l'autorità di quei frati nelle faccende politiche,
intorno alle quali deliberavano coloro, che uscivano di chiesa esal-
tati o atterriti dalla potente parola dell'oratore. Il quadro vien poi
compiuto dalla lettera qui pubblicata di madonna Guglielmina della
Stufa « la prima - come nota l'editore - che venga in luce d'una di
« quelle centinaia, anzi migliaia di donne, che frequentavano le pre-
« diche del S. » (4). V'appare l'esaltazione dell'animo accanto alla
mitezza dei santi affetti religiosi e domestici ; accanto alle espres-
sioni tenere e affettuose pel marito lontano e pel bambino malazzato,
v'è come il compendio per sommi capi d'una predica di fra Giro-
lamo, e l'esortazione al marito di fare le mortificazioni che quegli
suggeriva, non che, in un poscritto, quella d'imporre silenzio, egli
commissario in Arezzo, all'avversario del S., fra Domenico da Ponzo,
che in quella città allora predicava (5).
Qui comincia la parte più rilevante di tutto il libro : gli arti-
coli VI, VII, Vili, intitolati : « prima interdizione delle prediche al S.
e relative pratiche dei Fiorentini col papa »; « dalla istituzione della
congregazione toscana-romana alla scomunica del S. »; « documenti
relativi all'ultima predicazione del S. »; chiariscono e compiono e,
per certi rispetti, contengono la storia del tempo più notevole della
vita di questo, e gettan luce sul fatto, che ò in essa massimamente
(i) Per esempio della calunnia data al S. d'essersi appropriato dei depotiti di cose
preziose fatti da più cittadini in S. Marco, nella cacciata di Piero ; della qual cosa solo
aveva parlato il Perrens, attingendo la notizia da altre fonti (p. 113).
(3) Cosi la disputa, se cosi può chiamarsi, fatta in palagio dei Signori fra il S. e fra
Domenico da Ponzo e fra Tommaso da Rieti il 18 di gennaio del 1495 (data che risulta
appunto dal racconto del Parenti), e che per il Burlamacchi (pp. 68-69) ^^ *"> concilio
di tutti i teologi di Firenze, compreso Marsilio Ficino (pp. in, 113, 114).
(3) Vedi Giacomo Grasso, Documenti riguardanti la cosHtuiiom di una Uga centro il
Turco nel 1481; Genova, 1880, pp. 9, 32, 73 (docc. xv, xxxiii).
(4) P. ia$.
(5) Doc. 2 ; pp. 128-139.
710 bibliografia
importante per la storia, e che fu al fiero domenicano più fecondo
di conseguenze funeste, cioè a dire sulla sua contesa col pontefice
Alessandro VI, della quale poi nei due paragrafi successivi vediamo
notevolmente illustrata la catastrofe.
Nei carteggi degli ambasciatori fiorentini a Roma, che vengono
qui pubblicati insieme con qualche altro documento, noi seguiamo
veramente a passo a passo lo svolgimento di quel dissidio, che con-
dusse il S. alla condanna e al patibolo ; e per non istare a dir tutti
i particolari, ci pare che ne risulti dimostrato chiaramente, come in
parte fu già osservato da altri (i), che il papa non fu mosso in ciò
da odio particolare contro il frate ferrarese, né da sdegno delle ar-
dite invettive, che questi pronunziava dal pergamo contro i costumi
corrotti del clero, ma da cagioni tutte politiche; e che, come scrisse
il Guicciardini « tenendo per se stesso poco conto di lui, si era
« mosso a procedergli contro più per le suggestioni e stimoU degli
« avversari, che per altra cagione » (2). E questi avversari non erano
soltanto Piero dei Medici e i suoi fautori, e gli Arrabbiati nemici del
Governo del 1495 e però del frate, che quasi poteva dirsene il fon-
datore; ma anche gli Stati o i principi italiani collegati ai danni del
re Carlo Vili, i quali allora potevano molto sull'animo del papa,
che era stato fino allora e così si mantenne, finché Carlo non morì,
fieramente avverso ai Francesi. Eletto a dispetto del re cristianissimo,
che avrebbe voluto sul trono pontificale Giuliano della Rovere (3),
egli, quantunque stretto in una lega poco favorevole al re Ferdi-
nando, con Venezia e col Moro (4), al quale era largo e di danaro
e di favori (5), era pur sempre ritenuto « aragonese e ghibellino »,
anche quando la paura degli apparecchi di Carlo gh consigliava
certe tergiversazioni, per le quali a momenti sembrava riaccostarsi
a Francia (6) ; e quando i fatti li mostravano apertamente favorevoli
all' impresa del re, non risparmiava minacele a Lodovico (7), e più
che minacele al cardinale Ascanio, al quale era pur obbligato, come
(i) Dal compianto prof. Antonio Cosci, nel suo studio intitolato: Girolamo Savona-
rola e i nuo^ii documenti intorno al medesimo, pubbl. n&W'Arch. star. ital. serie IV, t. 4°,
passim.
(2) Storia d'Italia, III, vi.
(3) Gregorovius, Storia della città di Roma del medio evo, ecc. XIII, iv, 2; VII, 356-357
della traduzione italiana; Venezia, 187$.
(4) Stretta il 25 d'aprile del 1493. V. Buser, Die Be^iehungen der Mediceer :(u Frank-
reich wàhrend der Jahre 14^4-14^4, ecc. p. 315; Leipzig, 1879. De Cherrier, Hisioire
de Charles FUI roi de France, 1, viii, 345 ; Paris, 1868. Ivi è molto bene apprezzata
l' importanza che a questa lega si poteva dare.
(5) Ivi, p. 317. E V. a p. 539 la lettera di Francesco della Casa scritta da Senlis a
Piero dei Medici il 1° di giugno del 1493.
(6) Vedi la lettera di Gentile Becchi a Piero dei Medici del 24 dicembre 1493, cit. ivi,
p. 544. Per le tergiversazioni del papa, v. passim il cap. viii di quell'opera bellissima;
specialmente poi pp. 324, 325.
(7) Ivi, p. 329. E già prima il papa l'aveva rimproverato, e Ascanio ne aveva fatto
le scuse. Ivi, p. 323.
'Bibliografia 711
a principale autore della sua esaltazione (i). E con tutte le sue in-
certezze, pure sempre e costantemente rifiutò di dare al re francese
l'investitura del Regno, prima a Péron de Basche, che gliene usò
contro minacciose parole (2); poi al Brissonet e all'Aubigny (3), che
pur ricolmava di paurose carezze umilissimamente (4) ; infine al re
stesso, quando la solita paura e la riluttanza dei Romani a resistergli
gliel'avevano fatto ammettere in Roma (5), e con lui trattava e con-
chiudeva un accordo, coi cannoni francesi puntati a Castel S. An-
gelo, dove aveva cercato rifugio (6). Con che animo, lo dimostra-
rono la fuga di Cesare Borgia, e la morte di Zizim, e la sollecitu-
dine, con cui Alessandro annunziava ai signori di Romagna e di
Marca la conclusione della lega di Venezia, alla quale aderiva (7),
non che il monitorio di depor le armi e non muover più contro gli
Stati italiani, ch'egli faceva a re Carlo, dopo la battaglia del Taro (8).
A questa politica s'opponevano oramai in Italia soltanto i Fio-
rentini, che la speranza di riavere da Carlo Pisa e gli altri luoghi
del loro dominio perduti nel 1494, avevano staccati da quell'osti-
nata unione a casa d'Aragona, che era stata la rovina di Piero
dei Medici; e il papa credeva, e non senza buon fondamento, che
a questa amicizia per Francia, pur conforme alle antiche tradizioni
fiorentine, li avesse indotti e ora ve li confermasse la parola di quel
frate, che aveva salutato e rappresentato Carlo Vili come lo stru-
mento scelto da Dio a flagellare colle armi l'Italia e la Chiesa, non
che a reintegrare Firenze delle perdite fatte ; e che a quest'opera
l'aveva confortato e lo confortava non soltanto andando a lui come
(i) Lo chiuse anche, come è noto, in Castel S. Angelo. Cf. Gregorovius, loc. cìt.
e IV, 5, p. 418.
(2) « Non parliamo più della investitura, perchè la spada sarà quello che chiarirà la
«ragione». Lettera di Nofri Tornabuoni, da Roma, a Piero dei Medici dell'S agosto 1493.
In BusER, op. cit. p. 543. Cosi credo debba leggersi; non farà, come lesse e intese l'e-
ditore (cf. p. 322).
(3) Il i6 di maggio del 1494. Gregorovius, op. cit. XIII, iv, j, pp. 401-402. II
De Cherrier dice che questi ambasciatori furono Stuart d'Aubigny, Mathardn e Pèron de
Basche, op. cit. I, viii, 401. Ma veramente gli ambasciatori furono quattro, cioè i tre
rammentati da lui, e con essi il Brissonet. V. Canestrini Desjardins, Nigocialiom iiplo-
matiques de la France avec la Toscane, I, 410, 416; e la lettera dei Dieci di Firenze a
Guidantonio Vespucci e Pier Capponi ambasciatosi in Francia, dal 7 maggio 1494, edita
dal Capponi, Storia della Rep. di Firenze, II, J31, appendice, n. vii; Firenze, 1875.
(4) BusER, op. cit. pp. 333, 334. Ben dice a questo proposito il De Cherrier (ivi,
p. 403): «Alexandre VI, tout en dèsirant passionémcnt de fermcr l'Italie aux Fran^ais,
« voulait èvìter d'en venir à une rupture manifeste avec leur roi». E quando gli amba-
sciatori furono partiti, si scopri più risoluto che mai in favor d'Aragona (ivi, p. 404).
(5) Gregorovius, op. cit. pp. 422-413, 435. Cf. pp. 416, 417. Db Cherrier, op. cit.
II, II, 70-74 e 86; e cf. iv, 17 j.
(6) Ivi, p. 431-432; De Cherrier, op. cit. II, it, 84; Comminbs, Mimoirtt, VII, xit,
ed. Buchon (Paris, 1836), p. 2x0.
(7) Con breve del 7 aprile 1495, cit. dal Grioorovius (op. cit. p. 442). La lega era
stata conclusa il 31 di marzo. De Cherrier, op. cit. II, tv, 160.
(8) Il 5 d'agosto del 1495. Gregorovius, op. cit. p. 447. Il Di CHBRRtm (op. cit.
II, VII, 291) pone la cosa, in modo un po' diverso, al 15 d'agosto.
712 bibliografia
ambasciatore della sua patria adottiva, ma scrivendogli anche in per-
sona propria lettere, che parevan dettate da spirito profetico. Indi i
brevi del 25 di luglio, dell'S di settembre e del 16 d'ottobre del 1495,
col primo dei quali s' invitava il S. a recarsi a Roma, a render ra-
gione delle cose che egli si diceva profetasse ; col secondo gli s'or-
dinava minacciosamente e sotto pena di scomunica di cessare dalle
prediche e andare dove gli comandasse il superiore della congrega-
zione lombarda; col terzo, mite e carezzevole, per effetto della ri-
sposta fatta dal S. il 29 di settembre, pur lodandolo di bontà e do-
cilità, si rinnovavano con bel garbo e la proibizione, e l' invito di
recarsi a Roma quando che fosse (i).
I documenti qui pubblicati nell'articolo VI, che vanno dal 13 di
novembre del 1495 al 23 d'aprile del 1496 e contengono le pratiche
fatte dalla Signoria e dai Dieci di Firenze col cardinale di Napoli e
con altri, sia direttamente, sia per mezzo dell'ambasciatore mess. Ric-
ciardo Becchi, perchè il papa revocasse l' interdizione e desse licenza
al S. di predicare nell'avvento e nella quaresima (2), non che l'or-
dine espresso fatto al frate l'ii di febbraio di ricominciare le pre-
diche, con la solita formula: sub pena hidignationis dictorum domino-
rum (3), e un frammento di consulta che mostra non tutti i cittadini
di Firenze essere stati su questo punto soddisfatti e tranquilli (4) ; ci
mostrano in più luoghi come Alessandro VI si movesse contro al
frate per suggestioni altrui, com'era comune opinione (5), tanto che
egli stesso opponeva alle preghiere fiorentine prima d'ogni altra cosa
la contrarietà della lega (6), e poneva l'aderire alla lega come con-
dizione prima di quella e d'ogni altra grazia spirituale, che i Fioren-
tini volessero impetrare da lui (7). E Ascanio Sforza ci apparisce
anche qui fra quelli che più raccolgono e ripetono caldamente il bia-
simo contro Firenze e contro il frate (8), del quale si diceva ogni
male in lettere che venivano da Firenze (9), probabilmente non solo
(t) Le date di questi brevi furono messe in sodo dal Gherardi nel § iv della parte
terza dell'opera di cui parliamo, dove fu pubblicato anche il testo originale dì quello del
16 d'ottobre (p. 390). Della grande importanza di questa determinazione ebbi già a par-
lare nella citata recensione del voi. I dell'opera del prof. Villari.
(2) Son quattro lettere della Signoria al card, di Napoli, del 13 e 17 novembre 149$
e del 28 gennaio e 5 febbraio 1496; cinque dei Dieci a mess. Ricciardo, e undici di
questo a loro.
(3) Doc. 6; p. 133.
(4) Fra gli altri Pier Capponi. Doc. 9; p. 136.
($) Vedi specialmente i docc. i, 7, io, li, 13; pp. 131, 134, 137, 138, 139. Cf. Guic-
ciardini, Storia fiorentina, xiv. 151 ; Firenze, 1859.
(6) « Dicendomi Sua Beatitudine, la Lega non voleva concedessi a fra leronimo po-
« tessi predicare, né a cotesta ciptà facessi gratia alcuna». Cosi scriveva il Becchi ai
Dieci il 3 di marzo del 1496. Doc. 7; p. 154.
(7) « Insomma, mi dixe, fate intendere a que' Signori, non haranno nulla da noi, se
« non entrano nella Lega ». Ivi.
(8) Doc. 8; p I3J.
(9) Docc. 17, 19; pp. 141, 142.
'Bibliografia 7 r 3
dai cittadini di parte contraria ai Piagnoni, ma dagli agenti del
Moro (i), che cercava per ogni via di condurre Firenze ai suoi fini,
e teneva le mani nei capelli al papa, che si era detto ch'egli tenesse
come suo cappellano. Eppure l'opposizione di Alessandro al S. è in
questo tempo assai debole, perchè egli si contenta di manifestare
all'ambasciatore il suo disgusto, perchè i Fiorentini gli permettano,
anzi gli abbiano ordinato di predicare, per certe dubbie parole del
card. Carafìfa e senza che l'interdizione sia stata revocata (2); mane
rinnova il divieto, né minaccia o fulmina pene, per quanto fra Giro-
lamo non sia meno ardito di prima, né risparmi sul pulpito le al-
lusioni chiarissime e anche violente ai costumi del tempo e in par-
ticolare alla corte di Roma (3).
Ma i fatti, che frattanto avvenivano e in Firenze e fuori eran
tali da impensierirlo, e ci rendon ragione dei provvedimenti più se-
veri, coi quali egli cercò poi di strappare il frate da Firenze, poiché
le lettere a Carlo Vili (4) e la riforma dei fanciulli (5) e la perdu-
ranza dei Fiorentini nell'amicizia francese avevano chiarito inefficace
ed insufficiente farlo scender dal pulpito. Carlo Vili, che non depose
mai il pensiero di tornare in Italia (6), appiccava pratiche col duca
di Ferrara, col marchese di Mantova, col signor di Bologna, e na-
turalmente anche coi Fiorentini, per ritentare l' impresa del Regno, e
macchinava col cardinale Della Rovere il modo d'insignorirsi di
Genova (7) ; e che cosa si pensasse in Italia di queste pratiche e degli
(i) Confrontisi infatti la sostanza delle accuse che si davano a fra Girolamo e ai
Fiorentini esposte nella lettera importante del Becchi, del 26 di marzo (doc. 17; p. 141),
con le lettere degli agenti ducali pubblicate dal Del Lungo (in Arch. stor. Hai. nuova
serie, XVIII), e in particolare la $=• accusa, coi docc. ili e x di quella raccolta (pp. 7, 11).
E quanto alla fierezza ed all'efficacia dell'opera del Moro e del fratello suo contro il S.,
vedasi il doc. vii, che è una lettera d'Ascanio al duca scritta il ij d'aprile del 1496.
(2) Vedi specialmente i docc. 8, io, 22. I nemici del S. poi negavano, per malignità,
anche le dubbie parole del Caraffa, e dicevano che la licenza il S. « se la tolle da sé,
« dove li è permesso che non li sia devetata » . Cosi scriveva Frane. Tranchedino al duca
da Bologna, il 20 di febbraio del 1496. Del Lungo, doc. vi, p. 9.
(3) Basterà rammentare che il S. faceva allora il quaresimale su Amos.
(.^) Di certe lettere del S, a Carlo Vili intercettate dal duca di Milano e da lui man-
date a Firenze, e che non è possibile che egli non facesse conoscere a Roma, parla una
lettera del Somenzi del 28 di agosto del 1496, che è l'xi dei documenti pubblicati dal
Del Lungo. La sostanza di quella somiglierebbe molto a quella delle lettere scritte al re
dal S., post amissionetn regni neapolitani, pubblicate dal Villari (op. cit. I, doc. xxv,
pp. cviij sgg.), le quali per altro furono probabilmente scritte assai prima. Ed infatti il S.
diceva allora di non avere scritto al re da « molti di ». Ma ad ogni modo, autentiche o
finte che fossero, a Roma dovettero esser date per autentiche; e le rcLizioni del S. col
re di Francia dovevano esservi note, perchè il S. diceva che al re soleva scrivere pubbli-
camente (Del Lungo, doc. cit.). 1
(5) ViLLAKi, op. cit. Ili, II. Per lo scalpore, che di questa riforma <i fece a Roma,
vedi specialmente, fra i documenti editi dal Gh., la citata lettera del Becchi dei 26 di
marzo del 1496.
(6) « Et si avoit son coeur tousjours de faire ou «ccomplir le retour en Italie ». CoM«
MtNBS, Mimoires, Vili, xviii, 364.
(7) Ivi, Vili, XV, 2$6, tgg. Cf. GviccuKDiHit Storia d'Italia, III, ut e v.
714 bibliografia
apparecchi, che poi non approdarono altro che alle vane mosse del
cardinale contro Savona e del Trivulzio contro Alessandria, lo prova
un sonetto importantissimo del Pistoia recentemente pubblicato (i).
Vero è che scendeva d'altra parte ai favori della lega l'imperatore
Massimiliano (2) ; ma non però mutavano i sentimenti dei Fiorentini,
anzi può dirsi che questi li affermassero con più risolutezza, fidenti
negli aiuti di Francia e determinati a resistere alla lega, che si riteneva
favorevole ai Medici e nemica del governo popolare (3). In favore
del quale la Signoria chiamava il S., riluttante pel divieto di Roma,
a predicare in palazzo, e proprio nella sala del Consiglio maggiore,
il 20 di , agosto (4) ; e due mesi dipoi lo faceva predicar nova-
mente, per rinfrancare il popolo atterrito dal pericolo di Livorno
assediata da Massimiliano e dalle navi dei Veneziani (5). Egli lo fece,
(i) Renier, I sonetti del Pistoia giusta l'apografo Trivul\iano, son. 342; che non mi
par male riportare per intero :
Io vidi l'altro di dentro a Leone
depinta Italia come un Sebastiano:
il papa senza mitra e sceptro in mano
con Marco in briglia, incantato il biscione.
