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Full text of "Archivio"

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EQlIiG  S0CieTl'R05IllRl 
DI  STORM  PHTRIl 


ARCHIVIO 


della 


R.  Società  Romana 


di   Storia   Patria 

— 

Zs 

Volume  XXIII. 

/l^trV 

R  orna 


nella   Sede   della    Società 

alla    Biblioteca    Vallicelliana 


I  900 


1121207 


Roma,  Forzani  e  C,  tip.  del  Senato. 


Mentre  si  pubblicava  questo  fascicolo,  é  so- 
praggiunto il  ferale  annunzio  che  la  vita  del  no- 
stro amatissimo  Re,  Umberto  1,  fu  barbaramente 
troncata,  la  sera  del  29  luglio,  in  Monza. 

L'  animo  angosciato  rifugge  tuttora  dal  pen- 
sare come  pur  la  mano  di  un  assassino  abbia 
osato  levarsi  contro  il  Sovrano  che  la  storia  ri- 
corderà col  nome  di  Magnanimo  e  di  Buono,  per 
spezzarne  quel  cuore  generoso  nel  quale  s'  adu- 
navano la  vita,  le  glorie  e  le  speranze  del  popolo 
italiano.  11  compianto  e  Y  orrore  universale  de- 
stato dal  più  mostruoso  dei  parricidi  valgano  a 
lenire  il  dolore  della  Donna  Augusta,  simbolo 
della  cultura,  della  gtàzia,  della  poesia,  ed  ora, 
ohimè  !,  della  sventura  d' Italia.  E  da  questa  Roma 
s' innalzi  1'  animo,  triste  ma  non  sfiduciato,  anche 
al  giovane  Re  cui  sono  affidate  le  sorti  della 
patria.  Dalla  Sua  intemerata  coscienza,  dalle  glo- 
riose tradizioni  di  Sua  Casa,  dalla  fermezza  dei 
propositi  nei  quali  T  Italia,  in  quest'  ora  nefanda, 
rinsalda  la  sua  fede.  Egli  tragga  la  forza  per  estirpare 
il  mal  seme  della  discordia  e  dell'  odio  che  avve- 
lenano la  vita  italiana.  A  Lui  conceda  Iddio  l'aiuto 
e  la  cooperazione  di  uomini,  i  quali  non  da  vuote 
dottrine,  ma  dalle  esperienze  della  vita  abbiano 
appreso  l'arte  ogni  di  più  difficile  del  governare; 
e  possa  Egli  cosi  avviare  a  migliori  destini  la 
nostra  patria,  su  cui  ora  discende  un  velo  di  lutto 

e  di  vergogna. 

La  Presidenza. 


ITER    I TA  LI C  U  M 

DI   A.    VON    BUCHELL 


Cenni  preliminari. 

Ìell' anno  1898  la  Presidenza  della  R.  Società 
romana  di  storia  patria  riceveva  dal  signor  dot- 
tor Muller,segretario  della  Historisch  Genootschap 
di  Utrecht,  l'invito  di  pubblicare  x\éX Archivio  V Iter  Itaìicum 
di  Arnold  von  Buchell,  documento  assai  interessante  per  la 
topografia  di  Roma  sullo  scorcio  del  secolo  decimosesto. 

L'  offerta  della  Historisch  Genootschap  di  Utrecht  fu 
accolta  tanto  più  favorevolmente  in  quanto  che  la  R.  So- 
cietà romana  di  storia  patria  aveva  sino  dal  1883  inau- 
gurata la  pubblicazione  di  documenti  inediti  di  questa 
specie,  con  la  descrizione  della  città  sotto  il  pontificato 
di  Sisto  V,  tratta  dal  codice  Barberiniano  XXX,  89  (i).  E 
fu  convenuto  che  il  dott.  van  Langeraad  avrebbe  fornito 
il  testo  dell*  Iter  Itaìicum,  con  una  introduzione  risguar- 
dante  1'  autore,  le  sue  opere  inedite  e  a  stampa,  e  quanti 
altri  particolari  giovassero  a  mettere  in  evidenza  T  origine 
e  il  valore  del  documento  da  pubblicarsi. 

La  Società  di  storia  patria  dal  canto  suo  avrebbe  illu- 
strato il  testo  con  note  biografiche,  bibliografiche  e  topo- 
grafiche a  pie*  di  pagina. 

(i)  Vedi  Archivio,  1883,  VI. 


qA.  "Buchellius 


In  seguito  a  questi  accordi  il  dott.  van  Langeraad  ne 
ila  cortesemente  trasmesso  i  seguenti  cenni  preliminari  a 
maniera  di  prefazione  al  testo. 

«  V  Iter  Italiciim  è  tratto  da  un  manoscritto,  in  due  vo- 
lumi, che  ha  per  titolo  :  Commentarius  rerum  quotidianarum, 
in  quo  praeter  itinera  diversarum  regionum,  urhium,  oppido- 
rumque  situs,  antiquitates,  principes,  instituta,  mores,  multa 
eorum  quae  tam  inter  publicos  quam  privatos  contingere  so- 
lente occurrent  exempla.  lan.  1^60  -  iuL  i^c/p  (i).  Esso  si 
conserva  nella  biblioteca  Universitaria  di  Utrecht.  Ne  è 
autore  Arnold  von  Buchell  («  Arnoldus  Buchellius»),  Vlter 
lialicum  vi  si  trova  a  carte  i  a-<^i  a  del  volume  secondo. 

Arnold  von  Buchell,  figlio  naturale  di  Arent,  canonico 
della  chiesa  di  S.  Pietro  in  Utrecht,  e  di  Brigida  figlia  di 
un  Giovanni  il  cui  nome  di  famiglia  è  rimasto  finora 
sconosciuto,  nacque  il  18  marzo  15^5.  Compiuti  i  primi 
studi  in  patria,  si  recò  a  continuarli  nell'  Università  di 
Leida  (aprile  1583  -  febbraio  1584),  dove  udì  lezioni  di 
diritto  da  Ugo  Doneau,  Giulio  Beima,  Corrado  Daven- 
trius,  e  di  belle  lettere  da  Giusto  Lipse  e  Pietro  Tiara. 
In  seguito  si  diede,  secondo  il  genio  della  sua  gente,  a 
viaggiare,  e  si  fermò  dapprima  in  Francia,  ove  frequentò 
r  Università  di  Douay  (marzo  1584 -giugno  1585),  per 
recarsi  poi  a  Parigi  (luglio  1585  -  maggio  1586).  Colà  fece 
conoscenza  con  Luigi  Carrion,  eh'  egli  aveva  incontrato, 
durante  il  viaggio,  ad  Arras,  con  Paolo  Melesius,  Gio- 
vanni Auratius,  Francesco  de  Cruce  e  Giovanni  Passerai. 

(i)  Cf.  P.  A.  TiELE,  Catalogus  codicum  mariu  scriptoriun  hiblio- 
ihecae  universitatis  Rheno-Traiectinae,  Traiecti  ad  Rhenum,  1887, 
p.  205,  n.  798.  Il  rimanente  testo  del  Commentario  sarà  pubblicato 
dalla  Historìsch  Genootschap,  salvo  le  parti  relative  ai  viaggi  in 
Francia  e  in  Germania  che  saranno  pubblicate,  la  prima,  dalla  Société 
pour  l'histoire  de  Paris,  la  seconda,  negli  Annalen  des  Vereins  fùr  die 
Geschichte  des  Niederrheins. 


Iter  Italiciim 


Ritornato  a  Utrecht,  vi  si  fermò  dal  giugno  138(3  all'a- 
prile 1587;  dopo  il  qual  tempo  visitò  la  Germania  (aprile- 
novembre  1587)  e  r Italia  (novembre  1587 -aprile  1588); 
e  si  fu  appunto  durante  quest'  ultimo  viaggio  eh*  egli 
scrisse  il  suo  Iter  Itaìicum,  Il  4  luglio  1588  lo  ritroviamo 
in  patria;  ma  riprese  le  sue  peregrinazioni,  ne  stette  as- 
sente per  quattro  anni,  fino  a  che,  nel  dicembre  del  1592, 
immatricolatosi  una  seconda  volta  nello  Studio  di  Leida, 
vi  si  licenziò  in  diritto  il  6  febbraio  1593.  Fatto  ritorno 
a  Utrecht,  ove  poi  professò  V  avvocatura  per  circa  un 
ventennio,  tolse  in  moglie,  il  6  maggio  dell'  anno  stesso, 
Nicoletta  von  Vonst,  vedova  di  Valentino  von  der  Wort 
e  sorella  di  Geltrude  von  Vonst  sposata  al  dottore  in 
medicina  Elio  Everardo  Vorstius.  Dal  suo  matrimonio  ebbe 
il  Buchell  un  solo  figlio,  natogU  il  21  aprile  1594  e  ra- 
pitogli dalla  morte  nell*  età  di  sedici  anni.  Fu  si  grande 
il  dolore  provato  per  tanta  perdita,  che  rinunciò  all'av- 
vocatura e  si  dedicò  tutto  alle  lettere  e  alla  storia,  disci- 
pline già  da  lui  coltivate  in  gioventù  e  non  mai  affatto 
dimesse.  Si  diede  col  maggiore  studio  a  scrutar  nelle  tenebre 
del  medio  evo,  con  speciale  riguardo  alla  sua  città  natale, 
alla  provincia  di  Utrecht  e  al  suo  paese.  A  meglio  riu- 
scire ne'  suoi  intenti  si  legò  in  corrispondenza  epistolare 
con  un  gran  numero  di  dotti  che  l'  assistessero  dei  loro 
lumi.  Mori  a  Utrecht,  il  15  luglio  1^45,  in  età  d'anni  ses- 
santasei, e  vi  fu  sepolto  nella  chiesa  di  S.  Geltrude,  ove 
un  tempo  eravi  il  suo  sepolcro  con  la  seguente  iscrizione: 

Qui  iacet  hic  cunctos  Themidi  devoverat  annos, 
Et  patriae  arcanum  noverat  omne  siiae. 

Urna  senis  Bucheli  est,  Becani  qui  scripsit  et  Hedam, 
Hos  sibi  dum  rcddit,  redditur  ipse  Deo. 

Gaspare  von  Baerle  chiama  il  Buchell  «  vir  antiquitatis 
<(  peritissimus  »  e  «  antiquitatum  et  secretorum  Bataviae 
«  scrutator  studiosissimus  »  ;  il  celebre  Vossius  parla  di  luì 


qA.  "Bucheiliits 


come  di  «  vir  antiquitatimi  pentissi mus  et  sublimìs  iu- 
«  dìcii  »  ;  e  finalmente  il  gran  teologo  e  professore  Voet 
lo  stima  «  eximius  iurisconsultus  et  in  arte  heraldica  ver- 
«  satissimus  ». 

Von  Buchell  era  versato  nel  greco  e  scriveva  bella- 
mente il  latino  così  in  prosa  come  in  versi.  Buon  giure- 
consulto, anche  dopo  lasciata  la  professione  d'  avvocata 
veniva  spesso  richiesto  di  consiglio  e  chiamato  nelle  revi- 
sioni. Ma  sovratutto  eccelleva  nella  conoscenza  dell'  an* 
tichità,  nella  scienza  araldica  e  nella  storia  del  suo  paese. 
Nulla  più  amava  che  T  antichità,  e  questa  sua  inclinazione 
caratteristicamente  espresse  col  detto  di  Menage  : 

A  rechercher  les  nouvautez 
La  plus  part  du  monde  s'  applique  ; 
Pour  moi,  touchez  d'  autres  beautez, 
Je  n'  ai  du  goùt  que  pour  1'  antique. 

Di  von  Buchell,  conchiudendo,  si  può  dire  che  fu,  nei 
Paesi  Bassi,  uno  de'  più  grandi  storici  del  suo  tempo. 

Lasciò  molti  manoscritti,  che  in  gran  parte  si  conser- 
vano nella  biblioteca  dell'  Università  di  Utrecht  »  (i). 

Fin  qui  il  signor  van  Langeraad. 

Il  testo  dell'  Iter  è  accompagnato  da  undici  disegni  a 
penna  o  a  colori  non  privi  di  valore,  dei  quali  diamo  la 
riproduzione  fotografica. 

Il  primo,  a  colori,  e.  30  b,  di  mill.  140X70»  rappre- 
senta il  mausoleo  di  Adriano,  ed  il  ponte  Elio,  con  la  leg- 
genda «  Molis  d.  Hadriani  aug.  nunc  vulgo  castrum  S.  An- 
«  geli.  Delineatio  ut  erat  ante  restaurationem  Borgianam  ». 
Per  quanto  mal  fatto,  il  bozzetto  è  di  somma  importanza 
perchè  mostra  le  torri  dell'  «  Hadrianium  »,  cioè  della  for- 


(j)  Cf.  TiELE,    Catal.  codd.  mss.    cit.  Index    nominum,   i.  v. 
Buchelius. 


Iter  Ilalicutn 


tificazione  Onoriana,  prima  che  Alessandro  VI  ne  intra- 
prendesse la  trasformazione.  Il  disegno  del  Buchell  è  iden- 
tico a  quello  del  cod.  Barberiniano  del  Sangallo,  pubblicato 
dal  Borgatti  a  tav.  12,  fig.  20  b:  perfino  nel  particolare 
della  feritoia  a  croce,  che  spicca  in  nero  sul  corpo  rotondo 
del  mausoleo.  I  due  bozzetti  del  Sangallo  e  del  Buchell 
pendono  da  un  originale  a  me  finora  ignoto. 

Il  secondo,  e.  39  a,  pure  a  colori,  e  di  mill.  97  X  ^5> 
rappresenta  T  «  area  Capitolina  »  col  palazzo  del  Senatore 
e  la  «  domus  Conservatorum  »  già  trasformati  secondo 
r  idea  di  Michelangelo,  coi  due  fiumi  ai  lati  della  fontana, 
la  statua  equestre,  i  castori  e  i  due  trofei.  La  leggenda 
dice  :  «  hic  ohm  templum  fuit  lovis  Capitolini . . .  nunc 
«vero  est  templum  D.  Mariae  in  ara  coeli  vocatum  ». 

Il  terzo,  e.  42  A,  di  mill.  145X^18?  rappresenta  la 
veduta  del  tempio  di  Romolo  sul  «  clivus  Sacrae  viae»,  ed 
è  importante  per  la  particolarità  inedita  del  sepolcro  di  stile 
cosmatesco  che  si  vede  appoggiato  contro  la  parete  curvi- 
linea a  destra  della  porta  di  bronzo.  Di  questo  sepolcro 
parla  anche  il  Ligorio  a  e.  97  del  codice  parigino  (i).  La 
leggenda  :  «  templum  olim  Saturni,  nunc  Hadriani  in  tribus 
«  foris  »  è  sbagliata.  Avrebbe  dovuto  mentovare  invece  il 
«  templum  Ss.  Cosmae  et  Damiani».  In  questo  bozzetto  sì 
ritrova  la  mano  stessa  poco  felice,  ma  interessante,  che  ha 
delineato  T  originale  del  Castel  S.  Angelo. 

Il  quarto  bozzetto,  e.  42  b,  di  mill.  145  X  ^^2,  pare 
invece  delincato  dal  vero.  Rappresenta  Li  basilica  di  Costan- 
tino con  la  colonna  (di  S.  iMaria  Maggiore)  ancora  al  po- 
sto. Vi  si  distinguono  i  lacunari  casscttonati  coi  rosoni  a 
stucco  &c.  Nel  primo  piano  i  tetti  dei  granari  distrutti 
nel  1881.  Leggenda:  «  Relliquiae  templi  Pacis». 

Il  quinto,  e.  43  n,  di  mill.  80  X  ^o,  rappresenta  le  «  rel- 
«  liquiae  fori  Nervae  imp.  »  ossia  gli  avanzi  del  tempio  di 


(j)  Cf.  Biilì.  Coni.  1899,  p.  32. 


IO  C/^.  ^uchellius 


Pallade  nel  foro  transitorio,  distrutti  da  Clemente  Vili  e 
da  Paolo  V. 

Il  sesto,  a  colori,  e.  49  b,  di  mill.  62  X  53 >  rappresenta 
la  colonna  della  flagellazione  in  S.  Prassede. 

Il  settimo,  pure  a  colori,  e.  5^  A,  di  mill.  ^3  X  5^,  rap- 
presenta r  c(  arcus  lani  quadrifrontis  in  Boario  )). 

L'  ottavo,  a  colori,  e.  5^3,  di  mill.  6}  X  5^>  rappre- 
senta il  sarcofago  porfiretico  di  santa  Costanza. 

Il  nono,  e.  66  a,  di  mill.  70  X  50»  rappresenta  il  «  se- 
«  pulcrum  Metellae  nunc  Capo  di  Bove  ». 

Seguono  due  altri  non  appartenenti  a  Roma  (e.  77  a). 

Nel  nostro  coment©  biografico  e  topografico  si  è  avuto 
di  mira  uno  scopo  principalissimo:  quello  della  sobrietà. 
Il  diario  di  un  viaggio  a  Roma  nel  secolo  decimosesto  po- 
trebbe essere  postillato  ali*  infinito  dal  punto  di  vista  delle 
cose  e  delle  persone.  Noi  ci  siamo  contentati  di  segnalare 
i  passi  più  curiosi  ed  importanti  del  Diario,  di  correggere 
taluni  errori  e  di  citare  le  fonti  dalle  quali  1'  autore  ha 
prese  le  sue  informazioni.  Le  note  incominciano  con  il 
giungere  dell'  autore  in  sui  confini  dell'  Umbria  al  passo 
del  Furio. 

Rodolfo  Lanciani. 


ITER  ITALICUM 


Italiani  vidi  fatis  ringentibus  aegram, 

Vidi  ruinam  gentium. 
Tarn  variis  erat  illa  malis  pienissima  morbis 

Ut  vincerei  vim  pharmaci. 
Impietas  miseram  turpisq\ie  libido  premebat 

Et  fastus  hanc  infecerat. 
Naturam  violans  adeo  scelus  opprobriumque 

Nunc  ultimum  corruperat. 
Sic  vidi,  opstipui,  medici  ars  nulla  relieta  est, 

Redii,  dedit  reditum  Deus. 

A.    BUCIIELLIUS   F. 


Anni  .mdlxxxvii.,  .xv.  kalend.  novembr. 

Hoc  tempore  Italiae  appropinquare  ìncoepimus,  Tridentinasque 
videre  Alpes,  ac  ipsum  tandem  ad  Athesim,  rapidissimum  flumen,Tri- 
dentum,  olim  a  Sennonis  Galliae,  vel  ut  Ptolomeus  vult,  Germaniae 
Sueviae  populis  conditum  oppidum. 

Est  civitas  episcopalis,  mediocris,  Italico  Germanica,  paretque 
praesuli  sub  Austriacorum  principum  defensione.  Consilio  nuper  pon- 
tificiorum  Celebris,  de  quo  vide  Carolum  Molinaeum  ic.  clarissimum. 
De  hac  quoque  civitate  sic  canit  Scaliger  pater  : 

Nobilis  Italico  quae  prima  urbs  imminet  orbi 
Ausoniis  miscet  Nerica  verba  sonis  &c. 

Habet  arcem  aulamque  episcopalem  sumptuosam,  de  qua  Geor- 
gius  Fabritius: 

Praebuit  hospitium  depressa  in  valle  Tridcntum, 
Vidimus  hic  amplam  profusi  praesulis  arcem, 
Artificumque  manus  multorum,  operumque  laborem 
Et  luxum  in  tectis. 

Praesulcm  nunc  habet  Oitonem  Madruccium. 

Lingua  hic  utuntur  tam  germanica  quam  italica,  numerantque 
miliaria  italica,  quorum  .v.  unam  efficiunt  leucam  germanicam;  horas 
quoque  more  italico  numerant,  et  a  prima  noctis  incipiunt  usque  ad 
sequcntis  dici  fmcm,  diemque  ita  .xxiv.  includunt. 


12  qA,  ^uchellìus 


Hic  primum  gustavi  musmm  italicum  et  ominis  veteris  causa 
vetus  novum  vinuni  bibi,  ut  veteri  novo  morbo  mederer,  de  quo  Fe- 
stus  et  Terent.  Varrò. 

lam  quae  viderim  monumenta  addam.  Aedes  hic  depictas  plu- 
rimas  forinsecus  ac  illas  non  invenusta  manu,  quas  Franciscus  de 
Vicentia  fecerat  nobiles,  spectavi.  Hinc  summum  ingressus  templum, 
aliquot  illustrium  virorum  monumenta  et  epitaphia  vidi,  ac  inprimis, 
ex  marmore  rudi,  Roberti  Sanseverini,  qui  a  Sigismundi  Austriaci  prae- 
fectis  in  fugam  versus,  in  Athesi  submersus  ac  Tridenti  sepultus  est, 
.IV.  id.  augusti. 

Epitaphium  tale  legitur: 

Italiae  victor  Severina  stirpe  Robertus 
Sigmundum  Australem  sensit  in  arma  ducem. 

Ter  proceres  Veneti  bello  petiere  Tridentum, 
Ter  vieti,  hic  victus  eccQ  Robertus  adest. 

Obiit  anno  .mcccclxxxvii.  Hanc  pugnam,  inepta  oratione,  de- 
scribit  Conradus  Wengerus  Brixiensis  canonicus.  Meminere  quoque 
Sabellicus  et  Sabinus.  Michael  autem  Marullus  epitaphium  ei  non 
indoctum  fecit. 

Itera  : 

Petri  Alexandrini  I.  U.  D.  et  can.  summi  templi. 

In  sacello  divae  Annae  hi  leguntur  versiculi: 

Hic  santi  corpus  parva  iaret  aede  Simonis 
Martj'rio  Hebraea  gens  inimica  dedit. 

Hunc  puerum  ludaei  morte  affecerant,  anno  christiano  .cidcccclxxv. 
cuius  historiam  vide  Munsterum. 

Ad  chori  quoque  latus,  in  aere,  hi  versiculi  sculpti  leguntur,  go- 
ticis  literis  exarati  de  templi  fabrica  : 

Hoc  opus  Egidius  fabrice  lapicida  magister 

Vigili  fecit  quo  non  fuit  alcior  alter 

Mille  tricentenos  pandebat  limite  cures 

Ter  quinque  dabat  annos  totidemque  per  ortus 

Hoc  altare  strui  statuit  cum  nempe  benigna  &c. 

Fuit  etiam  sepulcrum  Uldarici  a  Lichtestein,  Tridenti  praesulis 
et  principis;  et  quod  sequitur  talem  habet  inscriptionem 

L.  Romulus   Pincius   Mantuanus   I.   U.  D.  pluribus   honoribus   sub   imp.   Ferd.  e 
card.  Bernardo  Clesio  Trid.  functus,  quicquid  a  terra   accepit  huic   sepulcro 

reddidit. 


Iter  Italìciim 


D.  O.  Nt.  Bernardo  Clesio,  S.  R.  E.  tìt.  S.  Stephani  in  Caelio  monte  card,  presbit. 
episcopo  Tridentino,  administratori  Brixiensi,  ob  inclyta  magnaque  in  hanc 
ecclesiam  merita  aeterna  memoria  digno,  positura.  Obiit  anno  .mdxxix. 

XIX.  Portarti  Aquileensem  egredientes,  per  viam  saxis  asperam 
et  difficilem,  valedicto  Ioanne  Francisco  Romano,  pervenimus  ad  pagum 
Persingen,  ubi  via  intra  montem  et  lacum  profundissimum,  calli  per- 
angusta  atque  difficili.  Sunt  in  monte  castanearum  arbores  plurimae. 
Hinc  Lemga  pagus  occurrit,  latior  hic  campus,  in  via  ruinosarum  tur- 
rium  aliquot  fundamenta,  quae  fortean  tempore  belli  ad  regionis  de- 
fensionem  fuerint  excitatae.  Sequitur  Primulanum,  primum  Venetae 
ditionis  castellum,  arce  in  scopulo  posila  munitum,  qua  pauco  prae- 
sidio  transitum  Alpium  hac  parte  defendere  possunt.  Erat  autem  in 
dura  rupe  excisum  castellum,  quod  nisi  funibus  ingredi  non  posset. 
Veri  hi  erant  petrones,  in  duris  habitantibus  petris.  Columna  erat 
cum  insigniis  divi  Marci  Venetorum,  et  solvebatur  tributum  prò  capite, 
solidus  venetus. 

XX.  Oppidum  inde  Venetorum  Bassianum,  ad  Brentam,  origine 
Carrariensium,  Patavii  olim  principum,  inclytum. 

De  familia  Carrariensium  Inter  alios  videndus  est  R.Volateranus, 
lib.  Geograph.  iv,  cap.  de  Venetia.  Meminit  Bassiani  oppidì  no- 
bilis  et  opulenti  Leander  in  Marchia   Tarvìsina  fol.  745. 

Est  et  inscriptio,  Inter  Epigrammata  antiqua  Smetii,  fol.  152,  nescio 

an  de  hoc. 

L.  Lucceio  I  L.  F.  Camil.  |  Aprili  Aug.  Bad. 

Veneti  hic  suum  habent  praetorem  annalem  (Potestatem  vocant), 
quemadmodum  in  reliquis  sibi  subiectis  urbibus  et  oppidis,  quorum  ibi 
nomina  ad  praetorium  legebantur,  inter  quos  memini  Aloisii  Contareni, 
Marini  Soriani.  Ex  hoc  oriundus  Lazarus  Bonamicus,  cognomento  Bas- 
siniatis,  vir  graecis  latinisque  literis  eruditissimus,  pictorem  quoque  pri- 
mum sui  temporis,  lacobum  Bassanum,  cuius  ibi  .xii.  menses,  insani 
laboris  opus  spectantur,  orbi  dedit.  Ex  hoc  quoque  originem  ducit 
Antonius  Magius  ic.  Patav. 

Brentae  originem  quidam  iuxta  Tridentum  constituunt,  cuius  ego 
lacum  esse  puto,  cuius  supra  memini,  de  quo  Fabritius: 

RuiYus  stagnantia  flumina  noti 
Medoaci  occurrunt:  cui  Nereus  et  pater  ipsc 
Oceanus  Nymphacque  assurgunt  acquoris  omnes 
Quem  proptcr  magnu»  Patavina  Lazarus  urbe 
Aonios  aperit  fontes,  divinaque  morum 

Ac  vitae  praecepta  docent  dignissima  Phocbo  % 

Et  Venusine  tuos  aequans  cantando  libcllos  :<:c. 

Vide  practerea  plenius  de  hoc  disserentem  Leandrum  Albertum. 


14  C^.  ^uchellius 


Erant  mihi  literae  commendatitiae  ad  . , .  d' Avittati,  cut  ducta 
erat  uxor  filia  lohannis  Calvi;  sed,  cum  e  vìa  nostra  habitaret  Cre- 
monae,  eum  non  adii,  nec  Scottos,  Placentiae  habitantes. 

Urbem  egressus  .xxi.  die,  duas  in  via  publica  pyramides  erectas 
vidi,  hac  inscriptione: 

Michael  Quirinus  prae.  praef.  que  Bassiani  fieri  e.  Anno  .mdl. 

In  altera: 

Pestis  ut  Italiani  et  Venetas  invaserat  oras 

Hos  quoque  laetifero  polluit  ore  locos. 
Hinc  illam  eiecit  coelo  aspirante  Quirinus 

Et  lapis  hic  omni  tempore  testis  erit. 

Meminit  huius  pestis  Fernellìus,  De  ahditis  ver.  caus. 
Sequitur  Citadella,  oppidulum  venetum,  hinc  Brenta  sive  Moe- 
doacus  amnis  traiicitur: 

Brenta  per  Euganeos  quae  labitur  advena  campos. 

XXI.  Circa  vesperum,  intravimus  Patavium,  urbem  veterem  et 
amplam,  ditionis  venetae,  quae  Antenorem  conditorem  habet,  testes 
Livius,  Virgilius,  Pom.  Mela,  Solinus,  unde  porta  Veneta,  quae  et 
Omnium  sanctorum  vocatur,  nuperrime  restaurata,  hanc  habet  inscri- 
ptionem  : 

Hanc  antiquissimam  urbem  literarum  omnium  asylum,  cuius  agrum  fertilitatis 
sumen  natura  esse  voluit,  Antenor  condidit  anno  ante  Christi  adventum  .mcxviii.  ; 
Senatus  autem  Venetus  his  belli  propugnaculis  ornavit.  Anno  Christi  .mdxviii. 
Mar.  Ant.  Lauredano  praefect. 

Antenoris  quoque  sepulcrum  marmoreum,  ante  aediculam  ad  viam 
publicam,  ostendunt  Patavini,  sed  goticis  literis  conscriptum  epita- 
phium,  unde  in  conditoris  memoriam  tantum  esse  coenotaphium  con- 
stat;  est  autem  tale: 

Inclitus  Antenor  patriam  vox  nisae  quietem 
Transtulit  hic  Henetum  Dardanidumque  fugas 

Expulit  Euganeos  Patavinam  condidit  urbem 
Quem  tenet  hic  humili  marmore  caesa  domus. 

De  Patavio  sic  Strabo:  «  Patavium  cunctas  eius  regionis  urbes 
«  excellens.  Nuper   quidem  in  ea  censi  sunt  quingenti  equestris  or- 

«  dinis  viri portus  autem  eodem  quo 

«  fluvius  nomine  vocatur  Moedoacus  »;  hactenus  Strabo.  Atque  hic 
status  Patavii  ante  Venetias  conditas,  atque  tempore  florentis  imperii. 
V#netiarum  vero  progressus  (cum  iam  ceterae  urbes  Venetae  a  bar- 
baris  vastatae  iacerent),  Patavinorum  ad  haec  usque  tempora  ruina; 
licet  nempe  ager  totius  Italiae   fertilissimus,  et  quemadmodum   hoc 


Iter  Italicum 


15 


loco  Strabo  :  «  felix  admodum  campus  et  fructuosis  collibus  varius 
«  (quamvis  hodie  planus  nisl  circa  Vincenzam),  quem  medium  fere 
«  Padus  dividit  >•>;  tamen  (ut  est  vulgare  verbum)  «  Bologna  la  grassa, 
«  Padua  la  passa,  ma  Vinetia  vicina  la  guasta  ». 

XXII.  Erat  nobis  hospitium  in  Sole,  ubi  .xxx.  solidis  venetis 
coenavimus,  vinumque  nobis  apponebatur  purpureum,  quod  nigrum 
vocant,et  creticum,  quod  vulgus  malvaticum,  optumum,  veteres  quoque 
pramnium  et  protropon,  ut  Discorides,  dixere:  vide  Bellonium. 

Vidi  moenia,  fossas  et  urbis  munimenta,  propugnaculum  Vene- 
torum  terrestre  diceres.  Moenia  una  parte  magno  aggere  aucta,  ac 
ingens  ibi  tumulus,  ex  mortuorum  e  peste  corporibus,  congestus,  cuius 
meminit  quoque  pyramis  Bassiana.  Pestis  vero  descriptionem  qualis 
haec  fuit.  vide  apud  Thucididem  et  Lucretium. 

Tempore  pestis,  hic,  Tridenti,  Oeniponti,  scedula,  quae  sanitatis 
dicitur,  a  curatoribus  itinerantìum  sumitur,  sine  qua  nemo,  capitis 
poena  transgressoribus  constituta,  progredì  potest,  urbs  nam  in  qua 
pestis,  ex  communi  caeterarum  societate  excluditur,  tantisper  donec 
pestilentia  evanescat,  nec  cuiquam  egredi  civitatem  permittitur,  sin 
secus  fecerit,  ilico  poenas  suspendio  luit.  Vicinae  urbes,  merces,  ad 
vitam  necessarias,  ad  urbis  limites  extra  deponunt,  sine  pretio,  quod 
in  scriptis  referunt,  et  cum  morbus  cessaverit,  repetunt. 

Arcem  praeterea  vidi  goticam,  quam  Antenoris  imperitura  vulgus 
appellat.  Minorem  autem  fuisse  ante  annos  aliquot  urbem,  ex  inte- 
gris  antiquae  urbis  muris  ostenditur. 

Vastata  haec  urbs  quam  saepe  a  Barbaris,  variisque  subiecta 
principibus  fuit:  Attila  nam  (ut  superiora  et  Romanum  imperium  spe- 
ctantia  obmittam),  Hunnorum  rex,  penitus  vastavit,  ac  ita  sine  moe- 
nibus  per  .lx.  amplius  annos  iacuit,  ad  tempora  Theodorici  Ostro 
Gotorum  regis,  inde  a  Longobardis  cremata,  tandem  et  sui  iuris  sub 
Othone  primo  Germanorum  imperatore  effecta,  Carotio  fabricato, 
Praetore  creato,  deinde  ab  Actiolino  oppressa,  inde  iterum  in  liber- 
tatem  restitutam  occupavit  Marsilius  Carrariensis,  in  cuius  familiae 
potestate  diu  remansit,  donec  ea  potitus  est  Ioannes  Galeatiiis  Vice- 
comes  Mediolani,  quo  a  Carrariensibus  iterum  pulso,  a  Venetis  oc- 
cupatur;  postremo  vero  in  potestatem  Maxaemiliani  imperatoris  venit, 
a  quo  tandem  per  Venetos  receptum,  in  quorum  adhuc  potestate  ma- 
net,  qui  praetore  misso  regunt.  Haec  brevitcr  et  summarie  a  me  nar- 
rata, prolixius  prosequuntur,  Paulus  Diaconus,  Blondus,  Sabellicus,  Me- 
nila, Corius,  Acquicola,  Volatcrranus,  Leander  Albertus,  Naugcrius. 

XXXIII.  Urbs  haec  multos  variis  scientiis  claros  in  lucem  edidit 
viros,  ac  Inter  primos,  lumen  illud  romanae  cloquentiac  T.  Liviuni, 
cuius  ibi  santa  etiamnum  memoria,  ac  ante  portam  vetustissimi  pre- 


i6  qA.  "Buchelliiis 


torli,  et  quod  mirum  nullis  trabìbus  sustentati,  haec  eius  extat  cum 
effigie  simulata  inscriptio: 

Ossa  T.  Livii  Patavini.  Unius  omnium  mortalium  iuditio  dignissimi,  cuius  prope 
invicto  calamo,  invicti  P.  R.  res  gestae  conscriberentur. 

Porticus  hic  totus  pene  marmoreus,  multorum  praetorum  con- 
tinens  insignia  et  doctorum  virorum  simulachra.  In  aula  vero  palatii 
est  T.  Livii  antiquum  simulachrum,  ni  fallor,  cum  alio  artificio  Hie- 
ronimi  Campaigni  Veronensis  et  hoc  veteri  epigrammate: 

V.  F.  I  T.  Livius  Liviae  T.  F.  \  quartae  L.  Halus  |  concordiae  H  g  0  11  1 1  Patavi 

sibi  et  suis  I  omnibus. 

Est  et  porta  Liviana,  et  domus,  quae  vulgo  Livii  vocatur,  variis 
referta  statuis  antiquis  et  inscriptionibus. 

Produxit  quoque  Thrasaeam  Petum  constanti  animo  virum,  de 
quo  Tacitus  exemplo  digna  in  Annalihus  reliquit,  et  Pacuvium  co- 
micum,  Stellam  et  Valer.  Flaccum  poetas,  ac  Paulum  senatuscon- 
sultorem,  lacobum  Alvarotum  ic,  Asconium  Pedianum,  qui  vixit 
circa  Neronis  imperium,  Volusium  annal.  Carmine  conditorem,  Frane. 
Zabarellum  ic. 

Academia  etiam  Patavina  a  Frederico  instituta,  Bononiensibus 
ademptis  privilegiis  expugnatis. 

Schola  porticibus  marmoreis  restaurabatur.  Medica  ars  hic  prae- 
cipua.  Estque  hortus  omnium  herbarum  etiam  exoticarum  refertis- 
simus,  quem,  non  exiguo  sumptu,  ad  publicam,  imo  communem  utì- 
litatem  alit  Senatus  Venetus;  habuitque  Hieronimum  Mercurialem, 
qui  iam  Bononiam  evocatus  erat,  virum  doctissimum  et  lacobum  Me- 
nochium  iurisconsultorum  itahcorum,  hoc  tempore,  facile  principem. 
Nusquam  maior  studiosorum  insolentia,  si  quid  vero  animadversione 
dignum  deliquerint,  potestatui  sive  praetori  (qui  singulis  .xv.  mensibus 
ex  Senatu  Veneto  mittitur)  subsunt.  Sica  etiam  et  pìstolezza  (arque- 
busi  genus  insidiosum)  interdicta.  Raro  in  aestate,  propter  calorem, 
legitur  et  praecipuae  in  hyeme  lectiones. 

Fuit  hic  professor  Franciscus  Robertellus,  qui  et  hic  sepultus. 

Leovardiae,  Frisiae  civitatis,  celebratae  sunt  nuptiae  Wilhelmi 
Nassovii  Io.  fil.  et  Annae  Nassoviae,  Wilhelmi  filiae  ac  Mauritii  Nas- 
sovii  sororis. 

XXIV.  Invitati  hoc  die  a  Ioanne  Baptista  Supperio,  populari 
nostro,  apud  eum  pransimus,  ubi  puella  quaedam,  vestitu  sumptuoso, 
more  gentis  ornatissima,  mensae  inserviebat,  gratia  videndi  hospites 
ut  arbitror.  Erat  haec  ex  iis,  quae  pudori  iam  valedixerant,  quas  au- 
licas  vocant,  Veneris  puto  quod  inserviant  aulae,  et  procul   ab   illis 


Iter  Italicum  17 


quas  commendat  Plinius  Nepos.  Italicus  autem  est  mos  castitatem 
vi  comprimens,  ne  exeant  temere  mulieres,  et  virorum  externorum 
omne  iis  prohibitum  consortiura,  secundum  Ecclesiastici  praeceptum, 
qui  sic  scrlbit:  «  In  filia  non  advertente  se,  firma  custodiam,  ne  in- 
«  venta  occasione  abutatur  se  ».  Veruni  propter  studentum  insolen- 
tiam,  ac  maritorum  zelotypiam,  nemo,  qui  castitatis  famam  suis  il- 
laesam  servare  cupit,  hos  intra  limites  recipiet,  ita  ut  sibi  hospitia 
mulierum  parum  probatae  pudicitiae  quaerere,  velint  nolint,  cogantur. 

Moneta,  qua  utuntur,  est  veneta  et  vulgaris:  gazeti,  soldi,  mar- 
quetti,  bessi,  librae,  denari. 

Episcopus  huius  urbis,  suffraganeus  est  patriarchae  Aquileensis. 

De  hac  urbe  vide:  lacob.  Sluperium,  £/?tV/.  lib,  I,  ep.  9.  Familiae 
hic  sunt  celebres:  Dottorum,  Capedivacca,  Frigemelicorum,  Galli - 
narum,  Obizorum.    Vide  Bernard.  Scardeonium,   De  antiq.  Patavinis. 

XXV.  Nunc  monumenta  quae  viderim  referam  doctorum  illu- 
striumque  virorum.  In  tempio  divae  Virginis,  ni  fallor,  Fichardus 
Servitarum  vocat,  satis  pulcro,  vidi  epitaphium  cum  simnlachris  mar- 
moreis  Pauli  de  Castro  ic.  clarissimi  ac  eius  filli  Angeli  item  ic  , 
quod  Nicolaus,  Pauli  N.  Angeli  filius,  parentibus  posuit,  et  extat  apud 
Io.  Fichardum.  In  tempio  divi  Antonii  Paduani  pulcherrimo  et  multis 
istius  diu  celebratum  miraculis,  sacellum  est  marmoreum,  rebus  gestis 
Antonii  coelatis  ornatissimum.  Egregiorum  quoque  virorum  prae- 
clara  spectantur  ornamenta,  ut  Petri  Bembi  Musarum  parentis,  cuius 
obitum,  non  indocto  Carmine,  olim  deflevit  Romulus  Amazeus  et  in- 
finiti alii  summi  viri  altum  celebrarunt  ingenium,  addito  eius  mar- 
moreo simulachro  et  Alexandri  Veneti,  praeterea  Raphaelis  Fulgosii 
Piacentini  ic,  Reineri  de  Forolivii  ic,  lacobi  Alvaroti  ic,  Christophorì 
etiam  Longolii  Belgae  ac  oratoris  ci.,  cuius  epitaphium  Francofurti, 
typis  excusum,  legi,  Alvaroti  quoque  legitur  apud  Fichardum,  qui  vitas 
aliorum  ic.  descripsit  breviter.  Monumentum  inde  Bitinae  filiae  Io. 
Andreae  ic  et  uxoris  Io.  de  San  Gcorgio,  item  ic 

Templum  hinc  divae  lustinae,  admodum  sumptuosum,  quod  a 
fundamentis  iam  restaurabatur  ;  diva  autem  lustina  Venetis  summo 
in  honore  est,  ob  divictos  eius  die  et,  ut  arbitraniur,  auspitiis  magna 
caeJe  Turcas,  navali  apud  Naupactum  praelìo,  ita  ut  in  memoriam 
eius  victoriae  argenteum  eius  simulachro  sìgnent,  hoc  addito  epigram- 
mate  :  «  Memor  ero  tui  lustina  virgo  ».  Est  mole  et  architecturae  ra- 
tione  nulli  secundum,  pavimento  marmoreo,  lovi  olim  sacrmii  er- 
rore gentilium  ferunt  fuisse. 

XXVI.  Antiqua  monumenta,  romani  aevi,  practer  Liviana,  quac 
iam  mcmoriae  mandavi,  vidi  ad  antiquae  urbis  portam  egrcgiuni  de 
cxpiatione  fulmiiuim  marmor,   cuius  literas  iam  fugientes  revocavil 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  yatria.  Voi.  XXIII.        2 


i8  qA,  "Buche! lius 


ab  instanti  morte  Andreas  Naugerius,  vir  doctissimus,  qui  ob  id  aeream 
ibi  meruit  effigiem  suam  coUocari.  Extat  eius  pars  apud  Ludovicum 
Carrionem,  vide  et  Ociographiam  Aldi,  in  voce  I  u  p  p  i  t  e  r . 

Ad  coemiterium  summi  templi,  quoque  duos  lapides  sepulcrales 
antiquos  vidi.  Aedes  vero  pontificiae  illisque  coniunctum  templum 
restaurabantur,  opera  Frederici  Cornelii  card,  et  episcopi  Patavini. 

Est  hic  quoque  marmoreuni  triclinium  vetus  in  aedibus  Rham- 
nusianis,  post  curiam  urbis  praefecti,  in  vico  Patriarchae  ad  divum  Pe- 
trum,  cuius  meminit  Hieronimus  Mercurialis, 

Rhamnusiana  vero  familia  nobilis  hodie  Patavina,  ex  qua  celebrat 
Manutius  Paulum  patrem.  Io.  Bapt.  et  Hieronimum  filios  et  Paulum 
alterum  Baptistae  filium. 

Huius  elogium  non  fictum  prò  omnibus  unus  dat  hoc  Scaliger 
pater: 

Huc  antiqua  Deum  domus  Ilium,  et  inclyta  bello 

Robora  Dardanios  exposuere  Lares 
Decepti  patrias  non  vieti  amisimus  oras. 

Perpetuis  res  est  Graeca  valere  dolis, 
Qui  viceré  suos  ideo  amisere  penatesi 

Ast  nova  sunt  profugis  regna  parata  viris. 
Arma  decent  Teucros,  vafros  sapientia  Graios 

Victis  Euganeis  pectus  utrumque  dedi. 

Regna  vides  Veneto  Phrygiis  malora  ruinis 

Atticaque  a  Fatavo  pectore  terra  sapit. 

Venetis  cunctis  prima  origo  Phaetontea  est  (ut  inquit  Cato),  qui 
Graecis  occasionem  mentiendi  de  Phaetonte  et  Eridano  praebuit;  po- 
sterius  mixta  his  nobilis  stirps  Troiana,  a  quibus  Patavium  &c. 

Extra  urbem,  non  procul,  Ateste  est  oppidulum,  sepulcro  et  mo- 
numento Francisci  Petrarchae  celebre,  ni  fallor,  nam  Leander  Albertus 
Arquatum  Montanum  vocat. 

Hoc  die,  Lugduni  Batavorum,  lacobus  Volmarius,  Cosmus  Pe- 
scarengius  et  Nicolaus  Mauldius,  Anglicanae  factionis  homines,  quod 
ipsam  urbem,  conspiratione  facta,  invadere  tentassent,  capti,  et  capite 
puniti  sunt,  ordinum  legatis  ipsoque  Nassovio  subscribentibus. 

Circa  vesperum  huius  diei,  navim  ingressus  sum  et  noctis  fere 
medio  ad  officinam  Leucae  pervenì,  ubi  gravi  machina  navis  e  flu- 
mine  in  stagnura  deducta  fuit  et  hora  circiter  octava  Venetias  in- 
travi. Pretium  erat  ordinarium  .xvi.  solidorum  venetorum. 

XXVII.  Venetiae  civitas  tam  ampia,  potens,  populosa,  dives, 
ut  prima  totius  Europae,  magnam  partem  originis  suae  Paduanis  re- 
ferre  debet;  vastante  nam  Athila  Italiam  ac  Aquileiam  obsidente, 
Patavini  sacra  et  supellectilem  praetiosam  cum  imbelli  multitudine  in 
Rivum  altum  (quae  maior  pars  est  Venetiarum)  contulerunt,  iuventute 


Iter  Italicum  19 


tantum  ad  tutanda  moenia  retenta;  diruta  vero  urbe,  plurimi  in  pa- 
ludes  suae  ditionis,  quo  et  praetiosa  miserant  bona,  habitatum  iere; 
author  Blondus.  Venetorum  nomen  a  tota  gente  in  unam  urbem 
magni  tamen  populi  instar  redactum.  De  his  sic  scribit  Strabo:  <rDe 
«  Venetis  duplex  est  sermo,  quidam  nempe  a  Gallis  eiusdem  appel- 
«  lationis  oceani  accolis  colonos  esse  memoriae  prodiderunt  »  &c. 

Primus  huius  urbis  magistratus  fuere  tribuni,  qui  usque  ad  annum 
urbis  conditae  .ccLXXXii.  duravit,  ac  tum  demum  creati  duces,  quorum 
primus  fuit  Palutius  Anafestus.  Fuere  auteni  numero  .lxxxvii.  usque 
ad  annum  praesentem,  cum  ducatus  titulum  possideret  Pascalius  Ci- 
noga  [Cicogna].  Horum  vitas  conscripsere  Petrus  Marcellus  Ven., 
Silvester  Girellus  Urbinas  et  Henricus  Kelnerus  Francofurtiensis. 
Multa  quoque  de  caeremoniis,  urbis  regimine  et  moribus  conscripsere 
supra  scripti  Sabellicus,  Leander  &c. 

Ducis  potestas  mixta;  eligitur  nempe  ex  senatoribus,  nec  haeredi- 
tario  iure  possidet;  nil  autem  is  sine  Consilio  senatorum  agit,  aut  illi 
sine  authoritate  ducis.  Ea  scilicet  est  Veneta  aristocratia  et  monar- 
chia ita  temperata,  ut  nec  magistatus  summi  sine  ducis  sententia 
praesentiaque,  nec  vicissim  ille  quicquam  propria  ausit  potentia  sta- 
tuere,  adeo  ut  ne  progredì  quidem  tuto  tempore  belli  in  medium 
possit,  sine  capitis  periculo,  nisi  sex  viros  regionum  ut  minimum  co- 
mites  habuerit. 

Officiorum  ordinem  et  magistratuum,  brevitatis  causa,  omitto, 
quuni  libello  vulgari  contineatur  et  aliorum  scriptorum  diligentia 
notus  sit.  Legum  tantum  quarundam  breviarium  addam;  nempe  de 
vestitu,  de  epulis,  sumptuarias  edidere  leges,  quibus  omnibus  unus  ve- 
stitus  togatus,  decensque  antiquitate  venerandus  et  immutabilis,  certus 
quoque  famulorum  numerus  constitutus  ;  creati  quoque  magistratus, 
quemadmodum  apud  Athenienses  olim  Yi>vaixóvo|xot,  qui  circa  mundum 
muliebrem  constitutas  leges  observarent;  sanctum  nempe  erat,  ne  ulla 
patritii  sanguinis  mulier  aut  puella  in  publicum  veste  serica  induta 
prodiret,  nisi  nuptiarum  die,  et  quibus  nuptiis  conviviisque  solem- 
nibus  adesse  mos  est.  Leges  hac  de  re  latae  ann.  post  Christum 
natum  1400,  1403,  1442  &c. 

Verum  cum  mei  instituti  non  sit  urbem  tam  amplam  et  variam 
describere,  ubi  ingens  orbis  in  urbe  fuit,  ut  Nasonis  utar,  ad  elogia 
veniam  quorundam,  ne  fatigatus  materici  magnitudine,  oneri  succum- 
bam.  Ac  imprimis  vere  de  ea  dici  potest,  quod  Flavius  Vopiscus  de 
Alexandria  olim:  «  Opulentam,  divitem,  faecundam  esse,  in  qua  nemo 
<(  viveret  odiosus  ».  Petrus  Curtius  sic  canit: 

Undc  urbem  Romam  Veneta  spcctamu»  in  urbe? 
Haec  ruit  heu,  crescit  iluctibus  illa  suit. 


20  qA.   "Biichelltus 


De  Venere  etiam  relieta  Cypro  sedem  Venetiis  deligente,  vide 
Molsam.  Scaliger  pater  hanc  hoc  celebravit  Carmine: 

Pervia  barbaricis  tellus  Oenotria  turmis 
Pertulit  impositi  pondera  dura  iugi  &c. 

Pulcrum  est  et  hoc  Gallicum,  quamvis  invidia  plenum: 

Il  fait  bon  veoir,  Magny,  ses  colons  magnifiques, 

Leur  superbe  Arcenal,  leur  vaissaux,  leur  abordz, 

Leur  S.  Marc,  leur  pallais,  leur  Realte,  leur  portz, 

Leur  changes,  leur  proufilz,  leur  bancques,  leur  trafiques  &c. 

la.  Straparole  dicit:  «  Venise  est  une  cité  tresnoble  veu  le  bon 
«  ordre  des  magistrats  et  abondance  des  gens  estranges  »  &c. 

Marchio  Vastiae  Alphonsus,  Caroli  V  imperatoris  exercitus  dux, 
intrans  armamentarium  Venetum,  illic  mansit  usque  ad  vesperum,  de- 
tentus  varietate  armorum  et  copia,  et  addidit  se  hunc  apparatam  bel- 
licum  quatuor  Italiae  urbibus  praeferre. 

Venetae  meretrices,  vere  Seirenes,  olim  suas  habebant  aedes  in 
via  vulgo  Rampanorum  usque  ad  annum  .cioccccxxi.  nec  sine 
legibus  vivebant,  habentes  praepositam  matronam  custodem  aerariae 
meretriciae,  cui  dabatur  pecunia  ex  tam  turpi  quaestu,  quae  deinde 
hanc  dividebat  aequaliter  singulis  mensibus;  nunc  vero  libere  magis 
incautis  insidiantur. 

Venetos  ab  imperio  liberos  esse  ex  privilegio  dicit  Bartholus  ic. 
Idemque  approbat  lason  Mainus  et  in  bulla  aurea  se  vidisse,  scribit 
Albertus  de  Rosatis. 

Froisart  dit  ainsi  que  nous  l'avons  experimentez  que  Venise  est 
l'une  des  chers  villes  du  monde  pour  les  estrangers. 

De  lingua  Venetorum,  quae  rudior,  ita  quadam  scribit  &c. 

Cives  etiam  nobiles  et  patritii  mercaturae  admodum  sunt  stu- 
diosi (cum  Italiae  nobilitas  malit  ea  sibi  acquirere  unde  vivat  seque 
alat,  quam  aliena  diripiendo,  vanum  nudumque  nobilitatis  nomen  more 
gallico  (ut  ait  Postellus)  vel  etiam  germanico  praetexere)  multasque 
inde  opes  acquirunt.  Lipsius  parum  idoneum  hoc  genus  hominum 
ad  rempublicam  esse  putat,  quamvis  et  admittat  ab  exemplo.  Viiis 
nostratibus  mercatura,  non  olim  Plutarcho:  qui  ait  dignitatem  fuisse, 
ut  quae  commoda  ex  regionibus  barbaris  afferret,  amicitias  cum  dy- 
nastis  conciliaret  et  ad  multarum  rerum  peritiam  conferret. 

Sermo  venetus  rudis  et  ab  elegantioribus  Italiae  populis  irrisus. 

Veneti,  teste  Neandro,  e  solo  vectigali,  quotannis  vicies  centena 
ducatorum  millia  capere  dicuntur. 

Nunc  ad  praecipuas  Venetorum  familias  transgrediar:  Anthe- 
noria,  Partitiatia  &c. 


Iter  Italiciim  21 


Ex  his  plurimae  duces  habuere,  quas  minio  notavi,  ut  discerne- 
rentur  a  caeteris.  Ducum  vero  nomina  et  vitas  refert  Petrus  Marcellus 
et  Girallus.  Episcoporum  sive  patriarcharum  catalogum  dat  Leander, 
qui  et  viros  eruditione  illustres  memoriae  aeternae  consecravit. 

Subditis  provinciis  dant  ex  Senatu  praefectos  ad  .xv.  menses, 
cum  nihil  tam  utile  esse,  quam  brevem  potestatem,  quae  magna  sit, 
arbitrentur. 

Oderunt  Veneti,  ut  de  Romania  olim  Cicero  scripsit,  privatam 
luxuriam,  publicam  magnificentiam  diligunt. 

Palatium  Venetum,  quam  magnificum  quamque  ornatum  picturis 
statuisque  rarioribus,  vulgari  libello  particulariter  narratur.  Meminere 
huius  Leander  et  Stephanus  Pigius,  cui  contiguum  divi  Marci  tem- 
plum  sumptuosissimum,  marmoreum,  sed  obscurius  ob  antiquitatem, 
pavimentuni  omne  ex  opere  tesserulato  varium  ;  superfìcies  et  parietes 
musiveo  constabant,  opere  laboriosissimo.  Narses,  teste  Biondo,  hic 
aediculam  posuerat  divo  Theodoro  martyri  sacram,  cuius  quoque 
opus  oratorium  Ss,  Menae  et  Geniani.  Habet  porticum,  in  quo  se- 
pulcra  quaedam  ducum  spectantur  cum  epitaphiis,  quae  in  Vitis 
eorum  videre  licet.  In  vestibulo  vero  templi,  quatuor  ex  aere  deau- 
rati equi,  qui  olim  Roma,  ex  arcu  Titi,  Constantinopolim  translati 
dicuntur,  unde  a  Venetis  occupata  et  Francis  urbe  Constantinopo- 
litana  Venetias  traducti.  Relliquiae  hic  plurimae,  ut  corpus  divi  Marci 
ex  Asia  anno  .dcccxxvii.  advectum.  Hic  quatuor  etiam  columnae 
translucidae.  Item  corpus  divi  Isidori  martyris,  ex  Chio  insula  trans- 
latum,  anno  .mcxxv.  Legi  item  in  quadam  inscriptione,  tunicam  Christi 
a  Bessarione  Venetis  dono  datam. 

Scaligerus  et  Card,  aiunt  Venetiis  patinam  esse  insigni  magni- 
tudine solidam  e  smaragda. 

Ambitus  urbis  .vili.  mil.  passuum,  palatia  in  ea  no,  fontes  pu- 
blic! 148,  statuae  marmoreae  164,  aeneae  24. 

Thesaurus  quoque  divi  Marci  monstratur,  infiniti  pretii,  de  cuius 
translatione  vide  vitam  lustiniani  a  Marcello  descriptam  &:c. 

Ante  templum  est  forum  rerum  venalium  amplissimum,  omni- 
genis  mercibus  exoticis,  ludicrìs,  necessariis  refertissimum. 

Inscriptiones  antiquas,  aliunde  ut  arbiiror  allatas,  huius  urbis  ex- 
scripsil  Smetius  numero  .v. 

Et  N.  Chytracus  receniiores  collegit  inscriptiones  et  epithaphia, 
ut  Ant.  Coccei  Sabellici  &c. 

Pontificcs  ex  hac  urbe  Romanis  dati,  Gregorius  XII,  Eugenius  IV, 
Paulus  secundus. 

De  tempio  Charitatis  et  relliquiis  Donati,  vide  vitam  domini  Mi- 
chaelis;  acde  Clemeniis  in  vita  Polani;  coenobio  Virginis,  quod  Gru- 


22  (3f.  "Buchellius 


cigeri  tenent  et  aede  Mathaei  apostoli  in  vita  domini  Mauroceni  ; 
ponte  Rivaiti  in  vita  Sebastiani  Ziani  ;  diversorio  divi  Marci  in  Petri 
Urseoli  vita. 

Venetam  bibliothecam,  quam  libris  tam  graecis  quam  latinis  in- 
structissimam  habent,  instituit  Bessarion  Nicaenus.  vir  doctissimus 
et  clarìssimus  cardinalis  et  patriarcha  Constantinopolitanus,  ac  rei- 
publicae  Venetae  donavit;  de  qua  donatione  exstat  eiusdem  epistola 
apud  Ang.  Roccam. 

Est  hic  turris  marmorea  artificiosissima,  cum  aedicula  item  mar- 
morea, egregiis  statuis  aereis  lacobi  Sansovini  optumi  artificis  ornata^ 
qui  etiam  colosseas  fecit  statuas  Mercurii  et  Neptuni  ad  gradus  pa- 
lati! ex  marmore. 

Sunt  et  duae  columnae  ingentes  marmoreae,  versus  Canalem  ex 
Aitino  translatae,  tertia  in  ripa  demersa,  erectae  per  Lombardum 
quendam  architectum,  qui  impetravi!  eo  ut  alea  ibi  ludere  liceret, 
infami  et  vetito  aliqui  ludo;  fitque  hic  plerumque  malefactorum 
supplitium,  columnae  uni  superimposita  divi  Marci  insignia  leo 
alatus,  alterae  eiusdem  divi  Marci  statua  humana. 

Sunt  etiam  tres  pini,  quorum  bases  aereae,  his  inscriptionibus: 

Optiimo  principi  Leonardo  Lauredano  duci  Venetum  anno  eius  .mi,  procuratore 
Paulo  Barbo  .mdv. 

Credo,  diebus  feriatis  et  solemnibus  vela  ad  hos  insigniorum 
Venetorum  erigi,  quemadmodum  Romae  in  castro  divi  Angeli  fieri 
vidi. 

Est  hic  templum  antiquissimum,  de  cuius  restauratione  hoc  le- 
gìtur  in  frontispicio  epigramma: 

Hanc  urbis  aedem  non  vetustissimam  solum  sed  et  augustissimam,  Senatus  Venetus 
antiqua  relligione  obstructus  magnificentius  pecunia  publica  aedificandam  cu- 
ravit.  Anno  .mdlvii.  summa  Benedicti  Massini  antistitis  cura. 

Navalia  deinde  Venetorum  vidi,  cuius  descriptionem  videre  li- 
cebit  apud  Pighium  ;  est  ad  portam  marmoream  inscriptio  haec  : 

Victoriae  navalis  monumentum  duce  inclyto  Pascali  Maripetro.  Anno  ab  urbe  con- 
dita .Mxxxvi.  Anno  Dom.  .mdlxxi. 

Sunt  praeterea  tempia  Virginis  miraculorum,  insignitum  Zacha- 
riae,  pulcrum  pavimento  columnisque  marmoreum,  consecratum 
anno  .mdxliil  ab  episcopo  Io.  Lucio  Staphilaeo,  ubi  beati  Zachariae 
corpus  quiescit  et  sancti  Gregorii  Nazianzeni  ex  Constantinopoli  trans- 
latum. 

In  tempio  sancti  Theodori,  eius  divi  corpus  ex  Samo  insula,  et 
divorum  Pancratii,  Sabinae,  Thrasii,  Lazerii. 


Iter  Italiciim  23 


In  tempio  sancti  Petri  in  Castello,  corpora  divorum  Sergi!  et  Bac- 
chii  quiescere  dicuntur. 

In  tempio  sancti  Danielis,  corpus  sancti  Ioannis  Alexandrini  ducis. 

In  tempio  sancti  Antonini,  corpus  sancti  Sabbae  abbatìs. 

In  tempio  sanctae  Trinitatis,  corpus  divi  Anastasia 

In  tempio  sancti  Laurent!!,  Pauli  episcopi  et  martyris,  Leonis 
Bembi  et  divi  Platonis  corpora  venerantur. 

In  tempio  sancti  Marini,  eius  corpus,  ex  Graetia  translatum,  vi- 
situr. 

In  tempio  sancti  luliani,  corpus  divi  Pauli  primi  heremitae  osten- 
ditur. 

In  tempio  sanctae  Mariae  Formosae,  corpus  Nicodemi  obdormit. 

In  sancti  Rochi  aede  corpus  eius  custoditur. 

In  tempio  sancti  Marcuolae,  digitus  sancti  lohannis  Baptistae, 
quo,  videns  Christum,  eum  monstraverit,  dicens:  «Ecce  Agnus  Dei, 
«  qui  tollit  peccata  mundi  «,  servatur. 

In  tempio  divi  ApoUinaris,  corpus  lonae  prophetae  hospitium 
sumpsit. 

In  divi  Simeonis  aede,  eius  corpus,  Constantinopol!  allatum,  in 
honore  est. 

In  fano  divae  Helenae,  matris  magni  Constantini  imperatoris,  eius 
corpus  quiescit. 

In  Sancto  Georgio  sancti  Stephani  corpus  habetur. 

In  tempio  sanctae  Crucis,  relliquiae  Athanase!  Alexandrini  episcopi 
monstrar!  dicuntur;  atque  hae  sunt  relliquiae  Venetarum  de  quibus 
potui  cognitionem  habere  praecipuae. 

Primum  templum  factum  ex  voto  Entinopi  Cretensis  arciiitecti, 
qui  primus  insulam  habitare  coepcrat,  nam  cum  magnum  ibi  incen- 
dium,  vovit,  si  cesserai  illud,  se  domum  suam  in  aedem  sacram 
conversurum,  quod  et  factum,  quae  divo  lacobo  apostolo  consecrata, 
anno  421  existente  Romae  episcopo  Zosimo  et  imperatoribus  Ho- 
norio  ac  Theodosio,  a  4  pontificibus  Severiano  Patavino,  Hilario  Ai- 
tino, lucundo  Trevisiano  et  Epodo  Vidensi. 

Forum  tribunorum  olim,  ubi  nunc  templum  Apostolorum,  ubi 
portae  extant. 

In  tempio  divorum  Ioannis  et  Pauli,  quod  maxima  ex  parte  est 
marmoreum,  plurima  vidi  illustrium  virorum  monumenta,  ut  lacobi  et 
Laurent!!  Theupolorum  ducum,  quorum  epitaphium  legitur  in  Vitis. 

Leonardo  etiam  Prato,  militari  duci,  statuam  equestrem  deaura- 
tam  cum  epitaphio  posuit  Senatus  Venetus;  ex  aere  item  deaurato 
vidi  alieram  ex  senatusconsulto  positam  Nicolao  Ursino  Petiliani  et 
Nolae  principi,  qui  obiit  ann.  Dom.  mdix.  aciat.  .LXViii. 


24  oA.  ^uchellius 


Epitaphium  et  monumentum  Marcini  Caballi,  ducis  fortissimi, 
ubi  quoque  vidi  simulachrum  Bernhardi  Donati,  hoc  addito  elogio: 
«  Nunquam  mihi,  sed  semper  patriae  ». 

Monumentum  ibidem  ex  marmore  et  aere  nobile  ducis  Ioannis 
Mocaenici,  cum  epitaphio,  quod  vitae  eius  additum,  et  Petri  Moce- 
nici  ducis,  cum  hoc  elogio  :  «  ex  hostium  manubiis  »  ;  huius  res  gestas 
conscripsere  Petrus  Marcellus  in  Vitìs  duciim  et  Coriolanus  Cepio, 
qui  tribus  libris  res  eius  maritimas,  ante  ducatum  gestas,  complexus  est. 

In  coemiterio  est  statua  ex  aere  deaurato  equestris,  in  cuius 
marmorea  basi  haec  inscripta: 

Bartholomeo  Coleono  Bergomensi  ob  militare  imperium  optume  gestum  statua  S.  C. 

Meniinere  Coleoni  Sabellicus,  Facius,  Corius,  Pigius,  Leander, 
P.  Marcellus  in  Christ.  Mauro. 

Viae  urbis  lapidibus  planissimae,  quaedam  tamen  nimis  angustae, 
stratis,  equos  nempe  aut  currus,  propter  aquarum  abundantiam,  non 
habent,  sed  utuntur  navibus  aut  cymbis  exiguis,  gondolas  vocant, 
quarum  ultra  Seco  esse  privatorum  feruntur. 

Palatia  et  illustrium  familiarum  aedes  infìnitae,  tempia  quam 
quoque  plurima,  quorum  nomina  et  incessus  principis  solemnis  in 
urbis  delineatione  expressus. 

Pictores,  quorum  opera  palatium  divi  Marci  et  alia,  tam  privata 
quam  publica,  aedificia  illustrata  sunt,  fuere  Paulus  Fernesius,  lacobus 
Tintorettus,  lacobus  Palma,  Bassanus  lacobus  de  Ponte,  Bernardinus 
et  Franciscus  Succari  fratres,  primi  sui  temporis.  De  pictura,  vide 
disputationem  Apollonii  apud  Philostratum,  Plinium  avunculum,  Pa- 
terculum  Velleium. 

Supra  aedes,  multis  in  locis,  sunt  viridaria,  id  est  loca  virentibus 
herbis  et  graminibus  arbustisque  consita,  quae  etiam  cum  aedificia 
patiantur  servitutem  ne  quid  altius  tollatur,  tamen  supra  eam  altitu- 
dinem  haberi  possunt. 

.V.  in  hac  urbe  celebriora  collegia  :  Charitatis,  Misericordiae, 
Rochianum,  Marcianum,  Zebedeorum  &:c. 

Cives  in  urbe  censi  .iddd.idd.cid.cid.cid.cid.ccc.xlix.,  id  est  59349; 

Mulieres  EX  .idd.cd.cd.id.xxxi.,  idest  67531; 

Pueri  .IDDD.IDD.  00. 00.  oo.cDXii.,  idest  58412; 

Monachi  .mm.c.xxciii  ,  idest  2183; 

Vestales  et  moniales  .cid.cid.lxxxix.,  2089  ; 

ludei  .M.c.Lvii.,  idest  1157,  purpureis  hi  pileis  a  Christianis  di- 
stincti. 

Pontes  in  urbe  .co.  Tempia  praeter  oratoria  .cxc,  inter  quae 
sunt  parochiae  .lxxii.  Gondoles  .viii..\i. 


Iter  Italiciim  25 


Erat  nobis  hospitium  in  Campana.  Hospes  vero  nos  ad  Palatium 
deducebat,  ut  nomina  scribae  daremus,  nam  iis  iniunctum,  ne  quis 
extraneus  ignotus  pernoctet,  poena   transgressoribus  lege  constituta. 

Circa  vesperum  sabbathi,  navem  conduxi  Anconam,  .iv.  libris 
venetis,  petìturam,  plurimasque  praetervectus  insulas,  media  nocte 
Fossam  Clodianam  appulimus. 

XXVIII.  Visa  nobis  et  pellustrata  insula,  Giozzam  vocant,  op- 
pidum  praetorem  habet  venetum  et  episcopum. 

Diu  ante  Venetias  conditas  Romanis  hic  locus  cognitus  Fossae 
Clodiae  nomine,  ubi  et  Pad:  ostium,  teste  Plinio,  meminit  huius 
quoque  Ptolomeus.  Oppidum  conditum  putat  Volaterranus  a  Clodio, 
Albanorum  duce;  Sabellicus  tamen  ab  Atestinis;  obscuris  uterque 
autoribus,  a  qiiibus  restauratum  potius  credidit  Leander,  quem  exa- 
ctius  insulam  describentem  videre  licet.  Templum  vidi  mediocre,  ubi 
pictura  Bassani  egregia  spectabatur:  Pluvium  mannae  et  sepulcrum 
Christi.  Ad  parietes  templi  exteriores  antiquum  lapidem  hac  inscri- 
ptione  : 

Aelio  Lent.  Phidi  F.  0  i  i  |  F.  L.  Lib.  Libertabus  Q  i  1  H  |  i  suis  omnibus 
ex  I  T  i  il  Hs  .XIII. 

Ad  littus  inde  maris  delatus  mille  circiter  passus,  templum  No- 
stra Dona  de  gratiis  intravi,  non  ita  diu  restauratum,  et  hac  inscri- 
ptione  notatum  : 

Templum  hoc  deiparae  Virginis  maximis  innumerisque  miraculis  conspicuum,  ab 
Italiae  exterisque  populis  summa  in  veneratione  habitum,  anno  .mdlxxiiii.  pia 
fidelium  epe,  studio  ac  labore  Gabrielis  Flammae  episc.  Ioan.  Legii  Andreae 
proc.  numeris  omnibus  absolutum  est.  Civitas  Clodiensis  ingenti  benefitio  aucta 
et  ornata  ut  antistiti  et  practoribus  beneficentissimis  omnibusque  fidelibus  grati 
animi  signum  ostenderet,  monumentum  hoc  erigi  curavit.  Operi  praeerant 
Nordius  et  Ant.  Bassi. 

Erat  hoc  votis  peregrinantium  et  miraculis  plenum.  Tabulae  illic 
votivae  a  summo  ad  imum  omnes  parietes  occuparant,  hìs  aut  si- 
milibus  verbis  conceptae: 

Vodo  fato  per  mi  Agnilo  di  Urbino  fui  liberato  del  pregione,  lui  e  tre  suoi  liliuoli 
per  gratia  della  Madona. 

Qui  modus  iam  ab  ethnicorum  olim  sacris  dimanavit.  Inventae  tales 
tabellae  in  insula  Romana  Apollini  dicala,  quae  cxtant  apud  Mer- 
curialem.  Meminit  quoque  Albius  Tibullus  hoc  disticho: 

Te  dea  nunc  «uccurrcrc  precor,  nam  posse  mcderi 
Multa  docet  templis  pietà  tabella  tuis 
Me  tabula  saccr 


26  qA.  "Buchellius 


et  Horatius; 


Votiva  paries  indicat,  humid£ 
Suspendisse  potenti 
Vestimenta  maris  Deo. 


Nautis  relligio  erat  festo  navigare  die,  iurare,  blasphemia  dicere, 
scortari,  vix  inter  vitia  referebant. 

Vidi  hic  primum  funus  in  Italia.  Efferebatur  cadaver  vestitum 
solemni  veste,  lectulo  quasi  dormiret  iacebat,  calceos  indutum  novos, 
ob  itineris  credo  longitudinem.  Erat  in  tempio  cavea  subterranea 
ingens  velut  spelunca,  cui  unun  tantum  ostium  lapide  munitum,  hoc 
aperiebatur,  et  cadaver  funibus  demittebatur.  Hic  vulgaris  funerandi 
modus.  Hinc  circa  meridiem  solvimus.  Erant  nobiscum  in  navi  Cre- 
tenses  milites  et  ludaeus  christianismum  professus.  luvenis  is  erat  et 
Romani,  ad  sacerdotium  obtinendum  proficiscebatur  ;  meo  quidem 
iuditio  non  pietatis  gratia,  sed  liberius  et  licentiosius  vivendi,  cum 
corrupti  ingenii  signa  in  ipso  non  exigua  viderim.  His  igitur  sociìs 
mare  Hadriaticum  circa  littus  navigavimus,  ob  Turcarum  pyratarum 
metum.  Mare  vero  Adriaticum  nunc  Superum,  vulgo  etiam  L  a 
golfa  di  Vinetia,  Ionici  maris  pars,  de  qua  sic  Strabo  :  «  Sinus 
«  lonius  eius  pars  est  quod  Adriaticum  hoc  tempore  vocatur  »  &c. 

Adrianum  mare  videtur  appellare  Cicero  in  L.  Pisonem,  ni  cor- 
rupta  ibi  lectio. 

Maximianum  Cremensem  episcopum  Clodiensem  anno  1561  in- 
terfuisse  Consilio  Tridentino  narratur.  Franciscanum  fuisse  legi. 

Clodiensis  fuit  losephus  Latinus  qui  de  anni  forma  librum  in 
lucem  emisit,  anno  1580. 

Dionisius,  De  sita  orbis,  versu  92  :  «  'ASptàg  aX[iYj  j),  id  est  Adrium 
salum  vocat  mare  Adriaticum. 

De  Beltrando  episcopo  Adrianae  ecclesiae,  vide  epist.  Bembi 
nomine  Leonis  X  pont.  Rom.  conscriptas  lib,  2. 

Prope  Veronam  est  inscriptio,  similis  quae  superiori  folio  ita- 
lica, talis  : 

Deo  magno  aeterno  L.  Statius   Diodorus  quod   se   praecibus  compotem   fecisset 
V.  S.  L.  M. 

Chiozza,  alio  nomine  Clugiae,  Genuensium  Venetias  obsi- 
dentium  clade  et  hospitio  Frederici  III  imperatoris  celebre  oppidum. 
Incolae  piscatu,  hortorum  cultura  et  salinis  exercendis,  quae  passim 
circa  oppidum,  vivunt. 

Des  Venetiens,  ita  Simeon  Gabriel  epistola  franco-gallica  6: 

Car  ces  messieurs  la  n'ont  point  accoustume  de  se  servir  en  leurs  afFaires  pi> 
bliques  des  estrangers,  comme  ceulx  quy  soni  contens  de  ne  croistre  plus  avant 
leur  domaine  &c. 


Iter  Italicum  27 


De  fonte  Fapono  salubrium  aquarum,  vide  Cassiodorum,  Variar. 
lib.  II,  epistola  39;  Claudianum  in  epigram.  Est  autem  in  agro  Pa- 
taviensi,  sub  dominio  Venetorum.  Vide  ampie  vires  et  naturas  bal- 
neorum,  quae  in  agro  Patavino,  describentem  Gabr.  Falioppium,  me- 
dicum  patavinum  et  qui  de  balneis  scripserunt  apud  luntos. 

XXIX.  Pesto  Simonis  et  ludae,  Rhavenna,  non  procul  appel- 
lentes  portum  Pirotolon  vocatum,  intravimus,  nescio  an  sit  Padusa 
ubi  Padi  brachium  mare  intrat,  vel  porto  di  Rhavenna  non 
inde  procul,  Messanicum  oiim  dictum. 

Rhavennam  pedibus  infausto  tamen  omnine  falsa  nautae  accu- 
satione  intravimus.  Est  vero  urbs  antiqua  et  olim  potens,  unde  mare 
Adriaticum  Rhavennatum  dictum  Dioni,  his  verbis  :  «  Amitam  su- 
«  stulit,  et  bonis  eius,  quae  Bais  et  in  mare  Rhavennati  erant  abla- 
«  tis  »  &c. 

Muris  et  portis  novis  hanc  muniisse  Claudium  imperatorem  te- 
statur  marmoreus  titulus  portae,  quam  Auream  seu  Spetiosam  vocant, 
qui  talis: 

Ti.  Claudius  Drusi  F.  Caesar  Aug.  Germanicus  Pont.  Max.  Tr.  Pot.  Cos.  .11. 
Des.  .III.  Imp.  .III.  P.  P.  Dedit. 

Medio  autem  tempore,  declinante  iam  imperio  Romano,  ipsaque 
Roma  a  Gotthis  aliisque  barbaris  vastata,  Valentianus  imperator 
moenia  ampliavit,  nam  magnam  ibi  vitae  imperiique  partem  egerat, 
quare  et  Ioanni  episcopo  duodecim  civitates  subiecit  ;  quae  deinceps 
exarchatui  fuerint  subditi:  nempe  Ariminum,  Caesenam,  Forum 
Livii  &c.  Haberetur  huius  (Theodorici  Gothi)  corpus  sive  cinerea 
diu  in  porphyretica  urna  conservati,  quae  adhuc  in  foro  extat  a  mi- 
litibus,  aurum  conquirentibus,  disrupta,  longa  pedes  .vili.,  alta  .iv.  cum 
opercolo  ex  aere  corinthiaco,  signis  et  emblematis  decorato  ab  Ama- 
lasuntha,  ut  creditur,  posila.  Addita  nunc  haec  inscriptio  legitur: 

Vas  hoc  porphyreticum  olim  Theodorici  Gotorum  imp.  ciiieres  rotundo  apice  re- 
condens  transiatum  hoc  in  loco  a  Petro  Donato  praef.  in  memoriam  antiq. 
Anno  .MDLxviii. 

Tenuerunt  deinceps  illam  Ostro  Gothi  ultra  annos  .lxx.,  donec 
a  Narsete  lustiniani  imperatoris  praefecto  Italia  pellerentur  &c. 

Nunc  urbs  mediocris  et  munita  satis,  pontifitiae  ditionis.  Nomen 
olim  fuisse  Navennam,  quidam  a  navibus  arbitrantur,  quo  autore 
nescio,  quibus  astipulatur  lacobus  Voraginensis,  et  vidi  illic  nimpham 
ad  urbis  portam  dcpictam,  cum  navi  in  manu,  hoc  epigrammaic  : 
«  Navenna  ». 

Ex  hac  urbe  oriundi  viri  docti:  Cassiodorus  cuius  merainitP.  Dia- 
conus,  Petrus  Ferettus,  episcopus  Miliensis,  Guillelmus  medicus  in- 


28  qA,  "Buchdlius 


signis,  Ioannes  grammaticus  qui  primus  in  Italia  eloquentiae  artem 
restauravit,  Des.  Spretus.  Episcopi  vero  Rhavennates  fuere,  qui  ap- 

paritione  columbae  creati  dicuntur,  divus  Adericus  &c et  Seve- 

rus,  alii  quoque  archipraesules  fuere  Apollinaris,  vir  pius,  natus  in  hac 
urbe  ac  proinde  divus  tutelaris,  cui  in  foro  statua  columnae  mar- 
moreae  imposita,  cum  epigrammate  : 

Apollinari  Rhavennates  prò  voto  posuerunt 

Ioannes  cuìus  iam  meminì,  Leo  41,  Ursus,  Petrus  &c 

XXX.  Antiquas  Rhavennae  relliquias  et  monumenta  ex  vetu- 
state  existentìa  vidi,  ut  ingentis  palatii  deformes  ruinas,  Theodorici 
fuisse  putatur,  Herculìs  quoque  Horarii  sive  potius  Astrologi  statuam 
non  ineruditam,  cuius  explicationem  Steph.  Vinandus  Pigius  dedit. 
Erat  autem  ex  marmore  facies  corrosa,  brachium  honiinum  iniuria 
et  temporum  descriptum.  Inscriptio,  quae  erat  in  fronte  basi  incisa, 
noviter  haec  est: 

Hieionimus  Donatus  Praef.  Herculis  Horarii  reliquias,  ex  Herculanae  regionis  an- 
giportu  in  forum  transtulit,  et  Rhavennatium  antiquitati  DD. 

Pars  postica  hanc  veterem  habet  inscriptionem  : 

Q.  Venerius  Q.  F.  Quiri  Fastus  vixit  ann.  .xvii.  menses  .xi.  dies  .vini.  Q.  Ve- 
nerius  Q.  F.  Quirinus  Manllus  Achaicus  frater  et  Publicia  Priscilla  heredes  fec. 

Ab  uno  latere  erat  «  Sotiricus  »  cum  lepore;  ab  altero  «  Cut  li  il 
«  sius  »  cum  cane.  De  hac  statua  vide,  quae  disserit  Puteanus,  prom. 
epist.  42. 

Ante  Franciscanorum  aedes  est  aedicula  marmorea,  Danti,  illu- 
stri Hetruriae  vati,  consecrata,  in  qua  eius  cum  viva  effigie  sepulcrura, 
cui  tale  inscriptum  epithaphium  : 

S.  V.  F. 

Tura  monarchiae  superos  Phlegetonta  lacusque 
Lustrando  cecini,  voluerunt  fata  quousque. 
Sed  quia  pars  cessit  melioribus  hospita  castris, 
Actoremque  suum  petit  felicior  actus, 
Hic  claudor  Dantes  patriis  extorris  ab  oris; 
Quem  genuit  parvi  Florentia  mater  amoris. 
Virtutì  et  honori. 


Et  ad  dextrum  latus  haec  leguntur: 

Exigua  tumuli  Dantes  hic  sorte  iacebas 
Squallenti  nulli  cognito  pene  situ. 


Iteì"  Italiciim  29 


At  nunc  marmoreo  subnixus  conderis  arcu 

Omnibus  et  cultu  splendidiore  nites. 
Nimirum  Bembus  Musis  incensus  Etruscis 

Hoc  libi  imprimis  quem  coluere  dedit  (i). 

Anno  sai.  .mcccclxxxiii.,  .vi.  kal.  iun.  Bernardus  Bembus  praet.  ex  aere  suo  posuit. 

Ad  hunc  Bembum  extat  Carmen  Angeli  Politiani.  De  Dante  vero, 
cui  cognomen  Aligerius,  ex  antiquissima  familia  anno  Christi  .mcclx. 
nato,  in  Florentinorum  historiis  mentio  fit.  Meminere  praeterea  eius 
Paulus  lovius,  Marullus,  quanto  etiam  amore  literarum  flagraverat 
Aeneas  Silvius. 

In  coemiterio  huius  templi,  monumentum  Hieronimi  Rugini, 
I.  U.  D.  vidi. 

Sunt  tempia  praeterea,  a  Galla  Placidia  Augusta  posita,  divis 
Gervasio  et  Protasio,  variis  marmoreis  sepulcris  celebre,  et  divo  Ioanni 
Evangelistae,  ubi  in  cripta  marmorea  antiqua  haec  legebantur: 

D.  O.  M.  Sub  inferiori  fornice  quas  conspicis  aras  divus  Io.  Evangelista  Orantibus 
constituentibusque  Galla  Placidia  Aug.  beatoque  Barbatiano  consecravit  D. 
Theseus  Aldobrandinus  Bon.  abbas  .v.  in  hanc  pulcherrimam  formam  reduxit 
ann.  .mdlxix, 

Erat  hic  quoque  tumulus  Ioannis  Arragonii  medici.  In  pariete 
vero,  qui  viam  publicam  respiciebat,  erat  marmor  antiquis  his  inscri- 
ptionibus: 

Propugnatori  imperii  Romani  fundato,  |  Quietis  publicae  D.  FI.  Constantino  Max.  | 
Vict.  Semp  Augu.  D.  Claudi  nepoti  divi  |  Coiistantis  filio.  Sertorius  Silia- 
nus    V.  P.  praepositus  fabrice  devotis  |  N.  M.  Q.  E, 

M.  Cocceio  M.  Poi.  Nepoti  j  Trib.  Pleb.  Desig.  Leg.  Pr.  Pr.  ;  I^rov.  in  Siciliae 
quaest.  trib.  |  Mil.  leg.  .xi.  CI.  Seviro  Eq.  R.  !  .xvii.  St.  Primiturus  L  fi  S 
.VI.  vir. 

Vidi  quoque  templum,  nescio  an  divis  Protasio  Gervasìoque  sa- 
crum,  cuius  iam  mcmini;  rotundum  erat  vario  marmore  splendidum, 
pictura  hic  in  coelo  praecipua  exiremiiudiiii,  autoribus  lacobi  Bertulii 
et  lulii  Tondutii,  egrcgiis  pictoribus  facta,  spectantur  passim  varia  an- 
tiquorum marmorum  fragmenta;  unum  nempe  contincns  sacriliciuni 
taurilc,  cum  quatuor  integris  personis,  simulaDtilnis  imperatoris, 
laureatiquc  viri  seminudi  et  duarum  foeminarum  ;  aliiid  quoque  gcnii 
alati  nummuiìi  in  mano  tencntis  et  alios  pucros  itcìii  alatos  draco- 
nem  custodiuntcs.  Ad  templi  iiit!;rcssuni,  est  tuimilus  in.inmirciis  cuni 
gracco  epitaphio,  in  anteriori  parie  erant  trcs  magi  sculpli,  sua  mu- 


Ìuem  b«e 

y  y  imprimis  quem  coluere  dedita. 


30  C^.  ^uchellius 


nera  Deo  ofFerentes;  et  hac  in  veteri  sculptura  aniraadverti  non  co- 
ronatos  ut  hodie  vulgo  videri  magos.  Epitaphium  erat  in  operculo 
marmore  tale  : 

GN  TAyOA  KeiTAI  O  CTf AThlPHCAC  KA- 
ACOC  i  fCOMHNTe(|>Y^^    ^^^   'ABAABH  KAI 

THN   AycHN   Tfìc  ex  \  eNiAyToFc  ToTc 

^  '         ac  '  r>^ 

rAAHNoic    AGcnAorec   icaakioc    tcon 


rv;  ^ 


BACIAGCON  I  O  CyMMAXOC  O  THC  AHACHC 


(-NJ 


AfMeNlAC  KOCHOC  HGrAC  ARMeNlOC  HN  | 

rÀp  OYTOC  ex  AAMnfON  TeKoyc  Toy- 


rvj  0 


V 


TO  .  I  GANONTOC  eyKACUC  H  cyM^lON 
CCOCANNA  CCOc|)fON  TfYTONOC  |  CGMNHC 
TpÒncO  eCTepHMGNH  ANA  nyKNCOC  CTG- 

NAzei  ANApòc  ::  |  ecTepHMeNH   anapa 

AAXÓn  TON  eXKAMANJTON  GyAC^lAN  'GN 
TaTc  I  ANATOAOfc    HA10N_  KaÌ    TH    AyCGI 

crpAToy  rÀp  Hp2.G  thc  aycgoc  |  km  thc 

GCO. 


In  parìete,  lapidem  marmoreum  sepulcralem  integrum  vidi.  Erat 
a  dextris  feminae  simulacrum,  a  sinistris  viri  cum  ara  tanquam  sa- 
crificantis,  hoc  in  medio  legebatur  epigramma: 

Oliae  P.  F.  I  Tertullae  |  .v.  ann.  .xv,  m.  .vini.  d.  .x.  |  Olius  Tertullianus  |  Fil. 
pientissimae  et  sibi. 

In  alio  loco  coemiterii  vidi  antiquae  inscriptionis  fragmentum  : 
Philon  vixit  ann.  .xx.  mens  .vi.  d  ||  ||  || 

In  tempio  divae  Mariae  maioris,  ni  fallor,  hanc  in  pavimento 
inscriptionem  legi: 

Rapìdia  L.  F.  |  Prima  |  C.  Ca  fi  if  i  Celeris. 


Iter  Italìciim  31 


In  Francìscanorum  tempio  est  hoc  sepulcrum  recentius  : 

D.  O.  M.  Nicolao  Sederino  equiti   Fiorentino   exuli   innocentìss.  fil.  in  memoriam 
posuit.  Ann.  .mcccclxxiiii. 

Vidi  et  templum  cum  monasterio,  quod  lacobus  Morandus  iu- 
risconsultus  suo  aere  posuit,  mirabili  genere  nostris  oculis  cucul- 
latorum.  Vidi  sepulcrum  satis  antiquum  Pignatiorum,  et  aliud  Qui- 
rini  Trivilei,  imperatoris  Rhavennatium,  et  de  sancto  Romualdo  hoc 
epigramma  : 

S.  Romoaldus  Ravennas  ex  ducum  stirpe,  vixit  annos  .cxxi.,  quibus  coenobita  tribus, 
eremita  .xcvii.  ann.  fuit. 

Sunt  praeterea  tempia  divae  Agnetae,  divi  Vitalis,  splendidum 
olim  et  marmoreum,  divi  Apollinaris,  quod  olim  divi  Martini  in  coelo 
aureo  vocabatur,  a  Theodorico,  Gotorum  rege,  conditum,  marmore 
multo  splendidum. 

Archipraesul  huius  urbis,  qui  magnis  olim  privilegiis  a  Valen- 
tiniano  fuit  donatus,  adeo  ut  de  principatu  cum  Romano  et  Constan- 
tinopolitano  certare  ausus  fuerit,  sub  se  tredecim  habet  suffraganeos, 
inter  quos  Cerviensem,  Cesenatensem  et  Bononiensem. 

Hic  memorabile  accidit  prelium  inter  Gallos  et  Hispanos.  Hi 
vieti  a  Gastone  Foxio. 

XXXI.  In  domo  civili  hi  versicuH  statuis  recentioribus  inscripti 
legebantur: 

Ut  fueram  multis  quondam  decorata  tropheis 

Et  simul  Adriacis  gloria  prima  locis, 
Nunc  quoque  magnonim  renovantur  gesta  virorum 
Grandia  temporibus  conspice  facta  tuis. 

Sub  altera  legebatur: 

Nomina  Caesareae  fuerant  celeberrima  terrae 

Contulerant  claros  moenia  nostra  duces, 
Quod  tamen  hic  valuit,  nocuit  cariosa  vetustas 

Occulit  en  nostros  herbida  terra  focos. 

De  Rhavenna  sic  canit  egregius  Scaliger  lulius: 

Prima  per  Aemathias  quondam  vetus  edita  silvas 
Adriacum  secult  Thessala  prora  sinum  &c. 


NOVEMBER. 

I.  Eo  quod  propter  falsam  delationem  scelestissimi  nautae  (qui 
nos  tanquam  profugos  apud  urbis  practorcm,  pcregrini.s  satis  iniquum, 
ac  eo  nos  nomino  muliarat,  accusarat)  cura  vel  ultra  dimidium  iusti 


32  qA.  ^uchellius 


pretii  nos  circumvenisset  et  multo  plus  aequo  ìam  ante  accepisset, 
multis  molestiis  implicaremur;  verum  illud  Catonianum  praeceptum 
serius  intellexi,  quo  pedibus  perveniri  posset,  navi  non  incipiendum 
iter.  Sentii  littorale  et  nauticum  hoc  genus  hominum  durum  et  inhu- 
manum  ab  inclementis  elementi  inspiratione : 

Dicebam  Italiae  mores  mentila  benignos 

Decipis  incautos  infida  terra  viros, 
Blandities  libi  fronte  scatent,  sunt  aurei  ocelli 

Sub  quibus  aeternas  fraus  parat  insidias. 

Moneta  hic  cursum  habet  papalis,  iulii,  pauli,  quadrini,  boloi- 
gnezi.  Julius  valet  hic  44  quadrinos,  Romae  tantum  40.  Boligneza 
.VI.  quadrinos,  .vii.  Boloignezi  iulium. 

De  bisce  hominibus  duris  et  ex  elemento  barbaris,  hoc  verum 
esse  arbitror  quod  Cicero  «non  ingenerari  hominibus  mores  tam 
«  a  stirpe  generis  ac  seminis,  quam  ex  iis  rebus,  quae  ab  ipsa  natura 
«  loci  et  vitae  consuetudine  suppeditantur,  quibus  alimur  et  vivimus  », 
scribat. 

IL  Rhavenna  Cerviam  pervenimus.  Oppidulum  est  non  adeo 
vetus,  quamvìs  sint  qui  olim  Philocolim  dictum  putent.  Est  nunc 
sub  papatu,  habetque  episcopum  ac  eundem  cardinalem.  Cathedrale 
autem  rusticanae  aedis  est  instar  templum,  licet  satis  opulentum. 
Cives  sunt  plerique  salarii.  Salis  nempe  hic  magna  copia.  Plura  de 
hoc  oppido  vide  apud  Leandrum.  Episcopum  habuit  divum  Hie- 
rontium  martyrem.  Vide  et  Scradaerum. 

Hinc  Cesenam,  hodie  Cisnatico,  oppidum  antiquum  sed  vetustate 
pene  collapsum  exiguumque.  Olim  veteribus  Curva  Cesena  dictum, 
Boiorum  in  Flaminia  oppidum.  Huius  meminere  Plinius  in  octava 
regione  Italiae,  Strabo,  Procopius,  Ptolemeus.  In  vita  divi  Mauri, 
eius  episcopi,  legitur  Flaviam  Curvam  Papiam  antiquitus  dictam.  Est 
in  via  Aemilia,  ad  pedem  Collis,  ubi  fluvius  Sapis  Plinio,  Isapis  Stra- 
boni,  cui  etiam  Silvius  (lib,  VIII  Poenic.)  meminit  : 
Hos  Aesis  Sapioque  lavant. 

In  ponte  erant  erectae  duae  columnae,  cum  insigniis  Gre- 
gorii  XIII  pontificis,  qui  restaurasse  quaedam  videbatur.  Fuit  diu 
etiam  Longobardorum  temporibus  sub  Romano  imperio.  Hinc  Bo- 
nonìenses  habuere  dominos,  inde  eius  principatum  occupavit  Orde- 
laffus,  post  haec  Malatestae  possederunt,  donec  in  potestatem  ponti- 
ficum  rediret.  Plura  vide  apud  Leandrum  in  Romanula.  Non  magni 
olim  nominis  fuit,  ut  ex  Cicerone  cognoscere  licet,  ep.  ult.  lib.  16. 

Non  procul  hinc  est  coenobium  divi  Mauri,  cuius  monachi  ob- 
servant  regulam  Benedicti.  In  tempio  antiquum  est  marmor  sepul- 


Iter  Italicum  33 


crale  Seiae  Marcellinae,  quod  apud  Leandrum  descriptum  invenitur. 
Coenobium  quoque  hic  est  Franciscanorum  fratrum,  ubi  bibliothecam 
splendidissimam  condidit  Malatesta  Novellus. 

III.  Inde  Ariminum  equites  petivimus.  Praeter  alios  amnes  Ru- 
biconem  notissimum  Romani  imperii  transvecti.  Hic  quondam  finis, 
ut  ait  Plinius,  Italìae,  ad  quem  exercitum  deponere  solebant  Romani 
imperatores,  ante  lulium  Caesarem,  cuius  formula  extat  apud  Cri- 
nitum.  Meminere  huius  praeterea  veterum  Strabo,  Ptolomaeus,  Livius, 
Caesar,  Plutarchus,  Appianus,  Lucanus,  Silius,  Vibius  Sequester, 
Suetonius.  Hodie  Pisatella  vocatur,  cuius  meminere  Leander  Alber- 
tus, Munsterus,  Pigius.  Scradaerus  Pisaere  vocat. 

Ariminum  vero  vetus  oppidum,  cuius  plerique  meminere,  et  ex 
recentioribus  descripsere  Munster  et  Leander.  Item  Pigius,  Laur.  Scra- 
daerus, Moti.  Il  3. 

Est  civitas  mediocris  pontificis  Romani  in  cuius  ponte  antiquìs- 
siraa  haec  erat  inscriptio  maioribus  literis  : 

Imp.  Caesar  Divi  F.  Augustus  Pont.  Max.  Cos.  .xiii.  i  Imp.  .xx.  Tribun.  Potest. 
.xxxvn.  PP.  I  Ti.  Caesar  D.  Augusti  F.  D.  lulii  Nepos  Aug.  Pont.  Max.  ,  Cos.  in. 
Imp.  .vili.  Tr.  Pot.  .xxii.  dedere. 

Umbrorum  coloniam  vocat  Strabo.  Romani  vero,  eo  coloniam 
dedu.-iere  post  bellum  Picentinum,consulibus  Pub.  Sempronio  et  Appio 
Claudio,  ut  autor  est  Eutropius.  Fuit  etiam  civilibus  bellis  .111.  virorum 
in  praedam  militibus  data.  Livius  inter  colonias  vocat,  quae  secundo 
bello  Poenico  fidelem  operam  Romanis  dederit.  Portum  habet,  et  eius- 
dem  nominis  amnem.  A  Gotis  est  capta,  a  Narsete  recepta,  autore 
Biondo;  diu  quoque Malatestas  dominos  habuit,  ut  plenius  apud  Lean- 
drum videre  est.  Aritmus  quoque  nonnulla  huius  urbis  descripsit  in 
EpistoUs.  Arcum  hic  posuit  Domitianus  triumphalem,  portumque  re- 
stauravi!. 

Ad  forum  urbis  hoc  legi  vetus  epigramma: 

C.  Caesar  Augusti  F.  i  Cor.  |  Vias  omnes  Ariminis  |  Erexit  |i  |1  fi 

Haec  Suetonius  in  Octaviano  his  verbis  probat:  «  Quo  auteiiì  d- 
«  cilius  urbs  adiretur,  desumpta  sibì  via  Flaminia  Ariminotenus,  niu- 
«nienda»;  cui  assentit  lulius  Obsequens. 

Ad  basilicam  senatoriam  in  marmore  haec  est  goticis  literis  in- 
scriptio: 

\.  .Mtc.  tempore  D.  Madii  Ari  mini  presul.  Opus  hoc  factum  est. 

Ibidem  nova  haec  inscriptio: 

Mantii  Francisci  regi»  Bungi  Micliaelis  Protasii  Arimanorum  regi?»  «e  fariholo- 
maei  Omurae  principit  lullanique  ^f^a^liniqae  comitum  ab  laponorum  remcti»- 

Archivio  della  /?.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XXI II.        3 


34  G^»  ^uchellius 


sìmisinsulisad  D.Gregorium  XIII  legatorum  .m.  iitiam  susceptam  Christi  (idem 
profiterenlur  optatissimam  Ariminum  adventui  .xvi.  kl.  iulii  publico  sumptu  maxi- 
maque  laetitia  liospites.  mdlxxxv.  Sixto  V  P.  O.  M.  R.  sedente  S.  P.  Q.  AR.  D. 

De  hac  urbe  ita  Scaliger  cecinit: 

Prisca  fui  quondam  civiiis  meta  furoris, 

Sed  non  fortunae  meta  futura  sui. 
Non  tunc  arma  togae,  non  cessit  laurea  linguae, 

Caesaris  est  facere,  haud  sub  Cicerone  loqui. 

Habet  Ariminum  episcopum  Romano  immediate  subiectum. 

Circa  initium  huius  mensis,  templum  Salvatoris  Ultraiecti  (i) 
venumdatum  in  summo  tempio,  ac  lunae,  die  sequentì,  confringi 
coepta;  quamvìs  plurimum  prò  eo  conservando  laborassent  canonici 
frustra;  dicente  Prouningio  cos.  periculum  esse,  ne  tam  vicinum 
Martiniano  gravidaretur. 

Fuere  Ariminenses  Renatus  Melioratus,  Robertus  Ursus  iuris- 
consulti  clarissimi,  Aurelius  Augurellus.  Legimus  et  Mauritium  duceni 
fuisse  Ariminensem,  olim  e  Longobardis  Matheus  Brunius  ic.  Vin- 
cent, Manzinus  ic. 

IV.  Inde  Arimino  exeuntes  equites,  pluvio  nubiloque  coelo  Ca- 
tolicon  pervenimus.  Exiguum  est  oppidulum,  vici  instar,  tabernis  tantum 
diversorìis  visundum.  Duae  hic  portae  iampridem  extructae,  una  Ver- 
cellensis,  Gregoriana  altera.  Non  procul  hinc,  in  mare,  urbis  Conchae 
submersae  quandoque  spectantur  relliquiae. 

Hinc  Picentes  incipiunt,  in  quibus  Pisaurum,  hodie  Pesaro,  sub 
imperio  Urbinensis  reguli.  Antequam  ad  oppidum  perveniremus,  vidi 
in  pago  hanc  veterem  inscriptionem  : 

M.  Sextius  ML.  |  Stabilio  sibi  et  1  M.  Sextilio  M.  F.  |  Patrono  |  Et  M.  Sexto  ML.  | 
Philargo  li  i  H  I  Fratri  |  Ex  testamento. 

Amatus  lusit  in  Ohs.  e.  6: 

Pisaurum  venimus  urbem  antiquam  de  qua 
CatuUus  dixerat  sedes  moribunda  Pisaurì. 
Nane  prò  aere  salubri  et  clementi  fruitur 
Ob  exsicaTas  paludes.  Caeterum  ita  fructibus 
Abundat  et  ad  usum  hominis  necessariis  omnibus 
Ut  hodie  totius  Ilaliae  portus  dicatur, 

Erat  ibidem  sculptura  duorum  incudem  percutientium,  ut  fabros 
ferrarios  dixisses. 

De  urbis  huius  sat  amplae  et  populosae  natalibus  apud  Solinum 
aut  Strabonem  nil  inveni,  nisi  Picenum  sit,  cuius  et  meminit  Mela 

(i)  Utrecht, 


Iter  Italicum  35 


■cum  Pisauro.  Pisaurum  quidam  ab  amne,  quo  alluitur,  Isauro  dictam 
volunt.  Servius  vero  ab  auro  Gallis  appenso prò  Capitolio  per  Camilium 
recuperato  nominatam  credidit.  In  Umbris  collocat  Plinius,  in  Seno- 
nibus  Ptolomaeus.  Meminere  eius  saepe  Livius  et  Procopius.  Vel- 
leius  lib.  I,  Miletus,  Romanos  urbis  conditores  facit,  anno  a.  C.  .Dcxxxiii. 
^c  inde  coloniam  effectam  cum  Mutina  et  Parma. 

Quae  de  magistratu  ac  dominis  huius  urbis  scripsit  Leander,  suf- 
ficient.  Portum  habet  vadis  arenisque  obstructum,  ita  ut  ab  agaso- 
nibus  magis  quam  nautis  frequentetur,  est  tamem  mercatoribus  Ce- 
lebris. Vidi  quoque  plures  in  foro  inscriptiones  antiquas.  Velleius 
Paterculus,  CI.  Pulcro  et  L.  Porcio  Licinio  consulibus  quadriennio 
post  Bononiam  coloniam  effectam,  scriptum  reliquit.  De  hac  sic  Sca- 
lìger  : 

Hic  Romae  fulsit  primum  spes  ultima  victae, 

Unde  loco,  atque  urbi  nomina  ducta  canunt. 
Dum  Gallus  Romana  actis  imitatur  avitis 

Arma,  premens  arma  Romula  victor  adest. 
Postquam  e  sollicita  posuit  discrimina  mente, 

Torpuit  occulto  dextra  soluta  metu. 
Ah  !  Quid  agis  soboles  priscorum  invida  Deorum  ? 
Rerum,  non  auri  summa  petenda  libi  est. 

Episcopum  habet  haec  urbs  immediate  pontifici  Romano  ser- 
vientem. 

Viri  eruditione  illustres  ex  liac  orti:  Pandulphus  Collenucius, 
•Guido  Posthumus,  Simon  de  Praetis  ic,  Accius  antiquissimus  poeta. 

Urbis  ad  portam  hoc  legi  ducis  elogium: 

Guido  Ubaldus,  pavor  et  terror  hostium. 

Sequitur  Fanum  Fortunae,  oppidulum  ad  mare  Hadriaticum  an- 
tiquum,  hodie  F  an  e  i,  Melae  Phanestris  colonia;  ahi  quoque  Fanum 
Piceni  et  Umbriae  dixerunt.  Coloniam  ibi  deductam  ab  Augusto  putat 
Pigius,  dicitque  a  Constantini  Magni  filiis  restauratam.  Fanum  Fortunae 
vocat  Plinius,  quo  nomine  et  Strabo  vocat  ac  Aurelius  Victor  (apud 
quod  Victor  in  praelio  fuit  Aurelianus  imperator)  et  Tacitus. 

Episcopos  habuit  Cosmum  Gerium,  viros  doctos,  Hieronimum 
-Capilupum,  nescio  etiam  an  bine  orti  Gaurici  Lucas  ac  Pomponius, 
eruditione  varia  clari,  et  lacobus  Taurellus  cuius  meminit  Angelus 
Rocca  in  bibl.  Vat.  de  liter.  Etruscis,  loh.  Babt.  Flavius  Fanestris, 
Martinus  de  Fano  ic,  Octavius  Cleophilus. 

In  inscriptione,  quae  ibi  est  in  ambita  Augustinianorum  et  apud 
Smetium  fol.  76  legitur,  est:  «  Col.  lulia  Fanestris»  et  in  alia  « Co- 
«  Ionia  lulia  Fano  Fortunae». 


^6  qA.  "Biichelliits 


Inscriptionum  variarum  huius  loci  meminit  num.  .xi.  Mart.  Sme- 
tius.  Inscriptionis  vero  Pisaurensis  fol.  76  Fanestr.  Faeminae  huius 
loci  commendantur. 

V.  Forum  Sempronii  intravimus.  Meminit  Foro  Sempronien- 
sium  Plinius,  in  sexta  regione,  oppidum  Straboni,  Ptolemaeo,  Anto- 
nini Itinerario  notum;  hodie  Fossumpron  vulgo.  Pendei  ex  montis. 
radice  non  procul  ab  Apennini  iugis.  Habet  quoque  episcopum,  quamvis 
sub  dominio  Urbìnatium  principum  esse  credane  Vide  Leandrum  de 
hoc  in  Piceno.  Episcopus  huius  urbis  immediate  Romano  pontifici 
subest,  Habet  flumen  Metaurum.  Ex  hac  civitate  oriundus:  Benedi- 
ctus  de  Vadis  ic,  Franciscus  Morus  Saracenus.  Thomas  Actius  epi- 
scopus fuit.  Paulus  Germanus  Migdelburgensis  vir  doctus,  de  quo  in 
Epist.  II  Bembi,  ep.  18. 

Inscriptiones  .viii.  huius  loci  inter  suas  dat  Smetius.  Episcopus 
quoque  fuit  Io.  Guidoccionus.  Foro  Sempronii  fuit  quoque  Hyero- 
nimus  Gigantis  ic. 

Hinc  per  dorsum  Apennini  iter  arripuimus,  et  viam  Flaminìam 
(cuius  multis  in  locis  apparuere  vestigia,  cum  eam  Gregorius  XIII 
pontifex  Romanus  ante  paucos  annos  restaurali  fecerit)  calcavimus. 

De  via  Flaminia  sic  Strabo  lib  V  :  «  Eodem  in  consulatu  M.  Le- 
«  pidus  et  C.  Flaminius  collegae  fuere,  victores  autem  Ligurum  stra- 
«  vere,  hic  quidem  Flaminiam  e  Roma  per  Tusciam  et  Umbriam 
«  usque  Ariminum,  alter  reliquum  porro  usque  Bononiam  ». 

Forum  Sempronii  multa  habet  antiquitatis  vestigia  praeter  aquae- 
ductus,  nempe  vias  silicatas,  columnas,  plurima  item  marmore  disiecta 
cernuntur. 

Erat  ibi  porta  ex  rupe  cavata  longitudinis  .l.  passuum,  supra  quam 
legebatur  literis  tamen  paene  fugientibus  haec  inscriptio: 

Imp.   Caesar  Augustus  |  Vespasianus  Don  BoN|iMOiiii]iilig  Imp.  .xvii. 
M  y  1  il  li  i  I  Po  Cos  il  il  il  il  il  il  il  il  il  e  I  C.  F  il  C.  o  AC  o  Uno  Da-^ 

cusiilii(i). 

Aurelius  Victor  in  Vespasiano  huius  rei  sic  meminit:  «  Tunc  ca- 
«  vati  montes  per  Flaminiam  sunt  prono  transgressu  ».  Vide  Cassio- 
dorum,  Var.  12,  ep.  i8. 

Apenninus  vero  mons  dictus  videtur,  quod  media  sua  latitudine 
Poenini  iuga  contingat,  vel  ab  Api  prisco  duce,  qui  totam  devicit  Ita- 

(i)  Relativamente  al  valore  del  Buchellio  nel  campo  epigrafico,  giovi  riferire  il- 
giuJizio  che  ne  esprimono  il  Mommsen  e  lo  Henzen  nella  prefazione  al  volume  VI 
del  C.  I.  L.  p.  Liv,  n.  liv:  «  Lapides  quos  refert  ipse  vidit  descripsitque,  praeter 
«  paucos,  ex  Marliano,  Crinito,  Fabricio,  similibus  auctoribus  petitos.  Postea  adiectae  sunt 
0  i  1  marginibus  ab  ipso  auctore  paginae  Smetii,  Lipsii,  Manutii,  interdum  etiam  Gfuteri.- 
«Bjchellius  parum    accurate    lapides  descripsit  ».  '     -  ■    , 


Iter  Italicum  37 


liam;  perpetuum  mentis  huius  iugum  instar  est  Italiae  dorsi.  De  hoc 
Strabo:  «  Sunt  nempe  isti  montanum  dorsum  »  &c.,  et  Plinius  de  eo 
in  haec  verba:  v  Apenninus  mons  Italiae  amplissimus  »  &c.  Et  Polv- 
bius:  «Apenninus  mons  paulo  supra  Inferum  mare  ab  Alpibus  oritur, 
moxque  se  magis  atque  magis  ab  ilio  disiungens,  recto  dorso  in  Su- 
premum  mare  fertur  fere  usque  ad  Senam,  unde  rursus  ad  dextrnm 
flectens  per  mediam  Italiam  in  Siculum  fretum  discurrit«:  Dionis. 
Dò  sita  orhis,  versu  339  et  seqq,  : 

Media  autem  ambarum  panditur,  Ausonia  teilus 

Longe  extenta  :  quam  quidem  mediam  mons  bifariam  secat. 

Post  hos  autem  sagax  gens  est  illustrium  Latinorum. 

Nunc  de  Italia  pauca  dicam,  de  cuius  nomine  multi  multa  et  in 
primis  Goropius  Becanus:  «  olim  quoque  appellata  dicitur  Oeno- 
«  tria  »  &c. 

Hinc  Caia  et  Aqualania  vici  occurrunt  ignobiles  et  campus,  in 
quo  pugna  Narsetis  cum  Totila,  Gotorum  rege  (i). 

Post  quos  Cantianum,  oppidum  cum  arce  in  colle,  et  fluvio 
eiusdem  nominis,  conditum  ob  urbis  Luceolorum  non  procul  olim 
hinc  existentis  ruinam;  cuius  meminit  in  Piceno  Leander  et  Volate- 
ranus,  lib.  6,  qui  Franciscum  Cantiani  principem  nominar. 

VI.  Ad  oppidulum  pontifìcium  Sigellum  perveni,  Perusini  agri, 
•quod  sequitur  Gualdum  Appennini,  oppidum  a  Longobardis  conditum. 

Deinde  civitas  Nuceria  mediocris.  Huius  meminit  Strabo,  ad  viam 
Flaminiam,  et  dicit  ibi  vasa  lignea  fabricari  solita,  et  Ptolomeus. 
Plinius  Nucerinos  Favonienses  memorat  lib.  Ili,  ad  differentiam  cae- 
terarum  civitatum  hoc  nomine  dictarum.  Habet  episcopum  imme- 
diate Romano  subiectum.  Leander  cum  Biondo  Alfateniam  a  Livio 
nominatam  esse  putat. 

F  u  1  i  g  n  o  item  mediocris  civitas  amoena  in  valle.  Fulgineum 
vocat  Cato,  Appianus  vero  Fulcinium;  meminit  et  Silius: 

.  .  .  Parvoque  iaccns  sine  moenibus  arvo 
Fulginea. 

Plinius  Fulginates  ponit  in  sexta  regione  Italiae  ;  Biondi  vero  opi- 
nionem  de  hac  et  aliorum    vide   apud  Leandrum  in  Umbria  Itaìiae. 

(t)  Allude  alla  battagli*  combattuta  nella  eatate  del  $53  fra  Totila,  che  aveva  metto 
-campo  presso  l'Apennino  in  luogo  detto  Tagina,  e  Kartete  attendato  ad  Busta 
G  aliorum.  Totila,  tirato  fuori  dalla  battaglia  agonizzante,  mori  e  fu  sepolto  in  un 
terreno  detto  Capra.  1  luoghi  traversati  dal  Buchelio  sono  Cagli,  Ac^ualena,  Can- 
aliano,  Sigillo,  Gualdo  Tadino,  Nocera,  Foligno.  Questa  parte  dell'  itinerario  pende  evi» 
dcntemente  dal  Biondo,  Ilal.  illuslr.  ed  Tor.  i$37,  p.  80.  Intorno  alU  battaglia  del  J52, 
-cf.  anche  la  nuova  edizione  di  Proeopio  curata  dal  Comparitti,  III,  319,  «  le  autoritl 
citate  dal  Comparctti    iteiio. 


38  qA.  'Biichellius 


Est  iam  Spoletini  ducatus,  habetque  episcopum,  qui  immediate  Ro- 
mano subest.  Fulginatium  meminit  Cicero  in  orat.  prò  Corri.  Balbo^ 
Fulgineae  officinae  sunt  chartaceae,  ubi  charta  conficitur  praestantis- 
sima.  Silvester  Telius  vir  doctus  fuit  Fulginas. 

Circa  vesperum  Spoletum  pervenimus.  Civitas  est  in  monte  an- 
tiqua et  Celebris.  Fuit  colonia  Romanorum  in  Umbria,  inter  fideles 
populo  Romano  bello  Poenico  II  numerata  a  Livio.  Meminere  huius 
Strabo,  Plinius,  Florus,  Appianus,  Cato.  Et  vide  ante  omnes  Lean- 
drum  in   Umbria. 

Viri  eruditione  clari  ex  hac  oriundi,  C.  Melissus,  Celebris  gram- 
maticus,  cuius  vitam  descripsit  Suetonius,  P.  Cornutus,  orator  insignis^ 
teste  Cicerone,  Ludovicus  Pontanus  ic,  Petrus  Leonius  medicus. 

Habet  hodie  antiquitatis  Romanae  quaedam  monumenta,  sed 
pauca,  et  inscriptiones. 

Estque  satis  etiamnum  populosa,  sed  propter  ascensum  et  de- 
scensum  incommode  sita. 

Quietem  sumpsimus  in  suburbio,  ubi  more  germanico  excepti 
laute,  vinumque  spoletinum,  a  Martiale  commendatum  bis  versibus: 

De  Spoletinis  quae  sint  cariosa  lagenis 
Malueris,  qiiam  si  musta  Falerna  bibas, 

bibimus.  Aderat  hic  nobis  monachus  ex  eorum  numero,  qui  se 
Minores  vocant,  ex  Belgia  redux.  Hic  mira  narrabat  et  dubito  an 
credenda.  Tandem  aderat  et  hospes,  is  Ungariam  viderat,  monachus 
noster  et  eandem  se  vidisse  et  perambulasse  asserebat,  et  loca  quaedam 
enumerare  satis  barbare  incipiebat;  contradicit  hospes,  monachus  re- 
prehensionis  impatiens  pugnis  certat,  non  verbis  respondit;  hospes 
ut  acceperat  reddit;  tum  monachus  exclamare,  iurare,  dicere,  apud 
pessimos  se  hereticos  versatum,  ubi  nihil  tale  unquam  sibi  accide- 
rat,  quod  hic  in  media  regione  Italiae,  imo  in  ipsius  pontificis  maximt 
regno;  statim  cucullam  exuere,  ibique  piane  militem  gladio  armatum 
vidisses;  nos  qui  socii  aderamus  placare  hominem  conati  sumus,  idem 
famuli  hospitis,  frustra,  nani  cum  vendicare  ut  vellet  se  non  posset^ 
nocte  media  abiit,  irarum  plenus,  nec  unquam  nobis  deinde  visus. 

Episcopum  habet  haec  civitas  immediate  Romano  pontifici  sub- 
iectum,  ex  quorum  numero  fuit  lacobus  Camplo,  sub  Martino  V  pon- 
tifice  Romano  (i). 

Inter  antiquas  Smetii,  inscriptiones  huius  loci  inveni. 


(i)    Iacopo    de    Campello    resse    la    chiesa  spoletina,  in    sostituzione    del    vescovo- 
Giacomo  Tordi,  tra  il   1419  e  il  1424..  Fu  poi  promosso  al  vescovato  di  Carpentras. 


Iter  Italìcum 


39 


Extra  urbem  teraplum  est  antiquissimum  Concordiae  (i). 

In  palatio  Theodorici  a  Narsete  restaurato  (2)  ius  dicunt  septem- 
viri,  quibus  in  Consilio  adsunt  alii  .lx.  consiliari],  summa  tamen  po- 
testas  est  penes  prefectum  pontifìcium.  De  templis  et  monumentis 
recentioribus  Scradaeus. 

VII.  Via,  quae  Ternos  ducit,  partim  aspera  et  montosa,  olea- 
stris  circumdata,  qui  salicum  instar  crescunt  tanta  copia,  ut  integras 
easque  amplas  silvas  efficiant;  parte  ubi  oppido  propior  planior  com- 
modiorque. 

Terni  vetus  oppidum,  Interamna  Nahartis  sìve  Martis,  ut  apud 
Plinium  corrupte,  et  difFerentiam  alterius  ad  Lyrim. 

Fuit  ex  coloniis  Romanorum,  quae  militiam  contra  Annibalem, 
bello  Poenico  II  detrectarunt,  ut  Livius  auctor  est,  unde  a  Romanis 
cum  caeteris  impunita  non  mansit,  ut  idem  scribit.  Meminere  et  hu- 
ius  Strabo,  Ptolemeus,  Florus,  Tacitus,  et  vide  Pi  gium,  Leandri  et 
meam  hic  opinionem  reprehendentem. 

In  medio  foro  vidi  columnam  marmoream  antiquam,  liane  item 
inscriptionem  veterem  in  tabella  marmorea: 

A  Pompeio  A.  F.  |  Clu.  Q.  Patrono  Municipi  |  Interamna  Nahartis  ;  Quod  eiiis 
opera  |  Universum  Municipium  [  Ex  summis  periculeis  j  Et  difficultatibus  1  Expe- 
ditum  I  Et  conservatum  est  |  Ex  testamento  Licini  F.  F.  |  Statua  slatuta  |  Est. 

Est  et  ibi  basis  marmorea  cum  Neptuni  simulacro  inscuipto  atque 
hoc  epigrammate  antiquo: 

Neptuno  sacrum  j  L.  Valerius  Necri  lib.  Menander  |  Portitor  ocrisiae. 

In  utroque  latere  navigantes  conspiciuntur,  in  postica  parte  basis 
sacrificans. 

In  tempio  Dominicanorum  vidi  lapidem  sepulcralem,  Constan- 
tino  divo  Constnntino  in  Neophito  positum. 

Non  procul  bine  imperator  Gallus  cum  filio  Volusiano  ab  exer- 
citu  suo  occisi,  ut  reiert  Victor. 


(0  Fuor  di  Spoleto  non  ci  sono  altri  templi,  eccetto  quello  detto  del  Clitunno,  che 
alcuni  vogliono  edifizio  de'  tempi  incirca  Constantiniani,  altri  del  sec.  xi  ed  opera  del 
marmorario  Melioranzio  o  della  sua  scuola.  Vedi  De  Rossi,  Bull,  crisi,  iSyi.pp.  71-120, 
e  Hartmann  Grisar,  Suovo  Bull,  arch,  crist.  1895,  I,  ^2-S7.  Gli  scrittori  di  antichità 
spoletine  credono  nondimeno  alla  esistenza  di  un  tempio  della  Concordia,  con  le  spoglie, 
e  nel  sito  del  quale  sarebbe  stata  edificata  la  chicM  tuburbana  del  Salvatore.  A  questo 
forse  accenna  il  Buchellio. 

(2)  Il  «  palatium  Theodorici  a  N.irsete  restauratum  »  non  è  altro  che  l'  anfiteatro 
spoletino  ridotto  a  castello,  al  tempo  delle  guerre  gotiche,  mediante  la  muratura  degli 
archi  terreni.  Si  veggono  ancora  le  vestigia  dell'  anfiteatro  e  delle  opere  di  difesa  éet 
•ecoli  v-vi  dentro  e  sotto  l'en-collcgio  de' Gesuiti,  ridotto  a  caserma  circa  il  i86a. 


4Q  QA.  ^iichellius 


Episcopus  huius  urbis  Romano  tantum  pontifici  subiacet,  cae- 
teris  exemptus.  Johannes  XIIII  pontifex,  episcopus  fuit(i). 

Nomen  habet  quod  inter  amnes  est  constituta,  teste  Varrone.  Ab 
Hadriano  VI  factus  episcopus  huius  oppidi  Franciscus  Cheregatus, 
cuius  meminit  Erasmus  Ubb.  12  et  19  Epìstol.  Johannes  FonsaHda, 
Hispanus,  episcopus  1495  (2). 

Facta  colonia  Romanorum  anno  post  captam  a  Gallis  urbem 
.ccccxv.  secundum  Velleium  Hb.  I.  Lucam  Antonium  Thomasonium 
hinc  ortum,  virum  re  militari  in  Galliis  prestantem,  legi. 

Posthaec  ad  Narnos  sive  Narniam  perveni,  Nequinum  olim  vo- 
citatum,  Plinio  teste,  et  incolae  Nequinates.  Coloniam  hic  romanam 
deduxit  Q..  Flaminius,  ut  author  est  in  eius  vita  Plutarchus.  Memin't 
huius  quoque  Livius,  inter  colonias  romanas  quae  militiam  contra 
Annibalem  detrectaverint.  Tacitus  quoque  et  Martialis  nec  non  Clau- 
dianus  hoc  versiculo: 

Gelsa  dehinc  patulum  prospectans  Narnia  campum. 

Habet  Narem  fluvium,  unde  nominis,  ut  videtur,  origo,  qui  hinc 
paulo  post  supra  Periculum,  exiguis  navigabilìs  navigiis,  Tyberim  in- 
fluit.  Alterius  fluminis  eiusdem  nominis  meminit  Mela,  qui  ex  monte 
Scardo  in  mare  Adriaticum  se  exonerat. 

Florentibus  Langobardorum  in  Italia  rebus  a  Spoletinorum  duce 
capta,  Leonis  imperatoris  imperio. 

Narniensis  episcopus  immediate  pontifici  Romano  subest. 

Fluvius  Nar  sulphureo  odore  gaudet,  ex  fontibus  ut  credo  unde 
proveniat,  quod  indicatur  hoc  versu  : 

Nar  vitiatus  odore  sulphureo. 

E  Ficello  monte  deflluere  tradit  Spiegelius. 

Inscriptiones  huius  loci  sunt  ai.  apud  Smetium. 

Templum  habet  summum  divo  luvenali  (3)  dicatum  martyri  et 
episcopo. 

Pontem  habet  antiquissimum  summae  altitudinis  (4),  cuius  partem 
vidi  temporis  incuria  collapsam;  solebat  haec  duos  praealtos  montes 
coniungere  subterlabenteflumine.  Hunc  ab  Augusto  constructuni,narrat 


(i)  Pietro  di  Canevanova,  Giovanni  XIV  (984-685),  fu  vescovo  di  Pavia  non  di  Terni. 

(2)  Giovanni  da  FonsaHda  spagnuolo,  cameriere  segreto  e  segretario  di  Alessandro  VI, 
bibliotecario  della  Vaticana,  vescovo  di  Terni  dal  1494,  -j  1498.  Fu  sepolto  in  Roma  in. 
S,  Giacomo  degli  Spagnuoli. 

(3)  Giovenale  primo  vescovo  narniense  -}-  369. 

(4)  Il  solo  arco  che  sopravvanza  dei  tre,  quello  della  sponda  sinistra  é  alto  m.  19.80 
sul  pelo  magro  del  fiume. 


Ilcr  Italie 


:iun 


41 


Procopius,  haud  unquam  arcus  pontls  excelsiores  a  se  visos  scribens. 
Martialis  huius  pontis  quoque  hoc  disticho  meminit,  lib.  VII,  92  : 

Sed  iam  parce  mihi  nec  abutere  Narnia  Quinto 
Perpetuo  lìceat  sic  tibi  ponte  fruì. 

Quaedam  etiam  de  hac  civitate  Stephanus  Piglus,  quemadmodum 
et  de  Otriculis,  in  Principe  suo  rettulit. 

Oriundus  hinc  Nerva  imperator,  teste  Aurelio  Victore;  Galeo- 
tius  quoque  Martius,  vir  eruditione  clarus,  et  Gatta  Melata,  vir  belli 
gloria  illustris,  sepultus  Patavii. 

Pene  dirutum  hoc  oppidum  a  Caesareanis,  cum  Roma  sub  Ca- 
rolo V  expugnaretur. 

Inter  Narniam,  Otriculum,  Spoletum  ac  Romam,  apud  pontem 
Sanguinarium  ab  eius  caede  dictum,  Aemilianus  in  Mesia  imperator 
creatus  a  suis  occisus,  quemadmodum  apud  Interannam  Gallus  et  Vo- 
lusianus,  paulo  ante,  a  suis  fuerant  trucidati. 

Est  inscriptio  apud  Smetium,  fol.  90:  «  C.  Coruncani  Ocriculae 
«  leg.  .XXI.  rapacis  mil.  ».  .v.  inscriptiones  huius  oppidi  dat  Smetius 
in  suis  Anliquitatihus. 

Narniensis  dicitur  fuisse  Ioannes  XIII,  papa  Romanus  (i). 

De  Cassio  Narniensi  episcopo  vide  Dial.  3,  cap.  6  Gregorii  pon- 
tificis,  de  Fulgentio  autem  Otriculano  cap.  .xii.  Fuit  et  Marius  Arcas 
Narniensis  ic.  Inter  scriptores  suo  tempore  illustres,  celebrat  lovius 
in  Elog,  Galeotum  Martium  U.  D.  In  Martyrol.  Usuardi  est  luvenalis 
Narniensis  episcopus  et  confessor,  63. 

Circa  vesperum  ad  Otriculum  perveni.  Oppidulum  est  perob- 
scurum  cum  arce  in  colle.  Est  autem  pervetus,  cuius  meminere  Strabo. 
Plinius,  Livius,  Ptolomeus,  Itinerarium  Antoninum.  Non  longe  hinc 
veteris  oppidi  plurimae  spectabantur  relliquiae,  Inter  quas  et  amphi- 
theatri  ampia  vestigia. 

Flaminea  via  olim  continentibus  aedificiis  ab  Otriculis  Romam 
usque  adeo  saepta  erat,  teste  Ammiano  Marcellino,  ut  ibi  prima  urbis 
initia  crederentur.  De  hac  via  celeberrima  et  sepius  restaurata,  vide 
Marlian.  lib.  VII,  cap.  xiii. 

Vili.  Hinc  post  iter  planum  flumen  Tiberis  traiecimus,  trium 
baiocorum  pretio  (2).  Tiberis  olim  Albula,  unde  poeta  «  Albula  pota 
«  Deo  »,  a  Tyberino  Latinorum  rege,  in  hoc  demerso,  nomen  habet, 
ut  autor  est  Eutropius  (diversas  tamen  opiniones  adfert  Varrò),  ex 


(0  A.  96$-97a. 

(3)  Il  ponte  di  Augusto  fu  ntardto  da  Sisto  quinto  (ponte  Felice,  «.  1589)  pochi 
mesi  dopo  che  il  BucheUio  aveva  traghettato  il  fiume  alla  •  scafa  •  di  Borghetto. 


42  Qyi.  ^iichellius 


Apenninis  montibus  effluir,  atque  pluribus  augetur  flurainibus,  ac  per 
Hetruriam,  Umbriam,  Sabinos,  Latinos  excurrit  in  mare  Tirrhenum. 
Ab  albo  colore  olim  appellatum,  refert  Pesti  abreviator.  Vide  Aeihici 
Cosmograh.  ©uappiv,  apud  Dionis. 

Sequitur  Castellum  sive  Civita  Castellana  oppidulum,  Tiphernum 
antiquibus  dictum  putant.  De  quo  vide  Plinium.  Quidam  putant  Fe- 
scennium  fuisse,  de  quo  Vergilius: 

Hi  Fescenninas  acies  equitesque  Faliscos. 

Typherni  dominium  diu  tenuit  gens  Vitellia,  nobilis  et  bellicosa, 
unde  prodiere  Nicolaus,  Camillus,  Paulus,  Vitellotius,  Alexander,  Ca- 
pinus  (i). 

Castrum  Felicitatis  dictum  putat  Platina  et  inde  ortum  Cele- 
stinum  II,  pontificem  Romanum. 

Habet  hodie  episcopum,  Romano  tantum  pontifici  subiectum. 

Non  procul  aperte  viae  Flaminiae  apparebant  relliquiae,  iussu 
Gregorii  XIII  pontificis  purgatae,  ut  indicabat  hoc  epigramma: 

Clarax  Columna  viam  Flaminiam   sentibus   et  terra  obrutam   purgar!  fecit,  iussu 
PP.  Gregorii  XIII. 

Qui  hanc  viam  multis,  ut  ante  dixi,  locis  perpurgavit,  quod  et 
iam  ante  Pium  III  pontificem  tentasse  accepimus.  Apparent  autem 
vestigia  illa  tot  seculis  terra  et  sentibus  obruta,  quae  omne  opus 
novum  longe  post  se  relinquunt  magnanimitatis  simul  et  potentiae 
Romanorum  inditia.  Sunt  nani  viae  illae  stratae  (quemadmodum 
Appia,  Campana,  Aemilia,  Latina  et  reliquae,  quarum  hodie  plurima 
extant  vestigia)  lapidibus  magnis  rotundis  aequalibus,  eo  ordine,  ut 
vix  incommodum  uUum  sentiant  euntes.  Latera  marmoreis  lapidibus 
munita  sunt  ne  luto  conspargantur.  Varii  ex  ordine  aquaeductus  ad- 
sunt,  quibus  pluvialis  aqua  omnis  statini  defluat.  Eani  in  rem  montes 
fuere  planati,  valles   aggeribus    aequatae   communi  terrae,  ut  omne 


(i)  L'A.  scambia  Civita  Castellana  (Faleria)  con  Città  di  Castello  (Tifernum  Ti- 
berinum)  patria  e  dominio  dei  Vitelli.  I  Kicolò  furon  due:  il  seniore,  capitano  del  1439, 
il  giuniore,  capitano  e  tiranno  di  Castello  del  1474-1515.  Paolo  fu  capitano  dei  Veneti 
e  de'  Fiorentini  del  1487;  Alessandro  generale  di  Santa  Chiesa  dal  1525  al  1530:  Chiap- 
pino, capitano  di  Toscana  e  di  Venezia  dal  1510  al  1555.  Del  famoso  cardinal  Vitellozzo 
non  occorre  parlare.  Cf.  Gregorovius,  Storia  di  i?owfl,  VII,  93  sg.  514-559;  Giovanni 
Gallo,  Historin  della,  casa  Vitelli  in  cod.  Vat.  7125,  e.  129  sg.  Il  cod.  Vat.  7246  con- 
tiene pure  notizie  genealogiche  della  famiglia.  Avevano  «  palazzotto  »  e  giardino  in  Roma, 
sul  monte  di  Magnanapoli.  L'iscrizione  sulla  porta  d'ingresso  diceva:  «  Vitelliorum  gens 
a  coeli  salubritatem  et  situs  amenitatem  secuta  locum  hunc  instauravit  et  exomavit 
«  .MDL.xxv.  ».  Cod.  Barb.  XXX,  89,  e.  509. 


Iter   Italìcum  43 


incommodum  tolleretur,  in  quantum  humanae  vires  patiebantur  et 
ingenia,  imo  ut  iam  vulgus  a  geniis  olim  factas  fabuletur  (i). 

Inde  ad  Primam  Portam  pervenimus,  et  relliquias  prisci  aevi  vi- 
dere  coepimus  infinitas,  nam  circa  viam  mortuorum  pallatia  con- 
speximus,  cum  olim  in  more  positum  fuisse  constet,  extra  urbem  cor- 
pora  sepelire,  idque  propriis  in  podiis,  quod  et  iam  olim  a  patribus 
fidelibus  antiquissimis  seculis  factitatum  legimus.  Haec  vero  via  Fla- 
minia quemadmodum  et  Latina  utrimqe  perpetui  instar  vici  aedificiis 
sepulcralibus  occupabatur;  testes  veteres  scriptores,  et  alludit  hoc 
versu  luvenalis: 

Experiar  quid  concedatur  in  illis 
Quorum  Flaminia  tegitur  civis  alque  Latina, 

et  alia  quaedam  monumenta,  quorum  usus  temporis  iniuria  et  bar- 
barorum  deformata  nos  fugiebat,  at  praecipuum  in  colle  semidi- 
rutum  nescio  deorum  an  hominum  monumentum,  variis  ambagibus 
religiosum  (2).  Hic,  nescio  an  fabula,  auri  cupiditate  conficta,  genios 
apparuisse,  et  grande  thesaurum  latere  indicasse  ferunt.  Iam  Romani, 
qui  semper  inexplebili  avaritia  torquentur,  fallacibus  geniorum  dictis, 
vel  falsis  quorundam  nebulonum  figmentis,  an  pueri  delirio  tìdem  ha- 
bent,  et  terrae  sedulo  scrutantur  viscera.  Tum  nescio  quid  marmoris 
invenerunt,  qua  spe  refecti  magnum  se  thesaurum  consequuturos 
credunt  (3). 

IX.  Tandem  pontemMilvium  transgressi,  olim  tempore  Neronis  il- 
lecebris  nocturnis  celebrem  (4),  suburbium  intravi,  variis  sumptuosis- 
que  aedificiis  spectandum  ac  ipsam  denique  urbem  Romani,  .v.  idus 
novembr.  (5).  Quae  muris  continetur,  cuius  ante  multos  annos  summo 


(i)  Nel  tronco  della  Flaminia  tra  Civita  Castellana  e  Prima  Porta  si  conservano 
ancora  molti  avanzi  del  selciato  antico,  alla  Madonna  della  Guardia,  a  Malborghetto,  a 
Pietra  Pertusa  &c.  Non  si  ha  altrimenti  notizia  dei  lavori  eseguiti  da  Clarice  Colonna 
pel  giubileo  del  1575,  pei  quali,  secondo  l'uso  dei  tempi,  avranno  fornito  materiale  i 
sepolcri  mentovati  più  sotto. 

(2)  \el  «monumentum  semidirutum  in  colle,  variis  ambagibus  religiosum»  rico- 
noscerei gli  avanzi  della  villa  di  Livia  ad  GnUinas  albas. 

(3)  Rimangono  anche  oggi  avanzi  cospicui  di  mausolei  presso  al  ponte  di  Prima 
Porta,  alla  Celsa,  alle  Due  Case,  a'  Fosso  della  Valchetta,  a  Grottarossa,  nelle  vicinanze 
del  sepolcro  dei  Nasonii,  e  nelle  piane  di  Tor  di  Quinto.  Quest'ultimo,  scoperto  nel 
gennaio  1876,  è  stato  ricostruito  nel  1897  sulla  fronte  della  villa  Blanc  in  via  Nomen- 
lana.   Vedi  Ari  bivio  storico  ilei!' arte,   1897,  p.    54  sg. 

(4)  Tacito,  Ann.  XIII,  47;  Hisi.  l,  87. 

(5)  Aveva  dunque  impiegati  circa  venticinque  giorni  nel  viaggio  dal  Brenner  a  Roma 
(  <  .XV.  kal.  nov  -  .v.  id.  nov»).  Si  può  ricordare,  a  proposito  dell'ultima  pane  del 
percorso  da  Civita  Castellana  a  Roma,  che  gli  osti  e  gli  albergatori  della  via  Flaminia 
erano  noti  per  i  prezzi  esorbitanti   che    pretendevano    dai  viandanti.    Nel    bando  del  ca- 


44  G/^-  ^uchellius 


desiderio  flagrabam,  iam  me  felicem  etiam  in  summa  inopia  puta- 
bam,  cui  contigisset  calcare  hoc  orbis  caput.  O  !  inquam,  oculi  beati, 
qui  tot  heroum  vestigia,  tot  regum,  tot  consulum,  tot  imperatorum 
perpetua  monumenta  vident,  tot  santorum  martyrum  supplitii  theatra, 
eorumque  a  piis  viris  collectos  cineres,  qui  Phidias,  Praxitelis,  Gly- 
conisque  manus  pellustrant.  O  !  Felix  lingua,  quae  haec  tuis  enar- 
rare poteris. 

Haec  igitur  urbs  Roma  occulto  sacrorum  nomine  Valentia,  ut 
scriptores  tradunt,  cum  sit  urbium  princeps,  ac  totius  olim  fuerit  caput 
orbis;  quae  tot  viros  illustres  et  coelo  dignos  protulit,  merito  omnes 
fere  totius  orbis  scriptores,  ad  se  exornandam,  invitavit.  Graecorum 
hanc  illustrarunt  Halicarnassaeus  Dionisius,  Plutarchus,  Strabo,  Ari- 
stides,  et  infiniti  pene  Latinorum.  Quidam  a  Roma  muliere,  alii  a 
Graecis  originem  deducunt,  sed  maior  pars  a  Troianis  authoresque 
Romulum  et  Remum  facit;  quam  opinionem  affirmant  T.  Livius, 
Crispus  Salustius,  Sempronius,  sive  is  verus  sive  falsus  ut  credit  Be- 
canus,  De  divisione  Itaììae,  qui  Romam,  anno  .11.  olympiadis  .vii.  con- 
ditam,  id  est  .ccccxxx.  aut  circiter  anno  post  adventum  Aeneae  in 
Italiam,  Fabius  Pictor,  De  aureo  seciilo.  C.  Solinus  in  principio  sui 
operis,  ubi  varias  opiniones  Romanae  originis  refert,  Eutropius,  Strabo 
vero  author  graecus  diligentissimus  huius  urbis  originem,  situm  et  or- 
natum  pienissime  descripsit.  Hic,  postquam  originem  a  Romuio  de- 
duxerat,  addit  (opinionem  quae  de  graeca  origine  ferebatur  relaturus)  : 
«  Haec  quidem  urbis  Romae  creatio  est,  quae  maxime  fidem  ven- 
«dicat».  In  Palatino  Roma  primum  incepta,  deinde  Tarpeius  mons, 
in  quo  Capitolium,  adiectus,  Coelium  Tullius  addidit,  Aventinum  et 
laniculum  Ancus;  Servius  vero  reliquos  tres,  Quirinalem,  Viminalem, 
Aesquilinum,  adiunxit.  Idem  muros  et  cloacas  ac  fossas  circa  muros 
fecit.  De  pomerio  veteri  nonnul'a  Tacitus(i).  Melanthon  natalem  urbis 
collegit  ex  verioribus  historiis  .xxi.  aprilis,  quum  palilia  celebrantur, 
anno  mundi  3212,  .vii.  olympiade,  i®  Achaz  .x.  et  ante  Christum 
natum  750  (2). 

Aurelium  (3)  imperatorem  quoque  urbis  pomerium  et  muros  di- 
latasse, Vopìscus  author  est.  Varias  de  nomine  ac  conditione  Romae 
opiniones  enarrat  Sextus  Pompeius,  Festus  in  voce  Romulus. 

PHnius  suo  tempore  .xx.  millia  passuum  Romam  fuisse  in  am- 

merlengo  Spinola  del  1529  su  «li  prezzi  del  vivere  per  le  strade  de  Roma»,  pubblicato 
dal  ToMASSETTi  negli  Studi  e  docum.  del  1891,  si  accenna  particolarmente  alle  «  gravi  et 
«  excessive  esactioni  che  si  fanno  per  le  poste  et  hostarie  de  la  via  Flaminia». 

(1)  Ann.   XII,   24. 

(2)  Corr.  7S3. 

(3)  Corr.  «  Aurelianum  ».  ■    ' 


Iter  Italicum  45 


bitu,  Vopiscus  vero  .L.  millia.  Nostro  autem  tempore,  eius  ambitus 
vix  .XIII.  millia  passuum  iraplet,  ut  refert  Marlianus  ;  instaurata  moenia 
ab  Honorio  et  Arcadio  imperatoribus,  indicat  vetus  marmor  ad  portam 
Portuensem  (i): 

Impp.  Caes.  DD.  NN.  invictissimis  principibus  Arcadio  et  Honorio  victoribus  et 
triumphatoribus  semper  Aiigg.  ob  instauratos  muros  et  turres  egestis  immensis 
ruderibus  et  suggestionibus  V.  C.  et  inlustris  militis  et  magistri  utriusque  mi- 
litiae  ad  perpetuitatem  nominis  eorum  simulacra  constituit. 

Sunt  qui  Belisarium  inde  instaurasse  muros  credunt.  Vide  etiam 
lulium  Caesarem  de  Solis,  vulgari  lingua,  quaedam  de  hac  urbe  vera 
falsaque  referentem,  in  libro  qui  inscribitur  V  origine  di  molte  città  del 
monde.  De  Tiberio  Claudio  extat  inscriptio  ad  sanctae  Luciae  cloa- 
cam  (2): 

T.CIaudius  Drusi  F.  Caesar  |  Aug.  Germanicus  |  Pont.  Max.  Trib.  Pot.  |  .vini.  Imp. 
Cop.  .ini.  I  Censor  PP.  |  Auclis  Populi  Romani  |  Finibus  Pomerium  i  Ampliavi! 
terminavitque. 

X.  Postero  die,  in  Campo  Florae,  cum  hospitium  ibi  nobis  esset 
sub  insigni  Galli  (3),  profestum  divi  Martini  more  patrio  hilariter  ce- 
lebravimus  (4),  aderatque  nobis  vinum  Cerellum  nescio  an  Coecubum 
olim  veteribus  commendatum,  Romanum  item  et  Albanum,  nam  exul- 
tatìo  animae  et  corporis  vinum  moderate  potatum,  et  illud  in  iucundi- 
tatem  creatum  est,  non  in  ebrietatem. 

In  hoc  Campo,  aedes  Ursinorum,in  ruinis  theatri  Pompeiani  extru- 
ctae,  nomenque  videtur  locus  habere  a  Flora,  quae  fuit  nobile  scortum 
Pompeio  adamatum.  Theatrum  hoc  Pompeius  uxoris  amori  deditus» 
teste  Plutarcho,  condidit.  Meminere  huius  quoque  Plinius  et  Xiphi- 
linus.  Erat  ei  superimposita  aedes  Veneris,  ut  refert  Suetonius.  Idem 
author  est  Caium  restaurasse.  Tacitus  Tiberium  Pompei  theatrum 
fortuito  igne  haustum,  se  extructurum  pollicitum  fuisse,  scribit:  primum 
vero  omnium  mansurum  extructum,  cum  antea  subitariis  gradibus  ad 
tempus  fieret.  Habebat  et  porticum  et  curiam  vìcinam,  ut  meminit 


(i)  C.  /.  L.  VI,  1190. 

(a)  C.  /.  L.  VI,  1231  a;  Bull.  com.  1896,  p.  146. 

(})  L«  più  tntic*  menzione  di  questo  «Ibergo,  a  me  nota,  'icorre  a  p.  40  del 
Ctmimtntc  di  Ltont  X  pubblicato  dall'ARMELLiNi.  Stava  nel  rion  di  Parione  insieme  alle 
«  hotterie  dell'Angelo...  della  Rosa  tenuta  da  Biasio  Fiorentino,  la  taverna  del 
«Diamante  incontro  la  Rota;  l' hosteria  del  Sole  speronata;  l' hosteria  dell* 
«Vaca  tenuta  da  Bole  Lombardo;  l' hosteria  della  Coppa...  del  Falcone... 
«della  Schalla  &c.».  Cf.  CtRASon,  Ricerche  stor»  intorno  agii  albirghi  di  Roma^ 
189J,  p.  II. 

(4)  L'il  novembre  ricorre  la  festa  di  san  .Martino,  ch'era  patrono  JelU  cittA 
d'  Utrecht,  ove  nacque  il  Buchell. 


46  qA.  'Bitcheiliiis 


Appianus,  in  qua  occisus  C.  Caesar,  ut  testatur  Suetonius,  vocaturque 
etiamnum  is  locus  hodie  Satrium  (i).  Vide  Marlianurn,  lib.  VI,  cap.  v. 

Feriis  Martinalitiìs  regem  hic  sorte  fabae  quae  placentis  includitur, 
quemadmodum  in  Galliis  in  profesto  Regum  fieri  solet,  creari  moris 
est,  ut  et  annotat  in  Fontano  Pet.  Summontius. 

XI.  Urbis  partem  Transtiberinam  novam  sive  Vaticanam,  quae 
hodie  urbs  Leonina  vocatur,  pellustrare  coepi;  olim  pene  aedificiis 
vacua  erat.  Ad  montem  tamen  Vaticanum  circus  erat  Vaticanus  sive 
Neronis,  Tacitus  (2)  nempe  autor  est  Neronem  clausisse  in  valle 
Vaticani  spatium,  in  quo  equos  regeret.  Hic  quoque  legimus  eundem 
hortos  suos  ad  varia  Christianorum  tormenta  edenda  obtulisse. 

Ad  Tyberim,  quo  pontes  duo,  Triumphalis  cuius  in  aquis  extant 
vestigia,  et  non  procul  Aelius,  ab  Aelio  Hadriano,  prope  sepulcri  sui 


molem  factus,  nunc  pons  Castelli  vel  pons  Sancti  Angeli.  Fornices 
habet  .iv.  (3):  Spartianus,  fecit,  inquit,  et  sui  nominis  pontem  et  se- 
pulcrum  iuxta  Tyberim. 

Continua  est  moles  Hadriani,  nam  teste  Dione  sepultus  is  iuxta 
pontem  Aelium,  ubi  monumentum  sibi  fecerat  (4).  Duos  habuit  ambitus 

(i)  La  piazza  dei  Satiri,  detta  Lo  Satro  nel  Quattrocento.  Il  nome  ricorre 
frequentemente  negli  atti  notarili  contemporanei,  p.  e.  nei  protocolli  di  Evangelista 
Bistucci  in  arch.  Stor.  Capitol.  voi.  66,  67  a  &c.,  dai  quali  risulta  che  molte  casette  «  in 
«  loco  qui  dicitur  Satro,  vel  Satri»  appartenessero  a  madonna  Caterina,  vedova  di  Luca 
Suberario  (aprile  1457).  I  due  simulacri  di  Pan,  collocati  a  destra  e  a  sinistra  del  Mar- 
forio  nel  cortile  del  museo  Capitolino,  furono  trovati  circa  il  1550  in  questo  luogo,  che 
i  topografi  credono  corrispondere  al  sito  della  scena  del  teatro  Pompeiano.  11  nome  vien 
dunque  da  altre  figure  satiresche  quivi  scoperte  o  esistenti  nei  tempi  di  mezzo. 

(2)  Ann.  XIV,  14. 

(3)  Sul  numero  vero  degli  archi  del  ponte  Elio  vedi  Bull.  com.   1893,  pp.   14-26. 

(4)  Cass.  Dio,  LXXVI,   15;  LXXVIII,  9,  24. 


Iter  Italie um  47 


et  dupHcem  columnarum  ordinem,  primus  quadratus  ex  solidis  la- 
pidibus  fuit,  interior  moles  oblonga  et  praealta,  ex  parlo  marmore; 
fuit  et  olim  cognomine  Antoninorum  sepulcrum,  ut  ex  inscriptionibus 
coUigitur  extantibus.  Describunt  Onuphrius,  Georgius  Fabritius,  Mar- 
lianus,  Andreas  Fulvìus.  Habentur  et  ibidem  varia  marmerà  sepul- 
cralia  cum  epigrammatis  (i).  Nunc  firmisslma  arx,  a  Crescentio  consule 
Romano,  qui  imperium  assumpsit  tempore  Othonis  III,  munita,  et 
diu  arx  Crescenti!  appellata,  nunc  Castellum  Sancti  Angeli,  ab  angeli 
simulacro,  quod  ibi  positum,  ob  memoriam  angeli  istius,  ut  quidam 
narrant,  qui  tempore  pestis  olim  Romae  singulas  domos  circuiret  et 
morituros  notaret.  Historiam  hanc  diu  quesitam  invenire  non  potui  (2). 
Instauravit  Alexander  sextus,  addita  turri  marmorea  rotunda,  in 
qua  haec  leguntur: 

Alexander  VI  Pont.  Max.  gente  Borgia  natione  Hispanus  patria  Valentinus  Ca- 
lixti  III  nepos,  hanc  molem  vetustate  collabentem  restauravuit,  propugnacuU, 
aggeres,  fossas 

et  paulo  infra: 

Alexander  VI  Borgia  PP.  anno  .mcccclxxxxv  (3). 

Hodie  perpetuo  praesidio  tenetur,  et  omnia  hic  tormenta  bellica, 
niaionbus  feriis  vel  intrante  aliquo  cardinalium  aut  principum  explodi 
solita  conservantur.  Thesauros  quoque  suos  pontifices  habent.  Intranti 
hoc  occurrit  epigramma: 

E  Lybia  advenit  Romanas  victor  ad  arces 

Caesar,  et  in  niveis  aureus  ivit  eqnis. 
Ille  triumphavit,  sed  plus  tu  Panile  triumphas, 

Victor  nempe  tuis  oscula  dat  pedibus  {4). 

Pontificali  superbiae  dignum  hoc  epigramma,  et  vero  Antichristo 
tantum  abest  ut  Christi  vicario. 


(i)  Non  so  che  cosa  intenda  dire.  Gli  epitaffi  {Corpus  Inscr.  VI,  nn.  984-995)  che 
indicavano  i  nomi  dei  principi  e  delle  principesse  le  cui  ceneri  riposavano  nella  mole 
Adriana,  come  pure  quel  poco  che  sopravvanzava  del  b.isamento  marmoreo  erano  già 
stati  portati  via  da  Gregorio  XIII  (febbraio  1578  luglio  1579)  segati  in  lastre,  e  metti  in 
opera  nella  cappella  Gregoriana  in  S.  Pietro. 

(2)  Gbecor.  TuROK.  X,  I  e  Paolo  Diac.  Ili,  34.  Vedi  GkFFROv,  hlilanges  dt  l'Écoli 
frattfaitt,  XII,  Suppl.  p.  561  ;  MOmtz,  Lis  aniiq.  dt  la  ville  de  Rome,  Paris,  1886,  p.  60, 
nota  I  ;  Lancumi,  Ruìhs  and  Excav.  p.  5Sj;  Hartmann  Gkiiar,  Storia  dei  papi  nel  tn.e. 
par.  Ili,  p.  39. 

())  Sulla  torre  rotonda  di  Alessandro  VI  cf.  Noi.  seav.  1891,  pp.  426-4]7  ;  Bull. 
fOiti.  189),  pp.  24-25.  Dagli  scavi  del  1892  i  venuta  fuori  la  seguente  epigrafe  appartenente 
forse  allo  stesto  torrione:  ALEXANPtR  •  vi  •  pomt  •  max  •  of.ntk  •  rorcia  •  rvKOAVtr. 

(4)  ScHR«otR,  318;  cod.  Barb.  XXX,  89,  e.  $5). 


48  G^.  "Buchelliùs 


Urbs  Leonina  nomen  habet  a  Leone  IV,  a  quo  sex  annis  fuit 
absoluta,  a  Nicolao  V  vero  muniri  incepta,  a  Paulo  III  perfecta;  vide 
Platinam  in  Vii.  Pontifìcmn  (i). 

Portas  habet  .vii.:  Sancti  Angeli  sive  Castelli,  Sancti  Petri, 
porta  Pertusa  et  Vaticana,  Porticella,  porta  Cavalliferi,  porta  Cunio- 
nis,  Sancti  Spiritus. 

A  mole  HaJriani,  duae  viae  ad  Vaticanum  palatium  et  templum 
divi  Petri  ducunt,  vulgo  Borgo  Novo  et  Borgo  Vechio  di- 
ctae  (2). 

Templum  hic  vidi  divae  Mariae  Transpontinae,  quod  cum  iam 
ruinam  minaretur,  et  Castro  Sancti  Angeli  proximum  esset,  instaura- 
tum  est  pene  a  fundamentis  (3). 

Templum  quoque  divi  Michaelis,  de  quo  vide  Cornelium  Kem- 
pium  in  sua  Frisia. 

Templum  Sancti  Spiritus  in  Saxia,  quod  illic  scholae  Saxonum, 
nosocomium  habet  celeberrimum  ac  locupletissimum.  Scholarum 
Saxonicarum  meminit  Platina, scribitque:  «Conditura  hoc  hospitale  ab 
«  Innocentio  III,  pontifice  Romano,  proventibusque  auctum  quibus  pe- 
ce regrini,  aegroti  et  vulgo  concepti  alerentur».  Sixtus  deinde  quartus, 
eodem  authore,  magnifice  restauravit,  ibique  vitae  suae  seriem  cae- 
lari  voluit.  Dicit  vulgus,  reditus  unius  diei  ad  .xvi.  millia  ducatorurn 
pervenisse,  mihi  tamen  incredibile  et  piane  fabulosum.  In  porticu,  ad 
locum  ubi  infantes  exponuntur,  depicta  haec  videbatur  historìa:  pisca- 
tores  infantes  a  se  retibus  expiscatos  e  lacu  pontifici  deferentes,  quae 
dicitur  extitisse  causa  huius  fundationis,  qua  provisum  est  ut  pueri  de 
nocte  hic  exponerentur  potius,  quam  immani  crudelitate  ab  immise- 
ricordibus  matribus  necarentur  (4). 

Sunt  hic  praeterea  aedes  cardinalium  magnificae,  ut  Caesii,  Ru- 


(i)  Inesatto.  Leone  IV  (843-852)0  l'autore  di  una  cerchia  di  mura  assai  ristretta, 
che  tagliava  fuori  tutto  il  Borgo  di  Pio  IV,  il  Belvedere,  e  parte  dei  giardini  pontifici. 
Nicolò  V  cinse  di  mura  la  vigna  di  Belvedere,  all'  estremità  della  quale  Innocenzo  VIII 
doveva  più  tardi  costruire  il  suo  casino.  Vedi  Mùmtz,  Les  arts . .  .  Innocent  Vili,  Paris, 
Leroux,  1898,  p.  77  sg.  Paolo  III  costruì  soltanto  un  bastione  avanzato  sotto  il  casino, 
anche  oggi  ornato  con  lo  stemma  de'  fiordalisi.  Il  vero  costruttore  delle  fortificazioni  di 
Borgo  alla  moderna  è  Pio  IV.  Nel  1563-1566  egli  riuni  il  Castello  al  bastione  di  Bel- 
vedere, con  un  muro  rettilineo,  ed  il  bastione  alla  porta  di  S.  Spirito  con  una  cinta 
poligonale,  vero  monumento  d' architettura  militare. 

(2)  La  via  Alexandrina  e  la  Carreria  Sancta  del  secolo  xv.  V'era  una  terza 
strada  lungo  il  corridore  di  Castello  detta  via  Sixtina,  più  quella  oggi  detta  di  S.  Spi- 
rito, il  Burgum    Saxonum    dei  tempi  di   mezzo. 

(3)  Non  solo  «  instaurato  »  ma  mosso  di  posto.  La  Traspontina  odierna,  fabbricata 
nel  1564  dal  card.  Alessandrino,  d'ordine  di  Pio  IV,  sta  a  m.  213  a  ponente  dell'antica^ 
il  cui  vero  nome  era  «  S.  M.  in  capite  Porticus». 

(4)  Questa  storiella  è  inedita. 


Iter  Italiciim  49 


sticutii,  Madrutii,  Boromei.  Domus  etiam  sanctae  Inquisitionis  a  Pio  V 
constructa,  ut  haec  supra  ferream  portam  inscriptio  habet: 

Pius  V  Pont.  Max.  Congregationis  santae  Inquisitionis  domunì  hanc  qua  haere- 
ticae  pravitatis  sectatores  cautius  coercerentur  a  fundamentis  in  augmentum 
catolicae  relligionis  erexit  .mdlxix.  (i). 

Et  career  in  medio  Borgi  Novi,  ubi  funibus  duos  vinctos  in  tergum 
manibus  summa  vi  demittere  vidi,  quod  tormenti  genus  Italis  fa- 
miliai'e,  crassioribus  alioquin  et  corpulentis  periculosum,  vulgo  vo- 
cant  donar  la  corda  (2). 

De  via  Triumphali,  cuius  adhuc  relliquiae  hic  passim,  vide  Mo- 
dium  in  Pand.   Triumphal. 

Hinc  augustissimum  toto  orbe  terrarum  occurrit  templum  Vati- 
canum,  divo  Petro  apostolo  dedicatum,  olim  a  Constantino  Magno 
imperatore  conditum,  deinde  ab  aliis  aliisque  restauratum,  auctum 
et  ornatum,  nunc  vero  sub  Paulo  III  ex  artificiosissima  Michaelis 
Angeli  Bonarotae  delineatione  architectica  a  fundamentis  instaurari 
coeptum;  cui  nondum  nec  multos  post  annos  ultima  ut  arbìtror 
manus  imponetur.  Anno  1544  mense  februario  cum  fundamenta  huius 
templi  foderentur,  inventa  est  marmorea  arca,  longitudinis  pedum  .viii., 
latitudinis  .VI.,  in  qua  conditum  olim  corpus  Mariae  Honorii  impe- 
ratoris  coniugis  desponsatae,  ac   Stiliconis  filiae;  corpore  vero  ab- 


(i)  Il  palazzo  Cesi  (Moroni),  gii  del  card.  Armellini,  è  ancora  in  essere  tra  le  vie 
di  Borgo  Vecchio  e  di  Borgo  S.  Spirito,  tra  S.  Lorenzo  in  Piscibus  ed  il  palazzo  Àccolti- 
Serristori.  La  villa  o  giardino  occupava  lo  spazio  pianeggiante  tra  la  via  del  Colonnato, 
la  via  della  Catena,  la  porta  Cavalleggeri  e  il  monte  di  S.  Angelo.  Cf.  cod.  Barb.  XXX, 
89,  e.  54J  B  sg.  e  Forma  Urbis,  tav.  xiii.  Conservato  parimenti  è  il  palazzo  Rusticu:ci- 
Accoramboni,  edificato  dal  card.  Girolamo  circa  l'anno  1570,  sulla  piazza  che  ancorane 
«erba  il  rome.  Quello  del  card,  Madruccio  principe  di  Trento,  detto  anche  palazzo  di 
S.  Clemente  dal  titolo  del  suo  possessore,  stava  in  piazza  Scossacavalli.  Nel  protoc.  6212 
(arch.  Stor.)  del  notaro  Reydetto  a  e.  18  v'  è  un  atto  del  1570  col  quale  il  card.  Cristo» 
foro  dona  una  casa  attigua  al  palazzo  di  Sco.ssacavallo  al  suo  barbiere  Stefano  del  Durer 
da  Rothemburg.  Non  ricordo  precisamente  dove  alloggiasse  il  card.  Carlo  Borromeo. 
La  passione  del  sant'  uomo  per  le  sue  varie  residenze  urbane  e  suburbane,  gli  fu  causa 
di  gravi  noie.  Nel  protoc.  6202  del  predetto  notaio  a  e.  }$i  si  conservano  gli  atti  prò* 
mossi  contro  di  lui  dagli  artisti  che  avevano  lavorato  alla  sua  celebre  vigna  detta  «  la 
«  vigna  della  Fontana  »  fuori  porta  del  Popolo,  non  ancora  soddisfatti  delle  loro  mer- 
cedi. Altri  documenti  relativi  al  medesimo  affare  stanno  nei  protoc.  6204  a  e.  411  e 
620)  a  e.  86).  Nel  1562  il  cardinale  aveva  preso  in  affitto  la  tenuta  della  Magiiana. 
Circa  r  istefio  anno,  essendo  andati  all'  asta  i  famosi  Orti  Belleiani  nel  sito  delle  terme 
di  Diocleziano,  ne  rimase  deliberatario  il  card.  Carlo  per  il  prezzo  di  scudi  ottomila  :  ma 
lo  zio  pontefice,  che  aveva  in  animo  di  convertire  le  terme  in  certosa,  se  ne  fece  cedere 
il  posaesto. 

(2)  La  curia  di  Borgo  contava  molti  ufficiali,  un  •  notariui  »,  un  «  sabexecutor  *, 
un  «  cancellariut  •  &,c. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  $toria  pUria.  Voi.  XXIII.  4 


50  G/f.  ^uchellius 


sumpto,  dentes,  capilli  et  quaedam  ossa  supererant,  praeterea  vestis 
et  pallium,  quibus  tantum  auri  erat  intertextum,  ut  ex  his  combustis 
auri  lib.  .xxx.  coUecti  fuerint,  gemmae  praeterea,  annuii,  et  alia  magni 
pretìi.  Honorius  I  papa  aeris  tegulis  ex  Quirini,  ut  Blondus,  vel  ex 
lovis  Capitolini,  ut  Platina  narrat,  cooperuit.  Q.uae  vero  ad  pleniorem 
huius  descriptionem  faciant,  vide  apud  Onuphrium,  summum  urbis  Ro- 
manae  illustratorem,  in  libello  De  VII  Urbis  ecclesiis  (i). 

De  Vaticani  nomine  videndus  Cato  in  Originibus  :  «  Regionem 
«  Vaticanam,  id  est  Vagicanam  dictam,  quod  ibi  lanus  quasi  in  cunis 
«  natam  primumque  vagientem  Italiam  exceperit  ».  Vide  Pauluni  ex 
Pesto  (2). 

Oratorium  hic  fecit  Gregorius  XIII  pontifex,  in  quo  sepulturae 
suae  locum  elegit,  piane  id  marmoreum  politissimi  splendidissimique 
coloris,  coelum  opere  mosaico  splendidum  auro  varioque  distinctum 
marmore,  simulachraque  ostendit  eiusdem  operis  Ambrosii,  Augu- 
stini,  Chrisostomi,  Gregorii.  Sunt  qui  credunt  Gregorium  Nazian- 
zenum  Venetorum  dono  huc  translatum,  sed  non  vidi.  Pavimentum 
quoque  est  marmoreum  (3).  Nunc  epitaphia  quaedam  et  inscriptiones, 
quas  apud  alios  non  legi,  addam.  Ac  in  primis  in  novo  restauratoque 
tempio  est  sepulcrum  cum  aereo  simulacro  Paul!  Ili  papae,  cum  duabus 
statuis  faemineis  marmoreis,  opus,  ut  indicat  inscrìptio,  Guilielmi  de 
la  Porta,  Mediolanensis.  Vulgaris  erat  fama,  nescio  an  vera,  statuarum 
harum  formam  a  concubinis  pontificiis  desumptam;  erat  ea  nudis- 
sima papillis  caeterisque  membris.  PauUo  infra  aureis  literis  nota- 
batur  :  «  Paulo  III  pontifici  maxìmo  Farnesio  »  (4). 

Sunt  et  ibi  aliquot  vitineae  ex  candidissimo  marmore  columnae. 
Vulgus  lerosolimis  translatas  ex  tempio  Salomonis  credit,  quemad- 


(i)  Sul  «  mosileos  ad  apostolum  Petrum  »  imperiale,  e  sulle  tombe  piene  d'ogni 
ricchezza,  scoperte  disordinatamente  nel  giugno  1458,  dicembre  1519,  e  febbraio  1544, 
vedi  De  Rossi,  Bull,  crist.  1865,  p  46  e  Inscr.  chr.  II,  2^5;  Ligorio,  Barb.  XLVIII, 
no;  Cancellieri,  De  Secret,  p,  99S  sg.  ;  Lanciani,  Pagan  and  Christ.  Rome,  p.  2oi  sg. 

(2)  Cf.  Antonio  Elter,  Vaiicanum  in  Rhetnischen  Museum  far  Philologie,  XLVI, 
112  sg. 

(3)  Sui  marmi  antichi  di  scavo  impiegati  da  Gregorio  XIII  per  questa  cappella, 
vedi  Giovanni  Alberti,  cod.  S.  Sepolcro,  ce.  25  a,  26,  57  e,  58;  Flaminio  Vacca, 
Mtm.  31. 

(4)  L' iscrizione  (Forcella,  VI,  70,  n,  179)  dice:  pavlo  •  in  •  farnesio  •  pont  •  max. 
Il  nome  dello  scultore  ricorre  tre  volte,  sotto  la  statua  del  papa,  nel  libro  in  mano  alla 
Giustizia,  e  nella  fascia  del  manto  della  Prudenza.  Gli  altri  due  simulacri  della  Pace  e 
dell'Abbondanza  (il  basamento  in  origine  era  isolato,  con  quattro  figure  agli  angoli) 
furono  poi  messi  ai  lati  del  camino  nella  sala  grande  del  palazzo  Farnese.  Il  monumento 
stava  prima  di  prospetto  alla  Trasfigurazione  :  fu  poi  trasportato  sotto  la  cupola  nel  nic- 
chione  di  S.  Andrea  :  e  finalmente,  al  temco  di  Urbano  VII,  nel  sito  che  occupa  al 
presente. 


7/er  Italicum  51 


modum  et  hanc  cancellis  ferreis  vulgi  attactu  defensam,  hac  inscri- 
ptione  : 

Haec  est  illa  columna  in  qua  dominus  noster  lesus  Christus  appodiatus  dum  po- 
pulo  praedicatbat,  et  Deo  patri  preces  in  tempio  fundebat,  adherendo  stabat, 
quae  una  cum  aliis  undecim  circumstantibus  de  Salomonìs  tempio  in  trium- 
phum  huius  basilice  hic  locata  fuit.  Demones  expellit  et  ab  immundis  spiritibus 
vexatos  liberos  reddit  et  multa  miracula  cotidie  facit.  Per  reverendum  patrem 
et  dominum  cardinalem  de  Ursinis  ornata  anno  D.  .mccccxxxviii  (i). 

Onuphrius  vero  dicit,  Cotistantinum  posuisse  .xii.  columnas  viti- 
neas  elegantes  ante  altare  divi  Petri  e  Graetia  translatas  (2).  Ad  hoc 
altare  ereditar  requiescere  caput  divi  Petri  apostoli,  et  Petrum  Romae 
a  Nerone  necatum  scribit  Eutropius.  Paulus  Diaconus  author  est  Be- 
lisarium,  post  multas  victorias  Romam  venientem,  divo  Petro  crucem 
auream  .e.  lib.,  praetiosissimis  gemmis  exornatam,  optulisse.  Lactan- 
tius,  Petrum  Paulumque  Romae  praedicasse  scribit.  Tertullianus,  libro 
De  praescriptione  haereticorum,  eosdem  Romae  necatos  tradit.  Approbat 
Spiegelius.  Isidorus,  Petrum  et  Paulum  sub  Nerone  necatos  scribit 
Orig.  lib.  V,  cap.  44. 

Vide  et  lib.  I,  cap.  De  summa  Trìnitate,  M.  Velserum, 
lib.  6,  Aug.  Antiq.^  Onuphrium  ad  Platinam,  Palladium  in  Vita  Phi- 
loromi. 

De  tempio  Vaticano  iam  restaurato,  vide  Descriptionem  hihìiothecae 
Vaticanae  Angeli  Rocci  in  principio.  Effigies  vero  in  eiusdem  libri  fine 
conspicitur  (3). 

In  pavimento  est  hoc  epltaphium  antiquis  sed  literis  rudibus: 

T.  Flavius  Constans  PP.  sibi  et  suis  libertis  |  Libertabusque  posterisque  eorum  | 
Servius  inchoavit  etFlavii  Sabinus  et  Chrestus  |  liberti  et  heredes  eius  §  1  usum 
consummarunt  (4). 


(i)  Forcella,  VI,  34,  n.  48.  Delle  dodici  colonne  vitinee,  che  formavano  cancello 
davanti  1'  abside,  una  è  perduta,  due  stanno  sull'  altare  di  san  Maurizio,  una  nella  cap- 
pella della  Pietà,  otto  ai  lati  delle  quattro  loggie  sotto  la  cupola. 

(2)  Cf.  Lih.  Pont.  I,  176  :  «  Columnae  vitineae,  quas  Constantinus  de  Graecia  per- 
«  duxit  B.  Pietro  Mallio  le  dice  provenienti  dal  tempio  di  Apollo  in  Troia.  Sono  invece 
uat  bizzarria  d'artista  romano  del  secolo  111.  Sembra  che  Costantino  ne  collocasse  in 
opera  sei  soltanto:  Gregorio  III  le  restanti.  Questi  preziosi  monoliti,  descritti  quattor- 
dici secoli  or  sono  dal  Lib.  Pont.,  sul  posto  che  non  hanno  m  a  i  lasciato,  dalle  prime 
origini  della  basilica  Vaticana  sino  alla  prima  metà  del  decimo  sesto  secolo,  sono  stati 
testò  dichiarati  nel  periodico  L'Arte,  ottobre-dicembre  1898,  p.  384,  opera  di  roarmorarii 
romani  del  Duecento,  eccezione  fatta  da  quello  che  sta  oggi  nella  cappella  della  Pietà  t 

(})  Angklo  Rocca,  Bihliotheca  apott.  Val.  a  Sixto  V  p,  m.  in  spUuJiJior.  locum 
translata,  Romae,  i$9i.  L'A.  ha  dunque  scritti  o  riveduti  questi  suoi  ricordi  almeno  due  anni 
dopo  il  viaggio  di  Roma. 

(4)  Male  trascritta.  Quando  l'A.  visitò  la  basilica  Vaticana,  essa  era  tagliata  in 
<iue  parti  da  una  parete  transveraa,  all'altczia  della  statua  di  bronzo.  La  parte  •  ponante, 


52  qA.  "Buch^llius 


Item  hoc: 

Benemerenti  in  pace  Proclo  qui  bixit  annos  .xvi.  |  Di.  positus  .vi.  eidus  octobris 
DD.  NN.  Honorio  Augusto  |  .viii.  et  Theodosio  .v.  coss.  (i). 

In  veteri  tempio,  monumenta  sepulcralia  (2)  pontificum  sunt  Ni- 
colai V,  Piorum  II  et  III,  Eugenii  IV,  et  marmoreo  in  monumento 
hoc  legitur  Pauli  II  epitaphium: 

Paulus  II  Venetus  pontifex  maximus  e  vetusta  Barborum  familia  praeclaris  naturae 
dotibus  avunculo  Eugenio  IIII  non  inferior,  pielatis,  iustitiae  divinarumque  ce- 
remoniarumcultoneligiosissimus,  ecclesiasticae  libertatis  maiestatisque  defensor 
constantissimus  praecipuo  pacis  servandae  studio  et  singolari  omnis  generis 
munerum  abstineniia,  formidanda  etiam  lege  magistratibus  indicta,  clarissimus  ii> 
principes  munificentia,  in  pauperes  misericordia  insignis;  annonae  copiam  urbi 
dedit,  patrimonium  beati  Petri  erratis  populi  indulgentissime  parentis  affectu 
emendatis  conservavit  et  auxit  :  furentes  armis  hereticos  repressit,  et  quod  per 
difficilem  rerum  temporumve  conditionem  perficere  non  poterat,  matura  cuncta- 
tione  saluberrime  disposuit.  V.  A.  .lui.  M.  .v.  D  .hi.  S.  A.  .vi.  M.  .x.  D.  .xxvi, 
M.  Barbus  cardinalis  S.  Marci  patriarcha  Aquileensis  consanguineo  B.  M.  P.. 
Ann.  Sai.  .mcccclxxvii.  (3). 

In  choro  veteri,  in  pavimento  sepulcrum  est  ex  aere  artificiosum, 
cum  septem  artibus  liberalibus  aliisque  quamplurimis  ex  eadem  ma- 
teria simulachris  hoc  epitaphio  : 

Xisto  mi  pontifici  maximo  ex  ordine  Minorum.  Turcis  Italia  submotis  ;  autoritate 
sedis  aucta,  urbe  instaurata,  templis,  ponte,  foro,  viis,  bibliotheca  in  Vaticano 
publicata:  iubilaeo  celebrato,  Liguria  servitute  liberata;  cum  modice  ac  plano 
solo  condì  se  mandasset.  luiianus  card,  patruo  beatae  memoriae  maiori  pietate 
quam  impensa  fieri  curavit  (4). 

ossia  al  di  là  del  muro,  opera  di  Giulio  II,  Paolo  III  e  Sisto  V,  stava  ancora  in  co- 
struzione. La  parte  al  di  qua  del  divisorio  manteneva  ancora  la  costruzione  Costantiniana,, 
ed  era  piena  zeppa  di  monumenti  d'  arte  e  di  storia  dei  tempi  di  mezzo  e  del  primo  Ri- 
nascimento. 

(i)  De  Rossi,  Inscr.   christ.  I,  p.  254  ,  n.   598,  anno  412. 

(2)  «  Les  plus  beaux  monuments  de  cette  epoque  LRinascimento]  ont  péri  malheu- 
«  reusement,  notamment  les  tombeaux  de  Nicholas  V,  et  de  Paul  II .  .  .  Par  les  fragments- 
«  qui  en  restent  dans  les  Grottes,  on  voit  encore  l'importance  de  ces  compositions  et  leur 
«  valeur  du  point  de  vue  de  l'art  »  ;  Greco rovius,  Les  tombeaux  des  papes,  ed.  Lewy,  1859^ 
p.  iji.  Il  sepolcro  di  Nicolò  V  fu  demolito  da  Giulio  IL  Quello  di  Pio  II,  a  S.  Andrea 
della  Valle,  porta  la  data  del  1464,  ed  ha  di  riscontro  quello  di  Pio  III,  l'ultimo  eretto 
in  Vaticano.  Furono  trasportati  ambedue  nella  parrocchia  di  casa  Piccolomini  alla  piazza, 
di  Siena  (S.  Andrea  della  Valle)  sotto  Giulio  IL  Quello  di  Eugenio  IV  sta  ora  a  S.  Sal- 
vatore in  Lauro. 

(3)  Forcella,  VI,  44,  n.  83.  L'iscrizione,  mancante  delle  due  ultime  lìnee,  sta 
nelle  Grotte,  nella  parete  destra  della  nave  della  Madonna  della  Febbre.  Il  mausoleo,  di 
cui  rimangono  pochi  avanzi,  è  opera  di  Giovanni  Dalmata. 

(4)  FoRCtLLA,  VI,  46,  n.  89.  Dal  coro  vecchio,  ove  lo  vide  il  Buchellio,  questo- 
capolavoro  del  PoUaiuolo  fu  trasportato  nel  sito  che  ora  occupa,  il  giorno  21  agosto- 
dei  1625. 


Iter  Italìcum  53 


Creaverat  hic  .xx.  cardinales,  inter  quos  et  hunc  lulianum  ad 
sanctum  Petrum  ad  vincula.  Obiit  1483,  mense  augusto,  pontificatus 
sui  anno  .xxiii. 

Est  aliud  ad  parietem  Innocenti!  Vili  papae  ex  aere  cum  statua 
3iC  hoc  statua  ex  Davide  versiculo: 

In  innocentia  mea  ingressus  redime  me,  Domine,  et  miserere  mei. 

Obiit  anno  .Mccccxcii.,  pontificatus  anno  .vii.,  .xxvi.  iulii.  Huius 
vide  a  Balaeo(i)  vitam  descriptam  sceleribus  plenam,  et  adde  Ma- 
rulli  versus, 

Spectantur  hic  quoque  monumenta  ex  cocto  lapide  gypso  su- 
perinducto  aequalia,  Calixti  III,  Alexandri  VI,  luhi  III,  Marcelli  II, 
Pii  V  (2). 

Est  ibidem  Bonifacii  IV  statua,  qui  a  Phoca  imperatore  impe- 
travit  Pantheon  Agrippae,  et  omnibus  santis  ac  virgini  Mariae,  per- 
purgatum  ab  idolorum  simulacris,  dicavit.  Sedit  hic  annos  .vi.,  men- 
ses  .vili.,  dies  .xiii.,  et  pontifici  Bonifacio  III  immediate  successit. 
Epitaphium  rithmicum  ibi  legitur  hteris  goticis  tale: 

Gregorio  ortus  iacet  hic  Bonifacius  almus, 
Huius  qui  sedis  fuit  aeqnus  rector  et  acdis, 
Tempora  qui  Focae  tempUim  cernens  fore  Romae 
Delubra  cunctorum  fuerant  quae  demoniorum 
Hoc  expurgavit  Ac, 

quae  libri  epitaphiorum  habent  (3). 

Astat  statua  equestris  sed  muta,  nullo  epigrammate.  Legitur  et 
Innocentii  VII  Sulmonensis  epitaphium.  Quod  est  apud  Platinam  (4). 

(1)  loHANNES  Balaeus,  Acta  Roinanor.  ponilficum  .  .  .  uujut  ad  tempora  Pauli  IV  coì- 
lecta  et  descripta  a.  ijji)  (sine  loco).  «  Giovanni  Balleo  fu  apostata  inglese.  L'edizione 
«  presente  (1559),  quella  del  1567  e  l'altra  d'Amsterdam  del  161$,  acuì  è  unito  Roberto 
«  Barns,  con  la  continuazione  di  Giovanni  Manni  Lidio  calvinista,  sono  proibite  ».  Cosi 
il  Ranghiasci. 

(2)  Nelle  Grotte,  a  destra  dell'altare  della  Pietà,  una  memoria  del  163 1  dice:  «  Imago 
«  haec  marmorea  .  .  .  erat  ad  sepulclimm  Callisti  III  :  hic  ,  ,  .  anno  mdcxxxi  translata  » 
(Forcella,  VI,  151,  n.  $58).  Sulle  vicende  del  sepolcro  di  Alessandro  VI  cf.  Armellini, 
Chiese,  2'  ed,  p.  416;  Gregorovius,  Les  lombeaux  des  papes,  ed.  Lewy,  p.  17J  :  €  jules  III, 
«  Ciocchi  del  Monte,  qui  regna  cinq  ans,  et  Marcel  li,  Cervini,  qui  ne  porta  (jue  vingt- 
0  cinq  jours  le  poids  de  la  triple  couronne,  n'ont  pas  de  to  m  beau  »  ;  id.  ibid,  p.  213. 
Quanto  a  Pio  V,  ti  vede  che  il  suo  splendido  mausoleo  a  S.  Maria  Maggiore  non  era 
ancora  finito. 

(3)  L'epitaffio  di  nonifacio  IV  (FonctLLA,  VI,  23,  n.  18)  sta  presentemente  nelle 
Grotte,  nella  parete  destra  della  cappella  della  Madonna  delle  Partori  spoglie 
furono  deposte  sotto  l'altare  di  san  Tommaso  il  16  gennaio  1606.  Cf.  >  triiiM  et 
reliijiiiantm  &c,  p.  65.  U  sepolcro  primitivo  di  questo  salvatore  del  Pantheon  stava  ir*  la 
porta  ludicii  e  la  porta  Ravenniana,  presso  l'oratorio  di  Bonifacio  VIII. 

(4)  Innocenzo  VII,  Migliorati,  da  Sulmona,  -j-  1406.  L'arca  rustica  sulla  quale  k 
indso  il  luo  nome,  giace  ora  nelle  Grotte,  navata  Ji  S.  Maria  della  Febbre,  a  destra. 


54  ^'  "Buchelliiis 


In  pavimento,  non  procul  ab  Innocenti!  Vili  sepulcro,  hoc  est 
epitaphium  : 

D.  O.  M.  Francisco  Cibo  Nepolit.  Innocentii  Vili  Pont.  Max.  |  nepoti  Anguill.  Fe- 
rentilia  S.  R.  E.  gubernator  generalis  vixit  |  ann.  .lxviii.  Ob.  anno  .mdvii.  |  Mag- 
dalenae  Laurae  Medicis  filiae  Leonis  X  Pont.  Max.  sororis  |  Clement.  patruel 
Francisci  Cibi  uxori.  Vixit  ann.  .xlv.  1  Albericus  Cibo  sacri  Rom.  imp.  et  iten> 
Massae  princeps  [  avo  et  aviae  pos.  Sai.  an.  .mdlxxiii.  (i). 

Altare  sanctorum  Philippi  et  lacobi  ornatur  tabella  excellenti^ 
ablationem  Christi  de  cruce  exprimente,  ubi  in  parietis  angulo  ob- 
scuriore  haec  leguntur: 

Hoc  opus  fecit  Arnolphus  architectus(2). 

Ad  dextram  vero  parietis  partem,  ubi  plurima  pontificum  mo- 
numenta spectantur  et  porphyreticum  antiquum  nullo  tamen  epigram- 
mate  notatum,  ubi  proximae  marmoreae  tabellae  antiquae  in  quarum 
una  haec  leguntur: 

C.  Asinia  H  H  ||  nrentia  H.  F,  |  In  qua  fuit  inimitabilis  castitas  ]  Improbissima  ve- 
recundia  incompara|bilis  innocentla  perpetua  quiescat  |  In  pace,  quae  vixit 
annos  .xviii.,  menses  .xi.,  dies  ,xxi.  |  Carius  Victor  coniugi  B.  M.  D.  .xii. 
kal.  aug. 

In  pavimento,  sequentia  ex  variis  marmoribus  notavi  epitaphia: 
Karola  Hierlm  Cipri  et  Armenii  regina  (3) 

et: 

Io.  Franciscus  de  Tubaldiscis  s.  Sabinae  presbiter  cardinalis  &c. 

obsoleta  (4). 


(i)  Questa  iscrizione  goffamente  corrotta,  anzi  formata  con  brani  di  più  epitaffi,  pare 
che  abbia  per  fondamento  quella  di  Francesco  Cibo,  figliuolo  d'Innocenzo  Vili,  di  cui  ab- 
biamo il  testo  nel  cod,  Vat.  Reg.  770,  e.  18,  e  nel  Zazzera,  Nobiltà  d' Italia,  famiglia 
Cibo.  Francesco  era  stato  sepolto  presso  il  padre  suo,  nello  stesso  avello  dove  ripo- 
sava sua  moglie,  la  bella  Maddalena  de'  Medici,  figlia  di  Lorenzo  il  Magnifico,  e  sorella 
di  Leone  X.  Francesco  aveva  ricevute  le  contee  di  Anguillara,  Ferentillo,  Cerveteri  &c. 
che  poi  rivendè  a  Virginio  Orsini. 

(2)  L'altare  dei  santi  Filippo  e  Giacomo  stava  nella  nave  centrale,  tra  la  sesta  e  la 
settima  colonna  a  destra,  e  porta  il  n.  J9  nella  tavola  8,  p.  25,  del  Bonanni  ed  il  n.  4J 
in  quella  dell' Alfarano.  Se  l'A.  non  iscambia  un  altare  per  l'altro,  le  notizie  che  dà 
sul  quadro  della  Depositatone,  e  suU'  opera  di  Arnolfo  sono  inedite,  per  quanto  io  ricordi. 

(3)  L'  epitaffio  della  regina  Carlotta,  ora  nel  pavimento  delle  Grotte,  stava,  secondo 
I'Alveri  (Roma  in  ogni  stato,  II,   196,  coL   i"),  davanti  l'altare  del  Salvatore. 

(4)  Incisa  sui  margini  del  lastrone  che  porta  nel  mezzo  la  figura  del  defunto.  Sta 
nel  pavimento  delle  Grotte,  nave  del  Salvatore,  ed  è  riprodotta  in  disegno  nella  tav.  xliii 
del  DiONisi. 


Iter  Italiciim  55 


Epitaphium  Petri  Balbi  (i),  episcopi  Tropiensis,  est  in  lìbris  meis 
Epitaphiorum.  Sunt  et  haec  : 

D.  O.  M.  Diplomatum  signatori  religioso  viro  Matheo  Leonis  X  P.  M.  alumno 
.M.  D.  xxiiii.  (2), 

et: 

D.  O.  M.  Fra  Ban  Picei  archiepiscopo  Senens.  ossa  resurrectionem  hic  expectant  (3), 

et: 

e.  lulio  Felici  II  H  H  p  II  I  hic  sita  Honoratus  Caietanus  |  coniugi  O  3  0  B  1  (4). 

Ante  aram  Corporis  Dominici,  ut  vocant,  templi  medio,  sunt  bis- 
sina  aureaque  plurima  ornamenta,  cum  epigrammatis  et  emblematibus 
Clementis  VII  papae,  Candor  illaesus  cum  aquila,  alio  epigrammate 
semper  suspensa  ibidem  signa  diversa  ac  unum  cum  aquilae  pictura 
et  hac  inscriptione  : 

Aquila  urbs  princeps  Samnitum,  nullum  metropolitanum  \  praeter  Rom.  Pont,  agno- 
scens  missis  huc  religionis  causa  |  primariis  civibus:  hoc  pietatis  suae  monu- 
mentum  DD.  j  sedente  Gregorio  XIII  PP.  anno  iubilei  Cfj  ID  LXXV  (5). 

In  sacello  beatae  Mariae  Visitationis  est  statua  aenea,  nescio  an 
olim  lovis  egregia,  nunc  divo  Petro  attributa.  Erant  pedes  tam  duri 
metalli  ex  osculorum,  ut  narrabant,  multitudine  et  assiduitate  de- 
tritae  (6).  Erat  ibidem  effigies  Servatoris  ac  Virginis  matris  a  Jote,  fio- 
rentino egregio  olim  pictorQ,  deliniatae  cum  hac  inscriptione  : 

Instinctu  pietatis  hanc  Dei  eiusque  genetricis  imaginem  quam  lotus  pinxit  ex  huius 
parietis  templi  ruinis  disiecta  eripuit  atque  in  hoc  sacellum  Nicolaus  Acciaius 
I.  V.  cons.  pairitius  florcntinus,  pariterque  ex  privilegio  olìni  eius  ab  avo  con- 
cesso insigni  equiti  Donato  Acciaio  huius  almae  urbis  tum  senatori  rom.  civis 
pos.  sibi  posterisque  suis  sedente  Paulo  III.  Pont.  Max.  .m  d  xliii.  (7). 

(1)  L'  elogio  di  Pietro  Balbo,  -j-  1479,  dettato  dal  vescovo  Bartolomeo  Maraschi,  è 
ricordato  dall' Alfarano  nella  nave  del  Crocefisso.  Cf.  Forcella,  VI,  4^,  n.  84. 
(a)  È  registrata  nel  solo  cod.  Vat.  R«;g.  770,  e.  v. 

(3)  Q.westa  piccola  lapide,  a  lettere  rilevate  di  metallo,  sta  nelle  Grotte,  a  sinistra 
della  cappella  del  Salvatore.  Forcella,  ivi,  p    78,  n.  219. 

(4)  Agnesina  Colonna  Caetani,  -j-  1578,  «felici  fecunditate  insignis»,  tu  sepolta, 
prima  della  translazionc  nelle  Grotte,  vicino  alla  porta  ludicii  a  pie  della  prima  colonna, 
dentro  la  cappella  di  san  Gregorio.  Il  titoletto  di  C.  Giulio  Felice,  trascritto  la  prima  volta 
dal  CiTTAniMi,  Vat.   $2J3.  <=     '4S.  *  notato  nel   C.  /,  L.  sotto  il  n.  aoooi. 

(5)  Credo  la  notizia  inedita. 

(6)  Il  simulacro  di  bronzo,  giA  nel  monast^o  di  S.  Martino  (ToRRlOio,  /  taeri 
trojei,  in  fine),  poi  ncll'  oratorio  del  Ss.  Processo  e  Martiniano  (Vegio),  era  stato  col- 
locato da  Paolo  III  «  ad  altare  extructum  propc  parietem,  quo  basilica  vetut  a  nova  dl- 
«  videbatur  »  ;  Bokammi,  r«w/>//  Val.  hùl.  p.  107.  Vedi  Grisar,  Civ.   CmiI.   1898,  II,  4(9  sg. 

(7)  Pessimamente  trascritta.  L'  iscrizione  sta  ora  nelle  Grotte,  navata  del  Salva- 
tore,  n.  80,  dove  la  collocò  Urbano  VIII  l'anno  1630.  La  pittura  di  Giotto  era  cono- 
•ciuta  sotto  il  nume  di  •  Madonna  sotto  1'  organo  ■. 


5^  G^.  "Bue  he  Ili  US 


Hoc  loco,  ante  paucos  annos,  quidam  Anglus,  sumpia  ex  manibus 
sacrificis  celebrantis  missam  hostia,  eam  pedibus  conculcavit,  sta- 
tlmque  arreptus  et  multotiens  de  catolica  romana  relligione  et  facti 
atrocitate  admonitus,  nihil  respondit  aliud,  quam  se  martyrem  mori 
voluisse,  sic  tandem  variis  tormentis  laceratus  periit  (i). 

In  tempio  restaurato  varia  iacebant  simulachra  ex  marmore,  et 
statuae,  quae  sepulcris  olim,  ut  videbatur,  servierant,  nunc  turbatae, 
verum  usum  abscondebant.  Erat  marmoreum  sepulcrum  pontifìcis 
maximi  alicuius  simulacro  et  aquilae  insigniis  ignotum.  Puto  his  etiam 
absoluto  tempio  restaurationem  deberi  (2).  Huic  vicinum  est  aliud 
hoc  notatum  epigrammate: 

Antoniotus  cardinalis  s.  Praxedis   mortem  prae   oculis  semper  habens  vivus  sibi 
p.  anno  M.  D.  I.  (3). 

Habet  hoc  templum  valvas,  aere  obductas,  media  insigni,  ut  tem- 
pora ferebant,  sculptura  nobilis  Antoni!  de  Florentia,  Hic  sunt  celatae 
muscae  (quas  vulgus  vocat  muscas  divi  Petri)  minutissimae,  quas  longo 
tempore  frustra  nisi  attentus  quis  quaesiverit,  unde  Romam  non  vi- 
disse  vulgariter  dicitur,  qui  has  non  fuerit  perscrutatus,  quemadmo- 
dum  de  Petro  Conieto  in  urbe  Parisiorum  iam  dixi.  Spectabantur  hic 
res  gestae  Eugenii  IV  pontifìcis  cum  effigie  cuius  sumptubus  erat  facta. 
Erat  autem  vir  magni  animi  ex  gente  Condulmeriorum  veneta,  cura- 
vitque  hos  insculpi  versus: 

Ut  Graeci,  Armeni,  Aethiopes,  hic  aspice  ut  ipsa 
Romanam  amplexa  est  gens  lacobina  fidem. 
Sunt  liaec  Eugeni  monumenta  illustria  quarti 
Excelsi  haec  animi  sunt  monumenta  sui  (4). 

Huic  contigua  est  porta  marmorea,  lerosolimis,  ut  fama  est,  huc 
translata  ;  hanc  Sanctam  vocant,  estque  lapidibus  obturata,  et  singulis 
iubileì  annìs  aperitur,  ipso  pontifice  malleo  primum  lapidem  labe- 
factante.  Lapidum  vero  fragmina  superstitiosum  vulgus  ilico  summa 
devotione  colligit,  adeo  ut  nihil  maneat  reliquum.  .xx.  quinquenna- 


(i)  Il  racconto  è  forse  inedi'to. 

(2)  Stanno  ora  più  o  meno  disordinatamente  collocati  nelle  Grotte. 

(3)  Antoniotto  Pallavicini.  Il  marmo,  ora  perduto,  stava,  secondo  l'Alfarano,  presso 
gli  altari  dei  santi  Bartolomeo  e  Lucio. 

(4)  Forcella,  VI,  33,  n.  46.  I  battenti  di  bronzo  furono  posti  in  opera  il  14  ago- 
sto 1445.  Nella  faccia  interna  Antonio  Filarete  incise  le  parole  «  Caeteris  operis  pretium, 
«  fastus,  fumusque  mihi  ».  Cf.  Bonanni,    Templi   Val.  hist,  p.   140. 


Iter'  Il  alien  m  57 


libus  finitis   clauditur  quo   antea   modo.  Hic   aureis  hoc   inscriptum 
literis  legebatur  : 

Hanc  portam  sanctam  clausam  a  Tulio  III  anno  .mdl.  apertam  et  clausam  aperuit 
et  clausit  anno  iubilei  .mdlxxv.  Gregor.  XIII  (i). 

De  origine  iubilaei  a  ludaeis  desumpta,  vide  ampie  scribentem 
Stephanum  Pigium  (2). 

In  area  templi  est  cymba  illa  asarotica  discipulorum  Christi, 
ubi  Petrus,  per  mare,  ad  Christum  in  littore  deambulantem  properat. 
Ioti  opus  esse  quidam  arbitrantur.  Crinitus  tamen  aliter  de  ea  scribit 
in  haec  verba:  «  Notum  vero  est  omnibus,  quod  ipsa  musiva  e  vitreis 
«  tesserulis  et  sectilibus  crustis  vario  multiplicique  colore  constructa 
«  sunt,  cuiusmodi  adhuc  Romae  visuntur  multis  in  locis,  tum  in  pro- 
«pilaeo  basilicae  Petri  nobilis  illa  et  fluitans  navis,  quam  Ioannes, 
«  pictor,  cognomento  Cimabovis,  mirifico  artificio  atque  diligentia  tra- 
ce ditur  perfecisse  ».  De  reliquis  vero  ornamentis,  ut  pinea  aenea  et 
sepulcris  Othonis  II,  Honorii  et  Valentiani,  vide  Onuphrium  et  de 
pinea  Paulinum  in  Epistolis  (3). 

Ad  gradus  marmoreos,  a  Constantino  ut  creditur  factos,  sunt  sta- 
tuae  marmoreae  apostolorum  Petri  et  Pauli,  ab  Aenea  Silvio,  ut 
habet  inscriptio,  positis.  Est  namque  in  basi  marmorea  alterius  in- 
scriptum : 

Pius  II  Paulo  vasi  electionum. 

In  area  vero  Vaticana,  praeter  fontes  incuria  pene  collapsos  et 
siccatos,  ab  Alexandre  VI,  ut  indicant  insignia,  olim  erectos  (4),  Sixtus 
tamen  V  papa,  iampridem  e  Campo  Santo,  ubi  olim  circus  Neronis 
vel  Vaticanus,  magnis  labore  et  sumptubus  traduxit,  pulcerrimum  sane 
opus,  obeliscum  Vaticanum,  in  cuius  summitate  erat  pomum  ex  aere 
deaurato,  quo  cineres  Augusti  Caesaris  hactenus  fuere  conservati. 
Estque  is  ex  aegyptiaco  marmore,  carnei  coloris  splendidissimus,  alti- 

(i)  La  porta  Santa  occupa  il  sito  dell'antica  porta  «Romana».  L'iscrizione  del 
giubileo  del   1575   non  apparisce  altrimenti  nella  silloge  del  Forcella. 

(2)  Cf.  ViTTORELLi,  htorla  dei  giubilei,  Roma,  162$  ;  P.  M.  Quarti,  Trattato  del 
giubileo,  Venezia,  1698;  Angelo  Rocca,  De  sacros.  iubilaeo  opp.  l,   197  sg. 

(3)  Sulla  Pigna  di  bronzo  vedi  LACOUR-GAvtT  in  Milanges  dt  VÈcole  fraufaite  de 
Rome,  i8^^i,  p.  312  sg.  Sul  sepolcro  di  Ottone  II,  GaiMALni,  Barltr.  XXXIV,  50  passim. 
Sul  «  mosileos  ad  apostolum  Petrum  »  dove  erano  gli  avelli  imperiali  cf.  Lanciami,  Pa- 
gati and  Christian  Rome,  p.  200  sg. 

(4)  La  fontana,  vista  dall'A.,  è  quella  costruita  l'anno  1490  da  Innocenzo  Vili, 
risarcita  ed  abbellita  dieci  anni  dopo  da  Alessandro  VI.  Apparisce  in  tutte  le  stampe 
anteriori  al  1612.  La  migliore  rappresentazione,  tuttavia,  è  quella  dell' «flfreico  (l'ultimo 
della  serie)  di  Giovanni  della  Maria  nel  terzo  ordine  delle  Loggie.  Secondo  un  documento 
pubblicato  ntW'ArMvio  stor.  dell'arte,  1891,  p  368,  la  fontana  di  Innoc«nio  Vili  poruva 
ornamenti  in  metallo,  modellati  o  fusi  dall'  orafo  Alfonso. 


58  qA.  "Buchellìus 


tudinis  et  integritatis  sumniae,  suis  iam  peristyliis  ornatus.  Incumbit 
.IV.  leonibus  deauratis;  in  summitatis  autem  apice,  praeter  pomum 
aereum  sunt  .v.  colles  aurei,  pontificia  insignia,  et  crux  deaurata  :  an- 
tiquitus  haec  fuere  inscripta: 

Divo  Caesari  Divi  lulii  F.  Aug.  |  Ti.  Caesari  Divi  Augusti  F.  |  Sacrum  (i). 

Sixtus,  post  instaurationem,  has  inscriptiones  aureis  literis  inscri- 
psit.  In  fronte: 

Sixtus  V  Pont.  Max.  |  Obeliscum  Vaticanum  |  Dis  gentìum  [  Impio  cultu  |  Dicatum  | 
Ad  Apostolorum  limina  |  Operoso  labore  transtulit. 

In  lateribus: 

Christus  vincit  |  Christus  regnat  [  Christus  imperai  |  Chrislus  ab  omni  |  Malo  plebem 

suam  defendat. 
Sixtus  V  Pont.  Max.  |  Cruci  invictae  |  Obeliscum  Vaticanum  |  Ab   impura  super- 

stitione  I  expiatum  iustius  |  Et  felicius  consecravit  [  Anno  .mdlxxxvi.  P.  .11. 

In  peristylio  liaec  legebantur,  artificis  nomen  indicantia  :  «  Domi- 
«  nicus  de  Fontana,  ex  pago  Mili,  agri  Novocomensis,  transtulit  et 
«  erexit  ».  Hunc  ob  operam  navatam,  cum  ab  aliis  fuisset  frustra  ten- 
tatum,  Sixtus  equitem  creavit,  deditque  censum  quatuor  millium  duca- 
torum  papalium  (2).  De  obeliscis  vide  Hieronìmum  Cardanum  in  libris 
De  vai:  rer.,  Io.  Goropium  Becanum  in  Hieroglijìcis  passim.  Plinius 
vero  obeliscum  Vaticanum  in  circo  Cali  et  Neronis  ex  omnibus  unum 
fractum  in  molitione  scribit;  eumque  a  Nuncoreo,  Sosostratris  filio, 
ìnceptum  narrat.  Petrus  Belonius  autor  est,  obeliscos  olim  sepulcris 
fuìsse  ornatui;  omnes  esse  ex  lapide  thebaico,  variis  distincto  pun- 
ctis.  Vide  Becanum,  lib.  X  Hierogl.  (3). 

XII.  Ad  aulam  Valicanam  pontificiam  Petreiano  tempio  proximam 
perveni,  eamque  a  variis  pontificibus  instauratam,  auctam,  ornatam, 
ut  suo  ordine  describit  Onuphrius,  perlustravi.  Horti  ibi  amoenissimi, 
pulcherrimi  prospectus,  aediculae  maximi  pretii  statuis  ornatissimae, 
ut  Laocoontis,  Cleopatrae  et  aliarum,  quae  typis  excusae,  propter 
excellentiam  circumferuntur  (4).  Porticus  hic  deambulatorii  tres,  ìnfimus 
a  Leone  X  picturis  quìbusdam  rustìcis  ornatus,  medius  a  Gregorio  XIII 


(1)  C.  /.  L.  VI,  n.  882. 

(2)  Cf.  HiiBNER,  Sixle  Quint,  II,  128  ;  Lanciani,  Rutns  and  Excav.  p.  549. 

(3)  Q.UÌ  si  trova  il  disegno  a  colori  colla  seguente  iscrizione:  «  Molis  divi  Ha- 
«  drìani  Augusti,  nunc  vulgo  Castrum  S.  Angeli,  delineatio  ut  erat  ante  restaurationem 
«  Borgianam  »   già  mentovato  nella  prefazione  e  riprodotto  a  p.  46. 

(4)  Sulle  più  antiche  rappresentazioni  delle  statue  di  Belvedere  cf.  Michaelis,  Jahr- 
buch  des  arch.  mst.  1890,  p-  ij  sg.  Sul  Belvedere  di  Innocenzo  Vili  cf.  Mììmtz.  Les  arts, 
Paris,  Leroux,   1898,  p.  69  sg. 


Iter  Italicum  59» 


picturis  africanis  recentioribus  illustratus,  summus  omnium  totius  orbis 
regionum  formas  complectitur.  Est  et  hìc  aula  Constantiniana,  ubi 
pugna  Constantini  cum  Maxentio  ad  pontem  Milvlum  per  Raphaelem 
Urbinatem  depicta,  quani  aeneis  quoque  typis  excusam  vidi.  Sunt 
aulae  plures,  ubi  senatores  convenire  solili,  operosis  peripetasmatis  et 
aulaeis  barbaricis  ornatae.  Oratorium  quoque  pontificium  pictura  Bo- 
narotae  nobile.  Intravi  bine  (i)  aulam  marmoream,  multorum  poniifi- 
cum  sumptubus  aedifìcatara,  ac  praecipue  Pii  IV,  cuius  ibi  effigies  in 
parlete  marmorea  subtilissima,  nec  a  quovis  videnda,  spectatur.  Splen- 
dent  ex  nobilissimo  marmore  parietes,  fulget  aureum  lacunar,  pavi- 
mentum  non  uno  colore  marmoris  nitet.  Hinc  occurrunt  suis  locis 
artificiosissimae  pontificiorum  trophaeorum  picturae,  a  Paulo  III  in- 
cepta  est,  a  Gregorio  vero  XIII  absoluta.  In  pavimento,  ad  quatuor 
angulos  est  draco,  insigne  Gregorii  tessellatis  epigrammatibus;  vo- 
lanti nempe  haec  ascripta  leguntur:  «  Felix  praesagium  »,  sedenti  super 
lapidem,  «Non  commovebitur  »,  alio,  «Vigilat»,  ultimo  circulo  im- 
posito:  «  A  quo  ad  quem  ».  Supra  portam  estnigro  in  marmore  aureis 
literis  : 

Aula  haec  Paulo  III  Pont.  Max.   iussu   ornari   coepta,  et  Piorum  postea  quarti  et 
quinti  studio  aucta,  anno  Gregorii  XIII  primo  ad  finem  perducta.  Anno  .mdlxxiii. 

Picturae  sunt  variae,  et  singulae  suis  inscriptionibus  notatae  ut 
sequitur. 

Tabula  I. 

Petrus  Arragonius  rex,  ad  urbem  profectus,  Innocentio  III  pon- 
tifici maximo  Regnum  defert,  constituta  annui  tributi  perpetua  pen- 
sione, obedientiam  simul  et  defensionem  Sedis  Apostolicae  poUicitus. 

Hanc  historiam  diu  quaesitam,  hoc  modo  non  potui  invenire,  et, 
quod  miror,  Platina  nihil  meminit,  Petrum  vero  Arragonium,  a  Mar- 
lino  IV  excommunicalum  eiusque  regnum  occupanlibus  expositum 
scribit,  et  Gerundiae  cum  illam  civitatem  contra  Franco  Gallorum 
regem  defenderet  ex  vulnere  obiisse  sub  Honorio  IV  refert,  quae 
omnia  ex  Biondo  habere  videtur.  Nec  Martinus  longe  ab  iis  discedit. 

Tabula  II. 

Alexander  papa  III,  Frederici  primi  imperatoris  iram  et  impetum 
fugiens,  abdidit  sese  Venetiis.  Cognitum  et  a  senato  pcrhonorifice  su- 

(1)  Lt  descrizione  della  sala  Regia,  che  più  si  avvicina  a  quella  dell' A.,  si  trov» 
nel  cod.  Barb.  XXX,  89,  ce.  515  b-S$ì,  ed  «o  1'  i>o  divulgata  nel  tomo  VI  dtìì' Arehivio. 
Altre  notizie  inedite  di  considerevole  importanza  saranno  pubblicate  nel  I  voi.  della  mi« 
Storia  digli  itavi  di  Roma.  V«di  anche  Fo»cella,  VI,  80,  nn.  225,  aa6  &c. 


^0  qA.  "Bucheliius 


sceptum,  Ottone  imperatoris  filio  navali  praelio  a  Venetis  vieto  ca- 
ptoque,  Fredericus  pace  facta  supplex  adorat,  fidem  et  obedientiam 
pollicitus,  ita  pontifici  sua  dignitas  Venetae  reipublicae  benefitio  re- 
stituta,  anno  .mclxxvii. 

Hanc  historiam  Blondus  lib.  VI  decadis  secundae  et  ante  euni 
Martinus  ac  ex  eo  Platina,  nec  non  Venetarum  rerum  scriptores  ut 
Marcellus,  Sabellicus  et  alii  descripsere;  sed  superbiam,  imo  petulan- 
tiam  Alexandri,  in  conculcando  tanti  viri  capite,  ac  superbis  eius  di- 
ctis:  «Super  aspidem  et  basiliscum  ambulabis»,  cui  respondit  impe- 
ratori «Non  tibi  sed  Petro  me  submitto  »;  ad  quae  papa:  «  Et  mihi 
«  et  Petro  «,  pontificii  illi  parasiti  omiserunt. 

Tabula  III. 

Sedis  pontificiae  Romam  Gregorium  XI  Lemovicensem  Avenione 
ex  Galliis  reductio;  quemadmodum  in  eius  epitaphio,  quod  est  in 
Sancta  Maria  Nova,  et  a  me  in  Epitaphiorum  libris  descriptum  ha- 
betur,  videre  est.  Hanc  fecit  Georgius  Onacharius  Aretinus,  ut  graeca 
habet  inscriptio. 

Tabula  IV. 

Carolus  magnus  in  Patrimonii  possessionem  Romanam  Eccle- 
siam  restituit. 

Hic  nempe  precibus  Hadriani  I  pontificis,  Desiderium  Langobar- 
dorum  regem  compescuit,  qui  Patrimonium,  ut  vocant,  Petri  magna 
ex  parte  occupaverat,  circiter  annum  christianum  .dccc.  Vide  latius 
Martinum,  Blondum  et  Platinam. 

Tabula  V. 

Gregorius  II,  Germaniarum  magna  parte  ad  veri  Dei  cultum  tra- 
ducta,  Arithperti  Longobardorum  regis  donatione  per  Luithprandum 
successorem  confirmata,  anno  sui  pontificatus  .xvil  discessit. 

De  Gerraanis,  per  Bonifacium  ad  relligionem  christianam  tradu- 
ctis,  meminit  Martinus,  caeterum  de  Langobardorum  donatione  nil 
dicit.  Sedit,  ut  ipse  vult,  annos  .xvl,  menses  .vin.,  dies  .xx.  Sub 
IoanneVII  hanc  primum  Arithperti  donationem  factam  scribit  Blondus; 
ille  nam  Coctias  Alpes,  in  quibus  Genua  est,  ad  Galliarum  partes  zelo 
religionis  adductus,divo  Petro  obtulit,  circa  annum  christianum  .dccx.; 
paulo  post  Luithprandum  eandem  confirmasse  sub  hoc  Gregorio  in- 
nuere  videtur.  Platina,  sine  authore,  hanc  vulgi  famam  esse  scribit, 
Gregoriumque  sedisse  annos  .xvl,  menses  .ix.,  dies  .xl 


Iter  Italiciim  6i 


Tabula  VI. 

Gregorius  VII  Henricumimperatoremmale  de  Ecclesia  merentem, 
postea  supplicem  et  poenitentem  absolvit. 

Hanc  historiam  Martinus  et  Platina  describunt,  sed  Blondus,  lib.  3 
secundae  decadis,  paulo  aliter  narrat,  nempe  Gregorium  ab  Henrico 
Romae  obsessum,  et  a  Guiscardo  Normanno  liberatum,  non  diu  post 
obiisse,  incidit  nam  hic  Henricus  post  reconciliationem  denuo  in  ex 
communicationem  eiusdem  Gregorii,  quem  Martinus  Alemannum, 
Platina  Etruscum  dicit,  fuitque  circa  annum  .mlxxv. 


Tabula  VII. 

Otho  primus  imperator,  devictis  Berengario  et  Rodulpho  eius 
filio  tyrannis,  provincias  ab  illis  occupatas  Ecclesiae  restituit. 

Huius  rei  meminit  Martinus,  nihil  tamen  de  filio  capto  addit,  re- 
gnasse autem  hunc  Berengariura  cum  filio  Alberto  scribit  .1111.  annos, 
anno  Christi  .dccccxli.  Blondus  vero  et  Platina  scribunt,  Othonem, 
Agapithi  II  papae  precibus,  Berengarium  cum  filio  Alberto  regno  de- 
turbasse, et  deinde  paucis  ademptis  ac  eos  pontifici  reconciliatos  re- 
stituisse. 

• 

Tabula  VIII. 

Gregorius  IX,  Frederico  imperatori  Eccleslam  oppugnante,  sacris 
interdicit. 

Hic  omnes  excommunicationis  ceremoniae  terribiliter  et  ad  hor- 
rorem  incutiendum  erant  depictae.  Historiam  describit  Martinus,  qui 
Fredericum  hunc  secundum  ab  Honorìo  prius  excommunicatum  dicit, 
circa  annum  .mccxv.  Deinde  Gregorium  circa  annum  .mccxxv.  fulmen 
excommunicationis  in  eum  confirmasse,  quod  centra  Turcas  non  pro- 
cessisset.  Blondus  et  Platina  eadem  affirmant. 


Tabula  IX. 

Carolus  V  imperator,  Tunetum  a  Turcis  occupatum,  pari  virtute 
ac  felicitate  recepii,  Paulo  III  pontifice  maxime,  .mdxxxv. 

Hoc  bellum  pracier  quam  quod  sit  in  memoria  hominum,  et  a 
plurimis  descriptum,  Paulus  lovius  HijtoriarAìb.  XXXI  ampie  enarrai. 


62  òA.  "Buchelliiis 


Tabula  X. 

Caspar  Colignius  olim  ammiralius,  accepto  vulnere,  domum  de- 
fertur  Gregorii  XIII,  .mdlxxii. 

Haec  historia  recens  et  apud  Zurium  ac  recentiores  historiarum 
Gallicarum  scriptores  repetitur. 

Tabula  XI. 
Colignii  et  sociorum  caedes. 

Tabula  XII. 

Rex  Colignii  necem  probat. 

Haec  caedes,  vulgo  Lutetiaca,  facta  est  die  Barptolomei,  sub  rege 
Carolo  IX,  executore  Henrico  Valesio,  tum  Alanzonii  duce,  regis 
fratre. 

Tabula  XIII. 

Hostes  perpetui  christianae  relligionis  Turcae,  diuturno  victo- 
riarum  successu  exultantes,  sibique  temere  praefidentes,  militibus,  du- 
cibus,  tormentis,  omni  denique  bellico  apparatu,  ad  terrorem  instructi, 
ad  Echinadas  insulas,  communi  classe,  praelio  post  hominum  memo- 
riam  raaximo,  perspicuo  divini  spiritus  ope,  profligantur,  anno  .mdlxxi. 

Huius  historiae  viva  adhuc  est  memoria,  ducibus  Ioanne  Au- 
striaco, pontifice  et  Veneto  sociis,  eo  pene  loci,  quo  Octavianus 
Antonium  et  Cleopatram  proelio  navali  superavit,  die  lustinae  sacro 
gestum  proelium. 

Tabula  XIV. 

Classes  oppositae  Turcarumuna,  christianae  societatis  altera,  Inter 
Pium  V  pontificem  maximum,  Philippum  Hispaniarum  regem  et  Ve- 
netam  rempublicam,  inito  iam  foedere,  ingentibus  utrimque  animis 
concurrunt. 

Pius  V  eo  miserat  Marcum  Antonium  Columnam  Romanum, 
qui,  post  victorìam  reversus,  publica  laetitia  civium  Romanorum  ex- 
ceptus  est.  Veneti  vero  Sebastianum  Venenum  imperatorem  adiunxe- 
rant.  Vide  Ioannem  Petrum  Contarenum,  hanc  navalem  pugnam  cum 
bello  Cyprio  ampie  describentem. 

Egredeunti  hinc,  occurrit  a  Pio  IIII  papa  muro  portaque  clausus 
iocus,  ubi  habitant  Helvetii  milites,  praesidiariì  pontificis. 


Iter  Italie  uni  6^ 


In  hortis  Vaticanis  hoc  legitur  epigramma  vetus,  marmori  in- 
scriptum : 

uirsp  atoTYioia;  xai  Siaaovr;  |  tou  xupiou  ai»TOxpaTopo;  |  >cou.p.o5ou  ae^acTOU  | 

oc    vaUxXYliSt    TOU    TTOpSUTUOU   [   aXé^aNOpElNO'J    (TTOXOU  (i). 

XIII.  In  circo  Neronis,  ad  laevam  templi  Vaticani,  est  templum 
Teutonicorum,  cum  coemeterio,  quod  vocant  Campum  Santum,  cuius 
terra  fabulatur  vulgus  e  lerosolimitana  regione  traducta.  Hic  obe- 
liscus,  nuper  Vaticanus,  terrae  magna  ex  parte  obrutus  iacuit(2); 
circuni  sunt  ossuaria,  quam  variarum  regionum  et  civitatum  rel- 
liquiae. 

Institutum  hic,  nescio  a  quo  pontifice,  piissimum,  ut  singulis  die- 
bus,  .XII.  peregrinis  pauperibus  prandium  detur,  quorum  deinde  manus 
praefectus  e  pontificia  familia,  postquam  laverint,  purissimo  lino  siccat 
et  abstergit  (3). 

De  circo  Vaticano  nonnulla  Tacitus  scribit,  lib.  Ann.  XIV.  Statua 
Laocoontis,  cuius  tertio  ab  hinc  folio  memini,  in  hortis  Vaticanis  (4) 
inventa,  non  procul  a  thermis  Titi,  in  vinea  Felicis  civis  Romani, 
anno  christiano  .ciDiovi.,  ea  spetie,  qua  a  Virgilio  II  Aeneid.  descri- 
bitur.  De  hac  sic  Plinius:  «  Laocoon  in  Titi  imperatoris  domo,  opus 
«  omnibus  et  picturae  et  statuariae  artis  praeponendum,  ex  uno  la- 
«  pide  ».  &c.  Fecere  summi  artifices  Agesander  ac  Polydorus  et  Athe- 
nodorus  Rhodii. 

XIV.  Portam  Sancti  Spiritus  egressus,  varia  vidi  munimenta  (5), 
vallem  quoque  Inferni,  ut  vocant,  ubi  figulorum  domus  et  officinae, 
praeterea  templum  divi  Onuphrii,  in  colle  laniculi,  ubi  olim  templum 
lani,  quem  ibi  ohm  consedisse  narrant  (6). 

De  bibliotheca  Vaticana,  quam  Sixtus  V  pontifex  mirum  in 
modum  ornavit  et  instruxit,  vide  librum  singularem  Fr.  Angeli  Roccae 


(i)  C.  I.   G.  n,   5889;  Bull.  Insl.    1868,  p.   2}6. 

(2)  Espressione  inesatta.  «  Ai  nostri  tempi  il  terreno  per  le  ruine  era  cresciuto  tanto 
«  che  copriva  non  solamente  tutta  la  base  dell'obelisco,  ma  ancora  due  palmi  del  raggio 
«  sopra  gli  astragali  »  ;  Mkrcati,    Obelischi,  p.  2)9. 

(3)  Cf.  Antonio  De  Waal,  /  luoghi  pii  sul  territorio  Vaticano,  trtd.  Marzorati, 
Roma,  1886. 

(4)  Corr.  «  Esquilinis  D,  cioè  nella  vigna  di  Felice  de  Fredis  alle  Sette  Sale. 

($)  Le  mura  bastionate  di  Paolo  III  e  Pio  IV.  La  valle  dell'Inferno  sta  dalla  parte 
opposta  fuori  della  porta  Angelica.  Forte  l'A.  intende  parlare  della  valle  del  Gelsomino, 
e  della  valle  delle  Fornaci  fuori  la  porta  Turrionis  (Cavalleggeri),  note  per  1«  cave  di  creta 
figulina. 

(6)  Cf.  Giuseppi:  Caterbi,  La  chiesa  di  S.  Onofrio  e  U  tue  tradi{loHÌ,  Roma,  iSjS, 
e  il  voi.  V  del  Fokciìlla,  p.  240. 


^4  C^-  "Biichellitis 


Camerini  augustiniani,  editum  Romae  anno  1591,  ubi  haec  inscriptio, 
marmori  incisa,  legitur: 

Sixtus   V   Pont.   Max.  |  Bibliothecam  aedificavit  |  Porticus  construxit,   coniunxit  [ 
An.  .MDLxxxvin.  Pont.  .111.  (i). 

XV.  Pars  urbis  Transtyberinae  veteris,  quatuor  olim  portas  habe- 
batjValeriam,  Septimianam,  Aureliam,  et  Portuensem  (2).  Hunc  igitur 
diem  in  explorandis  Transtyberinis  monumentis  consumpsi,  ac  portam 
Fontinalem  sive  Septimianam  ingressus,  vidi  Sanctae  Mariae  Transty- 
berinae basilicam,  ubi  olim  tabernam  merìtoriam  fuisse  ferunt,  et  olei 
fontem  fiuxisse,  tempore  nativitatis  Christi.  Author  est  Eutropius,  cui 
astipulatur  Orosius,  et  hi  versiculi,  aureo  pencillo  restaurati,  supra 
portam  in  navi  posteriore  indicant: 

Dum  tenet  emeritus  miles,  sum  magna  taberna, 
Sed  dum  Virgo  tenet  me,  maior  nuncupor  et  sum. 
Tunc  oleum  fluo,  signas  magnam  pietatem 
Christi  nascentis,  nunc  trado  petentibus  ipsam. 

Est  in  parvo  lapide,  non  procul  a  porta,  obscuro  in  loco,  simplex 
epitaphium  Innocentii  II  papae,  goticis  literis  iam  pene  fugientibus 
signatura,  quod  est  tale: 

Hic  requiescunt  venerabilia  ossa  santissimae  memoriae  domini  Innocenti!  II  PP.  de 
domo  Paparascorum  qui  praesentem  ecclesiam  ad  honorem  Dei  genitricis  Ma- 
riae &c. 

quae  legi  vix  poterant  (.mcxl.),  sed  ex  Platina,  Martino,  et  Biondo 
facile  suppleri.  Fuit  is  ex  Transtyberina  regione  Romanus,  moritur 
pontifex  anno  .xiiii.  .mvii.,  fornices  huius  templi  opere  musiveo  or- 
navi! (3). 

Scribit  Antoninus  episcopus  Florentinus,  hic,  ni  fallor,  imaginem 
esse  divae  Mariae  a  beato  Luca  depictam.  Eodem  in  tempio  est  epi- 
taphium Francisci  Amelini  Medices  (4)  cardinalis  et  eius  patris.  Item 
Stanislai  Hosiì  Poloni  cardinalis,  viri  doctissimi,  qui  Consilio  Triden- 
tino, nomine  papae,  praefuisse  dicitur,  et  de  controversiis  relligionis 
quaedam  edidit.  Epitaphium  est  in  Epith.  meorum  libro,  ubi  et  aliud 


(i)  L'iscrizione  più  non  esiste.  Stava,  secondo  il  Rocca,  Ice.  cit.  p.  2,  nella 
facciata  verso  il  cortile  di  Belvedere.  La  parola   •  construxit  »  manca  nell  originale. 

(2)  Le  porte  Onoriane  transtiberine  erano  tre  soltanto. 

(3^  Innocenzo  II,  Papareschi,  riedificò  la  basilica  nel  11 39  servendosi  di  colonne  e 
di  capitelli  delle  terme  Antoniniane.  Vedi  Huelsen,  Architeklonische  Studien  von,  .  .  Iwa- 
noff  in  principio.  L'epitaffio  di  Innocenzo  II  sta  presentemente  collocato  nel  portico. 

(4)  Il  sepolcro  del  card,  Francesco  è  descritto  a  lungo  dall' Armellini,  Chiese,  2'  ed. 
p.  644  sg.  :  il  titolo  sepolcrale  del  card.  Stanislao  Osio,  -j-  1579,  dal  Forcella,  II,  J47, 
n.  1070.  Cf.  voi.  Ili,  326,  n.  741.  Roberto  Altemps,  primo  duca  di  questo  nome,  pre- 
fetto   delle    armi  papali  in  Avignone,  mori  di  venti  anni  nel  1586. 


Iter  Italiciim  65 


est  Roberti  ab  Altaemps,  Galesii  ducis.  Ad  sepulcrum  Hosii  hoc  ha- 
betur  dignum  tam  valido  pontifìciae  causae  defensori  elogium:  «  Ca- 
«  tolìcus  non  est  qui  a  Romana  Ecclesia  in  fidei  doctrina  discordai  »  ; 
si  de  vetere,  verum,  si  de  hac  corrupta,  minime.  Lactantius  Firmianus 
veram  catolicam  ecclesiam  hanc  esse  scribit,  in  qua  est  relligio, 
confessio  et  poenitentia,  quae  peccata  et  vulnera,  quibus  est  subiecia 
imbecillitatis  carnis,  salubriter  curaret.  Restant  haec  in  Romana  Ec- 
clesia etiamnum  vocabula,  sed  longe  distat  effectus. 

Mihi  narratum,  Henricum  Stephani,  olim  ad  bibliotecam  Vati- 
canam  admissum,  ut  ei  excribendi  quaedam  copia  fieret,  cumque 
crederetur  scribere,  summa  dexteritate  cultello  clam  librum  integrum 
exscidisse,  et  coperculo  vacuo,  ne  fraus  pateret,  relieto,  abstulisse. 

Inde  ad  Montorium,  lanicularis  montis  partem,  perveni,  habetque 
templi  divi  Petri  in  Monte  Aureo,  in  quo  sepulcrum  cardinalis  Mon- 
torii,  qui  quondam,  ut  fertur,  lulio  III  in  delitiis  fuerat,  et  piclura 
excellentissimi  Urbinatis  (i). 

Hunc  montem  si  descenderis  in  planitie,  iuxta  muros,  est  coemite- 
rium  ludeorum  (2).  Philon  autor  est  ludaeos  olim  magnani  partem 
Transtyberinae  regionis  tenuisse,  in  hac  quoque  viliora  et  sordidiora 
quaeque  opificia  fiebant. 

Hinc  iter  est  per  portam  lanuensem,  nunc  Sancti  Pancratii,  via  Vi- 
tellia  ad  mare,  cuius  meminit  in  Vitellio  Tranquillus,  Hinc  ambu- 
lantes  iuxta  Tyberim,  vidimus  relliquias  pontis  Sublicii  in  medio 
flumine  apud  Navalia  extantes,  ad  radices  fere  Aventini.  In  hoc  olim 
Horatius  Cocles  impetum  hostium  solus  sustinuit,  donec  demoli- 
retur,  ut  Romanarum  rerum  scriptores  abunde  posteritati  reliquere. 
Hic  factus  per  Ancum  Martium  .iv.  Romanorum  regem  ligneus,  ex 
lapide  inde  restauratus  per  Aemilium  Laepidum,  et  dictus  Aemilius, 
deinde  ab  aliis  imperatoribus  et  tandem  ex  marmore  per  Antoninum 
Pium,  Marmoreusque  appellatus  (3). 

Circa  vesperum  pontem  olim  Palatinum  et  Senatorium,  hodie  San- 
ctae  Mariae,  transivimus,  et  hospitium,  quod  tum  erat  in  Aethiope, 
repetivimus.  Habebat  vero  is  pons  hanc  inscriptionem  marmoream: 

Ex  autoritate  Gregorii  XIII  P.  M.  |  S.  P.  Q  R.  Pontem  Senatorium  cuius  fornices 
vetustate  collapsos  et  iampridem  refcctos  lluminis  inipetus  dcnuo  deìecerat,  in 
pristinam  firmitatem  et  pulcritudinein  restituii;  anno  iubilaci  .mdlxxv.  (4). 

(i)  La  Tratjiguraxione,  e  il  sepolcro  del  card.  Del  Monte  disegnato  da  Giorgio  Vasari. 

(2)  L'  «  Ortaccio  degli  Ebrei  »  situato  tra  la  presente  stazione  del  Trastevere  e  le 
mura  della  cittA,  sulla  linea  del  viale  del  Re.  Vedi,  fra  molte  autoritA,  Biirliner,  (/«• 
schichit  der  Juden  in  Rom,  Frankfurt,   189),  II,  par.  i,  p.   14;  par.  li,  pp.6},  64. 

(3)  L'A.  confonde  i  resti  attribuiti  al  ponte  Sublicio  con  quelli  del  ponte  Emilio. 

(4)  Gregorio  XIII  si  atnbuisce  il  merito  del  risarcimento  del  ponte  pel  giubileo 
del   1575,  merito  che  spetta  invece  esclusivamente  ai  Conservatori  della  città. 

Archivio  della  R.  SocieU  rimana  ài ttoriA  patria.  Voi.  XXIII.  5 


66  Q^d,  "Buchellius 


laniculum  dictum,  quod  per  eum  populus  Romanusprimitus  trans- 
ierit  in  agrum  ethruscum,  tradìt  Festus.  Virgilius  a  vetustissimo  op- 
pido  lani  Vili  Aenià.  derivai  nomen,  vide  Georg.  Fabritium  De  antiq. 
urh.  Rom.  Hic  Numam  esse  sepultum,  author  est  Paulus  Diaconus  in 
Festum,  in  verbo  Numae.  Hunc  pontem  divae  Mariae  Aegyptiacae  a 
vicina  aede  nunc  appellatum  volunt,  in  eo  inscriptionem  antìquam  esse 
scribit  Martianus,  quae  dubito  an  iani  exstet,  cum  vi  et  impetu  flu- 
minis  anno  .mdlvii.  deiectus  fere  medius  fuerit,  ac  deinde  a  S.  P.  Q.  R. 
tempore  Pii  IIII  pontificis  maximi,  anno  scilicet  .mdlxi.,  ex  lineis 
machinelis,  reficere  curavit.  Sed  cum  opus  iam  absolutum  esset,  per- 
fracto  uno  ex  validioribus  rudentibus,  praeceps  in  Tyberim  proruit, 
quassata  mole  et  abrupta,  sicque  usque  ad  tempora  Gregorii  XIII 
papae  anno  .mdlxxiv.  mansit,  cum  tempore  iubilei  iterum  restauratur, 
architecto  Matheo  Typhernate,  cuius  tum  sumptus  ad  .liv.  millia 
nummorum  aureorum  ascendit  (i). 

(i)  I  documenti  relativi  a  questo  restauro  saranno  da  me  pubblicati  nel  voi.  I  della 
Storia  degli  scavi  di  Roma.  Il  ponte,  abbattuto  dalle  acque  il  27  settembre  1557,  rifatto 
prima  in  legname,  poi  in  muratura,  sotto  la  direzione  di  Matteo  da  Castello,  cadde  nuo- 
vamente il  25  dicembre  1599.  L'ha  sostituito  nel  1889  una  delle  più  goffe  costruzioni 
idrauliche  dei  tempi  moderni. 


(Continua). 


REGESTO 

DEL 

MONASTERO  DI  S.  SILVESTRO  DE  CAPITE 


(Continuazione,    vedi  voi.  XXII,   p.  489) 


LXXXIII. 

1227,  maggio  31. 

«  Bonomus  Grifonis  de  castro  Vassanelli  don[at  in  perpetuuni 
«  d.  Ianni  yconimo  Muto  ecclesie  S.  Silvestri  de  Capo  unam  petiam 
«terre  positam  in  tenimento  Vassanelli  in  loco  qui  dicitur  Silva  munda, 
«  inter  hos  fìnes  W,  a  capite  tenent  Crescius  Madiane  et  heredes  Petri 
«  Bonomi,  a  pede  tenent  heredes  Rustukelli  Ortani,  ab  uno  latere  est 
«  via  Calcarelle,  ab  alio  latere  est  via  praterie  (•>)  ».  Pena  «  dupli 
«diete rei».  «Actum  in  domo  iudicis  Nicolai,  coram  testibus  ludice  Ni- 
«  colao,  Petro  lacobi,  Ianni  Lucie,  Petro  lanis,  Duranti  de  Paqo,  Ianni 
«  Grappalli.  Nicolaus  Petri  Romani,  per  alme  Urbis  prefectum,  no- 
«  tarius  »  (i). 

LXXXIV. 

1228,  settembre  ...(e). 

«...(0  consentiente  in  hoc  Consula  uxore  [sua  et  d.  Silvestro  ha- 
«  bate  monasteri!  S.  Silvestri  et Iohanne[Mut]o(c)diac[ono]...(Oipsius 

(a)  Fin  qui  una  mano;  poi  la   scrittura   cambia   ed   è  quella  del  notaio, 

{h)  Nel  testo  una  parola  abbreviata  che  interpreto  con  incertena,  (e)   Uno 

strappo  nel  margine  superiore  destro  della  pergamena   danneggia  l' estretnità 
delle  prime  righe. 

(1)  Nel  verso,  oltre  la  solita  nota  riassuntiva  di  mano  poste- 
riore, ò  un'altra  nota,  scritta  in  minuscola  forse  sincrona  all'atto: 
«  Cartula  donationis  de  .1.  petia  terre  posita  in  tenimento  VnssancUi 
«  in  loco  qui  dicitur  silva  munda  ». 


^8  V,  Jederici 


«  monasterii  et  Benedicto  et  Ioanne  Divi(;^e  monachi  prcdicti  mona- 
«  sterii,  habentibus  prò  eorum  consensu  .v.  solidos  provisinorum  d[at 
«per  Petrum  Buccafusca  [suum  procuratorem  . . . (»)  lohannis  Girardi^ 
«  secundum  tenorem  carte  locatìonis  in  perpetuum,  scripte  per  Angelum. 
«  Petri  Mardonis  scriniarium  u[nam  terram  bene]  (*)  pastinatam  pie- 
ce nam  uvis  plus  vel  minus  cum  medietate  de  vasca  et  vascali  et  tini 
«  et  cum  via  intus  carbonarium,  positam  extra  Flammineam  portam^ 
«  in  campo  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .i.  latere  est  vicolus,  a  .ir. 
«  Petrus  Buccafusca,  a  .ni.  est  mons  S.  Valentini,  omnes  iuris  dicti 
«  monasterii,  a  .mi.  est  via,  prò  .xx.  libris  et  dimidia  provisinorum 
«  senatus  honorum  salvo  tamen  quod  a  modo,  omni  anno,  in  tempore 
«  vindemiarum  redd[et  monasterio  quartam  partem  musti  mundi  et 
«  acquati  quod  de  ea  exierit  et  unum  canistrum  plenum  uvis  quod 
«  sit  in  fundo  duorum  palmorum  et  unius  summissi  altum  et  dah[it 
«  predicto  monasterio  .mi.  provisinos  prò  vascaneo  et  [monasterium 
«  dimictet  [ei  in  tino  .xviii.  congitellas  musti  mundi  per  vascam  de 
«  musto  communi  ad  congitella  de  senatu.  Comjminus  .v.  soHdos 
«provisinorum».  Pena  «  dictam  pecuniam  duplam  ».  Testimoni: 
«  Petrus  Buccafusca,  Abbandonatus  cursiator,  Johannes  Ferrarus,  la- 
«  cobus  Stefani  Benediane,  Petrus  Laurentii.  Romanus  Angeli (b)  sacri 
«  romani  imperii  scriniarius  ». 


LXXXV. 

1229,  decembre  18. 

«  Silvester  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  adque  Silve- 
«stri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  consensu  fratrum  d.  Petri 
«  Stephani,  d.  Tebaldi,  d.  Silvestri  monachorum  ipsius  monasteri* 
«  loc[at  laquinta  uxor  ohm  Stephani  Alexii  prò  filiabus  Marta  Tedora 
«  Egidia  in  .x.  et  novem  annos  complendum  et  semper  in  alios  tantum 
«  rcnovandum  in  perpetuum  (=)  unum  casarinum  super  quem  tendiam 
«  habe[t  cum  orto  post  se  et  iuxta  se,  positum  in  regione  S.  Lau- 
«  rentii  in  Lucina,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  est  via,  a  .11.  Riccardus 
«  lohannis  Periculi,  a  .111.  Riccardus  lohannis  Periculi  iuris  mona- 
«  sterii  W,  a  .un.  tenet  Petrus  Tosus  prò  duo[bus  solid[is  provisinorum 


(a)    Qui  la  pergamena  e  bucata.         (b)   Il  patronimico  e  ricordato  soltanto 
nella    ro  ga:^ione .  (e)    Tre  linee  del  testo  sono    straordinariamente   sva- 

nite, sì  che  la  lettura  ne  e  difficilissima.         (d)  iuris  monasterii  aggiunto  dalla^ 
stessa  mano  del  testo  con  un  richiamo,  dopo  la  firma  dei  testimoni. 


^gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  6^ 


«  honorum  senatus  prò  renovatura,  et  sub  pensione  unius  denari! 
«  Papié  in  festo  sancii  lohannis  Baptiste  monasterio  reddenda  ». 
Pena  «  .11.  unciarum  auri».  Testimoni:  «  Bartholomeus  Oddonis, 
«  Conradus  lohannis  Matliei,  Gentilis  terra nanus,  Gulielmus  cappel- 
«  lanus.  Angelus  sacri  romani  imperii  scriniarius». 


LXXXVI. 

1230,  agosto  3. 

«  D.  Silvester  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  adque  Sii- 
«  vestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  cum  consensu  presbiteri 
«  Petri  Stephani,  d.  lohannis  Muti  yconimi,  d.  Tebaldi,  presbiteri 
«  Benedicti,  d.  Guidonis  monachorum  eiusdem  monasterii  conce- 
«  d[it  iure  tertii  generis  d.  Ahcheo  Petri  Mauritii  et  procuratorio 
«  nomine  Petro  Germano  fratri  [suo  prò  medietate  subscripte  rei 
<c  et  procuratorio  nomine  Simoni  et  lohanni  sobrinis  fratribus  et  Simo 
«  olim  Sebastiani  habitatoribus  civitatis  Gallese,  prò  alia  medietate 
«  unam  petiam  de  terra  in  lenimento  suprascripte  civitatis,  in  loco 
«  qui  dicitur  Capangiola,  ita  ut  omni  anno  redd[at  prò  pensione 
«  medium  tinum  de  grano  in  festivitate  sancte  Marie  de  agusto,  ad 
«  tinum  vendalicium  de  Gallese,  positam  inter  hos  fines,  ab  omnibus 
«  lateribus  tenet  monasterium,  excepto  quod  a  capite  est  via,  et  a 
«  pede  fossatum,  prò  .1111.  libr[is  et  dimid[ie  senensium  et  lucen- 
«  slum,  Comjminus  .v.  solidorum  ».  Pena  «  predictam  pecuniam  du- 
«  plam  ».  Testimoni:  «Petrus  Grassus,  Simeon  de  Rainerio,  lustulus, 
«  Rainaldus  cocus,  Bartholomeus  Oddonis.  Angelus  sacri  romani  ini- 
«  perii  scriniarius  ». 

LXXXVII. 

1231,  decembre  12,  Bassanello  (i). 

«  D.  Tebaldus  prò  se  et  d,  Petro  procurator  monasterii  ecclesie 
«  S.  Silvestri  Capite  Urbis  ex  parte  una,  et  lohannes  (^antc(*)  et  Bc- 

(a)  Nel  compromesso  pare  scritto  C,}ance,  neU*  atto  ^ante 

(i)  In  questa  pergamena  sono  trascritti  due  atti;  uno  (5.  SihestrOf 
n.  84,  numero  nostro  lxxxvii),  contenente  il  compromesso  del 
«  laudo  »,  il  secondo  (5.  Silvestro,  n.  84,  numero  nostro  Lxxxvin), 
contenente  il  «laudo»  medesimo,  pronunziato  dall'arbitro  e  scritto 
dal  notaio,  quattro  giorni  dopo,  il  16  decembre. 


70  V.   federici 


«rardus  Caporotelle  de  castro  Vassanelli  ex  altera,  compromiserunt 
«  in  Petrum  Vecclum  (a)  tamquam  in  arbitrum,  super  questione  cu- 
ce iusdam  molendini,  quod  est  positum  ad  Fossatum  scurum,  in  pede 
«  fistolus  Aliani  iuxta  fossatum  undique  et  iuxta  rigum,  et  quicquid 
«  ipse  dixerit  ratum  habere  promiserunt  sub  pena  .xx.  librarum  lu- 
«  censium.  Actum  est  hoc  in  platea  Vassanelli,  ante  domum  lohannis 
«  Canestri,  corani  testibus  Odone  Odolini,  Andrea  Nustoli  W,  An- 
w  gelerio  Donadei,  Filippo  Fortisguerre,  Petro  lohannis  Mero?(;e 
«  de  Vassanello.  Eodem  anno  et  mense,  die  .xvi.,  indictione  et  loco 
«  predict[is,coram  testibus  Petro  Necti(«),  lohanne  Canestri,  Mencio  W 
«  Rustichelli,  Allebrandino  lohanne  Nustoli  (e),  d.  Petrus  procurator 
«  et  monacus  eiusdem  monasterii  compromisit  in  dictum  Petrum  arbi- 
«  trum.  Benencasa  Benenterre  notarius». 


LXXXVIII. 

1231,  decembre  16,  Bassanello. 

«  Petrus  Vetulus  potestas  (f)  Vassanelli  electus  arbitrer  a  d.  Te- 
«  baldo  et  d.  Petro  monacis  monasterii  S.  Silvestri  Capite  Urbis  ex 
«  parte  una,  et  a  lohanne  (^ante,  a  Berardo  Caporotelle  de  Vassanello 
«  ex  altera  arbitrando  pronunci[at  quod  dictì  Johannes  et  Berardus  dent 
«  monacis  decimam  partem  prefati  molendini,  et  aliud  totum  cum  eius 
«  tenimento  maneat  liberum.  Item  laud[at  quod  si  para  molendini 
«  destrueretur  exercitu  vel  diluvio,  teneantur  monaci  prò  eorum  parte 
«  eis  contengenti  reficere.  Et  si  lohannes  et  Berardus  venirent  ad 
«  vendendus(g)  [eorum  ius,  prius  vendantur  raonasterio,  .xv.  solidos 
«  lucenses  minus.  Si  monasterium  veniret  ad  vendendus  (g)  ius  suum, 
«  prius  vendatur  lohanni  et  Berardo,  .11.  solidos  minus. 

«  Actum  est  hoc  in  platea  castri  Vassanelli,  coram  testibus  Petro 
V  Necti  (h),  lohanni  Canestro,  Mencio  (0  Rusticelli,  Petrus  Mencii  W, 


(a)  Nel  compromesso  e  vecclum,  nell'atto  vetulus         (b)  Nel  testo  n'iolì 
e 
(e)  Nel  testo  Nti  [à)  Ahhrev.  melo  ;  nell'atto  d'arbitraggio  seguente  e  ri- 

petuta la  medesima  forma  abbreviata.  (e)    Nel  testo  n'toli  (f)  Abbre- 

viato pot  (g)  L' ultima  d  ha  V  abbreviazione    dell'  us  fd'J    ripetuta  nello 

slesso  modo  più  sotto.  (h)  Abbrev.  nti         (i)  Nel  testo  mcio        (k)  Questo 

cognome  scritto  distesamente  e  chiaramente  conferma  V  esatteT^a  dell'inter- 
pretazione del  cognome  precedente,  abbreviato  melo  Rusticelli,,  padre  di 
Petrus 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  71 


«  Crescio  Lucìe,  Petro  lohannis  Maroqqe,  Guidone  Bouoni  (a),  Nicola 
«  Petri  Yoni,  lordano  Bonomi  Raineri',  Anielo  Capolati,  Petrus  Bo- 
«  nomi.  Benencasa  Benenterre  notarius  de  mandato  Petri  arbitri  ». 


LXXXIX. 

1253,  luglio  28. 

«  Mathe[us  Bufonis  iud[ex  comunis  Ortani  per  d.  lohannem 
«  Cinthii  de  Papa,  potestatem  Ortanum,  investire  facit  per  Gentilem 
«  castaldum  [suum  Giliolu[m  Boninfantis,  [qui  a  Petro  Tancredi 
«  petebat  .11.  iunctas  terrarum  positarum  in  contrada  Vaioli  (l>),  iuxta 
«  ipsum  Giliolum  et  iuxta  viam  .xl.  solidos  existima[tas  et  apparebat 
«  per  sententiam  scriptam  per  Thomasium  notarium  qd.  comunis 
f(  Ortani,  latam  a  iudice  lohannis  Peregrini  qd.  iudice  comunis  Ortani; 
«prò  qua  investitura  facienda  [Giliolus  dedi[t  prò  salario  .11.  solidos 
«  et  .XII.  denarios  dicto  Gentili,  .vili,  denarios  castaido  prò  clama- 
te tura,  et  .viii.  notario  prò  carta  ».  Testimoni  :  «  Placidus,  Petrus 
«  Guitonis,  Raynucius  Malapresa  ».  «  Lucas  sacri  romani  imperii  iudex 
«  et  scriniarius  et  modo  notarius  d.  lohannis  Cinthii  potestatis  Or- 
«  tani  ». 

xc. 

1234,  gennaio  11. 

«  Sylvester  abbas  monasterii  Ss.  Stephany  Dionisii  adque  Silvestri 
«quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  de  consensu  d.  Petri  Stephany  pre- 
«  sbiteri,  lohannis  Mutiyconimi,Stephani  Cinthii  Oddonis  eiusdemmo- 
"  nasterii  monachorum  loca[t  per  predictum  lohannem  yconimum  pro- 
«  curatorem  Scangiolongo  usque  in  tertiam  generationem,  [qua  finita, 
«  quarta  generatio  danpdo  [monasterio  .vi.  solidos  denariorum  papien- 
«  slum,  teneji[tur  relocare,  unam  donmm  carticineam  cum  orto  post  so 
"  positam  regione  Colupgne  Antonine,  inter  ortos,  inter  hos  fines,  a  .1.  la- 
«  tere  heredes  Petri  de  Ocre  tenent,  a  .11.  retro  Confangio  Adammi,  a 
«  .III.  et  .1111.  sunt  vie,  una  que  vadit  in  ortum  d.  Canccliarii,  alia 
M  vero  publica,  prò  .111.  libr[is  et  dimid[ie  honorum  provisinorum  se- 
«  natus,  et  a  modo  annualiter  (e)  in  feslivitate  sancti  lohannis  Balti- 

(.1)  Sei  testo  bouoni         (b)  Nel  lesto  par  che  sopra  la  parola  ci  sia  uh» 
abbreviatura:  Vaioli  ^Vanioli  ?y.         (e)   Nel  testo  ann 


72  F.  Jederici 


«  ste  redd[at  [monasterio  ii.  denarios  papienses  nomine  pensionìs. 
«  Comjminus  .xviii.  denariorum  papiensium  ».  Pena  «  .v.  unciarum 
«boni  auri  ».  Testimoni:  «  Gyrton  calgolarius,  Oddo  Romani  Angeli 
«  de  Pogio,  Angelus  Alberti,  Matheus  Zucchi  dopgne,  Leonardus  or- 
«  tulanus.  Guaiengus  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


XCI. 

1235,  settembre  3. 

«  Silvester  abbas  monasteri!  S,  Silvestri  de  Capite,  d.  Petrus, 
«  Johannes  Mutus  yconimus,  d.  Benedictus,  d.  Romanus  dicti  mo- 
•(  nasterii  monachi  consensu  d.  Tebaldi  monachi  eiusdem  monasteri! 
«  promitt[unt  Andree  Cristofani,  procuratorio  nomine  prò  d.  Ore- 
«  sma  (a),  uxore  Mathei  Cilinie,  cuius  in  hac  causa  negotium  ger[it, 
«  hinc  ad  unum  annum,  dare  centum  libras  honorum  proveniensium  (b) 
«  senatus  quas  nunc  apud  [monasterium  deponi[t,  que  sunt  de  dote 
«  [Oresme,  [cui  pervenerunt  ex  bonis  [eius  paternis  et  maternis. 
«  Nomine  alimentorum  diete  dotis  promitt[unt  dare  [Andree  .xii.  li- 
«  bras  et  dimidiam  honorum  proveniensium  (b)  senatus,  omni  anno, 
«  donec  ei  fuerit  in  omnibus  satisfactum.  Completo  anno  quo  non 
«  fiat  soluto  ad  eamdem  rationem  per  mensem  et  per  diem  ».  Pena 
«  dicti  depositi  duplum  ».  Testimoni  :  «  Gualterius  de  Cesarinis,  Oddo 
«  filius  Oddonis  Colicoli,  Johannes  filius  olim  lohannis  Mathei,  lo- 
«  hannes  de  Capua,  Leonardus  de  Bitorclano.  Johannes  Coni  S.  R.  E. 
«  scriniarius  ». 


XCII. 

1256,  aprile  6. 

«  Johannes  Gratiani,  consentientibus  in  hoc  d.  Silvestro  abbati 
«  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capitis  et  Tebaldo  et  Johann!  Muto  yco- 
«  nimi  et  Silvestro  et  Benedicto  monachis  eiusdem  monasteri!,  haben- 
«  tìbus  prò  consensu  .v.  solidos  honorum  provisìnorum  senatus,  tradfit 

(a)  È  incerta  la  lettura  tra  Crestina  e  Oresma.  Ma  per  i  riscontri  fatti 
col  resto  del  documento  appare  paleograficamente  più.  probabile  la  legione 
Oresma,  la  quale  e  poi  confermata  dalla  carta  del  6  novembre  12^6  (S.  Silve- 
stro, n.  8p,  nostro  XCIIIJ,  nella  quale  è  ricordato  il  presente  atto,  e  ripetuto 
il  nome  Oresma.        (b)  Abhrev.  ^uen 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  73 


«  per  Cressentium  procuratorem  Synibaldo  Oddonis,  procuratorio  no- 
«  mine  recipiente  prò  d.  Scota  uxore  qd.  Petri  Romani  cognata  [sua, 
«in  perpetuum,  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus  cum  medietate 
«  vasca  et  vascale  suo,  positam  extra  portam  S.  Valentin!  in  monte 
«  S.  Valentini;  fines  eius,  a  .1.  latere  tenet  [ipse  Sinibaldus,  a  .11  he- 
«  redes  Clementis,  a  .111.  est  costa  dicti  montis,  a  .1111.  est  via  pla- 
ce bica,  prò  .XVI.  libr[is  bonorum  provisinorum  senatus  ».  Pena  «  pre- 
te diete  pecunie  duple  ».  Testimoni  :  «  Cresscentius  Beraldi,  Petrus 
«  Stephani,  Bartholoraeus  filius  eius,  Lucanus,  Johannes  Baronis.  Ni- 
«  colaus  Andree  Stephani  de  Rufino  sacri  romani  imperii  scriniarius. 
«  De  quo  coniracto  sunt  duo  [exemplaria],  unum  ecclesia  S.  Silvestri, 
M  alium  d.  Scotta  ». 


xeni. 

1236,  novembre  6. 

«  Silvester  abas  monasteri!  S.  Silvestri  [quod  ponltur  cata 
«  Pau]li  (a)  qd.  pape  et  d,  Petrus  presbiter  et  d.  Johannes  Mutus 
«  yconimus  et  d.  Tebaldus  et  d.  Benedictus  presbiter  et  d.  Silvester 
«diaconus  et  d.  Oddo  presbiter  et  d,  Gregorius  omnes  monachi  dicti 
«  mona[sterii]  W  vend[unt  per  d.  Tebalduin  monachuin  et  procu- 
«  ratorem  [eorum  («)  Cinthio  Stefani ...(»)  totum  et  integrum  teiii- 
«  mentum  predicti  monasterii,  videlicetterrarum  sementariciarum  cum 
«  prato  et  pantano  ligneo  et  carticeto  O')  et  cum  pertinentiis  intus  a 
«pantano  iuxta  flumen  et  de...  [Stefajni  (0  de  Filippo  per  dictum 
«monasterium  iure  pignoris  tenuerunt;  positum  extra  pontem  Sala- 
«  riura,  in  loco  qui  dicitur  Silva  proba;  fines  autem  terre  et  prati 
«  cum  ipso  pantano  ligneo  [a  .1.  laterej  («)  Stefanus  de  Filippo,  a  .11. 
a  heredes  Petri  Spelte,  a  .111.  est  tlumen,  a  .1111.  Fredericus  comitis 
«  lacobi;  fines  autem  terre  extra  pantani  in  costa  montis,  supra  hii  sunt 
«  a  tribus  lateribus  tenet  prefa[tus  Fijlippo  («),  a  .1111.  vero  latere  est 
«via  publica  Salaria,  prò  .e.  libris  provisinorum  senatus  bo!iorum  de 
«  quibus ...(»)  Oresme  uxori  nunc  Mathei  Celinge  (0  solv[unt;  quod 
«  debitum  apparet  per  cartam  plubicam  scriptam  per  lohanneni  Co- 
«nium».  Pena  «  dictam  pccuniam    duplam».    Testimoni:    «Factor 

(a)  //  margine  superiore  destro  della  pergamena  e  danne g già tissimo  per 
corrosione.  (b)  Kel  testo  abbreviato  canccto  (e)  Sei  testo  Cerige  .  Que- 
sto nome  si  ritrova  in  un  altro  atto  fS.  Silvestro,  n,  Sj,  nostro  XCI)  dove  è 
scritto  evidentemente  Cilinic 


74  ^'  Jederici 


«  argasterolus,  Teodinus  Gentilis,  Johannes  de  Balneo,  Petrus  Radi- 
ce Cina,  Caput  tecte,  Bartolomeus  Bru^(;i  de  Gructa  Maro(;ca.  Ro- 
«  manus  Angeli   sacri  romani  imperii  scriniarius  ». 


XCIV. 

1258,  marzo   14. 

[Copia  di  «  lacobus  lohannis  Marchi».] 

«  Egidius  et  Johannes,  fratres  fìlii  qd.  d.  Nicolay  Arcìonis  [et 
«  prò  Arcione  (»)  fratre  [eorum,  prò  quo  [hii  [se  obliga[nt,  sub  pena 
«  .e.  librarum  provisinorum  et  lacobus  frater  dicti  Egidiì  et  lohannis 
«  et  Arcione  cum  d.  Egidio  fratre  et  curatore  [suo,  dato  [sibi  decreto 
«et  auctoritate  lohannis  Marchi  scriniarii,  d.  Constantia,  uxor  qd. 
«  dicti  d  Kicolay  Arcionis,  tutris  Arcionis,  fìlii  [sui,  trad[unt  magi- 
«  stro  Retro  de  Bofo,  procuratorio  nomine  accipienti  prò  d.  lohanne 
«  de  Roiata  (t)  notario  d.  pape,  in  perpetuum,  salvo  iure  d.  Thome  et 
«  Angeli  filiis  qd.  Silvestri,  thermas  [suas  de  Paliario  (0  cum  criptis 
«  et  parietibus  positas  Rome,  regione  Biberarie,  inter  hos  fines,  a  .1.  la- 
V  tere  [ipsi  et  fìlii  d.  Silvestri,  a  .11.  fìlii  lohannis  Pa^gi  (a),  a  .111. 
«  est  olivetum,  prò  pretio  .lxx.  librarum  bonorum  provisinorum 
«  senatus  hoc  tenore  quod  lice[at]  W  [sibi  [ìpsis  de  cimis  dictarum 
«  therminarum  (e)  facere  guerram  et  pacem  contra  omnes  personas 
«  excepto  contra  d.  lohannem  et  d.  Sanguineum  patrem  [eius  et  fra- 
«  tres  d.  lohannis  de  Roiata;  et  liceat  d.  lohanni  de  Roiata  et  d.  San- 
«  guineo  patri  suo  et  fratribus  perpetuo  facere  guerram  et  pacem  de 
«  cimis  dictarum  therminarum  (e)  contra  omnes  personas,  preter  contra 
«  [se  et  heredes  [suos.  Si  magister  Johannes  vendere  voluerit,  non 
«  possit  nisi  [eis  infra  spatium  .1.  anni  solv[at  .lxx.  libras  provisino- 
«  rum  ;  si  dictus  Johannes  hedifìcaverit  in  dictis  thermis  et  voluerit 
«  hedifìcium  vendere,  teneatur  [iis  vendere  prò  pretio  tassando  prò 
«  estimatione  muratorum  vel  aliorum  bonorum  virorum  comuniter 
«  electorum;  quod  pretium  non  possit  tassari  ultra  summam  .ecc.  li- 
ce brarum  provisinorum  et  .xxx.  libras».  Pena  «.ecce,  librarum 
«provisinorum».  Testimoni:  «  Archipresbiter  S.  Silvestri,  presbiter 
«  Petrus  ecclesie  Salvatoris  de  Canutis,  Andreas  clericus  eiusdem  ec- 

(a)  Incerta  la  lettura  per  guasto  della  pergamena.  (b)  La  parola  non 
si  legge  bene  qui;  ma  non  e  dubbia  la  sua  interpretazione,  perche  nel  seguito 
dell'aito  e  ripetuta  spesse  volte.  (e)  Abbreviato  pallai         (d)   Guasto  per 

corrosione.         (e)  Abbreviato  thèmjn 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  75 


«  clesie,  Angelus  Berardi  militis,  Berardus  frater  eius,  Leonardus  Be- 
«  rardi,  Benedictus  de  Mauro.  lacobus  lohannis  Marchi  sacri  romani 
«imperii  iudex  et  scriniarius  sicut  inven[it  in  dictis  patris  [sui  exem- 
«  platus  [est. 

xcv. 

1239,  settembre  25  (i). 

«  Gregorius  Benedicti  Berardi,  in  presentia  scriniariì,  prò  Go- 
«  lata  nepte  [sua,  filia  olimMathei  Rubli  qd.  fratris  [sui,  consentiente, 
«  et  consentiente  in  hoc  d.  Silvestro  abbate  monasteri]  S.  Silvestri,  et 
«  Stephano  subdiacono,  presbitero  Benedicto,  d.  Tebaldo,  et  d.  Ro- 
«  gerio,  eiusdem  monasterii  monachis,  habentibus  prò  commino 
«  .XII.  provisinos  senatus  nomine  dotis,  existimate  prò  .vi,  librls  pro- 
«  visinorum  senatus  d[at  Bonucio  Benedicti  Sinibaldi,  in  perpetuum, 
«  salvo  iure  monasterii  cuius  est  proprietas,  totam  et  integram  me- 
«  dietatem  unius  domus  cura  medietate  orti  post  se  et  cum  medietate 
«  cripte,  sub  monumento  et  granarli  in  eadem  cripta  que  commune 
«  prò  indivisis  hab[et  cum  heredibus  Petri  Philipp!,  positam  Rome 
«  in  regione  Trivii  in  contrata  de  Arcionibus,  Inter  hos  fines,  a 
«  .1.  latere  tenet  S.  Maria  in  Campo  Martis,  a  .111  Johannes  Mathei, 
«  iure  S.  Silvestri,  a  .1111.  est  via  publica,  prò  eo  quod  [is  supra 
«  dieta  domu  et  supra  aliis  bonis  [eius  predicte  Golaie  de  .viii.  li- 
ft bris  provisinorum  pingnus  dotale  factum  hab[et  ».  Pena  «.1.  auri 
«libre».  Testimoni:  «  Siniballus  Porcarius,  Bacus  de  Auro,  Sinibal- 
«luccius,  Petrus  Dyoniscii,  Bemmcnulus,  Johannes  Filippi.  Cosmas 
«  filius  qd.  iudicis  Romani  Cecilianus  sacri  romani  imperii  iudex  et 
«  scriniarius  ». 


xcvr. 

1242,  gennaio  5. 

«  Hynea  et  Brunisenda  et  lacoba  filie  qd.  Petri  lohannis  Gcrardi 
«  simul  cum  d.  Theodora  consentiente  in  hoc  d.  Silvestro  abbate 
tt  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  atque  Silvestri  quod  ponilur  caia 

(i)  «  Anno  incarnationis  .mccxxxviiii.,  indictione  .xiii.,  mense 
«septembris,  die  .xxv.  ».  Qui  lo  scriniario  lia  adoperato  l'indizione 
del  settembre. 


7^  V.   federici 


«  Pauli  qd.  pape  cum  consensu  d.  Stefani  subdiaconi  et  d.  Benedicti 
«  presbiteri,  d.  Silvestri  diaconi,  Rogerii  et  Loterii  nec  non  et . . .  (*) 
«  yconimi  ipsius  monasterii,  habentibus  prò  consensu  .v.  solidos 
«  provisinorum  senatus,  prò  [ipsis  et  nomine  prò  Capito  adque  Pe- 
«  trucio  fratribus  [suis,  prò  quibus  promitt[unt  subscriptam  venditio- 
«  nem  perpetuo  observare,  sub  pena  subscripti  pretii  dupli,  vend[unt 
«  per  Bartholomeum  de  Bona  procuratorem  [eorum  Alexio  ludici, 
«  perpetuo,  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus,  cum  tota  vel  malori 
«  parte  .i.  vassce  et  vasscale,  positam  extra  portam  Flaminiam  in 
«  partis  S.  Valentini  prope  Formellum,  sicut  Inter  hos  concluditur 
«  fìnes,  a  .i.  latere  tenet  Nicolaus  Tebalducius,  iuris  dicti  monasterii, 
«  a  tribus  lateribus  sunt  vie  publice,  prò  eo  quod  recipi[unt  prò  pretio 
«  .X.  libras  provisinorum  senatus,  ita  tamen  quod  a  modo  tempore  W 
«  vindemmiarum  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  ea  exierit, 
«  et  .1.  canistrum  plenum  de  uvis  quod  sit  largum  in  fundo  .ti.  pal- 
«  morum  et  .i.  summisse  altitudinis  eidem  monasterio  reddende,  et 
«  manducare  et  biberc  ministro  monasterii  qui  prò  quarta  venerit,  et 
«  .1111.  provisinos  prò  vasscatico.  Commin[us  .v  solidos  provisinorum. 
«  Et  si  [is  invener[it  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plumbum  ramen 
«  vel  aliquod  metallum  seu  preta  bona  vel  pretas  valentes  ultra  .xii.  pro- 
«  visinorum,  medietas  erit  [sua,  alia  medietas  erit  dicti  monasterii;  et 
«  si  dieta  vinea  per  ostem  publicum  vel  celi  plagam  aut  [eius  ne- 
«  glientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus  annis  relevata  non  fuerit 
c(  dieta  vinea  ad  monasterium  revertatnr  ».  Pena  «  pecunie  duple  ». 
«Testimoni:  «  Johannes  Debaldeo,  Bartholomeus  de  Bona,  Rainal- 
«  dus  de  Vetula,  Petrus  Benedicti,  Petrus  Clericoni.  Seniinivivus  (0 
«  sacre  auUe  imperialis  scriniarius  ». 


XCVII. 

1242,  decembre  i. 

[Copia  di  Giovanni  scriniario.] 

«  Haliosa  uxor  olim  lohannis  Girardi  tutrix  Petri  W  filli  [sui,  prò 
«ipso  pupillo,  et  Ypolitus  et  Siniballus  fratres  filii  olim  dicti  lohannis 
«Girardi  una  cum  Astallo  curatore  [sibi  dato  decreto ...  (0  iudicis  et 
«  scriniarii  cuius  est  auctoritas  prò  medietate  subscripte  rei  et  Ysa- 

(a)  Lacuna  nella  pergamena.  (b)  Abbreviato  p  (e)  Nella  ro ga- 

zatone  e    abbreviato    séminiuìi         (d)  Nel  testo  si  legge  solo  pe  neW  estremo 
■margine  destro.         (e)  La  scrittura  e  svanita. 


Regesto  dì  S.  Silvestro  de  Capite  77 


«bella  uxor  olim  Petri  Egidii  tamque  tutrix  Gregorii  filli  [sui  prò 
«  se  et  ipso  pupillo,  et  lacobus  filius  olim  dicti  Petri  Egidii  prò  alia 
«  medietate,  vend[unt  Anastasio  bubulco,  in  perpetuum,  unum  casali- 
«  num  ex  muris  circundatum  cum  orto  post  se,  positum  in  regione 
«  Trivii,  inier  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Nicolaus  ortulanus  et  lo- 
ft hannes  Nicolai,  ab  aliis  lateribus  est  vicolus,  ab  alio  est  via  publica, 
«  prò  .VI.  libris  [provisinorum  senatus]  »  W.  Pena  «  diete  pecunie 
«  duple».  Testimoni:  «  Paulus  Octabiani,  Paulus  Alichi, Nicolaus... («) 
«  Petrus  filius  eius,  Petrus  filius  lohannis  de  Girardo  (b).  ►J<  lacobus 
«  iudex  et  scriniarius  filius  d.  Consolini  primicherii  iudicis,  adhibens 
«  fidem  buie  instrumento  fideliter  exemplato  [se  subscrib[it.  ►J<  Petrus 
«iudex  filius  d.  Consolini  predicti,  cognoscens  &c.  [se  subscrib[it. 
«  y^  Romanus  S.  R.  E.  scriniarius  et  prior  scriniariorum  videns  liane 
«  cartam  &c.  manu  subscrib[it.  iji  Petrus  lohannis  Guidonis  S.  R.  E. 
«  scriniarius  videns  &c.  [se  subscrib[it.  Johannes  filius  qd.  Iudicis 
«  Romani  Cecilianus  S.  R.  E.  scriniarius,  sicut  iuven[it  in  cartulario 
«  dicti  (0  qd.  Cosme  scriniarii  fratris  [sui,  cui  Deus  indulgeat,  exem- 
«  platus  [est  ». 

XCVIII. 

1242,  decembre  12. 

«  Silvester  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisìi  atque  Silve- 
«  stri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  cum  consensu  d.  Stephani 
«  j,ubdiaconi,  d.  Benedicti  presbiteri,  d.  Roggerii  presbiteri,  d.  Loterii, 
«  fratris  Georgii  monachorum  dicti  monasterii  loc[at  per  Thomam 
«  [suum  procuratorem  Apolenario  usque  in  tertiam  generationem 
«  unum  casarinum  [S,  [Silvestri  ecclesie  cum  orto  ante  se  et  iusta 
«  se,  positum  in  regione  S.  Laurentii  in  Lucina,  Inter  hos  fines,  a 
«  I.  latere  tenet  Petrus  lohannis  Simmei,  a  .n.  Matheus  de  Pe- 
«  trone  et  uxor  Sarracena,  a  .111.  est  via  publica  et  tenet  ecclesia 
«  S.  Marine  et  donius  que  fuit  Barthclomei  Bonegentis,  a  .1111.  ante 
«  est  via  publica  prò  eo  quod  recep[it,  nomine  mcrcedis,  .111.  libras 
«  et  .11.  solidos  provisinorum  senatus,  salvo  tamen  quod  hinc  in  an- 
«  tea  annuatim  in  fesio  sancti  lohannis  Batiste  redd[at  monastcrio  prò 
«  pensione  ,1111.  provisinos.  Commin[us  .vi.  solidorum  provisinorum  ». 

(a)  Illeggibile  per  danno  della  scrittura.  (b)  Incerta  la  lettura  perchè 
il  carattere  e  quasi  completamente  svanito.  (e)  Sei  testo  dictia/  ;  sopra  Ta 
lo  scriniario  scrisse  un  i  per  correggere,  sen\a  pero  cancellar*  la  forma  ori' 
gin  ale  errata. 


78  F.  Jederici 


Pena  «diete  pecunie  duple».  Testimoni:  «  Romanus  Angeli  Ste- 
«  pliani  Grassi,  presbiter  Ursus,  Silvester  nepos  d.  abbatis,  lohan- 
«  nes  Appolafracta.  Thomas  Obicionis  sacri  romani  imperii  iudex  et 
«  scriniarius  ». 


XCIX. 

1243,  febbraio  9  (i). 

«  Loterius,  monachus  S,  Silvestri,  filius  Adinulfi  investivit  d.  Yl- 
«  perinum  monachum  et  yconimum  S.  Silvestri  de  duabus  domibus 
«  cum  Ortis  post  se  W  positis  in  Scortecclari  sicut  Inter  suos  conclu- 
«  duntur  fines,  cui  a  .1.  latere  tenet  Oderiscius,  a  .11.  latere  ipse  Lo- 
ft terius  tenet,  a  .111.  latere  est  via  publica,  a  .1111.  tenet  Leonardus 
«  Petri  Andree:  fines  vero  alie  domus  a  .1.  latere  tenet  ipse  d.  Lo- 
ft terius,  tenet  a  .11  Angelus  Trufife,  a  .ni.  est  via  publica,  a  .1111.  la- 
«  tere  tenet  Leonardus  Petri  Andree.  D.  Benincasa  et  d.  lannucìa 
«  uxor  Petri  laquinti  pensionarle  dictarum  domorum  promiserunt  ab 
«  hodierna  die  in  antea  sedere  ad  pensionem  per  dictum  monasterium 
«  et  yconimo  pensionem  reddere  promiserunt,  salva  ratione  d.  lan- 
«  nucie,  silicet  .xv.  solidorum  bonorum  provisinorum  senatus  ».  Te- 
stimoni: «  Angelus  Petri  Mancini,  Johannes  Garbi,  Andreas  Garbi, 
«  Actactius,  Pelegrinus.  Gratianus  S.  R.  E.  scriniarius  rogatu  d.  Yl- 
«  perini  monaci  W  yconimi  monasterii  S.  Silvestri. 

(a)  La  frase  cum  ortis  post  se  e  aggiunta  con   una   chiamata  in  fine  del 
disp  ositiv  0 ,  dalla  medesima  mano  del  testo.  (b)  La   r  0 gallone,  in 

questa  carta,  e  ripetuta  pure  nel  p  r  0  toc  olio  iniziale,  dal  quale  tolgo  la  qua- 
lifica  di  monacus^  che  manca  nella   sottoscrizione. 


(i)  «  Anno  incarnationis  .m.ccxliii.,  vacante  sede  apostolica, 
«  post  mortem  d.  Gelestini  III  pape,  anno  vero  eius  .1.,  indictione  .1., 
«mense  februario,  die  .vini.  ».  L'anno  1243  concorda  con  l'indi- 
zione I.  Gelestino  IV,  eletto  pontefice  alla  fine  di  ottobre  1241,  morì 
il  17  o  il  18  novembre  seguente,  prima  di  essere  stato  consacrato. 
Il  9  febbraio  erano  dunque  appena  quindici  mesi  dacché  vacava  la 
sedi^  pontificia.  Le  note  cronologiche  dunque  bene  interpretate,  per 
quanto  non  rigorosamente  esatte,  non  contrastano  fra  loro. 


^^e gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  79 


C. 

1243,  m-^rzo  8,  Gallese. 

«Ego  P[etrus]  C»"*  Montanarie  tertius  arbitrer  et  prò  tertio  arbi- 
«  trer  et  amicabiliter  conipositor,  electus  de  consenso  a  d.  Rainaldo 
«  lohannis  Ferri  ex  parte  una  et  ^affo  lohannis  Benencase  ex  altera 
«  parte  super  Htibus  omnibus  que  vertebantur  inter  eos  occasione 
«  .xiiii.  librarum  lucensium  quas  Qaffus  petebat  a  d.  Rainaldo  sibi 
(c  dari  de  summa  .xxxx.  libras  ex  iure  sibi  cesso  a  Guidone  Guictonis 
«  Alexandri,  civi  Ortano  .,  .(•'),  dictarum  .xxxv.  librarum,  ut  patet 
«  instrumento  confecto  per  Petrum  notarium;  occasione  .e.  solidorum 
«  lucensium  quos  petebat  Qaffus  a  d.  Rainaldo  ex  iure  sibi  cesso 
«  a  Petro  Andree  Thomasii  de  summa  .x.  librarum  lucensium,  ut 
«  patet  publico  instrumento  confecto  per  Petrum  subscriptum  nota- 
«  rium  ;  occasione  .xvi.  librarum  lucensium  quas  d.  Rainaldus  dice- 
«  bat  ipsum  (^affum  habuisse  prò  pretio  terre  sue  quam  emit  Qafifus 
«  olim  a  lohanne  fratri  [eius,  de  mandato  dicti  Rainaldi,  quas  Rai- 
«  naldus  petebat  sibi  solvi  vel  compensari  in  summa  .xiiii.  librarum, 
«  petit[a  ab  ipso  Caffo,  prò  eo  quod  instrumento  emptionis  terre  de 
«  Calcarla  iuxta  viam  publicam  et  iuxta  salicetum  fluminis  morlui, 
«  pretium  .xvi.  librarum  ipsius  terre;  et  occasione  .vili,  librarum 
«  lucensium  in  una  mano  et  .vi.  librarum  in  alia  manu;  et  occa- 
«  sione  .xviii.  solidorum  lucensium  in  alia  manu  quas  Rainaldus 
«  petiebat  ab  [ipso  [Caffo  qui  coniess[us  [erat  coram  Simeone  ar- 
«  chipresbitero  et  Simone  Petri  Conversani  ;  et  occasione  fructuùm 
«  quas  d.  Rainaldus  petiebat  ab  ipso  Caffo  sibi  restituì;  unde  Petrus 
«  Montanarie  cum  Simone  archipresbitero  arbitr[o  a  Rainaldo  et  a 
«  Caffo  elect[o,  ut  patet  in  compromisso  confecto  per  Petrum  Fi- 
«  lippi  notarium,  arbitrando  precipi[unt  quod  d.  Rainaldus  solvat 
«  Caffo  bine  ad  kalendas  madii  .viii.  libras  bonorum  lucensium  et 
«  Caffus  faciat  finem  et  quietationem  perpetuam  de  illis  [supra- 
«  dictis,  quas  petebat  ex  iure  &c.,  et  de  investimento  &c.,  et  ex 
a  iure  &c.,  ut  patet  publico  instrumento  confecto  per  Pttrum  sub- 
«  scriptum  notarium  et  de  investimento  sibi  facto  olim  a  Rogerio 
«  Malfetani  tunc  potestate  Gallesi!  per  Simonem  comitatus  Thca- 
«  tini  et  d.  imperatori s   capitaneum   generalcm,  super  unam  petiam 

(a)    Una  macchia  danneggia  la  parola.  (b)  //  danno  della  pergamena 

impedisce  qui  la  lettura. 


8ó  V,  Jcderici 


«  terre  et  cese  et  de  biado  quod  fuit  in  ea,  prò  .mi,  libris  lucensium 
«  prò  existimatione  hunius  bovis,  et  prò  .ex.  solidis  lucensium,  et  de 
«  .1111.  medialibus  grani  prò  lucro  diete  pecunie  ut  pa[tet  instru- 
«  mento]  («)  confecto  per  Petrum  Filippi  notarium  ». 

«  Si  quis  eorum  hoc  arbitrium  non  observaverit  incidat  in  pe- 
ce nam  .x.  librarum  lucensium,  medietas  solvendam  parti  observanti,  et 
«  alia  medietas  arbitris.  Lectum  est  hoc  arbitrium  ante  domum  que 
«  fuit  Sinibaldi  Conversani  et  nunc  est  Barnabei,  coram  testibus  d. 
«  Trasmundo  potestati  Gallesii,  Gomigo  d.  Guidonis...(a),  Petro 
«  Andree  Thomasii,  Toliaferro,  Petro  Arture,  lohanne  Petri  Carisi! 
«et  Simeone  Petri  Conversani  notarlo.  Petrus  W  de  Gallese  impe- 
«  riali  auctoriiate  notarius  de  mandato  Petri  et  Simeoni  arbitrorum 
«  et  ad  postulationem  d.  Rainaldi  »  (i). 


CI. 

1243,  luglio  28. 

«  Silvester  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  et  Dionisii  atque  Sil- 
«  vestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd,  pape  et  d,  Stephanus,  d.  Bene- 
te  dictus,  Silvester  et  Ylperinus  yconimus  dicti  monasterii  monachi, 
«  Petro  Ciolfi  consenti [unt  illi  dationi  et  concessioni,  in  dotem  date 
((■  unius  domus,  posile  regione  S.  Marie  in  Agro,  sicut  publico  appa- 
«  ret  instrumento  scripto  per  lohannem  Coni  scriniarium,  cuius  do- 
«  mus  hii  sunt  fines,  a  .1.  lacere  tenet  Petrus  Luccus,  a  .11  retro  est 
«  casalinum  quod  fuit  Boemensium  (0,  a  .111.  et  .1111.  latere  vie  pu- 
«  blice,  salvo  tamen  quod  omni  anno  [is  monasterio  in  festivitate 
«  sancti  Silvestri  redd[at  .1.  provisinum  nomine  pensionis.  Comjminus 
«  .XII.  provisinorum.  Consenti[unt  quod  recipi[unt  .xii.  provisinos». 
Testimoni  :  «  Michael  Petri  lohannis  Sassi,  lohannis  Serhomo,  Ni- 
«  colaus  Bartolomei,  lohannes  Cap[u]dedecem.  [lohannes  Coni  S. 
«  R.  E.  scriniarius]  »  {^). 

(a)  Guasto  della  pergamena.  (b)  Il  guasto  della  pergamena  non  fa  leggere 
il  nome  del  notaio,  che  però  si  desume  dal  disp  ositivo  dell'atto.  (e)  Nel 
testo  abbreviato  boerfiil  (d)  La  pergamena  e  corrosa  nel  margine  inferiore 
e  non  lascia  piìi  leggere  la  firma  dello  scriniario,  che  però  si  desume  dal  con- 
fronto della  pergamena  S.  Silvestro  99^   numero  nostro  CIV. 

(i)  Nel  dare  il  riassunto  di  questo  atto,  dei  dati  di  fatto  ripetuti 
spesso  nel  corso  dell'arbitraggio,  riporto  soltanto  quelli  nei  quaH  com- 
pariscono nomi  o  fatti  nuovi. 


'T{e gesto  di  S.  Sìhestro  de  Capite  8i 


CU. 

1244,  gennaio   12. 

«  Silvester  humilis  habbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  ad- 
«  que  Silvestri  quod  ponitur  cada  Pauli  qd.  pape  cum  consensu  d. 
«  Benedicti  presbiteris,  d.  Silvestri  camerarii,  d.  Roggerii  conced[it 
«  d.  Stephano  de  Cinthio  priori  eiusdem  ecclesie  liberam  et  absolu- 
«  tam  potestatem  renovandi  locationem  et  contractum  civitatis  Or- 
«  tane  cum  suo  comitatu  et  S.  luvenalì  et  castri  Gallesis  et  con- 
«  stitui[t  [eum  [monasterii  generalem  procuratorem  ad  pctendum,  re- 
«  spondendum  &c.  et  promicti[t  omnia  supradicta  rata  habere  sub 
«  pena  dimidie  libre  boni  auri.  De  qua  concessione  due  sunt  cartule 
«  uno  tenore  conscripte  ».  Testimoni:  «  Gregorius  Deustesalvet, 
«  Omnis  Sanctus  Appolafracta,  Barnabeus,  Johannes  Gentilis,  Paulus 
«  Albascie  Gratianus  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CHI. 

1246,  gennaio  14. 

«  BertoUus  cursiator,  consentientibus  in  hoc  Romana  uxore  [sua 
«  et  omne  ius  suum  dotis  et  donationis  propter  nuptias  sue  et  omne 
«  aliud  ius  et  specialiter  auxilium  legis  senatus  consulti  Velleianì 
u  refutans,  et  cum  consensu  Symacy  patris  diete  Romane,  vend[it 
«  per  lohannem  Paganum  [suum  procuratorem  Laurentio  Bernardi, 
«  in  perpetuum,  unam  petiam  vinee  ad  quartam  (•)  plus  vel  minus 
«  cum  medietate  vasca  et  vascale  et  tini  sui,  posita[m  extra  portam 
«  Flammineam  in  m[ontc](b)  S.  Valentini  sicut  inter  hos  affines  con- 
(»  cluditur,  silicet  a  .1.  latere  tenet  Nicolaus  Penne,  a  11.  Rosa  et 
tt  heredes  qd.  Adrioli,  omnes  iuris  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite, 
«  a  .III.  et  .1111.  sunt  vie  publice,  prò  eo  quod  recip[it  prò  toto 
«  pretio  .XX.  libras  provisinorum  senatus  salvo  tamen  quod  bine  in 
f(  antea  [is  omni  anno  in  tempore  vindemmiarum  quartam  pariem 
«  totius  nuisti  mundi  et  acquati  quod  de  dieta  vinca  exierii  mona- 
«  sierio  S.  Silvestri  de  Capile  dare  tenea[tur,  et  ministcr  dìctl  nio- 

(a)  ad  quartam  aggiunto  in  fine  dell'atto,  prima  delle  firme,  d^n  un  ri- 
chiamo, dalla  medesima  mano  del  tetto.        (b)  Qui  la  scrittura  fu  abrasa. 

Archivio  dftla  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XXIIl.  6 


82  r.  Jederici 


«  nasterii  relinquet  [ei  .xvm.  congitellas  de  musto  mundo  com- 
«  rauni  in  tino  per  vascatam  plennm  de  uvis,  et  si  vasca  exit  di- 
«  midia  relinquet  .vini,  congitellas,  et  si  non  erit  dimidia,  relinquet 
«  secundum  quantitatem  uve.  Comminus  .v.  solidorum  provisinorum. 
«  Si  [is  inveneri[t  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramem 
«  seu  aliquod  metallum  vel  petram  ultra  .xii.  provisinorum  valen- 
V  tem,  medietas  sit  [sua,  reliqua  vero  medietas  dicto  monasterio  dare 
«  tenea[tur.  Et  si  per  hostem  publicam  seu  celi  plagam  aut  [eius 
«  negligentiam  vinea  in  desertum  yverit  et  in  spatium  trium  an- 
«  norum  restaurata  non  fuerit  monasterio  revertatur  ».  Pena  «  diete 
«  pecunie  duple  ». 


Marzo  4. 

«  Gentilis  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Dapite,  d.  Benedictus 
«  presbiter,  d.  Silvester  diaconus,  d.  Gregorius  subdiaconus,  Ylpe- 
«  rinus  presbiter,  Stephanus  Gregorii,  Johannes  Ricci,  d.  Nicolaus 
«  subdiaconus  monachi  dicti  monasteri!,  supradicte  venditioni  con- 
ce senti[unt,  prò  eo  quia  receper[unt  a  dicto  Bertollo  prò  consensu 
«  .V.  solidos  provisinorum  senatus  ».  Testimoni:  «Nicolaus  Octa- 
«  viani,  Andreas  Laurentii,  Angelus  lohannis  Debaldeo,  Paulus  Gre- 
ce gorii,  Petrus  Tosi,  lohannes  Paganus,  Johannes  fiiius  lohannis  Al- 
ce fatie  scriniarii.  Thomas  Obicionis  sacri  romani  imperii  scriniarius 
ce  habens  iudicialem  potestatem  ». 


CIV. 

1246,  agosto  26. 

ce  Scotta  uxor  olim  Petri  Romani,  consentiente  in  hoc  d.  Gen- 
ce  tìle  abbati  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capite,  d.  Benedicto,  d.  Sil- 
ce  vestro,  d.  Georglo  et  d.  Sergio,  habentibus  prò  consensu  .v.  soli- 
ce  dos  provisinorum,  vend[it  per  lordanum  Berardi,  Matheo  Veccla- 
cc  colo  muratori,  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus  cum  medietate 
ce  unius  vasce  et  vascalis,  comunis  ipsa  vasca  et  vascale  et  tinum  cum 
<c  sorore  Comparitii,  positam  extra  portam  Flammineam  in  monte 
ce  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  soror  Comparitii,  a 
ce  .11.  heredes  Clementis,  ambo  iuris  dicti  monasteri!,  a  .111.  costa  mon- 
ce  tis,  a  .1111.  via,  prò  .vii.  librìs  et  dimidie  honorum  provisinorum 
ce  senatus,  salvo  quod  omni  anno  monasterio  reddere  tenea[tur  tem- 


^ gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  83 


«  pore  vindemmiarum  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati 
«  quod  ex  ea  exierit  et  unum  canistrum  uvarum  plenum  quod  sit 
«  duorum  palmorum  in  fundo  et  unius  summissi  in  altum.  Com- 
<c  niinus  .V.  solìdos  provisinorum  ».  Pena  «  dicti  preti!  dupli  ».  Te- 
stimoni: «  lordanus  Berardi,  Petrus  de  Colle,  Berardus  Adoni,  Be- 
«  rardus  cursorius.  Johannes  Coni  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


cv. 

1247,  luglio  17. 

«  Conventiones  facte  inter  d.  Gentiiem  abbatem  monasterii  Ss.  Ste- 
«  phani  Dlonisii  adque  Silvestri  quod  ponitur  caia  Pauli  qd.  pape  et 
«  d.  Benedictum  presbiterum,  d.  Silvestrum,  d.  Gregorium,  d.  Ylpe- 
«  rinum,  d.  Stephanum  Gregorii  lohannis  Ricii,  d.  Nicolaum,  d.  Geor- 
<(  gium,  d.  lohannem  et  d.  Placidum  monachos  ex  parte  una,  et  Ste- 
«  phanum  filium  olim  Romani  lohannis  presbiteri  advocati  et  d.  Biniam 
«  uxorem  qd.  predicti  Romani  tutricem  Angeli  filii  sui  ex  parte  al- 
<(  tera.  Quod  ipse  Stephanus  et  d.  Binia  prò  ipso  pupillo,  in  preseniia 
«  Henrici  scriniarii  et  Gratiani  scriniarii,  promiserunt  et  convenerunt 
«  d.  Gemili  abbati  et  monachis  et  Castorio  scriniario  prò  ipso  mo- 
«  nasterio  et  iuraverunt  quod  non  dederunt  ius  et  rationem  et  iusti- 
<i  tiam  quod  et  quam  ipsi  Stephano  et  tutrici  prò  ipso  pupillo  com- 
«  petunt,  tamque  heredes  qd.  Romani  lohannis,  occasione  contractus 
«  donationis  facte  qd.  dicto  Romano,  de  lenimento  Pelaioli  ad  labo- 
«  randum  ab  abbate  et  conventu  predicti  monasterii,  ut  apparet  pu- 
«  blico  instrumento  scripto  per  Angelum  Retri  Mardonis  scriniarium 
«■  qd.  &c.  eo  salvo  quod  licitum  sit  Stephano  et  fratri  in  diete  teni- 
«.  mento  Pelaioli  edificare  turrim  quamdam  de  .vi.  palariis,  ad  palariam 
«  senatus,  et  que  habeat  murum  grossum  de  tribus  palmis  ad  palmum 
<f  ipsius  Stephani,  cum  duobus  solariis,  et  que  sit  larga  in  ea  quanti- 
«titate  et  qualitate  sìcut  nunc  est  incepta  et  nunc  apparet.  Ipse  Sie- 
•«  phanus  et  frater  receptabunt  bo[ve]s  («)  seu  bestias  monasterii  quos 
«  et  quas  habuerit  monasterium,  prò  laborerio  faciendo,  prò  quibus 
<i  omnibus  d.  Stephanus  et  d.  Binia  obligaverunt  se  et  promisit  Ste- 
«  phanus  ita  curaturum  (*>)  quod  postquam  (0  predictus  Angelus  corn- 
ac pleverit  .xiiii.  annos  ratificabit  omnia  supradicta.  D.  Binia  et 
«  Magalta  uxor  dicti  Stcpiiani,  de  mandato  lordani  patris  cius  renun- 

(a)  ve  di  bovcs  abrase  da  mano  posteriore.  (b)    Sei   tetto   curatuaf 

{e)  La  parola  e  aggiunta  sopra  linea  dalla  medesima  mano  del  testo. 


84  V'  Jeden'ci 


«'tiaverunt  ius  earum  dotium  et  donationum  propter  nuptias  et  ypo- 
«  thecarum,  renuntiantes  in  hoc  adiutorium  Velleiani  senatus  consulti. 
«  Ad  hec  Arcion  lohannis  Romani,  de  scriniarii  precibus  adque 
«  rogatu  [dicti  Stephani  et  Binie  matris  eius,  tutricis  Angeli  filli  eius 
«  fideiube[t.  Abbas  Geatilis  et  monachi  et  Castorius  scriniarius,  Ste- 
«  phanus  et  [dieta  Binia  et  [dieta  Magalta  uxor  dicti  Stephani  et 
«  [dictus  Arcion  promict[unt  sub  pena  .11.  librarum  boni  auri.  De 
«  quibus  omnibus  duo  apparent  instrumenta,  unum  quorum  scriptum 
«  est  per  Henricum  scriniarium,  aliud  vero  per  Gratianum  scriniarium, 
«  Q,uam  scribendam  rogaverunt  Gratianum  S.  R.  E.  scriniarium  »  (»). 


evi. 

1249,  ap"ls  27. 

«  Gentilis  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capite  una  cum  con- 
«  ventu  eiusdem  monasteri!,  scilicet  d.  Benedicti  prioris,  d.  Stephani 
«  camerari!,  d.  Gregori!  subdiaconi,  Stephani  subdiaconi,  Nicolai  sub- 
«  diaconi,  Gregori!  acoliti,  presbitero  Placito,  presbitero  lohanne,  et 
«  Castorio  scriniario  procuratore  eiusdem  monasteri!,  in  presentia 
«  Petr!  Nicolai  Bonifati!  advocati  loca[nt  in  perpetuum  Johann!  Poli 
«  corniti  totum  tenimentum  terrarum  et  terras  cultas  et  incultas  cum 
«  Cripta  Maria  et  vineas  et  ortos  iuxta  terras  predictas  que  omnia 
«  nunc  habe[nt,  pos!ta[s  intus  pontem  Mammolum,  a  .1.  latere  tenent 
«  S.  Laurentius  foris  muros  et  heredes  Riccardi  Petr!  Grisoct!  limite 
«  mediante,  a  .11.  latere  est . . .  (b),  a  .111.  [dictus  [Johannes  tene[t,  et 
«  alias  terras  [eius  usque  in  rivum  reraeantem  iuxta  dictam  Criptam 
«  Mariani  et  revertitur  usque  in  viam  Tyburtinam  Hmìte  media[nte] . . .  (b) 
«terram,  et  aliam  terram  [eius,  a  .1111.  latere  est  via  Tyburtina  ad 
«  Leonem,  quas  vero  d.  comes  Riccardus  pater  [eius  tenuit  ex  con- 
«  tractu  concessionis  sib!  facte  a  quibusdam  quibus  ex  locatione  sibi 
«  facta  a  monasterio,  prò  quibus  [monajsterium  (b)  quoHbet  anno, 
«  nomine  pensionis,  .xii.  denarios  et  duas  saculas  cere  unius  libre  tan- 
«tum  habere  debebat. Dictam  concessionemfaci[tpro  eo  quod nomine 
«  mercedis  [dictus  [Johannes  solvi[t  quinquaginta  libras  provisinorum 
«  senatus,  et  annuatim  nomine  pensionis  promitti[t  solvere  .xii.  pre- 
te visinos  senatus  et  .xii.  denarios  prò  extimatione  dictarum  duarum 

(a)  Il  resto  della  pergamena,  tagliato,  non  lascia  distinguere  se  quesl'  aito 
e  una  delle  due  copie  originali  0  un  apografo.  (b)    La   corrosione  della 

pergamena  danneggia  l'estremità  destra  dei  righi  8-12. 


Regesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  85 


<'  sacularum  unius  libre  cere;  de  qua  vero  pecunia  restitu[it  .xxx.  li- 
ce bras  provisinorum  arcliipresbitero  S.  Marie  Rotunde,  quas  mona- 
«  sterìo  mutuavit,  de  quibus  recolleg[it  unam  crucem  argenteam  deau- 
«  ratam  et  aliam  crucem  de  argento  cum  gemmis  et  duos  dossoles 
«  et  duos  planetas  et  unum  pluviale.  Item  restitu[it  .xii.  libras  An- 
«  ionio  quas  monasterio  mutuavit  de  quibus  recolleg[it  unum  evan- 
«  gelistarium  et  unum  epistolare  cum  tabulis  argenteis  et  unum  pin- 
ce v[ia]le  (a)  rubeum.  Item  persolv[it  .1111.  libras  minus  .v.  solidis  d.  Petro 
«  Malabrance  prò  pretio  unius  equi.  Item  expend[it  .1111.  libras  in  aliis 
«  necessitatibus  dicti  monasterii.  Item  expendit  .v.  solidos  prò  refu- 
«  tationibus  dictorum  denariorum.  Stephanus  tituli  S.  Marie  Trans- 
«  tiberim  presbiter  cardinalis  et  nunc  in  Urbe  d.  pape  vicarius,  con- 
ce firmavi[t.  Actum  in  curia  predicti  d.  c[ardinalis]  i»  coram  testibus 
«  landonato  [p]reposito(0  pistore,  magistro  Nicolao  de  Transtiberim, 
«  Leonardo  canonico  Re . . .  W,  Bartholomeo  abbate  S.  Teodori  de 
«  Trebiano  (e),  magistro  Luca  de  Babuco,  magistro  Bartholomeo  me- 
«  dico  eiusdem  d.  vicari!  cappellanis  (0.  lacobus  Rainucii  notarius,  de 
«  mandato  d.  Stephani  cardinalis  ». 


CVII. 

1250,  marzo  8. 

«  Gentilis  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  adque  Silve- 
«  stri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  cum  consensu  d.  Benedicti 
«presbiteri,  d.  Silvestri,  d.  Georgii,d.  Placidi  presbiteri  monachorum 
«  ipsius  monasterii  loc[at  et  renov[at  Angelo  filio  qd.  Gregorii  Petri 
«  Tosi,  recipiente  procuratorio  nomine  prò  Paulo  et  Francisco  fra- 
«  tribus,  filiis  qd  dicti  Gregorii  patris  [eius,  in  .x.  et  .viiir.  annos 
«  complendum  et  semper  in  aliud  tantum  renovandum  in  perpetuum 
«  unum  casarinum  super  quem  tendiam  habe[nt  cum  orto  post  se  et 
«  insta  se,  positum  in  regione  S.  Laurentii  in  Lucina,  inter  hos  fines, 
«  a  .1.  laterc  est  via,  a  .11.  lohannes  lohannìs  Periculi,  a  .111.  simi- 
«  liter  dictus  lohannes  tenet,  a  .mi.  [ipsi  [Paulus  et  [Franciscus  te- 
«  ne[nt,  prò  eo  quod  recipi[t  duos  solidos  provisinorum  scnatus  prò 
«  rcnovatura,  et  sub  pensione  .11.  denariorum  de  scnatu  in  festo 
«  sancii  lohannis  Baptiste  monasterio  reddenda  ».  Pena  «  .11.  uncìarum 

(a)  ia  abrase  da  mano  posteriore.  (b)  La  parola  abrasa  da  mano  po- 
steriore, (e)  La  prima  p  abrasa  da  matto  posteriore.  (d)  Qui  la  ptrga* 
mena  è  corrosa.        (e)  Ahbr.  Treh        (f)  Abbr.  capltis 


8^  V.  Jedenct 


«auri».  Testimoni:  «Petrus  de  Pasquale,  Blasius  scutifer  d.  abbatis, 
«  Omnissanctus  scutifer,  lacobus  ostiarius.  Tliomas  Obicionis  sacri 
«  romani  imperii  iudex  et  scriniarius  ». 


CVIII. 

1250,  maggio  I. 

«  Gentilis  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  una  cum  ('>■') 
«  d.  Benedicto  presbitero  priori  et  d.  Stephano  camerario  et  d.  Sil- 
«  vestro  et  d.  Georgio  et  d.  Placido  monachi  dicti  monasterii  con- 
ce senti[unt  Angelo  lohannis  Grisocti  in  illa  venditione  quam  [ei  Fa- 
ce ctor  argasterolus  factam  habet  de  uno  argasterio  quod  a  monasterio 
ce  iure  locationis  habuit,  ut  patet  per  cartam  locationis  plubicam  scri- 
cc  ptam  per  Angelum  Petri  Mardonis  olim  scriniarium,  quod  argaste- 
c(  riunì  positura  in  regione  Campi  Martis  in  pusterula,  inter  hos  fines, 
ce  a  .1.  latere  tenet  Bartolomeus  de  Gregorio  lohannis  Gracpaldi, 
ce  a  .11.  Angelus  lohannis  Rainucii,  a  .111.  retro  heredes  Angeli  Mellini, 
ce  a  .1111.  est  via  plubica,  prò  eo  quod  recipi[unt  prò  consensu  a  Bar- 
cc  tolomeo  Factoris  scriniario  .v,  solidos  provisinorum  senatus  et  quia 
ce  omni  anno  promicti[t  monasterio  in  festo  sancti  Silvestri  .1111.  provì- 
ee  sinos,  nomine  pensìonis  dare  (b).  Comjminus  .v.  solidos  provisi- 
ce  norum.  Finita  tertia  generatione,  quarta  generatio  dabit  monasterio 
ce  ,xx.  solidos  provisinorum  senatus  [prò  reloca[tura  ».  Pena  ce  dimi- 
cc  diam  auri  libram».  Testimoni:  ce  Martinus  Sinibaldi,  Silvester  Meri, 
cclovannes  qui  dicitur  (e)  Scorgus.  Romanus  Angeli  C'^)  sacri  romani 
ce  imperii  scriniarius». 

CIX. 

1250,  settembre  i,  L'one  (0. 

Innocentius  pp.  IV  mandat  abbati  S.  Silvestri  de  Capite  in  Urbe 
ut  Odonem  Scholaris,  natum  ce  lohannis  Mathei  »,  civis  romani,  in 
aliqua  ecclesiarum  Urbis,  basilica  Principis  apostolorum  et  ecclesia 

(a)  Abbreviato  Q  e  aggiunto  neW  interlineo  dalla  medesima  mano  del  testo. 
(b)  La  parola  fu  aggiunta  nelV  interlineo  dalla  medesima  mano  del  testo. 
(e)  Nel  testo  d'r         (d)  Questo  nome  e  ricordato  soltanto  nella  r  0  ga^ione . 

(i)  Registro  Vatic.  22,  n,  dgxxxix,  c,  idi  a,  e  cf.  Berger, 
Les  registres  d'Innocent  IV,  Paris,  Thorin,  1887,  II,  n.  5573. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite 


S    Mariae  Maioris  exceptis,  faciat  auctoritate  sua  in  clericum  et  in 
fratrem  recipi. 

V  Abbati  S.  Silvestri  de  Capite  in  Urbe  ». 

Inc.  «  Aspirantes  ad  divine». 

Dat.  Lugduni  l^alendis  septembris,  anno  .vili. 


ex. 

125 1,  marzo  19. 

«  Angela  uxor  lacobi  lohannis  Sammartini,  precipiente  eodeni 
«  lacobo  viro  [suo,  nec  non  Maria  matre  [sua,  omnes  ius  actionem 
«  et  rationem  quod  quamve  habet  renuntiante  undecumque  sibi  con- 
«  cessum  et  delatum,  seu  ex  concessione  bone  memorie  d.  R.  archi- 
«  presbiteri  S.  Marie  Rotunde,  vel  etiam  ex  testamento  ipsius  in  ea 
«  vinea  annuatim  sibi  provisum  d.  G[enr!Ie]  (a)  abbate  monasterii  Ss.  Ste- 
«  phani  et  Dionisii  atque  Silvestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape, 
«  d.  Benedicto  priore,  d.  Stephano  camerario,  d.  Placido,  d.  lohanne 
«  et  d.  Georgio  monachis  consentientibus  et  recipientibus  .v.  solidos 
«  prò  consensu  vend[it  Simeone  cong[nato]  W  [suo,  viro  Cecilie  so- 
«  roris  [sue  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus  cum  niedietate  vascu 
«  et  vascali  et  tino,  positam  extra  portam  S.  Valentini  ad  Formellum 
«  seu  aliis  quibuscumque  vocabulis  nuncupatur,  Inter  hos  fines,  a  .1.  la- 
«  lere  tenet  dieta  Cecilia  uxor  Simeoni,  iuris  monasterii,  a  .11.  lo- 
«  hannes  Pauli  iuris  monasterii,  a  .111.  et  .1111.  sunt  vie  publice,  prò 
«  eo  quod  recipi[t  .xxi.  libras  bonorum  provisinorum  senatus,  renun- 
«  tians  omni  iure  auxilio  benefitio  restitutionis  epistule  divi  Adriani 
«  omni  foro  et  cuilibet  exceptioni  que  [sibi  et  [suis  prodesse  posset, 
«  et  salvo  iure  monasterii  secundum  tenorem  cartule  locationis  facie 
<f  per  Petrum  de  Militiis  scriniarium,  videlicet  quod  omni  anno  tcm- 
«  pore  vindemmiarum  eidem  monasterio  redde[t  quartam  pattern  to- 
«  tius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  ipsa  vinea  exierit  et  unum 
«  canestrum  de  uvis  quod  sit  in  fundo  duorum  palmorum  ci  nltum 
«  unius  summissi,  et  manducare  et  bibere  ministro  recipienti  quartanfi 
«  predictam  et  .1111.  provisinos  prò  vascatico.  Si  per  hostem  publicam 
«  seu  celi  plagam  vel  [eius  negligentiam  in  damnum  ierit  et  trium 
«  annorum  spatio  relevata  non  fuerit,  monasterio  revertaiur.  Coni- 
«  minus  .V.  solidos  provisinorum  senatus  ».  Pena  «  dimidic  libre  auri  ». 

(a)  Sei  testo  (}        (b)  Qui  la  pergamena  è  guasta. 


ss  V,  Jedevìci 


Testimoni:  «  Matheus  de  Marco,  Lucas  Petri  de  Cicca,  Huguitton 
«  pictor,  Bartholomeus  Philippì  de  Ambo.  Johannes  Stephani  S.  R.  E. 
«  iudex  et  scriniarius  ». 


CXI. 

125  I,  agosto  20. 

«  Pe[trus  prò  medietate  et  Angelus  frater  suus  prò  alia  medie- 
«  tate]  (a)  cum  consensu  Romane  uxoris  [sue,  que  confìtetur  maior 
«  esse  .XXV.  annorum,  renuntiantis  omne  suum  ius  dotis  et  dona- 
«  tionis  propter  nuptias  palafernaium  et  specialiter  adiutorium  Vel- 
«  leiani  senatus  consulti,  cum  consensu  lohannis  [abbatis  monasterii 
«  S.  Silvestri . ,  .  qui]  habet  prò  consensu  .vi. . . .  solidos  provisinorum 
«  titulo  vendìtionis  vend[unt  [Bartolomeo  . . .]  vites  et  arbores  unius 
«  petie  vinee  plus  vel  minus . . . ,  positas  ex  portam  Pincianam  ad 
«  vallem,  fines  eius  a  .1.  latere  tenet  lohannes  de  Fara,  a  [.11.  la- 
te tere  . . .],  a  duabus  aliis  lateribus  sunt  vie  publice  W,  prò  pretio 
«.mi.  librarum  provisinorum  senatus».  Pena  «  dupli  pretii.  Ad  hoc 
V  Laurentius  Silvestri  rogatu  Petri  et  Angeli  [fideiuss't,  sub  pena 
«  duarum  unciarum  boni  auri  ».  Testimoni:  «  Romanus  lohannis 
«  de  Bianca,  Bonuscanius  frater  eius,  lacobus  Nicolai,  Simeone  de 
(f  Berta,  Petrone,  Romanellus  Montemarius.  Christoforus  S.  R.  E. 
«  scriniarius  ». 

CXII. 

1251,  agosto  28. 

«  Andreas  filius  qd.  lohannis  Andree  consentiente  [sibi  Bonaven- 
«  tura  uxor  [sua  et  renuntiante  omne  iure  ypothecarum  seu  pignoris 
«  dotis  et  donationis  sue  et  adiutorium  Velleiani  senatus  consulti,  etiam 
«  consentiente  in  hoc  d.  Gentile  abbate  monasterii  Ss.  Stephani  Dio- 
«  niscii  atque  Silvestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  et  d.  Be- 
«  nedicto  priore  et  presbitero  Pla[ci]do  (e)  eiusdem  monasterii  et  ha- 

(a)  La  pergamena  nei  margini  laterali  e  danne ggiatissima  da  reagenti  chimici 
che  in  piii  luoghi  hanno  corroso  interamente  la  scrittura.  Con  qualche  riscontro 
dello  stesso  atto  nelle  parti  leggibili  restituisco  nelle  parentesi  quadre  i  passi 
sicuri.  (b)  a  duabus  -  publice]  frase  aggiunta  con  un  richiamo  prima  della 
s  0  i  to  s  cr  i^ione  dei  testimoni.  (e)  Il  margine  destro  corroso  danneggia  le 
due  lettere  ci 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  89 


«bentibus  prò  consensu  .xxx.  provisinorum  vend[it  per  Fi[li]ppum  («) 
e  Maiellum  procuratorem  lacobo  Gualterii  perpetuo  dimidiam  pe- 
ce tiam  vince  plus  aut  minus  cum  tertia  parte  vasce  et  vascale  et  tino, 
«  positam  extra  portam  S.  Valentin!  in  monte  qui  dicitur  de  S.  Va- 
«  lentino,  inter  hos  fines,  a  i.  latere  tenet  Maiheus  Bocclarolus,  a  .11. 
«  et  .III.  latere  [ipse  [Andreas  tenet,  a  .1111.  est  via  publica,  quam 
«  vineam  olim  Clementis  cum  alia  medietate  habuit  in  locationem 
«  ab  ...  (b)  abbate  dicti  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite,  ut  conti- 
«  netur  instrumento  scripto  per  . .  .  (b)  olim  scriniariì.  Hanc  vendì- 
«  tionem  faci[t  quia  recip[it  .vii.  libras  bonorum  provisinorum  senatus 
«  que  sunt  de  summa  .viii.  librarum  provisinorum  et  dimidie,  quas 
«  [dictus  [Andreas  astuli[t  de  pretio  superstiti  domus  que  vendidi[t 
«  magistro  Angeli  Clementi».  Pena  «dicti  pretii  dupli».  Testimoni: 
«  Petrus  Barisanus,  Petrus  Florentie,  Johannes  lordane,  Bariholomeus 
«  Bebonis  de  Cornagiano,  Beneadactus  de  Bectona,  lacobus  Angeli 
«  Gentilis.  Mardo  lohannis  iudicis  Mardonis  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXIII. 

1252,  maggio  26. 

«  Alieve  Matthei,  consentiente  in  hoc  d.  Gentile  abbate  mona- 
«  sterii  S.  Silvestri,  d.  Benedicto  presbitero  et  priore,  Georgi©  la- 
«  cono,  d.  Placido  presbitero  habentibus  prò  eorum  consensu,  prò 
«  monasterio  cuius  iuris  est  .xxx.  provisinos  senatus  et  cum  con- 
ce sensu  Gemme  uxoris  [sue  et  omne  ius  suum  dotis  et  donationis 
«  propter  nuptias  et  omne  aliud  ius  et  specialiter  auxilium  legis  se- 
cc  natus  consulti  Velleiani,  quod  in  subscripta  vinea  habet  refutant'S 
ce  vend[it  per  Gualteronem  de  Solleten^a  CO  procuratorem  Paulo  de 
«  Accursone  in  perpetuum  dimidiam  petiam  vinee  plus  vel  minus, 
ce  positam  extra  portam  Flammineam  in  monte  S.  Valentini,  inier 
ce  lì  OS  fines,  silicet  a  .1.  latere  tenet  Gualterone,  a  .11.  Albertus,  a. 111. 
<c  Incobus  Petri  lohannis  Scoctc  et  heredes  lohannis  Nicolai,  a  .1111. 
ce  Andreas  lacobi  de  Rustico,  omnes  iuris  monasterii,  prò  eo  quia 
ce  recipi[t  prò  toto  pretio  .ufi.  libras  et  dimidiam  provisinorum  se- 
cc  n.itus,  salvo  tamen  quod  hinc  in  antea  omnì  anno  in  tempore  vin 
ce  dommiarum  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati  quod 
ce  de  dieta  vinea  exierit  monasteri©  reddere  tencatur  et  dictum  mo- 
la) li  di  Filippum  svanito.  (b)  Lacuna  nel  tetto,  (e)  Abbreviato 


90  V.  Jederici 


«  nasterium  relinquet  [ei  .xviii.  congitellas  de  musto  mundo  communi 
«in  tino  per  vascatam  de  uvis  plenam,  et  si  non  erit  vascata  re- 
«  linquet  [ei  secundum  quantitatem  uve  ».  Pena  «  diete  pecunie  du- 
ce plum».  Testimoni:  «  Nicolaus  mansonarius  W,  Omniasanctus  scu- 
«  tifer,  Bemmenutus  cellararius,  Marcus  scutifer.  Thomas  Obicionis 
«  sacri  romani  imperii  index  et  scriniarius  ». 


CXIIII. 

1252,  agosto  6. 

«  Theodaldus  et  Laurentius  fratres  filii  olim  d.  Petri  dc-.W 
«  Thedalli  asserens  (0  me  Laurentium  maiorem  esse  {^),  in  presentia 
«  d.  Andree  Mardonis  iudicis  vend[unt  per  Petrinianum  testem  sub- 
«  scriptum  procuratorem  Marroni  (e)  recipienti  prò  d.  Stephano 
«  fratri  [suo,  clerico  S.  Marcelli  terram  unius  petie  vinee  plus  vel 
«  minus  cum  quarta  parte  vassce  vasscale  et  tino,  positam  extra 
«  portam  Pincianam  ad  pisscinam,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  Angelus 
«  Caravite  iuris  de  Siccaficora  tenet,  a  .11.  Petrus  Forese  iuris  [suo- 
«  rum,  a  .111.  seu  a  pedo  Gregorius  Pagani,  a  .1111.  seu  a  capite  Pe- 
ce trus  Simeonis  clericus  S.  Andree  de  Colupna,  in  qua  terra  habet 
«  vites  Nicolaus  Pilellis,  que  terra  [sibi  pertinet  iure  divisionis  et  prò 
«  parte  quam  fecerunt  cum  sororibus,  ut  instrumento  divisionis  per 
«  Adrianum  iudicem  et  scriniarium,  ut  dictus  Nicolaus  det  quarta 
«  musti  et  canistrum  uvis  et  eo  quod  prò  pretio  .vii.  libras  provisi- 
«  norun  bonorum  senatus  recep[erunt  et  quod  annuatim  rede[t  mo- 
«  nasterio  S.  Silvestri  il  provisinos  senatus  prò  compengacione  unius 
«  denarii  papiensis  prò  dieta  terra  nomine  pensionis.  Ad  hoc  Ro- 
«  manus  filius  olim  Petri  lohannis  Romanutii  rogatu  dictorum  d.  Theo- 
«  daldi  et  Laurentii  fìdeiube[t  ».  Pena  «  predicte  pecunie  duplum  ». 
Testimoni:  «  lohannes  Petri  Benincasa,  Petrus  procacius,  Pau[lus]  (S) 
«  Leonardi,  Petrinianius.  Gualengus  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


(a)  Nel  testo  masonari'  senT^'  altra  ahhrevta^ione.  (b)  Nel  testo  abbre- 

viato oet  (e)  Nel  testo  asserSs  (d)  La  frase  fu  aggiunta  con  un  richiamo 
nel  margine  superiore  dalla  medesima  mano  del  testo.  (e)  Abbreviato  màvoirii 
(f)  lus  di  Paulus  abraso  da  mano  piti  recente. 


T{e gesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  91 


CXV. 

1254,  gennaio   17  [Sutri?]. 

«  Lucas  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capite  cum  consensu 
«  d.  Benedicti  prioris  et  d.  Georgii,  d.  Placidi  et  d.  Donadei  eiusdem 
«  monasterii  monachorum  iure  renovationis  loca[t  Arcolano  iudicis 
«  Raynerii  de  Sutrio,  in  secundam  generationem  unam  canapinam 
cf  positam  in  pertinentiis  Sutri,  in  Val  de  S.  Cesarli  (a),  a  .1.  latere 
«  iudex  Thomassus  de  Sutrio  tenet,  ab  alio  ecclesia  S.  Fortunate,  a 
«pede  est  rivus,  a  capite  est  ripa,  prò  eo  quod  recipi[t  .xl.  solidos 
«  senensium  picculorum,  sub  pensione  omni  anno  reddenda  in  festi- 
it  vitate  sancti  Gregorii,  .1.  senensis  diete  ecclesie  nomine  pensionìs. 
«Comjminus  in  venditione  .11.  solidos  senenses».  Pena  «  dimidiam 
«  libram  boni  auri  ».  Testimoni:  «  lacobus  lohannis  Scannacavalli 
«  de  Sutrio,  Romanus  Sanctorum  quatuor,  Angelus  Petri  lacobi. 
«  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXVI. 

1254,  maggio  21. 

«  Lucas  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  consentientibus 
«  fratribus  d.  Benedicto  priore,  d.  Georgio  diacono,  d.  Placido  pre- 
«  sbitero,  d.  Donadeo  subdiacono  et  fratre  Nicolao  monachìs  eiusdem 
«  monasterii  iure  renovationis  reloca[t  lohanni  lordano  habitatori 
a  castri  Bassanelli,  in  tertia  generatione  tenimenlum  unum  in  teni- 
«  mento  dicti  castri,  in  loco  qui  dicitur  Casale  de  Amerino  iuris 
«  monasterii  S.  Silvestri  predicti,  Inter  affines,  a  .1.  latere  tenet  Pru- 
«  geta,  a  .11.  casale  lohannis  Homodei  O)  iuris  dicti  monasterii,  a 
«  pede  est  rivus,  a  capite  Silva  munda,  prò  .xxviiii.  (0  solidis  se- 
«  nensium  et  ita  quod  [is  rede[t  monasterio  S.  Silvestri  annuatim 
«  unum  stari um  de  grano,  ita  quod  unum  annum  dedcri[t  dìctum 
«  granum  in  assumiione  sancte  Marie  et  alium  annum  dederi[t  unum 
a  siarium    de    investito    ad    starium   commune   dicti    castri  ».    Pena 

(a)  Ntl  Usto  valde  S.  Cesarli         (b)  Abbrtviato  hodei  (e)  L'ultima 

unità  è  quasi  interamtnte  abrasa;  non  si  capisce  s§  dalla  mano  iti  Itsto  o  pò* 
steriormente. 


92  V.   federici 


«  .XX.  libras  lucensium  ».  Testimoni:  «  Rainaldus  Aimelini,  lohannes 
«Angeli,  Angelus  filius  qd.  Petri  lacobi.  Licobus  BibianeW  S.  R.  E. 
«  scriniarius  ». 

CXVII. 

1254,  ottobre  i. 

«  Lucas  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capite  cum  consensu 
«  d.  Bene[dicti]  (b),  d.  Georgii  et  d.  Placidi,  d.  Nicolai  eiusdem  mc- 
<f  nasterii  monachorum  consenti[t  Angelo  Imperatori  filio  qd.  Saxonis 
«  iudicis  recipienti  prò  d.  lacoba  matre  [sua  ad  illam  venditlonem 
«  quam  index  Alexius  diete  d.  lacobe  matri  [sue  fecit  de  una  petia 
«  vinee  plus  vel  minus  (0,  posita  extra  portam  S.  Valentini  ad  Por- 
«  mellum  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  iudex  Angelus 
«  Romani  Baruncii  iuris  monasteri!,  a  tribus  lateribus  sunt  vie,  quia 
«  confite[tur  recepisse  .v.  solidos  provisinorum  prò  consensu  et  omni 
«  anno  tempore  vindemmiarum  reddet  monasterio  quartam  partem 
«  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  dieta  vinea  exierit  et  unum 
«  canestrum  plenum  de  uvis  quod  sit  in  fundo  duorum  palmorum 
«  et  unius  summissi  in  altum  et  .1111.  provisinos  per  quamlibet  ba- 
«  scatam  prò  vasscatico.  Commin[us  in  venditione  .v.  solidorum  pro- 
te  visinorum.  Et  si  invenerit  in  ea  aurum  plummum  ferrum  ramen 
«  vel  aliquod  metallum  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xii. 
«  provisinorum,  medietas  [sua  sit,  alia  sit  [monasteri!.  Si  in  desertum 
«yveritper  hostem  publicam  aut  celi  plagam  vel  ex  neglientia  labo- 
«  randi  et  per  trium  annorum  spatium  renovata  non  fuerit,  in  quarto 
«anno  ad  monasterium  revertatur».  Pena  «  unius  libre  boni  auri  ». 
Testimoni:  «  Guido  Silvestri,  Leonardus  lohannis  Benedicti,  lo- 
«  hannis  raditor.  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXVIII. 

1255,  decembre  16. 

«  Bartholomeus  Ratinus,  consentiente  in  hoc  [sib!  Ymilia  uxor 
«  [sua  et  Petrus  socer  [suus,  consensu d.  Marie ...W  cuius  est  proprietas 
«  diete  vinee  habentis  prò  commino  et  consensu  .v.  solidos  provisi- 

(a)  Abbreviato  bibian  (b)  Nel  margine  destro  la  pergamena  e  corrosa. 
(e)  plus  vel  minus  aggiunto  con  un  richiamo,  prima  della  s  0  tt  0  s  cri^i  one 
dei  testimoni,  dalla  medesima  mano  del  testo.         (d)  Lacuna  nel  testo. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  93 


«  norum  vend[it  per  lohannem  Camppi  rotundi  (*)  suum  procuratorem 
«  Spoletoni,  in  perpetuum  vites  et  arbores  unius  petie  vinee  plus 
«  vel  minus,  posita  extra  portam  Picganeam  ad  vallcra  Auream,  Inter 
«  hos  fìnes,a  ,1.  latere  tenet  Bartholomeus  Altemilie,  ab  aliis  omnibus 
«  lateribus  sunt  vie,  prò  eo  quia  recipi[t  prò  toto  pretio  .111.  libras  et 
«  .vili,  sollidos  provisinorum  bonorum  senatus,  salvo  tamen  omni 
«  iure  prediate  domine  cui  omni  anno  tempore  vindemmiarum  redde[t 
«  quartam  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  ea  cxierit  et  unum 
0  canestrum  plenum  de  uva  quod  sit  largo  in  fundo  duorum  palmorum 
«  et  altum  unius  submissi  ».  Pena  «  diete  pecunie  duple  ».  Testimoni  : 
V  Egidius  de  Trani,  Rainerius  Rubens,  Angilone,  Johannes  Laurentli 
«  Cercamundi,  Andrea  frater  eius.  Gorius  Oddonis  sacri  romani  im- 
«  perii  scriniarius». 

CXVIIII. 

1256,  maggio  27. 

a  Benedictus  Gualterii  cum  consensu  d.  Luce  abbatis  monasteri! 
«  S.  Silvestri  de  Capite  et  d.  Benedictì  prioris  et  Nicolai  subdiaconi  et 
«  lohannis  levite  monachorum  eiusdem  monasteri!  cuius  est  pro- 
«  prietas,  abentlbus  prò  consensu  .xxx.  provisinos  vend[it  Genme  Be- 
«  rarducie  medietatem  unius  petie  vinee  plus  vel  minus  cum  quarta  parte 
«  de  vasca  et  vascali  suo,  posita  extra  portam  S.  Valentin!  in  monte 
«  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  gurgus  (b)  S.  Martini, 
«ab  alio  latere  Laurentius...  (0,  ab  alio  latere  est  via  publica,  prò  eo 
«  quod  recepi[t  prò  pretio  .xxx.  solidos  provisinorum  bonorum  se- 
«  natus,  salvo  omne  iure  monasteri!  S.  Silvestri  ut  omni  anno  in  tem- 
«  pore  vindemmiarum  redde[t  quartam  partem  totius  musti  mundi  et 
«  acquati  quod  de  dieta  vinea  exierit  ».  Pena  «  unius  une!!  boni  auri  ». 
Testimoni:  «Petrus  de  Marana,  lacobucius  scudifer,  Amatus,  Nico- 
«  laus  cocus.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


cxx. 

1256,  giugno  25. 

«landucia  uxor  olim  Cammii,  Matheus,  Bartholomeus  et  Kn- 
<(  gela  filii   et  filia  dicti    Cammii,   cum    con(;en^u    d.    Luce  hnbatc 


(a)  Abbreviato  Cappi  rotundi         (b)  Abbreviato  ggus        (e)  Lacuna  nel 


testo. 


94  ^'  Jederici 


«  monasterii  Ss.  Stefani  Dionisii  adque  Silvestri  quod  ponitur  cata 
«  Pauli  ed.  (a)  pape  et  cum  congencju  fratrum  d.  lohannis  levite  et 
«  d.  Donadei  levite  et  d.  Nicolai  subdiaconi  et  d.  Leoni  acolito  et 
«  d.  Rainalli  presbìteri  habentes  prò  eorum  con5en(;u  .v.  solidos  pro- 
(f  visinorum  senatus  conced[unt  per  lohannem  Grecia  procuratorem 
«  [eorum  Gualterone  Rainalli  in  perpetuum  unam  petiam  vinee  plus 
«  vcl  minus  cum  medietate  unius  vasce  et  tino  et  vascali  suo,  po- 
«  sita[m  extra  portam  Flammineam  in  monte  S.  Valentini,  inter  hos 
«  fines,  a  .i.  latere  tenet  Leonardus  Theballi,  a  .11.  Romanns  Pic(;i, 
«  a  .TU.  Theodinus  Tiburtinus,  a  .1111.  est  via  plubica,  prò  .1111.  libris 
«  bonorum  provisinorum  senatus,  salvo  tamen  quod  hinc  in  antea 
«  rede[t  dicto  monasterio  quartam  partem  totius  musti  mundi  et 
«  acquati  quod  de  ea  exierit,  et  monachi  dicti  monasterii  dimictent 
«  [ei  .XVIII.  congitellas  de  musto  mundo  communi  in  tino  per  quam- 
«  libet  vascam,  et  si  vasca  piena  non  erit  dimictent  secundum  quan- 
«  titatem  uve.  Si  inveneri[t  in  ea  aurum  argentum  plunimum  ferrum 
«  ramen  seu  aliquod  metallum  aud  bonam  pretam  vel  pretas  valentes 
«  ultra  .XII.  provisinos,  medietas  slt  [eius,  reliqua  vero  medietas  \no- 
«  nasterio  reddere  tenea[tur.  Comminus  .v.  solidos  provisinorum. 
«  [li  omnia  observare  monasterio  que  in  carta  locationis  continetur 
«  scripta  per  Angelum  Petri  Mardonis  olim  scriniarium  promi[ctunt  ». 
Pena  «  diete  pecunie  duple  ».  Testimoni  :  «  Johannes  Grecia,  Petrus 
«  Berardi,  Petrus  longus,  Gaudente,  Romanus  Oderiscii.  Bartholomeus 
«  Factoris  S.  R.  E.  scrìniarius  ». 


CXXI. 

1257,  gennaio  15   ((). 

«  Berta  uxor  lohannis  Tebaldi,  consentiente  d.  lohanne  viro  [suo 
«  cum  consensu  conventus  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  et  mona- 
«  chorum  scilicet  presbìteris  Benedicti  prioris  et  presbiteris  Georgii 
«  et  lohannis  levite  et  Dopnadeus  levite  et  Leonis  acolidus  et  pre- 
<(  sbiteri  Rainaldi  et  fratri  Cinthii,  habentibus  prò  consensu  .v.  solidos 

(a)    Abbreviato  9na 

(i)  «Anno  incarnationis  .mcclvii.,  anno  [lacuna  nel  Usto]  pon- 
ce tificatus  d.  Alexandri  IIII  pape,  indictione  .xv.  ».  Qui  non  son  pos- 
sibili tutti  i  riscontri  cronologici,  mancando  Tanno  del  pontificato  di 
Alessandro  IV. 


T{e gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  95 


«  provisinorum  vend[it  Antonino  lohannis  Antonini  in  perpetuum 
«  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus,  posita  extra  portam  Flamineam 
«  in  monte  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Romanus 
«  Pic^us,  a  .11.  latere  tenet  presbiter  Andreas  cónimus,  a  .111.  lacobus 
«  Malagalgla,  oranes  iuris  S.  Silvestri,  a  .1111.  latere  est  via  publica, 
«  prò  .e.  solidis  provisinorum  honorum  senatus,  salvo  omni  iure  mo- 
«  nasterii  S.  Silvestri,  cui  rede[t  a  modo  omni  anno  in  tempore  vin- 
«  demmiarum.  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de 
«  dieta  vinea  exierit,  et  predictum  monasterium  dìmictet[ei  .xviii.  con- 
«  gitellas  in  tino  de  musto  communo  per  vascatam  plenam,  et  si 
«  vasca  erit  dimidia  dimictet  [ei  .vini,  congitellas,  et  si  non  erit  di- 
«  midia  dimictet  secundum  quantitatem  uve».  Pena  v  predicte  vendi- 
«  t'onis  duple  ».  Testimoni:  «Presbiter  Petrus,  Leonardus  Massimi, 
«  Rainerius  Orte,  Angelus  Venture.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXXII. 

1258,  gennaio    23. 

«  Petrus  lohannis  Consi,  consentente  in  hoc  Teodora  uxor  [sua 
a  et  Petro  Angeli  patre  ipsius  socero  [suo,  eaque  renuntiante  omni 
«  suo  iure  dotis  et  donationis  propter  nuptias  et  specialiter  auxilium 
«  Velleiani  senatus  consulti,  iure  permutationis  et  cammii  ced[it  Petro 
«  Grasso  filio  qd.  Qarre  in  perpetuum  unam  partem  fili  salini  cum 
«  gurga  et  fossato  et  locum  ad  actipplum  faciendum  quod  iu[re...(«) 
«  cum  aliis  duabus  partibus  lohannis  Petri  Cinthii  et  una  parte  he- 
«  redum  Petri  Cinthii,  positam  in  Campo  maiori  in  Scrpentarola  in 
«  proprietate  monasterii  S.  Silvestri  in  Annito  qui  vocatur  Annitus 
«  maior,  inter  hos  fines,  cui  a  .1.  latere  [ipse  [Petrus  tene[l,  filum 
«  lupum,  iure  dicti  monasterii,  carraria  mediante,  ab  alio  Johannes 
«cocus  et  heredes  Pauli  de  Pisce,  ab  alio  est  stannus,  ab  alio  est 
«  sodus,  per  Romanectum  Bartholomei  Tcrranani  procuratorem,  quia 
«  [is  dedi[t  [Petri  unam  petiam  vinee  plus  vcl  minus  positam  ad 
«  Guallum  ut  apparet  publico  instrumento  scripto  per  hunc  cumdem 
«  scriniarium  et  [Petrus  adidi[i  [ei  .xl.  solidos  provisinorum  ».  Pena 
«  .1.  libre  boni  auri  ».  Testimoni:  «  Scannaiudeus  scriniarius,  Angelus 
«  Buccamola,  Taliaferrus  fcrrarius,  Romanectus  Bartholomei  Terra- 
«  nani,  Yiperinus  de  ^Grasso.  Eodem  mense,  die  .xxiiii.  Georgius 
«  abbas  monasterii  S.  Silvestri  cum  consensu  d.  Benedicii  prioris  et 

(a)  La  scrittura  e  guasta  per  macchia  della  pergamena. 


9^  1^.  Je devici 


«  d.  lohannis  de  Monticelli  et  d,  Stephani  Ricii  eiusdem  monasterii 
«  monachorum  consenti[t  Petro  Grasso  ad  illum  cammium  quia  recc- 
«  pi[t  prò  consensu  .vini,  provisinos  et  quia  [Petrus  [Grassus  promicti[t 
«  dareomni  anno  quando  dictus  filus  laborabitur  monasterioC»)  .i  tinani 
«  salis  nomine  pensionis  (b),  coram  testibus  lacobo  Gecci,  Romanecto 
«  lohanne  Mardonis  scriniario.  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXXIII. 

1258,  decembre  15. 

«  Matheus  filius  et  heres  qd.  lohannis  Petri  prò  tribus  partibus 
«  infrascriptarum  rerum  et  Petrus  filius  et  heres  qd.  Andree  lohannis 
«  Petri  prò  quarta  parte  vendiderunt  d.  Georgio  abbati  monasterii 
«  S.  Silvestri  de  Capite  perpetuo  totum  unum  casale  cum  silva  et 
«  scurpeto  (0  et  redimine  suo  quod  a  monasterio  iure  locationis 
«  antecessores  eorum  tenuerunt,  positum  fo[ras]  (J)  pontem  Salarium 
«  in  massa  de  vestario  dompnico  prope  ecclesiam  S.  Filippi,  inter 
«  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  dieta  ecclesia  S,  Filippi,  a  .11.  latere 
«  titulus  S.  Laurentii  in  Lucina,  a  .111.  latere  est  fossatum  qui  dividit 
«  inter  dictum  casale  et  Capltiniani,  a  .1111.  tenet  ecclesia  S.  Co- 
«  lumpbe,  prò  pretio  .xlviii.  librarum  provisinorum  senatus  recipiendo 
«  ipsam  pecuniam  in  romaninis  grossis  de  argento  valentibus  ipsam 
«  quantitatem,  quod  pretium  fuit  dd.  iudicum  scilicet  dd.  ConsoHni 
«  primiceri  iudicum,  Petri  et  lacobi  filiorum  suprum,  data  ad  hoc  a 
«  predictis  d.  Consolino  et  filiis  abbati,  ut  eas  emeret  prò  ipso  mo- 
«  nasterio  secundum  quod  apparebit  per  [subscriptum  eumdem  scri- 
«  niarium  et  per  Romanum  Henrici  procuratorem  constitutum  [ad 
«  investi[endum  eumdem  abbatem  ^k  Pena  «diete  pecunie  duple». 
«  Presbiter  Bellushomo  clericus  ecclesie  S.  Vitalis,  predictorum 
«  venditorum  precibus  fideiuss[it.  Ad  hec  Biola  (e)  uxor  dicti  Matheì 
«  et  Mabilia  socrus  ipsius  et  Margeritola  soror  ipsius  et  Agnes  con- 
ce gnata  sua  consobrina,  sponsa  sive  uxor  qd.  Andree  fratris  sui 
«  consobrini  et  filia  diete  Mabilie,  predicte  venditioni  consenserunt, 
«  renuntiantes  omni  iure  eorum  pignoris  seu  polhece  dotium  et  do- 
«  nationum  propter  nuptias  palafernorum  et  alimentorum  ipsarum  et 

(a)  La  parola  fu  aggiunta  nel  margine  inferiore  con  un  richiamo  dalla 
medesima  mano  del  testo.  (b)  nomine  pensionis  aggiunte  sopra  linea  dalla 
medesima  mano  del  testo.  (e)  In  fin  di  linea  scu;  poi  il  margine  e  corroso; 
nel  rigo  seguente  peto  sen\a  alcuna  abhreviaiione.  (d)  Corroso  il  margine 
destro.        (e)  Incerta  la  lettura  per  una  macchia  della  pergamena. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  97 


«  alicuius  earum  et  speciali  auxilio  Velleiani  senatus  consulti  ». 
Testimoni  :  «  Nicolaus  Mancanomine  scriniarius,  Romanus  Henrici, 
«  lacobus  Petrì  Macci,  lannucius  Angele,  Cosmas  Lucie,  Leonardus 
«  cavalerius,  Verxilius  («)  lohannis  Dionisii.  Eodem  die  et  coram  te- 
«  stibus  Nicolao  Mancanomine  scriniario  et  Romano  Henrici,  presbi- 
te tero  Geòrgie  S.  Ypolitì,  Virxilio  lohannis  Dionisii,  lacobo  Petri 
«  Macci.  Bartholomea  uxor  dicti  Petri  Andree  lohannis  Petri  et 
«  Benvenuta  socrus  eius  predicte  venditioni  consensum  prebuerunt, 
«  rcnuntiautes  &c.  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  «  (i). 


CXXIV. 

1259,  decembre  7. 

a  Petrucia  filia  Petri  Stephani  Ymilie  et  Stephania  uxor  dicti 
«  Petri  cum  consensu  d.  Georgii  venerabilis  [abbatis]  (t)  monasterii 
«  S.  Silvestri  de  Capite  cum  consensu  d.  lohanni,  d.  Gregorii  et 
a  Donadei  et  d.  Leonis  monachorum  ipsius  monasterii,  recipientibus 
«  prò  eorum  consensu  .xxx.  provisinos  vend[unt  per  Venturam  Re- 
«  guardati  procuratorem  Gregorio  de  Cesario  dimidiam  petiam  vinee 
«  plus  vel  minus  ad  quartana  reddendam,  cum  parte  unius  vasce  et 
«  vascali  et  tigno,  positam  extra  portam  Flammineam  in  monte  S.  Va- 
«  lentini,  sicut  inter  hos  fines,  cui  a  .1.  latere  tenet  Petrus  Laurentii 
a  iuris  dicti  monasterii,  a  .11.  Johannes  la  Taberna  iuris  dicti  niona- 
«  sterii,  a  .111.  est  via,  prò  toto  pretio  .xl.  solidorum  provisinorum 
«  senatus.  Gregorlus  de  Cesario  promict[it  habati  a  modo  omni  anno 
«  tempore  vindemmiarum  de  dieta  vinca  reddere  quartam  partem 
«  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  ea  exierit.  Comminus  .xxx. 
«  provisinorum  senatus  Si  in  dictam  vineam  («)  [is  invener[it  aurum 
«  argentum  plummum  ferrum  ramem  metallum  lapidem  seu  lapides 
«  valentes  ultra  .xii.  provisinorum,  medietas  sit  [sua,  alia  medietas  sit 
«  monasterio.  Si  vinca  in  aliquo  tempore  in  desertum  iverit  et  in 
«  tribus  annis  relevata  non  erit,  monasterio  revertatur.  Habas  pre- 
te mitti[t  [ci  dimittere  per  quamlibet  bascatam  uvis  que  de  dieta  vinca 
«exierit  .xviii.  congitellas  de  musto  mundo  comune  in  tigno,  et  sì 

(a)  Qui  abbreviato  Vcxilius;  piìi  sotto  vixilius  (b)  La  parola  fu  di- 

menticata dallo  ii-.riuiario.        (e)  AV/  testo  in  dcam  vinca 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  una  mano  di  poco  posteriore 
al  testo  annotò:  «  Instrumentum  masse  de  vesiarìo  dompnico  de  terra 
«  quam  tenet  d.  CensoUnus  primiccrius  iudicum  ». 

Archivio  di'lla  R.  Società  romana  di  $toria  patriit.  Voi.  XXIII.         7 


98  V.    federici 


«  vasca  exierit  dimidia  dimittere  .vini,  congitellas,  et  si  non  exierit 
«dimidia  dimittere  ad  rationem  secundum  quantitatis  uve».  Pena 
«diete  pecunie  duple».  Testimoni:  «  Romanus  Henrici  W,  Angelus 
«  Romani,  Matheus  Romani,  Angelus  filius  Retri  de  Rosa,  Petrus 
«  filius  Retri  Rose,  Nicolaus  Romani  Angeli  lohannis  Pauli  S.  R.  E. 
«  scriniarius  habens  iudicialem  potestatem  ». 


cxxv. 

1260,  settembre  6. 

«  Gregorius  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Capite  cum  consensu 
«  fratrum  scilicet  d.  lohannis  Monticelli  priori  et  d.  Georgii,  presbi- 
«  teri  Placidi,  presbiteri  Dopnadei,  et  d.  Cinthii  monachorum  prefati 
«  monasterii  conced[it  Romano  magistri  Rainaldi  ad.  .  .W  venditio- 
«  nem  quam  Johannes  Porri  (0  et  Stefania  uxor  eius  fecerunt  [ipso 
«  [Romano  de  una  petia  vinee,  posita  extra  portam  S,  Valentini  in 
«  monte  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Petrus  lohannis 
«  Andree,  [a  .11.]  (b)  latere  tenet  Leonardus  Salucius,  a  .111.  latere  tenet 
«  Berardus  acutarius,  a  .1111.  latere  est  via,  omnes  iuris  [monasterii]  (b), 
«  prò  eo  quod  recepi[t  prò  commino  diete  vinee  .v.  solidos  provi- 
«  sinorum  honorum  senatus  et  prò  eo  quod  omni  anno,  in  tempore 
«  vindemmiarum  [Romanus  redde[t  monasterio  quartam  partem  totlus 
«  [mujsti  (b)  mundi  et  acquati  quod  de  dieta  vinca  exierit,  salvo  quod 
«  monasterium  relinquerit  [ei  .xviii.  congitellas  de  musto  mundo 
«  communo  in  tino  per  vasscatam  de  uvis  plenam,  et  si  non  erit 
«  plenam  dimictet  [ei  secundum  quantitatem  uve.  Comminus  .v.  so- 
«  lidorum  provisinorum  in  venditione.  Si  vinea  per  oste  publicem  vel 
«  celi  plaga  aut  per  [eius  neglientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus 
«  annis  eam  non  relevabi[t,  monasterio  revertatur.  Si  inveneri[t  in  ea 
«  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramem  aut  aliquod  metallum 
«  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xii.  provisinos,  me- 
«  dietas  sit  [eius,  alia  monasterii».  Testimoni:  «Leonardus  de  scri- 
«  niario,  Petrus  Pipponis,  Macteus  Rainerii,  Johannes  Berardi.  Johannes 
«  S.  R.  E.  scriniarius  ». 

(a)  Nel  testo  herici  sen\a  abbreviazione.  (b)  La  scrittura  e  svanita. 

(e)  Abbreviato  pori 


^ gesto  di  S.  Silpestro  de  Capite  99 


CXXVI. 

1261,   gennaio  19,  Viterbo. 

«  Gregorius  habas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  in  Urbe  con- 
«  sentientibus  in  hoc  Raynaldo  monaco  yconomo  et  procuratore  dicti 
«  monasterii,  sicut  patet  publico  instrumento  confecto  per  Castorium 
«  scriniarium  et  Leone  monache  eiusdem  monasterii,  iure  reloca- 
«  tionis  reloca[t  Raynutio  filio  olim  lacobi  Raynutii  Carbonis,  usque 
«  ad  tertiam  generationem,  omnes  terras  domus  criptas  seu  posses- 
«  siones  quas  olim  Raynutius  Carbonis  de  Aliano  tenuit  in  locatione 
«  a  monasterio,  sitas  intus  et  extra  castrum  Alianum  et  per  .totum 
«  ipsius  tenimentum  sicut  inter  suos  confines  concluduntur:  fines 
«  .1.  domus  cum  cripta  posila  in  castro  Aliano  iuxta  domum  Crenscìs 
«  Pagoli  et  iuxta  ecclesia  S.  Marie.  Fines  duarum  terrarum,  .1.  qua- 
«  rum  est  iuxta  pedem  campanilis,  et  alia  de  foris  in  muro  Castellani. 
«  Item  reloca[t  [ei  .1.  petium  terre  positum  in  plano  Vertiliano  iuxta 
«  Ac^onem  et  iuxta  ipsum  Raynutium.  Item  .1.  aliud  pectium  terre 
«  positum  in  ertale  iuxta  ipsum  Raynutium.  Item  .1.  pectium  in  villa 
«  nova  iuxta  Petrum  Fossculi  et  iuxta  Actonem  ;  et  .1.  pectium  terre 
«  iuxta  formam  et  iuxta  filium  Guaneli,  et  .1.  pectium  iuxta  formam 
«  de  foris  et  iuxta  Nectum  de  Peto.  Item  .1.  pectium  supra  rivum 
«  maiorem  et  iuxta  Petrum  Tose.  Item  duas  canapinas  positas  extra 
«  rivum  et  .1.  pectium  terre  positum  in  colle  Cave  rocte,  et  aliud 
«  pectium  positum  in  eodem  colle,  iuxta  Famianum.  Item  .1.  pectium 
«  terre  positum  in  valle  Vertiliana  iuxta  lannem  de  Serguido  et  iuxta 
«  lulianum.  Item  .1.  pectium  positum  in  plano  Simpliniano  iuxta  Pe- 
«  irum  de  Rosa,  et  .1.  aliud  pectium  positum  in  eodem  plano  iuxta 
«  eumdem  Petrum  et  iuxta  terram  de  Vangoli.  Item  .1.  pectium  terre 
<'  positum  in  colle  Grossarellum  et  iuxta  Petrum  de  Rosa.  Et  .1.  pe- 
«  ctium  terre  vinialis  plani  in  vinialibus  plani  iuxta  Leonardum  et 
«  Cintianum.  Et  .1.  pectium  terre  positum  in  plano  de  Amicala  iuxta 
«  fili  de  Serguidis.  Et  .1.  pectium  positum  in  castro  Venti  («)  iuxta 
«  terra  filorum  ser  Raynerii,  et  .1.  criptam  positam  in  carbonaria 
«  dicti  castri  ubi  fuit  focina,  prò  .e.  solidis  bonorum  denariorum  lu- 
«  censium  et  senensium  pecunia,  constituentes  ad  maiorem  huius  rei 
«  firmitatcm  magistrum  Petrum  avunculum  [Raynutii  prcsentcm  et 
«  Petrum  Bonicambii  absentem  procuralorcs.  Comminus  .x.  solido- 

(a)  Abbreviato  ucti 


100  V,  Jederici 


«  rum  lucensium.  Pro  pensione  dabi[t  omnl  anno  monasterio  in  festo 
«  sancti  Silvestri  xvi.  denarios  lucenses  et  senenses  pecunia  et  si  in 
«  primo  anno  non  solveri[t,  in  secondo  duplicabi[t,  in  tertìo  vero 
«  perdideri[t  locationem  predictam  ».  Pena  (c  dupli  valentie  dictarum 
«  rerum.  Actum  est  hoc  ante  fontem  Sepalis  in  Viterbio  coram 
«  testibus  loseppo  Nicolai,  Viviano  calgolario,  lohanne  Berardi  et 
«  Benevenuto  Mattafellonis.  Fatius  S.  R.  E.  notarius  ». 


CXXVII. 

1261,  maggio  26  (i),  Roma. 

<f  Magister  Andreas  de  Taranto  confexus  est  se  recepisse  ab 
«  Alexio  Nicolai  Raynaldi,  solvente  prò  d.  Tebaldo  Petri  Anibaldi 
«  .cccLXXiiii.  libras  bonorum  provisinorum  senatus  prò  pretio  castri 
«  Montis  Milioris,  que  sunt  de  summa  quingentarum  librarum  provi- 
«  sinorum  senatus  prò  quibus  idem  magister  Andreas  promisit  facere 
«  venditionem  dicti  castri  ».  Pena  «  dicti  pretii  dupli.  Actum  Rome 
«  in  claustro  ecclesie  S.  lohannis  de  Laterano,  presentibus  lohanne 
«  Molinario,  Stephano  Siniorilis,  Cosmato  Oddonis  Raci,  lacobo 
«  Sa  . . .  (a),  Tedelgario  Rubeo.  Johannes  Petri  Gualterii  S.  R.  E. 
«  iudex  at  scriniarius  ». 

cxxviir. 

1262,  maggio  14. 

«  Gregorius  habbas  monasterii  Ss.  Stefani  Dionlscii  adque  Sii- 
«  [vest]ri  (b)  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  cum  consenso  fratrum 
«  Donadei  presbiteri,  Rainaldi  presbiteri  et  fratris  Angeli  et  consen- 
«  tientes  in  hoc  prò  ipso  monasterio  lacobus  [Crejscentii  (b)  et  Petrus 

(a)  Una  macchia  nella  pergamena  non  permette  di  leggere  il  nome, 
(b)  La  scrittura  e  svanita. 

(i)  «Anno  incarnationis  .mcclxi.  pontificatus  d.  Alexandri  IIII 
«  pape,  anno  eius  .vii.,  indictione  .1111.,  mense  mai,  die  .xxvi.  ».  È 
noto  (PoTTHAST,  Rcg.  Potit.  II,  1472)  che  Alessandro  IV  mori  a 
Viterbo  il  25  maggio  1261.  L'errore  dello  scriniario  che  il  26  maggio 
crede  ancora  vivo  il  pontefice,  morto  invece  il  giorno  prima,  non  può 
far  maraviglia. 


Regesto  dì  S,  Silvestro  de  Capite  loi 


«  frater  eius  et  Mariabona  mater  predictorum  et  prò  Laurentio  fra- 
<c  [tri]  (a)...  et  consentiente  in  hoc  Luciana  uxor  dicti  lacobi  loc[at 
«  Andrea  lohannis  Andree  in  perpetuum  unam  petiam  vince  desertam 
«  plus  vel  minus  cum  duabus  partibus  unius  vasce  et  tini  et  vascali  suo, 
«  posita  a  capite  vinee  dicti  lacobi  Crescentii,  extra  portam  Flami- 
«  neara  in  monte  S.  Valentini,  inter  [hos]  (*)  fines,  a  .i.  latere  diclus 
«  lacobus  Crescentii,  a  .11.  Pentome,  a  .111.  heredes  Petri  Stefani,  a 
«  .1111.  via  pi  ubica,  tali  pactu  quod  eam  ad  bonam  vineam  [is  per- 
«duca[t  et  bine  ad  .1111.  annos  nihil  monasterio  redde[t,  deinde 
«  redde[t  quartam  partem  musti  mundi  et  acquati,  retinendo  [sibi  per 
«  quamlibet  vascatam  .xviii.  congitellas,  et  si  non  erit  dimidia  va- 
«  scata  retinebi[t  secundum  quantitatem  uve.  Comrainus  .L.  (b)  pro- 
«  visinorura.  Et  non  dubitetur  quia  dicitur  .l.  provisinorura  quia 
«  est . . .  (0,  pec[unia]  (A)  locatione  facta  lohanni  Seromo.  Si  [Andreas 
«  inven[iet  in  ea  aurum  argentum  plumbum  et  aliquod  metallum 
«  lapidem  seu  lapides  valentes  ultra  .xii.  provisinos,  medietas  sit  [sua, 
«  alia  medietas  sit  monasteri!.  Si  vinea  per  hostem  plubicum  vel 
«  celi  plaga  vel  [eius  negligentia  in  [dejsertum  W  ierit  et  in  tribus 
«annis  relevata  non  fuerit,  in  .ini.  monasterio  revertatur».  Pena 
«  .1.  libre  auri.  Ad  hec  Leonardus  Cialgia,  precibus  lacobi  Petri  et 
«Marie,  fideiube[t».  Testimoni:  «  Romanus  Cervellane,  Angelus 
«  Caput  («),  Angelus  Petri  lohannis  Andree,  Petrus  Mathei,  lohannis 
«  Andree,  Laurentius  lohannis  Caballi.  Ypolitus  sacri  romani  imperii 
«  index  et  scriniarius  ». 


CXXIX. 

1263,  maggio  I. 

«  Sergius  (f  )  abbas  monasterii  S.  Silvestri  [d]e  (g)  Capite,  d.  lo- 
«  hannes  prior,  d.  Placidus,  d.  Leo(h),  d.  Cinthius  monachi  dicti  mo- 
«  nasterii  consenti [unt  illi  venditioni  facte  Erminie  uxori  lohannis 
«Belli  a  Stefano  iudicis  lohannis (*»)  de  quadam  domo  cum  orticello 

(a)  Qui  il  guasto  della  pergamena  danneggia  sette  od  otto  lettere.  (b)  Wel 
testo  il  numero  e  alquanto  svanii»,  ma  non  v'  ha  dubbio  che  sia  un  .L.  (e)  La 
scrittura  e  svanita.  (d)  //  margine  sinistro  della  pergamena  è  corroso  e  m 
rimangono  danneggiati  i  rr.  18-22.  (e)  //  caput  e  seguito  nel  testo  dalli 

lettere  pa  poi  cancellate.  (f)  AV/  testo  Ser  (g)  Danneggiata  in  parte  la 
parola  da  una  macchia  della  pergamena.  (li)  Incerta  la  lettura  ptrcbi  il 
carattere  i  svanito. 


102  V.   federici 


«  post  se  et  platea  ante  se  et  quam  dictus  Stefanus  emit  a  [Majtheo  (*> 
«  Riccudime,  posita  in  regione  Columpne  infra  ortos,  inter  hos  fines, 
«  a  duobus  lateribus  Menfi  0>)  d.  Petri  de  Pincio,  ab  alio  Canscianus  (e) 
«  Petri  magistri  Gregorii  W,  ab  alio  ante  est  via  publica,  quod  re- 
«  cep[erunt  nomine  commini  (e)  et  consensus  .v.  sollidos  provisino- 
«rum  senatus  et  prò  eo  quod  Johannes  Bellus  maritus  diete  Erminie 
«  promicti[t  dare  monasterio  annuatim  in  festo  sancti  lohannis  de  state, 
«  nomine  pensionis  .mi.  provisinos  senatus.  [Comminus  ,v.  sollidorum 
«  provisinorum  ».  «  Actum  coram  testibus  Gregorio  scriniario,  Be- 
«  rardo  Mlccinelli,  luvanni  Ymilie  Reatino.  Carlus  S.  R.  E.  iudex  et 
«  scriniarius  ». 

cxxx. 

1263,  settembre  19,  Ravenna. 

«In  domo  dicendorum  dominorum  ». 

«  Peti[it  a  d.  Stephano  duci  Sclavorum  domino  domus  Traver- 
«  sariorum  et  d.  Traversaria  filia  olim  d.  Guilhelmi  (f)  Traversarie 
«  iugalibus  (g)  uti  Guidotto  ed.  d.  Citadine  petitori  prò  [se  seu  liberis 
«  [suis,  et  si  liberos  non  habueri[t  prò  uno  [suo  successore  tamen 
«  mediante  persona  qui  non  sit  servus  nec  de  alterius  masnada,  per 
«  pactum  innovationis  conced[unt  novem  tornaturas  W  prati  in  una 
«  pecia  que  olim  fuit  Ainardi  de  Palladio  (0  constituta  W  in  Medafeno 
«  territorio  (0  Ravenne,  plebis  S.  Stefani  in  Tegurio,  a  .1.  latere  via 
«  Medafeni,  a  .11.  d.  Dadea  et  heredes  ed.  d.  Rainerii  de  Guillelminis  (»"), 
«  a  .III.  Andulfus  de  castaldis  et  Bondinati,  a  .1111.  d.  Rengarda  uxor 
«  Ubaldini  de  Signorellis  (")  et  heredes  ed.  Ravenni  Aledusii,  omnes 
«  [Stephani  et  [Traversarie  iure  (o),  confìrmaverunt  ipsum  in  tenuta 
«  diete  rei  ad  habendum  in  annis  advenientibus  .xl.  ad  renovandum, 
«  datis  tunc  prò  ealcaico  (p)  .xxx.  soldis  ravennatum  tantum,  sub  pen- 
«  sione  omni  anno  in  mense  marcii  aut  infra  indictionem  .11.  dena- 
«  rios  ravennates,  prò  ea  quia  exinde  da[t  calcari!  nomine  et  prò 
«  innovatione   prediete   rei  .xxx.  solidos   ravennatum  ».    Pena  «  un- 

(a)  Ma  di  Matheo  svanito.  (b)  Incerta  la  lettura  perchè  il  carattere  e 
svanito.         (e)  Nel  testo  Càscùs         (d)  Nel  testo  ggi  (e)  Nel  testo  comm' 

(f)  Ahhr.  Guilh  (g)  Aggiunta  neW  interlineo  dalla  medesima  mano  e  ab- 

breviala iuga.ì  (h)  Abbr.torh  (i)  Abbr.  PallAq  {k)  Abbr.  yUìt  {\)  Nel 
testo  tt  (m)  Abbr.  Guiitminis         (n)  Nel  testo  Sig'rellis         (o)  Le  parole 

omnes  nostro  (nel  nostro  testo  cambiate  in  [Stephani  et  [Traversarie)  iure  ag- 
giunte neW  interlineo  dalla  medesima  mano  del  testo.         (p)  Abbr.  cal^ 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  103 


«  ciam  unam  auri.  Interfuerunt  testes  Ri(;ardus  Parcitade,  lohannes 
«  Pilatus,  Thomasius  Theotonicus.  Laurentius  Albarani  sacrosante 
«ecclesie  Ravennatis  notarius  »  (i). 


CXXXI. 

1263,  no[vem]bre  (a)  io. 

«  Gregorius,  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite,  cum  con- 
«  sen[su]  0>)  fratrum  d.  lohannis  Monticelli  priorìs.  d.  Angeli,  fratris 
«  lacobi  monachorum  eiusdem  monasterii  renov[at  Romano  magi- 
«  stri  Rainaldi  in  perpetuum  unam  petiam  vinee  disertam  cum  tertia 
«  parte  unius  vassce  et  vasscale  suo,  posita  extra  portam  S.  Valen- 
«  lini  in  monte  S.  Valentini,  Inter  hos  fìnes,  a  .1.  latere  tenet  Petrus 
«  lohannis  Andree,  a  .11.  latere  tenet  Leonardus  Salucii,  a  .111.  latere 
«  est  ripa  montis  et  tenet  Berardus  acutarius,  a  .1111.  latere  est  via, 
«  omnes  iuris  dicti  monasterii,  prò  co  quod  [is  promicti[t  dictam 
«  vineam  hoc  anno  repastinare  et  eam  bene  laborare  et  cullare  sicut 
«  bone  vinee  decet  et  hinc  (0  ad  .vi,  annos  nihil  de  ea  monasterio 
«  rede[i,  set  deinde  omni  anno  in  tempore  vindemmiarum  rede[t 
«  monasterio  quartam  pariem  lotius  musti  mundi  et  acquali  quod  de 
«  dieta  vinea  exierit,  salvo  quod  monasterium  dimictet  [ei  .xviii.  con- 
«  gitellas  de  muslo  mundo  communo  in  tino  per  vassatam  de  uvis 
«  plenam,  et  si  erit  dimidiam  dimictet  [ei  .vini,  congitellas,  et  si 
u  non  erit  dimidia  dimictet  [ei  secundum  quantitatem  uve.  Comminus 
«  .V.  solidorum  provisinorum  honorum  senatus.  Si  [is  inveneri[t  in  ea 
«  aurum   argentum  ferrum   plummum  ramen  aut  aliquod  metaldum 

(a)  Nel  testo  è  visibile  solo  no...b;  1/  resto  della  parola  è  svanito. 
(b)  Svanite  le  due  lettere  finali  della  parola,  (e)  Nel  testo  hic  senio  abbre- 
viaxiotte. 

(i)  Nel  margine  inferiore  della  carta  la  mano  del  testo  annotò: 
appa  (appare).  Quest'atto  (5.  Silvestro,  n.  126),  insieme  con  l'altro 
riferentesi  ad  Aica  Traversar!  (ivi,  n.  157,  numero  nostro  clxvi) 
vennero  probabilmente  al  monastero  per  mezzo  di  casa  Colonna  che 
ebbe  relazioni  con  S.  Silvestro.  Vedi  per  questo  la  nostra  prefazione 
(XXII,  233)  e  cf.  anche  G.  Levi,  Aica  Traversavi,  aneddoto  salimbe- 
nianOf  in  Atti  e  memorie  d.  Deput.  di  stor.  patr,  per  le  prov.  Modenesi 
e  Parmensi,  ser.  Ili,  voi.  IV,  par.  11,  che  pubblica  i  due  documenti 
insieme  con  altri  del  medesimo  argomento. 


104  V'  Jèderici 


«  seu  bonam  pretam  vel  pretas  valentes  ultra  .xii.  provisinorum,  me- 
«  dietas  sit  [sua,  alia  mouasterii.  Si  vinea  per  hostem  publicem  vel 
«  celi  plaga  aut  per  [eius  neglientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus 
«  annis  eam  [is  non  relevabi[t,  monasterio  revertatur  ».  Pena  «  .1.  libre 
«boni  auri  ».  Testimoni:  «Petrus  Alexii,  Petrus  Passcalis,  Paulus 
«  Reatinus,  Petrus  Paciius  sartor,  Silvester  Andree  de  Carlo.  Johannes 
«  S.  R.  E.  scriniarus  ». 


CXXXII. 

1264,  settembre  7. 

«  Gregorius  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  de 
«  consensu  d.  lohannis  prioris,  d.  Stefani  presbiteri,  d.  Placidi  pre- 
ce sbiteri  monachorum  eiusdem  monasterii  loca[t  Guiducio  de  Infra- 
«  orta  usque  in  tertiam  generationem,  finita  vero  tertia  generat'one, 
«  quarta,  dando  [monasterio  .vi.  soUidos  denariorum  papiensium,  te- 
«  nea[tur  ei  subscriptam  domum  relocare,  unam  domum  cum  orto 
«  post  se,  positam  Rome  in  regione  Columpne  Antonini  infra  ortos, 
«  Inter  hos  fines,  a  duobus  lateribus  sunt  vie,  ab  alio  tenet  Vuolinus 
«  Doili  que  fuit  qd.  Petri  de  Ocre  iure  monasterii  et  ab  alio  latere 
«tenet  Cacgatus  eiusdem  iuris  et  per  Martinum  Synibaldi  procurato- 
«  rem,  prò  eo  quod  confite[tur  recepisse  .111.  libras  et  dimidiam 
«  bonorum  provisinorum  senatus,  et  a  modo  omni  anno  in  festo 
«  sancti  lohannis  Battiste  redde[t  monasterio  .11.  («)  denarios  papienses 
«  nomine  pensionis.  Q.ue  domus  olim  locata  fuit  a  Silvestro  abbate 
«  eiusdem  monasterii,  ut  apparet  publico  instrumento  locationis  scripto 
«  per  Gualengum  scriniarium  qd.  Comminus  .xviii.  denariorum  pa- 
«piensium».  Pena  «  .1.  libr[e  boni  auri.  De  qua  igitur  locatione  due 
«  sunt  cartule  uno  tenore  conscripte,  una  quarum  est  apud  mona- 
«  sterium  et  alia  apud  Guiducium  ».  Testimoni:  «  Matheus  Ricce- 
«  dopni,  Bartholomeus  Constantie,  Petrus  Angeli,  Andreas  frater 
«  eius,  Lucas  Berardi  Gentilucie,  lacobus  Petri  Mancini.  Gratianus 
«  S.  R.  E.  scriniarius.  Eodem  die  et  mense  et  coram  testibus  supra- 
«  dictis  Martynus  Synibaldi  procurator  ipsum  Guiducium  de  supra- 
«  dieta  domo  investivit  ». 


(a)  Innan\i  alla  prima  unità  era  un'  altra  asta,  poi  abrasa. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  105 


CXXXIII. 

1265,  maggio  18. 

«  Petrus  filius  olim  nobilis  Viri  d.  lohannis  de  Polo  comitis,  in 
«  presentia  d.  Thomae  de  Oderisciis  iudicis  et  lohannis  scriniarii, 
«  consentiente  infrascriptis  lacoba  uxore  [sua  et  ea  renuntiante  omne 
«  ius  suum  pignoris  dotis  et  donationis  sue  propter  nuptias  et  para- 
«  fernorum  suorum  conced[it  d,  Nicolao  fratri  [suo  perpetuo  medìeta- 
«  tem  integram  omnium  terrarum  positas  inter  pontem  Mammulum(a) 
«  et  extra  ipsum  pontem  non  longe  ab  ipso  ponte  in  pluribus  petiis 
a  divisas.  Item  et  integram  medietatem  omnium  vinearum  et  ortorum 
«  tam  locatarum  quam  non  locatarum,  positis  intus  dictum  pontem 
«  in  Ortis  Grecorum  et  Cripte  marine  W,  et  insule  sicui  omnia  suis 
«  finibus  terminantur,  salva  semper  pensione  seu.,.(0  monasterii 
«  S.  Silvestri  super  Ortis  supradictis...  (li).  Item  integram  medietatem 
«  unius  quinti  castri  et  rocce  luHani  et  sui  tenimenti  quod  quintum 
«est  divisum  ab  aliis  partibus  et  [dictus  [Petrus  emi[t  a  lordano 
«  filio  qd.  d.  Guidoni  de  lordano  et  a...  W,  filia  eius,  de  qua  em- 
«  ptione  apparet  publicum  instrumentum  scriptum  per  Beneintendi 
«  scriniarìum,  cum  vassallis  et  iure  vassallorum  cum.  domibus  et 
«casarinisCO  et  sicut  omnia  eorum  finibus  terminantur... (g).  Item  in- 
«  tegram  medietatem  su]am  de  omnibus  terris  quas  d.  lohannes  Poli 
«pater  [suus  olim  acquisivit  a...W,  positis  tam  in  tenimento  dicti 
«  castri  luliani  quam  etiam  in  alio  quocumque  vocabulo  et  loco 
«  ipsius  contrate,  quod  castrum  luliani  positum  est  in  Campania  prope 
«  Montem  Fortinum  inter  hos  fines.. .('),  et  absolv[it  omnes  vassallos 
«<  quos  habe[t  in  dicto  castro  luliani  ab  omni  vinculo  sacramenti 
«  vassallagii  quo  [sibi  tenentur  astrictos  et  v[ult  quod  a  modo  [ei 
a  iurent  vassallagium  et  [ei  teneantur  ut  vassalli...  W,  per  Nicolaum 
«de  Terami  (0  procuratorem.  Hanc  dationem  faci[t  prò  .n.  unciis 
«  auri  quas  [ei  ut  heres  dicti  patris  [sui  dare  tencba[tur  de  sunima 

(a)  S'i'l  testo  mamù         (b)  AV/  testo  mariiì  (e)  Lacuna  per  corrosione 

del  testo  nel  marcine  destro.  (d)  Lacuna  nel  testo  per  più  della  metà  del 
rigo.  (e)  Lacuna  nel  testo  per  uno  o  due  nomi.  (f  )    cum  domibus  et 

casarinis  aggiunte  con  un  richiamo  dalla  medesima  mano  del  testo  prima  delle 
sottoscrizioni.  (g)  Lacuna  per  lo  spazio  di  due  o  tre  nomi.  (h)  Lacuna 
per  due  ter\i  del  rigo.         (i)  Lacuna  per  quasi  tutto  il  rigo.  (k)    Lacuna 

per  breve  spailo  del  rigo.  (1)  Qui  e  scritto  Teranì  ;  la  forma  corretta  è 

nella  firma  dei  testimoni,  dove  il  procuratore  comparisce  fra  i  tati  dell'atto. 


10^  V.   federici 


«  .M.  unciarum  auri  quas  clini  d'ictus  pater  [suus  nomine  dotis  Dia- 
«  deme  olìm  uxoris  [Nicolai  recepi[t  in  dotem,  cui  ipse  Petrus  prò 
((  medietate  successi[t,  et  qu'a  Nicolaus  promi[sit  [Petrum  conscr- 
«  vare  indempnem  de  ipsa  dote  ab  omni  persona  et  specìaliter  a 
«  Teodora  et  a  Francisca  filiabus  [eius,  ut  patet  alio  publico  instru- 
«  mento  scripto  per  hunc  eumdem  scriniarium  ».  Pena  «  .m.  marca- 
te rum  argenti  boni  ».  Testimoni:  «  Johannes  filius  olim  Landolfì  filius 
«  qd.  Petri  de  Columpna,  Nicolaus  de  Terami,  Filippus  de  Bianca, 
<(  Angelus  Gulgelmini,  Roffridus  Casertanus,  Benedictus  de  porta 
«  Montis  Fortini.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXXXIV. 

1265,  settembre  20. 

«  Gregorius  abbas  monasterìi  S.  Silvestri  de  Capite  cum  con- 
ce sensu  fratrum  d.  Placidi,  d.  Cinthii,  d.  Girardi,  fratris  lacobi 
«  monachorum  eiusdem  monasterii  reloc[at  Vitello  argastarolo  in 
<(  perpetuum  unam  petiam  vinee  plus  vel  minus  posita[m  extra  Fla- 
«  mineam  portam,  in  loco  qui  vocatur  orto  Pissce,  inter  hos  fines, 
«  a  .1.  latere  tenet  Johannes  Tebaldi,  a  .11.  latere  tenet  Laurentius 
«  Berardi  de  Bianca  scriniarius,  a  .111.  latere  retro  est  costa  montis 
«  Cacarelle,  a  .1111.  latere  antea  est  via  publica,  prò  eo  quod  [is  pro- 
«  micti[t  omni  anno  in  tempore  vindemiarum  redde[re  monasterio 
«  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  dieta  vinea 
«  exierit  et  unum  canistrum  plenum  de  uvis  quod  sit  in  fundo  duo- 
«  rum  palmorum  et  altum  unius  sum[mìssij  W.  Comminus  .v.  soli- 
«  dorum  provisinorum  senatus  in  venditione  tantum.  Si  [is  inveneri[t 
«  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramem  aut  aliquod  me- 
«  taldum  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xii.  provisinos, 
«  medietas  sit  [sua,  alia  monasterii.  Et  si  vinea  per  hostem  publicam 
«  vel  celi  plaga  aut  per  [eius  neglientiam  in  desertum  ierit  et  in 
ce  tribus  annis  eam  non  relevabi[t,  monasterio  revertatur  ».  Pena 
«.III.  unciarum  boni  auri».  Testimoni:  «  Bartolomeus  Nicolai  de 
«  Trocta,  Gusmatus  frater  eius,  lacobus  cellararius,  Guilielmus  Fran- 
te cisscus.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 

(a)  Illeggibile  parte  della  parola  per  abrasione  della  pergamena. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  107 


cxxxv. 

1265,  novembre  29. 

«  Tadeus  habitator  Vallarani  scindicus  procurator  et  actor  pre- 
«  dicti  castri  Vallarani  et  communitatis  eiusdem  castri,  consiitu[tus 
«  publico  instrumento  scripto  per  Angelum  de  Simo  (»)  S.  R.  E.  nota- 
(c  rium  renuntia[t  d.  Gregorio  abbati  monasteri]  S.  Silvestri  de  Capite 
«  de  Urbe  orane  ius  quod  ipsa  communitas  et  castrum  habet  in  eccle- 
«  siis  S.  Salvatoris  de  Coriliano,  posit[is  in  tenimento  dicti  castri,  inter 
«  hos  fines,  a  .1.  latere  est  tenimentum  castri  Vallarani,  ab  alio  latere 
«est  tenimentum  castri  Sirani  et  ab  alio  latere  est  tenimentum  castri 
«  Rungentis  et  ab  alio  latere  est  tenimentum  castri  lulglianelli,  et 
«  ecclesia  S.  Silvestri  que  posita  est  intus  castrum  Vallarani  ».  Pena 
«  .1111.  (b)  libras  boni  auri  ».  Testimoni  :  «  Johannes  Pauli,  Angelus 
«  Romani  Stefanie,  V[e]rgilius  (e)  lohannis  Dionisii,  Rainaldus  man- 
«  sonarius  W,  lacobus  cellararius  S.  Silvestri,  Oddo  cocus.  Johannes 
(f  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXXXVI. 

1266,  giugno  27. 

«  Petrus  filius  qd.  Laurentii  Stephani,  ut  heres  in  totum  dicti 
«  patris  sui,  consentiente  in  hoc  religioso  viro  d.  Gregorio  abbati 
«  monasterii  Ss.  Stephani  et  Dionisii  ac  Silvestri  qd.  pape  et  d.  Pla- 
ce cido,  d.  fratre  Donadeo,  d.  Cencio  monachis  dicti  monasterii,  cuius 
«  est  proprietas,  habens  prò  consensu  triginta  provenientium  («)  con- 
«  cessit  Retro  Falconi  unam  petiam  vince  dimidiam  plus  vel  minus, 
«  positam  extra  portam  Flamineam  in  monte  S.  Valentini,  inter  hos 
«  fines,  a  .1.  latere  tenet  Gregorius  Cesarli,  a  .11.  Johannes  Nicolai, 
«  a  .III.  Petrus  Siricus  iuris  dicti  monasterii,  a  .1111.  via  per  Grego- 
«  rium  Cesarli  suum  procuratorem,  salvo  quod  Petrus  et  cius  heredes 

(a)  Nel  testo  Sistmo;  con  l*  s  e  il  t  espunti  dalla  medesima  mano  del  tt' 
sto:  il  t  con  un  punto  sotto,  l' s  con  un  punto  sotto  ed  uno  sopra.  (b)  Ih' 
certo  il  numero  fra  .iii.  e  .un.  perchè  qui  la  scrittura   è   svanita.  (e)   Un 

buco  della  pergamena  danneggia  in  parte  la  parola.  (d)   Sei  testo  inaso- 

narius  sen:^a  abbreviazione.        (e)  Nel  testo  fuen 


io8  V.   federici 


«  annuatim  reddere  teneantur  tempore  vindemmiarum  quartam  par- 
«  tem  totius  must!  mundi  et  acquati  quod  de  ex  dieta  vinca  exierit 
«monasterio,  prò  .lii.  soildis  honorum  provisinorum  senatus  ».  Pena 
«  dicti  pretii  dupli».  Testimoni:  «  Gregorius  («)  Cesarii,  Bartho- 
«  lomeus  putinarius,  Silvester  Andree  Carli.  Johannes  Coni  S.  R.  E. 
«  scriniarius  ». 

CXXXVII. 

1268,  agosto  2. 

«  Andreas  Boniaccursì  consentiente  in  hoc  Flore  uxore  su]a 
«  et  renuntiante  omne  ius  suum  dotis  et  donationis  propter  nuptias 
«  et  adiutorium  senatus  consulti  Velleiani,  cum  consensu  d.  Gregorii 
«  habatis  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  et  d.  Placidi  et  d.  Rainaldi 
«  monachorum  eiusdem  monasterii  proprietarii  subscripte  vinee,  ha- 
«  bentibus  prò  consensu  .xx.  provisinos  senatus  vend[it,  per  Angelum 
«  lohannis  Lovangio  su]um  procuratorem,  Angelo  de  Palladino  de 
«  regione  S.  Laurentii  in  Lucina  in  perpetuum  unam  su]am  tert'am 
«  petiam  vinee  plus  vel  minus  cum  tertia  parte  unius  vasce  et  tino 
«  et  vascale  suo,  positam  extra  portam  Flammineam  in  monte  S.  Va- 
«  lentini,  Inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Laurentius  qui  vocatur  Sel- 
«  vangius,  a  .11.  Petrus  Pippone,  a  .111.  a  capite  est  via,  a  .1111.  latere 
V  est  via  plubica,  prò  eo  quod  confite[tur  [se  recepisse  prò  pretio 
«  .XLvii.  solidos  bonos  provisinorum  senatus,  salvo  tamen  quod  omni 
«  anno  tempore  vindemmiarum  [is  rede[t  monasterio  quartam  partem 
«  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  ea  exierit  et  .xx.  provisinos 
«senatus  prò  consensu».  Pena  «diete  pecunie  dupli».  Testimoni; 
«  Romanus  ^ampo  qui  vocatur  lo  Regio,  Rainaldus  de  Petro,  Paulus 
".  magistri  Nicolai,  Presela  tabernarius.  Angelus  Tiburtinus,  Berto- 
«  linus.  Bartholomeus  Factoris  S.  R.  E.  scriniarius»  (0. 

CXXXVIII. 

1268,  ottobre  8. 

«  Gregorius  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite,  presbiter 
«  Placidus,  Cinthius  monachi  dicti  monasterii  consenti[unt  Gerihoni 

(a)  Nello  spailo  tra  i  due  nomi  si  vede  traccia  di  una  lettera. 

(i)  A  tergo  la  mano  dello  stesso  notaio  annotò:  «  Apparum  vinee 
«  montis  S.  Valentini,  Angeli  Palladini  ». 


^^egesto  dì  S.  Sihestro  de  Capite  109 


«  filio  olim  Patroni  ad  divisionem  medietatis  .1.  domus  quani  factam 
«  habe[t  cum  lohanne  Nicolai,  que  medietas  diete  domus  iunta  est 
«  cum  alia  medietate  ipsius  lohannis  Nicolai,  que  tota  domus  posita 
«  est  in  proprietate  monasterii  et  lohannis  Mardonis  et  heredum  Andre 
«  Mardoni,  que  domus  cum  orticello  retro  se  posita  est  in  regione 
«  Colupne  Antonine  infra  ortos,  Inter  hos  fines,  a  duabus  lateribus 
«  suat.  ..(*),  ab  alio  latere  tenet  Cacciatus,  ab  alio  latere  tenet  Gui- 
«  ducius  Acti  omnes  iuris  monasterii,  prò  eo  quod  nunc  recipi[unt 
«  prò  commino  et  prò  consensu  .xii.  provisinos,  et  omni  anno  in  feste 
«  sancti  lohannis  de  state  [is  redde[t  monasterio  nomine  pensionis 
«  .1111.  provisinos.  Comminus  .11.  solidos  denarios  papienses  «.  Pena 
«  .1.  libre  boni  auri  «.  Testimoni:  «  Martinus  Sinibaldi,  Angelus  Pal- 
«  merii,  lacobus  Cardarelli,  Landulfus  Amici.  Johannes  S.  R.  E.  scri- 
«  niarius  ». 

CXXXIX. 

1268,  novembre  12,  Viterbo. 

«  Clemens  pp.  IV  Gregorii  qd.  abbatis  monasterii  S.  Silvestri 
«  de  Capite  de  Urbe  postulationem  in  abbatem  monasterii  S.  Gre- 
«  gorii  in  Clivo  Scauri  de  Urbe  duxit  admittendam,  absolvens  dictum 
«  Gregorium  a  vìnculo  quo  eidem  monasterio  S.  Silvestri  tenebatur 
«  astrictus  eique  concedens  ad  monasterium  S.  Gregorii  transeundi 
«  liberam  facultatem  », 

«  Gregorio  abbati  monasterii  S.  Gregorii  in  Clivo  Scauri  de  Urbe 
«  ordinis  sancti  Benedicti  ». 

Inc.  «  Etsi  monasteriorum  ». 

a  Datum  Viterbii,  .11.  id.  novembris,  anno  quarto  »  (r). 


CXL. 

1268,  decembre  23. 

«  Romana  (b)  uxor  qd.  Blasci  Durantis  calxolarii  d[at  d.  Romano 
a  Stephani  de   Cinthio  in   perpctuum  trcs   petias    vineatas   plus  vel 

(a)  La  pergamena  qui  e  corrosa  in  parie  (fine  del  r.  ij)  e  in  parte  abrasa 

{principio  dd  r.  ;./;.         (b)  //  nome,  illeggibile  qui  />,  r  una  macchia  della  per- 
gamena, si  desume  dalla  fine  dell'alio, 

(i)  Reg.  Vaiic.  32,  n.  lxxxi,  c.  240  b  e  cf.  E.Jordan,  La  registra 
de  Clément  IV,  Paris,  Thorin,  1894,  n.  684. 


no  V.    federici 


«  minus  cum  medietate  vasce  et  vascalìs  et  tini,  positas  extra  portam 
«  Numentanam  sive  Salariam,  ad  forraam  que  dicitur  S.  Silvestri, 
«  inter  hos  fìnes,  a  .i.  latere  est  dieta  forma,  a  .11.  a  pede  est  rìvus, 
«  a  .III.  est  fontana,  a  .1111.  desuper  est  via  publica,  per  Laurentium 
«  lohannis  Petri  testem  subscriptum  procuratorem,  prò  eo  quod  con- 
ce fite[tur  prò  toto  pretio  recepisse  .l.  libras  bonorum  provisinorum 
«  senatus,  salvo  omnì  iure  et  redditu  monasterii  S.  Silvestri,  cui  omni 
«  anno  tempore  vindemmiarum  redde[t  quartam  partem  totius  musti 
«  mundi  et  acquati  quod  de  dictis  vineis  exierit  et  .111.  canistra  piena 
«  uvarum  que  sint  in  fundo  .11.  palmorum  et  unius  suramissi  in  altum. 
«  Renuntia[t  hiis  omnibus  supradictis,  omni  iure  legum  ac  boni  usus 
«  auxilio  et  adiutorio  Velleiani  senatus  consulti  ».  Pena  «  diete  pecunie 
«  duple  ».  Testimoni:  «  Petrus  Donadei,  Benturas  Nicolai,  Laurentius 
«  lohannis  Petri,  Angelus  ser  Roman',  Nicolaus  lohannis  Boni  la- 
«  cobus  Marcelli  S.  R.  E.  scriniarius  »  (a). 


CXLI. 