Alfea sotto e Marzocco si ripone,
Gena e Partenope in grembo a Vulcano,
Ercol congela in ripa all'Adriano
gran quantità di sai sopra il sabbione.
Vedesi, in Esculapio convertito,
sanar la Esperia a lo stato pristino
il Franco re, a lai dar l'acquisito.
'N un altro lato col capo canino
gli è il gallo coi tiranni incrudelito,
rimettendo gli oppressi a bon cammino.
Poi nel culto divino
riforma più la fede a miglior legge
e dà novo pastor al santo gregge.
Un breve vi si legge,
qual dice: il franco Re, Re de cristiani
tolto ha la cerva umil di bocca a' cani.
È tanto chiaro, e ne apparisce cosi evidente quale dovesse essere, in tal condizione delle
cose, l'animo del papa, che non occorre aggiungere una parola di commento; seppure non
fosse utile rammentare che a Lione il re teneva il suo campo, e che Ercole d'Este sperava
per suo mezzo liberarsi dal vecchio obbligo di ricevere il sale da Venezia, che era stata
una delle cause della guerra del 1482.
(2) E a questo credo si riferisca (come dicon chiaro i due primi versi, e lo conferma
il luogo, che occupa nell'apografo Trivulziano, dov'è a p. 339) l'altro sonetto del Pistoia:
Ecco il re de romani e 'Ire de' galli, che malamente nell'edizione di Livorno 1884 fu rife-
rito alla discesa in Italia di Luigi XII (p. 35).
(3) Oltre la citata consulta, edita in parte dal Gh., e che è anteriore a queste cose, ve-
dansi le lettere del Somenzi pubblicate dal Villari sotto il n. xxxi nell'appendice al
volume I dell'opera sua, e in particolar modo l'ultima, dove questa ragione della con-
trarietà dei Fiorentini alla lega è detta espressamente (p. cxl).
(4) Villari, op. cit. III, iv, voi. I, 470.
(5) Questa paura dei Fiorentini (Marzocco già n'è di paura pregno) e la loro fiducia nel
S. sbefFava il Pistoia nel sonetto : jkorto è Ferrando, Alfonso e Ferrandino, che è il 340
dell'apografo Trivulziano.
bibliografia 715
confortando il popolo a sperare più nell'aiuto divino, che nel terreno,
e in particolare nelle fallaci promesse di Francia (i): ma ciò non im-
pedì che l'agente del Moro non interpretasse in tutt'altro senso le
sue parole dandone notizia al suo signore (2), che era quanto dire
anche a Roma. Il mal successo dell' impresa tentata dal re dei Ro-
mani riempì naturalmente i Fiorentini di gioia (3), e accrebbe cre-
dito al S. e animo ai suoi seguaci e alla parte amica di Fran-
cia (4) ; e allora appunto noi troviamo, che mentre il Moro fa la
strana prova di trarre, per mezzo del suo agente, il S. alla parte della
lega (5), il pontefice, risoluto a levarlo una buona volta di mezzo a
Firenze, spedisce il breve del 7 di novembre, consigliato anche dal
generale dei domenicani e dal cardinale protettore dell'ordine, col
quale si stabiliva una congregazione riunita delle provincie toscana
e romana dell'ordine dei predicatori (6) ; e che se per un lato esten-
deva a maggior numero di conventi le regole dei domenicani osser-
vanti, per un altro, costituendo come convento principale e privile-
giato della provincia quello di Santa Maria sopra Minerva, e scemava
importanza a S. Marco, e soprattutto dava modo di levar di Firenze e
di Toscana il Savonarola; il quale ribellandosi, come fece, all'ingiun-
zione che il breve conteneva, incorreva nella pena della scomunica
in quello minacciata. E poco dipoi, per tentare anche altrimenti
l'animo dei Fiorentini, e indurli a aderire alla lega con quella spe-
ranza, che invano ponevano nel re di Francia, egli fa loro l'offerta
della restituzione di Pisa, quasi in pagamento della loro separazione
da quello, e chiede l'invio di un nuovo ambasciatore, col quale pra-
ticar queste cose, e che la Signoria consentì a mandare nella persona
di ser Alessandro Bracci il 4 di marzo del 1497 (7). Notevolissime
sono le parole, che usò con questo il pontefice nel primo colloquio
(i) Vedi il sunto di questa predica fatto dal Villari (op. cit. HI, v, voi. I, 485).
(2) Vedi la lettera del Somenzi del 28 di ottobre 1496 edita dal Del Lungo (doc. xvi):
« sopra tucto exhortò questo popolo ad volere star saldo alla fede, cioè del re de Pranza
« (licet ch'el non la dica), et ha affirmato che tutto quello ha predecto delle cose future
«sari vero senza mancho », ecc.
(3) Già fin da quando poterono entrare in Livorno i soccorsi mandati da Marsiglia,
il 30 d'ottobre. Vedine la viva descrizione nel Villari, loc. cit. p. 487. Più che mai poi
quando, pochi giorni dopo (il 13 di novembre), Massimiliano doveva partirsi scornato dal-
l'assedio ; e lo doveva confessare lo stesso Pistoia, per quanto cercasse di fare anche di
ciò un argomento di lode per l'imperatore alleato e congiunto del Moro:
Quanto di Maximian sia l'acqua e il foco,
lo ingegno, che natura e il ciel gli dà,
Livorno il dice e Marzocco lo sa,
che al suo partir tra il pianto ha riso un poco.
(Son. 341 dell'apog. Triv.).
(4) Vedi quel che scrìveva il 13 di novembre del 1496 da Bologna al duca Francesco
Tranchedino (Del Lungo, doc. xix; p. 17).
(j) Vedi la lettera del Somenzi àt\ 7 novembre 1496 ediu (1*1 Villari, loc. cit, pa-
gina cxxxix.
(6) Vedasi in Villari, op. cit. I, Append. n. xxxiii, p. cxli] sgg.
(7) Gherardi, ìiuovi documtnti, tee. 5 vtt, pp. 147, 148.
7 1 6 bibliografia
che ebbe con lui, e tali che le avrebbe potute dire un buon ItaHano
del secolo xix, e avrebber potuto essere scelte come il verbo della
nuova ItaUa assai meglio di quelle d'altri uomini, che forse non eb-
bero mai in mente il significato dato ai nostri giorni a certe loro pa-
role. Lamentata la venuta dei Francesi come origine, da cui erano
« derivati tucti li mali, tucte le spese et tucti gli affanni, che ha pa-
ce tito Italia », e rilevata la parte che n'era toccata a Firenze, con-
chiudeva: « per cognoscere noi che, ritornando di nuovo li Franzesi
« in Italia, sarebbe con manifesto pericolo et con intollerabili spese
« et danni de' comuni Stati, maxime quando li potentati di quella non
« fussino trovati concordi; nostro precipuo studio et intento è, come
« sa el nostro Signore Dio, di unire insieme et fare uno intero et me-
« desimo corpo di tucta Italia » (i); e detto delle pratiche incomin-
ciate per far riaver Pisa ai Fiorentini, vi poneva per condizione « che
« voi vi accostiate a noi et siate buoni Italiani, lassando li Franzesi
« in Francia » (2), che sarebbe stato « comune beneficio di tucta Ita-
« Ha ; perchè non intendiamo che in Italia Franzesi habbiano alcuna
« speranza di ricetto o d'altro ; perchè quando se ne vedranno privati,
« leveranno il pensiero dalle colse di Italia ». E finalmente a prova
della sincerità di quanto asseriva, aggiungeva : « Et noi, perchè siamo
« buoni Italiani, benché, quando manchò il re Ferrando ultimamente,
« potessimo con insto et honesto titolo far venire quel reame nel re
« di Spagna; tamen per beneficio di Italia, provedemo succedesse il
« re Federigho » (3). Non istaremo a cercare quanta sincerità ci fosse
in queste espressioni, forse veramente sincere nel momento in cui
venivan pronunziate; pur troppo sappiamo quale abuso si facesse,
per tutto il secolo xv e anche dopo, di questo povero nome d'Italia,
e come il bene d' Italia fosse via via quel che giovava all'utilità di
ciascuno che ne parlasse, tanto da far parere dolorosamente vera quella
sentenza del Foscolo :
Amor d'Italia? A basso intento è velo
Spesso (4).
Questo medesimo Alessandro VI pensò molto diversamente poco
tempo dipoi, pur desiderando anche allora, com'era naturale, tutta
l'Italia concorde nel volere di lui (5), quando la ripugnanza onesta
e risoluta di Federigo e Carlotta d'Aragona per le nozze di questa
col tristo cardinal di Valenza (6), e la speranza di far questo grande
e potente in Francia e in Romagna lo condussero a aderire all'in-
fausto primo trattato di Blois e a farsi tutto francese (7). Ma nei tempi
(i) Gherardi, Nuovi documenti, § vn, p, 150.
(2) Ivi, p. isi.
(3) Ivi, p. IS2.
(4) Ricciaria, atto II, se. ni.
($) ViLLARi, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi. Introduzione, p. 277.
(6) Vedi specialmente Gregorovius, op. cit. XIII, v, i, p. 492.
(7) Ivi, p. 499.
bibliografia ^i']
dei quali ora ci occupiamo egli seguiva in Italia la parte politica-
mente migliore, ed era veramente il più ardente avversario che i
Francesi avessero in tutta la penisola; avversione che ci spiega in
tutto la sua condotta verso la Repubblica di Firenze e verso il S.,
che era per lui, come abbiamo già notato, il principale autore
della tenacità fiorentina nell'amicizia francese. Tristi tempi per-
tanto e peggiori che mai cominciavano ora pel priore di S. Marco.
Il suo disprezzo per l'ingiunzione del pontefice, alla quale non ob-
bediva altrimenti, che pubblicando VApologeiicus che la combatteva (i),
e risalendo sul pulpito a predicare l'avvento e poi la quaresima, fru-
strava gli intendimenti politici del papa, che doveva pertanto mag-
giormente sdegnarsene; e d'altra parte, come dimostrano i do-
cumenti dell'articolo VII del libro che esaminiamo, alienava dal S.
anche gli animi di coloro, che fino allora l'avevano favorito. Così
il generale dell'ordine, così il cardinale Caraffa, che avevano sempre
fino allora dato ogni favore e a lui e alle sue riforme, e che nel pro-
muovere la costituzione della congregazione nuova, o non avevano
scorto il fine riposto del pontefice, o più probabilmente non n'erano
stati scontenti, ma era anzi parso loro un buon modo a togliere il
S. da un luogo, dove rimanendo andava incontro a certa rovina,
nella quale avrebbe potuto travolgere poi anche la congregazione
dei frati osservanti, alla quale essi detter favore anche dopo la morte
di lui (2). Checché si sia di ciò, certo è ad ogni modo che d'ora in
poi si trovano anch'essi, e specialmente il cardinale di Napoli, uniti
ai nemici del S., i quali si fanno più baldanzosi e più fieri, perchè
la disobbedienza di lui dà loro maggior modo di tener desta e aiz-
zare continuamente contro di lui l'ira del papa, come se n'hanno in
questi documenti testimonianze continue.
(i) ViLLARi, La storia di G. S. Ili, 11, 493 sgg.
(2) È un fatto, che non troviamo cosa che possa parer mossa da animosità contro il
S. nei documenti, che il Gh. pubblica (§ vii, i, 2) intomo all'istituzione della nuova
congregazione; che anzi, il nominar coadiutore del procuratore della nuova provincia il
p. Giacomo di Sicilia al S. affezionatissimo (doc. i ; p. 144) poteva addolcire per questo
l'amarezza del nuovo provvedimento e della nomina a procuratore del p. Francesco Mei ;
e l'altra ordinanza del 14 gennaio 1497 (doc. 2 ; p. 146) per la quale il p. Giacomo di Si-
cilia doveva deputar dei suoi frati a certi conventi, « et reliquos fiatres ibidem moram
« trahentes, fratri Hieronymo non gratos, licentiabit », lasciava apparire verso di lui una
certa affettuosa deferenza. Quanto ai favori dati dal Torriano, dopo morto il S., alla
congregazione toscana dei domenicani riformati, vedi il § 9 dello studio del Guasti, che
è il $ IV di quest'opera (pp. 98-101). Vero è che egli confermò e ratificò nel marzo
del 1499 le severe ordinanze del p. Mei contro i frati, che non solo parlassero delle
profezie di fra Girolamo, o ne venerassero le reliquie, o parlassero di Piagnoni o
di Compagnacci, ma anche facesscr di quelle nuove funzioni e cerimonie dal S. introdotte
in San Marco (5 xii, docc. 22, 23, 24, 25); ma questi provvedimenti si dicevan fatti
« ad evitanda» perturbationes et scandala super loquutionibus et contentionibus dogmatis
« et opinioni* fratris Hieronymi Ferrarieniis » (doc. 23; p. 331), e il generale stesso più
urdi condonava ai trasgressori le pene, pur ordinando in fulurum « quod qui de fratte
« Hieronymo cum secularibus vel etiam cum fratribus seminaverit scandalum, incurrat
« poenam gravioris culpae » (doc. 26, dei 20 luglio 1499; p. 3)4), e quanto a questa
pena rimettendosene, più tardi (il 1$ di novembre: doc. 27, ivi), nel priore di S. Marco.
Archivio della R. Società romana di itoria. patria. Voi. XI 47
7 1 8 bibliografia
Costoro trovavano anche la materia disposta, pel sospetto che il
pontefice aveva dei movimenti dei Francesi in Liguria e in Piemonte,
che lo atterrivano assai, e che davano modo agli ambasciatori della
lega, e specialmente ai Veneziani, di insinuargli nell'animo sospetti
maggiori contro i frateschi ed il frate (i). Quando poi quella duplice
impresa fu andata a vuoto, allora se ne imbaldanzirono più che mai,
e a Firenze Arrabbiati e Compagnacci, profittando dell'abbattimento
dei Piagnoni (2), tanto sepper fare, e colle pratiche e colle violenze,
che, col pretesto della pestilenza (3), anche la Signoria proibì a fra
Girolamo il predicare; e a Roma Mariano da Ghinazzano, Giovanni
da Camerino e altri particolari nemici di lui, profittando anche del
tumulto avvenuto il 5 di maggio in Firenze, unendo l'opera loro a
quella di Piero e Giovanni dei Medici e dei loro fautori, e aiutati dallo
sdegno del cardinale CaraflFa per la disobbedienza del S. al breve del
7 di novembre, indussero il papa a fulminare contro di lui la scomu-
nica in quel breve comminata (4). E la scomunica fu pronunziata e
fattone il breve il 12 di maggio (5), sebbene non venisse poi pubbli-
cata in Firenze fino al 18 di giugno, come il Gh. nella terza parte
rileva (6), per ragioni che da questi documenti appariscono. In questo
(1) Vedi specialmente 1* importante lettera del Becchi ai Dieci, del 19 di marzo 1496-,
§ VII, doc. 5; p. 155: Gli oratori della lega, e in particolare il veneziano, sconsiglia-
vano il papa dal tener pratiche coi Fiorentini, « non si volendo quegli declarare buoni
« Italiani, et di questo assicurare bene la lega ; et che horamai Sua Santità gli doverrebbe
« cognoscere, et che non danno se non parole; et secondo vanno le cose de' Franciosi,
« si fanno inanzi o tiransi indrieto ; . . . che volete tractenere el papa et dargli parole,
« insino veggiate el successo di Lombardia et Genova. Et stimano questa vostra obsti-
« natione et dureza tutta procedere da' consigli et persuasioni del frate ... et non cre-
« dono ignun modo vogliate pigliare partito et esser buoni Italiani, mentre credete al
« frate et che lui governa et sanza lui non si fa nulla ». E infatti il papa, pochi giorni
innanzi, aveva detto a ser Alessandro Bracci, a proposito della gagliardia dei Fiorentini,
che non volevano aderire alla lega : « Noi crediamo bene che la nascha dal fondamento
« che voi fate nella prophetia di quello vostro parabolano ; ma se noi potessimo parlare
« presentialmente a quel vostro popolo, crederremo con le vere ragione che si possono
« allegare, persuaderlo et indurlo totalmente al ben suo, et trarlo dalla cecità et errore
«in che vi ha indocti el frate». (Lettera del 15 marzo, doc. 4; p. 153. E cf. la let-
tera del Becchi del 23 di marzo, doc. 6; p. 156).
(2) Vedi il sommario di una lettera del Somenzi del 2 d'aprile 1497, pubblicata dal
Del Lungo (doc. xx, p. 18); « corno li seguazi del frate restano scornati, né sanno più
« che dire in favore de' Francesi, veduto che non gli è reussita l'impresa contro lo li-
ft lustrissimo duca di Milano ».
(3) Lettera dei Dieci a ser Alessandro Bracci, del 6 di maggio 1497, in questo § vii,
doc. 9; p. 159.
(4) Lettere del Becchi ai Dieci, del primo (doc. 9; p. 158) e del 18 di maggio (doc. io;
p. 163) e del 30 dello stesso mese (doc. 14; pp. 166, 167); e confrontinsi le lettere che
scriveva il Bracci il 27 di maggio (doc. 12, verso la fine; p. 165) e il 14 di giugno (doc. 16;
p. 167).
($) Vedi il breve originale nella Storia del Villari (voi. II, app. doc. v, p, xxxix).
(6) Nel § V, dove trae argomento dalla citata lettera di ser Alessandro Bracci, del
27 di maggio, ad avvalorare l'autorità del Parenti e del Landucci (pp. 391-392). E conquesto
terminerò di occuparmi di questa parte terza, avendo accennato a tutti i cinque paragrafi
che contiene e rilevatane l'importanza, eccettuato soltanto il in, nel quale il Gh. di-
bibliografia yi^
lungo intervallo la Signoria e l'ufficio dei Dieci fecero più pratiche
per mezzo dei loro ambasciatori, per vedere che il papa o revocasse,
o non lasciasse pubblicare quel breve, con dire massimamente che
egli era stato male informato dei fatti di fra Girolamo (i). E sebbene
Alessandro VI mostrasse maravigliarsi e sdegnarsi che « le S. V. lo
« reputassino sì leggieri, che si movessi senza giusta cagione, o senza
« fondamento » (2) ; pure non sembrava irremovibile, ed ascoltava ta-
cendo le giustificazioni del frate, o dava parole incerte, che non tron-
cavano ogni speranza, quantunque non iscemassero il timore (3).
Anzi la lettera del S. del 22 di maggio l'aveva così rabbonito, ch'egli
avrebbe forse gradito, se non altro, di ritardare la pubblicazione del
breve (4). Ma i nemici del frate non se ne stavano, né bastava loro
un'incerta vittoria (5): e anche dopo pubblicata la scomunica segui-
tarono a battere il ferro caldo e a riscaldarlo più che mai, perchè da
Firenze venivano a Roma lettere sopra lettere, le quali recavano tali
notizie, da far vani tutti gli sforzi dei due oratori (6). Ma il male più
grave anche questa volta il S. se lo fece da sé, con la lettera a tutti
i fedeli cristiani contro la scomunica surrettizia. Le pratiche inco-
minciate dal Bracci coi sei cardinali riformatori delle cose ecclesia-
stiche gli facevano sperare almeno la sospensione, se non la revoca
della censura; ma il papa lo fece chiamare e alla presenza di altri
Fiorentini « fece doglienza che Dio sapeva che di fra Hieronymo havea
(c cominciato a disporsi bene, commendandolo di alcune epistole havea
« ricevuto da lui a' giorni passati, dicendo averle facte leggere in
« consistorio ; ma che, havendo veduto una sua epistola, in forma, et
« facta dopo le censure, haveva deliberato procedere contro di lui in
« tucti li modi permessi da' sacri canoni contra contumaces et re-
« belles Sancte Matris Ecclesie; usando intorno a ciò parole molto
« passionate » (7).
Pure questa passione non era così costante, nò sempre questo
sdegno così fiero, che non desse ancora qualche speranza d'aver
a esser placato, o mitigato; e la Signoria di Firenze e l'ufficio
dei Dieci non cessarono mai di spender l'opera loro in favore
del frate e di far pratiche continue a Roma per impetrarne l'asso-
luzione, quantunque fosse uno strano praticare; perche a Roma non
mostra con buone ragioni che deve correggersi in 1491 la data d'una lettera del S. a
Stefano da Codiponte, che porta nel codice e nelle stampe quella del aa maggio 1492.
fi) Vedi passim i documenti di questo paragrafo, dal n. li (lett. dei Dieci al Bracci,
del 20 di maggio) alla fine,
(2) Lettera del Bracci, del 27 di maggio (doc. 12; p. 16$).
(3) Ivi.
(4) Lettere del Bracci del 14 e del 27 di giugno (docc. 16 e 19; pp. 167, 171 sgg.).
(5) « L'absolutione non è per havcrsi a questi tempi ; che chi ha fare non dorme.
« Veggo molti preparamenti in contrario, et tutto viene di costi ». Cosi scriveva il Becchi
il 19 di luglio (doc. 21; p. 173).
(6) Vedi la citata lettera del Bracci del 27 di giugno (p. 172).
(7) Ivi.
720 bibliografia
si negava ricisamente la cosa, ma vi si poneva soltanto la condi-
zione che il S. si sottoponesse a quel che il breve del 7 di novembre
disponeva e si recasse a Roma a giustificarsi, e dai magistrati di
Firenze si rispondeva sempre al solito modo, ridicendo il gran bene
operato da fra Girolamo nella loro città e il desiderio, che in questa
si aveva di udire la sua parola, e schivando di parlare delle condi-
zioni, che Roma poneva, o mostrando che l'esecuzione non ne dipen-
desse in tutto da loro o dal S., il quale d'altra parte, come si sapeva,
a quelle condizioni non avrebbe mai consentito. Così s'andò innanzi
lungamente. Tredici lettere scritte a questo fine dai Dieci agli am-
basciatori e dalla Signoria al cardinale Caraffa dal 2 di luglio al 2 di
decembre del 1497 furono già pubbUcate dal p. Marchese (i), ed il
Gh. ne pubblica qui in parte altre quattro del nuovo oratore messer
Domenico Bonsi, scritte ai Dieci dal 5 al 12 di febbraio del 1498 (2),
precedute da un capitolo della commissione a lui fatta il 9 di gen-
naio, col quale gli s'ordinava di darsi ogni maggior premura « ap-
« presso la Santità del papa et del reverendissimo cardinale di Napoli,
« et in ogni altro luogo dove fusse necessario, per la integra et libera
« absolutìone per il venerabile predicatore frate Hieronymo » (3);
commissione molto spinosa, a quanto apparisce dalle lettere stesse.
Il papa oramai cercava di fare intendere, com'era di fatti, che quella
per lui era una quìstione di poca importanza, e sfuggiva di parlarne,
premendogli dì stringere i panni addosso al Governo di Firenze, per
condurlo, colla speranza di Pisa, a staccarsi da Francia (4) ; e se ne
parlava, lo faceva per mostrarvisi contrario e dire che molti cardinali
« stimavono assai non essere havuto righuardo alle censure » (5).
Infatti il Bonsi non s'adoperava presso dì questi con maggior frutto;
ma doveva scrivere: « Truovoci più difficoltà non vorrei » (6).
Ognuno intende agevolmente se queste difficoltà scemassero o
crescessero, quando 1' 11 dì febbraio, domenica di Settuagesima, il S.,
fidente forse nel favore della Signoria, risah il pergamo di S. Maria
del Fiore e incominciò quelle prediche suU' Esodo, che furono le
più fiere ch'egli dicesse mai, e quelle in cui più apertamente parlò
delle cose sue, e più lìberamente manifestò il suo sentimento sulla
nullità della scomunica pronunziatagli contro ; quelle in cui usò la
famosa espressione del f&rro rotto, di cui tanto sepper valersi i suoi
nemici a incitargli contro più forte lo sdegno del papa, e ardì profe-
rire l'audace scongiuro, che il Signore lo mandasse all'inferno, se
egli chiedesse mai assoluzione da quella scomunica (7). Era un dare
(i) Pubblicazione cit. Sono i docc. v-xvii (pp. 153-163). La data dell'ultimo di questi
documenti è. corretta qui dal Gh. (p. 174, 2).
(2) § vili, docc. 2, 3, 4, 5; p. 175 sgg. Sono del 5, 6, 8, 12 febbraio 1498,
(3) Ivi, doc. i; p. 175.
(4) Docc. 4 e 5 ; p. 176.
(5) Doc. 4 ; ivi.
(é) Doc. 5 ; ivi.
(7) ViLLARi, Storia, ecc. IV, v, voi. II, 87 sgg.
bibliografia 721
nuove armi in mano ai suoi avversari, i quali non desideravano di
meglio ; e da Firenze, da Venezia, da Milano giungevano alla corte
di Roma informazioni ed eccitamenti, che aggiungevano legna a un
fuoco già grande (i). Allora lo sdegno di Alessandro VI vera-
mente divampò (2), sebbene apparisca dai documenti che allora
più delle prediche del frate lo irritasse la pertinacia dei Fiorentini
a non separarsi da Francia (3). Già si sapeva, dalla lettera del Bonsi
del 17 di febbraio, che cosa avesser detto della cosa il Taverna e
Ascanio Sforza, che pur mostravano a lui di volersi interpor presso
il papa in favore dei Fiorentini (4) : c'è da figurarsi che favore po-
tesse essere ! Qui viene in luce anche l'opinione e l'opera d'altri, e
in particolare dell'ambasciatore di Venezia, che era nemica di Fi-
renze, perchè bramosa d'aver per sé Pisa in dominio non che in
protezione, e nemica dei Francesi e della parte fratesca che in loro
confidava. Noi lo udiamo continuamente parlare al papa e ai car-
dinali in odio dei Fiorentini, vituperandoli come discordi e falliti, e
soprattutto come spregiatori della dignità della Sede Apostolica, poiché
lasciano predicar fra Girolamo; e « narrare il contenuto delle pre-
« diche sue, agravando la cosa », benché pur troppo a sdegnare
Alessandro non occorresse aggravarla (5). E intanto i nemici del
frate e dei Fiorentini prendevano animo sempre maggiore, tanto da
assaHre perfino a mano armata la casa del Bonsi (6).
Efi"etto di tutto questo fu il breve del 26 di febbraio, non meno
severo ed aspro contro i Fiorentini, che contro il S.; nel quale il
papa, riepilogati tutti i fatti pei quali questi si era tirato addosso le
censure, e rilevato quel che negli ultimi tempi aveva più inasprito
la Sede Apostolica, e il favore che molti gli davano, « vobis prohi-
« bitiones nostras scientibus et in illarum contemptum id permicten-
« tibus»; concludeva che il frate gli fosse mandato a Roma, o almeno
tenuto sotto tal guardia, che non potesse conversar con alcuno.
« Q.uod si forte, quod non credimus, facere contempseritis, signi-
« ficamus vobis quod, prò servanda auctoritate et dignitate nostra
« et huius Sanctae Sedis, civitatem istam vestram, quae hominem ita
(x) Vedi specialmente in più parti il doc. 8 (lettera del Bonsi ai Dieci del 2$ di feb-
braio) ; p. 181.
(a) Ivi ; cf. doc. 6.
(3) Vedi la lettera del Bonsi del 22 di febbraio (doc. 6; p. 178), specialmente sul prin-
cipio. Alle parole dell'ambasciatore « rispose il papa, se expressamente vi volevate obbli-
« gare di opporvi a' Francesi, venendo in Italia > ; e poiché quegli gli ebbe risposto in
tennini generici e inconcludenti, « allora rispose Sua Beatitudine, che bene conosceva,
«come li haveva decto lo oratore viniziano, che voi non eri per spiccharvi dal re di
« Francia ; et che ogni cosa faciavate di suo consentimento. Et a un traete si levò su,
« non volendo altro udire da me ; et uscendo di camera, dove era, mi si volse dicendo :
« Fate pure predicare a fra Girolamo ; io non harei mai creduto che cosi mi ha vessi tractato».
(4) Pubblicata dal p. Marciibse, Ioc. cit. doc. xviii; p. 164.
(5) Docc. 6, 8, II, 12; pp. 178, 181, i8j.
(6) Leuere del Bonai del aa e del aj febbraio, e del 16 marzo; docc. 6, 8, aa ; pp. 178,
183, aoo.
722 bibliografia
« pernitiosum, excommunicatum et publice nuntiatum ac de haeresi
« suspectum, centra mandata nostra, sustinere presummit, ecclesia-
« stico supponemus interdicto, et ad alia graviora remedia, de quibus
« expedire noverimus, procedere curabimus » (i).
Il colpo era gravissimo, poiché l' interdetto faceva paura e sgo-
mento; e più grave si faceva pel frate, inquantochè la nuova Si-
gnoria, tratta appunto in quel giorno, gli riusciva per due terzi
contraria e gonfaloniere Pietro Popoleschi a lui avversissimo (2).
Pure egli non si perdeva d'animo e seguitava a predicare arditissi-
mamente, sebbene si riducesse dal duomo a S. Marco ; e, come era
naturale, ne andavano a Roma le nuove, e più accanita si faceva
l'opera dei nemici di lui (3). Appena entrata in ufficio, la Signoria
convocava molti cittadini a consulta, per interrogarli del parer loro
su quel che fosse da rispondere al breve del papa; e in quella con-
sulta, sebbene non fosse troppa la concordia delle opinioni, pure
prevalse assai il numero di coloro, che credevano doversi dare al
papa qualche soddisfazione, pur non concedendogli né la persona
del frate, né che questi cessasse dal predicare; ma che dovesse
esser segno bastante d'ossequio alla Santa Sede il suo ritrarsi dal
duomo a S. Marco (4). E i Signori scrivevano il giorno stesso una
lettera al pontefice in questo senso, più ardita e calda di quelle
scritte in favore del S. da magistrati composti di suoi partigiani,
nella quale non facevano che dirne le lodi e conchiudere che non
potevano obbedire alle ingiunzioni del pontefice (5). Ciò, come parve
ad alcuno (6), per ispirito di moderazione e per riguardo verso fra
Girolamo; o, come sembra al Gh. (7), per deferenza al parere del
maggior numero dei Richiesti chiamati a consulta e specialmente
dei Dieci; o, come ci par molto più probabile, « con arte malvagia
c< per irritare il pontefice » siccome scrisse il prof, Villari (8), che ne
adduce una validissima prova, traendola da una lettera di Paolo
Somenzi (9). Certamente se questo vollero l'ottennero. Parve al
(i) Vedasi pubblicato dal Villari, Storia dt. voi II, app. doc. xiv, p. Ixvj.
(2) Ivi, IV, V, voi. II, 103. E lettera del Somenzi del 2 di marzo, ivi, app. doc. xii,
4, p. liij.
(3) Vedi p. es. la lettera d'Ascanio Sforza al fratello, del 1° di marzo 1498, pubbli-
blicata dal Del Lungo (loc. cit. doc. xxix, p. 24).
(4) Vedi la consulta pubblicata dal Lupi in Arch. stor, ital. serie III, t. iii, p. 30,
doc. HI. E un buon sunto nell'opera più volte citata del Villari, IV, v, voi. II,
103 sgg.
(5) Pubblicata dal p. Marchese, loc. cit. doc. xix, pp. 165-167.
(6) Al prof. Cosci nel suo articolo sopra ricordato, p. 4J5
(7) Vedi i presenti Nuovi documenti, ecc. pp. 186, 201.
(8) La storia di G. S. IV, v, voi. II, 107.
(9) Il quale, dandone notizia al suo signore il 2 di marzo, aggiungeva: « Q.uesta
« litera se è scripta in nome de la Signoria, et quella ha consentito che si scriva solutn per
« questo effecto, . . . acciò la Sua Santità babbi a procedere più ultra in questa cosa ; . . .
«et acciò anchora che epsa Signoria possi poi più iustificatamen te procedere contradicto
« frate, senza che gli possa essere dato charicho da persona ». In Villari, loc. cit. p. liv.
bibliografia 'ji^
papa di esser beffato da quella « trista lettera », per la quale ram-
pognò fieramente gli oratori fiorentini, che glie la presentarono (i);
e sollecitato e aizzato da Ascanio Sforza e da altri, avrebbe, a quanto
sembra, spedito subito l'interdetto, se non avesse alquanto placato
il suo sdegno mons. Podocattaro vescovo di Capaccio suo segre-
tario, e che ebbe più tardi da lui il cappello cardinalizio (2). Si dovè
forse ai buoni uffici di questo, se il papa si contentò di rinnovare
le sue minacele in modo più perentorio, ma con un breve scritto
forse in forma più rimessa che non si sarebbe aspettato ; perchè in
esso il papa scendeva quasi a discutere, riconoscendo il bene operato
a Firenze da fra Girolamo, e giustificando il proprio sdegno, e di-
mostrando non potersi dire la Santa Sede male informata dei fatti
del frate. Tornava in fine a minacciar l'interdetto, se non si ottem-
perasse alle condizioni già poste; ma quasi pregando di non esser
costretto a lanciarlo, per l'amore che egli portava a Firenze, ed
esprimendo il desiderio d'una resipiscenza del S., che potesse davvero
procacciargli l'assoluzione (3).
I Dieci intanto, prima che questo breve giungesse a Firenze, ma
quando già erano informati per lettere del Bonsi dello sdegno del
papa, non sapevano fare altro, che scrivere all'ambasciatore una delle
solite lettere fiacche e inconcludenti, nella quale dicevano di mara-
vigliarsi che il papa si fosse alquanto risentito per la risposta della Si-
gnoria, e che veramente nulla era che potesse irritarlo nelle prediche
del frate, quando si interpretassero « secondo il vero loro senso, come
« veramente si debbono le chose che si scrivono allegorichamente et
« con gran misterio et fondamento » ; sicché vedesse egli d' indurre
(i) Vedi la lettera, che scrisse il Bonsi ai Dieci, il 7 di marzo; pubblicata dal p. Mar-
chese, loc. cit. doc. XX, p. 168; e quella, per vero molto meno importante, ch'egli scrisse
alla Signoria, edita qui dal Gu. doc. i8; p. 192.
(2) Vedi la lettera del Bonsi alla Signoria, del 9 di marzo, edita qui dal Gh. (doc. 19;
pp. 192-19}). E per l'opera d'Ascanio Sforza, vedi la lettera, che gli scriveva il duca
il 25 di marzo; pubblicata dal Del Lukgo (loc. cit. doc. xxxin, p. 28).
(3) Il Gir. pubblica qui (doc. 20; pp. 194, sgg.) il breve, dall'originale, che esìste
nell'archivio di Firenze, in una lezione molto diversa da quella, nella quale fu edito dal
Perrens (op. cit. doc. xi), che lo trasse da una copia della biblioteca Marciana, identica
a un'altra scoperta dal Villari nel cod. Riccard. 20J}. Egli suppone che queste due copie
(senza intestazione nò data) sieno tratte da una bozza fatta stender dal papa, prima che
le parole del Podocattaro lo riducessero a più miti consigli, e che il breve in quella forma
non fosse spedito mai (p. 191). La quale ipotesi (seppure non si tratta anche qui di una
di quelle parafrasi allora tanto comuni, e che il prof. Villari ammette, per esempio, a
proposito della lettera del S. al papa del 13 marzo 1498 nella versione che ne pubblicò il
RuDELBACH. Vedi op. cit. II, 130, in nota) ci sembra molto probabile, essendo quasi
assurdo l' invio simultaneo, o quasi, di due brevi cosi diversi intorno alla medesima cosa.
Quanto alle parole di G. A. Vespucci che diceva, nella consulta del 14 marzo, questo breve
meno imperioso di quel primo, non vedo perchè non potessero alludere al breve del a6 di
febbraio, come oppone il Villari (op. cit. pp. 1 15-116, n. 2), il quale ritiene che am-
bedue i brevi fossero spediti a Firenze ; perchè e dal sunto stesso che ne abbiamo fatto e
soprattuto dalla lettura dei brevi, apparisce chiaro che il breve del 26 di febbraio fu
nella forma assai più imperioso, che questo del 9 di marzo.
724 bibliografia
il papa a concedere alla Repubblica tutti i desiderati favori (i). Era
davvero troppa semplicità o troppa sfrontatezza; e il Bonsi era stanco
oramai di dover mostrarsi partecipe anch'egli o dell'una o dell'altra,
tanto che rispose con una lettera, che al Gh. sembra singolarmente
ardita (2), sebbene in altri tempi anche più ardito linguaggio avesser
tenuto talora, coll'ufficio dal quale dipendevano, gli ambasciatori fio-
rentini (3). Nella quale, insegnato loro a intendere a dovere le sue let-
tere, come essi volevano insegnare al papa a intender le espressioni del
S., mostrava che egli ne sarebbe beffato et rìbuctato, se volesse andare
dicendo le solite parole in difesa di quelle prediche, che andavano stam-
pate per Roma ed esacerbavano gli animi di tutti ; e che il papa era
indignatissimo, e più si sdegnerebbe, se non vedesse da Firenze risposta
non di parole, ma di fatti ; infine chiedeva licenza del ritorno, perchè
vedeva l'opera sua a Roma inutile per la RepubbUca e a sé perico-
losa (4). Non pare che i Dieci se ne commovessero troppo, né che
mutassero opinione rispetto al S., almeno a giudicare dalla lettera
colla quale risposero al Bonsi, sebbene mostrassero, per ossequio alla
Santa Sede, d'aver consentito all'inibizione del predicare fatta al S.
dalla Signoria (5). Il contegno della quale in tutto questo mese, in
apparenza benignissimo a fra Girolamo, pare a me che giustifichi
sempre più l'opinione del Villari, fondata, come abbiam visto, sulla
notevole afifermazione del Somenzi. I Signori, che sapevano l'animo
del papa e che importanza avesse per lui la risposta che al suo
nuovo breve si farebbe, procedevano con singolare lentezza. Dopo
essersi indugiati tre giorni, chiamarono a consulta, sia per rispetto
alle consuetudini della Repubblica, sia per perder più tempo e sde-
gnare il papa ognor più, un grandissimo numero di cittadini, i quali
manifestarono, come era da aspettarsi, pareri molto discordi, sebbene
alquanti si mostrassero favorevoli al S. e alcuni usassero parole molto
forti contro il pontefice, ma i più consigliassero di dargli qualche
soddisfazione (6). Lasciarono quindi passare altri tre giorni, e poi chia-
marono a praticare 19 cittadini scelti fra quelli della precedente con-
sulta, i quali presentarono una relazione, in conseguenza della quale
si decretava « persuadendum esse fratri leronymo ut omnino a pre-
ce dicatione cessaret; sicque satisfieret pontifici. Cetera autem que li-
ce teris apostolicis petebantur indigna indicata sunt Reipublice ; sicque
(i) Lettera del io di marzo, doc. 2i; p. 197.