1269,  gennaio  8. 

a  Raynaldus  Egidii  concessit  Laurentio  fìlio  qd.  lacobi  Bartho- 
«  lomei  Caccocotti  in  perpetuum  quandam  domum  cum  orto  post 
«  se  et  iuxta  se,  positam  Rome  regione  Trivii  in  campo  de  Arcio- 
«  nibus,  inter  hos  fìnes,  ab  .1.  latere  tenet  Sapia  iuris  monasterii 
«  S.  Silvestri,  ab  alio  tenet  Angela  filia  Sapie,  ab  alio  retro  Blasione 
«  et  ab  alio  ante  est  via  publica,  prò  .vii.  libris  et  .v.  solidis  bono- 
«  rum  provisinorum  senatus,  [salvo]  (b)  iure  monasterii  S.  Silvestri 
«  de  Capite  cuius  est  proprietas,  cui  omni  anno  in  festo  beati  lohannis 
«  Baptiste  de  estate  dictus  Laurentius  solvet  .1111.  provisinos  senatus 
<(  nomine  pensionis  et  ce[teros]  (0  tenores  servabit  prout  in  locationis 
«  cartula  scripta  per  Gualengum  [scriniarium]  W,  et  insuper  promisit 


(a)  Nel  margine  superiore  del  verso  della  pergamena  e  visibile^  nello 
spazio  compreso  da  una  macchia  prodotta  da  un  reagente  chimico,  qualche 
traccia  di  scrittura  in  minuscola  romana,  nella  quale  appare  riassunto  V  argo- 
mento dell'atto;  i.  ...mane  facio .. .  calcularii  |  2.  ...domino  ro  |  3.  mano 
Stefani  de  Cinthio  |  4.  .  .  .  |  (b)  Incerta  la  lettura  perche  il  carattere  qui 

e  mollo  svanito.  (e)  Una  macchia  lascia  vedere  incertamente  le  due  prime 
lettere  della  parola,  e  ha  guastato  il  resto  ;  ma  la  frase  e  ripetuta  altre  volte 
nel  corso  del  documento.  (d)  La  scrittura  e  svanita;  si  vede  solo  un  n 

finale  con  una  abbreviaiione  sopra. 


^*gesio  di  S.  Sii  pesi  7^0  de  Capile  1 1 1 


«  se  curaturum  quod  Maria  uxor  eius  et  lohannes  filius  eius  et  Rosa 
«  nurus  sua  uxor  predicti  lohannis  refutabunt  quicquid  iuris  vel  actio- 
«  nis  baberent  in  predictis  rebus  ».  Pena  a  dupli  totius  pretii.  Actum 
«  presentibus  Bonsiniore  Pauli,  Bonagura  sutore,  Nicolao  Laurent!! 
«  Romanelli  marmorario,  Angelo  de  Vento  testibus  ». 

«  Eodem  die,  monasterio  S.  Silvestri  de  Capite,  abbate  vacante 
«  propter  recessum  d.  Gregorii  qd.  ipsius  monasteri!  abbatis,  conventus 
«  monasteri!  antedicti  silicet  d.  lohannes  de  Monticellis  prior,  d.  Pla- 
«  cidus,  d.  Donadeus,  d.  Raynaldus,  d,  Leo,  d.  Cinthius  et  frater 
«  lacobus  monachi  monasteri!  prelibati  suprascripte  venditioni  con- 
«  senserunt  prò  eo  quod  receperunt  prò  consensu  .v.  solidos  provisi- 
«  norum  senatus  et  consenserunt  contractu  dationis  et  concessionis 
<'  facte  dudum  ab  eodem  Raynaldo  Petri  lohannis  de  Planis  qd.  ge- 
«  nero  suo,  prò  eo  quod  receperunt  prò  consensu  alios  .v.  solidos 
«  provisinorum  senatus.  Actum  presentibus  Gottifredo  de  Monticellis, 
«  presbitero  Donato  ecclesie  S.  Salvatoris  de  Unda,  et  Angelo  de 
«Vento  testibus.  lacobus  Silvestri  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


cxLir. 

1269,  gennaio  15  (i). 

«  Angela  uxor  lohannis  Macrapellis  (»)  et  filia  qd.  et  heres 
«  Mathe!  de  Sermoneta  0>),  consensiente  Sapia  matre  sua  uxor  qd.  dicti 
«  Mathe!  et  nunc  uxore  Angeli  Stephan!  Tebaldi,  eaque  rcnuntiante 
«  omni  suo  iure  ypothecarum  seu  pignorum  dotis  sue  et  donationis 
«  propter  nuptias  et  certiorata  adiutorio  Velleiani  senatus  consulti 
«  quod  est  prò  mulieribus  introductum  et  consentientibus  in  hiis 
«  discretis  et  religiosis  viris  priori  et  conventu  monasteri!  Ss.  Stephan! 
«  Dyonisii  atque  Silvestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape,  mona- 
«  sterio  predicto  abbate  vacante  propter  recessum  d.  Gregorii  qd. 
«  abbatis  et  d.  lohanne  de  Monticelli  priore,  d.  Placido,  d.  Donadeo, 
«  d.  Cinthio,  d.  Leone  et  fratre  lacobo  monachis  monasteri!  prelibati 
«  habentibus  prò  comminu  et  consensu  .11.  solidos  provisinorum  se- 
«  natus  vendidit  Rodulfncie  uxori  qd.  Raynald!  Schibane  in  perpc- 
«  tuum  unam  domum  terrineam  et  tegoUtitiam  cum  orto  post  se, 
«  positam  Rome  regione  Trivi!  prope  ecdesiam  S.  lohannis  de  Ficucia, 

<a)  Àbbr.  macrapctl        (b)  Se/  testo  semi 

(i)  Questo  documento  ò  scritto  dopo  il  precedente  nella  mede- 
sima pergamena. 


112  V.   federici 


«  Inter  hos  fines,  a  .i.  latere  tenet  Angelus  de  Vento  iuris  diete 
«  ecclesìe  S.  lohannis,  ab  alio  Laurentius  lacobi  Bartholomei  Cac^i- 
«  cotti  iuris  dicti  monasterii,  ab  alio  retro  tenet  heredes  Thomasii 
«  lohannis  Iaconi,  et  ab  ante  est  via  publìca,  salvo  omni  iure  monasterii 
«  supradicti  cui  dieta  Rodulfucia  omni  anno  in  festo  sancti  lohannis 
V  Baptiste  solvet  .11.  provisinos  senatus  nomine  pensionis  et  ceteros 
«  tenores  observabit  locationis  sicut  in  cartula  scripta  per  Angelum 
«  sacri  romani  imperli  scriniarium  plenius  continetur.  Predictam  ven- 
«  ditionem  fecit  prò  .viii.  libris  minus  .v.  solidis  honorum  provisino- 
«  rum  senatus  ».  Pena  «  dupli  totius  pretii.  Actum  presentibus  Got- 
«  llfredo  de  Monticello,  Petro  Benedicti  calsolario,  Carlo  scriniario, 
«  Francisco  Pauli  de  Vecto  et  Petro  Pauli  scriniario  testibus.  lacobus 
«  Silvestri  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXLIII. 

1269,  marzo  8. 

«  D.  Johannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Dopnadeus  et 
«  Cinthius,  d.  Rainaldus,  presbiter  Leo,  frater  lacobus  monahi  mona- 
«  sterii  S.  Silvestri  de  Capite  consenti[unt  ad  venditionem  quam 
«  Sassus  Mactei  lohannis  Sassi  nunc  factam  habet  Finite  uxori  olim 
«  Petri  Vitali  de  .1.  petia  vince,  posita  in  monte  S.  Valentin!,  Inter 
«  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Johannes  Petri  Mainardi,  ab  alio 
«  latere  tenet  Nicolaus  Musei,  ab  alio  latere  tenet  Candidus  et  ab 
«  alio  latere  est  via  omnes  iuris  monasterii,  prò  eo  quod  nunc  re- 
«  cipi[unt  prò  commino  et  prò  consensu  .v.  solidos  provisinorum 
«  bonorum  senatus,  et  omni  anno  in  tempore  vindemmiarum  ipsa 
«  rcdet  monasterio  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati 
«  quod  de  dieta  vinea  exierit,  salvo  quod  monasterium  dimictet 
«  ipse  Finite  .xviii.  congitellas  de  musto  mundo  comuni  in  tino 
«  per  vasscatam  de  uvis  plenam,  et  si  erit  dimidiam  dimictet  ei 
«  .vini,  congitellas,  et  si  non  erit  dimidiam  dimictet  ei  secundum 
«  quantitatem  uve.  Comminus  .v.  solidorum  provisinorum.  Si  [Finita 
«  invener![t  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramen  aut  ali- 
«  quod  metaldum  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xii.  pro- 
«  visinorum,  medietas  sit  sua,  alia  monasterii.  Si  dieta  vinea  per  ostem 
«  publieam  vel  celi  plaga  aut  per  suam  neglientiam  in  desertum  ierit 
«  et  in  tribus  annis  non  relevabit,  monasterio  revertatur  ».  Pena 
«.II.  unciarum  auri».  Testimoni:  «  Macteus  fornarius,  Bartolomeus 
«  Andree,  Johannes  Teodini,  Nicolaus  Musei,  Nicolaus  Romani.  lo- 
«  hannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


^{e gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  ii 


CXLIV. 

1269,  giugno   15,  Viterbo. 

«  Presbiter  Guido  S.  Trinitatìs  de  Vitorclano  renuntians  clericali 
<(  et  fori  prescriptioni  fecit  presbitero  Cinthio  priori  ecclesie  S.  Petri 
«  de  Vitorclano,  nomine  suorum  fratrum  et  successorum  et  diete  ec- 
«  clesie  S.  Petri  et  monasterii  de  Capite,  sub  quo  est  dieta  ecclesia 
«  quietationem  de  omni  eo  quod  in  dieta  ecclesia  S.  Petri  petere  posset 
«  nomine  sui  canonicatus  oblationum  mortuorum  decimarum  ba- 
«  ptismi  untionum,  penitentiarum  sub  obligatione  omnium  suorum  bo- 
«  norum  et  pen[a  .xx.  librarum  bonorum  denariorum  paparinorum. 
«  Actum  est  hoc  Viterbii,  ante  domum  Guidonis  Rainuccii,  testibus 
«  Gradeus,  Johannes  Ianni  Montanari!,  Gualterius  frater  Petrioli.  lo- 
«  iiannes  Arleisi  sacri  palatii  Lateranensis  notarius  ». 


CXLV. 

1269,  agosto  20. 

«  D.  Johannes  Monticelli  prior  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite, 
«d.  Placidus,  d.  Leo,  d.  Cinthius,  d.  Rainaldus  monahi  monasterii 
«  S.  Silvestri  consenti[unt  lacobo  lohannis  Tasconis  etMingarde  viro 
«  et  uxori  ad  illam  divisionem  quam  Johannes  Nicolai  [eis  fecit 
«  de  medietate  unius  domus,  quam  comunem  (•)  habe[nt  cum  alia 
a  medietate  lohannis  Mardonis  et  heredum  Andrea  W  Mardonis  prò 
«  indivisa,  que  domus  posila  est  in  regione  Colupne  Antonine  infra 
«  ortos,  a  .11.  lateribus  sunt  vie,  ab  alio  latere  tenet  Guidus,  ab  alio 
«  latere  est  d. .  . .  (<=),  prò  eo  quod  nunc  rccipi[unt  prò  commino  et  prò 
«  consensu  .11.  solidos  denarios  papientium,  et  omni  anno  in  festo 
«  sancii  lohannis  de  state  [ii  redde[nt  monasterio  .11.  denarios  papienses. 
«  Comminus  .11.  solidorum  denariorum  papiensium  ».  Pena  «  dimidie 
«  libre  boni  auri  ».  Testimoni  :  «  . . .  P[e]t[rus] . . .  W  S.  Andree  infra 
«  ortos,  Petrus  Alexii,  Stcfanus  Rainaldl,  lacobus  Gualtcrii,  Franci- 
«  sscus  Orlandi,  Gcrconcellus  Petroni.  Johannes  S.R.  E.  scriniarius  »(«). 

(a)  i\V/  Usto  comùa  (b)  Sei  tetto  Andce  (e)   Lacuna  nel    testo. 

(d)   Una  macchia  impedisce  la  lettura  del  nome  del  primo  teste;  con  gran  diffi- 
coltà si  scorgono  un  P  ed  un  t 

(i)  La  stessa  matn  del  testo  annotò  nel  verso:  «Carta  con- 
«  cessionis  d.  lacobi  lohanni  Tassconis  et  Mingardc  uxoiis  sue». 

Archivio  dftla  R.  Società  romana  de  $toria  patria.  Voi.  XX III.      8 


114  ^'  .federici 


CXLVI. 

1269,  agosto  24. 

«  D.  lohannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Leo,  d.  Rainaldus, 
«  d.  lacobus  monahi  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  consenti[unt  lo- 
«  hanni  filio  Romani  Sarracenì  recipienti  nomine  prò  Bona  uxore  [eius 
«  ad  venditionem  quam  presbiter  Macteus  S.  Nicolai  de  Tufi  [ei  fecit 
«  de  dimidia  petìa  vinee,  posita  in  monte  S.  Valentini,  Inter  hos  fines,  a 
«  .1.  latere  tenet  Blasius  Mannuccius,  ab  alio  latere  tenet  presbiter  Nico- 
«  laus  S.  Tornei  de  Vineis  et  ab  alio  latere  est  ripa  montis  et  ab  alio  la- 
«  tere  est  via  omnes  iuris  monasterii,  prò  eo  quod  nunc  recipi[unt  a  pre- 
ce sbitero  Macteo  prò  commino  et  prò  consensu  .xxx.  provisinos  bonos 
«  senatus  et  prò  eo  quod  omni  anno  in  tempore  vindemmiarum  ipsa 
«  [Bona  redet  monasterio  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati 
«  quoddevineaexierit,  salvo  quod  monasterium  dimictet  [ei  .xviii.  con- 
«  gitellas  de  musto  mundo  communo  in  tino  per  vasscatam  de  uvis 
«  plenam,  et  si  erit  dimidiam  dimictet  ei  .vini.,  et  si  non  erit  dimi- 
«  diam  dimictet  ei  secundum  quantitatem  uve.  Comminus  .xxx.  pro- 
«  visinorum.  Si  Bona  invenerit  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plum- 
«  mum  ramem  aul  aliquod  metaldum  seu  bonam  petram  vel  petras 
«  valentes  ultra  .xii.  provisinos,  medietas  sit  monasterii,  alia  sit  sua. 
«  Si  vinea  per  ostem  publicam  vel  celi  plaga  aut  per  suam  neglien- 
«  tiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus  annis  eam  non  renovabit,  mo- 
a  nasterio  revertatur  ».  Pena  «.11.  unciarum  boni  auri  ».  Testimoni: 
«  d.  Angelus  Lonterii,  Petrus  Barberius,  Leonardus  domine  Virde, 
«Petrus  Casciolus,  Angelus  Nicolai.  lohannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXLVII. 

1270,  ottobre  23. 

«D.  lohannes  prior  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite,  d.  Placidus, 
«  d.  Raynaldus,  d.  Cinthius,  frater  lacobus  et  frater  Leonardus  mo- 
«  nachi  et  conventus  monasterii  supradicti  relocaverunt  Angelo  Paulo 
«  et  Francisco  fratribus,  filiis  olim  Gregorii  Petri  Thosi  in  decem  et 
«  novem  annis  complendis  et  semper  in  aliis  tantum  renovandis  unam 
«domum  cum  orto  post  se  et  insta  se,  positam  in  regione  S.  Lau- 
«  rentii  in  Lucina,  Inter  hos  fines,  a  .1.  latere  est  via,  a  .11.  lohannes 
«  lohannis  Periculi,  a  .111.  similiter  dictus  lohannes  tenet,  a  .1111.  te- 


^ gesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  115 


<c  nent  predicti  fratres,  prò  eo  quod  receperunt  .11.  sollidos  honorum 
«  provisinorum  senatus,  sub  pensione  .11.  denariorum  honorum  de  se- 
«  natu  omni  anno  in  festo  sancii  lohannis  Battista  reddenda  monasterio. 
«  Comminus  .xii.  denariorum  provisinorum  de  senatu  m.  Pena  «  .11.  li- 
«  brarum  boni  auri.  Actum  in  claustro  (»)  monasterii,  presentibus 
«  testibus  Berardino  Carobello,  Augustino  mandatario  et  acquistadore. 
«  Carlus  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CXLVIII. 

1270,  novembre  9. 

«  Johannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Dopnadeus,  d.  Cin- 
«thius  monahi  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  consenti[unt  ad  ven- 
ie ditionem  quam  Nicolaus  Leonardi  Dionisii  Bartolomeo  Georgii  fecit 
«  de  .1.  petia  vinee  plus  vel  minus,  posita  in  monte  Sacqui  (b)  Gui- 
«derulfi,  inter  hos  fines,  a  duobus  laterihus  [ipse  [Bartolomeo  tene[t, 
«  a  .111.  lacobus  Scapolo,  a  .1111.  est  via  omnes  iuris  (=),  prò  eo  quod 
«  nunc  recipi[unt  prò  commino  et  prò  consensu  .v.  solidos  provisi- 
«  norum  honorum  senatus,  et  omni  anno  in  tempore  vindemmiarum 
■«  [is  rede[t  monasterio  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati 
«  quod  de  dieta  vinea  exierit  et  .1.  canistrum  de  uvis  plenum  quod 
<t  sit  in  fundo  .11.  palmorum  et  altum  .1.  summissi.  Comminus  .v.  so- 
a  lidorum  provisinorum.  Si  [is  inveneri[t  in  ea  aurum  argentum  fer- 
«  rum  plumum  ramem  aut  aliquod  metallum  seu  bonam  petram  vei 
«  petras  valentes  ultra  .xii.  provisinos,  medietas  sit  [sua,  alia  mo- 
■«  nasterii.  Si  vinea  per  ostem  publicam  vel  celi  plaga  aut  per  [eius 
«  neglientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus  annis  [is  eam  non  rele- 
<c  vabi[t,  monaterio  rcvertatur  ».  Pena  «  .11.  librarum  boni  auri  ».  Te- 
stimoni: «Petrus  lohannis  Cinthii,  Macteus  Berardi,  Petrus  Alexii 
«  Pauli  lohannis  Rustici,  Petrus  Alexandri,  Johannes  Rome,  Johannes 
«  Cipriani.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 

CXLIX. 

1271,  ottobre  1 1. 

«  D.  Johannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Dopnadeus,  d.  G'x- 
«  rardus,  frater  Angelus  monahi  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  re» 

(a)  Kel  testo  Clausto         (b)  Abhr,   Sacq         (e)  Lo  tcriniario  omise  qui 

/jtialche  parola  :  forte  monasterii 


11^  V.    federici 


«  loca[nt  Nicolao  Musei  in  perpetuum  unam  petiam  vince  desertam 
«  plus  vel  minus  ad  quartam  reddenda,  positam  extra  portam  S.  Va- 
«  lentini  in  monte  S.  Valentini,  inter  hos  fines,  a  .i.  latere  [ipse 
«  [Nicolaus  et  Terrese  (a)  tene[nt,  a  .11.  latere  tenet  Petrus  Falconis, 
«  a  .III.  latere  tenent  magister  Angelus  et  heredes  Raìnaldi  de  Bianca 
«  omnes  iuris  monasterii,  a  .1111.  latere  est  via  publica,  prò  eo  quod 
«  [is  promicti[t  vineam  hoc  anno  cavare  et  repastinare  et  bene  labo- 
«  rare  et  cultare  sicut  bonam  vineam  decet,  et  de  omni  bladu  quod 
«  in  vinea  [is  seminaveri[t  rede[t  .v.»™  partem  monasterio,  oninì  anno 
«  in  tempore  vindemmiarum  [is  rede[t  monasterio  quartam  partem 
*«  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  vinea  exierit,  salvo  quod 
«  monasterium  dimictet  [ei  .xvjii.  congitellas  de  musto  mundo  com- 
((  muno  in  tino  per  vasscatam  de  uvis  plenam,  et  si  erit  dimidiam 
«  dimictet  .vini.,  et  si  non  erit  dimidiam  dimictet  [ei  secundum  quan- 
«  t'tatem  uve.  Comminus  .v.  solidorum  provisinorum  bonorum  se- 
«  natus.  Si  [is  inveneri[t  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plummum 
«  ramem  aut  aliquod  metaldum  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes 
«  ultra  .XII.  provisinos,  medietas  sit  [sua,  alia  monasterii.  Si  vinea  per 
«  ostem  publicam  vel  celi  plagam  aut  per  [eius  neglientiam  in  de- 
«  sertum  ierit  et  in  tribus  annis  eam  non  relevabi[t,  monasterio  rever- 
«  tatur  ».  Pena  «  ,11.  unciarum  boni  auri  ».  Testimoni:  «  Paulus  Andree 
«  Anestasiì,  Leonardus  Petri  Capucie,  Angelus  familiarius  monasterii. 
«  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


CL. 

1272,  gennaio  3. 

«  D.  Johannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Donnadeus,  d,  Gi- 
«  rardus,  d.  Leonardus,  frater  Johannes  monahi  monasterii  S.  Silvestri 
«  de  Capite  consenti[unt  Angelo  Pauli  Caciagulpe  ad  venditionem 
«  .1.  petie  vinee  quam  nunc  [ei  Deusdecem  0>)  filius  olim  Petri  Danielis 
«  factam  habet,  que  vinea  posita  est  in  monte  Sacqui  Guiderulfi,  a 
«  .1.  latere  tenet  Johannes  frater  eius,  a  .11.  latere  tenet  Angelus  Mactei 
«  Soffi,  a  .III.  latere  est  Saccum  Guiderulfi  omnes  iuris  monasterii, 
«et  a  .1111.  latere  est  via,  prò  eo  quod  nunc  recipi[unt  prò  commino 
«  et  prò  consensu  .v.  solidos  provisinorum,  et  omni  anno  in  tempore 
«  vindemmiarum  [is  rede[t  monasterio  quartam  partem  totius  musti 
«  mundi  et  acquati  quod  de  vinea  exierit  et  .1.  canistrum  plenum  de 

(a)  Jbbr.  trese         (b)   Nel  testo  deus  dece 


Regesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  117 


«  uvis  quod  sit  in  fundo  .ir.  palmorum  et  ahum  .1.  summissi.  Com- 
«  minus  .V.  solidos  provisinorum  honorum  senatus.  Si  [is  inveneri[t 
«  in  ea  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramem  aut  aliquod  me- 
«  taldum  seu  bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xii.  provisinos, 
«  medietas  sit  [sua,  alia  monasterii.  Si  vinca  per  ostem  publicam  vel 
«  celi  plaga  aut  per  [eius  ncglientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus 
«  annis  [is  non  relevabi[t,  monasterio  revertatur».  Pena  (f  .11.  uncia- 
«  ruiT;  boni  auri».  Testimoni:  «  lacobus  de  Albe,  lohannes  Rustici, 
«  lacobus  Petrucie,  lacobus  Nicolai  Georgii.  lohannes  S.  R.  E.  scri- 
«  niarius  ». 


GLI. 

1273,  maggio  I. 

«  D.  lohannes  Monticelli  prior,  d.  Placidus,  d.  Donnadcus,  d.  la- 
«  cobus  monahi  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  consenti[unt  lo- 
ft hanni  Cascioli,  Angelo  Bivacii  ad  venditionem  quam  lohannes 
«  Silvestri  et  Petrus  frater  eius  nunc  factam  habent  de  una  petia  vinee 
«plus  vel  minus,  posita  in  ][oc]a  (0  S.  Valentini,  ab  uno  latere  tenct 
«  Andreas  Masseronis,  ab  alio  late[re]  W  [lohannes  [et  [Angelus  te- 
«  nent,  ab  alio  latere  tenent  Petrus  Angeli  lohannis  monahi  omncs 
«  iuris  monasterii,  ab  alio  latere  antea  est  via  publica,  prò  eo  quod 
«  nunc  confite[ntur  recepisse  prò  commino  et  prò  consensu  .v.  solidos 
«  bonorum  provisinorum,  et  ab  ipsto  [a]nno  (0  in  antea  [ipsi  red[ciit 
«  monasterio  quartam  partem  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de 
«  dieta  [vjinea  (0  exierit,  et  .1.  canistrum  de  uvis  plenum  quod  sit 
«  in  fundo  duorum  palmorum  et  altum  .1.  summissi.  Comminus  .v.  so- 
ft lidorum  bonorum  provisinorum  senatus.  Si  [ipsi  inveneri[nt  in  ea 
«  aurum  argentum  ferrum  plummum  ramem  aut  aliquod  metalluni  seu 
«bonam  petram  vel  petras  valentes  ultra  .xir.  provisinos,  medietas  sit 
«  [eorum,  al'a  monasterii.  Si  vinea  per  ostem  puhlicnm  vel  celi  pl;ii;a 
«  aut  per  [eorunì  neglientiam  in  desertum  ierit  et  in  tribus  annis  [ipsi 
«  eani  nf)n  relevab[unt,  monasterio  revertatur».  Pena  «  .111.  unciaruni 
«boni  auri».  Testimoni:  «  Andreas  Mastrane,  Presbiter  Conipam- 
«  giane.  Brunus  cocus  S.  Silvestri,  Leonardus  cavalerius.  loliannes 
«  S.  R.  E.  scriniarius  ». 


(a)   .V('/  ti  sto  la  parola  e  molto   sluadita  ;   uuto   viuhili  ci  i.it  dinrr.ìr   !  .  ,  .i 
(b)  //  tnarginr  datro  della  pcrgaimua    è  corroso  in  questo  luogo.  (e)  La 

parola  è  in  parie  guasta  da  un  buco  della  pergamena. 


ii8  V.  Jederici 


CLII. 

1274,  marzo  23,  Bassanello. 

«  Coram  d.  Homine  (*)  S.  Angeli  de  Trege  ludici  et  vicario  ge- 
«  nerali  in  Palatolo  et  provincia  circum  se  posita  per  .viii.  mlliaria, 
«  d.  Cincius  monachus  gubernator  et  rector  ecclesie  S.  Salvatoris  Co- 
«  ruliani  et  monachus  S.  Silvestri  de  Urbe,  vice  et  nomine  ecclesiarum 
«  denuntiat  etaccusat  Angelum  Petri  Nigri  de  Vaxanello  qui  de  mense 
«  martii  entravit  et  occupavit  qu[amdam]  (b)  suam  tenutam  unius  pctie 
«  terre  pertinentis  ad  dictas  ecclesias,  petit  eum  puniri  et  condepnari 
«  secundum  formam  constitutionis  d.  capitani  (<=)  et  iustitiam  et  pre- 
te dictam  tenutam  sibi  restituì  cum  dapnis  et  expensis. 

«  Mense  martii  die  .xxiiii.  Angelus  Petri  Nigri  de  Vaxanello  con- 
«  fitetur  se  intrasse  dictam  terram  et  laborasse  et  possedisse  prò  sua,. 
«  iam  sunt  .xii.  annos.  Quibus  datus  est  terminus  usque  in  primum 
«  diem  post  octavam  passce  ad  probandum  quicquid  voluerint. 

«  Hec  est  copia  cuiusdam  instrumenti  producti  a  d.  Cincio  contra 
«Angelum  predictum  ».  1273,  giugno  21.  «Angelus  Petri  Nigri,  co- 
«  ram  d.  Rayno  potestati  castri  Vassanelli  sedenti  prò  tribunali  in 
«  iudicio  sponte  confexus  fuit  habere,  nomine  monasterii  S.  Silvestri 
«  in  Capite  de  Urbe,  .1.  petiam  terre  positam  in  Conspeto  {^),  inter  hos 
«  confines,  silicet  a  .1.  latere  lannuccius  Petri  Arnulfi  (e)  et  a  capite 
«  Forma  (S)  et  iuxta  alios  suos  ionfines,  et  promisit  mietere  [d.  [Cin- 
«  cium  in  possessionem  diete  terre,  hinc  ad  diem  dominicum  proxi- 
«  munì  venturum. 

«  Actum  est  hoc  Vaxanelli,  prope  domum  lannutii  lohannis 
«  Somai  vel  Angelutii  lannis,  coram  Campovaro  lanne  Guerrutii, 
«  Angelo  Goigi  (g)  et  Petro  Luci  testibus.  Teballus  Petri  auctoritate 
«  apostolica  notarius. 

«  Mense  iulii,  die  .xxvi.  Retulit  Carosus  castallus  citaxe  hodie 
«  Angelum  Petri  Nigri. 


(a)  Ahhr.  Hoie  (b)  La  pergamena  dalla  piegatura  fu  corrosa  e  un 

largo  buco  danneggia  la  fine  dei  rr.  4-j.  (e)  Kel  testo  capit^  (d)  Nella 
denuncia  e  detto:  in  loco  qui  dicitur  Tulianu  sive  Cospetum  (e)  Nella  de- 
nuncia di  Cencio  e  detto:  heredum  Petri  Arnulfi;  nelle  susseguenti  udien:ie: 
heres  Petri  Arnulfi  (f)  Nella  denuncia  :    Forma   comunis  Vassanelli,  ab 

alio  Angelus  Tordanus  {g)  Nelle  te stimonianT^e  che  seguono  :  Angelus  Petii 

Gua(;e 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  119 


«  Die  .XXVII.  D.  Salvestrinus  vicarius  precepit  Angelo  quod  cras 
«  per  totum  diem  ducat  testes  suos. 

«  Testes  producli  a  d.  Cincio  centra  Angelum,  die  .xxiiii.  mar- 
«tii:  Angelus  lordanis,  Petrus  lannis,  Appatrinus  Mathilone  ». 

1274,  aprile  11.  «  Frater  Cincius  probare  intendit  [supradicta  et 
«  quod  Rosa  Nectaronis  uxor  qd.  ipsius  Angeli  et  ipse  Angelus,  dum 
«  vixit  ipsa  Rosa  reddiderunt  ipsi  vel  alius  prò  eis  pensionem  dicta- 
«  rum  terrarum  procuratoribus  monasterii. 

«Petrus  lannis  testis  iurat  quod  bene  interfuit  iam  est  annus 
«  elapsus,  de  mense  iunii  messoris,  quando  Angelus  predictus  renuit 
'c  d.  Cincio  prò  monasterio  quandam  terram,  posicam  in  tenuta  Vaxa- 
«  nelli  in  Cospeto  iuxta  rem  Leonardi  Deutallevi  (a). 

«  lannes  Petri  Arnolfi  testis  iurat  quod  dieta  terra  est  posita  in 
«  Cospeto  iuxta  rem  ipsius  testis  et  fratris  sui  et  rem  Leonardi  Deo- 
«  talleve  et  rem  quam  tenet  Petrus  Bellafante  prò  dote  uxoris  et  rem 
«  heredum  Stephani  Laurentii  et  rem  quam  tenet  lentilonus  de  Cer- 
ti queta. 

«  Angelus  Petri  Gua(;e  testis  iurat  quod  bene  interfuit  quando 
«  promisit  investire  Angelus  dictum  monacum  et  dixit  se  prò  mo- 
«  nasterio  possidere  terram  quamdam,  positam  in  Cospeto  iuxta  len- 
«  tilonem  de  Cerqueta  et  rem  fiiiorum  Petri  Arnulfi  et  rem  heredum 
«  lannis  Cese.  Leonardus  Nectaronis  testis  iurat  quod  dieta  terra 
«  vocatu[r  Conspeio  sive  Clusura  exvaliata  Q>)  in  tenimento  Vaxanelli. 
«lannes  Nectaronis  (=)  iurat  &:c 

«  Mense  iulii,  die  .xxvi.  Appatrinus  testis  iurat  quod  Rosa  uxor 
«  dicli  Angeli  dum  vixit  solvit  ipsi  Appatrino  tunc  procurator[i  mo- 
«  nasterii  S.  Silvestri. 

«Mense  aprilis,  die  .xi.  Pauius  lannis  Andree  testis  iurat  &:c. 
«  quod  est  de  hiis  publica  fama  et  vox  in  dicto  castri  Bassani  et  eius 
«  pertincntiis. 

«  Die  Lune  penultimo  iulii.  Lecti  aperti  et  publicati  sunt  testes 
«  et  eorum  dieta  mandato  dicti  vicarii  in  Vaxanello,  ante  ecclesiam 
«  S    Angeli,  coram  d.  Locterio  et  Cliristoforo  testibus. 

«  Hii  sunt  testes  producti  ab  Angelo  Petri  Nigri  contra  Cincium: 
«  .^ngilerius  lannus  Guarnerii,  lannes  Mancini,  Marfangonus  (•*),  lan- 
«  nucius  Angeiice(«),  Angelus  lordane,  Angelus  Crcsscii,  RiccusCO 
«  Crcsscii,  lentilis  lannis  Gerardi. 

(a)  S' intende  che  delle  teslimoman^e  riporto  quelle  che  recano  qualche  dato 
di  fatto  nuovo.  (b)  Nel  testo  ex  vallata  (e)  Xrl  testo  Nectl  (d)  Questo 
teste  quando  depone  è  nominato  Marfanionn  f>iié  sotto  è  nowi- 

raa/o  larinuccius  Angeli  Angclice         (f)  Net   '  i  forma  compieta  ti 

Ugg*  nella  deposizione  seguente  del  tette. 


120  F.    federici 


«  Intendit  probare  Angelus  Petri  Nigri  quod  ipse  et  alius  prò  eo 
«  habuit  et  possedit  et  laboravit  et  laborari  fecit  unum  petium  terre, 
«  positum  in  lenimento  Vaxanelli  in  loco  qui  dicitur  Tuliannm  sive 
«  Conspetum,  iuxta  rem  Crescarelli  fìlli  Petri  Arnolphi  et  iuxta  rem 
.«  Angeli  lordani  et  iuxta  alios  suos  confines  spatio  .xii.  annorum, 
«  item  quod  Crescarellus  fuit  filius  et  heres  Petri  Arnulphi. 

«  Angilerius  Guarnerii  testis  iurat  quod  Angelufs  Petri  Nigri  fecit 
«  laborare  lannis  Nectaronis  (»).  [Ali!  test[es  iura[nt  ut  supra. 

«  Die  Lune,  penultimo  iulii.  Aperti  lecti  et  publicati  sunt  testes 
«  et  eorum  dieta,  mandato  vicariiin  Vaxanello,  ante  ecclesiam  S.  An- 
«  geli,  coram  d.  Locterio  et  Christophoro  testibus.  D.  Salvestrinus  vi- 
«  carius  prefixit  dictis  partibus  terminum  bine  ad  .viii.  dies,  scilicet 
«  proximo  die  lune  ante  tertiam  ad  reclpiendam  copiam  de  predictis 
«  actis. 

«Die  .VI.  augusti.  Idem  vicarius  proroga vit  terminum  bine  ad 
«  diem  Sabbati  ante  tertiam  ad  habendam  copiam  actorum. 

«  Te[bal]lus  Petri  auctoritate  apostolica  notarius  et  nunc  notarius 
«  cas[tri]  predicti,  de  mandato  et  auctoritate  dicti  vicarii  »  (b). 


CLIII. 

1274,  aprile  19. 

«  Angelus  Imperatoris  iudex  forensis  Tuscie  et  Colline  et  lacobus 
«  Consolini  iudex  da[nt  consilium  d,  Nicoloso  de  Riso  regionario  in 
«  Urbe  vicario  quod,  salva  querela,  investia[t  Petrum  Pauli  scrinia- 
«  rium  (e)  procuratorem  scindicum  et  actorem  monasterii  S.  Silvestri 
«  de  Capite  de  subscriptis  terris,  petitis  ab  ipso  procuratore  contra  lo- 
«  hannem  Monte  W,  lohannem  Tensa  et  lohannem  Masse  (e)  de  ca- 
«  stro  Gallesi,  qui  iniuste  tenent  et  possident  infrascriptas  terras  per- 
«  tinentes  ad  dictum  monasterium:  silicet  unum  petium  terre  posite 
«  in  tenimento  dicti  castri,  in  loco  qui  vocatur  Pomaro,  fines,  a  .1.  la- 
«  tere  tenent  Gilius  Petrus,  Conversanus  (0  et  Simon,  a  .11.  via  Cac- 
ce cabovina  (g),  a  .111,  Giucco,  a  .1111.  lannocgius,  ab  alio  lacobus  Summi 

(a)  Kcl  testo  nectarois  (b)  La  sottoscrizione  del  notaio  e  in  parte  abrasa 
0  danneggiata   da    macchie  di  umidità.  (e)  Nel  testo  sm^  qui  e  in  seguito 

tutte  le  volle  che  si  ripete.  (d)  Nel  testo  mte  due  volte  ;  una  volta  e  scritto 
interamente,  ma  e  così  svanito  che  e  incerta  la  interpreta'zìone  fra  monte  e 
mente  (e)  Nel  testo  una  volta  mass,  una  volta  mess,  ma  anche  in  questo  caso 
V  interprcta-^ione  e  incerta  per  lo  slato  della  scrittura.  ({)  Nel  testo  ')\i^gg 
(g)  Nel  testo  Caccaboia 


T{e gesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  121 


<f  et  fìlius  Petri  Summi  et  si  qui  alii  sunt  confines.  Hoc  autem  fa- 
«  ci[unt  quia  predicti  [tres  Johannes  vocali  fuerunt  a  dicto  scriniario 
«  per  lacobum  de  Turre  (»)  mandatarium  et  non  venerunt.  Scriptum 
«  per  Laurentium  Nicolai  lohannis  Landi  notarium  (b).  Angelus  Im- 
«peratoris  iudex  forensis  huic  Consilio  [se  subscribi[t.  lacobus  Con-- 
«  solini  iudex  [se  subscribi[t.  Sigilletur.  Scriptum  per  Nicolaum  bul- 
«  larium  scriniarium  Camere  Urbis  (0. 

«  Nicolosus  de  Riso  in  Urbe  vicarius  has  litteras  iussi[t  sigillari 
«  mense  aprelis,  die  .xxi.,  indici.  .11.  W  et  per  Laurentium  Petri  Hen- 
«rici  investivi[t  Petrum  Pauli  procuratorem  S.  Silvestri  de  supra- 
«  dictis  lerris  et  de  una  domo  lohannis  Monte,  posila  in  Gallese, 
a  fines,  a  .1.  latere  tenet  magister  Crescentius,  a  .11.  via,  a  .111.  domus 
«  olim  lohannis  Consilii. 

«  Actum  mense  aprelis,  die  .xxiii.  («)  »  (i). 


CLIV. 

1274,  agosto  3. 

«  D.  Johannes  prior,  Donadeus,  d.  Cinlhius,  d.  Leonardus  et  fraicr 
«  Angelus  monaci  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  consentierunl  Petro 
«  lohannis  (S)  S.  lohannis  de  quadam  domo  quam  uxor  Petri . . .  (g) 
«  concedere  Merilie  noverche  ipsius  Petri  et  uxoris  olim  dicti  lohannis 
«  S.  lohannis,  que  domus  po[sita  est  in  pro]prietate(g)  dicti  mona- 
«  sterii  in  regione  S.  Laurentii  in  Lucina,  a  .1.  latere  tenent  heredes 
«  Theoderande,  a   11.  Johannes  Cocciapenta  et  Marcus C*'),  a  .111. 

(a)  ìsel  testo  rwre  (b)  Fin  qui  la  scrittura  e  del  notaio  Lorenzo  ;  le 

due  firme  seguenti  sono  autografe.  (e)  Da  Sigilletur  il  carattere  cambia  ed 
e  quello  di  a  Nicolaus  bullarius  ».  (d)  Qui  cessa  la  mano  di  «  Sicolaus  »; 
il  resto  della  pergamena  mostra  una  scrittura  simile  a  quella  di  «  Nicolaus  » 
ma  piti  minuta.  (e)  Alla  fine  del  testo  delV  atto,  prima  delle  sotloscriiioni, 
è  lanata:  quos  cxistimat  .xxx.  libras  provisinorum  senatus,  con  un  richiamo  (r) 
che  non  ha  riscontro  nel  testo,  e  non  si  sa  quindi  a  qual  passo  di  esso  appar- 
tenga.  (f)  N*/  testo  è  Petro  lohannis  lohannis  S.  lohannis  (g)    Una 

macchia  prodotta  da  reagenti  chimici  danneggia  gran  parte  dei  rr.  j-ia,  e  im- 
pedisce ogni  lettura  in  questo  posso.        (h)  Lacuna  nel  testo. 

(i)  Nel  tergo  della  pergamena  il  notaio  Lorenzo  annoiò:  «  [die] 
«  .XXI.  aprelis  preccptum  est  fieri  investimcntum  super  bona  in  con- 
«  silio  contenta.  Scriptum  per  me  Laurentium  uot.irium  dictorum  seri- 
ci niarium  ». 


122  V,  Jederici 


«idem  Petrus  iuris  ecclesie  S.  Laurentil  in  Lucina,  a  .mi.  est  via  pu- 
«  blica,  prò  eo  quod  receperunt  a  predicto  Petro  .111.  solidos  provi- 
«  sinorum  senatus,  et  prò  eo  quod  ipsa  Merilia  promisit  a  modo  omni 
«  anno  in  festo  sancti  lohannis  Batiste  reddere  monasterio,  nomine 
«  pensionis  .1111.  provisinos  senatus.  Com]minus  .111.  solidorum  provi- 
«  sinorum  senatus  ».  Pena  «  unius  libre  boni  auri  ».  Testimoni:  «  Gen- 
«  tilis  losep,  Tebaldus  Maroctie,  lohannes  Romani  Henrici,  Petrus 
«  Mathei  de  Franco,  lacobus  Pellegrini,  Mallucius  Petri  Malli.  Nico- 
«  laus  Romani  Angeli  lohannis  Pauli  S.  R.  E.  scriniarius  habens  iu- 
te dicialem  potestatem  ». 

CLV. 

1274,  ottobre  2,  Bassanello. 

«  D.  Cencius  monachus  procurator  et  actor  monasterii  S.  Sil- 
«  vestri  in  Capite  Urbis  ex  parte  una  et  Silvester  Litolfi  ex  parte  al- 
«  tera  compromiserunt  in  Saracenum  Arnolfi,  tamquam  in  arbitrum 
«  et  amicum,  de  lite  et  questione  que  vertitur  inter  eos,  occasione 
«  .mi.  petiarum  terrarum,  que  posite  sunt  in  tenuta  Vassanelli,  quas 
«  terras  petebat  d.  Cencius  a  d,  Salvestro  et  de  omni  alia  lite,  dantes 
«  eidem  arbitro  plenam  potestatem  sub  pena  .x.  librarum  bonorum 
«  denarioruni  paparinorum  (a)  solvenda  parti  observanti  a  parte  non 
«  observanti.  Actum  est  hoc  in  Vassanello,  ante  domum  olim  pre- 
ce sbiteri  Martelluccii,  coram  testibus  Nectuccio  lannis  Nectaronis,  An- 
ce gelo  Petri  Berardi  et  lohanne  lannis  Vassalli.  Nicolaus  Benvenuti 
«Acti  auctoritate  Sedis  apostolice  index  et  notarius  (b).  Saracenus 
ce  Arnolfi  arbiter  electus  arbitr[atus  [est  quod  d.  Salvester  Litolfi 
c<  debeat  recipere  ad  locationem  a  d.  Cencio  .11.  petias  terre  de  dictis 
celili,  petiis,  videlicet  petiam  terre  positam  ad  Polcanellum  iuxta 
(c  Petrum  lannis  et  iuxta  viam  et  iuxta  formam  comunis,  alia  petia 
ce  posita  est  in  colle  Macriani  iuxta  Petruccium  Petri  Necti  iuris  dicti 
ce  monasterii,  a  pede  forma  comunis  iuxta  lohannem  (^itamanne  iuris 
ce  monasterii  :  alie  vero  due  petie  terre  predicte  remaneant  Salvestro 
ee  libere. 

ce  Lectum  arbitrium  presentibus  partibus,  ante  voltam  olim  pre- 
«  sbiteri  Martelluc(;i,  coram  testibus  Petro  Bonomi,  Angelo  Petri  Nigri, 
<e  lohanne  et  l^oqqo  Petri,  lohanne  de  Palaggolo  in  anno  D.  .mcclxxiiii. 
ec  mense  decembris,  die  .xii.  Nicolaus  Benvenuti  Acti  auctoritate  Sedis 
ce  apostolice  iudex  et  notarius  ». 

(a)  Nel  testo  papar         (b)  Segue  l'atto  d'  arbitraggio. 


Regesto  di  S.  Silj'est?'o  de  Capite  123 

CLVI. 

1275,  gennaio  18. 


«  Petrus  (^iarfus  de  castro  Gallese  existens  in  claustro  mona- 
«  sterii  S.  Silvestri  de  Capite  obtulit  dicto  monasterio  presentibus 
«  d.  lohanne  de  Monticelli  prior . . .  («),  d.  Placido,  d.  Donadeo, 
«  d.  Berardo  et  fratri  Angelo  monachis  una  domus,  a  .1.  latere  he- 
«  redes  .  ..  (b)  Gallese,  a  .11.  latere  sunt  vie,  a  .111.  est  casalinum  ...  (O, 
(f  ab  alio  et  antea...W,  una  alia  domus  posita  in  dicto  castro,  inter 
«hos  fines ...(«)  [a  .111.]  Paulus  Andree  et  a  .1111.  lohannes  d.  Ray- 
«  naldi,  quam  domum  dictus  Petrus  reservavit  Matheo  Bartolomeo 
«Miliano(f)  filius  lohannis  . . .  (g),  positam  in  lenimento  dicti  castri 
«in  loco  qui  dicitur  Caijano,  fines  a  .1.  latere  sunt  vie,  a  .ir.  ...(h) 
«  Marie,  quam  iure  locationis  ipse  tenet,  ab  alio  Petrus  lohannis  fra- 
atres...(>)  Astalli,  ab  alio  latere  lohannes  Corte,  ab  alio  Petrus  de 
«  Glunda  ed.  fratribus .  . .  (k),  unum  petium  terre  que  est  quatuor 
«  Messarie  ad  Gallesanum,  a  .1.  latere  a  capite  forma,  a  pede  he- 
«  redes  Leonardi  Blasi,  ab  al'o  heredes  Petri  Rogii,  ab  alio  Leonar- 
«  dus  lohannis  d.  Pagoli . . .  (0,  unus  petius  terre  que  est . . .  (">),  posita 
«  est  in  Glossario,  fines  a  pede  est  via,  ab  alio  Petrus  Dure,  ab  alio 
«  heredes  Vingnoli  Vecce,  ab  alio  Angelus  lohannes  Sassi,  unus  pe- 
«  tius  terre  posite  in  Pomaro  que  est  proprietas  dicti  monastcrii, 
«  Silva  . . .  (n)  seminalis,  a  capite  lanoccius  lohannis  Girardi,  ab  alio 
«  latere  lohannes  Gregorii . . .  (o)  iuris  dicti  monasterii.  Hanc  autem 
«  oblaiionem  dictus  Petrus  ^iarff"us  fecit  &c.  sub  pena  unius  libre 
«  boni  auri,  presentibus  testibus  Nicolao  Homodei,  Francisco  de  Od- 


(a)  La  pergamena  ha  la  scrittura  tutta  svanita  e  danneggiata  da  piti  mac- 
chie che  impediscono  qua  e  là  la  lellura,  e  spesso  la  rendono  molto  incerta  ; 
qui  lo  spazio  illeggibile  pub  comprendere  due  o  tre  parole.  (b)  Spazio  illeg- 
gibile  che  pub  contenere  cinque  o  sci  parole.  (e)  Spazio  illeggibile  per  una 
parola.         (d)  Quasi  mei^o  rigo  di  spazio  illeggibile.  (e)  Meijjo    rigo   di 

spazio  illeggibile.  (f)  Incerta  la  lettura  perche  svanite  le  lettere.  (g)  Il- 
leggibile per  macchia  prodotta  da  reagenti  chimici;  tutto  il  rigo  seguenti  e 
gran  parte  dell'  altro  non  leggibili  per  svanimento  dei  caratteri,  (h)  Illeg- 
gibile per  uno  spazio  che  pub  contenere  due  parole.  (i)  Due  parali*  illeg- 
gibili, (k)  Quattro  parole  illeggibili.  (1)  Cinque  o  sei  parole  illeggibili. 
(m)    Tre  o  quattro  parole  illeggibili,  (n)    Tre  o  quattro  parole  illeggibili, 

(o)  Due  0  tre  parole  illeggibfìi. 


124  ^'  J^derici 


«  (ione  scriniario,  Francisco  [dicto]  W  Stoppac(;io  et  lacobello  man- 
«  sionario  et  lannucio  mansionario  dicti  monasterii. 
«Petrus  Pauli  auctoritate  apostolica  scriniarius  ». 


CLVII. 

1275,  luglio  5,  Palazzolo. 

«  D,  Girardus  scindicus  seu  procurator  prioris  et  conventus  mo- 
«  nasterii  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  ex  parte  una  et  Thodinus 
«  lannis  Thodini  Oddonis  et  Oddo  eìus  filius  de  Orto  ex  alia 
«  promiserunt  in  Fatium  clericum  S.  Marie  de  Galesio  de  lite  et 
«  questione  que  vertebat  inter  eos,  occasione  .1.  petie  terre,  posite  in 
«loco  Nero,  a  pede  flumen,  a  capite  strata  et  iuxta  rem  dicti  mo- 
«  nasterii  et  iuxta  rem  heredum  olim  lannis  Girardi  de  Gallesio 
«  tamquam  in  arbitrum  et  amicum  comunem,  concedentes  arbitro 
«  plenam  potestatem  laudandi  et  promi[ctentes  ratum  habere  quic- 
«  quid  arbitrator  laudaverit,  sub  pena  ,c.  librarum  bonorum  denario- 
«  rum  papiensium,  cuius  pene  medieta[s  rectori  monasterii  et  ali[a 
«  medieta[s  parti  observanti.  Actum  est  hoc  in  castro  Palatoli,  iuxta 
«  portam  dicti  castri,  coram  lanne  Benencase,  Rainaldo  lacobi,  Ro- 
«  berti  de  Orte,  Paulo  Gratiadio  et  lanne  Gratiadio  de  Gallese  te- 
«  stibus  Toannes  Blasis  civis  Ortanus  ab  imperiali  aula  iudex  et  nó- 
«  tarius  ». 

CLVIII. 

1275,  decembre  2. 

«  Accurribonus  Orlandi  holìm  de  Marchia  titulo  venditionis 
«  vend[it  Laurentio  de  Colle  perpetuo  vites  et  arbores  unius  pctie 
«  vinee  plus  vel  minus,  posita  extra  portam  S.  Valentini  in  monte 
«  S.  Valentini,  cui  a  .1  latere  tenet  Petrus  Polgelli  et  a  .11.  est  via 
«  publica,  a  .111.  Benvenutus  frater  [suus,  a  .1111.  Johannes  ferrarius, 
«  et  iube[t  eum  investiri  per  Franciscum  lacobi  testem  subscriptum 
«  procuratorem,  consentientes  in  hoc  d.  lohanne  priore,  d.  Placido, 
«  d.  Dompnadeo,  frater  Angelus,  frater   Johannes   monacos  ecclesie 

(a)  Una  macchia  causata  da  reagenti  chimici  rende  incerta  la  lettura  del 
nome  che  pero  si  ritrova  in  un'  altra  pergamena  (fondo  S.  Silv.  n.  IJ4,  nu- 
mero nostro  CLXII)  nella  forma  identica. 


Regesto  dì  S.  Silvestro  de  Capile  125 


«S.  Silvestri  de  Capite,  habentes  prò  eorum  consensu  .xxx.  pro- 
«  visinos  senatus  et  omni  anno  tempore  vindemmiarum  quartam 
«  partem  totius  musti  mundi  et  acquati  quod  de  dieta  vinea  exierit, 
e  et  salvos  sint  omnibus  aliis  capitulìs  carte  locationis  scripte  per 
a  lohannem  scriniarium.  Hanc  venditionem  faci[t  quia  recipi[t  prò 
«  toto  pretio  .VI.  libras  bonorum  provisinorum  senatus».  Pena  «  .1.  li- 
«  bre  boni  auri  ».  Testimoni:  «  Francisscus  lacobi  Nicolai  Bibiani, 
«  lacobonus  Reatinus,  frater  Petrus  de  (^arfo  offertus  (»),  fratcr  Ma- 
«  theus  offertus  ()>)  S.  Silvestri.  Petrus  Simeonis  scriniarius  S.  R.  E.  ». 


CLIX. 

1276,  gennaio  20,  Gallese. 

«  lanuctius  Finesse  de  Gallese  confessus  fuit  se  recepisse  ad  la- 
«  borandum  in  culto  et  in  magese  et  a  d.  Cinthio  monaco  et  pro- 
«  curatori  et  conimo  S.  Silvestri  de  Capite  unam  pectiam  terre  ipsius 
<r  monasterii,  posite  in  Pruneta  (<=)  lenimento  Gallesi  iuxta  rivum 
«  Prunete,  iuxta  Fatium  notarium,  a  duobus  lateribus  ìuris  dicti  mo- 
«  nasterii  et  iuxta  Clausure,  et  de  omnibus  fructibus  ipsius  terre  pro- 
«  misit  reddere  quartam  partem  sine  suis  expensis,  sub  pena  .e.  so- 
«  lidorum  senatus.  Actum  est  hoc  Gallese,  ante  domum  lovannecti, 
«  coram  presbitero  lacobo  S.  Fortunati,  Vanello  et  Bartholomuccio 
«  Dickine  de  Gallese.  Fatius  S.  R.  E.  notarius  ». 


CLX. 

1277,  gennaio  4  (i). 

«  Apud  monasterium  S.  Silvestri  de  Capite 
et  in  camera  lohannis  prioris  ». 

«  Gavinianus  [prò  se  suisque  heredibus  ac  successoribus]  W  pre- 
«  sentibus  d.  lolianne  priore,  d.  Placidi,  d.  Donadeo,  d.  lacobo  mo- 

(a)  *\V/  lesto  ofFét'  (b)  Kel  testo  ofTètus  (e)  Abbr.  fneta  qui  e  in 
tutti  gli  altri  casi.  (d)  Compio  la  frase  mancante  per  lo  strappo  già  notato 
della  pergamena,  togliendone  il  riscontro  dai  passi  paralleli  dtll'  atto  medesimo. 

(i)  Nel  testo  uno  strappo  della  pergamena  che  danneggia  parte 
delle  prime  tre  linee  impedisce  la  lettura  completa  delle  note  cro- 
nologiche :  «In  Dei  nomine,  anno  nativitatis  eiusdem  .m.cc.l[.  ..  in]- 


126  V.  Jederici 


«  nachis  monasterii  prelocuti,  recipientibus  prò  consensu  .v.  solidos 
(X  honorum  provisinorum  concessit  Berardo  Vetulo  in  perpetuum,  per 
«  Angelum  Casale  Quintum  procuratorem  (a)  duas  domos  suas  iun- 
«  tas  .  .  .  (b),  positas  in  Campiniano  (e)  vel  si  alio  vocabulo  nuncupa- 
«  tur,  Inter  hos  fines,  a  .i.  latere  tenet  >iicolaus  Sebastiane,  ab  alio 
«  lohannes  Marocie,  ab  alio  R  . . .  (b),  [et  ab  a]l[io]  (b)  via  publica  vel 
«si  qui  alii  sunt  certiores  confines,  prò  pretio  xxx.  librarum  pre- 
te visinorum,  [eo  tenor[e  quod  semper  in  .xxviiii.  annos  complendos 
«  renovabi[t  in  perpetuum  locationem  dictarum  domorum  et  dabunt 
«  ipse  et  heredes  monasterio  prò  relocatura  .vili,  solidos  provisino- 
«  rum  senatus  et  ex  nunc  omni  anno  in  festo  sancti  Silvestri  rede[t 
«  monasterio,  nomine  pensionis  .11.  bonos  provisinos  senatus.  Com]- 
«  minus  .V.  solidos  provisinorum  senatus  ».  Pena  «  duple  pecunie 
«  prelocute,  Actum  presentibus  d.  Tebaldo  Petri  de  Octabiani,  Angelo 
«  Casali,  presbitero  Nicolao  Petri  Porcari  et  Nicolao  familiari  dicti 
«  d.  Tebaldi  testibus.  lohannes  Stephani  S.  R.  E.  iudex  et  notarius  »  (i). 

CLXI. 

1277,  gennaio  24,  Viterbo. 

«  lohannes  pp.  XXI  Matheum  tunc  prlorem  de  specu  Subla- 
«  censi  ordinis  sancti  Benedicti  praefecit  in  abbatem  monasterii 
«  S.  Silvestri  in  Capite  de  Urbe. 

«  Matheo  abbati  monasterii  S.  Silvestri  in  Capite  de  Urbe  ad  Ro- 
manam  Ecclesiam nullo  medio  pertinentis  ordinis  sancti  Benedicti». 

Inc.  «  Dudum  monasterio  »,  «  Datum  Viterbii  .vini.  kal.  februarii, 
«  anno  primo  »  (2). 

(a)  La  parola  fu  aggiunta,  con  un  richiamo,  in  fine  dell'  atto,  prima  delle 
firme  dei  testimoni,  dalla  medesima  mano  del  testo.  (b)  La  pergamena  qua 
e  là  ha  macchie  prodotte  da  reagenti  chimici  che  danneggiano  in  piii  luoghi 
la  scrittura,  divenuta  spesso  illeggihile.  (e)  Incerta  la  lettura  per  guasto 

della  pergamena. 

«  dictione  .v.  mensis  ianuarii  die  .1111.  pontifìcatus  d.  lohannis  XXI 
«  pape,  anno  primo  ».  Il  giorno  4  gennaio  del  primo  anno  del  pon- 
tificato di  Giovanni  XXI  cade  nel  1277  col  quale  concorda  l'indi- 
zione V. 

(i)  A  tergo  della  pergamena  una  mano  del  secolo  xiv  annotò: 
«  Instrumentum  domus  de  pusterula  a  parrochia  S.  Lucie  in  qua- 
«  tuorportis  ». 

(2)  Reg.  Val.  38,  n.  lxii,  c.  18  a.  Copia  di   questa    lettera    con 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  127 


CLXII. 

1277,  aprile  4. 

«  D.  Matheus  abbas  monasterii  Ss.  Stephani  Dionisii  adque 
«  Silvestri  quod  ponitur  cata  Pauli  cum  consensu  fratrum  monacho- 
«  rum  dicti  monasterii,  d.  Placidi  prioris,  d.  Donadci  et  fratris  la- 
«  cobi  reloca[nt  Nicolao  Cesarini  (a)  in  perpetuum  unam  petiam 
«  vince  desertam  pastinandam  cum  medietate  unius  vasca  vascalis 
«sui  et  tyni,  positam  extra  portam  Flammineam,  in  monte  S.  Va- 
«  lentini,  Inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet  Angelus  Petri  Stephani, 
«  a  .11.  heredes  Maihei  Veclacgioli,  a  .111.  est  ripa,  et  a  .1111.  via,  prò 
«  eo  quod  [is  promitti[t  dictam  vineam  extrahere  et  pastinare  ubi  ne- 
«  cesse  fuerit  et  restaurare,  et  pastinatam  cultabi[t  et  laborabi[t  ut 
«  bonam  vineam  decet,  et  si  in  ea  seminabi[t  promicti[t  dare  quar- 
«tam  partem  illius  quod  habuer![t  et  omni  anno  dare  tempore  vin- 
«  demmiarum  promicti[t  dicto  monasterio  quartam  partem  musti 
«  mundi  et  aquari  quod  de  ea  exierit.  Et  si  in  ea  inveneri[t  aurum 
«  argentum  plumbum  metallum  vel  aliquod  eiusdem  valicns  ultra 
«.XII.  denarios,  medietas  sit  [monasterii  et  alia  medietas  sit  [eius. 
«  Com]minus  .v  soliJorum  provisinorum.  Si  dieta  vinea  celi  plaga, 
«  hostium  incursu,  aut  [eius  negligentia  et  mala  laboratione  iverìt 
«in  desertum,  in  spatio  trium  annorum  [is  relevare  promitti[t  ». 
Pena  «  .1.  libre  boni  auri.  Presentibus  testibus  Francisco  dicto  Stop- 
«  pac(;io,  Andrea  de  Afile,  Angelo  Petri  Stephani  et  lohanne  Ca- 
«  polungo  (b).  Petrus  Pauli  auctoritate  apostolica  scriniarius  »  (1). 

(a)  Nel  testo  Ccsarifi         (b)  Nel  testo  caplungo 

leggiere  varianti  è  nel  medesimo  Rcg.  Vat.  n.  ccxxvi.  Si  riferisce  allo 
stesso  argomento  l'altra  lettera,  indirizzata  a  Matteo  e  datata  da 
Viterbo:  «  Datum  Viterbii,  .111.  non.  ianuarii,  anno  primo»  (ibidem, 
n.  ccvii). 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  la  medesima  mano  del  testo 
notò:  «carta  vince  Nicolai  Cesarii  posile  in  monte  S.  Valentini  ». 
Un  facsimile  di  questa  pergamena  fu  pubblicato  dal  Monaci,  Arcìu 
paUo^r,  itai,  Roma,  Martelli,  II,  29. 


128  V,  Jederici 


CLXiri. 

1279,  maggio  15,  Roma. 

«  Nicolaus  pp.  Ili  absolvit  Matheum  a  vinculo  quo  lenebatur 
«  monasterio  S,  Silvestri  astrictus,  et  monasterio  S.  Pauli  praefecit 
«  in  abbatem. 

«  Dilecto  filio  Matheo  abbati  monasteri!  S.  Pauli  de  Urbe». 

Inc.  «  Inter  nostre  mentis  ». 

«  Datum  Romae,  apud  S.  Petrum,  id.  maii,  anno  secundo»(i). 

V.  Fedekici. 

(Continua). 


(i)  Reg.  Vat.  39,  n.  ciiii,  e.  151  b. 


DELLA  CAMPAGNA  ROMANA 


(Continuazione,  vedi  voL  XXII,  p.  449) 


Fia  Portuense. 

ToR  Carbone.  Oltrepassata  la  Magliana,  troviamo  a 
destra  della  via  Portuense  il  fontanile  della  Muratella,  sulla 
cui  testata  si  vede  lo  stemma  marmoreo  della  nobile  fa- 
miglia Mattei  già  proprietaria,  cui  sottostà  la  seguente  iscri- 
zione: 

lAC-M 

LVD  •  M 

MDXLIIII 

Nelle  memorie  della  tenuta  di  Campo  di  Merlo  indi- 
cherò la  origine  del  nome  di  questi  prati  detti  Ter  Car- 
bone (232  ettari,  proprietà  Corsetti),  da  me  accennati  nel 
precedente  abbozzo  topografico,  ed  omessi  affatto  dal  Nibby 
e  dal  Nicolai  (i).  Essi  hanno  avuto  molti  padroni  suc- 
cessivamente, cioè  i  Vitelleschi,  i  Ginnetti,  SS.  Sanctorum, 
i  Benzoni  e  poi  il  barone  Mattei  (^Catasto  di  Alessan- 
dro VII). 


(0  Singolare  fu  la  scoperta  fatta  dal  sig.  Giuseppe  Serafini  in 
l'or  Carbone,  pochi  anni  or  sono,  di  un  pozzo  contenente  acqua  sa- 
lina, alla  profondità  di  4  metri  incirca.  Ne  fu  ricavato  del  sale  ec- 
cellente. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIII.        9 


G.  To?n assetti 


Campo  di  Merlo.  È  una  tenuta  di  728  ettari,  già 
doppia,  ed  ora  riunita,  spettante  al  principe  Pallavicini. 
Presso  il  casale  di  questo  fondo,  sul  margine  destro  della 
via,  è  un  fontanile  in  capo  al  quale  si  legge  quest'  altra 
iscrizione  dei  Mattei,  antichi  signori  del  fondo: 

HEREDES    DE    MATTHAEIS 

MARZI    FILII 

FABII  NEPOTES 

ANNO • D • MDCXXVn 

Il  suolo  di  questa  tenuta  ha  dato  scoperte  preistoriche, 
come  grossi  frammenti  di  cervo  pliocenico  e  di  elefante. 
Neil'  età  romana  fu  possedimento  di  un  Menda,  nome  noto 
anche  in  Roma  (via  Meruland),  il  quale  è  divenuto  Me- 
riiìus  e  poi  Merlo.  Nell'età  barbarica  fu  campo  di  Totila; 
e  con  un  fatto  singolare  ivi  successo,  si  apre  la  serie  delle 
memorie  storiche  che  sottopongo. 

a.  547.  Narra  s.  Gregorio  (^Dial.  Ili,  11)  che  Totila 
ricevette  in  questo  luogo,  corrispondente  incirca  a  quello 
indicato  da  Procopio  come  accampamento  di  esso  (III,  22), 
il  vescovo  di  Popuìonium,  per  nome  Cerbonio,  accusato  di 
aver  dato  ricetto  a  mercenari  bizantini,  e  quivi  lo  con- 
dannò ad  esser  divorato  da  un  orso,  che  però  non  gli 
fece  alcun  male.  Del  qual  fatto  il  pontefice  afferma  esser 
tuttora  viventi  alcuni  testimoni.  Questo  luogo  è  detto  in 
Procopio  'AXyyjSwv,  nome  certamente  errato,  e  che  ha  dato 
luogo  alle  più  strane  congetture,  che  non  riporto  per  bre- 
vità. Dirò  soltanto  che  non  può  essere  VAÌsium  della 
via  Aurelia,  e  molto  meno  VAlgidmn  della  Latina  ;  perchè 
Procopio  allude  alla  guerra  ed  ai  movimenti  che  allora  si 
fecero  da  Porto  a  Roma  :  e  perciò  doveva  stare  sulla  Por- 
tuense. 

a.  6j2-6j6.  «  Hic  (il  pontefice  Adeodato)  ecclesiam 
«  b.  Petri  qui  est  via  Portuense,  ìuxt^Lponte  Mernlì,  ut  decuit 


'Della  Campagna  T^omana  131 

«restauravit  atque  dedicavi:»  (JLiber  Pont.l.p.  346).  Anche 
il  Biondo  ricorda  ch'essa  «  ad  pontcm  Menili  dirupta  cer- 
<(nitur»  (Roma  inst.  I,  25).  Questa  basilica  fu  scoperta 
nel  1858,  quando  si  costruì  la  ferrovia  marittima,  sulla 
linea  di  questa,  in  modo  che  fu  dovuta  distruggere.  Era 
■divisa  in  tre  navi  da  colonne.  Fu  descritta  dal  Pellegrini 
in  un  opuscolo  (La  basilica  di  s.  Pietro  in  Campo  di  Merlo, 
R.  18^0).  Non  si  deve  confondere  con  altra  omonima 
in  massa  Marulis  spettante  alla  via  Latina  (De  Rossi, 
Bidl.  1870,  p.   107). 

a.  IO  18,  1°  agosto.  Benedetto  Vili,  nella  bolla  in  fa- 
vore della  Sede  Portuense  annovera  fra  i  beni:  «pratum 
«  in  integrum  cultum  atque  assolatum  situm  in  campo 
«  q.  V.  Memi  constitutum  via  Port.  miliario  ab  urbe  Roma 
<(  p.  m.  duodecimo  sicut  affines,  prata  Cavaci  q.  v.  Memi, 
«  montem  ohm  lohannis  de  Miccina,  heredes  Steph.  nomen- 
«  clatoris,  casale  olim  lohannis  de  Sergio,  via  carraria,  ca- 
«  sale  heredum  Transtiberini,  cas.  mon.  ss.  Cosmae  et  Da- 
«  miani  (è  il  Salceto  dei  documenti),  rivus  Galeriae,  mola 
<(  de  silva,  montem  Ziimd  (?),  Staffilem  «Scc.  »  (Marini,  Pa- 
a  piri,  p.  66). 

a.  1034,  22  nov.  Bonfigliolo,  Rem.oricto  e  il  pupillo 
Conte  rifiutano  al  monastero  di  s.  Ciriaco  in  via  Lata  il 
casale  Sacco  de  Menili  sulla  via  Portuense,  confinante  col 
casale  di  Crescenzio  de  Episcopo,  coi  prata  domnice,  col 
prato  Petro:^ii,  col  casale  di  Tebaldo  e  col  fiume  (Galletti, 
del  Prim.  p.  274;  Hartmann,  Eccl.  s.  Maria  in  via  Lata 
tatui,  Vienna,  1895,  p.  81).  La  causa  delle  donazioni  di 
terreni  in  questo  campo,  fatte  in  fiivore  del  monastero  di 
s.  Ciriaco  in  via  Lata,  sta  nella  tradizione  allora  vigente, 
che  quando  fu  trasportato  in  Roma  il  corpo  di  s.  Ciriaco, 
la  testa  del  martire  rimanesse  immobile  lungamente  su 
-quel  terreno,  e  le  matrone  Marozia,  Stefania  e  Teodora, 
che  n'erano  le  proprietarie,  donassero  perciò  quel  fondo  alla 
chiesa  urbana  (Martinelli,  Pritno  trofeo  &c.  pp.  ^9  a  76). 


i}2  G.  Tomassetti 


a.  1138,  9  ottobre.  Giovanni  (Papareschi)  nipote  d'In- 
nocenzo II  riceve  in  pegno  dal  monistero  di  s.  Ciriaco  in 
via  Lata  tre  pediche  di  terra  fuori  di  porta  Portese  nel 
campo  de  Merli  (tra  i  confini  v*  è  il  fiume,  il  terreno  Sacco- 
e  un  altro  detto  Decimo,  indizio  della  distanza  da  Roma  ; 
dall'  ardi,  di  s.  Maria  in  via  Lata,  Galletti  cit.  p.  300). 

a.  ii^i,  21  settembre.  Giovanni  cardinale  vescovo  di 
Sabina  dà  in  pegno  ai  cherici  di  s.  Maria  in  Trastevere 
un  terreno  «  positum  in  campo  qui  vocatur  de  Me- 
vrulis)-)  (dall' arch.  di  s.  Maria  in  via  Lata,  Galletti  cit, 
p.  320). 

a.  1X^2,  19  gennaio.  Grisotto  di  Grisotto  di  Ingizello 
cede  al  monistero  di  s.  Ciriaco  in  via  Lata  terreni  posti 
«  foris  portam  Portuensem  in  campo  de  Meruli  in  Sacco  » 
(dall' arch.  di  s.  Maria  in  via  Lata,  Galletti  cit.  p.  322). 

a.  1162,  1^  giugno.  Grisotto  di  Grisotto  di  Ingizello- 
refuta  al  monastero  di  s.  Ciriaco  in  via  Lata  un  ter- 
reno posto  in  campo  de  Merlo  fuori  la  porta  Portese^ 
ch'egli  avea  ottenuto  fin  dall'anno  1149  (Galletti  cit, 
p.  161). 

a.  II 85,  21  giugno.  Privilegio  del  Senato  a  favore 
di  s.  Maria  in  via  Lata  contro  Grisotto  di  Ingizello  sulle 
terre  e  prati  positis  in  campo  de  MeruHs  (arch.  di  s.  Maria  in 
via  Lata  ed.  Amati  in  Bibliogr.  Rom.  prefiiz.  p.  1^7). 

a.  1192.  Celestino  III  conferma  alla  chiesa  urbana 
di  domina  Rosa  (s.  Caterina  de'  Funari)  un  prato  con- 
cessole, fin  dal  decimo  secolo,  da  Giovanni  XIX,  in  campO' 
Meruli  {Bull  Vat.  I,  p.  74;  Coppi,  Atti  cit.  VIII,  p.  57). 

a.  143^.  Pietro  di  Cecco  Serlupi  vende  20  rubbia  di 
questo  campo  a  Paolo  del  fu  Giovanni  Carbone  ed  a  Fran- 
cesco, Giordano  ed  Alessandro  di  Pietro  di  Gio.  Carbone 
per  221  fiorini  (Adinolfi  cit.  ivi).  Con  questo  docu- 
mento si  intende  il  nome  di  Tor  Carbone^  che  sopra  ho- 
accennato,  e  si  spiega  lo  stemma  dei  Serlupi,  che  ora  ve- 
dromo  presso  Pontegalera. 


^Della  Campagna  T{omana  133 

a.  1442.  Alcuni  dei  detti  Carboni  vendono  la  metà 
<lei  loro  beni  in  Campo  di  Merio  a  Lorenzo  di  Nicolò  di 
Sabba  per  880  fiorini  (id.  ivi). 

a.  1445.  Questo  fondo,  col  nome  di  Comutiaw^e,  spetta 
a  Paolo  e  Nicolò  della  Valle  (id.  ivi). 

a.  1467.  I  figli  di  Paolo  della  Valle,  Lello,  Filippo  e 
Giacomo,  ne  fanno  divisione  tra  loro  (id.  ivi). 

Secolo  XVI.  Gli  Alberini  possedevano  la  tenuta  di 
Campo  di  Merlo,  che  affittavano  per  la  somma  di  scudi  1^02 
annui  (Fatto  con  il  suo  sommario  concernente  T  interesse 
dei  luoghi  di  Monte  &c.  per  la  tenuta  di  Campo  di  Merlo 
a  favore  dei  creditori  della  casa  Alberini,  cod.  Vat.  Otto- 
boniano  2409;  Orano  D.  in  Arch,  R.  Soc.  rom.  di  storia 
patria,  1895,  p.  6j). 

a.  1527.  Dopo  il  sacco  di  Roma  una  parte  di  questa 
tenuta,  con  altra  che  poi  noterò,  fu  venduta  dal  Capitolo 
Vaticano  ad  Antonio  Mattei  per  scudi  500  (^BtilL  Vat.  II, 
p.  390;  cod.  Chigiano  G,  III,  58).  Cosi  vennero  poi  i 
Mattei  incorporando  T  altra  parte  ;  e  noi  ne  vediamo  tut- 
tora le  memorie  sul  luogo.  Dai  Mattei  fu  poi  venduta  ai 
Lepri,  dai  quali  è  passata  alla  famiglia  Pallavicini  di  Roma 
che  già  tenevano  T  altra  porzione  degli  Alberini. 

Attiguo  alla  descritta  tenuta  fu  il  casale  detto  Furnus 
Saractnus,  ricordato  nella  bolla  Benedettina  citata  del  io  18 
«  cum  monumento  antiquo  iuris  ecclesiae  Portuensis  »,  e  in 
documenti  del  tempo  di  Bonifacio  VIII,  come  donato  alla 
basilica  Vaticana  {Epist,  54,  fol.  495,  e  cod.  Vat.  79^^, 
necrologio  di  Bonifacio  Vili,  fol.  285)  ^\a  questo  pontefice, 
coi  danari  raccolti  nel  famoso  giubileo  (^BulL  Vat,  I,  p.  228). 

PoNTEGALER.\.  Pervenuti  a  questo  punto,  ove  fu  il  se- 
condo estuario  preistorico  del  Tevere  (succeduto  al  primo, 
che  fu  sotto  Monte  Mario'),  vi  troviamo  il  nome  storico 
del  rivo,  che  ci  ricorda  la  tribù  Galeria,  una  delle  prime 
ventuna  in  cui  fu  diviso  il  territorio  suburbano,  dopo  la 


134  ^-   Tornasse t ti 


caduta  della  monarchia  di  Roma.  Dovette  esser  sempre  un- 
luogo  abitato;  ma  io  non  posso  provarlo  direttamente.  Le 
poche  anticaglie,  che  vi  ho  rinvenuto,  non  offrono  interesse 
che  come  reliquie  dei  sepolcri  della  via  Portuense  (i).  In- 
diretta prova  dell'antica  importanza  di  Galena  è  certa- 
mente la  domuscuìta  fondata  quivi  dal  pontefice  Adriano  I: 
((  via  Portuense,  mihario  ab  urbe  Roma  plus  minus  duo- 
te  decimo  cum  fundis  et  casalibus,  vineis,  aquimolis,  seu 
«  monasterio  beati  Laurentii,  posito  in  insula  portus  ro- 
te mani,  cum  vineis  ei  pertinentibus  simulque ...  et  kcticaria 


(i)  Visitando  i  casali  di  Pontegalera  ho  trovato  le  cose  seguenti 
che  i  miei  predecessori  non  hanno  notato  :  nel  casale  principale  (a 
destra  della  via)  che  sta  in  una  collinetta,  nel  muro  esterno  una 
figurina  virile  marmorea  in  rilievo  tunicata  che  ornava  la  fronte  di 
un  sarcofago  ;  un  anello  marmoreo  di  ballatoio  medievale  ;  due  soglie 
di  porta  marmoree,  l'una  con  e  a  lettere  superstiti,  l'altra  con  f-m-o^ 
neir  interno  del  casale  un  piccolo  cippo  rettangolare  con  incavo  el- 
littico pel  cinerario,  e  che  nella  fronte  porta  incisa  questa  iscrizione  ; 

D  •  M 

M«  AGILI' M'F 

PAEDRANNI 

ABASCANTVS-LIB 

PATRONO -B-M 

Si  noti  la  rarità  del  cognome  Paedrannius.  Numerosi  frammentj 
stanno  nella  costruzione  ;  e  presso  l' imboccatura  della  cordonata 
esterna,  in  terra,  é  un  grosso  pezzo  di  serpentino.  Nel  casalotto  in 
basso,  ora  legnara,  nell'  angolo  del  muro  esterno,  è  un  avanzo  di  li- 
stello marmoreo  scorniciato  con  queste  parole: 


./?ECVNIA-FECIT 


Neil'  area  attigua  giace  un  sarcofaghetto  marmoreo  con  titolo  anepi- 
grafo retto  da  due  graziosi  genietti  nudi  alati.  L'Osteria  di  Ponte^^a- 
lera  non  offre  alcuna  antichità.  La  chiesa  contigua  è  completamente 
spogliata.  Sulla  porta  di  essa  vedesi  un  bello  stemma  marmoreo  dei 
Mattei,  nel  cui  campo  inferiore  è  scolpita  una  banda  traversa  da  si- 
nistra a  destra,  e  nel  mezzo  lo  stemma  Orsini  sovrapposto. 


lyella  Campagna  Romana  135 


«  qui  vocatur  Asprula  ...»  {Lih,  Pont,  ed.  Duchesne,  I, 
p.  502).  Sotto  la  via  Aurelia  ho  illustrato  la  origine  iden- 
tica dell'altra  Gaìeria,  domusculta,  sorella  di  questa;  ed  ora 
brevemente  debbo  fermarmi  sulla  Portuense.  La  causa  della 
fondazione  è  evidente  nella  sua  posizione  media  per  la  via 
del  porto  di  Roma,  come  per  l'Aureliana  era  la  postura 
suir  altra  via  marittima.  Ho  più  volte  notato  le  ragioni 
economiche  e  semipolitiche  di  tali  istituzioni,  che  coin- 
cidono assai  bene  con  la  evoluzione  del  dominio  pontificio 
neir  età  Carolingia.  La  zona  Portuense  era  la  chiave  della 
città  di  Roma  ;  e  tutto  il  territorio  di  Porto  era  una  pro- 
prietà ecclesiastica,  come  più  sotto  vedremo.  Lo  squallore 
odierno  di  Pontcgaìera  fa  meditare  sulle  tristi  conseguenze 
dei  turbamenti  posteriori  nella  campagna  romana.  E  si  noti 
che  non  fu  il  solo  Adriano  a  profondere  le  sue  cure  in 
questa  contrada;  ma  che,  dopo  men  di  un  secolo,  Gre- 
gorio IV  vi  costruiva  un  palazzo  :  «  fecit  in  curte  quae 
«  Galena  vocitatur  domum  aliam  largam  ac  spatiosam  sa- 
«  tisque  praecipuam  ad  opus  atque  utilitatem  pontificum, 
«ubi...  cum  omnibus  qui  eis  famulantur  amplissime  ho- 
«  spitaretur  »  {Lib.  cit.  in  Greg.  IV,  voi.  II,  p.  82).  Ap- 
presso additerò  dov'  era  il  centro  di  questo  villaggio.  Com'  è 
scomparso  del  tutto  un  ospizio  capace  del  pontefice  e  della 
sua  corte?  Questi  lo  aveva  fabbricato  come  in  corrispon- 
denza dell'  altra  ciiìlìs  driicoìii<,  che  aveva  sulla  via  Ostiense  ; 
di  guisa  che  formavano  essi  due  castelli  a  mezza  strada  si 
della  Ostiense  come  di  questa,  secondochè  gli  piacesse 
aiìlarc  e  tornare  dall'  una  o  dall'  altra  via.  Ora  di  tali  vo- 
luttuarie costruzioni  non  rimane  più  vestigio.  Del  resto  il 
nome  di  ciirlìs  dato,  sotto  Gregorio  IV,  alla  domusculta, 
attcsta  già  la  sua  fondiaria  liinit.i/ione.  Nell'anno  846, 
mentre  i  soldati  di  '  o  a  mcns.i,  i  Sar.icini  ir- 
ruppero su  di  essi  e   ne    iK^i.Lio   molli.   (^     •         ■    • ■•- 

rono  a  fuggire  furono  inseguiti  lino  a  inin 

p.   100).  Continuò  a  decadere  questo  fondo;  e  n 


JS^  G.  Tomassetti 


dimenticarsi  che  nella  citata  bolla  Benedettina,  del  1018, 
si  trova  indicato  questo  sito,  già  ragguardevole,  col  mo- 
destissimo titolo  di  elusa  vetus  de  Galena,  Documenti 
posteriori  attestano  che  luoghi  pii  e  famiglie  trasteverine, 
come  i  Benedetti  e  i  Pellegrini,  vi  possedevano  terre;  e 
sono  i  seguenti: 

a.  1123.  Nella  bolla  di  Calisto  II,  sopra  notata  in  pro- 
posito del  Rosaro,  si  trovano  indicate  «  duas  terrae  pedicas 
ce  in  Galena  )y   (cod.  Vat.  8051,  fol.  mod.  47). 

a.  1171,  1°  decembre.  L'abate  di  s.  Gregorio  impegna 
a  Cencio  Peregrinus  un  pezzo  di  terra  in  Galena  fuori  porta 
Portese  (dall' arch.  di  s.  Gregorio^  cod.  Vaticano  8051, 
fol.  mod.  29). 

a.  1181,  1°  febbraio.  «  Cencius  quondam  Benedicti  » 
cede  a  Cencio  una  terra  in  Galena  fuori  la  porta  Por- 
tese,  0  ubi  dicitur  Monsaltus  »,  confinante  con  Cencio  Ro- 
mani (ibid.  fol.  mod.  31). 

Altro  d' importante  non  ricordo  in  Galena,  salvo  nel- 
l'età  moderna  un  delitto  commessovi,  nell'anno  1718. 
Carlo  Antonio  Anastasio  da  Terni,  di  anni  30,  «  lavorante 
«  nella  tenuta  di  Pontegalera,  ritenuta  in  affitto  da  xMenicuccio 
<(  macellaro  alla  Pace,  sapui:o  che  il  buttaro  possedeva  da- 
«  nari,  gli  disse  se  per  quella  sera  gli  voleva  dare  alloggio  : 
«il  buon  uomo  glie  1'  accordò:  nel  megho  del  sonno  con 
«  un  bastone  gli  diede  in  testa  ;  alla  quale  (jic^  destatosi 
«  disse  :  che  mi  fai  amico  ?  pure  non  desistè,  anzi  glie  ne 
((  replicò  due  altre  sino  che  1'  uccise  ;  cercò  delli  denari  e 
((  non  trovò  che  15  pavoli;  li  quali  presi  scappò,  e  per  molti 
«  mesi  mai  si  seppe  dove  fosse  capitato  :  finalmente  ritornò 
«  nelle  campagne  di  Roma  a  lavorare,  dove  fu  ricono- 
c(  sciuto.  Fu  preso  e,  datagh  la  corda,  confessò  e  ratificò 
c(  immediatamente».  Fu  impiccato  e  squartato  il  5  decembre 
a  Ponte  s.  Angelo  (dal  Diario  della  confraternita  degli  Ago- 
nizzanti in  Archivio  Soc.  rom.  storia  patria,  188 1,  p.  480). 

Confinante  con  questa  tenuta  è  quella  detta  la  Ghie- 


^ella  Campagna  ^I{omana  137 

sola  del  principe  Torlonia,  di  ettari  148,  che  rappresenta 
r  antico  centro  della  domusciilta  Galeria,  si  per  la  elevazione 
del  fabricato,  come  per  1'  antica  chiesetta  che  vi  rimane 
tuttora,  ma  trasformata  ora  in  immondo  dormitorio  di  con- 
tadini. La  porta  di  questa  chiesetta  è  ben  sagomata,  e  ri- 
corda un  restauro  del  secolo  xvi.  Sulla  porta  si  vede  uno 
stemma  marmoreo  dei  Serlupi  (con  le  tre  cuspidi  gigliate); 
e  dimostra  che  questa  flxmiglia  fu,  come  dai  documenti  di 
Campo  di  Merio  sì  è  veduto,  proprietaria,  almeno  in  parte, 
di  questo  fondo.  Poiitegaìera  è  appartenuto  in  età  recente 
ai  Boncompagni,  che  1*  hanno  venduto  nel  1895  al  signor 
Pietro  Palica,  il  quale  mi  ha  dato  fiicoltà  di  esplorare  tutto 
il  terreno  e  i  fabbricati.  E  perciò  ho  potuto  io  scriverne 
tanto  più  a  lungo  de'  miei  predecessori. 

Campo  Salino.  Da  Pontecralera  a  Porto  noi  non  tro- 
viamo alcuna  memoria  importante.  Attraversiamo  una 
campagna  deserta  e  piana,  che  indica  T  approssimarsi  della 
spiaggia  marina.  A  sinistra,  cioè  presso  il  Tevere,  si  scorge 
il  moderno  casale  di  Tor  Biifalara  ovvero  Vignoìciy  tenuta 
di  4^4  ettari,  che  nel  secolo  xvii  spettava  ai  Serlupi  {Ca- 
tasto di  Alessandro  VII);  quindi  è  passata  alla  famiglia  Pa- 
lombi, ed  ora  è  del  principe  Torlonia.  A  destra  si  estende 
il  vasto  Campo  Salino  (ettari  1289,14)  che  conisjMinJj  al 
campus  saìiiiariim  roiìiaiiiinim,  noto  per  le  iscrizioni,  come 
!io  sopra  ricordato,  parlando  della  via  Campana,  che  ne 
traeva  la  denominazione.  Questa  tenuta  porta  anche  il 
nome  di  Salsare^  ma  in  parte,  cioè  per  70(3  ettari  soltanto. 
Queste  saline  rappresentarono  la  prima  e  vera  ragione 
delle  conquiste  dei  Romani  sugli  lìtruschi;  e  fornirono 
})er  luni'/)  tempo  il  nutrimento  alla  città,  iii'.ieMie  con 
quelle  di   Osliii.  Da  queste  saline  ebbe  (  :  \ 

tal  nome,  ma  come  centro  abitato  per  1\  m  .u  ^i.^  wvi  ...ie. 
Dopo  la  fondazione  del  porto  di  Claudio,  h  inno  pio^e;;uito 
le   saline   Aì\   essere    produtti\e,    fino    .i!    leiupo    dell'  iiiv.i- 


ijS  G.  Tornasse  Iti 


sione  dei  Saracini.  Cessato  il  timore  delle  invasioni,  nel 
secolo  X,  hanno  ripreso  vita  fino  al  secolo  xv,  quando 
sono  totalmente  e  per  sempre  cessate.  Dal  secolo  x  in  poi 
questo  campo  ebbe  il  nome  di  maior  o  di  saìinarìus.  I 
documenti  che  attestano  la  permanenza  della  destinazione 
a  tale  uso  di  cotesto  fondo,  dimostrano  come  tanto  il 
Senato  di  Roma,  divenuto  un  corpo  municipale  dal  se- 
colo IV  in  poi,  quanto  il  vescovo  di  Roma,  cioè  il  pontefice, 
si  adoperassero  per  tale  scopo.  Veggasi  il  testo  della  bolla 
di  Giovanni  XIX,  nella  serie  diplomatica,  che  dispongo 
qui  appresso.  La  proprietà,  almeno  parziale,  del  Comune 
di  Roma  in  questo  fondo  è  indicata  nella  bolla  Benedet- 
tina deira.  1018,  col  campus  maior  publicus.  Ed  è  questa 
una  delle  numerose  prove  della  permanenza  del  Comune 
di  Roma  prima  della  rivoluzione  del  1143.  L'estensione 
poi  della  proprietà  ecclesiastica  è  provata  dalle  bolle  Por- 
tuensi;  ed  in  questa  medesima  ripetuta  di  Benedetto  Vili 
troviamo  la  menzione  di  una  turris  de  albo  nel  suolo  di 
Campo  Salino y  i  cui  abitanti  erano  soggetti  alla  giurisdi- 
zione del  vescovo  Portuense  come  veri  sudditi.  La  cura 
che  la  Chiesa  romana  prese  delle  saline  stesse,  di  fronte 
alla  incuria  dell'amministrazione  senatoria  e  prefettizia, 
produsse  un  grande  incremento  nel  dominio  e  nella  giu- 
risdizione pontificia  in  questa  contrada.  Vediamo  pertanto 
le  notizie  diplomatiche  di  Campo  Salino,  dalle  quali  appa- 
riscono principali  possessori  i  monasteri  Sublacense  e  Gre- 
goriano del  Celio  ;  principale  centro  di  salificio  la  pedica 
Feter  o  Vetera:  principali  confini  il  fiume  Tevere  e  lo 
stagnum  maius,  ossia  lo  stagno  di  Maccarese. 

a.  927,  7  settembre.  «  Charta  de  filum  saline  in  Burdu- 
«  naria  »  venduto  dalle  sorelle  Teodosia,  Anastasia  e  Lea 
al  monastero  di  Subiaco  (^Re^.  SiihL  p.  104). 

a.  940  (?),  gennaio.  «  Privilegium  de  filum  salinae  in 
«  pedica  vetere  »  donato  al  monastero  di  Subiaco  da  Leo 
subdiaconus  (Reg.  Subì.  cir.  p.  105). 


niella  Campagna  T{omana  139 

a.  947,  marzo.  «  Libellum  de  filo  salinae  in  pedica  ve- 
«  tere  »  concesso  dal  monastero  Sublacense  ai  fratelli  Pietro 
mansionario  e  Giorgio  (i^^o^.  cit.  p.  113). 

^-  95 3 j  29  ottobre.  «  Charta  de  filum  salinae  in  hurdu- 
«  naria  »  donato  da  Rosa  al  monastero  di  Subiaco  (Re^,  cit. 

R-  IO?)- 

a.  959,  IO  novembre.  «  Charta  de  filum  salinae  in  ser- 
(f-pentaria  »  donato  da  Marozza  senatrix  omnium  romanorum 
(Reg,  Subì,  cit.  p.  107). 

a.  9^4,  decembre.  «  Charta  libelli  de  filum  salinae  in 
(f^  pedica  vetere  »  concesso  dal  monastero  Sublacense  a  Pietro 
mansionario  di  s.  Maria  in  Cyra  (^Reg.  cit.  p.  112). 

a.  9^4,  decembre.  «  Charta  libelli  de  pedica  vetere  », 
come  sopra  (ibid.  p.  114). 

a.  9^4,  decembre.  «  Libellum  de  Brudunaria  (5/1)  »  con- 
cesso dal  monastero  Sublacense  a  Rimedio  e  Gregorio  (^Rcg. 
cit   p.  119). 

a.  965,  novembre.  «  Charta  de  filum  salinae  in  /)t'^/f^z 
«  vetere  de  terra  petie  novem  »  vendute  al  monastero  Su- 
blacense dai  coniugi  Leone  e  Leonina  (^Reg.  cit.  p.   iio). 

a.  9^7,  febbraio.  Il  monastero  Sublacense  concede  in 
livello  a  Giovanni  e  Sigizone  preti  un  filo  della  salina 
Serpenlaria  {Reg.  cit.  p.  1 1 7). 

a.  973,  26  novembre.  Bolla  di  Benedetto  VI  confer- 
mante i  beni  Sublacensi,  tra  cui  «  duo  fila  salinarumy  unam 
((in  burdunaria,  aliam  in  campo  maiore*)  (^Reg,  cit.  p.  37). 

a.  974,  24  febbraio.  «  Charta  de  terra  Petiole  XII  in 
«  campo  maiore  »  venduta  al  monastero  Sublacense  da  Gre- 
gorio calzolaio  e  Deodata  sua  moglie  (^Reg.  cit.  p.  109). 

a.  976,  IO  gennaio.  Giovanni  abbate  del  monastero  di 
s.  Andrea  ad  clivum  Scauri  rinunzia  a  Benedetto  abbate 
Sublacense  un  filo  della  salina  Scrpentaria  (Rcg.  cit.  p.  1 16). 

a.  981,  dicembre,  a  Charta  libelli  de  filum  salinae  in 
«  pedica  vetere  »  concesso  dal  monastero  Sublacense  a  Ber- 
none  di  Teuderanda  (^Reg.  cit.  p.  118). 


140  G.  Tomassetti 


a.  988,  ottobre.  «  Libellum  de  filum  saìinae  in  pedica 
«  veterc  »  concesso  dal  monastero  Sublacense  ai  fratelli  Gio- 
vanni e  Adriano  ed  ai  fratelli  Benedetto  e  Butco  {Rcg*  cit. 
p.   III). 

a.  992,  ...  La  nobile  Costanza  dona  al  monastero  di 
s.  Gregorio  al  Celio  un  terreno  «  in  pedica  Velar  {sic^  in 
scampo  malore)')  (^Annal.  Camaìd.  I,  p.  113). 

a.  993,  8  luglio.  «  ludicatum  de  Serpentarian  del  pre- 
fetto di  Roma  Giovanni  a  favore  del  monastero  Sublacense 
contro  Cardinale  figlio  di  Sigizone  (^Reg.  cit.  p.   121). 

a.  998,  IO  maggio.  Bolla  di  Giovanni  XII  confermante 
i  beni  Sublacensi,  tra  cui  «  fila  saline,  unam  in  burdunaria, 
«  aliam  in  campo  maiore  »   {Reg.  cit.  p.  29). 

a.  1005,  21  luglio.  Bolla  di  Giovanni  XVIII  al  mo- 
nastero di  Subiaco,  che  ne  conferma  i  beni,  tra  cui  due 
«  salìnarum  fila  in  campo  fnaiore  et  serpeniaria  »  {Reg.  cit. 
p.  29). 

a.  100^,  24  aprile.  L' abbate  del  monastero  dei  ss.  Co- 
sma e  Damiano  dona  al  suo  monastero  un  filo  di  salina 
in  Burdunaria  (arch.  dei  Ss.  Cosma  e  D.,  Fedele  cit.  p.  30). 

a.  loii,  I  giugno.  Pietro,  detto  Capolonga,  col  con- 
senso di  Beriza  sua  moglie  dona  all'  abbate  dei  ss.  Cosma 
e  Damiano  un  filo  di  salina  in  Burdunaria  (ivi,  id.  p.  32). 

a.  IDI 5.  Bolla  di  Benedetto  Vili  confermante  i  beni 
Sublacensi,  tra  cui  tres  fila  salinarum,  una  in  burdunaria, 
una  in  campo  maiore  ed  una  in  serpentaria  {Reg.  cit.  p.  43). 

a.  1029.  Bolla  di  Giovanni  XIX  al  vescovo  Portuense, 
in  cui  dice  che  :  rr  fila  salinarum  nunc  noviter  construuntur 
«  per  nostram  apostolicam  benedictionem  »  (Marini,  Pa- 
piri,pp.  70,  239;  De  Rossi  G.  B.,BulL  A.  Crisi.  i877,p.  18). 

a.  1031,  23  maggio.  «  Charta  emphyteusìs  fiictae  a  lo- 
({  hanne  abbate  s.  Gregorii  die  Urbe  de  quodam  filo  sali- 
ce norum  »  posto  «  in  campo  maiore  in  pedica^  que  vocatur 
a  Serpentaria  )^ ,  al  monaco  Giovanni,  detto  Debitale  (^An- 
nales  Camald.  II,  p.  45). 


^ella  Campagna  Romana  141 

a.  1042,  maggio.  «Charta  libelli  de  filum  saìinae  in 
ii  p edica  vetere  »  concesso  dal  monastero  Sublacense  a  Cre- 
scenzio de  Luzo,  Giovanni  de  Bucto  e  a  Pietro  suo  nipote 
(^Recr.  cit.  p.   115). 

a.  105 1,  31 -ottobre.  Bolla  di  Leone  IX  confermante 
i  beni  Sublaccnsi,  con  le  tre  file  di  saline  suddette  {Reg. 
cit.  p.  ^o). 

a.  10^3,  maggio.  «  Charta  emphyteusis  unius  fili  salitia- 
«  rii  concessae  Petro  de  Sabbatino  a  Stephano  cardinale  et 
«  abbate  s.  Gregorii  de  Urbe  »  (^Annales  Cantala.  Il,  p.  186). 

a.  10^4,  24  maggio.  «  Libellum  de  pedica  vetere  »  con- 
cesso dal  monastero  di  s.  Erasmo  al  Celio  (incorporato, 
come  si  sa,  al  Sublacense)  a  Bianca  e  a  Pietro  de  iVluto 
(Reg.  cit.  p.  120). 

a.  II 58,  24  marzo.  «  Petrus  abbas  s.  Gregorii  de  Urbe 
«  chartam  emphyteusis  facit  stagni  a  s.  Silvia  eius  mona- 
«  sterio  relieti  sito  in  campo  maiore  »  ad  Ottavio  Alberici 
de  Fusco  e  ai  figli  Giovanni,  Romano  e  Ottone,  e  ad  altri 
uomini  {Annaìcs  Camaìd.  Ili,  p.  499). 

a.  12 17.  Nella  nota  bolla  di  Onorio  III  in  favore  del 
monasterio  dei  ss.  Bonifacio  ed  Alessio  si  concedono,  oltre 
alcune  fila  delle  saline  Ostiensi,  usex  partes  in  campo  maiore 
«  in  arola  de  Ticoli  (nome  che  ricorre  anche  nella  bolla 
«Benedettina  del  1018)  ex  pane  trans  Tiberim)^  (Merini, 
op.  cit.  p.  236). 

a.  1258,  23  gennaio.  Istromento  di  s.  Silvestro  in  Ca- 
pite concernente  il  fondo  Campo  maiore  e  Serpentarohi 
(V  antica  Serpentaria)  in  libro  compendiar,  (Archivio  di  Stato 
ad  ann.;  V.  Federici,  Regesto  d.  mon,  di  s.  Silvestro  de  Ca- 
pite in  Archivio  d.  R.  Soc,  rom.  st.  patr.  XXIII,  95). 

a.  129^,  6  maggio,  a  Locatio  facia  a  Matthaeo  ep. 
0  Portuensi  et  ab  Andrea  abb.  s.  Gregorii  de  Urbe  stagni 
a  maioris  prope  Portum  »  (^Annaìes  Camaìd.  V,  p.  308). 

a.  1353.  Il  pontefice  Innocenzo  VI  incarica  i  suoi  le- 
gati in  Roma  per  procedere  contro  Stefanello  Colonna  e 


142  G.  Tomassetti 


Bertoldo  Orsini,  non  solo  come  usurpatori  della  salina, 
che  spetta  al  popolo  romano,  ma  perchè  questa  era  ob- 
bligata per  ^000  fiorini  a  favore  del  pontefice  (Theiner, 
Cod.  dipi.  Il,  p.  244). 

a.  1392  al  1404.  Sentenze  del  senatore  di  Roma  Gio- 
vanni de  Cinthiis  e  di  altri  senatori  sul  diritto  del  mona- 
stero di  s.  Gregorio  al  Celio  «  quod  a  tempore  cuius  me- 
te moria  non  existit  habuerit  in . . .  salinis  quamplura  fila  in 
«  quibus  fit  sai  per  salinarios  urbis  »  (Annales  Camald.  VI, 

P-  573  ^gg-)' 

Conferma  del  diritto  in  favore  del  monastero  di  s.  Gre- 
gorio su  64  rubbia  di  sale  a  carico  della  Camera  Urbis, 
per  dichiarazione  del  notaio  SignoriH  (ivi,  p.  585). 

a.  1404.  Nella  pace  stipulata  tra  il  popolo  romano  ed 
Innocenzo  VII,  fu  convenuto  che  tutta  la  quantità  di  sale 
conservata  nel  Campidoglio  e  raccolta  a  Campo  Salino  ri- 
manesse al  Comune,  riservandosi  al  papa  1000  rubbia 
(Theiner  cit.  III,  p.  iji;  Malatesta  Sigism.,  Statuti  delle 
gabelle,  p.  ^4). 

a.  1430  circa.  Una  parte  di  Campo  Salino  spettava  ai 
Tosti  nobili  del  Trastevere,  col  fossato  detto  Romanesca, 
che  la  donarono  alla  Compagnia  di  SS.  Sanctorum,  come 
rilevasi  dal  catasto  di  essa,  scritto  nel  1435  (Adinolfi  cit. 
I,  p.  61,  62). 

a.  1482,  1°  marzo.  Sisto  IV  istituisce  quattro  benefici 
Vaticani,  comperando  nella  tenuta  di  Campo  Salino  una  metà 
del  fondo  spettante  ad  Evangelista  Maddaleni  Capodiferro 
{Bidl  Vat.  II,  p.  223). 

a.  1483,  13  settembre.  Compra  di  Campo  Salino  fatta 
dal  Capitolo  Vaticano  da  Lorenzo  Capodiferro  vescovo  di 
Cesena,  e  da  Domenico,  Giuliano  e  Nicola  Capodiferro 
(^Atti  Capitolini  di  Camillo  Beneimbene,  Nardoni). 

Potrei  sottoporre  anche  le  menzioni  del  Campo  Sahno 
che  stanno  nei  registri  camerali  Capitolini  e  camerali  pon- 
tifici, ma  rimando  chi  volesse  averne  cognizione  alla  mo- 


^ella  Campagìia  Romana  143 

nografia  sul  registro  del  sale  e  focatico  della  biblioteca  di 
Siena,  che  pubblicai  nel  1898  (^Archivio  della  R.  Soc.  rom. 
di  storia  patria,  p.  313  sg.). 

PORTO. 

Il  moderno  Porto  è  un  lenimento  di  2177  ettari  con- 
finante col  Tevere,  col  mare  Tirreno  e  con  Campo  Salino. 
Appartiene  al  principe  Torlonia.  U  Isola  Sacra,  risultante 
dal  canale  o  fossa  Traiana,  di  cui  ho  già  parlato  sotto  Ostia, 
è  una  tenuta  di  ettari  1239,52,  confinante  col  canale  stesso, 
col  Tevere  e  col  mare.  Appartiene  al  marchese  Guglielmi. 

Una  piccola  borgata,  uno  stagno,  già  bacino  interno 
del  porto,  alcuni  ruderi  :  ecco  tutto  ciò  che  rimane  del 
primo  emporio  marittimo  di  Roma  antica  !  La  storia  di 
Porlo  incomincia  con  la  gigentesca  costruzione  di  Claudio. 
Intorno  all'autore  della  fossa  o  canale,  del  porto  interno 
si  è  scritto  non  poco,  come  ancora  sui  numerosi  monu- 
menti quivi  apparsi  alla  luce.  Gioverà  notare  le  monografie 
Portuensi,  come  già  feci  delle  Ostiensi  (i),  per  ordine  al- 
fabetico, come  appresso  : 

Canina  Luigi,  Sulla  stagione  delle  navi  in  Ostia,  sul  porto  di  Clau- 
dio &c.  e  sul  porto  interno  di  Traiano  &c.  in  Atti  deW  Accad.  Rom. 
d'archjol.  Vili,  p.  257. 

Cantarelli  Luigi,  Di  un  frammmto  epigrafico  crisi,  dell'  isola  Por- 
tuensc  {Bull.  Archeot.  Coni.  1896,  p.  67  segg.). 

CiALDi  Alessandro,  "Navigazione  del  Tevere,  in  Giornale  Arcadico^ 
nn.   106-109,  R.  1845,  e  ntWAUyum  di  Roma,  1846,  25  luglio. 

Idem,  Quale  debba  essere  il  porto  di  Roma,  R.  1846. 

Coppi  Astosio,  Contiuua:{ioue  delle  memorie  sui  luoiihi  una  volta  abitati 
ed  ora  deserti  nell'Agro  romano  (Atti  delF Accad.  Rom.  d'  archeo- 
logia. Vili,  p.  51). 

(i)  Nella  bibliografia  Ostiense  è  accaduto  un  errore,  perchè  una 
scheda  riguardante  Ostra  (Picena)  fu,  per  inavvertenza  di  un  ama» 
nucnse,  coUocau  tra  le  Ostiensi,  e  stampata.  È  la  2$"''  della  serie, 
che  prego  i  lettori  di  voler  cancellare. 


144  ^-   Toniassetti 


Decisio  S.  Rolae  Romanae  coram  r.  p.  d.  Paniiroìo  in  causa  Porlum. 
stagni.  Lunae  i6  dee.  1641.  Romae  (R.  C.  A.),  1642,  sup.  per- 
missu. 

Idem,  Idem  &c.  Lunae  io  lunii  1641.  Romae  (R.  C.  A.),  1641, 
sup.  perm. 

Idem,  Idem  (senza  data).  Romae  (R.  C.  A.),  1640,  sup.  perm. 

De  Fazio  Giuliano,  ingegnere  in  capo  del  Corpo  reale  de'  ponti  e 
strade,  Discorso  2°  intorno  al  sistema  di  costruzione  dei  porti,  con- 
cernente alcune  ricerche  sopra  gli  antichi  porti  d'Ostia,  d'Ansio,  di 
Ancona,  di  Civitavecchia,  di  Nisida  &c.,  Napoli,  1816  (porto 
d'Ostia,  pp.  5-17). 

Idem,  Intorno  al  miglior  sistema  di  costruzione  dei  porti.  Discorsi  tre, 
Napoli,  1828,  I  voi.  (del  porto  di  Ostia  v.  p.  129  sgg.). 

Idem,  Nuove  osservazioni  sopra  i  pregi  architettonici  dei  porti  degli  an- 
tichi &c.,  Napoli,  1832,  I  voi. 

De  Rossi  G.  B,  Bullettino  d'archeologia  cristiana,  1866,  1868,   1869. 

Du  Perac,  Pianta  di  Porto,  ed.  Ant.  Lafreri,  1575,  riprodotta  dal 
De  Rossi. 

Fea  Carlo,  Novelle  del  Tevere,  R.  18 19,  2^"  ed.  in  voi.  I  degli  Atti 
delVAccad.  di  archeol. 

Idem,  Alcune  osservazioni  su  V  antico  porto  di  Ostia  ora  Fiumicino, 
R.  1824. 

Idem,  La  Fossa  Traiana  confermata  al  sig.  cav.  Linotte  ;  ivi.  Sulla  rela- 
zione del  Vanvitelli  intorno  al  porto  di  Fiumicino  cfr,  Fea  C,  Os- 
servazioni &c.  sopra  l'acqua  Felice,  p.  3. 

Idem,  Supplemento  alle  tiotizie  date  nella  relazione  di  un  viaggio  a  Ostia 
e  nelle  osservazioni  sulla  Fossa  Traiana  intorno  al  canale  detto  Fiu- 
micino, inserita  nelle  miscellanea  intit.  Considerazioni  storiche  &c  , 
R.  1827,  4"*. 

Idem,  Il  Tevere  navigabile  oggidì  come  nei  suoi  piìi  antichi  secoli,  e  la 
città  di  Ostia  ivi  edificata  dal  re  Anco  Marcio,  emporio  di  Roma, 
da  risorgere  a  nuova  vita,  R.  1835. 

Grossi- GoNDi  A.  e  Cancani  F.,  Descrizione  delle  rovine  di  Ostia 
Tiberina  e  di  Porto,  R.  1883,  con  pianta  top. 

Guglielmotti?.  Alberto,  Delle  due  navi  romane  scolpite  sul  bassorilievo 
Portuense  del  principe  Torlonia  {Atti  dell'  Ac  e  ad.  Pont,  d'  archeo- 
logia, N."  S.^  voi.  I,  p.   i   segg.). 

Labacco  a..  Libro  appartenente  a  V  architettvra  nel  qval  si  figvrano 
alcvne  notabili  antiqvità  di  Roma,  in-fol.,  impresso  in  Roma  in 
casa  nostra  ne  gli  anni  del  S,  1552. 

Dopo  il  frontisp.  viene  la  dedica  colla  sottoscr.  :  Impresso  &c. 
Dopo  questi  due   fogli  seguono   24  tavole  regolarmente  nume- 


T)ella  Campagna  Romana  145 


rate,  segue  poscia  la  tavola  doppia  che  rappresenta  il   porto  di 

Traiano  e  quello    di  Claudio,  senza  numeri,    indi    la   tavola  di 

testo  (stampata  in  corsivo)  che  ne  dà  la  spiegazione  ;  seguono  le 

ultime  4  tavole  che  non   portano    numero.   Rarissima   edizione 

sconosciuta  a  quasi  tutti  i  bibliografi.  Manca  nel  Cicognara,  nel 

Brunet  &c.,  che  citano  come  prima  edizione  quella  del  13)8. 
Idem,   Tahulae  nonnullae  quibus  repraesentantur  aliqiiot  vetusta  romana 

aedifìcia  et   Traiani  atqtie  Claiidii  portiis  (senza  data). 
Lanciani  Rodolfo,  Antichità  di  Porto  in  Annali   dell'Istituto  Arch.y 

1868,  p.  114  sgg.,  con  grande  e  perfetta  pianta  nei  Monumenti 

dell'  Istituto  stesso,  voi.  Vili,  tav.  49. 
LiGORio  Pirro,  Pianta  di  Porto,  ed.  de  Musis  Giulio,  Venezia  1554, 

ed.  Tramezino,  1775. 
LiNOTTE  L.,  Risposta  parziale  alle  Novelle  del  Tevere,  in  Giornale  Ar- 
cadico, t.  XIV  b  ,  R.   1822. 
Idem,  Sulla  esistenza  delle  due  foci  del  Tevere  prima   della    costru:iione 

del  porto  di  Claudio,  in  Giornale  cit.  XVI,  R.  1824. 
LucATELLi   GiAMP.,  Sopra   il  porto  d'Ostia  e  sua  medaglia  e  sopra  la 

maniera  usata   dai  Romani    nel  costruire  i  porti    del  Mediterraneo 

{Atti  dell' Accad.  di  Cortona,  VI,  pp.  1-24,  con  2  tav.)  e  Roma, 

1750. 
NiBBY  Antonio,  Della  via  Portuense  e  dell'antica  città  di  Porto,  R.  1827, 

e  neW Analisi  della  città  e  dintorni  di  Roma,  voi.  II,  p.  62  sgg. 
Noccioli  Ignazio,  Cenni  dimostrativi  la  somma  utilità  di  una  ferrovia 

Roma-Fiumicino,  R.  1875. 
Rasi  G.  B  ,  Osservazioni  istoricbe  sul  porto  romano  di  Fiumicino  e  di 

Ostia,  R.   1826. 
Idem,  Sul  Tevere  e  sua  navigazione  da   Fiumicino  a  Roma,  R.    1827. 
Idem,  Sui  due  rami    tiberini    di  Fiumicino  e  di    Ostia  e   sui   porti  di 

Claudio  e  di  Traiano,  osservazioni  con  4  pianto  del  cav.  Canina, 

R.  1830. 
Regis  ing.  A.,  Il  porto  di  Roma,  R.  1896. 
RuGGERi  C,  De  Portuensi  s.  Hyppoliti  episcopi  et  mart.  sede  dissertatio 

postuma  ab  A.  Ruschi©  absoiuta  et  adnot.  aucta,  R.  1771. 
Tocco  Efisio,  Saggio  sui  porti  antichi  ed  in  ispecie   dell'  Ostiense  di 

Claudio  e   di  Centocelle  di  Traiano,  della  fossa  Traìana,  con  altre 

osservazioni  sul  Tevere,  R.  1856. 
Visconti  P.  Ercole,  Sopra  un'  iscrizione  antica  dell'  imperatore  Claudio 

trovata  in  Porto  (Atti  dell' Accad.  Rom    d'  archeologia,  voi.  Vili, 

p.  211). 
Idem,  Della  fo    >    .  .  e  di  ./;a7/c   ./•.  /';//;/>.    Claudio  jcci  scavati 

dal  fiume   'Tevere  ai  mare  &c.  (ivi,  p.  253). 

Archivio  dflh  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XXIII.        IO 


1^6  G.  Tornasse t ti 


Volpi  e  Corradini,  Latiutn  vetus  &c.,  voi.  VI,  «  de  Laurentinis  »  &c., 
Padova,   1734. 

Man'oscritti.  Nella  pregevole  miscellanea  del  card.  Garampi  da  me 
posseduta,  oltre  i  tre  trasunti  di  documenti  (di  Bonifazio  IX,  Eu- 
genio IV  e  Urbano  VI)  sulla  gabella  di  s.  Ippolito,  ed  oltre  alla 
pianta  a  penna  di  Serafino  Calindri  nella  visita  che  fece  a  Porto 
di  Fiumicino  l'anno  ijóS^  che  ho  già  citato  nella  bibliografia 
Ostiense,  vi  sono  appunti  del  Garampi  stesso,  col  titolo  :  Noti-^ie 
per  l'alveo  del  Tevere  e  tiro  delle  bufale  estratte  dall'  Archivio  segreto 
Faticano  (dall'anno  1561  al  1587). 


Ho  veduto  un  recente  manoscritto  firmato  dall'  arciprete 
di  Porto,  Giuseppe  Bolognesi,  senza  data,  indirizzato  al  car- 
dinale Mario  Mattei  come  vescovo  (1854-^0),  nel  quale 
dopo  narrata  la  escavazione  della  lapide  di  Claudio  fatta  dal 
marchese  Pallavicini,  racconta  in  modo  elementare  le  vi- 
cende del  porto,  poi  passa  alla  religione,  a  s.  Ippolito,  con 
parecchi  errori,  poi  parla  del  portico  Placidiano,  accennando 
al  frammento  placidi anam,  poi  riporta  la  iscrizione  di 
Teodosio  e  Valentiniano,  poi  le  epistole  di  Leone  IV,  le 
bolle  Portuensi,  poi  un  testo  riguardante  Pammachio  e  il 
suo  xenodochio  e  memorie  del  medio  evo.  Poi  dice  che 
Sisto  IV  andò  a  Porto  coli*  idea  di  fare  riaprire  il  porto 
(Volterrano,  Diario),  e  che  Alessandro  VI  rifece  il  re- 
cinto merlato  dell'episcopio,  nota  i  ristauri  del  1580  al- 
l' episcopio  stesso,  poi  parla  del  cardinale  Laute,  177 1, 
colla  lapide  relativa;  poi  porta  anche  la  lapide  del  Ma- 
druzzi,  e  altra  lapide  di  «  Antonius  Lantius  »  cardinale 
del  1616,  allusiva  a  ristauri,  una  dell'  Ottoboni,  idem  1727, 
una  metrica  di  cinque  distici  1583  (Gregorio  XIII),  altra 
di  «Fulvius  Corneus»,  1582,  l'altra  di  Pacca  1822,  l'altra 
di  Lambruschini  1848,  quella  della  facciata  della  chiesa  (di 
Benedetto  XIV,  1734),  nell'interno  quella  di  Chigi  1^90 
e  quella  di  Orsini  1723,  poi  quella  (nel  palazzo)  in  onore 
di  Giacomo  III  e  figli,  collocatavi  dal  cardinale  Otto- 
boni,  1738;  descrive  la  croce  di  bronzo  ricevuta  e  donata 


^eila  Campagna  Romana  147 

dal  cardinal  Pacca  (come  arciprete  Lateranense)  neiranno 
santo  1825,  poi  r  altra  iscrizione  del  fonte,  eh'  è  del 
Pacca  del  1822,  Taltra  rotonda  in  mezzo  alla  chiesa  (con 
stemma)  di  «  Annibal  card.  s.  Clementis  anno  i^io  »  (?), 
r  altra  nell'altare  di  s.  Filippo,  di  Benedetto  XIII,  del  1735 
e  un'altra  di  Ottoboni  (ivi)  del  1725  e  l'altra  dell'aitar 
maggiore  (cardinal  Pacca)  1822.  ì^qW Isola  Sacra  nota  la 
iscrizione  del  coperchio  del  pozzo  dove  si  crede  essere  stato 
annegato  s.  Ippolito,  la  quale  è  di  Lambruschini;  un'altra 
del  cardinale  Leonardo  Antonelli,  1802,  l'altra  del  cardi- 
nale Carafa  allusiva  alla  consacrazione  della  detta  chie- 
setta, del  1753.  Ivi  indica  l'altra  chiesetta  del  Crocifisso 
con  iscrizione  di  Pio  VI,  del  1788,  sulla  porta.  Altra 
iscrizione  nella  chiesa  nuova  dedicata  alla  Madonna  stava 
di  fuori,  poi  portata  dentro  per  sostituirvi  una  fenestra; 
ed  è  del  1822  (Pacca).  Trascrive  pure  l'altra  del  cardinal 
Roma  (1^50)  sulla  facciata  dell'ospedale  di  Porto.  Un 
luogo  derelitto  è  cosi  ricco  di  epigrafi  moderne  !  Vi  è  an- 
nessa una  pianta  della  chiesa  e  dell'episcopio. 

Una  mediocre  pianta,  ma  agraria,  della  tenuta  di  Porto, 
con  Campo  Salino,  è  quella  di  Francesco  Torriani,  del  1660, 
inserita  nel  Catasto  di  Alessandro  VII  più  volte  citato.  Vi 
si  veggono  le  due  cinte  di  mura;  la  prima  con  la  porta 
romana  fiancheggiata  da  una  gran  torre  rotonda  coperta  di 
calotta  (tempio  di  Portunno),  la  seconda  con  la  porta  di 
Nostra  Donna,  presso  il  porto  interno.  Segue  l*  episcopio, 
poi  il  gran  recinto  quadrato,  col  nome  maga:^ni,  e  poi 
una  serie  di  casali  sparsi  lungo  la  via  che  mena  a  Fiumi- 
citWf  di  cui  si  scorge  la  torre  antica.  Nel  quarto  verso 
Maccarese,  è  il  caseggiato  (allora  imponente)  con  chiesa 
fornita  di  campanile,  e  indicato  col  nome  s.  Ninfa.  Quella 
pianta  fu   fatta  per  ordine  del  Capitolo  di  s.  Pietro. 

La  pianta  di  Porto  che  si  trova  nella  galleria  delle 
Carte  geografiche  al  Vaticano  è  desunta  da  quella  del 
Du  Perac. 


148  G.   Tomassetti 


La  magnificenza  del  porto  di  Roma,  costruito  per  or- 
dine deir  imperatore  Claudio,  rilevasi  dagli  scrittori  e  dai 
monumenti  (i).  Il  faro  di  esso  era  simile  a  quello  di  Ales- 
sandria. Le  dimensioni  del  porto,  ridotte  in  misure  mo- 
derne, erano:  in  superficie  mq.  690,795;  larghezza  delle 
due  aperture  m.  80;  l'antemurale  m.  180  di  lunghezza  e 
m.  90  di  larghezza;  il  molo  curvilineo  era  lungo  m.  389, 
quello  rettilineo  m.  420.  La  nave,  che  servì  a  traspor- 
tare a  Roma  dall'  Egitto  l'  obelisco  Vaticano,  servi  di  fon- 
dazione air  isola  dell'  antemurale  (2).  Traiano  rese  più 
vasta  ed  utile  l'opera  di  Claudio  aggiungendovi  il  porto  o 
bacino  interno,  la  sola  che  rimane  tuttora  di  tante  opere 
magnifiche  ;  ed  è  F  odierno  stagno  di  Porto.  Misura  essa 
in  superficie  mq.  391,993.  Egli  fece  scavare  il  canale,  che 
coordinato  alle  altre  fosse  già  scavate  da  Claudio,  contribuì 
alla  hberazione  della  corrente  Tiberina  ed  alla  congiunzione 
diretta  di  Roma  col  porto  interno  ed  esterno  (5). 


(i)  SvETONio,  in  Claudio,  20;  Giovenale  {Sat.  XII,  75);  Va- 
lerio Placco  {Argon.  VII,  83)  &c.  Una  personificazione  del  porto  è 
in  un  rilievo  di  sarcofago  della  vigna  Aquari  (von  Duhn,  Ant.  Biìdiu.. 
II,  pp.  334,  335)  ed  in  una  statua  del  museo  Ludovisi  {Bull.  Istit. 
1872,  p.  7).  Per  le  monete  e  medaglie  che  lo  riproducono  veggasi  il 
Cavedoni  (Bull,  dell' Istil.  1864,  p.  219),  Donaldson,  Visconti  &c. 
II  faro  è  rappresentato  in  un  mosaico  Ostiense,  nel  sarcofago  urbano 
di  Fìlocyrius  nel  palazzo  Bachetoni  ed  in  altri  marmi.  Il  porto  con 
tutti  i  suoi  monumenti  è  splendidamente  raffigurato  nel  rilievo  del 
museo  Torlonia  scavato  in  Porto  nel  1863,  e  più  volte  discusso,  perchè 
difficile  ad  ispiegarsi  in  ogni  sua  parte  (Lanci,  in  Bull.  Ist.  1864;  Lan- 
ciANi,  Ann.  cit.  1868;  Guglielmotti,  op.  cit.).  L'uhima  rappresen- 
tanza grafica  dell'  antico  porto  è  quella  della  Tavola  Peutingeriana,. 
in  cui  si  ravvisano  abbastanza  bene  le  parti  principali  di  così  magni- 
fico monumento  (Desjardins,  La  tahle  de  Peutìnger). 

(2)  Svet.  cit.  afferma  questo  fatto  ;  ma  Plinio  dice  che  la  nave 
servì  per  fondazione  del  molo  sinistro  {H.  N.  XVI,  76;  XXXVI,  14). 

(5)  Quanto  si  è  disputato  sull' attribuire  o  no  a  Traiano  questo- 
porto  e  la  fossa  o  canale  (detta  poi,  come  ognun  sa,  Fiumicino)  ri- 
sulta da  numerose  monografie,  e  ciò  in  causa  del  silenzio  degli  scrit- 


^ella  Campagna  T^pmana  149 

Le  antiche  e  pregevoli  cose,  ritrovate  nel  suolo  di  Porto 
in  ogni  tempo,  meriterebbero  una  speciale  enumerazione, 
che  r  indole  del  mio  lavoro,  già  di  per  sé  immenso,  non 
permette  (i).  Le   antichità  di  Porto  non   offrono  certo  le 

tori.  Ma  il  Fea  difese  l'opinione  in  favor  di  Traiano  col  testo  di 
Plinio  il  giovine  {Ep.  Vili,  ij):  fossa  quam  provideiiiissimus  iviperalor 
fccit  {Tevere  navig.  p.  35). 

(i)  Le  lapidi  di  Porto  sono  riunite  nel  Corpus  I.  L.  con  le  Ostiensi. 
Ho  già  detto  che  molte  associazioni  dei  lavoranti  e  industrianti  por- 
tarono il  duplice  nome  Ostienses  e  Portuenses.  In  lapide  urbana  si  ha 
Portenses  et  ostiens.  fabri  (C.  VI,  1741).  A  Capo  due  rami^  nel  1836, 
fu   scavata  la   celebre   lapide    di   Claudio    che  ricorda   le  fosse   (Vi- 
sconti cit.).  Una  lapide  greca  ricorda  il  culto  del  dio  di  Gaza  Marmas 
nel  tempo  di    Gordiano  (C.  /.  G.  5892),  un'altra  quello  di   Serenos 
■(ivi,  6001).  Naturalmente  dovevano  esservi  domiciliati  molti  Orien- 
tali. Vi  appariscono  anche  indizi  di  un  quartiere  di  Israeliti.  Le  la- 
pidi pure  attestanti  il  cuho  ed  il  tempio  di  Portunno  furono  ritrovate 
presso  il  tempio  nel  secolo  xvi.  Una  statua  di  Nettuno  ivi  rinvenuta 
da  Panfilo  Di  Pietro  {Mem,   Rem.  II,  22)  è  ora  nel  museo  Latera- 
nense.  La  statua  detta  d'/^m  nel  museo  Torlonia  fa  parte  del  gruppo 
■di  Menelaos,  simile  ma  non  uguale  a  quella  Ludovisi  {Bull.  Isltt.  1883). 
Vi  era  un  Scrapeum^  secondo  un'  iscrizione  locale  ora  al  Louvre  {Bui- 
lettino  cit.  1882).  Una  statua  di  Bacco  rinvenuta  presso  il  suo  tempio, 
nel  secolo  xv,  fu  gittata  in  mare  per  ordine  del  cardinale  Bessarione. 
Sonosi  pure  trovate  memorie  dei  templi  di  Apollo,  di  Ercole,  di  Vul- 
■cano,  di  Gioele,  di  Vesta  e  di  un  santuario  mitriaco.  Così  anche  del 
porticus  Placidiana,  che  doveva   stare   tra  il   mare  e  le   mura,  tra  il 
porto  Claudio  e  la  fossa  Traiana.  Una  lapide  ricorda  gli  ultimi  giuochi 
gladiatori  eseguiti  in  Porto  (De  Rossi,  Bull.  186S,  p.  84)  I-in  dal  1675- 
1682  vi  si  fecero  scavi  con  risultati  (Fea,  Misceli  I,  240).  Noterò  gli 
scavi  apertivi  dall'Amici  nel  1744  (id.  II,  208),  quelli  del  1827  che 
fruttarono  molti  oggetti  e    la  scoperta  di    un  tempio;  gli  altri   del 
principe  Torlonia  dal  1863  in  poi.  Il  musco  Torlonia  di  Roma  con- 
tiene  trentasette    monumenti    scoperti   in   questo  suolo.    Della  esi- 
stenza dei    Figili   ò  prova  una   statua  di  Ercole   da  essi  dedicata. 
Erano  distaccati  dalle  coorti  di  Roma  (Lanciasi  cit  p.  186).  Nel  1885 
furono  trovati  un  musaico  col  ratto  di  Proserpina  (^Bull.  Com.  Arch, 
p.  171),  una  lapide  greca  confermante  il  culto  di  Serapide  (G.  Gatti, 
in  Bull.  cit.  1886,  p.  173),  alcuni  antichi  magazzini  Sic.  I  frammenti 
della  statua  di  Traiano  trovati  nel   1794  sull'orlo  del  mare    Interno 


ijo  ^-   Tomasseiti 


attrattive  che  trovansi  in  quelle  di  Ostia,  nò  per  la  qualità 
delle  costruzioni,  né  per  lo  stato  di  esse,  poiché  le  Por- 
tuensi  sono  abbandonate  e  deperite.  I  monumenti  ora  su- 
perstiti in  questo  luogo  consistono  nella  cinta  delle  mura 
della  città  del  tempo  di  Costantino,  con  torri  rettilinee; 
delle  quali  però  veggonsi  soltanto  i  resti  a  fior  di  terra;  in 
avanzi  delle  mura  di  Settimio  Severo  ov'é  il  moderno  in- 
gresso; nel  tempio  di  Portunno,  che  si  trova  prima  dei 
moderni  casali,  a  sinistra  della  via  moderna  da  Roma,  e, 
se  si  viene  dalla  stazione  della  ferrovia,  di  fronte  ad  essa, 
al  di  là  dei  casali  stessi;  in  avanzi  dell'  acquedotto,  che  corre 
quasi  parallelo  alla  via  romana-Portuense  ;  e  in  numerosi 
ruderi  dei  magazzini  lungo  il  grande  esagono  del  mare  in- 
terno, e  che  proseguono  anche  sulla  destra  del  canale  di  Fiii- 
niicino.  Inoltre,  sul  lato  opposto  a  Roma,  cioè  a  ridosso  del- 
l'ora interrato  porto  esterno,  veggonsi  gU  avanzi  del  palazzo 
imperiale  e  quelH  di  un  teatro  romano  ;  i  ruderi  di  un 
mercato,  presso  il  moderno  cimitero;  avanzi  della  stazione 
dei  vigili,  presso  l'episcopio,  ed  altre  rovine  di  difficile  attri- 
buzione. I  magazzini  formano,  come  bene  osservò  il  Lan*- 
ciANi,  due  terzi  della  città.  Egli  riconobbe  anche  il  foro 
sul  canale  di  communicazione  del  porto  interno  con  1'  e- 

andarono  dispersi  (Fea,  Viaggio^  p.  33).  V Isola  5^/^ra  contenne  pure 
splendidi  monumenti,  tra  i  quali  principale  il  tempio  di  Castore  e 
Polluce  (vedi  Albert,  Le  ctiUe  de  Castor  et  Polliix  eri  Italie,  in  Me- 
langes,  1883),  a  cui  celebraronsi  sacrifici  solenni,  fino  agli  ultimi  tempi 
del  paganesimo,  dal  pretore  urbano.  Quivi  si  ebbero  pure  molte  sco- 
perte (Bull.  Istit.  1840,  p.  43),  tra  cui  il  gruppo  di  Marte  e  Venere, 
ora  nel  museo  Capitolino.  Sembra  impossibile,  dopo  ciò  che  si  è 
pubblicato  sulle  antichità  di  Porto,  che  una  gita  vi  possa  riuscire  an- 
cora fruttuosa.  Eppure  vi  ho  trovato  d' inedito  un  frammento  lapidario 
monumentale  con  V  C ,  e  un  cinerario  rettilineo  di  marmo,  ridotto 
ad  abbeveratoio  di  galline  presso  l'episcopio,  con  questa  iscrizione: 

TI-CLAVDIO-SP-F 
SVRIACO-D-C-C-N 


^ella  Campagna  Romana  151 

sterno.  Il  più  attraente  avanzo  è  il  tempio  di  Portunno, 
magnifica  mole  di  mattoni  rossi,  di  cui  rimangono  due 
piloni,  una  parte  della  volta,  tre  delle  sette  nicchie,  che 
ne  decoravano  T  interno,  e  più  frammenti  marmorei  de- 
corativi sparsi  d'attorno.  Vengo  ora  a  disporre  la  sil- 
loge storico-diplomatica  di  Porto  insieme  con  quella  di 
Flmnicino  e  dell'  Isola  Sacra,  con  la  quale  sì  chiude  la  illu- 
strazione della  via  Portuense.  Sono  molte  menzioni  sto- 
riche, in  gran  parte  conosciute  dai  miei  predecessori,  in 
parte  minore  affatto  nuove.  Si  faccia  attenzione  a  quelle 
risultanti  dalle  bolle  Portuensi,  nelle  quali  si  trovano  indi- 
cati, con  termini  più  o  meno  corrotti,  antichi  monumenti 
e  perfino  le  due  estremità  delle  grandi  braccia  del  porto 
di  Claudio  ;  si  rinvengono  prove  della  importanza  del  ter- 
ritorio Portuense,  di  curìaks  ivi  esercenti  ufficio,  di  nume- 
rose chiese,  di  forte  popolazione.  Questa  silloge,  che  non 
sarà  mai  completa,  ma  è  la  più  copiosa  di  quelle  finora 
esposte,  contiene  anche  particolarità  curiose,  perfino  il 
prezzo  pagato  ai  rimorchiatori  del  bucentoro  pontificio, 
quando  Gregorio  XI  ritornò  in  Roma  con  la  sede  papale, 
nel  1377. 

a.  42.  Claudio  imperatore  eseguisce  il  disegno  di  Ce- 
sare col  far  costruire  il  porto  d*  Ostia,  che  viene  poi  com- 
piuto da  Nerone. 

a.  ^9.  Galba  imperatore  fa  costruire  i  grandi  magaz- 
zini lungo  il  porto.  Da  Galba  a  Traiano  si  stabilisce  presso 
il  porto  una  colonia  di  veterani. 

a.  103.  Traiano  imperatore  fa  edificare  il  porto  interno, 
aprire  la  fossa  e  la  foce  minore  del  Tevere,  dividere  il  ter- 
ritorio in  parallelogrammi  ed  inciderne  in  bronzo  la  me- 
moria. Da  questo  fatto  deve  supporsi  incominciata  la  in- 
dipendenza di  Porto  da  Ostia  (Lanciani,  op.  cit.). 

a.  200  circa.  Settimio  Severo  fa  ricingere  Y  oppidum  di 
Porto  con  mura. 

a.  251  (?).  Conferma  della  separazione   dei  due    Co- 


I  52  G.  Tomassetti 


munì  per  la  istituzione  della  diocesi  cristiana  di  Porto. 
Primo  vescovo  forse  fu  s.  Ippolito  (i). 

Secolo  IV.  Un  magistrato  Portuense  per  T  annona  e 
causidicus  della  prefettura  urbana  fu  Ragonio  Vincenzio 
Celso,  assai  benemerito  per  la  sua  giustizia  e  nel  comporre 
le  diuturne  quistioni  fra  i  mensores  e  i  caudicarii  (C  /. 
L.  VI,  1759,  XIV,  138,  139,  175;  Symmachi  Reìat.  e.  23). 

Id.  A  questo  secolo  spetta  il  secondo  recinto  murale 
di  Porto,  tuttora  conservato  ;  ed  il  titolo  di  civitas  Constan- 
tiniana  ad  essa  attribuito  (Zosimo,  VI,  6]  Philostorgius, 
Hist.  eccì.  XII  &c.).  Allo  stesso  imperatore  si  attribuisce, 
neir  elenco  aggiunto  alla  biografia  di  papa  Silvestro  I, 
«  basilicam  in  civitate  Hostia  iuxta  portum  urbis  Romae 
«  bb.  apostolorum  Petri  et  Pauli  et  lohannis  Baptistae,  ubi 
«  et  dona  obtulit  haec  :  (dopo  oggetti  preziosi)  insulam 
«  quae  dicitur  assls-i)  (l'Isola  Sacra,  che  allora  aveva  una 
estensione  ben  minore  dell'  attuale  accresciuta  dall'  interri- 


(i)  Non  è  certo  che  s.  Ippolito,  dotto  scrittore  ecclesiastico, 
fosse  il  vescovo  di  Porto  (Gams,  Series  epp.  p.  vili),  e  nel  caso  ne- 
gativo, il  primo  vescovo  noto  sarebbe  il  Gregorius  del  314.  Questo 
Ippolito,  ricordato  nel  martirologio  («in  portu  urbis  Romae  H3^p- 
«  politus  qui  dicitur  Nonnus  »,  De  Rossi,  Bull.  1866,  p  49),  e  che 
dicevasi  martirizzato  e  sepolto  colà,  è  stato  confuso  da  Prudenzio 
con  l'omonimo  martire  soldato  (De  Rossi,  Bull.  1882,  p.  7  e  seg.)  ; 
e  al  dottore  spetta  invece  la  bellissima  statua  del  museo  Lateranense, 
che  porta  incìso  nella  cattedra  il  ciclo  pasquale  (vedi  Achelis-Hans, 
Hyppolitsstiidien,  Leipzig,  1897).  Il  culto  di  s.  Ippolito  in  Porto  è  cer- 
tamente antico;  ad  esso  era  dedicata  una  chiesa  nell'Isola  Sacra,  di 
cui  esistono  avanzi.  Forse  vi  contribuì  la  qualità  del  nome,  che  so- 
stituiva quella  equestre  di  Castore  e  Polluce.  Da  esso  s' intitolava  la 
gabella,  di  cui  dirò  le  memorie  nel  testo  delle  notizie,  secondo  la 
data  rispettiva.  Consisteva  in  un  barile  che  dovevano  pagare  alla 
Chiesa  romana  tutte  le  navi  che,  nel  medio  evo,  approdavano  al 
porto.  Che  la  diocesi  di  Porto  fosse  antica  ed  importante  lo  prova  la 
dignità  del  titolare,  eh' è  il  sotto-decano  del  s.  Collegio  dei  cardi- 
nali, e  perciò  il  secondo  suburbicario.  Egli  aveva  anche  il  privilegio 
di  recitare  un'orazione  quando  s'incoronava  l'imperatore.  La  costi- 


^ella  Campagna  ^I{oinana  153 

mento  continuo),  nome  inesplicabile,  in  altro  luogo  del 
Liber  Pont,  detta  Arsis  (in  Leone  IV),  «  quod  est  inter  Per- 
ii tum  et  Hostia,  possessiones  omnes  maritimas  usque  ad 
«  digitum  SoliSy  praestantes  solid.  Lxxx  »  {Lib.  cit.  ed.  Du- 
CHESNE,  I,  p.  184).  Noterò  che  il  digitiis  solis  deve  signi- 
ficare una  statua  relativa  al  sole,  con  un  dito  in  alto,  statua 
che  doveva  decorare  Forologio  solare  del  porto.  Ed  ag- 
giungo che  anche  nell'orologio  monumentale  del  Campo 
Marzio  in  Roma  si  ricorda  una  statua  ma  col  dito  abbas- 
sato; alla  quale  si  riferisce  la  nota  leggenda  di  Gerberto 
(papa  Silvestro  II),  che  fece  scavare  nel  punto  indicato 
dal  dito  di  quel  simulacro,  e  vi  scoperse  preziose  anti- 
chità. Forse  due  statue  decoravano  le  antiche  meridiane, 
l'una  col  dito  in  alto,  da  levante,  l'altra  col  dito  in  basso, 
da  ponente. 

Id.  Nella  Notitia   dignitatnm,  si  trovano   registrati,  tra 
gli  ufficiali  dipendenti  dai  prefetto  urbano,  il  ncomes  portus  » 


tuzione  di  tale  diocesi  dimostra  che  fosse  un  centro  popolato,  e  la 
sua  circoscrizione  segue  la  popolazione  formatasi  nel  suburbio  e  fin 
dentro  la  città  di  Roma  come  in  dipendenza  dal  porto  stesso.  Quindi 
giungeva  fino  all'  isola  Tiberina  (S.  Bartolomeo)  ed  al  Ponte  Rotto, 
come  è  dimostrato  dalle  bolle  papali.  Tutta  la  zona  commerciale 
portuense-urbana  dipendeva  da!  vescovo  suddetto.  Del  resto,  il  cri- 
stianesimo in  Porto  ha  lasciato  pregevoli  memorie.  V'erano  le  chiese 
di  s.  Pietro,  s.  Ninfa,  s.  Lucia  (Isola  Sacra),  s.  Lorenzo  (ora  del  Croci- 
fisso), s.  Ippolito  («in  insula  Port.  quae  nuncupatur  Arsis  n,  nome 
inesplicabile;  d.  Duchesne,  Uh.  Pont,  in  Leone  IV,  II,  125),  s.  Biagio, 
s.  Vito,  s.  Giorgio,  s.  Teodoro,  e  la  cattedrale  dedicata  a  s.  Lucia 
e  a  s.  Rufina  (vedi  Piazza,  Gerarchia  card.  p.  55  sgg.).  In  un  edificio 
dell'età  Damasiana,  nel  1866,  fu  trovato  un  frammento  epigrafico  del 
tipo  che  dicesi  Filocaliano  (De  Rossi  cit.  1866,  p.  105).  Una  parte 
dell'antico  ciborio  marmoreo  della  basilica  Portuense  si  conserva  nel 
musco  Lateranense  ed  appartiene  al  secolo  ix,  perchè  l' iscrizione 
nomina  Leone  III  papa.  Lo  xenodochitim,  ospedale  pei  pellegrini,  fon- 
dato da  Pammachio  nel  iv  secolo,  e  che  citerò  nella  serie,  stava 
sul  margine  destro  della  fossa  o  canale.  Alcuni  avanzi  ne  furono  ri- 
conosciuti negli  scavi  del  1866. 


154  ^-   Tornasse t ti 


e  il  «  ccntQn3.rìus  por tus  »  (ed.  Seeck,  p.  114;  veggasi  anche 
Cassiodoro,  Variar.  VII,  9). 

a.  374,  IV.  idus  iunii.  Legge  di  Valentiniano  contro 
r  abuso  del  convertire  i  granai  e  i  magazzini  del  Porto  di 
Roma  ad  uso  privato  {Cod,  Theodos.  XV,  I,  12). 

a.  380  circa.  Il  senatore  Pammachio  fonda  un  xeno- 
dochium  pei  pellegrini  in  PortOy  ricordato  da  s.  Girolamo 
(De  Rossi,  Bull.  Crisi.   iS66y  p.  50). 

a.  425.  Il  prefetto  dell*  annona,  Flavio  Alessandro  Cre- 
sconio,  edifica  il  portico  in  onore  di  Teodosio  II  e  di  Pla- 
cidio  Valentiniano  III,  portico  detto  perciò  Placidiano  nella 
iscrizione  relativa  quivi  rinvenuta  nel  1822  (C.  /.  L.  XIV, 

140- 

a.  455.  Genserico  re  dei  Vandali  sbarca  a   Porlo,  per 

invadere  e  saccheggiare  Roma.  In  quella  occasione,  la  ba- 
silica di  s.  Ippohto  martire,  nelF  Isola  Sacra,  fu  incendiata, 
come  attesta  una  iscrizione  : 

f  Vandalica  rabies  hanc  ussit  martyris  aiilam 
quam  petrus  antistes  cultu  meliore  novatam 

che,  quantunque  trovata  nel  secolo  xvii  in  Roma,  nell'isola 
Tiberina,  è  stata  giustamente  restituita  a  Porto  dal  pro- 
fessor L.  Cantarelli  (Bull  Comun.  189^,  p.  ^9  sgg.).  La 
restaurazione  in  essa  indicata  sarebbe  stata  fatta  dal  vescovo 
Pietro  del  4^5  (i). 

(i)  La  giurisdizione  vescovile  del  vescovo  Portuense  nell'isola 
Tiberina,  che  l'egregio  prof.  Cantarelli  farebbe  risalire  al  secolo 
nono,  cioè  all'abbandono  di  Porto,  per  le  invasioni  dei  Saraceni,  a 
me  parrebbe  più  antica.  Poiché,  quantunque  le  bolle  papali  che  ne 
parlano  sieno  del  secolo  xi,  esse  tuttavia  riguardano  diritti  più  antichi. 
La  diocesi  imitava  la  circoscrizione  civile  ;  e  come  tutta  la  ripa  ti- 
berina-portuense  dipendeva  dal  prefetto  dell'annona;  come  la  zona 
commerciale  romana  era  considerata  distinta  dalla  città,  così  i  cri- 
stiani transtiberini  e  marittimi  appartenevano  al  vescovo  del  porto 
romano.  Per  tal  modo  spiegherei  anche  il  condominio  dell'  isola  stessa 
col  vescovo  di  Selva  Candida,  che  pretendeva  al  governo   di  parte 


^ella  Campagna  ^^omana  155 


a.  474.  L' imperatore  Glicerio,  per  timo'^e  del  suo  rivale 
Giulio  Nepote,  si  ritirò  in  Porto,  dove  depose  le  insegne 
imperiali  e  fu  ordinato  vescovo,  non  di  questa  diocesi 
(come  il  Gams  sospetta,  apponendogli  un  punto  dubitativo) 
ma  di  Salona  in  Dalmazia  (Iordanes,  De  reh.  get.  45). 

a.  500  incirca.  Frequentazione  e  magnificenza  del  porto 
romano  attestata  da  Cassiodoro  (Far.  VII,  9):  «  bis  primum 
«  faucibus  romanae  deliciae  sentìuntur . . .  duo  t3^berini  alvei 
«  meatus  ornatissimas  civitates  (Ostia  e  Porto)  tamquam 
«duo  lumina  susceperunt  )>. 

a.  537.  Incomincia  Par/o  ad  essere  campo  infelice  della 
guerra  tra  Goti  e  Bizantini.  Nelle  minute  descrizioni,  cbe 
Procopio  (I,  26)  ci  ha  lasciato  di  questi  combattimenti, 
trovansi  alcuni  particolari  utili  a  rappresentare  lo  stato  del 
porto  romano,  come  la  distanza  di  126  stadi  da  Roma  (chi- 
lom.  22.680),  il  tiro  dei  buoi  per  fare  risalire  alle  navi  il 
fiume,  ed  altre  cose,  che  non  ripeto,  avendone  già  riferito 
il  testo  sotto  la  via  Ostiense.  Vitige  (qcq  occupare  la  for- 
tezza di  PortOj  ma  poi  dovette  farla  sgombrare  perchè  la 
flotta  bizantina  venne  ad  occupare  il  porto  stesso. 

a.  545.  Nuovo  blocco  di  Porto  per  opera  di  Totila,  nella 
guerra  di  riscossa.  Egli  vi  sorprese  con  piccola  flottiglia  le 
navi  cariche  di  viveri,  che  il  pontefice  Vigilio  aveva  spedito 
dalla  Sicilia.  In  questo  disastroso  incidente  un  vescovo  per 
nome  Valentino  fu  accusato  di  menzogna,  e  per  ordine  di 
Totila  ebbe  troncate  le  mani  (idem.  III,  13). 


della  popolazione  marittima,  quale  vescovo  del  quartiere  della  via 
Aurclia;  ma  con  minore  diritto;  e  perciò  da  Leone  IX  ebbe  sentenza 
contraria;  e  dovette  lasciare  la  detta  isola  al  vescovo  Portuense.  Ma 
questa  duplicità  di  tradizione  dovette  essere  il  precipuo  motivo  che 
indusse  Calisto  II  a  riunire  le  due  sedi  Portuense  e  di  Silva  Candida. 
Del  resto,  se  non  si  fosse  trattato  di  antichitù  grande  nel  possesso 
dell'  isola  Tiberina,  tanto  che  non  se  ne  rintracciavano  i  documenti, 
come  risulta  dal  testo  della  bolla-sentenza  di  Leone  IX,  la  questione 
non  sarebbe  stata  così  diffìcile  e  grave. 


ij^  G.   Tom  assetti 


a.  54^.  Isacco,  capitano  di  Belisario,  assalìsce  da  Porto 
i  Goti;  ma  è  vinto  ed  ucciso  per  ordine  di  Totila.  Ciò 
agevola  V  ingresso  di  Totila  in  Roma  (ivi). 

a.  549.  Nuova  occupazione  di  Porto  fatta  dai  Goti,  la 
quale  dura  fino  all'  anno  552,  quando  essi  furono  dispersi 
da  Narsete. 

a.  817.  Nel  noto  diploma  di  Ludovico  Pio  è  conside- 
rato Porins  come  spettante  al  papa  (Baronio,  ad  ann.). 
Quantunque  non  si  possa  tener  conto  di  tal  documento, 
perchè  fabricato  nel  secolo  xr,  tuttavia  deve  notarsi,  perchè 
si  riferiva  a  dominio  notorio  di  un  fondo  cosi  vicino  a 
Roma,  e  giovava  per  aggiustar  fede  alle  cose  di  altre  più 
lontane  regioni. 

a.  84^,  24-25  agosto.  I  musulmani  invadono  Ostia  e 
Porto,  cW  è  abbandonata  dagli  abitanti.  Le  scholae  Saxoniim, 
Frisomim  et  Francorum  del  Vaticano  marciano  su  Porto  e  se 
ne  impadroniscono.  I  musulmani  tentano  invano  di  rioc- 
cuparlo, ma  sono  respinti,  lasciando  12  morti.  Il  25  agosto 
i  Romani  vanno  ad  accrescere  le  forze  delle  «  scholae  »  a 
Porto,  vi  uccidono  7  musulmani  ;  e  poi  ritornano  tutti  in 
Roma  per  difendere  la  città  (vedere  i  fonti  nella  citata  mo- 
nografia del  Lauer,  Le  poéme  de  la  destniction  de  Rome, 
p.  311). 

a.  849.  Gran  battaglia  di  rivincita  data  dai  Romani,  co- 
mandati da  Cesario  figlio  di  Sergio,  contro  i  musulmani 
in  Ostia,  tanto  in  terra  quanto  in  mare,  poiché  i  nemici 
erano  dalla  Sardegna  venuti  ad  occupare  Porto.  Leone  IV, 
che  fu  il  promotore  di  questa  riscossa,  celebrò  la  messa 
nella  chiesa  di  s.  Aurea  in  Ostia,  prima  della  battaglia.  Dei 
numerosi  prigionieri  fatti,  alcuni  furono  appiccati  in  Porto; 
gli  altri  trasportati  in  Roma  furono  condannati  a  lavorare 
nella  costruzione  della  «civitas  Leoniana»  (Lib.Pont.  cit.  II, 
pp.  118,  119). 

Tra  le  munificenze  di  Leone  IV  in  Porto  va  ricordata 
una  veste  preziosa  donata  alla  chiesa  della  martire  s.  Ninfa 


^ella  Campagna  Romana  157 


(ivi,  p.  113);  ed  altre  cose  donate  alla  chiesa  del  martire 
s.  Ippolito,  qui  ponitur  in  insula  Poriuensis  quc  nuncupalur 
Arsis  (ivi,  p.  125). 

a.  852.  Importante  è  la  deduzione  fatta  da  Leone  IV 
di  una  colonia  di  Corsi,  allo  scopo  di  difendere  e  di  po- 
polare questo  importantissimo  luogo,  impresa  che  è  lun- 
gamente descritta  nel  Liber  Pont,  (ivi,  p.  126),  con  le  con- 
dizioni cioè  deir  abitazione,  delle  nuove  opere  di  difesa 
(«firma  et  munita. ..  civitas»),  con  vigne,  prati  e  coltiva- 
zioni ;  infine  una  istituzione  in  certo  modo  perfetta. 

a.  877.  Il  concilio  Ravennate,  sotto  Giovanni  Vili, 
enumerando  le  rendite  della  Sede  Romana,  nomina,  come 
già  notai  sotto  Ostia,  il  portus,  cioè  1'  nncoraggio  al  porto 
romano. 

a.  940.  Noterò  il  documento  Sublacense  relativo  al 
jiìiim  salinae  in  Liciniana  pedica,  quantunque  io  T  abbia  messo 
in  Ostia,  perchè  lo  stagno  maiore  indicato  tra  i  confini  po- 
trebbe essere  quello  di  Maccaresc,  anzi  che  T  Ostiense  ;  e 
poi  il  nome  Placidiae,  additato  tra  i  confini,  lascia  pensare 
al  porticus  Placidiana  (v.  Rcfr.  Subì.  cit.  p.  105). 

a.  9^4.  Nel  Privilegium  di  Ottone  I  in  favore  di 
Leone  Vili,  Portus  è  compreso  nella  giurisdizione  del  papa 
(Baronio,  ad  ann.). 

a.  983,  9  luglio.  Documento  importante  per  la  topo- 
grafia di  Porto.  È  una  donazione  fitta  al  monastero  dei 
ss.  Cosma  e  Damiano  di  casa  e  fondi  da  una  Boniza.  La 
vigna  hoharica  è  posta  in  insula  maiore,  ed  ha  per  confini 
quattro  privati:  la  casa  solarata,  con  tetto,  con  grotta  &c.  è 
«  posita  infra  civitatem  vctereni  »,  tra  i  confini  :  «  muro  antiquo 
«  de  istius  civitatis,  gripta  et  domus  »  del  quondam  Stefano, 
e  una  «  domus  et  grepta  de  rocca  »  (Fedeli-  cit.  in  Jrch. 
cit.  1898,  p.  511). 

a.  992,  25  giugno.  Bolla  di  Giovanni  XV  a  Gregorio 
vescovo  Portuense.  Gli  concede  la  terra  spettante  al  s.  pa- 
lazzo Lateranense:   «  sicut  incipit  per  longitudinem  a  flu- 


ijS  G.   Tomassetti 


«  mine  recté  iuxta  murum  Portuensis  civitatis  ante  eiusdem 
<iportam  que  dicitur  maìor  et  exinde  pergente  usque  in  la- 
<(  cimi  Traianum  et  ab  ipso . . .  remeante  per  aliud  fossatum 
«  usque  in  supradictum  flumen,  itemque  licentiam  toUendi 
«  aquam  ex  ipso  fluvio  et  per  litus  eius  mittendi  in  eodem 
<(  fossato  »  &c.  Gli  concede  la  facoltà  di  tenere  un  vi- 
vaio nel  lago  Traiano,  pisces  congregare  &c.  (Marini  cit. 
lì.  XXXVI,  p.   59). 

a.  993,  16  ottobre.  Enfiteusi  di  un  orto  a  Benedetto 
e  fratelli  fatta  dal  monistero  dei  ss.  Cosma  e  Damiano 
posto  ((  infra  civitate  vetere  qui  Portuense  vocatur  »  : 
tra  i  confini  v'  è  la  rocca  e  la  via  pubblica  (Fedele,  ivi, 

p-  518). 

Secolo  X.  Singolare  incendio  nell'  aria  veduto  «  iuxta 
iiportum  huius  urbis  miliario  ab  u.  R.  decem  et  octo  » 
(Benedetto  di  s.   Andrea,  in  Pertz,  III,  715). 

a.  IO  14.  Nel  diploma  di  Enrico  imperatore  in  favore 
di  Benedetto  Vili  e  successori,  è  ripetuta  la  giurisdizione 
sul  porto  di  Roma  (Baronio,  ad  ann.). 

a.  1018,  1°  agosto.  Bolla  di  Benedetto  Vili  a  Bene- 
detto vescovo  Portuense.  Gli  concede  V  «  episcopiiim  Por- 
«  tuense  foris  civitatem  cui  vocabulum  est  sci  Ypoliti  (Isola 
«Sacra)  cum  vineis,  ortis,  clausura,  vinea  in  Cardeto  3cc. 
«  in  insula  maiore  »  ;  la  chiesa  di  s.  Lorenzo  con  l'episcopio 
(Portuense)  e  quelle  di  s.  Pietro,  s.  Giorgio,  s.  Teodoro 
e  di  s.  Vito  presso  il  fiume  (si  noti  quante  chiese  e 
quante  bizantine),  una  vigna  in  Scaraio,  una  torre  Cucii- 
XÌna  o  Cucuxiita  ed  una  in  Monton^  un  fondo  Bacanum  con 
l'appendice  dQtts.  Scriptula,  ove  sono  antiche  cisterne  «  iuxta 
<(  civitatem  Portuensem  »,  i  cui  confini  sono  l'albero  Ta- 
marice  fino  alla  colonnetta  a  due  miglia  dalla  città,  donde 
si  prosegue  per  la  Salina  (Salaria)  fino  ad  attegiam  pisca- 
ioriam  e  si  ritorna  al  mare  per  buccinam  e  lungo  il  mare 
fino  a  5.  Ninfa  ed  alla  foce  Miccina,  che  è  Y  origine  del 
moderno  nome  del  canale  Fiumicino,  che  vedremo  in  un 


^ella  Campagna  Romana  159 

atto  del  104^  denominato  fiiimìceììum  Tiberis,  ed  insieme 
i  luoghi  detti  Iiinceta  (gioncheti),  bagnaria  {haìnearia), 
porto  Traiano,  il  palatium  Progesta  (sic),  il  castello  e  la 
città  Costantiniana,  con  la  chiesa  dei  ss.  Pietro  e  Paolo 
distrutta,  e  con  le  grotte  in  cui  stanno  gli  animali  della 
chiesa.  Rilevasi  dal  seguente  contesto  la  esistenza  delle  se- 
guenti località: 

s.  Maria  in  arcu  con  cisterna  ; 

domus  dieta  balneum  Feneris; 

monasterium  s.  Agnetis  o  Jgiintiiì  ; 

fundus  Palmis  cum  casis  &c.  ; 

insula  minor  a  Scaraio  qui  fuit  portus  Traiani  presso 
Baccano  (tempio  di  Bacco,  le  cui  vestigia  stanno  ora  na- 
scoste dagli  arbusti  vicino  al  casino  Torlonia). 

f.  Gualdus  con  fili  di  saline  &c.  ; 

f.  Generula,  come  sopra; 

f.  Gualdus  maior  con  una  chiesa  di  s.  Andrea; 

la  terra  Pianura  con  cisterne  e  acquedotto  detto  ar- 
cione ; 

stagnum  Portuense,  di  cui  la  terza  parte  si  deve  alla 
chiesa  episcopale  (Marini,  lxii,  ^5-^9)  (i). 

1022,  29  maggio.  Martino  abbate  del  monistero  dei 
ss.  Cosma  e  Damiano  concede  a  Guido,  vir  nia§n,y  sino 
alla  terza  generazione,  una  casa  posta  nella  città  Portuense 
(arch.  dei  ss.  Cosma  e  Damiano,  perg.  in  Arch.  di  Stato, 
ed.  Fedele  cit.  p.  41). 


(i)  Confini  della  diocesi  Portuense  dati  dalla  bolla  stessa:  «  in- 
«  cipiente  primo  termino //air/o  ponte  (Ponte  Rotto  di  Roma)  ubi  unda 
«  dividitur  per  murum  transtiberinae  urbis  per  Septimianam  portam, 
((  per  p.  s.  Pancracii,  per  silicem  ipsius  porte  (via  Aurelia)  usque  ad 
«  pontem  marmorcum  qui  est  super  Arronem  et  ducente  per  ipsam 
«  silicem  usque  ad  Faritorum  indequc  revolvente  per  paludes  usque 
«  in  mare  indeque  (per  mare)  usque  ad  duo  miliaria  ultra  Farum  et 
«  usque  in  focetn  maiorcm  (la  foce  d'  Ostia)  »  e  risalendo  il  fiume  ri- 
tornano al  ponte  Jractnm. 


i^o  G.   Tornasse! ti 


a.  10Ì25,  maggio.  Bolla  di  Giovanni  XIX  al  vescovo 
Benedetto,  con  poche  varianti  dalla  precedente  (iMarixi 
cit.  LXiit,  70). 

a.  1025  circa.  Bolla  dello  stesso  papa  allo  stesso  ve- 
scovo. Gli  concede  il  possesso  dello  Stagnellum  makdictum 
posto  in  Porto  tra  il  campus  maior  e  la  pedica  Ticcìi  (o 
Ticoli)  (Marini,  lxiv,  70). 

a.  1041,  27  febbraio.  Anna  detta  de  Aprile  dona  al- 
l'abbate dei  ss.  Cosma  e  Damiano  una  vigna  posta  nel- 
r  isola  maggiore  nel  territorio  Portuense,  nel  luogo  detto 
Finilia  (?)  (dall'arch.  cit.  Fedele  cit.  p.  77). 

id.  12  maggio.  Teodora,  Stefano  ed  altri  vendono  al- 
l'abbate dei  ss.  Cosma  e  Damiano  un  territorio  semina- 
tivo con  quattro  cripte  poste  nel  territorio  Portuense,  presso 
la  chiesa  di  s.  Vito  martire,  per  il  prezzo  di  5  oncie  di  de- 
nari di  Pavia  (idem,  p.  81). 

a.  104^,  21  gennaio.  Sergia  vedova  di  Crescenzo  de 
Ursa  dona  all'abbate  dei  ss.  Cosma  e  Damiano  alcune 
vime  nel  territorio  Portuense  nell' z5o/^  ma^mre  e  iiixta 
flumicellum  Tiheris  (ecco  il  nome  del  canale  tiberino),  ri- 
servandosene l'usufrutto  vitalizio  (idem,  p.  8^). 

a.  1049,  X  kal.  mai.  Bolla  di  Leone  IX  a  Giovanni 
vescovo  di  Porto,  ripete  i  confini  della  diocesi  e  giurisdi- 
zione e  definisce  in  favore  della  sede  Portuense  la  que- 
stione dell'  isola  Tiberina  di  Roma  (Marini,  xlix,  84). 

a.  1058,  2  ottobre.  Rainerio  vescovo  di  Palestrina,  ret- 
tore &c.  del  monastero  dei  ss,  Cosma  e  Damiano,  loca  per 
ventinove  anni  a  Rainerio  prete  della  chiesa  dei  ss.  Qua- 
ranta un  terreno  sul  quale  possedeva,  per  metà,  una  casa, 
posto  entro  la  città  Poriuense  iiixta  miiriim  ipsiiis  civitatis, 
per  r  annua  pensione  di  due  denari  in  argento  (arch.  cit. 
Fedele  cit.  p.  99). 

1074- 1075,  9  novembre.  Il  cardinale  Falcone,  rettore 
e  dispensatore  del  monastero  dei  ss.  Cosma  e  Damiano, 
concede  a  Benedetto  ed  a  Clavello,  suo  figlio,  un  terreno 


niella  Campagna  Romana  i6i 

posto  nel  territorio  Portuense  nelF  Isola  maggiore,  nel  luogo 
detto  Campitelli,  affinchè  lo  riducano  a  vigna,  col  patto 
che  se  ne  divida  il  frutto  e  che  essi  provvedano  al  cibo 
del  ministeriale  del  monastero  quando  vi  si  rechi  (idem, 
p.  411). 

a.  108^-1088.  Di  Vittore  III  ci  è  noto  che  a  civiiatcm 
«  Hostiensem  et  Portuensem  in  sui  iurisdictione  tenebat  0 . 
Era  dunque  abitato  e  valeva  abbastanza.  Si  accamparono  i 
soldati  della  contessa  Matilde  nell*  Isola  Sacra  {Chron. 
Cassili,  in  Muratori,  RR.  IV,  477). 

a.  1091,  3  gennaio.  Cintio,  priore  del  monastero  dei 
ss.  Cosma  e  Damiano,  e  Giovanni,  monaco  e  prete  di 
s.  Maria  in  Arco,  concedono  a  Franco  di  Berta  e  a  Ste- 
fano di  Berta,  cognati,  un  pezzo  di  terreno  posto  nel- 
r  isola  Portuense  «  ubi  dicitur  Vasi  et  Campitellum  »,  affin- 
chè lo  riducano  a  vigna,  coll'obbligo  di  dar  loro  ogni  anno 
la  quarta  parte  del  frutto  totale  e  la  decima  del  rimanente 
(arch.  cit.  Fedele  cit.  p.  429). 

a.  1 1 1 8,  2  marzo.  Gelasio  II,  nella  lotta  per  le  investi- 
ture, fugge  da  Roma  con  due  navi  e  giunge  ad  Portuiìiy 
dove  è  sorpreso  da  una  gran  bufera  «  ut  vix  in  por  tu  »,  dice 
il  diacono  Pandolfo  che  vi  si  trovava,  «  vivi  remanere 
«  possemus  nedum  mare  intrare  »  (Pano,  in  Watterich, 
FF.  PP.  RR.  II,  98).  Questo  è  V  ultimo  documento  che  at- 
testa la  navigazione  fatta  del  canale  di  Fiumicino  fino  al- 
l' età  moderna. 

a.  1120.  Unione  della  sede  vescovile  Portuense  con 
quella  di  Selva  Candida,  di  s.  Rufina,  fatta  dal  papa  Cal- 
listo II.  (Nota  il  Giorgi  che  non  sempre  i  vescovi  succes- 
sivi portarono  il  titolo  congiunto;  de  cath.  Setina,  p.  145). 
Del  resto  non  fu  lo  spopolamento  di  Porto  che  indusse  il 
papa  a  questa  riunione,  quanto  quello  di  s.  Rufina  o  Selva 
Candida;  come  ancora  il  conflitto  di  giurisdizione  e  di  con- 
fini, che  altrove  abbiamo  osservato.  Dopo  un  secolo  ve- 
dremo la  causa  della  disabitazione  di  Porto. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XXIII.  1 1 


1(3  2  G.  Tomassetti 


a.  1123,  7  giugno.  Nella  ripetuta  bolla  di  Calisto  II, 
per  s.  Maria  in  Trastevere  «  totam  hereditatem  quam  intra 
«  vel  extra  Portuensem  civitatem  habetis  in  terris,  casis  et 
«  vineis  et  ibidem  viginti  partes  filorum  de  salinis  «. 

a.  lì 66.  Il  commercio  del  porto  di  Roma  non  era  de- 
caduto in  questo  tempo,  quando  esso  venne  nominato  nel 
trattato  di  navigazione,  che  ho  già  collocato  pure  nella 
serie  Ostiense,  tra  Romani  e  Genovesi  {Monum,  hist.patriae, 
Chart.  II,  997). 

a.  1204,  ^  novembre.  Pietro  d'Aragona  approda  di- 
visola sacra,  per  venire  in  Roma  e  farsi  incoronare  da 
Innocenzo  III  {Gesta  Inn.  Ili,  e.  30). 

a.  1206.  Transazione  fra  Cinzio  del  quondam  Nicolò  di 
Cinzio,  con  cui  cede  a  Giovanni  di  Girolamo  la  terza  parte 
delle  terre  che  possiede  nel  territorio  Portuense  già  ap- 
partenenti air  avo  ed  all'  ava  materna  (nelF  arch  Orsini, 
II,  A,  I,  pergam.  9). 

a.  1212,  ^  maggio.  Vendita  di  una  pedica  di  terra  se- 
minativa posta  in  Pielvovola,  territorio  di  Porto,  fatta  dai 
coniugi  Bonifazio  e  Maria  Astalli  a  favore  di  Giovanni 
Guidoni  per  la  somma  di  lire  diciassette  di  boni  provisini, 
confinante  con  il  fiume,  la  forma,  ed  i  beni  della  chiesa 
di  s.  Ippolito  (arch.  Orsini,  II,  A,  I,  perg.   12). 

a.  122^.  Le  operazioni  ostili  del  conte  Riccardo  di 
Sora,  in  Ostia  e  in  tutto  il  tronco  inferiore  del  Tevere, 
ebbero  per  base  Y ìsola  sacra  {Cron.  di  Tours,  in  Reciieil 
des  hist.  des  Gaules,  XIII,  3 1 1).  Onorio  III  cercò  di  met- 
terlo a  dovere  con  una  bolla  che  ho  ricordato  sotto  Ostia. 

a.  1236,  2  agosto.  Bolla  di  Gregorio  IX,  che  conferma 
la  unione  delle  due  diocesi  Ostiense  e  Portuense,  alle- 
gando la  diminuita   popolazione  di  ambedue  (Ughelli). 

a.  1256.  Che  Porto  fosse  deserto  o  quasi  in  quest'anno 
è  attestato  dalla  relazione  del  monaco  Goffredo,  che  vi  andò 
allo  scopo  di  cercarvi  corpi  di  santi  (De  Rossi,  Bull,  crisi. 
1870,  pp.  38-41). 


^ella  Campagna  T^omana  1^3 

a.  12^5,  19  maggio.  Carlo  d'Anjou  sbarca  a  Porto 
{v.  fonti  in  Gregorovius  cit.  X,  i,  3). 

a.  1300  circa.  Bonifacio  Vili  concede  in  nobile  feudum 
a  Tancia  vedova  di  Annibaldo  di  Francesco  Paolo  Stefa- 
neschi  ed  ai  figli  di  essa,  il  «  castrimi  Porius  cum  fortilitio 
<(  seu  Rocca  Troiano  (sic)  portu,  piscaria  et  rebus  aliis  &c. 
<(  ad  episcopatum  Portuen.  pieno  iure  spectantia. ..  usque 
«  in  sextam  generationem  sub  annuo  censu  unius  apri»  (da 
bolla  di  Bonifacio  Vili  in  cod.  Vat.  ^952,  fol.  139,  Navone 
Giulio  in  Arch. della  R.  Soc.  rom.  di  stor.  patr.  1878,  p.  23  i). 

a.  1347.  «  Beni  (case,  vignie,  orti,  selve  &c.)  che  sta- 
<(  van  in  porto  in  loco  detto  insula,  quali  erano  lochati  in 
«  terza  generatione  a  un  certo  signor  Francesco,  homo 
«  nobile  et  principale,  la  qual  locatione  aveva  fatta  suor 
«  Thomassa  (abbadessa  di  san  Cosimato)  la  quale.  .  era 
mestata  maritata  al  signor  Martino;  le  qual  robe  che  liti- 
((  gava  li  erano  richadute  »  (Cronica  o  Storia  di  suor  Or- 
sola in  bibl.  V.  E.  fol.  92  b;  v.  Gabrielli  A.,  Epistolario 
di  Cola  di  Rien:(o,  pp.  254-255,  perchè  tal  sentenza  è 
importante  siccome  data  dal  tribuno  candidatus  Spiritns 
Sancti  &c.). 

a.  1347,  luglio.  Martino,  nipote  del  cardinal  di  Cec- 
^ano  (Stefaneschi),  era  signore  di  Porto.  Cosi  si  spiega, 
anche  su  questo  luogo  della  campagna  romana,  T  azione 
-deleteria  del  feudalismo.  Egli  saccheggiava  bastimenti  e  ti- 
ranneggiava i  pochi  abitanti.  Fu  per  ordine  di  Cola  di 
Rienzo  preso  ed  appiccato  (Cron.  toni,  o  Vita  di  Cola,  l, 
II,  ov*  è  detto  Martino  de  Puorto  e  che  aveva  grosso  idro- 
pico ventre  e  gambe  sottili  cosi  che  liuto  da  sonare  parea). 
Se  non  fosse  stato  cosi  abbattuto,  esso,  come  capo  di  po- 
tentissima famiglia  trasteverina,  sarebbe  divenuto  il  perno 
di  una  fLimiglia  feudale  di  conti  o  duchi  di  Porto,  da  ag- 
giungersi alle  moderne  f;imiglie  romane  principesche.  Ri- 
vedremo tuttavia  i  successori  di  lui  in  possesso  di  privilegi 
in  Porto,  nel  1378. 


1^4  O.   Tornasse t ti 


a.  1377,  14  gennaio.  Gregorio  XI,  come  già  ho  no- 
tato sotto  Ostia,  sbarca  presso  quella  città,  che  il  cronista 
contemporaneo  Pietro  Amelio  chiama  fiulìius  existentiae; 
perciò  io  non  dovrei  collocare  questo  fatto  nella  storia  Por- 
tuense;  ma  poiché  mi  è  capitato  una  nuova  notizia,  dopo 
pubblicata  la  storia  Ostiense,  riguardante  il  risalimento  del 
fiume  fatto  dalla  galera  conducente  il  pontefice,  credo  ne- 
cessario di  collocarla  in  questo  punto:  «  Dieta  die,  fue- 
«  runt  soluti  ibidem  lacobo  Estornei  de  Massilia  tradendi 
«  per  eum  quatuor  pilotis  qui  in  sua  galera  conduxerunt 
«  domìnum  nostrum  de  Ostia  usque  Romam,  ipso  per 
«  manus  supradicti  domini  Petri  de  Morteriis  recipiente, 
«  .X.  franch.  valentes  computati  ut  supra  (io  florenos 
«  cam.  =  20  sol.  Avenionenses)  »  (dal  registro  Vaticano 
Introitus  et  exitus,  n.  345,  ed.  Kirsch  Io.  Peter,  Die 
Rikkkehr  der  PP.  Urban  V  und  Greg.  XI  von  Avignon  nach 
Rom,  Paderborn,  1898,  p.  224). 

a.  1378  e  sQgg.  Le  più  antiche  memorie  della  o^(2^^//^ 
di  s.  Ippolito,  che  mi  è  riuscito  di  trovare,  alcune  delle 
quali  sono  state  accennate  anche  dal  Coppi  (^Atti  Accad. 
archeol.  to.  XV,  300),  sono  le  seguenti,  che  desumo  dalla 
Miscellanea  del  cardinal  Garampi,  il  quale  le  trasse  dal  Hbro 
delle  investiture  dell'  archivio  Vaticano. 


[Sub  Urbano  VI.]  Portus,  castrum  Portuensis  dioecesis,  cum  pi- 
scaria  et  aliis  rebus  de  pertinentiis  dìcti  castri  alias  concessum  Ani- 
baldo  Francisci  Pauli  de  Stephanescis  domicello  romano  per  Petrum 
card.  Portuensem  sub  annuo  censu  200  fior,  auri,  et  vacante  post- 
modum  Portuen.  Ecclesia  per  Cameram  Aplicam  confirmatum  Lau- 
rentio  et  Petro  filiis  dicti  Anibaldi,  nunc  per  tres  annos  et  sex  menses 
eisdem  fratribus  pensio  remittitur  convertenda  in  dotem  Pernae  eorum 
sororis  si  et  quando  dieta  Perna  nupserit  (in  Antiqids,  II,  234;  in 
Islovis,  lib.  I). 

[Sub  Bonifatio  IX.]  Gabella  ampulae  s.  Hippoliti  quae  consistit 
in  recipiendo  unum  barrile  vini  de  quolibet  navigio  vino  onerato  in- 
tranie  fauces  Tyberis  quae  gabella  prò  pretio  quatuordecim  aut  vi- 
giuti  florenorum  auri  annuatim  locari  consuevit,  quaeque  ad  praesens 


^ella  Campagna  Romana  i6^ 


vacabat  et  nemini  locata  erat  ad  vitam  Bucciarono  Neapoleonis  civi 
romano  sub  annuo  censu  unius  paris  pernicum  (in  Antìq.  II,  305  ;  in 
Novis,  lib.  io). 

[Sub  Eugenio  IV.]  Regimen  ampulae  s.  Hippoliti  de  ripa  romana 
et  receptio  reddituum  eidem  ampulae  obvenientium  nobilibus  mulie- 
ribus  de  domo  de  Stephaneschis  per  summos  pontifices  alias  concessa 
et  saepius  confìrmata  fuerat,  Eugenius  autem  ad  petitionem  Cecco- 
lellae  de  Stephaneschis  et  Ludovicae  uxoris  Annibalis  de  Stephane- 
schis ut  regimen  dictae  ampulae  debite  fiat,  mandat  Onuphrio  de 
Sancta  Cruce  Lateranensi  et  Geòrgie  de  Cesarinis  et  Laurentiio  Sancti, 
canonicis  basilicae  principis  Apostolorum,  ut  regimen  ampulae  et  reco- 
gnilionem  introituum  huiusmodi  cum  omnibus  et  singulis  heribus  {sic) 
et  pertinentiis  eisdem  mulieribus  tenendam  regendam  committant  cum 
hac  conditione  ut  onera  incumbentia  dictae  ampulae  debeant  suppor- 
tare, alias  eadem  administratione  censeantur  penitus  indignae  (in  An- 
tiquis,  II,  149;  in  'Novìs,  lib.  io). 

[Sub  Calisto  III.]  Concessio  facta  de  regimine  et  introitibus  am- 
pulae s.  Hippoliti  in  ripa  malori  nobilibus  mulieribus  de  Stephane- 
schis de  Urbe  per  Eug.  IV  ac  per  lohannem  tit.  s.  Laurentii  in  Lu- 
cina presb.  cardinalem  confirmatur  Ceccolellae  de  Steph.  uxoris  {sic) 
Antonii  Lancellotti  de  Palermo  et  Ludovicae  uxori  Annibalis  de 
Steph.  (in  Anliq.  II  de  Cur.  85;  in  Novis,  lib.  16). 


Vedemmo  già  la  signoria  degli  Stefaneschi  in  Porto. 
Ora  da  queste  notizie  della  gabella  di  s.  Ippolito  rilevasi 
eh'  essi  ne  furono  gli  affittuari.  Dal  protocollo  di  Antonio 
de  Scambiis  ad  ann.  1398  risultano  notizie  circa  il  subaf- 
fitto che  essi  facevano  ai  venditori  del  pesce  del  diritto  di 
pesca  (v.  Navone  cit.  p.  230). 

a.  14(33,  24  gennaio.  «  Pii  II  sententia  in  favorem  ca- 
ci nonicorum  et  capituli  s.  Petri  de  Urbe  contra  et  adversus 
«  episcopum  Portuensem  super  nonnullis  salinariis,  galangis 
<(  et  fossatis  cum  Litoribus  (J)  ad  pascua  et  ad  sai  facien- 
«  dum  sita  in  Campo  Salnìo  {sic)  prope  mare  et  fauces 
«  Tyberis  ac  prope  Portum  Trnyaimm.  Datum  Roniae 
«  .IX.  kal.  feb.  ann.  .vi.  »  (lib.  XXIX  Bull  Pii  II,  p.  58  b; 
Aa  Investii,  lib.  XIX,  p.  213,  armad.  3;  arch.  Vatic.  Cro- 
nologico, to.  VII,  fol.  66 f). 


i66  G.  Tomassetti 


a.  14^3,  28  gennaio.  «  Pii  II  sententia  definitiva  m 
«  causa  vertente  inter  cardinalem  episcopum  Portuensem 
«  et  Bernardum  titilli  s.  Sabinae  commendatarium  mona- 
«  sterii  s.  Anastasii  ad  Aquas  Salevias  {sic),  capitudum 
«  s.  Petri,  et  Cecolellam  de  Stephanescis  super  possessio- 
«nibus  et  territoriis  in  Insula  Portiiense  qu^iQ  adiudicantur 
«  monasterio  praedicto  »  (lib.  XXIX  Bull.  Pii  II,  p.  160 -, 
Aa  Divers.  lib.  XVIII,  p.  217,  armad.  3;  arch.  Vatic.  Cro- 
nologico, to.  VII,  fol.  6^5).  Descrive  Pio  II  la  foce,  la 
quale  non  avea  che  tre  braccia  di  profondità  per  V  arena^ 
e  guai  al  marinaro  che  vi  entrava  senza  pilota  {Coment.  XI, 
302,  ed.  Francoforte,  1^14).  EgU  vi  sofferse  una  gran  tem- 
pesta e  vide  un  enorme  pesce,  creduto  un  delfino,  che 
fu  preso  e  divorato  alla  mensa  da'  suoi  cortigiani. 

a.  1483,  II  novembre.  Sisto  IV  si  reca  da  Ostia  a 
Porto,  dove  il  card,  vicecancelliere  gli  fece  trovare  un 
pranzo  plusquam  pontifici um.  Dopo  il  pranzo  fece  un'escur- 
sione in  mare,  perlustrando  la  spiaggia  ed  ammirando 
le  rovine  (muri  «  vetustissimi  portus  et  pene  collisi  et 
«  pharos  turris  adeo  ut  etiam  hodìe  eius  vocabulum  ser- 
(cvet)»,  che  pertanto  erano  ancora  ben  considerevoli  e 
tanto  degne  di  essere  studiate  che  il  cronista  vi  aggiunge 
subito  una  digressione  sulla  storia  del  porto  di  Claudio 
e  relative  vicende  (Volaterranus  in  RR.  It.  SS.  XXIIIy 
p.  191). 

a.  148^,  19  giugno  ((  Robertus,  noctis  tempore,  et  se- 
«  creto  modo  se  ad  Urbem  contulit  ferturque  visum  fuisse 
«  in  palatio  &c.  Dux  Calabriae  descendit  in  partibus  trans- 
«  tiberinis  et  quando  stabat  in  uno  loco,  quando  in  alio. 
«  visus  fuitpropemare  et  civitatem  Portuensem))  (Infessura, 
ed.  cit.  p.  201). 

a.  1490,  20  novembre.  «Papa  recessit  ab  Urbe  (Inno- 
((  cenzo  VIII)  ivitque  ad  civitatem  Ostiensem,  ubi  fuit 
«  benigne  susceptus  a  cardinale  s.  Petri  in  Vincula,  et 
«  deinde  a  vicecancellario  (il  cardinal   Borgia)  in  civitate 


'Della  Campagna  ^I^mana  167 

«  Portuensi,  ubi  per  decem  dies  triumphavit;  deinde  ad  Ur- 
ei bem  reversus  est  »   (Infessura  eh.  p.  261). 

a.  1492.  Tra  le  liberalità  fritte  da  A.lessandro  VI,  ap- 
pena eletto^  si  legge  che  :  «  cardinali  s.  Angeli  (Micheli  ?) 
«  episcopatum  Portuensem  cum  tiirri  et  cum  omni  siippel- 
«  lectili  ibi  exisUntc  concessii  et  ibi  inter  alia  erat  una  cella 
a  vinaria  piena  vino»   (Infessura  cit.  p.  281). 

a.  1494.  Alessandro  VI  fa  costruire  il  recinto  dell'epi- 
scopio, nel  quale  veggonsi  tuttora  le  sue  arme  e  riman- 
gono alcune  fenestre  marmoree  crociate  dell'epoca,  nel 
lato  prospiciente  Roma. 

a.  1495,  4  marzo.  «  Florenos  100  de  carlenis  .x.  magi- 
«  stro  Gratiadeo  muratori  prò  residuo  expensarum  facta- 
«  rum  per  eum  apud  Ostiam,  Portum  et  castrum  s.  An- 
«  geli  »  (archivio  Vaticano,  Div.  Cam.  Muntz,  Les  arts  à 
la  cour  de  P.  Ili,  p.  221). 

a.  1495,  19  agosto.  «Florenos  347  auri  de  camera  ma- 
«  gistro  Francisco  de  Padua  muratori  prò  residuo  fabricae 
«  et  expensis  provisionatorum  in  Portu  »  Cdall'archivio  Va- 
ticano, Muntz  cit.  p.  224). 

Con  questa  notizia  chiudo  la  storia  di  Porto  nell'antico 
e  nel  medio  evo.  Per  T  età  moderna  non  v*  è  da  regi- 
strare, che  una  continua  decadenza.  Nell'anno  155^  vi  si 
accamparono  i  soldati  del  cardinal  Carafii  per  la  guerra 
contro  gli  Spagnuoli.  Ristauri  continui  alle  chiese  super- 
stiti vengono  attestati  dalle  numerose  lapidi  moderne  dei 
cardinali  titolari.  Il  Tassoni  lamentava  il  porto  di  Traiano, 
lacero  e  guasto  in  misera  ruina.  Gregorio  XIII  fece  accomo- 
dare il  canale  Traiano  da  Giovanni  Fontana  ;  ma  esso  fu  ro- 
vinato dalla  famosa  inondazione  del  1598.  Ho  già  detto, 
nella  silloge  Ostiense,  che  questa  idea  dovette  essere  sug- 
gerita dallo  sbarco  di  alcuni  corsari  quivi  avvenuto  nel  1579. 
Egli  kcQ  ristaurare  la  bella  torre  di  s.  Ippolito  nell'isola, 
ch'è  di  sei  piani,  ed  è  la  sola  pittoresca  ed  antiquaria 
attrattiva  di   quel    malinconico  sito.  Paolo  V,  nel   j6i2, 


1 6S  G.   Tomassetti 


col  riattivare  il  canale  di  Fiumicino,  ha  ridonato  un  poco 
di  vita  alla  tenuta,  ma  non  ha  ricostruito  la  scomparsa  città. 
Una  lapide  apposta  alla  casetta  di  Capodiierami,  donde 
parte  il  canale,  ricorda  il  fatto  (Fea,  Tevere  navigabile, 
p.  39).  Trovo  un  giornale  di  bordo  del  1^50  incirca,  re- 
datto da  Obizo  Guidetti,  cavaliere  Gerosolimitano  da  Bo- 
logna, nel  suo  viaggio  in  Levante  (archivio  Colonna,  Mise, 
storica').  Ai  fogli  48  e  49  sono  disegnate  ambedue  le  foci 
Fiumicino  (senza  centro  abitato  né  torre),  Ostia  col  nome 
foce  di  Roma  e  con  la  tor  s.  Michele.  Il  castello  di  Porto  è 
disegnato  nel  suo  sito  esattamente.  Nel  1701,  la  popola- 
zione di  Porto  era  di  99  abitanti  {Noia  dei  luoghi  delle  Pro- 
vincie &c.  dello  Stato  ecclesiastico  alF Archivio  di  Stato).  Sulla 
colonna  di  destra  che  orna  la  porta  del  recinto  dell'  epi- 
scopio è  graffito  rozzamente  il  nome  di  FI.  Stilicho,  e  forse 
dell'epoca  di  questo  generale.  Sull'alto  della  porta  si  legge 
la  seguente  iscrizione:  d-o-m  \  fridericns  s-r-e-card-lan- 
t>:s  I  epns  '  portuensis  \  commodiori-  successornm  \  stationi  \  has 
acdes  suppellectili  instruxit  \  portam  •  aperuit  •  vias  •  stratas  \ 
arboribus ' ornavit  a-mdcclxxi.  La  raccolta  dei  marmi  por- 
tuensi  nel  cortile  e  nelle  stanze  dell'episcopio  fu  fatta 
nel  1822.  La  tenuta  di  Porto  fu  venduta  nel  185^,  26  aprile, 
dal  marchese  Stefano  Ludovico  Pallavicini  e  Teresa  Corsi 
al  principe  don  Alessandro  Torlonia  per  scudi  283,450,  in- 
sieme con  quelle  di  Fignola  e  Chiesola  (atti  Filippo  Bacchetti). 
Il  borgo  di  Fiumicino  è  del  secolo  xix.  Nel  1815,  il 
tesoriere  pontificio,  monsignor  Belisario  Cristaldi,  ha  fatto 
edificare  le  case  di  Fiumicino,  che  ha  sostituito,  in  mode- 
stissime proporzioni,  l'antica  civitas  Constantiniana,  ma  ben 
più  lungi  da  quella,  di  cui  vediamo  tuttora  le  mura.  Il  sito 
di  Fiumicino  corrisponde  a  quello  che  nel  secolo  undecimo 
era  detto  pulverinula  (Marini,  Papiri,  p.  66).  La  torre 
sulla  foce  moderna  è  opera  di  Clemente  XIV,  di  cui  si 
scorge  lo  stemma  marmoreo;  e  da  essa  si  gode  una  deliziosa 
vista  del  littorale  romano.  q    Tomassetti. 


'Della  Campagna  ^oJiiana  i6<) 


APPENDICE 

ALLA     VIA      PORTUENSE 


Fondi  di  sito  incerto: 

Vigna  aaiiusdam  Urhevetani  extra  portsim  Portuensem», 
ove  fu  trovata  la  lapide  di  Arruntia  Proba  (dalle  schede 
del  Giorgi  alla  Casanatense,  voi  XVI). 

«  Praediolum  Felicis  II  papae»  (v.  De  Rossi,  5/^//.  Crisi. 

1883,  p.  35^ 

Ermesate,  Tnilhis  de  Maximo,  Ventre  Buhìo,  Ceconioìa 
(negli  atti  di  s.  Maria  in  via  Lata  dal  1251  al  1348,  in 
cod.  Vat.  8050,  fol.  49  e  57). 