(2) P. 197.
(3) Vedi, p. es., le lettere che scrisse talora ai Dieci messer Rinaldo degli Albizzi, e in
particolare quelle che scrisse dal campo contro Lucca, dov'era commissario, il 17 di gen-
naio e il lé di marzo del 1430. Commissioni di Rinaldo degli Albini pel Comune di Fi-
renze, pubblicate da Cesare Guasti, III, 306, 486.
(4) Lettera del 16 di marzo, doc. 22; pp. 198-201.
(j) Lettera del 24 di marzo, doc. 28; p. 207; e vedi la lettera del 18, scritta prima
di ricever quella del Bonsi, doc. 23 ; p. 202.
(6) Consulta del 14 di marzo, pubblicata dal Lupi, loc. cit. doc. v, pp. 3 3 sgg. ; ci-
tata e riportata in parte dal Villarì, op. cit. IV, vi, voL II, 116 sgg.
bibliografia 725
« ad oratorem qui Rome erat dominum Dominicum Bonsium litere
«date sunt »(i). Al S. veniva quest'ordine notificato quella sera,
ed egli obbediva, e faceva il 18 di marzo del 1498 l'ultima sua
predica mesta, ma pur risoluta e minacciosa (2). Ma la risposta a
Roma si mandava con tanta lentezza, che non vi giungeva prima del
dì 22 (3), e non si faceva direttamente al papa, ma all'oratore (4),
che non era una prova di far troppo conto del breve di quello. Il
cui sdegno si veniva pertanto accrescendo, tanto più che seguita-
vano a venire con assai maggior prontezza altri avvisi da Firenze
atti a irritarlo più che mai (5). E convocati alcuni cardinali, fra
i quali fu, naturalmente, Ascanio Sforza, n'aveva avuto parere di non
chieder più la sospensione delle prediche del frate, « ma di vo-
ce lerlo a ogni modo qui nelle mani; et che non solamente proce-
« dessi allo interdecto, ma facessi porre le mani addosso a questi
« della natione nostra che sono qui, et tenere le loro robe al sicuro ;
« et di poi richiedere le S. V. che li mandino fra G. infra uno ter-
« mine prefixo ; et non lo faccendo voi, mettere detti della natione
« in Castel Sancto Agnolo et le robe confischare alla Camera Apo-
« stoHcha » (6). Così scriveva il Bonsi, al quale forse la cosa era stata
riferita con qualche esagerazione, e forse per intimidire il Governo
di Firenze; ma intanto i mercanti fiorentini che erano a Roma ne
scrivevano anch'essi alla Signoria, tutti sgomenti, supplicandola ad
ovviare e dare al papa la richiesta soddisfazione (7). Ma la Signoria
non si mostrava per nulla impensierita e lasciava che a Firenze, se
fra Girolamo taceva, predicassero fra Domenico da Pescia e fra Ma-
riano degli Ughi, certo non con temperanza maggiore; e perchè il
papa se n'era lagnato col Bonsi, quando questi fu ad annunziargli
la sospensione delle prediche di fra Girolamo (8), rispondevano in
modo, che par giustamente al Gh. assai singolare (9) : « che altri
« frati di S. Marco predicano in vilipendio di Sua Sanctità, noi in-
« formatoci non ritragghiamo cotesto da nessuno» (io). Cosi quanto
(i) Pratica del 17 di marzo, pubblicata e. s. doc. v; pp. J3-J4.
(2) ViLLARi, Storia cit. IV, vi, voi. II, 125 sgg. e in particolare p. 128.
(3) Vedi la lettera del Bonsi del 24 di marzo, edita qui dal Gh. doc. 31; p. 210. E cf.
quelle del 16, del 19, del 20, nelle quali quella risposta sollecitava (dece. 22, 25, 27 ;
pp. 199, 20^, 207).
(4) Vedi il poscritto della lettera dei Dieci al Bonsi del 18 di marzo (doc. 23 ; p. 203),
e la loro lettera del 24 (doc. 28; p. 207) fatta per mostrarsi al papa (vedi il doc. 29;
p. 208),
(j) Vedi la lettera del Bonsi del 23 di marzo (doc. 30; p. 209). Il papa aveva gii
saputo cose nuove da una lettera del 19 di marzo prima d'avere la risposta fattagli fare
dalla Signoria il 18. *
(6) Lettera del Bonsi del 18 di marzo, doc. 24; p. 204.
(7) La lettera dei mercanti è pure del 18 di marzo; edita qui al n. 26, pp. 205-206.
(8) Vedi la citata lettera del Bonsi del 23 di marzo.
(9) P. 208.
(io) Vedi la lettera dei Signori al Bonsi, scritta il 31 di marzo, nella raccolu del p. Mak-
ciiESH, doc. XXII ; p. 171.
726 bibliografia
al non essersi degnati di rispondere direttamente al breve, della qual
cosa Alessandro aveva mostrato rincrescimento, allegavano, nella
lettera, colla quale finalmente risposero il 31 di marzo, un pretesto
di assai poco valore, dicendo di non potere scrivere a un papa « sine
« decreto coUegarum nostrorum, qui singulis horarum momentis con-
« gregari non possunt » (i). Altro che singulis horarum momentis^ con
una dilazione di venti giorni! Nondimeno il papa pareva in questo
tempo assai calmo ; ma chi gli era attorno pensava ad aizzarlo col
dirgli un fatto nuovo e grave. Sia che veramente, come fu nar-
rato, ma pare al Gh. poco probabile pel silenzio dei carteggi (2), a
Milano s'intercettasse e dal Moro si mandasse al papa una lettera
del S. a re Carlo Vili per incitarlo a convocare un concilio e de-
porre Alessandro (3) ; sia, come suppone il Villari (4), che la let-
tera intercetta fosse una di Domenico Mazzìnghì, scritta col mede-
simo scopo e per ordine di fra Girolamo a Giovachino Guasconi,
ambasciatore in Francia; sia che qualche voce imprudente o traditrice
uscita di S. Marco, o qualche invenzione calunniosa della corte di
Milano avesser messo di tale cosa il sospetto nell'animo del papa ;
certo è che questi alla fine di marzo non si contentava più che il S.
tacesse. Temeva, come apparisce soprattutto dal terzo processo, che
le ripetute minacele del frate di dar volta alla chiavetta avesser fon-
damento in pratiche appiccate da lui o con cardinali poco amici del
papa, o con principi d' Italia o di fuori, per radunar un concilio, che
seguisse l'esempio dato da quello di Costanza e malamente rinno-
vato a Basilea. E s'intende però com'egli, aderendo finalmente in
parte ai consigli datigli il 17 di marzo, dicesse il 3 1 al Bonsi d'aver de-
liberato di mandare a Firenze un prelato, « il quale ricerchassi per-
« suadere fra leronimo che si disponesse al venire qui, solo per mo-
« strarsi obsequente alla Sua Santità, et a questa Santa Sede; et che
« venendo non gli sarebbe fatta alcuna lesione » qcc. (5). A questo
l'ambasciatore si era opposto recisamente, allegando più ragioni; ma
ormai era avvenuto, e ne giungevano a Roma le notizie, quel fatto
che doveva dar mano a toglier via questo nuovo dissidio fra il papa
e la Signoria ed a chiarir senza dubbi l'avversione di questa al S.
Il 25 di marzo, come apparisce da una lettera di Girolamo Beni-
vieni pubblicata dal Gh. (6), Francesco di Puglia, predicando in Santa
(i) Raccolta del p. Marchese, doc. xxiii ; p. 172.
(2) P. 211.
(3) BURLAMACCHI, Op. CÌt. p. 86.
(4) Op. cit. IV, VI, voi. II, pp. 135-136. C'è veramente una difficoltà, perchè il
Mazzinghi disse, nel processo, d'avere avuto la risposta. (Ivi, p. cclxiij, e la risposta
dell' II d'aprile è riportata alla pagina seguente) ; ma il V. cerca d'eliminarla, supponendo
che la lettera fosse mandata duplicata, o che il Moro l'avesse lasciata andare al suo de-
stino dopo averne fatto fare una copia ; che non mi pare ipotesi troppo probabile. (Ivi,
p. cclxiv, n. i).
($) Lettera del Bonsi del 31 di marzo, doc. 33 (ultimo del § viii); p. 212.
(6) § IX, doc. I ; p. 216.
'bibliografia 727
Croce, aveva lanciato quella sfida, che fu l'ultima rovina del frate
ferrarese. I commenti che son qui pubblicati nel § ix sono impor-
tanti soprattutto a mostrare la contrarietà risoluta che incontrò a Roma
la proposta della barbara prova, che duole veder tanto favorita e
sollecitatane la licenza dall'oratore della Signoria (i); ma gli animi
erano allora a Firenze così potentemente agitati, che la cosa non
pare fuori del naturale. Sia che il papa, come capo della Chiesa,
non volesse, o che non volessero i cardinali accordare essi una cosa
che allo spirito della Chiesa ripugnava; sia che Alessandro temesse,
come i Piagnoni supposero (2), che da quella prova il S. avesse ad
uscire vittorioso e accresciuto di credito e d'autorità; sia che, volendo
a ogni costo il S. a Roma, non curasse d'approvar tutto quello che
potesse ritardare o impedir quest'effetto, o non volesse che il frate,
morendo, avesse a portar con sé nella tomba i segreti che a lui pre-
meva di strappargli ; certo è che papa e corte furon sempre all'espe-
rimento contrari, né ebber risposta le richieste d'approvazione o di
licenza della Signoria e dei frati di S. Marco, se non in quelle disap-
provazioni, che il Bonsi sentiva darsi fin tre giorni dopo quello del-
l'esperimento, del quale non era peranco giunta a Roma la nuova (3).
Che se poi Alessandro VI fece scriver lodi alla Signoria, e fu
largo coi Fiorentini d'assoluzioni e indulgenze, e spedì un breve gra-
tulatorio e laudativo ai frati di S. Croce; lo fece quando, insiem colla
notizia della prova fallita, gli fu giunta quella del confino e poi della
cattura del S. e dei due suoi compagni (4), che l'assicurava da ogni
(i) Vedi i docc. 2-7 del § ix passim.
(2) BURLAMACCHI, Op. CÌt. p. I23.
(3) Lettera del Bonsi ai Dieci del io d'aprile 1498 Doc. i del § x : «Stamane, es-
« sendo io col card, di Perugia, m'affermò, non obstante che havesse lecto la lettera de'
« frati diligentemente, essere del medesimo proposito; benché li paresse grave cosa il
« consentimento di tanto numero » ; p. 226. La lettera dei frati, che è del 3 d'aprile,
è il doc. 5 del 5 IX (pp. 219-220). E cosi due giorni avanti parlando l'oratore di questo
al medesimo cardinale ed al papa, « l'uno et l'altro di loro entrarono in su questo caso
« dello experimento del fuocho, dannandolo molto. Et subiunse il papa, che si maravi-
<* gliava che costi si attendessi a tali cose, et che e' sarebbe bene levarle via » (doc. 7,
lettera del Bonsi del 19 di aprile; p. 221, e cf. più sotto a p. 222). E il disgusto di lui
appare nelle prime parole, che fece al Bonsi, quando questi per la prima volta glie ne
parlò: « Vedete dove queste cose si conducono! » (Lettera del B. del 4 d'aprile, doc. );
p. 217).
(4) Del confino seppe il papa dal Bonsi la mattina del io d'aprile, « et ne monstrò
« essere bene contento .... monstrò esserli molto accepto la vostra buona dispositione verso
« la Sua Santità: della quale mi dixe che assai per sua parte ve ne ringratiassi; et che
« ere paratissimo ad ogni vostro beneficio operarsi come per suoi buoni figliuoli. Monstrò
« etiamdio piacergli assai la speranza che per epsa vostra ne date di comporre bene et
« a pace et unione tucta la città ». (Lett. del B. del io d'aprile, $ x, docc. t e 3 ; p. 227).
La seguente mattina si recò subito l'oratore a dargli notizia di quel che era avvenuto poi;
ed egli « monstrò non solo essergli grato et acceptìssimo la captura di questi tre frati,
« ma con molte amorevoli parole ve ne ringratiò sommamente, d'ogni opera intomo
« acciò facta: comendandovene grandissimamente, et dicendo che non è cosa circa a'chasi
« di Pisa e altri si grande, che lui non desideri mectere in beneficio vostro », ecc. (Lett. del-
l'ii aprile, doc. }; pp. 227-228).! E soltanto il giorno di poi (la d'aprile) partivano da
728 bibliografia
timore ch'egli potesse avere dell'opera loro, e gli mostrava chiaro
il gran rivolgimento che s'era fatto nelle opinioni a Firenze, che
sperava non sarebbe senza effetto sulla politica di quella città; e
a chi, bene o male, era stato strumento a procurar tali effetti, che
a lui tornavano utili, mandava lodi e rallegramenti, sebbene per l' in-
nanzi avesse ben altrimenti stimata l'opera loro.
Né però cessava in lui la brama d'avere a Roma il S. (i); e di
questa brama, di cui ci offrono ad ogni passo testimonianze i do-
cumenti pubblicati qui sotto il numero X, disse ben la ragione il
p. Marchese, quando, annotando la lettera della Signoria al Bonsi
del 5 di maggio, scriveva: « Temeva il pontefice che le trattative
« del concilio avessero avuta intelligenza con alcuni del sacro col-
« legio, i quali desideravano la deposizione di Alessandro VI, come
(f il cardinal Della Rovere e alcuni cardinali francesi » (2). Lo pro-
vano e lo confermano quel che la Signoria stessa, in termini molto
coperti e delicati, scriveva al pontefice il 6 di maggio (3), e le pa-
role che il Bonsi scriveva ai Dieci l'ii d'aprile, in una lettera che
viene in luce nella raccolta del Gh. (4); non che il fatto che appunto
con interrogazioni su questi particolari incominciava e in gran parte
poi s'aggirava il processo fatto al S. dai commissari apostolici (5). Ma
se il papa aveva le sue ragioni per volere a Roma fra Girolamo,
i Fiorentini avevano le loro per non farselo uscir dalle mani, e
questa soprattutto, che non volevano, come apertamente scrivevano
Roma i noti brevi al vicario generale dei minori osservanti e a fr. Francesco di Puglia
(in data del di ii) e un altro al Capitolo dì S, M. del Fiore, ed uno alla Signoria, non
che una bolla d'indulgenza plenaria per l'ottava di Pasqua (lett. del B. alla Signoria,
del 12 d'aprile; dee. 5 ; p. 230). Il breve alla Signoria è pubblicato qui (doc. 6; p. 231).
Non ci par dunque da consentire col Villari che le disapprovazioni del papa dichiara
finzioni, argomentando appunto dalla spedizione di questi brevi (op. cit. IV, vii, voi. II,
pp. 145, 149); né col Cosci, il quale aderendo a quel che scrisse il Burlamacchi, che
Alessandro VI disapprovasse l'esperimento per paura che in questo i domenicani vinces-
sero, soggiunge che se veramente egli avesse voluto impedire che l'esperimento si fa-
cesse, l'avrebbe facilmente potuto, prosciogliendo da qualsivoglia censura il S. (loc. cit.
pp. 454-455). Che questo potesse mettere innanzi il Bonsi, per tentare ogni cosa affin
di condurre il papa a quel che pareva si volesse a Firenze (lett. del 4 aprile, doc. 3 ;
p. 218, in fine), s'intende; ma che altri possa dirlo ora a mente quieta e pensando che
l'esperimento era proposto soprattutto per far prova della validità d'una scomunica ful-
minata dal papa, par quasi impossibile.
(i) Fu subito espressa dal papa, appena il Bonsi gli ebbe notificata la cattura dei frati
(lett. del Bonsi dell'ii d'aprile, § x, doc. 3; p. 228).
(2) Pubblicaz. cit. p. 187.
(3) « Si forte, ut decet optimum pastorem, ad consulendum rebus Ecclesiae intelli-
« gere aliquid ab eo cupiat Sanctitas Vestra ». (Ivi, doc. xxxvii; p. 189).
(4) « Richiesemi poi con instantia grande che in questa examine Vostre Signorie do-
« vessino ricerchare se detti frati havevono qui con persona praticha 0 intelligentia al-
« chuna, et che del ritracto me ne advisassi. Et oltra a di questo con grandissima instantia
« mi richiese che facto decta examine, quelle volessino concedere a Sua Beatitudine decti
« tre frati », ecc. (Lett. cit. p. 228).
(5) Vedasi pubblicato in appendice al voi. II dell'op. cit. del Villari, doc. xxvi, 3 :
specialmente in principio, e pp. cxciij-cxciv.
bibliografia 729
a Roma, e come il Bonsi aveva fino da princìpio fatto intendere
al papa, che certe cose interne della loro città s'avessero a risapere
e pubblicar fuori (i) ; e però continuamente si rifiutarono di con-
ceder tal cosa, sia espressamente, sia cercando di guadagnar tempo
col tacere, sebbene il papa ne li ricercasse con insistenza grandis-
sima, e ne facesse una condizione necessaria dei favori materiali
e spirituali, che essi gli chiedevano (2). Tanto che alla fine toccò
a lui a cedere, e contentarsi che i tre frati venissero interrogati a
Firenze da qualche suo commissario mandatovi « per intenderne
« una cosa più che un'altra attinente » (3) alla Sua Santità; o facesse
questo perchè la piega che le cose prendevano a Firenze gli avesse
oramai tolto ogni paura dell'animo, o perchè avesse inteso dai sunti
dei processi comunicatigli che non c'era da cavarne nulla, che po-
tesse gravemente compromettere alcuno della curia. Ed è cosa
assai curiosa quella che rileva il Gh., che questa soluzione non fu
dal papa proposta e dalla Signoria accettata, né viceversa, perchè
un giorno prima che la lettera del Bonsi giungesse a Firenze, una
pratica aveva consigliato lo stesso partito, e secondo il consiglio
di quella n'era stato scritto all'oratore (4).
Né ci mostrano questo soltanto i documenti pubblicati in questo
paragrafo ; ma anche l'effetto, che la notizia di questi fatti produsse
fuori di Firenze, e in particolare in Francia e a Milano, così spi
capi degli Stati (5), come sugli ambasciatori fiorentini, i quali, in
quei due luoghi, appartenevano alla parte del frate, e non nasco-
sero il loro dolore e il loro disgusto, tantoché all'uno di loro, Fran-
cesco Pepi, i Dieci rimproveravano la passione con cui scriveva (6),
e se non lo richiamavano, mandavano almeno un altro oratore di
ben altri sentimenti, Guidantonio Vespucci, col pretesto d' informar
meglio il duca Lodovico delle cose presenti (7). La lettera poi del
(i) Lett. cit. del Bonsi dell'ii d'aprile; e lett. cit. della Signoria al Bonsi del j,
e al papa del 6 di maggio (p. Marchese, docc. xxxvi e xxxvii, pp. 187, 189). Nelle
quali troviamo detta anche un'altra ragione, che fa dispiacere : « Accedit huc etiam quod-
« dam desiderium totius populi videndi supplicium eius, quo tot annis vanis poUicitatio-
« nibus delusi sunt ».
(2) Vedi specialmente le lettere del Bonsi dei 17, 19 e 25 d'aprile edite qui (§ x, docc. 13
e 22; pp. 239 sgg. 2;6). E fin nei brevi delle sue concessioni il papa insisteva su quel
punto. V. i brevi del 12 e del 17 d'aprile pubblicati qui dal Gii. (docc. 6 e I4;pp- 231,242).
(3) Lett. del Bonsi del 3 di maggio, edita qui (doc. 27; p. 262).
(4) P. a6i.
($) Il doc. 9 (p. 235) i una lettera di larghissima lode e congratulazione scritta alla
Signorìa l'ii d'aprile da Lodovico il Moro, che contrasta un po' col modo nel quale s'era
espresso, scrivendo il giorno innanzi alla Signoria stessa, l'ambasciatore Francesco Pepi
(doc. 8; p. 234). Il doc. 12 t una lettera dei Perugini, del la d'aprile, che contiene assai
profferte, ma nessuna congratulazione, anzi rammarico del tumulto avvenuto e neanche
il ricordo del frate.
(6; Lett. del 23 d'aprìle, edita qui (doc. 19; p. 251).
(7) Lett. del 21 d'aprile, e. s. (doc. 18; p. ajo). La ragione la diceva chiara il So-
menzi, scrivendone al duca l'ii d'aprile. Vedi Dkl Lungo, pubbl. cit. doc. xli, p. 36.
730 bibliografia
Guasconi ambasciatore in Francia (i) è anche per altro impor-
tante, perchè, insieme coi passi d'altri inediti documenti, coi quali
il Gh. r illustra da par suo (2), rettifica quanto s'argomentava dalla
lettera di Luigi XII alla Signoria di Firenze scritta il 4 di giugno
e pubblicata dal p. Marchese (3), cioè che quel re s'adoperasse ai
favori del S. soltanto quando questi era già morto ; poiché appa-
risce di qui com'egli già avesse saputo i casi di Firenze il 21 di
aprile, e da altri prima che dall'ambasciatore, e come per quelli
mandasse a Firenze Niccola Alamanni, il quale non potè far nulla,
per trovar la materia troppo mal disposta. Cosi ci mostrano altri
di questi documenti come parecchi di quelli che erano al frate de-
voti da lui s'alienassero (4), e come lo rinnegassero perfino i più
intimi fra i suoi frati (5), ingannati dalle false dichiarazioni dei
processi, che altri documenti vengono a dimostrare palpabilmente
in che modo si facessero, e come in quelli la parzialità e l'arbitrio
fosser l'unica regola dei giudici, che compirono colla condanna dei
tre frati una svergognata ingiustizia (6). Non si può senza una
certa commozione e un senso di dolore e di sdegno percorrere
questa parte del libro, né gran parte dei documenti raccolti nel
paragrafo XII, sotto il titolo : « Documenti relativi alla memoria di
fra Girolamo » (7) ; quelli in particolare, nei quali vediamo farsi de-
trattore del S. un suo vecchio maestro (8), e scrivere contro di lui
ancor vivo e carcerato un'aspra e feroce invettiva diretta alla Si-
gnoria di Firenze (9) Ugolino Verino, poco innanzi tanto suo de-
(i) È del 21 d'aprile (doc. 17; p. 248),
(2) P. 246-247.
(3) Loc. cit. doc. XL, p. 192.
(4) Fra gli altri il Bonsi; quantunque più che dalla sua raccomandazione per Fran-
cesco del Pugliese (edita qui, doc. 21 ; p. 254) si possa argomentare il suo mutamento
dalle lettere che scriveva da Roma anche prima della caduta del S. E forse anche il pie-
vano di Cascina Francesco Fortunati, che temeva d'avere a essere implicato nel processo
(p. 258).
(5) Fino fra Niccolò da Milano, a cui il S. aveva fatto far le minute delle lettere
ai principi. Vedi la lettera sua agli esaminatori « pseudoprophetae fratris Hieronymi de Fer-
«raria» del 22 d'aprile, edita qui, doc. 20; p. 252. Quanto agli altri frati, vedi le due lettere
del Bonsi ai Dieci e alla Signoria, del 25 d'aprile (docc. 22, 24; pp. 256, 258); e la let-
tera loro al papa, edita dal Perrens (^Jerome Savonarole, App. doc. xvii, pp. 429 sgg.
della 3^ ediz.).
(6) Vedine una nuova prova nelle due lettere di Pierfrancesco dei Medici al pievano di
Cascina, che vengono in luce per la prima volta in questa seconda edizione (§ x, docc. 25
e 26; pp. 259, 260).
(7) Non istò a far parola del § xi, nel quale il Gh. ha raccolto tre lettere inedite
del S., di non grande importanza, il testo originale d'un'altra, di cui si conosceva sol-
tanto una traduzione, e una diligentissima e spesso importantissima collazione delle let-
tere edite, delle quali, menochè di una sola, son qui soltanto riportate le varianti dalle
lezioni pubblicate.
(8) Il Garzoni più sopra ricordato (§ xii, docc. 2 e 3 ; pp. 309, 310). La seconda e
più acerba di queste lettere del G., che è del 3 di luglio 1498, viene in luce ora perla
prima volta. L'altra del 14 di giugno era anche nella prima edizione.
(9) Ivi, doc. i; p. 303.
"Bibliografia 73 1
voto, da aver sottoscritto l'attestazione in suo favore fatta da molti
cittadini di Firenze l'anno 1497, e da avergli dedicato un poe-
metto latino, che il Gh. qui pubblica : De christianae religionis ac
vitae monasticae felicitate (i). Negli altri apparisce in tutta la sua
acerbità, che giunse talora a cose quasi stolidamente ridicole (2),
la persecuzione contro la memoria del Ferrarese, mossa così dai
suoi nemici reggenti il governo di Firenze, sia che fossero repub-
blicani Arrabbiati (3), sia che fossero Palleschi o duchi di casa Me-
dici (4) ; come dai superiori dell'ordine domenicano, che fino un
secolo dopo ch'egli era morto, vietavano a tutti i ^rati e a tutte le
monache di tenerne ritratti e fin di pronunziarne il nome (5). E
apparisce insieme il perdurare in mezzo a tante persecuzioni della
devozione quasi popolare al nome e alla memoria di lui, che si
manifestò fino a un secolo e mezzo fa in una fiorita, che si faceva
in piazza della Signoria nel giorno anniversario della sua morte (6),
è attestata dalle stesse condanne pronunziate contro chi la propa-
gava (7). Né era solo di persone volgari, perchè rimangono uffìzi
propri latini composti per lui, uno dei quali viene appunto qui
pubblicato (8). D'altra parte poi è noto che, sbolliti i primi furori
e cessate le paure e le passioni, che avevano mosso quella perse-
cuzione, la cosa mutò ; e santi della Chiesa e pontefici ebber quasi
(i) P. 295 sgg. E vedi la lettera, che gli aveva mandato innanzi, a p. 290 sgg.
(2) Tale ci pare il confino della campana /»/(7g'«o«rt nel campanile dei frati minori di S. Mi-
niato al Monte, intorno al quale il Gh. aggiunge qui tre deliberazioni dei Signori (docc. 8,
9, 10; p. 313) a quelle già edite dal Villari (op. cit. II, app. n. xxxii, p. ccxcj); e altri
otto documenti (docc. 11-18; pp. 31$ sgg.) sullo scalpore grande, che si fece per questa
cosa, finché la campana non fu tornata a S. Marco il 6 di giugno del 1509.
(3) Vedi, oltre i già citati nella nota precedente, i docc. 4, 5, 6 di questo paragrafo.
Sebbene i documenti 7 (p. 312) e 21 (p. 327) mostrino che la persecuzione non fu diu-
turna, com'era d'altra parte assai naturale, perche potevano pur giungere al supremo
magistrato di quelli che erano stati sinceramente amici del frate, come fu di Giovacchino
Gtusconi, che fu gonfaloniere per settembre e ottobre nel 1499.
(4) V. doc. 31 (p, 338. Deliberazione degli Otto del 16 marzo 1533). Ma la perse-
cuzione più fiera contro i frati di S. Marco fu quella del duca Cosimo I, che li cacciò
da quel convento con decreto del 31 d'agosto 1545, ma dovè poi rinsediarveli per volere
del pontefice Paolo III il 5 di dicembre di quell'anno medesimo; con quanta sua stizza
apparisce dalle lettere del carteggio mediceo, che qui pubblica il Gh. (docc. 32-38), poiché
egli s'era messo a questa cosa con una risolutezza ed una baldanzosa ostinatezza singo-
lari (vedi specialmente le prime tre lettere; p. 342 sgg.), allegando « che la origine
« di tutta questa materia nascic dalla falsa dottrina et mali costumi che fra Girolamo
« Savonarola insegnò a' suoi frati di Santo Marco » (lett. del 14 d'ottobre, all'ambascia-
tore Alessandro Del Caccia, doc. 33; pp. 343-44). Il Gh. pubblica qui inoltre anche una
narrazione del fatto, che si trova in una cronaca latina manoscritta del convento di
S, Marco (p. 340 sgg.).
(5) Doc. 39; p. 3$o. Ordinanza del generale dei domenicani Sisto Fabbri del $ d'a-
prile 158$. E cf. i docc. 33-)0 (pp. 339-337)1 alcuni dei quali abbiam gii ricordati.
(6) Vedi doc. 44; p. 367; e l'illustrazione, che lo precede.
(7) Doc. ji cit. (p. 338).
(8) Doc. 41; pp. 3 $8 sgg. Un altro ne pubblicò, com'è noto, il conte Carlo Cap-
poni, e vi fece un proemio Cesare Guasti (Prato, 1860).
732 bibliografia
per santo il Savonarola (i): i miscredenti lo denigrarono (2), i cat-
tolici lo esaltarono; e soprattutto l'ordine, che avanti dell'estremo
supplizio lo rigettò dal suo seno, se ne gloriò poi e se ne gloria e
ne cercò e ne cerca l'esaltazione con cura amorosa (3); e n'ò bella
testimonianza, oltre la Vita, che scrisse nel secolo passato il p. Bar-
santi e soprattutto gli studi importanti e bellissimi del p. Marchese,
anche il presente libro, ispirato e in gran parte composto dallo
studio amoroso del p. Bayonne. Al qual proposito, per altro, non
possiamo posare la penna, senza tributare una giusta e grandissima
lode al Gh., per la modestia veramente singolare, colla quale egli,
nella prefazione, dà in sostanza il maggior merito nella compo-
sizione dell'opera al p. Bayonne e al cav. Cittadella (4). Anche
senza considerare quanto di proprie ricerche egli avrà aggiunto alle
loro, certamente per un lato la faticosa collazione, per un altro e
soprattutto il modo com'egli ha saputo ordinare e illustrare questi
documenti, non son cose da farne poca stima ; perchè rivelano
un' intelligente operosità e un'erudizione soda, sicura e vastissima,
quaU se le possono augurare tutti gli studiosi di cose storiche.
F. C. Pellegrini.
ena :(^um Liber Diurnus I von Th. R. von Sickel
wirkl. Mitgliede der Kais. Akademie der Wissenschaften.
Mit einer Tafel. [Sitzungsberichte der Kais. Akademie
der Wissenschaften in Wien. Philosophische-Historische
Classe. Band CXVIL]
L'illustre direttore dell'Istituto austriaco di studi storici, prof. Teo-
doro von Sickel, attende da alcuni anni a preparare una nuova edi-
zione del Diurnus Romanorum pontificum. Il testo della celebre rac-
colta di formole accompagnato da una Praefatio e da un Index
rerum et verhorum uscirà fra poco: frattanto in questa prima parte
dei Proìegomena, presentata alla classe filosofico-storica dell'Acca-
demia Imperiale di Vienna, il Sickel comincia a pubblicare tutte
quelle ricerche e quegli studi sul Diurnus che lo hanno condotto
alle conclusioni enunciate nella prefazione, tutto quell'apparato, in-
(i) ViLLARi, La storia, ecc. Conclusione. II, 256. E in questo volume lo studio citato
del Guasti, parte II, § iv, p. 94 ; e ntlV Arch. star. ital. nuova serie, XII, 168, la ras-
segna fatta da Gino Capponi della citata pubblicazione dell'uffizio proprio del S.
(2) Vedi il principio della prefazione del prof. Villari alla prima edizione del suo libro
sul S,
(3) Anche da questi documenti, pur lasciando quel che apparisce dalle lettere di Co-
simo I, e specialmente da quella al Del Caccia citata, si vede come due secoli or sono
si facesse gran conto in S, Marco di quel che a lui avesse appartenuto e si tenesse come
reliquia (Vedi i docc. 42-43 del 1685 ; p. 364 sgg.).
(4) Vedi la prefazione, in principio, e a p. vii.
"Bibliografia 733
somma, che non era strettamente necessario all'intelligenza del testo
e, unito alla prefazione, ne avrebbe ingrossato di troppo la mole.
In questa prima parte dei ProUgomena tratta dei due manoscritti an-
tichi del Diurnus e dei gruppi di formole contenuti in ambedue;
nelle altre, che usciranno in seguito, discorrerà del tempo in cui fu
redatto il Diurnus e dell'uso fatto di esso dal compilatore della Vita
Adriani I Nonantulana e da Deusdedit nella sua collezione di canoni.
Il capitolo riguardante il codice Vaticano si apre con una minu-
tissima descrizione. La composizione e lo stato del codice, le diffe-
renti qualità della pergamena, la disposizione, la specie e alcune sin-
golarità della scrittura ; tutto è osservato con squisito acume critico.
Un risultato importante è quello che l'autore trae da alcune dif-
ferenze riscontrate esaminando la scrittura che a primo aspetto pare
uniforme : quelle differenze corrispondono alla divisione ch'egli darà
più tardi dei tre gruppi di formole che concorsero a formare il
Diurnus Vaticano. E ne conclude non essere lo scrittore del codice
Vaticano che ha unito in un sol corpo i tre gruppi ; egli lì ha tro-
vati già uniti in un codice, ma scritti da mani differenti. Com'è
naturale, la copia riproduce qua e là alcune particolarità grafiche
degli archetipi primitivi.
Anche le indagini sull'età del codice confermano i risultati degli
studi ulteriori dell'autore sul tempo cui appartiene la serie di for-
mole contenuta in esso. Raccolte e discusse le opinioni dei dotti
che hanno giudicato dell'età del codice, dal Mabillon al Delisle,
enumerati i codici di scrittura minuscola con data certa vicina a
quella cui s'attribuisce comunemente il codice Vaticano del Diurnus^
notate le differenze per le quali si distinguono le scritture anteriori
alla riforma carolina e alla scuola di Tours da quelle posteriori,
giunge a stabilire che il codice fu scritto sotto Adriano I. A pro-
varne poi l'origine romana, oltre alla qualità del testo che, secondo
ogni verosimiglianza, non poteva essere scritto che a Roma, adduce
il fatto dello sviluppo e dell'uso in Roma di una minuscola preca-
rolina figlia della scrittura semionciale e la somiglianza della scrit-
tura del codice Vaticano con quella del codice 409 di Montpellier
ch'egli, per ragioni storiche e filologiche, ritiene pure di provenienza
romana. Ad un minuto esame delle abbreviazioni che lo conferma
nell'opinione che il Diurnus Vaticano sia stato scritto prima della
riforma carolina, segue uno studio più speciale deU'abbfeviazione ili.
usata in ambedue i manoscritti del Diurnus ed in altri codici di fof-
mole, e adoperata anche da coloro che più tardi, nell'undecimo se-
colo, introdussero in altre compilazioni formole tratte dal Dinrnus.
L'ultimo paragrafo del primo capitolo ò dedicato alla storia di questo
codice dal xvii secolo in poi, che il Sickcl ricostruisce tenendo conto
di tutti i segni esteriori esistenti nel codice e fissando di ciascuno il si-
gnificato e il valore.
Intorno al codice, ora perduto, che appartenne alla biblioteca
Archivio della R. Società romana di storia patria. Voi. XI. 48
734 "^Bibliografia
dei gesuiti del collegio di Clermont a Parigi, chiamato dal Sickel
Codex Claromontanus, riassume quanto era stato già narrato dal De
Rozière. Raccoglie e valuta le descrizioni che ci son rimaste di quel
codice e i giudizi pronunziati sull'età di esso dai dotti che lo esami-
narono. Confrontando questi giudizi col contenuto, noto per gli studi
del Baluze che ne aveva preparata una nuova edizione, stabilisce che
l'epoca più remota cui si può attribuire il codice di Clermont è il
principio del nono secolo, poiché la redazione del Diurnus dataci da
esso deve collocarsi intorno al tempo dell'elezione di Leone III e
della ricostituzione dell'impero di Occidente.
Col capitolo sulla redazione del testo dei due codici finisce la
prima parte ora pubblicata dei Prohgomena. Bisognerebbe riprodurre
testualmente, poiché non è possibile riassumerli, gli argomenti in-
terni ed esterni coi quali il Sickel prova la preesistenza e la fusione
nei due codici di tre gruppi di formole. Chi osservi la prima tavola
di concordanza dell'edizione De Rozière e paragoni la successione
delle formole nel codice Vaticano con quella del codice di Cler-
mont vede già disegnarsi nettamente le tre serie. La prima, che il
Sickel chiama Colhctio I, comprende le formole I-LXIII; la seconda,
che chiama Appendix I, le formole LXIV-LXXXI; la terza, che
chiama Colhctio II, le formole LXXXII-XCIX del codice Vaticano.
Dall'altra parte il codice di Clermont riproduce quasi esattamente
la Colhctio I, ma fonde in una serie, ordinata diversamente, V Ap-
pendix / e la Colhctio II del codice Vaticano, aggiungendo altre for-
mole che il Sickel chiama Appendix IL II capitolo si chiude coU'e-
same delle formole supplementari estranee ai due codici antichi
introdotte nelle edizioni del Diurnus. Il Sickel disapprova queste in-
serzioni colle quali gli editori anteriori hanno pensato di completare
la raccolta; parlando della formola 107, dell'edizione De Rozière,
dimostra ch'essa è stata fabbricata dal Garnier alterando il testo di
una Epistola vocatoria colla quale l'arcivescovo invitava il clero e il
popolo di una diocesi soggetta ad intervenire all'ordinazione del ve-
scovo da loro eletto.