Posso  completare  le  indicazioni  con  un  documento 
di  s.  iMaria  Nova  sulla  pubblicazione  in  corso  del  dot- 
tor Fedele,  quale  è  :  pel  territorio  di  Galeria  V  atto 
del  1002,  ottobre,  che  attesta  la  esistenza  di  una  chiesa 
dei  ss.  Cosma  e  Damiano  confinante  con  una  terra  Caii- 
napina  e  di  una  cisterna  antiqua  (Fedele,  Tabularinm 
5.  M.  Novae  ncìVArch.  d.  R.  Soc,  roni.  d.  st.  patr.  XXIII,  185). 

In  questa  occasione  faccio  anche  un'addizione  e  due 
rettifiche  riguardanti  la  Ma^ìiana. 

L'aggiunta  è  un  documento  del  1391,  23  aprile.  Odone 
de  Ortasegni  degli  Amateschi  di  l\oni;i  coinpcr.i  dalla  ba- 
silica A'aticana  il  casale  Sacilano  fuori  la  porrà  Portiicnsc 
(fin  loco  qui  dicitiir  la  Mii^^^luiìia  »  lasciato  da  I.cllo  Quai- 
trani  con  testaincnto  del  1334  alla  basilica  suddetta  (archi- 
vio Santacroce,  pergam.  IV,  14).  Le  rettifiche  sono:  1"  che 


170     G.  Tomasseiti  -  ^ella  Campagna  T{omana 

la  monografia  del  compianto  Schultze,  da  me  non  ve- 
duta, è  inserita  nella  Zeitschriet  filr  Rauiuesen  del  1895  a 
pp.  175-183,  e  che  un  esemplare  n'esiste  in  Roma  nella 
biblioteca  della  Scuoia  d'applicazione  degl'ingegneri',  2°  che 
il  pagamento  di  lire  100  fatto  ai  28  nov.  1521  a  Giuliano 
da  Sangallo  dev'essere  stato  fatto  al  figlio  Gio.  Francesco, 
essendo  mancato  il  padre  fin  dal  15 16  ai  20  di  ottobre. 
Debbo  queste  due  osservazioni  alla  cortesia  del  eh.  De 
Fabriczy. 

G.  T. 


Tahuìarinm  S.  Mariae  TsLovae 

AB  AN.   982   AD  AN.    I200 


Introduzione. 


.  A  nuova  serie  di  documenti  che  presentiamo  agli 
f'J^Wo  studiosi  della  storia  di  Roma  nel  medio  evo,  sarà, 
^,  forse,  per  riuscire  ad  essi  non  meno  gradita  di 
quella  del  monastero  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano  in  Mica 
Aureay  pubblicata  già  nQÌY Archivio  della  R.  Società  romana 
di  storia  patria  (i).  Le  carte  di  quel  monastero  si  riferivano 
universalmente,  tolte  ben  poche,  alla  campagna  di  Roma, 
e  ne  illustravano  la  topografia  e  le  condizioni  economiche 
nei  secoli  x  e  xi;  i  documenti  invece,  di  cui  imprendiamo 
ora  la  pubblicazione,  si  riferiscono,  per  la  massima  parte, 
alla  città  stessa  di  Roma,  anzi  ad  una  delle  sue  più  nobili 
regioni,  e  ci  porgono  preziose  notizie  per  un  periodo  di 
tempo  nel  quale  le  fonti  topografiche  contemporanee  mag- 
giormente scarseggiano. 

Notai  già  altra  volta  (2)  come  le  antiche  chiese  del 
Foro,  che  nella  mente  tanti  ricordi  destano  della  storia 
medievale  di  Roma,  dovettero,  molto  probabilmente,  come 
ogni  altra  chiesa,  possedere  un  proprio  archivio.  Ma  ora 


(0  XXI,  499  sgg.;  XXII,  26  sgg.,  3P,4  sgg. 

(2j    .//./•/:■;■.<  ./,/.'.;    R.  Soc.   ioni,  ili  ,./.  jhitiiu,  XXII,    559  Sgg. 


172  T.  Jedele 


ogni  cosa  è  perduta!  I  documenti  della  diaconia  dei 
Ss.  Sergio  e  Bacco  dovettero,  nel  secolo  xvi,  andar  di- 
strutti con  la  chiesa  stessa;  nulla,  a  mio  sapere,  conservano 
le  diaconie  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano  (i)  e  di  S.  Adriano. 
La  chiesa  di  S.  Lorenzo  in  Miranda  ha  solo  documenti 
d' età  posteriore.  L' unica  chiesa  del  Foro  che  possieda 
ancora  un  archivio  importante,  è  quella  di  S.  Maria, 
<(  quae  olim  Antiqua,  nunc  autem  Nova  vocatur». 

Ed  è  vera  fortuna,  se  1*  archivio  di  S.  Maria  non  abbia 
subito  le  stesse  tristi  vicende  che,  specialmente  in  quest'ul- 
timo secolo,  hanno  incontrato  altri  archivi  medievali  di 
Roma,  di  molti  dei  quali,  distrutti  o  tolti  alle  loro  sedi 
primitive,  non  è  rimasta  neppur  traccia.  Non  si  può,  per 
esempio,  senza  vivo  rimpianto,  pensare  alla  dispersione 
dell'  archivio  di  S.  Gregorio  e  S.  Andrea  in  clivo  Scauri 
che,  nel  1825,  possedeva  ancora  tremila  documenti  e  tre- 
cento manoscritti  (2):  dispersi  gli  archivi  dei  Ss.  Alessio 
e  Bonifazio  sull'Aventino,  di  S.  Lucia  in  Selci,  di  S.  Lo- 
renzo in  Panisperna,  onde  trascrisse  il  Galletti  cosi  nume- 
rosi documenti  (3);  esulato  fuori  di  Roma  l'antico  e  pre- 
zioso archivio  di  S.  Maria  in  Campo  Marzo  :  è  tutta  insomma 
una  fatale  opera  di  distruzione  dei  poveri  avanzi  della 
storia  medievale  di  Roma! 

E  se  l'archivio  di  S.  Maria  Nova  non  andò,  come 
tanti  altri,  disperso,  lo  dobbiamo  all'  opera  solerte  dei  mo- 
naci di  Monte  OUveto  che,  seguendo  le  nobili  tradizioni 
Benedettine,  fin  dalla  metà  del  secolo  xiv,  quando  la 
chiesa  di  S.  Maria  Nova  fu  a  loro  affidata,  ne  hanno,  con 

(i)  I  documenti  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano  citati  dal  Bethmakn 
(Neues  ArchìVy  II,  360),  non  si  riferiscono  già  alla  diaconia  del  Foro, 
né  sono  punto  diversi  da  quelli  che  egli  ricorda  più  innanzi  (ibid.  361), 
come  appartenenti  a  S.  Cosimato. 

(2)  Cf.  Nachrichten  iiher  Jdeinere  Bibliotheken  iind  Archive  in  Roniy 
aus  L.  Bethmanns  Papkren  in  Neiies  Archiv,  II,  361. 

(3)  Si  trovano  i  più  nei  codd.  Vat.  lat.  7930,  7946,  8054. 


Tabulariuìii  S.  €Mariae  V^vac  173 


cura  amorosa,  custodito  T  archivio.  E  dobbiamo  partico- 
larmente indicare  alla  gratitudine  degli  studiosi  il  nome 
dell'  ab.  Pietro  Maria  Rosini  che,  essendo  archivista  del- 
l' ordine  Olivetano,  pose  cure  speciali  nel  riordinamento 
e  nella  conservazione  delle  carte  di  S.  Maria  Nova.  Le 
pergamene,  avvolte  prima  in  rotuli  e  custodite  in  capsule, 
furono  da  lui,  dopo  che  T  ebbe  riordinate  e  datate,  stu- 
diandosi anche  di  restaurare  quelle  guaste,  riunite  in  vo- 
lumi, sulla  costola  dei  quali  segnò  il  titolo  :  «  lurium 
«  Ecclesiae  et  Monasterii  S.  Mariae  Novae  tabula  »,  con 
il  numero  progressivo  di  essi.  Poi  compose  una  diligente 
Rubrìca,  ossia  un  indice  nel  quale  dette  un  rapido  rias- 
sunto dei  singoli  documenti,  divisi  per  secoli,  aggiungen- 
dovi un  elenco  di  nomi  e  di  luoghi  (i).  In  una  breve 
prefazione  premessa  a  questo  paziente  lavoro,  il  dotto 
abate  dice  di  essere  stato  indotto  a  farlo,  perchè  «  lo  smar- 
«  rimento  di  alcune  [carte]  ed  il  pericolo  di  perdere  le  altre, 
«  atteso  il  commodo  di  levarle  separatamente,  ed  ancora 
«  di  nascosto,  hanno  fatto  conoscere  la  necessità  di  rac- 
«  coglierle  ad  uso  dei  Protocolli,  e  secondo  la  serie  degli 
«  anni,  acciò . . .  riesca  più  facile  il  ritrovarle,  quando  ...  sia 
«noto  l'anno».  L'indice  da  lui  compilato  mostra  vera- 
mente, non  ostante  le  mende  scusabili  in  un  lavoro  cosi 
difficile,  quanta  fosse  la  sua  perizia  nella  paleografìa  e 
nella  diplomatica,  scienze,  ai  suoi  tempi,  ancora  bambine. 
Chi  perciò  volesse  scrivere  una  storia  dell'erudizione 
e  degli  studi  archivistici  in  Roma,  -  e  sarebbe  un  lavoro 

(i)  Ardi,  di  S.  Maria  Nova,  Rubrica  delle  tavole  segnate 
«lurium  Ecclesiae  et  Monasterii  S.  Mariae  Novae»  fatta 
sotto  il  governo  dei  rmo  P.  abate  D.  Francesco  M*  Fiori 
di  Fabriano  da  D.  Pietro  M*  Rosini,  archivista  olivetano, 
nell'anno  1766  in  Roma.  È  un  manoscritto  cartaceo,  legato  in 
pergamena,  di  275  pagine,  e  contiene  il  riassunto  di  tutti  i  documenti 
dell'archivio  fino  all'anno  1763.  Vi  è  aggiunto  un  Invcntarium 
honorum  ecclesiae  S.  Mariae  Novae  de  Urbe  ac  S.  An- 
geli in  Piaulis  Tyburis,  pp.  233-252. 


174  "P-  J<^dde 


pieno  di  utili  ammaestramenti  -,  non  dovrebbe  dimenti- 
care l'abate  Pietro  Maria  Rosini.  Nato  in  Venezia  il  27  ot- 
tobre del  1728,  vesti  il  saio  benedettino  nel  novembre 
del  1743,  e  r  anno  seguente  (17  novembre  1744)  fece 
la  solenne  professione  religiosa  (i).  A  lui  furono  affidate 
le  cariche  più  onorevoli  ed  importanti  della  congrega- 
zione Olivetana:  archivista,  cancelliere,  segretario  generale, 
abate.  Dimorò  presso  S.  Maria  Nova  di  Roma  fino 
al  1798,  quando  dalle  vicende  politiche  fu  costretto  ad 
esulare  presso  la  badia  di  S.  Elena  in  Insula  di  Venezia, 
ove  fu  eletto  abate  nel  1799.  Nel  1805  ebbe  il  governo 
della  badia  di  S.  Maria  in  Organo  di  Verona.  Soppresso 
questo  monastero,  si  rifugiò  in  Adria,  presso  la  badia  di 
S.  Maria,  ove  si  spense  il  io  maggio  del  1807,  vecchio 
di  settantanove  anni  (2).  E  fu  la  sua  una  vita  veramente 
operosa.  Poiché  non  solo  egli  ordinò  l'archivio  di  S.  Maria 
Nova  di  Roma,  ma  anche  quello  di  Monte  Oliveto  di 
Napoli  e  quello  dell'  abbazia  di  Monte  Oliveto  Maggiore; 
riordinamento  che  egli  fece  «  con  beli'  ordine  ed  eleganza 
«  che  degno  sarebbe  certamente  d'  essere  norma  e  mo- 
((  dello  ad  altri  depositi  d'  antiche  carte  e  monumenti  pre- 
ce ziosi  »  (3).  In  quest'ultimo  monastero  fondò  anche  un 
museo  di  cose  naturali.  Non  crediamo  quindi  immeritato 
r  elogio  che  nel  Liher  mortuorum  Montis  Oliveti  Maioris 
troviamo  fatto  al  Rosini.  «...  quicquid  esset  historiae  tum 
«  veteris,  tum  recentis,  sive  ecclesiasticae,  sive  prophanae 
«  optime  tenebat.  Antiquis  quoque  characteribus  extitit  pe- 
ce ritissimus,  ac  propterea  ipsi  demandata  cura  in  ordinem 


(i)  Arch.di  S. Maria  Nova,  Familiarum  tabulae,  1 782-1 802, 
Natio    Veneta. 

(2)  Debbo  queste  notizie  al  P.  Lugano  che,  con  grande  cortesia, 
volle  per  me  ricercarle  negli  archivi  dell'ordine  Olivetano 

(3)  G.  Perini,  Lettera  sopra  V archìcenolno  di  Monte  Oliveto  Mag- 
giore, Firenze,  stamp.  Granducale,  1788,   p.  lxxiv. 


Tabulariiim  S.  €Mariae  V^ovae  175 

«  dirigere  scripturas  tabulariorum  variis  in  monasteriis, 
«  quod  egregie  absolvit. . .  »  (i). 

Ma  non  ostante  le  cure  poste  dal  Rosini  per  impedire 
lo  smarrimento  delle  carte  di  S.  Maria  Nova,  non  tutte 
quelle  da  lui  ordinate  con  tanta  diligenza  sono  pervenute 
a  noi.  Dobbiamo  specialmente  dolerci  della  perdita  di 
quattro  chartae  pagenses  della  prima  metà  del  secolo  xi,  una 
delle  quali,  sembra,  molto  preziosa  per  le  sue  indicazioni 
topografiche,  e  del  diploma  originale  di  Alessandro  III  del 
30  settembre  1161,  col  quale  si  concedeva  ad  Ugo,  priore 
di  S.  Maria  Nova,  la  chiesa  di  S.  Sebastiano  in  Caia- 
ciimha  (2).  Delle  quattro  carte  una  fu  pubblicata  dal  Gal- 
letti (3),  e  possiamo  cosi  riprodurne  il  testo  nella  nostra 
raccolta:  delle  altre  tre  abbiamo  solo  notizia  dall*  indice 
del  Rosini  e  dalle  schede  di  E.  C.  G.  Van  de  Vivere,  uno 
studioso  fiammingo  vissuto  in  Roma  alla  fine  del  secolo 
passato  e  nei  primi  anni  di  questo,  che  potè  vedere  le 
carte  del  nostro  archivio  (4).  Più  fortunati  per  la  bolla  di 
Alessandro  III,  ne  possediamo  il  testo,  pubblicato  già  dal 
Garampi  (5)  e  dal  Migne  (6),  una  copia  autentica  del- 
l'anno  151^  (7)  ed  una  copia  recente  dell'abate  Schiaf- 
fino, di  su  r  originale  (8). 

V  archivio  di  S.  Maria  Nova,  quantunque,  fra  gli  ar- 
chivi medievali  di  Roma,  sia  uno  dei  meno  conosciuti, 
non  è  però  interamente  sfuggito   alle  ricerche  degli  stu- 

(i)  Liber  mortuorum  vel  Necrologium  magnum  M. 
O.  M.  e.  224  sg. 

(2)  J.  L.  n.  10679. 

(3)  Galletti,  Del  primicero  della  Santa  Sede  Apostolica  &c., 
Roma,  1776,  p.  277. 

(4)  Vedi  più  innanzi. 

(5)  Garampi,  Illustraiione  di  un  antico  sigillo  della  Garfagnana, 
Roma,  1759,  p.  62,  n.  3. 

(6)  Migne,  Patrologia  latina,  CC,  126. 

(7)  Arch.  di  S.  Maria  Nova,  tab.  xi. 

(8)  Presso  D.  Placido  Lugano. 


17^  T.  Jedek 


diosi.  Già  fin  dal  secolo  circa  xvi  1*  ignoto  autore  di  una 
miscellanea  storica  manoscritta,  conservata  nella  biblioteca 
Barberini,  trasse  da  quell'  archivio  alcune  brevi  e  monche 
notizie,  dopo  l'anno  noe;  non  sono  che  semplici  ap- 
punti o  richiami  di  nomi,  inesatti  e  senza  alcun  valore  (i). 
Meglio  conobbe  il  nostro  archivio,  e  se  ne  valse  per  i 
suoi  Repertorii  di  famiglie  Domenico  lacovacci;  ma  scar- 
sissimi nei  suoi  volumi  i  richiami  alle  pergamene  del 
secolo  XI,  poco  frequenti  anche  a  quelle  del  xii  (2).  Pa- 
rimenti il  Magalotti  nelle  sue  Notizie-  di  varie  famiglie,  con- 
servate nella  biblioteca  Chigiana,  mostra  d*  avere  studiato 
le  carte  di  S.  Maria,  specialmente  quelle  riguardanti  la 
famiglia  Frangipane;  ma  anche  qui  non  troviamo  che 
nudi  nomi  o  brevissimi  riassunti  dei  documenti  citati  (3). 
Lo  stesso  ab.  Luigi  Galletti,  infaticabile  trascrittore  di  carte 
medievali  da  tutti  gli  archivi  di  Roma,  inserì  nella  sua 
raccolta  solo  pochissime  copie  delle  nostre,  accontentan- 
dosi, per  la  più  parte  dei  documenti,  di  riportare  i  tran- 
sunti deir  ab.    Rosini  (4).   Finalmente  E.  C.  G.  Van  de 


(i)  Cod.  Barbar.  XXXII,  166,  e.  357  sgg. 

(2)  Repertorii  ài  famiglie  di  Dominico  Iacovacci,  cavaliere  del- 
l'abbito  di  Calatrave,  bibl.  Vat.  Cf.  cod.  Ottob.  2550,  ce.  80,  295, 
294,  296,  297,  299,  301,  303;  cod.  Ottob.  2553,  ce.  338,  963  &c. 

(3)  Notizie  di  varie  famiglie  italiane  ed  oltramontane,  cavate  da 
Ustorie,  scritture  puhliche  e  private  &c.  dal  cav.  F.  Cesare  Magalotti, 
volumi  8.  Bibl.  Chigiana  G  .  V.  139-146.  Cf.  specialmente  il  voi.  VII, 
e.  97  sg. 

(4)  Galletti,  cod.  Vat.  lat.  8054,  parte  I.  A  e.  58  è  trascritta 
la  più  antica  pergamena  di  S.  Maria  Nova,  con  la  falsa  datazione 
dell'anno  972.  A.  e.  51  è  riportato  per  intero  un  nostro  documento 
dell'anno  1166,  maggio  31.  Numerosi  transunti  di  carte  di  S.  Maria 
Nova,  copiati  dall' indice  del  Rosini,  si  trovano  nel  cod.  Vat.  lat.  7937, 
ce.  17,  24,  26,  27,  &c.  Nel  cod.  Vat.  lat.  7929,  parte  II,  e.  237  sgg., 
è  riportata  per  intero,  di  mano  del  Garampi,  la  donazione  fatta  dai 
Frangipane  alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova,  nel  11 62,  maggio  4;  e  da 
questo  documento   come  anche  dalla  bolla    di  Alessandro  III,  pub- 


Tabulaviiim  S.  ^lariae  oS^opae  ijj 

Vivere,  un  patrizio  fiammingo,  vissuto  in  Roma  ai  tempi 
che  vi  dimorava  il  Rosi  ni,  potè,  per  concessione  di  questi, 
trarre  dall'  archivio  di  S.  Maria  Novn,  senza  però  trascri- 
vere per  intero  nessun  documento,  alcune  notizie  ed  ap- 
punti d*  indole  paleografica  e  diplomatica  che  dovevan 
forse  servirgli  per  uno  studio  che  egli  meditava  di  fare 
sulla  storia  delle  scritture  latine  (i). 

E  sono  del  pari  poco  frequenti,  nelle  opere  a  stampa, 
le  citazioni  o  rimandi  ai  documenti  del  nostro  archivio. 
Il  grande  Antonio  Bosio,  al  quale  sembra  che  nessuno 
degli  archivi  medievali  e  delle  biblioteche  romane  sia 
rimasto  celato,  frugò  fra  le  carte  di  S.  Maria  Nova,  dalle 
quali  cita  nella  sua  Roma  sotterranea  un  documento  del- 
l' anno  11^7,  riguardante  la  chiesa  di  S.  Apollinare,  presso 
il  cemetero  di  Pretestato  (2).  Del  nostro  archivio  si  giovò 
il  Panvinio  per  la  sua  Cronologia  ecclesiastica  (3).  Fu  esso 
invece  ignorato  dal  Pucci  che,  pubblicando  nel  1^21  una 
genealogia  della  famiglia  Frangipani,  non  si  valse  dei 
preziosi  documenti  che  la  riguardano,  conservati  in  S.  Maria 


blicata  dal  Garampi,  apprendiamo  che  egli  visitò  il  nostro  archivio, 
mentre  ciò  non  sembra  apparire  dalle  sue  schede  dell'archivio  Va- 
ticano. 

(i)  Bibl.  Vitt.  Eman.,  mss.  Gesuitici,  554,  Scritti  di  E.  C.  G. 
Va n  de  Vivere.  Gli  appunti  dall'archivio  di  S.  M.  Nova  sono  in 
sette  quadernetti  sciolti:  in  tutto  14  carte.  Legato  d'amicizia  col  Ro- 
sini,  il  Van  de  Vivere  visitò  più  vohe  il  nostro  archivio;  tra  i  suoi 
appunti  ha  lasciato  scritto:  «  dieser  Vater  Rosini  war  cin  sehr  geschi- 
«  chter  Archivar  und  Diplomatister:  dies  Verzeicliniss  hat  es  mir 
«  sehr  oft  bewiesen  ».  Le  carte  del  Van  de  Vivere,  che  frugò  in  moki 
archivi  medievali  di  Roma,  mi  paiono  tali  da  non  essere  lasciate  in 
disparte  dagli  studiosi,  come  51  è  fatto  sinora. 

(2)  Antonio  Bosio,  Roma  sotterranea,  Roma,  16 j2,  p.  190. 

(3)  Onuphru  Panvinii  Chronicon  eccìesiasticum,  Coloniae,  1568. 
Cf.  ivi  l'elenco  degli  Archivia  religionum  diversarum. 
Non  potei  esaminare  le  schede  del  Panvinio  De  ecclesiis  urbis 
Romae,  cod.  Vat.  lat.  6780. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  ttoria  patria.  Voi.  XXIII.  I  2 


lyS  "P.  Jedele 


Nova  (i).  Fu  aperto  T  archivio  al  Garampi  che  ne  trasse 
la  bolla  di  Alessandro  III  (2),  ed  al  Galletti,  come  sopra 
dicemmo.  Questi  però  non  pubblicò  che  un  solo  docu- 
mento di  S.  Maria  Nova  (3).  Il  Vitale  cita  dal  Gigli  due 
carte  del  1 162  e  11^3  (4).  Dai  volumi  del  Galletti  e  dal- 
l' indice  del  Rosini  il  Coppi  dette  notizia  dì  non  poche 
carte  di  S.  Maria  Nova,  pubblicandole  tra  i  suoi  Documenti 
storici  del  medio  evo  relativi  a  Roma  ed  all'Agro  romano  (5). 
Il  Coppi  fu  un  uomo  di  buona  volontà;  ma  non  ebbe 
lume  di  critica.  Copiò  male  le  stesse  trascrizioni  del  Gal- 
letti ed  i  transunti  del  Rosini.  In  un  documento,  per 
esempio,  dell'  anno  io  18,  riportato  dall'  indice  del  Rosini, 
egli  cambia  i  nomi  di  «  Peruncio  »  in  «  Petrutio  »,  di 
«  Palumba  »  in  «  Palunta  »,  di  «  Frasia  »  in  «  Frusca  »  (6). 
Se  poi  egli  si  provi,  e  lo  fa  ben  raramente,  a  trascrivere 
dall'  originale,  gli  fioriscono  i  più  ameni  svarioni.  Basterà 
un  solo  esempio:  in  un  documento  dell'  anno  1038,  «  Ste- 
«  phanus  Dei  nutu  dativus  index  »  diventa  per  il  Coppi 
«  Stephanus  Dinutus  dativus  index  »  (7). 

E  venendo  a'  tempi  a  noi  più  vicini,  dobbiamo  ricor- 
dare il  Nibby  che  si  giovò  dell'inventario  del  Rosini  (8), 


(i)  Benedetto  Pucci,  Genealogia  degV  illustrissimi  signori  Fran- 
gipani romani  &c.,  Venezia,  1621:  operetta  rarissima  che  potei  esa- 
minare per  cortesia  del  prof.  Tomassetti  che  ne  possiede  una  copia. 

(2)  Op.  cit.  p.  62,  in  nota. 

(3)  Op.  e  loc.  cit. 

(4)  Frano.  Ant.  Vitale,  Storia  diplomatica  de'  senatori  di  Roma, 
Roma,  1791,  p.  57.  Il  Vitale  non  dà  il  titolo  dell'opera  del  Gigli, 
che  è  certamente  quella  manoscritta  della  biblioteca  Vaticana,  da  me 
non  potuta  consultare,  sui  senatori  di  Roma.  Codd.  Vat.  lat.  8256,  8257. 

(5)  Cf.  Dissertazioni  della  Pontifìcia  Accademia  Romana  d'archeo- 
logia, XV,  172  sgg. 

(6)  Ibid.  p.  206. 

(7)  Ibid.  p.  207. 

(8)  A.  Nibby,  Analisi  della  carta  de'  dintorni  di  Roma,  Roma,  1848, 
II,  92,  ed  altrove. 


Tabularium  S.  zMariae  V^oi^ae  179 

C.  Corvisieri  che,  nell'  eruditissimo  lavoro  suU'  acqua 
Tocia,  fé'  menzione  di  documenti  di  S.  Maria  Nova  (i), 
il  Tomassetti  che  si  giovò  delle  miscellanee  Gallettiane  per 
r illustrazione  della  Campagna  di  Roma,  ed  il  De  Rossi  (2), 
il  Duchesne  (3),  il  Kehr  (4)  che  ebbero  a  citare,  tutti 
però  dal  Galletti,  il  più  antico  documento  del  nostro  ar- 
chivio. Ultimo  il  Lugano,  nel  suo  recente  lavoro  sulle 
origini  di  S.  Maria  Nova  (5),  dava  una  diligente  notizia 
dei  primi  documenti  del  nostro  Tahiiìarium  (6). 

Questi  cenni  bibliografici  che  non  hanno  punto  la  pre- 
tesa di  essere  completi,  mostrano  a  sufficienza  come  V  ar- 
chivio di  S.  Maria  Nova,  per  la  parte  più  antica,  sia  stato 
finora  poco  ricercato  dagli  studiosi,  e  quanta  perciò  sia  la 
necessità  di  pubblicarne  i  preziosi  documenti.  La  nostra 
serie  o:iuno:erà  sino  alla  fine  del  secolo  xii;  ma  Y  archivio 
di  S.  xMaria  Nova  contiene  altri  numerosi  documenti  po- 
steriori a  quel  tempo,  e  chi  volesse  darne  ampia  notizia, 
farebbe  opera  utilissima  agli  studi.  E  cosi  a  poco  a  poco, 
aggiungendo  pietra  a  pietra,  potrebbe  sorgere  su  solide 
basi  il  grande  edifizio  della  storia  medievale  di  Roma. 


(i)  C.  Corvisieri,  Dell'acqua  Tocia  in  Roma  nel  medio  evo,  nel 
Buonarroti,  voi.  V,  1870,  in  Roma,  pp.  48,  192,  Cf.  anche  G.  Cozza- 
Luzzi,  Documento  Romano- Tuscolano  dell'anno  114^,  Roma,  1898,  p.  25 
in  nota. 

(2)  Gio.  Batt.  De  Rossi,  Piante  iconografiche  e  prospettiche  di 
Roma  anteriori  al  sa.  xvi,  Roma,  1879,  p.  76  in  nota. 

(3)  Duchesne,  Notes  sur  la  topographie  de  Rome  au  moyen  Age,  I, 
in  y.élam^es  d'archeologie  et  d'histoire,  1886,  p.  32  in  nota. 

(4)  Kehr,  in  Goltingische  geleherte  An^eigen,   1896,  I,  15. 

($)  P.  Lugano,  5.  Maria  olim  Antiqua  mine  Nora,  Roma,  1900, 

P.  58  sgg- 

(6)  Nessun  accenno  al  nostro  archivio  ncll'  Iter  ronianum  del 
Dudìk  (Wien,  1885)  e  nei  rendiconti  del  Bethmann  {Archiv^  XII, 
201  sgg.).  Nelle  notizie  però  sui  piccoli  archivi  di  Roma  che  il  Pertz 
raccolse  dalle  schede  del  Bethmann,  troviamo  citato  anche  quello  di 
S.  Maria  Nova  (J^eues  ArchiVy  II,  362). 


i8o  T.  Jedele 

Quanto  al  metodo  seguito  nella  pubblicazione  di  questi 
documenti,  io  non  ho  che  a  richiamarmi  alle  brevi  av- 
vertenze premesse  alle  Carte  del  monastero  dei  Ss.  Cosma  e 
Damiano  in  Mica  Aurea  (i).  Nei  transunti,  posti  innanzi 
ai  singoli  documenti,  ho  creduto  bene  qui  di  tralasciare 
il  nome  degli  scriniari,  ponendone  poi  l'  elenco  in  fine 
del  lavoro.  Al  testo  ho  aggiunto  sempre  le  annotazioni 
di  mano  antica  segnate  nel  verso  della  pergamena,  trala- 
sciando quelle  troppo  recenti,  senza  alcun  valore  né  sto- 
rico né  diplomatico.  Quanto  alle  note,  mi  sono  studiato 
di  porre  solo  quelle  che  giudicavo  più  necessarie;  e  per 
la  punteggiatura,  pur  regolandola  secondo  l'  uso  moderno, 
r  ho  fatto  con  grande  moderazione,  senza  allontanarmi 
troppo  dair  interpunzione  originale.  Gioverà  poi  notare 
che  i  puntini  indicano  lettere  e  parole  mancanti  o  illeg- 
gibili per  rottura  o  per  guasto  della  pergamena;  quando 
indichino  lacuna  nel  testo,  V  ho  sempre  segnato  in  nota. 
Le  lettere  o  parole  chiuse  fra  parentesi  quadre  furono  da 
me  supplite.  La  grafia  del  testo,  tranne  1'  uso  delle  maiu- 
scole, fu  sempre  accuratamente  serbata;  se  taluna  lettera, 
più  che  grafia  erronea,  vero  lapsus  calami  dello  scrittore, 
fu  espunta  o  corretta,  o  se  tal'  altra  fu  aggiunta,  se  ne 
fece  sempre  cenno  in  nota. 

Avremmo  desiderato  di  unire  alla  presente  pubbHca- 
zione  alcuni  facsimili  delle  carte  di  S.  Maria  Nova  che 
contengono  beHissimi  esempi  di  scrittura  cancelleresca 
romana.  Ma  gli  studiosi  non  avran  forse  a  dolersi  che 
del  solo  ritardo.  Poiché,  se  riusciremo  a  colorire  un  nostro 
disegno,  con  Y  aiuto  ed  il  consiglio  di  chi  ci  fu  guida  in 
questi  studi,  avremmo  in  animo  di  iniziare,  con  determi- 
nati criteri,  la  pubblicazione  di  una  serie  di  facsimili  di 
carte,  scelte  opportunamente  dai  vari  archivi  di   Roma,  i 


(i)  Ai'ch.  della  R.  Soc.  rom.  di  st.  patria,  XXI,  463 


Ta  bii  la  riu  m  S.  oMa  ria  e  ^N^vae  1 8 1 

quali  potranno  servire  per  una  completa   illustrazione  pa- 
leografica e  diplomatica  degli  atti  privati  romani. 

Debbo  infine  dire  che,  qualunque  sia  il  mio  lavoro,  io 
•non  avrei  potuto  farlo  senza  il  gentile  consenso  dell'illustre 
generale  dei  Benedettini  di  Monte  Oliveto,  D.  Ildebrando 
Polliuti,  alla  cui  diretta  vigilanza  è  affidato  T  archivio,  e 
dell'  ab.  D.  Bernardo  Felici  che  con  tutti  gli  altri  monaci 
di  S.  Maria  Nova,  buoni  e  dotti  figli  di  san  Benedetto,  mi 
usarono  ogni  sorta  di  cortesie,  agevolandomi,  come  meglio 
potevano,  lo  studio  dei  documenti.  Non  potrò  dimenticare 
le  ore  trascorse  in  quei  luoghi,  ove  la  grande  anima  di 
Torquato  Tasso  trovò,  per  qualche  tempo,  conforto  ai  suoi 
mali  ed  alle  sue  miserie.  E  come  era  lieve  T  arido  lavoro 
della  trascrizione  nella  cella  monacale  dalla  cui  finestra  si 
apriva  lo  sguardo  su  tanta  parte  del  Foro  Romano,  dove 
ferveva  l'opera  degli  scavi!  M'era  compagno  D.  Placido 
Lugano,  un  giovane  benedettino,  che  adorna  di  studi  severi 
la  solitudine  monastica  ;  e  mi  è  qui  ben  gradito  dovere 
quello  di  rendergli  pubbliche  grazie  per  il  costante  e  pre- 
zioso aiuto  prestatomi  nella  trascrizione  di  questi  documenti. 

P.  Fedele. 


i82  ^.  Jedele 


I. 

982,  marzo  7  (1). 

Giovanni,  arcidiacono  della  santa  Sede  Apostolica  e 
preposto  alla  venerabile  diaconia  di  S.  Maria  Nova,  con- 
cede, sino  alla  terza  generazione,  a  Leone,  prete  della 
diaconia  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano  sulla  Via  Sacra,  una 
casa  posta  nella  regione  quarta  «  non  longe  a  Colossus 
«in  templum  quod  vocatur  Romuleum». 

I.  j^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  (a)  lesu  Christi. 
Anno  Deo  propitio  pontlficatus  domni  nostri  Benedicti  summi 
po[n]  2.  tifìcis  et  universalis  W   septimi    papae   in    sacratissima 

sede  beati  Petri  apostoli  octabo,  imperante  domno  nostro  perpetuo 
augusto    Ott[oneJ  3.  a  Deo   coronato   magno   imperatore  anno 

quartodecimo,  inditione  decima,  mense  martio,  die  septima.  Q.ui[s- 
quis  actio]  4.  nibus  benerabilium  locorum  praeesse  dinoscitur.  in- 
cunctanter  eorum  utilitatibus  ut  profìciant  [cum  summa  di]  5.  li- 
gentia    procurare    festinet.   Igitur  placuit  cum  Christi  auxilio   atque 

conbenit  Inter  lohannem  divina  respec (0        6.  archidiaconum 

summ?  sanctae  Apostolicae  Sedis  et  praepositum  venerabili  diaconiae 
sanctae  Dei  genitricis  Mariae  domin[ae  nostrae]  7.  quae  appel- 

latur  Noba,  consentientem  sibi  cuncto  clero  et  serbìtores  eidem  ve- 
nerabili diaconi?  W,  et  te  diverso  Leonem  humilem  re         8.  ligio- 

(a)  Nella  prima  riga,  scritta  con  lettere  allungate,  la  parola  nostri  è  rap- 
presentata da  due  n  (b)  Qui  e  nelle  carte  seguenti  la  parola  universalis  è 
rappresentata  costantemente  nel  testo  da  univers,  con  un  segno  d'  ahhrevia'^j.one. 
(e)  Da  supplire,  forse,  respec[tante  clementia]  (d)  Dapprima  fu  scrìtto  dua- 
conie;  la  stessa  mano  corresse  poi  la  lettera  u  in  i 

(i)  Al  982  corrispondono  l'anno  ottavo  del  pontificato  di  Bene- 
detto VII  e  r  indizione  decima,  ma  non  l'anno  decimoquarto  del- 
l' impero  di  Ottone  II,  secondo  il  quale  dovrebbe  assegnarsi  a  questo 
documento  la  data  del  981. 


Tabularium  S.  oMariae  V^ovae  183 


sumque  presbiterum  venerabili  diaconi?  sanctorum  martirum  Cosme 
et  Damiani  quae  ponìtur  in  Via  Sacra,  ut  cum  Domini  adiutorio 
9.  suscipere  debeat  a  suprascripto  lohanni  prudentissimo  archidia- 
cono  sive  praepositum  praephate  venerabili  diaconiae  quae  appel- 
latur   Noba,    cumque  io.    eius    congregatione   eidem    venerabili 

diaconiae  in  omnibus  consentanea,  sicut  et  suscepit  isdem  suprascripto 
Leoni  presbitero  condutio  11.  nis  titulo.    Idest  domum   solarata 

tegulìcia  et  scandolicia  una  in  integrum  cum  inferiora  et  superiora  sua 
a  solo  et  usque  a  sum  12.  mo  tecto,  cum  corticella  sua  et  pergula 
atque  scala  marmorea  ante  se,  cum  hortuo  suo  post  se,  in  qua  sunt 
13.  arbores  olibarum  seu  ceteras  arbores  pomarum,  cum  introito  et 
exoito  suo  vel  cum  omnibus  ad  eam  pertinentibus.  Posita  (a)  Romae 
re[gij  14.  one  quarta  non  longe  a  Colossus  in  templum  quod  vo- 

catur  Romuleum,  inter  affines  ab  uno  latere  domum  de  Romano  ferra- 
no, atque  domum  15.  de  Franco  et  Sergio  germanis,  sive  hortuo  de 
heredes  quondam  Kalopetro,  et  a  secondo  latere  hortuo  de  Constantio 
presbitero  et  de  suis  16.  consortibus,  et  a  tertio  latere  hortuo  de 
Anna  nobilissima  puella  et  domum  de  Stephano  herario,  et  a  quarto 
latere  via  publ[ica.]  17.  luris  suprascripta  venerabili  diaconia.  Ita 
ut  suo  studio  suoque  labore  domum  et  hortuo  iam  suprascripto  in 
omnibus  tenere  et  possidere  sive  18.  fruere  debeat,  et  ad  melio- 
rem  faciendam  Deo  iubante  cultum  perducat  ipse  suprascripto  he- 
redes successoresque  suos  prò  futurum  usque  19.  in  tertium  gra- 
dum  tertiam  personam  tertiam  heredes  tertiam  generationem,  hoc 
est  ipso  suprascripto  filiis  heredes  nepotes  successoreque  suos  ex 
fi  20.  liis  legitimis  procreatis.  Quod  si  vero  filiis  aut  nepotes 
minime  fuerint,  uni  etiam  extraneam  personam  cui  voluerit,  relin 
21.  quendi  abeat  licentiam,  excepto  piis  locis  vel  publicis  numerum 
militum  seu  bando,  serbatam  dumtaxat  in  omnibus  (i>).  Pro  22.  quam 
etiam  suprascriptam  domum  cum  corte  et  pergula  ante  se  cum 
hortuo  suo  post  se  cum  arbores  olibarum  cum  introito  suo  25.  vel 
cum  omnibus  ad  eam  pertinentibus,  ut  superius  legitur,  dare  atque 
inferre  debeant  suprascripto  heredesque  suos  rationibus  in  supra- 
scripta venerabili  dia  24.  conia,  singulis  quibusque  inditionibus 


(a)  In  questa,  come  nelle  pergamene  seguenti,  ad  indicare  una  forma  qual- 
s-asi  del  participio  positus  è  adoperata  costantemente  la  sillaba  pos  con  un  segno 
di  ahbreviaxjone.  Parimenti  ad  indicare  una  forma  del  pronome  relativo  qui  k 
adoperata  ordinariamente  la  sola  lettera  q  con  un  segno  d' abbreviazione.  Re- 
puto cosa  inopportuna  ripetere  di  continuo  nelle  note  queste  od  altre  simili  ab- 
breviature.  (b)  La  formala,  incompleta  nel  testo,  sarebbe:  serbatam  dum- 
taxat in  omnibus  proprietate  suprascriptae  venerabilis  diaconiae 


i84  T.  Jedele 


sine  omni  mora  vel  dilatione,  pensionis  nomine  denarios  tres  (a). 
Completam  [vero]  25.  tertiam  generationem  ut  superius  legitur, 
tunc  suprascripta  domus  et  hortuo  ad  ius  suprascripta  venerabili 
diaconia  cuius  et  est  propietas,  modis  26.  omnibus  in  integram  (*>) 
rebertatur,  et  quicquit  eiusdem  venerabili  diaconia  curam  gesserint, 
ìterum  locandi  quibus  maluerin[t],  27.  liberam  abeant  sine  aliqua 
ambiguitate  licentiam.  De  qua  re  et  de  quibus  modis  omnibus  iu- 
rantes  dicunt  utra  28.  que  partes  per  Deum  omnipotentem  san- 
ctaeque  Sedis  Apostolicae,  princeps  a  Deo  coronato  (0  suprascripto 
imperator  augustus,  hec  omnia  (.^)  que  liuius  chartulae  29.  placiti 
conventionisque  seriern  in  toto  partemve  eius  quolibet  modo  venire 
temptaverint,  tunc  non  solum  periurii  reatum  30.  incurrant,  ve- 
rum  etiam  daturi  se  heredes  successoresque  suos  promittunt,  pars(e) 
contrarie  partis  fidem    serbantis,  31.  ante    omnem    litis    initium 

poene  nomine,  auri  coctos  libras  trcs,  et  post  poenem  absolutionis 
manentem  hanc  charta  serie[m]  32.  in  sua  maneat  firmitate.  As 
autem  duas  uniforme  uno  tenore  conscriptas  chartas  mihi  Leoni 
scriniario  sanctae  Romanae  33.  Ecclesiae  scribendas   pariter  di- 

ctaveruut  eabsque  propriis  manibus  roborantes  tesstibus  a  se  rogitis 
obtulerunt  34.  et    sib'  invicem    tradiderunt    sub    stipulatìone    et 

sponsione  solempniter  interposita. 

Actu  Romae,  anni  pontificatus,  die,  mensis  et  inditione  supra- 
scripta decima. 

>5<  Ego  Leo  presbiter  (i). 


IL 

1002,  ottobre. 

Il  clero  ed  i  mansionari  di  S.  Maria  Nova  locano  a 
diversi,  con    libello  da  rinnovarsi   ogni    diciannove  anni, 

(a)  Una  seconda  mano  corresse  denarium  in  denarios,  aggiungendo  tres 
su  rasura.  (b)  Nel  testo  intetram  (e)  coroiì  (d)  Nel  testo  orna  (e)  Xel 
testo  pars  e  seguito  da  un  segno  d'ahhrevia-^ione. 

(1)  La  pergamena  fu  tagliata  nel  margine  inferiore,  e  vi  si  de- 
siderano perciò  le  firme  dei  testimoni  e  la  formula  dì  compimento 
del  notaio.  Nel  verso  di  essa  fu  scritto  da  mano  forse  del  secolo  xii: 
«  De  domo  cum  ortulo  post  se  posita  iusta  Coliseum  ». 


Tabularium  S.  oMuìtae  V^opae  185 

la  chiesa  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano,  posta  nel  territorio 
di  Galera,  insieme  con  alcuni  terreni. 

I.  [>J<  A  vobis  petimus  domno  W archipresbitero  grjeco, 

item  Petro  archipresbitero  latino,  seu  lohanneW         2 (0 

[venerabìlis  diaconiae]  sanctae  [Dei]  g[enet]ricis  semperque  virginis 
Mariae  domine  nostre  que  appellatur  Nova,  nec  [non]  3.  [Stejphano 
prior  mansionariorum  eiusdem  diaconiae  W,  sed  et  lohanni  secundo 
mansionario,  in  hoc  vobis  consentientem  Michaheli  4.  rectorem 
atque  dispensatorem  eiusdem,  seu  et  cunctas  catervas  presbiterorum 
seu    mansionariorum  5.  suprascripta    venerabili    diaconia  a  ma- 

iore  (e)  et  usque  ad  minores,  uti  nobis  Franco  presbitero  seu  Petrus 
scriniario  atque  A  6.    mìco,  nec   non    Petrus  de   Mauro  et  Si- 

meone scriniario,  heredibusque  nostris  ad  supplendum  inferius  con 
7    [scriptos  a]nnos,  quatinus  cum  Christi  auxilio  locare    committe- 

reque  iubeatis  libellario         8.  [nomine.   Idest  ecclesiam (f  ) 

sanct]orum  rrartyrum  Cosme  et  Damiani  sicuti  nunc  conciata  et 
9 (g)  [eo]rum  et  ornatum  eorum.  Po- 
sita  territorio  Gallerano,  miliario         io.  [ab  urbe  Roma] 

00  [Proin]de  autem  prò  amore  Dei  et  ipsius  ecclesiae,  ut 

omni  tempore  habe         1 1.  [ad  potestatem] [ser]vitores 

ecclesiae  petium  de  terra  iuxta  eadem  ecclesia  ad         12. 

(0  [a  t]r[ibu]s  [la]teribus  est  via  carraria  publica  circumdata  a  pe 

13.  ...  [li]mite  petroso,  ubi  esse  videtur  cisterna  antiqua,  et  ipso  limite 
mittit  in  silice  publica,  et  in  is  14.  sta  terra  habead  potestatem  servi- 
tores  suprascripta  ecclesia  domoras  facere  seu  ortua  cullare  et  semina 
15.  re,  ut  qu'cquit  ibidem  volueritis  facere.  Et  si  ex  alia  parte  homo 
ibidem    intrare   voluerit    ad  ha  16.  bitandum    per    suprascriptos 

clcTos  presbiteros  et  mansionarios,  ibidem  ingrediar,  et  cum  consensu 
presbiteri  qui  in  ecclesia  sanctorum  Cosme  et  17.  [Damiani]  ser- 
vierint.  Servitium  vero  que  ab  ipsis  extraneis  hominibus  datum  fuerit, 

dimidiam         18.  [partem] [pre]dicte  [diaconiae]  sancte  Dei  ge- 

nitricis  Mariae,  et  dimidiam  partem  sanctorum  Cosme  et  Dami 
19.  [ani tribuant  predicti  servi]tores.  Alia  terra  sementaricia  que 


(a)  vel  domnis  (b)  ioli         (e)  La  pergamena  e  assai  danneggiata  :  in 

questo  rigo  essa  e  mancante  per  uno  spazio  di  circa  diciotto  lettere.  (d)  Nel 
testo  diaq  (e)  maio  (f)  Da  supplire  forse:  unam  in  integrum  que  ap- 
pellatur (g)  Da  supplire:  [meliorata  esse  \idetur  cum  decimis  et  obbtio- 
nibus]  od  alcunché  di  simile.  (li)  La  pergamena  in  questa  e  nelle  due  linee 
seguenti  e  mancante  per  uno  spa':^io  di  circa  mei^^o  rigo.  (i)  Da  supplire, 

sembra:  ad  (suam  utilitJtem  possidere.  Inter  afllnes] .. . 


i86  T.  Jedek 


vocatur  Cannapina,  Inter  affines  a  pe        20 (a)  to  a 

tertio  latere  limite  qui  pergit  usque  in  terra  de  Sergio,  a  quarto  latere 

da  21 qui  tra[n]s eru[n]t.  Omnia  iuris 

predicte  diaconiae.  Ad  te  22.  [nendum  utendum  fruendum  possi- 
dendum  et]  ecclesia  (b)  cum  omni  studio  conciandum,  et  omni  tem- 
pore diae  noe  23.  [t]uque  servitium  peragendumque  in  omnibus, 
a  diae  kalendarum  octubriarum  presenti  prima  indictione,  et  usque 
in  pridias  kalendas  24.  easdem  vicesima,  in  annis  continuit  de- 

cem  et  novem  complendum  et  renobandum  in  alios  tan  25.  tos 
annos  decem  et  novem,  dante  autem  prò  renovatura  ad  vos  qui  supra 
domìnationes  in  argentos  mancosos  bo  '  26.  nos  novos  qualis  ipso 
tempore  per  capo  ierit,  numero  quinque.  Ita  sane  ut  per  singulos 
annos  pensionem  da  27.  [re  debeamujs  in  argentos  denarios  nu- 
mero viginti  et  quaituor,  quales  ipso  tempore  per  capo  ierit,  in  kalen- 

dis        28 (0,  [Et  si  i]n  ip[s]o  mense  data  et  persoluta  non  fuerit, 

in  alio  mense  duplas  dare  promitti         29.  [mus ajdducere  W 

spondimus  valiente  per  unoqueque  senio  denarii  duobus.  Eo  vero  te 
30.  [nore  ut  non  habeatis  lijcentiam  hunc  libellu  vel  annos  quod  in 
eum  continet,  a  nulla  extra  31.  [nea  persona  magna  vel]  parba 

vendere  aut  donare,  sive  per  covis  modis  (e)  cedere  atque  alienare,  ni 
32.  si  prius  ad  vos  qui  supra  dominationes  et  a  vestro  successore,  in 
pretium  quantum  iuste  appretiatum  33.  fuerit  minus  denarios  cen- 
tum,  et  si  vos  hemere  nolueritis  licentiam  habeamus  ipsi  annl(f)  nostri 
34.  vendere  cui  voluerimus,  ad  talem  hominem  parba  (g)  et  libera  per- 
sona, ut  omni  anno  vestra  pensione  et  35.  senia  absque  omni  con- 
tentione  per  singulos  annos  dederit  00,  Si  qua  vero  pars  contra  fidem 
eorum  libellorum  36.  [ve]nire  temptaverit,  det  (0  pars  infìdelis  partis 
fidem  servante  ante  omne  litis  initium  37.  [pene]  nomine  aurì 

oblimi  libra  media,  et  post  penem  absolutionis  manente  hanc  charta 
in  sua  38.  [nihilominus  manea]d  fi[r]mitatem  (k).  Unde  petimus  ut 
unum  ex  duobus  libelli  uno  teno  39.  [re  conscripti  per  manum 

scriniarii]  sanctae  Romanae  Ecclesiae  una  cum  vestra  rovora- 

tiones  nobis  contrad  40.  [ere  dignetis,  ut]  dum  consecuti  fueri- 
mus,   agamus    Deo    et    vobis   maxima    gratia.    Anno    Deo    propif'o 


(a)  La  pergamena  e  qui  mancante  per  uno  spa:^io  di  circa  venti  lettere  ; 
nelle  due  linee  seguenti  per  uno  spazio  di  circa  ine:^\o  rigo.  (b)  Della  ab- 
hrevia^ione  di  ecclesia  e  nel  testo  V  ultima  sillaba  al  (e)  Da  supplire,  sembra: 
[octubris  1'^/ octubribus]  (d)  Da  supplire,  sembra:  [mus.  Et  insuper  tot  senia 
vobis  ajdducere  (e)  mod  (f)  Nel  testo  ani  (g)  La  lettera  r  aggiunta 
dalla  prima  mano  sulla  prima  a  di  parba  (h)  dd  (i)  Nel  testo  de  (k)  Nel 
testo  fi[r]mitem 


Tabu  lati  II  m  S.  oMariae  V^vae  187 


pontifica         41.  tus  domni  nostri  Silvestri  santissimi  secundi  papae, 
anno  quarto,  in  mense  et  indictione  suprascripta  prima  (i). 


III. 

Idi,  giugno  24  (2). 

La  «  schola  mansionariorum  »  di  S.  Maria  Nova  con- 
cede, sino  alla  terza  generazione,  a  Paolo,  e  nobilis  vir», 
la  metà  «de  absida  antiqua  infra  calcaria»,  posta  nella 
regione  quarta,  presso  la  diaconia  di  S.  Maria  Nova. 

I.  ;^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi. 
Anno  Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  Sergii  summi  pon[ti- 
ficis]  2.  et  universalis  quarti  papae  in  sacratissima  sede  beali 
Petri  apostoli  secundo,  indictione  nona,  mense  iunio,  diae  5.  vi- 
cesima  quarta.  Quisquis  actionibus  venerabilium  locorum  pr^esse 
dinoscitur,    incunctan[ter  eorum]  utili[ta]  4.  tìbus    ut  proficiant 

cum  summa  diligentia  procurare  festinet.  Placuit  igìtur  [cum  Christi 
auxilio  atque]  5.  convenit    Inter  Stephanus  qui  Caruci  vocatur, 

seu  (a)    clerico   et   mansionario    atque    priore    de    [venerabili    scola 
man]        6.  sionariorum  beate  Dei  genitricis  semperque  virginis  Mariae 

(a)  Kel  testo  seuu  ;  qui  ed  in  seguito  alla  linea  9. 

(1)  La  pergamena  è  mutila  nella  parte  inferiore.  Il  confronto 
con  gli  altri  documenti  non  ci  permette  di  supplire  il  nome  dello 
scriniario.  Nel  verso  è  scritto    di    mano,   sembra,    del    xii  secolo: 

«  de concessis  ecclesie  sanctorum  Cosme  et  Damiani  que  sita 

a  est  in  territorio  nostro  Galerie  ». 

(2)  Secondo  i  documenti  citali  dallo  Jai  fé  (I,  504),  Sergio  IV 
dovè  essere  consacrato  dopo  il  20  gugno  dell'anno  1009.  Il  nostro 
documento  ci  offrirebbe  un  Urminus  a  quo  ancor  più  recente;  è 
chiaro  difatii  che,  se  nel  24  giugno  del  loii  correva  l'anno  secondo 
del  pontificato  di  Sergio  IV,  dove*  questi  essere  consacrato  dopo  il 
24  giugno  del  1009.  Occorre  però  notare  che  del  nome  del  mese 
«iunio»,  nella  seconda  riga  del  documento,  per  guasto  della  per- 
gamena, non  sono  rimaste  che  poche  tracce;  ma  fu  letta  bene 
questa  parola,  nel  secolo  passato,  dal  Rosìiii  che  nel  suo  indice 
(cf.  Prefazione)  datò  col  mese  di  giugno  la  carta  presente. 


i88  T,  Jedele 


dominae  nostre  que  hoHm  Antiqua  [nunc  Nova  vo]  7.  citatur, 
seu  Gregorius  secundo  et  lohannes  tertio  prioribus,  in  hoc  ab  eis 
consentientem  cunctas  s[cola  mansio]  8.  nariorum  prephate  dia- 
coniae  («),  et  e  diverso  Paulus  nobili  viro,  ut  cum  Domini  adiutorio 
suscipere  [de]  9.  beant  a  suprascripto  Stephanus  qui  Karuci  vo- 
catur,  seu  clerico  et  mansionario  atque  priore  de  venerabili  schola 
man[sio]  10.  nariorum  iam  dieta  venerabili  diaconia  beate  Dei 
genitricis  semperque  virginia  Mariae  dominae  nostre  quae  holim  An- 
tiq[ua]  II.  nunc  Nova  vocitatur,  seu  Gregorius    secundo  et  Jo- 

hannes tertio  prioribus  memorata  scola  mansionariorum  s[eu]  1 2.  a 
cunctas  scola  mansionariorum  eidem  venerabili  diaconiae  sibi  con- 
sentientibus,  sicut  et  susceperunt  suprascripto  Pau  13.  lus  nobili 
viro  heredesque  eius  conductìonis  diaconiae.  Idest  medietatem  in  in- 
tegrum  de  absida  antiqua  14.  infra  calcarla,  in  cauda  ipsius  cal- 
cariae,  sicuti  evenit  et  dividit  per  medium  ipsius  absi  15.  de,  ex- 
tendente usque  in  cantum  ipsius  cripte,  in  quo  finis  eiusdem  cripte 
esse  cernitur,  a  solo    terre  et  usque  16.  ad  summo  sinino,  cum 

introito  et  exoito  suo  per  ipsa  calcarla  usque  in  via  publica  et  cum 
omnibus  ad  17.  ipsa  medietatem  generaliter  et  in  integrum  per- 
tinentibus.  Posita  Rome  regione  quarto  iusta  prephata  venerabili 
18.  diaconia  infra  nominata  calcarla,  affines  a  primo  latere  alia  me- 
dietatem ipsius  absida  quem  19.  detinet  Petrus  scriniarius  sanctae 
Romanae  Ecclesiae  germano  tuo,  a  secundo  latere  ortuo  malore  de 
nos  qui  supra  man  20.  sionarii  quem  insimul  cum  presbiteri  eidem 
venerabili  diaconiae  tenere  videmur,  et  modica  terra  de  cuiusdam 
Rigi  21.  zo  vir  honestus(b)  qui  ex  menbrum  ipsius  ortuo  fuisse 
dinoscitur,  a  tertio  latere  via  scilicet  pedestrls  manu  si  22.  nistra 
pergente  intro  cripte  que  vocantur  de  Bricti,  et  alio  orticello  po- 
mato de  nos  qui  supra  mansionarli,  a  quarto  23.  latere  supra- 
scrlpta  calcarla  unde  introito  esse  videtur.  luris  eidemque  venerabili 
diaconiae.  Ita  ut  suo  studio  suoque  24.  labore  suprascripto  Paulus 
nobili  viro  absida  ipsa  medietatem  in  integrum  in  omnibus  tenere 
et  possidere  debeant,  25.  et  ad  mellorem  faciendum  Deo  iubante 
ad  cultum  perducant  ipso  heredesque  suos  prò  futurum  us  26.  que 
in  tertium  gradum  tertiam  heredem  tertiam  personam  tertiam  ge- 
nerationem,  hoc  est  ipso  suprascripto  filils  nepotesque  27.  suos 

ex  filils  Icgitimis  procreatis.  Quod  si  vero  filiis  aut  nepotes  minime 
fuerint,  uni  etiam  28.  extranea  persona  cui  voluerint,  relinquendi 
abeant  licentlam,  excepto  piis  locis  vel  publicum  numerum  29.  mi- 
litum    seu    bando,  servata    dumtaxat    in    omnibus    proprletatem  su- 

(a)  Ke\  testo  diaqniae  ;  qui  ed  in  seguilo  :   talvolta  diaq         (b)  v.  h. 


Tahulariiim  S,  oMan'ae  V^opae  189 


prascriptì  W  venerabili  diaconiae.  Pro  quibus  nempe  suprascripta 
30.  medietatem  in  integrum  de  absida  antiqua  infra  calcaria  in  cau- 
dam    ipsius    calcariae,   sicuti   evenit  31.  et  dividit    per    medium 

ipsius  abside,  extendente  usque  in  canto  ipsius  cr'pte,  in  quo  finis 
eiusdem  cripte  32.  esse  cernitur,  a  solo  terre  et  usque  ad  suramo 
sinino,  cum  introito  et  exoito  suo  per  ipsa  calcaria  usque  33-  in 
via  publica  et  cum  omnibus  ad  ipsa  medietatem  generaliter  et  in 
integrum  pert-nentibus,  ut  supcrius    missum  34.  est,  dare  atque 

inferre  debeat  suprascripto  Paulus  nobilis  viro  heredesque  suos  ratio- 
nibus  in  suprascripta  scola  3  5.  mansionariorum,  singulis  quibusque 
annis  sine  aliqua  mora  vel  dilatione  pensionis  nomine,  denarios  ar- 
genteos  qua  36.  lis  per  tempore  in  capo  hierit  numero  W  duo 
tantum.  Completa  vero  tertiam  generationem  ut  superius  legitur, 
tunc  37.  suprascripta  medietatem  de  absida  antiqua  infra  calcaria, 
sicuti  fuerit  cultas  et  melioratas,  ad  ius  38.  suprascripta  venera- 
bili diaconia  cuius  et  est  proprietà,  in  integrum  modis  omnibus  re- 
vertatur,  ut  quicquid  eiusdem  venerabili  diaconiae  39.  curam  ges- 
serint,  iterum  locandi  liberam  abeant  sine  aliqua  ambiguitate  licentiam. 
De  qua  40.  re  et  de  quibus  omn'bus  suprascriptis  iurantes  dicunt 
utrasque  partes  per  Deum  omnipotentem  sanctaeque  Sedis  Aposto- 
lice  domni  nostri  Sergii  41.  sanctissimi  quarti  papae,  hec  omnia 
que  huius  emphyteusin  chartulae  seriem  testus  eloquitur,  inviolabi- 
liter  con  42.  servare  atque  adimplere  promittunt.  Quod  si  quis- 
quam  eorum  contra  hec  placiti  conventionisque  43.  chartulae 
seriem  in  toto  partemve  eius  quolivet  modo  venire  temtaverint,  tunc 
non  solum  (0  periurii  44.  reatum  incurrant,  verum  etiam  daturi 
se  successoresque  eius  promittunt  pars  partis  45.  fidem  servante, 
ante  omne  litis  initium  pene  nomine  libra  dimìdia,  et  post  solutam 
penam  46.  hec  chartulae  in  sua  manead  firmitatem.  Has  autem 
duas  uniforme  uno  tenore  conscriptas  47.  chartulas  mihi  Johan- 
nes scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  scribendam  paritcr  dicta- 
verunt,  easque  propriis  ma  48.  nibus  roborantes  testibus  a  se  ro- 
gitis  optulerunt  subscribendam,  et  sivi  invicem  tradiderunt  sub 
stipulaiione        49.  et  sponsione  solicnniter  interposita. 

Actum  Rome,  diae,  anno  pontificatus,  in  mense  et  indictione 
suprascripta  nona. 

»J<  Paulus,  nobili  viro. 

i^  Johannes  filio  Gezzo  qui  vocaiur  de  Casamala  («*). 

>^  Benedictus  qui  vocatur  de  Marino. 

(a)  Coti  nel  inlo.  (b)  Sei  Usto  nuiìi  (e)  Nel  Usto  suhini  (J)  Il  e 
di  CasanuU  cornilo  da  i 


190  T.  Jedele 


^  Petrus  Geiuno. 

^  Antonio  coco. 

>ì<  Petrus  qui  vocatur  de  Agusto. 
♦J<  Ego  Johannes  scriniarius   sanctae    Romanae  Ecclesiae  qui  supra 
scriptor  huius  chartula  post  testium  subscriptiones  et  traditiones  facta 
compievi  et  absolvi  (i). 


IV. 

1017,  giugno  30. 

Peruncio  e  Palomba  figli  del  «  quondam  »  Franco,  tes- 
sitore, vendono  a  Giovanni  «  vir  honestus  »,  erario,  una 
cripta  posta  nella  regione  quarta  «  in  Coloseum,  iuxta 
((  templum  Romulis  ». 

I.  >5<  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Dee  propitio  pontificatus  domni  nostri  Benedicti  summi  2.  pon- 
tific'S  et  universalis  hoctavi  papae  in  sacratissima  sede  beati  Petri 
apostoli  sexto,  imperante  donino  nostro  5.  piissimo  perpetuo  au- 
gusto Haeinricus  a  Deo  coronato  magno  et  pacifico  imperatore  [anno 
qu^arto,  indictione  quinta  deci  4.  ma,  mense  iunio,  die  tricesima. 
Quoniam  certum  est  me  Perunc[io  vir  honestus]  seu  Palomba  ohnesta 
puella  5.  fratribusque   germanis,  Franco   tessitore  quondam  filli, 

hac  diae  cess'ssemus  et  cessimus  atque  6.  tradidimus  nenc  non 

et  venundavimus,  nullus  nobis  cogentem  ncque  contradicen  7.  tem 
aut  vim  faciente,  sed  propriae  spontaneaeque  nostre  voluntatis,  vobis 
domno  lohannes  8.  viro  honesto  («)  erario  tuisqu'etiam  heredibus 
et  cui  largire  et  concedere  placueris.  Idest  cripta  una  in  integrum 
9.  sinino  opere  constructa,  una  cum  desuper  tecto  scandolicio  coo- 
perta,  seu  et  terra  va  io.  cante  ante  se,  quod  est  per  longitudo 
pedes  numero  (b)    viginti  duo  et   per  latitudo  pedes  numero  decem 

(a)  V.  h.  ;  qui  ed  in  seguito.         (b)  num  ;  qui  ed  in  seguito. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  secolo  xii:  «  Car- 
«  tuia  de  assada  et  cripta  in  calcarar[a]  de  Quatroni  »  ;  di  mano 
più  recente,  del  sec.  xiv  :  «  Cartula  donationis  quedam  [ab]s[i]de  cum 
■«  cripta  modica  nostra  (?)  in  calcara  iusta  Templum  a  terra  usque 
«  ad  summum  ». 


Tabularium  S.  zMariae  V^opae  191 


ir.  et  octo,  homnes  ad  pedes  summissales  iustos  mensuratos,  cum 
inferiora  et  superiora  sua  12.  a  solo  terre  et  usque  ad  sublimia 

tecti,  cum  introito  et  exoito  suo  in  commune  et  cum  13.  omnibus 
sibi  pertinentem.  Posita  Romae  regione  quarto  in  Coloseum  iuxta 
templum  Romulis,  14.  et  inter  affines  a  primo  latere  domum  de 
heredes  quondam  Petrus  qui  dicebatur  de  Stefano  era  15.  rio, 
et  a  secundo  vel  a  tertio  latere  corte  malore  sive  introito  commu- 
nalis,  et  a  quarto  latere  16.  via  publica.  luris  cui  existens.  Quo- 
modo  nobis  W  evenit  per  ereditariae  quondam  parentorum  nostro 
17.  rum,  et  nunc  nostris  detinemus  manibus,  ita  nos  tibi  tuisque  he- 
redibus  concedimus  tradimus  18.  et  venundavimus,  unde  et  hanc 
cessionis  venJitionischartula  tibi  contradidimus.  Proquam  ig.etiam 
suprascripta  cripta  una  in  integrum  sinino  hopere  constructa,  una 
cum  desuper  tecto  scandolicio  cobo  20.  perta,  seu  et  terra  vacante 
ante  se  quod  est  per  longitudo  pedes  numero  viginti  duo  et  21.  per 
latitudo  pedes  numero  decem  et  octo,  homnes  ad  pedes  summissales 
iustos  mensuratos,  22.  cum  inferiora  et  superiora  sua  a  solo  terre 
et  usque  ad  sublimia  tecti,  cum  intro  23.  ito  et  exoito  suo  in 
communae  et  cum  omnibus  (b)  sibi  pertinentem,  sicut  superius  legitur, 
24.  accepimus  nos  (0  qui  supra  venditoris  a  te  qui  supra  emptore, 
im  presentiam  subscriptorum  testium  vide  25.  [IJiccet  in  argentos 
mensuratos  libra  una  bonum  hobtimum,  etiam  nobisque  placaviles  in 
26.  omnem  vera  decisionem.  Et  ab  odierna  die  licentiam  et  potesta- 
tem  in  suprascripta  cripta  una  cum  27.  terra  vacante  ante  se,  sicut 
superius  missum  est  de  presenti  introeundi  utendi  fruendi  possi 
28.  dendi  etiam  vindendi(d)  donandi  commutandi  vel  quicquit  exinde 
facere  sive  perhagere  volu  29.  eris  in  tuam  tuisque  heredibus  sit 
potestatcm,  et  nunquam  ha  nobis  ncque  («)  ab  heredibus  nostris  ncque 
30.  etiam  a  nulla  magna  parvaque  persona  a  nobis  summissa  magna 
parvaquc  persona  (f)  con  31.  tra  tibi  tuisque  heredibus  qualivet 
moveri  questionem  aut  calumnia,  sed  stare  nos  u  32.  na  cum 
heredibus  nostris  et  defendere  promittimus  nos  tibi  tuisque  heredibus 
ab  omni  homines  et  3^  in  omni  loco  homni  in  tempore.  In  qua 
et  iuratus  dicimus  perDeum  omnipotente  sanctequae  Sedis  34.  Apo- 
stolice  domni  nostri  Benedicti  sanciissimi  hoctavi  papac,  atquae 
Haeinricus   imperatore,   hcc   omnia  35.  que    in    uius    cessionis 

vcndiiionis  chartula  scricni  textus  haeloquitur,  inviolabiiiter  conser 
36.  vare  atquc  adimplcrc  proni'.tto.  Nani  quod  absit  in  quoque  tcm- 

(a)  nobis  su  rasura.  (b)  S'tl  testo  oniibus  (e)  nos  sopra  Li 

(J)  Cosimi  testo.         (e)  La  sillaba  ne  di  ncque  sopra  la  linea,  (tj 

nel  testo. 


192  "P.  Jedele 


pore  sì  nos  vel  heredibus  nos  37.  tris  centra  tibi  tuisque  here- 

dibus  de  omnia  que  supcrius  notata  sunt,  hagere  vel  contendere  pre- 
sumsero,  et  3  8.  cuncta  que  superius  promissa  sunt  non  hopservavero, 
et  minime  nobis  defendere  volueri  39.  mus  aut  non  potuerimus,  vel 
amplium  pretium  tibi  tuisque,  hante  omnem  (»)  litis  initium,  40.  poene 
nomine  suprascripto  pretio  in  dubplo,  et  post  soluta  pena  hec  ces- 
sionis  venditionis  chartula  in  suam  41.  nichilhominus  manead  fir- 
mitate,  Quam  scribendam  rogavi  Tlieodoru  42.  s  scriniarius  sancte 
Romane  Ecclesiae,  in  mense  et  indictione  suprascripta  quinta  decima. 

Signum  >5<  manum  suprascripto  Peruncio  viro  honesto.  Signum  >J< 
manum  suprascripta  Palomba  ohnesta  puella  fratribusque  germanis 
Franco  pie  memorie  . .  .  (b)  filiì,  qui  hanc  chartula  fieri  rogavit. 

^  Gezzo  vir  honestus,  erario,  teste. 

>J<  Pepo  vir  honestus,  erario,  teste. 

>J<  Raino  vir  honestus,  hrotario,  teste. 

^  Gregorius  vir  honestus,  erario,  teste. 

i^  Beno  vir  honestus,  rotarlo,  teste. 
>J<  Ego  Theodorus  scriniarius  sancte  Romane   Ecclesiae  qui   supra 
scriptor  huius   schartula   post  testium   subscriptiones  et  traditiones 
facta  complaevi  et  absolvi  (i). 


V. 

1018,  marzo  4 

Peruiico,  «vir  honestus»,  e  le  sue  sorelle  Frosina  e 
Palomba,  «  honestae  feminae»,  vendono  a  Giovanni,  Ce- 
sario e  Benedetto,  «  viri  honesti  sive  erarii  »,  ed  a  Ste- 
fania, «  honesta  femina»,  figli  del  «  quondam  »  Pietro,  dia- 
cono, la  porzione  loro  spettante  di  una  cripta,  posta  nella 
regione  quarta   «in  Coloseo,  in  Via  Sacra». 

I.  ^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  Benedicti  s[um]        2.  mi  pon- 

(a)  Nel  testo  omem  (b)  Dopo  memorie  vi  sono  nel  testo  due  segni  di 
cui  non  intendo  tene  il  valore.  Non  sembra  che  essi  siano  un'abbreviatura  della 
parola  tessitore  che  potrebbe  essere  qui  comportata  dal  senso. 

(r)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  sec.  xii:  «  De  casa 
«solarata»:  di  mano  piìi  recente:  «In  Coloseum  w. 


Tabulariiim  S.  ^ariae  '^N^vae  193 


tificis  et  universalis  octavi  papae  in  sacratissima  sede  beati  Petri 
apostoli  sex  3.  to,  imperante  domno  nostro  Heinrigo  a  Deo  co- 
ronato magno  imperatore  anno  quinto,  indictione  prima,  mense 
4.  martio,  diae  quarta,  Quoniam  certuni  est  nos  Frosina  ohnesta 
femina   seu  Perunco  vir  honestus  nec  5.  non  Palumba   ohnesta 

femina  germanis  fratribus,  consentientem  in  hoc  a  me  Frosina  lo- 
hannes  6.  vir  honestus  qui  vocatur  Grasso  viro  meo,  sed  consen- 
tientem a  me  Perunco  Maria  ohnesta  femina  coniuge  7.  mea, 
hac  diae  omnes  pariter  hac  unianimiter  cessissemus  et  cessimus  atque 
tradì  8.  dimus  necnon  publice  et  inrevocabiliter  venundavimus, 
nullo  nobis  cogente  9.  ncque  contradicente  aut  vim  facìente,  sed 
propriae  spontaneaeque  nostre  voluntatis,  io.  vobis  domno  Johan- 
nes seu  Cesario  nec  non  Benedictus  viri  onesti  sive  erarii  atque 
II.  Stephania  ohnesta  femina,  filii  quondam  Petrus  diaconus  pie  me- 
moriae,  omnes   namque  uterinis   fratribus  ves  12.  trisque  etiam 

heredibus  et  cui  vos  largire  et  concedere  placueriiis.  Idest  omne 
portionem  13.  nostram  nobis  in  integrum  competentem  de  cripta 
una  in  integrum  cum  sinino  infra  se,  cum  inferiora  et  14.  supe- 
riora sua  a  solo  terre  et  usque  ad  sinino  et  desuper  sinino  usque 
ad  summo  tecto  15.  scandolicio,  cum  omne  portionem  nostram 
de  corticella  ante  se  et  scala  marmore  16.  [a,]  quod  est  ipsa  cor- 
ticella  per  longitudo  pcdes  decem  et  octo  (0  et  per  latitudo  pedes 
vigin  17.  ti  duo  iustas  mensuratas,  cum  introito  et  exoito  suo  per 
introito  communalis  usque  18.  in  via  publica.  Posita  Rome  re- 

gione quarto  in  Coloseo  in  Via  Sacra,  et  inter  affines  ad  totani 
19  cripta  circumdantes,  a  primo  latere  domum  W  de  heredes  quon- 
dam Petrus  de  Stephano,  et  a  secundo  latere  corte  20  commu- 
nalis (0,  et  a  tertio  latere  suprascripto  introitu,  et  a  quarto  latere  Via 
Sacra.  Infra  hos  vero  finis  21.  concedimus  et  venundamus  supra- 
scripta  nostra  portionem  sicuti  coniunctani  et  coadunata  esse  vide 
22.  tur  cum  alia  portionem  ipsius  cripta  de  vos  qui  supra  emptores. 
luris  cui  existens.  Quomodo  nobis  evenit  per  e  23.  reditariae 
quondam  parentorum  nostrorum  sive  per  quacumque  modum,  ita  eas 
vobis  vestrisque  («*)  heredibus  concedimus  24.  tradimus  et  venun- 

damus, unde  et  hanc  cessionis  venditionis  charta  vobis  contradidi- 
mus.  Pro  25.  quam  etiam  suprascripta  omne  portionem  nostrani 
nobis  in  integrum  competentem  de  cripta  una  in  integrum  cum 
sini  26.  no  infra  se  cum  inferiora  et  superiora  sua  a  solo  terre 
et  usque  ad  sinino  et  desuper  sinino  us[que]         27.  ad  summo  tecto, 

(a)  dcccm  et  octo  su  rasura.        (b)  Sri  testo  dora        (e)  communal;  ^«i 
td  in  seguilo.        (d)  ita  cai  vobis  ve  su  rasura. 

Archivio  dftla  R.  Società  romana  di  ttorùi  r.Un\i,  V..I.  Wlii.  15 


194  "P-  Jedele 


cum  omne  portionem  nostrani  de  corticella  et  scala  marmorea  [an] 
28.  te  se,  quod  est  ipsa  corticella  per  longiludo  pedes  decem(a)  et  octo, 
et  per  latitudo    pedes  numero  29,  viginti    duo,  cum    introito  et 

exoito  suo  per  introito  communali  usque  in  via  publica  et  cum  omnibus 
30.  a  suprascripta  portionem  nostram  generaliter  et  in  integrum  per- 
tinentem,  sicut  superius  legitur,  accepimus  nos  31.  qui  supra  ven- 
ditori a  vobis  qui  supra  emtori  in  presentiam  subscriptorum  testium 
videlicet  in  arg[en]  32.  tos  mensuratos  uncias  octo  bonum  opti- 
mum etiam  nobisque  placabiles,  in  omne  veram  de  33.  cisionem. 
Et  ab  odierna  diae  licentiam  et  potestatem  abeatis  in  suprascripta 
omnia  ut  superius  missum  est  34.  de  presenti  introeundi  utemdi 
fruendi   possidendi  etiam  vindendi  (b)  donandi  commutan  3  5-  di 

vel  quicquid  exinde  facere  sive  peragere  volueritis  in  vestram  ve- 
strisque  heredibus  sit  potestà  36.  tem.  Et  numquam  a  nobis  neque 
ab  heredibus  nostris  aut  a  nobis  summissa  magna  parbaque  persona 
con  37.  tra  vobis  vestrisque  heredibus  qualivet  moveri  questionem 
aut  calumnia,  sed  si  opus  necesse  fuerit  38.  stare  nos  una  cum 
heredibus  nostris  et  defendere  promittimus  (0  eam  vobis  vestrisque 
heredibus  ab  omni  ho  39.  mine  et  in  omni  locum  omnì  im  tem- 
pore. In  qua  et  iuratus  dicimus  per  Deum  omnipotentem  sanctaeque 
Sedis  Apostolice  domni  nostri  40.  Benedicti  octavi  papae  atque 
Heinrigo  magno  imperatore,  hec  omnia  que  in  huius  cessionis  ven- 
diiionis  charta  se  41.  rìem  testus  eloquitur,  inviolabiliter  conser- 
vare atque  adimplere  promittimus.  Nam  quod  ab  42.  sit,  in  quo- 
que tempore  si  nos  vel  heredibus  nostris  contra  vobis  vestrisque 
heredibus    de   omnia   que   superius  notata   sunt,  43.  agere  vel 

contendere  presumserimus,  et  cuncta  que  superius  legitur  non  obser- 
vaberimus,  et  minime  defen  44.  dere  noluerimus  aut  non  potue- 
rimus  vel  ampHum  pretium  vobis  vestrisque  heredibus  quesierimus, 
tunc  45.  non  solum  periurii  reatum  incurramus,  verum  etiam 
daturi  nos  promittimus  una  cum  heredibus  nostris  46.  vobis  ve- 
strisque heredibus  ante  omne  litis  initium  pene  nomine  suprascripto 
pretium  in  dumplo,  et  post  solutam  47.  penam  hec  cessionis  ven- 
ditionis  charta  in  sua  nihilominus  manead  firmitatem.  Q.uam  seri 
48.  bendam  rogavimus  Johannes  scriniarius  sanctae  Romanae  Eccle- 
siae  in  mense  et  indictione  suprascripta  prima. 

Signum  >J<  )J<  >J<  manuum  (A)  suprascripta  Frosina  seuCO  Perunco 
nec  non  (0  Palumba  qui  hanc  charta  fieri  rogaverunt. 

(a)  decem  su  rasura.  (b)  Così  nel  testo.  (e)  L'  ultima  sillaba  di  de- 
fendere e  la  prima  di  ^lomìttìmus  sono  scritte  su  rasura.  (d)  man;  qui  ed 
in  seguito.         (e)  u  sopra  la  linea,         (f)  Xel  testo  nec  no 


Tabularilun  S.  ^lariae  VS^opae  195 


Signum  y^  ^  manuum  suprascripto  Johannes  seu  Maria  ohnesta 
femìna  qui  hanc  charta  consenserunt. 

\^  Leo  filius  Leoni  nomencolatori. 

>^  Gezo  erario  qui  vocatur  de  Ciro  Nicolao. 

)^  Gregorius  filius  Michael. 

>J<  Gezzo  fili  Sebastiano. 

^  Gregorio  erario  gener  Sabatino  («),  rotario. 
1^  Ego   Johannes  scriniarius  sanctae  Ronianae  Ecclesiae  qui   supra 
scriptor  huius  charta  post  testium  subscriptiones  et  traditiones  facta 
•compievi  et  absolvi  (i). 


VI. 

1025,    luglio    12  (2). 

Gregorio,  diacono  della  venerabile  diaconia  di  S.  Maria 
Nova,  insieme  con  i  preti  ed  i  mansionari  della  stessa  dia- 
<:onia,  concede,  sino  alla  terza  generazione,  ai  fratelli  Gio- 
vanni, erario  e  priore  della  «  schola  erariorum»,  Cesario  e 
Benedetto  «  nobilibus  viris  »,  parimenti  erarii,  due  pezze  di 
^igna,  poste  nel  territorio  di  Albano,  «  in  fundum  quod 
<(  vocatur  Cerclo  » . 

I.  >ì<  In  nomine  domini  Dei  s[a]lvatorìs  nostri  lesu  Christi. 
Anno  Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  lohanni  summi  ponti- 
fici  et  universali   no  2.  no  decimi  pape  [in  sjacratissima  sede 

(a)  b  corretto  da  p 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  secolo  xii:  «De 
«  casa  solarata  posila  in  Coliseo  ».  Un'  altra  annotazione,  della  fine 
del  XII  o  del  xni  secolo,  dice:  «Carta  de  domo  in  qua  habitavit 
^  Linni   Pauli  de  Tuscho». 

(2)  Anche  se  non  si  accettino  le  conclusioni  che  ho  esposto 
altrove  sulla  data  di  consacrazione  di  Giovanni  XIX  (cf.  Archivio 
della  R.  Soc.  rom.  di  st.  patr.  XXII,  56  sg.),  il  documento  presente 
-ci  offre,  per  determinarla,  un  terminus  ante  quem  anteriore  al  1$  lu- 
glio 1024,  che  vien  dato  dallo  Jaffé  (I,  51$).  Correndo  difatti  nel 
12  luglio  del  102$  il  secondo  anno  del  pontificato  di  Giovanni  XIX, 
questi  dovò  essere  consacralo  anieriormenie  al  12  luglio  dell'anno 
precedente. 


19^  "P.  Jedele 


beati  Petri  apostoli  secundo,  indictione  octavn,  mense  iuleo,  die  duo- 
decima. Cluisqu[is]  3.  actionibus  venerabilium  locorum  preesse 
dinoscitur,  incuntanter  eorum  utilitatibus  ut  proficiant  cum  summa 
diligentia  [prò]  4.  curare  festinet.  Placuit  igitur  cum  Christi 
auxilio  atque  convenit  inter  domnus  Gregorius  diaconus  venerabili 
diaco[ni]  5.  a  sanctae  Dei  geni[tri]cis  semperque  virglni  Marie 
domine  nostre  que  olim  Antiqua  vocabatur  nunc  autem  Noba,  seu 
Johannes  religioso  ar  6.  chipresbitero,  et  Silvestro  secundo,  et  Pe- 
trus tertius,  nec  non  Stefanus  prior  scole  mansionariorum  item  et 
Gregorius  secundo,  atque  Johannes  tertius,  con  7.  sentiente  cunta 
congregatione  presbiterorum  adque  mansionariorum  suprascripta  ve- 
nerabili   diaconia,  et  e  divers's  Johannes  errario    atque  priore  scole 

8.  [errajriorum  seu  Cesarius  atque  Benedictus  nobilibus  viris  item 
errarli  omnibusque  germanibus  fratribus,    ut  cum    Domini   adiutorio 

9.  [suscipejre  debeant  a  suprascripto  Gregorio  sibi  consentientibus 
sicut  et  susceperunt   predicti   Johannes  errario  et  priore   scole  erra 

10.  riorum  seu  Cesarius  atque  (*)  Benedictus  nobilibus  viris  itemque 
errarli  omnibus   germanibus   fratribus    heredesque    illorum,  conductt 

11.  [onis]  suprascripti  venerabili  diaconia.  Jdest  vineae  bovarice  petie 
duabus  in  integrum  clusura  super  se   abentem  per  unaquoque  petia 

12.  in  omni  partes  ordines  quadraginta,  cum  versularìis  (b)  et  sedimen 
ad  calcatorio  ponendum  et  residendum,  cum  introito  et  exoito  suo 
usque  13.  in  via  plubica  (0,  et  cum  omnibus  a  se  pertinentera. 
Posita  territorio  Albanense  in  fundum  quod  vocatur  Cerclo,  et  inter 
affines  a  primo  latere  terra  14.  vacante  de  venerabili  monasteri» 
sancti  Leoni,  et  a  secundo  latere  terram  vacantem  de  Curtu  nobi- 
lissima femina,  et  a  tertio  latere  palma[t]a  15.  rio  et  paries  anti- 
qua, et  a  quarto  latere  via  publica.  Juris  suprascripta  diaconia.  Jta 
ut  suprascripti  Johannes  seu  Cesarius  16.  atque  Benedictus  nobi- 
libus viris  germanis  vineae  ipse  in  omnibus  tenere  et  possidere  de- 
beant et  ad  meliorem  faci  17.  endum  Deo  iubante  ad  cultum  perdu- 
cant  ipsis  heredesque  illorum  prò  futurum  usque  in  tertium  gradum 
tertiam  persona  18.  tertia  generationem  et  tcrtia  heredes,  hoc  est 
ipsis  suprascripti  filiis  nepotesque  illorum  ex  filiis  legitimis  procreatis. 
Quod  si  19.  vero  filiis  aut  nepotes  minime  fuerint,  ut  etiam  W 
extranea  persona  cui  voluerint,  relinquendi  abeant  licentiam,  20.  ex- 
cepto  piis  locis  vel  publicum  numerum  (e)  militum  seu  bandum  (0, 
servata  dumtaxat  in  omnibus  proprietatem  suprascripta  venerabili 
diaconia.  Pro  quam         21.  etiam  suprascripte  vineae  bobarice  petie 

(a)  Nel  testo  manca  a  in  atque       (b)  vers,  ;  qui  ed  in  seguito.       (e)  Così  nei 
testo.       (d)  Così  nel  testo  per  uni  etiam       (e)  Nel  testo  num       (f  )  Nel  testo  band 


Tabulariiim  S.  oMai^ìae  V^pj^ae  197 


duabus  in  integrum  clusura  super  se  abentem  per  unaquoque  petia 
in  omni  partes  ordines  quadraginta,  22.  cum  versulariis  et  sedi- 
men  ad  calcatorio  ponendum  et  residendum,  cum  introitu  et  exitu 
suo  usque    in    via  publica,  et    cum    omnibus   suprascripta    pertinen 

23.  tem  sicut  superius  legitur,  dare  atque  inferre  debeant  suprascripti 
lohannes  seu  Cesarius  atque  Benedictus  ipsis  heredesque  illorum  rati 

24.  onibus  in  suprascripta  venerabili  diaconia,  singulis  quibusque  annis 
sine  aliqua  mora  vel  dilatione  pensionis  nomine,  in  asumtione  san- 
ctae  Ma  25.  riae  denarios  argentos  qualis  per  tempore  in  capo 
hierit  numero  duo.  Completa  vero  tertia  generatione  ut  superius  mis- 
sum  est,  tunc  26.  suprascriptae  vinae  W  sicuti  fuerint  conciate  et 
meliorate  ad  ius  suprascripta  venerabili  diaconia  cuius  proprietas  esse 
dinoscitur,  in  integrum  modis  omnibus  re  27.  vertatur,  ut  quicquit 
eiusdem  venerabili  diaconia  curam  gesserint,  iterum  locandi  quibus 
maluerint,  liberam  abeant  sine  aliqua  28.  ambiguitatem  licentiam. 
De  qua  re  et  de  quibus  omnibus  suprascriptis  iurantes  dicuntW, 
utrasque  partes  per  Deum  omnipotentem  sanctaeque  Sedis  Apostoli 
29.  ce  domni  nostri  lohanni  sanctissimi  nonidecimi  papae,  hec  omnia 
que  in  huius  placiti  conventionisque  chartule  seriem  testium  eloqui- 
tur,  inviolabili  30.  ter  conservare  atque  adimplere  promittunt. 
Quod  si  quisquam  eorum  contra  hec  placiti  conventionisque  char- 
tule (0  seriem  in  to  31.  to  partem  eius  quolivet  modo  venire 
tcmtaverint,  tunc  non  solum  periurii  reatum  incurrant,  veruni  etiam 
daturi  se  heredes  sue  32.  cessorisque  eius  promittunt  pars  partis 
fidem  servante  C<i)  ante  omen  (<=)  litis  initium  pene  nomine  auri  optimi 
libras  duabus,  et  post  33.  solutam  penam  hec  placiti  conventio- 
nisque chartulae  seriem  in  sua  maneat  firmitate.  Has  autem  duas 
unifor  34.  me  uno  tenore  conscriptas  chartulae  michi  lohannes 
Quintus  scriniarius  vocatus  sanctae  Romanae  Ecdesiae  scribendas 
pariier  dieta  35.  verunt  easque  propriis  ma[ni]bus  roborantes 
testibus  a  se  rogitis  optulerunt  subscribendas  et  sivi  in  36.  vi- 
cem  (0  tradiderunt  sub  stipulatione  et  sponsione  soUemniter  (g). 

►J<  Ego  Gregorius  diaconus  ì^  Ego  Stefanus  prior  scole 

propria  manus  subscripsi.  mansionariorum  subscripsi. 

>J<  Ego   lohannes    religioso  )^i  Ego    Gregorius  II    con- 

archipresbitero  consensi  et  sub-       sensi, 
scrissi  (h). 

ì^<  Ego   Silvestro  presbitero  f[i  Ego    Johannes   III    con- 

subscripsi.  sensi. 

(a)  Coti  nel  tetto.  (h)  \rl  testo  dicunc  (e)  Nel  testo  hTe  (d)  N*l 
testo  sevante  (e)  Cosi  nel  tetto.  (f)  Nel  testo  tnvitem  (g)  Manca  nel 
testo  /o />aro/a  intcrposita        (h)  Nel  testo  subrcriui;  in  seguito  subrcripsi 


198  T,  Jedele 


>J<  Ego  Petrus  presbiter  subscripsi. 

>Jh  lohannes  vir  honestus  filio  Bonifati,  teste. 

»J<  lohannes  qui  vocatur  («)  Spinam  bentre,  teste. 

>^  Petrus  abulterinus,  teste. 

>J^  Gizzo  vir  honestus  errarlo  filio  (b)  Sebastiano,  teste. 

}J<  Gregorlus  errario  gener  Sabbatino,  teste. 
»J<  Ego   lohannes  Quinto  vocatus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ec- 
clesiae  qui  supra  (0  scriptor  huius  chartam  post  testium  sobscriptìo- 
nes  (A)  et  traditiones  facta  compievi  et  a  («)  (i). 


VII. 

1028,  gennaio  8, 

Alberico,  a  illustrissimo  et  clarissimo  viro  et  comes  sacri 
«  Lateranensis  palatii  »,  concede,  in  parte,  a  Pietro,  abbate 
del  monastero  di  S.  Maria  di  Gerusalemme,  e  a  diversi 
altri,  un  molino  ad  acqua,  posto  nel  territorio  della  sua 
città  di  Tuscolo,  nel  luogo  detto  «  Balle  Marciana  »  ;  col 
patto  cioè  di  dividere  a  mezzo  «  totam  molituram  quas 
«  in  eum  introierit  ». 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  quarto  domni  nostri  lohanni  noni 
decimi  papae,  atque  Chuonradi  imperatoris  anno  primo  2.  imperii 
eius,  indictione  undecima,  mense  ianuario,  die  octaba.  Quoniam  cer- 
tura  est  me  domnus  Albericus  3.  illustrissimo  et  clarissimo  viro 
et  Comes  sacri  Lateranensis  palatii,  hac  die  ccessissem  et  cessi  at 
4.  que  tradidi  nec  non  locum  aque  ad  aquimolum  faciendum  in  par- 
tem  dedi  propria  spontanea    mea  5.    voluntate,  vobis  Petrus  re- 

ligioso presbitero  et  monacho  atque   abbate   venerabili    monasteri© 
sanctae  Dei  genitricis         6.  Marie  domine   nostre  quod  vocatur  de 

(a)  Nel  testo  qui  (b)  Nel  testo  fit  (e)  qui  supra  e  ripetuto.  (d)  Cast 
nel  testo.  (e)  Le  parole  et  traditiones /«rono  cancellate  con  la  mano  ad  inchio- 
stro ancor  fresco  ;  sulla  parola  facta /«  tirata  una  linea  di  cancellatura,  e  della 
parola  absolvi,  con  la  quale  suol  terminare  la  completio,  non  fu  scritta  che 
la  prima  lettera;  indi:^io  forse  che  l'atto  non  ebbe  il  suo  legale  compimento. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del  xiii  secolo  è  scritto: 
«  Cartula  locationis  vinee  que  locata  est  vel  fuit  lohanni  erario 
«priori  scole  erariorum  et  Cesari  et  Benedicto  fratribus  ». 


Tabiilarium  S.  oMarìae  'O^vae  199 


Gerusale,  seu  Petrum  ferrarium  qui  dicitur  de  Monticelli,  atque  lo- 
hannem  vobe  . .  (»)  7.  remissione,  nec  non  Petrum  de  Lunari,  et 
Roccio  gener  Lunari,  vestrisque  successoribus  et  heredibus  [et  cui] 
8.  vobis  largire  et  concedere  placueritis.  Idest  memoratum  locum  aque 
ubi  aqu[imoIum]  ....  9.  vestro  sumtui  factum  abetis,  cum  omni 
conciatura  et  ferratura  vestra  cum  forma  que  v[ul]  io.  go  dicimus 
scceptum,  ab  introitum  aque  usque  descensa  eius  prò  utilitate  nomi- 
nati aquimo  i  r.  li,  cum  introito  et  exoito  suo  et  cum  omnibus 
ad  eas  pertinentibus.  Positum  territorio  Tusculanense  12.  in  rivo 
qui  vocatur  Aqua  Capr[a  in  loco  ub]i  dicitur  Balle  Marciana.  luris 
cui  existens.  Unde  et  anc  13.  ccessionis  partionariae  chartulae 
vobis  ut  superius  diximus,  contradidì.  Quas  suprascriptum  aquimo- 
lum  cum  14.  omni  sua  utilitas  et  sibi  pertinentibus  sicut  (b)  su- 
perius legitur,  hab  oc  presenti  ora  licentiam  15.  habeatis  eum 
retinere  habere  tenere  vel  utere  et  fruere,  et  totam  molìturam 
16.  quas  in  eum  introierit  quoequaliter  per  medium  dividere,  me- 
dietatem  in  integrum  mihi,  17.  et  alia  medietatem  vos  vestrisque 
[heredibus ....  tenejre  vestre  portione.  Si  vos  et  vestris  sue  18.  cces- 
soribus  et  heredibus  venu[ndari  hoc  aquimolum  volueritis,  prius  no- 
bis  venunda]ri  debetis  iustum  pretium  19.  mìnus  denariis  trig[inta. 
Quod  si  nos  emere  noluerimus,  vos  et  vestris  successoribus  et]  he- 
redibus licentiam  habeatis  20.  venundari  inter  vos  unum  ad  aliu[m] 
Si  inter  vos  emere  [nolueritis,  lice]  21.  ad  vobis  venun- 
dari ad  hominibus  habitaturi  mea  civitate  Tusculanensis  22.  cui- 
cumque  volueritis.  Et  numquam  ha  me  neque  ab  heredibus  meis 
ncque  a  me  summissa  23.  magna  parvaque  persona  haliquam  ha- 
liquando  habebitis  questionem  aut  calum  24.  nia.  Etiam  si  vo- 
[bis]  vestrisque  heredibus  necesse  fuerìnt,  contra  omnes  homines  sta 
25.  re  me  una  cum  heredibus  meis  et  defendere  promitto  in  omni 
tempore  gratis.  26,  Hec  omnia  que  huius  (<=)  chartulae  seriera 
testus  eloquitur,  inviolabiliter  conser  27.  vare  atque  adimplere  pro- 
mitto. Si  enim  quod  apsit  et  quoquo  tempore  28.  ego  vel  here- 
dibus meis  contra  vos  vestrisque  successoribus  et  heredibus  aut  con- 
tra hanc  29.  ccessionis  partionariae  chartulae  qua  sponte  ficrint 
rogavi,  hagere  aut  causa  30.  re  presumsero,  et  cuncta  non  obser- 
vabero,  tane  non  solum  periurii  re  31.  autum  incurra,  verum  etiam 
daturo  me  esse  promitto  una  cum  heredibus  meis  vo  32.  bis  ve- 
strisque successoribus  et  heredibus  ante  omne  litis  initium  poene  no- 

(a)  Dopo  e  $i  vede  parte  di  un'altra  lettera,  forse  <\  ;  poi  la  pergamena 
e  rotta  per  lo  spazio  di  circa  due  lettere.  (b)  t  aggiunto  sopra  la  linea. 

(e)  Sei  testo  hius 


200  T,  Jedele 


mine  auri  opti  33.  mi  uncias  sex,  et  post  soluta  poena  hec  char- 
tula  in  sua  nihilominus  ma  34.  nead  firmitate.  Quam  scribendam 
rogavi  lohannem  scriniarium  sanctae  Romanae  Ecclesiae,  35.  in 
mense  et  indictione  suprascripta  undecima. 

>J<  Alberic[us  Dei]  gratia  comes  palatii, 

>Jh  Johannes  vir  honestus  qui  vocatur  de  Allo  W. 

>5<  Amico  vir  honestus  castaido. 

>5<  Johannes  vir  honestus  qui  vocatur  de  Boni. 

>J-<  Petro  Capo  ad  alto. 

>J<  lohannem  qui  vocatur  de  Rusca. 

>J<  Ego  lohannem  scriniarius  sanctae  (b)  Romanae  Ecclesiae 
scriptor  hec  chartula  compievi  et  absolvi  (i). 


Vili. 

1028,  febbraio  20. 

((  Benony,  vir  magnificiis,  qui  vocatur  de  Stephanus 
«  dello  Maximo  »,  e  Constanza  «  honesta  femina  »,  ven- 
dono a  Maria  «honesta  puella»,  loro  futura  nuora,  due 
pezze  di  vigna,  poste  nel  territorio  di  Albano,  nel  luogo 
chiamato  Savello. 

I.  >J<  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontificatus  domni  lohanni  summi  pontifici  2.  [et 

u]niversali  nonus  decimi  papae  in  sacratissima  sede  beati  Petri  apo- 
stoli quarto,  inperante  3.  domno  nostro  Conrado  a  Deo  coronato 
mangno  et  pacifico  inperatore  anno  primo,  indictione  4.  [ujnde- 
cima,  mense  februario,  diae  vicesima.  Quoniam  certum  est  me  Be- 
nony vir  magnificus  qui  vocor  de  5.  [Stejfanus  dello  Maximo,  seu 
Constantia  ohnesta  femina,  hac  diae  cessisemus  et  cesimus  6.  [con- 
trjadidimus  nec  non  et  venumdavimus,  nullo  nobis  penitus  cogente 
ncque  contradicen  7.  [te  a]ut  vim  faciente,  set  propriae  sponta- 
neaque  nostre  vone  bolumtatis,  vobis  Maria  ohnesta         8.  [pujella  si 

(a)   Così  nel  testo.         (b)  Nel  testo  scrinuscae 

(i)  Ai  piedi  della  pergamena  è  scritto  in  lettere  longobarde: 
«de  mola  de  Valle  Marciana  ».  Nel  verso,  di  mano  del  secolo  xiii: 
«  Chartula  de  aquimolo  territorio  Tusculani  sancte  Marie  de  lerusa- 
«  lem  pertinenti  ». 


Tahularium  S.  oMariae  V^opae  201 


domino  Deo  placuerit  dilecta  norua  mea,  tibi  tuìsque  heredibus  vel 
cui  tibi  largire  et  conce  9.  [de]re  placueris,  Idest  vinea  (a)  bova- 
rica  petlae  duobus  in  integrum  quanta  infra  predicti  affines  concia 
IO.  uduntur,  cum  versulariis  W  et  introito  atque  sedimen  ad  calca- 
torio  ponendum  et  cum  omnibus  ad  eas  pertinen  11.  [t]ibus.  Posila 
territorio  Albanense  in  locum  qui  vocatur  Savellum,  quod  est  Inter 
affines,  a  pri  12.  [mo]  latere  vinea  de  te  qui  supra  venditore,  et 
a  secundo  latere  vinea  de  heredes  de  Valduino,  et  a  tertio  latere 
vinea  13.  [de]  venerabili  ecclesia  sancti  Christi  martiris  Theo- 
doris,  et  a  quarto  latere  vinea  de  Benony  qui  vocatur  erario.  14.  [lu- 
ri]s  cui  existens.  Sic  in  integrum  quomodo  mihi  aebenit  per  raeis  hac- 
quisitionibus  et  usque  modo  15.  [no]bis  detenuimus  manibus,  sic 
eas  tibi  in  integrum  concedimusCO  tradidimus  et  venumdavimus,  unde 
16.  et  hanc  cessionis  venditionis  charta  tibi  contradidimus.  Quem 
vero  suprascripta  vinea  bovarica  petiae  duobus  17.  '.n  integrum 
quanta  W  infra  suprascripti  affines  conclauduntur,  cum  versulariis  et 
introito  atque  sedimen  ad  calcatorio  18.  ponendum,  et  cum  omni- 
bus ad  eas  pertinentibus  sicut  superius  legitur,  haccepimus  nos  qui 
supra  venditori         19.  [a  te]  qui  supra   emptori    coram   presentiam 

subscriptorum  testium,  videlicet  in  argentos  livras  numero       20 (O, 

bonos  optimos  iusstoque  pesante  mihique  placabilem.  Et  ab  hodierna 
diae  li  21.  [cen]tiam  et  potestatem  abeas(f)  in  suprascripta  vinea 
ut  superius  legitur,  de  presenti   introeundi   utendi    fru  22.  endi 

possidendi  vindendi  donandi  commutandi  vel  quicquid  exinde  facere 
sive  peragere  volueris,  23,  in  tuam  tuisque  heredibus  sit  potesta- 
tem. Et  numquam  ad  nos  neque  ab  heredibus  nostris  neque  etiam  ad 
nu  24.  llam  mangna  parvaque  persona  a  nobis  summissa  aliquam  ali- 
quando  abebitis  questi  25.  onem  aut  calumniae.  Stare  nos  una  cum 
heredibus  meis  et  defendere  promitto  omni  in  tem  26.  pore  gratis.  Hcc 
omnia  que  hanc  cessionis  venditionis  charta  seriem  ptextus  eloquitur, 
invi  27.  [ol]aviIiter  conservare  atque. adimplere  promitto.  Si  enim 
quod  apsit  et  quoquo  tem  28.  [po]re  si  nos  vel  heredibus  nostris 
contra  tibi  tuisque  heredibus  aut  centra  hanc  cessionis  venditionis  charta 
29.  qua  sponte  fieri  rogavimus,  agere  aut  causare  vel  litigare  presumpse- 
rimus  et  cuncta  30.  que  ut  superius  scriptum  est  non  obscrvavcro  et 
minime  defendere  potuerimus  aut  iioluerinius,  vel  am  51.  plium  pre- 
tium  libi  tuisque  heredibus  quesicrimus,  lune  non  solum  periuriuni 
reaium  incurra,  ante         52.  omne  litis  initium  pene  nomine  supra- 


(4)  vili;  qui  ed  in  ieguìto.         (b)  vcrs,  ;  qui  ed  in  seguito.         (e)  ì^el  testo 
cocedimus        (d)  S'tl  testo  quata         (e)  Lacuua  nel  testo.        (I  )  .\V/  testo  abet 


202  T.  Jedele 


scripto  pretium  in  dupplo,  et  post  penam  obsolutionis  W  33.  ma- 
nente hec  venditionìs  charta  in  suam  mancaci  firmitate.  34.  Quam 
scribendam  rogavi  Petrum  scriniarium  sanctae  Romanae  Ecclesiae  in 
mense  et  indictione         35.  suprascripta  undecima. 

Singun  (b)  >J<  manum  suprascripto  Benony  vir  magnificus  et  ro- 
gatori  qui  supra  scribere  nescit  (e). 

Singun  (t>)  y^  manum  suprascripta    Constantia    ohnesta    femina 
et  rogatrice  que  supra  scribere  nescit. 

^  Cece  vir  magnificus  qui  vocatur  de  Sergi  de  Adelmari,  testis. 

>^  Rigizzo  vir  magnificus  filio  Landò,  testis. 

^  lohanni  vir  magnificus  qui  vocatur  de  Ravenna,  testis. 

y^  Beno  vir  magnificus  qui  vocatur  de  Firmo,  testis. 

>^  lohanni  vir  lionestus  qui  vocatur  Trepidello,  testis. 
>J<  Ego  Petrus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  qui  supra  scri- 
ptor  uius  charta  facta  compievi  et  obsolvi  (^)  (i). 


IX, 

1038,  febbraio   16. 

Gregorio,  giudice  dativo,  concede  a  Benedetto  primi- 
cero,  vita  sua  durante,  la  metà  del  casale  posto  fuori  la 
porta  di  S.  Paolo,  nel  fondo  detto  Balirano  (2). 

In  nomine  Domini.  Anno  sexto  pontificatus  domni  Benedicti 
noni  pape  atque  Chuonradi  . . .  anno  undecimo,  indictione  sexta, 
mense  februario,  die  sexta  decima.  Quoniam  certum  est  me  Grego- 
rium .  . .  gratiam  datibum  iudicem,  ab  hac  presenti  die  dono  cedo 
trado  et  inrevocabiliter  largior  concedo,  nullo  me  cogente  atque  con- 

(a)  Così  nel  testo.  (b)  Così  nel  testo,  (e)  Qui  ed  appresso,  nel  rigo 
seguente,  dopo  il  segno  di  abbreviazione  che  indica  qui  supra,  vi  sono  delle  note 
simili  a  quelle  adoprate  talvolta  a  significare  la  parola  legitur  Nel  nostro  caso 
però  esse  sono  seguite  dalla  sillaba  scit  d'  evidente  lettura;  onde  si  può  supporre 
debba  qui  leggersi  scribere  nescit 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  secolo  xiii :  «  Cartula 
«  Albanensis  de  duobus  petiis  vinera  (così)  posite  in  Saviello  (così)  »  ; 
e  di  altra  mano,  sopra:  «  Saviello  ». 

(2)  Dal  Galletti,  Del  primicero,  p.  277.  Il  documento  origi- 
nale è  smarrito. 


Tabularium  S.  €Mariae  V^opae  203 


tradicente  aut  vim  faciente  sed  propria  spontaneaque  mea  voluntate, 
libi  domno  Benedicto  Dei  gratia  sollertìssimo  primicerio  sancte 
Apostolicc  Sedis . . .  tantummodo  subscripto  casale  concedo  ad  te- 
nendum.  Idest  ut  dixi  solummodo  dierum  vite  tue  cedo  medietatem 
in  integrum  ex  universo  casale  sicuti  quemammodum  infra  inferius 
scriptos  affines  esse  videtur,  cultum  incultum  vel  cum  omnibus  ad 
suprascripta  medietate  iam  dicti  casali  generaliter  et  in  integrum  per- 
tinentibus.  Positum  foris  portam  beati  Pauli  apostoli  ex  corpore  fundi 
qui  dicitur  Balirano  W.  Inter  affines,  a . . .  ipsum  cas  ilem  de  qua  integra 
medietate,  dum  vixeris,  tibi  concedo,  a  primo  latere  limite  quo  di- 
vidit  inter  hunc  casalem    et  casalem   lohannis  de  Faida,  qui  casale 

ad  laborandum  ab  ipso  detinet  Johannes  de  be de- 

venit  in  cava,  et  separare  videtur  inter  hoc  casale  et  casale  Stephani 
protoscriniarii,  a  tertio  latere  vìam  publicam,  que  da  massa  venire 
dinoscitur,  et  a  quarto  latere  rivo  qui  exiit  ex  .  .  .  molis  Albanensis 
civitatis  et  dividit  inter  ipsum   casalem  et  casale    heredum    Maximi 

mei.  Set  ipso  casale  olim  causa  laborationis  detinuit  Ghone 

qui  vocatur  Buccafumo.  Infra  hos  vero  finis  in  integrum  medietatem 
ex  suprascripto  casale  tantummodo  dum  vite  tue  fuerint  dies,  concedo 
ad  tenendum  atque  fruendum  sicuti  est  coniunctum  et  coadunatum 
cum  alia  medietatem  tuam  quam  ad  propriam  hereditatem  habes 
acquisitum.  Et  hanc  a  die  presentis  donationisque  chartulam  coram 
conspectui  subnotatis  prudentissimis  et  sollertissimis  censoribus  tibi 
contradidi.  Predictamque  quidem  medietatem  in  integrum  ex  uni- 
verso suprasc-ipto  casale  cum  medietatem  ex  omnia  sua  adiacentia 
vel  pertinentia  sicut  promissum  est  dierum  vite  tue  ut  supra  dictum 
est  concedo  tibi  habendum  ita  ut  per  unumqucmque  annum  dum  in 
hoc  seculo  vixeris,  unam  operam  ad  arandum  mihi  meorumq . . 
causa  pensionis  persolvere  debeas.  Et  cum  ex  hoc  seculo  migraveris 

suprascripta  medietatem  casali  sine  omni  intcntione  vel 

contrarietate  aliqua  in  mea  meisque  heredibus  potestate  revertat.  Et 
quousque  in  hac  vita  vixeris,  neque  ego  vel  meis  heredibus  ncque 
etiam  a  nulla  magna  parvaque  persona  a  me  submissa  contra  et  ulla 
callumpnia  vel  intentione  fuerit  vel  excitare  valeamus.  Et  hec  omnia 
adimplerc  poUiceor.  Nam  quod  apsit  si  contra  hanc  chartulnm  quam 
sponte  fieri  rogavi,  agere  aut  causare  vel  litigare  presumpsero  et  quod 
aperte  diccre  studeo,  si  illa  suprascripta  medietate  casalis  dum  vixeris 
tibi  toUere  vel  auferre  voluero,  tunc  daturum  me  promitto  una  cum 
heredibus  meis  libi  vestrisque  heredibus  ante  omni  liiis  initium  pene 
nomine  auri  optimi  uncie  sex,  et  post  solutam    pcnam  maneat  hec 

(a)  /fi  altri  documenti  questo  fondo  appare  col  nome  di  Valeranus 


204  T.  Jedele 


chartula  in  sua  nihilominus  firmitate.  Quam  scribendam  rogavi 
Grimoaldum  scriniarium  S.  R.  E.  in  mense  et  indictione  suprascripta  .vi. 
y^  Crescentius  Domini  gratia  nomenculator  sancte  Apostolice 
Sed's.  >J<  Stefanus  Dei  nutu  («)  datibus  iudex.  >^  . . . .  (b)  Domini 
gratia  datibus  (<=)  iudex. 

Ego    Grimualdus  («i)   scriniarius  S.  R.  E.  post    testium    compievi  et 
absolvi. 


X.      ♦ 

1038,  novembre  5. 

«  Instrumento  di  vendita  d'una  casa  o  grotta  con  case 
«  et  lapide  tivertìno  poste  in  regione  4.,  nel  Amfiteatro 
«  detto  Colosseo,  fatto  da  Benedetto  di  Andrea  a  Fingio- 
«  rato  per  una  libra  e  mezza  d'argento.  Rogato  da  Bene- 
0  detto  Marino,  scriniario  »  (i). 

grypta  una  in  integrum  sinino  hopere  coperta  cum  medietate .... 
sasum  . . .  pilarum  ine  et  inde  q . .  vulgo  vocantur ...  ex  lapide  tiburtino. 

Posita  Rome  regione  quarta  in  ampiteatrum  (e)  quod  nuncupatur 
Coloseum.  Et  Inter  affines  ab  uno  latere  crypta  et  terra  de  Guido 
de  Berta,  et  alio  latere  crypta  de  Doda  caudica ....  et  a  tertio  latere 
crypta  et  terra  de  .  .  .  Singlorecto  ...  et  a  quarto  latere  via  publica. 

>J<  Beno  um  qui  Longo  vocor. 

(a)  Nelle  schede  del  Vati  de  Vivere  (V.)  ove  sono  riportate  le  sottoscrizioni 
di  questo  documento,  si  ha  nutus  (b)  Dalle  schede  del  V.  appare  che  il  nome 
dell'  ultimo  sottoscrittore  doveva  essere  rappresentato  nel  documento  originale 
in  maniera  mono  grammatica  insieme  con  la  croce  ;  non  si  riesce  però  ad  in- 
tendere quale  potesse  essere.  (e)  V.  dativus  (d)  Nel  transunto  del  Ro- 
si ni,  p.^,  «.5,  lo  scriniario  è  chiamato  «  Grimaldo  ».       (e)   Così. 

(i)  Tolgo  il  transunto  del  documento,  di  cui  è  perduto  l'origi- 
nale, dall'  indice  del  Rosini,  p.  3,  n.  4;  la  parte  del  testo  che  segue, 
è  tolta  dalle  schede  del  Van  de  Vivere,  e  la  riporto  coni'  è.  Nel 
transunto  del  Rosini  il  nome  di  «  Fingiorato  »  è  una  interpretazione 
evidentemente  errata  di  «  Singiorictus  »  o  «  Siniorictus  ».  Delle  sot- 
toscrizioni del  documento  originale  il  Van  de  Vivere,  come  egli 
nota,  ne  riportò  solamente  alcune 


Tabular ium  S,  oMariac  V^vae  205 


>~i  Andrea  videlicet(a)  de  Fresa. 

Y^  lohannes  videlicet  qui  Beclo  (b)  vocor. 

>J<  Ego  Benedictus  qui  Marino  vocor  scriniarius  &c. 


XI. 

1039,  ottobre  11. 

Leone,  Berardo  e  Bona  donano  a  Paolo,  arciprete  di 
S.  Maria  Nova,  «  terram  vacantem  a  foris  iuxta  archum 
0  maiorem  templi  quod  Domus  Noba  appellatur  »  (i). 

Anno  pontificatus  Benedicti  IX  octavo,  indictione  octava,  mense 
octobris,  die  .xi.  Leo,  Berardus  et  Bona  fratres  et  soror  atque  filii 
cuiusdam  (e)  Petri  bone  memorie  damus  &c.  vobis  domno  Paulo  Do- 
mini gratia  religioso  archipresbitero  venerabilis  ecclesiae  sancte  Dei 
genitricis  semperque  virginis  Marie  et  domine  nostre  que  prius  An- 
tiqua nunc  Nova  appellatur,  et  per  te  cunctis  aliis  presbiteris  ipsius 
ecclesie  &c.  Idest  terram  vacantem  a  foris  iuxta  archum  maiorem 
templi  quod  Domus  Noba  appellatur,  tantum  scilicet  ex  ipsa  terra 
vobis  donamus  quantum  per  latitudinem  esse  videtur  iam  dictus 
archus  prefati  templi  quemadmodum  exigitque  in  via  publica.  Hanc 
igitur  terram  vobis  concedimus  prò  eo  quod  vobis  necesse  videtur 
ad  vestram  utilitatem,  videlicet  quia  via  exinde  facere  vultis  ad  per- 
gendum  sine  impedimento  tum  qualecumque   causa  tam  vobis  pla- 

(a)  La  parola  videlicet  qui  e  nella  riga  seguente  è  sicuramente  una  falsa 
interpretazione  di  v.  h.  per  vir  honcstus  Così  non  fu  intesa  nella  riga  ante- 
cedente l' abbreviazione  um  per  vir  magnificus  (b)  Od  anche  Bcdo^  come 
annota  il   V.         (e)   Od  anche  quondam  vel  condam  (V.) 

(ì)  Di  questo  documento  che  sarebbe  stato,  forse,  assai  prezioso 
per  le  sue  indicazioni  topografiche,  non  ci  rimane  che  l'esccrpto 
del  Van  de  Vivere  che  qui  si  pubblica.  Il  Rosini,  mnie  interpre- 
tando il  contenuto  del  documento,  ne  ha  dato  (p.  3,  n.  5  )  il  tr.insunto 
che  segue:  «  Instrumento  di  donazione  di  un  pezzo  di  terra,  quanto 
«era  largo  l'arco  della  cliiesa  di  S.  M.-irin  Nuova,  fallo  da  Leone  e 
a  Berardo,  nobilissimi   uomini,  i    P.mi  la   feniina,  figli  della 

«ho.  me     '■  V'  '  lolo  arciprete  ui  detta  chiesa.  Rogato  da 

a  Cresce  ^luanto   alla   cronologia   del    documento, 

vedi  la  nota  alia  caria  xni. 


2o6  T.  Jedele 


cuerit,  silicet  cum  equis  et  asinis  vel  aliis  quibuslibet  animalibus  non 
solum  vos  sed  etiam  extranei  et  oratores  qui  ad  vestram  veniunt 
ecclesiam  causa  orationis  &c. 

(Hoc  transumptum  fecit). 

Ego  Guillielmus  dictus  Garofalus  de  Bazardls  Pergamensis  pu- 
blicus  imperiali  auctoritate  notarius  predictum  publicum  instrumen- 
tum non  cancellatunì  &c.  scripsi  fideliter  de  mandato  auctoritate  et 
decreto  sapientis  viri  domni  lacobi  de  Romano  generalis  auditoris 
causarum  curiae,  reverendi  in  Christo  patris  domni  fratria  Ysnardi 
Dei  et  Apostolice  Sedis  gratia  patriarchae  Anthioceni,  domni  pape 
in  Urbe  vicarii  in  spiritualibus  generalis  ex  potestate  eius  ordinaria. 

XII. 

1042,  febbraio  io. 

«  Instrumento  di  locazione  per  1 1  anni  d' un  filo  sa- 
«  linario  fatto  da  Stefano  a  Ottaviano  "  puero  magnifico  " 
«  figlio  di  Teodoro  scriniario  per  otto  oncie  d'  argento. 
«  Rogalo  da  Giovanni,  scriniario  i->  (i). 

Signum  ^  manus  suprascripti  Stepliani  qui  liane chartulam 

fieri  rogavit 

>J<  Gregorio  filio  Michaelis  medico,  testis. 

)^  Paulus  filio  lobo,  testis. 

)^  Arnoffo  (0  filio  Sassa,  testis. 
>J<  Ego  lohannes  scriniarius   sancte   Romane    Ecclesie    compievi  et 
absolvi. 

XIII. 

1042,  ottobre  13  (2). 

Teudaldo,  «  nobilis  vir;;,  per  sé  e  la  sua  figliuola  Be- 
nedetta, assente,  concede  a  Giovanni,  Teudaldo  e  Pietro 

(a)   Così  nel  testo. 

(i)  Dall'indice  del  Rosini,  p.  3,  n.  6.  Le  sottoscrizioni  che  se- 
guono, sono  tolte  dalle  schede  del  Van  de  Vivere. 

(2)  Ho  già  notato  altrove  (Arch.  d.  R  Soc.  rom.  ài  si.patr.  XXII,  67) 
come    alla    data    che  lo  Jaffé  assegna  (I,   319)  alla  morte  di  Gio- 


Tabiilarium  S.  zMariae  V^vae  207 

un  terreno  da  ridursi  a  vigna  ed  a  pometo,  posto  nella  re- 
gione quarta  «  in  Aura,  infra  locum  qui  dicitur  Domus 
«Nova»,  col  patto  che,  ridotto  il  terreno  a  coltura  nel 
termine  di  otto  anni,  si  dia  annualmente  ai  concessori  la 
quarta  parte  del  frutto. 

r.  >^  In  nomine  domini  Dei  salvaloris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  Benedicti  summi  pontificis  et 
universalis  noni  papae  2.  in  sacratissima  sede  beati  Petri  apo- 

stolice  (a)  undecimo,  indictione  undecima,  mense  octuber,  die  tertia 
decima.  Quoniam  3.  certum  est  me  Teudaldus  nobili  viro  qui 

ab  . . .  ore  (b)  dicitur,  tam  prò  me  quam  et  prò  ex  persona  Benedicte 
filiae  meae  4.  qui  absens  es,  hac  die  cessisse  et  cesi  [ajtque  [tradidi 
nec]  non  et  ad  quarta  reddendum  ad  (0  pastinandum  d[e]  5.  di, 
nullo  me  cogente  neque  contradicente  aut  vim  faciente  sed  propria 
spontaneaque    mea  volunt[ate],  6.  vobis    domno    Johannes   qui 

lubene  vocaris  W,  seu  Teudaldus  eximio  scriniario,  atque  Petrus  qui 

diceris  («)  Imperatore  vir 7.  ricis  (S)  sive  germanis  fratribus 

et  filii  cuiusdam  Benoni  sutori,  vestrisque  etiam  heredibus  in  per- 
petuum  et  secund[um]  8.  tenore  istius    pastinationis    largire  et 

concedere  placueritis.  Idest  terra  vacante  ubi  hoIi[m]         9.  fuit  vi- 

(a)  Cosi   nel    testo.  (b)    [Imperat]ore  (ì)  (e)  d   aggiunto   sopra   la 

linea.         (d)  voc  (e)  Jr  (f)  Da  supplire,  sembra:  vir[is  honcstis,  vi- 

t]ricis 

vanni  XIX  ed  alla  elezione  di  Benedetto  IX,  ponendo  questi  avve- 
nimenti nel  gennaio  del  1033,  contraddicano  il  doc.  $87  del  Regesto 
di  Far/Uy  voi.  III,  ed  il  doc.  xxxix  delle  Carte  del  monastero  dei 
Ss.  Cosma  e  Damiano  in  Mica  Aurea.  Secondo  quest'  ultimo  (di  Bene- 
detto IX,  anno  11,  indizione  11,  29  ottobre),  bisognerebbe  ammettere 
che  Benedetto  IX  sedesse  sul  trono  pontificale  già  nel!'  ottobre 
del  1032.  Ora  ciò  viene  confermato  dal  documento  presente.  Asse- 
gnandosi difatti  il  13  ottobre  del  1042  all'undecime  anno  di  Bene- 
detto IX,  conviene  pensare  che  egli  sia  stato  eletto  prima  del  13  ot- 
tobre del  1032.  Comunque  sia  di  ciò,  e  giova  ricordare  che  trattasi 
di  chartae  pa^enses  nelle  quali  talvolta  le  note  cronologiche  non  sono 
esatte,  l'autorità  di  tre  documenti  può  esser  sufficiente  a  farci  porre 
la  morte  di  Giovanni  XIX  e  la  elezione  del  suo  successore,  per  lo 
meno,  anteriormente  al  gennaio  del  1033.  A  queste  conclusioni  sono 
anche  conformi  le  note  cronologiche  del  doc.  xi,  il  quale  però  non 
ci  è  giunto  neiroriginale. 


2o8  T.  Jcdele 


nea,  et  nunc  iterum  de  omni  vestro  expendio  vinea  W  pastinandum 
atque  inpomandum,  cum  versula  io.  res  suos  seu  locum  ad  cal- 
catorio  ponendum  et  residendum,  cum  introitu  et  exitu  suo  comune 
da  locum  ii.  qui  dicitur  Trivio,  ad  carrum  et  asinum  sive  equi- 
tibus  introeundi  et  exeundi,  cum  uno  alium  inlroitum  per  vi  12.  culo 
exiente  usque  in  via  publica,  et  cum  omnibus  ad  eam  pertinentem. 
Posita  Rome  regione  quarto  in  Aura  infra  13.  locum  qui  dicitur 
Domus  Nova,  quod  est  inter  affines,  a  duobus  lateribus  teniente  Ste- 
phano  scriniario  cum  suis  14.  germanis,  et  ortuo  de  Leoni  Petri 
Imperato  fiiius,  a  secundo  latere  ortuo  de  heredes  quondam  lohanni 
et  Gregorii  qui  vocatur(b)  ab  Aura,  15.  et  a  tertio(c)  latere  modica 
terra  de  heredes  quondam  lohanni  Ruscii,  et  a  quarto  latere  tem- 
plum  Romuli  et  ortuo  de  ecclesiam  16.  sancte  Mariae  Nove.  luris 
cui  existens.  Ideo  cedo  trado  ego  qui  supra  contraditore  a  vos  qui 
supra    laboratores  Cd)  de  suprascripta   terra  17.  ad  vineam  pasti- 

nandum de  omni  vestro  expendio  pastinare  atque  inpomare  debetis, 
ammodo  et  usque  in  annos  18.  octo.  Si  in  terminum  octo  an- 

norum  non  habuerltis  allebata  et  impomata,  unam  argenti  libram 
mihi    com  19.  ponere    debetis  et  in    antea    allebare    debetis.  A 

primo  anno  quod  ibidem  Dominus  fructum  donaverit  20.  ammodo 
et  usque  in  perpetuum  in  quattuor  dividamus  partes,  tres  denique 
languenas  vos  (0    qui    supra    laboratores,  21.  quarta  ad  me  qui 

supra  dominationes.  Simihter  de  pomis  exinde  facere  debemus.  Ita 
tamen  ip  22.  sa  suprascr'pta  vinea  umquam  in  tempore  nequa- 
quam  dividere  debemus,  sed  usque  in  perpetuum  quartam  a  vobis 
exin  23.  de  recipere  debemus,  et  quacumque  tempore  ipsa  pre- 
dieta  vinea  discaduta  fuerit  ut  vinea  minus  24.  ibidem  fuerit,  in 
nostra  nostrorumque  heredum  revertar  potestatem,  absque  omni 
ostaculo.  Et  si  2;,  aliquo  in  tempore  vobis  necesse  fuerit,  non 

abeatis  licentiam  alieni  primitus  venundare,  nisi  ad  26.  me  meos- 
que  heredes  pretio  iusto  minus  denarios  triginta,  et  si  nos  emere 
noluerimus,  licentiam  abe  27.  atis  venundare  cui  volueritis,  ad 

talem  hominem  qui  secundum  tenore  istius  pastinationis  ad  28.  im- 
plead  et  faciad.  Pro  quibus  numquam  a  me  neque  ab  heredibus  meis 
neque  etiam  a  nulla    magna  par  29.  vaque  persona  a  me  sum- 

missa  contra  vobis  vestrisque  heredibus  de  suprascripta  vinea  qua- 
libetCO  moveritis  questionem  (g)   aut  30.  kalumnia,  sed  etiam  si 

opus  aut  necesse  fuerit,  stare  me  una  cum  heredibus  meis  et  defendere 
31.  promitto  vobis  vestrisque  heredibus  ab  omni  homines  et  in  omni 

(a)  vili  neW  interlineo.         (b)  qv  (e)    a  tertio  su  rasura.  (d)  Nel 

testo  laborares         (e)  vos  ncW  interlineo.         (f )  qual         (g)  questiò 


Tabularium  S.  €Mariae  V^ovae  209 


loco  omni  tempore.  In  qua  et  iuratus  32.  dico  per  Deum  omni- 
potentem  sanctaeque  (»)  Sedis  Apostolica  domni  nostri  Benedicti  noni 
papae,  hec  omnia  inviolabiliter  35.  conservare  atque  adimplere 
promitto.  Si  enim  quod  absit  si  ego  vel  mei  heredes  contra  34.  [vo]- 
bis  [vejstrisque  heredibus  de  omnia  que  ut  superius  promissa  non 
observaverimus,  promittimus  vobis  vestrisque  heredibus  com  35,  po- 
nere  sex  auri  obtimi  uncias,  et  post  solutam  poenam  hec  chartula 
manead  in  sua  fìrmitate.  36.  Quam  scribendam  rogavi  Stephanus 
scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  in  mense  et  indictione  su- 
prascripta  .xi, 

>J<  Cohanne  O'). 

>^  Crescentius  filio  Benedicto  de  Aura. 

>Jh  Crescentius  de  Senioritto. 

^ (0 

y^  Johannes  Porcario  gener  Geòrgie  sutori,  teste. 
>J<  Ego  Stephanus  scriniarius  sanctae    Romanae    Ecclesiae    post  te- 
stium  compievi  et  absolvi  (i). 

XIV. 

1050,  decembre  25  -  105 1,  agosto  30  (2). 

Frammento  di  donazione  testamentaria  di  una  vigna, 
posta  fuori  della  porta  di  S.  Lorenzo,  fatta  da  Miccina, 
«  magnifica  femina»,  a  Gregorio,  a  Giovanni  ed  agli  altri 
figli  di  Giorgio,  giudice  dativo  (3). 


(a)  Xel  testo  scae  te  q;  (b)  Nel  testo  cohe;  forse  per  lohanne  S'in- 
contra la  medesima  sottoscrizione  in  un  documento  dell'  archivio  Capitolare  di 
S.  Maria  in  Trastevere  dell'anno  1057.         (e)  Questo  rigo  fu  lasciato  vuoto, 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  secolo  xiii:  «De 
a  vinea  et  templum  in  Q.uatronis  ». 

(2)  Dalla  pergamena  essendoci  dato  solo  l'anno  quinto  dell'im- 
pero di  Enrico  III  che  incomincia  il  2j  decembre  del  1050,6  l' in- 
dizione quarta  che  ha  termine  il  30  agosto  del  105 1,  è  evidente  che 
tra  questi  due  limiti  estremi  deve  porsi  la  data  di  questo  documento. 
L'anno  del  pontificato  di  Leone  IX  non  può  essere  che  il  secondo 
o  il  terzo. 

(})  La  pergamena  è  danneggiatissima.  Le  sostituzioni  che  io 
propongo,  esatte  quan.o  al  contenuto,  non  possono  però  aver  la 
pretesi  di  supplire  esattamente  anche  le  parole  che  mancano  nel  testo. 

ArchMo  deUa  R.  Società  romana  di  noria  patria    Voi.  XXIII.       \.\ 


210  T.  Jedele 


I.  [i^  In  nomine  Domini.  Anno  .  . .  .]s  domni  Leonis  noni  papae, 
atque    Heinrici    imperatoris    anno    quinto,    indictione  2.  [quarta, 

mense  ....  die sepjtima.  Quoniam  certum  est  me  Miccina  ma- 
gnifica femina,  filia  cuius  3.  [dam  . . . .  aegrotam  quidem  corpore 
s]ed  Deo  auxiliante   pieno   sensu  et  libero    arbitrio,  hac  4.  [die 

presenti  dono  et  trado]  secundum  subscripto  tenore,  nullo  me  co- 
gente neque  contradi         5.  [cente  sed  propria    spontjaneaque   mea 

voluntate,  vobis   Gregorius   et  Johannes   atque  6.  [ («), 

omnibus]  filiis  cuiusdam  Georgi  Domini  gratia  dativi  ludici,  seu  et 
omnes  aliis  7.  [filiis  qui  nascituri  fuejrint,  prò  magno  amore  et 
dilectione  quam  in  vobis  nunc  habeo  8.  [et  si  vitam  no]bis  pro- 

lixam  fuerit,  multo  magis  habere  cupio.  Ideoque  dono  et  9.  [con- 
cedo, sed  si  Dominus]  ex  ac  infirmitate  ad  sanitatem  mihi  perduxerit, 

hec  chartula  inanis  io.  [et  vacua    fiat] si,    quod    non 

obto,  ex  ac  infirmitate   hobiero,         11.  [tunc  eam  habeatis  teneatis 

possideatis] et  cui  eam  largir!  vel  concedere  volueritis.       12.  [Idest 

vineam  unam  in  integrum] .....  longum,  cum  versulariis  (b)  et  cal- 
catorio  suo  13.  [una  cum  introitu  et  exoitu  suo  et  cum  omnibus 
eius   pertinentiis],  sita  vero  foris  porta   beati  Lauren  14.  [tii,  in 

monte  sancti  Ypoliti.  Et  inter  affines,  a  duobus  lateribus] a,  ab 

alio  latere  vinea  Petri  Sarra         15.  [ceni  et] Stephani  scriniarii 

de  Giulia,  et  a  quarto  latere  pastina         16 [Q.]ualiter  mihi  ac- 

cidit  per  successionem  parentum  meorum,  et  quemammodum 
17.  [meis  detineo  manibus,  vobis]  heredibus,  ut  dixi,  concedo  trado 
et  dono.  Cum  benedictione  patris  18.  [omnipotentis,  habeatis  te]- 
neatis  possideatis,  vestro  iure  vindicetis  ac  defendatis,  vendendi  do- 
nandi  19.  [commutandi]  in  vestram  vestrisque  heredibus  sit  pote- 
statem.  Et  numquam  a  meis  20.  [successoribus  quamlibethabebitis] 
questionem  aut  calumpniam,  sed  vobis  defensores  essent  21.  [pro- 
mitto,  et  haec  omnia  ad]implere  polliceor.  Nam  quod  absit  si  con 
22.  [tra  hanc  chartam]  agere  aut  causare  vel  litigare  presumpsero 
per  quovis  23.  [modis  ingenii  promjitto   una   cum   succesoribus 

meis  vobis  vestrisque  heredibus  ante  omne  litis  24.  [initium  ....], 
et  post  solutam  poenam  maneat  hec  chartula  in  sua  nichilominus 
firmitate.         25.  [Quam  scribendam  rogavi  Octavianum  (0   scrinia- 


(a)  Cf.  gli  altri  documenti  di  questo  Tabular iuvt  degli  anni  ioj2  lu' 
gito,  lojj  novembre  4,  e  106^  novembre  i^,  che  si  riferiscono  a  Gregorio, 
marito  di  Miccina,  ed  a  Giorgio,  giudice  dativo.  (b)  vers^  (e)  Il  nome 
dello  scriniario  Octavianum,  lo  deduco  dal  confronto  della  scrittura  di  questo 
documento  con  quella  dei  seguenti  (mi.  XVI,  XIX  etc.)  che  furono  rogati  ap' 
punto    dallo   scriniario   Ottaviano. 


Tabularhim  S.  oMariae  V^ovae  211 


rium]  sanctae  Roraanae  Ecclesiae,  in  mense  et  indictione  suprascripta 
quarta. 

[Signum  >J<  manus  suprascriptae  Miccinae  quae  hanc]  chartula 
fieri  rogavit. 

testis. 

testis. 

....  Rusca  Polonga. 

testis. 

[Petr]us  Albanise,  testis. 
[>J<  Ego  Octavianus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae]  compievi 
€t  absolvi (i). 


XV. 

1052,  luglio. 

Gregorio,  «  illustris  vir,  qui  vocatur  Gregorii  de  Mi- 
«  chaelis  »,  loca  per  diciannove  anni  a  Peccio  ed  a  Marto, 
fratelli  uterini,  «  viri  honesti  »,  un  pezzo  di  terreno,  posto 
nella  regione  quarta  «  in  Aura,  infra  locum  qui  dicitur 
«  Domus  Noba  ». 

I.  >J<  A  vobis  petimus  domno  Gregorius  illustris  vir  qui  voca- 
ris  (a)  Gregorii  2.  de  Michaelis  nomine  W,  uti  nobis  Peccio  seu 
Marto  viri  honesti  uterinis  3.  sive  germanis  fratribus  heredesque 
nostros,  licentiam  abeamus  ad  supplendum  et  deti  4.  nendum 
inferius  conscriptos  annos,  quatinus  cum  Christi  auxilio  locare  com- 
mittereque   iubeatis  5.  libellarii  nomine.  Idest  terra  vacante  se- 

dium  unum  in  integrum  ad  domum  et  quicquit  voluerimus  facien- 
dum,  6.  quod  est  ipsa  terra  longae  lateque  in  omni  fronte  paedes 
numero  (0  viginti,    omncs    namque    ad    pedes    sum  7.  missales 

ìustos  mensuratos,  cum  modica  corticclla  ante  se,  cum  introito  et 
exitu  suo  commune  W  8.  da  Trivio  cambiatoris  ad  carrum  et  asi- 
num   sive  equitibus   introeundi  et  exeundi,  cum  unum  ali         9.  uni 

(a)  Nel  testo  voc.         (b)  noni         (e)  num         (d)  com  ;  qui  ed  in  seguito. 

(l)  Nel  verso  delia  pergamena  di  mano  del  xii  secolo:  «(  Car- 
«  tuia  vince  extra  portam  sancii  Laurcntii  »  ;  una  mano,  di  poco  po- 
steriore, aggiunse:  «in  monte  saocti  Ypoliti  ». 


212  y.  Jedele 


introitum  per  viculum  exiente  usque  in  via  publica,  et  cum  omnibus  (»> 
ad  eam  pertinentera.   Posita   Rome   regione  io.  quarto  in  Aura 

infra  locum  qui  dìcitur  Domus  Noba,  quod  est  inter  affines,  ortuo 
dae  heredes  Petrus  ii.  de  Albana,  a  secundo  latere  orticello  de 
vos  qui  supra  dominationes,  a  tertio  latere  orticello  de  Johannes  Di 
12.  midiam  mazza,  quem  per  libelli  detinet  da  Bona  filia  Eminfredus,. 
et  a  quarto  latere  suprascripto  [in]  13.  troito  commune  qui  exiit 
foris  a  Tribio  cambiatoris.  luris  vestri  dominii.  Ad  tenendum  colen- 
14.  dum  et  domum  ibidem  faciendum  et  in  omnibus  meliorandum,. 
a  diae  kalendarum   iul[iarum]  15.  presenti    quinta  indictione  et 

usque  in  pridias  calendas  easdem  in  annis  vidaelicet  decem  ló.  et 
novem  tantum.  Undae  autem  recepistis  vos  qui  supra  dominationes 
a  nos  qui  supra  libellarii  17.  prò  libaellatico  hobtimi  argenti  de- 

narios  uncia  una.  Ita  sanae  ut  prestet  ex  ei[s]  18.  rationibus  pars 
nostra  vestreque  partis,  singulis  quibusque  annis  sine  aliquam  mora 
19.  vel  dilationae,  pensionis  nomine,  denarìos  argenteos  quattuor 
tantum  in  atsumtione  sanctae  Mariae.  20.  Et  non  habeamus  li- 
centiam  hunc  libellum  vel  annos  quod  in  eum  continet  a  nulla  ex 
21.  tranea  persona  primitus  vendere,  nisi  ad  te  tuosque  heredes  in 
pret'um  quantum   iustae  a  22.  pretiatum  fuerit  minus    denarios- 

duodecim,  et  si  vos  emere  nolueritis,  licenti  23.  am  habeamus 
vendere  ipsi  anni  nostri  cui  voluerimus,  tali  persone  hominum  ut 
24.  omnia  que  superius  legitur,  vobis  persolvat,  et  ipsos  denarios 
duodecim  vobis  tribù  25.  amus.  Si  qua  vero  pars  contra  fidem 

horum  libellorum  venire  temtaverit,  26.  tunc  det  pars  infidaelis 
partis  fidem  servanti  ante  omne  litìs  initium  27.  poene  nomine 

auri  obtimi  uncia  una,  et  post  solutam  poenam  maneant  horum  li- 
bellorum 28.  chartulae  in  earum  nihilhominus  firmitate.  Unde 
petimus  ut  unum  ex  duobus  29.  libelli  uno  tenore  conscripti  per 
manum  (b)  Theodaldi  scriniarii  sanctae  Romanae  Ecclesiae  una  cum 
30.  vestra  roborationae  nobis  contradere  dignetis,  ut  dum  consecuti 
fuerimus  31.  agamus  Deo  et  vobis  maxìmas  gratias.  Anno  quarto 
pontificatus  domni  nostri  Leonis  32.  sanctissimi  papae  atque  Ein- 
rici  invictissimi  Romanorum  imperatoris  anno  sexto,  in  men  33.  se 
et  indictione  suprascripta  quinta. 

Signum  >J<  y^  manuum  (b)  suprascripto  Peccio  atque  Marto  ger- 
manis  fratribus  qui  hanc  appare  fieri  rogavimus. 

y^  Johannes  Sardo  de  Leo  de  Petrus  de  Inperato. 

>J<  Bivo  de  Benedicta  Caprola. 

^  Sabino  de  Andrea  de  Genzo. 


(a)  Nel  testo  omib^         (b)  man 


Tahularium  S,  oMariae  V^opae  213 


>ì<  Achinello  de  lohanni  de  Amico. 

>ì< (a) 

^  Ego  Theodaldi  scriniarii  sanctae  Romanae  Ecclesiae  compievi  et 
absolvi. 


XVI. 

1055,  novembre  4. 

Gregorio,  figlio  di  Gregorio  di  Michele,  dona  alla 
chiesa  di  S.  Maria  Nova  un  orto  «  cum  duabus  domucellis 
«  carticineis  iuxta  se»,  posto  «in  Aura  iuxta  templum 
«  Romuli  )). 

I.  ^  In  nomine  Domini.  Anno  primo  pontificatus  domni  Vi- 
ctoris  secundi  pape,  atque  Heinrici  imperatoris  anno  nono,  2.  in- 
dictione  nona,  mense  novembri,  die  quarta.  Q.uoniam  certuni  est 
me  Gregorium  Gregorii  de  Michaele  filium,  3.  egrotum  quidem 
corpore,  mente  tamen  sana,  a  presenti  die  dono  cedo  trado  et  in- 
revocabiliter  4.  largior  simulque  offero,  propria  spontaneaque  mea 
voluntate,  tibi    beat?  Dei  genitrici    semperque  virgi  5.  ni  Marie 

domine  nostr?,  et  per  te  in  tua  sacratissima  ecclesia  que  holim  .\n- 
tiqua  vocabatur  nunc  autem  6.  Nova,  et  in  cunctis  tuis  servito- 
ribus  presbiteris  qui  ibidem  modo  sunt  et  in  eternum  (•>)  fuerint,  prò 
7,  omnipotentis  Dei  amore  mercedeque  redemptionis  anima  mea  et 
anima  Miccin?  ben?  memori?  holim  con  8.  iugis  mcae,  ut  ali- 
quantulum  indulgentiam  ex  nostris  dclictis  valeamus  accipere  a  piis- 
simo 9.  unico  filio  tuo  Domino  nostro.  Idest  ortum  poniaium 
unum  in  integrum,  cum  duabus  domucellis  io.  carticineis  iuxta 
se,  veluti  mihi  pertinere  videtur  per  successionem  suprascriptae  Mic- 
cini beat?  memori?  11.  quondam  coniugis  meae,  et  meis  detineo 
manibus,  atque   introiiu  et  exitu   earum    vcl   cum  J2.  omnibus 

suarum  pertinentiis.  Posita  in  Aura  regione  iuxta  templum  Romuli. 
Hanc  13.  autem  a  die  presentis  donationisque  chartulam  tibi  con- 
tradidi  et  tuis  servitoribus  ut  cum  bcncdicti  14.  one  omnipoicniis 
Dei  eas  habeas  teneas  possideas,  tuo  iure  vindices  ac  defendas,  vel 
quicquid  exinde  fa  15.  cere  voluerint  servitores  tui  prò  tua  utili- 
tate  et  melioratione  suprascriptae  tu?  ?cclcsiac,  in  eorum  sii  poiestaie. 
16.  Et  Dumquam  a  me  meisque  successoribus  nut  a  me  summissa  per- 

(a)  Questo  rigo  fu  lasciato  vuoto.        (b)  Ktl  testo  elùm 


214  T.  Jedele 


sona  contra  te  tuosque  servitores  qualibet  mo  17.  veri  questionem 
aut  calumpniam,  sed  ego  et  meis  successoribus  defendere  eas  tibi  tuis- 
que  servitoribus  prò  18.  mitto  ab  omni  homine  omni  tempore.  Et 
hec  omnia  adimplere  polliceor.  Quod  si  non  fecero,  vel  si  19.  con- 
tra hanc  chartulam  per  quemcumque  modum  ego  aut  successores  vel 
consanguineos  meos  litigare  presump  20.  serimus,  tunc  compo- 

sìturi  simus  tibi  tuisque  servitoribus  pene  nomine  dimidiam  auri 
libram,  21.  et  post  solutam  poenam,  maneat  hec  chartula  in  sua 
nihilhominus  G^)  firmitate.  Quam  scribendam  rogavi  Octavianum  scri- 
niarium  in  mense  et  indictione  suprascripta  .vini. 

Signum  >Jh  manus  suprascripti  Gregorii  qui  hanc  chartula  fieri 
rogavit. 


(b) 

Astaldus  filius  Crescentìi  de  Tedaldo,  testis. 
Paulus  de  Theoderanda,  testis. 
Petrus  neptus  Baldi  erarii,  testis. 
>^  Ego  Octavianus  scriniarius  compievi  et  absolvi  (i). 


XVII. 

1060,  aprile  29. 

Astaldo,  figliuolo  di  Crescenzo  di  Tedaldo,  istituito 
fideicommissario  da  Maria  Bona,  sua  consorte,  dona,  per 
legato,  alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova  F  eredità  di  lei  in 
case  e  terreni. 

I.  ^  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pontificatus  [domni 
N]icolai  pap?  secundi,  indictione  tertia  decima,  mense  2.  aprelis, 
die  vlcesìma  nona.  Quoniam  certum  est  me  Astaldum  filium  Cre- 
scente de  Tedaldo,  a  pre  3.  senti  die  dono  cedo  trado  et  inrevo- 
cabiUter  largior  simulque  offero,  propria  spontaneaque  mea  volun- 
tate,  4.  tibi  beata  et  superexaltata  Dei  genitrix  virgo  Maria  do- 
mina nostra,  et  per  te  in  tua  sacratissima  ecclesia         5.  que  quondam 

(a)  Nel  testo  nihil  homns  (b)  Mancano  i  nomi  di  due  testimoni  per  i 
quali  furono  lasciati  due  righi  vuoti  nel  testo. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xii  secolo:  «  Car- 
«  tuia  de  uno  horto  pomato  et  duabus  domibus  in  Quatronis  ». 


Tabular ium  S.  oMariae  V^oi^ae  215 


vocabatur  Antiqua  nunc  autem  Nova,  in  qua  est  domnus  Gregorlus 
religiosus  6.  archipresbiter  et  canonicus,  aliisque  tuis  servitoribus 
canonicis  qui  ibidem  nunc  sunt  et  in  antea  7.  intraturi  sunt  in 

perpetuum,  prò  omnipotentis  Dei  amore  mercedeque  redemptionis 
anime  Mari?  8.  Bone  (»)  bone  memorie  coniugis  meae,  ut  ali- 
quantulum  indulgentiam  ex  suis  delictis  valeam  accipere  a  pi  9.  is- 
simo  unico  fìlio  tuo  Domino  nostro  lesu  Christo.  Idest  criptam  a 
sinino    solaratam   unam  in  integrum  cum  io,  omnia  sua  perti- 

nentia,  nec  non  dimidiam  domum  solaratam  teguliciam  et  scandoli- 
ciam  in  integrum  1 1 .  cum  inferiora  et  superiora  sua  a  solo  terre 
et  usque  ad  summum  cum  scala  marmorea  an  12.  te  se,  illam 

medietatem  que  est  ab  ecclesia  Salvatoris  cum  orticello  iuxta  se,  et 
medietate  15.  de  ortu  pomato  post  se,  sicut  ipsa  mea  coniunx  cum 
sua  germana  Constantia  divisit,  14.  et  dum  vixit  detinuit,  atque 
terra  vacante  ultra  alteram  dimidiam  eiusdem  domus  Constanti? 
15.  cognate  meae,  et  iuxta  atengiam  Georgii  iudicis,  cum  introitibus 
et  exitibus  earum  per  cortem  maiorem  communemW  16.  a  via  pu- 
blica,  et  medietate  de  terra  vacante  que  reiacet  iuxta  ortu  lohannis 
de  Leone  Celicio  et  Sergio,  vel  17.  omnia  que   ibidem  in  por- 

tione  suprascripte  Mari?  Bon?  bone  memorie  coniugis  meae  evenit 
et  ad  mortem   suam    detinuit,  pre[ter]  icS.  portionem    suam  de 

Arco  Maiore  que  dicitur  Triumfale,  cum  atengia  sub  se,  cum  por- 
tione  earum  de  iam  dieta  ma  19.  iore  corte  communi,  et  preter 

portionem  de  domu  cum  suis  pertinentiis  ubi  resides  Johannes  pre- 
sbiter.  Hanc  autem  a  die  20.  presentis  donationis  chartula  exinde 
tibi  tuisque  servitoribus  contradidi  quia  ipsa  mea  coniunx  ad  mortem 
21.  suam  mihi  precepit  et  fideicommissario  constituit,  ut  post  mor- 
tem suam  totam  suam  predictam  hereditatem  22.  ob  remedium 
anime  su?  vobis  vestr?que  prephate  ?cclesi?  concederem,  propter  pre- 
tium  octo  argenti  denariorum  libras.  Q.uas  23.  eo  tenore  vestre 
predici?  ecclesie  offero,  ita  ut  umquam  non  habeant  potestatem  ulla 
persona  hominum  magna  24.  vel  parva  a  vestra  potestate  eas 
alienare,  nisi  prò  commutatione  meliorationis  causa  aut  per  emp 
25.  tionis  bone  hereditatis  ad  opus  ipsius  vestr?  ?cclesi?.  Quod  si 
fecerint,  sit  irrita  alienatio  ipsa,  et  pre  26.  sides  vel  populares 
vestr?  ipsius  ?cclesiae  aut  heredes  vel  consanguineos  meos  habeant 
potestatem  27.  revocandi  ea  in  perpetuum  ipsa  servitorique  eius. 
Et  numquam  a  me  mcisque  heredibus  et  successoribus  28.  aut  a 
me  summissa  persona  magna  sive  parva  contra  te  tuosque  servitores 

(•)  bone  fu  aggiuulo  nel  margint  della  ptrgamtna  dalla  mano  slitta  dtl 
notaio.        (b)  coni  ;  qui  ed  in  seguito. 


21 6  T.  fedele 


qualibet  29.  moveri  questionem  aut  calumpniam,  sed  ego  et  he- 
redes  ac  successores  vel  consanguineos  meos  30.  eam  tibi  tuisque 
servitoribus  defendere  promitto  ab  omni  homine  omni  tempore.  Et 
hec  ommia  adira  31.  plere  polliceor.  Si  quis  vero  contra  hanc 
chartulam  per  quemcumque  modum  litigare  presumpserit,  32.  tunc 
sciat  se  anathematìs  vinculo  innodatus  esse,  insuperque  existat  tibi 
tueque  33.  prenominate  ?cclesiae  et  servitoribus  tuis  compositurus 
duas  libras  auri,  et  post  34.  solutam  poenam  maneat  hec  fhar- 

tula  in  sua  nihilominus  (»)  firmitate.  Q.uam  scribendam  rogavi  lolian- 
nem  scriniarium,  in  mense  et  indictione  suprascripta  .xiii. 

Signum  >J<   manus  suprascripti   Astald',  qui  hanc  chartula   fieri 
rogavit. 

>5<  Ego  Octavianus  scriniarius  testis,  et  meis  manibus  has  litte- 
rulas  feci  (i). 

>J<  Johannes  Veculus  rotarius,  testis. 
Gregorius  de  Romano  Racano,  testis. 

^  Romanus  sartore,  test's. 
Donadeo,  testis. 
>^  Ego  Johannes  scriniarius  compievi  et  absolvi  (2). 


XVIII. 

1061,  marzo  7. 

Gregorio,  arciprete  e  canonico  della  venerabile  cano- 
nica di  S.  Maria  Nova,  concede,  sino  alla  terza  genera- 
zione, a  Giovanni,  figliuolo  di  Leone  «de  Ruscia»,  la 
metà  di  una  cripta  posta  nella  regione  quarta,  «  in  Am- 
«  phitheatro  malore  quod  appellatur  Colosei». 

I.  ^  In  nomine  Domini.  Anno  tertio  pontificatus  domni  Nicolai 
pap?  secundi,  indictione         2.  quarta  decima,  mense  martio,  die  se- 

(a)  Nel  testo  nihl  omns 

(i)  Questo  documento  è  difatti  scritto  per  mano  di  Ottaviano; 
e  ciò  si  deduce  anche  dal  confronto  delle  altre  pergamene  scritte 
dallo  stesso  notaio. 

(2)  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del  sec.  xi-xii:  «  Car- 
«  tuia  de  cripta  una  integra  et  dimidia  domo  solarata  et  cum  medic- 
ee tate  orticelli  iusta  se  et  aliam  medietatem  orti  post  se  ad  Arcum 
«  Triumhale  (coji)  »;  di  mano  più  recente:  <f  iusta  coliseum  ». 


Tabu l ari um  S.  oMariae  V^ppae  217 


prima.  Placuit  igitur  cum  Christi  3.  auxilio  atque  convenit  inter 
doranum  Gregorium  religiosum  archipresbiterum  4.  et  cano- 
nicum  venerabil's  canonie?  sancte  Dei  genitricls  semperque  virginis 
Mari?  5.  domine  nostr?  que  nuncupatur  Nova,  per  consensum  om- 
nes  canonicos  eiusdem,  6.  et  e  diverso  lohannis  filio  Leonis 
de  Ruscia,  sicut  suscepit  ab  eis  7.  conductionis  ?cclesiae.  Idest 
medietatem  de  cripta  terrinea  in  integrum  a  si  8.  [nino  c]oho- 
pertam,  cum  medietatem  de  curte  ante  se,  atque  inferiora  9.  [et] 
superiora  sua  a  solo  enim  terre  et  usque  ad  summum,  seu  introitu 
IO.  et  exitu  suo  communi  usque  ad  viam  publicam  vel  cum  omni- 
bus ad  eam  11.  pertinentibus.  Posita  Rome  regione  quarta  in 
Amphitheatro  (»)  maiore  quod  appellatur  Colosei.  12.  Inter  affines, 
a  primo  latere  alteram  medietatem  eadem  cripta  cum  ea  cuncta  pre- 
phati  13.  lohanni,  a  secundo  latere  criptam  Petri  Beccli,  a  tertio 
latere   criptam    Spose,  et  a  quarto    latere  14.  prescriptum  com- 

munem  introitum.  luris  prescript?  canonie?.  Ita  ut  suo  studio  suoque 
15.  labore  suprascriptus  labore  W  criptam  predictam  cum  suis  pre- 
phatis  pertinentiis  in  omnibus  :6.  tenere  et  possidere  debeat  et 

ad  meliorem  faciendum  Deo  iuvante  cultum  perducat,  17.  ipse 
heredesque  suos  prò  futurum  usque  in  tertium  gradum,  tertium  he- 
redem,  tertiam  personam,  18.  tertiam  generationem,  hoc  est  ipse 
et  filiis  nepotibusque  su"s  ex  filiis  legitimis  procre  19.  atis.  Quod 
si  vero  filiis  aut  nepotibus  minime  fuerint,  uni  etlam  extraneae  personae 
20.  cui  voluerit,  relinquendi  abeat  licentiam,  exscepto  piis  locis  vel 
publico  numero  21.  militum  seu  bando,  servata  dumtaxat  in  omni- 
bus proprietatem  suprascrìptae  ?cclesiae.  Pro  qua  22.  tribuit  pre- 
dictus  Johannes  prescriptis  presbiteris  decem  argenti  denariorum 
solidos,  et  dare   atque    inferre  23.  debet  in  eadem  ?cclesia,  sin- 

guHs  quibusque  annis  sine  aliqua  mora  vel  dilatione,  24.  pcn- 
s'onis  nomine,  denarium  argenteum  unum  in  assumptione  san- 
ctae  Mari?.  Completa  vero  terti[am]  25.  generationem,  hut  supcrius 
legitur,  tunc  suprascripta  omnia  ad  ius  suprascriptae  canonie?,  cuius 
est  proprietas,  26.  modis  omnibus  revertantur.  Et  hec  omnia 
adimplere  polliceor.  Quod  si  quisquam  27.  eorum  centra  huius 
chartulac  placiti  in  toto  vel  in  parte  quol  bet  modo  venire  tempta- 
verit,  28.  tunc  daturos  se  heredes  successoresque  eorum  promit- 
tunt  pars  infidelis  parti    fidem    servanti  29.  pene  nomine  supra- 

scriptum  pretium  duplum,  et  post  solutam  poenam  nianeant  hec 
chartulae   cnphyteoseae         30.  in  earum  nihilhonimus(0  firmitaie. 

(a)  S'el  tisio  ampitheatro  (b)  Cosi  nel   testo,    dove  si  sarebbt  dovuto 

din  lohannc}        (e)  S'el  testo  nihil  hoinn» 


2i8  T.  Jedele 


Has  autem  duas  uniforme  uno  tenore  31.  conscriptas  chartulas 

milìi  lohanne  scriniario  scribendas  pariter  dictaverunt,  easque  pro- 
priis  32.  raanibus  roborantes  testibus  ab  eis  rogatis  obtulerunt 
subscribendas  et  33.  sibi  invicem  tradiderunt  sub  stipulatione  et 
sponsione  sollemniter  interposita. 

Actum  Rome  die  anno  pontificatus,  in  mense  et  indictione  su- 
prascripta  quarta  decima  (a). 

Signum  y^  manus  suprascripti  lohannis  qui  liane  appare  rogavit. 

Octavianus  sartore  Manni  filius,  testis. 

Tocco  sartore,  testis. 

Petrus  de  Angelo  presbitero,  testis. 
>J<  Ego  lohannes  scrìniarius  compievi  et  absolvi  (i). 

XIX. 

1062,  gennaio  23. 

Gregorio,  arciprete  e  canonico  di  S.  Maria  Nova,  con- 
cede, «per  enphyteoseos  cliartulas  » ,  a  Fuscone  una  casa, 
posta  non  lungi  dalla  chiesa  di  S.  Maria  «  prope  Arcum 
«  Septem  Lucernas  ». 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  primo  pontificatus  domni  Alexandri 
pap?  secundi,  indictione  2.  quinta  decima,  mense  ianuario,  die  vi- 
cesima  tertia.  Ego  Gregorius  archipresbiter  3.  et  canonicus  ve- 

nerabilis  canonie?  sanctae  Christi  virginis  Mari?  domin?  nostre  que 
olim  Antiqua  4.  vocitabatur  sed  modo  Nova,  per  consensum  cun- 
ctorum  presbiterorum  ipsius  nostr?  ecclesiae,  5.  spondeo  promitto 
atque  polliceor,  propria  spontaneaque  mea  voluntate,  tibi  Fusconi 
6.  quondam  filio  lohannis  sartoris  tuisque  heredibus  et  successoribus 
in  perpetuum.  Idest  quia  7.  nunc  tibi  concessimus  per  enphyteo- 
seos chartulas  domum  illam  unam  terrineam  8,  scandoliciam  et 
cartiquiciam  (b)  cum  orticello  post  se  et  cum  suis  omnibus  perti 
9.  nentiis  que  quondam  fuit  de  Laurentio  presbitero  nostr?  predict? 
ecclesiae  qui  eam  in  ipsa  io.  nostra  ecclesia  offeruit,  non  procul 
ab  eadem  nostra  ecclesia  posita,  prope  Arcum  scilicet  11.  Septem 
Lucernas.  Pro  qua  nunc  a  te  recepimus  pretium  quadraginta  argenti 

(a)  Nel  testo  .xiii.ma         (b)  Così  nel  testo. 

(i)  Dell'antica  annotazione  nel  verso  della  pergamena,  quasi  in- 
teramente svanita,  non  sono  rimaste  che  pochissime  tracce  ;  sembra 
dicesse:  «  Cartula  de  cripta  in  Coles[eum]  ». 


Tabularium  S.  oMarìae  V^vac  219 


dena  12.  riorum  solidos,  idcirco  ab  ar  nosto(0  suisque  heredibus 
et  ab  omni  persona  hominum  13.  magna  sive  parva  promitto  ego 
meique  ipsius  ecclesiae  successores  eam  tibi  tuisque  heredibus  et 
successoribus  14.  amodo  in  antea  si  necesse  fuerit  omni  tempore 
gratis  defendere.  Quod  si  legibus  15.  facere  noluerimus  aut  non 
potuerimus,  vel  si  contra  hanc  chartulam  per  quemcumque  16,  mo- 
dum  facere  presumpserìmus,  tunc  composituri  existamus  tibi  tuisque 
heredibus  et  17.  successoribus  pene  nomine  suprascriptos  quadra- 
ginta  solidos  duplos,  et  post  solutam  18.  poenam  maneat  hec 
chartula  in  sua  nihiiominus  fìrmitate.  Quam  scribendam  rogavi 
Octavianum  19.  scriniarium  sanctae  Romanae  Ecclesiae,  in  mense 
et  indictione  suprascripta  quinta  decima. 

\    \    '.     \    '.'.'.'.'.    \    \    \    \    '.    '.0) 
Octavianus  calciolarius,  testis. 
Romanus  calciolarius  Sass?  fìlius,  testis. 
Petrus  gener  Crescente  de  Gizo,  testis. 
>^  Ego  Octavianus  scriniarius  compievi  et  absolvi  (i). 

XX. 

1065,  febbraio  i. 

Gregorio,  «  Blasii  episcopi  quondam  fìlius  »,  vende  alla 
chiesa  di  S.  Maria  Nova  una  pezza  di  vigna,  posta  fuori 
della  porta  di  S.  Lorenzo,  nel  monte  di  S.  Ipolito. 

1.  ^  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pontificatus  domni 
Alexandri  papae  secundi,  indictione  prima,  mense  fé  2.  bruario, 
die  prima.  Ego  Gregorius  Blasii  episcopi  quondam  fìlius,  hac  die 
cedo,  trado  et  propria  3.  spontaneaque  mea  voluntaic  venundo, 
tibi  beata  Dei  genitrix  virgo  Maria  domina  nostra  tueque  sacratis- 
sim?  4.  canonie?  que  olim  Antiqua  vocabatur  nunc  autem  Nova, 
in  qua  est  domnus  Gregorius  archipresbiter  et  canonicus  5.  c[u]n- 
ctique  canonici  qui  in  ea  nunc  sunt  et  in  perpetuum  fuerinl.  Idest 
unam  in  integrum  peiiam  vineae  bovaric?,  cum  6.  [vejrsuiariis 

suis   et  calcatorio,  atque    introita  eius  et  exitu   communi  usque  ad 

(a)  Coù  nel  lesto;  forse  Arnosto  {ì)  (b)  Kel  testo  furono  lasciati  vuoti 
tre  righi,  il  primo  dei  quali  destinalo  al  signum  m a nus  dell'autore  del  do* 
lumtnto;  gli  altri  a  due  testimoni. 

(i)  Kel  verso  della  pergamena:  «In  Palladii». 


220  "P.  Jedele 


viam  publicam  ei  cum  omnibus  suis  7.  [per]tinentiis.  Sitarti  foris 
poitam  sancti  Laurentii,  in  monte  sanai  Ypoliti,  affines  eius,  ab  uno 
latere  vineam  Crescentii  8.  Cazuli,  ab  alio  latere  vineam  Georgii 
iudicis,  a  tertio  vineam  monasterii  sancti  Laurentii,  a  quarto  vineam 
et  terram  Leonis  9.  et  Sergii.  Qualiter  mihi  accidit  per  meam 

comparationem  et  nunc  meis  quietis  manibus  teneo,  taliter  eam 
IO.  tibi  tueque  ìam  dict?  ecclesiae  et  servitoribus  suis  contradidì. 
Accepi  ego  exinde  a  te  pretium  et  a  servitoribus  11.  ipsius  ve- 
str?  canonie?  quinque  argenteos  denariorum  papiensium  crossas 
libras  corani  subscriptis  testibus,  idcirco  12.  chartulam  istam 
venditionis  exinde  tu?  prescript?  ecclesiae  et  presbiteris  eius  in  pre- 
sentia  domni  Benedicti  dativi  iudicis  trado.  13.  Ita  ut  in  omni 
decisione  ab  hodierna  die  licentiam  et  potestatem  habeant  presbiteri 
ipsius  vestre  ecclesiae  de  presenti  introeundi  14.  utendi  fruendi 
et  in  perpetuum  possidendi  eam.  Et  numquam  a  me  meisque  he- 
redibus  et  successoribus  aut  a  me  summissa  persona  ali  15.  quam 
exinde  habeant  questionem  aut  calumpniam  tu?  prefate  ecclesiae 
et  servitoribus  eius,  sed  si  fuerit  necesse  defen  16.  damus  eam 

tibi  ipsiusque  tu?  ecclesiae  ab  omni  homine  omni  tempore.  Et  hec 
omnia  adimplere  polliceor.  Quod  si  non  fecero  17.  vel  si  contra 
hanc  chartulam  per  quemcumque  modum  ego  aut  heredes  vel  suc- 
cessores  mei  litigare  presumpserimus,  aut  si  hereditatem  ipsam 
18.  defendere  vobis  noluerimus  aut  non  potuerimus,  si  opus  fuerit, 
tunc  composituri  simus  tibi  tueque  prelibat?  ecclesiae  19.  et  ser- 
vitoribus eius  pene  nomine  suprascriptum  pretium  duplum,  et  post 
solutam  poenam  maneat  hec  chartula  in  sua  nihilominus  fìrmitate. 
20.  Quam  scribendam  rogavi  Octavianum  scriniarium,  in  mense  et 
indictione  suprascripta  prima. 

Signum  >J<  manus  suprascripti  Gregorii,  qui  hanc  chartula  fieri 
rogavit. 

)t^  Benedictus  Domini  gratia  dativus  iudex. 

>^  Alcerius  Salomonis  filius,  testis. 

>J<  Romanus  calciolarius  Saxe  filius,  testis. 

>J<  Ferraccius  filius  lohannis  sartoris,  testis. 

>J<  Fusco  frater  eius,  testis. 

>J<  Cencius  de  Crescentio  archipresbitero  sancti  Theodori,  testis. 
y^  Ego  Octavianus  scriniarius  compievi  ed  absolvi  (i). 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xii  secolo:  «  Car- 
«  tuia  vineae  ad  portam  sancti  Laurentii  in  monte  sancti  Ypoliti 
«  quam  vendidit  ecclesie  sancte  Marie  Nove  Gregorius  filius  Blasii 
«  episcopi  ». 


Tabu  lari  um  S,  oMariac  V^ovae  221 


XXL 

1063,  novembre  19. 

Frammento  di  cessione  di  una  pezza  di  vigna,  posta 
nel  monte  di  S.  Ipolito,  fuori  della  porta  di  S.  Lorenzo, 
fatta  da  Giorgio,  giudice  dativo,  a  Maria,  figlia  naturale 
di  Gregorio,  fratello  di  lui. 

I.  ^  In  nomine  Domini.  Anno  tertio  pontificatus  domni  Alcxandri 
secundi  pap?,  indictione  secunda,  2.  mense  novembrio,  die  nona 
decima.  Ego  Georgius  Domini  gratia  dativus  iude[x,  per  consensum] 
3.  Zit?  coniugis  meae,  a  die  hac  concedo  et  inrevocabiliter  trado 
secundu[m  rationcm]  4.  subscrìptam,  propria  spontaneaque  mea 
voluntate,  libi  Maria  naturalis  filia  ol[im  fratris  mei  Gregorii]  5.  tuis- 
que  heredibus  et  successoribus  vel  cui  largiri  et  concedere  volueris 
secundum  rati[onem  subscrìptam].  6.  Idest  unam  petiam  vineae 
bovaric?  in  integrum,  cum  versulariis  et  caI[catorio  atque  ìntro] 
7.  itu  et  exitu  ad  viam  publicam  et  cum  omnibus  eius  pertinentiis. 
[Posila  foris  portam]  8.  sancti  Laurentii,  in   monte  sancti  Ypo- 

liti.  Affines  eius,  ab  uno  latere  [vineam  Crescentii  Ca]  (0  9.  zuli, 
ab  alio  latere  vineam  ecclesiae  sanctae  Mari?  que  vocatur  Nova,  a 
tertio  [vineam  Petri  Sarraceni]  («),  io.  a  quarto  vineam  heredum 
episcopi  Sabinensis.  Hanc  [autem  vineam  cum  versulariis  et  calca- 
torio  suo  et  cum]  11.  omnibus  suis  pertinentiis  a  die  ista  tibi 
concedo  et  do  [ut  habeas  possideas,  ad  fruendum  utendum]  12.  te- 
nendum  ad  proprietatem,  illam  trado  propter  se[ptem  grossas  ar- 
genti dena]  (*)  13.  riorum  libras  quas  Gregorius  frater  meus 
la[rgitus  est  patri  nostro  Gregorio]  14.  de  Michaele,  de  quibus 

usque  nunc  tibi  deb[itor...  Proinde  hanc]  15.  petiam  vineae 
cum  pertinentiis  eius  ita  ad  tenen[dum  ad  proprie]  16  tatem  tibi 
trado,   ut    si,    quod  non  obto,  morie[ris]  17.   sine   licrede,   tunc 

vinca  ipsa  cum  pertinentiis  [suis]  ...  18.  ut  quando  lioc  evenerit 
dcmus  matri  tu?...  [denariorum  li]  19.  bras  si  viva  fuerit  ad 

facicndum  quid[quid  voluerit] ...  20.  eam  ipsa  tua  hercs  eo  tenore, 
si...  21.  dcmus  nos  iam  dict?  matris . . .         22.  et  vinca  ipsa 

tunc  in   nobis...  [proprie]        23.  tate  aliqua   vinca...        24.   ex 

(«)  Supplisco  dalle  scbtdi  dti  V.  che  trascrisst  in  partt  qutsto  doeu- 
mento. 


222  "P.  Jedek 


viginti  quinque  a..  .  [perti]         25.  nentiis  eiu[s] 


«  (a)  Quam  rescribendam  rogavi  Octavianum  scriniarium  in  mense 
«  et  indictione  suprascripta  secunda.  y^  Ego  Georgius  Domini  gratia 
«  dativus  index  manu  propria  confirmavi. 

«  Signum  >J<  manuum  suprascriptae  Zia?  (b)  coniugis  eius  ab  eo 
fieri  cons. 

«         Ilperinus  Bonizonis  Auriccliiti  filius,  testis. 

«  >J<  Cencius  filius  Luccii,  testis. 

«  y^  Belizo  filius  lohannis  de  Angelo  presbitero,  testis. 

«  >J<  Bonushomo  Petri  Maliabacca  filius,  testis. 

«  ^  Mannus  filius  Attonis  colonis,  testis. 
«  >J<  Ego  Octavianus  scriniarius  compievi  et  absolvi  »  (i). 


XXIL 

10Ó5,  novembre  1 1. 

Giovanni,  figlio  di  Giovanni  «de  Paparone»,  rinunzia  a 
vari  terreni,  alla  porzione  di  un  molino  ed  a  cinque  orti 
in  favore  di  Tita,  «  nobilissima  femina  »,  sua  sorella. 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  quinto  pontificatus  domni  no- 
stri Alexandri  papa?  secundi,  indictione  quarta,  mens?  november, 
die  undecima.  2.  Ego  lohannes  filius  lohannis  de  Paparone,  hac 
die  coram  presentiam  notandorum  testium,  cessi  decisi  3.  diffi- 

(a)  Questa  parte  del  testo,  contrassegnata  da  virgolette,  e  tolta  dalle  schede 
del  V.         (b)  Cosi  nel  V.  per  Zit? 

(i)  Per  lo  stato  frammentario  di  questa  pergamena,  mutila  nella 
parte  inferiore,  e  nel  resto  strappata  diagonalmente,  in  tempi  recenti, 
gioverà  qui  riportare  il  transunto  fattone  dal  Rosiki,  quando  essa 
doveva  essere  in  condizioni  migliori  (Indice  cit.  p.  5,  n.  i):  «  Instru- 
«  mento  di  vendita  d'un  pezzo  di  vigna  posta  nel  monte  S.  Ippolito 
«  fuori  di  porta  S.  Lorenzo,  fatto  da  Giorgio  dativo  giudice  a  Maria 
«  figlia  naturale  di  Gregorio  di  lui  fratello  per  libre  sette  grosse  d' ar- 
«  gento  "  denariorum  "  pagate  dal  detto  Gregorio  per  motivo  della 
«  detta  Maria  a  Gregorio  de  Michaele,  padre  d'  entrambi.  Rogato  da 
«Ottaviano  scriniario  ».  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del 
secolo  XII  :  «  Cartula  de  uno  petio  vinee  »  ;  una  mano,  di  poco  po- 
steriore, aggiunse:  «in  monte  sancti  Ypoliti  ». 


Tabulariiim  S.  oMariae  V^vae  223 


nivi,  atque  per  omnia  refutavi,  propria  spontaneaque  mea  voluntate, 
tibi  Tira  nobilissima  femina  4.  germana  mea,  tuisque  heredibus 
ac  successoribus,  in  perpetuum,  et  cui  largire  et  concedere  placueris. 
5.  Idest,  ut  dictum  est,  omnino  tibi  refuto  totam  terram  sementa- 
ricia  eulta  vel  inculta,  quanta  6.  cumque  fuit  Romani  de  Melio 
ad  Salone  (»)  cum  silva  et  pantano  cum  portione  de  sedium  7.  aqui- 
moli.  Refuto  etiam  tibi  universam  terram  cultam  vel  incultam  quan- 
tacumque  8.  fuit  predicti  Romani  nostri  consanguinei,  que  dicitur 
da  sancta  Helena,  et  totam  9.  terram  que  abuit  ipse  prephatus 

Romanus,  iuxta  Forma  de  Basari,  cum  piscina  sua  io.  et  cum 
omnibus  que  ibi  abuit,  et  quinque  hortus  in  Tabernuli  cum  longura 
terre  11.  que  est  inter  pratum  mei  lohannis  et  vineae  que  fue- 
runt  Uuidonis  lohannis  de  Episcopo.  Ad  hec  refuto  12.  tibi  duos 
petios  terre  in  Loreto  quibus  via  dividit  hinc  et  inde,  sicuti  fuit 
prescripti  13.  Romani.  Super  hoc  refuto  tibi  omnia  quecumque 

abuit  iam  phato  Romano  in  14.  sancta  Scolastica  in  ortis  criptis 
seu  domibus.  Hec  predicta  omnia  sicuti 'domni  15.  Romani  no- 
stri consanguinei  fuit  et  dum  ipse  vixit  suis  (b)  potestatibus  tenuit, 
16.  presentialiter  modis  omnibus  tibi  tuisque  heredibus  refuto,  ad 
faciendum  tu  et  heredes  tui  17.  quodcumque  volueritis.  Sub  obli- 
gatione  pen§,  si  in  aliquo  tempore  quod  absit  ego  vel  18.  he- 
redes mei  aut  a  nobis  summissa  persona  quoquo  modo  quovis  in- 
genio ex  suprascripta  19.  omnia  quam  tibi  voluntarìe  refutavi 
agere  causare  litigare  presumserimus,  20.  composituri  existamus 
tibi  tuisque  heredibus  decem  libras  optimi  auri,  et  soluta  pena 
21.  hec  refutationis  chartulam  firma  permaneat.  Q.uam  scribendam 
rogavi  Leonem         22.  scriniarium  in  mense  et  indictione  suprascripta. 

Signum  >^  manus  suprascripti  lohannis  rogatoris. 

(0 

Cencius  Andree,  testis. 
Johannes  filius  de  Cazzulo,  testis. 

>J-<  Petrus  Conte  filio  Johannes  Ruscio,  testis. 

>^  Theodorus  de  Laurentius,  testis. 
>^  Ego  Leo  scriniario  sanctae  Romane  Ecclesiae  compievi  et  absolvi  (1). 

(a)  AT^i  testo  ad  salone  ;  da  intendersi  forst  Adsaloae  (b)  Il  steondo  $ 
corretto  da  t  (e)  Questo  rigo  fu  lasciato  vuoto  nel  testo.    Così   manca  il 

signum    manus   avanti  ai  nomi  del  primi  due  testimoni. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xii  secolo:  «Car> 
a  tuia  refutationis  de  silva  et  pantano  cum  parte  aquimoH,  et  terram 
a  ad  sanciam  Helenam,  et  terram  iusta  Forniara  de  n.issari  et  .v.  ortos 
«in  Tabernulis,  et  duobus  petiis  terre  in  Loreto 


224  "P-  Jedele 


XXIII. 

1°  settembre  1070  -  30  agosto  1071. 

Frammento  di  vendita  di  una  vigna  posta  fuori  della 
porta  di  S.  Lorenzo  nel  monte  di  S.  Ipolito,  e  di  una 
vigna  posta  in  Roma  «  in  tempio  Domus  Nova  »  fatta  da 
Romano,  figlio  di  Leone  di  Pietro  «de  Imperatore»,  alla 
chiesa  di  S.  Maria  Nova. 

I.  [>J<  I]n  nomine  Domini.  Anno         2. .  .  W  [dojmni  Alexandri 

secundi  papa?,  indictione  nona,  mensis         3.  . , .  [die] ma.  Ego 

Romanus  filius  Leoni  de  Petro  de  Imperato        4.  [re] a.  Hac 

die  cessissem  et  cessi  atque  tradidi  nec  5.  [non  venumdavi,  null]o 
me  cogente  neque  contradicente  aut  vim  faciente  6.  [sed  pro- 

pria] spontaneaque  mea  voluntate,  tibi  beata  et  gloriosa  semperque 
7.  [virgini  Mari]a  domina  nostra,  et  per  te  in  tua  venerabilis  ecclesia 
que  vocatur  Nova,  in  8.  [qua  videtur  esse]  priorem  atque  erectorem 
domnus  Petrus  cancellarius  ac  car  9.  [dinalis  sancte  Rom]ane  Eccle- 
siae,  ceterisque  aliis  servitoribus  quibus  io.  [nuric  sunt  vel  erunt 
intrjaturi  in  perpetuum.  Idest  unam  petiam  vineaeW  bova  11.  [rice 
in  integrum  sicut  subs]cripti  affines  concluduntur,  cum  versulariis 
12.  [suis  et  calcatorio  suo  a]tque  introitu  vel  (0  exìtu  suo  ad  viam 
publicam,  et  cum  13.   [omnibus  suis    pertinentiis].   Posita    foris 

portam  sancii  Laurentii         14.  [in  monte  sancii   Ypo]lili  W,  Inter 

affines,  a  primo  latere  vineam         15 [a  duobus  aliis  l]ate- 

ribus  vineam  predicli  sancii  Laurentii,        16.  [a  quarto  latere] (e) 

a  via  publica.  Qualiter  michi  accidil  17.  [per  successionem  pa- 

renlum  meorum(^)]  et  quemammodum  secure  et  quiete  t8.  [meis 
delineo  manibus,  ita  e]am  vobis  veslrisque  successoribus  concedo  tra 

19.  [do  in  perpetuum.  Simul  et]  venundo  vobis  omnia  mea  portione 

20.  [de  vinea  in  tempio]    Domus  Nova,  cum   pomibus         21 

[infra]  se  abentem,  cum  introitu  vel  exilu  22.  [suo  et  cum  omni- 
bus eius]  pertinentiis,  Hanc  vero  cessi  (g)  venditio  23.  [nis  chartu- 
lam,  quod]  esl  suprascripla  vinea  petia  luna  in  integrum  cum  sua 

(a)  nono  vel  decimo  (b)  vin;  così  sempre.  (e)  vel  sopra  la  linea. 
(d)  'Nel  testo  ...  ili  (e)  Da  supplire  forse  introitus  communis  (f)  vel  per 
meam  comparationem         (g)   Così  nel  testo. 


Tabiilarium  S.  oMai^iae  V^oi'ae  225 


24.  [pertinentia  et  po]rtione  de  vinea  in  tempio  Domus  No  25.  [va, 
accepi  ego  vendijtor  a  vobìs  coram  presen  26.  [tia  subscriptorum 
testium  argenjti  quattuor  libras  27  [denariorum  mihique  placajbili, 
in  omni  vera  decisione,  et  28.  [ab  hodierna  die  licentiam  habeatis] 
omnia  ut  superius  legitur  de  presen  29.  [ti  introeundi  utendifruendi] 
commutandi  vel  quicquid  exinde  face  30.  [re  volueritis  in  perpe- 
tuum],  et  numquam  a  me  neqiie  ab  ali  31.  [qua  summissa  persona 
molestiam  habeatis],  set  si  necesse  fuerit  defendere  32.  [promitto 
ab  omni  homine  omni  tempore,  et  hec  omnia]  adimplere  polliceor. 
Q.uod  si  33.  [non  fecero  vel  non  defensavero,  tunc  compo]situri 
simus  vobis  vestrisque  34.  [heredibus  suprascriptum  pretium  du- 
plum,  et]  poena  soluta  maneat  hec  chartula  in  35,  [sua  nihilo- 

minus   firmitate.  Scriptum  per  manum scriaiarii  (a),  in  mense] 

et  indictione  suprascripta  nona. 

[Signum  >^    manus    suprascripti    Romani  qui    hanc    chartulam 
fie]ri  rogavit. 
[tra]ditionis  (i). 


XXIV. 

1074,  maggio  13. 

Pietro,  cardinale  e  rettore  della  venerabile  diaconia  di 
S.  Maria  Nova,  concede  in  enfiteusi  a  Pietro,  figlio  di 
Obberto,  ed  ai  figli  e  nepoti  di  lui  un  terreno  posto  presso 
la  chiesa  di  S.  Maria  k  in  regione  ipsius  ». 

I.  ^I^  A  vobis   peto  domno  Petro  religiosissimo  cardinali,  recto 

2.  [rem]    et   aucmcntatorem    vencrabilis    diaconi<p   beate  et    gloriose 

3.  scmperque  virginis  Marie  domine  nostre  que  hoiim  vocabatur  Anti 

4.  qua  nunc  autem  Nova,  per  consensum  [con]fratrum  tuorum  eius- 
dem,  uti       5.  mi[hi  P  jet[r]o  filio  Obberti  vite  meae  et  de  legiiimis  meis 

(a)  //  confronto  della  scritlura  di  questo  documento  con  gli  altri  di  S.  Maria 
Sova  non  ci  permette  di  poter  supplire  qui  il  nome  dello  scxiniario. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del  xii  secolo:  «  Car- 
«  tuia  vineac  extra  portam  [sancii  Laurentii  in  monte  sancii  Ypojliti 

<f  (lu.mi  vcnliJit  fsancte  Marie  Nove  RomanusJ  Lconis  Petri  do  Im- 

i  e  l'ahra  di  questa  annotazione  iin.i  unno 

più  recente, uci  sec.  xv,  scrisse:  «  Charta  Laurentii  ubidicitur  V.iculi  •>. 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIIl.  15 


226  T.  Jedele 


6.  fìliis   hac    nepotibus    tantum,    licentiani  abeamus  ad  subplendum 

7.  et  detinendum  ea  que  subter  legitur.  Idest  sedium  t«rre  vacantis  C«) 

8.  unum  in  integrum,  cum  introitu  et  exitu  suo  communi  (b)  ad  viam 
publi  9.  cam  et  cum  omnibus  ad  eum  pertinentem.  Posita  Rom? 
IO.  prope  venerabili  diaconia  in  regione  ipsius.  Affines  vero  eius, 
a  pri  II.  mo  latere  ortus  venerabilis  monasterii  sancti  Laurentii 
quod  vocatur  de  Miranda,  12.  et  a  secundo  latere  ortus  Cencii 
de  presbitero  leronimo  fìlius,  a  tertio  latere  or  13.  tus  lohannis 
Groriosi  (0,  et  a  quarto  latere  curte  communi.  luris  pre  14.  dict?  dia- 
coni?. Ad  tenendum  colendum  fruendum  possidendum  et  15.  usque 
ut  dictum  est  superius  de  me  et  de  legitimis  filiis  16.  meis  hac  ne- 
potibus tantum,  ha  die  tertia  decima  men  17.  sis  madii  con- 
currente  duodecima  indictione,  et  usque  dum  18.  nos  vixerimus 
tantum,  sicut  superius  legitur.  Dedi  enim  vobis  prob  19.  ter  hunc 
libellum  libellaticum  unam  argenti  denariorum  20.  hunciam,  et  ut 
prestet  exinde  pars  mea  vestre  partis  21.  omni  anno  sine  aliqua 
mora  vel  dilatione  pensionis  vero  22.  nomine  duos  denarios  argenti 
in  absumpsione  sanctae  23.  Mari?.  Promisistis  vos  enim  nobis 
hunc  libellum  ab  24.  omni  persona  si  nobis  necesse  fuerint  de- 
fendere vite  nostre  tantum,  25.  sicut  superius  narratum  est. 
Si  qua  vero  pars  aut  vos  vel  nos  26.  contra  fidem  horum 
libellorum  chartulae  venire  temptaverit,  tunc  27.  det  pars  infi- 
delis  partis  fidem  servantis  ante  omnem  28.  litis  initium  pene  no- 
mine tres  auri  huncias,  et  post  solutam  29.  poenam  maneant 
horum  libellorum  chartulae  in  earum  nihilominus  f-^)  firmitate. 
30.  Unde  petimus  ut  unus  ex  duobus  libelli  uno  tenore  con- 
scripti  31.  per  manum  lohannis  scriniarii  sanctae  Romanae 
Hecclesiae  rogatu  utrarumque  32.  partium.  Anno  secundo  pon- 
tificatus  domni  Gregorii  septimi  pap?,  33.  in  mense  et  indi- 
ctione suprascripta  duodecima. 

Signum  >5<  manus  suprascripto  Petro  huius  abpari  rogator. 
>J<  Cencius  de  presbitero  Crescentio,  testis. 
>5<  Nazarius,  testis. 
^  Johannes  de  Guinizo,  testis. 
>J<  Johannes  fihus  luvenci  rotarius  (0,  testis. 
>^  Martinus,  testis. 
^5<  Ego  Johannes  scriniarius  compievi  et  absolvi  (i). 

(a)  vac         (b)  comm;  qui  ed  in  seguito.         (e)  Così  nel  testo.         (d)  Nel 
testo  nihil  omns        (e)  Nel  testo  rotarius 

(i)  Nel  verso  della  pergamena:  «  In  palladia  ». 


Tabiilariiim  S.  oMariae  V^vae  227 


XXV. 

1075,  marzo  9. 