Con un'analisi così completa e cosi felice nei risultati il Sickel
ha lasciato a gran distanza da sé tutti coloro che antecedentemente
s'erano occupati delle questioni intorno al Diurnus trattate in questa
prima parte dei Prohgomena. E nel cammino non breve né facile
delle sue indagini ha accennato a fatti ed ha enunciato opinioni che
possono fornire argomenti a nuovi ed interessanti studi. Le ragioni
che adduce per provare l'esistenza di una scuola grafica romana
anteriore alla riforma di Carlo Magno meriterebbero d'esser prese
come traccia e programma di tutta una serie di ricerche dirette ad
investigare e accertare quali altri codici ci siano rimasti di quella
scuola, dell'esistenza della quale non è più possibile dubitare.
L G.
bibliografia 735
Specìmina palaeografica regestorum Romanorum pontificum ab
Innocentio III ad Urbanum V, Romae, ex archivo Va-
ticano, 1888.
Tra le pubblicazioni che ebbero origine dal Giubileo sacerdotale
di Leone XIII questa dei facsimili dei regesti pontifici merita sin-
cero plauso per l' indole serenamente scientifica, e per l' importanza
e opportunità sua. Mentre numerosi studiosi si affaticano sui detti
regesti sia con intento storico sia con intento diplomatico, riesce
di sommo vantaggio e sussidio una compiuta serie di facsimili, scelti
con piena conoscenza così dei singoli volumi dei regesti come dei
vari aspetti sotto i quali vanno considerati e dei vari quesiti che essi
offrono. L' impresa non potevasi meglio condurre che dai solerti cu-
stodi dello stesso archivio Vaticano, che alla dottrina e perizia pa-
leografica congiungono per ragione dell'ufficio estesa consuetudine
del materiale affidato alle loro cure. Sono sessanta tavole eseguite
in eliotipia dell'ing. Augusto Martelli, corredate di una sobria pre-
fazione di 14 pagine, e delle illustrazioni dei singoli facsimili, nelle
quali si dichiarano e descrivono i facsimili stessi e i volumi dai quali
sono presi, notandone le particolarità riguardanti la paleografia o
attinenti alla diplomatica o alla consuetudine della cancelleria pon-
tificia, con opportuni accenni e riferimenti agli altri volumi dei
regesti.
Nella prefazione si tratta particolarmente il quesito se la trascrizione
delle lettere papali nei regesti venisse eseguita sugli originali o sulle
minute. L'attento esame de' regesti, e il raffronto con bolle originali,
recanti nel dorso 1' annotazione della eseguita registrazione condu-
cono a conchiudere che almeno dal secolo xiii in poi, di regola, la
registrazione facevasi sugli originali. Parecchie delle bolle citate ap-
partengono all' archivio Capitolare di S. Pietro, la cui custodia è
pure affidata ad uno degli egregi collaboratori della presente opera.
Non si trascura però di indicare vari casi in cui eccezionalmente la
copia del regesto deriva evidentemente dalle minute. La prefazione
chiude indicando quali regesti si possono considerare con certezza o
con molta probabilità per archetipi; e ne vengono anzi tutto esclusi
quelli di Innocenzo III per motivi già espqsti dal DeUsle e dal De-
nifle, uno dei redattori delle illustrazioni.
Basteranno pochi cenni a convincere lo studioso della bontà dei
criteri seguiti nella scelta delle pagine facsimilate. Come ò noto, la
serie dei regesti pontifici conservati comincia con quelli di Inno-
cenzo III. Ad essi appartengono le prime 8 tavole, di cui la 2* offre
la forma più arcaica di scrittura, altre sono notevoli per alcune gra-
fiche illustrazioni, la 8* riproduce dal rc^cslum iwperii un privilegio di
Ottone IV con la imitazione del monogramma.
Tra quelle di Onorio III figurano molto opportunamente i primi
fogli del regesto 1 1 ; la tav. 1 1 contiene Tep. al cardinale legato
73^ bibliografia
in Terra Santa con varie aggiunte fattevi per rendere più compiuta
l'enumerazione delle somme erogate dal pontefice per la Crociata;
l'altra contiene la stessa lettera nel nuovo primo foglio del regesto,
rifatto in conseguenza di dette correzioni. E come nella collezione
fu dato posto anche ai volumi dei regesti conservati nella biblioteca
Nazionale di Parigi, così con molta opportunità furono pure consa-
crate due tavole giudiziosamente scelte (15 e 16) al registro della
legazione del cardinale Ugolino d' Ostia. Tra i facsimili di Gre-
gorio IX la tav. 17 rappresenta l'indice più antico di un regesto,
mentre la tav. 20 reca il più antico esempio della distinzione delle
lettere in curiali e comuni. La 21 (Innocenzo IV) è notevole per
un' epistola appartenente ad altro anno inserta per errore ed annul-
lata con la parola va-cat. Tra i regesti di Urbano IV è notevole il
2&* regestum de literis heneficiorum, con annotazioni marginali recanti il
giudizio degli esaminatori sui chierici ammessi al beneficio. Le ta-
vole 27, 28, 29, 30, 37, 40, 42, 43, 47 e 49 (Urbano IV - Cle-
mente V) pongono in evidenza una particolare serie di regesti (pa-
recchi della biblioteca di Parigi), quella cioè dei regesti camerali di
indole ed uso amministrativo, di lettera meno elegante, di più piccolo
formato, senza lettere miniate e sovente nemmeno rubricate.
Dal regesto di Clemente IV è trascelta tra l'altre la pagina (tav. 31)
in cui è memoria della sottrazione di esso avvenuta nel fortunoso
momento della morte di Bonifacio VIII. Il primo foglio del regesto
di Gregorio X (tav. 32) presenta un tipo particolare di scrittura, mentre
il fregio rettangolare che racchiude Vlncipit ricorda per avventura
l'ornato iniziale dei libri greci, facendo pensare all' Oriente donde
Gregorio fu chiamato al soglio pontificio.
La tav. 41 di Nicolò IV contiene in margine una lettera di
anno anteriore, ivi registrata d'ordine del papa per identità del sog-
getto. Dei regesti di Bonifacio Vili la tav. 45 riproduce il verbale dei
notai della curia che, a tempo di Clemente V, operarono l'abrasione
della nota lettera contro il re di Francia; la tav. 46 il testo della
bolla Unam sanctam e il principio della detta abrasione; la tav. 47
è data ad uno speciale registro (liber parvulus) contenente le lettere
dirette al cardinale legato Nicolò Boccasini.
Con la tav. 49 si passa ai regesti dei papi avignonesi, che si
suddividono in due serie: gli originali che, ad eccezione del primo
anno di Clemente V, sono cartacei, e le. copie di essi eseguite su per-
gamena. Anche per questi si è avuto cura, nella scelta dei facsimili e
nelle illustrazioni, di porre in evidenza i caratteri speciali delle due
serie, i rapporti che intercedono tra loro e le notazioni marginali che
le rivelano. I regesti cartacei, fatti per tenersi al corrente nella spe-
dizione dei crescenti affari, sono scritti con minore accuratezza e
quasi in corsivo.
La copia in pergamena, in forma più elegante e calligrafica, co-
minciò ai tempi di Giovanni XXII a farsi lenta e interrotta, sicché
bibliografia 737
dai conti della Camera si ha la prova che i regesti degli ultimi
anni di quel pontificato furono trascritti sotto Benedetto XII. Dopo
questo papa cessò l'uso di tale seconda copia membranacea.
È noto come Urbano V, venendo a Roma, ordinò la copia dei
regesti anteriori, che non volle porre ai rischi di un viaggio ; e come
sotto di lui gli stessi regesti antichi furono corredati di indici. La
tav. 59 riproduce una pagina del regesto di Innocenzo III cosi co-
piato : e la tav. 60 offre un saggio dei detti indici.
G. L.
NOTIZIE
Il fascicolo 6 del Bollettino storico italiano contiene le relazioni
dei professori D'Ancona e Medin sulla raccolta di rime storiche
del sec. xv, fatta «dall'infaticabile annalista veneziano Marino Sa-
nuto » dal cod. autografo della Marciana ; dell'avv. Brando Brandi
sulle Constitutiones S. M. Ecclesiae del card. Egidio d'Albornoz ; Glosse
Preaccursiane che il prof. Pietro Cogliolo ha tratte da frammenti di co-
dici membranacei esistenti nell'Archivio di Stato ; la relazione su Gli
statuti delle Società delle armi e delle arti in Bologna del prof. Gau-
denzi; una Confessione di vassallaggio a Rainone di Sorrento (1182) edita
da I. Giorgi e il Quaternus Adamati Conti expensariiy che ci dà il
consumo giornaliero del pane in un castello dell' Emilia nel sec. xiii,
a cura dello stesso Giorgi; Gli antichi statuti del comune di Bologna
del Gaudenzi.
I Benedettini di Monte Cassino hanno iniziata la pubblicazione
del Codice diplomatico Cassinese: il 1° volume contiene il Codex dipi.
Caietanus, pars I (787-1053).
II volume V del Codice diplomatico della Vestfalia, edito da quella
Società storica e archeologica, contiene i documenti pontifici a cura
del dottor H. Finke: Die Papsturkunden Westfalens bis lumjahre 1)^8.
La Società Napoletana di storia patria ha dato in luce un vo-
lume di cronache, che contiene : Ignoti monachi cisterciensis S. Mariae
de Ferraria chronica et Riccardi de Sancto Germano chronica priora a
cura del prof. Gaudenzi.
Il signor Giovanni Filippi nella pregevole illustrazione su VArte
dii mercanti di Caìinfula in Firenu ed il suo più antico statuto (To-
740 V^ti\ie
rino, Fratelli Bocca, 1889) ha raccolto una buona serie di documenti,
fra i quali una lettera di Matteo Rosso « de filiis Ursi » e Nicolò de'
Conti senatori di Roma (1273) al Comune di Firenze per ottenere
che Paolo figlio di Nicolò de Rainerio non sia impedito dal poter
tingere del panno da lui portato a Firenze dall'Inghilterra, nonostante
contrario statuto dell'arte di C alimala.
Il 16 dicembre dell'annotaste decorso morì il conte Paolo Riant
a Saint-Maurice nel Vallese. Fu membro dell'Accademia delle iscri-
zioni e belle lettere di Francia; fondò la Société de VOrient latin e
la sostenne in gran parte colla .operosità e colla generosità sua.
Nel 1884 fu eletto a membro della R. Società Romana di storia patria.
Ci giunge la triste nuova della morte di Cesare Guasti, segre-
tario della Crusca, sopraintendente all'Archivio di Stato in Firenze,
vicepresidente della R. Deputazione Toscana di storia patria.
Si è cominciato a pubblicare a Tolosa, sotto il titolo di Annales
du Midi, una nuova rivista trimestrale d'archeologia, storia e filo-
logia, e si annuncia imminente la pubblicazione in Friburgo di una
Deutsche Zeitschrift fùr Geschichtswissenschaft, la cui redazione è affi-
data al dottor L. Quidde. Questa rivista si propone anche in parte
di sostituirsi alle cessate Forschungen :^ur Deutschen Geschichte.
L'edizione del Liber diurnus Romanorum pontificum curata dal Si-
ckel, è comparsa in questi giorni, coi tipi del Gerold di Vienna.
Col titolo di Bibliotheca Ubliographica italica i signori Fumagalli
ed Ottino hanno pubblicato un manuale per la bibliografia italiana
simile a quelli che per la bibliografia in generale erano stati ordinati
dal Petzholdt e dal Vallèe. Questo manuale « offre la completa si-
nossi di tutti gli scritti bibliografici italiani, dandosi a ciascuna pa-
rola di questa frase la maggiore estensione possibile ». Considere-
vole è il numero delle indicazioni che vi si trovano per la prima
volta raccolte ; 1' ordinamento delle materie è chiaro e abbastanza
pratico: diligentissima ci sembra la esecuzione di tutto il lavoro, e
non si può dubitare della molta sua utilità per gli studiosi. Il tema
dell'opera era stato messo a concorso dal Ministero della pubblica
istruzione, ed è a questo libro dei signori Ottino e Fumagalli che
toccò meritamente il premio.
PERIODICI
(Articoli e documenti relativi alla storia di Roma)
Archiv ftìr Literatur- und Kirchen-Geschichte des Mittel-
alters. Voi. IV, fase. 3. — Denifle, Die àlteste Taxrolle der Apo-
stolischen Pònitentiarie (Il più antico ruolo delle tasse della Peni-
tenzieria apostolica). - Urkunden zur Geschichte der mittelalterlichen
Universitàten (Documenti per la storia delle università nel medio
evo). - Der plagiator Nicolaus von Strassburg (Il plagiario Nicolò
di Strasburgo). - Ursprung der Historia Neminis (Origine dell'Historia
Neminis). - Zur Geschichte des Cultes Urbans V (Per la storia del
culto di Urbano V).
Archivio storico dell'arte. Anno I, fase. 6-10. — D. Gnoli, Le
demolizioni in Roma. Il palazzo Altoviti. - I. Timarchi, La R. Cal-
cografia in Roma. - D. Gnoli, Un nuovo documento sulla casa di
Raffaello. - Fumi, Gli alabastri nelle finestre del duomo d'Orvieto. -
D. Gnoli, Disegni del Bernini per l'obelisco della Minerva in Roma. -
Venturi, Di un antichissimo candelabro pel cero pasquale (Cori).
Archivio storico italiano. Serie V, tom. II, disp. 5*. — Antonio
Guasti, Alcuni brevi di Clemente VII sulle ferite e la morte di
Giovanni de' Medici. — Disp. 6». A. Zanelli, Lettere inedite di Lu-
dovico Antonio Muratori al card. Angelo Maria Qucrini.
Archivio trentino. Anno VII, fase. I. — A. Panizza, I processi
contro le streghe.
Archivio veneto. Tomo XXXV, parte i». — E. Simonsfeld,
Sulle scoperte del dottor Roberto Galli nella cronaca Altinatc. —
Parte 2*. G. Giuriato, Memorie venete nei monumenti di Roma. -
742 Periodici
G. PiETROGRANDE, Di Michele Lonigo archivista. — Tomo XXXVI,
parte i^ e 2*. F. Cerone, Il papa e i Veneziani nella quarta crociata.
Atti della Società ligure di storia patria. Voi. XIX, fase. 2. —
Desimoni, Nuove giuntele correzioni ai regesti delle lettere ponti-
ficie riguardanti la Liguria.
Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per
le Provincie di Romagna. Terza serie, voi. VI, fase. 1-3. —
G. Ferraro, Viaggio del card. Rossetti fatto nel 1644 da Colonia a
Ferrara, scritto dal suo segretario Armanni Vincenzo. - C. Albicini,
Le origini dello studio di Bologna.
Bibliothèque de l'école des chartes. XLIX, fase. 2 e 3. —
E. MoLiNiER, Inventaire du trésor du Saint-Siège sous Boniface VIII.
— Fase. 465.?. FouRNiER, Une forme particulière des fausses
décrétales, d'après un ms. de la Grande-Chartreuse.
Bollettino della Commissione archeologica comunale di
Roma. Serie III, anno XVI, fase. 7. — G. Gatti, Di un sacello
compitale nell'antichissima regione Esquilina - O. Marucchi, Le
recenti scoperte presso il cimitero di San Valentino sulla via
Flaminia. - G. B. De Rossi, Del « praepositus de via Flaminia ».
— C. L. Visconti, Trovamenti di oggetti d'arte e di antichità figu-
rata. — Fase. 8. E. Stevenson, Il settizonio Severiano e la distru-
zione dei suoi avanzi sotto Sisto V. - G. Gatti, Trovamenti risguar-
danti la topografia e la epigrafia urbana. - C. L. Visconti, Notizie
del movimento edilizio della città in relazione con l'archeologia
e con l'arte. - G. Gatti, Scoperte recentissime. — Fase. 9 e 10.
G. Ghirardini, Di una statua d'efebo scoperta sull' Esquilino.- L. Can-
tarelli, Anaboliearii. - G. Tomassetti, Notizie del movimento edi-
lizio della città in relazione con l'archeologia e con l'arte. - G. Gatti,
Trovamenti risguardanti la topografia e la epigrafia urbana. —
Fase. II. G. Gatti, Trovamenti risguardanti la topografia e la epi-
grafia urbana. - C. L. Visconti, Trovamenti di oggetti d'arte e di
antichità figurata. - I. Guidi, Bibliografia. — Fase. 12. Marucchi,
Recenti scoperte presso il cimitero di S. Valentino sulla via Flami-
nia. - Elenco degli oggetti di arte antica scoperti nel 1888.
Bollettino storico della Svizzera italiana. Anno X, fase. 7.
— Curiosità di storia italiana del see. xv. - Lettera sull' inondazione
del Tevere nel 1476.
Periodici 743
Giornale ligustico. Anno XV, fase. 9-10. — G. Rezasco, Del
segno degli Ebrei. — Fase. 11-12. F. Sforza, Il viaggio di Pio VI a
Vienna nel 1782.
Jahrbuch (Historisches) im auftrage dar Gòrres-Gesell-
schaft. Voi. IX, fase. 3 e 4. — Funk, Der Papstkatolog Hegesipps (Il
catalogo dei Papi di Egesippo). - F. v. Pflugk-Harttung, Ùber
pàpstliehe Sehreibschulen der àlteren Zeit (Sulle seuole pontificie dì
scrittura dell'epoca più antica). - Schnuerer, Die politische Stellung
des Papstums zur zeit Theoderichs der Grossen (La condizione po-
litica del papato al tempo di Teodorico il Grande). - Kirch, Die An-
naten und ihre Verwaltung in der 2. Hàlfte der 15 Jahrhundert (Le
annate e il loro valore nella seconda metà del sec. xv).
Journal of archaeology (The american). Voi. IV, n. 3. —
A. L. Frothingham Ir., Documenti: Donazioni di papa Nicolò III
alla basilica di S. Pietro in Vaticano (1280). - Apertura della tomba
di papa Bonifazio Vili nella basilica Vaticana nel 1605. -Donazioni
del cardinal Francesco Tebaldeschi nel 1378 alla stessa basilica.
Mittheilungen des Instituts fiir òsterreichischeGeschichts-
forschung. Voi. IX (1888), fase. 2-3-4. — P. Scheffer Boichorst
Kleinere Forschungen zur Geschichte des Mittelalters (Piccole ri-
cerche per la storia del M. E.). - H. Hoogeveg, Der Kreuzzug von
Damiette 1218-1221 (La Crociata di Damiata) - F. Thaner, Zur
reehtlichen Bedeutung der pàpstlichen Regesten (Valore giuridico
dei regesti pontifici). - H. V. Sauerland, Rede der Gesandtschaft
der Herzog Albrecht III von Oesterreìch an Papst Urbain VI bei der
Rùckkehr der Lànder der Herzogs Leopold ITI unter die ròmische
Obedienz, verfasst von Heinrich Hembuche (Discorso dell'ambasciata
del duca Alberto III d'Austria a Urbano VI per il ritorno dei paesi
del duca Leopoldo III all'obbedienza della Chiesa Romana, composto
da Enrico Hembuche). - H. Ammann, Herzog Leopold III von Oe-
sterreich und Papst Gregor XI im J. 1372 (Il duca Leopoldo III
d'Austria e papa Gregorio XI nell'a. 1372).
Quartalschrift (ROmische) ftìr christliche Alterthumskunde
und ftìr Kirchengeschichte. — 1. P. Kirsch, Ort des Marty-
riutns des Apostels Paulus (II luogo del martirio di Paolo apostolo). -
NuRNBERGER, Documcntc zum Ausgleich zwischcn Paul V und der
Republik Vencdig (Documenti sul trattato tra Paolo V e la Repub-
blica veneta).
744 T^enodtct
Revue de l'histoìre des religions (Annales du musée Gui-
met), XVIII, fase. i. — G. Lafaye, Bulletin archéologique de la re-
ligion Romaine (1887). - G. Lafaye. Un nouveau dieu Syrien à Rome.
Revue des questions historiques. XXIII, fase. 88. — Ch. de
Smedt, L'organisation des églises chrétiennes jusqu'au milieu du
troisième siècle. — XXIV, fase. 89. Vacandard, Saint-Bernard et le
sehisme d'Anaclet II en Italie. - Battifol, La Vatieane depuis
Paul III. - De Circourt, Le due Louis d'Orléans, frère de Char-
les VI, ses entreprises en Italie (i 392-1396).
Revue historique. XXXIX, fase. i. — Paul Viollet, La poli-
tique romaine dans les Gaules après les campagnes de Cesar.
Revue (Nouvelle) historique de droit fran9ais et étranger.
XII, fase. 3. — J. Tardif, Les nouvelles tablettes de eire de Pom-
pei. — Fase. 4. Saleilles, Le domaine publie à Rome et son appli-
cation en matière artistique.
Rivista italiana di numismatica. I, fase. 3. — F. Gnecchi,
Appunti di numismatica romana.
Rivista storica italiana. Anno V, fase. 2. — A. Coen, Vezio
Agorio Pretestato. - G. De Leva, La politica papale nella contro-
versia dell'Interim di Augusta. - Recensioni di : L. Holzapfel, Ròmi-
sehe Chronologie; G. Schepps, Priseillian; P. Villari, La storia di
Savonarola.
Studi e documenti di storia e diritto. IX, fase. 2-3-4. —
I. F. Gamurrini, S. Silviae Aquitanae peregrinatio ad loca saneta,
annis fere 385-388. - Talamo, Le origini del cristianesimo ed il
pensiero stoico. - P. De Nolhac, Les correspondants d'Aide Ma-
nuce. - V. SciALOiA, Di una nuova collezione delle « Dissensiones
dominorum ». - G. Bossi, La guerra annibalica in Italia da Canne
al Metauro.
Zeitschrift fiir katholische Theologie. XII, fase. 4. —
H. Kellker, Die ròmische Statthalter von Syrien und Judàa zur Zeit
Christi und der Apostel (I governatori romani della Siria e Giudea
al tempo di Cristo e degli apostoli).
PUBBLICAZIONI
RELATIVE ALLA STORIA DI ROMA
290. Abraham F. Tiberius und Sejan (Tiberio e Sejano).
Berlin, Gaertner, 1888.
291. Afzelius. Studier till ràtts-och statsphilosophiens historia.
I. Ciceros ràtts-och statsphilosophi, jemte ett tillàgg om den ro-
merskakratten och ràtt svetenskapen (Studi per la storia della fi-
losofia politica e giuridica. I. La filosofia giuridica e politica di
Cicerone, con un'appendice sul diritto e sulla scienza del diritto
a Roma). Upsdla, 1887.
292. Amadori C. Roma sotto i patrizi e della dittatura; studi mo-
nografici. Alessandria, Jacquemod, 1888.
293. André I.-I. Études sur le xiv^ siècle. Histoire de la papauté
à Avignon. 2^ édition revue et corrigée par l'auteur.
Avignon, Seguin, 1888.
294. Arnold F. C. Die Neronische Christenverfolgung. Eine kri-
tische Untersuchung zur Geschichte der àltesten Kirchc (La per-
secuzione di Nerone. Ricerche critiche per la storia della Chiesa
nei primi tempi). Leip'^ig, Richter, 1888.
295. AuER H. Der Tempel der Vesta und das Haus der Vesta-
linnen am Forum Romanum (Il tempio di Vesta e la casa delle
Vestali al Foro Romano). fVien, Teupsky im Comtn. 1888.
296. Avvenimenti tragici e giustizie clamorose seguite in Roma,
raccolte per opera e studio del direttore del Cracas (Costantino
Macs). • Roma, Metastasio, 1888.
297. Babuder G. Riflessioni morali e politiche di tre grandi sto-
74^ ^ubblicaiioni relative alla storia di ^I{oma
rici ed uomini di Stato : Tucidide, Cornelio Tacito e Nicolò Ma-
chiavelli. Studio. Programma di Capodistria. 1888.
298. Balzani Ugo. The popes and the Hohenstaufen (I papi e
gli Hohenstaufen). London, Longmans, Green and Co. 1889.
299. Baracconi G. I rioni di Roma. Città di Castello, Lapi, iS8^.
300. Benedicts XIV Briefe an den Canonicus Pier Francesco Peggi
in Bologna (1729-1758) nebst Benedicts Diarium des Conclaves
von 1740, herausgegeben von Franz Xavier Kraus. 2. Ausgabe
vermehrt mit Flaminio Scarselli's, Biographie des Papstes und
einer Bibliographie seiner Werke. Mit den Bildnissen des Papstes
und des Canonicus Francesco Peggi (Le lettere di Benedetto XIV
al can. P. F. Peggi in Bologna, col diario del conclave del 1740
scritto da Benedetto, pubblicati da F. X. K. Seconda edizione,
aumentata della biografia di Benedetto, scritta da Flaminio Scar-
selli, e da una bibliografia delle opere scritte da quel pontefice.
Con i ritratti del papa e del Peggi. Freiburg, Mohr, 1888.
301. Bérard e. Appendice aux antiquités romaìnes et du moyen-
àge dans la vallèe d'Aoste. Twin, Paravie, 1888.
302. Besson (Mgr.). Frédéric-Frangois-Xavier de Mérode, mi-
nistre et aumónier de Pie IX. Sa vie et ses oeuvres. 3^ édition.
Besangon, Jacquin, 1888.
303. BoRALEVi G. I primi mesi del pontificato di Paolo IV; studio.
Livorno, Giusti, 1888.
304. BuRN R. Roman literatur in relation to Roman art (La let-
teratura romana nei suoi rapporti coli' arte romana).
London, Macmillan, 1888.
305. BusiRi-Vici A. La colonna santa del tempio di Gerusalemme
ed il sarcofago di Probo Anicio, prefetto di Roma; notizie sto-
riche con documenti e disegni. Roma^ Civelli, 1888.
306. Cagnat R. Epigraphie gallo-romaine de la Moselle. 3^ fasci-
cule. Paris, Dumoulin et C*'^, 1888.
307. Canova A. Lettere inedite al cardinale Ercole Consalvi, pub-
blicate da Alessandro Ferraioli (Trattano del trasporto dei mo-
numenti romani a Parigi). Roìfla, For^ani, 1888.
308. . Carle G. Le orìgini del diritto romano: ricostruzione storica
^ubblìca^toni relative alla storia di T^ma -j^'j
dei concetti che stanno a base del diritto pubblico e privato di
Roma. Torino, Bona, 1888.
309. Carré de Malberg R. Histoire de l'exception en droit ro-
main. Saint- Amand, Destenay, 1888.
310. Cavalcaselle G. B. Storia della pittura in Italia dal secolo 11
. al secolo xvi. Voi. IV (Gap. XI: Pittori nel Napoletano, nella
Sicilia e nella provincia di Roma del secolo xiv e parte del xv).
Firenze, Le Mounier, 1888.
311. Gennì sulla vita di S. S. Leone XIII desunti dalla stampa cat-
tolica settimanale di Perugia e da altri periodici religiosi.
Mon^a, Paolini ed Annoni, 1888.
312. Ghambalu a. Die Verhàltnisse der 4. Katilinarischen Rede
zu den von Gicero in der Senatssitzung des 5 Dezember 63
wirklich gehaltenen Reden (I rapporti tra la 4* Gatilinaria e i
discorsi realmente pronunciati da Cicerone nella seduta del Se-
nato del 5 dicembre 63). Neuwied, Heuser, 1888.
313. GocHiN H. Note sur Stefano Colonna, prévót de Saint-Omer
et cardinal. Saint-Omer, Omont, 1888.
314. GoGLiOLO P. Storia del diritto privato romano dalle origini
all'impero. Voi. I. Firenze, Barbèra, 1889.
315. Gola (De) F. Lo stretto diritto e l'equità nel diritto romano.
Messina, tip. dell' Avvenire, 1888.
316. GoLOMiATTi E. Codex ìuris pontificii seu canonici.
Torino, Derossi, 1888.
317. Corroyer e. L'architecture romaine.
Paris, Quantin, 1888.
318. Couturier G. Huitième centenaire de Grégoire VII. Dis-
cours. SolosmeSf Schmith, 1888.
319. Covino A. Storia romana. Quinta edizione.
Torino, Paravia, 1888.
320. Crostarosa F. La croce in Campidoglio.
Roma, Befani, 1888.
321. CzYCZKiEWiEZ A. Zycie rodzinnc danynch Rzymiam (La vita
di famiglia degli antichi Romani). Programma di Tarnopol. 1887.
748 ^ubbltcaiioni relative alla storia di ^^oma
322. Dahmen J. Das Pontifikat Gregors II nach den Quellen bear-
beitet (Il pontificato di Gregorio II studiato sulle fonti).
Dusseldorf, Schivanti, 1888.
$23, Decker (De) P. La Chiesa e l'ordine sociale cristiano. Prima
traduzione italiana autorizzata dall'autore. Firen:(e, Ciardi, 1888.
324. Decreto di condanna di Galileo, stato pronunciato dalla su-
prema Congregazione del S. Ufficio, secondo il testo delle opere
di Galileo Galilei, pubblicate in Padova nel secolo scorso nella
stamperia del Seminario. Milano, Ran^a, 1888.
325. Delaunay D. Les institutions de l'ancienne Rome. III. Eco-
nomie politique et lois agraires : Gouvernement et administration
de l'empire. Chdteauroux, Majesté, 1888.
326. De Leva G. Paolo Paruta nella sua legazione di Roma.
Vene:(ia, 1888.
327. Deltour F. Histoire de la littérature romaine. Première
partie. Bar-U-Duc, ComU-Jacquet, 1888.
328. Demole E. Histoire d'un aureus inédit de l'empereur Quin-
tine. Genève, Georg, 1887.
329. Denzinger H. Enchiridion symbolorum et definitionum, quae
de rebus fidei et morum a conciliis oecumenicìs et summis pon-
tificibus emanarunt. Editio VI aucta et emendata ab Ign. Stahl.
Wùr^hurg, Stahel, 1888.
330. Deschamps du Manoir G. Leone XIII ed il suo pontificato.
Traduzione dal francese.
Firen'^e, tip. dei Minorenni corrigendi, 1888.
331. Die ròmische Campagna. Eine kulturhistorische Studie von
einem Priester aus der Diozése Breslau (La campagna romana.
Studio di storia della civiltà, per un prete della diocesi di Bre-
slavia). 'Nasse, Huch, 1888.
332. Dillon G. F. Unsere liebe Frau vom guten Rathe. Eine
kurze Geschichte und Beschreibung des uralten Heiligthums in
Genazzano und der wunderbaren Uebertragung des Gnadenbildes
im Jahre 1467. Deutsch bearbeitet von R. v. Baumbach (La Ma-
donna del Buon Consiglio. Breve storia dell'antichissimo san-
tuario di Genazzano e della miracolosa traslazione dell'imma-
gine nel 1467). Einsielden, Ben^iger und C. 1887.
^ubblicaiioni relative alla storia di ^I{oma 749
333. Drechsler F. I. Ein Beitrag zur Krìtik lateinischer Schrift-
steller (Contributo alla critica degli scrittori latini). Programma
di Olmùtz. ^ 1887.
334. DùBi H. Die alten Berner und die ròmischen Alterthùmer
(I vecchi Bernesi e le antichità romane).
B&rn, Huher und C. 1888.
335. DucROCQ. T. Étude d'histoire financière et monétaire (Con-
tiene, fra altro, articoli sulle monete consolari romane,*sulla storia
del sesterzio, sulla monetazione di Costantino, ecc.).
Poitiers, Oudin, 1888.
336. EsMARCH K. Ròmische Rechtsgeschichte (Storia giuridica di
Roma). 3^ edizione. Cassel, Vigaud, 1888.
337. Fabbri F. Brevìs explanatio constitutionis Apostolicae Sedis
a romano pontifìce Pio IX anno 1869 editae. Editio secunda.
Lucae, Paulini, 1888.
338. Feis (De) L. B. La Bocca della Verità in Roma e il Tritone
di Properzio. . Genova, tip. Sordo-muti, 1888.
339. Ferroglio G. Sunto delle lezioni di statistica, dettate nella
regia università di Torino (Cap. IV: La proprietà territoriale e
i coltivatori della terra presso i Romani). Torino, Bruno, 1888.
340. FiscH A. Les origines du catholicisme romain, ou comment
l'Église chrétienne des premiers siècles est-elle devenue romaine,
paìenne et persécutrice ? Almgon, Lepage, 1888.
341. Frate (Del) Oronte. Scene e costumi medievali di Civita-
Castellana. Parte I. Kepi, Ruggieri, 1888.
342. Freida a. Il papato e la civiltà ; conferenza tenuta nel sa-
lone del consolato operaio di Milano la sera del 19 gennaio 1888.
Milano, Guerra, 1888.
343. Caddi L. Le origini dello Stato romano: studio storico in-
torno al primitivo ordinamento politico di Roma.
Milano, Bellini, 1888.
344. Gaetani d'Aragona don Onorato. Istoria generale della
casa Gaetani. Caserta, Turi, 1888.
345. GiESEBRECHT W. Gcschìchte der deutschcn Kaiserzeit. 5 Band,
2 Abth. Friedrich I. Kàmpfe gegcn Alexander III, don Lombar-
Archivio della R, Società romana di ttoria patria. Voi. XI. 49
750 Tuhhlic anioni relative alla storia di ^oma
denbund und Heinrich den Lòwen (Storia dell'era imperiale te-
desca. 5 voi. par. 2*: Federico I, lotte contro Alessandro III,
la lega Lombarda ed Enrico il Leone).
Leip'^ig, Duncker und C. 1888.
346. Gottlob A. Aus der Camera Apostolica des 15 Jhs.
Innshruckf Wagner, 1888.
347. Greif F. De l'origine du testament romain. Thèse.
• Paris, Noisette, 1888.
348. Guida nuovissima di Roma secondo gli scavi più recenti, cor-
redata di una carta topografica conforme alle ultime trasforma-
zioni della città. Roma, Vidoni, 1888.
349. Habel P. De pontificum Romanorum inde ab Augusto usque
ad Aurelianum condicione publica. Breslau, Koehner, 1888.
350. HòFER P. Die Varusschlacht, ihr Verlauf und Schauplatz
(La battaglia di Varo, come e dove ebbe luogo).
Leipzig, Duncker und C. 1888.
351. Inscriptiones christianae urbis Romae septimo saeculo anti-
quiores. Edidit Ioannes Bapt. De Rossi. Voi. Il, pars I.
Romae, ex off. lihr. P. Cuggiani, 1888.
352/ Jaffè L. Regesta pontificum Romanorum ab condita Ecclesia
ad annum post Christum natum MCXCVIII. Ed. II, fase. 13-15
(ultimus). Leipzig, Veit und C. 1888.
353. JuGE W. R. Society in Rome under the Caesars (La società
a Roma sotto i Cesari). London, 1888.
354. Kliment J. Orlivu verejného zivota rimského na vyvin a
ràz rimského recnictivi (Dell' influenza della vita pubblica romana
sulla formazione e sul tipo dell'arte oratoria romana). Programma
di Trebitzsch. 1887.
355. K0PRIVSEK L. Die Gegner des Hellenismus in Rom bis zur
Zeit Cicero's (Gli avversari dell'ellenismo in Roma fino ai tempi
di Cicerone). Programma di Rudolfsw^erth. 1887.
356. KòRBER. Ròmische Munzen des mainzer Centralmuseums
(Monete romane del museo Centrale di Magonza). Programma
di Magonza. 1887.
^ubblica^wm relative alla storia di ^oma 751
357. Krieger B. duibus fontibus Valerius Maximus usus sit in eis
exemplis enarrandis quae ad priora rerum romanarum tempora
pertinent. Dissertatio inauguralis.
Berlin, Mayer und Mùller, 1888
3 58. Krippner P. Jak prosplvalo rimské bàstnictivi v prvnim stoletf
pò Kr. ? (Quale utile arrecò la poesia romana nei primi secol
dopo Cristo?). Programma di Prerau. 1887
359. Krùger P. Geschichte der Q.uellen und Litteratur des ròmi-
schen Rechts (Storia delle fonti e letteratura del diritto romano)
Leipzig, Duncker und Humblot, 1888
360. Lacour-Gayet. Antonin le Pieux et son temps; essai sur
l'histoire de l'empire romain au milieu du 11^ siècle.
Paris, Thorin, 1888.
361. Lacour-Gayet. De P. Clodio Pulchro tribuno plebis.
Paris, Thorin, 1888.
362. Lécrivain C. De agris publicis imperatoriisque ab Augusti
tempore usque ad finem imperii romani.
Toulouse, Chauvin, 1888.
363. Lécrivain C. Le Sénat romain depuis Dioclétien à Rome
et à Constantinople. Toulouse, Chauvin, 1888.
364. Lemaire H. Rome: Basilique de Saint-Pierre au Vatican.
Paris, Roussel, 1888.
365. Leroy-Beaulieu a. Un empereur, un roi, un pape, une res-
tauration. Sceaux, Charaire et fils, 1888.
366. Livius T. S. Peter, bishop of Rome, or the Roman episco-
pale of the prince of the apostles (S. Pietro, vescovo di Roma,
o l'episcopato romano del principe degli apostoli).
London, Burns and OaUs, 1888.
367. Marcellino p. da Civezza. Il romano pontificato nella storia
d'Italia. Seconda edizione riveduta e curata dall'autore.
Prato, Giachetti, 1888.
368. Marquardt J. De l'organisation financiòre chez les Romains
(Forma il tomo X del « Manuel des antiquités romaincs », par
T. Mommsen et J. Marquardt).
Chatillon-sur-Seim, Pichat, 1888.
752 ^ubblica\ioni relative alla storia di ^ojna
369. Mefistofele. Vent'anni prima: impressioni e ricordi di Roma
papale. Perugia, Barielli, 1888.