Giovanni  de  «  Paparone  »  e  Pietro,  suo  figlio,  cedono 
a  Pietro,  cardinale  e  cancelliere  del  Sacro  Palazzo,  rettore 
di  S.  Maria  Nova,  una  pedica  di  terra  seminativa,  fuori 
della  porta  di  S.  Paolo,  nel  luogo  detto  «  Valeranus  »,  e  ne 
ricevono,  in  cambio,  cinque  orti  olerarii,  fuori  della  porta 
Maggiore  a  ad  Aquam  Vullicantem  »,  ed  inoltre  cinque 
libbre  di  denari. 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pomificatus  domni 
Gregorii  septimi  pap?,  indictione  tertia  2.  decima,  mense  martio, 
di?  nona.  Nos  autem  (»)  Johannes  qui  vocor  (^^  de  Paparone,  atque 
Petrus,  j.  pater  videlicet  et  filius,  ha  die  hac.  ante  presentiani 
domni  Benedlcti  dativi  iu  4.  dicis  atque  Cencii  primicerii  filii 
eius,  cessissemus   et    cessimus   atque   tradidimus   nec  5.  non  et 

commutavimus,  nullo  vero  nobis  cogente  ncque  contradicente  aut 
vim  faci  6.  cntem,  sed  propria  spontancaque  nostra  voluntate, 
vobis  domno  Petro  cardinali  atque  7.  cancellano  Sacri  Palatii, 
rectorem  et  aucmentatorem  venerabilis  hecclesiae  sanctae  Mari? 
8.  que  holini  vocabatur  Antiqua  nunc  autem  Nova,  atque  Laurentio 
presbitero,  videlicet  et  lohanni  9.  presbitero  predict?  hecclesiae, 

cunctisque  aliis  successoribus  qui  ibidem  nunc  sunt  et  im  perpetuum 
per  IO.   manentibus.  Idest  pedica  terre   sementarici?  una  in  in- 

tegrum,  sicut  usque  nunc  cum  i  r.  nostris  manibus  ad  laborandum 
tenuimus,  eulta    vel  incolta,  cum  finis  terminis  12.  limitibusque 

suis,  cum  arboribus  fructiferis  vel  infructiferis  infra  se  habeniem, 
13.  et  cum  homnibus  ad  eam  pertinentem.  Posila  foris  portam  beati 
Pauli  apostoli,  14.  loco  autem  ubi   nominatur  Valeranus.    Inter 

affines,  a   primo  laterc    et   a    secundo  terram  1 5.    monasteri! 

sancti  Pauli,  et  a  tertio  latere  terram  Transtìberis  que  fuit  uxor 
Fuscarelli  16.  bone    memori?,   a    quarto    latere   terram    Bonìzi 

filii  Ilperini.  luris  cuius  existit.  Q,ua  17.  liter  nobis  periìnere  vi- 

detur  per  successionem  parenlum  nostrorum  et  («)  nunc  nostris 
quietis  manibus         18.  tcnemus,  taliter  eam  vobis  conccdimus  alquc 

(a)  .W/  testo  atcm         (b)  vòc         (e)  et  sopra  la  Unta. 


228  T.  Jedele 


commutamus.  Hanc  autem  commutatio  19.  nis  chartulam  vobis 
contradimus,  eo  quod  accipimus  a  vobis  quinque  ortos  holerarios, 
20.  quos  positos  foris  portam  Maiorem  ad  Aquam  Vullicantem  cum 
pertinentiis  heorum  per  chartulam  commuta  21.  tionis  quam  vos 
facitis  nunc,  et  insuper  ibsos  adiungitis  nobis  quinque  libras  dena- 
riorum  22.  subtiles  (a)  nobisque  placabilem  prò  ea.  Ideoque  ut  ab 
hac  die  in  antea  licentiam   et  potestatem  23.  abeatis    in   supra- 

scripta  pedica  terre  sementaricie  introeundi  fruendi  utendi  et  24.  im 
perpetuum  possidendi  vendendi  commutandi  vel  quicquit  exinde 
facere  volueritis  in  vestra  vestrisque  successoribus  25.  sit  potestate 
ad  salutem  dict?  hecclesiae.  Et  numquam  a  nobis  nostrisque  here- 
dibus  et  successoribus  26.  exinde    abeatis  questionem  haut  ca- 

lumpniam,  set  si  necesse  fuerit,  defendere  prò  27.  mittimus  nos 
nostrique  lieredes  et  successores  vobis  vestrisque  successoribus  im 
perpetuum  ab  omni  homine  homni  28.  tempore.  Et  hec  omnia 

adimplere  promittimus.  Quod  si  non  fecerimus  vel  si  contra  hanc 
29.  comutationis  chartulam  litigare  presumpserimus  nos  vel  nostri  Q>) 
heredes  aut  successores,  tunc  30.  etiam  composituri  existamus 
vobis  vestrisque  successoribus  ante  homme  litis  initium  pene  nomine 
du  31.  as  libras  boni  auri,  et  post  solutam  poenam  hec  commu- 
tationìs  chartula  firma  permaneat.  32.  Q,uam  scribendam  roga- 
vimus  lohannem  scriniarium  sanctae  Romanae  Hecclesiae,  in  mense 
et  indictione  suprascripta  .xiii. 

Signum  ^  manus  suprascripti  Petri  filius  predicti  lohannis,  qui 
hanc  chartulam  fieri  rogavit. 

Alkerius  de  Salomone,  testis. 

Petrus  filius  episcopi  Tiburtinensis  hecclesi?,  testis. 

Johannes  de  Berardo  filius,  testis. 

>J^  Romanus  filius  Leonis  ex  Imperato,  testis. 

v^  Johannes  filius  lohannis  Pilli,  testis. 
^  Ego  Johannes  scriniarius  compievi  et  absolvi  (i). 

(a)  Così  nel  testo.         (b)  Nel  testo  nosstri 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xir  secolo:  «  Car- 
«  tuia  de  Balerano,  ubi  dici[tur]  ...  »;  di  mano  più  recente:  «  Car- 
«tula  de  balneolo  (?)  quod  est  iuxta  terram  sancti  Pauli  ». 


Tahularium  S.  oMariae  V^pi^ae  229 

XXVI. 

1081,  novembre  11. 

Costanza,  figlia  di  Alscerio,  rinunzia  in  favore  di  S.  Maria 
Nova  ad  una  pedica  di  terra  seminativa,  posta  in  Valerano, 
ricevendone  in  cambio  una  pezza  di  vigna  in  Albano  nel 
luogo  detto  Miliarolo. 

I.  >^  In  nomine  Domini.  Anno  nono  pontificatus  domni  Gregorii 
septimi  pape,  indictione  quinta,  mense  novembri,  [die]  un  2.  de- 
cima. Ego  quidem  Constantia  filia  Alsceri,  hac  die  ante  presentia 
dcmni  Bene  3.  dicti  dativi  et  Cencius  primicerius  Sacri  Palatii  et 
subscriptorum  tesstibus,  tibi  o  beata  4.  et  super  choros  angelo[rum 
exalta]ta  Dei  genitricis  virgo  Maria  qui  apellatur  Noba,  et  per  te 
doni  5.  no  Petro  cancellarius  (0  et  rector  ipsius  ecclesia,  refuto  et 
per  omnia  renuntio.  Idest  videli  6.  cet  unam  pedicam  terre  se- 
mentaricia  W  illam  quae  fuit  Andree,  cum  finibus  terminis  7.  li- 
mitibusque  suis  cum  introito  et  exitu  suo  vel  cum  homnia  pertinentia 
sua.  Posita  in  Val  8.  lerano,  affinis  vero,  a  primo  latere  est  rivo, 
a  secundo  terre  heredum  Nicolai  Crescentionis  detinet  (=),  a  tertio 
9.  est  silice,  a  quarto  tenet  dieta  ecclesia.  Hec  predicta  terra  sicut 
dieta  est,  et  quomodo  io.  cumquae  mihi  pertinere  videtur  per 
successione  mariti  meo  et  per  donatione  sive  per  successione  11.  fi- 
lia mca  sivc  per  quecumquae  modum,  taliter  eam  refuto.  Pro  qua 
tu  Pctro  can  12.  cellarius,  consensu  confratrum  tuorum  dieta  ec- 
clesia, refutasstis  mihi  videiicet  unam  petiam  13.  vineae  posita 
in  Albano  in  loco  qui  vocatur  Miliarolu,  cum  omnibus  suis  perti- 
nentiis,  proinde  suprascripta  14.  terra  in  dieta  ecclesia  refuto  et 
per  omnia  renuntio  in  perpctuum  ad  proprictatcm.  Si  umquam 
15.  ego  in  tempore  aut  mei  heredes  aut  a  me  sumniissa  vel  summit- 
tenda  persona  liiem  promo  16.  vere  volucrinius,  aut  aliquam 
controversiam  facere  presumserimus,  coni  17.  ponamus  prò  poena 
ad  opus  dieta  ecclesia  sex  bor.i  auri  libras,  et  soluta  poena  proposita 
lis  18.  inanis  sit  et  vacuam,  et  hec  refutatio  sicut  in  ac  legitur 
cartula  perpetuo  stabilis  et  19.  firma  perniancat.  Qu.ini  ut  seri- 
bendam  rogavi  Gregorium  scriiiiarium,  in  mense  ci  indictione  supra- 
scripta .V.  C<1). 

(a)  n  sopra  la  linea.  (b)  Nel  Usto  semenuria  (e)  S'fl  tnto  dcuiii 
(i!)  Sri  letto  .XV. 


230  T.  Jedeh 


Signum  \^  manus  predicta  Constantia  qui  hec  refutatio  fieri 
rogavit. 

Leo  de  lohannes  Celicio,  testis. 

Stephanus  W  gener  de  Benedicto  iudice,  testis. 

Gregorius  nlius  Benedicti  iudicis,  testis. 

Benencasa  filius  Alsceri,  testis. 

Georgius  gener  eius,  testis. 
>^  Ego  Gregorius  scriniarìus  sanctae  Romanae  Ecclesiae  compievi 
et  absolvi  (i). 

XXVII. 

10S5,  febbraio   16. 

I  coniugi  Bona  e  Benedetto,  col  consenso  del  clero  di 
S.  Maria  Nova,  vendono  a  Giovanni  Albo  ed  a  Maria, 
sua  consorte,  i  propri  diritti  libellatici  su  una  casa  posta 
nella  regione   «  que  est  suptus  Fallarla  » . 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  duodecimo  pontificatus  domni 
Gregorii  septimi  2.  papae,  indictione  octava,  die  sexta  decima 
mensis  februarii.  Nos  denique  3.  Benedictus  et  Bona  maritum  quo- 
que et  coniunx,  hab  ac  enim  die  venunda  4.  mus  per  consensu 
clericoram  venerabilis  (b)  diaconia  sancte  Dei  genitricis  virginis  Marie 
5.  que  vocatur  Nova,  proprie  spontaneaque  nostre  voluntatis,  tibì 
lohanne  Albo  nec  non  et  Mari  6.  a  tua  mulier  et  tua  heredes 
qui  de  legitimo  coniugio  natus  fiad  et  secundum  tenorem  7.  et 
condicionem  que  in  ilio  libello  refert  que  ego  recepi  a  domno  Leone 
archi  8,  presbitero  iam  diete  ecclesie  et  ab  aliis  clerici  qui  ibi 
in  ilio  tempore  erant.  Idest  u  9.  nam  domum  solarata  tegulicia 
scandolicia  cooperta  cum  introitu  et  exitu  a  vi  io.  a  publica  cum 
scala  marmorea  (0  et  sicut  nos  detinuimus  ita  sicud  dictum  est  venun- 
damus.  Posita  ipsa  11.  domo  in  regione  que  est  subtus  Fallarla, 
afHnes  eius,  a  primo  latere  W  ortuo  de  12.  monasterio  quod  vocatur 
Mirandi,  et  a  secundo  latere  tenet  suprascripta  diaconia,  et  a  tertio 
latere  tenet  Laurent!         13.  us  de  suprascripta  diaconia  clericus,  et 

(a)  ìid  testo  Stehanus  (b)  Ntl  testo  venerabit  (e)  cum  scala  marmorea 
sopra  la  linea.         (d)  Nel  testo  tae  ;  qui  ed  in  seguito. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xii  secolo:  «  Car- 
«  tuia  de  terra  in  Vallerano  ». 


Tabularhim  S,  €Mariae  ^T^vae  231 


a  quarto  latere  domum  de  Stephania  de  lohanne  Por  14.  cario, 
luris  diete  ecclesi?.  Qualiter  nobis  pertinere  videtur  taliter  venun- 
damus  15.  tibi  sicud  dictum  est,  prò  eo  quod  nos  recepimus  a 
te  decem  solidos  denariorum  nobis  placabilis  in  omni  16.  vera 
dicisione,  et  ab  odierna  die  licentiam  et  potestatem  abeas,  sicud  su- 
perius  17.  dictum  est,  a  presenti  die  teneas  possideas  tu  et  tua 
mulier  nec  non  et  tua  legitima  18.  heredes,  et  nos  promittimus 
defendere  omni  tempore.  Quod  si  non  fecerimus,  compo  19.  na- 
mus  prò  pena  tibi  tuisque  heredibus  suprascriptum  pretium  duplum, 
et  soluta  pena  hec  chartula  20.  firma  permanead.  Unde  petimus 
ut(*)  due  facte  chartulae  uno  tenore  21.  conscripte  per  manus 
Boniomini  scriniarii  W  rogatus  utrarumqne  partium,  22.  in  mense 
et  indictione  suprascripta  octava.  Signum  >J<  >J<  manibus  suprascri- 
ptorum         23.  Benedictus  et  Bona  qui  fieri  rogaverunt. 

Patio  de  lohanne  Vetulo,  testis. 

Dattolinus  nepos  Benedicti  iudicis,  testis. 

Johannes  filius  Benedicti  de  Pepo,  testis. 

Teuzo,  testis. 

Cencius  filius  Guidoni,  testis. 
»J<  Ego  Bonushomo  scriniarius  compievi  et  absolvi  (i). 

XXVIII. 

1089,  maggio  19(2). 

Locazione  di  una  casa,  posta  nella  regione  di  S.  Maria 
Nova,  non  lungi  dalla  chiesa  stessa. 

I.  \^  In  nomine  Domini.  Anni  ab  incarnatione  Domini  nostri 
lesu  Christi  millesimo  octuagesi         2.  mo  nono,  et  est  primus  annus 

(a)  t  di  ut  sopra  la  linea.        (b)  Nel  testo  ricriniarii 

(i)  Nel  verso  della  pergamena:  (c  Pallaria  ».  Di  questo  Atto  si 
conserva  ancora  l' altra  copia  v  uno  tenore  conscripta  »  ;  dove  natu- 
ralmente appare  come  autore  dell'atto  quello  che  nella  prima  copia 
era  il  destinatario.  Si  ha  qui  difatti  nell* escatocollo:  «Signum  ^X-i 
«  manus  suprascriptus  lohannes  Albo  qui  anhc  appare  fieri  rogavid  ». 

(2)  Segno  questa  data  che  è  quella  posta  esplicitamente  nella 
datazione  del  documento,  quantunque  non  vi  corrisponda  Tanno  del 
pontificato  di  Urbano  II  che  dovrebbe  essere  il  secondo,  essendo 
egli  suto  eletto  e  consacrato  il  13  marzo  del  1088. 


232  T.  Jedele 


domni  Urbani  papae  secundi,  indictione  duodecima,  men  3.  se 
madius,  die  nona  decima.  Nos  denique  presbiter  Crescentius  et  Lau- 
rentius  levita  4.  nec  non  et  Benedictus  levita  et  Theodorus  aco- 
lithus(a),  consentientibus  omnibus  aliis  clericis  5.  de  ecclesia  sanct? 
Dei  genitrix  virginis  Marie  domine  nostr?  qu?  vocatur  Nova,  hac 
die  loca  6.  nius  proprie  spontane?  nostr?  voluntatis,  vobis  Johan- 
nes et  Maria  virum  et  coniunx  et  in  vestri  7.  filii  tantum,  nec 
non  et  in  Maria  lohanni  Vetuli  tua  mater  vit?  vestr?.  Idest  do 
8.  mum  terrinea  scandolicia  cum  introitu  suo  et  exitu  usque  ad  viam 
publicam  9.  et  cum  omni  sua  pertinentia.  Posita  in  regione  sancte 
Maria  Nove,  non    procul   a  die  io.  ta   ecclesia,  Inter  affines,  a 

primo  later?  ortum  heredum  presbiteri  Geronimi,  et  a  secundo 
II.  latcrae  est  ortum  monasterii  Mirandi,  et  a  tertio  later?  domum 
suprascript?  ecclesia,  et  a  quar  12.  to  laterae  via  exeuntem  ad  via 
publica.  luris  suprascripte  ecclesi?.  Qualiter  nobis  pertine  13.  re 
videtur  taliter  vobis  locamus  sicut  superius  dictum  est,  prò  eo  quia 
recepì  14.  musa  te  quinque  solidos  denarorium  nobis  placabiles, 
et  ab  bora  teneatis  possideatis  15.  et  ad  meliorem  culmen  per- 
ducatis  vos  et  vestri  filii  tantum,  et  omni  anno  16.  in  assum- 
tione  sancte  Marie  duos  denarios  prò  pensione  dabitis,  et  nos 
17.  promittimus  defendere  cum  nostri  successores  omni  tempore 
gratis.  Nam  quot  absit,  18.  si  qua  vero  pars  centra  fidem  uius 
chartul?  venire  temtaverit,  tunc  det  19.  pars  infidelis  parti  fidem 
servanti  prò  pena  viginti  solidos  denariorum,  20.  et  soluta  pena 
oc  locatum  firmum  permaneat.  De  qua  re  due  facte  21.  chartule 
uno  tenore  conscripte  per  manus  Bonihomini  scriniarii  rogatus 
22.  utrarumque   partium,    in  mense    et   indictione    suprascripta    xii. 

Signum  v^  manus  suprascriptus  Johannes  qui  prò  se  et  prò  su- 
prascripti  alii  hoc  appare  rogavit. 

Rufinus  filius  Os  fiarni,  testìs. 

Fatius  lohanni  Vetuli,  testis. 

Benedictus  de  Ruta,  testis. 

Cencius  presbiteri  leronimi,  testis. 

Donatolus  de  Marina,  testis. 
>^  Ego  Bonushomo    scriniarius    sancte    Romane  Ecclesie  compievi 
et  absolvi  (i). 

(a)  h  sopra  la  linea. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  xii  secolo  :  «  Car- 
«  tuia  de  domo  posita  iusta  ortum  sancti  Larentii  {così)  de  Mi[ran]da  »  ; 
di  mano  contemporanea:  «Palladia». 


Tabiilariiim  S,  ^MariaeV^vae  233 


XXIX. 

1092,  giugno  6. 

Il  clero  di  S.  Maria  Nova  loca  a  Giovanni  Cristiano, 
a  Durabia,  sua  moglie,  ed  ai  loro  figli  una  casa  posta  nella 
regione  quarta  «in  Ascensa  Palatii  Maioris  et  Pallarie  », 
non  lungi  dalla  diaconia  di  S.  Maria. 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  ab  incarnatìone  Domini  mille- 
simo nonagesimo  secundo,  per  indictione  2.  quinta  decima,  mense 
iunio,  die  sexta.  Nos  denique  clericis  sancte  Marie  Nove  3.  vide- 
licet  Laurentius  et  Benedictus  levitas  nec  non  Theodoro  omnes  cleri 
4.  cis  suprascripte  ecclesi?,  hac  die  locamus  et  concedimus  proprie 
spontanee  nostre  5.  voluntatis,  tibi  Johannes  Christianus  et  Du- 
rabia virum  et  coniunx  et  in  vestri  filli  vel  6.  filie  tantum.  Idest 
domum  unam  tegulicia  scandoHcia  cooperta  solara  7.  ta  cum  scala 
marmorea  cum  puteo  et  curte  communale  cum  ortuo  post  8.  se 
cum  introitu  suo  et  exitu  et  cum  omni  sua  pertinentia.  Posita  Rome 

9.  regio  quarta   in  Ascensa  Palatii    Maioris   et   Pallarie   non  procul 

10.  a  suprascripta  diaconia.  luris  suprascripte  ecclesi?  sanct?  Marie 
Nove.  Qualiter  nobis  11.  predicta  ecclesia  pertinere  videtur  ta- 
liter  vobis  locamus  prò  eo  quia  recepimus  12.  a  vobis  prò  une 
locatum  videlicet  tredecim  solidorum  papiensiura,  et  omni  13.  anno 
pensionem  duos  denarìos  in  assumtione  sancte  Marie.  Et  si  14.  vo- 
lueritis  vendere,  vendatis  in  suprascripta  ecclesia  iusto  pretio  com- 
minus  trigin  15.  ta  denariis,  quot  si  ecclesia  noluerit  emere,  ven- 
datis vestro  placito  ta  16.  li  persone  ut  omnia  que  in  charlula 
legitur,  adimpleat  et  suprascriptum  comminus  in  17.  ecclesia  tri- 
buatur.  Hec  omnia  ut  superius  dictum  est,  teneatis  posside  18.  atìs 
et  ad  meliorem  culmen  Deo  iuvante  perducatis,  et  cum  mortai 
19.  eritis  vos  suprascripti,  tunc  domum  suprascriptam  ad  iusccclcsiv, 
cuius  est  proprietaSf  20.  revertatur,  et  hec  omnia  ambobus  partibus 
observare  promit  21.  timus.  Nam  quot  absit,  si  quis  vero  pars 
centra  promissa  venire  22.  temtaverit,  lune  det  pars  infidelis  parti 
promissa        23.(*)ser      24.  vanti  prò  pcnam  suprascriptum  preiium 

(a)  Li  paroU  venire  teintavcrit  tunc  det  pars  infidelis  parti  promiSM  «rtno 
tlatt  ripttutt  ntl  tttlo,  t  furono  dal  notaio  ttttto  eanefìlalt. 


234  "P-  Jedele 


duplum,  et  soluta  pena  hoc  loca  25,  tum  firmum  permaneat.  De 
quibus  rebus  facte  sunt  duo  26.  carte  uno  tenore  conscripte  per 
manus  Bonihomini  seri  27.  niarii  rogatus  utrarumque  partium, 
in  mense  et  indictione  suprascripta.  xv. 

Signum  >J<  y^  manibus  lohanni  Christiani  et  Durabie  qui  anc 
appare  precaverunt. 

Petrus  Arcedro,  testis. 

Beliczo  filius  Octaviani,  testis. 

Paulus  frater  eius,  testis. 

Dodolus  de  Billana,  testis. 

Petrus  Spata,  testis. 
^  Ego  Bonushomo   scriniarius   sanct?    Romane   Ecclesie   compievi 
et  absolvi  (i). 


XXX. 

1093,  maggio  31. 

Raniero  e  Giovanni  de  Lucia,  fideicommissari  e  te- 
stamentari di  una  donna  per  nome  Fayda,  donano  alla 
chiesa  di  S.  Maria  parte  di  una  casa  con  un  orto  nella 
regione  di  S.  Maria  Nova. 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  ab  incarnatione  Domini  mille- 
simo nonagesimo  tertio,  indictione  prima,  mense  madio,  die  trice- 
sima  2.  [pri]ma.  Nos  denique  presbiter  Raynerius  et  Johannes  de 
Lucia  fideicommissarii  atque  testamentarii  cuiusdam  femine  nomine 
3.  Fayda,  hac  di?  ambo  insimul  prò  remedio  anim?  predicte  Fayde 
et  mariti  sui  lohannis  et  omnium  suorum  con  4.  sanguiniorum 
damus  donamus  offerimusW  propria  spontaneaque  nostra  voluntate, 
tibi  beata  virgo  Maria  et  tu?  ?cciesi?  qu?  olim  5.  Antiqua  nunc 
autem  Nova,  et  per  te  domno  Laurentio  archipresbitero  et  cunctis(b) 
clericis  qui    ibi    modo  sunt    et  in    perpetuum        6.  intraturi.    Idest 

(a)  Dapprima  fu  scritto  do  dono  off^ro ;  poi  si  corresse,  e  si  aggiunse  mus 
neir  interlineo.         (b)  //  secondo  e  neW  interlineo. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano,  sembra,  contempo- 
ranea: «de  domo  Massare  in  Palacio». 


Tabiilariiim  S,  oMarìae  VS^ovae  235 


domus  totam  partem  que  contigit  sibi  ex  parte  dotls  et  donationis 
predicti  lohannis  viri  sui,  7.  cum  ortuo  pomato  post  se  et  curte 
ante  se  cum  introita  suo  et  exitu  et  cum  omni  sua  pertinentia.  Po- 
sita  regio  8.  sanct?  Marie  Nov?.  Affines  eius,  a  primo  iatere  (0  via 
qu?  pergit  ad  ortum  monasterii  sancti  Laurentii  quod  vocatur  Mi- 
randi, 9.  a  secundo  Iatere  ortus  predicti  monasterii,  a  tertio  Iatere 
domus  Alexii  filii  lohannis  scriniarii,  a  quarto  Iatere  via  io.  qu§ 
pergit  ad  Palatium  Maiorem.  luris  cuius  existit.  Q.ualiter  nobis  per- 
tinere  videtur  per  commissum  prephate  11.  Fayde,  taliter  ob  re- 
medium anime  sue  et  viri  sui  et  suorum  consanguiniorum,  donamus 
sicut  superius  12.  dictum  est,  teneant  et  possideant  tuos  servitores, 
illorum  iure  vindicent  et  defendant  in  usu  et  utilità  15.  te  tu? 
ecclesi?.  Et  hec  omnia  observare  et  defendere  promittimus  cum  no- 
stris  hercdibus  et  successoribus  14.  tibi  luisque  servitoribus  omni 
tempore  et  in  omni  loco  gratis.  Quot  si  non  fecerimus  aut  non  po- 
tuerimus  15.  sive  in  aliquo  litem  vel  contemtionem  exinde  fece- 
rimus, tunc  componamus  prò  penam  16.  unam  libram  obtimi 
aurì,  et  solutam  (b)  penam  hec  chartula  perpetuo  stabilis  et  firma 
permaneat,  17,  Quam  scribendam  rogavimus  Bonumhominem 
scriniarium  sanct?  Romane  18.  Ecclesi?,  in  mense  et  indiclione 
suprascripta  prima. 

Signum  y^  manus  suprascripti  presbiteri  Raynerii  fideiiussori 
suprascripl?  defuncte  qui  fieri  precavit. 

Signum    ^   manus  suprascripti    lohannis   Lucie    fideiiussori  (<=) 
suprascript?  defuncte  qui  hanc  chartulam  precavit. 
Petrus  filius  Cencii  iudicis,  testis. 
Johannes  filius  Benedicti  de  Pepo,  testis. 

^  Benedictus  de  Ruta,  testis. 
Romanus  betrarolus,  testis. 

>^  Cencius  presbiteri  leronimi,  testis. 
f^  Ego  Bonushomo  scriniarius  sanct?  Roman?  Ecclesi?  compievi  et 
absolvi(i). 

(a)  lae;  qui  ed  in  seguilo.        (b)  Wclt4stosoì        (e)  Nel  /«/o  fidciiiussori 

(1)  Nel  verso  della  pergamena,  di  mano  del  secolo  xii:  «  De 
«fdomo  Girardo  Mancini  qui  est  iusta  domo  Marie  de  ..es...»»;  di 
mano  posteriore:  a  Palladii  ». 


236  T.  fedele 


XXXI. 

iioo,  luglio  20(1). 

Ratti  dona  a  Berta,  sua  figlia,  una  casa  comprata  «  ad 
«  sancto  lohanne  in  civitate  Tiburtina  in  locum  ad  san- 
«  ctum  Paulo  »,  ed  un  vignale  posto  nel  luogo  detto  Tur- 
tiliano. 

I.  >J<  In  nomine  Domini.  Anno  primo  pontificatus  domni  Pas- 
scali  secundi  pape,  indictione  septima,  mense  2.  iuleo,  die  vìcesima. 
Ego  quidem  Ratti,  hac  die  propria  mea  voluntate  3.  tibi  Berta 
dilecta  et  valde  amabilis  carissima  filia  mea  prò  magno  amore  4.  et 
dilectione  quam  in  te  abeo,  concedo  et  trado  et  ìnrevocabiliter  dono 
tuisque  heredibes,  quod  5.  autem  dono.  Idest  illam  videlicet 
domum  unam  in  integrum  quam  abeo  acquisitam  («)  ad  6.  sancto 
lohanne  in  civitate  Tiburtina,  in  locum  ad  sanctum  Paulo,  cum  omnia 
sua  pertinentia.  7.  Affines  vero  a  primo   latere  desuper  ecclesia 

sancti  Pauli,  a  secundo  teneo  0>)  ego  denatrice,  a  tertio  tenent  heredum 
8.  Guelti,  a  quarto  est  via  plubica  (0.  Item  dono  tibi  vinialem  unum 
in  integrum  qui  ponitur  in  locum  9.  ubi  dicitur  Turtilianum, 
cum  omnia  sua  pertinentia,  Affines  vero  eìus  a  primo  tenet 
IO.  Johannes  de  Bona,  a  secundo  tenet  lohanne  de  presbiter  Girardus, 
a  tertio  tenet  lohanne  Casamagi  11.  nco  W,  a  quarto  est  flumine 
Tiburtinum.  Quam  deniquae  domum  ipsam  et  viniale  12.  sicut 
dictum  est,  taliter  tibi  concedo  et  dono  a  die  presenti  ad  proprieta- 
tem,  13.  cum  benedictione  Dei  patris  et  mea  abeatis  teneatis  in 
perpetuum.  Promitto  14.  ego  cum  meis  heredibus  vel  successo- 
ribus  suprascripta  omnia  tibi  et  tuis  heredibus  eam  defendere,  si  vobis 
15.  necesse  fuerit,  contra  homnes  ominem.  Quod  si  facere  noluerimus 
aut  si    aliquam    contrari  16.  etatem    exinde  facere    voluerimus, 

componamus  tibi  tuisque  heredibus  vel  successoribus  prò  poena 
17.  dimidiam  boni  auri  libram,  et  soluta  poena,  hec   donatio   firma 

(a)  Nel  testo  acquisam  (b)  ten;  qui  ed  in  seguito,  (e)  Cosi.  (d)  Ca- 
samaginto  (?) 

(i)  Questa  data  corrisponde  al  primo  anno  di  Pasquale  II;  vi 
si  oppone  però  l'indizione  settima,  segnata  nel  documento,  che  cre- 
diamo errata  per  la  ottava. 


Tahiilarium  S,  oJ^Iariae  VXppae  237 


permanead.  Q.uain  ut         18.  scribemdam  rogavi  Gregorium  scrinia- 
rium,  in  mense  et  indictione  suprascripta  .vii. 

Signum  >J<  manus  predicta  Ratti  qui  hec  doni  («)  fieri  rogavi. 

Petrus  aurifice,  testis. 

lohanne  Cerasia,  testis. 

Benedictus  de  Boso,  testis. 

Romanus  de  Diacono,  testis. 

Cara  cosa,  testis. 
y^  Ego  Gregorius  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae   compievi 
et  absolvi  (i). 

(Continua). 

(a)  Cosi  nel  testo. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena:  «in  Tyburtina  civitate». 


STUDII 

SUL 

PONTIFICATO  DI  CLEMENTE  XI 

I7OO-I72I 
(Continuazione;    vedi    voi.    XXII,    p,   109) 


Provvisto  alla  sicurezza  dello  Stato,  si  pensò  di  arrecare 
aiuto  ai  Veneziani.  Ripetute  le  istanze  ai  Maltesi  (i),  ed 
avuta  risposta  dal  gran  mastro  don  Raimondo  de  Perellos 
che  le  navi  della  Religione  aspettavano  gli  ordini  del  papa, 
il  Ferretti  fece  rotta  colla  squadra;  ed  unitosi  con  quei  di 
Malta  in  Calabria,  insieme  raggiunsero  Girolamo  Dolfin. 
Non  si  venne  alle  strette  in  quell'anno.  Coggià  tornossene 
ai  Dardanelli;  e  i  Veneti  cogli  ausiliari,  smantellato  il  ca- 
stello di  Antiro  alle  bocche  di  Lepanto,  misero  al  sicuro 
Zante,  Cefalonia  e  Cerigo. 

Il  modo  come  si  chiuse  la  campagna  del  17 15,  più  che 
scemare,  accrebbe  i  timori  pel  futuro. 

Per  eccitare  gli  interessati  alla  guerra.  Clemente  XI  mo- 
strossi  arrendevole  alle  richieste  di  sussidi  pecuniari  di  Ve- 
nezia, dell*  Austria  e  di  Malta.  AH*  uopo,  itct  rintracciare 
negli  archivi  della  Santa  Sede  le  disposizioni  adottate  dai 
suoi  precedessori    in  casi  consimili  (2);  e,  non  iscarseg- 

(i)  Ephi.  cit.  II,  491,  13  luglio,  171 5. 

(2)  Misceli,  di  Clemente  XI,  213,  pp.  1-83:  NotiiiU  di  vani  sus- 
sidii,  decime  e  contribuzioni  imposte  da  sommi  pontefici  sopra  li  beni  iC' 


240  J.  ^ometti 


giando  con  Malta,  e  rinnovando  le  profferte  delle  decime 
ecclesiastiche  all'  Austria  (i)  con  nuove  promesse  (2),  fece 
intendere  anche  al  Senato  veneto  che,  oltre  i  sussidi  inviati, 
era  disposto  a  concederne  un  altro  di  centomila  scudi 
d'  oro,  suir  esempio  dei  papi  precedenti  (3). 

Per  sopperire  a  queste  necessità,  ed  ai  bisogni  dell'eser- 
cito e  deir  armata  pontificia,  si  fece  uso  dei  denari  desti- 
nati alla  fabbrica  di  S.  Pietro  (4)  ;  ma  questi  non  essendo 
sufficienti,  si  fé'  appello,  imitando  Innocenzo  XI,  ai  fedeli, 
e  la  contribuzioni  volontarie  impinguarono  1'  erario  della 
Santa  Sede  (5). 

desiastici  in  occasione  delle  oiierre  contro  li  Turchi,  eretici  0  altri,  e  di 
quelli  imposti  da  Clemente  XI  nell'ultima  guerra  contro  li  Turchi.  (No- 
tevoli sono,  da  p.  2  a  80,  le  notizie  su  i  sussidi  elargiti  da  Gre- 
gorio XIII  per  la  guerra  di  Cipro  nel  1572;  di  Clemente  Vili  al- 
l'Austria nel  1594;  di  Urbano  Vili,  pure  all'Austria,  nel  1632;  gli 
incitamenti  di  Clemente  IX  nel  1668  e  di  Innocenzo  XI  nel  1682, 
alla  Francia,  contro  la  Turchia  &c.)- 

(i)  V.  in  questo  Archivio,  XXII,  156,  157. 

(2)  Misceli,  di  Clemente  XI,  213,  p.  141  sgg.  :  Scritture  spettanti 
alle  decime  imposte  da  Clemente  XI,  nella  stessa  guerra  fatta  contro  il 
Turco,  nel  Regno  di  Napoli  e  Stato  di  Milano  nel  lyiy. 

(3)  Ivi,  pp.  2 1^-24(^1  Sussidi  e  altri  aiuti  dati  alla  repubblica  di  Ve- 
nezia per  la  guerra  contro  il  Turco  tanto  da  papa  Clemente  XI  quanto 
da  pontefici  suoi  antecessori. 

(4)  Ivi,  p.  260-280:  Scritture  concernenti  li  denari  presi  dalla  fa- 
brica  di  S.  Pietro  per  erogarli  nella  guerra  contro  il  Turco.  Molte  di 
esse  sono  bozze  di  pugno  del  papa  ;  altre  sono  scritture  da  lui 
emendate  £  corrette.  Sullo  stesso  argomento  veggansi,  nell'Archivio 
di  Stato  in  Roma,  i  Chirografi  pontifici  dall'anno  1688  all'anno  1726^ 
B,  19,  ce.  101-102  (un  ordine  al  cardinale  Albani,  nipote  del  papa 
e  prefetto  della  Congregazione  della  basilica  di  S.  Pietro,  di  versare 
alla  Depositeria  generale  100  mila  scudi  dalla  fabbrica,  3  agosto  171 5); 
Chirografi  pontifici  dall'  anno  i6()()  all'  anno  1^24,  B,  21,  ce.  138-140 
(ripetizione  dello  stesso  ordine);  ce.  143-147,  150-152,  153-155 
(altri  ordini,  in  data  11  gennaio  e  4  marzo  17 16,  per  togliere,  a  profitto 
dell'armamento,  altri  danari  dalla  fabbrica  di  S.  Pietro). 

(5)  Ivi,  pp.  290-312.  Vi  si  trovano  varie  notizie  su  contribuzioni 
volontarie,  come  da  pp.  299-305  un  Sussidio  accordato  volontariamente 


Sliidii  sul  poiilìjìcato  di  Clemente  XI        241 

Mercè  tali  risorse,  si  pensò,  innanzi  tutto,  ad  accrescere 
le  difese  dello  Stato,  perchè  i  provvedimenti  già  presi  ap- 
parvero ben  presto  inadeguati  alla  bisogna.  Furono  sosti- 
tuiti il  Cerruti  e  il  Buonaccorsi  col  brigadiere  Degli  Oddi 
e  col  sergente  maggiore  dell'  Umbria  Claudio  Aureli,  af- 
fidando al  primo  la  difesa  di  Ancona,  al  secondo  la  tutela 
del  littorale  da  Loreto  al  confine  napoletano  (r).  Ad  An- 
cona, il  cui  porto  era  T  unico  d*  importanza  da  Malamocco 
a  Brindisi,  furono  concentrate  le  forze  terrestri  ;  vi  con- 
dussero truppe,  da  Ferrara,  il  conte  Vitale  Del  Sale,  te- 
nente colonnello;  da  Ascoli,  T  altro  tenente  colonnello 
G.  B.  Valenti;  da  Roma,  Eustachio  Mosca  e  Ciro  Aldro- 
vandi;  mentre  il  Degli  Oddi  vi  faceva  la  leva  di  marinai 
per  le  galee  pontificie,  e  riforniva  di  viveri  e  di  munizioni 
i  magazzini  della  piazza  (2). 

Nel  contempo,  guernivasi  di  vedette  e  di  armati  la  co- 
stiera pontificia  dell'Adriatico.  Dal  Tronto  al  confine  della 
Romagna,  oltre  Ancona,  Fano,  Loreto  e  altri  luoghi  impor- 
tanti, ogni  più  umile  borgata  ebbe  posti  di  guardia  prov- 
visti di  segnali  di  allarme.  I  battitori,  o  soldati  a  cavallo, 
percorrevano  dall'  un  capo  air  altro  la  spiaggia  indicata, 
compiendo  un  diligente  servizio  di  continua  vigilanza,  sotto 
la  direzione  di  comandanti  provetti.  Nella  rocca  del  porto 

dai  cardinali  nel  lyió,  scudi  i),8So;  e  poi  un  Altro  sussidio  da  cardi- 
nali, prelati  monsignori  etc.  scudi  10,^80. 

(i)  Queste,  e  le  notizie  che  seguono,  dalla  Relazione  cit.  di 
G.  Stampa  in  Misceli,  di  Clemente  XI,  212,  p.  265  sg.,  par.  II  e  III. 

(2)  V.  gli  allegati  AeB  della  Rdaiione  cit.  ;  Misceli,  di  Clemente  A7, 
212,  pp.  374-389:  Nota  de'  risarcimenti,  Jortifica\ioni  e  altri  bonifica' 
menti  che  si  sono  fatti  e  si  stanno  tuttavia  facendo  nella  forte^a  mag- 
giore di  Ancona  d'ordine  della  Santità  di  N.  5.  papa  Clemente  XI  (muri 
rifatti,  speroni  di  fabbrica,  casematte,  parapetti,  baluardi  &c.);  pa- 
gine 390-391:  \ota  delle  armi,  attreni  militari,  munizioni  e  altro  di 
ragione  della  R.  C.  A.  sfedite  in  Ancona  dal  Ponte  di  La^^oscuro,  t  da 
Roma,  per  serviiio  dell'  armamento  pontificio  (fucili,  baionette,  brandi- 
stocchi, selle,  giustacuori  &c.). 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIII.  l6 


242  J.  Torneiti 


di  Fermo  risiedeva  il  castellano  Antonio  Matteucci;  da 
S.  Tomaso  sino  al  Tronto  comandava  il  capitano  Ago- 
stino Costantini;  dal  porto  di  S.  Elpidio  alla  torre  dell*  A- 
spio,  il  capitano  Pietro  Gigli.  In  Loreto,  oltre  il  coman- 
dante della  piazza,  Aureli,  era  a  capo  del  presidio  Zerbino 
Gozzi,  coir  alfiere  Niccolò  Gottifredi  e  coli*  aiutante  Do- 
menico Rochefort  ;  vi  dirigeva  il  servizio  di  cavalleria 
E.  Mosca  coir  aiutante  Giuseppe  Cappelletti.  In  Ancona 
coadiuvavano  il  comandante  Degli  Oddi  il  capo  del  pre- 
sidio Vitale  Del  Sale,  1'  alfiere  conte  Carbonara,  e  gli  uf- 
ficiali Tommaso  Forti,  Marco  Pagani,  Niccolò  Galeotti, 
G.  D.  Roncaglia;  il  porto  era  affidato  alla  speciale  sorve- 
glianza di  C.  Aldrovandi  e  di  Claudio  Mendre. 

La  congregazione  delle  armi  residente  in  Roma  prov- 
vedeva ad  ogni  bisogno  con  sollecita  cura  (j). 

(i)  Sono  interessanti,  a  tal  riguardo,  alcune  notizie  sull'ammi- 
nistrazione dell'esercito  pontifìcio,  nel  voi.  15  Soldatesche  e  galere,  óqì- 
TArchivio  di  Stato  in  Roma.  Trovansi  in  carte  sciolte,  mancanti  di 
numerazione  progressiva.  La  notizia  più  antica  che  riguarda  l'eser- 
cito nel  pontificato  di  Clemente  XI,  è  la  seguente:  Istromenti  di 
concessione  seu  conferma  del  ius  e  facoltà  di  locare  et  affittare  i  letti  nella 
forte^^a  di  Castel  Sant'Angelo,  fatti  dalla  R.  C.  A.,  cioè  per  quelli  da 
lasso  a  favore  di  Tranquillo  e  Salomone  Raffaele  Corcos,  e  per  quelli 
del  maschio  a  favore  di  Tranquillo  Volterra,  sotto  il  28  febraro  lyoi 
per  gli  atti  del  sig.  Gio.  Ant.  Tartaglia,  segretario  e  cancelliere  della 
R.  C.  A.  Questa  concessione  (come  da  altro  istromento)  fu  rinno- 
vata agli  stessi  Corcos  e  Volterra  il  31  marzo  17 io  per  la  durata 
di  nove  anni.  Riguarda  l'esercito  anche  Vlstromento  e  memoriale  di- 
retto alla  Santità  di  N.  S.  PP.  Clemente  XI  con  suo  rescritto  d'ohliga- 
lione  fatta  tra  mons.  Molara  commissario  dell'armi  et  il  Conservatorio 
delle  TJtelle  mendicanti  ad  Templum  Pacis  per  la  fabbrica  delle  saie  e 
panni  per  servi:(io  delle  soldatesche  di  Roma,  stipolato  li  11  luglio  lyi^ 
per  gli  atti  di  Gio.  Ant.  Tartaglia.  È  da  consultare,  nello  stesso  vo- 
lume, un  grosso  pacco  di  stampe  e  mss.,  che  una  fascia  distingue 
col  titolo  Romana  armorum:  sono  conti  di  amministrazione  dal  1708 
al  1720.  Da  tener  presente  la  Nuova  descrizione  ossia  rincontro  del- 
l' inventario  dell'anno  lyi^  dell'  armeria  Vaticana,  Jatto  dal  sig.  Ambrogio 
Vebro  custode  della  suddetta  armeria  con  il  sig.  Tommaso  Sinibaldi  e  prin- 


Si  udii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        243 

Procedevano  di  pari  passo  le  disposizioni  per  le  cose  di 
mare,  come  sì  rileva  da  un  dovizioso  numero  di  scritture 
neirArchivio  di  Stato  in  Roma,  le  quali  permettono  d' in- 
tendere fin  nei  più  minuti  particolari  il  bilancio  della  ma- 
rina pontificia  in  quegli  anni  (i).  L'  assento,  o  governo 
economico  delle  galere,  da  Cristoforo  Felici,  morto  prima 
che  r  appalto  terminasse,  era  passato  ad  Antonio  Papi  e 
Giulio  Pazzaglia  (2),  che  lo  tennero  insieme  per  alcun 
tempo  (3).  Ma  nel  171 3  il  Pazzaglia  (4)  aveva  ottenuto 

ripiato  il  2j  i^in^no  lyi)  e  terminato  li  2  dicembre  dello  stesso  anno.  E 
più  direttamente  pel  nostro  soggetto:  Vlstromento  di  convenzione  sopra 
li  vestiti  delli  soldati  fra  la  R.  C.  A.  e  Moisc  del  Monte  et  Isach  de  Ascarello 
rogato  li  IO  giugno  1/16  per  gli  atti  del  sig.  Gio.  Ant.  Tartaolia\  ed  an- 
che la  Lisia  delle  pigioni  di  case  che  si  tengono  per  servitio  delle  soldatesche 
della  guardia  di  X.  S.  e  della  coinpagiiia  di  corale  acquartierate  a  l'er- 
viini  per  il  semestre  di  luglio  iji)  a  gennaio  jyió. 

(i)  Il  Guglielmotti  (op.  cit.  IX),  a  giudicarne  dalle  citazioni, 
non  dovette  vederle  ordinate,  com'ora  si  trovano.  Non  le  vide  neanche 
il  Manfroni,  che  scrìvendo  de  La  marina  pontificia  a  Corfìi  (in 
questo  Archivio,  XIV,  505-365)  si  servi  soltanto  di  alcune  Lettere 
di  Civitavecchia  e  di  certe  Lettere  diverse,  conservate  nell'archivio 
Vaticano.  Le  scritture  dell'Archivio  di  Stato  costituiscono  un  bilancio 
preciso  e  minuzioso,  che  va  dall'aprile  al  marzo  seguente  per  ogni 
anno.  Ciascun  volume,  composto  di  più  fasci,  contiene  invariabil- 
mente i  conti  dell'  asscntista,  o  appaltatore,  e  le  giustificazioni,  ossia 
le  ricevute  originali  delle  spese  fatte. 

'li  Da  un  chirografo  pontificio  del  16  luglio  1713  (in  Soldateschi 
1 3,  Archivio  di  Stato  in  Roma),  si  apprende  che  C.  Felici  (a 
CUI  .i  i'  aprile  1707  era  stato  rinnovato  l'assento  fino  al  1715,  con- 
tentandosi di  percepire  1500  scudi  di  meno  all'annoV  .ucv.i  designato 
a  suo  successore  ncll'assento  il  proprio  nipote  (•  1  Nepi 

e  che  era  mono  lasciando  un  grosso  debito  clu  .0  pa- 

trimonio. Ma  perla  giovine  età  del  Pisani  la  Camera  apostolica  affidò 
l'assento  al  Papi  ed  al  Pazzaglia,  i  quali,  perchè  compartecipi  del 
Felici,  accettarono  la  diminuzione  annua  dei  1 500  scudi  e  promisero 
di  soddisfare  i  creditori  del  loro  socio. 

(5)  Come  risulta  .iai  volumi  (ial.re  -  Conti  diversi,  JO,  $l,  del- 
l'.\rcliivio  di  Stato  in   r 

U;  Il   Calisse  (5/. :....:.. .la,  Firenze,  Barbèra,  1898, 


244  J'  ^ometti 


da  solo  r  assento  (i),  e  il  nome  e  V  opera  sua  sono  stret- 
tamente legati  alle  vicende  della  flotta  pontificia,  la  quale,, 
dal  17 14,  si  accresce  e  si  trasforma,  e  tocca,  due  anni 
dopo,  il  massimo  della  sua  potenza  nel  pontificato  di  Cle- 
mente XI  (2). 

La  difesa  della  costiera  sarebbe  stata  insufficiente  senza 
la  cooperazione  delle  forze  marittime,  e  perciò  fu  disposto^ 
ai  primi  del  171^,  di  allestire  ed  accrescere  il  naviglio  pon- 
tificio (3),  del  quale  una  parte  doveva  dar  mano  alla  tu- 

p.  539)  ne  parla  con  lode:  discendeva  da  antica  famiglia  di  Civita- 
vecchia, ed  aveva  preso  parte  alle  campagne  della  Morea,  di  Candia 
e  di  Dalmazia.  Fu  amministratore  onesto.  Morì  il  28  febbraio  1734. 
(i)  Archivio  di  Stato  in  Roma,  Soldatesche  e  gaUre,  15,  Concessio- 
assenti  triremiiim  prò  dno  lidio  Pa:{^aglia,   17  agosto  171 3. 

(2)  V.,  ad  esempio,  in  un  fascicolo  del  cit.  voi.  31,  Galere  -  Conti 
diversi^  Conto  della  gente  tenuta  di  più  et  di  meno  nelle  galere  di  N,  S. 
dal  1°  aprile  1J14  a  tutto  il  51  mario  ijij,  adi  ove  appare  la  preva- 
lenza  della  gente  tenuta  in  più:  e  più  oltre  il  Ristretto  e  valutazione 
della  gente  tenuta  in  più  delVohbligo  dal  i®  api-ile  1^14  a  tutto  il  51  tnari& 
lyi^.  In  un  altro  fascicolo  è  la  ISJota  de  li  nobili  di  poppa  delle  galera 
di  N.  S.  dal  1°  aprile  ^14  a  tutto  il  51  mar:(o  *i^.  Nel  voi.  32  della 
stessa  collezione  (fase.  I  :  Giustiftcatione  del  conto  delle  galere  per  il 
presenti  anno  dell'assento  del  sigr.  Pa:(;{agHa,  i**  aprile  lyi^  a  tutto  mag- 
gio iyi6)  v'è  la  lista  dei  nob"li  di  poppa  soprannumerari:  Giacoma 
Tavernelli,  Sebastiano  Capponi,  Pietro  Agostini,  Stefano  Giusti,. 
Ottaviano  Belli.  Per  paga  a  ciascun  d'essi  è  segnata  la  somma  di 
scudi  262.  Vi  sì  trovano  inoltre  segnate  le  spese  di  munizioni 
(Ristretto  di  polvere^  palle  e  miccie)  e  le  ricevute  originali  del  Ferretti,, 
del  Bussi,  del  Lamotte  d'Orléans  &c.,  comandanti  delle  galee.  Segue 
il  Rollo  delli  uffitiali  subalterni  e  soldati  distaccati  dalla  compagnia  di 
Uva,  e  marciati  da  Roma  a  Civitavecchia  li  5  maggio  lyi^  per  imbarcarsi 
sopra  le  galei  e  di  N.  S.  per  il  viaggio  del  corrente  anno,  quali  sono  stati 
soddisfatti  in  Roma  di  pane  a  tutto  li  4  maggio  sudetto. 

(3)  V.  all'uopo,  nel  voi.  15  Soldatesche  e  galere  dell'Archivio  di 
Stato  in  Roma,  V Istromento  et  ordine  diretto  al  sigr.  Monchioni  depo- 
sitario della  R.  C.  della  vendita  di  200  alberi  posti  nelle  macchie  del- 
l'ecmo  sigr.  prencipe  di  Caserta  per  fabricare  le  galere,  fatta  a  favore 
della  R.  C.  A.,  stipolato  li  12  febraro  lyió,  per  gli  atti  del  sigr.  Antonio- 
Gulosi.  E,  inoltre,  un  chirografo  in  data  22  gennaio  171 6  al  cardinal 


Studìi  sul  pontificalo  di  Clemente  XI        24 j 

tela  della  spiaggia,  T  altra  tenersi  pronta  per  gli  eventi 
della  guerra  in  Levante.  Per  conto  della  Camera  apostolica 
furono  acquistati  nel  porto  di  Ancona  due  vascelli  :  No- 
stra Signora  delle  GraT^ie  e  Sant'Antonio  di  Padova,  e  5.  Gio- 
vanbattista (i).  In  Livorno  furono  tolte  a  noleggio  due 
tartane,  comandate  dai  genovesi  Giuseppe  d'Andrea  e 
Antonio  Giolfi,  le  quali  giunsero  nel  porto  di  Ancona  la 
sera  del  16  maggio.  Nel  .giugno  vi  giunse  anche  la  Fenice 
risorta,  noleggiata  dal  veneziano  Raddi,  la  quale,  affidata  al 
provenzale  cavalier  Sabran,  fece  subito  rotta  per  Malta,  a 
fine  di  congiungersi  alla  squadra  destinata  contro  il  Turco. 
Si  die  ordine  di  far  costrurre  sei  galeotte  al  Degli  Oddi, 
che  si  avvalse  dell'  opera  di  G.  B.  Rossi,  provetto  operaio 
dell'arsenale  veneto.  Il  4  e  agli  1 1  di  aprile,  alla  presenza 
dei  cardinali  Bussi  e  Parracciani,  furon  varate  le  prime  due 
galeotte,  S.  Clemente  e  5.  Teresa,  la  prima  affidata  al  ca- 
pitano Da  Scorno,  pisano;  la  seconda,  al  capitano  De 
Hochnor,  irlandese.  Altre  due  galeotte.  Madonna  di  Loreto 
e  5.  Giuseppe,  varate  nel  luglio,  ebbero  a  comandanti  Gio- 
vanni Barovich,  perastino,  e  Benedetto  Della  Casa,  ge- 
novese. 

La  congregazione  militare  ordinò  che  la  squadra  pren- 
desse la  seguente  disposizione:  precedere  il  vascello  Nostra 
Signora  delle  Grafie  ;  seguire  le  due  tartane  55.  Conceiionc 
e  Nostra  Signora  del  Rosario;  poi  il  5.  G.  Battista;  ultime, 
le  galeotte;  fra  queste,  prima  la  5.  Clemente,  capitana;  poi 


Patrizi  tesoriere  generale,  col  quale  gli  si  ordina  di  provvedere  i  danari 
occorrenti  per  le  nuove  costruzioni  navali  (Arch.  di  Stato  in  Roma, 
Chirografi  pontifici  dall'anno  1688  all'amo  1^24^  B,  21,  ce.  141- 142). 
(i)  Misceli  di  CUmenU  A7,2I2:  Relazione  cit.di  G.  Stampa,  par.  Ili, 
p.  318  sgg.  Gli  strumenti  di  vendita  furono  rogati  da  Filippo  Buon* 
vicini,  notaio  della  reverenda  Camera  npostoiica,  il  12  m.irzo  e  il 
15  aprile  17 16.  Il  primo  vascello  fu  venduto  per  scudi  4500  dal  ge- 
novese G.  B.  Botti;  il  secondo,  per  scudi  2  5(H),  dai  capitani  francesi 
Aubo  e  Mary, 


24^  .7-  Torneiti 


S.  Teresa,  Madonna  di  Loreto,  S.  Giuseppe»  Si  volle  aggiun- 
gere a  queste  altre  forze,  e  cioè  cinque  bastimenti  di  al- 
cuni particolari  delle  isole  Lipari,  noleggiate  per  scudi  1505 
al  mese  e  affidate  a  Giuseppe  Lauricella.  Giunsero  nel  porto 
di  Ancona  il   io  agosto  (i). 

A  questa  squadra  fu  dato  T  incarico  di  tener  lontani  i 
Turchi  dall'Adriatico;  e  infatti  si  die  subito  ali*  opera,  com- 
piendo escursioni  di  vigilanza  in  quelle  acque  (2). 


Diffidenza  dì  Venezia  verso  Roma,  e  dell'Austria  verso  la  Spagna.  — 
Il  principe  Ragotzi  tenta  d' indurre  il  papa  ad  aiutare  i  ribelli 
d'  Ungheria  contro  l'Austria.  —  La  congiura  del  marchese  di 
Langallerie.  —  Missioni  religiose  sulla  squadra  pontificia  e  sulle 
galee  di  Genova.  —  Le  navi  di  Spagna  nel  porto  di  Civita- 
vecchia. 

Alcuni  episodi  occorsi  nel  17 16  non  sarebbero  degni 
di  menzione  se  nel  loro  insieme  non  costituissero  una  spe- 
ciale caratteristica  di  quel  tempo,  e  cioè  una  mal  celata 
diffidenza  tra  gli  Stati  cristiani  :  diffidenza  che  doveva  in- 
fluire non  beneficamente  sull*  esito  finale  della  guerra. 

Il  primo  di  questi  episodi  ci  narra  d'un  momento  di 
gelosia  provata  da  Venezia  contro  Roma. 

Mentre  per  conto  della  Santa  Sede  si  costruivano,  si 
noleggiavano  e  si  armavano  navi  e  galee,  T  attenzione  del 
Vaticano  era  rivolta  all'  atteggiamento  che  avrebbe  preso 
Venezia,  la  quale  presumeva  tal  dominio  nell'Adriatico  da 
ritenere  come  atto  lesivo  della  propria  giurisdizione  qual- 


(i)  Misceli,  di  Clemente  XI,  212:  Rela^;  cit.  par.  Ili,  pp.  332-335. 
(2)  V.  le  scritture  aggiunte  alla  Relazione  dello  Stampa,  nel  cit. 
voi.  212  della  Misceli  di  Clemente  A7,  da  p.  407  a  481. 


Sliidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        247 

sivoglia  armamento  di  altro  principe  nel  golfo.  Negli  anni 
precedenti  non  era  solito  vedersi  comparire  nel  littorale 
pontificio  legni  armati  veneziani,  tranne  che  in  estate,  nei 
giorni  prossimi  alla  fiera  di  Sinigaglia,  o  perchè  si  fidas- 
sero essi  in  quella  sola  stagione  di  allontanarsi  dai  porti 
della  Dalmazia,  o  per  la  necessità  di  assicurare  la  navi- 
gazione ai  bastimenti  che  da  più  parti,  e  singolarmente  da 
Venezia,  confluivano  a  quella  fiera.  Mail  17  marzo  del  171^ 
entrarono  nel  porto  di  Ancona  quattro  galeotte  veneziane. 
Erano  di  modeste  proporzioni,  con  iscarse  armi  e  con  ap- 
pena cinquanta  uomini  di  equipaggio  ciascuna,  in  gran 
parte  infermi.  Al  comandante  di  esse,  presentatosi  al  go- 
vernatore della  città  ad  offrirgli  i  suoi  servigi,  fu  risposto 
che  senza  ordini  da  Roma  non  potevasi  accettarli  ;  né  gli 
ordini  vennero  poi. 

L*  intempestiva  venuta  di  quelle  galeotte  proprio  sul 
principio  dei  lavori,  i  discorsi  e  i  misurati  andamenti  degli 
ufficiali  delle  stesse,  diedero  luogo  a  credere  che  il  fine 
della  spedizione  di  queste  fosse  unicamente  diretto  a  far 
apprendere  superfluo  l'armamento  pontificio,  come  che  re- 
stassero abbastanza  difese  le  spiagge  ecclesiastiche  dai  legni 
veneti.  Tanto  più  che  sembrava  impossibile  poter  condurre 
a  termine  quell*  armamento  in  luogo  privo  di  arsenali  e  di 
attrezzi.  Il  dubbio  non  tardò  a  mutarsi  in  certezza.  Per 
ogni  più  lieve  sospetto,  i  Veneziani  prendevano  il  mare, 
facendo  pompa  d'inutile  coraggio;  al  vnro  della  5.  Cìe* 
mente,  essi  non  fecero  fuochi  di  gioia  coinè  le  altre  navi 
ancorate  nel  porto;  mostravansi  vigili  e  premurosi  anche 
quando  di  vigilanza  e  di  premura  non  v'  era  bisogno:  era 
insomma  la  loro  condotta  più  da  padroni  che  da  amici. 
Sul  cadere  di  maggio  il  governo  della  repubblica  inviò  in 
Ancona  il  colonnello  Medin,  «  uomo  di  somma  accortezza 
2  e  destrezza,  d*  un  tratto  assai  insinuante  e  di  una  pani- 
«  colare  dissimulazione  ».  Dichiarò  di  essere  mandato  ad 
invigilare  la  disciplina  dei  soldati  veneti,  affinchè   la  più 


248  J,  Torneiti 


perfetta  armonia  regnasse  fra  questi  e  i  pontificii.  In  realtà, 
la  sua  missione  era  ben  altra;  poiché  non  essendo  riuscita 
la  repubblica  a  far  sospendere  l'armamento  pontificio  col- 
r  invio  delle  galeotte,  il  Medin  doveva  destramente  ado- 
perarsi di  ottenere  almeno  che  le  navi  del  papa  si  con- 
tenessero come  ausiliarie  di  quelle  venete. 

Infatti,  col  pretesto  d'un  assalto  contro  Dulcigno,  il 
Medin  propose  di  prendere  a'  suoi  ordini  le  navi  ponti- 
ficie. Informatone  dal  governatore,  il  papa  non  die  risposta. 
Non  per  questo  il  colonnello  desistè  da'  suoi  propositi,  che 
alcuni  incidenti,  forse  piuttosto  voluti  che  fortuiti,  lo  con- 
dussero allo  scopo  cui  mirava.  Veleggiando  il  Cadohni  nelle 
acque  di  Pesaro,  incontrò  alcune  galeotte  ;  chiesto  il  sa- 
luto e  non  ottenutolo,  pensò  che  fossero  navi  nemiche, 
che  le  venete  le  sapeva  in  Ancona.  Tirò  a  palla.  Allora 
gli  fu  risposto  :  erano  le  galeotte  venete.  Più  tardi,  varate 
le  due  ultime  galeotte  pontificie  e  recatesi  in  Sinigaglia 
pel  saluto  al  governatore,  il  Medin  ve  le  precedette.  En- 
trando in  quelle  acque,  la  fortezza  non  rispose  al  suo  sa- 
luto. Questa  volta  le  proteste  e  le  minacce  furon  più  vivaci, 
e  i  Veneti  pretesero  si  stabilissero  segnali  d'intelligenza. 
In  quest'  accordo  il  Medin  seppe  ottenere  una  tal  quale 
dichiarazione  di  precedenza  (i). 

Non  abbiamo  bisogno  di  ripetere,  e  tanto  meno  di  di- 
mostrare, che  se  gli  sforzi  di  Clemente  XI  erano  intesi  a 
ridar  prestigio  alla  Santa  Sede,  è  innegabile  che  dalla  guerra 
vantaggi  reali  non  poteva  ritrarlì  che  Venezia  e  non  lo 
Stato  ecclesiastico.  Ora,  quale  gelosia  poteva  destare  in 
Venezia  l'armamento  pontificio  ?  Potevasi  in  realtà  con  esso 
diminuire  la  supremazia  veneta  nell'Adriatico?  Ed  era  il 
caso  di  preoccuparsi  della  sicurezza  del  golfo,  cui  poche 
navi  (e  per  giunta  d'uno  Stato  amico)  non  potevano  at- 


(i)  Misceli,  di  CUmente.  XI,  212,  pp.  337-365,  della  cit.  Relazione 
di  G.  Stampa,  parte  quarta. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        249 

tentare,  quando  contro  il  nemico  che  minacciava  T  esi- 
stenza stessa  della  repubblica  era  prudente  non  turbare  il 
buon  accordo  col  Vaticano,  che  in  prò  di  Venezia  aveva 
sollevato  il  mondo  cattolico  ?  Devesi  in  ciò  vedere  piut- 
tosto uno  degli  aspetti  più  caratteristici  della  politica  ve- 
neta: la  diffidenza,  anche  verso  gli  alleati  innocui  e  ge- 
nerosi. Caratteristica  che  non  manca  di  manifestarsi  dove 
più  dove  meno  nella  storia  delle  relazioni  fra  Venezia  e 
gli  altri  Stati  ad  essa  vicini  o  lontani;  e  che  essendo  in- 
sita air  indole  di  quella  forma  di  governo,  con  essa  si 
era  evoluta  e  trasformata,  peggiorando,  che,  agli  anni  in  cui 
siamo,  quasi  decrepito  organismo  ci  appare  lo  Stato  veneto  ; 
e  come  nei  corpi  fiacchi,  così  negli  Stati  deboli,  prevale 
il  male  sul  bene. 

Per  altro,  benché  più  giustificata,  la  diffidenza  erasi 
manifestata  un  po'  dappertutto.  Abbiamo  narrato  a  prezzo 
di  quali  promesse  da  parte  dei  Gabinetti  di  Madrid  e  di 
Parigi  il  pontefice  era  riuscito  a  decider  Y  Austria  alla 
guerra.  Né  l'apparente  accordo  copriva  interamente  il  so- 
spetto, come  si  vide  all'appressarsi  della  squadra  spagnola 
in  Italia.  Già  l'Aldrovandi,  per  giustificare  la  sua  partenza 
da  Cadice,  erasi  servito  del  pretesto  di  vincere  la  diffidenza 
di  Filippo  V,  circa  la  nomina  del  comandante  generale 
degli  ausiliari.  E  l'Austria,  dal  canto  suo,  sospettava:  se 
la  squadra  spagnola,  invece  di  proseguire  da  Civitavecchia 
per  Corfù,  tentasse  un  colpo  di  mano  su  Napoli  ?...  L'im- 
peratore aveva  potuto  imporre  al  papa  di  non  accettare  i 
soccorsi  terrestri  offertigli  dalla  Spagna,  ma  non  poteva 
opporsi  air  invio  della  squadra.  Occorreva  premunirsi  in 
qualche  modo  contro  il  probabile  pericolo;  ed  è  appunto 
in  ciò  che  va  rintracciata  la  causa  della  mancata  presenza 
delle  navi  napoletane  fra  le  squadre  ausiliarie.  Monsignor 
Vicentini,  nunzio  in  Napoh',  erasi  adoperato  di  ottenere 
da  quel  viceré  quante  galee  e  vascelli  fosse  stato  possibile 


250  J,  T^ ometti 


per  unirli  alla  squadra  pontificia;  e  pareva  che  fosse  riu- 
scito allo  scopo,  quando  la  nuova  che  gli  Spagnoli  si  av- 
vicinavano a  Civitavecchia  fece  mutare  avviso  a  Carlo  VI. 
Per  quanto  deboli,  egli  stimò  di  non  privare  le  coste  del 
reame  degli  aiuti  che  le  poche  navi  potevano  prestare. 
La  diffidenza  fu  larvata  col  pretesto  che  non  essendo  stato 
ancor  nominato  il  comandante  generale  degli  ausiliari,  né 
sapendosi  se  la  scelta  fosse  caduta  su  persona  accetta  a 
tutti,  il  viceré,  per  non  esporre  le  navi  di  Sua  Maestà  Ce- 
sarea a  qualche  torto,  le  riteneva  in  porto. 

Quanto  veniva  maturandosi  per  la  guerra  marittima, 
non  prometteva  buon  esito.  Cresceva  la  reciproca  diffi- 
denza e  si  accentuava  il  malanimo  e  la  rivalità.  Ai  sospetti 
di  Venezia  contro  Roma,  a  quelli  scambievoli  tra  Spagna 
ed  Austria,  ed  al  ritardo  dei  soccorsi  portoghesi,  metteva 
il  colmo  la  condotta  della  squadra  veneta,  che  come  diret- 
tamente interessata  alla  guerra,  aveva  assunto  atteggia- 
mento da  padrone  nelle  acque  di  Morea,  a  fine  di  preve- 
nire le  pretese  degli  altri  in  caso  di  vittoria  e  di  spartizione. 
Quella  doveva  esser  la  flotta  combattente  e  il  primo  posto 
doveva  esser  suo;  gli  ausiliari  dovevano  servire  in  caso 
di  bisogno.  Sicché  li  si  chiamava  ad  una  partecipazione 
di  casi  tristi,  non  di  eventi  lieti;  a  render  meno  disastrosa 
la  sconfitta,  non  ad  accrescere  importanza  alla  vittoria.  A 
comporre  i  dissensi  sulla  nomina  del  comandante  degli 
ausiliari,  il  papa  aveva  creduto  di  dare  un  buon  esempio 
non  affidando  la  sua  squadra  ad  un  generale  di  Santa 
Chiesa  (carica  abolita  sotto  Innocenzo  XII),  ma  al  Fer- 
retti, governatore  generale  della  marina,  quasi  a  dire  che 
ogni  squadra  fosse  guidata  dal  proprio  comandante.  Egli 
forse  sperava  che,  riunitisi  gli  ausihari  ai  Veneti  in  Corfù 
e  venuto  il  momento  di  operare,  l'unità  di  comando  si 
fosse  imposta  sulle  gare  personali,  e  di  comune  accordo  si 
scegliesse  e  il  piano  da  eseguire  e  il  duce  a  cui  obbedire. 
La  squadra  pontificia,  quella  di  Malta  e  le  galere  di   Ce- 


Siudii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        251 

nova  e  di  Toscana  formavano  di  già  per  se  stesse  un'unità 
di  comando  sotto  lo  stendardo  della  Chiesa.  Restava  a  ve- 
dere se  quelle  di  Spagna  e  di  Portogallo  accetterebbero  di 
porsi  sotto  il  medesimo  vessillo,  e  se  i  Veneti  presumes- 
sero intera  T  unità  di  comando  sugli  ausiliari,  o  lasciereb- 
bero  a  questi  la  elezione  di  un  altro  comandante. 

Forse  a  Roma  si  era  pensato  che  interessante  era  l'aver 
soccorsi  da  ovunque  e  comunque;  ma  più  imperioso  avrebbe 
dovuto  apparire  il  bisogno  di  avere  sia  anche  minor  nu- 
mero di  navi,  ma  disciplina  maggiore.  Ai  malumori  latenti 
accrebbe  esca  questa  irresolutezza.  A  bello  studio  gli  ausi- 
liari avvicinavansi  lentamente  a  Civitavecchia,  spiandosi 
Tun  l'altro.  Una  franca  parola  avrebbe  dissipati  i  sospetti; 
pure,  come  accade  quando  gli  animi  son  perplessi,  e  quando 
la  franchezza  può  apparire  pericolosa  audacia,  nessuno  osò 
proporre  che,  siccome  il  papa  aveva  ottenuto  l'assenso  degli 
ausiliari  e  siccome  la  sua  era  un'autorità  alla  quale  si  era 
usi  inchinarsi  senza  diminuzione  di  dignità,  T  espediente 
migliore  era  che  lo  stendardo  pontificio  servisse  di  guida 
a  tutti  gli  ausiliari.  Ma  Clemente  XI  temeva  di  urtare 
Venezia,  di  dispiacere  alla  Spagna,  di  fiir  ombra  all'Austria. 
Egli  non  era  guidato  che  da  un  solo  pensiero  :  proseguire 
la  guerra  ;  gli  eventi  e  i  bisogni  si  sarebbero  incaricati 
del  resto  !...  Il  pensier  suo,  o  meglio,  la  forza  impulsiva 
del  suo  pensiero,  era  lodevole,  ma  si  può  dire  che  fosse 
anche  previdente  ì  Andare  incontro  al  nemico  senza  un 
piano  prestabilito,  senza  sapere  a  chi  obbedire,  era,  più 
che  imprudenza,  incoscienza. 

Non  per  desiderio  di  criticare,  ma  per  la  necessità  di 
rilevare  il  momento  psicologico  attraversato  dalle  potenze 
cattoliche  in  quell'anno,  ci  siamo  indugiati  su  questo  punto. 
E  la  diffidenza  di  cui  parliamo  appare  come  una  morbosa 
affezione  morale,  che  appunto  come  malore  infettivo  spande 
il  suo  contacio  nel  mondo  cristiano.  Che  se  poi,  ad  onta 
della  mancata  unità  di  comando,  la  Turchia  non  fu  vit- 


252  7*  T^ ometti 


toriosa  in  mare,  ciò  si  deve  agli  eventi  della  guerra  in 
Ungheria,  come  il  racconto  ed  altre  considerazioni  dimo- 
streranno. 

Come  se  le  preoccupazioni  accennate  non  fossero  state 
bastevoli  a  tenere  agitato  l'animo  del  pontefice,  altre  se 
ne  aggiunsero  di  natura  diversa,  ma  egualmente  impron- 
tate da  quel  fenomeno  della  diffidenza,  che  tendeva  a  di- 
sgregare le  forze  dei  potentati  cristiani. 

Proprio  sui  primi  di  quell'anno,  quando  più  incerto  era 
Tatteggiamento  degli  ausiliari,  una  strana  notizia  era  stata 
inviata  a  Roma  dal  nunzio  in  Polonia.  Si  era  presentato 
a  costui  Tabate  Brainier  agente  del  principe  Ragotzi  (ri- 
belle all'Austria,  com'  è  noto),  per  dirgli,  a  nome  del  prin- 
cipe, che  l'Ungheria,  d'accordo  col  Turco,  era  per  solle- 
varsi nuovamente  contro  l' imperatore.  Anche  questa  volta 
Ragotzi  avrebbe  capitanato  gli  insorti.  La  ribellione  avrebbe 
arrestata  l' invadente  preponderanza  alemanna  in  Italia.  Si 
fosse  perciò  il  papa  adoperato  in  favore  dei  ribelli...  (i). 
Non  troviamo  traccia  di  risposta  alcuna  alle  notizie  del 
nunzio,  e  probabilmente  nessuna  risposta  fu  data,  che  troppo 
grossolana  era  la  proposta  per  abboccarvi  alla  leggiera. 
Muovere  guerra  all'Austria  in  Ungheria,  non  era  un  dila- 
zionare la  guerra  alla  Turchia  ?  E  il  rispondere  in  un  modo 
qualsiasi  non  poteva  far  sospettare  che  qualche  intelligenza 
fosse  corsa  fra  il  Vaticano  e  i  ribelli? 

xMa  se  fu  facile  stornare    quest'  argomento    di   nuove 


(i)  Misceli,  di  Clemente  A7,  210,  pp.  2-7  :  Relazione  fatta  al  cardinale 
Paolucci  dal  nuniio  di  Polonia  sopra  il  tentativo  che  si  faceva  dal  principe 
Ragoix}  di  suscitar  nuovi  torbidi  in  Ungaria  uniti  al  Turco,  cercando  di 
lusingare  il  papa  a  non  temer  male  alcuno  all'  Italia. 

Circa  le  relazioni  tra  il  Vaticano  e  i  ribelli  d'Ungheria,  veggasi 
la  Storia  generale  delle  congiure,  cospirazioni  e  sollevazioni  celebri  antiche  e 
moderne,  dedicata  da  Antonio  Graziosi  ad  Antonio  Greppi,  Venezia, 
Società  tipografica,  1778. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        25^ 

diffidenze,  non  fu  agevole  di  veder  subito  chiaro  in  una 
più  strana  notizia  che  empi  di  stupore  il  Vaticano,  e  mo- 
strò che  non  bastava  premunirsi  colle  armi,  ma  eh*  era 
anche  indispensabile  vigilare  e  diffidare  ovunque  e  d'ogni 
cosa,  per  T  integrità  dello  Stato  ecclesiastico. 

Intendiamo  accennare  la  congiura  del  Langallerie.  Fi- 
lippo marchese  di  Langallerie  e  Renato  di  Hachard  lan- 
gravio di  Linange,  francesi,  d'accordo  colla  Porta  e  col  mi- 
nistro turco  air  Aja,  Osman  Agà,  nel  marzo  del  171(3 
progettarono  uno  sbarco  sulle  coste  dello  Stato  pontificio, 
per  abbattere,  nientemeno  !,  il  papato.  Dissoluto  e  strava- 
gante, il  Langallerie  dalla  caserma  era  passato  alla  sagre- 
stia, poi  alla  sinagoga,  in  ultimo  era  divenuto  protestante. 
Traeva  da  vivere  come  e  dove  meglio  poteva,  ad  esempio 
dell'  Hachard  che  da  ecclesiastico  era  stato  spretato  per 
ruberie,  ed  era  finito  protestante  anche  lui.  A  questi  due 
avventurieri  parve  propizia  occasione  F  imminenza  della 
guerra  per  tentare  nuove  furfanterie.  Sollecitati  dalla  Tur- 
chia e  provvisti  di  danaro  dagli  Ebrei  di  Amsterdam,  fe- 
cero in  quella  città  compera  di  navi  e  di  armi,  ed  erano 
infatti  per  tentare  alcunché  di  audace,  quando  la  congiura 
fu  svelata.  Se  ne  fece  delatore  presso  il  ministro  cesareo 
in  Amburgo  Giovanni  René  segretario  del  Langallerie  ;  ma 
il  nunzio  all*Aja  fin  dal  6  aprile  aveva  avuto  sentore  della 
trama  e  probabilmente  dovette  scriverne  al  Paolucci  (i). 


(i)  Misceli,  di  Clemente.  XL  210,  pp-  7-9*.  Fogli  di  notiiie  concementi 
lo  scoprimento  dell'empio  disegno  ordito  dal  famoso  Langallerie,  non  solo 
a  datino  dello  Stato  ecclesiastico,  ma  di  tutta  la  Cristianità,  aprile  iji6. 
Da  questi  fogli  non  appare  che  il  nunzio  scrivesse  della  congiura  al 
Paolucci,  ma  soltanto  che  egli  ricevè  dall'Aja  un  avviso  anonimo, 
che  lo  ammoniva  della  trama  (come  è  detto  nell'indice  a  principio 
del  voi.  210  della  cit.  Misceli).  Pare  verosimile  che  alla  sua  volta  ne 
avvertisse  poi  il  Paolucci.  La  Copia  capitulationis  marchionis  de  LangaU 
Urie  et  principis  Linange  cum  Magno  Sultano.  Mensis  Tulche^ero  iitS, 
Signatitm  Osman  Agà.  Confirmatum  et  regestratum  per  Solimannum  secret. 


254  .7-  "Pometli 


Scoperti,  i    congiurati    furoii  condotti  prigioni  in  Vienna, 
ove  il  Langallerie  si  die  da  se  stesso  la  morte  (i). 

Il  progetto  del  Langallerie,  ridicolo  più  che  audace, 
anche  se  effettuato  non  poteva  toccare  la  meta;  ma  la  no- 
tizia di  quel  tentativo,  di  certo  ingrandita  ed  esagerata, 
dovette  produrre  in  Vaticano  un  effetto  di  paura  e  di  dif- 
fidenza, che  è  più  facile  intuire  che  dire.  Per  buona  for- 
tuna, proprio  in  quel  tempo  riunivansi  in  Civitavecchia  la 
squadra  pontificia  e  le  galee  di  Genova.  Dissipato  il  ti- 
more, fu  disposto  che  gli  equipaggi  prima  di  muovere  per 
Corfù  fossero  visitati  da  alcuni  religiosi,  «  affinchè  colti- 
«  vassero  colle  sante  missioni  tutto  queirarmamento,  e  net- 
<(  tate  colla  grazia  del  Signore  le  anime  dai  peccati,  le 
<(  disponessero  alle  misericordie  e  vittorie  del  Dio  degU  eser- 
«citi».  Il  9  maggio  recaronsi  colà  sei  gesuiti  che  si  die- 
dero a  visitare  le  carceri  e  gli  ospedali  per  udire  le  con- 
fessioni «  di  quei  miserabili  infetti  »,  dei  quali  circa  trecento 
erano  ammalati  di  febbre  maligna.  Alle  confessioni  tennero 
dietro  le  prediche;  e  all'uopo,  finito  di  plasmare  le  navi  e 
disposto  in  semicerchio  il  navigho  nella  darsena,  fu  innal- 
zato un  pulpito  sulla  capitana,  che  aveva  preso  posto  nel 
centro.  La  sera  del  mercoledì  13  maggio,  sulle  ventuna  ora, 

lògatorum^  che  è  nello  stesso  volume  da  p.  9  a  16,  si  trova  prima 
dell'  avviso  anonimo,  e  può  sembrare  come  un  allegato  al  medesimo, 
(i)  Il  nunzio  Spinola  premurò  1'  imperatore  di  far  catturare  il 
Langallerie  (Nunxiat.  di  Germania,  255,  16  maggio  e  6  giugno),  che 
infatti  fu  arrestato  presso  Brema  (ivi,  27  giugno)  col  Linange,  che 
aveva  assunto   il  titolo  di   Generalissimo  del  Verbo  Incarnato  i\v\y2<)6, 

18  luglio).   Fu  sequestrato    il    piano   della    congiura  (ivi,  8  agosto, 

19  settembre).  Il  pericolo  fu  ingrandito  oltre  misura  dai  nunzi:  lo 
Spinola  non  quietossi  fino  all'  inizio  del  processo,  che  durò  a  lungo; 
ne  trasse  motivo  di  lagnanze  il  Girardelli  per  infervorare  a  prò  della 
Chiesa  Filippo  V  (Nuniiat.  di  Spagna,  216,  6  luglio);  il  Bentivoglìo 
lo  tolse  a  pretesto  per  ripetere  al  d'Uxelles  i  soliti  lamenti,  ma  senza 
risultato  (Niiniial.  di  Francia,  230,  io  e  20  aprile,  18  maggio). 


Stilali  sul  pontificato  di  Clemente  XI        255 

i  capuccini  uscirono  in  processione  col  SS.  Sacramento  dalla 
Porta  della  Rocca,  e  seguiti  dalle  soldatesche  si  avviarono  alla 
darsena.  Le  galee  abbatterono  le  tende,  tuonarono  i  can- 
noni, squillarono  le  trombe.  Predicò  il  Padre  superiore; 
e  le  prediche,  i  sermoni  e  le  distribuzioni  dei  libri  sacri 
seguirono  nei  giorni  successivi.  Ma  poiché  i  peccatori  erano 
riottosi,  si  ricorse  alle  flagellazioni:  due  capuccini  per  un 
intiero  giorno  si  percossero  a  sangue  col  cilicio.  Ne  sortì 
scarso  risultato  :  si  convertirono  soltanto  uno  schiavo  turco 
ed  un  eretico  zinvigliano  ;  in  compenso,  settanta  paia  di 
dadi  e  centoventisette  mazzi  di  carte  da  giuoco  furono 
bruciate  «  in  sacrifizio  odoroso  all'Altissimo.,.))  (i). 

Giungevano  intanto  le  notizie  della  squadra  spagnola. 
Le  galee  al  comando  del  Guevara  entrarono  nel  porto  di 
Civitavecchia  verso  la  metà  di  giugno,  accolte  e  compli- 
mentate da  monsignor  Nicolò  Lercari  (2).  Il  25  luglio 
le  sei  navi  al  comando  del  Mari  toccavano  Genova.  Come 
è  noto,  a  Cadice  vi  si  era  imbarcato  il  nunzio  Aldrovandi, 
che  si  proponeva  di  recarsi  a  Roma  per  dar  conto  di  tale 
sua  risoluzione.  Arrivato  a  Genova,  e  costretto  a  fermnr- 
visi  per  qualche  giorno,  a  causa  di  avarie  subite  dalle  navi 
nel  golfo  di  Lione,  scriveva  al  Paolucci  anticipando  le  con- 
fidenze: Alcuni  zelanti  avevano  consigliato  Filippo  V  a  non 
far  partire  i  vascelli  se  prima  non  fosse  avvenuta  la  no- 
mina del  comandante  supremo  degli  ausiliari.  Sarebbe  stato 

(i)  Misceli,  di  CUììunU  XI,  214.  V.  fra  le  Scritture  spettanti  ai- 
Tarmata  marittima  ausiliare  inviata  dal  sommo  pontefice  Clemente  XI  in 
Lez'unte  nell'anno  jyió  (pp.  1-77)  la  «  Breve  relazione  delle  Missioni 
«  fatte  in  Civitavecchia  il  17 16  per  ordine  di  N.  S.  P.  Clemente  XI», 
da  p.  I  a  30,  Le  missioni  furono  quattro:  alle  galere  pontificie,  a  quelle 
di  Genova,  nella  fortezza,  a  tutta  la  soldatesca.  Particolari  piacevo- 
lissimi si  trovano  da  p.  30  a  77. 

(2)  Ivi,  pp.  83-84.  In  una  lettera  da  Civitavecchia,  in  data 
19  giugno,  il  Lercari  informa  il  Paolucci  che,  a  seconda  delle  istru- 
zioni ricevute  da  costui,  ha  offerto  al  Guevara  dodici  botti  e  sci 
casse  di  vino,  e  ducmilacinquecento  libbre  di  formaggio. 


2^6  f.  Torneiti 


costui  un  uomo  d' incontrastata  autorità?  Sarebbe  stato  un 
amico  della  Spagna  ?  Se  il  caso  lo  avesse  balzato  sulle 
coste  napoletane,  come  si  sarebbe  contenuto?  Per  non  fare 
differire  la  partenza  delle  navi  e  per  assicurare  il  re  che 
nessun  torto  sarebbesi  fatto  alla  squadra  di  luì,  aveva  in- 
trapreso quel  viaggio  (i).  Veniva  invece,  come  apparirà 
dal  terzo  studio,  per  sollecitare  la  nomina  a  cardinale  del- 
TAlberoni,  e  sfruttava  abilmente  il  tema  della  diffidenza. 
Redatta  questa  lettera  e  sceso  a  terra,  aveva  trovato  un 
plico  del  13  luglio,  nel  quale  il  Paolucci  gli  ordinava  di 
far  partire  immediatamente  le  navi  per  Corfù,  senza  toccare 
Livorno  e  Civitavecchia.  Aftrettossi  ad  informarne  il  Mari 
e  a  farlo  piegare  ai  desiderii  del  Vaticano  (2). 

Il  re  aveva  ordinato  al  Mari  di  prendere  accordi  a  Ci- 
vitavecchia. Accondiscendendo  alla  richiesta  del  papa,  che 
ne  sarebbe  avvenuto  ?  EgU  aveva  innalzato  la  bandiera  di 
viceammiraglio  al  trinchetto,  e  non  poteva,  in  conseguenza, 
obbedire  al  generale  di  Malta,  il  quale,  secondo  vocife- 
ravasi,  era  stato  investito  del  comando  sugli  ausiliari. 

A  stento  piegossi  il  Mari;  e  da  Genova  scrivendo  al 
Paolucci  che  si  disponeva  a  partire,  pure  contravvenendo 
agU  ordini  ricevuti  a  Cadice  da  D.  Michele  Duran  segre- 
tario di  Stato,  dichiarava  che  non  avrebbe  obbedito  al  ge- 
nerale di  Malta  (3). 

Dopo  tre  giorni  sciolse  le  vele  per  Corfù.  U  Aldro- 
vandi  recossi  a  Roma. 

In  queste  disposizioni  d'animo  i  Veneti  e  gli  ausiliari 
si  accingevano  a  combattere  intorno  a  Corfù. 


(i)  Misceli,    di    Clemente   XI,  214,    pp.  85-102,    Genova,    25  lu- 
glio  1716. 

(2)  Ivi,  pp.  103-112.  Altra  lettera  dell' Aldrovandi  al    Paolucci, 
anche  in  data  del  25  luglio. 

(3)  Ivi,  pp.  II 3-1 15,  25  luglio. 


Sliuiii  sul  pontijìcato  di  Clemente  XI        257 


VI. 

Gli  avvenimenti  militari  del  1715. —  Errori  dalla  politica  veneta. — 
Preparativi  militari  nel  1716  in  Venezia  ed  in  Costantinopoli.  — 
L'Austria  dichiara  la  guerra  alla  Turchia.  —  Vittorie  di  Eugenio 
in  Ungheria.  —  Condi-iioni  degli  assediati  e  delle  flotte  rivaH  in 
Corfù.  —  Le  squadre  ausiliarie.  —  I  Turchi  levano  1'  assedio 
dall'isola. —  Accuse  contro  Andrea  Pisani. —  Risentimento  di 
Clemente  XI.  —  Voci  di  pace. 

Gli  avvenimenti  militari  del  17 15,  appena  menzio- 
nati (i),  qui  meritano  qualche  cenno  più  ampio,  per  me- 
glio far  intendere  quelli  dell'anno  successivo. 

Nel  maggio  dunque  del  17 15  era  uscita  dai  Dardanelli 
l'armata  turchesca,  composta  di  trentadue  grossi  vascelli  e 
di  gran  numero  di  palandre  e  zattaroni,  al  comando  di 
Janum  Coggià,  di  Corone  nella  Morea,  peritissimo  di  quei 
luoghi  per  avervi  passata  la  giovinezza  e  per  esservi  stato 
sulle  galee  venete,  come  schiavo,  sette  anni. 

Coggià  si  portò  da  prima  a  Scio,  ove  lo  raggiunsero 
con  vascelli  alcuni  principi  tributari  della  Barberia;  e  di  là 
air  isola  di  Tenos,  che  per  esser  posta  nella  parte  più  alta 
dell'Arcipelago,  segnava,  allora,  il  confine  tra  i  possedi- 
menti cristiani  e  quelli  maomettani. 

La  fortezza  dell'  isola,  sull'  erta  d'  una  rupe,  era  presi- 
diata da  mille  soldati  italiani  col  capitano  Ferdinando  Pe- 
trovich.  Governatore  delle  armi  era  Lorenzo  Locatelli,  e 
provveditore  straordinario  Bernardo  Balbi.  I  Turchi  sbar- 
carono e  imposero  la  resa.  Il  Petrovich  e  il  Locatelli  consi- 
gliarono la  resistenza,  perchè  il  forte  era  quasi  inespugnabile 
e  provvisto  in  modo  da  resister  tanto  che  i  Turchi,  per  non 
dare  nelle  secche  o  negli  scogli  poi  venti  impetuosissimi 
in  quel  seno  di   mare,    non    .ivrebbero  tardato  a   togliere 

(i)   W   in  4  u  est'.//, /;/.•'/■(>.   XXII,    i|^   i-lO-    i)f. 

Archivio  Ji-lln  A'.  SncirtJ  ìonutiia  jì  iloti.)  p.ìliui.   Voi.  \.\lll.  17 


258  J.  "Pometti 


l'assedio.  Tuttavia,  il  Balbi  volle  capitolare  (per  il  che  fu 
condannato  a  carcere  perpetua  dal  Senato)  ;  e  Coggià, 
smantellata  la  fortezza,  e  resa  F  isola  aperta  come  le  altre 
dell'Arcipelago,  drizzossi  verso  la  Morea  per  coadiuvare 
coir  armata  all'assedio  di  Corinto,  ove  il  visir,  toccate  La- 
rissa  e  Tebe,  si  era  avviato  coli' esercito.  Il  castello  di  Co- 
rinto, presidiato  da  quattrocento  Italiani  e  da  duecento 
Greci  agli  ordini  di  Giacomo  Minotto,  fu  investito  da  ogni 
lato  dai  tiri  dell' artiglieria.  Ad  ogni  rifiuto  di  resa,  cre- 
sceva r  intensità  dell'  attacco  e  scemava  la  probabilità  della 
resistenza.  Alessandro  Bono,  generale  del  regno  di  Morea, 
richiesto  di  soccorsi,  e  non  potendo  inviarne,  rispose  al 
Minotto  di  consigliarsi  secondo  prudenza.  Fu  stabilita  la 
resa  ;  ma  rotto  con  inganno  Y  accordo  dai  Turchi,  parte 
del  presidio  fu  trucidato,  parte,  col  comandante,  tratto  in 
ischiavitù.  Nessuno  ostacolo  oppose  Egena. 

Ostacoli  non  lievi  li  presentava  Napoli  di  Romania,  il 
cui  castello  e  gli  altri  forti  secondari  potevano  opporre 
valida  e  lunga  resistenza.  Il  visir  vi  pose  1'  assedio  e  in- 
cominciò il  bombardamento  il  12  luglio.  La  milizia  era 
esigua,  gli  animi  depressi.  La  malafede  dei  soldati  greci  e 
il  tradimento  del  colonnello  La  Sai  affrettarono  il  disastro, 
lasciando  occupare  dal  nemico  il  forte  Bonetto. 

Il  generale  Zacco  sforzossi  a  resistere;  ma  una  mina 
f:itta  scoppiare  dai  Turchi  apri  a  questi  le  mura  della  città, 
che  fu  teatro  di  scene  selvagge.  Il  vescovo,  lo  Zacco,  altri 
ufficiali  furono  trucidati;  altri  condotti  nelle  Sette  Torri. 
In  soli  sette  giorni  quella  piazza  ritenuta  fortissima  era 
ridotta  in  un  mucchio  di  rovine. 

Il  seguito  di  questi  rovesci  mostrò  di  quanto  erasi 
affievolito  il  valore  veneto,  e  di  quanto  era  scemata  la 
fama  di  previdenza  di  quel  Senato. 

Dopo  la  pace  di  Carlowitz,  che  ai  Veneziani,  più  che 
agli  altri,  avrebbe  dovuto  sembrare  quello  che  in  realtà  era, 


Sludii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        259 

-e  cioè  una  tregua  da  parte  della  Turchia,  la  repubblica 
si  era  preoccupata  assai  poco  della  difesa  delle  isole  lon- 
tane, stimandone  il  possesso  oneroso  piuttosto  che  utile. 
Una  corrente  di  gretta  economia  nell'opinione  pubblica  si 
era  fatta  strada  in  Venezia,  sotto  lo  specioso  pretesto  che 
col  possesso  deir  isola  di  Tenos  e  della  Morea,  la  po- 
tenza dello  Stato  veneto,  più  che  crescere,  era  diminuita, 
perocché  dall'  acquisto  di  territori  dopo  una  guerra  dispen- 
diosa, non  si  ritrae  mai  quanto  si  è  speso;  e  che  le  forze 
del  Governo  centrale  si  sperperano  nel  mantenere  alto  il 
suo  prestigio  in  luoghi  lontani,  donde  non  viene  alcun 
utile,  ma  timori  e  danni.  Sicché  non  un  esercito  forte  ed 
agguerrito,  né  capitani  esperimentati  e  fedeli,  mandò  Ve- 
nezia in  Morea  per  tutelarne  T  acquisto  e  mostrare  che 
sapeva  opporsi  colla  forza  alla  forza,  ma  poche  soldatesche 
tolte  qua  e  là  dai  presidi  di  terraferma   e   della  Dalmazia. 

A  questo  primo  e  fondamentale  errore,  e  appena  dopo 
iniziate  le  vittorie  turchesche,  altro  se  ne  aggiunse,  per  gli 
opposti  pareri  che  dividevano  il  Senato  sul  modo  di  con- 
tinuare la  campagna  (i). 

I  più  savi  proponevano  di  abbandonare  tutte  le  piazze 
della  Morea  e  concentrarne  le  forze  in  Napoli  di  Romania 
e  in  Napoli  di  Malvasia,  perché  essendo  esigui  ovunque 
i  presidi,  e  perciò  vana  la  resistenza,  quelle  due  piazze^ 
fortissime  pel  luogo,  accresciute  di  milizie,  avrebbero  di 
certo  arrestata  la    marcia  del  nemico    e    dato  campo  alla 


(0  A  questo  punto,  occorre  uno  schiarimento.  Nel  primo  5///(/io 
«ul  pontificato  di  Clemente  XI,  nel  paragrafo  delle  fonti  (in  questo 
Archivio^  XXI,  291),  è  detto  che  il  Musatti  {La  storia  politica  di 
Vetiii^ia  &c.)  trascurò  la  narrazione  degli  avvenimenti  che  stiamo 
svolgendo:  in  verità  volevasi  dire  che  i  cenni  che  egli  ne  dà  nel 
■cap.  XXVII  della  sua  opera  sono  assai  scarsi;  e  che,  tranne  qualche 
notizia  tolta  dai  Commcvioriaìi  dell'Archivio  di  Stato  in  Venezia,  egli 
non  fa  che  riassumere  il  Diedo  {Storia  iklla  repubblica  di  Venezia  Sic, 
Venezia,  Poletti,  175 1,  tom.  IV). 


2^0  J,  Tornei  ti 


repubblica  di  provvedere  ai  bisogni  futuri.  I  più  nudaci, 
invece,  basandosi  anch'  essi  sulla  necessità  di  guadagnar 
tempo,  si  fecero  forti  dell*  esperienza  dell'  ultima  guerra, 
ricordando  che  i  Turchi  avevano  atterrate  ad  una  ad  una 
tutte  le  piazze  della  Morea,  impiegandovi  sei  anni.  Questa 
tattica,  che  aveva  condotto  alla  vittoria,  non  sarebbe  stata 
abbandonata;  e  in  ciò  consistere  la  salvezza  della  repub- 
blica. Avvaloravano  inoltre  il  loro  argomento  con  considera- 
zioni che  non  mancavano  di  persuasiva,  e  cioè:  l'abban- 
dono delle  piazze  secondarie  avrebbe  accresciuta  la  bal- 
danza del  nemico  e  sfiduciati  i  presidi;  avrebbe  indotte  le 
popolazioni  senza  difesa  a  flir  causa  comune  coi  Turchi; 
rinfocolato  T  odio  dei  malcontenti,  ed  aperta  la  via  a  con- 
quiste maggiori.  Prevalse  questo  consiglio. 

L'  esito  poi  della  guerra  dimostrò  che  non  sempre  la 
esperienza  può  prendersi  a  norma  delle  nostre  azioni,  spe- 
cialmente quando,  come  nel  caso  presente,  le  condizioni 
dei  belligeranti  non  erano  più  quelle  di  prima. 

Il  concetto  della  politica  estera  della  repubblica  era, 
come  si  vede,  radicalmente  diverso  da  quello  che  aveva 
guidato  nel  passato  il  leone  di  S.  Marco  nei  mari  lontani; 
e  questo  impicciolirsi  nella  laguna,  questa  rinunzia  al  pas- 
sato, è  un  manifesto  segno  di  decadenza  e  di  decrepitezza. 

Dopo  i  rovesci  subiti,  si  pensò  di  circoscrivere  le  per- 
dite, ordinando  all'armata  di  evitare  qualsiasi  incontro  col 
nemico,  e  rispondendo  con  un  diniego  ai  capitani  delle 
navi  ausiliarie,  desiderosi  di  combattere.  Per  la  qual  cosa 
si  scrisse  a  Girolamo  Dolfin,  capitano  generale  di  mare, 
ed  a  Fabio  Bonvicini,  capitano  straordinario  delle  navi,  di 
sfuggire  la  pugna  in  condizioni  disuguali,  di  fornire  di  gente 
e  di  viveri  le  piazze  più  deboli,  di  frastornare  i  piani  del 
visir  per  terra,  di  tenere  a  bada  Coggià  per  mare. 

Nel  tempo  stesso  si  fece  leva  di  soldati  italiani,  svizzeri 
e  grigioni;  si  pattuirono  con  grosso  soldo  alcuni  reggi- 
menti di  principi  tedeschi;  si  affidò  la  tutela  della  Dalmazia 


Studii  sul  ponli ficaio  di  Clemente  XI       261 

al  conte  di  Nostiz,  ed  il  comando  di  tutte  le  truppe  terre- 
stri a  Giovan  Mattia  di  Feltz  conte  di  Schulemburg,  ve- 
nuto in  fama  nelle  guerre  di  Ungheria,  di  Germania  e  di 
Fiandra. 

Intanto  i  Turchi  eransi  avviati  a  Modone,  ove  li  aveva 
preceduti  la  notizia  degli  eccidi  di  Napoli  di  Romania,  e 
dove  i  Greci  dei  borghi  apprestavansi,  colla  rivolta,  in  loro 
aiuto.  Il  provveditore  straordinario  della  provincia  di 
Messenia,  Vincenzo  Pasta,  e  il  sergente  generale  Jansich, 
comandante  della  milizia,  benché  stimassero  inutile  il  resi- 
stere per  la  scarsezza  delle  truppe  e  per  la  malafede  degli 
abitanti,  pure  respinsero  animosamente  il  Bergliebey  della 
Romelia,  che  il  13  agosto  era  riuscito  a  sfondare  una  trincea. 
Furon  erette  nuove  difese,  s*  incitarono  i  più  devoti  a  Ve- 
nezia ad  armarsi,  si  chiesero  aiuti  al  Dolfìn. 

Ma  questi,  quand'  ebbe  riunita  tutta  la  flotta,  si  av- 
vide che  era  si  debole  a  fronte  della  nemica  da  non 
poter  tentare  alcuna  mossa:  dodici  piccole  navi  e  sedici 
galee,  oltre  lo  scarso  numero  delle  ausiliarie  ;  poco  alle- 
nati gli  equipaggi;  difettose  le  munizioni  ed  i  viveri.  Passò 
da  Corfù  in  Val  d'Alessandria  ;  di  là,  a  Lepanto  ;  e,  saputo 
dell*  assedio  di  Modone,  si  avviò  a  quella  volta,  per  mo- 
strare di  far  qualcosa.  Riusci  a  trattenere  Coggià,  che  era 
per  muoversi  contro  Zante  e  Cefalonia;  ma  nello  stesso 
tempo,  non  essendo  i  Veneti  in  condizioni  di  attaccare, 
avvenne  che  la  presenza  di  Coggià,  paralizzando  il  Dolfin, 
diede  agio  al  Bergliebey  di  stringer  più  forte  l'assedio  di 
Modone  e  determinare  la  rivolta  degli  abitanti.  Ferito  di 
moschetto  il  Pasta  in  un  assalto,  e  ammutinatesi  anche  le 
milizie,  fu  convenuta  la  resa. 

Il  Bergliebey  accettò  ostaggi  per  le  trattative;  il  visir 
volle  la  resa  incondizionata  e  permise  il  saccheggio.  Gli 
ufficiali  eran  per  essere  tratti  a  morte  se  CoggiA,  che  dal 
Pasta  era  stato  umanamente  trattato  nella  sua  schiavitù 
sulle  galee  venete,  non  fosse  intervenuto  in  loro  favore, 


262  J.  Tomctii 


facendoli  mandare  prigionieri  in  Costantinopoli.  Ricupera- 
rono la  libertà  a  guerra  finita. 

Espugnata  anche  Modone,  il  visir  mandò  il  seraschiere 
con  metà  dell'  esercito  a  compiere  la  conquista.  Caddero^ 
senza  quasi  resistenza,  Patrasso  e  Cerigo.  Napoli  di  Mal- 
vasia, piazza  assai  forte,  poteva  opporre  valida  difesa;  ma 
bastò  che  il  seraschiere  si  mostrasse,  che  Coggià  appa- 
risse, perchè  le  milizie  e  gli  abitanti,  atterriti,  chiedessero 
di  arrendersi. 

In  poco  più  d' un  mese,  e  cioè  prima  ancora  che  Tagostcv 
terminasse,  tutta  la  Morea  era  caduta  in  potere  dei  Turchi. 
Poco  dopo  Coggià  occupava  anche  Suda  e  Spinalunga, 
ultima  reliquia  del  dominio  veneto  in  Morea. 

Di  là  i  Turchi  si  mossero  contro  la  Dalmazia.  Quivi 
però  la  repubblica  era  riuscita  a  radunare  buon  nerbo  di 
truppe,  ed  a  preparare  la  difesa  coli' aiuto  dei  Montene- 
grini e  dei  Dalmatini.  Angelo  Emo,  provveditore  gene- 
rale della  Dalmazia,  seppe  impedire  Toccupazione  di  Cat- 
tare ;  Giorgio  Balbi,  quella  della  piazza  di  Singh. 

Col  verno  sopraggiunto,  sostarono  le  ostilità. 

Ai  primi  di  gennaio  del  1716  il  Senato  veneto  decretò 
che  si  approntassero  pel  Levante  ventimila  soldati,  trenta 
navi,  quattro  brulotti,  nonché  altre  navi  per  munizioni  e 
viveri;  diecimila  uomini  furon  destinati  per  la  Dalmazia, 
altre  galee  per  la  difesa  del  golfo.  Per  fronteggiare  le  spese, 
furono  imposte  due  nuove  decime  (i). 

Sul  finire  di  marzo  già  Antonio  Loredano  era  pronta 
per  recarsi  in  Corfù,  come  provveditore  generale  ed  inqui- 
sitore delle  isole.  Le  truppe  venute  dalla  Germania,  furono 
destinate  a  rinforzare  quei  presidi  (2)  ;  altre,  assoldate  di 


(i)  Misceli,  di  Clemetite  XI,  215,  pp.  244-245,  Avviso  di  Veneiia, 
9  gennaio  17 16. 

(2)  Ivi,  pp.  253-255,  Avviso  di  Venezia,  21   marzo   1716. 


Studìi  sul  pontificato  di  Clemente  XI        263 

fresco  anche  nell'impero,  e  giunte  su  trenta  burchi  da  Ve- 
rona nel  maggio,  mandate  in  Dalmazia,  ove  trovavasi  lo 
Schulemburg  ad  ispezionare  le  piazze  di  quella  regione; 
mentre,  sempre  più  a  tenere  in  rispetto  i  Dulcignotti,  spe- 
dìvasi  il  Badoer  in  Ancona  come  capitano  straordinario  (i). 
Nel  giugno,  il  capitano  generale  Andrea  Pisani  aveva 
disposto  ogni  cosa  per  mare  e  per  terra;  e,  inviato  il  grosso 
dell'armata  nelle  acque  di  Zante,  e  poste  due  navi  a  guardia 
delle  bocche  del  golfo,  erasi  fermato  a  Corfù  colle  navi 
sottili,  in  attesa  degli  ausiliari  (2). 

Anche  la  Turchia  fece  nuovi  e  più  ampi  apparecchi 
nel  171(3,  e  per  sopperire  ai  bisogni  dell'erario,  ricorse  ai 
suoi  soliti  mezzi,  esiliando  o  trucidando  i  ricchi,  vendendo 
le  cariche,  eccitando  il  fanatismo  religioso.  Il  popolo  però 
era  rimasto  malcontento  di  tanto  sperpero  di  danaro  e  di 
vite;  e  r  8  gennaio,  assembratosi  attorno  alla  dimora  del- 
l' ambasciatore  cesareo,  Fleschmann,  colla  scusa  che  vi  si 
era  appiccato  il  fuoco,  tentò  derubarla,  mutando  l'assem- 
bramento in  un  principio  di  rivolta. 

Il  Governo  turco  non  se  ne  commosse,  forse  per  dar 
sfogo  al  malcontento  popolare;  ma  il  Fleschmann,  comuni- 
cato a  Vienna  l'incidente  abbastanza  significativo,  informò  il 
Governo  imperiale  che  non  era  più  tempo  di  indugiare  d'in- 
nanzi ai  nuovi  preparativi  guerreschi  della  Porta.  Banditori 
correvano  per  la  Turchia  promettendo  quaranta  reali   di 

(i)  Misceli,  di  Clcviente  A7,  215,  pp.  262 - 26 'y.  Avviso  di  Vene^ja, 
25  maggio  17 16.  Nel  naviglio  comandato  dal  Badoer  vi  erano  alcuni 
bastimenti  di  nuova  invenzione,  delti  capre,  che,  accompagnando  il 
Bucintoro  nella  festa  dell'Ascensione,  avevano  dato  prova  di  grande 
velocità. 

(2)  Ivi,  pp.  275-275,  Avviso  di  Venezia,  13  giugno  1716.  Pre- 
vedendo l'attesa,  il  Pisani  erasi  raccomandato  all'ambasciatore  Mo- 
rosini  in  Roma  per  ottenergli  la  dispensa  di  leggere  i  libri  proibiti, 
e  fra  gli  altri  il  Machiavelli  (ivi,  p.  272.  Lettera  orig.  del  gen.  A.  P. 
all'ambasciatore  F.  M.  in  Roma,  Venezia,  15  giugno  1716). 


2^4  /•  "Pometti 


donativo  a  chi  si  arrolava  come  fante,  ottanta  a  chi  con 
cavallo  ;  si  armavano  altre  sei  sultane  nuove  ;  a  Jannina 
era  giunto  un  rinforzo  di  mille  Turchi  di  Albania;  altri 
tremila  erano  in  marcia  su  Santa  Maura.  Ovunque,  fra- 
gore e  preparativi  di  armi.  Il  principe  di  Vallachia,  Ste- 
fano Cantacuzeno,  era  stato  deposto,  ed  innalzato  in  sua 
vece  Nicolò  Maurocordato  come  più  ligio  alla  Porta.  Il 
seraschiere  Cora  Mustafà,  per  essersi  fiaccamente  compor- 
tato sotto  Corfù,  era  stato  decapitato  a  Salonicco,  e  sosti- 
tuito da  Osman  Pascià,  audace  e  sanguinano  uomo(i). 

Il  Fleschmann,  dopo  l'incidente  ricordato,  aveva  mu- 
tato dimora  senza  sollevare  lagnanze,  che  sentiva  ormai  di 
trovarsi  a  disagio  in  Costantinopoli.  Interrogato  dal  primo 
visir  sugli  armamenti  imperiali  in  Ungheria,  rispose  aver 
r  imperatore  sempre  religiosamente  rispettato  il  trattato 
di  Carlowitz,  e  più  volte  offerta  la  sua  mediazione  per 
{scongiurare  la  guerra;  ma  che  avendo  vista  rotta  la  pace, 
rifiutata  la  mediazione,  accresciute  le  forze  turchesche  per 
terra  e  per  mare,  aveva  creduto  dover  suo  preservare  i 
propri  domini  da  qualsiasi  sorpresa,  e  apprestare  alla  re- 
pubblica veneta  quell'  assistenza  che  aveva  giurata  nella 
pace  suddetta.  —  Anche  la  Porta  (aveva  risposto  il  visir) 
sentiva  di  non  esser  venuta  meno  all'  impegno  di  Carlowitz, 
specialmente  quando  l'Austria  era  stata  impegnata  nelle 
guerre  d'  Occidente  ;  né  aveva  motivi  di  querele  in  quella 
contesa,  circoscritta  fra  la  Porta  e  Venezia. 

Ricevute  nuove  istruzioni  da  Vienna,  e  specialmente 
dal  principe  Eugenio,  il  Fleschmann  aveva  ripetuto  con 
maggior  calore  le  argomentazioni  di  prima;  e  fatto  inten- 
dere che,  se  inascoltato,  avrebbe  chiesto  il  congedo,  pro- 
pose che  per  restare  in  pace  coli' Austria  bisognava  anche 


(i)  Misceli,  di  Chmente  X/,  215,  p.  246,  Avviso  di  Costaiitinopoliy 
21  gennaio  171 6;  pp.  247-249,  Avviso  di  VeruTÌci,  20  febbraio; 
Nun:(iat.  di  Germania,  255,  Avviso  di   Vienna,  15  febbraio. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        2^5 


esserlo  con  Venezia,  restituendo  a  questa  quanto  le  era 
stato  tolto,  e  rifornito  T  imperatore  delle  spese  di  guerra 
già  fatte  (i). 

L'Austria  (aveva  già  prima  avvertito  lo  Spinola)  tentava 
con  queste  risposte  di  guadagnar  tempo  in  Ungheria,  e  di 
provocare  anche  l'orgoglio  turco,  perchè  le  grandi  spese 
fatte  per  l'esercito  imponevano  ormai  che  la  guerra  si  fa- 
cesse (2). 

Sparsasi  la  nuova  che  l'Austria  erasi  decisa  alla  guerra, 
r  Inghilterra  s' interpose  da  mediatrice,  per  le  rimostranze 
rivolte  dal  primo  visir  all'ambasciatore  britannico  in  Co- 
stantinopoli. La  Turchia  ora,  impensierita  degli  apparecchi 
imperiali  in  Ungheria,  protestava  di  non  voler  distrug- 
gere il  dominio  veneto,  ma  soltanto  infliggere  una  puni- 
zione alla  repubblica;  1'  amicizia  coli' Austria  doveva  restare 
inalterata:  ammetteva  la  mediazione.  xMa  era  tardi.  Il 
Fleschmann  ripetè  le  proposte  ed  accordò  tre  giorni  di 
tempo  (3).  Fu  adunato  il  Divano  alla  presenza  di  Acmet. 
La  discussione  fu  rapida  ed  agitata  ;  si  decise  la  guerra. 

Passati  i  tre  giorni,  e  non  ricevendo  risposta,  Fleschmann 
chiese  il  congedo.  Essendogli  stato  negato,  e  propostogli 
di  andar  via  da  privato,  protestò,  reclamando  gli  onori 
dovuti  d\  suo  grado,  come  T imperatore  li  aveva  concessi 
ad  Ibraim  Agà.  Per  tutta  risposta  fu  tenuto  in  guardia  e 
costretto  a  seguire  il  sultano  in  Adrianopoli  (4).  Un  vio- 
lento manifesto,  nel  quale  si  accusava  l'Austria  di  mala- 


(i)  Nuniiat.  di  Germania,  255,  dalle  lettere  del  nunzio  al  Pao- 
lucci  li  e  12  aprile  1716;  e  dalla  Misceli,  di  Clemente  A7,  215, 
pp.  257-258,  Avviso  di   Veneiia,  18  aprile  17 16. 

(2)  S linciai,  di  Germania^  255,  in  due  lettere  del  nunzio  al  Pao- 
lucci,  nel  corriere  del  15  febbraio  1716. 

(3)  Nuniiat.  di  Gt^rmania,  256,  lettera  del  nunzio  al  Paolucci, 
18  luglio  17 16. 

(4)  Ivi,  nella  lettera  sopra  citata;  \UsccU.  di  CkmenU  A7,  215, 
pp.  280-283,  Avviso  di  Veneiia,  27  giugno. 


iGG  J,  Tornelli 


fede,  fu  pubblicato  per  tutti  i  paesi  del  sultano  a  giustifica- 
zione della  guerra.  Furono  indette  pubbliche  preghiere  e 
penitenze  per  eccitare  il  fanatismo  religioso;  fatte  venire 
dall'Asia  nuove  truppe;  rafforzate  quelle  della  Dalmazia; 
aumentata  la  flotta  per  Corfù.  Usci  tutta  la  squadra  dai 
Dardanelli:  quaranta  sultane  di  linea;  dodici  vascelli  del 
Cairo  con  quaranta  cannoni  ciascuna;  numerose  navi  bar- 
baresche. L'armata  sottile  di  ventuna  galee  e  ottanta  ga- 
leotte, fra  grosse  e  piccole,  fu  in  parte  mandata  nel  Mar 
Nero  per  tenere  in  rispetto  lo  czar,  che  i  Tartari,  d'ac- 
cordo colla  Turchia,  minacciavano  anche  da  terraferma  (i). 

Ma  che  la  Russia  si  fosse  mossa,  era  una  vana  paura. 
Alle  sollecitazioni  del  nunzio  di  Polonia,  lo  czar  aveva 
rimandata  ogni  decisione  a  dopo  la  pace  colla  Svezia.  In 
realtà,  egli  aspettava  di  esser  direttamente  invitato  dall'  im- 
peratore, e  questi  taceva,  che  l'invito  significava,  a  guerra 
terminata,  un  qualche  compenso,  come,  ad  esempio,  il 
porre  presidi  a  Witmar:  «...  massime  oraw,  confidava  lo 
Spinola,  «  che  ha  dato  la  sorella  al  duca  di  Mecklemburg; 
«  e  ciò  terrà  molto  guardingo  l' imperatore,  al  quale  so 
«  che  non  piaceva  la  presenza  del  medesimo  czar  nel- 
«  r  impero  con  trentamila  uomini,  oltre  1'  armata  navale 
«  sul  Baltico,  ove  pareva  che  disponesse  le  cose  colla  stessa 
«  autorità  come  se  fosse  nei  propri  Stati»  (2). 

Ma  oramai  l'Austria  poteva  tentare  l'impresa  da  sola, 
e  i  lunghi  indugi  ed  i  ripieghi  di  prima  trovavan  scusa 
nella  savia  organizzazione  della  campagna.  Nel  marzo, 
trentasei  generali  avevan  già  ricevute  le  istruzioni  pel  piano 

(i)  Misceli,  di  Cìemente.  XJ,  215,  pp.  273-275,  Avviso  di  Feneiia, 
13  giugno  I7i6;pp.  276-277,  lettera  di  A.  Loredano  all'ambasciatore 
Duodo  (Corfù,  16  giugno),  in  cui  sono  riassunti  due  avvisi  di  Jannina 
del  31   maggio  e  dell'  11   giugno  1716. 

(2)  Nuniiat.  di  Germania,  256,  lettera  del  nunzio  al  Paolucci, 
1°  agosto  17 16.  Altre  notizie  simili,  in  Misceli,  di  Clemente  XI,  215, 
pp.  250-252,  7  marzo  17 16. 


Studìi  sul  pontificato  di  Clemente  XI        2^7 


strategico  da  eseguire  ;  eraii  staci  chiamati  il  maresciallo 
Palfi  bano  di  Croazia  e  il  maresciallo  Guido  di  Starem- 
berg,  esperti  e  valorosi  uomini  di  guerra;  e  da  Ulma,  da 
Ratisbona,  da  altri  paesi  dell'  impero  affluivano  soldatesche 
in  Ungheria.  L'  esercito  era  stato  addensato  presso  Pe- 
tervaradino,  non  dalla  parte  di  Belgrado  per  evitare  l'osta- 
colo della  Sava,  ma  da  quella  del  Danubio,  sopra  il  quale 
numerosi  ponti  improvvisati  lasciavan  libero  il  transito  alle 
truppe,  e  per  dove  l'esercito  poteva  essere  coadiuvato  dalla 
flottiglia  (i). 

A  queste  notizie,  che  contrastavano  con  quelle  sull'of- 
ferta mediazione  dell'  imperatore,  il  nunzio  erasi  affrettato 
ad  oflrire  a  Carlo  VI  un  altro  sussidio  di  centomila  fiorini, 
«dei  quali»,  scriveva  al  Paolucci,  «  non  ho  avuto  occa- 
«  sione  di  pentirmi,  stante  che  posso  dire  abbiano  dato 
«  l'ultimo  impulso  alla  partenza  del  signor  principe  Eu- 
«  genio  »  (2). 

Infatti,  il  principe  Eugenio  era  partito  qualche  giorno 
prima  da  Vienna  col  nipote  Emanuele  di  Savoia,  per  le 
campagne  di  Futach,  ov'  erasi  radunato  l'esercito.  Gli  avve- 
nimenti di  quella  guerra  son  noti;  li  accenneremo  appena, 
e  sohanto  quando  possono  chiarire  le  vicende  delle  due 
flotte  nemiche. 

Il  visir  era  giunto  colle  truppe  nelle  vicinanze  di  Bel- 
grado. Giammai  nelle  guerre  precedenti  l'impero  ottomano 
era  riuscito  a  radunare  esercito  si  numeroso,  che  tra  fanti 
e  cavalli  ascendeva  a  dugentomila  uomini.  Gì'  imperiali 
erano  meno  della  metà;  e,  sia  per  questo,  sia  perchè  non 
voleva  essere  il  primo  a  rompere  la  tregua,  Eugenio  stette 
alcun  tempo  sulla  difensiva.  Anche  gli  Ottomani  presero 

(i)  Misceli  di  ClemenU  XI,  215,  Aii'isi  di  Veneiia,  dal  7  marzo 
al  4  luglio,  a  pp.  250-255,  269-271,  273-275,  284-285;  Nunxjat,  di 
Germania,  255,  Avvi       "    '"una,  14  marzo  17 16. 

(2)  Nuniiat.  di  (  ,  256,  cifra  del  nunzio  al  Paolucci,  4  lu- 

glio 171 6,  decifrau  in  Roma  il  15  dello  stesso  mese. 


268  J.  Torneiti 


lo  stesso  atteggiamento,  protestando  di  guardare  i  confini. 
Ma  essendosi  posta  più  tardi  l'armata  turca  tra  Corfù  e  le 
bocche  dell'Adriatico,  coli'  intento  manifesto  di  forzare  il 
passo  e  penetrare  nelle  coste  italiane,  Carlo  VI  avverti 
lo  Spinola  (affinchè  ne  informasse  il  papa)  di  aver  ordi- 
nata l'apertura  delle  ostilità  (i).  Finalmente,  il  vivo  desi- 
derio di  Clemente  XI  incominciava  a  realizzarsi  !  Al  primo 
scontro,  l'esercito  turco  fu  messo  in  fuga;  gl'imperiali 
mossero  in  piena  marcia  al  passaggio  del  Tibisco,  mirando 
a  Temisvar.  Ma  il  Palfi  non  potè  investirla  colla  cavalleria 
per  l'acqua  troppo  alta  nei  dintorni  di  Petsch,  e  passò 
oltre,  fermandosi  a  Zenta,  il  memorabile  luogo,  ove  gH 
Ottomani  erano  stati  sconfitti  nella  guerra  precedente.  Vi 
si  riunì  l'esercito,  ed  Eugenio  chiamò  a  consiglio  i  gene- 
rali. Ma,  prima  di  decidersi,  occorreva  sapere  che  fosse 
successo  a  Corfù. 


Corfù  era  a  buon  diritto  stimata  1*  antemurale  d'Italia. 
La  sua  vantaggiosa  posizione  contava  ricordi  gloriosi,  per- 
chè contro  essa  erasi  fiaccata  la  baldanza  di  Pirro,  e  nei 
tempi  a  noi  più  vicini,  nel  1537,  quella  del  corsaro  Bar- 
barossa.  Ma  al  tempo  del  nostro  argomento  1'  isola  non 
trovavasi  in  condizioni  da  resistere  all'  attacco,  che  gli  Ot- 
tomani preparavano  poderoso;  e  l' impreviggenza  del  Se- 
nato e  la  scarsezza  del  danaro,  1'  avevan  lasciata  in  ab- 
bandono. La  fortezza  vecchia  era  cadente;  e  la  cittadella 
(eretta  nel  1574  su  disegno  del  Savorgnano),  cinta  da  de- 
bole muraglia,  non  dava  alcuno  affidamento  di  resistenza. 
Lo  Schulemburg  vi  aggiunse  palizzate  ed  altre  opere  este- 
riori, per  contrastare  il  terreno  al  nemico  palmo  a  palmo; 
e  mostrando  T  imminenza  e  la  gravità  del  pericolo,  chiese 


(i)  NuHiiat.  di  Germania,  256,  lettera   del    nunzio    al    Paolucci, 
nel  corriere  del  1°  agosto  1716. 


Studii  sul  pontificalo  di  Clemente  XI        2^9 


soccorsi  di  uomini  e  di  danaro.  Ma  l'erario  della  repub- 
blica (che  dopo  la  guerra  di  Candia  non  aveva  mai  più 
toccata  la  floridezza  primiera),  per  le  spese  giA  fatte  dal 
principio  della  campagna,  assoldando  milizie  e  fortificando 
le  isole  e  le  piazze  di  Cefalonia  e  di  Albania,  era  esausto 
a  segno  che,  per  soddisfiire  in  qualche  modo  alle  richieste 
dello  Schulemburg,  il  Governo  ricorse  a  misure  estreme, 
come  le  tasse  sulle  industrie  personali  e  sui  traffici,  e  la 
vendita  dei  titoli  di  nobiltà  e  delle  cariche  pubbliche.  Mi- 
sure estreme,  ma  risultati  scarsi.  Era  convinzione  generale 
che  Corfù  sarebbe  caduta. 

Quando  ai  primi  di  luglio  comparvero  nel  canale  di 
Corfù  alcune  navi  ottomane,  Andrea  Pisani  (che  era  suc- 
ceduto al  Dolfin  nel  comando  di  tutte  le  forze  marittime) 
aveva  disegnato  di  attaccarle  per  intimorire  V  inimico,  se 
non  fosse  stato  avvertito  che  Coggià  dirigevasi  a  quella 
volta  col  grosso  della  flotta.  Giuntigli  nuovi  rinforzi  con 
Andrea  Cornar©  (succeduto  al  defunto  Bonvicini),  e  saputo 
che  i  Turchi,  intenti  allo  sbarco  per  l'assedio,  eransi  di- 
stesi colle  galee  per  circa  due  miglia  attorno  T  isola,  avan- 
zossi  per  isfondare  quella  debole  linea  e  dare  il  guasto  a 
quante  più  navi  nemiche  potesse.  Senonchè,  giunti  all'al- 
r  altezza  di  Casopo,  i  Veneti,  per  aver  fatto  il  consueto 
saluto  col  cannone  alla  Vergine  del  luogo,  scovrironsi  a 
Coggià;  il  quale,  raggruppate  le  galee,  respinse  il  Pisani  e 
continuò  indisturbato  i  preparativi  dell'  assedio.  Sbarcarono 
trentamila  uomini  e  tremila  cavalli  al  comando  del  sera- 
schiere.  Il  loro  primo  sforzo  fu  contro  il  posto  avanzato 
del  Monte  Abramo,  e  ne  furon  respinti.  Il  mese  di  luglio 
passò  in  preparativi  tra  assedianti  ed  assediati;  ma  essendo 
riusciti  i  Turchi  ad  erigere  due  batterie,  con  una  bombar- 
darono la  fortezza  nuova  e  le  galee  venete  (che  dovettero 
allontanarsi  dallo  scoglio  di  Vido),  coli'  altra  mirarono  ad- 
dirittura dentro  la  città.  Ripetuto  l'attacco  al  Monte  Abramo, 


270  J.  Torneiti 


il  seraschiere  se  ne  impadronì;  occupò  in  seguito  T  altro 
posto  avanzato  di  S.  Salvatore;  aprì  una  breccia  al  rivel- 
lino sotto  l'angolo  della  fortezza  nuova  verso  la  marina; 
danneggiò  la  porta  Raimonda,  e  strinse  in  un  formidabile 
cerchio  di  ferro  tutto  V  abitato. 

Corfù  era  presso  che  perduta.  Per  tentare  di  salvarla 
con  aiuti  esterni,  attaccando  i  nemici  alle  spalle,  bisognava 
sfondare  la  linea  delle  galee  ottomane;  nv.x  i  Veneti  non 
erano  in  numero  da  tanto  ;  e  benché  avanzata  la  stagione, 
tardavano  ancora  gli  aiuti  promessi  dai  principi  cristiani. 
Quando  sarebbero  giunti  gli  ausiliari  ? 

Gli  ausiliari,  che  dovevano  trovarsi  a  Corfù  alla  fine  di 
maggio,  chi  per  una  chi  per  un'  altra  cagione,  avevano 
ritardata  la  partenza  fino  agli  ultimi  di  giugno. 

La  squadra  pontificia  aveva  perduto  un  tempo  prezio- 
sissimo, sia  per  accrescersi  di  alcune  galeotte  e  rifornirsi  di 
artiglierie,  sia  per  inseguire  nel  Tirreno  alcune  navi  di  cor- 
sari turchi.  Non  prima  del  16  giugno  riunironsi  nel  porto 
di  Civitavecchia  le  galee  pontificie,  genovesi,  toscane  e 
spagnole.  Fu  ordinata  la  partenza.  Il  Langon  colle  navi 
leggere  di  Sua  Santità  era  già  a  Napoli  dalla  fine  di  mag- 
gio per  provvedersi  di  vettovaglie;  il  19  giugno  si  avviò 
la  prima  divisione  della  squadra,  composta  del  S.  Pietro, 
del  5.  Atanasio  e  delle  due  galere  genovesi  al  comando  del 
La  Motte;  il  23  parti  il  Ferretti  colle  galee  di  Spagna.  11 
5.  Pio  e  il  S.  Maria  rimasero  col  Bussi  e  col  Saladini  a  Ci- 
vitavecchia, in  guardia  contro  i  barbareschi. 

Frequenti  intanto  giungevano  a  Roma  le  lagnanze  di 
Venezia;  e  Clemente  XI,  alla  sua  volta  contrariato  e  con- 
tristato dell'  indugio,  inviava  messaggi  al  Ferretti,  al  Lan- 
gon, al  La  Motte,  incitandoli  ad  accorrere  in  soccorso  di 
Corfù.  Una  triste  fatalità  incombeva  sulla  sorte  dei  Cri- 
stiani, che  agi'  indugi  di  prima,  altri  ora  ne  aggiungevano 
gli  avversi  elementi. 


Siudiì  sul  pontificalo  di  Clemente  XI        i-ji 

Il  20  luglio  il  Langon  non  era  più  in  là  di  Roccella  Io- 
nica con  due  navi  guaste;  il  24  il  La  Motte  non  aveva 
ancora  potuto  lasciar  Reggio  di  Calabria;  il  28  il  Ferretti 
era  tuttora  trattenuto  dai  venti  al  Capo  S.  Maria;  poi,  ri- 
preso il  cammino,  era  stato  sviato  or  qua  or  là  da  spioni 
nemici,  che  manifestando  le  cautele  di  Coggià,  indicavano 
dond'  egli  temesse  il  pericolo.  Finalmente,  dopo  quaranta 
giorni  di  viaggio,  gli  ausiliari  unironsi  ai  Veneti  ed  ai 
Maltesi.  Erano  in  più  di  cento  vele  nelle  acque  di  Corfù. 
Radunaronsi  a  consiglio  gli  ammiragli  sotto  la  presidenza 
del  Pisani,  e  fu  deciso  in  massima  di  attaccare  i  Turchi 
alla  prima  occasione  favorevole  ;  ma  i  malumori  latenti  e 
la  mancanza  d'  unità  di  comando  dovevano  condurre  a 
quanto  più  innanzi  sarà  detto. 

In  questo  frattempo,  e  prima  che  gli  ausiliari  si  radu- 
nassero, le  condizioni  degli  assediati  erano  peggiorate.  Il 
Pisani  aveva  da  prima  bordeggiata  l'isola;  aveva  poi  ten- 
tato di  soccorrere  la  piccola  rocca  di  Parga  alla  bocca  del 
canale,  ma  altro  non  potendo,  molestava  di  nottetempo  Tini- 
mico  (i).  Le  due  flotte  stavano  di  faccia:  la  turchesca,  che 
avrebbe  potuto  sopraffare  il  Pisani,  non  rompeva  la  linea 
per  rendere  più  valido  T  assedio,  ed  aspettava  di  essere 
attaccata  ;  la  veneta,  per  inferiorità  di  numero,  era  da  prima 
rimasta  indecisa,  poi  aveva  tentato  il  rimorchio  per  venire 
a  cimento.  Erasi  deciso  il  Pisani  colle  sole  sue  forze  di 
venire  a  battaglia,  perchè  egli  e  Coggià  avevano  intuito,  con 
opposti  desideri,  che  bisognava  affrettarsi.  Non  giungendo 
gli  ausiliari,  pericolando  le  fortificazioni,  stremati  i  presidi, 
il  Pisani  si  decise  per  un'  azione  audace  e  disperata,  sia 
per  r  onor  suo,  sia  per  la  pietà  degli  assediati,  sia  per  le 
incessanti  premure    di   Venezia  e  di  Roma  (2).    Coggià, 

(i)  Misceli,  di  ChmenU  XI,  215,  pp.  28.j-2<S),  288-289;  Avvisi  di 
Venezia,  4011   luglio  ;  Avvisi  di  Otranto,  7  luglio,  a  pp.  286-287. 
(2)  Circa  l'assedio  di  Corfù,  lo  Spinola  scriveva  dì  aver  detto 


272  7*  Torneiti 


d'  altra  parte,  avvisato  dagli  spioni  del  prossimo  arrivo 
degli  ausiliari,  incitava  il  seraschìere  all'  assedio,  e  d'  ac  • 
cordo  fulminavano  le  fortezze  e  la  città  con  incessante  e 
furioso  cannoneggiamento. 

Giunti  i  rinforzi  cristiani,  si  era  per  venire  alle  mani, 
quando  ai  20  di  agosto  scoppiò  un'  inattesa  tempesta,  dal- 
l' alba  al  mezzodì.  Le  trincee  nemiche  ne  furon  guaste,  al- 
lagate le  gallerie,  disordinate  le  schiere,  sbattuta  l'armata. 
Crebbe  il  disordine  e  lo  scompiglio  col  sopraggiungere  della 
notte.  Ma,  al  levare  del  nuovo  giorno,  ecco  dalle  ronde 
mattutine,  dai  bastioni  partirsi  grida  di  stupore  e  di  gioia: 
il  nemico  era  scomparso...  i  Turchi  eran  fuggiti! 

Cannoni,  mortati,  granate,  bombe  giacevan  tra  le 
trincee,  disseminati  per  la  campagna,  precipitati  tra  i 
burroni.  Dappertutto  le  tracce  d'  una  fuga  precipitosa. 
Non  un  Turco  a  terra  ;  tutti  sulle  navi,  e  le  navi  lontane, 
fuo:o:enti... 

Com'era  avvenuto  quell'evento  inatteso?  Perchè  mai 
i  Turchi  abbandonavano  la  città  quasi  espugnata?  (i) 

La  paura  che,  nell'  incertezza,  ingigantisce  le  notizie, 
aveva  consigliato  la  fuga.  Le  vittorie  di  Eugenio  in  Un- 
gheria, la  marcia  in  avanti  dell'  esercito  imperiale,  l'arrivo 
degli  ausiliari  che  bilanciava  le  due  armate,  consigliarono 
i  Turchi  a  levare  l'assedio  e  serbare  almeno  incolume  la 


air  imperatore  che  se  l' isola  fosse  stata  liberata,  il  papa  avrebbe 
compiuta  la  «  generosa  offerta  fatta  di  300  m.  fiorini,  i  quali  ogni 
«  volta  che  giungessero,  riuscirebbero  molto  opportuni,  avendo  no- 
ce tìz'a  particolare  che  il  sigr.  principe  Eugenio  abbia  spedito  per 
«  avere  qualche  considerabil  somma,  e  eh'  ora  qui  si  travaglia  non 
«  poco  per  unirla  ».  Nuniiat.  di  Germania,  256,  5  settembre. 

(i)  Notizie  particolareggiate  sulla  Hberazione  di  Corfìi  trovansi 
da  p.  582  a  499  del  voi.  215  della  Misceli,  di  Clemente  XI:  Scritture 
spettanti  alla  liberazione  dell'isola  di  Corfù  dall'assedio  de  Turchi  acca- 
duta nel  mese  di  agosto  dell  anno  lyió,  con  la  pianta  della  detta  isola. 
E  ciò  che  si  fece  da  Clemente  XI  Sommo  Pontefice  in  qnesl'  occasione. 


Stndii  sili  pontijìcato  di  Clemente  XI         2 


-/:> 


flotta,  quando  1'  esercito  era  stato  sconfitto.  Per  quanto  su- 
bitanea ed  arrischiata,  la  fuga  fu  eseguita  con  accorgimento, 
tornando  a  vantaggio  dei  Turchi,  a  scorno  dei  Cristiani. 
Il  Pisani,  infatti,  poteva  affrontare  nel  canale  gli  inimici, 
impegnare  battaglia,  riportare  facile  vittoria.  Restò  inerte, 
e  non  gli  furon  risparmiati  biasimi,  fin  quasi  a  sospettarlo 
di  tradimento.  Ma  forse  quella  decisione  repentina  scom- 
pigliò i  piani  prestabiliti,  forse  la  ritirata  fu  interpretata 
diversamente;  e  sopratutto  la  gelosia  fra  i  comandanti  e 
la  mancanza  d'  un'  autorità  da  tutti  riconosciuta,  non  fece 
trarre  esito  da  quell'  occasione  per  quanto  inaspettata,  al- 
trettanto favorevole. 

Dileguato  lo  stupore  e  T  incertezza,  finalmente  il  Pi- 
sani si  die  ad  inseguire  l'inimico,  ma  era  già  tardi.  Restò 
colle  sue  galee  in  quelle  acque.  Gli  altri  presero  la  via  del 
ritorno  a  poco  a  poco.  Ritornarono  anche  indietro  i  Por- 
toghesi, sopraggiunti  proprio  allora. 

Baldassarre  di  Guevara  tenne  alcun  poco  dietro  alle 
mosse  del  Pisani,  ma  «...  conoscendo  0,  egli  scriveva,  «non 
«  avere  altro  fondamento  questa  risoluzione  dei  Veneziani 
«  che  un'  apparente  esteriorità  di  dare  ad  intendere  al  mondo 
«  che  hanno  voluto  attaccare  il  nemico»,  quando  i  fatti 
avevano  «  scoperto  senza  il  minor  dubbio  che  la  loro  in- 
«  tenzionc  e  stata  sempre  il  contrario  »,  faceva  vela  pei 
Zantc,  dirigendosi  in  Ispagna  (i). 

GÌ'  indugi,  le  pretese  dei  Veneziani,  le  gelosie  ira  i 
capi  erano  riusciti  a  vantaggio  dei  Turchi  (2).  Quella  del 
mare,  per  quell'  anno,  era  una  partita  rimandata. 


(1)  MÌ,i\U    .;'/■    (':   inniìr   XI.   2  1.1.   PP.  12  2-1 27:   Cupiloli    di    ìiltdc    Ài 

D.  Pnihhi^sar  /.//.■  Mi-rLrc  il  j;  <;  v  /.'■  N'  .  T^r 

le  parole  riporiatc  nei   testo,  cjuciia  ticl  29  ago  '^     '   '  'M  «^ia  Cortù. 
Sono  copie.  Manca  1'  indirizzo. 

(2)  Nelle  5n'  1  a  nula  fede  dei 
Veneziani  e  dei  v*            ;    ■ 


Archivio  della  H.  Società  romana  di  storia  patri 


i8 


274  .7-  ^ometti 


È  fiicile  immaginare  con  quale  rincrescimento  Cle- 
mente XI  apprendesse  la  fuga  dei  Turchi  ed  il  ritorno 
delle  squadre  ausiliarie.  Tuttavia,  era  necessità  mostrarsi 
contento,  perchè  occorreva  tenere  unite  le  forze  per  Tanno 
prossimo.  Per  questo  fece  buon  viso  ad  una  lettera  del 
doge  di  Venezia,  che  magnificando  1'  eroismo  dei  difen- 
sori di  Corfù,  dava  il  merito  della  liberazione  dall'assedio 
alle  cure  zelanti  del  pontefice  (i).  E  il  papa,  ad  accrescere 
importanza  a  quella  liberazione  che  aveva  del  miracoloso, 
riuniti  i  cardinali  presenti  in  Roma,  mosse  con  pompa  so- 
lenne alla  chiesa  di  S.  Maria  in  Vallicella  a  celebrarvi  una 
messa  di  ringraziamento  dinanzi  a  un  braccio  di  san  Spi- 
ridione,  protettore  di  Corfù.  Fece  anche  coniare  una  me- 
daglia commemorativa  (2).  Ma,  dentro,  fremeva,  e  non 
mancò  di  confidare  allo  Spinola  il  suo  cordoglio  e  il  suo 
dispetto.  H  il  nunzio  rispose  che  alla  corte  austriaca  ave- 
vano trovate  giuste  le  lagnanze  di  Sua  Santità  contro  il 
Pisani;  ma  che  siccome  costui  inseguiva  il  nemico  (pre- 
testo evidente,  egli  aggiunse,  per  ismorzare  le  mormora- 
zioni comuni),  bisognava  aspettare  l'esito  dell'  inseguimento 
prima  di  muovere  aperte  lagnanze  a  Venezia,  «  acciocché 
G  la  mia  insinuazione  possa  meglio  produrre  1'  effetto  de- 
ce siderato  da  Sua  Santità,  senza  che  fomenti  i  sospetti,  che 
«  in  molti  di  questa  corte  pare  che  regnino  »  (3). 

Dopo  la  vittoria  riportata  a  Petervaradino,  il  prin- 
cipe Eugenio  aveva  cinto  di  assedio  Temiswar,  rivolgendo 

(r)  Misceli,  di  Clemente  XI,  215,  pp.  421-422,  Venezia,  12  set- 
tembre 171 6  (copia). 

(2)  Ivi,  pp.  423-430:  Copia  dell' tiffi:(io  fatto  d'ordine  di  papa  Cle- 
mente XI  al  Senato  di  Venezia  da  mons.  nuuT^io  Aldohrandini  nel  mese 
di  settembre  lyió.  In  occasione  della  libera:(ione  di  Corfù,  con  la  risposta 
data  dal  Senato  alV  istesso  uffi:(io. 

(3)  Nuniiat.  di  Germania,  256,  cifra  del  io  ottobre,  decifrata  in 
Roma  il  21  dello  stesso  mese. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI       275 

i  suoi  sforzi  per  abbattere  la  palanca,  una  fortissima  pa- 
lizzata prima  del  fosso  di  cinta.  Dopo  ripetuti  assalti  (i), 
fu  superata,  e  poco  dopo,  ai  primi  di  ottobre,  entrava  colle 
truppe  in  Temiswar  (2). 

Questi  successi,  e  il  sopraggiungere  dell'  inverno,  fe- 
cero sospendere  le  ostilità,  tanto  più  che  tornavano  a  circo- 
lare le  voci  di  pace.  Il  signor  di  Montagut,  che  l' Inghilterra 
inviava  ambasciatore  in  Costantinopoli,  si  recava  prima  a 
Vienna  per  T  apertura  di  tali  trattative.  Il  Sinzendorff  ne 
avverti  lo  Spinola,  che  a  sua  volta  comunicò  la  poco  lieta 
notizia  a  Roma.  Per  buona  fortuna,  T  inizio  delle  tratta- 
tive fu  differito,  perchè  fin  dalle  prime  intese  apparve  che 
r  imperatore  non  avrebbe  ceduto  sulle  vittorie  conseguite, 
e  che  il  sultano  non  era  disposto  a  cedere  i  territori  occu- 
pati (5).  Questi  propositi,  che  assecondavano  le  aspirazioni 
del  papa,  cioè  il  proseguimento  della  guerra,  li  rafforzò 
lo  Spinola,  sborsando  altri  centomila  fiorini  per  la  pros- 
sima campagna  (4). 

L'  esercito  imperiale,  intanto,  si  chiudeva  nei  quartieri 
■d' inverno,  il  generale  Steinville  tornava  in  Transilvania, 
il  generale  Merci  si  fortificava  sul  Danubio,  e  il  principe 
Eugenio  tornava  a  Vienna;  mentre  a  convalidare  le  voci 


(i)  In  uno  di  essi  erasi  comportato  valorosamente,  restando  fe- 
rito, l'infante  di  Portogallo.  Lo  zio  principe  Eugenio  ne  riferì  con  lode 
a  Vienna,  e  l' imperatore  offrì  il  comando  d'un  reggimento  al  ferito, 
che  rifiutò  1'  onore,  stimandosi  inadatto  a  quella  carica.  Kun\iat.  di 
Germania,  256,  in  una  lettera  del  nunzio  al  Paolucci,  nel  corriere 
^el  2  settembre  1716. 

(2)  Da  una  Relazione  dal  campo  sotto  Temisvar,  il  1°  ottobre  iyi6, 
annessa  ad  una  lettera  del  nunzio  nel  corriere  del  io  ottobre,  in 
Nuniiat,  di  Germania^  256. 

(3)  Nuniiat.  di  Germania,  256,  cifra  del  io  ottobre,  e  lettera  del 
nunzio  al  Paolucci  del  17  dello  stesso  mese. 

(4)  Ivi,  in  una  lettera  del  nunzio  al  Paolucci,  nel  corriere  del 
17  ottobre  1716,  alla  quale  sono  annesse  le  ricevute  originali  del  pa> 
gamcnto 


27^  J-  "ToniQtti  —  Stiidii  etc. 

di  pace  si  assicurava  che  il  Fleschmann  fosse  stato  libe- 
rato, e  che  il  Montagut  recavasi  alla  corte  di  Hannover 
per  averla  consenziente  alla  sua  missione  (i). 

F.    POMETTI. 
(Continua). 


(i)  Nun^iat.  di  Germania,  256,  lettere  del  nunzio  al  Paolucci  del 
7  e  28  novembre  171 6. 


VARIETÀ 


DUE  DOCUMENTI  PONTIFICI 

ILLUSTRANTI    LA    STORIA    DI    ROMA 

NEGLI   ULTIMI  ANNI  DEL  SECOLO  XI. 


I. 

Il  P.  Zaccaria  nell' 7/^r  lìtterarium  per  Italiani  (1762), 
p.  ^^,  pubblicò  da  un  codice  Marciano  di  Firenze  del  se- 
colo XII  (i)  un  breve  di  un  papa  V.,  che  egli  supponeva  fosse 
Urbano  IL  È  cosa  ben  singolare  come  questo  documento, 
quantunque  getti  non  poca  luce  sulla  situazione  politica 
del  papato  negli  ultimi  anni  del  secolo  xi,  sia  sfuggito  a' 
tutti  gli  storici.  Nessuno  difatti  lo  cita,  e  non  fu  neppur 
registrato  nella  seconda  edizione  dei  Rcfj^esta  poutifictim 
Romanorum  dello  Jaffé.  Il  testo  di  esso  è  il  seguente: 

V.  episcopus  servus  servorum  Dei.  Dilectis  fratribus  Romanae 
ecclesiae  fidelibus  salutem  et  apostolicam  benedictionem.  Angustias 
animi  vestri  super  contritìonem  Romanae  ecclesiae  cognoscentes, 
novo  nuntio  vos  relevamus.  In  vigiliis  it^que  apostolorum  Petrì  et 
Paul!  milites  nostri  cum  castellanis  adversus  heresiarcam  pugnantes 
annuente  Deo  ita  vicérunt  ut  nepos  eius  O.  armis  nudatus  equo 
vexilloque  perdilo  fugcrit.  Cetera  omnia  Deus  prospere  egit  ila  ut 
sequenti  die  laccssiii  pugnare  omnino  timuerint.  Pracfecio  tiimcn 
regio  cquus  est  interfeclus.  Die  altero  Romani  omncs  ad  rcJdcnda 
debita  cum  provocantes  ita  in  iram  excitaverunt  ut  paralisi  optus 
dicatur,  certissime  tamen  et  maxime    languct.    Misericordia    deinde 

(r)  Ora  neUa  biblioteca  Laurenziana,  Cod.  s.  Marci  655. 


278  T.  Kehr 


postulata  a  nostris  abire  permissus  est,  sui  pene  omnes  pedìtes  abie- 
runt.  Cameram  prò  iumentorum  inopia  apud  Theobaidum  Cincii 
filium  reliquit  (»).  Nos  die  mensis  iulii  tercio,  clero  et  popolo,  equi- 
tibus  ac  peditibus,  cum  floribus  et  palmis,  cum  cimbaiis  et  citharis 
prosequentibus,  via  palliis  coperta  porticum  adivimus,  missas  pacifice 
in  beati  Petri  basilica  celebravimus,  et  in  Urbem  coronati  redivimus. 
Nobiscum  ergo  gratias  agite  qui  sine  omni  Nortmannorum  ope  supra 
spem  nobis  misericordiam  suam  contulit.  Deum  autem  timentibus 
que  a  Deo  acta  sunt  notificare  curate.  Valete. 

Dobbiamo  innanzi  tutto  domandarci:  a  qual  papa  ed  a 
qual  anno  appartiene  questo  documento  ?  Non  v'ha  dubbio 
che  il  P.  Zaccaria  abbia  con  ragione  attribuito  il  breve  ad 
Urbano  II.  L'eresiarca,  in  esso  ricordato,  non  può  essere 
ahri  che  il  famoso  Wiberto  di  Ravenna,  T  antipapa  Cle- 
mente III  (i).  Il  suo  nipote  O.  è  egli  il  conte  Odo  di 
Sutri  ?  Il  nome  del  prefetto  regio  non  è  indicato;  ma  è 
da  pensare  che  fosse  Wezelo,  conosciuto  già  da  un  altro 
documento. 

La  situazione  manifestataci  da  questo  breve  era  dunque 
la  seguente:  la  città  occupata  dai  partigiani  di  Wiberto 
sotto  il  comando  del  conte  Odo  e  del  prefetto  regio  We- 
zelo; contro  di  essi  papa  Urbano,  senza  l'aiuto  dei  Normanni, 
con  le  sole  forze  della  milizia  di  S.  Pietro  e  dei  castel- 
lani, cioè  dei  vassalli  dei  castelli  romani.  Il  28  giugno  si 
fa  gran  battaglia:  i  Wibertini  sono  sconfitti;  Odo,  sbal- 
zato da  cavallo  e  spogliato  delle  sue  armi,  fugge  lasciando 
la  bandiera  nelle  mani  del  nemico.  Il  di  seguente,  29  giugno, 
i  Wibertini  scoraggiati  non  osano  di  riprendere  il  combat- 
timento; nel  terzo  giorno,  30  giugno,  i  Romani  abbando- 
nano il  prefetto  il  quale  è  preso  da  tanta  rabbia  che  viene 

(a)  Il  passo  Cameram  -  reliquit  è  aggiunto  dopo  Valete  ;  e  doveva  stare 
originalmente  o  dopo  fugerit  o  dopo  abierunt 

(i)  Cf.  Gregorovius,  GeschichU  der  Stadt  Rom  im  Mittelalter,  IV, 
260,  n.  i;  GiESEBRECHT,  G&schichtn  der  deutschen  Kaiserieit,  III,  ii8i; 
KòHNCKE,   Wihert  voti  Ravenna,  p.  lor. 


Varietà  279 


colpito  d' apoplessia,  e  V  esercito  di  lui  si  discioglie.  Il  3  lu- 
glio il  papa,  in  mezzo  alla  consueta  pompa  solenne,  entra 
vittoriosamente  in  Roma. 

Il  nostro  documento  è  una  circolare  diretta  ai  vescovi 
fedeli  a  papa  Urbano,  annunziante  la  vittoria:  è  il  bullettino 
militare  del  vincitore. 

Alcuni  dati  di  fatto  ci  permettono  di  fissare  anche  Tanno 
di  questi  avvenimenti. 

Papa  Urbano  era  stato  eletto  il  12  marzo  del  1088 
fuori  di  Roma,  a  Terracina,  mentre  T  autorità  delT  anti- 
papa aveva  in  Roma  il  predominio.  Solo  verso  il  1°  no- 
vembre il  papa  potè  entrare  nella  città;  ma  a  gran  pena 
vi  si  sosteneva,  ridotto,  quasi  senza  mezzi,  alla  sola  isola 
di  San  Bartolomeo.  Nel  1089  però  riuscì  a  cacciare  Tanti- 
papa  e  ad  impadronirsi  della  città;  secondo  Bernoldo  (i): 
«  Guibertus. . .  turpiter  expellitur  et  ne  amplius  apostolicara 
«  sedem  invadere  praesumat  iuramento  promittere  com- 
«pellitur».  In  una  bolla  delT  8  luglio  1089,  concessa  al 
clero  e  popolo  di  Velletri,  Urbano  II  fé'  allusione  a  questo 
successo  con  tali  parole:  «  Nec  ignotum,  dilectissimi  fra- 
«  tres,  vobis  esse  cognoscimus,  qua  immani  crudelitate 
«  Guibertus  heresiarcha  sedis  apostolice  invasor,  antiquus 
c<  hostis,  nostris  temporibus  per  apostatas  et  tirannos  sancte 
«  Ecclesie,  Hugonem  Album  et  Ioannem  Portuensem  ex- 
«  episcopos  et  Petrum  quondam  cancellarium,  Wezelonem 
«  et  Ottoncm  tiranum,  membra  diaboli,  seduxerit  filios  Dei, 
«  cogitans  eos  blanditiis  et  atrocitate  suis  pedibus  posse 
«  submittere.  In  eum  vero  sperantes  qui  suos  non  despicit, 
«  constanter  per  vos  et  alios  filios  nostros  illorum  incursum 
«  comprimemus.  Quapropter  de  pr[esenti  dilectos  filios] 
a  Raynerium  presbiterum,  Formosuu)  nostrum  dapiferum 
«  ac  Fornicem  nostrum  emissarium  cum  presentibus  scriptis 
«  vobis  niandamus,  a  quibus  velut  a  nobis  audietis  quanta 

(i)  Bhrnoldi  Chronicon  ad  a.  1089  {Mon.  Gcnn.  Script.  V,  450). 


28o  T.  Kehr 


«prelia  nostri  fideles  strenue  commisere  et 
((  quomodo  ad  Christi  spense  utilitatem  ultra  montes  accel- 
<(  lerare  disposuimus  ».  Il  v.  Pflugk-Harttung,  pubblicando 
questa  bolla  da  una  copia  conservata  nell'archivio  Muni- 
cipale di  Velletri  (i),  In  giudicò  una  falsificazione;  ma  gli 
argomenti  da  lui  addotti  mi  sembrano  senza  valore,  e  tali 
parvero  anche  al  Lòwenfeld  {Regesta  pontificum  Romanorum, 
n.  5403).  Le  parole  del  papa  in  questa  bolla  corrispon- 
dono così  esattamente  alle  parole  del  nostro  documento 
che  non  e  è  nessun  dubbio  che  ambedue  fossero  scritti 
nella  medesima  situazione.  Il  documento  dello  Zaccaria 
conferma  V  autenticità  della  bolla  di  Velletri  ;  e  questa  da 
parte  sua  prova  che  anche  il  breve  appartiene  all'anno  1089. 
Da  ciò  adunque  si  deduce  che,  negli  ultimi  giorni  del 
giugno  1089,  papa  Urbano  riuscì  a  sconfiggere  l'antipapa, 
e  che  il  3  luglio  entrò  solennemente  nella  città.  E  quanta 
gli  dovesse  sembrare  T  importanza  di  questi  avvenimenti, 
ce  lo  palesano  bene  il  breve  diretto  ai  suoi  fedeli  con  la 
nuova  della  vittoria,  e  la  bolla  diretta  ai  Velletrani,  an- 
nunziante  anche  a  loro  i  suoi  miUtari   successi. 


IL 


L' altro  documento  che  propongo  agli  studiosi  della 
storia  medioevale  di  Roma,  ci  porta  alF  anno  1099. 

Papa  Urbano  morì  il  29  luglio  1099.  Appunto  in  questo 
momento  1'  antipapa  levò  il  capo,  risoluto  a  tentare  la  for- 
tuna per  r  ultima  volta.  Si  presentò  coi  suoi  partigiani 
innanzi  alle  mura  di  Roma;  in  Albano,  dove  il  vescovo 
Teodorico  era  suo  fautore,  pose  il  quartiere  generale,  donde 
minacciava  il  partito  clericale  adunato  ad  eleggere  il  nuovo 
papa.  Ma  anche  questa  volta  gli  falli  l' intento.  Il  nuovo 

(i)  Ada  pontificum  Romanorum,  II,  145,  n.   178  (J.-L.  5403). 


Varietà  281 


papa,  Pasquale  II,  elettoli  13  agosto,  guadagnò  gli  abitanti  di 
Albano  coli'  oro  del  conte  Ruggiero  Normanno,  e  costrinse 
r  antipapa  a  sgombrare  Albano  ed  a  ritirarsi  a  Sutri  e  poi 
a  Civita  Castellana.  Quivi  Wiberto  si  sostenne  fino  alla 
morte,  che  lo  raggiunse,  abbandonato  e  rifinito,  nel  settembre 
del  UGO. 

Cosi  racconta  l'autore  della  Vita  di  Pasquale  II  (i). 

Orn,  un  notevole  contributo  alla  conoscenza  di  questi 
avvenimenti  ci  offre  una  bolla  di  Clemente  III,  che  si  con- 
serva neir  archivio  della  Certosa  di  Trisulti.  Ne  dobbiamo 
il  prezioso  ritrovamento  al  dott.  Luigi  Schiaparelli,  mio 
indefesso  collaboratore,  il  quale  raccogliendo  negli  archivi 
della  Campania  il  materiale  per  la  edizione  critica  delle 
bolle  pontificie,  intrapresa  dalla  R.  Società  delle  scienze 
di  Gottinga,  scopri  a  Trisulti  una  copia  di  questa  bolla, 
autenticata,  nel  secolo  xii,  da  Biagio,  scriniario  della  Chiesa 
Romana. 

La  bolla  fia  spedita  il  18  ottobre  1099  ^^  Tivoli,  evi- 
dentemente quando  Wiberto  vi  passò,  recandosi  da  Albano 
a  Sutri  :  essa  così  ci  porge  una  bella  notizia  suU*  itinerario 
dell'  antipapa  nel   1099. 

È  concessa  a  Romano,  cardinale  del  titolo  di  S.  Ciriaco 
<«  in  Thermis  »;  e  poiché  della  storia  di  questa  antica  chiesa 
ben  poco  conosciamo,  il  nostro  documento  san\,  anche  per 
questo,  bene  accolto. 

La  bolla  è  sottoscritta  dai  partigiani  di  Wiberto,  e  le 
sottoscrizioni  ci  rappresentano  quasi  tutto  il  collegio  car- 
dinalizio dell'antipapa:  onde,  anche  per  tal  riguardo,  è 
documento  di  non  lieve  importanza. 

Essa  infine  è  datata  da  Guido  vescovo  di  Ferrara,  ce- 
lebre autore  del  trattato  De  schismaU  Hildchrandi;  un  per- 
sonaggio eminente,  per  il  quale  il  Dùmmlcr  si  doleva, 
or  non  è  molto,  della  scarsezza  di  documenti  che  ne  illu- 


(i)  DucHESNE,  Le  Libcr  poulij.  II,  297. 


282  T.  Kehr 


strassero  la  vita  (i):  e  sono  cosi  lieto  di  offrire  una  nuova 
testimonianza  della  sua  carriera.  Eccone  il  testo  : 

Clemens  episcopus  servus  servorum  Dei.  Sicut  indignum  est  in- 
dignis  votis  annuere,  sic  honestum  est  honestis  petitionibus  assensum 
tribuere,  et  maxime,  cum  ecclesiarum  Dei  profectus  expetitur,  facilis 
est  commodandus  auditus;  sicut  enim  periculi  res  est  earum  utili- 
tates  negligere,  sic  salutis  est  causa  necessitatibus  providere.  Ad  hoc 
enim  episcopi  dicimur  et  pastoris  officio  fungimur  et  ecclesiarum 
omnium  gubernacula  moderand[a]  suscepimus,  ut  utilitatibus  omnium 
consulamus,  ut  videlicet  ditemus  inopes,  erigamus  iacentes,  levigemus 
honustas,  consolemur  afflictas.  Talibus  enim  benefìciis  divina  nobis 
gratia  provenir,  religionis  nostre  fructus  excrescit,  merces  nobis  eterne 
retributionis  accedit.  Nunquam  enim  bonum  studium  bonus  dominus 
deserit  nec  pium  laborem  inremuneratum  relinquid.  Conferamus  igitur 
omnibus  adiumentum  et  auxilii  nostri  temporale  procuremus  soia- 
cium.  Notum  itaque  sit  («)  omnibus  presentibus  et  futuris  quod  ob 
anime  nostre  remedium  et  dilectissimi  C^)  filii  nostri  Romani  videlicet 
presbiteri  cardinalis  supplicem  institutum  res  omnes  et  possessiones 
ecclesie  tituli  beati  Ciriaci  martiris  que  est  iuxta  Thermas  Diocli- 
tiani,  quas  usque  modo  iuste  (0  detinuit  vel  in  posterum  acquisierit, 
sibi  per  hanc  nostre  preceptionis  paginam  confirmamus,  firmiter  sta- 
tuentes  et  terribiliter  universis  denuntiantes  ut  nulla  persona  parva 
vel  magna,  videlicet  dux,  marchio,  comes,  vicecomes  vel  quisquam 
omnino  mortalium  res  supradicte  ecclesie  absque  legali  iudicio  dis- 
traere,  toUere  vel  minuere  presumat.  Res  autem  supranominate  ec- 
clesie beati  Ciriaci  martiris  hee  sunt:  scilicet  claustrum  eiusdem  ti- 
tuli cum  edificiis,  parietibus,  terris  et  vineis  circumquaque  positis, 
item  porta  Numentana  cum  omnibus  sibi  pertinentibus,  item  tres 
petie  vinearum  que  posile  sunt  in  Albano  in  loco  qui  dicitur  Luc- 
cianum.  De  quibus  omnibus  firmiter  decernimus  et  precipimus  ut 
nullam  omnino  minorationem,  molestiam  sive  violentiam  supradicta 
Dei  ecclesia  patiatur.  Si  quis  autem  huius  nostre  preceptionis  con- 
temptor  fuerit  et  transgressor  extiterit  eamque  violare  temptaverit, 
sciat  se  vinculis  perpetue  maledictionis,  nisi  resipuerit  W,  innodandum. 
Qui  vero  diligenter  illam  observaverit  et  obediens  per  omnia  fuerit, 
benedictionem  apostolicam  et  gratiam  consequatur.  Ut  autem  omnia 

(a)  scit         (b)  delectissirai         (e)  iuxte         (d)  recipuerit 

(i)  Mon.  Gemi.  Script.  Libelli  de  lite^  I,  530. 


pianeta  283 


verius  credantur  et  ab  omnibus  diligentius  observentur,  preceptionis 
huius  paginam  sigillo  nostro  iussimus  roborari.  Bene  valete. 

R. 

Ego  Johannes  archidiaconus  sancte  Romane  ecclesie  hoc  privi- 
legium  roborans  subscribo. 

Ego  Ugo  episcopus  (•)  sancte  Penestrinensis  ecclesie  subscribo  et 
confirmo. 

Ego  Theodericus  Albanensis  ecclesie  episcopus  laudo  et  con- 
firmo. 

Ego  Paulus  primicerius  sancte  Romane  ecclesie  subscribo. 

lohannes  cardinalìs  tituli  sancte  Prisce  subscribo. 

Guido  cardinalis  tituli  sancte  Balbine  roborans  subscribo. 

Romanus  cardinalis  sancti  Marci  huius  privilegii  initiator  et  lau- 
dator  et  subscriptor. 

Romanus  cardinalis  tituli  sancti  Ciriaci  in  Thermis  cui  factum 
est  hoc  privilegium  confirmo  et  laudo. 

Nicolaus  cardinalis  tituli  sancte  Savine  subscribo. 

Ego  Octavianus  W  designatus  cardinalis  tituli  sancte  Susanne  (=) 
interfui  et  subscripsi. 

Petrus  diaconus  Romane  ecclesie  tituli  sancti  Adriani  et  archi- 
presbiter  sancte  Agnetis  virginìs  subscribo. 

Guido  diaconus  sancte  Romane  ecclesie  subscribo. 

Paganus  diaconus  sancte  Romane  ecclesie  ex  diaconia  sancte 
Marie  in  Via  lata  subscribo. 

Data  Tibure  per  manus  Guidonis  Ferrariensis  episcopi  vice(<i) 
cancellarli  et  bibliothecariì  anno  ab  incarnatione  Christi  millesimo 
.Lxxxxviiii.,  quinto  decimo  kalendas  novembris,  indictione  .vii. 

Goettingen. 

P.  Kehr. 


(a)  epis         (b)  Ottauianus        (e)  Suxanne        (d)  Da  supplire  Petri 


284  L.  Jiimì 


UNA  LETTERA  DEL  BAYEUX 

ORATORE    DI   FRANCESCO  I   IN   VENEZIA 

AL   DATARIO    GIAN    MATTEO  GIBERTI    IN    ROMA 

(il  dicembre  1526). 


Riferisce  Marin  Sanuto,  che  agli  11  dicembre  1526  fu 
presentata  alla  Signoria  di  Venezia  una  lettera  del  datario 
di  Clemente  VII,  Giovan  Matteo  Giberti,  in  data  di  Roma, 
del  5  dello  stesso  mese.  Indirizzavasi  al  legato,  il  vescovo 
di  Pola  (Altobello  Àveroldi).  Si  richiedevano  all'  alleata  re- 
pubblica i  mandati  per  venire  ad  un  accordo  con  Carlo  V. 

Era  quello  il  momento  del  maggiore  imbarazzo  del  papa. 
Di  Francia  non  si  vedeva  mai  arrivare  né  denaro,  né  aiuti. 
La  flotta  spagnola  minacciava  da  una  settimana  ali*  altra. 
Non  avrebbe  bastato  un  mese  per  apprestare  la  difesa. 
Clemente  VII  si  sentiva  troppo  debole  a  sostenere  un  peso 
che  si  andava  aggravando  tutto  sulle  sue  spalle.  O  per 
sollecitare  il  Cristianissimo  a  muoversi,  o  perchè  non  ve- 
desse ormai  una  via  di  scampo,  si  decise  a  trattare,  senza 
intesa  del  re,  coir  imperatore.  Era  un  brutto  tiro  che  egli 
mirava  ai  Francesi.  Ma  egli  pensava  unicamente  allo  Stato 
ecclesiastico  e  a  Firenze,  e  non  badava  agli  alleati.  La 
morte,  avvenuta  il  30  novembre,  di  Giovanni  de'  Medici, 
sul  quale  riposava  tutta  la  sua  fiducia,  1'  arrivo  del  Lannoy 
e  le  sollecitazioni  interessate  di  Schomberg  e  del  Quinonnes, 
il  generale  dei  Francescani,  decisero  il  papa  a  scrivere  a 
Venezia  dell*  accordo.  I  Veneziani  erano  incerti.  Ma  l'ora- 


Varietà  285 


tore  di  Francia,  Ludovico  di  Canossa,  vescovo  di  Bayeux, 
si  riscaldò,  tuttoché  conoscesse  fin  dal  mese  di  agosto  la 
tendenza  della  corte  pontificia.  Invitato  ad  esser  presente 
al  Consiglio,  disse  avanti  ad  esso  : 

Volé  vu  che  sia  testimonio  a  questo?  Vi  dico  non  se  dia  tratar; 
né  sì  poi  tratar  alcuna  cosa  senza  saputa  del  re  che  è  colegato;  però 
che  si  acorderà  contra  de  voi. 

E  con  la  berretta  in  mano,  si  faceva  a  pregare  Dio  che 
ispirasse  il  meglio.  Il  doge  stesso  si  levò  e  parlò  lunga- 
mente contro  il  parere  de'  Savi,  i  quali  pareva  si  accostas- 
sero alle  vedute  del  papa.  Facendo  le  viste  di  temere  il 
re  unito  colF  imperatore  ai  danni  della  repubblica,  i  Vene- 
ziani consigliarono  il  papa  a  chiedere  una  tregua  di  quattro 
o  sei  mesi.  Cosi  risposero  nello  stesso  giorno,  11  di- 
cembre (i). 

Ma,  proprio  nello  stesso  giorno,  un'altra  lettera  fu 
scritta  da  V"enezia,  in  ordine  a  ciò,  al  datario.  Chi  la  scrive 
è  informato  della  lettera  indirizzata  al  legato,  quella  del 
5  dicembre  sopra  ricordata,  e  vi  risponde  per  conto  pro- 
pria. La  copia  non  reca  firma,  ma  evidentemente  è  scritta 
dal  Canossa.  Ci  dice  il  Sanuto  in  data  de'  22  : 

El  Baius,  in  questi  zorni,  ha  scritto  a  Roma,  al  datario  una  bona 
lettera  per  intertenir  il  papa  non  sì  accordi  con  li  cesarei,  dicendo 
haver  scritto  aire  Christianissimo;  et  se  il  papa  si  acordarà,  farà  che 
'1  suo  re  farà  ogni  partito  con  Cesare  per  poter  poi  vendicarsi  contra 
Soa  Santità  et  a  la  sua  ruina  (2). 

Appunto  questo  è  il  tenore  della  lettera  che  sotto  la  data 
degli  1 1  dicembre  fu  scritta  da  Venezia  al  datario.  Ed  è 
scritta  dal  Bayeux,  non  vi  è  dubbio.  Trattenuta,  prima  di 
spedirla,  ben  sette  giorni,  non  credo  tanto  per  sentirci  la 
mente  del  doge  e  del   Consiglio  (come  nell'annotazione 


(i)  Sanuto,  DianV,  XXIII,  420. 
(2)  Op.  cit.  p.  478. 


28^  L.    fumi 

alla  lettera  stessa),  quanto  per  attendere  gli  avvisi  di  Fran- 
cia, che  giunsero  il  22,  quando  essa  arrivò  al  datario  non 
pare  che  facesse  un  grande  effetto.  Invettive!  (si  disse).  E 
non  ne  fu  tenuto  conto.  Cosi  V  annotazione  suddetta.  Ed  è 
vero;  poiché  abbiamo  precisamente  una  lettera  del  datano 
dei  17  dicembre  che  risponde,  e  risponde  per  V  appunto 
al  Baiusa  ambasciatore.  Risponde  tranquillo,  prolisso,  circo- 
stanziato a  lui  che  era  stato  indiscreto,  intemperante,  ve- 
hemente.  Riversa  la  colpa  su  i  Francesi. 

L'  estremo  de'  mali  che  può  portarci  l' accordo  (dice  il  datario) 
non  è  niente  più  di  quello  ove  ci  conduce  la  guerra,  non  havendo 
alcun  modo  di  sostenerla,  se  non  per  pochissimo  tempo  ...  Ha  un 
bel  dire  chi  ha  li  pie'  fermi  et  grida  a  quel  che  è  nell'  acqua  per  an- 
negarsi, che  si  aiuti,  non  li  porgendo  né  la  mano,  né  un  pezzo  di 
tavola  da  sostenersi ...  La  poca  cura  che'  Francesi  hanno  havuto 
delle  cose  nostre  ci  ha  fatto  perdere  questa  impresa  :  che  s'  avessero 
amata  Italia  quanto  V.  S.  dice,  non  1'  hariano  disprezzata  et  refutata, 
quando  essa,  per  non  andare  in  preda  d'altri,  se  li  é  voluta  buttar 
nelle  braccia:  il  che  é  segno,  che  non  solo  non  l'amino,  ma  che 
quasi  per  dispetto,  che  si  levasse  già  dal  giogo  loro,  1'  habbìno  vo- 
luta mettere  sotto  uno  assai  più  grave  . . .  Nessuno  [errore]  é,  forse, 
stato  maggiore,  che  1'  haver  creduto  che'  Francesi  fossero  per  gover- 
narsi a  questa  volta  con  più  prudentia  et  più  bontà  che  non  sogliono; 
il  che  fu  causa,  che,  pensando  che  lor  ci  seguissero  gagliardamente, 
fummo  SI  corrivi  a  cominciar  la  guerra  . . .  Non  avanzando  hora  a 
Nostro  Signore  altri  partiti,  che,  o  di  fuggirsi  e  lasciar  lo  stato  della 
Chiesa  e  di  Fiorenza  in  preda  all'  imperatore,  donde  possa  cavar 
quanti  danari  vuole  per  far  la  guerra  a'  signori  Veneziani,  et,  forse, 
in  Francia;  o  d'accordarsi  et  mettersi  più  presto  a  risico  di  minare, 
mancandoli  l' imperatore  della  fede  che  a  certezza  di  minar  per 
l'ostination  sua,  a  me  par  manco  male  pigliare  accordo,  come  si 
può...  (i). 

Cosi  il  Giberti  rimbeccò  il  Canossa,  accaparrandosi  il 
disfavore  della  repubblica  veneta,  la  quale,  molti  anni  dopo, 
doveva,  invece,  accagionarlo  di  tener  bordone  alla  politica 
francese. 

(i)  Lettere  di  principi,  Venezia,  Ziletti,  1575,  pp.  187  b  a  192  a. 


l'ari  età  287 

Anche  Sanuto  scrive  in  data  de'  24: 

Vene  U  legato  che  parlò  zerca  le  cose  di  Roma  et  monstroe  let- 
tere del  datario.  Li  scrive  :  il  papa  voi  star  saldo  et  aspetar  che  zonzi 
il  signor  Renzo  da  Cere  che  vien  di  Pranza  (i). 

Tuttavia,  dopo  il  Natale,  Clemente  VII  era  ancora  ir- 
resoluto. Si  andava  indugiando,  nella  speranza  che  i  Fran- 
cesi si  muovessero.  Le  condizioni  proposte  dal  Lannoy  non 
erano  certamente  tali  da  far  decidere  anche  i  più  risoluti. 
La  guerra,  in  Campagna,  con  vicende  varie  alternandosi, 
allargava  il  cuore,  dopo  la  vittoria  di  Prosinone  e  dopo  la 
ritirata  del  viceré.  Da  Francia  arrivava  il  desiderato  oro. 
Finalmente  il  Lannoy  riusci  ad  entrare  nella  fiducia  del 
papa,  il  quale,  malgrado  le  dissuasioni  di  Renzo  da  Ceri, 
del  Rapel  e  de'  Veneziani,  si  persuase  ad  accettare  il  trattato 
dei  16  marzo.  Doveva  portare  la  pace,  e,  invece,  recise 
le  fila  in  mano  alla  diplomazia.  Le  avide  milizie  del  Bor- 
bone non  si  tennero  più,  e  piombarono  su  Roma. 

La  lettera  dell'  oratore  francese,  tratta  da  una  copia  (se- 
colo xvi)  dell'archivio  Vaticano,  dal  fondo  dtì  politici,  è  assai 
notevole.  Scritta  cinque  mesi  avanti  il  sacco,  è  sommamente 
sintomatica,  gravissima.  Risponde  ab  irato,  e  nella  sua  vio- 
lenza prende  il  tono  di  quei  censori  acri  della  Curia  che 
si  andavano,  allora,  moltiplicando,  specialmente  in  Germa- 
nia. I  severi  giudizi  del  vescovo  di  Baiosa,  le  terribili  mi- 
nacele sue  arrivavano  già  molto  tempo  prima  che  il  fati- 
dico Brandano  diffondesse  per  l'eterna  città  i  suoi  lunghi 
lai.  I  sarcasmi  sono  sanguinosi;  non  cosi  le  parodie  inglesi; 
né  a  tanto  arrivò  il  Derni,  giudicando  il  papato  di  Cle- 
mente VII  : 

Un  papato  composto  di  rispetti, 
Di  considerazioni  e  di  discorsi, 
Di  più,  di  poi,  di  ma,  di  si,  di  forsi, 
Di  pur,  di  assai  parole  senza  effetti; 

(i)  Diarii  cit.  p.  $00. 


L,    fumi 


Di  pensier,  di  consigli,  di  concetti, 
Di  conghìettLire  magre  per  opporsi  ; 
D' intrattenerti,  pur  che  non  si  sborsi, 
Con  audìenze,  risposte  e  bei  detti; 

Di  pie'  di  piombo  e  di  neutralità. 
Di  pacìenza,  di  dimostrazione 
Di  fede,  di  speranza  e  carità; 

D' innocenzia,  di  buona  intenzione, 
Ch'  è  quasi  come  dir  semplicità. 
Per  non  le  dar  altra  interpretazione. 

Sia  con  sopportazione, 
Lo  dirò  pur,  vedrete  che  pian  piano 
Farà  canonizzar  papa  Adriano  (i). 


L.  Fumi. 


Lettera  scritta  da  Venetia  a  m.  Gio.  Matteo  Giberti 
datario,  et  vescovo  di  Verona  per  la  quale  fu  pre- 
detto il  sacco  di  Roma.   1526. 

[Arch.  Vatic,  PolilU.  6,  e.  258.] 

Io  son  certo,  R.  signor  mio  oss.^^o^  eh'  io  non  intesi  mai,  né 
temo  di  potere,  per  l'avvenire,  intender  cosa,  che  tanto  mi  dispia- 
cesse, quanto  mi  dispiace  1' haver  compreso,  per  quello  che  per  l'ul- 
tima vostra  si  scrive  al  r.mo  Legato  qua,  che  siate  del  tutto  risoluti, 
non  solo  d'accordarvi  con  l' imperatore,  ma  di  farlo  senza,  non  dirò 
volontà,  ma  saputa  del  re.  II  che,  quanto  sia  lontano  da  ogni  pietà 
et  religione,  temo  che  la  pena  et  rovina  che  ne  riceverete  lo  farà 
manifesto  a  tutto  il  mondo.  La  qual  rovina  non  vedo  come  possiate 
fuggire.  Lasciamo  il  giudicio  di  Dio,  che  mai  non  erra;  ma  discor- 
riamo, per  r  evidenti  et  infallibili  ragioni  che  habbiamo  davanti  agli 
occhi;  et  le  quali  io  ho  più  volte  scritte.  Le  quali,  vedendo  io  che 

(i)  Nell'edizione  dei  Sonetti,  Navo,  1540,  il  presente,  che  vi  è 
stampato  per  la  prima  volta,  ha  per  titolo:  Bernia  per  Cle- 
mente VII.  V.  Berni,  Rime,  Firenze,  Succ.  Le  Monnicr,  pag.  43, 
n.  XVII. 


Varietà  289 


non  bastano  a  far  lume  a  tanta  vostra  cecità,  io  sono  risoluto  che 
Iddio  vi  vuole  per  istroraento  della  rovina  d' Italia  et  di  tutta  Chri- 
stianità  insieme.  Et  se  prima  non  vi  sete  accorto  della  causa  di  tante 
vostre  grandezze,  hora  ve  ne  possete  accorgere,  et  ragionevolmente 
pentire  d'  haverle  conseguite  ;  poiché  elle  hanno  ad  essere  usate  so- 
lamente per  instrumento  di  tanto  male!  È  egli  possibile  che  non  vi 
avveggiate,  che,  se  vi  accordiate  senza  Francia,  [che]  lo  sforzare  [il 
Cristianissimo]  a  darsi  in  preda  all'  imperatore  per  recuperare  li  suoi 
figliuoli?  Ma  anco  più  per  vendicarsi  di  tanta  iniqua  ingiuria,  quanta 
gli  parerà  di  ricevere,  et  che  in  effetto  riceverà?  E,  conoscendo  voi 
che  è  in  potestà  di  Sua  Maestà  il  farlo,  non  so  come  anco  non  co- 
nosciate perchè  non  lo  debba  poi  fare;  vedendosi  abbandonato,  et  senza 
alcuna  causa,  da  coloro,  la  libertà  de'  quali  ha  havuto  tanto  a  cuore, 
che  ha  posposto  l'amore  delli  figli,  et  lasciata  la  fede  sua  in  dubio, 
per  non  consentire  a  quella  rovina  della  povera  Italia.  La  qual  ro- 
vina voi  con  tanta  vostra  infamia  procurate  che  segua  !  Et  Dio  vo- 
glia, che  anco  non  diate  denari  agli  inimici,  per  haver  maggior  parte 
in  tal  rovina;  et  anco  acciocché  non  vi  resti  senza  alcuna  scusa  d'es- 
servi accordati  ;  non  fondando  in  altro  l' accordo  vostro,  che  nel  bi- 
sogno del  denaro;  oltra  di  questo  parendovi  di  non  poter  fare  soli 
tanta  ingiuria  a  Francia,  quanta  vorreste;  o,  forse,  temendo  che  Sua 
Maestà  habbia  più  riguardo  alla  fede  di  questa  Signoria,  che  all'  in- 
fedeltà vostra;  et  che  perciò  si  faccia  più  difficile  l'impresa  d'Italia 
all'imperatore;  overo  per  aver  voi  compagni  alla  vergogna  vostra, 
fate  tanta  instanza,  che  la  detta  Signoria,  posposta  la  fede  sua,  mandi 
li  mandati  per  accordarsi;  non  gli  allegando,  però,  altra  causa,  perchè 
si  debba  fare,  se  non  per  non  rovinare,  ad  instanza  di  Francia.  Quasi 
che  si  potesse  haver  maggior  rovina  di  quella,  che,  al  certo,  s'  ha- 
rebbe,  accettando  le  conditioni  che  sono  proposte  da  quel  vostro  ge- 
nerale. Ma  io  spero,  anzi  son  certo,  che  questi  illustrissimi  Signori 
si  porteranno  di  sorte,  che  l'amicitia  loro  sarà  sempre  più  stimata 
della  vostra.  Le  chiese  havranno  a  rovinare,  il  che  Dio  non  voglia. 
Vorranno  che  la  forza  et  non  l'infedeltà  li  rovini? 

Alla  parte  che  V.  S.  dice,  che  il  re  volse  già  dare  due  millioni 
d'oro  per  rihaver  li  figli,  vi  rispondo:  che  questo  non  si  può  credere 
aJ  altro  che  il  dica;  né  anco  all' imperator  proprio,  quando  lo  di- 
cesse. Perchè,  in  simili  casi,  molte  cose  si  dicono,  molte  volte,  per 
tentare  gli  animi  et  non  per  farle.  Ma  presupponiamo  che  '1  sia  vero: 
forse,  fu  a  tempo  che  il  re  non  haveva  ancora  scoperto  l'animo  suo 
verso  l'imperatore,  et  che  forse  harebbe  pagato  un  niillione  d'oro 
d' avantaggio,  più  presto  che  prender  Tarmi  contro  quello;  al  quale, 
prigion  però,  haveva  obligata  la  fede  sua  ;  et  questo  per  non   met- 

Archivin  della  R.  Società  romana  di  storia  fa  tri  t.  >' -'    ^\\\\.  19 


290  L.   Jiimi 


tere  in  dubbio,  s'era  obligata,  o  no,  ad  osservarla.  Ma  lasciamo  questo. 
Perchè  vogliamo  noi  esser  giudici  et  determinatori  della  volontà  di 
Sua  Maestà,  la  quale,  se  sarà  contenta  di  pagare  tanta  somma,  l'ac- 
cordo seguirà  con  sua  sodisfattìone  et  con  honor  vostro,  se  altra 
difficoltà  non  vi  sarà?  Ma  non  essendo  ella  contenta,  perchè  la  vo- 
lete voi  astringere  che  lo  faccia?  Quasi,  come  se  la  povertà  di  Francia, 
et  la  ricchezza  dell'  imperatore  fosse  per  portar  gran  commodo  al- 
l'Italia,  et  non  la  total  rovina  sua! 

Quanto  a  quello  che  V.  S.  dice,  che  il  re  non  ha  osservato  quello 
che  haveva  promesso,  dico,  che  io  penso,  ch'egli  habbia  sodisfatto 
all'  obligo  suo.  Ma,  quando  pur  non  gli  havesse  sodisfatto,  era  debito 
delli  confederati  di  protestarli  di  non  voler  essere  più  obligati  alla 
capitulatione  fatta;  poi  che  Sua  Maestà  era  mancata,  et  non  torli  li 
suoi  denari,  et  ogni  dì  cercar  d'haverne  d'avantaggio,  senza  mo- 
strarli di  volerlo  mai,  per  simil  conto,  abbandonare.  Et  certo,  se  io 
credessi  che  l' iscusare  lo  mancamento  vostro  vi  potesse  liberar  da 
quella  rovina  che  vi  vedo  nascere,  non  solo  io  escusarei  voi,  ma,  per 
minor  male,  accusarci  il  re.  Ma  conoscendo  io  che  questo  v'  ha  da 
giovar  poco,  voglio  (non  possendo  io  sodisfare  con  altro  alla  servitù 
eh'  io  vi  porto)  sodisfargli  col  dirvi  il  vero.  11  che  se  vi  dispiace  che 
v'  habbia  detto,  sappiate  che  a  me  molto  più  duole  et  rincresce  della 
causa  che  m'  havete  data  di  doverlo  dire. 

Né  altro  vi  scrivo,  né  sono  per  iscrivere  circa  questo,  se  non 
che,  per  hora,  et  nei  presenti  maneggi,  non  vi  possete  fidare  del- 
l' imperatore,  et  manco  delli  suoi  ministri  ;  et  che  facendo  l' accordo, 
disperate  per  sempre,  non  dico  solo  il  re,  ma  tutto  il  regno  suo,  et 
che  sforzarete  ognuno  a  desiderare  la  rovina  vostra  et  ad  allegrarsi 
d'  essa,  et  che  non  trovarete  più  a  chi  poter  appoggiare  la  debolezza 
vostra,  perchè  non  si  trovarà  chi  più  si  vogha  fidar  di  voi. 

AUi  .XI.  dicembre  1526. 


[Annotazione  scritta  dalia  stessa  mano.] 

Questa  soprascritta  lettera  fu  scritta  da  Venetia  a  m.  Giovan 
Matteo  Giberti,  datario  et  vescovo  di  Verona  ;  il  quale  scrivea  per 
papa  Clemente  VII  de'  negotii  &c.  Et  prima  che  si  mandasse,  fu 
mostrata  al  serenissimo  principe  et  al  suo  Collegio,  per  intendere  il 
parer  loro  s'era  di  mandarla  o  no.  La  tennero  sette  giorni:  alla 
fine  si   risolvettero  che  si  mandasse,  in  ogni  modo.  Fu  scritto  da 


Varietà  291 


Homa,   indietro,  che  se  li  scrivevano  invettive:  non  ne   fu  tenuto 
conto. 

Alli  .VI.  o  .VII.  di  maggio  1527  seguente,  Roma  fu  presa  et  sac- 
cheggiata dagli  imperiali  &c.;  et  molti  di  quelli  signori  gentilhuo- 
mini  del  Collegio,  et  insieme  il  duca,  ricordandosi  di  questa  let- 
tera, come  intesero  del  sacco  di  Roma,  ne  volsero  copia,  come  di 
una  profetia  profitizzata  tanti  mesi  innanzi;  et  ne  fumo  fatte  circa 
40  copie.   . 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ 


SedtUa  del  22  gennaio  igoo. 

Sono  presenti  i  soci  U.  Balzani,  presidente;  I.  Giorgi, 
segretario;  O.  Tommasini,  L.  Duchesne,  T.  von  Sickel, 
G.  LuMBROso,  L.  Mariani,  ed  i  signori  Pometti,  Fedele 
e  Federici,  invitati  alla  riunione. 

Il  Presidente  dà  la  parola  al  prof.  Lumbroso,  il  quale 
fa  una  breve  comunicazione  sul  Concilio  per  li  Romani  in 
Araceli,  alla  morte  di  Eugenio  IV.  Questa  comunicazione 
sarà  pubblicata  nei  prossimi  fascicoli  àoiV Archivio, 

Il  prof.  Mariani  parla  intorno  alla  stele  del  Foro  Ro- 
mano, facendo  osservare  che  a  torto  si  vuole  abbassare  la 
data  di  quel  monumento  per  mezzo  di  criteri  indiretti.  I 
dati  archeologici,  come  ha  recentemente  messo  in  luce  il 
von  Duhn,  non  permettono  di  scendere  più  giù  del  prin- 
cipio del  VI  secolo  a.  C.  Il  Mariani  dimostra  principal- 
mente senza  valore  il  criterio  delle  misure,  secondo  il  piede 
attico,  che  si  vuole  introdotto  in  Roma,  non  prima  del 
350  a.  C.  La  misura  fondamentale  italica,  come  risulta  dal- 
l'esame delle  terremare,  è  appunto  di  0.29— 0.30  cm.,  cioè 
identica  al  piede  romano  seriore,  il  quale  quindi  non  ò 
un*  importazione  greca.  Osserva  inoltre  che  la  cronologia 
romana  tradizionale,  invece  di  essere  «  arcaizzante  »  è  stata 
ringiovanita;  confronta  le  antichità  della  necropoli  esqui- 


294  (2/^///  della  Società 

lina.  Nota  infine  alcuni  particolari  della  costruzione  del- 
Tedifizio  che  è  un'edicola  compitale,  di  architettura  etrusca. 

Il  dott.  Vincenzo  Federici  comunica  di  aver  trovato- 
fra  le  pergamene  dell'archivio  di  S.  Maria  in  Trastevere 
una  bolla  di  Callisto  II;  l'originale -invano  cercato  da  Ulisse 
Robert  {Le  huììaire  da  pape  Calixte  II,  Paris,  Picard,  1891,. 
II,  213),  di  cui  questi  pubblica  una  copia  traendola  dal  Mo- 
retti  {Ritus  danài  preshyterium,  p.  332).  La  bolla  è  datata 
da  Alba,  il  io  luglio  1123  ;  è  scritta  «  per  manum  Alexit 
«  scriniarii  regionarii  et  notarli  sacri  Palatii  »,  scriniario  che 
si  trova  questa  volta  sola  nelle  bolle  di  Callisto;  e  data 
«  per  manum  Americi  S.  R.  E.  diaconi  cardinalis  et  cancel- 
«  larii  »,  che  apparisce  in  bolle  posteriori  al  28  aprile  1123. 
Manca  la  «  bulla  plumbea  »,  ma  son  visibili  i  buchi  dove 
era  appesa:  la  pergamena  è  spezzata  dall' umiditcà  e  dalle 
pieghe  in  dodici  frammenti;  ma  tranne  alcuni  luoghi  in 
cui  la  scrittura  è  completamente  scomparsa,  nel  resto  è 
chiaramente  leggibile. 

Fra  i  documenti  di  qualche  interesse  che  si  conservane^ 
neir  archivio  di  S.  Marco,  il  Federici  segnala  due  mano- 
scritti gotici  della  fine  del  secolo  xv,  che  aggiungono  qual- 
che  cosa  alle  scarse  notizie  che  si  posseggono  della  mi- 
niatura e  deirornamento  dei  codici  romani.  Il  primo  volume 
(n.  374)  è  un  lezionario  in  pergamena  di  carte  centodo- 
dici  (i),  scritto  tutto  d'  una  mano.  La  carta  2  a  ha  una 
bella  miniatura  ornamentale  nel  margine  superiore  dove 
è  una  storia  con  la  figura  di  Paolo,  nel  margine  sinistra 
e  neir  inferiore  dove  è  dipinto,  entro  una  corona,  lo  stemma 
di  Paolo  II  Barbo. 

Altre  belle  lettere  miniate  sono  nelle  ce.  82  a,  94  a; 
e  in  tutte  le  altre  carte,  sempre  alternate  con  due  colori, 
il  rosso  e  il  verde. 

Il  secondo  volume  (n.  373),  anche  esso  in  pergamena 

(i)  Sono  lasciate  in  bianco  le  ce.  109  b,  ho,  ih,  112;  della 
e.  109  A  sono  scritte  le  sole  linee  1-14. 


oAtti  della  Società  295 

di  carte  centosei  scritte  tutte  della  medesima  mano  (i),  ha 
una  bella  miniatura  ornamentale  (e.  2  a)  con  lo  stemma 
dello  stesso  Paolo  IL  Nel  lato  destro  della  medesima  carta 
è  dipìnta  una  viola  con  grande  sentimento  e  con  delicata 
armonia  di  colori.  Le  prime  ottanta  carte  del  manoscritto 
hanno  le  lettere  iniziali  ornate;  da  e.  80  in  poi  le  iniziali 
sono  tutte  miniate. 

Il  dott.  Pietro  Fedele  esamina  la  data  di  elezione  di 
Benedetto  IX.  Le  note  cronologiche  di  alcuni  documenti 
medievali,  del  Regesto  di  Farfa,  di  S.  Cosiraato  e  dell'  ar- 
chivio di  S.  Maria  Nova,  consiglierebbero  a  porre  l'elezione 
di  quel  pontefice  anteriormente  al  gennaio  del  1033,  data 
posta  dallo  Jaffé  (ci,  questo  stesso  fascicolo  àdV  Archivio  a 
p.  20^,  nota  2).  Inoltre  il  dott.  Fedele  offre  un  contributo  alla 
storia  delle  associazioni  in  Roma  nel  medioevo.  Ricordate 
le  più  antiche  «  scholae  »  finora  conosciute,  dà  notizia  del- 
l'esistenza di  alcune  nuove  associazioni  in  Roma  nella  prima 
metà  del  secolo  xi.  Fra  queste  è  particolarmente  notevole  la 
((  Schola  aerariorum»  che  appare  nei  documenti  di  S.  Maria 
Nova.  Il  dott.  Fedele  ne  discorre  a  lungo,  e  chiude  la  sua 
comunicazione,  esaminando  un  documento  del  xii  secolo, 
spettante  ad  una  «  Schola  salinariorum  »,  che  non  è  senza 
importanza  per  farci  conoscere  lo  sviluppo  e  la  vita  giu- 
ridica di  queste  associazioni  in  Roma  nel  medioevo. 

Seduta  del  26  marzo  igoo. 

La  seduta  è  aperta  alle  ore  15.30  nella  sede  sociale. 
Sono  presenti  i  soci  U.  Balzani,  presidente;  I.  Giorgi, 
segretario;  G.  Navone,  tesoriere;  P.  Savignoni,  C.  Schia- 

PARELLI,    O.   TOMMASINI. 

(i)  Sono  in  bianco  le  ce.  79,  105  b,  106;  sono  scritte  solo  !a 
prima  linea  della  e,  59  b,  le  prime  due  di  e.  loi  b,  le  prime  dicci 
di  e.   105  A. 


29^  (^tti  della  Società 

I  soci  Maes  ed  E.  Monaci  hanno  scritto  scusandosi 
di  non  potere  intervenire. 

II  Segretario  legge  il  verbale  della  seduta  precedente 
che  è  approvato. 

Il  Presidente  annunzia  che  ha  avuto  T  onore  di  pre- 
sentare a  S.  M.  il  Re  le  pubblicazioni  sociali  dell'  anno 
precedente  e  che  S.  M.  si  è  degnata  incaricarlo  di  espri- 
mere ai  colleghi  i  sentimenti  del  suo  interesse  per  l'opera 
della  Società.  Legge  quindi  la  seguente  relazione: 

«  Egregi  colleghi, 

«  Il  volume  veiitesimosecondo  del  nostro  Archìvio,  di 
cui  vi  presento  Tultimo  fascicolo,  ci  dà  prova  sicura  che 
gli  studi  nostri  destano  molto  interesse  nei  giovani,  e  che 
una  nuova  schiera  di  eruditi  viene  sorgendo,  la  quale  potrà 
un  giorno  continuare  l'opera  a  cui  ci  siamo  dedicati.  In 
questo  volume,  il  signor  abate  Maurice  muovendo  dallo 
studio  sulla  Schola  cantorum  lateranense  già  pubblicato  dal 
collega  Ernesto  Monaci,  studia  una  raccolta  d' inni  sacri 
contenuti  in  un  codice  Vaticano  e  in  uno  Parigino,  e  ne 
dimostra  l'origine  romana.  Il  dottor  Federici,  alunno  della 
nostra  Scuola  storica,  ha  incominciata  e  condotta  molto 
innanzi  la  pubbHcazione  delle  carte  del  monastero  di  S.  Sil- 
vestro in  Capite,  e  il  dottor  Fedele,  anch'egli  alunno  della 
Scuola  storica,  ha  continuata  e  compiuta  quella  della  parte 
più  antica  delle  carte  del  monastero  dei  Ss.  Cosma  e  Da- 
miano. Inoltre  il  dottor  Fedele  ha  pubblicato  due  note- 
voli memorie,  1' una  sulla  battaglia  del  Garighano  del  915, 
e  sui  monumenti  che  la  ricordano,  1'  altra  relativa  alla  to- 
pografìa del  Foro  Romano  nel  medio  evo,  e  alle  origini 
di  S.  Maria  Nova.  Il  prof.  Pometti  ha  continuato  i  suoi  studi 
sul  pontificato  di  Clemente  XI,  e  il  socio  Tomassetti  ha 
ripresa  la  sua  illustrazione  della  Campagna  romana  nel  medio 
evo,  lungo  e  pregiato  lavoro  che  oramai  si  accompagna  e 
aderisce  a  tutta  la  serie  del  nostro  Archivio.  Contributo  in- 


OAtii  della  Società  297 

teressante  recano  a  questo  volume  anche  i  documenti  pub- 
blicati dal  professor  Rosi  sulla  congiura  di  Giacinto  Cen- 
tini  contro  Urbano  Vili,  e  dal  professore  Casanova  sopra 
una  visita  di  un  papa  avignonese  (Clemente  V)  ai  suoi 
cardinali,  e  sulla  donazione  fatta  da  Leone  X  al  cardinale 
de'  Medici  ;  nonché  le  memorie  del  professore  Egidi  in- 
torno al  terzo  vescovo  di  Viterbo  e  ad  una  leggenda  vi- 
terbese suir  origine  dei  Paleologi,  e  quella  del  socio  Al- 
fredo Monaci  sul  sarcofligo  di  sant*  Elena  nel  museo  Pio 
dementino. 

«  Di  alcuni  di  questi  lavori  avevano  già  dato  notizia  gli 
autori  nelle  riunioni  destinate  alle  comunicazioni  scienti- 
fiche, che  la  Società  ha  iniziato  e  dalle  quali  trarremo  sempre 
maggiore  profitto  se,  come  io  spero,  esse  troveranno  nella 
volenterosa  cooperazione  vostra,  il  necessario  incremento. 

«  I  lavori  che  ho  ricordato  dei  due  alunni  della  Scuola 
storica,  fanno  solo  in  parte  testimonianza  della  molta  e 
lodevole  attività  loro.  Altri  lavori  essi  hanno  già  pronti  o 
in  preparazione  che  saranno  pubblicati  nei  prossimi  fasci- 
coli deir  Archivio,  tra  i  quali  mi  limito  per  ora  a  segnalare 
la  edizione  delle  carte  importantissime  della  chiesa  di 
S.  Maria  Nova,  che  sarà  curata  dal  dottor  Fedele.  Di  altri 
archivi  pure  importanti,  che  egli  e  il  suo  collega  dottor  Fe- 
derici stanno  esplorando,  sarà  opportuno  dar  conto  quando 
il  risultato  delle  ricerche  sarà  più  completo.  Questi  lavori, 
oltre  la  continuazione  di  quelli  già  in  corso,  ed  altri  di 
cui  già  si  tenne  parola  nelle  precedenti  relazioni  e  di  cui 
per  diverse  ragioni  si  era  differita  la  pubblicazione,  daranno 
materia  più  che  bastevole  al  futuro  volume  del  nostro  Ar- 
chivio. 

«  La  preparazione  delle  pubblicazioni  libere  procede  an- 
ch' essa  senza  rallentare.  Si  sono  continuati  gli  studi  pre- 
paratori per  i  futuri  fascicoli  dei  diplomi  imperiali  e  reali 
delle  cancellerie  d'  Italia  pubblicati  a  facsimile,  e  tra  questi 
studi  ricordo  con  riconoscenza  un  elenco  pregevole  dì  di- 


298  oAtti  della  Società 

plomi  inviato  dal  professor  Paolo  Kehr  dell'Università  di 
Gottinga,  che  certo  agevolerà  le  ricerche  necessarie  a  com- 
pletare il  piano  dell'  intero  lavoro.  Ho  poi  l'onore  di  pre- 
sentarvi le  prove  di  pagina  dei  primi  fogli  del  Liber  hysto- 
riarnm  Romanorum,  intorno  al  quale  spende  le  sue  cure 
il  collega  Ernesto  Monaci,  e  le  prime  bozze  dell'  indice 
dei  luoghi  del  Regesto  di  Far/a.  Esaminando  quel  che  vi 
pongo  innanzi  del  primo  di  questi  lavori,  potrete  facilmente 
rendervi  conto  e  della  sua  importanza  e  della  rara  perizia 
con  la  quale  è  condotto;  e  quanto  all'indice  del  Regesto 
di  Farfa  vi  sarà  pur  facile  di  vedere  come  si  tratti  di  la- 
voro lungo,  minuzioso,  paziente,  che  richiede  assai  tempo 
per  essere  ridotto  a  quella  precisione  che  gli  darà  il  pregio 
storico,  topografico  e  filologico  eh'  esso  deve  avere. 

«  Vi  presento  anche  le  prove  di  stampa  dei  fogli  con- 
tenenti la  Constructio  Farfensis  e  gli  scritti  dell'  abbate  Ugo 
di  Farfa  che  debbono  precedere  il  testo  del  Chronicon  Far- 
fense  nella  edizione  che  per  incarico  della  Società  io  vengo 
curando,  e  che  sarà  pubblicata  dall'Istituto  Storico  Italiano. 
Fra  pochi  giorni  potrò  Ucenziar  questi  fogli  e  cominciar 
la  stampa  del  Chronicon.  Così  la  nostra  continuata  colla- 
borazione alla  vasta  impresa  dell'  Istituto  Storico  dà  no- 
vella prova  dei  rapporti  cordiali  che  ci  legano  all'  Istituto 
stesso,  e  mi  gode  l'  animo  di  potervi  assicurare  che  questa 
cordiahtà  di  rapporti  continua  pur  sempre  con  le  altre  So- 
cietà e  gli  altri  Istituti  di  storia  in  Italia  e  fuori,  a  cui  ci 
stringono  aspirazioni  affini  e  il  comune  amore  della  scienza 
storica  )). 

Il  socio  ToMMASiNi  notando  con  compiacenza  che  il 
presidente  nella  sua  relazione  fa  cenno  dei  cordiali  rap- 
porti tra  la  nostra  e  le  altre  Società  di  storia  patria,  do- 
manda schiarimenti  circa  la  rappresentanza  che  la  Società 
avrà  al  Congresso  storico  di  Palermo. 

Il  Presidente  dichiara  di  aver  mandato  avviso  a  tutti 
i  soci  invitando  coloro  che  desiderassero  recarsi  al  Con- 


oAtti  della  Società  299 

gresso,  di  dare  annunzio  della  loro  adesione.  Finora  si  ha  per 
certa  l'adesione  del  socio  Tommasini  stesso,  e  il  socio  Giorgi, 
segretario,  spera  di  potere  essere  libero  di  andare.  Il  Pre- 
sidente aggiunge  che  non  mancherà  di  far  nuove  premure 
ai  soci,  e  eh'  egli  stesso  è  assai  dolente  di  non  potersi 
recare  in  persona  a  Palermo,  ma  gli  vietano  il  viaggio 
gravi  impedimenti  che  lo  tengono  anche  in  dubbio  sulla 
sua  possibilità  di  rimanere  in  ufficio  per  l'  intero  biennio. 

La  relazione  è  approvata. 

Il  Presidente  riferisce  intorno  ad  alcuni  lavori  ese- 
guiti e  da  eseguirsi  dal  Genio  civile  per  assicurare  la  sta- 
bilità del  tetto  della  biblioteca  Vallicelliana  e  alle  tratta- 
tive in  corso  col  Ministero  della  Istruzione  per  guarnire 
di  scaffali  una  delle  stanze  dei  nuovi  locali. 

Il  tesoriere  Navone  dà  lettura  del  bilancio  consuntivo 
per  l'anno  1899,  e  preventivo  pel  1900  che  vengono  ap- 
provati, confermandosi  a  sindacatori  dei  prossimi  bilanci 
i  soci  Ambrosi  e  Fontana. 

Dovendosi  procedere  alla  elezione  di  nuovi  soci  si  dà 
lettura  del  verbale  dello  spoglio  delle  schede,  in  conse- 
guenza del  quale  si  procede  alla  votazione  per  scrutinio 
segreto  a  tenore  del  regolamento,  e  riescono  eletti  i  si- 
gnori professor  Michele  Rosi,  professor  Paul  Kehr,  cano- 
nico Ulysse  Chevalier. 

Si  procede  poi  alla  elezione  del  segretario  e  a  questo 
ufficio  viene  confermato  il  socio  Ignazio  Giorgi.  Del  pari 
è  confermato  al  presidente  l' incarico  di  delegato  presso 
r  Istituto  Storico. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore   17. 


Seduta  del  2j  aprile  H)oo, 

Sono  presenti  i  soci  U.  Balzani,  [^resiliente;  I.  Giorgi, 
segretario;  P.  Kehr,  E.  Monaci,  A.  Monaci,  O.  Tomma- 


300  Q^tti  della  Società 

siNi,  Coletti,  C.  Schiaparelli:  ed   i  signori  Federici, 
PoMETTi  e  Fedele,  invitati  alla  riunione. 

Pregato  dal  Presidente,  prende  la  parola  il  prof.  Kehr 
intorno  ai  due  preziosi  documenti  pontifici  illustranti  la 
storia  di  Roma  negli  ultimi  anni  del  secolo  undecimo, 
che  si  pubblicano  in  questo  fascicolo. 

Il  socio  prof.  Alfredo  Monaci  ha  la  parola,  ed  ag- 
giunge una  sua  nota  alle  osservazioni  sui  rilievi  del  fron- 
tone deir  attico  dell'  arco  di  Costantino  già  comunicate 
all'Accademia  Pontificia  di  archeologìa  nella  seduta  del 
25  gennaio  1900,  di  cui  fu  stampato  il  resoconto  nel  n.  30 
(a.   1900)  dell'  Osservatore  Romano, 

La  scultura  sesta  nella  serie  dei  rilievi  suddetti  rap- 
presenterebbe nel  fondo,  a  destra,  l*  arco  trionfale  di  Lucio 
Vero,  erettogli  in  memoria  del  trionfo  partico  l'anno  \66. 
Ciò  si  scorge: 

1°  Dalla  topografia  della  scultura,  identica  a  quella 
della  tavola  ^^"^  della  Forma  Urbis  Romae  del  eh.  profes- 
sore R.  Lanciani  ; 

2°  Dal  vedersi  sulla  sommità  dell'  arco  quattro  ele- 
fanti tirare  la  quadriga  del  vincitore:  allusione  ad  un  trionfo 
neir  Oriente.  Gli  altri  due  archi  trionfali  nella  I  regione 
della  porta  Capena,  di  Traiano  e  di  Druso,  celebravano 
vittorie  contro  i  Germani  e  i  Daci; 

3°  Dalla  composizione  della  scultura,  la  quale  per- 
derebbe il  suo  maggior  significato,  se  l'arco  trionfale  non 
alludesse  al  primo  trionfo  di  M.  Aurelio. 

Nella  medaglia  Aureliana  n.  3  del  catalogo  di  E.  Cohen 
{Description  historiqiie  &c.)  è  probabile  che  vi  sia  una  rap- 
presentazione dell'  arco  di  Lucio  Vero  suddetto,  non  av- 
vertita dall'  autore,  che  non  dà  alcun  nome  all'  arco. 

Il  prof.  F.  PoMETTi,  trattando  del  codice  Vaticano 
n.  1984,  a  proposito  degli  Annaìes  Romani  pubbHcati  dal 
Pertz  {Monum.  Germ.  hist.,  Script.  V),  arriva  alla  con- 
clusione che  il  detto  codice  rispetto  alla  natura  del  con- 


oAtli  della  Società  301 

tenuto  può  distinguersi  in  tre  parti:  storia  greca,  storia 
romana  e  storia  medioevale  fin  quasi  il  secolo  xii;  che, 
invertendo  1'  ordine  dei  fogli,  si  può  in  esso  stabilire  un'  ap- 
prossimativa progressione  cronologica;  che  l'ultimo  qua- 
derno (quello  donde  furono  tolti  gli  Annales)  è  stato  ag- 
giunto posteriormente;  e  che  infine  il  contenuto  dell'ultimo 
quaderno  è  una  continuazione  posteriore  alla  storia  dei 
Longobardi  di  P.  Diacono,  come  avvertì  il  Bethmann 
(^Archiv,  V),  ma  contrariamente  all'opinione  dello  storico 
tedesco  egli  la  reputa  suscettibile  di  fornire  altre  notizie 
da  aggiungersi  agli  Annales  Romani, 

Il  dott.  Federici  annunzia  il  ritrovamento  di  un  ma- 
noscritto del  secolo  ix,  il  più  antico  codice  databile  che  si 
conosca  finora,  in  minuscola  romana,  scritto  a  Roma  o 
nella  provincia. 

È  il  codice  C,  185  dell'archivio  di  S.  Maria  Maggiore, 
scritto  da  un  tal  Ermenulfo,  forse  monaco,  per  ordine  di 
Martino,  vescovo  della  chiesa  di  Piperno,  di  cui  si  sa  che 
sottoscrisse  1'  atto  di  condanna  contro  Giovanni,  arcive- 
scovo di  Ravenna,  emanato  dal  concilio  Lateranense  del- 
l' 8^1  (xMuratori,  Rer.  It.  Scr,  II,  i,  104).  Il  volume, 
preceduto  da  una  bella  miniatura,  rappresentante  san  Gre- 
gorio Magno,  contiene  la  Regula  pastoralis  di  quest'illustre 
pontefice,  in  lezione  tanto  corretta  che  il  manoscritto  viene 
a  prendere  uno  dei  primi  posti  nella  classificazione  delle 
varie  lezioni  di  quell'  opera  giunte  fino  a  noi. 

Il  dott.  Pietro  Fedele,  dimostrato  come  la  donazione 
del  territorio  di  Gaeta  fatta  da  Gregorio  II  ad  un  tribuno 
Anatolio,  che  venne  riferita  dall'  ab.  Costantino  Gaetani 
nelle  note  alla  Vita  di  Gelasio  II,  e  fu  ripetuta  poi  da  altri 
scrittori,  non  abbia  nessun  fondamento  isterico,  esamina 
il  primo  documento  del  Cedex  diplomaticns  Caietantis;  giu- 
dica che  esso  è  stato  malamente  assegnato  all'  anno  787, 
e  dimostra  come  non  possa  per  niun  modo  essere  addotto 
a  prova  dell*  esistenza  di  un  Anatolio,  duca  di  Gaeta,  cosi 


302  oAtti  della  Società 

come  gli  editori  del  Codex  Caietanus  ed  altri  storici  avevano 
supposto. 

Presenta  poi  alla  Società  di  storia  patria  una  trascri- 
zione del  noto  documento  dell'  anno  982,  contenente  una 
donazione  fatta  dal  vescovo  di  Tivoli  al  monastero  di 
S.  Agnese  sulla  via  Nomentana.  Questo  documento  che 
il  dott.  Fedele,  grazie  alla  grande  cortesia  del  can.  Stella, 
potè  studiare  nell'archivio  di  S.  Pietro  in  Vincoli,  fu  pub- 
blicato già  con  molti  errori  dal  Fea  e  poi  dal  Bruzza  nel 
Regesto  di  Tivoìiy  e  dette  luogo  a  false  deduzioni.  Della 
denominazione  «  in  agro  Velisco  »  attribuita  al  monastero 
di  S.  Agnese,  ed  alla  quale  il  Bruzza  fece  così  dotti  com- 
menti, non  si  ha  traccia  nella  carta  di  donazione,  dove  si 
dice  di  quel  monastero  che  era  posto  «  in  confinio  AgelH  0. 
Inoltre  nella  formula  di  compimento  del  notaio,  non  es- 
sendovi la  frase  «  regestum  ecclesiae  (Tyburtinae)  scri- 
«  bens  ))  che  vi  fu  letta  dal  Fea  e  dal  Bruzza,  non  vi  ha 
nessuna  ragione  per  ammettere  che  quel  documento  sia 
stato  inserito  nel  Regesto  di  Tivoli,  e  che  da  esso  si  possa 
in  qualche  modo  trarre  argomento  per  fissare  1'  età  di 
queir  insigne  codice  dell'  archivio  Vaticano. 

Il  prof.  E.  Monaci  richiama  infine  l'  attenzione  sopra 
alcuni  versi  pubblicati  recentemente  dal  Traube  nel  Neues 
Archiv,  che  sono  un  nuovo  e  prezioso  contributo  alla 
storia  della  Schola  cantorum. 


BIBLIOGRAFIA 


Francis  Stevenson  Seymour  M.  P.,  Robert  Grosseteste 
bisbop  of  Lincoln.  A  contrihution  to  the  reìigious  politicai 
and  intellectual  history  of  the  thirteenth  centiiry.  —  London, 
Macmillan  and  Co.,  1899. 

Il  Crossereste,  la  cui  personalità  cosi  varia  Matteo  Paris  de- 
scrive riassumendola  come  «  domini  papae  et  regis  redargutor.ma- 
«  nifestus,  praelatorum  correptor,  monachorum  corrector,  presbite- 
«  rorum  director,  clericorum  instructor,  scolarium  sustentator,  populi 
«  praedicator,  incontinentium  persecutor,  scripturarum  sedulus  perscru- 
«  tator  diversarum,  Romanorum  malleus  et  contemptor  »,  aspettava 
e  ha  trovato  un  biografo  capace  di  apprezzare  la  sua  molteplice  at- 
tività. Il  signor  Stevenson,  come  uomo  di  affari  e  come  membro  del- 
l' Opposizione  nel  Parlamento  inglese,  lia  una  simpatia  istintiva  verso 
r  indirizzo  principale  della  vita  politica  del  Grosseteste,  Come  il  Gros- 
seteste, cosi  pure  lo  Stevenson  è  uno  «  scripturarum  sedulus  per- 
«  scrutator  diversarum  »,  e  s'interessa  al  concetto  della  universalità 
ed  unità  del  sapere.  Del  resto  egli  porta  sulla  posizione  ecclesia- 
stica del  Grosseteste  un  giudizio  di  laico  colto  ed  imparziale,  che  si 
raccomanda  certamente  alle  varie  scuole  del  pensiero  odierno,  perchè 
si  rifiuta  sempre  di  attribuire  certi  pensieri  al  Grosseteste  che  nessun 
pensatore  del  decimoterzo  secolo  ha  mai  avuto,  e  per  mezzo  di  que- 
sto MI  r;-M  negativo  solamente,  egli  ha  potuto  dissipare  la  nebbia  che  si 
è  intorno  alla  memoria  del  celebre  vescovo  di  Lincoln. 

Sebbene  lo  Stevenson  abbia  scritto  la  sua  opera  durante  gli  in- 
tervalli di  una  vita  occupatissima,  egli  ha  tenuto  d'  occhio  tutte  le 
ricerche  niodcriìc  che  potevano  contribuire  a  dar  conoscenza  di  qua- 
li'" '"  •'  '^  ''<'  'ici  tempi  di  Roberto  Grosseteste,  ed  ha  saputo  inoltre 
'/.u'e  criticamente  le  fojiti  contemporanee.  Per  queste 
(lue  ra-ioni  si  può  dir  giust. unente  clic  il  libro,  secondo  la  speranza 


304  bibliografia 


dell'  autore,  sarà  considerato  come  la  storia  definitiva  della  vita  del 
Grosseteste,  e  appunto  per  questo  sarà  perdonabile  se  ci  permettiamo 
di  notare  alcuni  tratti  nei  quali  ci  pare  che  possa  trovar  luogo  una 
parola  di  correzione. 

E  anzitutto  bisogna  notare  che  il  suo  riassunto  della  posizione 
del  Grosseteste  quale  pensatore,  non  può  essere  definitivo,  mentre 
tanto  lavoro  rimane  ancora  per  chi  voglia  impegnarsi  nelle  grandi 
opere  inedite  dell'uomo  che  Ruggero  Bicone  ha  onorato  così  alta- 
mente. Senza  dubbio  lo  Stevenson  colla  sua  descrizione  del  com- 
plesso delle  attività  del  Grosseteste  ci  fa  sentire  eh'  egli  è  un  gi- 
gante, ma  restiamo  pur  sempre  nel  buio  quando  cerchiamo  di 
sapere  quale  fosse  il  suo  vero  valore  come  matematico  e  come 
filosofo.  Qui  ci  possono  aiutare  solamente  gli  storici  della  matema- 
tica e  della  filosofia,  ed  il  loro  aiuto  è  davvero  necessario.  Nella 
grande  storia  della  matematica  del  Cantor,  Roberto  Grosseteste  non 
è  neppure  nominato,  e  1'  opera  maggiore  ch'egli  ci  ha  lasciato,  quella 
che  ha  fatto  dire  di  lui  a  Bacone  eh'  egli  sapeva  «  causas  omnium 
«  explicare,  et  tam  humana  quam  divina  sufficienter  exponere  »,  è  an- 
cora in  manoscritto  e  non  è  stata  nemmeno  veduta  dai  due  ultimi 
biografi  del  Grosseteste,  il  Felten  e  lo  Stevenson.  Per  un  qualche 
errore  inesplicabile,  esso  fu  descritto  dallo  Hauréau  come  «  perduto  » 
e  questa  asserzione  è  passata  da  un  libro  all'  altro.  L'opera  maggiore 
menzionata  cosi  onorevolmente  da  Bacone,  è  la  Siimma  philosophìae 
che  lo  Stevenson  descrive  in  poche  parole,  togliendole  dal  resoconto 
di  Leland,  come  se  fosse  di  poco  interesse,  non  il  Compendium 
scientiarum.  La  Summa  è  lavoro  di  grande  importanza  e  meriterebbe 
una  edizione  accurata,  mentre  invece  il  Compendium,  che  non  è  per- 
duto come  ritiene  lo  Stevenson,  è  lavoro  di  poco  pregio.  Entrambi 
i  manoscritti  di  questi  lavori  sono  nella  biblioteca  dell'Università  di 
Cambridge.  Colpa  questo  malaugurato  equivoco  nella  descrizione 
dei  due  libri,  la  possibilità  di  restituire  il  Grosseteste  al  suo  vero 
posto  tra  i  filosofi  per  una  strana  fatalità  è  mancata  di  nuovo.  Pos- 
siamo inoltre  notare  come  diversi  lievi  errori  in  questa  biografia, 
ricordino  talvolta  al  lettore  che  sebbene  lo  Stevenson  occupi  una 
notevole  posizione  come  erudito  per  la  sua  larga  e  spregiudicata 
conoscenza  del  secolo  decimoterzo,  pure  gli  sfuggono  taluni  parti- 
colari caratteristici  di  quel  secolo  e  taluni  significati  del  linguaggio 
allora  usato.  Cosi,  per  esempio,  tutta  la  lunga  discussione  sulla 
famiglia  del  Grosseteste  potrebbe  essere  riassunta  nelle  parole  «  filius 
«  villani  ».  Traduce  come  «  lupo  di  mare  »  {Sea  wolf)  il  «  lupus 
«  aquat'cus  »,  che  non  è  altro  che  il  luccio,  così  caro  ai  pranzi  me- 
dioevali. I  nomi  dei  luoghi  troppo  spesso  sono  scritti  coli'  ortografia 


'bibliografia  305 


originale  come  se  veramente  non  esistessero  più  o  non  si  potessero 
identificare,  e  certe  idenr'ficazioni  non  sono  corrette.  Sono  mende 
lievi,  ma  abbiamo  voluto  tenerne  conto  perchè  si  può  ragionevolmente 
sperare  in  una  seconda  edizione  di  un  libro  che  rappresenta,  con 
grande  imparzialità  e  in  modo  interessante,  una  delle  maggiori  figure 
della  storia  ecclesiastica  d' Inghilterra,  una  figura  che  ha  lunga- 
mente aspettato  che  un  suo  concittadino  gli  rendesse  in  fine  la 
giustizia  che  meritava. 

Mary  Batesom. 


Luigi  Fumi,  Eretici  e  ribelli  nell'Umbria  dal  ipo  al  i))o.  — 
Perugia,  Unione  tipografica  coop.,  1899. 

La  questione  della  povertà  evangeUca,  risorta  in  Italia  durante  la 
vacanza  della  Santa  Sede  che  seguì  la  morte  di  Clemente  V,  sì  ac- 
cese in  special  modo  nell'  Umbria  e  nella  Marca,  dove  già  erano 
stati  precursori  fra  lacopone  da  Todi  ed  i  suoi  seguaci.  I  ghibellini 
si  unirono  ad  essi,  il  Bavaro,  Federico  da  Montefeltro  e  Guido  Tar- 
lati cercarono  trarne  vantaggio  per  il  trionfo  delle  loro  idee:  Arezzo, 
Assisi,  Spoleto,  Fabriano,  Todi  ed  Amelia  erano  le  rocche  loro  più 
forti,  varie  volte  conquistate  e  perdute  da  ambidue  i  partiti.  Morto 
il  Montefeltro,  la  fortuna  volse  in  meglio  per  i  guelfi.  Perugia,  se- 
guendo la  politica  guelfa  di  Firenze,  seppe  tanto  abilmente  destreg- 
giarsi, che  uscì  dnlla  lotta  assai  più  potente  di  prima,  mentre  nelle 
altre  terre,  per  le  morti  e  le  proscrizioni,  le  case  ed  i  palazzi  cade- 
vano in  rovina,  i  campi  non  coltivati  s' isterilivano,  ed  il  popolo 
soffriva  la  fame,  angariato  dagli  ufficiali  avignonesi,  che  dal  rettore 
all'  ultimo  valletto  erano  di  una  malafede  e  di  una  disonestà  incre- 
dibili, tanto  che  al  pontefice  giungeva  ben  poco  delle  somme  estorte 
per  multe  e  composizioni.  Contro  le  eresie  che  si  giovarono  della 
rivolta,  spinta  alle  grida  di  «  Morte  ai  forestieri  !  »,  si  scagliarono  i 
fulmini  dell'Inquisizione  che  le  soflfocò  violentemente;  bisogna  però 
ben  dire  che  essa  aveva  preso  delle  forme  nuove  e  strane  che  si  espli- 
cavano in  fatti  giudicabili  anche  dal  braccio  secolare.  Il  dissidio  fra 
la  Chiesa  ed  i  Comuni  aveva  fatto  allontanare  dall'ubbidienza  dovuta 
ai  canoni  anche  molti  religiosi,  per  1*  attaccamento  ai  beni  materiali 
e  per  la  rilassatezza  della  disciplina  divenuti  intolleranti  di  freno. 
Da  ciò  una  forte  reazione  verso  i  costumi  primitivi  del  Cristianesimo 
e  verso  la  regola  di  san  Francesco,  reazione  esagerata  che  generò 
dissensi    che    andarono  ben  più  oltre  del  modo  di  intendere  la  po- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria    Voi.  XXIII.       20 


3o6  bibliografia 


verta  evangelica.  Che  la  fede  del  Poverello  di  Assisi  nell'  amore, 
illimitata  ed  operosa,  abbia  potuto  generare  il  misticismo  erotico, 
fiorito  dal  1320  al  1330,  non  farà  troppa  meraviglia  quando  si  pensi 
che  secondo  gli  insegnamenti  di  lui  la  gioia  perfetta  consiste  nella 
perfetta  abnegazione,  ed  a  causa  di  un  pervertimento  morale,  1'  ac- 
cendersi di  desiderio  con  tutti  i  lenocini  del  senso,  non  permetten- 
dosi il  soddisfacimento  finale,  poteva  essere  ritenuto  un  sacrificio,  e 
non  dei  minori.  L' inquisitore  fra  Bartolino  da  Perugia,  in  un  pro- 
cesso di  Todi,  fa  l'enumerazione  di  tutte  le  differenti  specie  di  eretici 
che  sarebbero  stati  sottoposti  al  suo  giudizio,  e  nomina  i  paterini, 
i  seguaci  dello  spirito  di  libertà,  e  come  derivanti  dall'  unione  di 
queste  due  sètte,  i  sensuali.  Da  ultimo,  gli  ebrei,  i  partigiani  del  li- 
bero esame,  e  gli  scismatici  che  dal  campo  religioso  passavano  in 
quello  politico,  gente  più  di  fatti  che  di  parole.  Del  resto  le  difi"erenze 
confessionali  sono  mal  definite,  perchè  nemmeno  allora  esisteva  una 
delimitazione  precisa  fra  l'una  e  l'altra  setta,  tanto  che  nemmeno  il 
papa  sapeva  raccapezzarcisi. 

Ma  quanta  fosse  la  tendenza  verso  l'eresia  del  libero  spirito  nel- 
r  Umbria  lo  mostrano  non  solo  l'astuto  frate  Bentivegna,  tentatore 
di  santa  Chiara,  fra  Iacopo,  fra  Nallo,  fra  Raimondo,  fraticello  di 
Spoleto,  maestro  dì  quel  Paolo  Zoppo  che  si  chiamava  spirituale,  e 
somigliava  in  tutto  ai  beghini  d;  Francia,  ma  anche  quell'  infinita 
schiera  di  ecclesiastici  che  dai  Registri  del  ducato  di  Spoleto,  altro  ampio 
lavoro  parallelo  del  Fumi,  pubblicato  nel  Bollettino  delia  Depiiia^jone 
Umbra,  consta  aver  assai  derogato  dalle  leggi  della  morale,  sicché 
pare  che  avesse  ragione  il  suddetto  inquisitore  di  citare  la  nuovamente 
introdotta  setta  del  libero  spirito,  che  si  ha  ragione  di  considerare 
quale  prevalente.  In  tutto  questo  strano  inviluppo  il  Fumi  mette  in 
guardia  il  lettore  e,  per  prudenza,  quasi  sempre  si  limita  a  narrare 
i  fatti  che  sorgono  spontanei  dai  documenti,  senza  fare  molte  osser- 
vazioni, specie  nel  caso  nostro,  più  appropriate  al  filosofo  che  allo 
storico.  Il  suo  obbiettivo  principale  è  di  rappresentare,  moraliz- 
zando, la  vita  ed  i  costumi  di  quel  tempo  e  le  condizioni  delle 
terre  della  Chiesa  nei  rapporti  con  essa.  Dove  si  parla,  come  nel 
capo  IV,  di  alcune  città  umbre  più  avverse  al  dominio  temporale, 
si  nota  che  ivi  era  anche  più  viva  l'agitazione  religiosa.  Ne  è  esempio 
Todi,  nella  quale  si  trovano  tracce  di  veri  impugnatori  del  dogma  ; 
alcuno  nega  l'eucaristia,  altri  qualche  articolo  del  Credo;  sicché 
dove  i  ghibellini  padroneggiavano,  lo  scisma  metteva  profonde  radici. 
Il  Bavaro  e  1'  antipapa  vi  posero  sicura  stanza,  ricevuti  ed  acclamati 
entusiasticamente,  specie  dai  Francescani  che  avevano  disertato  da 
Giovanni  XXII  ;   e  suU'  esempio    di    Todi  e  col    suo    aiuto,  anche 


^ibliograjia  307 


Amelia  insorse,  sollevando  alla  sede  un  vescovo  scismatico,  e  muo- 
vendo colle  armi  contro  i  paesi  rimasti  guelfi.  Tra  le  molte  figure 
di  quel  grande  movimento  religioso  e  civile,  campeggia  quella  di 
frate  Angelo  Clareno  da  Cingoli,  uomo  non  ignorante,  nel  quale  sì 
riassume  tutta  la  schiera  di  quei  riformatori  i  quali,  sebbene  con- 
dannati in  un  fascio  coi  fraticelli  più  colpevoli, erano  appunto  l'an- 
titesi e  dei  vizi  che  si  rimproveravano  alla  curia  e  delle  colpe  che 
-dalla  curia  stessa  si  rimproveravano  ai  dissidenti  Ma  se  1'  ambiente 
^ra  guasto,  in  verità  non  si  fece  abbastanza  per  sanarlo,  anzi  i  co- 
stumi e  r  intransigenza  della  curia  d' Avignone  furono  causa  che 
■dopo  più  di  un  secolo  dalla  morte  di  Giovanni  XXII  ancora  fossevi 
della  gente  che,  come  i  jraticdli  dell'  opinione,  vivendo  molto  libera- 
mente, riteneva  illegittimo  quel  papa  e  per  conseguenza  anche  i 
successori  che  furono  un'  emanazione  di  lui.  La  grande  figura  di  quel 
periodo  fu  Federico  I  da  Montefeltro,  al  quale,  e  non  a  Federico  II 
della  stessa  famiglia,  il  Fumi  crede  che  Dante  abbia  alluso  col  suo 
veltro,  dandone  opportunamente  le  ragioni.  Tracciato  il  profilo  di 
Federico,  esamina  la  sua  condanna  come  idolatra.  Disgraziata- 
mente non  abbiamo  il  processo,  ma  il  papa  ne  riassume  tutti  i 
-capi  d'accusa,  ed  è  notevole  quel  passo  della  lettera  ove  dice  che 
Federico  :  «  non  advertens  quod  illa  Virtus,  illaque  Sapientia  et  illa 
«  est  vere  colenda  Maiestas  que  universitatem  mundi  creavit  ex  nihilo, 
«  et  in  quas  formas  voluit  et  mensuras,  terrenam  celestenique  sub- 
«  stantiam  omnipotenti  ratione  produxit,  ydolatrie  nephandis- 
•«simo  cultui  per  prophanas  superstitiones  et  horridas,  ceca  et  stulta 
«  dementia  se  ingessit,  pestifera  labe  respersus  heretice  pravitatis  »  (Ap- 
pend.  II,  pp.  83-84).  Nella  medesima  lettera  si  dice  che  si  dovesse  spian- 
tare la  casa  dove  egli  adorava  un  «  obscenum  ydolum  ».  Qui  il  Fumi 
stesso  si  domanda  se  è  possibile  ritenere  Federico  per  idolatra,  e, 
dato  r  ambiente,  conclude  per  V  afiftrmativa.  E  questa  conclusione  ò 
giustificata,  oltre  che  dai  documenti  da  lui  riportati,  anche  da  uno 
inedito  dell'archivio  Vaticano  (cass,  182),  molto  agli  altri  somigliante, 
dove  si  legge  che  Federico  con  altri  della  Marca,  «  per  obscenitates 
«  execrabilis  erroris  »,era  stato  condannato  come  idolatra.  Lo  scrive  il 
papa  air  arcivescovo  di  Magonza,  e  benché  la  fonte  della  notizia  sia 
sempre  la  medesima  alla  quale  ha  attinto  l'autore,  non  ci  è  lecito,  in 
mancanza  di  documenti  contrari,  di  ritenerli  tutti  completamente  non 
veri  nella  sostanza.  L'accusa  sarà  stata  esagerata,  ma  un  fondamento 
di  vero  ci  doveva  essere.  Del  resto  non  pare  strano  che  Federico 
partecipasse  all'idolatria,  poiché  nella  curia  e  dal  pontefice  stesro  si 
prestava  fede  agli  incantesimi  ed  alle  fatture,  e  tanto  meno  strano 
che  partecipasse  alla  scita  del  libero  spirito,  che  fu  veramente  fciia, 


3o8  ^ibliogi^ajìa 


come  abbiamo  visto,  non  manifestazione  sporadica  secondo  il  pen- 
siero dell'  illustre  prof.  Tocco,  come  quelle  di  Giovanni  da  Leida  o 
di  suor  G'ulia  da  Napoli,  poiché  essa  era  propria  del  partito  della 
rivolta  contro  la  Chiesa  ed  assai  propagata  per  la  Marca  dove  la  ri- 
volta stessa  aveva  preso  le  forme  più  violente  di  anarchia  politica 
e  religiosa  (vedi  nota  i,  p.  243). 

Questo  in  breve  è  il  sunto  del  lavoro  del  Fumi,  pubblicata 
prima  nel  BolUltino  della  R.  Deputaiiotie  umbra  di  storia  patria  degli  ul- 
timi tre  anni,  e  poi  estratto  in  volume;  e  da  questa  semplice  ed  af- 
frettata esposizione  se  ne  può  comprendere  1'  importanza.  Il  momento- 
storico  in  esso  trattato  è  uno  dei  più  oscuri  e  dei  meno  discussi,  men- 
tre certe  degenerazioni  morali,  che  toccano  un'  intiera  regione,  me- 
ritano davvero  di  essere  studiate  molto  profondamente  nelle  loro  ori- 
gini e  nelle  loro  cause  ed  effetti.  L'  autore,  troppo  modesto,  in  una 
avvertenza  che  chiude  il  volume,  si  qualifica  per  un  semplice  eru- 
dito, desideroso  di  appianare  la  via  a  storici  futuri,  ma  1'  opera, 
il  sicuro  ed  acuto  senso  critico  nella  scelta  dei  numerosissimi  do- 
cumenti pubblicati,  quasi  tutti  inediti,  per  la  diligenza  ed  opero- 
sità delle  ricerche,  per  la  perfetta  conoscenza  dei  tempi  e  dei  luoghi^ 
per  la  lucidezza  del  concetto  e  per  i  risultati  veramente  nuovi  ed 
importanti  ai  quali  è  giunto,  considerando  la  questione  dal  punto  di 
vista  morale  e  sociale,  è  di  un  valore  storico  non  comune.  Le  fi- 
gure sono  ben  delineate,  e  1'  ambiente  della  vita  umbra  nell'  agita- 
tissimo  principio  del  secolo  xiv  è  ricostruito  con  evidenza.  Il  libro- 
è  scritto  in  uno  stile  semplice  e  chiaro  ed  è  piacevole  a  leggere  a 
causa  dell'  interesse  che  desta  la  narrazione  di  molti  episodi  scono- 
sciuti e  strani,  come  appunto  gli  incantesimi  contro  il  papa.  Dante 
mago,  i  processi  contro  gli  eretici  e  parecchi  altri.  Tra  tanti  pregi 
è  scorsa  pure  qualche  menda,  che  consiste  in  una  certa  indetermi- 
natezza di  alcune  idee,  ed  in  qualche  ripetizione,  difetto  quest'  ul- 
timo derivato  dalla  quantità  vasta  del  materiale,  dall'  essere  stata 
pubblicato  il  lavoro  in  diverse  riprese,  dall'  aver  dato  intenzional- 
mente ad  ognuno  dei  sei  capitoli  una  certa  indipendenza,  intenzione 
che  si  scorge,  anche  dopo  una  lettura  superficiale.  Però  questa 
lieve  pecca  non  menoma  il  valore  dell'  opera,  e  sarebbe  da  augu- 
rarsi che  simili  monografie  illustranti  una  regione  in  modo  cosi 
efficace  fossero  più  frequenti,  perchè,  come  dice  il  Fumi  stesso  nel 
rapporto  quinquennale  dei  lavori  sociali  della  R.  Deputazione  umbra 
di  storia  patria,  «  gli  studi  così  condotti  avviano  al  necessario  indi- 
te rizzo  verso  1'  unità  storica  regionale  ed  a  preparare  quella  nazio- 
«  naie». 

F.    TONETTI. 


bibliografia  309 


H.  Grisar  S.  I.,  /  papi  nel  medio  evo  (traduzione  dal  te- 
desco); voi.  I,  Roma  alla  caduta  delV impero;  voi.  II, 
Roma  sotto  la  dominazione  ostrogota  e  bizantina  ;  parte  III, 
voi.  I,  Roma  alla  fine  del  mondo  antico. 

Dopo  la  pubblicazione  del  Gregorovius  sulla  Storia  della  città  di 
Roma  nel  medio  evo,  che  parve  per  i  suoi  tempi  stupenda,  gli  sludi 
di  archeologia  antica  e  niedioevale  si  sono  succeduti  cosi  incessan- 
temente e  felicemente,  che  l'opera  del  Gregorovius  era  destinata  ad 
invecchiare  dopo  trascorsi  non  ancora  trent'anni.  Era  dunque  neces- 
sario che  tutti  i  tesori  scoperti  ed  illustrati  dal  1870  in  poi  venis- 
sero adoprati  in  un'opera  che  parlasse  della  Roma  del  medio  evo, 
la  quale,  correggendo  certi  principi  aprioristici  accolti  dallo  spirito 
poetico  del  dotto  tedesco,  tenesse  stretto  conto  delle  ultime  conclu- 
sioni alle  quali  era  giunta  la  scienza  moderna  nello  studio  dei  nu- 
merosi problemi  che  si  agitano  intorno  alla  storia  di  Roma  dall'o- 
rigine del  Cristianesimo.  A  quest'opera  ha  posto  mano  da  lunghi 
anni  con  ingegno  poderoso  H.  Grisar  preparandosi  al  grave  lavoro 
con  una  serie  di  studi  su  vari  punti  controversi  di  archeologia  sacra 
■e  profana:  studi  che  poi  ha  già  cominciato  a  raccogliere  negli  Ana- 
lecta  romana  di  cui  si  è  pubblicato  il  primo  volume  (Lefebvre,  Ro- 
ma, 1899). 

L'opera  del  Grisar  nei  tre  volumi  già  pubblicati  comprende 
un'ampia  illustrazione  della  città  nei  secoli  v  e  vi  (voi.  I);  il  rac- 
conto delle  invasioni  degli  Ostrogoti  e  dei  Bizantini  (voi.  II)  ed  uno 
studio  completo  intorno  al  pontificato  di  san  Gregorio  Magno 
(parte  III). 

Come  l'autore  stesso  dichiara  nella  prefazione,  la  storia  dei  papi 
€  quella  di  Roma  nel  medio  evo  sono  quasi  trattate  insieme  in  modo 
che  l'una  e  l'altra  si  spieghino  e  si  completino  vicendevolmente,  ma 
con  particolare  riguardo  a  quella  del  Papato,  che  in  verità  è  il  centro 
di  vita  intorno  al  quale  convergono  tutte  le  attività  dell'opera  e  del 
pensiero  specialmente  nei  primi  secoli  susseguenti  alla  caduta  del- 
l'impero d'Occidente.  Però  essa  non  è  esposta  in  modo  da  trattare 
tutti  i  rapporti  e  le  estrinsecazioni  del  Papato  con  le  altre  regioni 
ove  allora  si  cominciava  a  venerare  la  religione  di  Cristo,  in  modo 
da  comprenderne  e  ritrarne  generalmente  tutta  l'attività,  ma  è  limi- 
tata alla  Roma  sede  della  Chiesa  e  centro  della  cultura  svoltaci  in- 


310  'bibliografia 


torno  alla  Chiesa  stessa.  In  ciò  l'autore  batte  una  via  assolutamente 
diversa  da  quella  del  Gregorovius,  che  poco  fa  caso  del  carattere 
chiesastico  di  Roma,  trattandone  la  storia  medioevale  come  tratte- 
rebbe quella  di  qualunque  altra  grande  città  d'Italia.  Di  questo  me- 
todo del  Gregorovius  il  Grisar  quasi  sfugge  parlare,  e  quando  non 
può  fare  a  meno  di  combatterlo,  non  porta  nella  questione  alcuna 
tendenziosità  politica,  mantenendo  grande  equanimità  di  giudizio  ed 
una  cortesia  di  polemica  veramente  degna  di  essere  imitata  in  ogni 
studio  storico  di  simil  genere. 

Ciò  che  rende  veramente  utile  e  pregevole  l'opera  del  Grisar  è 
la  gran  copia  di  notizie  archeologiche,  che  riassume  nitidamente 
dalle  numerose  effemeridi  scientifiche  di  questi  ultimi  tempi.  Nessun 
tempo  in  fatto  è  stato  così  fortunato  per  ì  ritrovamenti  del  medio- 
evo. Dopo  il  sepolcreto  di  Testona  illustrato  dal  Calandra  negli 
Atti  della  Società  archeologica  di  Torino,  abbiamo  avuti  due  gruppi 
importanti  di  ritrovamenti:  quello  di  Castel  Trusino  sullo  sbocca 
della  via  Salaria  verso  l'Adriatico  e  l'altro  delle  tombe  di  Maiera 
sulla  via  Flaminia,  ambedue  sedi  di  famiglie  gotiche,  che  per  circa 
quarant'anni  ebbero  il  dominio  della  valle  del  Topino  e  delle  cir- 
costanti fino  al  passo  del  Furio,  poco  distanti  da  dove  Totila  ebbe 
a  subire  la  grande  sconfitta  che  pose  fine  alla  dominazione  gotica  in 
Italia.  In  Roma  stessa,  sia  per  rettificazione  od  apertura  di  nuove 
strade,  sia  per  costruzione  di  nuovi  edifizi,  sia  per  scavi  compiuti  a 
scopo  scientifico  con  metodo  rigoroso,  le  conoscenze  delle  antichità 
si  sono  molto  avvantaggiate,  ed  il  passato  monumentale  e  topcgra- 
fico  di  Roma  si  è  largamente  chiarito.  Con  la  scorta  dei  nuovi 
monumenti  il  Grisar  fa  assistere,  per  così  dire,  il  lettore  agli  ultimi 
periodi  della  lotta  tra  il  paganesimo  morente  e  l'onda  incalzante 
della  nuova  civiltà  cristiana,  allo  spettacolo  della  disperata  tenacia 
con  cui  lo  sp'rito  pagano  si  agita  contro  il  nuovo  spirito  cristiano,, 
che  lentamente  ma  sicuramente  pervade  tutto  il  mondo  latino,  agli 
ultimi  conati  dell'impero  che  dalla  lontana  Bisanzio  tenta  nuova- 
mente la  supremazia  su  Roma  e  su  tutto  1'  Occidente. 

Merito  speciale  dell'opera  del  Grisar  è  la  chiara,  semplice  e 
sempre  sicura  esposizione  del  movimento  di  riforma  spirituale  ini- 
ziato dalle  dottrine  cristiane,  dello  sviluppo  dell'arte  pagana,  cui  il 
soffio  del  Cristianesimo  infonde  nuova  vita,  dello  sviluppo  edilizio 
della  città,  dell'ingrandirsi  della  società  cristiana  in  mezzo  alla  vita 
civile  di  Roma  e  d'Italia,  esposizione  che  induce  nell'animo  del  let- 
tore la  certezza  dei  fatti  narrati,  perchè  desunti  da  testimonianze 
storiche,  cui  la  lunga  rifiessione  dell'autore  e  la  sua  straordinaria 
conoscenza  del  tempo  danno  vitalità  nuova  ed  efficace. 


bibliografia  311 


Nei  tre  volumi  pubblicati  finora  abbiamo  larga  garanzia  che 
l'opera  iniziata  dal  Grisar  sarà  continuata  con  tanta  severità  di  me- 
todo fino  al  periodo  illustrato  da  Ludovico  Pastor,  che  alla  sua 
completa  pubblicazione  lo  studioso  della  storia  di  Roma  potrà  avere 
in  essa  il  repertorio  più  ricco  e  più  sicuro  di  bibliografia  medioevale 
romana  e  delle  cognizioni  che  finora  si  hanno  intorno  ai  primi 
secoli  della  storia  di  Roma  nel  medio  evo. 


R.  Ambrosi  de  Magistris. 


Achille  Dina,  Uultimo  periodo  del  principato  longobardo 
e  l'origine  del  dominio  pontificio  in  Benevento.  —  Bene- 
vento, Giuseppe  De  Martini,   1899. 

La  storia  della  dominazione  longobarda  in  Benevento  è,  da 
qualche  tempo,  oggetto  di  particolari  ricerche.  La  memoria  dell'Hirsch 
sul  ducato  Beneventano,  della  quale  abbiamo  l'ottima  traduzione  dello 
Schipa,  gli  studi  cronologici  del  Crivellucci,  le  ricerche  intorno  al 
principe  Arechi  ed  ai  suoi  successori  del  Pugliese  illustrarono  gli 
avvenimenti  che  si  svolsero  dalla  fondazione  del  ducato  (571?)  sin 
verso  il  mezzo  del  secolo  ix.  Men  nota  è  la  storia  dell'età  succes- 
siva; età  di  decadenza  nella  quale  il  principato  longobardo  di  Be- 
nevento si  smembrò,  e  che,  secondo  il  Dina,  può  essere  divisa  in 
tre  periodi:  principato  retto  prima  da  principi  propri  (847-900),  di 
poi  annesso  a  Capua  (900-901),  infine  novamente  separato,  ma  sotto 
principi  di  origine  capuana.  I  due  volumi  dello  Stroflfolini  sulla 
contea  di  Capua  (fino  all'anno  949)  poco  o  nulla  giovano  alla  co- 
noscenza delle  aggrovigliate  vicende  di  quei  tempi,  per  mancanza 
di  ricerche  originali  e  di  metodo  scientifico.  Abbiamo,  in  compenso, 
una  utile  memoria  di  Oscar  M.  Testa  su  Pandolfo  Capodiferro  che 
tenne  insieme  la  suprema  direzione  di  Capua  e  di  Benevento.  Molta 
utilità  poi  traggono  gli  studi  beneventani  da  quegli  affini  dello  Schipa 
su  Salerno,  e  soprattutto  dall'opera  di  Almerico  Meomartini  su  i  mo- 
numenti e  le  opere  d'arte  della  città  di  Benevento,  dove,  insieme  con 
la  descrizione,  mirabile  per  esattezza  e  per  squisito  sentimento  arti- 
stico, dei  monumenti  del  periodo  longobardo  rimasti  in  Benevento, 
si  trovano  molte  utili  notizie  sulla  topografia  di  quella  illustre  città 
nell'età  antica  e  nel  medio  evo. 

Il  Dina  si  propone  ora  di  narrare  l'ultimo  periodo  del  princi- 
pato Beneventano  che  va  dal  981  al  1077,  dalla  morte,  cioè,  di  Pan* 


312  '\BibliograJia 


dolfo  Capodiferro  allo  stabilirsi  della  dominazione  pontificia  in  Be- 
nevento. Di  questa  parte,  assai  oscura,  di  storia  italiana  non  si  hanno 
che  monche  e  scolorite  notizie  nei  cronisti  e  nei  genealogisti  del- 
l'Italia meridionale,  mentre,  come  nota  l'autore  (p.  6),  nei  trattati 
d'indole  generale  perfino  i  nomi  dei  principi,  quando  vi  si  accenni 
di  passaggio,  sono  sovente  errati  e  presi  l'uno  per  l'altro. 

Si  discorre  nel  primo  capitolo  del  territorio  di  Benevento,  della 
città,  del  feudalismo,  dello  stato  chiesastico,  della  coltura  e  delle 
varie  classi  della  popolazione.  Qui  però  ben  poco  troviamo  che  si 
riferisca  direttamente  all'età  che  l'autore  prende  a  narrare,  sebbene 
quanto  egli  riassume  da  studi  e  ricerche  recenti,  aggiuntovi  il  frutto 
di  proprie  osservazioni  sui  documenti  del  cartario  di  S.  Sofia  (Chro- 
nicou  S.  Sophiae),  pubblicato  dall' Ughelli,  giovi  ad  intendere  quali 
fossero  le  condizioni  del  Beneventano  al  tempo  della  sua  ricostitu- 
zione a  Stato  separato.  Con  Pandolfo  II  (981-1014)  incomincia  pro- 
priamente la  storia  che  il  Dina  raccoglie  con  diligenza  ed  acume 
dai  cronisti,  ricollegandola  opportunamente  con  le  vicende  generali 
dell'epoca.  Importante  è  il  capitolo  terzo  ove  si  parla  di  Landolfo  V 
e  dell'origine  del  comune  di  Benevento  che  l'autore,  argomentandolo 
da  un  passo  degli  AnnaUs  Beneventani,  pone  nell'anno  1015.  Col 
principato  di  Pandolfo  III  (103 3- 1059)  comincia  nell'Italia  meridio- 
nale quella  rapida  successione  d'avvenimenti  per  i  quali  essa  fu  alla 
fine  ridotta  tutta,  ad  eccezione  dì  Benevento,  sotto  il  dominio  dei 
Normanni.  Qui  sarebbe  stato  opportuno  parlare,  con  una  certa  lar- 
ghezza, delle  relazioni  tra  i  pontefici  e  Benevento;  ma  l'autore  non 
ha  creduto  di  spendervi  che  quattro  pagine  frettolose  (pp.  53-57), 
troppo  poche  invero  per  trattare,  come  egli  intende,  della  politica 
dei  papi  verso  l' Italia  meridionale  da  Carlo  Magno  ad  Arrigo  III. 
Gli  avvenimenti,  già  noti,  per  i  quali  Leone  IX  venne  in  possesso 
di  Benevento,  acquistano  nuova  luce  nella  narrazione  dell'autore,  in- 
trecciati come  sono  con  il  rapido  progredire  dell'invasione  normanna, 
fino  alle  porte  stesse  di  Benevento.  Nel  sesto  capitolo,  che  è  l'ul- 
timo dell'opera,  si  parla  di  Landolfo  VI  che  chiuse  la  serie  dei  prin- 
cipi di  Benevento,  e  del  consolidarsi  della  dominazione  papale  sino 
al  trattato  di  Ceprano,  dove  nel  giuramento  di  fedeltà  e  rispetto  ai 
domìni  pontifici,  prestato  da  Roberto  Guiscardo  a  Gregorio  VII,  do- 
vette essere  fatta,  senza  dubbio,  menzione  di  Benevento. 

Senza  segu're  l'autore  nella  sua  conclusione  ove  egli  parla  della 
dinamica  storica  dell'Italia  meridionale  nel  1000,  e  di  materialismo 
ed  idealismo  storici,  gioverà  piuttosto  dire  quello  che,  a  mio  parere, 
manca  al  lavoro  del  Dina,  perchè  possa  essere  veramente  utile  e 
definitivo. 


bibliografia  3 1 3 


Né  intendo  qui  indugiarmi  a  ripeter  gli  appunti  che  già  furono 
mossi  al  Dina  dallo  Schipa  nella  Rivista  storica  italiana  (1899,  voi.  IV): 
mancanza  di  precisione  nelle  citazioni,  uso  talvolta  poco  esatto  ed  in- 
completo delle  fonti,  manchevolezza  nella  bibliografia,  affermazioni  ar- 
rischiate, mende  tipografiche  piuttosto  gravi.  Voglio  solamente  notare 
come,  allo  stato  presente  della  cognizione  delle  fonti  di  storia  be- 
neventana, un  lavoro,  come  quello  del  Dina,  non  può  essere  che 
difettoso.  Per  esempio:  tra  le  fonti  storiche  adoprate  dall'autore,  tra 
le  quali  però  non  avremmo  voluto  veder  mai  citato  il  Pratilli,  nep- 
pure con  forma  dub'tativa,  è  giustamente  ricordato  il  cartario  di 
S.  Sofia  che  contiene  circa  duecentotrenta  diplomi  beneventani.  Ma 
l'edizione  dell' Ughelli  è  orribile,  e  non  può  servire  di  fondamento 
a  studi  nei  quali  tutte  le  probabilità  d'inesattezza  si  vogliono,  con 
somma  cura,  tenere  lontane.  Già  il  compianto  B.  Capasso  {Arch. 
stor.  per  le  prov.  merid,  I,  25)  aveva  giudicata  necessaria  una  ristampa 
del  cartario  di  S.  Sofia  ;  ma  pochi  forse  sanno  come  l'edizione  del- 
l'Ughelli  sia  a  tal  punto  priva  di  ogni  sussidio  critico  e  piena  di 
inesattezze  e  d'errori  da  essere  giudicata  inservibile  a  qualsiasi  studio 
severo.  Per  convincersene  basterebbe  collazionare  una  sola  pagina 
del  testo  dato  dall' Ughelli  col  cod.  Vat.  4939  che  contiene,  come 
è  noto,  il  regesto  di  S.  Sofia;  e  se  le  angustie  di  una  recensione 
ce  lo  consentissero,  potremmo  dar  qui  esempi  di  date  sbagliate,  di 
nomi  di  persone  e  di  luoghi  stranamente  alterati,  di  parole  e  frasi 
intere  tralasciate,  e  via  dicendo.  Ma  d'altra  parte  l'unica  edizione  è 
l'Ughelliana,  e  non  si  può  davvero  muovere  rimprovero  al  Dina,  se 
non  ne  ha  fatta  un'altra. 

Ma  quello  che  mi  sembra  difetto  non  facilmente  scusabile  nel 
Dina  è  l'avere  questi  trascurato  interamente  gli  archivi  beneventani, 
dei  quali  anzi  nel  suo  lavoro  non  si  fa  quasi  parola.  Eppure  Bene- 
vento è  città  ricchissima  di  materiale  archivistico,  a  traverso  '\  quale 
poi  è  anche  facile  l'orizzontarsi,  grazie  alle  cure  di  Benedetto  XIII 
che,  arcivescovo  di  quella  città,  fé'  ricercare  sistematicamente,  ordi- 
nare e  catalogare  tutti  gli  archivi  di  essa  dal  monaco  benedettino 
Kasimiro  Graienvski  e  dall'archivista  Agnello  Rendina.  La  biblio- 
teca Capitolare  ha  codici  preziosi  e  numerose  pergamene,  fra  le  quali 
parecchi  diplomi  originali  dei  duchi  di  Benevento,  a  partire  dal- 
l'anno 926  (i).  L'archivio  parrocchiale  di  S.  Modesto  ha  undici  volumi 
di  pergamene;  quello  di  S.  Vittorino,  conservato  ora  nell'orfanotrofio 

(i)  Colgo  quest'occasione  per  prufessarmi  gratisstmo  a  D.  Salvatore  Imperlino,  ca« 
nonico  archivista  della  cattedrale  di  Henevento,  che,  durante  una  mia  breve  dimora  colA, 
mi  permise  di  esaminare  e  di  studiare,  con  ogni  agio,  t  documenti  dell'archivio  dpi- 
tolare. 


314  "Bibliograjìa 


femminile  di  S.  Filippo,  nove  volumi,  dei  quali  il  primo  contiene 
donazioni  sin  dall'anno  1016.  L'archivio  del  monastero  di  S.  Sofia 
si  trova  sfortunatamente  diviso  in  vari  luoghi.  Una  parte  è  in  pos- 
sesso di  privati;  un'altra  fu  dei  Gesuiti,  ed  è  ora  nel  R.  liceo  Gian- 
none  (i);  un'altra  infine  ed  importantissima  ò  conservata  nell'orfa- 
notrofio di  S.  Filippo,  dove  sono  ben  trentotto  volumi  di  pergamene 
provenienti  da  quel  famoso  monastero.  Scarsi  i  documenti  anteriori 
alla  metà  del  secolo  x;  ma  poi,  come  dappertutto  negli  archivi 
d'Italia,  essi  diventano  numerosissimi.  E  chi  può  dire  qual  tesoro 
di  notizie  sulle  condizioni  economiche  del  paese,  sulla  topografia, 
sulla  cronologia  stessa  dei  duchi  di  Benevento  essi  celino  ancora? 
Di  questi  documenti  solo  pochi  furono  sinora  pubblicati;  e  sarebbe 
desiderabile  che  si  ponesse  mano  alla  pubblicazione  di  un  Codex  di- 
plomatkns  dì  Benevento,  poiché  allora  solo,  senza  voler  punto  far 
torto  alla  coltura  ed  all'ingegno  del  Dina,  la  storia  di  quella  città 
nel  medio  evo  potrà  essere  degnamente  illustrata. 

P-  Fedele. 


G.  A.  Garufì,  La  curia  stratigo:(iaìe  di  Messina  a  proposito 
di  Guido  delle  Colonne;  estratto  dai  Rendiconti  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  class,  stor.  e  filol.,  voi.  IX, 
fase.  I,   1900,  in-4,  pp.    18. 

Nella  vecchia  questione  della  patria  di  Guido  delle  Colonne 
interviene  il  Garufi  con  questa  memoria  breve  ma  interessantissima, 
e  condotta  con  un  rigore  di  metodo  e  un'  analisi  critica  cosi  strin- 
gente che,  allo  stato  delle  nostre  conoscenze,  le  sue  conclusioni  per 
quanto  negative  ci  appaiono  sicure  ed  indiscutibili.  Il  quesito  intorno 
al  quale  egli  svolge  la  sua  dottrina  è  il  medesimo  posto  già  dal  Mo- 
naci: se,  cioè,  Guido  delle  Colonne  giudice  di  Messina  negli  ultimi 
anni  di  Federico  II,  sotto  Corrado  Manfredi  e  Carlo  d'Angiò  fosse 
oriundo  di  quella  città.  Egli  constata  che  per  giungere  a  qualche 
risultato  ben  sicuro,  nell'  analisi  delle  fonti  bisogna  distinguere  le 
leggi  che  appartengono   alle   costituzioni  di  Melfi,  pubblicate  in  Si- 

(i)  duivi  ho  trovato  un  inventario  generale  dell'archivio  di  S.  Sofìa,  fatto  nel  se- 
colo scorsa,  prima  che  esso  andasse  disperso  ;  ma,  per  ricerclie  che  abbia  fatto,  non 
sono  riuscito  a  trovare  le  pergamene  che  vi  videro  già  il  Bethmann  (Archtv,  XII,  226), 
e  recentemente  lo  Schiaparelli.  Cfr.  Nachrichten  d.  K'òtng.  Gestii,  d.  Vissen.  ^«  Gò/- 
tingen.  Phil.-histor.  Klasse,  1898,  Heft.  i,  p.  51.  Secondo  il  Del  Giudice  che  pubblicò 
nel  giornale  napoletano,  Museo  di  sciente  e  di  ie//<?rfl<«ra,  II,  347-357,  una  relazione  sugli 
archivi  di  Benevento,  una  parte  dell'archivio  di  S.  Sofia  sarebbe  stata  trasportata  nel 
secolo  XVI  a  Roma  nell'archivio  Colonnese. 


bibliografia  315 


cilia  nel  1252,  dalle  altre  promulgate  nel  35  e  nel  44,  e  che  è  ne- 
cessario restringere  le  ricerche  determinatamente  al  periodo  svevo. 
Le  costituzioni  di  Melfi  davano  il  diritto  a  Messina,  considerata  fra  le 
città  minori,  di  uno  stratego  e  di  un  giudice  ai  contratti,  nominato 
dal  camerario,  di  tre  giudici  e  sei  notari  nominati  dall'imperatore: 
e  ciò  dal  1232  all'agosto  40,  anno  in  cui  andò  in  vigore  la  legge 
pubblicata  nel  settembre  39.  In  questo  tempo  i  giudici  di  Messina 
nominati  dall'  imperatore  dovevano  essere  del  luogo  ? 

Dal  silenzio  che  su  questo  argomento  serbano  le  costituzioni 
Melfitane,  le  quali  dicono  soltanto  che  i  giudici  dovevano  essere  sud- 
diti dell'  imperatore,  si  può  arguire  che  fino  al  39  gli  ufficiali  mag- 
giori o  minori  potevano  esser  nati  nel  luogo  che  veniva  sottoposto 
alla  loro  giurisdizione;  ma  il  Garufi  riporta  alcuni  esempi  da'  quali 
risulta  che  gli  ufficiali  maggiori  erano  scelti  da  qualunque  luogo  e 
s'  avvicendavano  1'  ufficio  a  seconda  dei  bisogni  ;  dei  minori,  fra  al- 
cuni esempi  citati  da  lui,  uno  solo  è  messinese. 

Così  pure  le  costituzioni  di  Melfi  non  stabiliscono  quanto 
tempo  i  giudici  dovevano  rimanere  in  un  luogo  determinato  :  solo 
nella  legge  del  1239  Federico  prescrive  che  i  giudici  non  durino  in 
carica  più  di  un  anno,  benché  questa  disposizione  fu  rigorosamente 
osservata  fino  al  1247,  ma  poco  curata  negli  ultimi  anni  dell'im- 
pero. In  questo  medesimo  tempo  Federico  stabiliva  che  i  giustizieri, 
gli  assessori  e  i  notari  preposti  alle  provincie  non  fossero  nativi  del 
luogo  in  cui  esercitavano  1'  ufficio,  i  giudici  maggiori  o  minori  fos- 
sero «  homines  demanii  industres  fideles  et  iurisperiti  »,  i  giudici 
maggiori  «non  sint  de  provinciis  oriundi,  nec  in  eis  habeant  incola- 
«  tum  ».  Il  grado  di  capacità  e  d'  intelligenza  e  la  qualità  di  essere 
cittadini  del  regno  dava  dunque  diritto  d'  essere  giudici  maggiori  o 
minori  e  notari,  non  quello  di  esser  nati  nel  luogo  che  si  amministrava. 

Guido  de  Columpnulis  comparisce  con  la  qualhà  di  magister  in  un 
documento  del  1243,  e  in  seguito  col  nome  de  Coliimpnìs  in  docu- 
menti del  47,  57,  6r,  64,  al  quale  anno  s'arresta  il  Garufi  con  le  sue 
ricerche.  E  la  prima  questione  che  si  pone  egli  è  questa:  Guido  può 
essere  stato  giudice  prima  del  1243?  ^^^  ^M5  ^  *^  documento  più 
antico  che  si  conosca,  ma  come  la  nomina  coincideva  col  principio 
dell'anno  indizionale,  è  da  credere  ch'egli  cominciasse  ad  esser  giu- 
dice fin  dal  settembre,  e  la  qualifica  di  magister  eh'  egli  si  dà  in 
questo  documento  ci  fa  credere  che  il  1243  fosse  il  suo  primo  anno 
di  nomina,  perchè  è  proprio  di  novellini  sfoggiar  titoli.  Sotto  il  regno 
di  Federico  comparisce  un'altra  volta  sola  il  suo  nome:  nel  47. 

Ma  sarà  stato  giudice  anche  altrove  f*  Q.uesto  secondo  quesito 
non  può  risolversi  con  sicurezza,  mancando   documenli  del   tempo. 


$16  'Bibliografia 


Certo  però,  pensando  che  dalla  loro  professione  i  giudici  dovevano 
ritrarre  da  vivere  e  che  i  proventi  dei  giudici  minori  (che  tale  fu 
sempre  Guido)  erano  molto  tenui,  è  più  che  ammissibile  che  Guido 
sia  stato  sempre  giudice  ed  abbia  disimpegnato  1'  ufficio  nei  vari  luoghi 
sottoposti  alla  giurisdizione  del  camerario  della  provincia  di  Messina. 
Era  Guido  di  Messina?  Da  quanto  è  stato  fin  qui  detto  risulta 
chiaramente  che  Guido  ben  poteva  esser  di  Messina  ma  non  doveva-^ 
bisogna  ancora  dunque  dimostrare  che  realmente  lo  fosse..  Di  esso 
sappiamo  solo  che  era  homo  demanii  imperaloris,  cioè  cittadino  del 
regno,  che  vai  quanto  o  oriundo  del  regno  o  che  ne  abbia  ottenuta 
la  cittadinanza  :  l' esame  dunque  delle  leggi  della  curia  stratigoziale 
del  tempo  non  fornisce  pel  nostro  argomento  nessun  elemento  di 
prova  né  positivo  né  negativo.  Guido,  se  potè  esser  nativo  di  Messina, 
non  può  dimostrarsi  per  ora  che  lo  sia  stato,  e  le  probabilità  maggiori 
seno  per  la  esclusione.  V.  Federici. 

Italy  and  her  invaders  by  Thomas  Hodgkin,  voi.  VII, 
Book  vin;  Frankìsh  ìnvasions,  pp.  xvii-397,  in-i^; 
voi.  Vili,  Book  IX,  The  FranJdsh  Empire,  pp.  xi-j^ji, 
ìn-i6,  —   Oxford,   1899. 

11  signor  Tommaso  Hodgkin  dedica  alla  storia  dei  Franchi  in 
rapporto  coli'  Italia  fino  alla  morte  di  Carlo  Magno  questi  due  vo- 
lumi, coi  quali  conchiude  la  sua  Storia  d'Italia  e  dei  suoi  invasori.  Nel 
primo,  che  è  il  settimo  della  serie,  ricorda  le  più  antiche  relazioni 
passate  fra  Longobardi  e  Franchi,  utili  assai  per  ispiegare  la  politica 
da  questi  tenuta  verso  l' Italia  nella  seconda  metà  del  secolo  ottavo, 
e  seguita  trattando  questioni  importanti  riferentisi  alla  storia  nostra. 
Così  studia  la  celebre  donazione  di  Costantino,  rammenta  la  bene- 
volenza che  questo  principe  fin  dal  suo  primo  salire  al  trono  ebbe 
per  il  cristianesimo,  e  ricordando  la  presidenza  del  concilio  di  Nicea 
tenuta  dall'imperatore,  osserva:  «Cosi  la  sua  famosa  presidenza  al 
«  concilio  di  Nicea,  corrispondeva  pienamente  alla  sua  attitudine 
«  precedente  verso  la  Chiesa  fin  dal  primo  momento  ch'egli  aveva 
«  cinto  il  diadema»  (p.  137).  Costantino  pertanto  si  prestava  ad  es- 
sere rappresentato  come  protettore  del  cristianesimo,  il  che  spiega  la 
fede  trovata  dalla  donazione  di  questo  imperatore,  fede  ormai  spenta 
da  un  pezzo. 

Nella  storia  del  secolo  viii  non  si  può  dimenticare  l' esarcato  dì 
Ravenna,  del  quale  opportunamente  in  questo  volume  si  tratta.  Esso 
destava  nei  Longobardi  molta  ambizione,  specialmente  al  tempo  del 


'^Bibliografia  317 


re  Astolfo,  il  quale  fu  appassionatamente  chiamato  nel  Liher  Ponli- 
ficalis:  «  crudelissimus  rex,  nequissimus,  malignus  rex  »,  non  perchè 
la  lotta  combattuta  dal  re  fosse  religiosa,  ben  sapendosi  che  «  i  Lon- 
«  gobardi  sono  oramai  per  le  loro  dottrine  assolutamente  in  accordo 
«con  la  Chiesa  romana»  (p.  170);  ma  perchè  prevalevano  motivi 
politici  e  di  razza. 

Astraendo  dalle  doti  personali  di  Astolfo  e  di  Stefano  II,  ben 
si  capisce  che  il  regno  longobardo  dovrà  presto  cadere.  E  difatti  le 
condizioni  di  esso  andarono  peggiorando  sotto  il  pontificato  di  Paolo  I, 
che  acquistava  in  Italia  prestigio  ajpcor  maggiore  di  Stefano,  essendo 
i  Longobardi  agitati  dall'ambizione  e  dai  pentimenti  di  Ratchis,  ed 
invano  sorretti  poco  appresso  dal  re  Desiderio,  dimostratosi  veramente 
energico  nei  suoi  rapporti  coli'  impero  d'  Oriente  e  col  papa.  Le  re- 
lazioni fra  questo  e  i  Longobardi  non  furono  in  questi  ultimi  anni 
mai  molto  buone,  ma  addirittura  pessime  diventarono  dopo  la  morte 
di  Carlomanno  e  l' arrivo  della  vedova  Gerberga  alla  corte  di  Pavia. 
«  L'arrivo  di  Gerberga  »,  come  si  esprime  1'  Hodgkin,  «coi  suoi  figli 
«  e  consiglieri,  diede  una  nuova  arma  in  mano  a  Desiderio  per  ven- 
«  dicarsi  del  marito  di  sua  figlia»  (p.  349).  Senza  dubbio  Desiderio 
bramando  vendicarsi  di  Carlo,  col  suo  contegno  aflfrettava  la  caduta 
del  regno  longobardo,  la  quale  accrebbe  l'autorità  politica  dei  papi, 
anche  volendo  ritenere  poco  attendibile  la  celebre  donazione  di  Carlo 
Magno  a  papa  Adriano,  come  si  mostra  sulla  fine  di  questo  volume. 

L'  ultimo  studia  1'  importante  periodo  che  va  dalla  caduta  del 
regno  longobardo  alla  morte  di  Carlo  Magno.  La  politica  di  Adriano  I, 
le  guerre  contro  Sassoni,  Avari,  Bavari  &c.,  i  rapporti  coli' impero 
greco,  le  relazioni  di  questo  col  papato,  divenute  specialmente  im- 
portanti quando  Irene  tentò  di  riunire  la  Chiesa  greca  alla  romana, 
attirano  l'attenzione  del  grande  principe  franco,  ma  non  gì' impedi- 
scono di  vincere  le  difficoltà  incontrate  in  ItaPa  per  le  opposizioni 
fatte  da  parecchi  grandi  dopo  la  caduta  del  regno  longobardo.  Questi 
avvenimenti  mettono  in  evidenza  la  grandezza  di  Carlo,  la  quale  in- 
sieme con  molta  semplicità  di  costumi  appare  anche  meglio  confron- 
tando la  sua  corte  con  quella  di  Costantinopoli,  che  pure  aveva  in 
proprio  vantaggio  lo  splendore  d'una  lunga  tradizione.  Ma  ormai  gli 
intrighi  di  palazzo,  le  rivoluzioni  di  piazza,  le  molestie  esterne,  ren- 
devano difficile  l'esistenza  stessa  dell'  impero,  specialmente  al  tempo 
di  Irene,  posta  a  capo  d'uno  Stato,  al  quale  non  confaceva  troppo 
il  governo  femminile.  E  questa  imperatrice,  «  che  si  chiamava  Au- 
a  gusta  e  attraversava  nel  suo  carro  dorato  le  vie  di  Costantinopoli, 
«  non  aveva  diritto  al  nome  e  alla  pompa  dcgl'  imperatori  di  Roma  » 
(p.  122).  Invece  ad   Aquisgrana  le   cose  andavano  diversamente.  Il 


3i8  ^ibliografa 


luogo  stesso  e  gli  edifici  alzati  da  Carlo  Magno  invitavano  al  proficuo 
lavoro,  i  semplici  costumi  del  principe,  la  protezione  da  esso  accor- 
data agli  studi,  la  pietà  armonizzata  con  molta  energia  contro  gli 
abusi  del  clero,  rendevano  gradita  la  corte  carolingia.  A  ragione 
Carlo  amava  questa  città,  che  acquistò  nuovo  prestigio  dopo  che  il 
re  franco  venne  incoronato  imperatore. 

Di  questa  incoronazione  a  lungo  si  occupa  1'  Hodgkin,  il  quale, 
appoggiandosi  alle  fonti  franche,  crede  che  il  papa  rendesse  omaggio 
all'  imperatore,  sebbene  questa  circostanza  non  sia  riferita  nel  Liher 
Pontificalis,  che  avrebbe  comodamente  omesso  un  fatto  «  che  la  curia 
«  romana  non  amava  rammentare,  ma  non  v'  è  ragione  di  credere 
«ch'esso  non  avvenisse  realmente,  e  che  il  vescovo  di  Roma  non 
«  tributasse  a  Carlo  Augusto,  oramai  riconosciuto  come  suo  signore, 
«quell'omaggio  che  il  patriarca  di  Costantinopoli  avrebbe  tributato 
«a  Giustiniano  o  ad  Eraclio»  (p.   195). 

Risolta  questa  controversia,  che  certo  non  tutti  riconosceranno 
finita,  il  volume  parla  delle  trattative  di  matrimonio  fra  Carlo  ed 
Irene,  in  vero  poco  promettenti  fin  da  principio  per  le  ostilità  bizan- 
tive,  ricorda  i  rapporti  dell' impero  bizantino  coi  Franchi,  coli' Italia 
in  generale  e  con  Venezia  in  particolare,  prendendo  la  storia  di  questa 
città  come  punto  principale  di  quest'ultime  vicende  colle  quali  finisce 
lo  studio  della  carriera  politica  di  Carlo  Magno. 

Poche  pagine  son  pure  dedicate  a  descrivere  la  morte  di  questo 
principe  e  il  compianto  da  essa  destato  in  mezzo  al  popolo,  com- 
pianto, che  non  fu  davvero  «  un  convenzionale  tributo  alla  sua  di- 
«  gnità  reale  »  (p.  269). 

L  ultima  parte  del  volume  tratta  specialmente  della  vita  longo- 
barda e  franca  in  Italia,  argomento  importantissimo,  ma  che  non  si 
può  svolgere  appieno  per  scarsezza  di  fonti.  L'egregio  autore,  rico- 
nosciuto come  «  le  fonti  letterarie  ci  vengano  meno  »  (p.  277),  si 
limita  pei  Longobardi  ad  esaminare  le  ultime  loro  leggi,  rilevando 
la  tendenza  a  diminuire  il  giuramento  giudiziario,  ad  allargare  il  di- 
ritto delle  donne  &c.  Pei  Franchi  ricorda  i  principali  cambiamenti 
introdotti  da  Carlo  Magno,  come  la  nomina  dei  conti,  la  promulga- 
zione dei  capitolari,  la  protezione  della  Chiesa  unita  alla  punizione 
degli  abusi  ecclesiastici,  nota  la  forte  tendenza  al  feudalismo  ed  ac- 
cenna alle  difRcoltà  che  s' incontreranno  nel  reggere  l' impero  caro- 
lingio dopo  la  morte  del  suo  fondatore. 

I  giudizi  che  1'  Hodgkin  dà  di  Carlo  Magno  sono  favorevoli,  e 
noi  conveniamo  ben  volentieri  ch'essi  derivano  logicamente  da  quanto 
si  espone  con  molta  chiarezza  nei  due  volumi,  che  abbiamo  esa- 
minati. M.  Rosi. 


NOTIZIE 


Il  17  aprile  di  quest'anno  si  riuniva  in  Roma,  presieduto  dal- 
l'abate L.  Duchesne,  il  secondo  Congresso  d'archeologia  cristiana, 
al  quale,  insieme  con  i  dotti  italiani,  presero  parte  molti  archeologi 
d'altri  paesi.  Numerose  ed  importanti  furono  le  memorie  scientifiche 
presentate  al  Congresso.  Il  P.  Grisar  parlò  sulle  vicende  di  alcuni 
monumenti  romani  dopo  la  caduta  dell'  impero,  intrattenendosi  in 
particolar  modo  intorno  al  Mausoleo  d'Augusto,  alla  Curia  Sciiatus  ed 
al  Pantheon.  Il  Duchesne  lesse  un  elegante  studio  sulla  chiesa  di 
S.  Cesario  «  in  Palatio  ».  Il  professor  Mùller  dell'Università  di  Berlino 
illustrò  una  statuina  di  bronzo,  rappresentante  san  Pietro.  Il  profes- 
sore Venturi  parlò  delle  colonne  dell'altare  di  S.  Marco  a  Venezia; 
monsignor  Wilpert  delle  pitture  scoperte  recentemente  nel  cimitero 
dei  Ss.  Pietro  e  Marcellino;  l'ingegnere  Canizzaro  delle  scoperte  fatte 
in  quest'anno  nella  chiesa  di  S.  Saba;  il  professor  Gamurrini  della 
topografia  in  relazione  alle  antichità  cristiane.  Sarebbe  poi  impossibile 
ricordare  qui  tutti  i  lavori  delle  varie  sezioni  :  ben  sette  ne  annoverava 
il  Congresso  !  Notevoli  nella  seconda,  che  si  riferiva  ai  monumenti 
medievali,  le  comunicazioni  del  P.  Ehrle  sopra  due  nuove  vedute  pro- 
spettiche di  Roma,  del  professore  Venturi,  del  signor  Lauer,  di  monsi- 
gnor Ferraro  sopra  il  cereo  pasquale  del  duomo  di  Gaeta,  del  dottor 
Hermanin,  dell' ingegnere  Giovannoni,del  dottor  Bariola,  del  dottor  Fo- 
golari  &c.  Tra  i  voti  presentati  al  Congresso  ricordiamo  qui  quello 
rivolto  alle  autorità  ecclesiastiche,  perchè  «  si  proibisca  a  tutti  i  parroci 
«e  rettori  di  chiese  l'alienazione  di  qualunque  opera  d'arte  o  docu- 
«  mento  manoscritto  conservato  in  loro  custodia,  senza  il  consenso 
«  dei  superiori  a  ciò  delegati».  I  cultori  di  storia  applaudiranno  tutti 
ad  una  proposta  così  importante.  Appena  pochi  mesi  or  sono,  il  capi- 
tolo di  una  chiesa  italiana  vendeva  a  stranieri  un  prezioso  rotolo  mi- 
niato del  secolo  xi,  per  la  somma  di  lire  8500;  e,  crediamo,  col  con- 
senso dell'  autorità  ecclesiastica.  Si  vorrà  mutar  proposito  dopo  il 
secondo  Congresso  d'archeologia  cristiana? 


320  C\p//"^7t? 


Al  chiudersi  delle  feste  per  il  secondo  Congresso  d'archeologia 
ricordato  di  sopra,  fu  solennemente  inaugurata  nel  descenso  della 
basilica  dei  Ss.  Nereo,  Achilleo  e  Petronilla  sulla  via  delle  Sette 
Chiese  un'  epigrafe  commemorante  Antonio  Bosio,  il  Colombo  della 
Roma  sotterranea.  Di  questi,  che  fu  uomo  veramente  grande,  ha 
pubblicato  or  ora  un'eccellente  biografia  il  signor  Antonio  Valeri 
{Cenni  biografici  di  Antonio  Bosio,  con  documenti  inediti.  Roma,  t'po- 
grafia  dell'Unione  cooperativa  editrice,  1900,  di  pp.  no).  Questo 
studio,  quantunque  «  preparato  e  compiuto  in  brevissimo  tempo  »,  è 
fatto  con  quell'accuratezza  e  con  quel  garbo  che  il  Valeri  suol  porre 
in  tutte  le  sue  pubblicazioni. 

Il  3  marzo  di  quest'anno  si  spense  in  Napoli  Bartolomeo  Ca- 
passo  tra  1'  universale  compianto  dei  dotti  e  dell'  intera  città  di  Na- 
poli, la  cui  storia  egli  aveva  così  nobilmente  illustrato.  Egli  era,  dopo 
la  morte  del  Troya,  lo  storico  più  autorevole  del  Mezzogiorno  di 
Italia.  Nella  critica  delle  fonti  della  storia  delle  provincie  meridio- 
nali ha  lasciato  delle  traccie  veramente  profonde  ed  indelebili.  La 
sua  memoria  è  raccomandata  ad  opere  di  grande  valore,  e  special- 
mente ai  due  volumi  dei  Monumenta  ad  Neapolitani  ducatus  historiam 
pertinentia. 

Da  un  codice  del  secolo  xiv,  conservato  nell'archivio  Capitolare 
della  basilica  Vaticana,  il  signor  D.  Quattrocchi,  procustode  dello 
stesso  archivio,  ha  tratto  il  testo  per  una  nuova  edizione  dell'opera 
del  cardinale  Iacopo  Gaetano  Stefaneschi  sul  Giubileo  del  1500,  De 
Centesimo  seti  Iiibileo  anno  liher  (cf.  Bessarione,  an  1900,  nn.  45-46). 
Le  edizioni  che  si  avevano  di  questo  opuscolo  del  celebre  cardinale, 
erano  talmente  scorrette  che  molti,  citandole,  caddero  in  errori  non 
lievi.  L'edizione  del  Quattrocchi,  e  per  la  bontà  del  testo  e  per  le 
cure  che  egli  ha  posto  nel  pubblicarlo,  si  avvantaggia  di  molto  sulle 
precedenti.  Secondo  l' autore,  il  codice  Vaticano  sarebbe  stato  scritto 
anteriormente  al  1350  e  forse  prima  del  1343.  I  cenni  biografici  sullo 
Stefaneschi,  premessi  dal  Quattrocchi  alla  sua  edizione,  sono  fatti 
con  accuratezza. 

Fra  le  pubblicazioni  intorno  alla  storia  medioevale  di  Roma  non 
possiamo  tacere  la  ristampa  che  la  Società  editrice  nazionale  sta  fa- 
cendo della  Storia  di  Roma  nel  medio  evo  di  F.  Gregorovius.  Il  carattere 
puramente  commerciale  dell'impresa  appare  già  dalla  scelta  del  testo:  si 
ripubblica,  cioè,  la  traduzione  che  dell'opera  fece  ilManzato  sulla  prima 
edizione  tedesca  ;  mentre  è  noto  che  il  Gregorovius  rifuse  in  gran  parte 


U^otì^ie  321 


e  corresse  tutta  l'opera  sua  nella  quarta  edizione  che  si  pubblicò  a 
Stuttgart  nel  1886-96.  Le  note  aggiunte  nella  parte  bibliografica  del 
Gregorovius  non  corrispondono  abbastanza  al  progresso  fatto  in  questi 
ultimi  trent'anni  dagli  studi  storici  medioevali,  e  le  illustrazioni  non 
sono  sempre  opportunamente  scelte  né  soddisfacenti  per  la  loro  ese- 
cuzione. 

Pei  tipi  di  Forzani  e  C.  (tipografi  del  Senato),  il  dott.  Donato 
Tamilia  ha  pubblicato  ultimamente  un  bel  volume,  dove  sono  rac- 
colti i  risultati  delle  sue  ricerche  intorno  alla  storia  del  Monte  di 
pietà  di  Roma  (7/  Sacro  Monte  di  pietà  di  Roma,  ricerche  storielle  e 
docuvienti  inediti;  contributo  alla  storia  della  beneficenza  e  alla  storia 
economica  di  Roma  del  dott.  D.  T.   con  -llustrazioni  e   tavole,  1900). 

I  quattro  capitoli  del  volume  (I.  Origini  del  Monte  di  pietà  di  Roma; 
II.  Legislazione  statutaria;  III.  Vita  economica;  IV.  Il  Monte  e  le  sue 
sedi)  sono  redatti  interamente  su  fonti  inedite  che  il  Tamilia  ha  tro- 
vato e  studiato  nell'archivio  Storico  del  Monte  stesso,  v\t\V Archiviuni 
camerale  (sezione  Monte  di  pietà)  dell'Archivio  di  Stato,  nei  codd. 
Vat.  6203  e  Ottob,  2498  della  bibl.  Vaticana,  ed  illustrano  la  vita 
di  quell'insigne  istituto  dalle  sue  origini,  che  risalgono  all'anno  15^9, 
fino  al  1874  in  cui  il  sacro  Monte  fu  intieramente  rinnovato.  Al 
testo,  illustrato  da  quattordici  fotoincisioni,  segue  un'  appendice  di 
documenti  e  un  indice  dei  nomi  e  delle  cose  più  notevoli  del  volume. 

Di  due  lavori  storici  riguardanti  due  diversi  luoghi  della  pro- 
vincia di  Roma  facciamo  qui  ricordo  insieme,  quantunque  essi  dif- 
feriscano grandemente  e  per  il  metodo  e  per  l' intrinseco  valore.  Il 
prof  G.  Tomassettì  nel  suo  Amaseno  (Roma,  tip.  dell'Unione  coope- 
rativa, 1899,  pp.  180)  ci  offre  un  bell'esempio  del  modo  col  quale 
anche  i  più  umili  luoghi  possano  essere  storicamente  illustrati.  Il 
lavoro  si  divide  in  tre  parti:  nella  prima  si  contiene  la  descrizione 
di  Amaseno,  nella  seconda  quella  del  santuario  di  S.  Maria  di  Auri- 
cola, nella  terza  la  storia  del  paese  stesso.  Il  volume  è  inoltre  cor- 
redato di  una  serie  di  oltre  a  trecento  documenti  o  notizie  inedite. — 

II  signor  Giulio  Cicchetti  invece,  pubblicando  una  Storia  di  Rocca 
Canterano  e  della  badia  di  Siil'iacn  (Roma,  tip.  Agostiniana,  1899, 
pp.  219),  ci  porge  un  esempio  non  imitabile  di  monografia  storica, 
fatta  senza  un  giusto  criterio  e  senza  alcuna  sutiiciente  preparazione. 
Se  il  signor  Cicchetti  si  fosse  accontentato  di  riunire  nel  suo  volume, 
con  qualche  accuratc/./.a,  le  sole  notizie  riguardanti  Rocim  ('  m,:.  r.ino, 
quantunque  di  ben  liev  •  importanza,  avrebbe  fatto  ^  'tii 
inutile.  Ma  la   storia    del  più  insigne   monastero   dciia   provincia  di 

Archivio  detta  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIII  21 


322  ^oti:^ie 


Roma,  dopo  qudlo  di  Farfa,  sembra  che  non  sia  peso  adatto  agli 
omeri  del  signor  Cicchetti,  il  quale  avrebbe  pure  potuto  lasciar  da 
parte  la  cronaca  del  Mirzio,  da  cui  ha  creduto  di  trarre  il  materiale 
per  questo  lavoro. 

Ci  duole  di  poter  dare  soltanto  un  cenno  di  due  lavori  del 
dott.  Niccolò  Rodolico,  già  allievo  della  scuola  del  prof.  Paoli,  ed 
ora  libero  docente  di  paleografìa  latina  e  di  diplomatica  all'  Uni- 
versità di  Bologna. 

La  formula  del  Comandamento  della  guarentigia  che  ricorre  più 
che  altrove  nei  documenti  toscani  dal  secolo  xiii  al  xv  fu  inserita 
nei  contratti  privati  di  obbligazione  nel  medioevo  per  rendere  più  ra- 
pida la  procedura  di  certi  afifari.  Sulla  guarentigia,  il  cui  primo  esempio 
si  trova  in  un  documento  fiorentino  dell'  8  marzo  1230,  e  la  cui 
origine  va  certamente  assegnata  alla  Toscana,  il  Rodolico  pubblica  il 
primo  statuto  (N,  Rodolico,  Del  comandamento  della  guarentigia  negli 
statuti  piìi  antichi  fiorentini.  Girgenti,  Formica  e  Caglio,  1900,  in-4, 
pp.  51),  statuto  che  per  gli  accenni  ai  tempi  anteriori  e  per  le  mo-, 
dificazioni,  le  rimesse  e  le  aggiunte  fattevi  dopo,  rappresenta  1'  opera 
legislativa  di  più  secoli.  Il  testo  primitivo  di  questo  statuto  è  del  1322; 
le  aggiunte  marginali  interlineari  e  le  correzioni  vanno  dal  1322 
al  1355.  Il  Rodolico  distingue  le  diverse  aggiunte,  determinandone  i 
tempi  diversi,  con  chiarezza  di  esposizione  e  con  sicurezza  mirabile 
di  critica. 

Neil'  altro  volume  {Note  paleografiche  e  diplomatiche  sul  privi- 
legio pontificio  da  Adriano  1  ad  Innocen:(o  III.  Bologna,  Zanichelli,  1900, 
in-4,  PP-  162),  dedicato  al  Paoli  suo  maestro,  egli  raccoglie  quanto 
di  meglio  è  stato  scritto  intorno  al  privilegio  pontificio  nel  periodo 
meno  noto  della  storia  della  diplomatica  pontificia.  Premette  al  la- 
voro un  capitolo  di  cenni  introduttivi  ed  osservazioni  generali  sulle 
varie  parti  del  documento;  tratta  nel  secondo  capo  ampiamente  del- 
V Escatocollo  nelle  sue  varie  parti,  dello  Scriptum,  della  Suhscriptio  papae, 
del  Benevalete,  della  Rota,  delle  Sottoscrizioni  dei  cardinali  e  del  Datum, 
e  chiude  il  volume  con  un  capitolo  intorno  alla  scrittura  del  privi- 
legio. Nella  ricerca  delle  cause  che  determinarono  l'uso  della  doppia 
forma,  corsiva  e  minuscola,  nelle  lettere  pontificie,  il  Rodolico,  ri- 
gettate le  esagerazioni  dello  Pflugk-Harttung,  che  dava  a  quel  fatto 
una  ragione  soltanto  politica,  aff'erma  che  la  diversità  di  scrittura  de- 
riva unicamente  dal  diverso  luogo  dal  quale  si  datavano  le  bolle. 
Le  bolle,  afferma  il  Rodolico,  scritte  a  Roma  dove  erano  i  soliti 
ufficiali  di  cancelleria,  sono  in  corsiva,  quelle  scritte  fuori  di  Roma 
sono  in  minuscola  più  o  meno  pura  e  calligrafica. 


C\o//^;V  323 


Il  dott.  xMedardo  Morici  illustra  in  un  volume  {Dei  conti  Atti, 
signori  di  Sasso/errato,  e  ufficiali  forastieri  nelle  maggiori  città  d*  Italia. 
Castelpiano,  Romagnoli,  1899,  in-4,  pp.  104)  la  storia  dei  conti  Atti 
per  il  corso  di  quasi  tre  secoli,  coordinando  documenti  editi  ed  ine- 
diti, seguendone  a  passo  a  passo  i  vari  membri,  da  Ugo  ed  Attone, 
podestà  d'Arezzo  del  1225,  fino  a  Luigi  di  Sassoferrato  che  appare 
già  morto  il  27  febbraio  1462,  pubblicando  in  appendice  dieci  docu- 
menti illustranti  la  famiglia,  di  cui  dà  anche  un  albero  genealogico 
che  è  il  più  completo  ed  esatto  di  quanti  se  ne   conoscono    finora. 

La  letteratura  sacra  del  Quattrocento  si  arricchisce  con  1'  altra 
pubblicazione  del  Morici  (7/  cardinale  Alessandro  Oliva,  predicatore 
5im/froc<;///r5/i;.Firenze,  Società  tipografica  fiorentina,  1899,  in-4,  pp.  68) 
sul  cardinale  Alessandro  Oliva  di  Sassoferrato  (1407-146?)  di  un 
altro  sermone  che  per  semplicità  e  schiettezza  di  forma,  per  vee- 
menza calda  di  sentimento  religioso  sta  bene  a  pari  delle  più  belle 
pagine  di  eloquenza  sacra  di  quel  tempo.  Il  Morici  pubblicando  il 
sermone,  finora  inedito,  vi  premette  uno  studio  accurato  intorno  alla 
vita  del  cardinale  di  S.  Susanna,  del  quale  fa  rilevare  la  nobile 
austera  figura  di  religioso,  di  letterato  e  di  d'plomatico. 

Le  origini  della  congregazione  dei  Flagellati  si  sorprendono  in 
una  leggenda  pubblicata  già  dal  Mazzatinti  :  La  le:(enda  de  fra  Rai- 
nero  Faxano,  un  eremita  perugino  che  intorno  al  1260  usava  battersi 
con  una  sferza  nel  segreto  della  sua  cella  per  ottenere  perdono  dei 
suoi  peccati.  Da  Perugia  i  Flagellati  si  diffusero  a  Spoleto,  a  Roma, 
per  tutta  Italia,  in  Provenza,  in  Polonia.  A  Viterbo  la  compagnia 
strana  si  costituì  nel  13 15  e  di  questa  appunto  pubblica  ora  il 
dott.  Pietro  Egidi  (Dai  primi  statuti  dei  Flagellati  di  Viterbo.  Gir- 
genti,  Formica  e  Caglio,  1900,  in-4,  PP*  xxii)  quattro  rubriche  di 
uno  staiuto  da  lui  trovato  ncll'  archivio  di  S.  Maria  Maddalena  di 
Viterbo,  in  un  codice  di  scrittura  gotica  del  secolo  xiv,  premetten- 
dovi brevi  e  interessanti  notizie  riassuntive  dello  svolgimento  storico 
di  queir  associazione. 

Mentre  nel  Bullctlino  senese  di  storia  patria,  col  concorso  del  Mi- 
nistero dell'interno,  si  viene  pubblicando  1'  inventario  generale  dei  do- 
cumenti consci  vali  nell'Archivio  di  Stato  'l  signor  A.  Lisini, 
direttore  di  quell'Archivio,  pubblica  un  imario  delle  nume- 
rose serie  di  carie  che  lo  costituiscono  1  ;00,  pp,  iji).  Quc- 
st*  Indice^  che  è  una  nuova  prova  della  varia  e  dotta  attività  del  Li- 


324  ^oti\ie 


sini,  sarà  di  grande  aiuto  agli   studiosi,  e  sarebbe  desiderabile  che 
tutti  gli  Archivi  di  Stato  ne  possedessero  uno  simile. 

In  occasione  del  venticinquesimo  anniversario  della  fondazione 
del  suo  corso  pratico  di  storia,  il  signor  Godefroid  Kurth,  profes- 
sore nell'Università  di  Liegi,  ha  veduto  intorno  a  sé  i  suoi  antichi 
allievi,  tra  i  quali  sono  i  migliori  storici  del  Belgio,  riuniti  per  una 
solenne  manifestazione  d'onore.  Il  metodo  dell'insegnamento  pratico 
della  storia,  seguito  ora  nelle  quattro  Università  del  Belgio,  ha  pro- 
dotto i  risultati  più  fecondi  ;  ed  è  veramente  utile  a  noi  Italiani,  presso 
i  quali  le  scuole  di  magistero  non  sono  che  una  pallida  imagine  di 
quanto,  per  l' insegnamento  pratico,  si  fa  nelle  Università  straniere, 
leggere  la  relazione  completa  sull'origine,  l'organizzazione  e  lo  svi- 
luppo dei  corsi  pratici  di  storia  nelle  quattro  Università  del  Belgio, 
scritta  dal  signor  Paolo  Fredericq,  professore  nell'Università  di  Gand, 
e  dedicata,  in  elegante  volume,  a  Godefroid  Kurth,  il  rinnovatore 
dell'insegnamento  storico  nel  Belgio. 

Nel  t.XIX  dei  Mèlanges  d'  archeologie,  et  d'  histoire,  il  signor  G.  de 
Manteyer  ha  pubblicato  uno  studio  importante  sulle  origini  della 
casa  di  Savoia  in  Borgogna.  Se  ne  renderà  conto  in  uno  dei  pros- 
simi fascicoli  dell'  Archivio. 


Nei  Mélanges  de  ìitlérature  et  d'histoire  religieuses  piiblìès  a  Vocca- 
sion  du  jubilé  épiscopal  de  Mgr.  De  Cahrières  èvéqtie  de  Montpellier 
(Paris,  Alphonse  Picard,  1899,  voli.  2),  notiamo:  Voi.  I.  Douais,  Les 
origines  de  VEpiscopat.  -  G.  Boissier,  Le  jiigement  de  Tacite  sur  hs 
Jitifs.  -  Duchesne,  Le  Forum  Chrétien  (I,  «  Les  traditions  apostoli- 
«  ques  ))  ;  II,  «  Les  églises  du  Forum  »  ;  III,  «  Le  Forum  et  la  li- 
turgie ))).  -  Jules  Gay,  Saint-Adrien  de  Calabre.  Le  monastere  Basilien 
et  le  Collège  des  Alhanais.  —  Voi.  IL  Mougel,  Voeiivre  lìltèraire  de 
Denys  le  Chartreux.  -  Le  cupiiaitie  de  Hoyrn  de  Marien.  Sceaux  ecclé- 
siastiques  Langiiedociens  du  tnoyen  dge  et  de  la  Renaissance. 


Nel  3"  fascicolo  del  XXV  voi.  del  Neues  Archiv  il  prof.  Kehr 
dà  notizia  di  due  notevolissimi  gruppi  di  documenti  dell'archivio  Va- 
ticano, che  erano  sinora  sfuggiti  alle  ricerche  degli  studiosi.  Il  primo 
di  essi,  al  quale  si  potrebbe  dare  il  nome  di  Instrutnenta  miscellanea 
Veneta,  proviene  dall'archivio  di  S.  Giorgio  in  Alga  di  Venezia,  dove 
si  trovavano   anche  il  materiale   archivistico  di    S.  Teresa,  le  carte 


^oti-^ie  325 


del  monastero  di  S.  Giorgio  in  Braida  e  probabilmente  anche  i  di- 
plomi per  i  Ss.  Fermo  e  Rustico  di  Verona  e  S.  Pietro  di  Castello 
pure  di  Verona.  Questi  diplomi  si  trovano  ora  nell'  archivio  Vati- 
cano. Un'  altra  serie  di  documenti  è  formata  dalle  pergamene  di  No- 
nantola  in  sette  capsule  :  un  materiale  certo  di  grande  valore  dal 
quale  il  Kehr  ha  tratto  tre  diplomi  Carolini,  finora  sconosciuti:  Lu- 
dovico il  Pio  per  il  monastero  di  S.  Maria  di  Val  di  Fabbrica  nel 
territorio  di  Assisi,  Aachen,  820,  dicembre  8  (copia  del  secolo  x); 
Ludovico  il  Pio  per  la  cella  di  S.  Maria  di  Val  di  Fabbrica,  Aachen, 
820,  decembre  8  (spurio  del  sec.  xi);  re  Carlo  per  il  monastero  di 
Nonantola  (copia  del  27  gennaio  del  1295,  da  un  testo  spurio). 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Archiv  fùr  katholisches  Kirchenrecht.  Anno  1900,  fase.  1°.  — 
Saegmueller,  Die  Geschichte  der  Congregatio  Condili  vor  dem  Mo- 
tuproprio «  Alias  nos  nonnullas  »  vom  2  August  1564  (La  storia  della 
Congregazione  del  concilio  prima  del  motuproprio  «  Alias  nos  non- 
nullas »  del  2  agosto  del  1564).  —  Fase.  2.  Kirsch,  Das  durch  Papst 
Benedict  XIV  im  Jahre  1753  mit  Spanien  abgeschlossene  Concordai 
(Il  Concordato  conchiuso  nell'anno  1753  da  papa  Benedetto  XIV 
con  la  Spagna). 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  Anno  XXV, 
fase.  1°.  —  F.  Cerasoli,  Gregorio  XI  e  Giovanna  I  regina  di  Na- 
poli. Documenti  inediti  dell'archivio  Vaticano. 

Bollettino  della  Società  Geografica  italiana.  Anno  1900, 
serie  IV,  voi.  I,  n.  3.  —  A.  Béquinot,  Sopra  un'antica  collezione  di 
piante  conservata  nel  Gabinetto  di  storia  naturale  del  liceo  E.  Q..  Vi- 
sconti di  Roma.  —  La  popolazione  di  Roma  al  31  dicembre  1899. 

Historisches  Jahrbuch.  Anno  1900,  fase.  i«. —  Schnitzer.  Zur 
Geschichte  Alexanders  VI  (Intorno  alla  storia  di  Alessandro  VI). 

Mitteilungen  aus  der  historischen  Litteratur.  Anno  1900, 
fase,  i"  —  Heydenreich,  recensione  dell'opera  del  Lersch  :  Einloi- 
tung  in  (.iic  Chronologie.  I,  II  (Avviamento  alla  cronolei^i.i.  r.iite  I 
e  II).  -  Kkuni.k,  recmùonc  dell'opera  del  Grisar  :  Geschichte  Roms 
und  der  Papstc  im  Mittd.iltc-r  (Storia  di  Roma  e  dei  papi  nel  me- 
dioevo). -  Altman  '/<■  dell'opera  di  Love:  Les  archives 
de  la  Chambre  apo.:  1  xiv*  siècle.  —  I-asc.  2".  LA^^ciihorn'. 
recensione  dell'opera  ilei  Iami-kecht:  Die  kultuii. 
(Il  metodo  storico).-  Loevinson,  rccd/zi/uwi;  dell' open  uli  dkh.ilh: 


328  Periodici 


La  paleografia  e  i  raggi  di  Rontgen.  -  Sternfeld,  recensione  del- 
l'opera dello  Schwemer:  Papsttum  und  Kaisertum  (Il  papato  e  l'im- 
pero). -  Heydenreich,  recensione  dell'opera  del  Keller:  Die  ròmische 
Akademie  und  die  aitchristlichen  Katakomben  im  Zeitalter  der  Re- 
naissance (L'Accademia  Romana  e  le  catacombe  cristiane  al  tempo 
del  Rinascimento).  -  Scn^wTz,  recensione  àtW  o^Q.rn  del  Pastor  : 
Geschichte  der  Pàpste  seit  deni  Ausgang  des  Mittelalters  III,  4  Aufl. 
(Storia  dei  papi  dalla  fine  del  medioevo.  Voi.  Ili,  4''  ediz.). 

Mittheilungen  des  Instituts  fùr  oesterreichische  Ges- 
chichtsforschung.  Anno  1900,  fase.  1°.  —  B.  Krusch,  Nochmals 
die  Afralegende  und  das  Martyrologium  Hieronymianum  (Ancora  la 
leggenda  di  Afra  ed  il  martirologio  Geronimiano).  -  Bericht  ùber 
die  Arbeiten  der  ordenti! chen  Mitglieder  des  Istituto  austriaco  in 
Rom  im  Jahre  1898-99  (Rendiconto  dei  lavori  dei  membri  ordinari 
dell'Istituto  austriaco  in  Roma  nell'anno  1898-99).  —  Fase.  2°. 
R.  RòHRiCHT,  recensione  dell'opera  di  Delaville  le  Roulx:  Car- 
tulaire  general  de  l'ordre  des  Hospitaliers  de  St-Jean-de-Jérusalem, 
e  recensione  dell'  opera  di  N.  Jorga  :  Notes  et  extraits  pour  servir  à 
l'histoire  des  Croisades. 

Re  vista  de  archi  vos,  bibliotecas  y  museos.  Anno  1900, 
n.  I.  —  D.  M.  R.  De  Berlanga,  Estudios  epigràficos.  Fragmento 
de  una  epistola  romana.  —  N.  3.  D.  V.  V.,  recensione  dell'  opera 
di  G.  Daumet:  Innocent  VI  et  Bianche  de  Bourbon. 

Revue  historique.  Annata  XXV,  1900.  Fase.  i**.  —  Camille 
Jullian,  France:  Travaux  sur  l'antiquité  romaine.  -  H.  Vast,  re- 
censione dell'opera  di  L.  Pastor:  Geschichte  der  Pàpste  seit  dem 
Ausgang  des  Mittelalters  (Storia  dei  papi  dopo  la  fine  del  medioevo).  - 
Idem,  recensione  dell'opera  di  Evelyn  S.  Shuckburgh:  A  History 
of  Rome  for  beginners  (I  primi  tempi  della  storia  di  Roma). 

Rivista  italiana  di  numismatica.  Anno  XIII,  1900,  fase.  1°. — 
M.  Bahrfeldt,  Le  monete  romano-campane;  traduzione  dal  tedesco 
del  dottor  Serafino  Ricgl  -  Manuale  Gnecchi,  Monete   romane. 

Rivista  storica  italiana.  Anno  XVII,  N.  S.,  voi.  V,  fase.  1°. — 
Brandileone,  recensione  dell'opera  del  Calisse:  Storia  di  Civitavec- 
chia. -  Spezi,  recensione  dell'opera  di  Foglietti  :  S.  Petri  Damiani  au- 
tobiographia.-  Rinaudo,  recensione  dell'opera  di  Messeri  :  La  questione 
romana  dal  1858  al  1870. -Idem,  recensione  dell'opera  di  Crawford: 


^ertoci  tei  329 


Ave  Roma  immortalis.  -  M.  R.,  recensione  dell'opera  di  Cantalupi; 
La  magistratura  di  Siila.  -  Bonino,  recensione  dell'opera  di  Colomb: 
Campagne  de  Cesar  contre  Arioviste.  -  Capasso,  recensione  dell'o- 
pera di  NDrnberger,  Papsttum  und  Kirchenstaat.  -  Rinaudo,  recen- 
sione dell'  opera  di  Del  Cerro  :  Cospirazioni  romane. 

Ròmische  Quartalschrift.  Anno  1900,  fase.  1°  e  2^. —  Schwar- 
zenski,  Ein  unbekanntes  Bùcher-  und  Schatzverzeichniss  des  Cardinal- 
bistums  Porto  aus  dem  xi.  Jalirhundert  (Un  inventario  sconosciuto 
di  libri  e  di  suppellettili  appartenenti  al  cardinal  vescovo  di  Porto, 
del  secolo  xi). 

Theologische  Quartalschrift.  Anno  1900,  fase.  1°.  —  H.  Kock, 
recensione  dell'opera  di  Gigalski  :  Bruno  von  Segni  (Bruno  da  Se- 
gni). -  Schanz,  recensione  dell'opera  di  Glossner  :  Savonarola.  — 
Fascicolo  2^  Punk,  recensione  dell'opera  di  Baumgarten  :  Die  ka- 
tholische  Kirche,  Rom  (La  Chiesa  cattolica,  Roma).  —  Fase.  3" 
FuNK,  recensione  dell'opera  di  Stapper  :  Papst  Johannes  XXI  (Papa 
Giovanni  XXI). 

Zeitschrift  fùr  katholische  Theologie.  Anno  1900,  f;isc,  i" 
e  2°.  —  N.  NiLLES,  Innocenz  IV  und  die  glagolitisch-slavische  Li- 
turgie (Innocenzo  IV  e  la  liturgia  glagolitica-slava).  -  N.  Paulus, 
Zur  Geschichte  des  Jubilàums  vom  Jahre  1500  (Intorno  alla  storia 
del  giubileo  dell'anno  1500).  -  E.  Michael,  Papstgeschichte  von 
Pastor  (La  storia  dei  papi  del  Pastor).  -  L.  Schaefer,  recensione 
dell'opera:  Festschrift  zum  elfhundertjàrigen  Jubilàum  des  deutschen 
Camposanto  in  Rom  (Scritti  pubblicati  in  occasione  del  1100°  anni- 
versario del  Camposanto  dei  Tedeschi  in  Roma).  -  G.  Allmang, 
recensione  dell'opera  di  B.  M.  Lersch  :  Einleitung  in  die  Chronologie 
(Avviamento  alla  cronologia).  -  N.  Nilles,  Annus  ab  incarnatione  = 
aim.  a  trabeatione 


La  fraternità  dei  Disciplinati  di  Viterho 


I. 


UALCHE  anno  fa  in  questo  stesso  Archivio  vedeva 
la  luce  uno  studio  sulle  corporazioni  d'Arte  della 
città  di  Viterbo  e  sui  loro  statuti  (i),  tra  i  quali 
però,  come  è  naturale,  non  trovavano  posto  quelli  dei 
Disciplinati.  Capitatami  la  buona  fortuna  di  scovarli  nel 
fondo  di  un  armadio  in  una  sagrestia  piena  di  ragnateli 
e  di  polvere,  mi  parve  non  privo  di  pregio  spendervi  su 
qualche  fatica,  e  raggrupparvi  intorno  quante  notizie  mi 
fosse  dato  raccogliere  dell'antica  associazione. 

È  vero  che  la  fraternità  viterbese  non  ebbe  mai,  presa 
da  sola,  grande  importanza  né  politica,  né  sociale,  pure 
per  lo  studioso  è  già  di  un  interesse  non  scarso  anche 
solo  il  poter  seguire  davvicino  la  nascita,  lo  sviluppo,  la 
decadenza  di  un'  istituzione,  specialmente  quando  le  varie 
vicende  siano  dipendenti  dal  progressivo  trasformarsi  del 
sentimento  religioso  e  delle  condizioni  sociali.  L'interesse 
cresce  quando,  come  nel  caso  nostro,  V  istituzione  non  è 
un  fenomeno  isolato  e  la  sua  vita  non  e  in  sé  assoluta- 
mente rinchiusa,  ma  si  riallaccia  più  o  meno  direttamente 


(i)   r.  e  L  TURI,  L(  corporaiwni  dtlU  Ai  li  nei  Comune  in  P^iUrbo, 
a.  1883,  VII,  I  s.i^g. 

Are 'litio  dtlla  li.  Società  romana  di  itoria  patria.  Voi.  XXIII  -2 


332  7^.  Egidi 

da  una  parte  con  la  vita  della  città  e  dall'  altra  con  uno 
stato  d'  animo  che  occupò  tutta  Italia,  anzi  gran  parte 
d*  Europa  per  lungo  volger  d'  anni,  lasciando  dietro  di  sé 
conseguenze  profonde  e  durature.  Poiché  non  fa  certo 
bisogno  che  io  rammenti  quanto  le  compagnie  dei  Flagellati 
abbiano  influito  nella  costituzione  o  nella  trasformazione 
degli  innumerevoli  sodalizi  laico-religiosi,  che  come  una 
rete  a  maglie  fittissime  avvolsero  tutta  la  nostra  società 
fin  quasi  ai  giorni  nostri,  portando  nella  sua  vita  econo- 
mica un  fattore  non  privo  di  efficacia  con  le  loro  proprietà 
collettive;  né  che  ripeta  quanto  altri  disse  magistralmente 
intorno  all'azione  da  loro  esercitata  nello  svolgimento  della 
lirica  popolare  sacra  e  nella  genesi  della  drammatica  ita- 
liana, nonché  nella  progressiva  cultura  dei  vernacoli  e  dei 
dialetti  (i). 


IL 


Non  mi  è  possibile  stabilire  esattamente  il  momento 
che  i  Battuti  comparvero  a  Viterbo  per  la  prima  volta. 
E  naturale  però  che  la  città,  posta  a  così  breve  distanza  dai 
due  centri  principali  di  irradiazione,  Perugia  e  Roma,  non 
abbia  potuto  a  lungo  sfuggire  al  generale  commovimento. 
Da  Perugia  a  Roma  la  fiumana  dei  frustatori  prese  la  via 
umbro-sabina  (Assisi,  Foligno,  Spoleto)  lasciando  in  di- 


(i)  Basterà  qui  citare  i  due  scritti  del  Monaci:  Appunti  per  la 
storia  del  teatro  italiano.  Uffici  drammatici  dei  Disciplinati  dell'Umbria 
in  Rivista  di  filologia  romanza,  I,  235  sgg,  ;  II,  29  sgg.  ;  Aneddoti  per 
la  storia  letteraria  dei  Laudesi,  dei  Disciplinati  e  dei  Bianchi  in  Rendiconti 
dell' Acc.  dei  Lincei,  classe  delle  Scienze  morali,  stor.  e  fil.  serie  V, 
a.  1892,  voi.  I,  fase.  2,  p.  73  sgg.  e  l'opera  fondamentale  del  D'An- 
cona, Origini  del  teatro  italiano,  Torino,  Loescher,  1891,  2  volumi. 
La  bibliografia  intorno  ai  Battuti  e  specialmente  alle  laudi  e  agli 
statuti  è  abbondante  e  non  sarebbe  privo  di  merito  il  raccoglierla  me- 
todicamente. 


La  fraternità  dei  T)isciplinati  di  Viterbo      335 


sparte  la  nostra  regione  :  ma  è  più  che  probabile  che  dopo 
Civita  Castellana  e  Nepi  una  parte  volgesse  per  la  via  Cassia, 
che  ivi  presso  si  innesta,  e  attraversato  Vetralla  o  Ronci- 
glione  giungesse  a  Viterbo,  donde,  dopo  allagato  tutto  il 
contado,  corresse  a  fondersi  col  ramo  umbro-toscano  che 
per  Cortona  era  arrivato  fino  a  Siena.  Che  a  noi  perve- 
nisse il  flusso  direttamente  dall'  Umbria  e  non  il  riflusso  da 
Roma,  me  lo  persuadono  le  copiose  tracce  umbre  che  si 
scorgono  negH  statuti  primitivi.  È  vero  che  essi  furono  stesi 
in  tempo  più  tardo  e  potrebbero  dipendere  dagli  umbri  anche 
se  il  primo  movimento  fosse  partito  da  Roma;  ma  non 
è  più  naturale  che  si  prendessero  di  là  donde  era  venuta 
la  vita?  (i) 

Comunque  si  fosse,  la  mancanza  di  una  memoria  qual- 
siasi (2)  ci  è  testimonio  che  in  Viterbo  non  dovette  esser 
grande  la  intensità  della  agitazione  disciplinata.  Né  po- 
teva essere  altrimenti.  Quel  selvaggio  misticismo  poca 
presa  era  atto  a  fare  sugH  animi  dei  Viterbesi,  u  in  tutt*altre 
«  faccende  affaccendati  ».  Appena  pochi  anni  prima  usciti 
da  una  «[uerra  che  li  aveva  condotti  all'  orlo  della  rovina 
completa,  essi  si  trovavano  in  un  periodo  di  balda  opero- 
sità, come  se  il  pericolo  cui  erano  scampati  avesse  loro 
data  una  nuova  gioventù.  Con  un'  attività  che  non  trova 
confronti  nei  tempi  posteriori,  riparavano  ai  danni  che  le 
guerre  e  1'  assedio  di  Federico  II  (momento  più  epico  del 
Comune)  avevano  arrecato;  restauravano  le  mura;  pro- 
fondevano nella  città  signorilmente  palazzi,  fontane,  chiese 


(1)  Anche  quando  le  confraternite  viterbesi  si  riunirono  alla  ro« 
mana  (sec.  xvi),  non  si  fece  alcun  cenno  ad  antiche  relazioni.  V.  in 
seguito. 

(2)  I  cronisti  non  ne  fanno  pur  un  cenno;  cosa  naturale  se  si 
pensi  che  quello  del  secolo  xni  (Lanzillotto)  narrò  sino  al  1255, 
quelli  del  xiv  vissero  nella  seconda  metà  del  secolo.  Essi  ci  dettero 
notizie  della  venuta  dei  Bianchi,  ma  non  s'  accorsero,  nò  era  facile, 
della  parentela  che  correva  tra  questi  e  i  Battuti. 


334  *?•  Egidi 


che  anche  oggi  ne  attestano  la  vigoria,  la  pietà,  il  severo 
sentimento  artistico;  colle  armi  o  coi  trattati  riafferma- 
vano r  egemonia  su  gran  parte  del  Patrimonio  e,  proprio 
negli  anni  che  i  Battuti  andavano  predicando  la  penitenza 
e  il  distacco  dai  beni  terreni,  s' adoperavano  a  tutt'uomo 
per  rapire  alla  città  eterna  la  sedia  di  Pietro  e  posarla 
stabilmente  in  mezzo  a  loro  (i).  Avrebbero  potuto  mai 
essere  numerosi  coloro  che,  vestito  il  sacco,  scalzi  e  pian- 
genti, fossero  andati  frustandosi  a  sangue  le  spalle,  in  una 
città  tutta  intesa  a  sfruttare  la  miniera  d*  oro  apertasele  in 
seno  colla  venuta  della  corte  pontificia  ?  Troppo  erano 
volti  gli  animi  ad  ottener  privilegi,  a  fittar  case  e  palazzi, 
a  nutrir  cardinali,  a  spennacchiar  cortigiani,  perchè  potes- 
sero esser  sensibili  al  grido  doloroso  che  aveva  fatto  cor- 
rere un  brivido  di  terrore  per  tutta  T  ItaHa  (2). 

Papa  Alessandro  IV,  venuto  in  Viterbo  nel  maggio 
del  1257,  ^'^  s^  trattenne  sino  ai  primi  del  1259  (3).  Vi 
dimorava  dunque  quando  dietro  a  Ranieri  Faxano  trassero 
gli  esaltati  Perugini,  e  probabilmente  quando  1'  onda  dei 
Battuti  giunse  nella  città.  A  chi  ricordi  come  tra  le  principali 
cause  della  distruzione  del  mondo  decretata  da  Cristo,  per 
scongiurar  la  quale  era  sorta  la  devozione  della  «  scopa  », 
era  indicato  il  malcostume  del  clero,  e  come  tra  le  dot- 
trine rimproverate  ai  Disciplinati  era  appunto  la  ribellione 
alla  gerarchia,  tanto  da  procurare  loro   un'  espHcita  con- 

(i)  Sull'operosità  dei  Viterbesi  in  questo  cinquantennio  vedi 
il  voi.  II  della  Storia  di  Viterbo  di  C.  Pinzi  (Roma,  tip.  della  Ca- 
mera, 1889).  Su  quella  del  ventennio  1250- 1270  vedi  specialmente 
lib.  V,  cap.  Ili  (pp.  37-55,  attività  politica),  lib.  VI,  cap.  i  (pp.  131- 
155,  attività  edilizia).  Quanto  alla  dimora  dei  pontefici  si  ricordi  che 
furono  eletti  in  Viterbo  durante  questo  periodo  cinque  papi  e  ve  ne 
morirono  quattro  e  che,  tra  gli  altri,  a  lungo  vi  dimorò  Clemente  IV 
nel  tempo  che  Carlo  d'Angiò  compiva  l'impresa  di  Napoli. 

(2)  I  fitti  «  toto  tempore  quo  papa  stabit,  debeant  adraduplare  » 
dicono  le  carte  di  quel  tempo  ;  op.  cit.  p.   59. 

(3)  Pinzi,  op.  cit.  II,  62  e  73. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      ^i^ 

danna  dal  papa(i),  non  parrà  dubbio  che  la  presenza  della 
Curia  dovesse  ammorzare  lo  spirito  di  penitenza,  e  che 
r  interesse  proprio  dovesse  spingere  il  Comune  a  limitarlo 
più  che  fosse  possibile,  in  modo  da  mostrare  ad  Alessandro 
di  essere  alieno  da  poco  ortodosse  agitazioni  e  degno  di 
accogliere  il  vicario  di  Cristo. 

La  più  antica  notizia  dei  Disciplinati  viterbesi  ci  viene 
data  dagli  statuti  volgari  conservati  nell'  archivio  della  con- 
fraternita di  S.  M.  Maddalena.  Essi  ci  dicono  che  la  «  fra- 
«  ternitade  fune  comengata  in  anno  Domini  .m.ccc.xv. 
«  indictione  ter^^a  decima  »  (2).  La  attendibilità  della  fonte 
è  indiscutibile,  poiché  questi  statuti  furono  stesi  certa- 
mente prima  del  1345,  anno  in  cui  vennero  approvati  da 
Aliotto  di  Narni,  vicario  generale  per  gli  affari  spirituali 
di  Bernardo  da  Lacu  vescovo  di  Viterbo  e  rettore  del 
Patrimonio  (3).  Questa  data  non  è  in  contraddizione  se 
non  apparente  con  la  mia  opinione  intorno  alla  comparsa 
dei  Battuti  in  Viterbo  alla  metà  del  secolo  xiii;  essa  deve 
riferirsi  solamente,  come  dice  anche  la  lettera  dello  sta- 
tuto, al  costituirsi  della  compagnia,  non  al  primo  inizio 
della  devozione,  cose  che  quasi  mai  andarono  insieme  (4). 


(i)  Raymald.  Ann.  Eccl.  n.  1260,  ed.  Manzi,  III,  57. 

(2)  Arch.  S.  M.  Madd.  Statuto  7,  e.  i.  Per  maggiore  speditezza 
indicheremo  d'ora  innanzi  questo  statuto  colla  lettera  A. 

(3)  Statuto  A,  e.  XV  B,  22  ottobre  1345,  notaio  «  Johannes  filius 
a  quondam  Gerii  de  Florentia  ».  V.  App.  n.  11. 

(4)  Non  è  a  dubitare  che  la  compagnia  stabile  sia  uno  stadio 
ulteriore  del  movimento  battuto.  Da  principio  le  unioni  erano  tem- 
poranee (53  giorni  di  solito)  e  tumultuarie,  non  regolate  da  alcun 
dettame  ben  definito,  solo  vincolate  dal  comune  desiderio  di  peni- 
tenza. Solo  quando  questo  si  affievolì  e  agitò  un  più  ristretto  numero 
di  persone,  poterono  sorgere  le  regolari  associazioni  con  norme  fìsse. 
Non  c'  debbono  trarre  in  inganno  le  date  attribuite  agli  statuti  di 
Maddaloni  (E.  Monaci,  Crestomazia  italiana  dei  primi  secoli  con  pro- 
spetto delle  flessioni  iframmaticali  e  glossario^  Città  di  Castello,  Lapi,  1897, 
II,  420-24,  n.  138)  e  di  Bologna  (A.  Gaudenzi,  Le  Società  del  popolo 


3s6  T.  E  oidi 


Contraddittoria  sarebbe  invece  un'altra  notizia  consacrata 
in  una  lapide  marmorea  infissa  nella  parete  a  destra  di 
chi  entra  nella  chiesa  di  S.  Maria  Maddalena.  Eccone  il 
tenore  : 

D.  O.  M.  I  CONFRATERNITAS  DISCIPLINATORUM  |  S.  MARIAE 
MAGDALENAE  VITERBIEN.  |  ORTUM  HABUIT  ANNO  SALUT. 
1345  I  TEMPLUM  S.  M.  AD  HEDERAM  AERE  |  PROPRIO 
STRUXIT  ET  EXPLEVIT  |  AGGREGATA  EST  PIAE  AC  VENE- 
RABILI I  ARCHICONFRATERNITATI  |  S.  SUDARI  D.  N.  lESU 
CRISTI   I  DE    URBE   |   A.    D.    1619. 

U  iscrizione  è  di  epoca  così  vicina  a  noi  e  cosi  lon- 
tana invece  dal  fatto  cui  accenna,  che  sol  per  questo  la 
sua  testimonianza,  di  fronte  a  quella  dello  statuto,  è  di 
valore  lievissimo.  Diventa  poi  assolutamente  inattendibile 
se  si  badi  che,  probabilmente  (io  direi  certamente),  prende 
origine  da  una  falsa  lettura  degli  stessi  statati.  Di  questi 
la  prima  pagina  e  specialmente  la  linea  che  contiene  la 
data  13 15,  per  il  diuturno  contatto  di  mani  spesso  non 
troppo  nette,  è  di  lettura  assai  difficile  anche  a  chi  abbia 
certa  familiarità  colle  vecchie  carte  :  nitidissima  è  invece 
la  cifra  1345,  ^^^^  ddh  conferma  già  indicata.  Ben  natu- 
ralmente da  chi  non  seppe  leggere  la  prima  cifra,  questa 
ultima  fu  presa  per  la  data  di  costituzione  della  fraternità, 
tanto  che  anche  in  marcine  del  manoscritto  sta  seo:nato  : 

di  Boìo^ìia,  II,  432-56,  in  Fonti  per  la  storia  d' Italia  edite  a  cura 
dell' Ist.  Stor.  It  ).  Del  primo  è  assurda  la  data  11 50  che  una  mano 
posteriore  vi  ha  segnato  a  tergo  e  sebbene  abbia  l'  aspetto  di  uno 
statuto  primitivo  non  si  hanno  elementi  per  stabilirne  con  approssi- 
mazione r  epoca  di  fattura.  Del  secondo  solo  si  può  dire  che  era 
formato  nel  1286,  in  cui  fu  confermato  dal  vescovo,  ma  sebbene  nel 
proemio  porti  la  data  1260  tempore  generalis  devotionis^  pure  eviden- 
temente nella  forma  in  cui  ci  è  giunto,  non  può  essere  che  il  risul- 
tato di  parecchie  elaborazioni,  poiché  presenta  tra  le  varie  parti  no- 
tevoli contraddizioni  (cf.  ì  capp.  i,  38  e  39;  23  e  36). 


La  fraternità  dei  T)isciplinati  di  Viterbo      537 

«  fu  principiata  la  nostra  compagnia  di  S.  xMaria  Madda- 
«  lena  1345  »  (i). 

Di  maggiore  gravità  sarebbe  invece  la  contraddizione 
con  la  notizia  di  un  acquisto  di  terre  fatto  dalla  società 
dei  Disciplinati  nell'anno  1300,  testimoniato  da  una  carta 
coeva,  la  quale  avrebbe  esistito  nella  «  Credentia  Hospitalis» 
dell'  archivio  segreto  municipale  di  Viterbo  (2)  ancora 
nel  i8^r,  a  quanto  ci  assicura  un  manoscritto  anonimo  di 
quest'anno  (3).  Ma  in  detto  archivio  non  esiste  più  alcuna 
«  Credentia  Hospitalis  ».  Tutte  le  carte  riguardanti  l'ospe- 
dale nel  1880  furono  estratte  dall'archivio  Comunale  e  im- 
messe in  quello  particolare  dello  Spedai  Grande,  allora 
divenuto  autonomo.  Le  più  antiche  di  queste  carte  sono 
raccolte  in  due  regesti  de' quali  l'uno  comincia  con  un  atto 
del  28  febbraio  1400  {Margarita  Hospitalis),  l'altro  con  un 
atto  del  1378  (4);  sicché  è  inutile  cercarvi  la  cartaio  que- 
stione. Potrebbe  pensarsi  che  essa  andasse  perduta  negli  anni 
intermedi  tra  il  momento  in  cui  1'  anonimo  scrisse  (1861) 
e  quello  che  i  documenti  cambiarono  di  sede.  Però  di 
fronte  ad  una  notizia  cosi  recisa  come  quella  dello  sta- 
tuto, registrata  a  cosi  breve  distanza  dall'  avvenimento, 
propendo  piuttosto  a  credere  in  un  errore  di  lettura  e  ri- 
tengo ferma  la  data  13 15  fino  a  convincente  prova  con- 
traria (5). 

(1)  St.    A,    e.    XV  A. 

(2)  Tomo  I,  lett.  A,  n.  2. 

(3)  Risposta  ai  quesiti  della  sacra  visita  dell'  a.  1S61,  nell'archivio 
della  confr.  del  Gonfalone  di  Viterbo. 

(4)  Q.ueste  notizie  ebbi  da  una  gentilissima  lettera  del  cav.  Ce- 
sare Pinzi,  bibliotecario  della  Comunale  viterbese,  nel  gennaio  1899. 
Neir  agosto  poi  ebbi  modo  di  controllarle  personalmente  e  frugai 
nei  due  volumi,  sperando  che,  come  succede  talvolta,  i  documenti  non 
fossero  disposti  dentro  di  essi  in  ordine  cronologico  :  ma  senza  ri- 
sultato. 

(5)  Nella  stessa  Risposta  cit.  e  detto  che  della  confraternita  di- 
sciplinata si  parla  in  un  Compendio  della  storia  delle  confraternite  viter- 


3.38  T,  Egidi 


Facilmente  il  ravvivamento  del  moto  disciplinato  av- 
venuto intorno  al  1310  (i)  ebbe  eco  anche  tra  noi,  rinno- 
vando negli  animi  dei  vecchi  le  memorie  di  mezzo  secolo 
prima,  ispirando  nei  giovani  i  fervori  cui  eran  preparati 
dalle  parole  dei  genitori,  e  la  «  fraternità  dei  Disciplinati  e 
((  degli  Accomandati  »  di  Gesù  Cristo  fu  costituita;  a  meno 
che  non  voglia  pensarsi  alla  preesistenza  di  piccole  cap- 
pelle di  Battuti  che  nel  15  si  unissero  in  un  sol  corpo. 
Certo  la  compagnia  viveva  già  prima  del  1334  e  se  in 
quest*  anno  dalla  predicazione  di  Venturino  da  Bergamo 
potè  avere  spinta  a  maggiore  incremento,  non  ne  ebbe 
certo  la  nascita  (2). 

Noi  non  sappiamo  se  in  Viterbo  a  quelle  dei  Battuti 
preesistessero  le  unioni  dei  Laudesi  che  altrove  appaiono 

ìiesi  da  un'  antica  cronaca  di  casa  Sacchi,  conservata  nell'  arch.  della 
Cattedrale.  Anche  questo  compendio,  strana  fatalità,  è  scomparso,  o 
almeno  non  mi  è  stato  possibile  rintracciarlo  ad  onta  di  lunghe  e 
pazienti  ricerche  fatte  con  1'  aiuto  del  canonico  D.  Giacomo  Bevi- 
lacqua, archivista. 

(i)  D'Ancona,  op.  cìt.  p.  109;  Coen,  1  Capitoli  della  compagnia 
del  Crocione  di  Pisa  composti  nel  secolo  xiv,  Pisa,  Mariotti.  1895,  p.  4  sg. 

(2)  Così  pensò  il  Pinzi,  Gli  Ospi:(i  medievali  e  V  Ospedal  Grande 
di  Viterbo,  Viterbo,  Monarchi,  1893,  pp.  121-23;  Storia  Scc,  Viterbo, 
Agnesotti,  1899,  -^^^j  '^7*  ^^"  poteva  essere  facile  avere  altro  pen- 
siero quando  il  documento  più  antico  che  parlasse  dei  Disciplinati 
risaliva  al  1337  (un  tale  Pacefuglolia  (?)  dona  «  tres  libras  papari- 
«  norum  »  all'ospedale  della  Disciplina;  arch.  Notar.  Vit.  prot.  IV 
di  Pietro  Amadei  da  Vit.  «  die  .xxi.  aug.  »). 

Un  altro  argomento  ci  porta  pure  a  ritenere  che  la  constitu- 
zione  della  fraternità  si  debba  fissare  se  non  al  13 15  almeno  in  quel 
torno.  Tra  le  preghiere  conservateci  in  un  officio  de'  Disciplinati  della 
seconda  metà  del  sec.  xiv,  ve  ne  è  una  per  l'anima  di  «  missere 
«  Agnilo  e  missere  Nicola...  ovescovi  di  Viterbo  capo  et  guida  di 
«  questa  sancta  et  benedecta  fraternitade  »  (arch.  S.  M.  M.  St.  B, 
p.  9).  Ora  Angelo,  che  è  il  più  antico  dei  due,  sedette  dal  13 18 
al  1343  e  già  nel  1326  aveva  consecrata  una  cappella  di  «  ricoman- 
«  dati  »  della  B.  V.  M.  in  Santa  Maria  Maggiore  di  Roma  (Ms.  del- 
l'Episcop.  Viterh.  arch.  Catt.  Vit.  p.  72). 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      339 

già  nel  secolo  xn  e  che  debbono  avere  influito  molto  sulla 
costituzione  delle  nuove  società,  prestando  loro  esemplari 
di  regole  da  imitare,  come  prima  avevano  prestato  lau- 
dari (i);  certo  non  mancavano  confraternite  laico-religiose. 
Abbiamo  sicura  conoscenza  di  una  tra  queste,  la  fraternità 
((  hospitale  de  valle  S.  Leonardi  »  (o  «  S.  Leonardi  deValle») 
da  una  carta  della  metà  del  secolo  xii  che  ci  conserva  le 
linee  principali  de'  suoi  statuti,  dalle  quali  ci  è  dato  rico- 
noscere che  essa  aveva  gli  speciali  caratteri  delle  posteriori 
confraternite  e  cioè  la  contribuzione  pecuniaria  dei  soci, 
r  impiego  del  denaro  nelle  funzioni  religiose  e  nell'assi- 
stenza mutua,  la  sepoltura  comune,  il  riconoscimento  di 
una  gerarchia,  e  soprattutto  il  rispetto  per  1'  autorità  del- 
l'ordinario  e  il  diritto  di  possedere  (2).  Cosi  viene  a  con- 
fermarsi una  volta  di  più  che  confraternite,  anche  nel  senso 
ristretto  che  noi  ora  diamo  alla  parola,  esistevano  prima 
del  movimento  flagellato  (3),  e  che  anzi  questo  da 
quelle  subì  non  lieve  influenza,  riuscendo  poi  alla  sua 
volta  a  trasformarle  e  modificarle.  Sodalizi  noi  troviamo 
sino  ne'  più  alti  tempi  del  medio  evo.  Arduo  sarebbe  af- 
fermare la  dipendenza  loro  dai  sodalizi  pagani,  o,  come 
altri  volle,  dai  collegi  funeratici  del  primitivo  cristiane- 
simo (4),  sebbene  vi  siano  indizi  che  ci  spingano  in  tale 
opinione.  Per  mio  conto  si  deve  pensare  delle  fratellanze 

(i)  E.  Betta/./i,  Xotirja  d'  un  ìuiidario  </,/  xiii  secolo,  Arezzo, 
Bellotti,  1890. 

I2)  Ardi.  Catt.  Vit.  perg.  7  a.  Fu  pubblicata  dal  Pinzi,  0.t/>/^/  ^c. 
Append.  n.  i  :  credo  però  opportuno  riportarla  in  Appendice,  essen- 
domi riuscito  ,1  IcL'L^crne  parecchie  parole  di  più  e  a  correggere  la 
lettura  di  ali  probabile  esistenza  di  una   confraternita  di  bi 

folcili  viterbesi  cu    ,,   u  medesimo  temim,  vedi  p.   386. 

(5)  W  Murai  Oli,  //;////.  //,;/.  tu.  .ir.  \'ll,  diss.  75  ;  E.  Bettazzi, 
op.  cit.  ;  I{.  Monaci,  Cicionurjn  iialunu,  n.  146,  p.  450,  fase.  II. 

(\)  ('..  CoiN,  op.  ci;,  pp.   ?]-2-j.    Hgli    aflferma  che    collegi  fu- 
:  levali  '(  ebbero  vita  unicamente  dal  sen- 


340  ^P.  Egìdi 


pie,  quello  che  delle  corporazioni  artiere  e  di  ogni  altra 
associazione.  Lo  spirito  corporativo  è  inerente  ad  un  dato 
grado  di  civiltà.  Il  legame  da  cui  la  corporazione  è  stretta 
varia  col  variare  de'  tempi,  delle  religioni,  dello  stato  eco- 
nomico, politico,  sociale:  una  continuità  ininterrotta  a  tra- 
verso delle  trasformazioni  così  profonde  che  subì  la  società 
nel  passaggio  dal  paganesimo  al  cristianesimo,  dalla  civiltà 
romana  alla  cristiano-germanica,  non  è  possibile  pur  ima- 
ginarla;  ma  come  ogni  stagione  ha  i  suoi  frutti,  cosi  ogni 
secolo  ebbe  le  sue  associazioni.  Alcune  di  esse  nacquero 
dal  trasformarsi  delle  antiche,  tenute  in  vita  da  speciali 
condizioni  ;  la  maggior  parte  cambiando  indole  e  aspetto 
sorsero  sulle  ceneri  delle  prime,  morte  quando  non  rispon- 
devano più  ai  bisogni  dei  tempi  (i). 

L'  epoca  di  redazione  dello  statuto  più  antico  che  ci 
rimanga,  è  compresa  tra  l'anno  1345  (conferma  di  Allotto 
vicario)  e  il  13 15  (in  cui  «  fune  comencata  la  frater- 
«  nita  »)  (2).  Non  voglio  tentare  di  stabilire  termini  più 
precisi:  sono  però  d'opinione  che  non  ci  si  debba  allon- 
tanar troppo  dalla  data  più  antica,  sia  in  vista  della  forma 

(i)  Cf.  A.  Gaudenzi,  Statuti  delle  Soc.  del  popolo  di  Bologna,  II, 
Pref.  pp.  viii-xii. 

(2)  Neil'  ardi,  della  confr.  di  S.  M.  Maddalena  sono  conservati 
tre  .statuti  dei  Disciplinati,  i^  Questo,  anteriore  al  1345.  Pergam. 
mm.  230 X  1)5»  in  gotico  librario  del  sec,  xiv  di  bella  forma;  ini- 
ziali e  rubriche  in  rosso.  È  composto  di  due  quaderni:  la  pagina 
scritta  è  mm.  160  X  95  meno  la  prima  che  è  mm.  150  X  95-  Ogni 
pagina  ha  ventiquattro  righe  meno  la  28  che  ne  ha  ventidue  e  la  29 
con  venticinque,  però  in  queste  la  vecchia  scrittura  è  stata  raschiata 
(eccetto  che  nelle  ultime  cinque  linee  della  29)  e  sopra  è  stato  ri- 
scritto. Le  regole  terminano  a  e.  1 5  ;  a  e.  1 5  b  sta  la  conferma  di  Aliotte 
indicata:  manca  la  e.  16.  Chiameremo  questo  statuto:  St.  A.  — 
2°  Statuto  compilato  nell'  a.  1355  :  lo  chiameremo:  St  B,  —  3°  Sta- 
tuto del  1482  con  correzioni  ed  aggiunte  posteriori.  Lo  diremo:  St.  C. 
Di  B  e  C  parleremo  più  ampiamente  in  seguito.  Spero  di  poter  pub- 
blicare presto  A  per  intero,  di  B  e  di  C  quelle  parti  che  con  A  pre- 
sentino divari  interessanti. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      341 

di  scrittura,  sia  perchè,  mentre  nel  1345  i  Disciplinati  pos- 
sedevano due  ospedali,  quello  di  S.  Apollonia  e  quello 
della  Carità  (i),  negli  statuti  è  ricordato  solo  il  primo  (2). 
Questo  silenzio  fa  escludere  anche  la  facile  ipotesi  che  i 
capitoli  fossero  compilati  nel  primo  quarto  del  secolo  de- 
cimoquarto, ma  che  la  copia  giunta  a  noi  fosse  del  1345, 
espressamente  distesa  per  esser  sottoposta  alla  approvazione 
episcopale.  Certo  che,  così  come  ci  sono  giunti,  i  trentotto 
capitoli  presentano  1  caratteri  tutti  di  un  abbozzo  di  sta- 
tuto, se  non  uscito  di  getto  dalle  mani  dell'  artefice,  al- 
meno ben  poco  limato  e  perfetto.  Una  contraddizione, 
forse  solo  apparente,  tra  V  art.  xxx[  e  il  xxxv,  de'  quali  il 
primo  permette  che  gli  officiali  di  una  cappella  si  possano 
scegliere  tra  i  membri  di  ogni  altra,  mentre  il  secondo 
ordina  che  il  governatore  sia  sempre  di  un'  altra  cappella, 
ci  fa  escludere  che  questa  sia  proprio  la  primissima  forma 
che   ebbero. 

Ma  del  resto  vi  si  trovano  la  indeterminatezza  delle 
espressioni,  la  poco  esatta  concordanza  delle  rubriche 
colle  disposizioni  cui  sono  premesse,  V  arruffìo  della  ma- 
teria, che  sono  propri  di  un  primo  tentativo  non  ela- 
borato ne  limato  e  che  scompaiono  negli  statuti  poste- 
riori. Poi  mentre  questi  da  se  stessi  si  dicono  correzioni 
e  revisioni  di  regole  anteriori  (3),  quello  non  ha  alcun 
accenno  ad  esemplari  tenuti  avanti  agli  occhi,  anzi  colle 
parole  del  suo  prologo  dà  ad  intendere  di  essere  senza 
precedenti  (4). 

(i)  Arch.  Catt.  Vit.  voi.  V,  pcrg.  451,  15  agosto  1545,  di  cui 
più  tardi. 

(2)  St.  A,  cnpp.  VII  e  XXXVII. 

(])  St.  R,  e.  II  ii  :  «  Quc?;te  sonno  l'ordinamento  della  fr;itcriiita 
"  dei     Disciplinati    di    Viterbo   (acti   et  corrccti   per   lo   rc\-ereiid()  pa- 

,    '  ^    ,  ì  :■'.■:  ;  ,,  • ,  l  i 

.    i:verenao  p.ww   i.\c    ». 
,  ,/  Si.  A,  e,    i;  u  .Ad   huiiorc    et  rcverciuia  del    nostro  signore 


342  *?.  Egidi 


L'esemplare  che  ci  è  giunto  fu  steso  in  servigio  della 
cappella  di  S.  Lorenzo  (i),  che,  come  vedremo,  aveva  un 
certo  predominio  sulle  altre,  come  quella  che  aveva  sua  sede 
nella  chiesa  episcopale:  però  dal  contesto  si  scorge  chiaris- 
simo che  doveva  servire  a  tutta  l' intiera  fraternità,  essen- 
dovi racchiuse,  oltre  le  disposizioni  particolari  per  ciascuna 
cappella,  quelle  generali  per  tutte. 

L'  associazione  prendeva  il  nome  di  «  Fraternitade  dela 
«  Disciplina  e  del'  Aricomandati  di  leshu  Christo  croci- 
«  fixo  »,  ed  era  istituita  ad  onore  di  Dio,  de'  santi  e  della 
Chiesa  romana,  nonché  alla  pace,  riposo  e  buono  stato  di 
Viterbo  e  del  contado.  Essa  era  divisa  in  un  numero  illi- 
mitato di  cappelle  (talvolta  dette  luochi  e  compa^nie^  (2) 
che  prendevano  nome  dalla  chiesa  o  dal  luogo  in  cui  si 
radunavano  a  hr  penitenza.  Il  vescovo  era  il  padre  e  pro- 
tettore naturale  (prologo);  per  la  sua  approvazione  i  ca- 
pìtoli diventavano  legge,  né  potevano  mutarsi  se  quella 
mancasse  (cap.  xxxiii).  A  capo  della  intiera  fraternità  si 
trovava  un  generale,  eletto  in  settembre  il  giorno  di 
santa  Croce  dai  governatori  delle  varie  cappelle  che  eleg- 
gono anche  quattro  visitatori.  Il  generale,  che  è  pure  go- 


«  leshu  Christo  crocifixo  e  dela  sua  matre  vergene  Maria  e  dì  misere 
«  sancto  Lorenco,  di  tucti  li  santi  e  le  saticte  di  Dio.  Et  ad  honore 
«  e  reverentia  de  la  santa  matre  Ecclesia  di  Roma.  Et  a  pace  e  ri- 
«  poso  e  buonu  stato  de  la  cita  di  Viterbu  e  del  suo  contadu,  e  di 
«  tucta  r  altra  cristenitade.  Et  a  salute  e  consolatione  dell'  anime  de 
«  tutti  chiloro  chi  sonno  e  sseranno  della  fraternitade  dela  Disciplina 
«  e  del'  Aricomandati  de  leshu  Christo  crocifixo.  Q.ueste  sonno  li 
«  capituli  e  r  ordinamenta  di  quelli  che  sonno  e  sseranno  per  inaci 
«  dela  fraternitade  de  Viterbo  &c.  ». 

(i)  St.  A,  e.  i:  «  Questi  sono  le  capitula  e  le  costitutioni  de  li 
«  Disciplinati  dela  cappella  di  Sancto  Lorenco  di  Viterbo  ». 

(2)  Da  un  documento  del  1345,  di  cui  v,  p.  356,  pare  che  vi 
fosse  distinzione  tra  cappelle  e  luoghi.  Difatti  col  primo  nome  sono 
indicate  le  compagnie  residenti  in  chiese,  e  col  secondo  quelle  in 
ospedali. 


La  fraternità  dei  'Disciplinati  di  Viterbo      345 


vernatore  della  cappella  di  S.  Lorenzo  (i),  si  presenta  in- 
sieme coi  quattro  al  vescovo  o  al  suo  vicario  per  la  ra- 
tifica della  elezione  :  se  la  ottiene,  dura  in  carica  per  un 
anno,  rinnovando  a  suo  arbitrio  ogni  tre  mesi  i  quattro 
visitatori  che  formano  il  suo  consiglio.  I  suoi  poteri  sono 
estesi:  dietro  inchiesta  dei  visitatori  e  loro  parere  favore- 
vole, può  cambiare  o  punire  il  rettore  dell'  ospedale  o  qua- 
lunque ufficiale  delle  cappelle  (cap.  xxxviii).  Avuti  per 
iscrìtto  i  nomi  dei  postulanti,  li  comunica  ai  visitatori 
perchè  inquisiscano  sui  loro  costumi;  udito  il  loro  referto, 
concede  o  nega  l'ammissione  nelle  varie  cappelle  (cap.  iv). 
Egualmente  a  lui  è  riservata  la  facoltà  di  concedere  o  no, 
sentito  sempre  il  parere  de*  visitatori,  la  riammissione  di 
un  fratello  cacciato  (cap.  xviii).  Ha  diritto  di  sindacato 
sui  governatori  delle  singole  cappelle  e  se  trova  chi  non 
faccia  osservare  i  capitoli,  può  escluderlo  dalla  compagnia 
anche  per  un  anno  (cap.  i).  Insieme  coi  visitatori  fissa  la 
quota  pecuniaria  che  ciascuna  cappella  deve  versare  al  ca- 
merlengo generale  (cap.  vii).  Risiede  nella  cappella  di  S.  Lo- 
renzo, può  però  esser  scelto  tra  i  fratelli  di  ogni  altra,  pur- 
ché la  cappella  donde  è  tratto  si  scelga  il  governatore  tra 
i  fratelli  di  quella  di  S.  Lorenzo  (cap.  xxxix). 

Intorno  al  generale,  come  suoi  consiglieri,  stanno  i 
quattro  visitatori.  Cambiano  ogni  trimestre;  pel  primo 
d'ogni  anno  sono  eletti  dall'assemblea  dei  governatori  in- 
sieme col  generale,  per  gli  altri  tre  da  quest'ultimo  col  con- 
senso del  vescovo;  possono  esser  tratti  da  ogni  cappella: 
uno  però  deve  essere  sempre  di  quella  di  S.  Lorenzo 
(cap.  xxxviii).  Danno  il  loro  parere  intorno  all'ammissione 
de*  fratelli  nuovi  (cap.  iv)  e  alla  riammissione  dei  cacciati, 

(i)  Questo  non  ci  appare  dagli  statuti  ma  dal  predetto  doc. 
del  1545  in  cui  un  certo  «Andreas  magistri  Blasii  »  ò  «  generalis 
«  totius  societatis  discipline  et  disciplinatorum  de  Viterbio  videlicet 
«  gubernator  disciplinantium  discipline  cathedralis  ecclesie  Vitcrbii 
«  sub  qua  consistunt  &c.  ». 


344  "P-  ^8^^^ 


dopo  inquisito  sui  loro  costumi  (cap.  xviii):  almeno  ogni 
settimana  visitano  l'ospedale  ;  sorvegliano  che  ne*  luoghi 
si  osservino  i  capitoli:  di  tutto  fanno  relazione  al  generale 
e  con  lui  prendono  i  provvedimenti  necessari  contro  gli 
ufficiali    e  i  fratelli  (cap.  xxxviii). 

Il  camerlengo  generale  sopraintende  airamministrazione 
dei  denari  della  fraternità.  Non  si  dice  da  chi  sia  eletto.  Ri- 
ceve dai  camerlenghi  delle  cappelle  le  quote  fissate  dal  ge- 
nerale e  dai  quattro  visitatori,  nonché  tutte  le  multe  pagate 
dai  fratelli  e  le  spende  a  prò  dell'ospedale  (cap.  vii). 

Questi  gli  ufficiali  che  presiedono  all'intiera  fraternità. 
Nelle  singole  compagnie  poi  i  fratelli  eleggono  a  scrutinio 
segreto  un  governatore  e  un  camerlengo,  ì  quali  si  scelgono 
quattro  consiglieri  o  discreti  (capp.  i  e  ii)  detti  anche  uffi- 
ciali, che  durano  in  carica  tre  mesi,  non  possono  esser 
rieletti  se  non  dopo  sei  (capp.  ii,  xxi)  e  sono  presi  da  qua- 
lunque cappella  (capp.  x  e  xxi). 

Il  governatore  (una  volta  è  detto  anche  priore,  cap.  vi) 
deve  essere  scelto  tra  gli  appartenenti  ad  un'altra  cappella 
(cap.  xxxv),  con  l'avvertenza  la  quale  già  indicammo,  cioè 
che  la  cappella  donde  fu  tratto  il  generale,  lo  scelga  tra  i 
fratelli  di  S.  Lorenzo  (cap.  xxxix).  Larghi  erano  i  poteri 
e  grandi  le  responsabilità  del  governatore.  Badava  all'osser- 
vanza degli  statuti  e  all'amministrazione  e  ne  era  garante, 
sì  che,  sottoposto  a  sindacato  dal  generale  e  trovato  in  fallo, 
poteva  esser  costretto  a  rifare  il  danno  che  la  cappella  avesse 
sofferto  per  sua  colpa  ed  anche  esser  sospeso  dalla  comu- 
nione dei  fratelli  per  un  anno  (cap.  i).  Insieme  col  camer- 
lengo sceglie  i  quattro  discreti  (cap.  ii)  e  in  compagnia  del 
nuovo  governatore  e  di  alcuni  fratelli  scelti  da  questo,  sin- 
daca, terminato  il  suo  officio,  il  camerlengo  che  gli  fu  com- 
pagno (cap.  xvii).  Ha  il  dovere  di  pensare  alle  funzioni 
religiose  del  suo  luogo:  di  fiir  dire  le  trenta  messe  desti- 
nate al  suffragio  di  ogni  fratello  defunto  (cap.  xii),  di  sta- 
bilirne co'  discreti  le  luminarie  e  l'officio  (cap.  xiii  e  xiv),  di 


La  fraternità  dei  T)ìsciplinati  di  Viterbo      345 

rendere  avvisati  i  fratelli  e  di  queste  cerimonie  e  di  quelle 
che  si  celebrano  l'S  novembre  pure  in  suffragio  dei  morti,  e 
una  volta  il  mese  in  onore  della  Croce  (cap.  xiv),  punendo 
chi  manchi  (cap.  xix).  Fa  la  lavanda  de'  piedi  il  Giovedì 
santo  (cap.  xxii).  Insieme  col  confessore  cerca  se  i  fratelli  si 
siano  accostati  al  confessionale  almeno  una  volta  nel  mese, 
e  alla  mensa  eucaristica  almeno  quattro  volte  neiranno: 
espelle  per  un  anno  chi  non  lo  fece,  salvo  non  avesse  le- 
gittima ragione  (cap.  v).  Pure  in  unione  del  confessore  ri- 
ceve delazioni  segrete  intorno  ai  costumi  dei  fratelli,  se 
bestemmino,  se  giuochino,  se  frequentino  case  disoneste, 
e  ammoniti  i  peccatori  tre  volte  vanamente,  li  espelle 
(cap.  III). 

Ha  la  direzione  della  disciplma:  fissa  i  luoghi  da  toc- 
care nelle  due  processioni  annuali  (giorno  delle  Ceneri  e 
Venerdì  santo)  (cap.  xxx).  Punisce  chi  non  si  rechi  alla 
cappella  ogni  venerdì  o  negli  altri  giorni  fissati  per  la  peni- 
tenza (cap.  xvi),  chi  parli  con  estranei  delle  cose  della  frater- 
nità o  introduca  alcuno  nelluogo  della  disciplina  o  nella  cap- 
pella (cap.  vi)  e  chi  presti  la  sua  veste  ad  estranei  o  senza 
suo  permesso  indossi  quella  di  altro  fratello,  o  adoperatala 
con  la  licenza,  poi  non  la  riponga  (cap.  xxviii).  La  sua  au- 
torità è  limitata  in  parte  da  disposizioni  dello  statuto,  in 
parte  dalle  attribuzioni  del  generale.  Per  esempio,  come 
non  è  permesso  ad  alcuno  di  frustarsi  senza  sua  licenza, 
così  è  a  lui  proibito  di  ordinare  per  penitenza  che  si  fru- 
stino in  pubblico  (cap.  xxvi).  Quando  espelle  qualcuno 
deve  mandarne  avviso  al  generale  che  lo  segna  nell*  appo- 
sito libro  (cap.  xxxvi).  Il  generale  ha  il  diritto  di  sinda- 
carne quando  che  voglia  l'operato  e  punirlo  come  meglio 
gli  sembri  opportuno.  Terminato  l'ufficio,  il  governatore 
rientra  nella  sua  cappella,  lasciando  per  iscritto  notizia  dei 
provvedimenti  disciplinari  che  aveva  intenzione  ma  non 
potè  applicare,  affinchè  il  successore  li  ponga  in  atto  (ca- 
pitolo xxxv). 


34^  "P-  Egìdi 


Amministratore  della  cappella  è  il  camerlerif^Oy  nominato, 
come  vedemmo,  dai  fratelli  a  scrutinio  segreto  in  una  col 
governatore  (cap.  i);  sceglie  con  questo  i  quattro  discreti 
(cap.  Il),  sta  in  ufficio  come  gli  altri  per  tre  mesi  con  va- 
cazione di  sei  (cap.  xxxi).  A  lui  erano  versate  le  quote 
trimestrali  dei  fratelli  (cap.  vii),  le  offerte  volontarie  e  le 
multe  imposte  dal  governatore  a  chi  contravveniva  ai  ca- 
pitoli; queste  ultime  consegnava  per  intero  al  camerlengo 
generale  perchè  le  erogasse  a  prò  dell'  ospedale,  insieme 
con  quella  parte  delle  entrate  ordinarie  che  era  stabilita 
dal  generale  e  dai  visitatori.  Del  rimanente  si  sovvenivano 
i  poveri  della  cappella  o  si  spendeva  in  messe  e  lumina- 
rie. Compiuti  i  tre  mesi  egli  presentava  al  sindacato  del 
governatore  vecchio,  del  neoeletto  e  di  alcuni  fratelli,  da 
questo  deputati,  il  libro  dei  conti  (capp,  xvii  e  vii). 

Come  il  generale  aveva  il  consiglio  de*  quattro  visi- 
tatori, così  a  fianco  del  governatore  e  del  camerlengo  si 
trovavano  i  quattro  discreti,  scelti  tra  «  quelli  che  a  loro 
«  miglori  parranno  )>  (cap.  i),  senza  badare  se  apparten- 
gano ad  altra  cappella  (cap.  xxxii).  De'  loro  consigli  il 
governatore  si  deve  valere  in  ogni  bisogna  della  compa- 
gnia, specialmente  nel  determinare  i  luoghi  da  toccarsi  nelle 
processioni  di  disciplina  (cap.  xxx),  le  limosine  da  elar- 
gire ai  fratelli  poveri  ed  infermi  (cap.  xxxviii),  e  le  lumi- 
narie da  accendersi  in  occasione  delle  funzioni  religiose 
(cap.  xiv). 

Ogni  cappella  è  suddivisa  in  decine,  guidate  ciascuna 
da  un  capodece,  perchè  più  facile  e  spedito  riesca  riunirsi 
ad  ogni  comando  del  governatore.  Al  capodece  ricorrono 
i  malati  della  decuria  ed  egli  pensa  a  darne  notizia  al 
governatore,  perchè  li  visiti  e  provveda  ai  loro  bisogni 
(cap.  xxxvii). 

Un  certo  velame  di  segreto  avvolgeva  la  fraternità  e 
i  suoi  membri.  Gli  statuti  prescrivevano  «  che  ciaschuno 
a  de  la  fraternitade  per  fugiare  vana  gloria,  non  deia  più- 


La  fraternità  dei  'Disciplinati  di  Viterbo      347 

a  bicare  la  lora  peneten^a,  né  di  quelli  de  la  fraternitade. 
«  Et  nigunu  po(;a,  né  deia  menare  alcuna  persona  Chirico 
«  o  laico  ne  la  cappella  de  la  fraternitade  oi  ine  loco  de 
«la  disciplina».  Anzi  chi  sapeva  che  altri  fosse  caduto 
in  queste  colpe  aveva  obbligo  di  riferirne  al  governatore 
(cap.  vi).  Non  so  comprendere  la  ragione  di  questo  na- 
scondersi, se  non  si  voglia  credere  ciecamente  a  quell'evan- 
gelico desiderio  di  fuggir  la  vanità;  e  pure  parve  tanto  im- 
portante al  legislatore  il  mantenerlo,  che  imponeva  ai 
fratelli  di  scambiarsi  in  presenza  di  estranei  le  parole  di  sa- 
luto: «Laudato  sia  leshu  Cristo  crocifixo:  Laudato  sia 
«  et  benedecto  »,  «  cosi  discretamente  che  persona  non 
«  l'oia  »  ;  che  se  vi  fosse  timore  di  questo,  bastava  accen- 
nare col  capo  (cap.  ix).  Che  più  ?  si  doveva  fingere  di  non 
esser  fratelli,  anche  quando  si  era  «  adimandati  da  alcuno 
«  uomo  che  volesse  entrare  »  e  si  doveva  rispondere  solo, 
«  che  esso  [fratello]  ci  vole  entra  co  lui  »  ;  e  nell'atto  della 
vestizione  si  faceva  giurare  al  novizio  di  «  tenere  silenzio 
«  di  sie  e  di  tutti  quelli  della  fraternitade  »  (cap.  iv).  Pen- 
sai dapprima  che  questo  affanno  di  mistero  potesse  essere 
un  resto  del  bisogno  di  nascondersi  che  i  Disciplinati  aves- 
sero potuto  provare  nell'  inizio  del  movimento,  quando  a 
Viterbo  si  sapeano  in  non  buona  vista  presso  e  Comune 
e  Curia.  E  per  quel  che  riguarda  il  Comune,  confermava 
l'idea  mia  il  trovare  negli  statuti  del  1251  proibita  la  ere- 
zione di  ogni  società,  «  exceptis  societatibus  et  compagniis 
«  Artium  civitatis  que  sunt  vel  esscnt  de  mandato  et  volun- 
«  tate  balivi  communis  et  iudicis  et  Artium  »,  ed  anzi  or- 
dinata la  distruzione  di  quante  altresì  trovassero  esistenti  (i). 
Ma  perchè  conservarlo  adesso  che  il  vescovo  approvava 
gli  statuti?  perché,  specialmente,  conservarlo  nello  statuto 
del   1355  a  compilare  il  quale  concorre  il  vescovo  stesso 


(i)  Ciampi,  StalutOy  art.  230  Jclla    terza   sezione:  De  compn 
gniis  in  Viterbio  concedendis. 

Archivio  dflla  R.  Società  romana  di  itoria  patria    Voi.  XXIII.       23 


3'48  T.  Egidi 

e  nel  quale  T  autorità  episcopale  è  così  assoluta  che  non 
si  può  ammettere  alcun  nuovo  fratello  senza  permesso 
dell'ordinario,  pena  la  scomunica  (cap.  iii)  ?  perchè  la 
stessa  disposizione  si  riscontra  negli  statuti  di  altre  città, 
in  condizione  tutta  differente  di  Viterbo  ?(i)  Eppure  non 
so  capacitarmi  che  essa  sia  dettata  da  puro  spirito  di  umiltà 
evangelica  (2). 

Le  pratiche  e  le  formalità  dell'  ammissione  non  erano 
né  brevi  né  semplici.  Il  nome  del  postulante  era  mandato 
per  iscritto  al  generale.  Questi  lo  rendeva  noto  ai  visita- 
tori, che  inquisivano  sulla  sua  condizione  e  sui  costumi, 
e  facevano  rapporto.  Se  questo  era  favorevole,  il  generale 


(1)  Lo  statuto  della  fraternità  di  Maddaloni,  già  citato,  nel  cap.  11 
impone  che  non  si  dica  quel  che  si  vede  nella  casa.  Quello  di  Siena 
dell'anno  1295  ordina  «di  tenere  segreti  i  fatti  della  compagnia» 
(cap.  xii)  e  quello  del  1399  che  «chi  rivela  i  segreti,  sia  cacciato» 
(cap.  Ili),  Capitoli  della  compagnia  dei  Disciplinati  di  Siena  de'  secoli  xiii, 
XIV,  XV,  restituiti  alla  vera  legione  con  l'aiuto  degli  antichi  manoscritti  da 
LuciAKO  Banchi,  Siena,  Gatti,  1886.  Quello  di  Pisa  dispone  che  la 
disciplina  si  faccia  «sì  discretamente  che  chi  fae  la  disciplina  non 
«  sia  cognosciuto  dalli  altri  »  (cap  vi),  Coen,  op.  cit.  p.  viii.  Quello 
di  Palermo:  «  chascuno  di  kista  cumpangnia  sia  tinuto  di  non  revi- 
«lari  ni  a  ssi  ne  ad  altru  di  la  cumpagnia,  ne  nulla  cosa  ki  si  parli 
«  intra  la  cumpagnia  ad  alcuno  ki  fussi  fora  di  la  cumpangnia  recu- 
«  lari  »  (cap.  iv),  G.  De  Gregorio,  Capitoli  della  prima  compagnia  di 
Disciplina  di  S.  Nicolò  a  Palermo  del  sec.  xiv  in  volgare  siciliano,  Pa- 
lermo, Clausen,  1891,  p.  22.  Quello  di  Perugia  del  1375:  «i  statute 
«  de  fuore  non  se  sacciano,  quando  se  receve  alcuno  degga  giurare 
«credenza»  (e.  25),  G.  Mazzatinti,  Costituiioni  dei  Disciplinati  di 
S.  Andrea  di  Perugia,  Forlì,  Bordandini,  1893,  p.  xiii. 

(2)  Anche  alcune  delle  confraternite  posteriori  imposero  ai  fra- 
telli questo  silenzio.  Così  in  uno  statuto  della  confr.  del  SS.  Sacra- 
mento in  Girgenti,  steso  nel  1567,  si  ordina  che  non  si  parli  della 
compagnia  essendo  «  cosa  che  porta  pregiudizio  ed  arreca  gravissimo 
«  scandalo  alla  stessa  »  (arch.  della  Congregaz.  di  carità).  In  un 
altro  statuto  anche  più  recente  si  fa  distinzione  tra  le  congregazioni 
che  allora  sorgevano  (1777)  e  quelle  «  scerete  ed  antiche  »  (Stai, 
della  confr.  di  S.  M.  degli  Angioli  di  Girgenti,  ibid.). 


La  fr  attimi  la  dei  disciplinati  di  Viterbo      349 

dava  licenza  che  si  ammettesse  nella  cappella  richiesta,  e 
comunicava  questa  decisione  al  governatore  e  al  catecu- 
meno. Questi  è  affidato  allora  alle  cure  del  confessore  che 
deve  confessarlo  o  assicurarsi  che  sia  confessato,  e  cura 
che  abbia  il  cingolo,  la  frusta  e  la  veste  o  che  almeno 
abbia  già  versato  al  sarto  il  denaro  necessario.  Venuto  il 
momento  della  vestizione,  il  postulante  si  spoglia  di  tutto, 
meno  la  camicia,  dinanzi  all'altare;  il  confessore  gli  do- 
manda, se  è  ben  confessato,  se  segua  la  dottrina  cattolica 
secondo  la  Chiesa  di  Roma,  se  conviva  con  donna  alcuna, 
e  avute  risposte  soddisfacenti,  gli  fa  promettere  di  obbe- 
dire in  tutto  ai  capitoli,  al  governatore,  al  generale;  di 
mantenere  il  segreto;  di  farsi  seppeUire  colla  veste.  S'egli 
annuisce,  il  prete  benedice  la  veste,  la  corda,  la  frusta  e 
il  nuovo  fratello,  abbigliatosi,  fa  un'offerta  di  mezza  libra 
di  cera  o  del  valsente,  mentre  gli  altri  cantano  il  Veni 
Creator  spiritus.  Assolutamente  proibito  di  accettare  gio- 
vani inferiori  ai  venti  anni,  o  chi  presti  ad  usura,  o  chi 
<(  fusse  d'altra  mala  usan(;a  »  (cap.  iv). 

Così  divenuto  fratello  egli  è  per  intiero  sotto  1'  autorità 
degli  officiaU  cui  ha  giurato  obbedienza.  Non  gli  è  pur 
permesso  di  censurare  gli  atti  loro,  solo  può  ricordare 
■quanto  gli  sembri  opportuno  pel  bene  della  compagnia. 
Chi  non  obbedisca,  è  cacciato,  a  meno  che  non  chiegga 
misericordia  entro  otto  giorni  (cap.  xx).  Che  se  la  disob-. 
bedienza  è  contro  i  capitoli,  verrà  punita  a  libito  del  go- 
vernatore e  del  confessore  (cap.  xxiu),  salvo  il  caso  che 
sia  provata  la  ignoranza  o  la  «  sciempicitadc))  del  colpe- 
vole (cap.  xxxii).  Gli  obblighi  finanziari  verso  l'associa- 
zione si  restringono  ad  una  tassa  trimestrale  di  due  soldi 
da  versarsi  al  camerlengo  (cap.  x\ii).  Xinnerosi  invece 
sono  gli  obblighi  che  hanno  tra  loro  i  Iratelli.  Il  più  per- 
fetto accordo  deve  regnare:  se  v'ha  qualche  lite,  il  gover- 
natore l'accheti  ed  espella  chi  non  voglia  mantener  c]uclla 
pace  (cap.  xvii)  che   a  tutti  ha  giurata  col   bacio  dato  a 


330  T.  Egidi 


lui  stesso  nel  momento  della  vestizione  (cap.  iv).  Chi 
sappia  che  alcuno  è  malato,  se  è  della  propria  decina,  av- 
verte il  capodece,  se  no  il  governatore,  che  provvedano 
ai  suoi  bisogni  temporali  e  spirituali  (cap.  xxxvii).  Se  il 
malato  muore,  alla  sua  casa  vanno  il  prete  e  quattro  o 
sei  fratelli  prescelti  dal  governatore,  lavano  il  cadavere,  lo 
vestono  della  sola  cappa,  gli  circondano  i  fianchi  col  cin- 
golo, gli  pongono  sopra  la  frusta.  Poi  tutti  i  Battuti  lo 
accompagnano  in  chiesa  portando  in  mano  candelette  da 
ventisei  per  libra,  e  assistono  alla  messa  funebre  ed  all'  in- 
terramento. Chi  non  va,  ha  una  multa  di  due  soldi  e  una  pe- 
nitenza a  volontà  del  governatore  e  del  confessore  (cap.  xi). 
A  suffragio  dell'  anima  del  defunto,  coi  denari  della  com- 
pagnia si  celebrano  trenta  messe  (presto  ridotte  a  dieci) 
durante  il  trigesimo  (cap.  xii).  Nulla  però  si  fa  per  il 
morto,  se  egli  sia  stato  di  mala  vita  :  non  si  assiste  nep- 
pure al  suo  funerale  (cap.  xxxiv).  A  suffragio  generale  di 
tutti  i  fratelli  trapassati  si  celebra  una  messa  agli  8  di  no- 
vembre, ottava  di  Tutti  i  santi,  con  quella  luminaria  che 
piaccia  al  governatore  e  al  confessore  (cap.  xiii)  (i). 

Numerosi  sono  anche  gli  obblighi  religiosi,  come  por- 
tava l' indole  stessa  della  associazione.  Ogni  giorno  si  deb- 
bono recitare  sette  Pater  e  sette  Ave  (il  venerdì  dodici) 
senza  contare  un  altro  Faier  e  un'altra  Ave  alla  levata  e 
al  coricarsi  e  altrettanti  ad  ogni  principio  e  fine  di  pa- 
sto (cap.  iv).  Ogni  mese  è  obbligatorio  confessarsi,  o  dal 
prete  del  loco  o  da  altri  in  presenza  di  un  fratello  che  ne 
faccia  fede:  a  Natale,  a  Pasqua,  a  Pentecoste  e  ai  15  di 
agosto  (Assunzione  di  M.  V.)  bisogna  comunicarsi.  I 
visitatori,  il  governatore,  i  discreti  invigilino;  chi  non  ot- 
temperi, sia  cacciato  per  un  anno  (cap.  v).  In  due  giorni 


(i)  Curiosa  questa  disposizione  in  un  tempo  che  la  commemo- 
razione dei  morti  era  già  fissata  dalla  consuetudine  al  2°  giorno  di 
novembre.  Cf.  Giry,  Manuel  de  diplomatiqtiej  p.  261. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      351 

di  ogni  mese,  stabiliti  dal  governatore,  si  celebri  la  messa 
della  santa  Croce  e  chi  non  vi  intervenga  senza  legittima 
cagione,  si  abbia  una  multa  di  tre  denari  o  faccia  altra  pe- 
nitenza che  più  piaccia  al  governatore  stesso  (cap.  xiv). 
Il  mercoldì  di  quaresima  si  prenda  la  cenere  (cap.  xxiv)  ; 
il  Giovedì  santo  si  assista  al  Mandato  celebrato  dal  gover- 
natore e  la  notte  si  passi  nel  loco,  poco  dormendo,  im- 
piegandola invece  in  preci  e  meditazioni  (cap.  xxii). 

Ma  r  espressione  più  perfetta  dell'  indole  della  compa- 
gnia, quella  in  cui  questa  trovava  la  sua  ragione  di  essere, 
era  la  santa  disciplina,  per  cui  i  fratelli  cercavano  remis- 
sione dei  propri  peccati  e  si  procacciavano  meriti  per  la 
vita  futura.  Era  di  due  sorta  :  pubblica,  per  le  vie  della  città 
durante  le  processioni  ;  privata,  nel  silenzio  e  nel  segreto 
di  ciascuna  cappella.  La  prima,  che  originariamente  dovette 
essere  la  più  comune,  la  sola  anzi  prima  che  confrater- 
nite stabili  esistessero,  era  adesso  riservata  a  due  sole  gior- 
nate: quella  in  cui  ogni  fedele  è  chiamato  a  rammentarsi 
di  esser  polvere,  e  quella  che  ricorda  T  agnello  divino  im- 
molato sulla  croce  (i).  Disgraziatamente  gli  statuti  ci  sono 
avari  di  dettagli,  che  avrebbero  potuto  essere  curiosi  ed 
interessanti.  Ci  dicono  solo,  che  uscita  ciascuna  cappella 
dalla  sua  sede  si  recava  per  suo  conto  in  quei  luoghi  che 
erano  stati  indicati  dal  governatore  e  dagli  ufficiali  (2).  I 
fratelli  dovevano  avere  i  piedi  scalzi,  il  capo  ravvolto  dal 
cappuccio  e  andavano  «  disciplinando  ordinatamente  uno 
«pò*  l'altro».  Tutti  dovevano  essere  presenti,  a  pena  di 
due  soldi  (cap.  xxx).  Certamente  le  processioni  erano  ac- 

(i)  Come  si  vede  smorzato  il  fervore  del  primo  commovimento  ! 
Prima  per  trentatre  giorni  di  seguito  erano  processioni  e  battiture  e 
ciò  si  rinnovava  più  volte  in  un  anno:  adesso  appena  due  volte  e 
per  poche  ore  ! 

(2)  Anche  ora  a  Bagnala,  presso  Viterbo,  la  sera  del  Venerdì 
santo  le  confraternite  escono  separatamente,  visitano  tutte  le  chiese, 
per  riunirsi  poi  in  una  sola  processione. 


352  ^P.  Egidi 


compagnate  da  canti  latini  e  volgari,  ma  per  disgrazia  nep- 
pure un  cenno  ne  è  giunto  fino  a  noi.  Però  tenuto  conto 
del  fatto  più  volte  rilevato  dagli  studiosi  che  le  laude 
de'  Battuti  delle  varie  regioni  d'  Italia  hanno  tra  loro  si 
stretta  parentela  da  trovarle  senza  grandi  variazioni  ripetute 
ne*  luoghi  più  discosti,  la  perdita  di  quelle  viterbesi  non  è 
da  lamentare,  se  non  perchè  esse  avrebbero  fornito  un  no- 
tevole materiale  per  lo  studio  di  uno  tra  i  più  negletti 
vernacoli  del  Lazio. 

Neil'  interno  delle  cappelle  la  disciplina  era  più  fre- 
quente. Obbligatoria  ogni  venerdì,  poteva  esser  rinnovata 
anche  ogni  altra  volta  che  al  governatore  piacesse.  Nes- 
suno poteva  esimersene,  salvo  licenza  del  governatore  o 
legittima. cagione.  Di  questa  sorte  di  disciplina,  per  noi  tanto 
meno  interessante,  ci  è  conservato  intiero  l'ufficio  (i).  Era 
composto  di  tre  lezioni  di  cui  le  prime  due  vertono  in- 
torno alle  battiture  di  Cristo  e  la  terza  intorno  ai  dolori 
di  Maria  Vergine.  Sono  intercalati  dei  responsori  tratti 
quasi  esclusivamente  dal  racconto  della  Passione.  Seguiva 
la  disciplina,  flitta  durante  la  recitazione  del  Miserere  o  di 
cinque  Pater  e  cinque  Ave  (2).  Si  ripetevano  le  battiture 
per  tre  volte  e  per  la  stessa  durata,  frapponendo  fra  l'una 
e  l'altra  la  recitazione  di  un  Pater  ed  un  Ave  a  mo'  di 
riposo.  Quando  era  possibile,  precedeva  la  messa,  celebrata 
dal  prete  della  compagnia,  senza  la  cui  assistenza  non  era 
permesso  far  disciplina.  Egli  recitava  le  preci,  sebbene  il 
governatore  dirigesse  l'ufficio  (cap.  x).  Il  silenzio  più  per- 
fetto lo  doveva  accompagnare:  chi  lo  rompesse,  era  con- 
dannato a  subir  una  battitura  suppletoria  di  dieci  Pa- 
ter (cap.  xx).  Terminata  la  disciplina,  un  fratello  eletto  dal 


(i)  Nello  Stat.  A,  cap.  x;  in  B  (dove  è  per  disteso  ogni  pre- 
ghiera clie  in  A  è  invece  accennata)  precede  lo  statato  e  occupa  le 
prime  quindici  pagine. 

(2)  Lo  Stat.  B  indica  solo  questo  secondo  modo  (cap.  iv). 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      353 


governatore  leggeva  la  tavola.  Era  questa  un  quadro  con- 
tenente i  nomi  degli  ascritti  alla  cappella,  a  fianco  di  cia- 
scuno dei  quali  era  praticato  un  foro.  Si  (diceva  l'appello: 
nel  foro  vicino  al  nome  di  chi  era  assente,  si  ficcava  un 
piuolo,  con  una  tacca  se  queir  assenza  era  la  prima,  con 
due  se  la  seconda,  con  tre  se  la  terza.  La  quarta  assenza 
era  punita  con  l'espulsione,  pronunciata  dal  governatore, 
salvo  che  il  negligente  non  arrecasse  scusa  legittima,  c\\q 
allora  era  sottoposto  solo  ad  una  multa  (cap.  xv).  Letta 
la  tavola  si  passava  in  un  apposito  locale  e  si  procedeva 
i\\V accusa  o  colpa.  Chi  si  sentiva  in  peccato,  ginocchioni 
in  mezzo  alla  sala  avanti  al  confessore,  col  cappuccio  ca- 
lato, ad  alta  voce  enumerava  in  che  e  quante  volte  avesse 
trasgredito  gli  ordinamenti  ed  ascoltava  la  pena  impostagli 
dal  governatore  e  dal  confessore  (cap.  xx). 

Per  la  fratellanza  che  legava  le  varie  parti  della  con- 
gregazione, ogni  confrate  poteva  recarsi  alla  disciplina  di 
qualsiasi  cappella  e,  indossata,  con  licenza  del  governatore, 
la  cappa  di  uno  dei  fratelli  del  luogo,  prender  parte  alla 
penitenza  (cap.  xxv).  Nella  propria  compagnia,  se  alcuno 
mancasse  di  cappa,  non  poteva  togliersi  l'  altrui,  senza  li- 
cenza del  governatore  e  tanto  meno  portar  fuori  del  luogo 
la  propria  (cap.  xxviii).  Anche  più  severamente  era  proi- 
bito di  battersi  fuori  delle  cappelle,  sia  pure  individual- 
mente, senza  licenza  degli  officiali  {ca\).  xxvi). 

Come  abbiamo  accennato,  la  disciplina  era  inilitta  anche 
come  punizione  e  completava  la  serie  di  pene  sancite  dai 
ca[)it()li.  l{ra  allora  detta  «  penetenva  »,  e  imposta  dal  go- 
vernatore e  dal  confessore  per  quella  dose  di  Palcr  e  di 
Ave  che  credessero  opportuna.  Però  era  esplicitamente  proi- 
bito diesi  imponesse  di  subirla  Inori  della  cappella  (cap.  xwi). 
Del  resto  le  p-iiii/ioni  (multe,  esclusioni  temporanee,  espul- 
sione) non  er.uìo  mai  molto  se\ere,  troppo  spesso  i  colpe- 
voli erano  salvati  dalla  «  lcL;ittiin  1  scusa  >.  Anche  re-.pulsione 
non  era  irrevocabile.  Se  il  cacciato  chiedev.i  pei'  misericordia 


354  *P-  ^>'^«' 

d' essere  riammesso,  se  rifaceva  cappa,  cingolo  e  frusta 
(anzi  anche  questa  spesa  gli  era  risparmiata  se  era  stato  di 
buona  condotta  dal  di  della  esclusione),  non  era  difficile 
che  la  sua  domanda,  dal  governatore  trasmessa  al  generale 
e  ai  visitatori,  trovasse  buona  accoglienza  (cap.  xviii). 