370. Merkel J. Abhandlungen aus dem Gebiete des ròmischen
Rechts. 3. Ueber die Entstehung des ròmischen Beamtengehaltes
und ùber ròmische Gerichtsgebùhren (Dissertazioni nel campo
del diritto romano. Dispensa 3^: Sull'origine dello stipendio degli
impiegati e delle spese giudiziarie a Roma).
Halle, Niemeyer, 1888.
371. Meyer W. Epistolae imperatorum Romanorum ex collectione
canonum Avellanae editae. Gòttingen, DietericVs Verlag, 1888.
372. Mommsen T. Le provincie romane da Cesare a Diocleziano.
Par. I. Trad. di E. De Ruggiero. Roma, Pasqualucci, 1888.
373. N1EMIEC W. De quaestoribus romanis. Programma di Ko-
lomea. 1887.
374. Pais e. Straboniana. Contributo allo studio delle fonti del-
l'amministrazione romana (Dalla Rivista di filologia classica, 1886).
3 74 bis. — Alcune osservazioni sulla storia e sull'amministrazione
della Sicilia durante il dominio romano. Palermo, 1888.
375. Parrini C. Storia di Roma antica dalle origini italiche sino
alla caduta dell'impero di occidente, corredata di tavole crono-
logiche. Seconda edizione. Firen:(e, Paggi, 1889.
376. Paruta P. La legazione di Roma (1592-1595). Monumenti
storici pubblicati dalla Regia Deputazione Veneta di storia patria.
Serie IV: Miscellanea. Voi. VII-IX. Venezia, Viseniini, 1888.
377. Pasinetti S. L'opera di Leone XIII pel rinnovamento e la
pacificazione della società : discorso letto nella solenne accademia
tenuta in Bergamo in onore di S. S. Leone XIII il 5 aprile 1888.
Bergamo, S. Alessandro, 1888.
378. Pastor L. Histoire des papes depuis la fin du moyen àge.
Ouvrage écrite d'après un grand nombre de documents inédits
extraits des archives secrètes du Vatican et autres. Traduit de
l'allemand par Furcy Raynaud. Paris, Pioti, 1888.
379. Porena F. La geografia in Roma e il mappamondo Vaticano:
conferenza tenuta alla Società geografica italiana il giorno 27 no-
vembre 1887. Roma, Civelli, 1888.
T^ubbitcaiiom relativa alla storia di ^T{oma 753
380. Prammer I. Sallustianische Miscellen (Miscellanea Sallu-
stiana). Programma di Vienna. 1887.
381. Prou M. Étude sur les relations politiques du pape Urbain V
avec les rois de France Jean II et Charles V (i 362-1 370).
MagoHj Protat frères, 1888.
382. Ragnau (Mgr). La « Société de Rome » du comte Vasili.
Lyon, Fitte et Perrussel, iSSS.
383. Ralphlnge W. Society in Rome under the Caesars (La so-
cietà a Roma sotto i Cesari). London, 1888.
384. Rau L. Ein ròmischer Pflùger. Vortrag ùber cine unbeach-
tete Antìke ròmische Marmorgruppe in Berliner K. Museum (Un
aratore romano. Conferenza intorno ad un gruppo marmoreo ro-
mano fin qui inosservato e conservato nel Regio museo di Ber-
lino). Frankfurt, Keller, 1888.
385. Registres (Les) d'Innocent IV, recueil des bulles de ce pape,
publiées ou analysées d'après les manuscrits originaux du Vatican
et de la bibliothèque Nationale par Elie Berger. 8® fascicule.
Introduction : Saint-Louis et Innocent IV.
Chatillon-sur-Seine, Pichot, 1888.
386. Resoconto delle conferenze dei cultori di archeologia cristiana
in Roma dal 1875 al 1887. Roma, tip. della Pace, 1888.
387. RiBERi G. Vita di S. Santità Leone XIII, esposta ad esempio
del vivere familiare, civile e religioso. Seconda edizione.
Torino, tip. Salesiana, 1888.
388. RiVALTA V. Discorso sopra la scuola delle leggi romane in
Ravenna e il collegio dei giureconsulti ravennati. . .
Ravenna, tip. S. Apollinare, 1888.
389. Robert P. M. Épigràphie gallo-romaine de la Moselle. 3* fa-
scicule. Paris, Dumoulin et O*, 1888.
390. RoBiou F. Les institutions de l'ancienne Rome. III. Eco-
nomie politique et lois agraires; gouvernement et administration
de l'empire. Chàtcauroux, Majesté, 1888.
391. Rosa U. Lapidi, terrecotte e monete romane recentemente
trovate in Susa. Torino, Paravia, 1888.
392. ScARSELLi F. Biografia di Benedetto XIV. Vedi n. 299.
754 ^uhhlicaiioni relative alla storia di ^oma
393. ScHWARZ W. De vita et scriptis luliani imperatoris. Disser-
tazione di Bonna. Bonn, Behrend, 1888.
394. Septem Notis Carolus. Il papato ed il giudizio dei più
grandi uomini italiani. (Ai fautori della conciliazione).
Cremona, Ron^i e Signori, 1888.
395. SoMMERFELDT G. Die Romfahrt Kaiser Heinrichs VII, 1310-
1313 (Il viaggio a Roma dell'imperatore Enrico VII).
Konigslerg, Gràfe una Un^er, 1888.
396. SoNDERMUHLEN M. Spuren der Varusschlacht (Traccie della
battaglia di Varo). Berlin, Issleib, 1888.
397. SoNNiNO G. Di uno scisma in Roma ai tempi di Valenti-
niano I. Livorno, Giusti, 1888.
398. Steinwender T. Die ròmische Bùrgerschaft in ihrem Ver-
hàltniss zum Heere (La cittadinanza romana ne' suoi rapporti
coll'esercito). Programma di Danzig. 1888.
399. Stephens W. R. W. Hildebrand and his times (Ildebrando
e i suoi tempi). London, Longmans, 1888.
400. Stocchi G. La prima conquista della Britannia per opera
dei Romani. Firenze, Cellini, 1888.
401. Taine H. Essai sur Tite-Live. 5^ édition revue et corrigée.
Paris, Lahure, 1888.
402. Tamassia G. Longobardi, Franchi e Chiesa romana fino ai
tempi di re Liutprando. Bologna, Zanichelli, 1888.
403. ToLRA de Bordas I. Le comte Pellegrino Rossi.
Amiens, Delattre-Lenoel, 1888.
404. ToRRACA F. Discussioni e ricerche letterarie (Cola di Rienzo
e la canzone « Spirto gentil » di Petrarca).
Livorno, Vigo, 1888.
405. Valentini W. Iscrizioni dollari latine, di alcuni voti, auguri
e acclamazioni di antichi cocci romani; dissertazione.
Orvieto, Tosini, 1888.
406. Vita di s. Leone Magno papa e dottore di S. Chiesa.
Asti, Michelerio, 1888.
T^ubblicaiioni relative alla storia di ^T{oma 755
407. Wagner F. De ominibus quae ab Augusti temporibus usque
ad Diocletiani aetatem Caesaribus facta traduntur. Dissertatio
inauguralis. Jena, Neuenhalm, 1888.
408. Walter F. Studien zu Tacitus und Curtius. Programma di
Monaco. 1887.
409. Weckerling a. Die ròmische Abtheilung des Paulus-Mu-
seums der Stadt Worms (La sezione romana del museo Paulus
della città di Worms). Programma di Worms. 1887.
410. Weise P. Quaestionum Catonianarum capita quinque. Dis-
sertazione di Gottingen. 1887.
411. WiERZBOWSKi T. Vincent Laureo, évéque de Mondovì, nonce
apostolique en Pologne 15 74-1 5 78, et ses dépèches au cardinal
de Còme, ministre secrétaire d'État d^ pape Grégoire XIII, éclar-
cissantes la politique du Saìnt-Siège dans les années susdites re-
lativement à la Pologne, la France, l'Autriche et la Russie, re-
cueillies aux archives secrètes du Vatican.
Varsavia, Bcrger, 1888.
412. WisTULANUS H. Gregor VII. und Heinrich IV. Kritische Be-
leuchtung der Schrift « Heinrich IV. und Gregor VII. » von D/
W. Martens (Gregorio VII ed Enrico IV. Esame critico dello
scritto di W. Martens : « Enrico IV e Gregorio VII »).
Dan:(ig, Lehmannsche, 1887.
413. Wlassak M. Ròmische Processgesetze. Ein beitrag zur Ge-
schichte des Formularverfahrens (Leggi processuali romane. Con-
tributo alla storia della procedura formulare).
Leipzig, Duncker und Hutnhlot, 1888.
414. Zalla A. Storia di Roma antica dalle origini italiche fino
alla caduta dell'impero d'occidente, corredata di tavole cronolo-
giche. Seconda edizione. Fireniey Paggi, 1889.
415. Zeller B. Henri IV, le Saint-Siège et TEspagne. L'édit de
Nantes et la paix de Vervins (i 594-1598).
Couìommiers, Brodard et Gallois, 1888.
416. Zimmermann a. Der KulturgeschichtHche Werth der ròmi-
schen Inschriftcn (Il valore che hanno, per la storia della civiltà,
le iscrizioni romane). Hamburg, J. F, Richter, 1888.
75^ ^iibblicaiionì relative alla storia di ^oma
417. ZiNZOW A. Der VaterbegrifiF bei den ròmischen Gottheiten.
Eine Religionsgeschichtliche Darstellung (Il concetto della pater-
nità nelle divinità romane. Studio di storia della religione). Pro-
gramma di Pyritz. 1887.
INDICE SISTEMATICO
DELLE PUBBLICAZIONI RELATIVE A ROMA
REGISTRATE NEL PRESENTE VOLUME.
I. Storia di Roma. Città e territorio.
a) Narrazioni: i, 35, 36, 47, 60, 67, 83, 90, 94, 100, 122, 127,
137, 138, 142, 178, 190, 191, 194, 201, 203, 239, 243, 252, 263,
269, 273, 284, 319, 375, 414.
})) Fonti: 180, 205, 226, 246, 276, 296, 376.
e) Critica: 131, 164, 170, 177, 192, 208, 215, 260, 264, 265,
27$, 276, 290, 292, 312, 343, 357, 361, 380, 401, 416.
II. Storia dell'Impero romano.
a) Narrazioni: 31, 34, 97, 98, 150, 190, 191, 194, 257, 345,
395, 400.
h) Fonti: 371.
e) Critica: 82, 195, 350, 360, 362, 372, 374, 374 bis, 383,393,
407, 408.
III. Storia della Chiesa e del Papato.
a) Narrazioni: 9, 24, 31, 33, 51, 55, 61, 66, 6^, 70, 77, 88,
91, 92, 97, 98, 103, 104, 117, 119, 121, 139, 149, 150, 174, 175,
187, 197, 207, 218, 228, 247, 251, 261, 278, 279, 286,287, 330,
367, 378, 387, 392, 399, 402, 406.
h) Fonti: 37, 45, 65, 75, 86, 106, no, 116, 120, 124, 183,
184, 188, 223, 234, 235, 237, 244, 245, 287, 300, 324, 346, 352,
376, 385, 411.
e) Critica: 32, 50, 63, 82, 151, 154, 181, 182, 195, 214, 224,
227, 229, 230, 233, 249, 289, 293, 294, 303, 322, 326, 340, 349,
381, 397, 412, 415.
^ubblicaiioni relative alla storia di ^^oma j^j
IV. Storia delle istituzioni e della coltura in Roma.
a) Diritto civile e canonico e istituzioni politiche e civili: 13,
21, 22, 25, 30, 38, 44, 64, 68, 74, 81, 94, 95, 99, 107, 108, III,
123, 140, 167, 168, 171, 172, 186, 202, 206, 210, 211, 212,216,
217, 219, 221, 222, 236, 242, 256, 268, 271, 272, 280, 281, 283,
287, 288, 291, 308, 309, 314, 315, 316, 325, 329, 336, 337, 339,
347, 353, 359, 3^2, 363, 3^8, 370, 373, 388, 390, 398, 413.
b) Lettere, scienze ed arti: 2, 3, 35, 53, 54, 56, 57, 80, 85,
115, 135, 141, 144, 146, 161, 162, 168, 176, 180, 193, 200, 231,
232, 241, 248, 262, 263, 270, 282, 285, 291, 297, 304, 307, 310,
317, 327, 333, 354, 355, 35^, 3^4, 40i, 404.
e) Usi e costumi: 14, 58, 147, 173, 213, 225, 238, 248, 254,
32Jf, 341, 353, 369, 382, 383-
d) Controversia: io, 15, 16, 23, 27, 28, 42, 43, 84, 105, 129,
145, 160, 255, 318, 323, 342, 365, 366, 377, 394.
V. Discipline ausiliari.
a) Archeologia: 4, 7, 11, 17, 19, 26, 29, 41, 46, 48, 59, 76,
78, 79, 85, 89, 96, 98, loi, 107, 113, 126, 130, 136, 143, 151,
156, 157, 158, 159, 165, 169, 173, 189, 198, 250, 253, 270, 289,
301, 305, 320, 334, 338, 384, 386, 391, 409, 410, 417.
h) Epigrafia: 49, 73, 78, 114, 306, 351, 389, 391, 405, 416.
e) Numismatica: 18, 163, 328, 335, 356, 391.
d) Paleografia: 153, 267.
e) Diplomatica: 37,65,75, 86, 87, 124, 183, 184, 245, 352, 385.
f) Geografia e topografia: 5, 6, 8, 12, 20, 39, 40, 52, 54, 62,
72,93,100,112,128, 132,133, 134, 155, 166, 179, 185, 196,203,
209, 238, 240, 259, 274, 277, 295, 299, 331, 332, 348, 364, 379, 396.
g) Genealogia e biografia: 71, 102, 118, 125, 146, 148, 152,
178, 199, 204, 220, 227, 266, 300, 302, 311, 313, 344, 403.
INDICE GENERALE
delle materie contenute nei quattro fascicoli
del volume XI
G. CUGNONI. Memorie della vita e degli scritti del car-
dinale Giuseppe Antonio Sala pag.
Id. (Continuazione e fine) 213
ALBERTO PARISOTTI. Evoluzione del tipo di Roma nelle
rappresentanze figurate delPantichità classica .... 59
G. TOMASSETTI. Della campagna romana 149
Id. (Continuazione) 267
EMILIO MOTTA. Documenti milanesi intorno a Paolo II
e al card. Riario 253
A. GABRIELLL L'epistole di Cola di Rienzo e l'epistolo-
grafia medievale 381
0. TOMMASINI. Il Diario di Stefano Infessura. Studio pre-
paratorio alla nuova edizione di esso 481
1. GIORGI. Storia esterna del codice Vaticano del « Diurnus
Romanorum Pontificum » 641
Varietà:
F. GALLINA. Iscrizioni etiopiche ed arabe di S. Stefano
dei Mori 281
A. LUZIO, R. RENIER. Relaziohc incdit i sulla morte
del duca di Gandia 296
C. CASTELLANI. Lettera dei Co: ad Ales-
sandro VI sul ricevimento di Carlo V iii m Roma . . 691
7^0 Indice generale del volume XI
Atti della Società:
Assemblea del 30 aprile 1887 - Preparazione del Codex
diplomaticiis urbis Romae - Rendiconto della Società
dell'anno 1886 pag. 163
Corso pratico di metodologia della storia: Trascri-
zione di un rotulo membranaceo contenente un esame
testimoniale circa i diritti dell'abbadia di Farfa su Mon-
tefalcone (G. B. Cao-Mastio, D. Feliciangeli) . . 305
Assemblea del 9 gennaio 1888 -Relazione all'Isti-
tuto Storico Italiano sulla preparazione del Codex di-
pìomaticus urbis Romae 693
Bibliografia :
D."" Kaxl Korber. Beitràge zur ròmischen Miinzkunde: I. Ein rò-
mischer Silbermunzen-Fund aus der Mitte des 3 Jahrhunderts n. Chr. —
II. Unedierte ròmische Miinzen aus der stàdtischen Sammlung in Mainz
(Mainz, 1887; programma ginnasiale) (Luigi A. Milani) 169
Heim (Baurath) und Velke W. Die ròmische Rheinbriicke bei Mainz
(nel «Festgabe derGeneralversammlung des Gesammtvereins der deutschen
Geschichts- und Alterthums-Vereine zu Mainz an 13 bis 16 Sept. 1887 »,
P- 169 sgg.) (G.T.) 175
Keller D.r J. Die neuen ròmischen Inschriften des Museums zu
Mainz. Zweiter Nachtrag zum Becker'schen Katalog. (In « Festgabe der
Generalversammlung der deutschen Geschichts- und Alterthums-Vereine
zu Mainz an 13 bis 16 Sept. 1887 ». Mainz, von Zabern, 1887) (G. T.). 176
Tommaso Sandonnini. Della venuta di Calvino in Italia e di alcuni
documenti relativi a Renata di Francia. — Torino, fratelli Bocca, 1887,
pp. 1-33. (Rivista storica italiana, IV, in, anno 1887) (B. Fontana). 177
E. Stevenson. Topografia e monumenti di Roma nelle pitture a
fresco di Sisto V della biblioteca Vaticana 179
Emmanuel Rodocanachi. Cola di Rienzo - Histoire de Rome
de 1342 à 1354. — Paris, A. Lahure, imprimeur-éditeur, 1888 (Annibale
Gabrielli) 181
Zdekauer L. Statutum potestatìs comunis Pistoriensis anni
MCCLXXXXVI. Milano, Hoepli, 1888, pp. Lxv-343 (G. L.) 190
Paganelli Atto. La Cronologia rivendicata per d. A. P,, monaco
vallombrosano, offerta a Sua Santità Leone XIII nella fausta occasione
del suo giubileo sacerdotale. — Milano, tip. pontificia di S. Giuseppe, 1887 . 34$
L. Duchesne. Le «Liber Pontificalis», texte, introductìon et com-
mentaire ; tome premier. — Paris, Thorin, 1886 3J3
Pressutti P. Regesta Honorii papae III ex Vaticanis archetypis
aliisque fontibus; voi. I. — Romae, ex typ. Vaticana, 1888 3J7
Alessandro Gherardi. Nuovi documenti e studi intorno a Giro-
amo Savonarola. Seconda edizione emendata e accresciuta. — Firenze,
Sansoni, 1887, 120, pp. xii-400 (F. C. Pellegrini) 705
Prolegomena zum Liber Diurnus I von Th. R. von Sickel wirkl.
Mitgliede der Kais. Akademie der Wissenschaften. Mit einer Tafel.
Indice generale del volume XI 7^1
[Sitzungsberichte der Kais. Akademie der Wissenschaften in Wien. Phi-
losophische-Historische Classe. Band CXVII. J (I. G.) pag. 732
Specimina palaeografica regestorum Romanorum pontificum ab Inno-
centio III ad Urbanum V. — Romae, ex archivio Vaticano, 1888 (G.L.) 735
Notizie 193
Id 361
W 739
Periodici (Articoli e documenti relativi alla storia di Roma) . 195
W 363
Id 741
Pubblicazioni relative alla storia di Roma 201
Id 367
Id 745
FINE DEL VOLUME XI.
-n-
7-
S6
V.11
Soclptà romana di storia I
patria i
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