III. 


Da  questo  rapido  studio  dello  statuto  risulta  chiaro 
r  isolamento  della  nostra  società  nella  vita  comunale  :  essa 
ha  un  carattere  esclusivamente  religioso  e  non  si  prefigge 
direttamente  alcuno  scopo  politico  od  economico.  Concorda 
in  questo  il  silenzio  delle  altre  fonti,  le  quali  mai  ci  di- 
cono che  i  Disciplinati  prendessero  in  qualche  modo  parte 
attiva,  come  società,  agli  avvenimenti  cittadini  (i).  Eppure 
è  evidente  che  almeno  indirettamente  essi  dovettero  influirvi. 
Nel  seno  della  compagnia  s'incontravano  e  si  chiamavano 
fratelli,  nobili,  ricchi  borghesi,  artieri  di  ogni  corporazione, 
e  tra  loro  si  stringeva  un  legame,  che  se  pure  di  leggera 
resistenza,  non  poteva  repentinamente  spezzarsi  appena, 
varcata  la  soglia  delle  cappelle,  essi  rientravano  nella  vita 
pubbhca.  La  communione  delle  idee  pietistiche  non  poteva 
non  generarne  un'altra,  più  o  meno  intima,  specialmente 
intorno  a  quegli  argomenti  che  con  la  pietà  avessero  una 
qualche  attinenza.  Economicamente  poi  i  Disciplinati  ebbero 
una  funzione  pari  a  quella  di  tutte  le  altre  congregazioni 
laico-religiose  preesistenti  e  posteriori,  concorrendo  a  for- 
mare patrimoni  collettivi  con  le  donazioni  fatte  o  diretta- 


(i)  Il  solo  accenno  ad  una  partecipazione  dei  Disciplinati,  non 
come  società  ma  come  individui,  alla  cosa  pubblica  è  di  tempo  assai 
posteriore.  Un  decreto  aggiunto  dopo  il  1528  agli  statuti  C,  pre- 
scrive quello  che  ciascun  fratello  debba  fare  se  sappia  di  congiure 
contro  il  governatore  o  nel  caso  che  scoppino  disordini.  V.  p.  376. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      $)S 

mente  a  loro  favore  o  a  favore  degli  ospedali  da  loro  am- 
ministrati. 

In  questo  primo  periodo  della  sua  vita  la  fraternità 
aveva  un  solo  ospedale  detto  di  S.  Apollonia  o  della  Di- 
sciplina. Esso  accoglieva  i  fratelli  infermi,  ed  era  posto 
sotto  la  direzione  di  un  rettore,  sorvegliato  attentamente 
dal  generale  e  dai  quattro  visitatori  (cap.  xxxviii).  Le  en- 
trate erano  amministrate  dal  camerlengo  generale  e  con- 
sistevano in  una  quota  imposta  dal  generale  a  ciascuna 
cappella  e  nel  prodotto  delle  multe  pagate  da  qualsiasi  fra- 
tello (cap.  vii). 

Non  sappiamo  se  quest'ospedale  fosse  fondato  dai  Bat- 
tuti o  se,  sorto  già  anteriormente  tra  i  tanti  che  vivacchia- 
vano nella  città  (i),  venisse  in  un  modo  qualsiasi  nelle  mani 
loro.  Però  il  trovarne  menzione  solo  adesso  mi  fa  propen- 
dere a  considerarlo  nato  per  opera  loro.  Forse  esisteva  la 
chiesa  di  Santa  Apollonia  e  a  lei  fu  addossato  1'  ospedale  ; 
sebbene  anche  quella  non  dovesse  esser  guari  più  antica, 
perchè  un  Orda  ìetaniaruin  compilato  in  parte  nel  secolo  xin 
e  in  parte  nel  seguente,  indicando  le  chiese  da  visitare,  non 
fa  il  nome  suo  che  nelle  carte  più  recenti  (2).  Comunque 


(1)  Per  notizie  intorno  a  questi,  vedi  l'interessante  libro  del 
Pinzi,  (jÌì  Ospiti  niedìoevali  e  l'Ospi-ihiì  Grande  di  Viterbo  già  citato,  e 
che  dovrò  citare  ancora  spessissimo. 

(2)  Quest'  Ordo  geiieralis  et  maioris  Utanie  seti  processionimi  in 
anno  fundarum  sta  nell'arch.  della  Cattedrale.  È  un  codicetto  pcrgam. 
non  numerato  nò  catalogato.  Tra  le  aggiunzioni  (pp.  22  e  24)  stanno 
riportati  due  Oremus  da  recitarsi  avanti  alla  chiesa  di  S.  Apollonia, 
che  trascrivo  per  curiosità,  essendo  tutt'  affatto  differenti  da  quelli 
che  ora  sono  nell' ufficio  della  santa:  «  Deus  qui  beatam  Appollo- 
"  iiiam  virginem  et    martirem  tuam    spetiali  privilegio    decorasti  ut 

iiv.iii.  dono  et  mcritis  dolore?  dentium    a    paiieiitibus  expellantur, 

iius  ut  cuius    fiduciam  gcrimus  prò  eadcni   sanititc 

"  n-iiu(ÌMiiii   .Miiscqu.imur.    Per  i\'c.   ».   "Deus  (]■•■    '^"-    -^  ''"'r.ihilcm 

"  pru. lenti, un   ci   ckni(.Miti.)iii   sini'.ul.irciii  nobis  i  cxem- 

"  plum  et  presiJiuni  tribuisti  ut  corum  iios  illuiiiin^i  oju  :  a  toveantquc 


S6  T.  Egùiì 


sia,  esisteva  già  nel  1337,  quando  un  tal  «  Pacefuglolia  (?) 
«  Petri  Panfollie  reliquid  hospitali  Discipline  prò  auxilio 
«  capelle  sancte  Apolonie  per  tres  libras  paparinorum  »  (i) 
e  sorgeva  in  fondo  all'  odierno  corso  Vittorio  Emmanuele, 
dove  ora  s'  alza  la  casa  Fretz  (2). 

Ci  è  impossibile  stabilire  quale  fosse  il  numero  delle 
cappelle  in  questi  primi  anni.  Nel  1341  pare  che  già  ve 
ne  fosse  una  insediata  nella  chiesa  di  S.  Maria  di  Gradi, 
dei  padri  predicatori  (3):  nel  1345  se  ne  trovano  nominate 
sette,  le  quali  formano  un  sol  corpo  sotto  la  suprema  di- 
rezione di  Andrea  di  maestro  Biagio  «  de  ordine  Continen- 
«tium  beati  Francisci  de  Viterbio,  gubernator  generalis  to- 
«  tius  societatis».  Cinque  cappelle  avevano  sede  in  altret- 
tante tra  le  principali  chiese  della  città  e  cioè  la  Catte- 
drale, S.  Sisto,  S.  Maria  Nuova,  S.  Maria  di  Gradi,  e 
S.  Francesco;  le  due  rimanenti  presso  ospedali;  quello  già 
indicato  di  S.  Apollonia  e  quello  di  S.  Elena  o  della  Ca- 
rità (4).  Era  questo  a  cento  passi  appena  da  quello  di  S.  Apol- 

«  presidia,  tue  piissime  pietati  humiliter  supplico  ut  per  intercessio- 
«  nem  beate  Appollonie  virginis  et  martiris  tue  que  escussionem 
«dentium  per  tuum  nominis  amorem  patienter  et  viriliter  pertulit, 
«  nos  famulos  tuos  a  dolore  dentium  sempiterno  et  ab  omni  dolore 
«  corporali  misericorditer  liberare  digneris.  Per  &c.  ». 

(i)  Ardi.  Notar.  Vit.  Protoc.  IV  di  Pietro  Amadei  da  Viterbo, 
«die  .XXI.  aug.  1337».  Il  Pinzi,  Ospìzi,  ^.  121,  n.  2,  legge  «  Pacifi- 
«  cus  »  :  a  me  non  fu  possibile  leggere  chiaramente. 

(2)  L'  ubicazione  fu  fissata  dal  Pinzi,  loc.  cit.,  desumendola  dal- 
l'atto  di  vendita  dell'ospedale  fatto  nel  1509,  di  cui  più  tardi  par- 
leremo. 

(3)  Arch.  della  Cattedr.  Memorie  del  convento  di  Gradi  fatte 
nel  iyo6,  ms.  cap.  xiii,  p.  74:  «Alia  fraternità  . . .  a  fratribus  nostris 
«instituta  fuit  intitulata  Disciplinatorum  S.  M.  ad  Gradus,  modo 
«  destructa  sed  alibi  est  traslata:  legata  sunt  ei  multa  a  primis  tem- 
«  poribus  et  inter  alia  a  domina  lohanna  uxore  domini  lulii  de  Vi- 
«  terbio  a.  1341  et  a  Chirico  Vit.  a.  i348prout  in  nostro  archivio...  ». 

(4)  «  A.  millesimo  trecentesimo  quatragesimo  quinto.  Tempore 
«  sanctissimi  patris  et  domini  domini  Clementis  pape  VI,  indictione 


La  fraternità  dei  Disciplinati  di  Viterbo      357 


Ionia,  sulla  stessa  via.  Sorto  sullo  scorcio  del  secolo  xin, 
fu  retto  in  origine  dai  frati  di  S.  Francesco;  nel  1303  la 
Curia  lo  aveva  dato  ad  amministrare  ad  un  certo  Stefano 
tedesco  e  a  sua  moglie  Riccaldina,  i  quali  donavano  per 
gì'  infermi  ogni  loro  possesso  (i).  Ma  sia  che  i  generosi 
Tedeschi  fossero  morti,  sia  che  le  loro  cure  non  riuscis- 


«  tertiadecima,  die  .xv.  mensis  aug.  In  presentia  mei  notarii  et  te- 
«  stium  subscriptorum  providi  et  discreti  viri  frater  Andreas  magi- 
«  stri  Blasii  de  ordine  Continentium  beati  Francisci  de  Viterbio,  gu- 
«  bernator  generalis  totius  societatis  discipline  et  disciplinatorum  de 
«  Viterbio,  videlicet  gubernator  disciplinantium  discipline  cathedralis 
«  eccles'e  Viterbii  sub  qua  consistunt  omnes  alie  discipline  omnium 
((  aliarum  ecclesiarum  et  aliorum  locorum  civitatis  Viterbii,  ac  et'am 
«  magister  Petrus  Blandi  gubernator  societatis  discipline  et  discipli- 
(f  nantium  ecclesie  beate  Marie  Nove  de  Viterbio,  Iute  Vannis  Petri 
«  Angeli  gub  soc.  disc,  et  discipl.  eccl.  S.  Sixti,  Cola  Vannis  Pauli 
«  gub.  soc.  disc,  et  discipl.  eccl.  S.  Marie  ad  Gradus  Viterbiensis, 
«  magister  lohannes  magistri  Stasii  gub.  soc.  disc,  et  discipl.  eccl. 
«  S.  Francisci  de  Viterbio,  Bartolomeus  Sthefani  {sic)  gub.  soc.  disc. 
«  et  discipl.  hospitalis  de  Caritate  siti  in  contrata  S.  Egidii  Viter- 
ie biensis  et  Gerardus  Vèngoli  gub.  hospitalis  Discipline  quod  est 
«  diete  societatis,  positi  in  contrata  Sancti  Mathei  de  Sumpsa  Viter- 
«  biensis,  unanimiter  et  concorditer  »  accettano  a  nome  della  società 
che  sia  irrito  e  nullo  l'atto  di  donazione  fatto  a  questa  da  «  frater 
«  Thomas  olim  lohannis  de  ordine  Continentium  ».  Frate  Tom- 
maso dichiara  nulli  i  patti  cui  la  società  si  era  astretta.  «  Actum 
«  Viterbii  apud  predictum  hospitale  de  Caritate  seu  in  capella  disci- 
«  pline  ipsius  hospitalis,  presentibus  discretis  viris  fratre  Angelo  quon- 
«  dam  domini  lacobi  de  ordine  Continentium,  Rainaldo  magistri 
«  Angeli,  magistri  Gregorii  notarii,  Vanne  olim  Bosi  et  lutio  ma- 
«  gisiri  Petri  Volglo  de  Viterbio  testibus  &c.  Et  ego  lohannes  Sandrì 
«domini  Christofori  de  Viterbio  autem  a.  U.  p.  n.  et  i.  o.  &c.  »; 
arch.  della  Cattedr.  &it.,  voi.  V,  n.  351  (Rep.  Magri).  È  indicato 
anche  dnl  Pin/.t,  Oipiii  &c.  p.  124,  n.  2,  ma  gli  sfuggì  l'accenno 
della  compagnia  sedente  nell'ospedale  della  Carità:  egli  accenna 
invece  ad  un'  altra  nella  chiesa  della  Trinità  di  cui  non  trovo  notizia, 
(i)  Pinzi,  Ospiti  &c.  pp.  118,  119;  Append.  doc.  xxi,  p.  370. 
Nel  documento  il  nome  della  mogl'e  di  Stefano  è  «  Riccaldina  »,  nel 
testo  «  Ildibrandina  ». 


3)8  'P.  E  oidi 


sero  a  far  prosperare  l' ospedale  come  non  v*  erano  riuscite 
quelle  dei  frati  Minori,  sia  per  altra  ragione,  d'ora  innanzi 
esso  è  legato  alla  compagnia  dei  Battuti  e  ne  segue  le  vi- 
cende. Forse  i  Disciplinati  da  principio  non  furono  che 
ospiti,  poiché  né  il  primo  statuto,  né  quello  del  1355  fanno 
menzione  di  altro  ospedale,  oltre  quello  di  S.  Apollonia  (i), 
certo  però  che  nel  1368  ambedue  erano  in  proprietà  della 
compagnia,  la  quale  anzi  destinava  un  solo  rettore  a  go- 
vernarli (2). 

Il  citato  documento  del  1345  ci  porge  modo  di  fare 
due  considerazioni. 

La  confraternita  è  retta  da  un  governatore  generale 
minorità.  Questo  ci  è  un  indizio  ulteriore  degli  stretti  le- 
gami che  univano  ai  Francescani  i  Disciplinati,  e  ci  fa 
pensare  inoltre  che  i  Minoriti  abbiano  cercato  di  dirigere 
il  movimento  battuto  per  farselo  alleato  nella  lotta  contro 

(i)  Nello  statuto  del  1355  si  dice,  è  vero,  che  non  siano  mai 
«ricepute...  persone  che  occupassero  o  vero  usurpassero  il  bieni 
«  dell'ospedali  »  (cap.  vii;.  Così  pure  il  cap.  xxiii  parla  dei  beni 
stabili  e  mobih,  dei  frutti  ed  entrate  «  del  decti  hospital!  »  ;  anzi  una 
delle  preghiere  che  precedono  Io  statuto  è  «  per  tucti  benefactori  e 
«  benefactrici  dell'ospedale  di  Sancta  Apollonia  e  di  quello  della  Ca- 
«  rità  di  Viterbo  »  (p.  12).  Ma  nel  cap.  xxix,  quando  si  parla  della 
erogazione  delle  quote  mensili  dei  fratelli,  si  dice  chiaramente  che 
un  terzo  va  all'  ospedale  di  S.  Apollonia  e  si  tace  di  quello  della 
Carità.  La  contraddizione  sparisce  se  si  pensi  che,  se  è  vero  che  lo 
statuto  fu  steso  nel  1355,  la  copia  però  che  giunse  a  noi  fu  scritta 
solo  dopo  il  1385,  quando  cioè  la  fusione  dei  due  ospedali  era  già  av- 
venuta. L' estensore  si  è  ricordato  di  questo  nel  trascrivere  i  capi- 
toli VII  e  XXIII  e  la  preghiera  ed  ha  corretto  il  singolare  in  plurale; 
se  n'  è  dimenticato  invece  nello  scrivere  il  cap.  xxix.  D'  altra  parte 
però  in  una  carta  del  28  agosto  1348  (arch.  della  Cattedr.  n.  492) 
noi  troviamo  fatti  eredi  in  solido  gli  ospedali  di  S.  Spirito  di  Faul, 
della  Disciplina,  della  Cariti. 

(2)  Pinzi,  Ospiti  &c.  p.  127,  n.  i.  «  Cola  Petri  de  Marsciano, 
«  camerarius  hominum  et  hospitalium  Caritatis  et  Discipline  et  re- 
«  ctor  ipsorum...  »  ;  arch.  Sped.  protoc.  Bartolomeo  Fazio,  26  giu- 
gno  1368. 


La  fraternità  dei  'Disciplinali  di  Viterbo      359 


Talta  gerarchia;  tentativo  di  cui  ci  pare  di  trovar  traccia 
evidente  nella  lettera  di  condanna  emanata  da  Clemente  VI 
contro  i  Battuti  quattro  anni  dopo.  Il  papa  si  duole  più 
che  di  altro  che  tra  gli  eretici  si  trovino  dei  religiosi,  spe- 
cialmente mendicanti,  che  con  la  parola  e  con  l'esempio 
trascinino  gli  altri  «  dogmatizando  contra  ecclesiasticam 
«libertatem  et  fidei  catholicae  puritatem  »   (i). 

L' indole  dei  Battuti,  almeno  originariamente,  non  li 
portava  air  acquisto  della  proprietà.  Sorti  ad  espiazione  dei 
peccati,  per  scongiurare  i  flagelli  meritati  dalla  corruzione 
e  dalla  malvagità  di  cui  le  ricchezze  erano  il  primo  flittore, 
tendevano  a  richiamare  tutti  ad  una  vita  di  penitenza  e  di 
preghiere  ed  a  sprezzare  non  solo  il  lusso,  bensì  anche 
r  agiatezza.  Epperò  da  principio  ogni  pensiero  di  proprietà 
doveva  essere  precluso  e  proibito  (2).  Quando  poi  le  loro 
associazioni  divennero  stabili  e  si  dovette  sopperire  alle 
spese  necessarie  pel  culto,  i  fratelli  si  imposero  una  tassa, 
che  desse  quanto  bastava  a  provvedervi.  Gli  ospedali,  nati 
per  opera  loro,  appunto  con  questa  tassa  venivano  man- 
tenuti. Se  non  che  o  questa  non  fosse  sufìiciente,  o  il  de- 
siderio di  possedere  vincesse  ogni  altro  pensiero,  presto  si 

(i)  «Epistola  Clem.  VI  ad  omnes  arcliiepiscopos  eorumquc 
a  suffraganeos,de  Flagellantìum  hereticorum  condennatione  »;  Labbé, 
Concilia,  XV,  565. 

(2)  L'art.  4  degli  Ordinamenti  della  conip.  della  Ver^iine  Maria 
composti  ed  ordinati  per  lo  priore  e  fratelli  della  comparila  della  Disci- 
plina dello  spedale  Sante  Marie  di  Siena,  ordinamenti  clie  sebbene  giunti 
a  noi  in  una  copia  del  1400,  hanno  tutto  l'aspetto  di  assai  antichi  e 
forse  risalgono  ai  primi  tempi  delle  associazioni  battute,  prescrive 
che  la  confraternita  non  abbia  nò  beni  mobili  né  immobili  meno  la 
casa  di  residenza;  che  non  si  accettino  donazioni  se  non  consen- 
zienti tre  quarti  de'  soci;  che  si  accetti  pane  e  denaro  da  distribuire 
ai  poveri  ;  che  quanto  provenga  da  elemosine  e  doir,  se  denaro,  si 
distribuisca  entro  otto  giorni;  se  immobile,  si  venda  subito,  ma  non 
a  fratello  e  il  prezzo  pure  si  distribuisca.  L.  Banchi,  Capitoli  della 
comp.  dei  Disciplinati  di  Siena  &c.  p.  58.  Anche  gli  statuti  di  Mad- 
daloni  citati  non  fanno  menzione  di  proprietà. 


S6o  T.  Egidi 


accettarono  le  donazioni  e  i  lasciti  a  favore  degli  infermi, 
e  poco  più  tardi,  fatta  T  abitudine,  anche  quelli  a  favore 
delle  confraternite.  Eccone  la  prova  evidente  per  quella 
viterbese.  Lo  statuto  primitivo  non  parla  mai  di  beni  pa- 
trimoniali.   I    camerlenghi   non   fanno   che  racco^^liere   le 

o  o 

contribuzioni  mensili  e  le  multe  e  distribuirle  a  seconda 
delle  disposizioni  date  dal  generale  e  dai  governatori. 
Nel  1337  invece,  come  vedemmo,  l'ospedale  accettava 
un  lascito:  nel  1345  la  società  aveva  accolto  per  sé  la 
donazione  de'  beni  fiutagli  da  Fr.  Tommaso  «  olim  lo- 
«  hannis  de  ordine  Continentium  0,  e  se  poi,  d'accordo 
col  donatore,  l'annullò,  non  fu  certo  per  rispetto  al  voto  di 
povertà,  che  allora  non  T  avrebbe  accettata  fin  dal  primo 
momento.  Che  più  ?  dieci  anni  dopo  la  proprietcà  della  fra- 
ternità aveva  già  incontrata  la  sorte,  che  tanto  spesso  in- 
contrano le  proprietà  collettive,  era  stata  manomessa  dai 
suoi  amministratori,  e  in  un  articolo  del  nuovo  statuto  si 
dovevano  comminare  pene  severe  a  chi  ne  abusasse  o  la 
usurpasse  (i).  Nei  Battuti  viterbesi  il  desiderio  di  ricchezza 
non  spinse  sino  ad  obbligare  i  fratelli  a  far,  morendo, 
qualche  lascito  alle  cappelle  cui  appartenevano,  come  ac- 
cadde altrove  (2)  ;  pure  essi  accolsero  ben  volentieri  quelli 
che  furono  lor  fatti  dalla  carità  de'  fedeli.  E  questa  non  do- 
vette essere  avara,  specialmente  verso  ì  due  ospedali,  se  a 
noi,  cui  pure  non  pervennero  che  pochissime  delle  antiche 
carte  dei  Battuti  (3),  è  stata  conservata  memoria  di  quat- 
tordici donazioni  tra  il  1341  e  il   1400  (4). 

(i)  Stat.  B  del  1355,  cap.  vii.  . 

(2)  Statuti    ài    Bologna    cit.    cap.  22  :    «  Quod   quicunque   diete 
«  congregationis  teneatur    relinquere    de  bonis    suis  diete  congrega-  ' 
«  tioni  ».  Ciascuno  doveva  fare  lascito  alla  confraternita  «  quando  di- 
<(  sposuerit  suam    ultimam    voluntatem.. .  ad  nianuteneiidani    ipsani 
<(  domum  et  opera  misericordie». 

(3)  Possiamo  dire  che  ci  siano  conservate  solo  parte  di  quelle - 
della  cattedrale. 

(4)  Alle  dieci  citate  dal  Pìnzi.  Ospixi,  pp.  4  17-18,  e  alle -due  di'- 


La  fratejiiila  dei  IJiscipiiiiatì  di  Viterbo      361 

La  floridezza  della  società  del  resto  era  anche  conse- 
guenza del  numero  grande  dei  suoi  adepti.  Le  cappelle 
crescevano  continuamente.  Una  carta  del  22  fjiu^rno  ]26^ 
ci  ripete  i  nomi  di  quelle  della  Cattedrale,  di  S.  Sisto,  di 
S.  Maria  di  Gradi,  di  S.  Maria  Nuova,  dell'ospedale  della 
Disciplina,  di  S.  Francesco,  ed  aggiunge  quelli  delle  com- 
pagnie della  Trinità  e  dell'  ospedale  di  messer  Guercio  (i). 

cui  si  itcQ.  cenno  a  p.  356,  nota  5,  aggiungi  quella  di  luzzo  fu  Bar- 
tolomeo di  venti  soldi  «  hospitali  Sante  Apolloniae  prò  sustenta- 
«  tione  pauperum  »,  24  luglio  1548  (arch,  Cattedr.  n.  486;  nota 
che  nel  Repeitorio  del  Magri  è  segnata  col  n.  487);  nonché  quella 
più  importante  di  «  Symon  Petri  Angeli  Bosci  de  Viterbio  »,  il 
quale,  fatti  vari  lasciti,  «  in  omnibus  aliis  autem  bonis  suis  mobi- 
«  libus  et  immobilibus,  iuribus  et  actionibus  ubicunque  sunt  et  in- 
«  venir!  poterunt,  sibi  heredes  universales  hospitalia  Sancti 
«Spiriti  de  Pabuli,  Discipline  et  Caritatis  de  Viterbio 
«  instituit  atque  fecit,  faciens  et  constituens  suos  executores  &c.  A. 
«  est  hoc  Vitcrbii...  et  ego  Donatus  quondam  lohannis  de  Viterbio 
«  not.  imperiali  auct.  ìxc.  »,  28  agosto  1348  (arch.  Cattedr.  perg. 
n.  492).  Dalla  carta  non  si  giunge  a  comprendere  se  i  tre  ospedali 
fossero  uniti  o  ciascuno  vivesse  da  sé.  Dell'  unione  di  quelli  della 
Disciplina  e  della  Carità  si  veda  quel  che  si  disse  a  p.3)6sgg.:  di 
quello  di  S.  Sp'rito  v.  p.   362. 

(i)  Arch.  Cattedr.  Vit.  perg.  557.  I:  molto  avariata:  le  prime 
tre  righe  hanno  perduto  le  prime  parole;  le  altre  dicono:  «[In  no- 
«  mine  Domini]  amen.  Anno  Domini  millesimo  .cccL.xiii.  tempore 
«domini  Urbani  pape  quinti...  die  .xxii.  mensis  iulii,  in  prescntia 
^' mei  notarli  et  testium  subscriptorum. ..  [Petrujcius  ohm  Borgo- 
te  gnutii  de  \'iterbio  de  centrata  Sancti  Stephani  Dei  gratia  [/j  ;  /i,7;c'  ./, 
«;,  6  sono  iìh'j^^ihUi,  nella  settiina  ìicsco  a  tlic  i  fra  re]  :..  .pMrì  ci  domino 
«  Viterbiensi  et  Tuscanensi  [episcopo]  . . .  ecclesie  Sancti  Stephani 
«  Viterbicnsis  apud  quam  sui  elcgit  corporis  sepulturam  reliquld 
«  quiiiqiie  libras  p.ip.irinorum.  Iteiii  rel'qu'd  disciplinatis  ecclesie 
<'  S.  Marie  ad  CJradus,  disciplinatis  ecclesie  S,  Sixti,  disciplinntis  ec- 
('  dis'c  S.  Marie  Nove,  disciplinatis  ecclesie  S.  Laurcntii,  discipli- 
.'  natis  ecclesie  S.  Trinitalis,  disciplinatis  ecclesie  S.mcti  l-raiicisci, 
«disciplinatis  hospit.tljs  domini  Gucrcii  et  disciplinatis  hospitalis  I)i- 
«  scipline  Vitr  t  omnibus  disciplinatis  dictanmi   ec>.K" '.in;iii 

«et  locorum  d.....    ..   ..r;  cere  prò  qualibet  dictarum  ecclesiarum  et 


'^62  T.  Egidi 


Dobbiamo  credere  che,  oltre  quelle  indicate  dal  documento, 
in  cittA  ve  ne  fossero  altre,  poiché  non  troviamo  nomi- 
nata quella  residente  presso  l'ospedale  della  Carità,  che 
vedemmo  esistere  già  nel  1345  e  che  viveva  ancora  agli 
inizi  del  secolo  xvi,  né  quella  che  aveva  sua  sede  presso 
l*  ospedale  di  Santa  Croce.  Di  questa  ci  parla  lo  sta- 
tuto del  1355,  che  or  ora  esamineremo,  il  quale  ordina 
che  il  camerlengo  venga  eletto  «  dal  generale  e  dal  go- 
te vernatori  e  dal  quactro  visitatori,  in  nel  dì  di  sancta 
«Croce  del  mese  di  sectembre  nell'ospitale  della  Croce» 
(cap.  xxiii).  Potrebbe  pensarsi  che,  pur  avendo  ivi  luogo 
r  elezione,  non  vi  fosse  cappella  disciplinata,  ma  sarebbe 
stato  veramente  strano  che  la  fraternità  scegliesse  a  tale 
uopo  un  luogo  estraneo,  pur  potendo  disporre  di  tanti  altri 
di  sua  proprietà.  Più  difficile  é  invece  stabilire  T  ubicazione 
di  quest*  ospedale  e  il  determinare  se  debba  aggiungersi  al 
numero  dei  molti  altri  ospizi  viterbesi  di  quell'epoca,  o 
identificare  con  uno  di  questi,  poiché  quella  degli  statuti 
é  la  sola  menzione  che  io  ne  conosca (i). 

«  locorum  exercendas  in  dlvìnis  offìciis  dum  dicti  disciplinati  fa- 
te ciunt...  \jl  principio  di  sei  riohe  manca,  essendo  lacerata  la  perga- 
w  mena,  ma  nulla  poteva  esservi  di  interessante  poiché  segue  :]  Item  re- 
«  liquid  ecclesie  Sancti  Petri  Centucellarum  prò  fabrica  ipsius  ecclesie 
((  decem  florenos.. .  Actum  est  hoc  in  ecclesia  Sancte  Marie  de  Ve- 
ce ritate  prope  civitatem  Viterbii  presentibus  &c.  Et  ego  Johannes 
«  ser  Stephani  quondam  Ioannis  de  Viterbio  auct.  a.  U.  pr.  not.  et 
«  i.  o.  &c.  ».  Nella  stessa  pergamena  è  steso  un  codicillo  del  i**  lu- 
glio (sic)  dello  stesso  anno  1363,  «  actum  in  domo  Petrucii  »  dallo 
stesso  notaro. 

(i)  Né  i  documenti  a  me  noti,  né  la  storia  degli  osp'zi  del  ca- 
valier  Pinzi,  ne  parlano  mai.  Questi  oralmente  mi  espresse  il  pen- 
siero che  potesse  identificarsi  coU'ospcdale  di  S.  Spirito  in  Paul,  di 
cui  gli  pareva  ricordare  qualche  menzione  col  nome  di  S.  Croce. 
Anche  a  me  parve  giusta  da  principio  tale  ipotesi  pensando  che 
anche  ora  la  vecchia  chiesa  di  S.  Spirito  ha  il  nome  di  S.  Croce  e 
che  il  doc.  del  1348  di  cui  parlammo  a  p.  361  univa  il  nome  del- 
l' ospedale  di  S.  Spirito  a  quelli  degli  altri  due  ospedali  disciplinati 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      3^3 

Già  conosciuto  invece  è  1*  altro  ospedale  che  la  carta 
del  13^3  ci  dice  occupato  dai  Disciplinati,  e  merita  ricordo, 
perchè  a  lui  va  unito  il  nome  di  un  personaggio  che  fu 
pars  macina  della  vita  cittadina  negli  inizi  del  secolo  xiv. 
Era  detto  di  messer  Guercio,  perchè  prossimo  alle  case  di 
Pietro  di  Rolando  dei  Gatti,  per  soprannome  «  Frater 
«  Guercius,  defensor  rector  et  gubernator  populi  civitatis 
«Viterbii»,  primo  che  vi  acquistasse  un  predominio  cui 
nulla  mancava,  fuorché  il  titolo,  per  essere  una  vera  si- 
gnoria (i).  Ma  né  il  nome  del  potente  patrizio  né  Tombra 
della  torre  gattesca,  che  anche  oggi  prende  nome  da  Ro- 
lando, padre  di  Frate  Guercio,  bastarono  a  dare  all'  ospizio 
una  vita  duratura.  Povero,  non  curato  dai  Disciphnati  che 
spendevano  la  loro  opera  in  quelli,  a  lui  vicinissimi, 
di  S.  Apollonia  e  della  Carità,  si  trascinò  innanzi  misera- 


di  S.  Apollonia  e  della  Carità.  Ma  in  opposizione  sta  il  fatto  che 
nel  secolo  xiv  esso  era  in  mano  dei  frati  Crociferi  (Pinzi,  Ospiii, 
p.  227)  e  che  da  questi  passò  alla  confraternita  della  Misericordia 
nel  1480  (Id.  Append.  doc.  xlvii).  Un  catasto  dei  beni  della  con- 
fraternita di  S.  Maria  Maddalena  dell'  ultimo  quarto  del  xvi  secolo 
dice,  è  vero,  che  la  chiesa  di  S.  Maria  Maddalena  si  trova  presso 
l'ospedale  di  S.  Spirito,  «  hospidale  di  nostra  communità  in  Paulo  » 
(arch.  di  S.  M.  Madd.  cat.  1574,  e  2),  ma  è  da  ritenersi  che  lo  dica 
tale  perchè  proprietà  della  confraternita  della  Misericordia,  la  quale, 
sebbene  sorta  nel  1479,  ^^^  considerata  come  emanazione  dei  Di- 
sciplinati, tanto  che  in  alcune  carte  è  addirittura  data  come  di  Di- 
sciplinati (Pinzi,  op.  cit.  p.  229),  mentre  che  non  lo  fosse  ce  lo  fa 
vedere  la  assenza  sua  dall'adunanza  generale  delle  cappelle  discipli- 
nate tenuta  nel  1509  per  la  vendita  dell'ospedale  di  S.  Apollonia, 
di  cui  parleremo  più  tardi  (v.  Pinzi,  Ospì:^i,  App.  doc.  xxii).  La  que- 
stione rimane  indecisa.  Non  potrebbe  quest'  ospedale  della  Croce 
essere  una  cosa  coli'  ospedale  di  S.  Apollonia,  in  cui  era  «  cjpclla 
X  Sancte  Crucis  ubi  soliti  sunt  disciplinari  »?  (Catasto  Bagottini,  e.  8, 
n.  47,  istrum.  i.)  settembre  1397;  arch.  dello  Spedai  Grande  di  Vi- 
terbo. Da  Pinzi,  Sloiia  &c.  Ili,  191,  n.  2). 

(i)  Vedi  di  lui  Pinzi,  Ospiii^  p.  120;  Storia  di  Viterbo,  III,  55 
sgg.  Fu  defensor  nel  1306.  *• 

Archivio  Jciìn  R.  Società  romano  di  storia  fatrin.  Voi.  XXIIl.  2  | 


3^4  "J^-  %?''^^" 


mente  pochi  anni,  poi  si  spense  senza  lasciare  traccia  al- 
cuna (i). 

Invece  prosperarono  per  molto  tempo  ancora  gli  ospe- 
dali riuniti  della  Carità  (detto  poi  anche  di  S.  Elena)  e 
di  S.  Apollonia.  Da  un  catasto  conservatoci  nelT  archivio 
dello  Spedai  Grande  sappiamo  che  nel  1378  il  loro  patri- 
monio era  composto  di  diciotto  case,  quindici  vigne,  due 
orti,  quarantadue  campi  e  dieci  prati  (2).  Dunque  verso  la 
metà  del  secolo  xiv  la  fraternità  era  in  pieno  rigoglio.  Le 
cappelle  erano  disseminate  in  tutta  la  città,  spandendo  per 
ogni  dove  il  loro  influsso  pietistico.  Era  naturale  che  si 
sentisse  il  bisogno  di  capitoli  più  ordinati  e  più  chiari. 
L*  iniziativa  facilmente  parti  dal  vescovo,  il  quale  aveva 
interesse  che  1'  autorità  sua  divenisse  sempre  maggiore.  Gli 
statuti  nell'anno  13 15  furono  ripresi  in  esame,  corretti, 
rifusi  ;  più  organicamente  distribuite  le  disposizioni,  se  ne 
formò  un  corpo  nuovo  del  quale  fortunatamente  ci  è  con- 
servata una  copia  pure  nell*  archivio  della  confraternita  di 
S.  Maria  Maddalena  (3). 

La  scrittura  ci  spinge  a  racchiudere  Fetà  dell'  esemplare 
tra  lo  scorcio  del  secolo  xiv  e  gli  inizi  del  xv.  Certo  fu 
steso  dopo  l'annuo  1385,  poiché  sino  a  quelP  anno  fu  ve- 
scovo di  Viterbo  Nicola  (II)  per  1'  anima  del  quale  è  re- 
gistrata una  preghiera  tra  quelle  che  precedono  lo  statuto  (4). 


(i)  L'ultimo  ricordo  è  del  1369;  "^mzi,  O spili,  p.  12:. 

(2)  Catasto  Bagottini,  p    62  ;  da  Pinzi,  Ospiti,  p.  127. 

(3)  Pergamenacea,  carattere  gotico  del  sec.  xv  ineunte  (?);  com- 
posta di  due  quaderni  e  un  quinterno  0.216X0.16,  raffilata  nel  marg. 
sup.  Scritto:  0.145X0.10;  ventuna  righe  per  pagina;  lettere  0.003. 
Iniziali  e  rubriche  in  rosso.  Comprende  l'uffizio  da  recitarsi  durante 
la  disciplina,  e  per  la  vestizione  dei  nuovi  fratelli,  sino  a  p.  22, 
r.  8:  seguono  le  regole  (pp.  22-56).  Come  altrove  dicemmo,  lo  chia- 
meremo St.  B. 

(4)  St.  B,  p.  9.  Nicola  fu  vescovo  dal  13 50- 1385.  Era  stato 
priore  della  chiesa  di  S.  Angelo  in  Spada.  Vedine  notizie  nel  Cala- 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      ^6^ 


Questo,  come  F  antico,  è  in  volgare,  anzi  di  un  aspetto 
forse  più  schiettamente  locale. 

Le  innovazioni  introdotte  non  sono  numerose  ne  di 
grande  entità.  Si  afferma  più  recisamente  1'  autorità  suprema 
del  vescovo,  alla  cui  approvazione  debbono  sottoporsi  non 
solo  la  nomina  degli  ufficiali  (capp.  i,  xx.vi)  ma  anche 
l'accettazione  dei  postulanti;  che  anzi  se  questa  avvenga 
senza  la  dovuta  licenza,  gli  ufficiali  incorrono  nella  sco- 
munica (cap.  III).  Anche  nell'amministrazione  a  lui  è  avo- 
cato il  supremo  controllo,  al  quale  due  volte  1'  anno  si 
deve  sottoporre  il  camerlengo  generale  (cap.  xxiii).  Queste 
disposizioni  danno  a  divedere  la  tendenza  verso  un  mas,- 
giore  accentramento  del  potere  ed  una  maggiore  sogge- 
zione dei  laici  alla  Curia,  tendenza  generata  per  un  lato 
dall'interesse  che  aveva  l'ordinario  di  impadronirsi  di  as- 
sociazioni, le  quali  raccoglievano  tanta  parte  della  cittadi- 
nanza e  che  avevano  avuto  in  origine  una  impronta  di 
avversione  quasi  alla  gerarchia  ecclesiastica,  per  l'altro  fa- 
cilmente dal  desiderio  di  provvedere  a  quei  disordini  cui 
poteva  dare  luogo  la  troppo  grande  libertà  lasciata  in  pas- 
sato alle  compagnie.  Di  questo  stesso  spirito  ci  fanno  te- 
stimonianza le  disposizioni  che  tolgono  ai  governatori  il 
diritto  di  regolare  le  processioni  di  disciplina,  e  lo  riser- 
vano al  solo  generale  (cap.  xvi),  il  quale  doveva  essere 
ubbidito  in  tutto  da  tutti,  pena  l'  espulsione  (cap.  xxv),  e 
il  fatto  che  alle  vecchie  pene  si  aggiunge  un'  altra  che  solo 
il  vescovo  può  infliggere:  la  scomunica. 

La  scelta  del  generale,  tolta  ai  governatori,  è  affidata 
ai  visitatori,  i  quali  sono  eletti  dal  generale,  dai  quattro 
visitatori  uscenti  e  dai  governatori  (cap.  xxiv).  Il  venerdì 
dircto  (ultimo?)  di  ottobre,  visitatori  e  generale  nuovi  sono 


hgus  episcoporuin  omnium  ViUrbii  de  qiiibus  ttotitia  haberi  potitit  ex 
variis  publicis  scriptuiis  et  iliplotnatibtis.  Ms.  nella  biblioteca  della  Cai- 
tedralc  di  Viterbo,  pp.  9J-9). 


S66  T.  Egìdi 


insediati  nell*  ufficio  dagli  uscenti  e  subito  dopo  dalla  cap- 
pella di  S.  Lorenzo,  loro  residenza  abituale,  nuovi  e  vecchi 
si  recano  al  vescovo  per  la  conferma  (cap,  xxvi).  Dal  gene- 
rale, dai  quattro  visitatori,  dai  governatori  è  eletto  il  camer- 
lengo nel  dì  di  santa  Croce  di  settembre  (14)  :  è  custode 
di  tutti  «  li  bieni  stabili  e  mobili  dell'ospedali  »  e  di  tutti 
i  frutti  ed  entrate  per  1* intiera  annata  (cap.  xxiii). 

Nelle  singole  cappelle  è  cresciuto  il  numero  degli  uffi- 
ciali, indizio  anche  questo  dello  sviluppo  preso  dall'asso- 
ciazione, della  cresciuta  proprietà  e  della  diminuzione  di 
fiducia  in  chi  Tamministrava,  tanto  da  sentire  più  vivo 
il  bisogno  di  controllo;  accanto  del  governatore  si  pon- 
gono un  sogovernatore  e  un  limosiniere  (cap.  1).  Alcuni  fra- 
telli hanno  speciale  incarico  dal  governatore  di  provvedere 
agli  infermi,  sia  nei  bisogni  spirituali  che  nei  temporali 
(cap.  xix). 

In  genere  le  proibizioni  sono  divenute  più  severe  e  le 
sanzioni  più  gravi.  Il  segreto  si  deve  conservare  ad  ogni 
costo,  pena  V  espulsione  (cap,  vi)  :  anche  se  altri  mostri 
desiderio  di  entrare  nella  fraternità,  si  deve  fingere  di  non 
appartenervi  e  rispondere:  «  mi  piace  ch'entriamo  ».  In- 
tanto si  dee  portare  il  nome  per  iscritto  al  governatore 
che  lo  mette  a  partito  nella  compagnia  a  scrutinio  segreto, 
per  riferire  del  risultato  al  generale;  questi  e  i  visitatori, 
fatte  le  consuete  inquisizioni,  ne  domandano  al  vescovo 
e  solo  dopo  avuto  il  suo  assenso,  rifatta  all'  indietro  la  me- 
desima lunghissima  via,  il  fratello  può  dirigere  il  postu- 
lante al  confessore,  che  lo  interroghi  prima  e  poi  lo  am- 
maestri (cap.  III).  Tale  raddoppiamento  di  garanzie,  già 
esagerate  nel  primo  statuto,  era  certo  dettato  dalla  reazione 
contro  la  larghezza  eccessiva  con  cui  erano  stati  ascritti  i 
fratelli  nei  primi  tempi  della  devozione,  e  fors'anche  nelle 
•mani  della  Curia  era  un  mezzo  per  poter  meglio  padro- 
neggiare la  società,  ormai  potente,  e  servirsene  nel  modo 
che  le  sembrasse  più  opportuno. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      3^7 

L'  associazione  non  ha  cinquant*  anni  di  vita  e  giA  va 
perdendo  non  poco  del  suo  carattere  speciale.  Perfino  la 
flagellazione  pubblica  da  cui  essa  era  sorta  e  che  nei  primi 
tempi  doveva  essere  raffrenata,  va  ora  in  dissuetudine.  Lo 
statuto  del  1355  riduce  ad  una  sola  le  processioni  di  peni- 
tenza e  le  dà  tanto  piccola  importanza  che  neppure  ne 
parla  in  un  capitolo  a  sé,  come  si  era  fatto  nel  13 15,  ma 
per  incidente  nella  rubrica  che  impone  obbedienza  al  go- 
vernatore (cap.  xvi).  Prende  invece  maggiore  importanza 
r  «  examinatione  »  mensile,  per  cui  il  vescovo,  servendosi 
del  confessore  che  da  lui  è  scelto,  esercita  un  sindacato 
diretto  sui  singoli  membri  della  società,  obbligandoli  a 
mutuamente  accusarsi  delle  colpe  che  abbiano  commesso 
contro  gli  statuti  (cap.  xxi). 

Le  pene  di  chi  giuochi,  bestemmi  &c.  sono  aggravate 
(capp.  IV,  v,  vili,  vjiii):  la  quota  di  trimestrale  s'  è  cam- 
biata in  mensile  e  consiste  in  viii  denari  (cap.  x)  :  è  cac- 
ciato chi  abbia  usurpato  beni  degli  ospedali  o  deHa  fra- 
ternità, se  non  li  renda  entro  quindici  giorni  (cap.  vii). 

In  complesso  pare  di  scorgere  che  dal  13 15  al  1355 
s'andassero  rallentando  i  legami  tra  cappelha  e  cappella  e  che 
ognuna  tendesse  ad  acquistare  una  tal  quale  autonomia.  La 
riforma  del  1355  ha  per  iscopo  di  ristabilire  la  compagine  so- 
ciale, e  vuol  giungervi  sottoponendo  tutti  ad  un'autorità  in- 
discutibile, quella  dell*  ordinario.  Pure  non  riesce  a  cancel- 
lare tutte  le  tracce  della  trasformazione  già  iniziata,  le 
quali,  se  non  m' inganno,  traspariscono  in  due  nuove  di- 
sposizioni, che  consacrano  la  individualità  oramai  acqui- 
sita dalle  cappelle  contro  lo  spirito  delle  prime  regole. 
Mentre  queste  in  segno  di  piena  fratellanza  permettevano 
che  ognuno  fosse  libero  di  prender  parte  alla  disciplina  in 
quella  delle  cappelle  che  gli  piacesse,  ora  si  vieta  di  farlo 
fuor  della  propria  (cap.  x).  Mentre  prima  chi  fosse  cacciato, 
era  riammesso  per  decreto  del  generale,  ora  bisogna  che 
almeno  il   maggior   numero  dei  fratelli    della   compagnia 


3^8  'P.  Egidi 

cui  egli  apparteneva  siano  contenti  di  riaverlo  tra  loro 
(cap.  xxix).  Insomma  virtualmente  è  piena  già  quella  indivi- 
duazione delle  varie  membra  che  permetterà  ad  alcune  di 
giungere  sino  a  noi,  dopo  altre  trasformazioni,  comple- 
tamente indipendenti  tra  loro.  Lo  statutario  cerca  di  com- 
battere questo  venticello  di  fronda  e  impone  con  maggior 
insistenza  la  lettura  delle  regole  comuni,  ma  il  bisogno 
che  sente  di  minacciare  pene  severissime  (trenta  Pater  e 
Ave  di  disciplina  a  chi  manchi  alla  lettura,  l' espulsione 
per  un  anno  al  governatore  che  non  curi  si  faccia)  tradisce 
il  timore  di  non  essere  obbedito  (cap.  xvii)  È  già  pene- 
trato nelle  fibre  della  società  il  baco  che  dovrà  corroderle 
e  farle  cadere  marcite. 


IV. 


Non  abbiamo  notizia  che  questi  statuti  fossero  modifi- 
cati in  alcun  modo  nello  scorcio  del  secolo  xiv  o  nel  corso 
del  XV  sino  all'anno  1482  e  dobbiamo  credere  che  secondo 
essi  continuassero  a  reggersi  le  cappelle  disciplinate.  Però 
dalla  scarsezza  dei  ricordi  possiamo  arguire  senza  temerità, 
che  la  decadenza  fosse  rapida  assai.  Uscirebbe  dai  limiti 
di  questo  studio  ricordare  le  cause  d' indole  generale  che 
si  opponevano  al  rigoglio  ch'ebbero  i  Battuti  nei  secoli 
precedenti.  Accenneremo  solo  che  ad  aiutare  l'opera  loro 
venne  tra  noi  e  l' indole  stessa  del  popolo  viterbese,  troppo 
facile  ad  annoiarsi  di  ciò  che  breve  tempo  innanzi  ha  amato 
con  entusiasmo,  e  la  quiete  relativamente  maggiore  che 
la  città  aveva  trovato  nel  dominio  dei  papi.  La  venuta  dei 
Bianchi,  la  predicazione  di  qualche  eloquente  oratore  po- 
terono si  per  qualche  istante  risuscitare  apparentemente, 
galvanicamente  certi  stati  di  animo,  ma  la  vita  vera  era 
finita.  La  forza  d'inerzia,  la  quale  assai  spesso  mantiene 
in  piedi  istituzioni  anche  quando  han  perduta  ogni  ragione 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      3^9 


di  esistenza,  fece  sì  che  in  Viterbo  le  compagnie  disci- 
plinate vivacchiassero  ancora.  Due  avvenimenti  miracolosi 
che  suscitarono  profonda  commozione  negli  animi  dei  cit- 
tadini e  che  ricorderò  rapidamente,  forse  furono  loro  d'aiuto. 

Addi  otto  di  maggio  del  144^,  «  tre  mammolini  anda- 
«  rono  in  S.  Maria  della  Verità,  in  mercordi  su  l'ora  di  nona 
«  e  videro  su  l'altare  della  Madonna  una  bella  dama  vestita 
«di  bianco,  che  cantava;  poi  videro  un  omo  vestito  di 
«  sacco,  a  modo  di  frustatore,  che  gridava  misericordia. 
«  Poi  fu  posta  cura  a  quella  figura  su  '1  viso  che  ci  sta 
«  adesso  ;  tutta  era  piena  di  goccie  di  sangue,  e  da  quel  di 
ce  in  qua  ha  fatti  molti  miracoli  »  (i).  La  visione  ed  i  mi- 
racoli dovettero  risuscitare  per  qualche  tempo  il  fanatismo 
religioso  e  certo  a  scongiurare  i  mali  che  il  sudore  san- 
guigno della  Vergine  minacciava,  le  processioni  di  disci- 
plina si  successero  frequenti,  e  il  sangue  sprizzò  di  sotto 
alle  sferze  e  i  Battuti  andarono  per  le  vie  gridando  mise- 
ricordia a  somiglianza  di  quel  loro  fratello  apparso  ai  mam- 
molini. 

Più  vivace  impressione  e  d'effetto  più  duraturo  pro- 
dusse pochi  anni  dopo  un'  altra  serie  di  prodigi,  attribuiti 
ad  un'  imagine  della  Vergine  che,  dipinta  sopra  una  te- 
gola, era  stata  per  lungo  tempo  esposta  alla  venerazione 
del  popolo  dall'alto  di  un  tronco  di  quercia  a  metà  strada 
circa  tra  Viterbo  e  Bagnaia.  A  folla  vi  accorse  il  popolo 
di  Viterbo  e  dei  paesi  circonvicini;  processioni  di  grazia 
e  di  deprecazione  ebbero  per  meta  la  santa  quercia,  e  in 
copia  da  ogni  parte  piovvero  olFcrte,  che  permisero  di  rac- 
chiuderla dapprima  dentro   un'  umile  cappelletta  e  poi  in 

(i)  Niccolò  di:ll\  Tuccia,  r,  '    i"  op.  cit.  p.  56. 

Oscure  sono  le  parole:  «  poi  fu  pò  -ura  su  '1  viso 

"  che  ci  sta  adesso  »,  ne  saprei  in  c]ual  modo  uHcrpu-t.irlc  ;  torse 
è  .il  n:nit(Mf(ri:iri- :  "li.-ur.i,  su  '1  viso,  clic  ci  sia»  t^cc.  La  copia  (.Iella 
(  'ilÌ1'.\i\;Ii.   di   S:au)   di   Koma    ha  la  data  iS  di 

nia;.;^io. 


370  ^-  Egidi 


im  tempio  splendido,  il  più  bello  che  alle  nostre  contrade 
abbia  dato  V  arte  del  rinascimento  (i).  Alle  processioni 
non  mancavano  i  Battuti.  Li  venticinque  di  luglio  del  14^7 
ci  venne  tutto  il  popolo  di  Montefiascone  con  quaranta- 
sette  frustatori;  ai  trenta  dello  stesso  mese  quello  di  To- 
scanella  con  cento  frustatori,  e  cosi  quelli  di  Caprarola, 
Carbognano,  Bassano,  Soriano,  Civitella,  Bagnala,  Bo- 
marzo,  Vetralln,  Lugnano,  Canepina  e  d'  altre  comunità 
«  con  tutti  loro  disciplinanti,  fanciulli  ignudi,  frustandosi, 
«  omini  e  donne  »  (2).  Per  un  momento  parvero  rivivere 
gli  entusiasmi  di  penitenza  di  due  secoli  prima.  Ogni 
nuova  grazia  che  si  credeva  dispensata  da  Maria,  era  in- 
centivo di  nuove  processioni  di  ringraziamento  e  di  im- 
petrazione. Notevole  tra  queste  una  solenne,  indetta  dal  ve- 
scovo ai  venti  di  settembre,  perchè  ci  dà  a  conoscere  la 
reverenza  che  riscotevano  ancora  a  quel  tempo  i  nostri 
Battuti.  Essi  presero  posto  tra  il  clero,  rivestito  dei  sacri 
indumenti,  e  il  vescovo,  occupando  quindi  un  luogo  d'o- 
nore, mentre  le  altre  compagnie  laiche,  venendo  dopo  il 
vescovo,  chiudevano  il  corteo  (3). 

Disgraziatamente  dagli  archivi  delle  due  confraternite, 
che  derivando  in  linea  retta  dai  Battuti  avrebbero  potuto 
conservarci  notizie  importanti,  sono  scomparse  quasi  tutte 
le  carte  che  riguardano  questi  tempi,  né  ci  è  dato  riem- 
pire la  lacuna  con  altro  mezzo.  Son  persuaso  del  resto  che 
esse  avrebbero  confermato  il  progressivo  declinare  della 
associazione,  il  quale  ci  è  indicato  chiaramente  dall'unico 
documento  di  qualche  valore  che  è  pervenuto  sino  a  noi: 
yo'  dire  dallo  statuto  riformato  nel   1482. 

(i)  Intorno  alla  costruzione  della  chiesa  di  S.  M.  della  Quercia 
vedi  la  monografia  del  cav.  C,  Pinzi,  Memorie  e  documenti  inedili 
sulla  basilica  di  S.  M.  della  Quercia,  monumento  nazionale  in  Archivio 
dell'Arte,  a.  III,  Roma,  tip.  Laziale,   1890,  Vili,    26  sgg. 

(2)  N.  DELLA  Tuccia,  Cronaca  ed.  cit.  p.  92. 

(3)  N.  DELLA  Tuccia,  loc.  cit.  p.  93. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      371 

Fa  compilato  in  quest' anno,  sedendo  nell'episcopato 
Francesco  Maria  Visconti  e  nel  generalato  della  compa- 
gnia Vincenzo  di  Giovanni.  La  copia  che  ci  è  conservata 
insieme  a  quelle  dei  due  precedenti  neirarchivio  di  S.  Maria 
Maddalena  (i),  è  composta  di  due  parti  nettamente  di- 
stinte. La  prima  comprende  quarantotto  articoli  le  cui  ru- 
briche sono  ripetute  nella  tavola  che  precede  le  regole; 
la  seconda  altri  sette  che  altra  mano  scrisse  più  tardi 
senza  aver  cura  di  aggiungerne  le  rubriche  alla  tavola  (2). 
Dei  quarantotto  capitoli  della  prima  parte,  trentatre  sono 
quelli  dello  statuto  B  (1355),  riprodotti  con  lievissime 
modificazioni  di  forma  e  di  ordine  (3)  ;  quindici  sono  di 
nuova  fattura,  ed  hanno  specialmente  per  oggetto  T  am- 
ministrazione del  patrimonio  degli  ospedali  e  della  com- 
pagnia. 

(i)  Perg.  0.227X0.155,  di  un  quaderno  e  di  un  quinterno,  rac- 
chiusi in  due  fogli  che  nelle  prime  quattro  pagine  hanno  la  tavola, 
nelle  ultime  due  decreti  episcopali.  Calligr.  irregolare,  gotica  della 
fine  del  scc.  xv,  sino  alla  p.  37  di  una  mano,  di  una  seconda  mano  di 
li  in  poi:  correzioni  numerose  di  una  terza  mano  che  è  quella  che 
ha  steso  il  primo  dei  due  decreti  episcopali  (del  1528).  Le  pagine 
contano  ventidue  linee:  le  iniziali,  le  rubriche  e  la  tavola  sono  rosse. 
L'epoca  della  cop'a  è  compresa  tra  il  1482  e  il  1528;  la  parte  stesa 
dalla  prima  mano  ò  di  certo  anteriore  al  1 509  perchè  vi  si  fa  men- 
zione una  volta  dell'  ospedale  di  S.  Apollonia  e  più  volte  della  cap- 
pella di  S.  Lorenzo,  mentre  in  quell'  anno  il  primo  fu  venduto,  la 
seconda  più  non  aveva  vita  (cf.  p.  373). 

(2)  La  prima  parte  va  dalla  p.  i  alla  37:  la  seconda  da  questa 
alla  fine.  La  numerazione  degli  articoli  nella  tavola  è  sbagliata:  è 
stata  dimenticata  la  rubrica  dell'art,  xxviii  (manca  di  rubrica  anche 
nel  testo)  e  alla  rubrica  del  xxxi  si  sono  invece  dati  i  numeri  xxxi 
e  xxxii. 

(j)  I  primi  ventisette  stanno  nel  medesimo  ordine  in  B  e  in  C. 
II  xxviii  C  è  quello  aggiunto  in  B  dopo  il  xxxiii,  quindi  i  capi- 
toli XXIX,  XXX,  XXXI,  xxxu,  XXXIII  C  corrispondono  ai  xxviii,  xxix, 
XXX,  XXXI,  xxxiii  B;  il  xxxii  B  6  stato  portato  al  n.  xlvhi  C  come 
chiusura:  «  Che  Tordinamenta  si  mantengano  et  non  sì  posano  gua- 
«  stare». 


372  T.  Egidi 


Il  rettore  dell'ospedale  visiti  le  possessioni  a  seconda 
delle  stagioni,  ne  accolga  ogni  entrata,  tenendone  però  in- 
formato il  camerlengo,  possa  trattar  fìtti  dopo  conferitone 
col  generale  (cap.  xxxiv).  Tenga  conto  degli  ammalati 
raccolti  nell'ospedale,  e  se  muoiano,  i  denari  trovati  loro 
indosso  dia  al  camerlengo;  dei  panni,  se  di  valore  inferiore 
a  venti  soldi,  faccia  elemosina,  se  superiore,  li  venda  e 
dia  il  prezzo  al  camerlengo  (cap.  xxxv).  Il  generale  e  i 
quattro  visitino  ogni  venerdì  le  cappelle  (cap.  xxxxiv)  e 
insieme  cogli  altri  officiali  vadano  spesso  nei  fondi  della 
compagnia  e  vedano  come  sono  tenuti  (cap.  xxxx).  In- 
sieme col  rettore  e  coi  quattro,  il  generale  nella  settimana 
santa  faccia  limosina  di  una  soma  di  pane  e  di  qualche 
pò*  di  denaro  ai  luoghi  pii  e  a  quei  privati  che  gli  pa- 
ressero abbisognarne  (cap.  xxxxii).  Gli  ufficiali  visitino 
spesso  gli  ospedali  e  ne  riferiscano  al  generale  (cap.  xxxviii). 
Questi  coi  quattro  durante  il  suo  officio  doti  T  ospedale  di 
quattro  letti  con  «  quattro  para  de  lin(;oli  e  due  pellic- 
c(  cioni  »  o  provveda  quel  «  che  più  bisognasse  »  (cap.  xxxix). 

Passiamo  sotto  silenzio  altre  disposizioni  di  minor  conto 
per  indicarne  due  che  sono  la  conferma  della  opinione  da 
noi  espressa  poco  sopra.  Nei  primi  statuti  si  proibiva  di 
andarsi  flagellando  per  le  vie,  fuorché  nelle  processioni 
ordinate  dai  governatori  o  dal  generale  :  segno  evidente 
che  talvolta  il  fervore  spingeva  i  frustatori  ad  uscire 
isolati  e  percorrere  la  città  insanguinandosi  le  spalle.  In 
questi  invece  si  sente  la  necessità  di  minacciare  una  multa 
di  dieci  soldi  a  quel  fratello  che  non  vada  alle  processioni 
generaU  regolarmente  fissate  (cap.  xlvi).  Che  più?  il  nu- 
mero dei  fratelli  si  andava  ogni  giorno  più  assottigHando  ; 
le  cappelle  minacciavano  di  rimanere  deserte.  Perfino  quella 
di  S.  Apollonia,  che  pur  risiedeva  presso  l'ospedale  prin- 
cipale dei  Disciplinati,  scarseggiava  tanto  di  frequentatori 
da  far  sentire  il  bisogno  di  porre  negU  statuti  che  ogni 
luogo  il  quale  avesse   più  di  venticinque   fratelli  potesse 


La  fraternità  dei  'Disciplinati  di  Viterbo      373 

eleggerne  due,  che  per  un  anno  officiassero  in  detta  cap- 
pella e  poi  tornassero  alla  propria,  sostituiti  da  altri  due 
((  per  conservamento  dell'ospedale  et  discipline  »  !  Né  que- 
sta disposizione  era  esclusiva  a  prò  della  cappella  di  S.  Apol- 
lonia, ma  poteva  mettersi  in  atto  a  prò  di  ogni  altra,  che 
non  avesse  più  di  dodici  o  quattordici  adepti  (cap.  xlui)  (i). 

La  stessa  triste  nota  di  decadimento  ci  vien  fatto  di 
sentire  nei  sette  articoli  aggiunti  posteriormente  e  con 
probabilità  prima  del  1528  (poiché  portano  correzioni  della 
stessa  mano  che  scrisse  il  decreto  episcopale  di  quell'anno 
aggiunto  in  calce).  Ci  si  avvede  facilmente  che  mancano 
proseliti  che  prendano  il  posto  dei  vecchi.  Al  camerlengo 
generale  che  durava  un  anno,  con  altrettanta  vacazione, 
si  sostituisce  un  depositario  per  tre  anni  (cap.  li):  i  ca- 
merlenghi delle  cappelle  che  stavano  in  ufficio  tre  mesi 
con  sei  di  vacazione,  vi  rimangono  per  un  anno  e  di  va- 
cazione non  si  fa  più  parola  (cap.  lui)  e  i  governatori  si 
estniggono  a  sorte  pei  tre  anni  venturi,  durando  il  loro 
ufficio  un  anno  (cap.  lii).  Si  è  perfino  costretti  dì  ob- 
bligare airaccompagnamento  dei  morti  tutti  i  fratelli  e  non 
più  solo  quelli  della  cappella  del  defunto  (cap.  xlix). 

Nel  1509  una  sola  delle  cappelle  sorte  nei  primi  tempi 
era  ancora  in  piedi;  quella  di  S.  Francesco.  Due  altre  le 
erano  compagne,  annidate,  una,  facilmente  derivata  da  quella 
di  S.  Lorenzo,  nella  chiesuola  di  S.  Maria  Maddalena, 
l'altra  in  quella  di  S.  Giovanni  di  Valle,  forse  figliola  della 
cappella  già  residente  presso  l'ospedale  di  S.  Elena  o  della 
Carità.  Le  rimanenti  erano  morte  e  in  quell'annosi  spense 
anche  T  ospedale  di  S.  Apollonia  che  pure  era  stata  la 
prima  istituzione  filantropica  della  società.  Fu  venduto  per 
seicento  scudi  al  card.  Fazio  Santoro,  che  suU'  area  sua 
aveva  intenzione  di  erigere  un    sontuoso  palazzo.  Ci  re- 


(1)  La   rubrica    dice:    Come    si  deve   supplire    al   loco 
dove  mancassero  li  omini. 


374  "P-  Egi<'^i 


stano  il  verbale  dell'adunanza  generale,  tenuta  a  tal  pro- 
posito dai  Disciplinati  nell'ospedale  di  S.  Elena,  e  Tistru- 
mento  di  vendita  (i)  e  sono  per  noi  preziosi,  perchè  mentre 
da  una  parte  ci  fanno  conoscere  che  la  costituzione  della 
compagnia  non  ha  subito  variazioni  notevoli  (2),  dall'altra  ci 
dicono  esattamente  a  qual  esiguo  numero  fossero  ridotti 
i  devoti  che  un  secolo  e  mezzo  prima  erano  sparsi  in  tutta 
quanta  la  città  (3). 

Cosi  le  cure  spedaliere  dei  Disciplinati  si  restrinsero  al- 
l'ospizio della  Carità  o  di  S.  Elena,  del  quale  riassumerò 
brevemente  le  ultime  vicende,  narrate  dallo  storico  degli 
ospizi  viterbesi,  tante  volte  citato. 

Nel  1514  venne  fuso  con  l'ospedale  di  S.  Sisto  per 
comune  accordo  tra  i  Battuti  e  l'Arte  degli  speziali,  che 
era  padrona  del  secondo:  al  nuovo  ospizio  fu  dato  il  nome 
di  spedale  della  Misericordia  e  n'ebbe  il  governo  Pierfe- 
lice  Tignosini  col  titolo  di  commendatore  (4).  Ma  qualche 
anno  appresso  (fine  del  1518  o  15 19),  per  ragioni  che 
non  ci  sono  ben  note,  gli  speziali  e  i  Battuti  cedono  ogni 
loro  diritto  sui  due  ospedali  al  Comune,  che  ne   prende 

(i)  Furono  pubblicati  ambedue  dal  Pinzi,  Ospiti,  pp.  372-375, 
App.  docc.  XXII  e  xxiii.  L' adunanza  fu  in  data  25  settembre,  la 
vendita  il  giorno  seguente.  Ambedue  sono  estratti  dal  prot.  IV  del 
notaio  Spinello  Altibelli  esistente  nell'  arch.  Notar,  viterbese. 

(2)  Vi  sono  ancora  un  generale,  quattro  visitatori,  un  rettore  ed 
un  camerario  degli  ospedali;  in  ciascuna  cappella  un  governatore  e 
un  camerlengo  ;  non  appaiono  piii  i  quattro  discreti. 

(3)  In  tutto  erano  sessanta;  ventitre  facevan  parte  della  cappella 
di  S.  Giovanni,  ventidue  di  quella  di  S.  M.  Maddalena,  quindici  di 
quella  di  S.  Francesco.  Questo  ci  spiega  come  l'ultima  ben  presto 
si  spegnesse.  Dalla  relazione  dell'adunanza  sono  dati  i  nomi  di  tutti 
i  fratelli  presenti  ed  assenti,  sicché  non  può  sorgere  dubbio  alcuno 
intorno  al  numero  loro. 

(4)  Pinzi,  Ospiti,  p.  197  e  App.  docc.  xxxiii  e  xxxiv.  In  questi 
si  parla  dei  beni  degli  ospedali  di  S.  Elena  e  di  S.  Apollonia.  Si 
comprende  che  così  s' intendono  i  beni  già  appartenenti  all'ospedale 
di  S.  Apollonia  ed  ora  passati  in  proprietà  di  quello  di  S.  Elena. 


La  fraternità  dei  T)iscipliiiati  di  Viterbo      375 

il  dominio  e  ramministrazione  (i).  A  poco  a  poco  intorno 
a  questo  primo  nucleo  si  raccolsero  tutti  gli  spedali  laici 
della  città,  collo  scopo  di  dar  vita  ad  uno  solo,  che,  unite 
le  rendite  di  tutti,  meglio  provvedesse  alle  necessità  degli 
infermi  (2).  Questo  provvedimento  che  avrebbe  dovuto  tor- 
nar gradito  ad  ogni  persona  di  senno  e  tanto  più  ai  gover- 
nanti, invece  trovò  un  oppositore  accanito  in  persona  che 
meno  d'ogni  altra  avrebbe  dovuto  esserlo  :  nel  legato  del 
Patrimonio,  card.  Nicola  Ridolfì.  Addì  io  dicembre  del  1528 
egli  ordinava  che  gli  ospedali  i  quali  volontariamente  si 
erano  fusi  (3),  tornassero  di  nuovo  a  vita  individuale,  sotto 
gli  antichi  padroni.  È  difficile  stabilire  le  ragioni  vere  di 
un  disposto  che  rendeva  vana  Y  opera  laboriosa  di  uni- 
ficazione del  decennio  precedente;  perchè  non  è  certo 
da  credere  troppo  ciecamente  al  cardinale  che  dice:  «  licet 
a  complura  sint  hospitalia,  nullam  tamen  fieri  erga  pan- 
ce peres  hospitalitatem,  incuria  et  eorum  negligentia,  qui 
«  regimini  et  hospitalium  administrationi  presunt  ».  Se  que- 
sta fosse  stata  la  causa  vera,  rimedio  ovvio  ed  efficace  sa- 
rebbe stato  di  cambiare  i  rettori  conservando  Tunità  am- 
ministrativa, e  sottoporli  ad  un  controllo  severo,  che  con 
la  divisione  era  invece  assai  più  malagevole  (4). 

Secondo  questo  decreto  1'  ospedale  di  S.  Sisto  tornava 
alla  società  aromatariorum  e  quello  di  S.  Elena  ai  Disci- 
plinati. Ma  non  pare  che  questa  scissione  fosse  tradotta  in 
efi^etto  poiché  quattro  anni  dopo  i  due  ospedali  ci  appaiono 
uniti  in  un  sol  corpo  (5). 

(i)  La  cessione  era  già  accaduta  ai  9  sett.  15 19  ;  op.  cit.  p.  205. 

(2)  Op.  cit.  pp.  198,  199;  App.  docc.  XXXVIII,  xxxvii,  xxix,  xl. 

(3)  Erano  quelli  di  S.  Elena,  di  S.  Sisto,  di  S.  Angelo  (dei  sar- 
tori), di  S.  Tommaso  (degli  osti),  dei  Pellegrini  (dei  calzolai). 

(4)  V.  Append.  doc.  111. 

(5)  «  Ser  Paulus  Voce  aromatarius  et  magister  Laur.  Arenstori 
«  rectores  hospitalium  S.  Hclene  et  Apolonie  et  S.  Sixti,  quae  ho- 
«spitalia  sunt  unius  corpus...»;  Martorila  hospitalis,  e.  18;  20  gen- 
naio  15^'.;  Pinzi,  Ospiti,  p.  217,  n.  i. 


37^  "P.  Egidi 


Nel  1538  poi  i  due  ospedali  cessarono  di  vivere  e  i 
loro  beni  andarono  ad  impinguare  il  patrimonio  dell*  o- 
spedale  dì  S.  Spirito  in  FauUe  che  in  queiranno  era  dive- 
nuto ospizio  comunale  (1).  Conciò  i  Disciplinati  perdono 
ogni  partecipazione  alla  attività  ospitaliera  della  città,  se 
se  ne  tolga  un*ultima,  allorché  uniti  con  i  fratelli  di  alcune 
Arti  traggono  fuori  dell*  ospedale  di  S.  Spirito  i  malati  e 
le  masserizie  e  li  trasportano  altrove,  per  sforzare  il  Comune 
a  rimuovere  l'ospedale  da  quel  luogo  inadatto  e  malsano  (2). 
Eppure,  vedi  ironia,  è  di  questo  torno,  quando  cioè  le 
forze  della  compagnia  sono  stremate  e  rari  ospiti  rompono  il 
silenzio  e  la  solitudine  delle  cappelle  altra  volta  affollate, 
è  di  questo  torno  l'unico  documento  che  ci  dica  come  i 
Disciplinati  tentassero  di  prendere  una  certa  qual  parte  nella 
vita  pubblica.  Della  metà  circa  del  xvi  secolo  è  una  pre- 
scrizione, che  dal  tono  pare  episcopale,  la  quale  impone 
ai  fratelli  il  giuramento  di  mai  «  né  con  fatti  né  con  pa- 
«  role  venire  contra  la  publica  pace  et  tranquillità  »  e  di 
non  praticare  luoghi  o  conventicole  in  cui  si  sparU  del 
governo  o  si  trami  contro  la  quiete:  anzi  chi  avesse  no- 
tizia alcuna  di  ciò,  sia  obbligato  a  riferirne  al  governatore, 
sia  direttamente  che  indirettamente. 

Che  se  alcuna  fazione  si  levasse...  ogni  et  ciasche  fratello  sia 
tenuto  et  obligato  non  andare  alle  porte  di  S.  Sisto,  di  S.  Lucia, 
né  alla  svolta  o  alla  fonte  sine  pari  o  altri  luochi  dove  si  ragunino 
li  solili  a  malignare;  ma,  potendo,  pigliare  le  sue  arme,  andarsene 
immediate  al  palazzo  del  signor  governatore  della  città  o  vero  nel 
luogho  deputato  da  esso,  stando  ad  ogni  obedienza  del  detto  per  laude 
et  per  honore  di  Dio  et  la  Siede  apostolica  et  per  utilità  del  pros- 
simo et  per  mantenere  detta  pace  et  publica  quiete  et  obviare  a  tutti 
e  scandali  . . .  (5). 


(i)  Pinzi,  Ospìzi,  p.  224. 

(2)  Pinzi,  Ospiiì,  p.  408,  n.  li. 

(3)  In  fondo  allo  statuto  C,   ce.  22  e  22  B,   in  bella  calligrafia 
umanistica  del  sec.  xvi,  accuratissima  e  senza  alcun  nesso. 


La  fraternità  dei  Tìiscipliiiali  di  Viterbo      377 

La  deviazione  della  società  dai  suoi  scopi  non  potrebbe 
essere  più  completa.  Nata  per  desiderio  di  penitenza  espia- 
toria, adombrata  da  una  certa  tinta  di  opposizione  alla 
gerarchia  specialmente  ecclesiastica,  essa  tra  le  mani  del  ve- 
scovo diventa  prima  uno  strumento  di  dominio  spirituale, 
poi  un  mezzo  di  governo  e  quasi  di  polizia.  E  questa  non 
fu  forse  ultima  causa  del  suo  graduale  inaridire. 

Delle  tante  cappelle  solo  due  si  reggevano  in  piedi, 
quella  di  S.  Giovanni  in  Valle  e  quella  di  S.  Maria  Mad- 
dalena (quella  di  S.  Francesco  si  era  estinta)  e  più  non  ci 
resta  che  dare  le  poche  notizie  che  potemmo  raccogliere 
intorno  alla  vita  che  strascicarono  fixticosa  fino  a  noi. 


V. 


La  chiesa  di  S.  Giovanni  in  Valle  esisteva  già  nel  se- 
colo decimosecondo.  Se  anche  non  ce  lo  dicesse  aperta- 
mente una  carta  di  quei  tempi  (i),  con  facilità  si  sarebbe 
potuto  arguire  dai  ruderi  che  ne  restano.  Secondo  la  carta 
indicata,  in  quel  tempo  sarebbe  stata  parrocchia.  Per  quanto 
però  sia  da  ritenere  che  la  valle  del  Duomo,  ora  deserta, 
fosse  allora  seminata  di  numerose  abitazioni,  non  saprei 
credere  con  sicurezza  che  la  parola  debba  esser  presa  nel 
senso  che  ha  conservato  in  seguito  e  che  conserva  tuttora, 
piuttosto  che  in  quello,  non  raro  a  quei  tempi,  di  chiesa 
di  campagna  (2).  Alla  prima  opinione  mi  spingerebbe  il 
trovare  nella  medesima  carta  la  stessa  qualità  attribuita  oltre 
che  a  S.  Giovanni  anche  a  due  altre  chiese  delle  quali  una, 

(!)  Vedi  Appendice,  doc.  i.  Le  ultime  parole  della  carta  sono: 
«  .  ..Guido...  concessit  terra  illa  in  testimonio  populi  qui  ibi  fuerunt, 
«  scilicet  D[omin:cus]  de  parodila  S.  Blasii,  et  magisler  Andreas  de 
«  parochia  S.  Pclegrini  et  Simious  de  parochia  S.  lohannis 
«  in   \'  a  1 1  e  » . 

(2)  Cf.  DucAKGE,  Glossario^  ad  vcrbum. 


378  T,  Egidi 


S.  Pellegrino,  la  ritenne  sino  ai  nostri  giorni,  T  altra, 
S.  Biagio,  la  perdette  solo  in  tempo  a  noi  relativamente 
assai  vicino  (i). 

Più  difficile  è  stabilire  in  qual  tempo  abbiano  messo 
sede  nella  chiesa  i  nostri  Battuti.  Essa  non  compare  tra 
quelle  che  li  ospitavano  nei  secoli  xiv  e  xv,  e  se  dobbiamo 
credere  ad  una  notizia  conservataci  nel  Liber  ecclesiastl- 
coruiìi,  non  {qcq  che  raccogliere  F  eredità  della  cappella  di- 
sciplinata dell'ospedale  di  S.  Elena  (2).  Quando  avvenisse 
r  esodo  resta  avvolto  di  tenebre.  La  perdita  del  massimo 
numero  delle  carte  che  conservava  l'archivio  della  confrater- 
nita del  Gonfalone,  fighuola  di  quella  di  S.  Giovanni,  ci  im- 
pedisce ogni  ulteriore  indagine.  Secondo  T  anonimo  autore 
della  Risposta  ai  quesiti  della  sacra  visita  del  1861,  si  aveva 
menzione  dei  Disciplinati  di  S.  Giovanni  in  un  istrumento 
del  1448,  anch' esso  disgraziatamente  scomparso  (3).  Non 

(i)  S.  Biagio  era  parrocchia  ancora  verso  la  fine  del  sec.  xvi 
(Pinzi,  Ospìzi,  p.  252),  S.  Pellegrino  lo  è  tuttora.  Questa  chiesa  è 
slata  restaurata  nel  1899  a  spese  del  vescovo  A.  M.  Grasselli.  Il  re- 
stauro se  può  avere  un  qualche  pregio  artistico  non  ne  ha  alcuno  sto- 
rico. Esso  si  ridusse  più  che  altro  a  rinnovare  il  pavimento  e  ad 
addossare  una  facciata  in  concio  (elegante  per  verità)  all'  irregola- 
rissimo  edificio,  quale  a  noi  è  pervenuto  attraverso  tre  o  quattro  ri- 
costruzioni, fatte  senza  alcun  criterio  artistico,  e  fors'  anche  senza 
altro  criterio  che  quello  di  utilizzare  per  la  fabbrica  ruderi  di  co- 
struzioni vicine.  Della  chiesa  più  vetusta  resta  in  piedi  solo  la  parete 
nord,  che  si  distingue  per  maschia  severità  dai  rabberciamenti  po- 
steriori. Nel  rinnovare  il  pavimento,  venne  alla  luce  la  pianta  pri- 
mitiva. Essa  era  rettangolare,  molto  più  corta  e  stretta  della  presente, 
giungendo  con  una  piccolissima  abside  ai  gradini  che  ora  dividono 
il  presbiterio  dal  resto  della  chiesa,  e  con  le  pareti  meridionale  e 
occidentale  (prospetto)  a  circa  due  metri  dalle  presenti. 

(2)  «  Pro  venerabili  confraternita  Sancti  lohannis  Baptistae  in 
«Valle  olim  Disciplinatorum  Sanctae  Helenae,  hodie  vero  nuncupata 
«  Confalonis  comparuit  &c.  »;  ardi.  Episcop.  Vit.  ;  Liher  ecclesiastico- 
min,  a.  1601-1608,  e.  75  b. 

(3)  Ardi,  del  Gonfalone,  Risposta  &c.  p.  17.  Quest'opuscolo  ms. 
non  porta  nome  d'  autore.  Però  non  esito  un  istante  ad    attribuirlo 


La  fraternità  dei  "Disciplinati  di  Viterbo      379 

credo  però  conforme  a  verità  la  notizia,  poiché  ci  consta 
che  nel  1^66  ancora  era  viva  la  cappella  dell'ospedale  di 
S.  Elena  (i).  Cosicché  per  conoscenza  diretta  non  possiamo 
risalire  oltre  all'anno  1509,  col  mezzo  dell'atto  di  vendita 
dell'  ospedale  di  S.  Apollonia  di  cui  parlammo  poco  sopra, 
al  quale  intervengono  «  Angelus  Nicole  Clementis  gu- 
«  bernator  societatis  disciplinatorum  S.  lohannis  Baptiste, 
«  Sixtus  Petri  Piatosi  camerarius  »  e  sedici  confratelli,  es- 
sendone assenti  altri  sette  (2).  Il  misero  numero  degli  adepti 
mostra  la  decadenza  della  società  e  ci  fa  meglio  compren- 
dere le  cause  della  trasformazione  accaduta  mezzo  secolo 
dopo  (3).  Fu  nel  15^0  che  si  decise  di  chiedere  l'aggre- 
gazione alla  archiconfraternita  del  Gonfalone  di  Roma,  con 
la  partecipazione  di  tutte  le  indulgenze  e  dei  privilegi  di 

al  signor  Gabriele  Cristofori  allora  segretario,  uomo  di  cultura  scien- 
tifica superiore,  di  animo  tanto  integro  e  retto  che  ancora  viene  ri- 
cordato con  desiderio  da  quanti  ebbero  la  fortuna  di  conoscerlo. 
Nello  stesso  archivio  è  conservata  anche  un'  altra  risposta  ai  que- 
siti della  sacra  visita  del  1868,  la  quale  non  è  che  una  copia  letterale 
della  precedente.  Al  cav.  Luigi  Cristofori,  nipote  di  Gabriele,  e  pre- 
sentemente capo  della  confraternita,  porgo  qui  le  grazie  più  vive 
per  la  gentilezza  con  cui  permise  e  agevolò  le  mie  ricerche  nell'  ar- 
chivio. 

(i)  Cf.  il  doc.  citato  dal  Pinzi,  Os[>iii,  p.  127,  n,  i,  datato  ai 
25  marzo  di  quest'anno. 

(2)  Cf.  p.  374. 

(3)  Dal  1509  al  1560  ci  sono  conservate  pochissime  carte  in  un 
Libro  D  contenente  memorie  de'  lasciti  falli  a  S.  G.  dà  disc,  dell'arch. 
del  Gonfalone.  È  il  solo  volume  di  qualche  valore  che  vi  si  trovi. 
Comprende  atti  trascrittivi  senza  alcnn  ordine  cronologico  tanto  che 
il  più  antico  datato  nel  1552  (a  margine  per  errore  1572)  si  trova  a 
e.  22  B,  mentre  il  primo  ò  del  1591  (e.  i).  Fu  cominciato  di  certo 
nei  primi  anni  del  sec.  xvii  o  negli  ultimi  del  precedente  e  giunge 
sino  all'a.  1705.  Da  due  documenti  citati  dal  Pinzi  (O.piii,  pp.  270- 
271,  nota)  sappiamo  che  ai  26  marzo  1515  il  capitolo  del  Duomo 
concedeva  in  enfiteusi  ai  Disciplinati  di  S.  Giovanni  la  chiesa  di 
S.  Donalo  (tra  il  Duomo  e  l'ospedale),  la  quale  ai  19  ottobre  1519  fu 
da  questi  venduta  al  card.  Egidio. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  yatria.  Voi.  XXIM.        2) 


380  T.  Egidi 


cui  essa  godeva  (r).  Ambedue  le  società  avevano  origine 
comune,  poiché  anche  la  romana  era  sorta  per  opera  dei 
DiscipHnati  nei  primissimi  tempi  della  devozione:  ma  già 
da  un  secolo  e  mezzo  essa  aveva  modificato  T  indole  sua, 
proponendosi  un'opera  ben  più  meritoria  ed  utile  che  non 
la  penitenza,  e  ben  più  conforme  ai  nuovi  tempi  :  la  re- 
denzione degli  schiavi  (2). 

Se,  come  credo,  lo  scopo  dell'  unione  pei  Viterbesi  era 
d'  infondere  nel  corpo  agonizzante  vita  novella,  possiamo 
dire  che  in  parte  almeno  esso  venne  raggiunto,  come  ci 
mostra  il  numero  dei  fratelli  notevolmente  aumentato  (3). 
Segno  dell'  antica  origine  rimase  ancora  per  un  ventennio 
il  nome  di  «  honoranda  societas  S,  lohannis  Baptistae  Di- 
ce sciplinatorum  in  Valle  «  (4),  ma  la  essenza  della  società  e 
la  sua  interna  costituzione  erano  radicalmente  cambiate.  Se 
da  principio  scompaiono  solo  il  sottogovernatore,  il  limo- 
siniere  e  i  quattro  discreti,  e  si  conserva  il  governatore  (5), 
ben  presto  anche  questo  cede  il  posto  a  due  rettori  che  ac- 
centrano ogni  potere  (6)  e  che  prendono  più  tardi  il  nome 
di  guardiani  (7),  il  quale  conservano  fino  ad  oggi.  Di  pro- 
cessioni di  disciplina  e  di  penitenza  più  non  si  fa  parola. 

(i)  Ardi.  Notar.  Vit.  25  aprile  1560,  Protoc.  I  di  Iacopo  del- 
l'Anna; Pinzi,  Ospiti,  p.  125,  nota.  La  Risposta  cit.  p.  18,  assegna 
a  tal  fatto  1'  anno  1561. 

(2)  RuGGERi,  L' archi  confraternita  del  Gonfalone  ài  Roma,  Roma, 
Morini,  p.  248.  L'  archiconfraternita  del  Gonfalone  di  Roma  già  si 
adoperava  a  tal  fine  nell'  anno  1404. 

(3)  Addi  3  agosto  1562  intervengono  ad  un'adunanza  trenta- 
nove fratelli,  i  quali  hanno  mandato  anche  «  prò  absentibus  )>.  Alla 
riunione  del  12  gennaio  1566  erano  presenti  ventitre  fratelli  oltre  gli 
ufficiali,  e  anche  allora  hanno  mandato  per  gli  assenti.  Arch.  Gonf. 
Libro  D,  e.   3  B  e  e.  14. 

(4)  L'ultima  carta  in  cui  trovo  questo  titolo  è  dell' a.  1581  ; 
arch.  del  Gonf  Lib.  D,  e.  28  b. 

(5)  Atti  del  3  e  dell'  11  agosto  1562;  ibid.  e.  3  b  e  e.  6. 

(6)  Istrumento  del   18  gennaio   1563;  ibid.  e.  7  b. 

(7)  Istrumento  del  12  gennaio  1566;  ibid.  e.  14. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      381 

Quando  poi  con  bolla  del  19  gennaio  1381  Grego- 
rio XIII  volle  dare  maggiore  impulso  all'  opera  di  reden- 
zione degli  schiavi  e  officialmente  ne  incaricò  1'  archicon- 
fraternita  del  Gonfalone  di  Roma,  modificandone  appunto 
in  quel  senso  i  vecchi  statuti  (i),  l'unione  della  nostra  so- 
cietà con  quella  della  città  eterna  divenne  anche  più  intima 
-e  profonda.  La  compagnia  di  S.  Giovanni  si  fonde  con 
quella  dell'Annunziata  di  Viterbo  per  formare  un  sol  corpo 
che  si  sottoponga  alle  regole  fissate  per  il  Gonfalone  di 
Roma  dal  moiu  proprio  di  Gregorio  e  che  prenda  perfino 
il  nome  della  madre  adottiva  (2).  Cosi  fin  T  ultima  traccia 
-dei  Disciplinati  scompare  :  la  «  societas  Disciplinatorum 
«  S.  lohannis  in  Valle»  che  nel  1560  era  divenuta  «  so- 
«  cietas  Disciplinatorum  S.  lohannis  in  Valle  sub  titulo 
«  Confalonis  »,  d'ora  innanzi  è  semplicemente  la  a  societas 
<(  Confalonis  in  ecclesia  S.  lohannis  in  Valle  »  (3). 

Più  di  ottanta  anni  ancora  hi  nuova  confraternita  con- 
servò per  sua  sede  questa  chiesetta,  poi  nella  seconda  metà 
del  secolo  xvii  sentì  il  bisogno  di  averne  un'altra,  la 
-quale  si  trovasse  in  luogo  meno  deserto  e  meno  eccen- 
trico (4),  e  fosse  più  degna  della  floridezza  a  cui  si  era 
pervenuti.  Fu  decretata  l'erezione  della  nuova  chiesa  sulla 


(1)  Cf.    RUGGERI,    Op.    Cit.  p.    250. 

(2)  La  fusione  tra  le  due  società  viterbesi  ha  luogo  addi  17  giu- 
gno 1581:  dalla  carta  che  ce  ne  conserva  la  memoria  si  vede  che 
-essa  non  avviene  sulla  base  della  perfetta  eguaglianza,  ma  che  in- 
vece i  Disciplinati  si  riservano  un  certo  predominio.  Per  es.  l'elenco 
dei  fratelli  si  deve  aprire  con  uno  di  S.  Giovanni;  segue  uno  del- 
r  Annunziata,  poi  tre  di  S.  Giovanni,  poi  uno  dell'Annunziata.  L'ul- 
timo deve  essere  dell'  Annunziata.  Il  vescovo  di  Viterbo  confermò 
l'unione  ai  27  dello  stesso  mese;  arch.  del  Gonf.  e.  28  B. 

(3)  È  questo  il  titolo  della  società  in  tutti  gli  atti  posteriori 
al  1581. 

(4)  Già  da  due  secoli  la  valle  del  Duomo  si  era  andata  spo- 
polando e  in  questo  momento  era  poco  più  abitata  di  quel  che  sia 
ni  giorno  d'  oggi. 


582  "P.  Egidi 


fine  dell'anno  166^,  e  il  2  dicembre  di  quell'anno  per  du- 
cento  scudi  fu  comperato  da  Paluzo  Paluzi  e  da  Decio  An- 
caiani  «  quendam  situm  seu  horticulum  cum  turraccio  » 
sul  quale  farla  sorgere  (i).  Senza  por  tempo  in  mezzo  con 
gran  solennità  fu  posata  la  prima  pietra  per  mano  del  ve- 
scovo Giovanni  Brancacci,  appena  diciannove  giorni  dalla 
compera  del  terreno  (2)  :  ma  a  questa  premura  iniziale  non 
corrispose  in  seguito  pari  alacrità.  O  che  i  calcoli  preven- 
tivi riuscissero  fallaci  e  le  risorse  della  società  non  potes- 
sero far  fronte  rapidamente  alla  spesa  ;  o  che  si  cambiasse 
più  d'  una  volta  il  piano  di  costruzione,  o  qualunque  altra 
si  fosse  la  causa,  i  lavori  furono  condotti  con  tale  lentezza 
che  solo  nel  172^  fu  terminata  la  facciata  (3). 

Sarebbe  stato  di  un  certo  interesse  per  la  conoscenza 
della  vita  economica  viterbese,  T  arrivare  a  stabilire  T  in- 
sieme delle  spese  sostenute  per  la  fabbrica  e  più  F  ammon- 
tare delle  mercedi  degli  operai;  per  disgrazia  si  è  perduto 
il  libro  che  doveva  contenere  tali  appunti  e  da  quello  degli 
introiti  ed  esiti,  assai  monco  e  disordinato,  si  arriva  a  com- 
prendere ben  poco  (4).  N.eppure  si  arriva  a  stabilire  quando 

(i)  Arch.  del  Gonf.  Lih.  D,  e.  336  b.  Sotto  la  stessa  data  a  e.  341 
è  registrata  la  compera  di  ragioni  utili  del  sito  scelto  per  la  chiesa. 
Notaro  è  Polidoro  de  Polydori.  Per  far  queste  compere  la  società 
aveva  dovuto  vendere  un  orto  che  aveva. 

(2)  Il  21  dicembre  1664  secondo  la  già  citata  Risposta;  il  Pinzi, 
loc.  cit.,  dà  l'anno   1665. 

(3)  Dalla  Risposta  cit.  loc.  cit.  Sulla  fascia  sottostante  al  tim- 
pano corre  la  iscrizione:  «  Archiconfratern.  Confalonis  erexit  a.  D. 
.M.DCCXXVi.  ».  Le  due  e  sono  erose. 

(4)  Dal  1663  al  1673  sono  registrati  appena  cinque  o  sei  ver- 
samenti fatti  dai  depositari  prò  tempore  della  compagnia  a  certo 
Pettorossi  amministratore  dei  fondi  perla  fabbrica.  Ai  17  ottobre  1672 
Massimiliano  Rossini  consegna  al  Pettorossi  scudi  cento,  residuo 
della  precedente  amministrazione  (arch.  del  Gonf.  Lib.  dell' entrata 
ed  uscita  dal  1 595-1675,  e.  369).  Ai  22  luglio  1675  lo  stesso  Rossini 
dà  al  Pettorossi  scudi  quarantacinque  e  ordina  al  Poggi,  precedente 
depositario,  dì  pagare  al  pittore  Francesco   Strigelli,  per   lavori  fatti 


La  fraternità  dei  ^iscipiittati  di  Viterbo      383 


la  vecchia  residenza  fu  abbandonata  per  la  nuova.  Pare 
però  che  non  si  aspettasse  che  questa  fosse  interamente 
perfetta,  poiché  non  troviamo  più  menzione  di  riunioni  in 
S.  Giovanni  di  Valle  dopo  Y  anno  1670  (i).  Deserta  e  ne- 
gletta essa  venne  ridotta  a  magazzino,  mentre  ad  ornare 
la  chiesa  del  Gonfalone  si  chiamavano  gli  artisti  migliori 
che  avesse  allora  la  città  nel  suo  seno.  È  anzi  cosa  note- 
vole che,  mentre  della  loro  vita  tre  volte  secolare  i  Discipli- 
nati nostri  non  ci  lasciarono  alcun  documento  artistico,  pur 
noverando  tra  i  fratelli  pittori,  scultori  ed  orafi  di  non 
spregevole  valentia  (2),  la  nuova  corporazione  ci  offra  nella 
sua  chiesa  come  una  raccolta  delle  opere  di  quanti  cittadini 
si  distinguevano  nelle  arti  in  quei  tempi,  tanto  che  essa  può 
considerarsi  come  un  museo  della  pittura  viterbese  dello 
scorcio  del  secolo  xvir.  Non  vi  sono  certo  racchiusi  dei 
capolavori,  ma  T  esclusivismo,  foss' anche  dettato  da  gretto 
spirito  di  campanile,  fu  in  certo  modo  utile  per  noi,  cui 
basta  visitare  questo  tempio  per  farci  un'idea  abbastanza 
esatta  di  quel  che  valesse  1'  arte  cittadina  del  tempo  (3). 

nella  chiesa,  scudi  dieci  (ibid  e.  369  b).  Egualmente  versa  «se.  60 
«  b.  22  »,  residuo  attivo  della  gestione  Calabresi  (io  dicembre  1673, 
e.  376),  e  così  ogni  altro  resto  attivo  delle  amministrazioni  da  lui 
sindacate  (e.  385  b).  È  impossibile  però  formarsi  un'idea  anche  ap- 
prossimativa, perchè  non  si  dà  quasi  mai  giustificazione  dell'  esito. 
Il  depositario  Poggi,  per  esempio  (1663-73),  non  fa  che  dire  :  «date 
«a...  come  per  mandato»,  e  i  mandati  sono  perduti.  Nemmeno  è 
facile  discernere  in  che  modo  fosse  tenuta  1'  amministrazione.  Con- 
temporanei ed  anzi  inseriti  l'  uno  nell'  altro  troviamo  conti  del  de- 
positario e  dell'  esattore.  Per  curiosità  segnerò  alcune  cifre  totali. 
Nel  1645:  entrata  se.  308.37,  uscita  se.  292.73 1/2;  "el  1648:  entrata 
se.  824.98,  uscita  se.  802.88;  nel  1653  :  entrata  se.  318.10,  uscita 
se.  224.98;  nel  1654;  entrata  se.  208.53,  uscita  se.  175.05.  Dal  1656- 
1662;  entrata  se.  2607.331/.^,  uscita  se.  1852.63  (ibid.  ce.  316B-323). 

(i)  L'ultima  è  del  2  agosto  di  quest'anno;  ardi,  del  Gonf. 
Lib.  D,  e.  360  B. 

(2)  Cf.  Pinzi,  Ospiii,  p.  128. 

(',)  Per  la  descrizione   della  chiesa  e   dei  dipinti  ivi  conservali 


384  T.  E  gì  di 


VI. 


La  fortuna  ci  volle  conservare  alcuni  documenti  che 
ci  fiinno  assistere  alla  nascita  e  al  primo  sviluppo  della 
chiesa  di  S.  Maria  Maddalena,  nella  quale  pur  ora  vive 
stentatamente  la  confraternita  che  più  a  lungo  d'  ogni  altra 
conservò  vestigia  degli  antichi  Battuti.  Nel  secolo  xii  i 
monaci  di  S.  Salvatore  del  monte  Amiata  possedevano  in 
Viterbo  le  due  chiese  di  S.  Giovanni  di  Sonza  e  di  S.  Marco, 
le  quali  facevano  officiare  ed  amministrare  da  alcuni  oblati. 
Nel  ii^o  tra  questi  era  un  tal  prete  Canonico,  cui  venne 
in  mente  d' impiegare  il  denaro  di  dette  chiese  nella  co- 
struzione di  un  ospedale  e  di  una  chiesuola.  A  tale  uopo 
pose  l'occhio  su  di  un  terreno  situato  nella  contrada  di 
Filello  a  pochi  passi  dalla  porta  urbica  di  S.  Biagio.  Questo 
terreno  era  in  mano  di  due  proprietari,  da  uno  dei  quali 
Canonico  comprò  il  dominio,  dall'altro  ne  ottenne  dona- 
zione, avuto  riguardo  alla  pietà  delle  sue    intenzioni  (i). 

rimando  alla  Guida  dei  principali  monumenti  di  Viterbo  di  C.  Pinzi  e 
alla  Risposta  più  volte  citata. 

(i)  Ricavo  queste  notizie  dai  Documenti  Amiatini  pubblicati  da 
C.  Calisse  neir  Arch.  della  R.  Soc.  rom.  di  stor.  patr.  XVIII,  fase,  i 
e  2.  11  doc.  LXi,  p.  117,  dice  che  Rufo  di  Vitorchiauo  vende  e  Neri- 
cone  di  Zaccaria  dona  a  Canonico  «  unum  petium  de  terra  ad  ho- 
«  spitalem  in  servum  (servitium?)  servorum  Dei  levandum  ad  uti- 
«  litatem  peregrinorum  et  pauperes  Cliristi;  que  terra  reiacet  in  loco 
«  qui  vocatur  Filello,  prope  portam  Sancti  Blasii  et  habet  fines  et 
«  accessiones  ab  una  parte  olivetum  et  ripam  Sancte  Marie  Nove,  a 
«  duabus  vero  partibus  viam  publicam  ...  »  ;  aprile  1 160.  Questa  con- 
trada aveva  il  nome  di  Filello  fin  dal  1060  (cf  Pinzi,  Ospiti,  p.  3/1): 
le  ripe  che  la  limitavano  verso  sud-est  presso  la  chiesa  di  S  Ma- 
riano, avevano  ora  preso  il  nome  di  ripe  di  S.  Maria  Nova,  da  al- 
cuni possedimenti  di  questa  chiesa  {Doc.  Amiatini,  n.  lxiv,  a.  1165, 
un  fondo  in  Filello  ha  per  confine  «  a  secunda  casalinum  S.  M.  N.  »): 
la  porta  urbica  prendeva  il  nome  di  «  porta  S.  Blasii  »  o  «  porta 
«  Filelli  »  (doc.  LXIV,  p.  119,  aprile  1164  o  65),  che  poco  più  tardi, 


La  fraternità  citi  'Disciplinati  di  Viterbo      385 

Tre  anni  dopo  ospedale  e  chiesa  erano  costruiti,  ma  que- 
st'  ultima  non  ancora  consecrata,  e  Canonico  che  fino  a 
quel  momento  aveva  agito  di  sua  testa,  senza  procurarsi 
la  debita  approvazione  dell'  abate  di  S.  Salvatore,  se  volle 
continuare  nell'opera  intrapresa,  dovè  fare  verso  di  lui  atto 
di  completa  dipendenza.  In  premio  della  sottomissione 
r  abate  lasciò  a  Canonico  la  libera  amministrazione  della 
chiesa  e  dell'ospedale  a  sua  «et  pauperum  sustentationem, 
c(  quos  semper  misericordiae  oculis  respicere  soles  »  (i). 

Dell'  ospedale  è  scomparsa  ogni  traccia  ;  a  mio  credere 
sorgeva  di  fronte  alla  chiesa  sul  lato  opposto  della  strada, 
e  a  quella  era  unito  per  mezzo  di  un  cavalcavia  (2). 

dalla  nuova  chiesa,  cambiava  in  quello  di  «  porta  S.  Marie  Magda- 
«  lene  »  (doc.  lxvii,  p.  123,  a.  1 193).  Sono  importanti  queste  notizie, 
perchè  unite  con  quella  che  ci  dà  un'altra  carta  (lxiv  cit  )  di  un 
«  murum  Viterbii  »  in  questo  stesso  luogo,  ci  permettono  di  stabilire 
che  già  in  questo  tempo  per  mezzo  di  mura  le  ripe  del  castello  del 
Duomo  erano  congiunte  con  il  prato  di  Cavalluccalo  e  il  borgo  di 
Sonza. 

(i)  Calisse,  op.  cit,  doc.  LXiii,  4  giugno  1163:  «  Ego  Cano- 
«  nicus...  omnia  quae  habeo  et  presertim  maxime  ecclesiam  n on- 
ce dum  consecratam  Sanctae  Mariae  Magdalenae  cum  suo  ho- 
«  spitali  et  cum  omnibus  appenditiis  suis  et  omnibus  ad  se  pertinentibus, 
«  iuri  et  potestati  iamdictae  ecclesiae  Sancti  Salvatoris  suppono,  licet 
«  ipso  iure  supposiia  sit  et  ad  eam  pertineat,  cum  ex  pecunia  eccle- 
«  siae  Sancii  lohannis  de  Sonsa  fundus  sit  comparatus  in  quo  est 
«  aedificata  ». 

(2)  Se  non  si  accetta  questa  ubicazione,  diffìcilmente  si  possono 
spiegare  i  confini  del  casalino  donato  nel  1164  (o  65)  da  Cecco  di 
Vetralla  a  Canonico:  «casalinum  quod  reiacet  iuxta  portam  Filelli 
«  et  habet  fines  et  accessiones  ab  una  parte  murum  Viterbii,  a  sc- 
ic cunda  casalinum  Sanctae  Marie  Nove,  a  tertia  iam  dictum  hospi- 
«  tale,  a  quarta  vero  viam  publicam  »;  Calisse,  op.  cit.  doc.  lxiv. 
Se  non  m' inganno,  questo  pezzo  di  terra  corrisponde  all'  orto  che 
ora  si  trova  di  fronte  alle  conce  dei  Petri  sotto  il  giardino  Chigi,  e 
che  tocca  il  vecchio  muragllone,  residuo  dell*  antica  cinta  murata.  A 
tale  ubicazione  mi  spìnge  anche  la  notizia  data  dal  Pinzi  {Ospìjj, 
p.  231)  di  un  arco,  ce  cum  una  stantia  supra  »,  che  cavalcando  la  via 


^U  T.  Egidi 


Nel  1 193  Canonico  era  già  morto  o  almeno  non  aveva 
più  r amministrazione  della  chiesa  (i):  dopo  di  lui  si  suc- 
cedono vari  procuratori  di  S.  Salvatore  del  monte  Amiata 
dei  quali  non  fa  bisogno  parlare  in  questo  luogo.  Ram- 
menteremo solo  prete  Leonardo,  sotto  il  rettorato  del  quale 
fu  concluso  un  notevole  contratto  tra  la  chiesa  e  i  bifolchi 
del  territorio  viterbese.  Centosettantasette  di  costoro,  of- 
ferta una  campana  ad  onore  di  Dio,  della  Vergine,  di  S.  Maria 
Maddalena  «  et  sancti  Caloci  »  (?),  promettono  di  recare 
ogni  anno  alla  chiesa  un  cero,  le  primizie  e  le  decime  che 
«  Deus  in  cordibus. ..  mittet  »  e  nella  Pasqua  un'  oblazione, 
a  patto  che,  se  malati,  siano  accolti  e  custoditi  dalla  chiesa 
«  donec  liberentur  vel  moriantur  »,  e  Leonardo  si  obblighi 
a  donar  loro  una  casa  in  cui  possano  ricovrare  il  fru- 
mento e  trovare  ospizio  nelle  malattie,  fornendola  di  tre 
o  quattro  «  lectulos  »  ;  e  pei  morti  prometta  di  allestire 
tre  sepolture  «  vel  tres  canteras  »  o  di  donare  terreno  ove 
essi  scavino  le  tombe.  Da  ultimo  ogni  anno  nella  festa 
della  chiesa  dia  loro  vino  «  ad . . .  libitum  »  e  a  Pasqua 
«agnumquod  bene  sufficiat  »  ;  né  nomini  o  licenzi  chierici 
senza  il  consenso  loro   «et  parrophianorum  »  (2). 


univa  la  chiesa  ad  una  casa  di  sua  proprietà;  arco  che  fu  distrutto 
solo  nell'anno  1539,  ed  in  cui  mi  pare  di  riconoscere  un  mezzo  di 
comunicazione  tra  la  chiesa  e  l'ospedale  piuttosto  che  i  resti  della 
porta  urbica,  come  crede  il  Pinzi.  Questa  doveva  essere  più  a  monte 
e  precisamente  un  poco  sulla  sinistra  del  Ganfione,  protetta  dalla 
torre  dì  cui  ancora  si  scorgono  i  resti.  Nel  catasto  del  1574  con- 
servato neir  arch.  di  S.  M.  Maddalena  si  dice  che  1' ospedale  si  tro- 
vava presso  la  chiesa  di  Santo  Spirito.  I  documenti  citati  sfatano 
questa  opinione  :  come  essa  sia  sorta  si  può  arguire  da  quanto  di- 
cemmo a  p..  369,  nota  i. 

(i)GH  era  succeduto  un  prete  Fidanza;  Calisse,  op.cit.  doc.LXYii. 

(2)  Questo  documento  fu  pubblicato  già  dall'  Orioli,  Gìorn. 
^/raJ.  CXXXVl,  203  sgg.  e  poi  dal  Calisse,  op.  cit.  doc.  lxix,  p.  126, 
II  agosto  1196.  Intorno  al  modo  di  intendere  la  parola  «  parrophia- 
«  norum  »  si  veda  quel  che  dissi  a  p.   377. 


La  fraternità  dei  T)isciplinati  di  Viterbo      387 

Mi  parve  interessante  soffermarmi  su  questo  avveni- 
mento, dal  quale  non  sembra  ardito  ritrarre  T  esistenza 
di  una  associazione  di  bifolchi  già  nella  seconda  metà  del 
secolo  XII,  poiché,  sebbene  nella  carta  non  si  accenni  aper- 
tamente ad  un'Arte  costituita,  pure  Tatto  ha  tutta  l'aria  di 
esser  redatto  e  fermato  per  conto  di  un  vero  e  proprio  ente 
collettivo  (i). 

Da  quest'  istante  sino  alla  fine  del  secolo  xiii  potremmo 
seguire,  sebbene  non  troppo  davvicino,  la  vita  economica 
ed  amministrativa  della  chiesa.  Le  carte  Amiatine  edite  dal 
Calisse  e  quelle  inedite  conservate  nel  R.  Archivio  di  Stato 
di  Siena  ci  danno  notizia  dei  vari  rettori  che  si  succedet- 
tero nella  chiesa  sino  al  1279  e  di  parecchi  dei  loro  atti: 
ma  soffermarcisi  qui  escirebbe  dall'  indole  del  nostro  la- 
voro (2).  Dopo  questo  termine  non  ci  occorre  più  alcuna 
notizia  anteriore  al  secolo  xv  e  anche  di  questo  ne  restano 
scarsissime  per  abbondare  invece  nel  secolo  seguente  e  spe- 
cialmente nella  seconda  metà.  Né  di  ciò  si  deve  far  me- 
raviglia, quando  si  pensi  che  un   «  irreparabile  incendio  » 

(i)  Cf.  infatti  r  indicazione  d'un  santo  protettore  (san  Calocio), 
il  dono  di  «  unam  bonam  campanam  »,  il  presente  annuo  di  «  hu- 
«  num  bonum  cereum  sive  bonam  faculam  »,  la  sepoltura  comune  ìn:c. 

(2)  Basti  qualche  cenno.  Nel  1197  era  ancora  rettore  Leo- 
nardo che  ai  2  febbraio  comperava  da  Ranuccio  Bellamogne  e  dai 
suoi  figli  la  metà  di  una  vigna  per  otto  libre  di  denari  senesi  (Ca- 
lisse, op.  cit.  doc.  Lxx,  p.  128).  Agli  II  febbraio  1240  fu  nomi- 
nato Bartolomeo  economo,  sindaco  e  amministratore  (Arch.  di  Stato 
senese,  Diplomatico.  S.  Salvudore  in  Montamiata,  copia  aut.  dell'S  feb- 
braio 1244).  Nel  1256  Bartolomeo  ancora  era  vivo  (ibid.  carta  5  feb- 
braio): era  morto  invece  nel  1266,  sostituito  temporaneamente  da 
«  Monaldus  Richi  clericus  de  Viterbio  »  (ibid.  carta  del  24  maggio), 
che  nello  stesso  anno  rimette  V  ufficio  a  Pietro  monaco  dì  S.  Sal- 
vadore  dell'  Amiata  (ibid.  altra  carta  della  stessa  data).  Nel  1279  tro- 
viamo rettore  Giovanni  monaco  di  S.  Salvadore  (carta  del  20  maggio). 
Dopo  quest'  anno  più  non  ci  soccorrono  notizie  della  chiesa  nelle 
carte  Amiatine,  sebbene  altre  notizie  viterbesi  si  incontrino  sino  al- 
l'anno 128S. 


388  T.  Kg  idi 


divorò  quasi  completamente  la  chiesa  addi  22  luglio  15^7 
e  con  essa  anche  quasi  tutte  le  carte  dell'archivio  (i).  Ci 
manca  modo  pertanto  di  stabilire  esattamente  il  momento 
che  i  Disciplinati  vi  si  insediarono:  solo  crediamo  che  si 
possa  riuscire  a  racchiuderlo  in  brevi  confini.  Infatti  tro- 
viamo in  possesso  della  confraternita  gli  statuti  che  erano 
stati  esemplati  nel  1482  per  la  cappella  di  S.  Lorenzo  (2), 
e  in  alcune  rubriche  di  essi  è  cancellato  il  nome  di  questo 
santo  per  sostituirlo  con  quello  di  S.  Maria  Maddalena.  Sic- 
ché avremmo  il  termìnus  a  quo.  Il  terminus  ad  quem  ci  è 
poi  dato  dall'  istrumento  di  vendita  dell'ospedale  di  S.  Apol- 
lonia  più  volte  citato  (1509)  che  tra  le  fraternite  segna 


(i)  Di  questo  incendio,  oltre  che  nelle  memorie  archiviali,  resta 
traccia  nel  fabbricato  della  chiesa,  di  cui  la  parte  inferiore  appar- 
tiene alla  costruzione  antichissima,  la  superiore  con  la  copertura 
alla  ricostruzione  del  1568.  L'archivio  presentemente  contiene:  1°  Gli 
statuti  di  cui  abbiamo  parlato  passim  ;  2°  Un  libro  d' istrumenti 
cartaceo  che  comincia  dall'  a.  1553,  ma  vi  è  inserito  anche  un  foglio 
contenente  una  carta  del  1447;  3°  Nota  delle  spese  fatte  per  riedifi- 
care la  chiesa  dopo  l'incendio:  comincia  ai  22  luglio  1567;  4°  Ma- 
tricola dei  fratelli  e  degli  uffiziali  defunti  dal  1 568-1666;  5°  Quattro 
pagine  con  frontispizio  del  libro  dei  cacciati  dopo  il  1568;  6"  Ca- 
tasto e  inventario  del  1574,  cui  sono  aggiunti  quelli  del  1625,  1634, 
1636,  1645,  1674,  e  il  libro  dei  sindacati  dal  1568-1590;  7°  Libro 
delle  entrate  e  frutti  della  chiesa  di  S.  M.  dell'  Hedera  a  cominciare 
dal  1606;  8"  Libro  d'istrumenti  ed  obblighi  a  favore  di  S.  M.  Mad- 
dalena dal  1657- 1838,  con  copia  d'un  istrumento  del  1619  (e.  74); 
9**  Matricola  dei  fratelli,  degli  uffiziali  e  dei  defunti  dal  1660-1898; 
10°  Catasto  dal  1761-62;  11°  Libro  delle  doti  dal  1 661 -1858;  12"  Libri 
dell' introito  ed  esito  dal  1842-1860  e  dal  1865-1879;  13°  Libro  degli 
affitti  e  delle  rendite.  Con  questi  documenti  non  sarebbe  impossibile 
rifare  la  storia  economica  della  società  dalla  metà  del  secolo  xvi 
a  noi.  Non  mi  fu  dato  di  vedere  l'attuale  statuto  della  confraternita 
perchè  non  conservato  nell'archivio,  ma  in  casa  d'uno  degli  ufficiali, 
ai  quali  mi  piace  qui  render  grazie  per  l'agio  che  mi  concessero  di 
rovistare  tra  le  carte  dell'archivio  e  di  trascrivere  gli  statuti 

(2)  Stat.  C,  e.  3  ;  comincia:  «  Ihesus;  per  la  fraternità  di  Sancto 
«  Lorenzo  ». 


La  fraternità  dei  T)isciplinati  di  Viterbo      389 

anche  la  nostra.  È  facile  concludere  che  appunto  dentro 
questo  lasso  di  tempo,  i  Disciplinati,  abbandonata  la  catte- 
drale, venissero  a  porre  stanza  nel  piccolo  oratorio,  più 
conveniente  al  loro  esiguo  numero. 

L'ospedale  era  sparito  interamente,  ma  la  chiesa  con- 
servava ancora  nel  1574  dipendenza  dal  monastero  di  S.  Sal- 
vatore, cui  pagava  un  annuo  canone  (i).  Tre  anni  avanti 
anche  questa  fraternità  aveva  fatto  domanda  d'essere  unita 
a  quella  del  Gonfalone  di  Roma (2),  seguendo  l'esempio 
della  consorella  di  S.  Giovanni  :  pure  ha  conservato  sino 
ad  epoca  a  noi  vicinissima  T  uso  della  penitenza  dei  Disci- 
pUnati,  sebbene  ne  abbia  abbandonato  pure  l' abito  (3). 
Sullo  scorcio  del  secolo  xvi  impiegò  le  sue  rendite  per 
r  erezione  di  una  chiesa  a  poca  distanza  dalla  porta  urbica 
di  S.  Lucia,  sulla  via  che  conduce  al  santuario  di  S.  Maria 
della  Quercia.  Il  nuovo  edificio,  che  veniva  a  prendere 
il  posto  di  una  misera  cappelletta  e  da  questa  togHeva  il 
nome  di  S.  Maria  dell'  Edera,  fu  incominciato  ai  15  giu- 
gno 1579,  gettando  la  prima  pietra  il  vescovo  Carlo  Mon- 
tilio.  La  flicciata  fu  compita  nel  1595  con  l'aiuto  concesso 
dal  cardinale  Mariano  Perbeni  (4)  e  dal  vescovo  della 
città;  ma  i  lavori  durarono  ancora  qualche  anno  (5).  Ci 
sono  conservate  parecchie  notizie  intorno  alle  spese  so- 
stenute per  questa  costruzione  e  alle  lotte  che  sorsero  per 
essa  tra  la  Curia  e  la  confraternita;  qui  ci  basti  ricordare 

(r)  Arch.  di  S.  M.  Maddalena,  Libro  degli  istrtim.  e.  io  b  e 
ce.  262-265;  Catasto  del  1574,  e.  2. 

(2)  L'  istrumento  ne  è  conservato  in  un  quadro  appeso  nllc  pa- 
reti della  camera  di  disciplina,  23  dicembre  1571. 

{])  Anche  dopo  il  1870  si  univano  per  far  disciplina. 

(4)  Questa  e  la  precedente  notizia  sono  date  dalla  iscrizione  che 
si  legge  sopra  la  porta  mediana  della  chiesa. 

(5)  Nel  1608  fu  ridotta  internamente  allo  stato  presente;  arch. 
di  S.  M.  Maddalena,  Memorie  delle  entrate  di  S.  M.  dell'  Edera ^  e.  i. 
Nel  1606  vi  fu  messo  un  cappellano;  le  entrate  annue  erano  dai 
sessanta  agli  ottanta  scudi  ;  ibid. 


390  7^.  Egidì 


che  la  chiesa,  sebbene  non  ricca,  pure  ci  porge  nella  purezza 
delle  linee  un  buon  esempio  dell'architettura  cinquecen- 
tista. 

Nei  tempi  successivi^  datosi  esclusivamente  alle  ceri- 
monie del  culto,  il  pio  sodalizio  menò  vita  misera  e  sten- 
tata, finché  nel  1892  perdette  i  suoi  beni  per  Y  incamera- 
mento comandato  dalla  legge  sulle  Opere  pie  ed  oggi  la 
chiesetta  è  ordinariamente  chiusa:  solo  di  rado  i  fratelli  vi 
si  riuniscono"  a  salmeggiare  durante  la  celebrazione  della 
messii,  ma  di  flagelli  e  di  battiture  resta  appena  il  ricordo. 

Girgenti,  3  giugno   1900. 

Pietro  Ecidi. 


La  fraternità  dei  disciplinati  di  Viterbo      3  9 1 


APPENDICE 


I. 

II43- 

[^Archivio  della  Cattedrale  di  Viterbo,  perg.  7  a]  (i). 

[In]  nomine  domini  nostri  Ihesu  Christi  cum  Patre  et  Spirita 
sancto,  amen.  Tempore  domini  Celestini  secundi  pape,  anno  primo 
mense]...  septimanis  (a)  indictio.  Scripta  bone  memorie  nostre  fra- 
ternitatis  qunm  prò  Dei  amore  et  nostrorumque  peccaj[torum]  re- 
dempcione  fecimus,  sicut  [boni]  antesessores  nostri  quorum  no[mina] 
asubtus  scribenda  sunt.  Prius  Gilius  et  Galterius  (b)  atque  Gui  do  et 
Anivinus  invenerunt  et  in  manu  Boni[c]ardi  presbiteris  Sancti  Lau- 
rencii  constituerunt  et  per  stolam  invenerunt  et  se|  ...  st  fecisti  vitam 
omnium.  Sex  fratres  convenirent  simul,  octo  denarios  infortiatorum 
colligerent,  caritatis  nostre  I  oleo  ad  lumen  duplum  in  lampada  ante 
senctum  CO  altarem  Protogenii  suisque  sociis  lumen  redderent,  et  de 
predicta  cari  tate  fratribus  nostris  indigentibus  subvenirent,  et  si  quis 
de  fratribus  nostris  aliqua  parte  unius  diei  perrexserit  et  aliquo  |  im- 
pedimento tcmtus  fuerit  quod  per  se  redire  non  possit,  nos  fratres 
cum  caritate  eum  reducere  et  si  morte  occuavejrit  et  [indigue]rit, 
vel  non  habuerit  de  suis,  debemus  eum  cum  cereis  et  alio  nostro 
adiutorio  sepellire  onorifice  |  in  canteris  nostris  ante  Senctum  Lau- 
rcncium  a  predicto  archiipresbitero  cum  suis  fratribus  nobis  concesse. 

(a)  Nella  lettura  nessun  dubbio;  forse  septimanae  per  septimae  (b)  Galerins? 

(e)   Lettura  incerta  :  parrebbe  piuttosto  penctum   (?) 

(i)  Copia  non  autentica  del  scc.  xii,  scrittura  longobarda.  È 
obliterata  in  alcuni  punti  lungo  il  ni.iginc  sinistro,  sicchò  mancano 
alcune  lettere  in  principio  di  riga.  Le  lettere  e  \c  p. ir. tic  i,u\!iii:i' 
dentro  pare-"  •■  •  •  ••  •  y.cWc  sostituite  alle  illeggibili.  l'ubM.  ;m.i  .i.il 
PlN/.l,   O/v  .   Appcnd.   11.   I.   Qui  si   d.'i   più   coniiMcti   <• 

corretta. 


392  'P.  Egidì 


Et  nos  memoraci  arjchilprcsblter  et  fratres  nostri  dedimus  et  per 
invenistimentum  concessimus  vobis  vestrìsque  et  absentibus  (*)  Sancta 
Maria  liev|...  ales  seper  (b)  predictam  fraternitatem  et  tenentibus  in 
perpetiium  nostre  fraternitatis  et  caritatis  elemosinis,  oracionibus,  \  of- 
ficiis  et  omnibus  beneficiis  participes  fierent  Manfredus  et  Camari  et 
Girardus  cum  Elia  et  Albertinus.  1  Et  si  quis  de  predictis  fratribus 
nostris  de  ista  fraternitate  a  nobis  scandalizaverit  aliquo  modo  et  ad 
mandacilonem  venire  volueritCO  postquam  appellntus  fuerit,  et  in  su- 
perbia stare  voluerit,  nostro  ]  nuncio  patri  nostro  intimatum  vetet  ei 
penitenciam  donec  emendaverit.  Quod  si  non  |  vetaverit  erit  bene  epi- 
scopo proclamationem  facere  et  officium  eì  proibere.  Et  inventores 
recupejratores  huius  nostre  fraternitatis  Mamfredus  cum  sociis  suis, 
Rainerius  si  licet  in  futuro  seculo  |  mercedem  accrescat  ar.imabus 
eorum  :  et  si  aliquis  homo  destruere  voluerit  istam  fraternitatem  | 
vadat  sub  pena  idest  (?)  .v.  uncias  auri  ad  curiam  domini  pape.  Forstu- 
natus. . . 

Neìlo  stesso  foglio  e  nella  stessa  pagina  di  altra  mano  di  età  però 
poco  differente  continua  : 

[In  nomine  Patris  et  Filli  et  Spiritus  sanctl],  amen.  Sanctus  Pro- 
tegenus  papa  instituit  istam  fraternitatem  hospitale  de  Valle  S,  Leo- 
nardi. Quiscumque  |  voluerit  hobedire  nostro  ospitale  S.  Leonardi  de 
Valle,  dat  ei  unum  uncina  de  auro.  Si  nullus  iacet  in  infirmltate, 
aliquis  I  eum  visitare  dcbet  usque  ad  mortem,  et  ad  mortem  fratris 
qulsque  debet  dicere  .vii.  pater  noster  et  una  candela  in  manu  sua 
tenere  j...  bent  .vii.  qulsque  et  nostro  Deo  unam  missam  prò  elus. 
Et  si  frater  ambulet  in  peregrlnacione  unus  qulsque  debet  secum  ire 
extra  villam  | . . .  semper  est  qulsque  facere  debet  solacionem  sive  fir- 
mitas  capiebant  eum  usque  ad  unam  diurnam  aut  duo  fratres  eum 
debent ...  | . . .  Guido . . .  dedit  .ni.  stareas  terre  ad  pecinas  balnei,  qui 
sunt  tria  starras  semenchie  prò  anima  sua.  Unde. ..  | . ..  eius. ..  sue 
in  presencla  fuit  et  concesslt  Illa  in  testimonio  populi  qui  ibi  fuerunt, 
scllicet  D[omi:nicus]  de  parodila  S.  Blasii  et  magister  Andreas  de 
parodila  S.  Pelegrini  et  Simious  de  parodila  S.  lohannls  in  Valle  (i). 

(a)  Nel  testo  vestrisq  et  abs  (lì)         (b)  semper?         (e)  Mollo  facilmente  da  correg- 
gere noluerit 

(i)  Nel  verso  dello  stesso  foglio  per  quattordici  l'.nee  pare  che 
continui  la  stessa  mano  dell'ultima  parte  del  retto:  se  ne  leggono 
a  stento  qua  e  là  poche  parole.  Pare  che  fosse  scritta  solo  una  co- 
lonna a  sinistra.  Nella  riga  3"  si  legge:  «  anno  m  »,  nella  7":  v  ad 
«  festum  sanctl  Leonardi...»,  nella  8":  «...ad  festum  sancti  Leo- 
«  nardi  »,  nella  9^":  «...in  finem  »,  nella  14":  «  ...ego». 


La  fraternità  dei  'Disciplinati  di  Viterbo      395 


IL 

22  ottobre  1345. 

[Archivio  della  chiesa  di  S.  M.  Maddalena  in  Viterbo, 
Statuti  della   fraternità  dii  Disciplinali,  e,   xv.] 

In  Cristi  nomine  amen.  Anno  ab  eius  nativitate  millesimo  tre- 
centesimo quadragesimo  quinto,  tempore  pontificatus  domini  Clemen- 
tis  pape  VI,  indictione  .xiii.,  die  vigesimo  secundo  mensis  octubris. 
In  presentia  mei  notarli  et  infrascriptorum  testium  venerabiles  domini 
Petri  prioris  Sancii  Mathey  in  Sunsa,  Petruccii  Michaelis  canonico 
ecclesiae  Sancti  Matthey  predicti,  presbitery  Raynery  Tuccii  cappel- 
lani ecclesie  Sancti  Angeli  Viterbiensis  et  Corradi  Tucci  aurifìcis  de 
Viterbio  ad  infrascripta  vocatis  et  rogatis. 

Venerabilis  vir  dominus  Alioctus  canonicus  Narniensis  in  spiri- 
tualibus  Patrimoni!  ac  reverendi  in  Cristo  patris  et  domini  domini 
Bernardi  Dei  gratia  Viterbiensis  et  Tuscanensis  episcopi  vicarius  ge- 
neralis,  prcsentes  constitutiones  tanquam  rite  et  ad  honorem  et  lau- 
dem  omnipotentis  Dei  et  beate  Marie  virginis  et  totius  curtis  paradisi 
editas,  existens  in  episcopali  palatio  Viterbii  confirmavit,  adprovavit, 
omologavit  et  eas  perpetua  roboris  firmitate  voluit  ottinerc. 

Ego  lohannes  filius  quondam  Gerii  de  Florentia,  imperiali  au- 
ctoritate  iudex  ordinarius  et  notarius  publicus  et  nunc  notarius  of- 
ficialis  dicti  domini  episcopi  et  curtis  episcopatus  Viterbiensis,  pre- 
dicia  omnia  in  hac  presenti  margine  scripta  coram  me  acta  rogatus 
et  de  mandato  predicti  domini  vicarii  publice  sciipsi  et  publicavi. 

Signum  lohannis  Gerii. 

III. 

18  dicembre   1528. 

[Arch.  della   chiesa    di  S.  M.  Maddalena  di  Viterbo]  (1). 

In  Dei  nomine  amen.  Infrascripta  est  copia  cuiusdani  mandati 
reverendissimi  domini  dom'ni  Nicolai  Sancti  Viti  in  Macello  marti- 
rum  diaconi  cardinalis  de  Radulfis,  provincie  Patriiìionii  legati  di- 
fi)  Da  copia  autentica  in  calce  agli  Statuii  della  confratii  iiita  dei 
l-ìj.yìlitl  di  ì'it.rì'o  compilati  ncU' a.  1482,  pp.  10-41.  Pubblicato 
dal  Pr>/.i,  (^'pi-i,  Appcnd  doc.  xr.\i,  p,  41),  togliendolo  da  altra  copia 
esistente  ncirArch.  dell'ospedale.  Si  ripubblica  più  completo  e  cor- 
retto. 


394  ^'  Egidi 


gnissimì,  emanati  in  infrascriptis  actibus  magnifice  civltatls  Viterbii 
sub  anno  millesimo  quingentesimo  vigesimo  octavo,  indictione  prima, 
pontificatus  sanctissimi  in  Cristo  patris  et  domini  nostri  domini  Cle- 
mentis  divina  providentia  papae  septimi,  et  scripta  et  publicata  per 
me  notarium  infrascriptum  die  vero  decima  mensis  decembris.  Tenor 
talis  est:  (a)  Nicolaus  (b)  Sancii  Viti  in  Macello  martirum  diaconus 
cardinalis  Radulfus  (e),  province  Patrimonii  legatus.  Q,uoniam(<')  inter 
cetera  studia,  que  in  regimine  legationis  nostre  Patrimonii  animum 
nostrum  valde  soUicitant,  ea  sunt  precipue  que  non  modo  ad  con- 
servationem  et  religionis  nostre  augumentum,  verum  etiam  ad  pau- 
perum  subventionem  et  commodum  tendunt  et  pertinent;  percipientes 
et  oculata  fide  cernentes  in  hac  magnifica  civitate  Viterbii,  licet  com- 
plura  sint  hospitalia,  nullam  tamen  fieri  erga  pauperes  hospitalitatem, 
incuria  et  eorum  negligentia,  qui  regimini  et  hospitalium  administra- 
tioni  presunt;  cupientes  itaque  et  volentes  quantum  in  nobis  est 
buie  tam  nefando  morbo  salubrem  (e)  adhibere  medelam  et  tanti  cri- 
minis  detestationi  succurrere  et  providere;  vobis  infra  adnotatis  et 
quorum  virtutem,  solertiam  et  in  pauperes  caritatem  (f  )  satis  confi- 
dimus,  sub  pena  arbitrii  nostri  precipimus  et  mandamus  ut  congrc- 
gationibus  vestrarum  artium  incorporetis  et  agregetis  quilibet  suum 
hospitale  iuxta  distinctionem  et  agregationem  inferius  per  nos  de- 
scriptum (g)  et  annotatam  quemadmodum  nos  tenore  et  a  data  pre- 
sentium  omni  meliori  modo,  via  et  forma  quibus  magis  possumus 
et  debemus,  agregamus  et  perpetuo  incorporamus.  Et  insuper  sub 
eadem  pena  precipimus  et  mandamus  modernis  rectoribus  cuiuslibet 
dictarum  vestrarum  artium  ut  illorum  computa  qui  usque  in  hanc 
diem  dieta  hospitalia  quacumque  auctoritate  administrarunt  et  gu- 
bernarunt(h)  revideatis  et  calculctis  eos  absolvendo  vel  condenando, 
sicut  iuris  etiam  reperietis  0),  dantes  et  cuilibet  vestrum  elargientes 
auctoritatem  et  facultatem  ad  hoc  oportunam  (0.  In  contrarium  non 
obstantibus  &c.  In  quorum  fidem  &c.  Datum  Viterbi  die  .x.  decem- 
bris  .MDXXVIII. 

Deinde  sequebantur  alie  linee  sub  huiusmodi  tenoris,  videlìcet  («")  : 
Hospitale  Sancti  Sixti  corporatur  arti  et  congregationi  aroma- 
tariorum.  Rectores   in  presenti  sunt  Baldassar  Itellus  (")  et  Marcus 
Zelli  Co),  et  consiliarii  Petrus  Pulionus  (p)  et  Geminus  Thurinus. 

(a)  Pini%  lascia  tutte  le  linee  precedenti.  (b)  P.  Kos  (e)  P.  Rodulpluis  (d)  P. 
manca.  (e)  P.  saliibriter  (f)  P.  meglio:  de  quorum  virtute,  solertia  et  in  pauperes 
caritate  (g)  Sic;  P.  descriptam  (h)  P.  administraverunt  et  gubernaverunt  (i)  P. 
esse  reperitur; /or5e  è  da  leggere:  esse  reperietis  (1)  P.  oporlunas  (m)  P.  non  ri- 
porta questa  linea  e  subito  dopo  la  data  segue  Hospitale  etc.  (n)  P.  Usollus  ?  (o)  P. 
Zolle        (p)  P.  Tollionus 


La  fraternità  dei  T)isc{pliìiati  di  Viterbo      595 


Hospitale  Sancte  Helene  incorporatur  sotietati  Disciplìnatorum, 
cuius  rectores  (0  Sermontinus  et  Dominicus  Nelli. 

Hospitale  Sancti  Thome  incorporetur  arti  et  congregationi  cer- 
donum,  cuius  rectores  0)  Petrus  Ciglioni  et   Michael  Maestruzi  (O 

Hospitale  Sancti  Angeli  incorporetur  arti  et  congregationi  su- 
torum,  cuius  rector  magister  Antonius  Florentinus. 

Hospitale  Anglium  incorporetur  arti  et  congregationi  cauponum, 
cuius  rector  Petrus  Johannes  Nannius  W. 

Presentetur  per  quemcunque:  et  mandamus  registrari  in  libris 
cuiuscumque  artis  quelibet  suum  hospitale  incorporetur  (e)  et...  (0 
spacio  trium  dierum  restituatur.  Loco  si  f  gilli.  Vincentius  Durans  (g). 

Et  ego  Sebastianus  quondam  Petri  lohannis  Pauli  de  Malagri- 
ciisC'O  de  Viterbio  publicus  apostolica  auctoritate  notarius  et  iudex 
ordinarius  predictum  (')  mandatum  recopiavi  ex  suo  proprio  origi- 
nali nihil  addens  vel  minuens  quod  facti  veritatìs  substantie  0)  mutet 
vel  variet  nisi  punctum  vel  sillabam  lapsu  calami  prò  errore  tan- 
tum (m).  Currentibus  annis  (")  a  salutifera  nativitate  millesimo  quin- 
gentesimo  vigesimo  octavo,  ind.  prima,  pontificatus  prelibati  (»)  san- 
ctissimi  in  Christo  patris  et  domini  nostri  domini  Clementis  divina 
providentia  pape  Vll(p);  die  vero  .xviii.  (q)  decembris  et  ad  fidem 
premissorum  omnium  signum  meum  infra  signavì.  Signum  mei  Se- 
bastiani notari  predicti  (O, 


(a)  P.  salta  a  Petrus  Ciglioni  et  Michael  Maestruci  (b)  li  mio  testo  dà  rector  «'i- 
iìenteniente  errato.  (e)  P.  Mastruci  (d)  P.  Nannus  (e)  P.  que  habet  suum  hospi- 
tale incorporatum  (f)  Illeggibile.  P.  presentatum  (g)  P.  manca.  •  (h)  P.  Ma- 
lagricciis  (i)  P.  supradictum  (!)■?•  meglio  substantiam  (m)  P.  prò  errore  etc. 
(n)  P.  anno  (o)  P.  manca.  (p)  P.  decimi  (..])  P.  .xxiii.  decembris  etc;  et  ad 
lìdcm          (r)  Manca  in  P.   l'  ullinia  frase. 


Archivio  Jf  Ila  R.  Società  romana  di  st  VI   XXIII. 


Un  affresco  di  Tietro  Cavallini 


A  S.  CECILIA  IN  TRASTEVERE 


URANTE  certi  lavori  di  restauro  che  rAmministra- 
zione  del  fondo  per  il  culto  faceva  eseguire  al 
=f^^^  coro  delle  monache  nel  convento  di  S.  Cecilia  in 
Trastevere,  rimuovendo  gli  stalli,  comparve  un  grande 
affresco  medievale  che  la  Direzione  generale  delle  antichità 
•e  belle  arti  m' incaricò  di  esaminare  e  di  studiare. 

L'affresco  scoperto  occupa  tutta  la  parete  maggiore 
del  coro,  addossata  al  muro  della  facciata  della  basilica, 
proprio  di  fronte  ali*  altare  maggiore;  giacché  è  da  notare 
che  questo  coro  delle  monache  si  trova  in  una  specie  di 
sala  sorretta  da  pilastri,  che  formano  come  un  portico  in- 
terno nella  chiesa,  subito  dopo  T  ingresso.  Descrivo  bre- 
vemente r  affresco,  per  quel  tanto  che  mi  è  dato  di  scor- 
gere, prima  che  il  restauratore  lo  liberi  dal  grosso  strato 
di  polvere  che  lo  ricopre  e  che  ne  rende  qua  e  lA  incerta 
la  visione. 

Nell'affresco,  che  ha  una  lunghezza  di  metri  14  ed 
un'altezza  di  metri  2.20,  è  rappresentato  Gesù  in  gloria. 
Nel  centro,  entro  una  grande  aureola  di  colore  purpureo, 
seduto  su  di  un  ricco  trono,  ò  il  Redentore  col  capo  cinto 
di  nimbo  crucigero,  gemmato  e  segnato  della  scritta: 
IHS-XR  in  caratteri  gotici.  lìgli  ha  le  braccia   aperte 


598  J.  Hermanin 


come  in  atto  di  suprema  pietà  verso  i  fedeli,  ed  a  testimo- 
nianza del  suo  martirio,  la  tunica  è  aperta  sul  fianco  destro 
scoprendo  la  piaga  sanguinante  del  costato,  le  mani  ed  i 
piedi  sono  segnati  delle  stimmati.  Quattro  angioli  a  destra 
e  quattro  a  sinistra  circondano  l'aureola  divina.  I  due  an- 
gioli superiori,  dal  colore  e  dalla  forma  delle  ali  mostrano 
d'essere  dell'ordine  dei  Cherubini.  Dei  Serafini  che  dove- 
vano seguire  immediatamente  a  questi,  non  si  scorge  che  la 
parte  inferiore  delle  ali,  poiché  il  resto  è  distrutto.  Infatti, 
poco  al  disopra  della  mandorla,  che  contiene  Gesù,  corre 
lungo  tutta  la  parete  una  fessura,  ed  osservando  attenta- 
mente si  scorge  che  a  questo  punto  il  muro  vecchio  e 
troncato  e  si  aggiunge  un  muro  di  costruzione  più  recente. 

Oltre  alla  parte  inferiore  delle  ah  dei  Serafini  sono  da 
notarsi,  lateralmente  ^W  aureola,  tre  fascie,  una  rossa,  una 
verde  ed  una  bianca,  seminata  di  croci,  che  dipartendosi 
dalla  zona  esterna  dell'  aureola,  corrono  verso  1'  alto  incur- 
vandosi, sino  al  punto  dove  il  vecchio  muro  è  troncato. 
Mi  pare  che  queste  fascie  non  possano  essere  che  ravanza 
dell'  iride  circolare,  che  conteneva  la  corona  colla  mano  di 
Dio,  secondo  1' antico  uso  cristiano,  conservatosi  durante 
tutto  il  medio  evo,  come  ad  esempio  nell'  affresco  di 
S.  Sebastianello  al  Palatino,  che  è  dell'  xi  secolo. 

Ai  lati  dell'  aureola  di  Gesù  stanno  ritti  in  piedi,  colle 
mani  giunte,  Maria  Vergine  e  san  Giovanni  Battista.  xMentre 
la  figura  del  Santo  Precursore  per  disegno,  colore  e  buona 
conservazione  è  fra  le  più  belle-  dell'  affresco,  quella  della 
Madonna  è  irriconoscibile  per  il  grosso  strato  di  tinta 
ad  olio  che  la  ricopre.  La  pia  leggenda,  comunicatami 
dall'  abadessa  del  monastero,  racconta  che  quando  nel  Cin- 
quecento, davanti  all'  affresco,  fu  costruito  il  coro,  lo  spec- 
chio dello  stallo,  che  doveva  ricoprire  la  figura  della  \'er- 
gine,  cadeva  da  per  sé,  per  quanto  tentassero  di  rimetterlo 
a  posto,  lasciando  scoperta  l' immagine  santa,  tanto  che 
convenne  di  allontanarlo.    Cosi  l' immagine,  stimata  mi- 


Un  affresco  di  dietro  Cavallini  399 

racolosa,  restò  senza  difesa  e  fu  dipinta  e  ridipinta,  scom- 
parendo forse  per  sempre,  seppure  il  professore  Luigi  Bar- 
tolucci,  al  quale  il  Ministero  dell'  istruzione  ha  affidato  il 
restauro,  non  riuscirà  a  liberare  dalla  cotenna  di  vernice 
quest'  unica  figura  femminile  del  grande  affresco. 

Vicino  alla  Madonna  sta  seduto  san  Paolo,  riconosci- 
bile al  tipo  fisiognomico  tradizionale  ed  al  grande  spadone; 
seguono  altre  quattro  figure  d'  apostoli,  giovani  e  vecchi, 
fra  i  quali  è  facile  riconoscere  san  Bartolomeo,  dal  breve 
coltellaccio  e  dalla  scritta  ai  suoi  piedi,  della  quale  non 
restano  che  le  lettere  «...  art  ...  ».  Dalla  parte  sinistra,  a 
san  Giovanni  Battista  segue  san  Pietro,  seduto  anch'esso 
in  cattedra  e  con  una  squadra  in  mano,  forse  per  caratte- 
rizzarlo quale  edificatore  della  Chiesa;  ai  suoi  piedi  è  il 
frammento  d'iscrizione  «...tr...».  Dopo  san  Pietro, 
san  Giovanni  Evangelista  colla  coppa,  san  Tommaso,  san 
Giacomo  Maggiore,  sant'Andrea  colla  croce  ed  un  apostolo 
che  non  sono  riuscito  ancora  ad  identificare. 

Per  quanto  ho  potuto  scoprire,  sotto  al  denso  strato  di 
polvere  solidificata,  che  ancora  vela  la  pittura,  tutti  gli 
apostoli  sono  seduti  in  cattedre  di  stile  semigotico.  Lungo 
r  afi'resco,  ai  due  lati  dell'aureola,  proprio  ai  piedi  delle 
figure,  corre  una  fiiscia  rossa,  su  cui  con  lettere  bianche 
sono  scritti  i  nomi  dei  personaggi,  nomi,  come  abbiamo 
visto,  frammentari.  Tutte  le  figure  hanno  nimbi  rilevati  e 
dorati. 

Forse  gli  aflreschi  non  si  restringono  alla  parete  di 
fondo,  poiché  anche  nelle  due  laterali  minori,  sotto  all'im- 
biancatura, sembra  che  appariscano  tracce  di  colore.  Nò 
basta  ;  ai  due  lati  della  porta,  che  dal  corridoio  del  mona- 
stero, corridoio  che  corre  lungo  tutto  il  fianco  sinistro  della 
chiesa,  conduce  al  coro  affrescato,  sono  due  medaglioni, 
di  cui  uno  contiene  la  Vergine  Maria,  l' altro  V  Angiolo 
annunziante.  Queste  due  pitture,  benché  completamente 
rovinate,  perchè  ricoperte  <.\\  grosso  colore  ad  olio,  pos- 


400  J.  Hermanin 


sono,  pel  disegno,  che  ancora  s'intravede,  e  pei  nimbi,  a 
rilievo,  credersi  contemporanee  a  quelle  del  coro. 

Probabilmente  le  due  figure  della  Vergine  e  dell'Ar- 
cangelo furono  tolte  da  una  delle  pareti  laterali  e  forse 
proprio  da  quella  di  sinistra,  dove  si  vede  rimosso  tutto 
r  intonaco,  e  trasportate  ai  lati  della  porta,  aperta  nel 
muro  per  dare  accesso  al  nuovo  coro,  costruito  indubbia- 
mente dopo  il  1527,  cioè  dopo  che  per  T  insediamento  a 
S.  Cecilia  delle  monache  benedettine  vi  fu  necessità  di  un 
coro  separato  dalla  chiesa.  Gli  affreschi  infatti  non  pote- 
vano limitarsi  a  quella  parte  della  basilica,  dove  li  vediamo 
ora,  ma  si  estendevano  certamente  lungo  i  lati  ed  anche 
più  in  basso  del  pavimento  odierno. 

Qu:mto  all'Arcangelo  ed  alla  Madonna,  spero  che  il 
professore  Bartolucci,  tanto  valente,  riuscirà  a  liberarli  dalla 
tinta  ad  olio  che  li  ricopre,  aumentando  cosi  il  numero 
degli  affreschi  da  studiare. 

Per  ora  esaminerò  ciò  che  abbiamo  sott' occhio,  cer- 
cando di  determinarne  il  tempo  e  possibilmente  anche 
r  autore.  Non  posso  qui  che  accennare  brevemente  alle 
varie  questioni,  riserbandomi  di  trattarne  con  maggiore 
larghezza  in  uno  studio  ampio,  che  sto  preparando. 

L'affresco  ci  si  presenta  con  caratteri  spiccatamente  me- 
dievali. La  rappresentazione  di  Gesù  in  gloria,  circondato 
dagli  apostoli,  schierati  secondo  un  concetto  perfettamente 
gerarchico,  è  caratteristica  dell'  iconografia  medievale  più 
antica  e  noi  troviamo  la  genesi  di  questa  disposizione  della 
corte  celeste  nell'  arte  cimiteriale  e  nei  musaici  romani, 
da  quello  del  390  a  S.  Pudenziana  a  quello  del  vi  secolo 
nella  chiesa  dei  Ss.  Cosma  e  Damiano,  da  quelli  del  ix 
in  S.  Cecilia  ed  in  S.  Marco  sino  ao^H  affreschi  dell' xr  a 
S.  Elia  di  Nepi,  e  di  S.  Sebastianello  sul  Palatino. 

Questa  disposizione  semplice  delle  figure,  allineate  le 
une  presso  alle  altre,  è  veramente  un  carattere  sicuro  di 
arcaicità,  perchè  sino  dal  secolo  xiii  i  pittori  cominciarono 


Un  affresco  di  \P tetro  Cavallini  401 


a  comporre  simili  rappresentazioni  con  maggiore  studio, 
addensando  dietro  agli  apostoli  moltitudini  di  anime  beate 
e  di  angeli. 

La  disposizione  simmetrica  delle  figure,  che  fanno  co- 
rona al  Redentore,  è  ancora  secondo  la  consuetudine  del- 
r  antica  arte  cristiana,  consuetudine  che  si  manifesta  tanto 
nelle  opere  che  hanno  provato  influenze  bizantine,  quanto 
in  opere  che  più  sinceramente  mostrano  di  risentirsi  di 
tradizioni  artistiche  locali. 

Questo  affresco  di  S.  Cecilia  accoglie  in  se  veramente 
le  varie  tendenze,  che  hanno  avuto  forza  nel  determinare 
le  caratteristiche  dell'arte  a  Roma,  dal  primo  sorgere  del- 
l' arte  cristiana,  che  spuntava  dal  tronco  classico,  sino  a 
quel  malaugurato  trasferimento  della  sede  pontificia  ad 
Avignone,  che  fa  cominciare  il  sonno  dell'arte  indigena 
a  Roma,  sonno  che  dura  poi  per  lunghissimo  tempo. 

Il  Cristo  col  nimbo  crucigero  e  gemmato,  colle  braccia 
aperte,  è  ancora  quello  delle  tarde  pitture  cimiteriali  delle 
cripte  di  Ponziano,  di  Generosa;  è  quello  stesso  che  gi- 
ganteggia nei  musaici  di  S.  Pudenziana  e  dei  Ss.  Cosma 
e  Damiano.  La  figura  maestosa,  in  atto  di  infinita  pietà, 
ha  veramente  ancora  in  sé  tutta  la  serena  grandezza  della 
fede  ingenua  dei  primi  cristiani.  Nella  forma,  nell'espres- 
sione del  volto  e  nell'  atteggiamento  del  corpo  la  massima 
semplicità  s'  accoppia  alla  più  solenne  maestà,  formando  il 
perfetto  tipo  del  Dio  Uomo.  Ogni  tratto  in  questa  figura 
è  arcaico,  dai  grandi  occhi,  che  pare  guardino  nell'infinito, 
dalla  braccia  aperte,  che  ricordano  l'  atto  dell'  antichissima 
orante,  sino  al  trono  gemmato,  che  per  forma  rammenta 
quello  di  S.  Pudenziana. 

Di  caratteri  medievali  posteriori  ci  sono  la  ferita  s.in- 
L;uiiiantc  del  costato,  le  stimmati  e  l'ornato  del  trono  a 
L;cininc,  imitanti  nella  forma  le  tessere  dei  musaici,  or- 
nato che  si  ritrova  in  tutti  gli  affreschi  romani  dal  ix  al 
Mii  sect)lo. 


402  J»  Herman  in 


Nient' altro  di  nuovo  nella  forma  della  figura  di  Gesù, 
che  pure  è  la  più  bella  di  quante  ha  creato  in  Roma  l'arte 
del  basso  medioevo.  Pare  che  uno  spirito  nuovo  sia  pe- 
netrato nella  vecchia  forma  tradizionale,  non  osando  di 
mutarla  in  nulla  esteriormente,  ma  animandola  di  una 
grande  vita  interna. 

D' intorno  ali*  aureola  del  Cristo  gli  otto  angioli  sono 
come  il  raggio  della  bontà  di  Dio,  tanto  hanno  lieta  e 
gioiosa  r  espressione  dei  bei  volti  giovanili.  I  pallii  che 
li  recingono  hanno  lo  stesso  ornato  del  trono,  ed  io  ricordo 
che  angioli  con  baltei  ornati  di  dischi  e  di  gemme,  dipinti 
e  disposti  in  modo  identico  a  questi,  sono  ai  lati  di  Gesù 
in  un  affresco  della  cappella  inferiore  della  chiesa  di  S.  Gio- 
vanni e  Paolo  che  è  dell'  xi  secolo. 

Come  nella  figura  di  Gesù,  così  pure  negli  angioli  la 
forma  è  antica,  ma  lo  spirito  è  nuovo.  Basterebbe  l'  an- 
giolo in  basso  a  sinistra,  per  mostrare  chiaramente  con 
quanta  libertà  il  pittore  scuotesse  da  sé  il  convenziona- 
lismo rituale  importato  dai  Bizantini.  L' angioletto  leva  in 
alto  il  viso  e  guarda  con  curiositcì  influitile  il  Signore.  E 
così  come  lui,  nell'affresco  di  S.  Cecilia  tutti  gli  angioli 
sono  qualcosa  di  più  che  semplici  particolari  gerarchici 
della  gloria  divina. 

Come  ho  già  detto,  l' unica  figura  femminile  della 
grande  composizione,  la  Madonna,  è  forse  sparita  per 
sempre  sotto  la  vernice. 

San  Giovanni  Battista,  ritto  alla  sinistra  del  Cristo,  è 
studiato  dal  vero  ed  il  volto  magro  colla  barba  rada  ed  i 
capelli  scarmigliati,  il  corpo  adusto  stretto  in  un  vecchio 
mantello  logoro  sono  ripresi  dalla  realtà.  Il  pittore  ha  tolto 
a  modello  un  mendico,  che  ha  veramente  vissuto  ed  ha 
sofferto  freddo  e  f^ime,  come  già  il  Precursore  aveva  sof- 
ferto privazioni  infinite  nel  deserto.  Questa  figura  del  Bat- 
tista è  la  più  viva  dell'  affresco  e  quella  che  più  si  risente 
d'  una  nuova  tendenza  estetica. 


Un  affresco  di  ""P  tetro  Capai  lini  403 


San  Pietro,  san  Paolo  e  gli  altri  apostoli  hanno  in  ge- 
nerale i  corpi  poco  mossi  ed  alquanto  impacciati  con  quel 
che  di  stentato  ed  incerto  nel  disegno,  che  è  tutto  proprio 
di  quegli  artisti,  che  stanno  per  liberarsi  da  una  tradizione 
arcaica  e  per  abbracciare  una  maniera  nuova.  Le  teste  sono 
invece  bellissime,  perchè  tutte  studiate  sul  vero,  da  diffe- 
renti modelli.  L' intero  affresco  insomma  apparisce  come 
dipinto  in  un  momento  di  transizione  dell'  arte. 

Delle  cose  descritte  ricordo  adesso  poche  caratteristiche, 
per  meglio  determinare  Tarte  ed  il  tempo  di  questa  pittura. 

Nell'affresco  noi  vedinmo  vicino  a  Gesù,  ritratto  an- 
cora nella  forma  consacrata  dalla  tradizione,  e  per  cosi  dire 
composto  di  maniera,  gli  apostoli  studiati  sul  vivo;  vicino 
alla  forma  classica  del  trono  divino,  le  cattedre  semigotiche 
dei  discepoli,  insomma  gli  ultimi  avanzi  dell'  arte  classica 
che  s' incontrano  colle  forme  medievali  più  recenti,  che 
preludono  al  Rinascimento.  Ciò  che  riunisce  e  fonde  tutto 
in  un  assieme  armonico  è  la  grande  e  squisita  maestria  del 
p'ttore,  che  sa  trarre  il  massimo  effetto  dal  tipo  tradizio- 
nale tramandatogli,  che  non  si  scosta  dalla  disposizione, 
dallo  schema  abituale,  ma  lo  anima  collo  studio  intenso 
del  vero,  colla  rappresentazione  colorita  della  vita  vissuta. 

Come  ho  già  detto  da  principio,  in  questa  pittura  paro 
che  si  riassumano  le  due  tendenze  che  hanno  sempre  te- 
nuto il  campo  deir  arte  a  Roma,  durante  tutto  il  medioevo, 
sino  al  secolo  xiv;  T  arte  aulica,  bizantina  e  bizantineg- 
giante,  degenerazione  delle  vecchie  forme  cristiane,  tor- 
nate travestite  a  Roma,  donde  erano  partite  ingenue  e  sin- 
cere, e  l'arte  popolare,  veramente  e  schiettamente  indigena, 
r  arte  della  chiesa  inferiore  di  S.  Clemente,  dove  nell'af- 
fresco di  Beno  di  Rapizza  compare  una  delle  prime  frasi 
volgari  italiane. 

San  Giovanni  Battista,  san  Bartolomeo,  san  Simone 
dal  volto  irsuto  di  peli  bianchi  e  rubizzo  come  un  pesca- 
tore, abbruciato  dal  molto  sole  e  dal  vento,  san  Giovanni 


404  J'  Hermanin 


Evangelista  e  tutti  gli  altri  apostoli  sono  belli  per  la  gran 
disinvoltura  e  verità  del  disegno  e  del  colore.  L'artista  ha 
lasciato  da  parte  i  visi  compassati  dei  musaicisti  bizantini  e 
continuando  la  sana  tradizione  dell'arte  romana,  ha  ritratto 
uomini  di  carne  ed  ossa  come  quelli  che  gli  stavano  a 
fianco. 

Non  v'è  poi  amatore  che  non  debba  grandemente  am- 
mirare il  disegno  robusto  delle  teste  e  quei  colpi  sicuri 
di  pennello  coi  quali  il  maestro  sa  segnare  ogni  ruga,  ogni 
pelo,  raggiungendo  uno  squisito  effetto  e  dimostrando  di 
essere  un  vero  pittore,  lontano  dai  partiti  grossolani  dei 
musaicisti. 

Senza  tema  d'essere  rimproverato  di  volere  soverchia- 
mente esaltare  questa  pittura,  credo  di  poter  dire  che  per 
disegno,  per  composizione  e  sentimento  essa  è  la  più  bella 
e  solenne  opera  d'  arte  del  medioevo  romano.  Più  perfe- 
zionata, e  grandemente,  degli  affreschi  romani  dell' xi  e 
XII  secolo,  di  cui  pure  conserva  molte  caratteristiche  ico- 
nografiche ed  ornamentali,  ricca  di  motivi  gotici,  essa  non 
può  ascriversi  che  allo  scorcio  di  quel  secolo  xiii  che  segnò 
in  Italia  il  rinascere  delle  arti. 

L'  autore  è  poi  senza  alcun  dubbio  romano  e  tutte  le 
figure  hanno  caratteristiche  locali,  che  le  distinguono  da 
quelle  di  qualsiasi  altra  scuola  italiana  contemporanea,, 
anche  da  quelle  gloriose  scuole  toscane,  che  allora  sovra- 
stavano a  tutte. 

Nelle  teste,  più  che  in  qualsiasi  altra  parte  del  corpo,, 
si  manifestano  questi  caratteri  locali.  La  testa  è  di  forma 
tondeggiante  con  fronte  aperta,  ma  non  soverchiamente 
alta;  gli  occhi  sono  grandissimi  ed  oscuri;  classico  poi  in 
tutto  è  il  naso,  che  è  largo  e  robusto  alla  base,  unendosi 
alla  fronte  con  quella  salda  ed  ampia  attaccatura,  che  si 
ritrova  in  tutte  le  teste  dell'età  classica  e  che  dura  ancora 
a  Roma  nei  musaici  di  S.  Pudenziana,  dei  Ss.  Cosma  e 
Damiano  ed  in  altre  opere  anche  più  recenti. 


Un  affresco  di  Tieiro  Cavallini  405 


Di  certo  il  pittore  di  S.  Cecilia  in  Trastevere  aveva 
dinanzi  agli  occhi  le  statue  ed  i  rilievi  classici  di  Roma;  i 
suoi  concittadini  ed  i  magnifici  avanzi  dell'  antichità  erano 
i  modelli  dai  quali  egli  traeva  l' ispirazione. 

Classico  è  anche  il  drappeggio  delle  vesti,  e  le  tuniche 
ed  i  palili  avvolgono  le  figure  dei  santi  con  pieghe  gran- 
diose di  sapore  antico.  Mai  il  pallio  tradizionale,  che  ricorda 
l'antica  toga,  prende  la  forma  di  semplice  mantello,  come 
tanto  spesso  nelle  pitture  giottesche;  sembra  che  quasi  in- 
consciamente r  artista  medievale  abbia  disposto  le  pieghe 
alla  romana,  seguendo  quella  tradizione  che  qui  non  s'era 
mai  spenta  nelle  pitture  delle  catacombe,  anche  tardissime, 
nei  musaici  del  iv,  del  v  e  del  vi  secolo,  nelle  pitture 
rozze  ma  vivaci  dall'  viii  al  ix. 

Nelle  pitture  dei  toscani  anche  grandissimi,  contempo- 
ranei o  di  poco  posteriori  a  questo  affresco,  le  teste  sono 
in  generale  deboli  di  struttura  e  colla  caratteristica  quasi 
costante  del  naso  sottile  alla  sua  base.  Come  pure  nelle 
loro  opere  ben  di  rado  le  figure  hanno  la  giusta  propor- 
zione statuaria  di  queste  di  S.  Cecilia,  fra  testa  e  corpo, 
tendendo  invece  ad  esagerare  in  lunghezza. 

Altro  carattere  romano  di  questo  affresco  è  quello  degli 
ornati. 

Chi  conosce  le  pitture  delle  piccole  chiese  di  Roma  e 
della  sua  campagna  dal  ix  al  xiii  secolo,  rammenta  senza 
dubbio  quel  caratteristico  uso  di  adornare  gli  abiti  con 
fregi  fatti  di  tondini,  che  ricordano  le  tessere  dei  musaici, 
tondini  disposti  geometricamente.  I  più  begli  esempi  di 
questi  ornamenti  si  trovano  nelle  pitture  di  S.  lìlia  di  Nepi, 
di  S.  Abbondio  ed  Abbondanzio  a  Rignano  llaniinio,  di 
S.  Sebastianello  sul  l^ilatiuo  e  della  chiesa  inferiore  dei 
Ss.  Giovanni  e  Paolo,  tutto  chiese  dell' xi  e  del  xii  se- 
colo. Ora  r  ornamentazione  a  tessere  si  trova  nel  nostro 
affresco  sul  trono  e,  come  ho  <^ià  detto,  sui  palili  che  cin- 
gono  il   petto  degli   angioli. 


40^  J,  Herman  in 


Ricordo  qui  i  due  cherubini  della  chiesa  inferiore  dei 
Ss.  Giovanni  e  Paolo,  già  da  me  citati,  perchè  sui  loro 
pallii  l'ornato  a  cerchi  e  tessere,  derivato  dalle  antiche  calìì- 
ciilaCy  è  identico  a  quello  di  questi  di  S.  Cecilia.  Dalla  fine 
dell'  XI  alla  fine  del  xiii  secolo  gli  ornamenti  sono  rimasti 
identici,  perchè  tali  duravano  nella  tradizione  artistica  locale. 

Non  può  però  negarsi  che,  nelF  affresco,  quel  certo  che 
di  nuovo,  di  gotico  sia  venuto  dal  di  fuori.  Quell'aria 
di  gentilezza,  quell*  amabile  espressione  di  alcune  figure, 
come  pure  il  carattere  di  certe  teste,  di  quelle  dei  giovani 
apostoli  in  ispecie,  ricordano  la  maniera  di  Giotto. 

Non  v'  ha  dubbio  ;  il  pittore  degli  affreschi  di  S.  Ce- 
cilia è  un  romano,  che  ha  conosciuta  1'  arte  di  Giotto  e, 
se  ripensiamo  a  ciò  che  ho  detto  finora,  un  romano  del 
secolo  xiii,  ed  anzi  della  seconda  metà  di  questo  secolo, 
perchè  mentre  conserva  le  caratteristiche  fisiognomiche  e 
gli  ornamenti  locali  antichi,  derivati  dai  classici,  usa  già 
di  motivi  nuovi,  che  si  risentono  della  influenza  toscana, 
rinnovatrice  in  quel  tempo  dell'arte  italiana. 

E  questo  artista  romano  è  un  maestro  singolare  e  gran- 
dissimo per  la  robustezza  del  disegno  e  del  colore,  e  per 
la  vivace  riproduzione  del  vero. 

Dopo  ciò  non  mi  resta  che  ricercare  a  quale  fra  gli 
artisti  romani  dello  scorcio  del  secolo  xiii  si  possa  attri- 
buire questo  affresco  bellissimo. 

E  subito  mi  si  presenta  alla  mente  il  nome  di  un  pit- 
tore, vantato  più  per  tradizione  che  per  conoscenza  di  sue 
opere,  come  il  più  eccellente  fra  gli  artefici  romani  del 
medio  evo. 

Egli  è  quel  Pietro  Cavallini  del  quale  Giorgio  Vasari  (i) 
scrisse  che  «...  essendo  già  stata  Roma  molti  secoli  priva 
«  non  solamente  delle  buone  lettere,  e  della  gloria  del- 
«  Tarmi,  ma  eziandio    di   tutte   le  scienze   e    buone    arti, 

(i)  Giorgio  Vasari,  Le.  Vite,  Firenze,  Sansoni,  1878,  I,  537. 


Un  affresco  di  T tetro  Cavallini  407 


«  come  Dio  volle,  nacque  in  essa  Pietro  Cavallini ...  ».  Ed 
il  Vasari,  dopo  avere  narrato  di  pitture  fritte  dal  Cavallini 
in  S.  Maria  d'Aracaeli,  in  S.  Maria  in  Trastevere  ed  in 
S.  Crisogono,  scrive:  «  Parimente,  pure  in  Trastevere,  à\- 
«  pinse  in  S.  Cecilia  quasi  tutta  la  chiesa  di  sua  mano ...  ». 

E  dice  poi  in  seguito  che  Pietro  Cavallini  segui  gli 
ammaestramenti  di  Giotto,  e  che  «  fu  il  primo  che  dopo 
«  Giotto  illuminasse  quest'arte  [della  pittura],  e  che  comin- 
«  ciasse  a  mostrar  di  non  essere  stato  indegno  discepolo 
«  di  tanto  maestro  ». 

Ora  non  mi  pare  avventato  il  ravvicinare  a  questi  af- 
freschi romani  medioevali  il  nome  del  maggiore  pittore 
che  Roma  abbia  avuto  durante  il  secolo  xiii. 

Il  volere  cercare  altro  autore  sarebbe  come  volere  inu- 
tilmente creare  un  autore  incognito,  quando  le  fonti  ci 
dAnno  un  nome,  che  non  potrebbe  calzare  meglio. 

Le  figure  di  Giacomo  Torriti  e  di  Filippo  Rusuti  nei 
musaici  di  S.  Maria  Maggiore  e  di  S.  Giovanni  in  Late- 
rano  non  sono  che  larve  al  paragone  di  quelle  di  S.  Ce- 
cilia, e  poi,  anche  escludendo  il  paragone  di  stile,  che  pure 
in  questioni  simili  ha  valore  massimo,  perchè  vorremmo 
preferire  due  sconosciuti,  solo  perche  hanno  seg'nato'  il 
loro  nome  in  due  opere  meno  che  mediocri,  al  Cavallini, 
che  la  tradizione  vanta  come  primo  fra  gli  artisti  romani  ? 

Giorgio  Vasari  avrA  certamente  visto  quella  parte  delle 
pitture  del  Cavallini,  che  durò  in  S.  Cecilia  sino  al  1725, 
quando  il  cardinale  d*Acquaviva  trasformò  la  basilica. 

Il  Ficoroni,  contemporaneo  dell'  Acquavivn,  scriveva 
circa  nel  1744  (i):  «Ivi  appresso  [a  S.  Maria  dell'Orto] 
«  e  un  monastero  di  monache  la  cui  chiesa  è  dedicata  a 
o  s.  Cecilia . . .  Era  questa  antica  chiesa  tutra  ne'  lati  di- 
«  pinta  a  fresco  di  figure  di  gotico  disegno  e  perciò  venne 


(1)  Irancesco  Dt'  Ficoroni,  Le  wsli^^u  .   /.;/,,    /;    Isoma  an- 
lìcay  Roma,  Mainardi,  1744,  parte  II,  p.  2H. 


40 8  J.  Hcrmanin 


<(  ultimamente  rimodernata  dalla  munificenza  del  defonto 
«Cirio  principe  cardinale  Acquaviva». 

Le  -figure  di  gotico  disegno  del  Ficoroni  non  fanno  che 
confermare  ciò  che  ha  scritto  il  Vasari.  Ora  anche  se 
questi  non  vide  proprio  F  affresco  scoperto  ora,  che  pro- 
babilmente fu  nascosto  dietro  gli  stalli  del  coro,  quando 
Clemente  VII  nel  maggio  del  1527  pose  a  S.  Cecilia  le 
monache  benedettine,  vide  certamente  le  gotiche  figure, 
osservate  poi  ancora  nella  metà  del  secolo  xviii  dal  Fi- 
coroni lungo  i  Iati  della  chiesa. 

Secondo  Giambattista  De  Rossi  (i),  i  musaici  fatti  sui 
disegni  del  Cavallini  nell'  abside  di  S.  Maria  in  Trastevere, 
per  commissione  di  Bertoldo  Steflmeschi,  sono  del  1291; 
lo  stile  dell'affresco  di  S.  Cecilia  è  tanto  più  avanzato 
di  quello  dei  musaici  e  mostra  già  influenze  giottesche, 
sicché  credo  che  si  possa  ritenere  dipinto  ad  ogni  modo 
dopo  il  1298,  cioè  dopo  la  venuta  di  Giotto  a  Roma. 

Non  posso  in  questa  breve  comunicazione  trattare  con 
precisione  la  questione  della  data,  ma  credo  di  non  sba- 
gliare ponendo  l'  affresco  in  quegli  anni  che  vanno  dal  1298 
al  1308,  quando  troviamo  il  Cavallini  a  Napoli  ai  servizi 
di  re  Roberto  (2),  perchè  è  chiaro  che  il  pittore,  nell*  af- 
fresco di  S.  Cecilia,  mostra  d' essere  giunto  al  massimo 
della  sua  arte,  il  che  ne  spiega  la  chiamata  a  Napoli. 

Di  opere  del  Cavallini  a  Roma  si  conoscono  ora,  sempre 
secondo  il  Vasari,  i  musaici  della  zona  inferiore  dell'  ab- 
side dì  S.  Maria  in  Trastevere,  studiati  storicamente  dal 
De  Rossi  e  da  Giulio  Navone  (3),  quello  di  S.  Crisogono 

(i)  Giambattista  De  Rossi,  Musaici  cristiani  dcìU  chiese  di  Roma, 
Roma,  Spitboever,  1899. 

(2)  ScHULTZ,  Denkmaeler  der  Kiinst  des  MitieìalteiS  in  Unteritalien, 
Dresden,  1860,  III,  76;  IV,  127. 

(j)  Giulio  Na^'oke,  Di  un  musaico  di  Pietro  Cavallini  in  S.  Maria 
Transliherina  e  degli  Slefaneschi  di  Trastevere,  n^WArchivio  dilla  Soc. 
roni.  di  si.  patria,  l,  219. 


Un  affresco  di  T^ielro  Cavallini  409 

e  quello  della  facciata  di  S.  Paolo  fuori  le  mura,  che  sta 
ora  diviso  fra  la  parte  interna  dell'arco  trionfale  e  l'arco 
che  recinge  F  abside,  ma  è  talmente  rifatto  e  rabberciato 
da  non  conservare  più  nulla  dei  suoi  caratteri  originali. 
Della  Kaviceììa  dì  san  Pietro,  in  cui  il  Cavallini  avrebbe 
cooperato  con  Giotto,  non  parlo,  perche  questa  collabo- 
razione è  troppo  discussa. 

Principalissimo  monumento  per  il  raffronto  col  nostro 
affresco  sono  i  musaici  di  S.  Maria  in  Trastevere,  che  ri- 
producono scene  della  vita  della  Vergine.  Purtroppo,  in 
essi,  r  opera  del  grande  pittore  romano  non  comparisce  che 
attraverso  il  lavoro  dei  musaicisti,  e  chi  ha  visto  1'  affresco 
di  S.  Cecilia  ed  ha  potuto  apprezzare  di  quali  finezze  fosse 
capace  il  pennello  del  Cavallini,  comprende  subito  quale 
grande  differenza  debbano  porre  fra  le  due  opere  le  grosse 
tessere  musive. 

Eppure  con  tutto  ciò,  a  chi  osservi  attentamente  il  mu- 
saico, non  possono  sfuggire  le  molteplici  affinità  coli' af- 
fresco. Pur  seguendo  molto  fedelmente  il  modello  dei  me- 
nologi  bizantini  miniati,  il  Cavallini  ha  saputo  porre  nelle 
composizioni  molto  di  nuovo  e  di  personale.  In  luogo 
delle  teste  quasi  tutte  monotonamente  uguali,  ripetute  se- 
condo una  stessa  formola,  ogni  volto  ha  caratteri  propri 
e  distinti  dagli  altri. 

Come  nell'affresco  di  S.  Cecilia,  cosi  pure  nei  musaici 
di  S.  Maria  in  Trastevere,  ogni  figura  fa  parte  a  se;  nel 
riquadro  colla  rappresentazione  del  Transito  della  Vergine 
gli  apostoli  che  si  affollano  d'intorno  al  letto  sono  l'uno 
diverso  dall'altro  e  la  stessa  faccia  non  è  ripetuta  due  volte; 
nasi  dritti  e  camusi,  fronti  alte  e  basse,  volti  scarni  e  ben 
pasciuti.  Fra  i  giovani  apostoli  del  Transito  si  ritrova  il 
volto  di  san  Crovanni  Evangelista  e  di  san  Giacomo  Minore 
di  S.  Cecilia. 

Prezioso  poi  per  il  raffronto  è  V  apostolo  san  Giacomo 
Maggiore  deirafFresco.  Quella  sua  gran  testa  colla  caratte- 


410  J.  Hcnnanìn 


ristica  barba  a  folte  ciocche,  si  ritrova  precisa  nel  più  vecchio 
dei  Re  Magi  e  nel  san  Simeone  di  S.  Maria  in  Trastevere. 

In  questa  comunicazione  non  posso  indugiarmi  più  ohre 
in  raffronti  stilistici,  che  approfondirò  e  completerò  in  seguito. 

Oltre  i  musaici  di  S.  Maria  in  Trastevere  e  di  S.  Cri- 
sogono,  poiché  di  quelli  rifatti  di  S.  Paolo  non  è  da  tener 
conto,  abbiamo  quindi  del  Cavallini  V  affresco  di  S.  Ce- 
cilia in  Trastevere,  ma  anche  con  questa  aggiunta  preziosa 
non  conosciamo  che  la  minima  parte  di  ciò  che  il  maestro 
romano  ha  dipinto  in  Roma.  Difatti,  Giorgio  Vasari  parla 
di  suoi  affreschi  in  S.  Francesco  a  Ripa,  in  S.  Crisogono^  in 
S.  Maria  Transtiberina,  ed  in  S.  Maria  in  Aracaeli  descrive  un 
grande  affrésco  nel  catino  dell'abside  colla  rappresentazione 
della  Sibilla  che  mostra  ad  Augusto  la  Vergine  col  Bam- 
bino, ed  una  minore  pittura  sulla  porta  della  sagrestia. 

È  possibile  che  per  alcune  di  queste. altre  pitture  il  Va- 
sari abbia  preso  abbaglio,  attribuendole  al  Cavallini,  come 
sbagliò  assegnandogli  la  fascia  di  musaico  colle  vergini 
folli  e  le  vergini  savie  sulla  facciata  di  S.  Maria  in  Tra- 
stevere, che  è  del  xii  secolo,-  e  quella  Crocifissione  nella 
chiesa  inferiore  d'Assisi,  che  è  indubbiamente  d'uno  sco- 
laro dei  Lorenzetti,  ma  di  certo  non  in  tutto  ciò  che  dice 
il  Vasari  può  essere  errore. 

Ora  la  ricerca  di  queste  pitture,  ancora  nascoste,  po- 
trebbe condurci  a  svelare  del  tutto  questo  maraviglioso 
artista,  che  sullo  scorcio  del  secolo  xin  dipingeva  in  modo 
da  apparire  più  che  seguace,  emulo  di  Giotto. 

Quel  poco  che  abbiamo  visto  di  lui  ci  fa  rimpiangere 
che  l'esilio  d'Avignone  togliesse  ogni  aiuto  alla  scuola 
pittorica  romana,  la  quale  con  Pietro  Cavallini  veniva  a 
schierarsi  fra  le  maggiori  e  più  potenti  d'  Italia. 

Federico  Hermaxin. 


REGESTO 

DEL 

xMONASTERO  DI  S.  SILVESTRO  DE  CAPITE 


(Continuazione  e  fine,  vedi   voi.  XXIII,   p.  67) 


CLXIV. 

1279,  giugno  6. 

«  Cum  ecclesia  b.  Marie  Virginis  de  Cerreto,  posila  in  teni- 
«  mento  castri  Flaiani  (*)  pieno  iure  monaster[ii  S.  Silvestri  de  Ca- 
«  pite  de  Urbe  vacasset  archipresbitero  per  mortem  Pauli  olim  Cin- 
te thii  Margarite,  parochiani  seu  patroni  diete  ecclesie,  convocati  ad 
'f  sonuni  campane  ut  moris  est  prò  archipresbitero  faciendo  una- 
«  nimiter  dederunt  egregio  viro  d.  Gentili  filio  magnifici  viri  d.  Ber- 
«  tulli  de  filiis  Ursi  W  absolutam  potestatem  ad  electionem  faciendam. 
«  Q.UÌ  quidem  Henricum  Frederici  Saraceni  subdiaconum  archipre- 
«  sbiterum  elegit,  prout  hoc  et  alia  apparet  publico  instrumento 
«  scripto  per  Andream  de  Urbevetere  auctoritate  Apostolice  Sedis 
«  iudicem  et  notarium.  Post  dictam  electionem  Landulfus  Pauli  Li- 
«  tolfi  procurator  lacobi  archipresbiteri  de  Flaiano  et  lacobini  lacobi 
«  Saxonis,  quibus  commissum  est  represcntare  archipresbiterum  Hen- 
«  ricum  ecclesie  S.  Marie  de  Cerreto  represcntavit  ipsam  electionem 
«  petens  a  monachis  confìrmari.  Monachi  scilicet  d.  Donadeus,  fra- 
('  ter  lacobus,  frater  lohannes  et  fratcr  Angelus  et  frater  Petrus,  co- 
«  ram  d.  lacobo  Con[so]lini(«)  iudicc  supradictam  electionem  ratitì- 
«  caverunt  et  per  fratrem  lohannem    nionacuni    dicti   monasterii  in 

(a)  Abbr.  Flaian  (b)  Sci  testo  pare  Filus  ursi  ;  ma  nella  pergamena  di 
qutilo  stesso  fondo  n.  Jfj,  numero  nostro  CLXVI,  il  nome  e  ripetuto  molta, 
chiaramente  Filiis  Urti         (e)  Nel  testo  9..tin 

Archivio  della  R,  Società  romana  di  ntoria  patria.  Voi.  XXIII.         -7 


412  F.   federici 


«•  possessionem  induci  iusserunt.  Idem  Fredericus  iuravit  adim- 
«  plere  &c.  et  ecclesie  dare  ex  nunc  in  antca  omni  anno  in  festo 
«  sancii  Silvestri  predicti  duos  bonos  lepores  et  duas  bonas  rogatas  de 
«  grano  (0,  et  in  festivitatesanctiDionisii  .x.  paria  bonorum  columborum 
e  grossorum  cum  mil ...»  (^).  Pena  «  .i.  libre  boni  auri.  Presentibus 
«  testibus  d.  presbitero  lacobo  ecclesie  S.  Marie  in  Via,  presbitero 
«  Leonardo  S.  Nicolai  de  Porcis  et  Petro  Pagani  (0.  Petrus  Pauli 
«  auctoritate  apostolica  scriniarius  ». 

CLXV. 

1279,  giugno  12. 

«  Oddo  natus  qd.  Angeli  de  S.  Eustachio  vendidit  d.  Paulo 
«  germano  suo  medietatem  casalis  seu  castri  quod  dicitur  Gualca  in 
«  perpetuum  cum  medietate  vinealium  vinearum  arborum  cum  me- 
«  dietate  turris  paltonariorum  &c,  cum  medietate  vassallorum  et  cum 
«  medietate  vasce  ad  vascandum  pannos,  positam  extra  pontem  Mol- 
«  lem  Inter  hos  fines  (totius  dicti  castri):  a  .1.  latere  est  rivus  Oli- 
«  veti,  ab  alio  est  casalis  d.  Petri  Ponyengi  W,  ab  alio  est  tenimentum 
(f  Tres  Columpne  et  ab  alio  est  flumen,  que  omnia  coniuncta  fuerunt 
(c  prò  indiviso  cum  altera  medietate  dicti  d.  Pauli.  Item  et  medic- 
ee tatem  domus  cum  medietate  trulli  et  arcu  in  qua  habitat  Mathias 
«  de  S.  Heustachio,  posita  in  regione  S.  Heustachii  inter  hos  fines, 
«a  .1.  latere  tenet  ecclesia  S.  Heustachii,  a  duobus  lateribus  sunt  vie 
«  publice.  Item  medietatem  domus  que  qd.  fuit  Cynthii  S.  Marci, 
«  positam  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro  inter  hos  fines,  a  .1.  latere 
K  tenet  Angelus  Marcii,  ab  alio  tenet  Petrus  lohannis  Petri  et  Ni- 
«  colaus  fihus  eius,  ab  alio  via  publica.  Item  et  medietatem  domus  in 
<(  qua  habitat  dictus  Oddo,  positam  in  regione  S.  Heustachii  inter 
«hos  fines,  a  duobus  lateribus  sunt  vie  publice,  ab  alio  tenet  An- 
ce gelus  de  Marcu.  Item  medietatem  domus  in  qua  habitat  Angelus 
«  Petri  Stefani,  positam  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro  inter  hos 
«fines,  a  .1.  latere  tenet  Oddo  Brunus  notarius,  ab  alio  sunt  casa- 
«  reni  dicti  Angeli  Petri  Stefani  et  ab  alio  via  publica.  Item  et  me- 
«  dietatem  duarum  domorum  in  quibus  inhabitant  Hanca  et  San- 
«  guiniolus,  positam  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro  inter  hos  fines, 
«  a  .1.  latere  tenet  Oddo  Brunus  notarius,  ab  alio  via  publica,  ab 
«  alio  lohannes  Ficus  et  heredes  Pauli  Veccli  et  magistri  Manduca- 

(a)  Nel  testo  grano  (b)  La  parola  in  parte  abrasa.  (e)  Incerta  la 
lettura  di  questo  nome  perchè  il  carattere  qui  è  quasi  svanito.  (d)  Nel  testo 
pon^eng. 


^gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite         41 


«  toris  (a).  Item  et  medietatem  palatii  in  quo  habitat  Falco  acorarius 
«  et  medietatem  domus  terrinee  iuxta  dictum  palatium,  positam  in 
«  regione  S.  Marie  in  Aquiro,  fines  a  duobus  iateribus  sunt  vie 
«  publice,  ab  alio  Siccaficora.  Item  et  medietatem  domus  in  qua 
«  habitant  heredes  qd.  Laurentii  Petri  Stefani,  positam  in  regione 
«  S.  Marie  in  Aquiro,  fines  a  .1.  latere  tenet  Franciscus  Rosarii,  a 
«  duobus  lateribus  sunt  vie  publice,  ab  alio  est  via  Porticelle  S.  Marie 
«  Rotunde.  Item  et  medietatem  domus  in  qua  habitat  Alegrectus 
«  qui  dicitur  Oita  et  medietatem.  gerninarii  (b)  quod  tenet  Tho- 
«  masius  Specialis  (<=)  positum  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro,  fines 
«  a  .1.  latere  tenet  Thomasius  Specialis  (0,  ab  alio  est  via  diete  Por- 
«  ticelle,  ab  alio  tenet  Romanus  Assaltuli.  Que  omnia  dictus  Oddo 
«  dicit  se  habere  communia  cum  dicto  d.  Paulo  et  Mathia  de  S.  Heu- 
«  stachio  et  fratribus  ipsius  Mathie  prò  indiviso.  Item  et  totani  par- 
«  tem  sibi  contingentem  in  domo  maiori  turricelle  et  arcu,  posila 
«  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  est  via, 
«  ab  alio  Compangius  lohannis  Lucide,  ab  alio  est  murus  ecclesìe 
«  S.  Marie  Rotunde.  Item  et  partem  sibi  contingentem  de  altare 
«  S.  Marie  Rotunde  et  de  ipsa  ecclesia  S.  Marie  Rotunde  et  fortil- 
«  lec(;a  ipsius  ecclesie.  Item  et  partem  sibi  contingentem  de  domo  in 
«  qua  habitat  Laurentius  Acti,  posita  in  regione  Pinee,  a  .1.  latere 
«  est  via,  ab  alio  tenent  heredes  Francisci  Carbuncelli,  ab  alio  est  via 
«  vicinalis.  Item  et  partem  sibi  contingentem  de  domo  in  qua  habitat 
«  Thomarroijius  lacobi  cal^olarius,  posita  in  regione  S.  Marie  in  Aquiro, 
«  fines  a  .1.  latere  est  porticalis  {^)  S.  Marie  Rotunde,  ab  alio  ante 
«  via  publica  et  ab  alio  est  via  diete  Porticelle,  per  Angelum  de  Pe- 
«  truccio  procuratorem,eo  quod  [is  confessus  fuit  recepisse  decem  milia 
«librarum  honorum  provisinorum  senatus  ».  Pena  «diete  pecunie 
«duple».  Testimoni:  «  Thebaldus  de  Viperini,  Angelus  Petruccius, 
«  Laurentius  Vitalis,  Nicolaus...(e),  Bartholomeus  Quallione  de  castro 
«  Amate.  Bonceporcis  (0  S.  R.  E.  notarius  ». 

CLXVL 

1280,  novembre  30,  Reggio  (i). 

«  Corani  Retro  Catanio  de  Marmurolo,  Bartholameo  qd.  d.  M.i- 
«  thei  de  Foliano,   Spille   de   Albineto  et  aliis   testibus,   nobilis   vir 

(a)  Nel  testo  manduc       (b)  Ahhr,  Geminar       (e)  AV/  lesto  Spcc       (d)  Sei 
ieslo  puticat  (e)   Una  macchia    del   testo   impedisce  la  lettura  del  patroni' 

mico.         (f)  Ahhr.  BoncepoTi 

(i)  Cf.  aota  i  al  doc.  n.  cxxx. 


414  ^«   Jederici 


«  d.  Matheus  de  Follano  constìtuit  suum  procuratorem  loliannem  de 
«  Nigono  ad  comparendum  coram  egregio  viro  d.  Bertholdo  cernite 
«  Romaniole  et  coram  eius  vicario  et  ad  porigendum  instituendum 
«et  iurandum  infrascriplam  accusationem  cuius.tenor  talis  est:  Co- 
«  rani  vobis  d.  Petro  vicario  d.  Berthold!  de  filiis  Ursi  comitis  pro- 
«  vincie  Romaniole,  denunciat  et  accusat  d.  Matheus  de  Foliano 
«  Pascetam  quod  falsum  comisit  dupliciter,  in  eo  videlicet  quod  cum 
«  vocaretur  Pasceta  et  esset  sclava,  se  nominari  facit  et  fecit  Aycham 
«  et  filiam  d.  Pauli  [Traversar!,  ut  bona  et  hereditates  qd.  dicti  Pauli 
«  et  filii  eius  Gulielmi  (a)  haberet,  que  omnia  redundant  in  grande  dan- 
ce num  ipsìus  d.  Mathei  ad  quem  bona  predicta  pertinent  pieno  iure 
«  tam  ex  successione  qd.  Pauli  filii  qd  d,  Thomaxii  de  Foliano  et 
«  d.  Traversarie  eius  matris  et  uxoris  predicti  d.  Thomaxii  et  filie 
«  qd.  d.  Guilielmi  Traversarli,  unde  petit  ipsam  puniri:  quarum  fal- 
ce sitatum  et  quorum  criminum  quocumque  nomine  censeantur  Guil- 
«  lelmotus  (b)  qui  eam  tenet  prò  uxore  fuit  auctor  conscius  minister 
«  et  particeps,  quare  petit  eum  condempnari.  Et  paratus  est  idem 
«  d.  Matheus  probare  per  testes  et  alias  legitimas  probationes  in 
«  quibus  si  defficeret  dicit  se  paratum  probare  per  pugnam.  Et  predicta 
«  dicit  fuisse  in  civitate  Ravenne  et  Forlivii  et  aliis  terris  et  locis  pro- 
«  vintie  Romagnole  sub  millesimo  ducentesimo  .lxv.  et  .lxvi.  et  ab 
«inde  citra  singulis  annis.  Actum  Regii  in  domo  dicti  d.  Mathei. 
«  Gullielmus  qd.  d.  Phylippi  filius,  notarius  sacri  palati!  ». 


CLXVIL 

1282,  marzo  19, 

«  Sihynulfus  abbas  monasteri!  S.  Silvestri  de  Cap'te,  una  cum 
((  fra  tre  Leonardo  (e),  fratre  Petro,  fratre  Thomassio  et  fratre  lacobo- 
cc  eiusdem  monasteri!  monachis  consenti[unt  venditioni  facte  Carlo 
((  Andree  de  Carlo  a  Paulo  Vedo  de  una  petia  vinee  plus  vel  minus 
«  cum  medietate  vasce  vascalis  et  tini,  posita  extra  portam  Pin^ianam, 
(f  in  loco  qui  vocatur  Pelagiolus,  inter  hos  fines,  a  .1.  latere  tenet 
«  ipse  Paulus,  ab  alio  Johannes  Rustici  et  ab  alio  heredes  d.  Bobonis 
«  lohannis  Raynerii,  prò  pretio  .x.  librarum  et  dimidie  provisinorum 


(a)  Ahhr.  Guiìt         (b)  Ahhr.  Guiìlotus  (e)  Il  nome  è  in  gran  parie 

abraso,  ma  si  desume  dalle  tracce  rimaste  e  dal  confronto  del  luogo  parallelo 
nella  pergam,  n.  1/9  (num.  nostro  CLXvni)  che  e  dello  stesso  anno  e  del  me- 
desimo notaio,  • 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  415 


«  ut  apparet  publico  instrumento  scripto  per  hunc  eumdem  scriniarium. 
«  Consensum  faci[unt  quia  recipi[unt  prò  commino  .v.  solidos  prò- 
«  visinorum  et  prò  eo  quod  [ipse  [Paulus  promicti[t  monasterio  omni 
«  anno  tempore  vindemmiarum  dare  quartam  partem  totius  musti  mundi 
«  et  aquati  quod  ex  dieta  vinea  exierit  et  unum  canistrum  de  uvis  quod 
«  sit  in  fundo  duorum  palmorum  et  unius  summissi  in  altum.  Com- 
«  minu[s  .V.  solidorum  provisinorum  ».  Pena  «  unius  libre  boni  auri, 
«  presentibus  testibus  lanuario  cellarario  dicti  monasterii,  Petro  lo- 
«  hannis  converso,  Paulo  coco.  Petrus  Pauli  auctoritate  apostolica 
«  scriniarius  ». 


CLXVIIL 

1282,  novembre  11. 

«  Sihynulfus  abbas  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  et  conventus 
«  dicti  monasterii  silicet  frater  Leonardus,  frater  Angelus  et  frater 
«  Raynaldus  eiusdem  monasterii  monachi  renova[nt  Cecilie.  .,(*)  filie 
«  olim  Benincase  Andree  Angeli  in  .xxviiii.  annis  complendis  et 
«  semper  renovandis  computatis  .vini,  annis  proximis  elapsis  unam 
«  domum  cum  orticello  post  se,  positam  Rome,  in  regione  Trivii, 
«  Inter  hos  fìnes,  a  .1.  latere  tenent  heredes  Angeli  de  Merita  viculo 
«  mediano,  a  .11.  d.  Nicolaus  de  Cointe,  ab  alio  Angela  Gibunge  et 
«  ab  alio  via,  quia  recipi[unt  prò  renovatura  .111.  solidos  provisinorum 
«  senatus  et  quia  [Cecilia  prom;cti[t  dare  monasterio  omni  anno  in 
«  festo  sancii  Silvestri  .1.  denarium  papiensem  et  semper  in  tempore 
«  renovationis  dabi[t  monasterio  prò  renovatura  xii.  denarios  papien- 
«  ses.  Comjminus  .xir.  denarios  papienses  ».  Pena  «  .1.  libre  boni  auri, 
«  presentibus  testibus  presbitero  Sisto  S.  Ypoliti,  Sisto  Sancti,  Paulo 
«  coco  dicti  monasterii,  Petruccio  famulo  de  monasterio.  Petrus  Pauli 
«  auctoritate  apostolica  scriniarius  », 


CLXIX. 

1285,  aprile  27,  Orvieto. 

«  Martinus  pp.  IV  concedit  monasterio  S.  Silvestri  per  mortcm 
«  qd.  Syinolphi  abbatis  eiusdem  monasterii  abbatis  regimine  desti* 
«  tuto,  liceniiam  ad  provisionem  faciendam  ».  «  Convcntui  monasterii 

(a)  Lacuna  nel  testo. 


41 6  V.  Jedericì 


«  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  ad  Romanam  Ecclesìam  nullo  medio 
((  pertinentis  ordinis  sancti  Benedictì  ».  Inc.  «  Dum  sìcut  intimantibus  ». 
«  Datum  apud  Urbem  vetcrem,  .v.  kal.  maii,  anno  tertio  »  (i). 


CLXX. 

1284,  decembre  29,  Orvieto. 

«Martinus  pp.  IV  ne  prolixiori  vacationi  expositum  remaneat 
«  monasterium  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  confirmat  electionem 
«  abbatis  Girardi  ab  Angelo  de  Monte  Opulo  et  Petro  de  Cerreto 
«  ipsius  monasterìi  monachis  factam  quibus  a  conventu  facultas  elì- 
ce gendi  abbatem  data  erat  ».  «  Dilecto  filio  Girardo  abbati  monasterìi 
«  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  ad  Romanam  Ecclesìam  nullo  medio 
«  pertinentis  ordinis  sancti  Benedicti  ».  Inc.  «  Et  si  iuxta  pastoralis  ». 
«  Datum  apud  Urbem  veterem  ,1111.  kl.  ianuarii,  anno  tertio  »  (2). 


CLXXL 

1285,  settembre  24,  Tivoli. 

«  Honorius  pp.  IV  confirmat  electionem  Erminie  abbatisse,  eique 
«  et  eius  sororibus  monasterium  S.  Silvestri  in  Capite  de  Urbe  hac- 
('  tenus  ordinis  sancti  Benedicti  vacans  per  translationem  sui  abbatis 
«  ad  monasterium  S.  Laurentìi  foris  muros  Urbis,  ordinis  supradicti, 
«  monachis  ipsius  monasterii  S.  Silvestri  alibi  coUocatis,  quod  quidem 
«  monasterium  S.  Silvestri  non  facile  poterat  de  personis  eiusdem 
«  ordinis  reformari,  cum  domibus  ortis  vineis  terris  casalibus  posses- 
«  sionibus  vassallis  et  omnibus  aliis  bonis  privilegiis  immunitatibus 
«  et  qulbuslibet  suis  pertinentiis  et  iuribus,  duxit  concedendum,  sta- 
rt tuentes  ipsum  monasterium  S.  Silvestri  in  Capite  ordinis  so- 
«rorum  minorum  inclusarum  de  cetero  nominandum». 
«  Dilectis  in  Christo  filiabus  Herminie  abbatisse  monasterii  S.  Sil- 
«  vestri  in  Capite  de  Urbe  eiusque  sororibus  tam  presentibus  quam 
«  futuris  regularem  vitam  professis  in  perpetuum  ».  Inc.  v  Ascendit 
«  fumus  aromatum  ».  «Datum  Tibure  per  manum  magistri  Retri  de 

(i)  Reg.   Vat.  41,  n.  in,  e.  121  b. 
(2)  Reg.  Vat.  41,  n.  GV,  e.  149  a. 


^T{e gesto  dì  S.  Silvcslro  de  Capite  417 


«  Mediolano  S.  R.  E,  vice  cancellarli,  .viii.  kl.  octobris,  ind.  .xiiii. , 
«  incarnationis  Dom.  a.  .mgclxxxv.,  pont.  vero  d.  Honoriì  pp.  IIII 
«  anno  primo  »  (i). 

CLXXII. 

1285,  ottobre  9,  Tivoli. 

«  Flonorius  pp.  IV  regulam  sororum  minorum  inclusa- 
«rum  assignatam  de  suo  speciali  mandato  per  venerabilem  fratreni 
((  suum  Penestrinum  episcopum  sororibus  sectatoribus  beate  qd.  Mar- 
te garite  de  Columna,  ut  eamdem  regulam  amplius  et  accuratius  ipse 
«  observare  valeant,  sub  bulle  sue  testimonio  destinat  ».  «  Dilectis  in 
«  Chrìsto  filiabus  Herminie  abbatisse  et  conventui  monasteri!  S.  Sil- 
«  vestrì  de  Urbe,  ad  Romanam  Ecclesiam  nullo  medio  pertinentis, 
«  ordinis  sororum  minorum  inclusarum  ».  Inc.  «  In  mandatorum  suo- 
«  rum  ».   «  Datum  Tibure,  .vii.  id.  octobris,  anno  primo  »  (2). 


CLXxiir. 

1285,  novembre  2,  Roma. 

«  Honorius  pp.  IV  mandat  quod  sex  fratres  ordinis  minoris  expe- 
<(  rientia  longa  .probati  perpetuo  in  monasterio  S.  Silvestri  ordinis 
«  sororum  minorum  inclusarum,  continue  mancant  ad  divina  officia 
«  celebranda  et  ecclesiastica  sacramenta  ministranda  ».  «  Dilectis  filiis. . . 
«generali  et...  provincie  Romane  ministris  ordinis  fratrum  minorum 
«  tam  presentibus  quam  futuris».  Inc.  «  Nuper  dilectein  Christo  filie». 
«Datum  Romeapud  S.Sabinam,.iiii.  non.novembris,  anno  primo  »(5). 

(i)  Re^.  Val.  43,  n.  cxvir,  e.  35  a,  e  cf.  Potthast,  Ri/,:!.;, 
n.  22295,  e  M.  Pkou,  Les  regislres  d' Honorius  IV,  Paris,  Thorin,  i^^8, 
n.  121. 

(2)  Re'^.  Val.  43,  n.  clxvi,  c.  46  a  ;  cf.  Potthasi-,  n.  22506,  e 
M.  Pkou,  op.  cit.  n.  170. 

(x)  Re.  ì\it.  .\],  n.  n.xxviii,  e.  50  a  ;  cf.  Potthast,  n.  22517, 
e  M.  I'kou.  op.  cit.  n.  i,S2.  I-ra  le  pergamene  del  fondo  5.  v  /■•>''•■', 
c'è  una  copia  di  t|;icst.i  lettera  (n.  i6o),  la  quale  nel  suo 
ha  la  nota  del  tempo:  «  Cardinali  de  Columpna  ».  Questa  e  dunque 
la  copia  rilasciata  ad  un  parente  dcll.i  beata  Margherita  (v.  Prefaz. 
P-  233  sgg.). 


•418  "...  V.   federici 


CLXXIV. 

1286,  luglio    18,  Canapina. 

«  Frater  Angelus  monachus  monasteri!  S.  Gregorii  [in]  W  Clivo 
«  Scauri  de  Urbe  tamquam  procurator  religiosarum  [mulierum]  (0 
((  d.  Herminie  habatisse  et...  (b)  conventus  monasterii  [S. Silvestri]  (a) 
«  in  Capite.de  Urbe  ordinis  sororum  minorum  [inclusarum]  (a)  prout 
«  de  ips.i  procurationc  public um  instrumentum  scriptum  per  [manusJW 
«  Antonani  (0  de  vìa  Lata  clerici  de  Urbe  notarli  cuius  procurationis 
«  tenor  W  die  et  consule  talis  est.  In  nomine  Domini,  amen.  Anno  &c. 
«128,6.  Religiose  mulieres  d.  Herminia  abbatissa  et ...  (b)  conventus 
«  monasterii  S.  Silvestri  in  Capite  de  [Ur]b[e]  (0  ordinis  sororum 
«  minorum  inclusarum,  constituerunt  suum  procuratorem  fratrem 
«  Angelum  monachum  rnonasterii  S.  Gregorii  in  Clivo  Scauri  de  Urbe 
«  ad  petendum  a  quibuscumque  personis  seu  locis  omnes  fructus  &c. 
«  de  quibuscumque  terris  &c.  positis  in  diversis  locis  et  vocabuHs  in 
«  partibus  Tuscie  ubicumque  et  specialiter  in  civitate . . .  ema  et  eius 
«  diocesis,  presente  fratre  Petro  de  Reate  ordinis  minorum,  magistro 
«  Alegru^o  muratore  et  Laurentlo  Andree  Carli  notarlo.  Antonanus 
«  de  via  Lata  clericus  de  Urbe  auctoritate  sacri  imperii  notarius. 
«  [Frater  Angelus]  (0  confèssus  se  habuisse  et  [rece]pisse/*)  a  presbi- 
te tero  lohanne  de  Canapina  nomine  pensionis  ecclesie  S.  Corone  et 
«  possessionum  ipsius  ecclesie,  positarum  in  pertinentiìs  castri  Cana- 
te pine  duos  soldos  paparinorum  (g)  de  quibus  procurator  fecit  presbi- 
te tero  absolutionem.  ^  Actum  hoc  in  territorio  dicti  castri  Canapine 
«  [iu]xta  (a)  rivum  dicti  castri,  coram  testibus. . .  W  de  Corgnenta  00, 
«  Viterbulo  Christofori,  Henrico  lannis,  [Io]h[anne]  0)  lanis  et  Todesco 
«  Ianni  de  dicto  castro  Canapine.  Ego  Henricus  Petri  de  Gallese 
«  imperialis  aule  ac  prefecture  auctoritate  iudex  ordinarius  et  nota- 
te rius  ». 

(a)  La  scrittura  è  completamente  svanita  in  molti  luoghi  della  pergamèna. 
(b)  Nel  testo  lacuna  con  tre  punti  (. . .).  (e)  Incerta  qui  la  forma  fra  An- 
tonini ed  Antonani;  ma  nella  procura  che  segue  il  nome  e  ripetuto  ed  e  scritto 
chiaramente  Antonanus  (d)   Dopo  la  parola  tenor^  che  appare   riscritta 

dalla  medesima  mano  del  testo,  sopra  un  luogo  abraso,  si  vede  traccia  di  una 
lettera  che  non  riesco  a  distinguere.  Forse  e  un  avan':io  della  parola  cancel- 
lata, (e)  Svanita  la  scrittura;  visibile  con  difficoltà  la  parte  superiore 
del  b  (f  )  Anche  qui  la  scrittura  è  danneggiatissima  :  la  frase  desumo  dal 
contesto  di  tutto  V  atto.  (g)  Nel  testo  pap24  (h)  Nel  testo  cognèta 
(i)  Della  parola,  quasi  interamente  svanita,   e  visibile  solo  un  h 


^I{e gesto  di  S.  Si/pesiro  de  Capite  419 


CLXXV. 

1287,  febbraio  6,  Bassanello. 

«  D.  Andreas  de  Afilo  procurator  et  ac[tòr]  (*)  constitutus  a  d. 
«  Herminia  abbatissa  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  et  d.  Sistera, 
«  d.  Barbara  et  d.  Margarita  monialium  dicti  monasterii  iure  re- 
fe novationis  dedit  Petruc^io  ed.  lohannis  Petri  lohannis  et  Domini- 
«  cu[ccio]  (a)  filio  ed.  Petruggii  Marie  W  Cutrignani  fratribus  de  castro 
«■Vassanelli  usque  in  tertiam  generationem  quoddàm  tenimentiim 
«  terrarum  dicti  monasterii,  positum  in  vocabolo  Polganelli  seu  quo- 
«  cumque  alio  nomine  censetur  tenimento  dicti  castri,  iuxta  fossatum, 
«  iuxta  viam  Collis  Avatriani,  iuxta  rem  quam  tenet  Homodéus 
«  iuris  monasterii  et  iuxta  rem  heredum  Angeli  Angelerii  iuris  mo- 
«nasterii,  quod  tenimentum  fuit  locatum  ad  Elya  ed.  abb-ate  mdna- 
«  sterii  Petro  de  Cinthio  prò  se  et  Thebaldo  fratri  suo  ex  tenore 
«  instrum«riti  confecti  per  lohannem  Petri  Basili!  riotàrìum,  tali  pacto 
«  quod  singulis  annis  redent  prò  pensione  in  festo  sancte  Marie 
«  agusti  mediam  quartarolam  grani  et  si  non  redet  in  Testo,  in  octava 
«  duplicabit.  Comjminus  .XX.  solidorum  pape  (=).  Quam  relocationem 
«  fecit  prò  .XL.  solidis  pape  »  (<=).  Pena  «  .xxv.  librarum  pape  (-=).  De 
«  hiis  preceperunt  fieri  dua  instrumenta  unius  tenoris.  Actum  est 
«  hoc  in  castro  Vassanelli,  in  ecclesia  S.  Angeli  iuris  monasterii 
«  corani  testibus  Petrucqio  Predi  qui  dicitur  Specclus,  lohanni  Appa- 
«  trini  de  castro  Vassanelli,  lacobuccio  lacobi  Miglorati  de  dicto  castro, 
«  lacobugio  lohannis  Mixinelli  et  loncula  de  Galiesio.  Christoforus 
«  de  Galiesio  S.  R.  E.  auctoritate  notarius  ad  petitionem  dicti  d. 
«  Andree  ». 

CLXXVI. 

1287,  febbraio  13  (i),  Gallese. 

«  D.  Andreas  de  Afilo  procurator  et  actor  constitutus  a  d.  Her- 
«  minia  abbatissa  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  in  Urbe  et  con- 

(a)  Un  guasto  della  pergamena  nel  suo  margine  destro  impedisce  in  parte 
la  lettura  della  parola.        (b)  \'el  testo  in        (e),  Nel.  testo  ppcj. 

(i)  Questo  documento  è  scritto  nella  medesima  pergamena  nella 
quale  e  il  precedente. 


420  V,   federici 


«  vcntu  ipsius  monasterii  ut  de  ipsius  procuratione  constat  publico 
«  instrumento  confecto  per  lohannem  Petri  Capud  Galli  iure  relo- 
«  cationis  concessìt  d.  RomangeC»)  de  castro  Vassanelli  recipienti 
«  prò  Nicolu(;?ia  Nicolai  Donadei  Veraldi  de  dicto  castro  usque 
«  in  tertiam  generationem  medietatem  prò  indiviso  lenimenti  dicti 
«monasterii  quod  dicitur  CoUicellum  tenimento  dicti  castri;  fines 
«  totius  lenimenti  sunt  prim.us  Preneta  iuris  monasterii,  ab  alio  Claune. 
«  Aliam  medietatem  dicti  tenimenti  tenent  Arnolfus  loggius  Gilii 
«  Pauli  et  alii  consortes:  quam  medietatem  supra  dictam  tenuit  iure 
«  locationis  lannuccius  Gilii  Donadei  Veraldi.  Com]minus  .xl.  so- 
«lidos  papo(b):  salvo  semper  iure  monasterii  [cui  singulis  annis 
(c  redet  prò  pensione  in  festo  sancte  Marie  agusti  unum  quartum 
«grani  et  unum  quartum  biadi  mistìcati.  Et  si  in  festo  non  sol- 
fe vet  dictam  pensionem,  in  octava  duplicabit.  Quam  relocationem 
«  fecit  prò  .e.  soldis  bonorum  denariorum  parvorum  ».  Pena  «  .x.  li- 
«  brarum  pape  (b).  De  hiis  preceperunt  fieri  duo  instrumenta  unius  te- 
(c  noris.  Acium  est  hoc  Gallesio  in  domo  Christofori  coram  testibus 
«  magistro  Thomasino  de  Orte,  presbitero  Clemente,  presbitero 
«Francisco,  Petro  lohannis  Rubei  et  pluribus  aliis.  Christoforus  de 
«Gallesio  S.  R.  E.  auctoritate  notarius  ad  petitionem  d.  Andree  ». 


CLXXVII. 

1287,  maggio  5,  Gallese. 

«  Ange[lus]  (0  Leonardi  Landulfi  de  Gallesio  (^)  clericus  eman- 
«  cipatus  a  patre  suo,  constitutus  ante  pre[sentiam]  (0  Tebaldi  Rai- 
«  nerii  et  Capgie  de  Gallesio  qui  dicuntur  viarii  communis  Gallesii, 
«  ad  bancam  cu[rie]  (f)  Gallesii  ubi  ius  reditur  more  solito  dicit  et 
«  protestatur  et  requirit  ex  parte  curie  pub[lice]  (g)  Montis  Flasconis 
«  et  Senatus  Urbis  quatinus  debea[nt  amovere  omnem  terminum  quem 
«  misisse  dicitur  Silvester  Sanis  mentis  et  magister  R[ainutius]  (^-)  mu- 
la) Nel  testo  Romanger;  ma  nel  seguito  dell'atto  e  scritto  chiaramente 
Roman(;a^  Romange  (b)  Nel  testo  ppe  (e)  La  corrosione  del  margine 

destro  della  pergamena  danneggia  la  fine  dei  righi  i-j:  qui  e  visibile  parte 
della  parola  abbreviata  Angt;  (d)  Nel  testo  de  Gallesio  de  Gallesio,  e  la 
seconda  volta  con  le  due  parole  espunte  dalla  medesima  mano  del  testo. 
(e)  Nel  testo  si  vede  soltanto  p  (f  )  Nel  testo  si  vede  soltanto  cu  della  pa- 
rola danneggiata  dal  guasto  della  pergamena;  ma  la  medesima  frase  e  ripe- 
tuta neW  escato  collo .  (g)  Guasta  anche  qui  la  pergamena.  (h)  Nel 
testo  R;  il  resto  della  parola  danneggiato  dal  guasto  della  pergamena. 


Regesto  di  S.  Silpeslro  de  Capite  421 


«ratore  quorum  presentia  nunc  de  fncili  haberi  non  potest,  in  terra 
«sua,  posita  in  Salecto,  tenimento  Gallesìi,  iuxta  viam  et  iuxta  Ta- 
ce lentum  Petri  lohannis  Girardi  et  a  pede  est  flumen.  Cumipsam 
«  terminationem  diete  terre  feccri[nt  ipso  Angelo  inrequisito  tac- 
«ceperi[nt  de  terra  [eius  tanta  que  valet  .x.  libras  paparlnorum  et 
«  plus,  Q.uam  terrani  dictus  Angelus  adserit  esse  suani  prò  emanci- 
«  patione  quam  ipse  Leonardus  pater  eius  fecit  de  dicto  Angelo  ut 
«  patet  instromento  publico  diete  emancipationis  scripto  per  Marcel- 
«  lum  notarium  de  Gallesio.  Actum  est  hoc  Gallesi!  in  platea  curie 
«  comunis  ad  bancam  curie  presentibus  abbate  Rogerio  S.  Famiani, 
«  Somao  Fortunato  et  Biasio  Odonis  testibus.  Marcellus  de  Gallesio 
«  imperiali  auctoritate  notarius  ». 


CLXXVIII. 

1287,  giugno  27(0,  Gallese. 

«  Le[onardus](b)  ed.  Landulfi  de  castro  Gallesii  dedit  in  perpe- 
«  tuum  Andree  de  Afile  recipienti  procuratorio  nomine  prò  d.  Her- 
«  minia  haba[tissa]  (e)  monialibus  et  conventu  monasterii  S.  Silvestri 
«  in  Capite  de  Urbe  .  ..W  duas  suas  petias  terrarum,  positas  in  Pan- 
ce tano  seu  Salceto  vetulo  sive  in . . .  W  tenimento  Gallesii,  una  qua- 
«  rum  posita  est...  ('^),  fines  a  pede  cuius  est  fiumen,  a  capite  via  et 
«  iuxta  rem  Talenti  Petri  lohannis  Girardi  . . .  W  . . .  [alia]  petia  est 
«  iuxta  rem  Talenti  Petri  lohannis  Girardi  (0  a  duobus  lateribus,  a 
«  pede  est  ripa  costa  et  a  capite  tenet  Laurentius  Berardi,  et  constituit 
«  suum  procuratorem  lohannem  Pacis.  Confirmaverunt  Lellus  [Leo- 
u  nardi  fìlius  et  uxor  Castellana».  Pena  «  .e.  librarum  pape  (^  ).  Actum 
«  est  hoc  in  castro  Gallesii  ante  domum  dicti  monasterii  corani  te- 
'f  stibus  Christoforo  Landi  notarlo,  lohanne  Pacis,  Nicola  ...  et  lane 
«Petri  Marci  de  Gallesio.  Sub  eodem  anno  et  indictione  et  mense 
«  augusti  die  quinto  coram  testibus  Christoforo  Landi  notano,  lohanne 
«  Raineri!  et  lacobo  Petri  Mi^^inelli  ante  domum  Gregorii  lohannis 
«  Gregorii  in  Gallese:  Angelus  filius  dicti  Leonardi  donationi  con- 
ce sensit.  Marcellus  de  Gallesio  imperiali  auctoritate  notarius  ». 

(a)  Un  guasto  della  pergamena  che  si  estende  per  i  righi  2-1}  ha  danntg- 
giato  della  data  la  parola  vlcesimo  di  cui  qui  si  vede  solo  l'iniziale  v  (b)  \'el 
tetto  e  visibile  solo  Le  di  Leonardus  (e)  La  parola  e  in  parte  danneggiata 
dal  guasto  della  pergamena.  (d)  Scrittura  illeggibile  per  il  danno  già  notato 
(e)  Quest'ultimo  patronimico  e  aggiunto,  con  un  richiamo,  dal  medesimo  notato, 
in  jine  dell'atto.         (f)  Kel  testo  ppc 


422  V.  Jederici 


CLXXIX. 

1287,  agosto  IO,  [Gallese]. 

«  lohannes  Pacis  de  Gallesio  procurator  constitutus  ab  Angelo 
«  Leonardi  Landulfi  emancip[ato]  (*)  ab  ipso  Leonardo,  et  de  ipsius 
(f  emancipatione  constat  publico  instrumento  confecto  per  Marcellum 
«  nota[rium]  W  ad  investimentum  faciendum  d.  Andree  procuratori 
«  d.  Herminie  abatisse  et  con[ventuJ  (»)  monasterii  S.  Silvestri  in 
«  Capite  de  Urbe  scriptum  per  Marcellum  notarium  investivit  pre- 
ce fatum  d.  Andream  de  quibusdam  terris  positis  in  Salecto,  teni- 
«  mento  Gallesi!,  iuxta  rem  heredum  Petri  lohannis  Girardi,  iuxta 
«  flumen  et  iuxta  viam,  Actuni  est  hoc  coram  testibus  d.  Luca  Pe- 
ce trica,  Leonardo  Vaccaglerii  et  pluribus  aliis.  Christoforus  de  Gallesio 
«  S.  R.  E.  auctoritate  notarius  ». 


CLXXX. 

1287,  settembre  2,  Vitorchiano. 

«  Coram  patre  d.  Simeone  civitatis  Balnèoregii  episcopo,  pre- 
ce sentibus  presbiter[is  Guidone  Ranallo,  lohanne  Caro  et  Trambo 
ce  clericis  castri  Vitorclani  diete  civitatis,  Andreas  de  Afilo  procurator 
ce  d.  Herminie  abbatisse  et  conventus  monasterii  S.  Silvestri  in  Capite 
«de  Urbe,  quod  cum  ecclesia  S.  Petri  de  castro  Vitorclani  sit  mater 
ce  ecclesiarum  dicti  castri  eo  quod  in  ipsa  ecclesia  homines  dicti  castri 
c(  recipiunt  baptismatum  et  sepolturam  iam  sunt  quadraginta  anni  et 
ce  ab  ipso  tempore  ipsa  ecclesia  pertineat  pieno  iure  ad  monasterium 
ce  [S.  [Silvestri,  protest[atur  et  instanter  pet[iit  prò  ipsa  abbatissa  [sibi 
ce  dari  quartam  partem  omnium  decimarum  exactarum  et  exigenda- 
cc  rum  ab  hominibus  dicti  castri  competentiarum  prò  dieta  ecclesia 
ce  S.  Petri  ex  iuribus  supradictis  et  aliis  que  [se  offer[t  probare  coram 
ce  indice  competenti  ad  cetum  (*>)  dominorum  cardinalium  et  ad  fu- 
ceturum  pontificem  et  ad  quemlibet  iudicem  competentem  appel- 
ce  l[ans  ;  ad  quam  appellationem  episcopus  respondit  quod  paratus 
ce  erat  petita  facere  si  de  iure  tenetur  hostenso  sibi  a  d.  Andrea,  et 
ce  ipse  d.  Andreas   dixit  quod  se  hostensurum  suo   loco  et  tempore 

(a)  Nel  margine  destro  (righi  i-y)  la  pergamena  e  guasta  dairumidità  e 
la  scrittura  danneggiata.         (b)  Cetù  nel  testo. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  423 


«  coram  iudice  competenti  et  de  indice  vult  deliberare  cum  dieta  d. 
«  abbatissa.  Acta  sunt  hec  in  ecclesia  S.  Marie  de  dicto  castro.  Coram 
«  testibus  Verardo  lacobi ...(»)  de  dicto  castro,  Vanne  castellano 
«castri  Corbiani,  sub  annis  d.  millesimo  ducentesimo  octuagesimo 
«  septimo,  tempore  vacationis  apostolice  sedis,  mense  septembris,  die 
«  secunda  intrante,  quintadecima  indictione.  Christoforus  de  Gallesio 
«  S.  R.  E.  auctoritate  notarius  ». 


CLXXXI. 

1288,  luglio  12,  Gallese. 


«  D.  Andreas  de  Afilo  procurator  constitutus  a  d.  Herminia  ab- 
«batissa  monasteri!  S.  Silvestri  in  Capite  de  Urbe  et  conventu  ipsius 
«  monasterii  ut  de  ipsius  procuratione  constat  publico  instrumento 
«  conscripto  per  lohannem  Peiri  Capud  Galli  notarium  iure  reloca- 
«  tìonis  concessit  Ferro  cà.  Catello(;i  de  Gallesio  recipienti  prò  Pe- 
«  trogolo  Catellozzo  et  Francisco  filiis  [eius  et  Petro  Catellini  reci- 
«  pienti  prò  Angelucio  luliano  Guictoncello  et  Leonardu^io  filiis  [eius 
«tertiam  partem  prò  indiviso  cuiusdam  petie  terre,  posite  in  voca- 
«  buio  Vasselli,  lenimento  Gallesii:  que  terra  tota  locata  fuit  Catel 
«  lo^^io  ed.  patri  ipsorum  prò  duabus  partibus  et  per  tertiam  partem 
«prò  lohanne  Petri  serfb)  Ferri;  que  tertia  pars  erat  devoluta  ad 
«  dictum  monasterium  per  mortem  Petrogoli  qd.  filii  dicti  lohannis. 
«  Fines  eius  terre:  a  duobus  lateribus  via  publica,  a  .iir.  fossatus 
«  Vasselli,  a  capite  pons  Vasselli.  Comminus  .x.  solidorum  et  singulis 
«  annis  [ipsiredc[nt dicto  monasterio  in  festo  sancteMarie  augusti  qua- 
«  tuor  dcnarios  paparenorum,  prò  centum  solidis  paparenis  ».  Pena 
«  centum  solido[rum  papareno[rum.  Actum  est  hoc  Gallesio  ante  do- 
«  mos  dicti  monasterii  quae  fuerant  Petri  Gafìlì,  coram  testibus  pre- 
«  sbitero  lohanne  Papinello  et  Petro(;(;elo  luliani  Christoforus  de 
«  Gallesio  S.  R.  lì.  auctoritate  notarius  ». 


(a)  Lacuna  nel  testo.  ,(b)  Kel  testo  una  s  minuscola  tagliata  da  una 

lìnea  ad  angolo  retto  ed  ambedue  i  segni  congiunti  in  forma  di  nesso. 


424  V.   federici 


CLXXXII. 

1289,  marzo  2,  Roma. 

[Copia  di  Bartolomeo  di  Pietro  di  Sante  del  1363,  ottobre  5]  (i). 

«  In  presenlia  venerabilis  priorls  d.  lacobi  S,  Marie  in  via  Lata 
«  diaconi  cardinalis  constitutis  viro  fratre  Philippe  abbati  monasterii 
«  S.  Andree  de  Poncano  civitate  Castellane  diocesis  et  discreto  viro 
«  Antonino  canonico  ecclesie  S.  Marie  in  via  Lata  de  Urbe,  procu- 
«  ratori  monasterii  S.  Silvestri  in  Capite  de  [Urb]e  (*)  ordinis  sororum 
«  minorum  inclusarum.  Idem  abbas  confessus  est  quod  monasterium 
«  S.  Andree  habet  titulo  locationis  a  monasterio  S.  Silvestri  loca  et 
«  res  seu  terras  infrascriptas,  positas  in  tenimento  castri  S.  Heristi 
«  eiusdem  diocesis.  Et  in  primis  quasdam  terras  seu  res  positas  in 
«  loco  qui  dicitur  Clìvanum  (b),  fines  quarum  sunt:  a  pede  est  rivus 
«  Novelli,  a  .11.  et  .111.  latere  terre  seu  res  que  fuerunt  heredum 
«  Arcionis  et  que  fuerunt  ed.  Leonis  Romanucii  Romani  et  terra 
«  quam  monasterium  S.  Silvestri  emit  a  Romano  lohannis  Segnìni 
«  et  via  et  a  .1111.  latere  est  via  et  terra  que  fuit  ed.  lohannis  Retri 
«  Leonis;  aliud  petium  terre  positum  in  eodem  loco  in  quo  est  murus 
«  antiquus,  fines  cuius,  a  .1.  latere  terra  seu  res  que  fuerunt  heredum 
<v  Arcionis  et  Leonis  Romanucii  et  terra  quam  tenet  monasterium  S.  Sil- 

(a)  Un  luco  della  pergamena  danneggia  in  parte  la  parola.  (b)  Una 
piega  della  pergamena  non  lascia  leggere  interamente  il  nome  che  però  e 
chiaro  in  n.  16^. 

(i)  Di  questo  atto  esiste  nel  medesimo  fondo  di  S.  Silvestro  una 
copia  (n.  169)  mancante  dell'autentica  nel  protocollo  iniziale 
(che  è  invece  nell'esemplare  n.  168:  «Hoc  est  exemplum  seu  tran- 
ce sumptum  cuiusdam  publici  instrumenti  cuius  tenor  per  omnia  talis 
«  est  »),  delle  firme  dei  quattro  testimonii  che  autenticano  la  copia 
di  Bartolomeo  e  della  firma  del  notaro  trascrittore  che  certamente 
non  è  lo  stesso  della  copia  n.  168.  La  trascrizione  n.  169  è  di 
poco  posteriore  all'  altra  dalla  quale  forse  deriva  :  cf.  per  ciò  il  passo 
dell'  e  s  e  a  t  o  e  o  1 1  o  (n.  1 69,  r.  32)  dove  l' amanuense  lesse  :  a  domino 
«  lacobo  de  labro  »  nel  suo  esemplare  dove  originariamente  era  scritto 
«labico»,  ma  1'/  era  abraso  e  non  si  intendeva  più  giustamente  a 
parola. 


Regesto  dì  S,  Silvestro  de  Capite  425 


<f  vestri  a  dicto  Romano  Segnini,  a.  11.  dictus  rivus  Novelli  et  a  duobus 
«  aliis  lateribus  terre  seu  res  que  fuerunt  lohannis  Petri  Leonis.  Item 
«  quoddam  aliud  petium  terre  positum  ab  alio  latere  dicti  rivi  Novelli, 
«  cuius  a  .1.  latere  terra  sive  res  que  sunt  heredum  Alexandri  et  res 
«  que  fuit  Berardi  Carleti  et  res  que  fuit  Petri  Guidoct[i]  (a)  et 
«  a  .11.  res  sive  terra  que  fuit  heredum  Luculi.  Item  quoddam  aliud 
«petium  terre  positum  in  Salecto  (b),  cuius  a  .1.  latere  res  que  fuit 
e  predictorum  heredum  Arcionis  et  res  que  fuit  Leonis  Romani  et  res 
«  eiusdem  monasterii  S.  Silvestri,  a  .11.  latere  est  fossatum  Pentume, 
«  a  .III.  res  que  fuit  lohannis  Petri  Leonis.  Item  quoddam  aliud  petium 
«  terre  positum  in  Cli[vano]  (0,  cuius  a  duobus  lateribus  vie  publice, 
«  a  ITI.  fossatum  et  a  .1111.  res  que  fuerunt  heredum  Arcionis  et  res 
<'  que  fuerunt  dicti  Leonis  et  res  dicti  monasterii.  Item  quasdam  terras 
«  posita[s]  (<:)  in  Tecano,  quarum  a  .1.  latere  res  que  fuit  heredum 
«  Egidii  Paganelli,  et  a  .11.  res  que  fuit  ed.  lohannis  Gentilis.  Item 
«  terras  et  silvas  positas  in  Monterotundo  ubi . . .  (e)  dicitur  Tusci- 
i<  lianum,  cuius  a  .1.  et  .11.  latere  vie  publice,  a  .111.  et  .1111.  latere 
«  petretum  vallis  Stephanie.  Item  quasdam  terras  et  silvas  positas  in 
«  Germanello,  quarum  a  .1.  latere  est  vallis  Trivii,  a  .11.  Claranum  («i), 
«  a  .III.  res  que  fuit  heredum  lohannis  Gregorii  et  a  .1111.  rivus  Ger- 
«  manelli.  Dictum  monasterium  S.  Andree  ex  causa  locationis  tenetur 
«  reddere  monasterio  S.  Silvestri  prò  pensione  dictarum  rerum  quo- 
«  Hbet  anno  in  festo  Assumptionis  beate  Marie  virginis  usque  ad 
«  octavam  ipsius  festi  octo  rubla  boni  grani  ad  mensuram  senatus 
«  sub  pena  .1.  libre  auri.  Actum  Rome  in  domibus  S.  Laurentii  in 
«  Lucina  ubi  idem  d.  cardinalis  morabatur  presentibus  testibus  fratrc 
<f  Girardo  abbate  monasterii  S.  Laurentii  foris  muros  Urbis,  d.  lacobo 
«  de  Labico  («)  camarario,  Petro  d.  Montanani  C^ )  de  Urbeveteri  do- 
<'  micelio  d.  lacobi  cardinalis,  fratre  Matheo  ordinis  minorum  guar- 
«  diano  S.  Silvestri,  fratre  Symone  procerio  (g)  eius  ordinis  familiari 
«  d.  cardinalis  ». 


(a)  Una  rasura  della  pergamena  impedisce  la  lettura  della  vocale  finale 
della  parola  :  in  copia  n.  16^  e  Guidocii  (b)  La  copia  ha  Salcio  (e)  La 
parola  è  in  parte  danneggiata  da  uno  strappo  della  pergamena  che  interrompi 
il  testo  nel  margine  destro  dei  righi  i)'Jj.  (d)  Nella  copia  fu.  ìb<))  si  legge 
solo  Clara  per  danno  della  pergamena.  (e)  Nel  testo  labico,  ma  V  i  e  abraso, 
e  di  esso  rimane  soltanto  il  punto.  Il  trascrittore  della  copia  (n.  ibi))  non  vide 
l'abrasura  e  trascrisse  labro  (cf.  qui  indietro  p  42.},  nota  1).  {()  Nel  testo 
Montani;  poi  la  medesima  mano  del  testo  aggiunse  sopra  la  parola,  nell'in* 
terlineo,  na;  Montanani  è  trascritto  in  copia  (n.  16^).  (g)  Così  nelle  due 
copie  :  forse  primicerio 


42^  V.   federici 


(c  lohannes  dictus  Parlator  de  Sctia  apostolice  Sedis  auctoritatC' 
«  index  et  notarius. 

«  >J<  Franciscus  Maruccioli  de  Balneoregio  iudex  ordinarius  pa- 
ci latinus  habens  fidem  huic  exemplo  seu  transumpto  per  infrascriptum 
«  Bartholomeum  d.  Petri  Sancti  notarium  fideliter  scripto  &c.  sub- 
((  scnb[it. 

«  >J<  Nicolaus  lohannis  Quccha  clvis  Romanus  imperiali  aucto- 
«  ritate  notarius  &c.  subscrib[it. 

«  >J<  Franciscus  Petri  Rosani  civis  Romanus  alme  Urbis  sacre 
«  prefecture  et  imperiali  auctoritate  notarius  &c.  subscrib[it. 

«  >J<  Petrus  Francisci  Vecchi  civis  Romanus  imperiali  auctori- 
«tate  notarius  &c.  subscrib[it. 

«  yji  Franciscus  Pucii  Romanus  civis  alme  Urbis  sacre  prefecture 
«auctoritate  notarius  &c.  subscrib[it  (i). 

«  >p  Bartholomeus  d.  Petri  Sancti  civis  Romanus  imperiali  aucto- 
«  ritate  notarius  habens  fidem  de  dicto  publico  instrumento  quod  non 
«  est  exibitum  corani  dicto  indice  palatino  scrips[it  in  presentia  d. 
«  Francisci  Maruccioli  de  Balneoregio  iudicis  ordinarli  palatini  in 
«  anno  D.  millesimo  .ccclxiii,  pont.  d.  Urbani  pp.  V,  indict.  .il, 
«  mense  octobris,  die  .v.  et  tempore  d.  Guelfi  militis  de  Pulgensi  de 
«Prato  alme  Urbis  senatoris  illustrissimi». 


CLXXXIII. 

1290,  luglio   18,  Gallicano. 

«  Petrus  de  Colupna  pape  capellanus  fihus  ed.  d.  Petri  de  Co- 
«  lumpna,  in  presentia  Nicolai  de  Penestre  notarli  institu[it  in  he- 
«  redem  Ioannem  de  Columpna  nepotem  [suuni  filium  ed.  Landulu 
«  de  Columpna  fratris  [sui  in  tota  silicet  parte  [sua  totius  castri 
«  Gallicani  ita  quod  dictus  d.  lohannes  de  hac  hereditate  se  intro- 
«  mietere  &c.  donec  .md.  florenos  infrascriptis  commissariis  et  execu- 
«  toribus  [eius  pervenire  faciat.  De  quibus  .md.  florenis  leg[at  ecclesiae 

«  S.  Andree  de  Gallicano  ubi  elig[it  sepulturam  (a) e.  florenos  auri  in 

«  tot  vineis,  ita  tamen  quod  eiusdem  ecclesie  clerici  celebrare  teneantur 

(a)  Una  macchia  della  pergamena  impedisce  qui  la  leltura  di  circa  tre 
parole. 

(r)  Le  firme  di  questi  cinque  testimoni  che  autenticano  la  copia 
sono  autografe.  Ognuno  di  questi  notari  appose  anche  il  segno  del 
tabellionato. 


Regesto  di  S,  Silvestro  de  Capite  427 


«  annis  singulis  die  silicet  lune  prò  mortuis  missam  solemnem  eidem 
«  ecclesie  S.  Andree  et  ecclesiis  S.  Lucie  eiusdem  castri  Gallicani  et 
«  ecclesie  S.  Ioannis  in  campo  Oratii  et  ecclesie  S.  Cesarei  .x.  flo- 
«  renos  auri  inter  eas  equaliter  dividendos.  Si  in  Urbe  decesser[it 
«  v[u]t  se  sepelliri  apud  ecclesiam  b.  Marie  fratrum  minorum  de  Ca- 
«  pitolio  quibus  dari  v[ult  .e.  florenos,  et  sepelliri  apud  ecclesiam 
«  [eorum;  monasterio  S.  Andree  de  Beveratica  de  Urbe  .e.  florenos; 
«  hominibus  dictorum  castrorum  Gallicani  et  S.  Ioannis  in  campo 
«Oratii  .CL.  florenos  auri  inter  eos  equaliter  dividendos;  insuper 
«  Persete  filie  cuiusdam  paupercule  de  Gallicano,  Giare  nomine, 
K  .L.  libras  provisinorum  et  unam  domum  que  valeat  libras  .x.  Insuper 
«  lohanni  de  Pulia  relinqu[it  feudum  quod  tenet  in  castro  S.  Ioannis 
«  in  campo  Oratii  liberum  et  ab  omni  servitio  absolutum.  Insuper 
«  Matthiae  ac  Landoni  fratri  [eius  adiung[it  super  eorum  feudum 
«  .VI.  rubla  terre  que  magis  eidem  feudo  sint  contigue,  a  cripta  a 
<c  parti  inferiori.  Item  servientibus  [suis  v[ult  dari  mercedem  secundum 
«  quod  [sibi  toto  tempore  servierunt.  In  toto  vero  castro  S.  Ioannis 
«  in  campo  Oratii,  Tiburtine  diocesis  cum  rocca  territorio  teni- 
'(  mento  &c.  et  casali  [suo  de  Pantano  posito  in  tenimenro  castri 
«  Gallicani  [sibi  appropriatum  per  divisionem  et  castro  S.  Cesarli 
«  inter  [se  olim  ex  una  parte  ac  dictos  nepotes  [suos  ex  altera  prò 
«  ut  apparet  publico  instrumento  iudicis  Bartholomei  lohannis  Octa- 
«  biani  de  Tibure  et  notarli  [sibi  heredem  institu[it  monasterium 
«  S.  Silvestri  de  Capite  in  Urbe,  ubi  pauperes  quedam  spiritu  moniales 
«  existunt  ita  tamen  quod  ibi  erigatur  altare  in  quo  capellanus  per- 
«  petuus  habeatur  qui  teneatur  celebrare  die  lune  prò  mortuis  ac  die 
«  sabati  prò  b.  Marie  virgine.  Preterea  dictas  deprec[atur  moniales 
«  quatenus  neptes  [eius  Bartholomeam  ffliam  Fortìsbrachie  fratris 
(f  [eius  cuiusdam  et  Angelellam  eiusdem  Fortisbrachie  filiam  natu- 
«  ralem  nec  non  et  Andream  cuiusdam  paupercule  de  Gallicano, 
<c  Gemme  nomine,  filiam  in  monacas  recipiant  et  sorores  monacari 
«si  voluerint.  De  supradictis  .md.  florenis  v[ult  in  integrum  solvi 
«omnia  debita;  prò  debitis  de  quibus  [se  constare  non  posset  relin- 
«  qu[it  .e.  florenos  auri  prò  animabus  illorum  quibus  sic  tene[tur  for- 
«  sitan  et  nesc[it;  prò  exequendo  et  solvendo  patris  [sui  qd.  Peiri  de 
«  Colupna  et  fratrum  qd,  d.  Leonis  et  predicti  Foriibrachii  testamento 
«  .ecce,  florenos,  ad  plenum  satisfieri  Bariholomee  nepti  [sue  prò 
«  parte  scilicet  [sibi  contingente  de  .oc.  libris  provisinorum  [sibi  prò 
«dote  sue  in  dicti  patris  testamento  rclictis;  insuper  ipsi  Bartholo- 
«  mee  .e.  florenos  auri;  insuper  supradictc  Angelellc  ad  plenum  sa- 
«  tisfleri  de  denariis  ac  domo  [ei  in  supradicti  patris  testamento  re- 
«  lictis  cidem[que  decem  libras   provisinorum  ;  d.   Ioanni   Petro    et 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIII.  -S 


428  F.  Jederìci 


«  Gregorio  nepotibus  [suis  ]eg[at  in  stirpes  et  non  in  capita  tertìam 
«  partem  [suam  domorum  que  in  Urbis  cum  eis  prò  indiviso  habe[t: 
K  eisdem  [que  .ce.  florenos  auri  et  emptiones  quas  feci[t  ab  [eis  de 
«  feudi s  Brigoldi  et  d.  Petri  Rabulci;  item  castellano  castri  Gallicani 
«  x.  florenos  auri,  alios  .x.  florenos  castellano  S.  Ioannis  in  campo 
«  Oratii,  et  alios  .x.  florenos  muczo  S.  Cesarli.  Item  monasterio 
«  Sublacensi  leg[at  melioramenta  quae  [est  adeptus  vel  operatus  in 
«  ecclesiis  B.  Virginis  Marie  et  S.  Pastoris  [quas  tene[t  ab  eo.  Item 
«  committ[it  bona  sua  expendenda  et  distribuenda  in  manibus  d.  la- 
te cobi  de  Colupna  et  d.  Petri  de  Colupna  S.  Marie  in  via  Lata  et 
«S.  Eustachii  diaconorum  cardinalium  ac  etiam  strenui  viri  d.  lo- 
«  annis  de  Colupna  alme  Urbis  illustris  senatoris.  Actum  in  castro 
«  Gallicani  in  palatio  dicti  d.  Petri  de  Colupna  testatoris,  presentibus 
«  testibus  magistro  Matthia  medico  de  Tibure,  muczo  S.  Cesarli, 
«  Petro  Surdi  de  Gallicano,  Vernerio  S.  Ioannis  in  campo  Oratii, 
«  Ioanne  Tinioso  de  Gallicano,  Bartholomeo  Tomasi  et  Matheo 
«  Galloppi  de  Gallicano,  Nicolaus  filius  olim  Annibaldi  Tiburtini 
«imperiali   auctoritate  notarius  de  Preneste». 


CLXXXIV. 

1291,  gennaio  18,  Orvieto. 

[Copia  di  Antonio  di  Francesco  di  Nicola  del  1361,  gennaio  27.] 

«  Nicolaus  pp.  IV  indulge[t  quod  monasteria  ordinis  sancte  Giare 
«  ad  exhibendum  procurationes  aliquas  legatis  vel  nuntiis  apostolice 
«  Sedis  sive  ad  prestandum  subvenctionem  quamcumque  vel  ad  con- 
ce tribuendum  in  exactionibus  vel  coUectis  seu  subsidiis  aliquibus  per 
«  litteras  diete  Sedis  aut  legatorum  vel  nuntiorum  ipsorum  seu  re- 
«  ctorum  terrarum  vel  regionum  quascumque  impetratas  vel  etiam 
(c  impetrandas  minime tenea[ntur  »,  «  Dilectis  in  Christo  filiabus  uni- 
«  versis  abbatissis  et  conventibus  sororum  inclusarum  monasteriorum 
«  ordinis  sancte  Giare  w.Inc.  «  Quanto  studiosius  devota  mente  ».  «Da- 
«  tum  apud  Urbera  veterem,  .xv.  kal.  februarii,  anno  .111.  Antonius  (i) 
«  Francìsci  Nicolai  de  Alatro  publicus  imperiali  auctoritate  notarius 
ce  predictum  transumptum  exemplavi[t,  et  coram  d.  Paulo  episcopo 

(i)  Nel  margine  della  pergamena  il  notaio  che  trascrisse  la  bolla 
segnò  in  forma  di  sigla  le  prime  due  lettere  del  suo  nome  A  N.  Nei 
due  fori  della  plica  è  appesa  la  hulla  ovale  di  cera  rubra  con  la  rap- 
presentazione e  la  leggenda  molto  danneggiate  dal  tempo. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capile  429 


«  Alatrino  prò  tribunali  sedente  prope  hostium  domorum  ecclesie 
«  S.  Gregorii  site  in  territorio  Alatri,  abscultavi[t  una  cum  d. 
«  Rogerio  lohannis  Bartholomei  de  Verulis,  Petro  Christiane  clerico 
«  de  Alatro  et  fratre  lacobo  de  Prenestre  de  ordine  minorum  et  in 
«  publicam  formam  redegi[t  ad  instantiam  fratris  Petri  de  Frusinoni 
«guardiani  loci  S.  Francisci  de  Alatro  de  ordine  minorum.  Actum  in 
«loco  supradicto  sub  anno  D.  millesimo  .ccclxi. ,  pont.  d.  Innocenti! 
«  pp.  VI  a.  .vili.  ind.  .xiiii.  mense  ian.  die  .xxvii.  »  (i). 

(i)  È  questa,  come  appare  dall'ultima  sua  parte, una  copia  auten- 
tica della  bolla  di  Nicola  IV  (Potthast,  n.  23528  e  arch.V 2i\.\c.  Regi- 
5/ro  45,  n.  DCLXXiiii,  e.  137  b:  nello  stesso  Registro  ^'^^  n.  ccccxxxiii, 
e.  86  A,  è  un'altra  lettera  dello  stesso  anno,  «  .111.  kal.  oct.,  a.  tertio  », 
del  medesimo  argomento,  nella  quale  si  richiama  una  disposizione 
simile  di  Clemente  IV).  Un'altra  copia  di  essa  fatta  in  Alatri,  «In 
«  Alatro,  Sancti  Sebastiani  »,  è  nello  stesso  fondo  di  S.  Silvestro, 
n.  181,  I.  Conferma  del  medesimo  privilegio  è  nella  lettera  indiriz- 
zata alle  monache  di  S.  Silvestro  da  Giovanni  XXII,  «  Sacra  vestra 
«religio»,  del  14  ottobre  1326,  data  da  Avignone,  «  datum  Avinioni, 
«  .11.  idus  oct.  a.  .x.  (arch.  Vatic.  Reg.  Avign.  24,  n.  lxxii,  c.  66  a), 
di  cui  abbiamo  una  copia  {Fondo  S.Sìlv.  n.  181,  3)  redatta  a  Napoli, 
«  In  Neapolim  in  Sancti  Corpore  Christi  ».  La  pergamena  qui  sopra 
più  volte  citata  (5.  Silv.  n.  181)  è  della  scrittura  e  pare  anche  della 
medesima  mano  del  notaio  Antonio  di  Francesco  di  Alatri  che  re- 
dasse la  copia  da  me  riportata  nel  Regesto.  Essa  contiene,  insieme 
con  quella  di  Nicola  IV,  anche  copia  di  una  lettera  di  Bonifacio  VIII, 
di  una  di  Giovanni  XXII  e  di  due  di  Alessandro  IV.  Quella  di  Ni- 
cola IV  è  la  prima  della  serie.  Le  cinque  lettere  pontificie  sono  trascritte 
senza  nessuna  di  quelle  autentiche  che  ci  permetterebbero  di  ritenerle 
copie  legali.  La  prima  bolla  di  Alessandro  IV  (n.  181,  4)  si  riferisce 
al  monastero  di  S.  Angelo  di  Terracina  dell'ordine  di  san  Damiano  e 
pare  che  non  abbia  nulla  che  fare  con  S.  Silvestro  [«  Dilectis  in 
«  Christo  filiabus  abbatisse  et  conventui  monasteri!  S.  Angeli  Terraci- 
«  nensis  ordinis  sancti  Damyanì  ».  Inc.  «  Quanto  siudiosius  divina  con- 
«  lemplacionis  ».  «  Datum  Viterbii,  .11.  kl.febr.,  a.  .iv.  »J.  Il  documento 
e  trascritto  a  Terracina,  «  In  Taraceno  S.  Angeli  ».  Circa  un  mese 
dopo  la  spedizione  di  questa  lettera,  Alessandro  conferma  il  privi- 
legio con  l'altra,  «  Devocionis  vestrc  precibus  inclinati»,  datata  da 
Viterbo  il  29  febbraio  1258  (pongo  il  29  invece  del  28  febbraio 
perchè  il  12)8  è  bisestile:  Gww ,  Manuel  de  dipìomatiqne,  pp.  152,  241, 
février,  nota),  «  Datum  Viterbii,  .11.  kl.  marcii,  a.  .iv.  »  e  trascritta 
a  Terracina,  «  In  Tarraceno  Sancti  Angeli»  (n.  181,  5).  Il  Registro 


430  V,   federici 


CLXXXV. 

1292,  decembre  16. 

«  D.  Ranuccius  Blasii  iudex,  Angelus  frater  eius,  Blasius  locgii 
«  Blasii,  Tanus  Calg[ani]  W  Maxei  ipso  Galgano  patre  suo  presente 
«et  consentiente  et  ipse  Galganus,  Buci[u]s  (i»),  Fantoncellus  Fren- 
«  tanis,  Rapìcellus  Rapigi  et  Matheus  lohannis  Octabiani  cives  (.e) 
((  Ortani  W  domini  castri  Vagnoli  vendiderunt  et  mandaverunt  discreto 
«  viro  d.  Falcone  Camagnare  civi  Orlano  (0  reverendi  patris  d.  lacobi 
«de  Columpna  permissione  doniinum  (f  )  S.  Marie  in  via  Lata  dia- 
«  coni  cardìnalis  (g)  ut  de  ipsius  procuratione  constai  per  Benencasam 
«  de  Ananio  00  notarium  castrum  totum  integrum  cum  eius  teni- 
«  mento  &c.  cum  campo  de  cisterna:  fines  tenimenti  dicti  castri  sunt 
«  tenimentum  civitatis  Ortane,  tenimentum  Gallesii  quod  dicitur. ..  (») 
«  iuris  monasteri!  S.  Silvestri  in  Capite  de  Urbe  iuxta  tenimentum 
«  castri  Vassanelli  tenimentum  ecclesie  S.  luvenalis  iuris  dicti  mona- 
«  sterii  et  usque  in  viam  Calcarle  0^)  valle  plani  et  si  quos  veriores 
«  alios  habet  fines  prò  prec^io  sex  milia  librarum  honorum  de[na- 

«  riorum] pa[piensium]  (0  in  florenis  boni  et  puri  auri  ».  Pena 

«  dupli  dicto  procuratori.  Et  Gaita  uxor  dicti  Blasii  iuramento  ab  ea 
«  prestito  corporaliter  tacto  libro  de  consensu  ipsius  viri  sui,  renun- 
«tians  iuri  ypothecarum  et  adiutori©  Velleiani  senatus  consulti  et 
«omni  alio  legitimo  iuris  et  usus  ausilio,  predicte  vendiccioni  con- 

(a)  Qui  la  scrittura  è  ahrasa  e  il  nome  non  si  può  leggere  completamente. 
(b)  Kel  testo  Bu(;ì..s;  e  nel  me:^:^o  uno  spazio  abraso  che  poteva  contenere 
una  lettera,  (e)  Nel  testo  la  parola  cives    ha  un  segno  di  abbreviazione 

sopra.  (d)  Abbr.  ony.  qui  rinterpreta^ione  e  incerta  per  danno  della  per- 
gamena; ma  la  medesima  ahbrevia'^ione  è  adoperata  piti  sotto  con  significato 
evidente.  (e)  La  frase  Falcone  -  orlano  riscritta,  sopra  luogo  abraso,  e^ 

pare,  dalla  medesima  mano  del  testo.  (f)  Abbr.  dium  (g)  Abbr.  diacoù 
card>  ;  non  si  sa  se  le  due  parole  vadano  accordate  col  reverendi  etc.  regolar- 
mente, 0  con  l'errato  dominum  (h)  Abbr.  Anan  (i)  Kel  testo  Cinciiaii 
poi  il  secondo  e  fu  corretto  in  1;  che  sia  un  errore  per  Cicilianum  ?  (k)  Kel 
testo  Caicar  (1)    Una  macchia  prodotta  da  reagente  chimico  lascia  vedere 

solo  qualche  lettera,  e  fra  le  due  parole  denariorum  e  papiensium^  dove  può 
entrare  un'altra  parola  abbreviata,  ha  distrutto  ogni  traccia  di  lettere. 

Vatic.  n.  25  (arch.  Valle.)  che  contiene  le  lettere  dell'a.  iv  di  Ales- 
sandro IV  non  registra  queste  due.  Ma  è  da  tener  presente  che  in 
questo  registro  mancano  le  ce  172-187. 


Regesto  di  S.  Sih^estro  de  Capite  431 


«  scnsit.  Promiserunt  se  facturi  et  curaturi  dicto  procuratori  ita  quod 
«  d.  lacoba  uxor  d.  Ranugci,  d.  Adelascia  uxor  Mathei  W  . . .  Actum 
«est  hoc  in  dicto  castro  Vagnoli.  Coram  testibus  d.  Petro  priore 
«  Ballevogcii,  d.  Nello  priore  S.  luvenalis,  Petro  lohannis  Nectaronis, 
«Arnolfo,  Crescio  Petri  Arnolfi,  d.  Andrea  de  Afile  et  Benencasa 
«  de  Ananio  notarlo  et  pluribus  aliis  0^) . . .  Christoforus  de  Gallesio 
«  S.  R.  E.  auctoritate  notarius  w  (0  (i). 


CLXXXVI. 

1295,  febbraio   14. 

«  Venerabilis  mulier  d.  Herminia  humills  abbatissa  monasterii 
«  S.  Silvestri  de  Capite  ordinis  sororum  minorum  inclusarum  cum 
«  consensu  et  voluntate  dominarum  Rofine,  Margarite  et  Angele  mo- 
«  nialium  dicti  monasterii  nomine  ipsius  monasterii  et  conventus 
«  eiusdem  et  prò  ipso  consentiit  venditioni  facte  a  Petro  filio  qd. 
«  Stephani  Romani  lohannis  presbitero  de  regione  Columpne  Egidio 
«  filio  ed.  Angeli  Malabrance  eiusdem  regionis  de  una  domo  cum 
«  orto  post  se,  posita  in  dieta  regione,  inter  hos  fines,  a  trlbus  late- 
«c  ribus  tenet  idem  Petrus  et  fratres  eius  iuris  dicti  monasterii,  ab  alio 
«ipse  Egidius  iuris  dicti  monasterii,  ante  est  via  publica  ut  apparet 
«  publico  insirumento  venditionis  scripto  per  [subscriptum  notarium. 
«  Hunc  autem  consensum  fecit  quod  recepit  prò  consensu  et  com- 
«  minu  ,xii,  denarios  et  prò  eo  quod  dictus  Egidius  promisit  diete 
«  d.  abbatisse  omni  anno  in  festo  saneti  lohannis  de  estate 
«  redderc  duos  denarios  prò  pensione  et  si  in  festo  non  solventur  in 
«  octavo  duplicare  promisit.  Comminus  .xii.  denariorum  ».  Testi- 
moni: «Petrus  Stephani  Boniscangni,  Saba  Laurentii  Pagani,  Frnn- 
«  ciscus  lacobi  Consolini,  Nieolaus  Laurentii  Pagani,  Johannes  ^ucka. 
«  lohannes  Laurentii  S.  R.  prcfecture  iudex  et  scriniarius  »  (2). 

(a)  Qui  la  scrittura  e  interrotta  e  prima  deìl'Actum  v'hanno  ancora  un* 
dici  righi  vuoti.  (b)  //  resto  del  rigo,  dove  sono  scritte  due  o  tre  parole, 
non  si  legge  per  danno  della  pergamena  prodotto  da  un  reagente  chimico, 
(e)  La  sottoscrizione  del  notaio  vien  dopo  due  righi  vuoti  che  seguono  VA  cium 
del  documento. 

(i)  Una  nota  sincrona  all'atto  è  nel  verso  della  pergamena 
(oltre  le  solite  riassuntive  comuni)  e  dice  «  Iste  suni  carte  Vangoli  ». 

(2)  Nel  verso  della  pergamena,  oltre  le  note  riassuntive  poste- 
riori, si  scorgono  le  tracce  di  una  nota  sincrona  che  non  si  riesce 
a  leggere,  perchè  qui  la  scrittura  è  in  parte  abrasa  ed  in  parte  sbiadita. 


432  V.  Jederici 


CLXXXVII. 

1294(1),  decembre  19. 

«  Religiosa  et  honesta  mulier  d.  lohanna  filia  qd.  nobilis  viri 
«  d.  lohannis  de  Columpna  gerens  vicem  d.  Barbare  abbatisse  mo- 
«  nasterii  S.  Silvestri  de  Capite  ordinis  sororum  minorum  inclusnrum 
«  et  d.  Herminia,  Sistera,  Mabilia  et  Egidia  moniales  dicti  monasterii 
«  locaverunt  Petro  lohannis  Nicolai  de  regione  Trivii  in  perpetuum 
«  duas  petias  terrarum  ad  pastinandum  ibidem  duas  petias  vinte  ita 
«  quod  quelibet  petia  sit  .xlv.  quarantine  (0  vituum  (b)  cum  quinta 
«  parte  trium  vascarum  vascalis  et  tini  ibidem  existentium,  positas 
«  extra  portam  Flammineam  in  proprietate  dicti  monasterii,  in  loco 
«  qui  dicitur  mons  S.  Valentin!,  Inter  hos  fines,  ab  uno  latere  tenet 
«  Johannes  Pauli  Petri  Boni  iuris  dicti  monasterii,  ab  alio  Bertellus 
«  iudex  Petri  Nicolai  Albuc<;elle,  ab  alio  ante  est  via  publica  prò  eo 
«  quod  idem  Petrus  promisit  diete  d.  lohanne  et  monialibus  a  modo 
«in  antea  omni  anno  in  kal.  mensis  madii  dare  unum  florenum  boni 
«  et  puri  auri  et  recti  ponderis  prò  pensione  et  si  in  dictas  kal.  pen- 
«  sione  non  solvetur  in  octavo  dupplicare  promisit,  et  si  post  elapsum 
«  unum  mensem  a  dicto  octavo  pensionem  Petrus  non  dupplicavcrit 
«  dieta  terra  cum  omni  suo  melioramento  ad  monasterium  revertatur. 
«  Comjminus  .v.  sollido[rum  provisinorum  per  quamlibet  petiam  terre 
«  et  vinee.  Si  in  dieta  terra  Petrus  invenerit  aurum  argentum  plum- 
«  mum  rame  stagnum  metallum  aut  bonum  lapidem  seu  pretas  va- 
«  lientes  ultra  .xii.  denarios  medietatem  dabit  d.  lohanne,  alia  me- 
«  dietas  erit  ipsius  Petri.  Petrus  promisit  omnia  supradicta  observare 
«  sub  obligatione  omnium  honorum  suorum  et  sub  pena  unius  libre 
«  boni  auri  renuntians  in  predictis  Petrus  capitulo  consuetudinum  Urbis 
(eloquenti  de  penis  conventionalibus  non  exigendis  ».  Testimoni: 
«  Laurentius  Nicolai  Romanelli,  lacobus  Nicolai  de  Trocca,  Petrus 
«  Nicolai  Ratini,  Angelus  lohannis  Triani.  Johannes  Laurentii  S.  R. 
«  prefecture  iudex  et  scriniarius  »  (2). 

(a)  Nel  testo  quaràtin         (b)  Nel  testo  vituii 

(i)  Nel  testo  «  Anno  [eiusdem:  la  parola  è  illeggibile  perchè  qui 
«  la  pergamena  è  stracciata]  incarnationis  millesimo  ducentesimo 
«  nonagesimo  quarto,  indictione  .v[ii]i.».  (Un  buco  danneggia  qui 
due  unità  del  numero,  ma  non  e'  è  dubbio  che  debba  leggersi  viii). 

(2)  Nel  verso  della  pergamena,  oltre  la  solita  nota  riassuntiva 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  433 


CLXXXVIII. 

1295,  maggio  I). 

(f  D.  Angelus  Gre[gorii]  (O  de  [Ra]ynerio  (*)  de  regione  Trivii 
«  concessit  Stefano  W  Surdo  filio  olim  d.  Petri  Surdi  presenti  et  re- 
«  cipienti  omne  [ius]  (b)  suum  quamcumque  actionem  sibi  compe- 
«  tente  &c.,  quod  et  que  ipse  d.  Angelus  nunc  habet  is:c.  contra 
«<  Alexium  0[d]donem  (e)  et  Angelum  fratres  et  filios  d.  Oddonis 
«  Cine  W  de  Surdis  ut  principales  debitores  et  eorum  bona  et 
«  contra  quemlibet  eorum  in  solidum  et  contra  d.  lohannem 
«  Solfarate,  lohannem  iudicem,  Oddonem  de  Fulco  et  heredes  et 
«  bonorum  possessores  qd  .  .  .  («)  dicti  Alexii  et  contra  quemli- 
(c  bet  eorum  in  solidum  et  bona  eorum.  Et  etiam  (f)  contra  capi- 
«  taneum  (g)  [Anjdream  baccinarium,  lohannem  Capone  00  Andree 
(c  ferrarium  et  Blasium  CanponisO)  fideiussorem  predicti  Oddonis 
«  et  contra  quemlibet  eorum  in  solidum  et  bona  eorum,  Nec  non 
«  contra  lacobum  Surdum,  Blasium  Petri  Guidonis,  Petrum  Cre- 
(f  scentii,  Slephanellum  filium  qd.  iudicis  Thome  lohannis  baccani 
«  fideiussorem  dicti  Angeli  et  contra  quemlibet  eorum  in  solidum  et 
«  eorum  bona  occasione  et  respectu  centum  fiorenorum  boni  et  puri 
«  auri  et  ipsorum  dampnorum  et  expensarum  in  quibus  dicti  princi- 
<f  pales  et  dicti  eorum  fydeiussores  et  quilibet  eorum  in  solidum  eidem 
'(  d.  Angelo  annuatim  et  quolibet  anno  dum  d.  Oddo  Cina  pater 
<f  predictorum  Alexii  Oddonis  et  Angeli  vixerit  dare  et  solvere  te- 
«  nentur  prout  apparet  publico  termino  cartule  scripte  per  Angelum 
'<  magistri  Synibaldi  notarium,  volens  quod  de  cetero  dictus  Stephanus 
«  proprio  nomine  agat  exigat  &c.  et  in  locum  [eius  recip[iat,  ipsumque 

(a)  La  pergamena  e  in  gran  parte  svanita  e  spesso  e  difficile  incerta  od 
impossibile  la  lettura  del  testo.  (b)  Kel  testo  si  vede  solo  oe  (e)  Un'abra- 
sione dannegf^ia  il  primo  d  di  Oddonem  (d)  //  C  iniziale  e  completamente 
svanito  :  ma  è  esatta  la  interpretazione  della  parola  che  nella  medesima  forma 
si  ritrova  piit  sotto  nel  testo  del  documento.  (e)    La  seconda  metà  del 

rigo  e  completamente  svanita  :  rimangono  solo  poche  tracce  di  lettere  che 
confondono  ogni  tentativo  di  interpretazione.  (f)  Nel  testo  ctj  (g)  Ntl 
testo  capita         (h)  Nel  testo  Capoc         (i)  Nel  testo  Canpofi 

posteriore,  la  mano  del  notaio  segnò:  «Instrumentum  locationis 
((  terrarum ...»  (il  resto  non  si  legge  per  il  danno  della  pergamena 
già  notato  sopra,  nota  i). 


434  ^'^'  Jederici 


«  Stephanum  in  rem  suam  dictus  d.  Angelus  procurator  constitu- 
«tLis...(0».  Pena  «diete  pecunie  duple».  Testimoni:  «  lohannes 
«  Bonihominis,  lacobellus  Romani... (b),  Nicolaus  domini  Pe[tri]  (0. 
«lohannes  Christofori  alme  Urbis  prefecti  notarius». 


CLXXXIX. 

1296,  maggio  23. 

[Copia  di  DonaJeo  di  maestro  Tommaso,  del   15 ij,  agosto   $•] 

«  In  nomine  Domini  amen.  Hoc  est  exemplum  cuiusdam  instru- 
«  menti  cum  die  et  consule  sic  dicentis:  Reliosa  W  et  honesta  mulier 
«  d.  lohanna  filia  qd.  nobilis  viri  d.  lohannis  de  Colupmne  et  d.  Her- 
«  minia  Albertina  (O,  Sistera,  Egidia,  lacoba,  Margarita  d.  Odonis(f) 
«  de  Colupmne,  F[ran]cisca  (g)  de  Afilio  et  Margarita  Francisciì  mo- 
«  niales  locaverunt  Nicolocio  Ofreducii  de  Sipicciano  usque  in  tertiam 
«  generationem  unum  petium  terre,  posite  in  plano  [c]ast[ri]  CO 
«  S.  Terengani  quod  olim  fuit ...  (0  iuxta  rem  Ferrantis  et  iuxta  rem 
«  heredum  olim  magistri  lentilis  et  iuxta  rem  magistrì  Verardi  et 
«  iuxta  ripas.  Item  unum^  alium  p[etium]  C')  terre  in  eo  dicto  plano, 
«  posite  iuxta  ripam  S.  Terentiani  et  i[uxta]  0)  viam  et  iuxta  [rem](in) 
«  Ferrantis  et  iuxta  feudum  Petri  Boni.  Item  u[num]  (n)  alium  petium 
«  terre,  posite  ad  rotam  (o)  de  Ceso,  iuxta  feudum  Villani  et  iuxta 
«  silvani  abbatis  et  iuxta  ventia  (p).  Item  et  planum  et  plagias  a...(q) 
«  Campuvallo,  iuxta  ecclesiam  S.  Cristine  et  iuxta  rem  CaniotiiCO  et 


(a)  Nella  parte  inferiore  la  scrittura  e  tanto  svanita  che  riesce  estrema- 
mente  difficile  leggerla  completamente.  (b)  Segue  un  altro  nome  di  cui  leggo 
solo  le  due  lettere  da  (e)  Nel  testo  è  visibile  solo  pe  (d)  Così  nel  testo 
per  religiosa  (e)  Incerto  se  debba  leggersi  Albertina  o  Alberana  (f)  Nel 
testo  abbrev.  Odois  (g)  Nel  testo  si  vede  solo  f  ;  le  ultime  lettere  del  rigo 
sono  svanite:  f[rà];  //  resto  della  parola  si  legge  chiaramente  nel  principio 
del  rigo  seguente.  (h)  La  parola  e  in  parte  svanita.  (i)  Nel  margine 

destro  la  pergamena  e  corrosa  in  modo  che  ne  rimangono  danneggiati  i 
rr.  8-10:  qui  si  leggono  e  con  poca  sicure^Pia  le  lettere  tasb  (k)  La  cor- 
rosione già  notata  permette  di  leggere  solo  p  (1)  Una  macchia  della  per- 
gamena danneggia  in  gran  parte  la  parola.  (;r.)  Una  macchia,  della  per- 
gamena rende  illeggibile  la  parola  che  pero  si  può  facilmente  desumere  dal 
contesto  del  documento.  (n)  La  corrosione  già  notata  nel  margine  destro 
lascia  vedere  della  parola  la  sola  lettera  iniziale.  (o)  Nel  testo  ad  rota 
(p)  Nel  testo  vètia  (q)  La  corrosione  del  margine  destro  rende  illeggibile 
la  parola.         (r)  Nel  testo  caiotij 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  435 


«  magistrum  Gentilis  et  iuxta  ripas  et  iuxta  ventiam  (a)  cum  gripta 
«  ibidem  existenti.  Hanc  autem  locationem  eidem  Nicolocio  fecerunt 
«  prò  eo  quod  dictus  Nicolocius  prom[isit]  (b)  ipsi  monasterio  a  modo 
«  in  antea  omni  anno  dare  decimam  partem  omnium  fructuum  seu  biadi 
«  dict[arum  terr[arum  et  decimam  partem  omnium  fructuum  vinearum 
«  et  omnium  arborum  existentium  in  dictis  vineis  et  quatuor  florenos 
«  boni  auri  ad  petitionem  diete  d.  abbatisse  quacumque  die  bora  sibi 
«  placuerit  et  prò  eo  quod  dictus  Nicolocius  promisit  d.  abbatisse 
<f  bine  ad  unum  annum  facere  et  fieri  facere  unam  domum  in  dicto 
«  castro  S.  Terengani  et  eam  facere  cohabitatam  sub  obligatione 
«  omnium  bonorum  suorum.  Comjminus  .XX.  solidorum  bonorum 
«  provisinorum  senatus.  Si  in  dieta  vinca  Nicolocius  invenerit  aurum 
«  argentum  plummum  stagnum  vel  metallum  aut  bonum  lapidem  seu 
«  petras  valientes  ultra  .xir.  denarios  medietas  erit  monasterii  et  alia  me- 
«  dietas  erit  Nicolocii.  Que  omnia  Nicolocius  promisit  observare  sub 
«  obligatione  omnium  bonorum  et  sub  pena  .xxv.  librarum  provisino- 
«  rum  senatus  renumptians  in  predictis  Nicolocius  capitulo  consue- 
«  tudinis  Urbis  loquenti  de  pena  conventionalibus  &c.  ».  Testimoni: 
«  Frater  Matbeus  guardianus  dicti  monasterii,  presbiter  Andreas  de 
«  Afilo,  Vanne  Nicolay  Venne  de  Viterbio,  Franciscus  Capocia, 
«...  berardi  de  Bulmartio,  lobannes  Laurentii  S.  R.  prefecture  iudex 
«  et  notarius.  Lectum  boc  exemplum  Bulmartii,  corani  domnu  Bardi 
«  Freducii,  Guido  Borgarelli,  Nallo  olim  Freducii  de  dominis  Bulmar- 
«  tii  (e)  et  magistro  Angelo  magistri  W  de  Viterbio  («)  iudex  ordinarius 
«■  sub  anno  Domini  .mcccxiii.  indie,  .x.,  tempore  d.  Clementis  pp.  quinti, 
«  die  .V.  mense  augusti.  Donadeus  magistri  To[m]assii  (f)  imperiali 
«  auctoritate  iudex  et  notarius  w. 


cxc. 

1296,    luglio    22  (g). 

(a)  Nel  tato  vèlia         (b)  Un'altra  corrosione  nel  margine  destro  dannefigia 
in  parie  la  parola.         (e)  \el  testo  But  (d)  Nel  lesto  m  (e)  Incerta 

la  interprelaiione  perchè  qui  la  scrittura  è  molto  svanita.  (f)    Un  guasto 

della  pergamena  danneggia  parte  della  parola.  (g)  La  pergamena  ha  la 

scrittura  cosi  svanita  che  non  riesco  a  trarne  un  riassunto,  pure  breve,  ma 
sicuro.  La  stessa  data  che  le  ho  assegnato  per  porla  nel  novero  delle  altre 
in  queito  Regesto  è  tolta  dal  transunto  posteriore  che  ogni  pergamena  di  questo 
fondo  ha  nel  suo  verso.  L'unico  meno  col  quale  si  potrebbe  ridar  vita 
alla  scrittura  svanita,  l'uso  di  qualche  reagente,  e  giustamente  vietato  dal 
regolamento  archivistico. 


43^  ^.  Jederìci 


CXCI. 

1298,  aprile  5  (i),  Roma. 

(c  Bonifacius  pp.  Vili  concedi[t  conventibus  sororam  inclusarum 
«ordinis  sancte  Giare  ut  possint  uti  et  gaudere  omnibus  privìlegiis 
«  fratribus  minoribus  concessis  ».  «  Dilectis  in  Christo  filiabus  uni- 
«  versis  abbatissis  et  conventibus  sororum  inclusarum  W  ordinis 
cf  sancte  Giare  ».  Inc.  «  In  sinu  Sedis  apostolice  ».  «  Data  Rome  apud 
«  S.  Petrum  non.  aprilis  pontificatus  [eius  anno  quarto». 


CXCII. 

1298,  maggio  25. 

«  Religiosa  et  honesta  mulier  d.  Systera  vicaria  venerabilis  mo- 
«  nasterii  S.  Silvestri  de  Gapite  de  Urbe  cum  conventu  et  monia- 
«  libus  dicti  monasterii  stantibus  ad  vicaria  ad  quam  consuete  sunt 
«  stare  ad  ncgotia  monasterii  exercenda  constituerunt  Oddonem 
«  lohannis  Philippi  de  civitate  Ortana  presentem  et  presbiterum 
K  Blaxium  de  Gallesio  absentem  legitimos  procuratores  ad  recipien- 
«  dum  omnes  fructus  provenctus  &c.  omnium  possessionum  et  bonorum 
«  pertinentium  dicto  monasterio  positorum  in  civitatibus  castris  et 
«  villis  existentibus  in  Tuscia  et  Gollini  et  eorum  tenimentis  et  ad 
«  concedendum  ad  laborandum  prò  uno  anno  vel  prò  duobus  ipsa 
«  bona  terras  seu  tenimenta  et  ad  pensiones  dandas  quibuscumque 
«  personis  voluerint  et  ad  promissionem  recipiendam  &c.  et  ad  pe- 
«  tendum  et  recipiendum  a  Rapiscilo  Rapici  de  civitate  Ortana  pre- 
ce dieta  .Lxxx.  libras  paparinorum  quas  dictum  monasterium  recipere 
«  debet  ab   eo  &c,  ».    Pena   «  unius   libre    auri.    Actum    presentibas 

(a)  Nel  Reg.  cil.  sororibus  inclusis 

(i)  Questo  è  il  secondo  dei  documenti  contenuti  nella  perga- 
mena n.  181  (cf.  p.  429,  nota  i),  trascritto  in  Anagni,  «In  Ana- 
ce gnie  in  Sancti  Petri  ».  La  nostra  copia  ha  la  data  «  nono  aprilis  » 
probabile  errore  per  «  nonas  aprilis  ».  E  infatti  nel  Registro  Vaticano 
di  Bonifacio  (arch.  Vat.  49,  n.  lxxxxii,  c.  20  b)  è  scritto  «Non. 
«  aprilis  »  («  nonas  aprilis  »). 


^l{egesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  457 


«  testibus  Nicolao  Omnìasancti,  fratri  W  Leonardo  lohannis  Nicolai, 
«  et  Frammarino  famulo  S.  Silvestri.  Johannes  Omniasancti  imperiali 
«  auctoritate  notarius  ». 


CXCIII. 

1299,  gennaio   17  0>). 

«  Oddo  Ioannis  Phylippi  (0  de  Orto  ut  procurator  conventus  et 
«  monasterii  S.  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  pro[curatorioj  W  nomine 
«  [di]cti(e)  conventus  locavit  ad  pastinandum  prò  bine  ad  sex  [anjnos 
«  Pastinello  Scangni  et  Vanno  Leonardi  Scangni  de  castro  Valle- 
«  rani  omnes  terras  S.  Salvatoris  super  positas  . . .  (^ )  cum  omnibus 
«  pertinentiis  et  adiacentiis  . . .  (f )  et  fruendi  et  Iaborandi  usque  ad 
a  dictum  ...  (0  quod  Pastinellus  et  Vannus  ...  (0  dictas  terras  et 
«  omnes  alias  terras  que  dictum  monasterium  habet. . .  (f)  prò  pensione 
«  omni  eorum  risico  ...  (0  ».  Pena  «  .xxv.  librarum  provisinorum  (g). 
«  Et  insuper  Pocius  Petri  Raynucii  de  Orte  fìdeiussit.  Actum  est  hoc 
«  Orte  in  platea  loci...(f),  coram  religioso  viro  fratre  Licobo  de 
«  Vallerano,  Meo  Ofreducci  de...(0,  Lello  Canneti  (i^),  Vene  et  le 
«  pelle  (h),  Salvestri  de  Orte...(f).  Leonardus  Naldi  civis  Orta- 
«  nus  . . .  (f)  alme  Urbis  iudex  et  notarius  ...»  (0. 


CXCIV. 

[Sec.  XIII  fine.] 

«In  nomine  Domini  et  estera  (i).  Fordevolia  monasterii  S.  An- 
«  dree  de  Ponzana  abbas  consensu  presbiteri  Petri  et  fratris  lohannis 

(a)  yiel  tato  fri  (b)  La  pergamena  e  straordinariamenle  svanita  e  cor- 
rosa lungo  il  margine  destro  :  il  riassunto  ne  sarà  quindi  frammentario  e  non 
sempre   sicuro.  (e)  Nel  testo  pny;  ahbrevia\ione  danneggiata  da  un  buco 

della  pergamena.  (d)  Completamente  svanita  :  si  legge  con  difficoltà  f>  (proj. 
(e)  La  prima  parte  della  parola  svanita.  (f)  Scrittura  completamente  sva- 
nita, (g)  Incerta  la  lettura  fra  papicnsium,  provisinorum,  paparinorum 
avendo  il  testo  nei  vari  luoghi  dove  la  frase  e  ripetuta  ora  pa;  ed  ora  pps 
(h)  Incerta  la  lettura  perchè  la  scrittura  e  svanita. 


(i)  La  pergamena  contiene  due  documenti,  nel  primo  dei  quali, 
dopo  r  invocazione,  manca  nel  protocollo  iniziale  la  da- 
tazione   e    nell'escatocollo,   dopo   la    corroborazione,  è 


438  V.  Jedenci 


«de  Montecilli(^)  atque  fratris  lohannis  de  CoUenena  fratrum  eiusdem 
«monasterii  monachorum  promict[it  lohannì  presbitero  de  Sardis 
(creddere  annuatlm  in  festivitate  sancte  Marie  de  agusto  vel  eius  octa- 
«  vario  (b)  octo  carrulos  de  bono  grano  sine  maliiia  ad  carrulum  se- 
«  natus  [suis  expensis  in  Romani  ad  domum  [lohannis  [presbiteri 
«  et  hoc  prò  lenimento  in  S.  Laurentio  de  Cloiano  quod  per  loca- 
«  tionem  a  monasierio  S.  Silvestri  in  Capite  habe[t.  Johannes  (i) 
«  presbiter  hac  presenti  die  propria  voluntate  sponde[t(0. 

«  Steplianus  (2)  abbas  venerabiHs  monasterii  Ss.  Stephani  et 
«  Dionisii  atque  Silvestri  quod  ponitur  cata  Pauli  qd.  pape  hac  pre- 
«  senti  die  (3)  cum  consensu  monachorum  eiusdem  monasterii  Mathei, 
«  Sergii  presbiteri,  Berardi,  Rustici  et  Stephani  iure  feudi  conced[it 
«  lohanni  presbitero  nepoli  [suo  vita  [eius  et  filiorum  masculorum 
«  tantum  totum  tenimentum  S.  Heresti  quod  vocatur  S.  Laurentius 
«  de  Cloiano  quod  tenimentum  abbas  S.  Andree  de  Ponzano  nunc 

(a)  Nel  testo  montecitt         (b)  N12I  testo  cct         (e)  Nel  testo  spondeo 


omessa  la  sottoscrizione  dei  testimoni  e  quella  del  notaio;  nel  se- 
condo manca,  nel  protocollo  iniziale  l' invocazione  e  la  da- 
tazione e  neir  escatocoUo  la  firma  dei  testimoni  e  del  notaio. 
Queste  due  copie  non  sono  dunque  autentiche  benché  appaia  chiaro 
che  il  trascrittore  trascurò  quelle  parti  essenziali  dei  due  documenti  solo 
per  risparmio  di  tempo  o  perchè  a  lui,  per  l'uso  cui  serviva  la  copia, 
interessava  soltanto  il  contenuto  degli  atti.  La  copia  è  di  una  sola 
mano  e  in  minuscola  notarile  che  può  bene  attribuirsi  agli  ultimi 
anni  del  sec.  xiii.  Dei  due  documenti  il  più  antico  è  il  secondo  e 
perchè  contiene  fatti  che  debbono  necessariamente  precedere  i  fatti 
registrati  nel  primo  e  perchè  fu  redatto  quando  nel  monastero  di 
S.  Silvestro  erano  ancora  i  monaci  Benedettini,  anteriore  dunque 
al  4  settembre  1285.  (Cf.  Prefazione,  p.  232). 

(i)  Questa  formula,  che  certo  si  riferisce  all'atto  antecedente,  è 
scritta  dopo  una  lacuna  della  pergamena  e  come  principio  della  copia 
dell'atto  seguente.  Essa  ricorda  la  datazione  nelle  parole:  «hac 
«presenti  die»,  datazione  che  doveva  essere  espressa  nel  proto- 
collo iniziale  e  che,  chi  trascrisse  l'atto,  comprese  nella  frase 
abbreviata:   «In  nomine  Domini  et  estera». 

(2)  Di  qui  comincia  il  secondo  atto. 

(5)  Anche  qui  fu  richiamata  la  data  che  doveva  trovarsi,  in 
questo  secondo  atto,  nel  protocollo  iniziale  completamente 
omesso  dal  notaio  trascrittore  dei  due  documenti. 


Q^gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  439 


«  per  monastenum  tenet  tali  tamen  tenore  ut  omne  reddit[um]  (»), 
«  quod  abbas  monasterio  annuatim  debet  de  dicto  lenimento,  [Johannes 
«  a  modo  habea[t  et  percipia[t  et  omne  ius  &:c.  [eì  conced[it,  et  si 
«  successores  [sui  noluerint  dare  [ei  omni  anno  vita  [eius  et  filiorum 
«  ceto  rugla  boni  grani  in  monasterio  S.  Silvestri,  quod  [is  tenea[t 
«  dictum  tenimentum  et  omnes  fructus  quod  [is  haberc  debea[t  an- 
te nuatim.  Hoc  [ei  da[t  prò  multis  et  bonis  servitiis  ab  [eo  iam  mo- 
«  nasterio  factis  et  a  modo  Deo  annuente  facturis.  Hec  omnia  supra- 
«  dieta  promitt[it  ratahabere  &c.  nomine  pene  .111.  librarum  auri  »(r). 

V.  Federici. 

(a)  Svanite  le  ultime  lettere  della  parola  come  tutte  quelle  che  si  trovano 
nel  fine  dei  righi  dove  la  pergamena  per  tutta  la  sua  alle::i:;_a  e  danneggiata. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena,  oltre  la  solita  nota  riassuntiva 
posteriore,  ve  ne  ha  un'altra  dei  primi  anni  del  sec.  xiv  che  ricorda 
un  procedimento  civile  iniziato  in  base  ai  due  documenti  qui  tra- 
scritti: «Die  tertio  mensis  ianuarii  .x.  indictione.  j  Assertum  et  pro- 
«  ductum  fuit  presens  instrumentum  per  Demetrium  (*)  Petrojlate  (*) 
«  notarium  syndicum  et  procuratorem  abbatisse  monialium  et  j  con- 
te ventus  monasteri!  Sancti  Silvestri  de  Capite  de  Urbe  |  coram  re- 
te verendo  in  Christo  patre  domino  confratre  dominico  \  abbate  mo- 
(.(.  nasterii  S.  Marie  de  Griptaferrata  ac  |  commissario  et  conservatore 
ftdicti  monasteri!  S.  Silvestri  j  existente  in  domibus  sue  solite  habi- 
ectationis  in  (**)  ecclesia  |  S.  Marceli!  sitis  contra  abbatem  . . .  (***) 
«  de  Ponzano  ;  Filippus  Nuciii  Venancii  (*•**)  notarius  j  dicti  domini 
«  conservatoris  et  commissari!  ». 


(*)  La  scrittura  e  svanita.         (**)  in  cancellato  e  poi  riscritto.         {***)  Una 
lettera  che  non  riesco  ad  iuterpetrare  :  forse  un  c|tiam/J  (****)  Nel  testo 

venacii  sen^a  abbreviazione. 


440  F.  Jederici 


INDICE 

DEGLI    SCRITTORI    DELLE    CARTE 


1093?,  1095?  Actitio  iudex  et  tabellio  (vii). 

1125.  Angelus  iudex  civis  Sutrinus  (xv). 

1133?,  1139.  Alexius  scriniarius  S.  R.  E.  (xvii,  xix). 

1194.  Albertus  civis  Sutrinus  et  notarius  (xliii-iv). 

1198.  Andreas  scriniarius  S.  R.  E.  (lii). 

121 2  -  1230.  Angelus  sacri  romàni  imperii  scriniarius  (i)  (lxvii-viii, 

LXXIX-LXXXII,    LXXXV-Vl). 

121 8.  Angelus  Mardonis  scriniarius  (lxxv). 

1361.  Antonius  Francisci  Nicolai  de  Alatro  publicus  imperiali  aucto- 
ritate  notarius  (clxxxiv)  (2). 

1028.  Bonifatius  scriniarius  S.  R.  E.  (v). 

. . . .  Bartholomeus  Remigli  auctoritate  sacre  prefecture  notarius  (3) 

(VI). 

mi.  Baldinus  S.  Tyburtine  ecclesie  notarius  (ix-x)  (4). 

1151.  Baldus  notarius  (xvi). 

II 94.  Benedictus  a  sacra  Sede  scriniarius  mandato  Alberti  patris  sui 
civis  Sutrini  et  notarli  (xliii-iv)  (5). 

1205.  Berardus  S.  R.  E.  scriniarius  (lix). 

1208.  Benedictus  civis  Sutrinus  a  sacra  Sede  scrlnarius  (lxiv). 

121 3.  Boamons  sacri  romani  imperii  scriniarius  (lxix). 

1231.  Benencasa  Benenterre  notarius  (lxxxvii-viii), 

1256,  1268.  Bartholomeus  FactorisS.  R.  E.  scriniarius  (cxx,  cxxxvii). 

1279.  Bonceporcis  S.  R.  E.  notarius  (clxv). 

1383.  Bartholomeus  d.  Petri  Sancti  civis  Romanus  imperiali  auctori- 
tate notarius  (clxxxii)  (6). 

(i)  Cosi  si  firma  in  tutte  le  carte  tranne  in  quella  1220,  apr.  19,  (lxxix)  :  «  Angelus 
«  sacri  imperii  scriniarius  ». 

(2)  È  il  trascrittore  di  una  bolla  di  Nicola  IV  del   1291,  genn.  18. 

(3)  È  il  trascrittore  della  carta  di  «  Dominicus  tribunus  »  del  marzo  1058. 

(4)  I  due  documenti  sono  contenuti  in  una  sola  pergamena. 

(5)  È  lo  scrittore  materiale  delle  due  carte  per  incarico  di  suo  padre  Alberto. 

(6)  È  il  trascrittore  della  carta  del   1289,  marzo  2. 


Regesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  441 


....  Cirinus  S.  R.  E.  scriniarius  (iv)  (i). 

1149.  Cirinus  S.  R.  E.  scriniarius  qd.  Ata  (xx). 

1158-  1184.  Cirinus   S.   R.  E.   scriniarius   (xxii,  xxvi,  xxviii-xxx, 

xxxii-iii,  xxxv)  (2). 
II 77.  Cinthius  S.  R.  E.  scriniarius  (xxxiv). 
1202.  Carolus  notarius  (lvii)  (3). 
1207-  1292.  Christoforus  de  Gallesio  S.  R.  E.  auctoritate   notarius 

(CLXXV-VI,    CLXXIX-XXXI,    CLXXXV)    (4). 

12 10,  12 14.  Cyrinus  Ioannis  Sassi  S.  R.  E.    scriniarius  (lxv,  lxx). 
1239.  Cosmas  filius    qd.  iudicis  romani   Cecilianus  s.  r.  i.  iudex  et 

scriniarius  (xcv). 
1251.  Christoforus  S.  R.  E.  scriniarius  (cxi). 
....  Cinthius    Petri    Cinthii    S.    R.  E.   iudex    et    scriniarius  (ix-x, 

Lxxi)  (s)-. 
1254.  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  (6)  (cxv). 
1254,  1258.  Castorius  S.  R.  E.  scriniarius  (cxvii,  cxxii-iii). 
1263,  1270.  Carlus  S.  R.  E.  iudex  et  scriniarius  (7)  (cxxix,  cxlvii). 

1058.   Dominicus  tribunus  et  Dei   gratia   iudex  et  tabellio  civis  Or- 
tana  (vi). 

121 1.  Donadeus  Frederici  Ortanus  notarius  (lxvi). 

13 13.  Donadeus   magistri  To[m]assii  imperiali    auctoritate  iudex  et 

notarius  (clxxxix)  (8). 

1164.  Egidius  scriniarius  S.  R.  E.  (xxvii). 

12 19.  Falco  S.  R.  E.  notarius  (lxxviii). 

1261,  1276.  Fatius  S.  R.  E.  notarius  (cxxvi,  clix). 


(i)  È  il  trascrittore  della  bolla  962,  marzo  8,  di  Giovanni.  Non  conoscendo  noi  il 
tempo  di  questa  copia,  non  possiamo  riscontrare  se  questo  scriniario  sia  lo  stesso  che  i 
seguenti  dello  stesso  nome. 

(2)  I  documenti  1172  (xxxii),  1175  (xxxin),  1184  (xxxv)  hanno  la  forma  «  Cy- 
'■rinus»,  ma  il    notaio  è  il  medesimo. 

(5;  È  il  trascrittore  dell'atto  del  120J,  apr.  14,  del  quale  non  è  riportato  il  nome 
del  notaio  rogatore. 

(4)  È  il  trascrittore  del  documento  1207,  marzo  j  (lx).  I  due  documenti  1287, 
fcbbr,  6,  1}  (cLxxv-cuxxvi),  hanno  l'aggiunta  «  ad  petitionem  d.  Andree  de  Afilo  pro- 
*  curatori!  ». 

(5)  È  il  trMcrittore  degli  atti  mi,  genn.  14,  e  1214,  ai  marzo. 

(é)  Lo  «tesso  scriniario  è  il  trascrittore  dell'atto  di  Giovanni  di  Cencio  del  1190, 
luglio  aj,  e  dell'atto  di  Cirino  del  1149,  dee.  a}  (xx,  xxxvii). 

(7)  In  quella  del  ia70  (cxtvn)  k  detto  solo  «  S.  R.  E.  scriniarius  ». 

(8)  È  il  trascrittore  dell'  atto  del  1396,  maggio  33,  di  «  lobannta  Laurentii  • 
(clxxxix). 


442  V.  federici 


[Sec.  XIII  fine.]  Filippus  Nucii  Venancii  notarius  d.  conservatoris  et 
commissarii  (i). 

844?  Gaudiosus  protoscrinius  S.  R.  E.  (2)  (11). 

II 56.  Guido  civis  Sutrinus  iudex  et  tabellio  (xxi). 

1234,  1252.  Gualengus  S.  R.  E.  scriniarius  (xc,  cxiiii). 

1 243-1264.  Gratianus  S.  R.  E.  scriniarius  (3)  (xcix,  cu,  cv,  cxxxii) 

1255.  Gorius  Oddonis  sacri  romani  imperii  scriniarius  (cxviii). 

1280.  GuUielmus  qd.  d.  Philipp!  filius  notarius  sacri  palatii  (clxvi) 

1159.  Henricus  S.  R.  E.  scriniarius  filius  Alexii  scriniarii  (4)  (xxxiii) 
1286.  Henricus  Petri  de  Gallese  imperiali  aule  ac  prefecture  aucto 
ritate  iudex  ordinarius  et  notarius  (clxxiv). 

962.  Johannes  episcopus  et   bibliothecarius  S.  Sedis  Apostolice  (iv) 
....  Johannes  filius  qd.  ludicis  Romani  Cecilianus  S.  R.  E.  scrinia 

rius  (5)  (xcvii). 
II 04?,  Il  19?  Johannes  iudex  et  notarius  (viii  e  cf.  Correzioni). 
II 3 8.  lohannes  scriniarius  (xviii). 
1184.  lohannes  Rainaldi  S.  R.  E.  scriniarius  (xxxvi), 
1190.  lohannes   imperialis    curie    scriniarius    Cencii    scriniarii    filius 

(xxxvii). 
119S.  lohannes  scriniarius  Tyburis  civitatis  (xlviii). 
1203.  lohannes  Scrofani  (6)  S.  R.  E.  scriniarius  (lviii). 
1214.  lohannes  S.  R.  E.  et  SS,  Monasterii  iudex  et  scriniarius  (lxxi). 
1218,  lohannes  Berardi  sacri  romani  imperii  scriniarius  (lxxiv). 
123  5-1266.  lohannes  Coni  S.  R.  E.  scriniarius  (xci,  ci,  civ,  cxxxvi). 
1249.  lacobus  Rainucii  notarius  (evi). 
125 1,  1277.  lohannes  Stefani  S.  R.  E.  iudex  et   scriniarius  (7)  (ex, 

CLX). 

1254.  lacobus  Bibiane  S.  R.  E.  scriniarius  (cxvi). 
....  lacobus  lohannis  Marchi  sacri  romani  imperii  iudex  et  scrinia- 
rius sicut  inveni[t  in  dictis  patris  [sui  (8)  (xciv). 

(i)  È  ili  un  ricordo  di  procedimento  scritto  di  mano  dei  primi  del  sec.  xiv  a  tergo 
della  perg.  cxciv. 

(2)  Per  la  realtà  storica  di  questo  «Gaudiosus»  cf.  mia  Prefazione,  pp.  246-7. 

(3)  È  anche  il  trascrittore  della  carta  di  Stefano  di  Lorenzo  del  16  apr.  1198(1.1). 

(4)  È  anche  il  trascrittore  dell'atto  di  Egidio  scriniario  1164,  dee.  7  (xxvii).     In 
questa  trascrizione  manca  la  frase  «  filius  Alexii  scriniarii  ». 

(5)  È  il  trascrittore  dell'atto  di  Cosmas,  dell'i  dee.  1242,  del  quale  è  fratello   0  qd. 
«  Cosme  scriniarii  fratris  sui». 

(6)  «  Scrofani  »  e  non   «  Stefani»  come  ho  letto  in  Regesto  (lviii),  p.  I2J. 

(7)  Nella  perg,   1277  (clx)  è  detto  invece  di  «scriniarius»,   «notarius». 

(8)  È  il  trascrittore  della  carta  del  1238,   14  marzo,  della  quale  manca  il  nome  del 
notaio. 


^I{e gesto  di  S.  Silvestro  de  Capite  443 


1256- 1273.  Johannes  S.  R.  E.  scriniarius  (cxviin,  cxxi,  cxxv,  cxxxr, 

cxxxiii-v,  cxxxviir,  cxliii,  cxlv-vi,  cxlviii-ix,  cl-i). 
1261.  Johannes  Petri  Gualteriì  S.  R.  E.  index  et  scriniarius  (cxxvii). 

1268.  lacobus  Marcelli  S.  R.  E.  scriniarius  (cxl). 

1269.  lacobus  Silvestri  S.  R.  E.  scriniarius  (cxli-ii). 

1269.  Johannes  Arleisi  sacri  palatii  Lateranensis  notarius  (cxliv). 

1275.  Joannes  Blasis  civis  Ortanus  ab  imperiali  aula  index  et  nota- 
rius (CLVIl). 

1289.  Johannes  dictus  Parlator  de  Setia  apostolice  Sedis  auctoritate 
iudex  et  notarius  (clxxxi). 

1293-1296.  Johannes  Laurentii  S.  R.  prefecture  iudex  et  scriniarius 

(CLXXXVI-VII,    CLXXXIX). 

1295.  Johannes  Christofori  alme  Urbis  prefecti  notarius  (clxxxviii). 

1298.  Johannes  Omniasancti  imperiali  auctoritate  notarius  (cxcii). 
13  18.  Johannes  Laurentii  Angeli  de  Urbe  auctoritate  S.  R.  prefecture 

notarius  (iv)  (i). 
....  Johannes  Mardonis  S.  R.  E.  scriniarius  (2)  (lxxv). 

955.  Leo  notarius  regionarius  atque  scriniarius  S.  Jl.  E.  (3)  (ni). 

962.  Leo  scriniarius  S.  R.  E.  (3)  (iv). 

1233.  Lucas  sacri  romani  imperii  iudex  et  scriniarius  et  modo  no- 
tarius d.  Johannis  Cinthii  potestatis  Ortani  (lxxxix). 

1263.  Laurentius  Albarani  sacrosante  ecclesie  Ravennatis  notarius 
(cxxx). 

1299.  Leonardus  Naldi  civis  Ortanus  alme  Urbis  iudex  et  notarius 
(cxciii). 

955.  Marinus    episcopus    Polimartiensis    ecclesie    et    bibliothecarius 

summe  Sedis  apostolice  (ni). 
125 1,  Mardo  Johannis  iudicis  Mardonis  S.  R.  E.  scriniarius  (cxii). 
1287.  Marcellus  de  Gallesio  imperiali  auctoritate  notarius  (cLXXvii- 

CLXxvin). 
1297.  Mattheus  Bartholomaci  Nicolai  auctoritate  alme  Urbis  prefecti 

iudex  ordinarius  atque  notarius  (4)  (lx). 

II 69.  Nicolaus  S.  R.  E.  scriniarius  (xxxi). 

1219.  Nicolaus  S.  R.  E.  iudex  et  notarius  (Lxxvn). 


(i)  È  il  trascrittore  della  copia  di  Cirino  della  bolla  di  Giovanni  XII.  Mancando 
la  copia,  non  sappiamo  se  qnesto  e  il  medesimo  degli  altri  Giovanni. 

(a)  È  il  trascrittore  del  documento  di  Angelo  di  Mardone  del   i8  nov.   iai8. 

(})  Mancandoci  gli  originali  di  questi  due  atti,  non  possiamo  riscontrare  se  i  due 
Leoni  sono  una  stessa  persona. 

(4)  È  il  trascrittore  dell'altro  esemplare  (fondo  S.  Silv.  n.  58)  che  possediamo  del* 
l'atto  di  Tebaldo  del  1207,  marso  }. 

Archivio  della  li.  Società  romauit  di  storia  patria.  Voi. -\.\III.        29 


444  ^*  J(^àerici 


1227.  Nicolaus  Petrì  Romani  per  alme  Urbis  prefectum  notarius 
(lxxxiii). 

J236.  Nicolaus  Andree  Stephani  de  Rufino  sacri  romani  imperii 
scriniarius  (xcii). 

1259,  1274.  Nicolaus  Romani  Angeli  lohannis  Pauli  S.  R.  E.  scri- 
niarius habens  iudicialem  potestatem  (cxxiv,  cliv). 

1274.  Nicolaus  bullarius  scriniarius  camere  Urbis  (cliii). 

1274.  Nicolaus  Benvenuti  Acti  auctoritate  Sedis  apostolice  index  et 
•notarius  (clv). 

1290.  Nicolaus  filius  olim  Annibaldi  Tiburtinì  imperiali  auctoritate 
notarius  de  Preneste  (clxxxiii). 

^277.  Omniasanctus  S.  R.  E.  index  et  notarius  (i)  (ni), 

1194.  Petrus  Malegalie  S.  R.  E.  scriniarius  (xlv). 

1207.  Petrus  Malaeci  S,  R.  E.  scriniarius  (lxii). 

1243.  Petrus  de  Gallese  imperiali  auctoritate  notarius  (e). 

1275-1282.  Petrus  Pauli  auctoritate  apostolica  scriniarius  (clvi,  clxii, 

CLXIV,    CLXVIl-VIIl). 

1275.  Petrus  Simeonis  scriniarius  S.  R.  E.  (clviii). 

1162.  Rainerius  index  (xxv). 

1218-1250.  Romanus  Angeli  sacri  romani  imperii  scriniarius  (lxxvi, 
Lxxxiv,  xeni,  CVIIl), 

1191  -  1200.  Stephanus  Laurentii  bibliothecarius  sacri  romani  imperii 
index  et  scrinarius  (xxxviii-ix,  XLVi-vii,  xlix,  li,  liii-iv)  (2). 

1194.  Sanguentinus  Ortensis  notarius  civitatis  Ortane  helectus  per 
prefectum  Urbis  (xl). 

1201.  Sanguentinus  S.  R.  E.  scriniarius  (lv-vi). 

1217.  Stefanus  S.  R.  E.  scriniarius  (lxxiii). 

1242.  Semivivus  sacre  aulle  imperialis  scriniarius  (xcvi). 

1116.  Tebaldu  index  et  notarius  (xiii). 
1124.  Tebaldus  index  et  tabelio  (xiv). 
1194.  Tebaldus  sacri  palatii  notarius  (xlii). 
1198,  1208.  Tebaldus  S.  R.  E.  scriniarius  (L,  lxiii). 
1207.  Thebaldus  sacri  palatii  notarius  de  mandato  d.  Veraldi  vice- 
comitis  Vitorclani  (lx). 


(i)  È  il  trascrittore  della  bolla  di  Agapito  del  2j   marzo  955. 

(2)  L'atto  del  27  agosto  I191  (xxxvm)  ha  la  leggenda  «  Stephanus  Laurentii  sacri 
et  romani  imperii  dativus  iudex  et  scriniarius».  Nell'atto  5  febbr.  1198  (xlix)  manca  il 
titolo  di  «  bibliothecarius  ».  Nell'atto  H98,  apr.  16  (li),  è  detto  «  bibliotecarius  et  iudex  ». 


Regesto  dì  S.  Silvestro  de  Capite  445 

1242-1252.  Thomas  Obicionis    sacri    romani  imperii  iudex  et  scri- 

niarius  (i)  (xcviii,  cui,  cvii,  cxiii). 
1274.  Te[bal]lus  Petri  auctoritate  apostolica  notarius  et  nunc  nota- 

rius  castri  (Vaxanelli)  (cm). 

. . . .  Verardus  notarius  (2)  (lvii). 

1262.  Ypolitus  sacri  romani  imperii  iudex  et  scriniarius  (cxxviii). 


(i)  Il  documento  del  1246,  genn.  14,  marzo  4  (cui),  lia  1'  aggiunta  «  scriniarius 
«  habens  iudicialem  potestatem  ». 

(2)  È  il  trascrittore  della  copia  di  Carlo  il  quale  alla  sua  volta  ha  copiato  l'atto 
del  1202,  apr.  14. 


446  V.  federici 


CORREZIONI 


Nella  prefazione  al  mio  Regesto  (XXI,  251),  ho  affermato  non 
esattamente  che  fra  le  varie  indizioni  è  preferita,  in  questi  documenti, 
quella  del  gennaio,  solo  poche  volte  quella  del  settembre.  Per  chia- 
rire r  inesattezza  pubblicherò  presto  in  questo  medesimo  Archivio  una 
nota  intorno  alla  indizione  dei  documenti  privati  romani  dei  se- 
coli X  e  XI. 

Pergg.  Ili,  IV,  V,  VII,  XI,  xiv.  La  frase  «  In  sacratissima  (al.  sa- 
«  gratissima)  sede  b.  Petri  Apostoli  »  che  fa  parte  nel  protocollo 
iniziale  della  formula  adoperata  dai  pontefici  nelle  bolle  per  de- 
signare r  anno  del  loro  pontificato,  è  stata  per  svista  posta  nel  «  Da- 
«  tum  »  del  nostro  Regesto. 

Perg.  vili  (Fond.  S.  Silv.  5).  La  pergamena  è  danneggiata  spe- 
cialmente nel  protocollo  iniziale  dove  la  datazione  non  è 
nemmeno  completa  mancando  l' anno  di  governo  di  Enrico  e  di 
Pasquale:  «  I[n  nomine  djomini  salv[atori]s  nostri  lesu  [Chrìsti]  im- 
«  perante  domino  Henrico  gratia  Dei  corona[to]  temporibus  domi[ni] 
«  P[asc]hali  I[IJ  (0  pape  in  mense  decembrio  indictione  tertiade- 
«  ci  [ma]  (*)  ». 

Il  pontificato  di  Pasquale  II  va  dal  13  agosto  1099  al  21  gen- 
naio 1118.  Il  regno  di  Enrico  V  dal  1099  al  1125.  In  questo  pe- 
riodo di  tempo  l' indizione  xiii  del  settembre,  1'  unico  dato  di  con- 
fronto che  abbiamo  in  questa  carta  per  determinarne  l' anno,  cade 
il  1104  («temporibus  domini  Paschali  II  pape»),  e  il  1119  («im- 
«  perante  domino  Henrico  gratia  Dei  &c.  «).  La  data  del  documento 
rimane  dunque  incerta  fra  il  1104  ed  il  11 19. 

Perg.  XVII.  In  questo  documento  la  datazione  nel  proto- 
collo    iniziale  ha  la  scrittura    svanita    nel    principio    del  rigo  2 

(i)  Ho  messo  in  questa  datazione  fra  parentesi  quadra  tutte  le  parole  facilmente 
sostituibili  nei  luoghi  danneggiati  dal  guasto  della  pergamena.  Qui  del  nome  del  papa  si 
vede  il  p  iniziale:  segue  una  rasura  che  occupa  lo  spazio  di  un' a  corsiva  (tó  :  che  tale 
è  la  forma  di  questa  lettera  adoperata  nel  documento)  ;  poi  si  vede  la  curva  superiore 
della  1"  minuscola,  della  e,  quasi  interamente  la  h  e  tutte  le  tre  lettere  finali. 

(2;  È  ancora  visibile  la  prima  asta  della  m  e  la  curva  di  destra  della  (i)  corsiva. 


^geslo  di  S,  Silvestro  de  Capite  447 


dove  è  r  indicazione  del  mese.  II  dott.  Brigiuti  del  R.  Archivio  di 
Stato  mi  avverte  gentilmente  che  invece  di  «  mense  iulii  »  come 
aveva  interpretato  io,  si  potrebbe  leggere  «  mense  ia[nua]rii  )). 

Ma  anche  ammessa  la  correzione  ì  dati  cronologici  di  questa 
carta  rimangono  discordanti,  a  meno  che  non  debba  attribuirsi  allo 
scriniario  Alexius  l'uso  di  segnare  l'anno  dal  1°  gennaio,  come  ge- 
neralmente facevano  nella  cancelleria  papale  per  le  bolle  di  Inno- 
cenzo II.    Cf.  De  Mas-Latrie,   Trésor  de  Chronologie^  col.  11 13. 

Nella  compilazione  del  Regesto  mi  sono  sfuggite  alcune  tavole  ri- 
prodotte, dalle  pergamene  di  S.  Silvestro,  nel  II  volume  (Mon.  pa- 
Uogr.   di  Roma)  deWArchivio  paleografico  italiano  del  Monaci   e  che 
ora  indico  qui,  completando  le  note  già  date  ai  singoli  luoghi. 
Perg,  XXXIV  riprodotta  in  Arch.  pai.  II,  tav.  24. 

»       LIV  »  »  »      2). 

»      xc  »  »  »     26. 

»      e  vili  »  »  »     27. 

»      cxxii  »  »  »     28. 


STUDII 

SUL 

PONTIFICATO  DI  CLEMENTE  XI 

I7OO-I72I 
(Continuazione  e  fine;    vedi    voi.   XXIII,   p.  239) 


VII. 


Disposizioni  di  Clemente  XI  per  la  campagna  del  17 17.  —  Il  ge- 
nerale Schoulembourg  e  il  cardinal  segretario  di  Stato.  —  Altre 
elargizioni  del  pontefice  a  Carlo  VI  per  incitarlo  alla  guerra.  — 
Preparativi  dell'  Austria  in  Ungheria.  —  La  doppia  condotta 
dell'  Alberoni  per  conseguire  il  cappello  cardinalizio.  —  Girar- 
dellieDaubenton.  —  Si  vieta  all'Aldrovandi  di  entrare  in  Spagna, 
fino  a  quando  il  papa  non  concede  la  porpora  ali'  Alberoni.  — 
Il  nunzio  Bentivoglio  e  Pietro  il  Grande.  —  La  squadra  spa- 
gnola salpa  da  Cadice. 

L'esito  della  campagna  precedente,  ed  in  ispecie  delle 
operazioni  marittime,  consigliò  nuove  disposizioni  a  Cle- 
mente XI  per  Tanno  17 17. 

Elaborato  di  proprio  pugno  un  questionario  (i),  lo  sot- 
topose air  esame  di  una  congregazione,  radunata  il  28  set- 
tembre 171(3,  alla  quale  intervennero,  fra  i  cardinali,  il 
Paolucci,  il  Tanara,  lo  Spinola,  il  Casoni,  il  Corsini,  il 
Patrizi,  l'Imperiali,  e  l'Orighi;  e,  fra  i  prelati,  il  Marefo- 
sebi  auditore  di  Sua  Santità,  il  D'Aste  commissario  del 
mare,  il  Molara  commissario  delle  armi,  ed  il  segretario 
Iknchieri. 


(1)  Misceli  di  Cletiieiità  XI,  211.  L' originale,  di  mano  del  papa, 
è  da  p.  227  a  p.  251;  l.i  copia,  da  p.  235  a  239. 


450  J.  Tometli 


T  quesiti  furono  cinque:  i*"  Che  può  fare  il  papa  colle 
sue  forze  in  Levante,  e  occorrono  all'uopo  altre  galee  e 
vascelli  pontificii  ?  2°  Che  bisogna  fare  per  la  difesa  della 
spiaggia  ecclesiastica  dell'Adriatico  ?  quante  navi  nel  porto 
di  Ancona?  oltre  la  spiaggia,  devesi  anche  presidiare  l'in- 
terno colle  corazze  mandate  da  Roma  e  colle  truppe  distac- 
cate da  Ferrara  e  dal  Forte  Urbano?  3°  Quale  sussidio 
dare  all'  imperatore  per  l'anno  venturo  ?  4**  Come  conte- 
nersi coi  Veneziani  ?  5°  Come  contenersi  cogli  Spagnoli, 
coi  Portoghesi  e  cogli  altri  ausiliarii? 

Fu  deciso:  i**  Bastare  pel  Levante,  nella  futura  cam- 
pagna, quattro  galee; 'le  altre  due  lasciarle  a  Civitavecchia 
per  la  difesa  di  quella  spiaggia.  I  vascelli  avevan  costato 
troppo  e  servito  poco,  perciò  licenziarli.  2°  Disarmare  i 
legni  che  avevan  guardata  la  spiaggia  adriatica;  licenziare 
i  legni  liparotti,  le  due  tartane  e  gli  altri  noleggiati.  Richia- 
mare le  corazze  a  Roma;  rimandare  i  presidii  a  Ferrara  ed 
al  Forte  Urbano.  Fare  a  meno  di  armata  terrestre  in  quelle 
parti,  per  Tanno  venturo;  tener  pronti,  invece,  a  salpare 
un  vascello  e  quattro  galeotte.  3°  NelT  anno  corrente  erano 
state  assegnate  all'imperatore  le  decime  ecclesiastiche  su 
tutti  i  suoi  dominii  oltramontani,  e  inoltre  cinquecento - 
mila  fiorini.  Di  questi,  essendosene  versati  quattrocento- 
mila, e  gli  altri  centomila  non  essendo  pronti,  non  dare 
altro  denaro,  ma  estendere  le  decime  sui  beni  ecclesiastici 
del  Regno  di  Napoli  e  dello  Stato  di  Milano  (i).  4°  Ai 
Veneziani  concedere  pel  nuovo  anno  il  solito  sussidio  di 
centomila  scudi  d'oro  sopra  i  beni  ecclesiastici  dei  loro  do- 
minii. 5°  Accettare  l'offerta  di  far  restare  in  aspettativa  in 
qualche  porto  del  Genovesato  le  navi  spagnole,  essendo 
fallito  il  tentativo  coli'  Austria  per  farle  svernare  nel  porto 
di  Napoli  (2). 

(i)  Si  vedrà  in  seguito  come  questa  decisione  venne  mutata, 
elargendo  altri  sussidi,  per  la  prosecuzione  della  guerra. 

(2)  Fin  dal  luglio  precedente,  il  nunzio  Spinola,  a  seconda  delle 


Si  udii  sui  poni  ideato  di  Clemente  XI        451 


Malta  avrebbe  dato  il  solito  soccorso;  si  era  sicuri  che 
Genova  e  il  granduca  di  Toscana  avrebbero  fatto  lo  stesso. 
Ai  Portoghesi,  piena  libertà  di  restare  in  qualche  porto 
d'Italia  o  di  tornarsene  a  Lisbona,  nulla  temendo  dello 
zelo  di  re  Giovanni,  che  per  la  campagna  futura  aveva 
acquistati  appositamente  alcuni  vascelli  in  Olanda  (i),  e 


istruzioni  ricevute,  aveva  tentato  di  ottenere  dalla  corte  austriaca  il 
permesso  di  far  ricoverare  nel  porto  di  Napoli  la  squadra  spagnola, 
quando  fosse  tornata  da  Corfù.  Si  rivolse  allo  Starembergh,  tenuto 
in  gran  conto  da  Carlo  VI  ed  intimo  del  principe  Eugenio:  «...gli 
«  dissi  altresì  »,  narra  lo  Spinola,  «  che  quando  egli  stimasse  che  avesse 
«potuto  facilitare  l'assenso  dell'imperatore  se  i  detti  legni  fossero 
«  entrati  ne'  porti  con  lo  stendardo  pontificio,  essi  in  tal  caso  non 
«  avrebbero  avuto  difficoltà  d' inalberarlo  ;  e  per  ultimo  gli  misi  in 
«  considerazione  che  attesa  la  nota  neutralità  stipulata  in  Utrecht, 
«  mi  sembrava  non  potesse  difficoltarsi  1'  accesso  nei  porti,  massime 
«  nei  casi  di  qualche  urgenza  ».  Lo  Starembergh  trovò  la  missione 
assai  scabrosa,  «  massime  appunto  »,  avevagli  risposto,  «  che  si  trat- 
te tava  d'  un  ricovero  da  darsi  nel  regno  di  Napoli,  ove  era  noto  pur 
«  troppo  che  vi  restavano  dei  parziali  per  la  corte  di  Madrid  ».  Aveva 
inoltre  suggerito  al  nunzio  «  che  non  parea  conveniente  che  N.  S. 
«  prendesse  parte  ed  impegno  in  questo  affare  »  {Nim:(iat.  di  Germania, 
256,  lettera  del  25  luglio  1716)  Come  non  aveva  permesso  che  Cle- 
mente XI  accettasse  soccorsi  terrestri  da  Filippo  V,  così  ora  Carlo  VI 
dava  un'altra  prova  della  sua  diffidenza  verso  la  Spagna:  diffi- 
denza, anche  questa,  non  priva  di  fondamento,  come  gli  eventi  di- 
mostrarono. 

Citeremo  in  seguito,  e  a  tale  riguardo,  una  lettera  dell'  Albe- 
roni  del  15  settembre  1716  all' Aldrovandi  in  Roma,  colla  quale  gli 
comunica  che  i  vascelli  spagnoli  sverneranno  nel  Genovesato  {Misceli, 
(li  Clementù  A7,  216,  p.  7). 

(i)  Misceli,  di  Clemenle  A7,  21 1,  p.  222,  lettera  originale  del  re 
di  Portogallo,  Lisbona,  4  luglio  17 16:  «...Logo  que  recebi  a 
«  carta  e  breve  de  V.  S.<*  em  que  me  participava  o  risco  a  que  se 
«  achava  exposta  a  Igreja,  relHgiao,  e  a  sua  santissima  persòa,  cuidey 
«  seriosamente  em  succorrer  a  V.  SA*  com  o  major  numero  de  na- 
«  vios  que  me  fosse  possivel,  e  por  \r\o  ter  ncstcs  Heynos  os  quo  de- 
<f  zejava,  por  se  liaver  cxperimcniado  no  Rio  de  Janeiro  a  perda  de 
«  una  esquadra,  e  acharse  ouira  no  BraziI,  para  comboyar  as  frotas, 


452  J.  T* ometti 


che,  ottenuta  la  mutazione  della  cappella  regìa  in  chiesa 
patriarcale,  si  mostrava  deferentissimo  verso  il  pontefice  (i)- 
Dalla  sola  lettura  di  queste  disposizioni,  è  facile  intuire 
che  era  di  molto  scemata  la  preoccupazione  di  Clemente  XI. 
11  dado  ornai  era  tratto.  Carlo  VI,  impegnato  con  tutte  le 
sue  forze  in  Ungheria,  non  sarebbesi  ritratto  dall'  impresa 
senza  prima  infliggere  alla  Turchia  gravi  perdite;  Vene- 
zia, fiancheggiata   dagli    alleati  procuratile  dalla  perseve- 

tc  alem  das  naos  de  guerra,  que  em  margo  partirao  para  a  India,' 
«  havendo  tambem  a  guerra  do  Norte  embara^ado  a  condu^ao  dos 
«  materiaes  necessarios  para  se  acabarem  as  que  se  achao  no  estal- 
«  ciro,  para  satisfazer  ao  meu  ardente  zello  de  succorrer  a  Igreja,  e 
«  ao  filial  amor,  que  professo  a  V.  SA^,  mandey  logo  solicitar  a 
«  compra  de  alguns  navios  em  Inglaterra  e  Holanda  para  que  succorro 
«fosse  iqual  ao  meu  dezejo...». 

(i)  La  richiesta  del  re  di  Portogallo,  di  mutare  la  cappella  pri- 
vata del  suo  palazzo  in  chiesa  patriarcale,  urtava  contro  gravi  osta- 
coli, come  quello  di  una  giurisdizione  separata  dall'arcivescovado  di 
Lisbona.  In  vista  dei  soccorsi  ottenuti,  e  più  ancora  per  gli  altri  da 
ottenere,  Clemente  XI  ricorse  all'espediente  di  considerare  Lisbona 
divisa  in  due  parti:  l'orientale  e  l'occidentale.  Alla  prima  assegnò 
l'antico  arcivescovo;  alla  seconda,  il  nuovo  patriarca,  che  ebbe  pre- 
rogative e  privilegi  come  quello  di  Venezia,  La  bolla  fu  sottoscritta 
e  spedita  il  22  ottobre  17 16,  natalizio  del  re,  perchè  il  papa  (dice' 
r  Ottieri,  op.  cit.  VII,  119)  era  «  attentissimo  a  certe  minute  ri- 
«  flessioni  »,  E  i  ministri  portoghesi  in  Roma,  che  avean  fatto  pompa 
di  grandi  ricchezze  (tanto  che  le  monete  d'  oro  dette  lisbonine  erano 
comunissime  in  Roma)  per  sollecitare  la  grazia,  ottenutala,  vollero 
accrescerle  fastigio,  facendo  suggellare  la  bolla  non  con  piombo,  ma 
con  oro  finissimo. 

Due  mesi  dopo,  il  14  dicembre,  il  papa  faceva  scrivere  al  nunzio 
in  Portogallo,  perchè  re  Giovanni  apparecchiasse  i  vascelli  pel  nuovo 
anno,  non  tanto  per  i  sussidi  concessigli  sopra  gli  ecclesiastici  de' 
suoi  dominii,  ma  «■  principalmente  per  mostrar  gratitudine  della  straor- 
«  dinarissima  et  essorbitantissima  gratia  fatta  con  erigere  in  patriar* 
«  cato  la  sua  regia  cappella  »  {Misceli,  di  Clemente  XI,  216,  pp.  13-16). 
Nello  stesso  volume,  da  p,  9  a  11,  trovasi  una  copia  di  lettera  del 
papa  al  re  del  Portogallo,  con  correzioni  di  pugno  di  Clemente  XI, 
sullo  stesso  argomento. 


Si  udii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        453 

rante  politica  del  papa,  non  poteva  più  disperare  della  vit- 
toria, e  risorgendo  il  suo  dominio  sulle  coste  levantine 
(quale  antemurale  contro  gli  Ottomani),  sarebbe  tornata 
la  tranquillità  sulle  coste  pontificie;  la  Spagna,  il  Porto- 
gallo e  gli  ausiliarii  minori  avevan  quasi  contratto  un  obligo 
morale  nella  prima  spedizione,  sia  verso  la  Cristianità 
e  verso  i  cattolici  dei  propri  paesi,  sia  verso  il  pontefice, 
che  abbiamo  visto  come  generosamente  profondesse  e  sus- 
sidi e  benefizi  e  onori.  Non  era  a  dubitare  che  gli  eventi 
si  sarebbero  svolti  a  seconda  dell'  impulso  ricevuto,  e  che 
la  vittoria  avrebbe  arriso  alle  armi  cristiane. 

Mai  prima,  dopo  la  giornata  di  Lepanto,  la  politica 
estera  vaticana  aveva  toccato  un  successo  più  completo, 
facendo  assorgere  la  potenza  del  papato  ad  arbitra  quasi 
delle  sorti  di  Venezia  e  di  Costantinopoli.  E  infatti,  chi  può 
prevedere  quali  sarebbero  stati  i  risultati  di  quella  lotta,  se 
essa  si  fosse  svolta  come  era  stata  iniziata,  senza  la  tur- 
bolenta intromissione  d'  un  alto  prelato  die  ne  arrestò  il 
corso  nel  punto  migliore  della  sua  esplicazione? 

Benché  adunque  Clemente  XI  fosse  più  tranquillo  al- 
l'aprirsi  del  1717,  pure  non  intiepidì  dalle  solite  insistenze 
presso  le  corti  di  Vienna  e  di  Madrid.  Le  istruzioni  man- 
date ai  nunzi  racchiudevano  un  ardito,  ma  sicuro  piano 
strategico:  affrontare  il  nemico  in  Ungheria,  prima  che 
la  primavera  gli  permettesse  di  portarvi  nuove  forze;  adu- 
nare le  squadre  cristiane  dinnanzi  ai  Dardanelli,  prima  che 
ne  uscissero  le  navi  ottomane  (i). 

(i)  Veggansi,  ad  esempio,  questi  due  brani  di  lettere  dello  Spi- 
nola al  Paolucci  : 

«  Ho  partecipato  al  sigr  principe  Eugenio  le  promesse  che  dalle 
a  corti  di  Madrid  e  di  Lisbona  vengono  fatte  a  N.  S.  di  voler  man- 
«  dare  ciascuna  dr  loro  dodici  vascelli  di  linea,  e  la  speranza  che  si 
«  ha,  atteso  le  gran  premure  che  Sua  SM  andava  loro  facendo,  d'un 
«  soccorso  tanto  considerabile  sia  per  unirsi  nell'  ncque  di  Corlù  nel 
«  bel  principio  della  campagna,  acciò  rinforzati  li  signori  Veneti  da 


454  J'  Torneiti 


La  sagacia  del  nunzio  Spinola,  gì' ingenti  soccorsi  tri- 
butati e  le  vittorie  in  Ungheria  lo  facevan  sicuro  che 
il  progetto  sarebbe  accolto  dall'Austria;  i  componenti  la 
camarilla  della  corte  spagnola,  nella  quale  il  Daubenton 
e  l'Alberoni  erano  potentissimi  e  non  ambivano  che  in- 
graziarsi il  papa,  dovevano  facilitare  lo  stesso  compito 
presso  FiUppo  V.  Restava  a  scrutare  il  pensiero  intimo 
del  Senato  veneto:  una  sfinge  terribile,  chiusa  in  una  dop- 
piezza imperscrutabile,  e  tanto  più  temibile  verso  i  suoi 
alleati  quanto  più  propizia  volgeva  per  essa  la  fortuna  : 
i  ricordi  delle  repentine  paci  tra  Venezia  e  la  Turchia 
erano  un  monito  da  non  trascurare. 

In  mancanza  di  meglio,  Clemente  XI  cercò  di  gua- 
dagnarsi Tanimo  del  conte  Schoulembourgh,  un  protestante 
sincero  quanto  valoroso  soldato,  e  nel  quale  il  Governo 
della  repubblica  riponeva  ogni  fiducia.  Alcune  lettere  da 
noi  rinvenute,  testimoniano  che  lo  Schoulembourgh  era 
in  relazioni  amichevoli  con  personaggi  della  corte  romana, 
come  ne  fa  fede  una  lettera  del  cardinale  Gualterio  al  papa, 
nella  quale  gli  narra  di  aver  ricevuto  minuziose  informa- 


«  queste  squadre  e  dall'altre  ausiliarie  siano  in  stato  non  solo  d' ini- 
«  pedire  ogni  intrapresa  che  possa  idear  V  inimico,  ma  pensare  al- 
«  tresi  ad  agire  offensivamente,  rimostrandogli  in  ultimo  che  tutto 
«  ciò  averebbe  obligati  i  Turchi  a  dividere  le  loro  forze,  onde  l'A  S. 
«  avrebbe  avuto  maggior  campo  di  far  spiccare  il  suo  valore  con 
«nuovi  acquisti  in  Ungheria...»;  Nuii:{iat.  di  Germania,  257,  let- 
tera del  13  marzo  171 7. —  «  È  ben  proprio  del  zelo  con  cui  N.  S.  pro- 
te  muove  i  vantaggi  del  Cristianesimo,  le  sollecitudini  [che]  si  dà 
«  perchè  le  squadre  ausiliarie  di  Spagna  e  di  Portogallo  si  trovino  uni- 
re tamente  all'armata  veneta  nell'acque  dei  Dardanelli  prima  che  possa 
«  uscire  da  essi  quella  dei  Turchi,  poiché  in  tal  caso,  o  sarebbe  la 
«nemica  obligata  a  combattere  con  molto  svantaggio,  o  resterebbero 
«  liberi  tutti  li  Stati  cristiani  dal  timore  d'ogni  insulto  di  quei  bar- 
«  beri,  oltre  il  vantaggio  d'  obligarli  anche  in  tal  forma  a  tenere  un 
«  grosso  numero  di  soldatesche  in  quelle  parti  per  propria  difesa. ..  »; 
ivi,  lettera  del  3  aprile  171 7. 


Sludii  sul  pontificalo  di  Clemente  XI        455 

zioni  suir  assedio  di  Corfù  dal  predetto  generale,  che  scri- 
veva anche  di  recarsi  in  Roma,  tornando  dall'isola  a  Ve- 
nezia (i).  Tre  lettere  dello  Schoulembourgh  ce  lo  mostrano 
in  più  intimi  rapporti  col  segretario  di  Stato  Paolucci. 
Scritte  da  Venezia  nei  primi  due  mesi  del  17 17,  esse  ri- 
specchiano la  situazione  militare  generale,  e  le  preoccupa- 
zioni per  la  prossima  campagna.  Per  Y  importanza  dell'ar- 
gomento di  cui  trattano,  e  per  le  notizie  d'indole  politico- 
militare  che  racchiudono  (le  quali  difficilmente  potrebbero 
ricavarsi  da  altra  fonte),  stimiamo,  piuttosto  che  riassu- 
merle, riprodurre  testualmente  quei  brani  di  esse,  che  più 
fanno  al  nostro  soggetto  (2);  non  senza  mancare  di  avvertire 

(i)  Il  Gualterio,  ricevuto  in  udienza  dal  papa  la  mattina  del 
7  ottobre  1716,  mandava  una  lettera  al  pontefice  nel  pomeriggio  dello 
stesso  giorno  «  da  casa  »,  accludendovi  quella  dello  Schoulembourgh 
a  lui  diretta.  Dalla  lettera  del  Gualterio  appare  che  la  sua  relazione 
col  generale  datava  da  parecchio  tempo.  Misceli,  di  CUtmni&  A7,  215, 
pp.  486-4^8.  (È  da  avvertire  che  nel  voi.  cit.,  dopo  la  lettera  del 
Gualterio,  non  v'  è  quella  dello  Schoulembourgh). 

(2)  Le  lettere  mancano  dell'  indirizzo,  ma  questo  si  rileva  dal- 
l'indice  del  voi.  216  della  Misceli,  di  Clemente  XI.  Per  altro,  il  con- 
tenuto e  la  forma  non  lasciano  alcun  dubbio  che  esse  fossero  indi- 
rizzate al  segretario  di  Stato.  La  firma  è  di  pugno  dello  Schoulem- 
bourgh. Dalla  prima  (voi.  cit.  p.  58  sgg.)  appare  che  egli  risponde 
ad  una  lettera  del  Paolucci,  circa  le  previsioni  sulla  campagna  fu- 
tura. Premette  grandi  lodi  per  Clemente  XI,  che  stima  «  comme  un 
«  des  plus  grands  papes  »;  e  aggiunge:  «  Il  est  vrai  que  je  suis  hé- 
«  rétique,  mais  je  prétends  étre  un  de  plus  raisonables,  et  qui  entre 
«  très  bien  en  tout  ce  qui  regarde  la  cause  commune,  et  par  con- 
«siquentla  chrétientée...».  Spera  di  venire  in  Roma  nella  prima- 
vera per  trovarsi  «  aux  pieds  de  Sa  Sainteté...  ».  Poi  entra  in  ar- 
gomento. 

Selon  mes  dernières  lettres  de  Vienne  les  Turcs  sont  fort  occupés  k  ajuster 
leurs  affaires  et  à  les  mettre  en  état  pour  pouvoir  agir  ofTcnsivemcnt;  par  on 
ils  auront  bien  plus  d'avantage  quo  lorsqu'ils  se  tiendroient  sur  la  dcftnsi^c  ; 
par  la  première  demarche  on  donne  la  loy,  au  lieu  qu'on  la  rccoit  en  se 
tenant  sur  la  defensive. 

Les  infidèles  à  ce  qu'on  m'assure  font  construire  phisieurs  nouvcaux 
vaisseaux;  ils  sont  nuit  et  jour  après  pour  mcltre  Belgr.id  cn  meillcur  ctat  de 


456  J.  ^ometti 


però  che  lo  Schoulembourgh  non  ci  sembra  sincero,  perchè 
i  timori    eh' egli  manifesta  sui  pericoli  che  stava  per  cor- 

dcfense,  se  servant  en  cette  demarche,  comme  ils  ont  fait  en  d'autrej  rencontres 
la  campagne  passée,  des  moyens,  que  les  plus  habiles  ont  consideré  comme 
des  secrets  du  metier,  et  ils  content  d'avoir  deux  cent  mille  hommes  contre 
l'empereur,  quatre  vint  mille  moitié  pour  observer  les  Moscovites,  moitié  en 
Valachie  pour  soutenir  Cho^in  et  resister  au  corps  des  troupes  de  l'empereur 
de  ce  coté  là,  vint  mille  contre  la  Dalmatie  et  sòixante  mille  pour  l'attaque 
de  Corfu,  sans  ce  qu'ils  auront  sur  leur  flotte,  ce  qui  fera  ensemble  quatre 
cent  mille  hommes  tant  bons  que  mauvais  qu'ils  sont  en  état  de  mettre  sous 
les  armes  pour  embarrasser  leurs  ennemys,  tout  ceus  nous  doit  éveiller  en 
Italie  sans  se  flatter,  comme  òn  a  fait  par  le  passe  de  n'avoir  pas  toutes  les 
Ibrces  sut  le  bras,  ils  pourroient  méme  faire  quelque  chose  de  plus,  s'ils  se 
mettoient  en  téte  de  disputer  et  de  chicanner  aux  imperiaux  le  terrain  derrière 
la  Save,  que  je  connois  ayant  été  au  premier  siège  de  Belgrad,  non  obstant 
que  Mauro  Cordato  soit  pris  et  qu'il  se  trouve  entre  les  mains  des  imperiaux. 
Les  Turcs  auront  une  flotte  formidable  conduite  par  un  fort  habile  liomme, 
on  a  vu  ses  belles  manoeuvres  à  nos  depens  et  avec  grand  regret  la  campagne 
passée,  il  sera  difficile  de  determiner  ce  qu'il  voudroit  entreprendre  contre 
nous;  le  coups  fatai  sera  toujours  de  nous  eniever  l' isle  et  la  place  de  Corfu; 
le  reìte  seroit  toujours  plus  hasardeux  et  plus  embarrassant  pour  eux,  méme 
il  ne  menerait  à  rieu  d'essentiel  sans  avoir  le  port  de  Corfu  pour  y  faire 
rester  leur  flotte  hyver  et  été,  et  je  ne  sais,  quand  ils  seroient  une  fois  maitres 
de  cette  place,  qui  les  en  rechasseroit  si  facilement  et  toute  T  Italie  seroit 
desormais  à  tous  momen?  exposée  à  leur  invasion.  Mais  jusque  là  ils  n'ose- 
roient  songer  de  faire  des  descentes  de  conséquence  en  Italie  ni  de  s'avancer 
vers  l'Albanie  ou  vers  la  Dalmatie  sans  risquer  beaucoup  avant  que  de  n'avoir 
pas  battu  notre  flotte.  On  travaille  icy  de  son  mieux  à'remedier  à  tant  d'incon- 
vénients,  la  guerre  étant  icy  par  la  grande  distance,  transport  sur  mer  et  par 
la  séparation  des  Etats  tout  d'une  autre  nature  que  par  tout  ailleurs,  et  que 
je  trouve  que  la  Ser.me  République  a  fait  une  espèce  de  miracle  après  avoir 
été  surprise  et  après  les  troupes  et  les  tresors  qu'elle  a  perdu  en  Morée 
d'avoir  mis  en  mer  une  flotte  considérable  et  une  armée  capable  de  se 
defendre.  Si  Sa  Saint.é  a  la  bonté  de  porter  le  auxiliaires  à  venir  joindre 
cette  année  icy  notre  force  maritime  plutót  que  l'année  passe,  et  que  tout 
les  vaisseaux  sont  d'une  force  et  grandeur  à  pouvoir  entrer  dans  le  cordon, 
on  pourroit  que  moins  sé  flatter  avec  fondement  de  resister  aux  tentatifs  et 
au  progrès  des  infidèles,  si  on,  je  ne  scais,  si  on  ne  sera  pas  exposé  à  tout  ce 
quo  les  infidèles  voudroiént  faire  de  nous;  je  sais  que  Sa  Saint.é  a  fait  des 
depenses  extraordinaires  l'année  passée,  Votre  Em.ce  est  trop  illuminée  pour 
n'ètre  pas  informée  à  fond  en  quel  état  les  armées  ont  été  de  part  et  d'autre, 
et  de  tout  ce  qui  s^est  passe  de  plus  remarquable  ;  ainsi  qu'il  seroit  superflu 
d'entrer  plus  en  détail  la  dessus. 

Elle  scaura  sans  dout  aussi  que  les  afi^aires  en  Europe  sont  peutétre  plus 
ou  autant  embrouillées  que  jamais.    Le  système  etant  méme  changé  en  bien 


Sludii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        457 


rero  lo  Stato  ecclesiastico  per  gli  straordinari!  armamenti 
della   Turchia  destano   il  sospetto  che   egli,  per  favorire 

des  endroits,  c'est  ce  qui  me  fait  croire  que  nous  aurons  des  révolutions,  et 
que  les  premières  épagnes  en  pourroient  peutétre  éclater  vers  le  nord,  ces 
.choses  icy  demandent  sans  doute  l'attention  de  S.  M.  Imp.,  qui  pourra  en 
avoir  des  distractions  et  des  diversions  méme  pour  ne  pas  étre  en  son  pouvoir 
d'employer  la  plus  grand  partie  de  ses  forces  contre  les  infidèles,  nous  en 
aurions  toujours  d'autant  plus  d'embarras  du  coté  du  Levant,  il  me  semble 
qu'il  sera  sagement    fait    de   se    précautionner   en  toutes  manières  envers  et 

contre  tout  ce  qui  pourrait  arriver  de  plus  facheux 

Dans  la  Q.uarantaine  le  2  de  janvier  1717. 

Monseigneur  de  Votre  Eminence 

le  plus  humble  et  tres  obéiss.  servif 

Comtc  de  Schoulembourgh. 

La  seconda  (voi.  cit.  p.  66  sgg.)  è  anche  in  risposta  ad  una  del 
Paoluccl  del  4  gennaio  17 17. 

...  On  continue  de  mander  de  Vienne,  que  les  Turcs  font  des  préparatifs 
cxtraordinaires  pour  faire  une  vigoureuse  campagne;  ils  sont  sans  doute 
informés  de  la  situation  des  afFaires  de  la  plus  part  des  Etats  de  l'Europe,  ils 
auront  des  amys,  qui  les  serviront  de  leurs  avis  et  conseils,  c'est  ce  qui  nous 
doit  animer  sans  doute  d'étre  sur  nos  gardes  et  à  nous  mettre  de  bonne 
heure  en  état  à  ne  rien  craindre  de  quelle  manière  que  les  affaires  puisscnt 
tourner,  ce  qui  ne  pourroit  janiais  étre  effectué  avec  une  sureté  suffisante,  si 
les  vaisseaux  des  auxiliaires  ne  viennent  pas  joindre  à  temps  la  flotte  de  la 
République. 

On  travaille  icy  nuit  et  jours  pour  tenir  pronipt  l'armement  de  mer  vers 
lemois  d'avril,  on  espère  d'avoir  trente  vaisseaux  de  guerre,  ce  qui  est  une 
fofce  considérable,  et  qui  ne  craindra  pas  ù  combattre  celle  des  Turcs,  mais 
V.  E.  s^ait  à  quels  accidens  une  force  inférieure  est  toujours  exposée  à  celle 
qui  la  surpasse  de  beaucoup,  outre  que  le  capit.  Bassa  est  sans  contredit  très 
habile  hommc. 

Il  est  sur  que  personne  pourra  micux  procurer  cette  sureté  si  desirée  que 
Sa  Sainteté,  disposant  les  souverains,  afìn  qu'ils  mandent  leurs  vaisseaux  à  temps. 

Quant  au  cerémoniel  je  puis  assurer  V.  E.,  que  je  me  suis  informe  la 
dcssus  chez  S.  E.  Delfino  cydevant  capit.  general,  et  chez  plusieurs  autres, 
sans  cependant  faire  connoitre  la  raison  de  vouloir  le  s^avoir. 

Ils  ro'ont  tous  assurés  qu'il  n'y  avoit  la  dessus  aucune  difficulté  entre  la 
/lotte  vcniticnne  et  les  cscadres  des  auxiliaires;  que  le  sudit  capit.  general 
Delfino  s'étoit  entendu  la  dessus  avec  les  auxiliaires  sans  aucun  embarras,  et 
que  l'année  passée  on  avoit  agi  avec  cux  d'une  manière,  que  tous  ces  naes- 
sieurs  avoient  été  contens  . . . 

J'ai  fait  avant  mon  depart  de  Corfu  toutes 4es  dispositions  nécessatres  par 
rapport  aux  fortifications,  et  le  Sénat  vicnt  de  donner  un  ordre  précis  que 
tout  mon  projet  doit  étre  cxccuté  vers  le  niois  d'avril  ;  si  cela  te  fait  comme 


458  J.  Tonni t ti 


gli  interessi  di  Venezia,  allarmasse,  più  del  convenevole, 
la  corte  di  Roma. 

j'espère,  le  corps  de  la  place  de  Corfu  avec  ses  dehors  sera  en  assez  bon  état. 
L'isle  de  Vido  sera  occupée  par  plusieurs  fortins,  et  à  mon  retour  au  Levant 
j'y  ajouterai  encor  quelque  chose,  qui  ne  mancherà  pas  comme  j'espère  d'em- 
barrasser  les  Infìdèles  en  cas  d'attaque  ;  mais  comme  ceite  place  doit  sans 
doute  étre  regardce  comme  le  boulevard  de  tonte  l'Italie  contre  les  Ottomans, 
et  que  la  République  non  obstant  les  pertes  considérables  en  Morée  fait  des 
depenses  extraordinaires,  il  me  semble  qu'il  seroit  assez  juste  qu'on  nous 
assistàt  de  son  mieux.  La  République  est  obligée  de  transporter  jusqu'à  la 
moindre  chose  par  mer  d'icy  a  Corfu,  on  voit  journellemeat  les  pertes  et  les 
accidens  facheux  de  transports  par  le  golfe;  Elle  paye  tres  chèrement  les 
troupes  suisses  et  celles  d'Allemagne  ne  content  pas  peu  aussi,  sans  les  quelles 
on  ne  S(;auroit  pourtant  faire  cctte  guerre.  La  grande  mortalité  de  la  milice 
au  Levant  cause  des  dommages  et  des  pertes  considérables,  la  séparation  des 
Etats  et  qu'on  est  obligé  d'entretenir  bon  nombre  des  fortresses  en  Dalmatie 
et  en  Albanie,  outre  ce  grand  armement  de  mer,  tout  cela  ensemble  servant 
pour  couvrir  V  Italie  aussi  bien  que  de  se  defendre  eux  mémcs  devroit  porter 
leurs  voisins  à  les  assister  puissamment,  car  si  jamais,  à  Dieu  ne  plaise,  leur 
flotte  recevroit  quelque  echcc  considérable,  les  Turcs  ravageroient  sans  doute 
l'Etat  ecclésiastique  jusqu'aux  portes  de  Rome,  et  abimeroient  le  royaume  de 
Naples;  je  laisse  à  juger  à  V.  E.  qui  est  si  eclairée  dans  les  afFaires  publiques, 
ne  sachant  méme  assez  admirer  de  quelle  manière.  Elle  détaille  tonte  chose 
par  ces  lettres  pas  seulement  en  ministre  consommé,  mais  en  grand  general, 
si  on  ne  doit  pas  remuer  ciel  et  terre  pour  faire  venir  les  vaisseaux  auxiliaires 
à  temps  en  contribuant  méme  quelque  chose  pour  pousser  les  fortifìcations  de 
Corfu  avec  vigueur. 

Il  s'agirà  cette  campagne  de  trop,  et  il  pourroit  couter  cher  à  l'Italie, 
si  on  hésite  à  agir  à  temps  et  surtout,  comme  il  est  à  craindre,  si  les  Turcs 
s'avisent  à  se  mettre  sur  la  defensive  en  Hongrie,  et  qu'ils  nous  attaquent  de 
bonne  heure  avec  des  grandes  forces.  Il  est  sur  que  si  notre  flotte  n'est  pas 
supérieure  à  celle  des  Infidèles,  et  que  l'on  n'eit  pas  en  état  à  se  defendre  a 
Corfu  un  tres  long  temps,  et  à  resister  en  Dalmatie  et  en  Albanie,  nous 
pourrions  courrir  risque  d'étre  surèment  enblutés  quelque  part . . . 
Venise  le  23  de  janvier  1717. 

Monseigneur  de  Votre  Eminence 

le  plus  humble  et  tres  obéissant  servit. 

Comte  de  Schoulembourgh. 

Anche  la  terza  (voi.  cit.  p.  72  sgg.)  è  in  risposta  ad  una  del 
Paolucci  del  30  gennaio.  Egli  è  sempre  più  conquiso  dalle  attenzioni 
della  corte  di  Roma. 

...  V.  E.  sait  que  les  gens  de  guerre  reglés  et  philosophes  qu'ils  puisscnt 
étre  ne  se  trouvent  jamais  excmpts  de  tonte  vanite,  voicy  la  mienne  entiè- 
rement  satisfaite;  mais  sans  center  sur  la  bonté  particulière  dont  V.  E.  m'ho- 


Studii  sul  pontificalo  di  Clemente  XI        459 

Da  Vienna  lo  Spinola  mandava  buone  notizie  sulla  ri- 
presa delle  ostilità  ;  e  tutte  le  sue  lettere  e  gli  avvisi  in  esse 

nore,  jc  serois  plus  qu'embarrassé  de  luy  écrire,  sachant  que  mes  lettres  ont 
le  bonheur  de  paroitre  quelquefois  devaat  lej  yeux  du  St.  Pere,  mais  comme 
je  me  suis  entièrement  devoué  à  V.  E.  je  la  laisse  faire,  et  je  la  suppHe  seu- 
lemcnt  de  vouloir  disposer  de  moy  en  toutes  manières,  je  luy  repond  d'une 
obéissance  toute  entière  et  d'une  discrétion  à  toute  épreuve  ,  .  . 

Le  carneval  n'a  pas  peu  cause  de  distractions  dans  les  esprits  d'icy,  je 
l'ai  souhaité  mille  fois  fini,  si  j'étois  moins  agé,  j'en  aurois  sans  doute  vu 
la  fin  a\ec  autant  de  regret  que  plusieurs  autres,  je  n'ai  pas  laissé  de  pousser 
les  préparatifs  de  mon  mieux,  on  fait  et  on  fera  quoiqu'un  peu  tard  tout  ce 
qui  sera  humainement  possible  dont  je  puis  repondre  à  V.  E.,  mais  comrae 
la  depense  en  est  cxcessive,  je  ne  doute  point  qu'on  ne  se  trouve  quelquesfois 
bien  embarrassé  pour  remedier  et  pourvoir  à  tout  aussi  prompteaent  qu'on 
le  souhaiteroit  ;  s'il  m'est  permis  de  dire,  comme  je  pense,  il  me  semble, 
qu'il  seroit  juste,  que  toute  l'Italie  contribuàt  aux  fraix  d'une  si  juste  guerre. 

La  Ser.me  République  perd  déjà  en  cette  guerre  icy  bien  près  de  qua- 
rante  mille  hommes,  je  laisse  à  juger  à  V.  E.,  si  l'empereur  et  le  roy  de 
France  sont  en  état  de  soutenir  à  proportion  de  pareilles  depenses. 

On  a  encore  à  l'heure  qu'il  est  vint  milles  soldats  au  Levant  et  dix  mille 
en  Dalmatie  et  Albanie;  il  est  vray  qu'il  y  en  a  deux  à  trois  mille  malades, 
mais  on  est  après  à  lever  du  monde  à  force  de  toutes  parts,  ainsi  que  j'espère, 
qu'on  sera  en  meilleur  état  que  l'année  passée  ;  outre  qu'on  tachera  de  mettre 
trente  vaisseaux  de  guerre  en  état  d'entrer  en  mer  le  mois  d'avril,  si  avec 
cela  les  auxiliaires  vouloient  les  venir  joindre  à  temps,  on  pourroit  étre  sur 
contre  les  entreprises  des  infidèles  et  peutètre  pourroit  on  agir  quelque  part 
ollensivement.  Non  obstant  tout  ce  que  je  viens  de  dire,  je  dois  remarquer 
icy,  qu'on  auroit  grand  tort  de  se  trop  flatter,  tout  ceux  dependant  plus  que 
d'un  ressort,  outre  tandis  que  les  infidèles  auront  un  armement  de  soixante 
vaisseaux  de  guerre,  la  République  et  toute  l'Italie  doit  étre  allarmée. 

Les  Turcs  s'ils  n'avoient  pas  l'esprit  de  conquéte  se  garderoient  bien  de 
faire  une  si  grande  depense  par  mer  pour  couvrir  leurs  Etats,  ce  qu'ils  pour- 
roient  faire  tres  certainement  avec  vint  vaisseaux  par  raport  aux  ports  et  à  la 
situation  du  royame  de  Morée  et  de  l'Archipel,  à  quoi  vient,  que  comme  ils 
pcrdent  considérablement  du  coté  de  l'Hongrie,  ils  ne  se  pourroient  jamais 
mieux  de  dommager,  ni  nous  embarrasser  d'avantage,  qu'en  se  rendant  maitrcs 
de  l'isle  et  de  la  place  de  (-orfu.  Avant  mon  depart  de  là  j'ai  fait  toutes  Ics 
dispositions  nécessaires  pour  pousser  Ics  ouvrages,  ce  que  le  Scnat  a  ordonné 
d'icy  très  cxprcssémcnt,  cepcndant  le  mauvais  temps,  et  que  les  matériaux 
n'abondcnt  jamais  de  ce  coté  là,  ne  laissent  pas  de  Ics  rctardcr  toujours,  pour 
cet  effet,  je  n'en  retournerai  le  plutót  que  jc  pourrai  au  Levant,  et  je  me 
flattc  pour  peu  que  j'aye  le  nécessaire,  que  si  l'cnvie  prcud  aux  Turcs  de 
revenir  une  seconde  fois  à  attaquer  l'isle  et  la  place  de  Corfu,  ils  rencontre- 
ront  bien  plus  de  diffìculté  que  la  première  fois . . . 

Je  n'entre  point  cn  deuil  des  places  de  Dalmatie   et  Albanie,    il    n'y  a 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIII.         >0 


4^0  /.  Torneiti 


inclusi  nei  primi  di  queir  anno,  offrono  una  messe  abbon- 
dantissima di  particolari  sui  preparativi  dell' Austria  (i). 
Agli  ufficiali  superiori  dell'esercito  erasi  ordinato  dì  rag- 
giungere i  loro  reggimenti  pel  primo  di  aprile  ;  e  alle 
truppe  già  radunate,  di  marciare  alle  frontiere,  ove,  tra  rap- 
presaglie ora  in  Croazia,  ora  in  Transilvania,  il  conte  di 
Herbestein  aveva  munito  validamente  il  forte  di  Waradin. 
Le  voci  di  pace  eran  sopite;    il    Fleschmann,  recatosi    a 


par  moyen  de  remedier  présentement  à  bieu  des  défauts,  ccs  deux  provinces 
ont  leurs  avantagcs  et  desavantages,  Ics  Turcs  auront  de  la  peine  d'agir  en 
mème  temps  au  Levant  et  en  ces  deux  provinces,  pourvù  qu'on  mette  ensemble 
et  qu'on  tienne  prét  ce  qui  a  été  arrété  et  dispose  icy,  si  on  ne  gagne  pas 
gres,  du  moins  j 'oserai  assurer,  qu'on  ne  perdra  pas  grande  chose  non  plus; 
mais,  monseigneur,  vous  n'écrivés  pas  seulement  en  ministre  accompli  mais 
encore  en  vray  general,  ainsi  vous  savez  mieux  que  personne,  qu'en  paireilles 
rcncontrcs  et  selon  la  situation  des  affaires  par  icy,  on  conte  souvent  sans  son 
hóte,  du  moins  soyez  persuade  que  je  n'aurois  rien  à  me  reprocher  en  au- 
cune  manière. 

Ce  qui  se  passe  à  Vienne,  comme  partout  ailleurs  V.  E.  en  est  mieux  in- 
formée  que  mei,  le  monde  a  été  et  sera  toujours  de  mème,  cependant  selon 
les  apparences  il  y  aura  du  bruit  et  du  remuement  en  plus  d'un  endroit;  ce 
qui  se  flattent  d'obtenir  la  paix  avec  la  Porte  ou  cette  campagne  ou  l'hyver 
prochain  pourroient  devenir  juste,  mais  le  cas  est  bien  casuel,  cela  dependra 
en  partie  du  succez  de  la  campagne  et  des  influences  de  quelques  autres 
Puissances,  dont  une  partie  par  plus  d'une  raison  pourroit  ètre  plus  pour 
que  contre  la  Porte  ;  elle  pourroit  mème  avoir  des  amys  qui  l'assisteront  de 
leurs  avis.  et  conseils.  On  se  prépare  à  Vienne  de  faire  le  siège  de  Belgrad, 
je  ne  sais,  si  c'est  tout  de  bon  ou  si  on  ne  choisit  un  outre  point  de  vue, 
qui  pourra  embarrasser  les  infìdèles  tout  autant  et  rendre  ensuite  la  prise  de 
cette  place  plus  facile;  je  serais  quasi  du  sentiment  que  la  paix  avec  la  Porte 
se  fera  sans  que  l'empereur  aura  Belgrad  ou  le  retiendra,  ce  qui  pourra  faire 
selon  les  conjonctures  alors  ... 

Venise  2  3.me  de  fevrier  1717. 

Monseigneur  de  Votre  Eminence 

le  plus  humble  et  tres  obéissant  servit. 

Comte  de  Schoulembourgh. 

(i)  Gli  Avvisi  di  allora  non  erano  meno  pettegoli  delle  gazzette 
odierne.  In  uno  del  2  gennaio,  ad  esempio,  è  detto  che  l' imperatore 
aveva  una  indisposizione  catarrale,  e  che  il  principe  «  D.  Emanuele 
«di  Portogallo  si  trova  da  parecchi  giorni  coli' incomodo  dei  geloni 
«alle  mani»  (Ntin^iat.  di  Germania,  257). 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        ^61 

visitare  lo  Spinola  al  ritorno  dalla  Turchia  (i),  lo  aveva 
assicurato  che  la  Porta  ne  aveva  smesso,  per  allora,  il  pen- 
siero ;  il  Montagut,  tornata  infruttuosa  la  sua  missione, 
aveva  lasciata  la  corte  di  Hannover,  e  per  V  Ungheria  erasi 
incamminato  verso    Costantinopoli,  ai   primi  di  febbraio. 

Scemando  i  rigori  dell'  inverno,  crescevano  le  notizie 
di  guerra:  ovunque  fervevano  i  preparativi;  le  reclute,  che 
dalle  Provincie  giungevano  in  Vienna,  si  mandavano  a  pas- 
sare la  Sava,  prima  che  il  nemico  si  fosse  ingrossato  presso 
Belgrado;  a  misura  che  il  Danubio  liberavasi  dai  ghiacci, 
i  trasporti  fluviali  per  1' esercito  diventavano  più  attivi.  Il 
comandante  delle  truppe  cesaree  in  Vallachia,  erasi  spinto 
su  Nicopoli,  riportandone  ricco  bottino;  ma  i  Turchi,  che 
alla  lor  volta  avevan  tentato  di  penetrare  nel  ducato  di 
Sirmis,  ne  erano  stati  ricacciati  (2). 

Dinnanzi  a  queste  prove  sicure  che  la  guerra  sarebbe 
stata  proseguita  (pensiero  tormentoso  di  Clemente  XI  e 
dei  diplomatici  vaticani),  ogni  altra  questione  nella  nun- 
yjatura  di  Germania  passava  in  seconda  linea:  torna  qua 
e  là,  nelle  lettere  del  nunzio,  qualche  accenno  sulla  que- 
stione di  Comacchio,  sulle  prerogative  degli  ambasciatori 
a  Roma,  sulla  giurisdizione  ecclesiastica  nell'  impero  e  nel 
reame  di  Napoli,  ma  son  notizie  fugaci.  Financo  due  af- 
fari, che  pure  direttamente  e  con  urgenza  interessavano 
il  papa,  furon  lasciati  in  silenzio  senza  rammarico  :  la  ces- 
sione d*  un  vascello  imperiale  ai  cavalieri  di  Malta  (3),  e 


(i)  Nwiiiat.iìi  Germania,  257,  lettera  del  nunzio,  2  gennaio  1717: 
«...  Il  Fleschman,  che  fu  nei  giorni  scorsi  da  me,  mi  ha  assicuralo 
«  che  né  alla  sua  partenza  da  Belgrado,  ne  dopo,  gli  è  stata  fatta 
•u  alcuna  apertura  di  pace;  anzi  crede  egli  che  la  superbia  de'  Turchi 
«vorrà  sperimentare  la  sorte  dell'armi  nella  ventura  campagna...». 

(2)  Ivi,  lettera  del  nunzio,  30  gennaio;  Avviso  di  r/twwfl,  6  feb- 
braio. 

(3)  A  mezzo  dello  Spinola,  il  papa  aveva  fatto  chiedere  a 
Carlo  VI,  per  la  squadra  di  Malta,  il  vascello  5.  Barbara  disarmato 


462  J,  Torneiti 


un  qualche  asilo  nel  territorio  dell'  impero  al  profugo 
Giacomo  d'Inghilterra  (i):  ogni  cura,  ogni  pensiero  era 
per  quello  sforzo  supremo  :  la  guerra  al  Turco  1 

Alla  notizia  che  tra  il  finire  di  marzo  e  i  primi  di  aprile 
le  ostilità  sarebbero  state  riprese,  Clemente  XI  informava 
r  imperatore  di  aver  avuta  novella  assicurazione  di  aiuti 
da  Madrid  e  da  Lisbona;  che  le  squadre  ausiliarie  presto 
si  sarebbero  radunate  dinanzi  ai  Dardanelli;  e  che  per  ve- 
nire in  aiuto  delle  spese  guerresche,  concedeva  nuovi  e 
vistosi  sussidi  sui  beni  degli  ecclesiastici  diNapoh,  di  Milano 
e  di  Mantova  (2).  Poco  dopo  faceva  trasmettere  al  nunzio 


in  Napoli.  Il  nunzio  ne  interessò  il  principe  Eugenio,  e  i  conti  di  Rialp 
e  Stella.  Sulle  prime  ebbe  buone  promesse;  polla  cessione  fu  negata. 
Nuniiat.  di  Germania,  256,  lettera  del  nunzio,  19  dicembre  17 16; 
id.  257,  lettere  del  16,  23  e  30  gennaio  1717. 

(i)  Da  Avignone,  re  Giacomo  aveva  supplicato  Carlo  VI  di 
poter  risiedere  in  Bruxelles  o  in  qualche  altra  città  vicina  al  Reno. 
Lo  Spinola  era  intervenuto  suggerendo  al  principe  Eugenio  che  l'al- 
leanza conchiusa  tra  la  Francia,  l' Inghilterra  e  1'  Olanda,  non  es- 
sendo di  pieno  gradimento  dell'  imperatore,  potevasi  accordare  il  per- 
messo. Ma,  in  vista  della  prossima  guerra,  l' imperatore  prudente- 
mente si  diniego,  dichiarando  di  voler  vivere  in  pace  in  Europa. 
Dopo  questo  rifiuto,  re  Giacomo  prese  la  via  di  Roma.  Nuniiat.  di 
Germania^  257,  lettere  del  nunzio,  13  e  27  febbraio. 

(2)  Nunziat.  di  Germania,  257,  lettere  del  nunzio  nei  corrieri  del 
13  marzo  e  3  aprile,  e  quest'altra  del  19  giugno  che  ci  sembra  op- 
portuno riprodurre:  «Vedo  dal  benigno  foglio  di  V.  E.  la  nuova 
«  condiscendenza,  che  per  dare  all'  imperatore  tutti  gli  aiuti  possibili 
«  viene  ora  praticata  da  N.  S.,  mentre  si  degna  dì  accordare  che  in 
«  luogo  delle  decime  s'esigga  dagli  efìfetti  degli  ecclesiastici  del  regno 
«  di  Napoli  e  delli  ducati  di  Milano  e  di  Mantova  un  sussidio  di 
«  100  m.  scudi  annui  per  il  corso  di  cinque  anni;  ond' io  non  mancai 
«  nell'udienza  di  domenica  di  parteciparlo  alla  M.  S.,  e  di  rilevarle 
«  quanto  merita  questo  nuovo  considerabilissimo  aiuto.  Io  ben  m'av- 
«  viddi  che  la  M.  S.,  la  quale  forse  non  n'aveva  avuta  per  anche  la 
«  notizia,  ne  sentì  un  particolar  contento,  prorompendo  subito  in  lodi 
«  verso  di  S.  S.^^  . . .  M'  assicurò  poi  che  anche  questo  denaro  sarebbe 
«  stato  ben  impiegato,  mentre  sarebbe  servito  in  vantaggio  e  servizio 


Stiidii  sul  pontificato  dì  Clemente  XI       463 

centosessantamila  fiorini  da  offrire  al  principe  Eugenio  per 
la  cassa  militare;  i  quali,  in  assenza  del  principe,  già  par- 
tito pel  campo,  furon  versati  al  commissario  generale  conte 
di  Tiraim. 

Ricevuto  poi  in  udienza  da  Carlo  VI,  lo  Spinola  gli 
dimostrò  la  sollecitudine  del  papa  per  la  guerra,  e  com'egli 
fosse  sicuro  che  da  essa  sarebbero  venuti  vantaggi  territo- 
riali   air  impero. 

Il  papa,  aveva  detto  lo  Spinola  all'  imperatore,  «  no- 
«  nostante  i  grossi  e  gravi  dispendii  che  soffre  per  la 
<(  dimora  del  re  d'Inghilterra  nello  Stato  ecclesiastico,  e 
«  per  il  mantenimento  di  tanti  ecclesiastici  che  di  continuo 
«  arrivano  in  Roma  esiliati  dalla  Sicilia  (i),  non  per  altro 
«  titolo  che  per  mostrarsi  figli  obbedienti  della  Santa  Sede, 
«  e  per  le  molte  spese  che  gli  converrà  d'  accrescere  per 
«  difendere  li  propri  sudditi,  e  specialmente  per  mettere  al 
«  coperto  le  spiagge  della  Marca  dalle  minacciose  incursioni 
«  dei  Turchi...  »,  tuttavia  aveva  trovato  modo  di  mandare 
quella  non  lieve  somma  per  dimostrare  che  la  guerra  era 
da  continuare  a  qualsiasi  costo.  L'offerta  giunse  inaspettata; 
e  poiché  il  nunzio  si  avvide  che  l'imperatore  ne  era  ri- 
masto oltremodo  soddisfatto,  non  mancò  di  colorire  anche 
in  quella  circostanza  il  pensiero  del  pontefice:  «...rag- 
«  guagliai  poi  la  M.  S.  dell'armamento  che  ha  avuto  no- 
te tizia  V.  E.  si  facesse  in  Dolcigno  con  disegno  d' inferire 
«  i  maggiori  danni  alla  spiaggia  dello  Stato  ecclesiastico, 
«  e  posso  dire  all'  E.  V.  che  la  M.  S.  ne  palesò  una  somma 
«  dispiacenza  »  (2). 

«della  nostra  santa  fede...  Io  poi  posso  dire  all'È.  V.  che  qui  l'an- 
«  gustie  sono  maggiori  di  quello  che  possa  esprimersi;  mentre  si  cal- 
<'  cola  eh'  ogni  mese  la  pura  paga  dell'esercito,  non  compreso  né  il 
«  pane  né  il  formaggio,  per  i  quali  s'  è  impiegata  la  somma  di  quasi 
«  due  milioni,  sorpassi  800  m.  fiorini .. .  ». 

(i)  V,  a  pp.  126-127. 

(2)  Xiiniiat.  di  Germania,  257,  lettera  del  nunzio,  22  maggio. 


4^4  J-  "Pometti 


Dal  carteggio  dello  Spinola  appare  manifesto  che  la 
guerra  al  Turco  era  propugnata  dal  Vaticano  allo  scopo 
di  abbassare  la  potenza  ottomana  in  Europa,  colla  lusinga 
che  se  il  risultato  della  lotta  fosse  stato  favorevole,  avrebbe 
giovato  a  Venezia,  ma  ancor  più  all'Austria:  il  papato 
avrebbe  ottenuto  un  successo  morale  soltanto,  abbattendo 
lo  Stato  politico-religioso  che  da  più  di  tre  secoU  minac- 
ciava la  Cristianità.  Ma  se  si  era  nel  vero  che  non  ad  in- 
grandimenti territoriali  mirava  la  politica  vaticana,  non  si 
può  per  altro  negare  che  tutto  l'armeggio  politico  di  Cle- 
mente XI  tendeva  a  preservare  V  integrità  dello  Stato 
ecclesiastico,  opponendo  fra  questo  e  il  secolare  nemico 
la  potenza  veneta  per  mare  e  quella  tedesca  lungo  i  Balcani. 

Il  Sinzendorff,  che  mostravasi,  non  senza  secondo  fine, 
premuroso  verso  il  Vaticano  (i),  comunicava  al  nunzio  le 
notizie  del  campo  :  1'  esercito  imperiale  si  radunava  presso 
Peterwaradino  ;  il  Tibisco  e  i  Marassi  si  covrivano  di  ponti 
pel  passaggio  delle  truppe;  il  principe  Eugenio,  congiun- 
tosi al  corpo  comandato  dal  generale  Merci  per  operare 
su  Orsova  e  Belgrado,  aveva  cinto  d'  assedio  quest'ultima 
città  che,  mal  difesa,  non  avrebbe  a  lungo  resistito  (2). 
Ma,  nel  contempo,  facevansi  deste  novellamente  le  voci 
di  pace  :  il  primo  visir  e  1'  ambasciatore  britannico  eransi 
abboccati  in  Adrianopoli;  la  Turchia  desiderava  la  pace, 
ma  non  avanzava  proposte,  sia  per  orgoglio,   sia   perchè 


(i)  Nelle  lettere  dello  Spinola  (Nuniiat.  di  Germania,  257,  giu- 
gno 17 17),  si  parla  spesso  del  desiderio  espresso  ed  ottenuto  dal  Sin- 
zendorff della  promozione  ad  abate  d'  un  suo  figliuolo.  Da  una  let- 
tera del  nunzio  del  19  giugno  pare  che  l'abate  procurasse  qualche 
noia  al  Paolucci,  per  la  qual  cosa  lo  Spinola  scrive  che  parlerà  al 
conte  Sinzendorff  della  condotta  del  figlio. 

(2)  Nun:(iat.  di  Germania^  257,  Avviso  di  Vienna,  12  giugno;  altro 
del  26  dello  stesso  mese,  e  lettera  del  nunzio  del  14  agosto,  alla 
quale  è  accluso  un  Diario  del  campo  sotto  Belgrado  dalli  26  giugno  alli 
16  luglio. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        4^5 

temeva  le  si  fosse  chiesta  la  cessione  di  Temiswar  (r). 
Rinascevano,  ad  ogni  modo,  le  speranze  di  un  accomoda- 
mento. 

Le  promesse  della  Spagna  erano  state,  in  sulle  prime, 
ben  liete  e  generose,  per  la  campagna  del  17 17.  Già  prima 
che  terminasse  il  1716,  e  cioè  l'ii  settembre,  TAlberoni 
comunicava  al  nunzio  Aldrovandi  in  Roma  alcune  favo- 
revoli disposizioni  per  la  campagna  futura  (2). 

Lo  stesso  Filippo  V,  al  principio  dell'  anno  nuovo,  ri- 
spondendo ad  una  lettera  del  papa  del  14  dicembre  scorso, 
ripeteva  la  promessa  (3).  La  quale,  assicurava  in  una  sua 

(i)  Nuniiat.  di  Germania,  257,  da  una  lettera  del  nunzio  nel  cor- 
riere del  26  giugno  :  «  Il  corriere  che  giunse  nella  settimana  decorsa  da 
«  Costantinopoli  spedito  da  quel  ministro  britannico,  per  quanto  ho 
«  potuto  sapere,  non  porta  che  la  notizia  de'  discorsi  avuti  in  Adria- 
«  nopoli  col  gran  vizir,  quali  tendono  bensì  a  dimostrare  che  da  quella 
«  parte  si  desideri  la  pace  coli'  imperatore,  ma  senza  fare  alcuna  pro- 
c(  posizione,  per  la  quale  qui  si  possa  dare  orecchio;  mentre  il  vizir 
«  istesso  s'  è  dichiarato  che  in  alcuna  maniera  poteva  il  sultano  ac- 
«  cordare  che  restasse  Temiswar  in  potere  di  S.  M.  C,  tanto  per 
«  essere  quella  piazza  troppo  necessaria  alla  Portk  ottomana,  copren- 
te dole  tante  provincie,  quanto  perchè  sarebbe  mal' inteso  da  suoi  po- 
«  poli  che  si  facesse  la  cessione  medesima.,.». 

(2)  Misceli,  di  diluente  X/,  216,  p.  7,  capitolo  di  lettera  scritta 
dal  conte  Alberoni  a  monsignor  Aldrovandi  da  Madrid,  li  11  set- 
tembre 1716  (è  una  copia  di  mano  di  Clemente  XI):  «Puòassicu- 
«  rare  la  V.  S.  Ima  il  papa  che  i  vascelli  sverneranno  nei  porli  del 
«<  Genovesato.  Ho  fatto  comprare  buona  somma  di  frumento  di  An- 
«  daluzia,  sapendo  essercene  scarsezza  in  Italia.  Ho  in  mano  lettere 
'(  di  cambio  per  Genova  per  il  resto  della  spesa  dell'  inverno,  e  cento 
«  cinquanta  mila  scudi  per  la  ventura  campagna.  Dalla  flotta  ha  S.  M. 
«  tirato  trecento  mila  scudi,  che  stanno  a  mia  disposizione,  senza  che 
«  alcuno  vi  possa  mettere  la  mano  ;  laonde  spero  che  S.  S.»*  sarà 
«  contenta  delle  disposizioni,  che  si  vanno  prendendo  ». 

(3)  Misceli  di  Clemente  XI,  216,  p.  3  :  «  A  nuestro  muy  Santo 
«  Padre.  Muy  Santo  Padre.  He  recivido  con  toda  estimacion  la  carta 
«  que  V.  S<i  me  escrive  en  14  de  diciembre  proximo  passado  en  que 


466  J.  "Pomelli 


lettera  il  Girardelli,  era  per  effettuarsi,  e,  con  ogni  proba- 
bilità, pel  marzo,  perchè  erano  state  destinate  all'uopo  sei 
navi  nuove  di  Discaglia,  altre  sei  fra  le  migliori  dell'  ar- 
mata; e,  oltre  centomila  razioni  pronte,  erasi  commissio- 
nata in  Olanda  la  compera  di  attrezzi  e  di  munizioni  (i). 

Ma  in  un'altra  lettera  dello  stesso  corriere  degli  1 1  gen- 
naio incominciano  ad  apparire  titubanze  e  malumori  :  pro- 
dromi della  torbida  politica  dell' Alberoni,  la  quale  molli 
dolori  doveva  arrecare  a  Clemente  XI,  e  non  pochi  danni 
alla  causa  della  Cristianità.  Il  Girardelli  crasi  presentato 
all' Alberoni  per  avere  più  sicure  notizie  sulla  squadra  desti- 
nata in  Levante,  «sapendo  di  certo»,  egli  scriveva,  «che 
«  dipendenze  di  tale  importanza  corrono  sotto  la  direzione 
«  e  cura  di  lui ...  ;  et  avanzandomi  a  supplicarlo  de'  suoi 
«  propizii  influssi,  confesso  che  lo  riconobbi  abbattuto  e  ben 
«di  fervore  differente  dal  ritrovato  in  esso...  ».  Quali  le 
cause  di  questo  mutamento?  Oneste,  e  fors' anche  giuste, 
in  apparenza.  «Si  espresse»,  continua  il  Girardelli,  «  di  es- 
«  sersegli  levate  tutte  le  forze  dal  ritardarsi  costà  l'aggiu- 
«  stamento,  e  con  esso  le  grazie  richieste  ». 

Le  pendenze  giurisdizionali  fra  Roma  e  Madrid  eran 
tuttora  insolute  da  quando  il  nunzio  Zondadari  era  stato 
costretto  ad  abbandonare  la  Spagna;  sui  beni  personali 
degli  ecclesiastici  restavano  frequenti  litigi  fra  l'  autorità 
regia  e  il  tribunale  della  nunziatura;  si  era  concesso  al  re, 

«  con  occasion  de  las  noticias  de  las  fuerzas  que  preparali  los  Turcos 
«  centra  la  plaza  de  Corfu  y  para  reparar  las  perdidas  que  han  echo 
«  en  Ungria  en  la  campana  passada,  me  exhorta  V.  D'i  a  los  mas 
«  promptos  y  oportunos  socorros;  sobre  cuyo  asumpto  puedo  asse- 
te  gurara  V.  B^l  de  mi  filial  y  atento  afecto  a  su  persona  y  de  mi  zelo 
«  al  mayor  bien  de  la  Yglesia  y  que  me  fuere  possible,  de  mani- 
ne festar,  corno  lo  he  echo,  hasta  a  que  la  atencion  que  me  deven  tan 
«  especiales  motivos  y  circumstancias.  Nuestro  Seiìor  quede  a  V.  S^ 
«  corno  desseo.  De  Madrid  a  1 5  de  henero  de  1717.  Muy  humilde  hijo 
«  de  V.  S<i.  el  Rey  ». 

(i)  ìsun-^iat.  di  Spagna,  2ij;   11  getmaio   1717. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        4^7 

per  la  guerra,  un  sussidio  di  cinquecentomila  pezze  sui 
beni  ecclesiastici  dell'  India,  per  un  triennio,  ed  era  una 
derisione,  perchè,  a  conti  fatti,  non  se  ne  sarebbero  rica- 
vate che  dugentomila  a  pena,  se  pure  era  possibile  riscuo- 
terle in  paesi  si  lontani  e  si  vasti...  (i). 

Tuttavia,  un  corriere  straordinario  era  stato  inviato  in 
Roma  coir  avviso  dei  concessi  soccorsi  marittimi,  ad  onta 
delle  lagnanze  di  tutti,  perchè  «  il  re  non  riceve  da  S.  S. 
«  quell'  animo  et  aiuto,  eh'  essige  si  dispendioso  soccorso  », 
confidava  il  Girardelli  (2).  E  poiché  questa  faccenda  era 
rimasta  «  interamente  appoggiata  dal  re  alla  sollecitudine 
«et  vigilanza  del  signor  conte  Alberoni  »,  egli  aveva  pre- 
sentato allo  stesso  T  espressione  del  grato  animo  del  pon- 
tefice, raccomandandogh  che  la  squadra  fosse  pronta  pel 
marzo;  e  che,  ad  evitare  discussioni  di  competenza,  il  re 
ordinasse  d' inalberare  il  solo  stendardo  di  caposquadra, 
giacche  avendo  il  papa  scelto  un  luogotenente  generale 
per  tutte  le  squadre  ausiliarie,  occorreva  il  comando  di 
un  solo  per  assicurare  la  riuscita  delle  operazioni  marit- 
time (3). 

Un  mutamento  di  grande  importanza  era  intanto  av- 
venuto nella  corte  spagnola.  Abbattuto  il  potere  della 
principessa  Orsini,  TAlberonì  era  riuscito  a  sbarazzarsi  an- 
che del  cardinale  Giudice,  grande  inquisitore  ed  aio  del 
principe  ereditario,  inviandolo  ambasciatore  di  Spagna  in 
Jloma;  e,  secondato  dal  cardinale  Acquaviva,  influentissimo 
in  Vaticano,  lo  sostituiva  nell'  alta  carica  con  monsignor 
Molines,  che  da  Madrid  ebbe  ordine  di  lasciare  Roma  (4). 
Ma  questo  mutamento,  che  accentrava  tante  gelose  pre- 

(i)  Kun\iul.  di  Spa^na^  217,  terza  lettera  del  medesimo  corriere 
degli  II  gennaio  17 17. 

(2)  Ivi,   18  gennaio  171 7. 

(j)  Ivi,  lettera  del  25  gennaio. 

(4)  GÌ'  itinerari  del  Giudice  e  del  Molines  veggansi  negli  Av- 
visi di  Madrid  dagli  11  gennaio  171 7  in  poi.  Nuniiat.  di  Spagna,  217. 


4^8  J,  Torneiti 


rogative  neirAlberoni,  dovette  insospettire  la  corte  ro- 
mana; per  la  qualcosa,  essendo  andata  anche  a  vuoto  la 
missione  dell'Aldrovandi  (il  quale  erasi  recato  in  Roma  non 
tanto  per  le  ragioni  da  lui  esposte,  quanto  per  la  promo- 
zione a  cardinale  dell' Alberoni,  come  si  vedrà  meglio  nel 
terzo  nostro  studio),  ordinossi  a  costui  di  ritornar  subito 
a  Madrid  (i),  ove  il  Girardelli,  improvvisato  diplomatico, 
incominciava  a  perder  la  bussola.  Infatti,  egli  non  riusciva  a 
vincere  la  fredda  e  compassata  alterigia  del  prelato  piacen- 
tino: «A  tutti  gli  eccitamenti  (pei  soccorsi  marittimi)», 
egli  scriveva, «risponde  in  una  istessa  conformità:  di  trattarsi 
«quest'affare  tra  Sua  Beatitudine  et  il  re,  e  ch'egli  non 
«vi  ha  parte...»  (2).  Il  poveruomo  si  affannava  a  di- 
mostrare che  il  Turco  si  armava  formidabilmente,  che  il 
pontefice  provava  dolorosa  sorpresa  vedendo  inascoltate  le 
sue  istanze...  Ma,  gli  aveva  risposto  TAlberoni,  «  che  la 
«  Santità  Sua  e  cotesta  corte  doveva  a  lui  solo  la  risolu- 
«  zione  presa  da  S.  M.  di  far  cessare  il  Consiglio  di  Stato 
«  dall'  ingerirsi,  se  non  ricercato,  in  dipendenze  politiche, 
«che  lo  risguardino;  poiché  senza  questa  previdenza  si 
«  sarebbero  continuati  i  dissapori  tra  le  due  corti...  E  re- 
«  plicandomi  più  volte  che  ad  esso  si  doveva  questo  van- 
«  taggio,  ne  gli  diedi  le  gratie...»  (3). 

Altro  che  le  grazie  del  GirardeUi,  bramava  T  Albe- 
roni !...  Non  s'  avvedeva  il  papa  che  ormai  egli,  Alberoni, 
era  il  despota  della  Spagna  ?  E  si  poteva  lasciare  col  sem- 
plice titolo  di  abate  un  religioso  che  era  salito  a  tanto  ? 
La  Orsini  e  il  Giudice  erano  allontanati  ;  il  Daubenton  ed 
Elisabetta  avean  l'incarico,  fra  le  pratiche  religiose  e  quelle 
amorose,  che  il  re  non    pensasse    ad  altro;   e   financo  la 

(i)  Nuniiat.  di  Spagna,  217.  Da  una  lettera  dell' Aldrovandi  al 
Paolucci,  datata  da  Bologna,  5  febbraio   17 17. 

(2)  Ivi,  da  una  lettera  del  Girardelli  al  Paolucci,  nel  corriere 
degli  8  febbraio  17 17. 

(3)  Ivi,  in  un'  altra  lettera  dello  stesso  corriere. 


Siiidìi  sul  pontificalo  dì  Clemente  XI        4^9 

suprema  autorità  del  Consiglio  di  Stato  era  stata  sminuita. 
D*  ora  innanzi,  scriveva  il  Girardelli,  i  principi  ed  i  ministri 
corrisponderanno  col  marchese  Grimaldo  «  sotto  la  dire- 
«  zione  di  chi  al  presente  si  considera  1'  unico  arbitro  del 
«  governo  »  (i). 

Il  Girardelli  si  sentiva  inadeguato  al  compito  affidato- 
gli, e  lo  manifestava.  Erasi  invano  rivolto  a  tutt'  i  ministri 
e  cortigiani  perchè  la  squadra  si  trovasse  a  Corfù  per 
l'aprile;  aveva  replicate  le  istanze  all'Alberoni,  e  «  l'ar- 
ce bitro  del  governo»,  quasi  a  non  esser  più  importunato, 
aveagli  risposto  definitivamente  che  tgYi  non  poteva  più 
nulla  presso  il  re  e  la  regina!  (2). 

Meno  male  che  monsignor  Pompeo  Aldrovandi,  prov- 
videnziahnente,  ritornava.  Il  3  febbraio  era  a  Bologna,  sua 
patria,  l'S  a  Parma,  ove  le  strade  guaste  ritardavano  il 
viaggio;  Tu  a  Piacenza,  per  accordarsi  col  Farnese.  Il  20 
era  per  imbarcarsi  a  Genova  per  xMarsigha  su  d'una  galea 
offertagli  dalla  Repubblica,  ma  il  mare  agitato  non  permise 
il  viaggio.  Si  trattenne  colà  fino  ai  primi  di  aprile  (3). 

(i)  Vedi  la  nota  precedente. 

(2)  L' Alberoni,  interrogato  dal  Girardelli  sui  soccorsi  marittimi, 
«non  uscì  dalle  prime  risposte  »;  e  sollecitato  di  nuovo  con  effi- 
cace descrizione  sulle  forze  turchesche,  «  mi  rispose  »,  continua  il 
Girardelli,  «  d' bavere,  finché  gli  è  stato  permesso,  con  tutto  zelo  pro- 
«  mosso  quest'affare  appresso  ambo  le  maestà  del  re  e  della  regina  con 
«  quasi  certe  speranze  di  tutto  quel  buon  esito  che  potesse  empire  il 
«desiderio  di  N.  S.;  che  poi  lagnandosi  le  M.»^  Loro  di  essere  di- 
«  sattese,  si  era  a  lui  tolta  la  facoltà  di  proseguire  nell'opera,  anzi 
«  cercando  egli  d'influirvi,  incontrava  nelle  medesime  disapprovazione, 
«  come  se  ne  parlasse  come  interessato  nell'  adempimento  de"  voleri 
«di  S.  S»^,  senza  havere  riguardo  alla  loro  stima  e  riputazione, 
«  quando  trattandosi  di  monarchi  co^ì  propensi  alla  religione  et  alla 
«  Sede  Apostolica,  dovevano  meritare  distinzione  sopra  gli  ai'ri,  che 
«la  molestavano  e  la  disattendevano ...»  ;  Nun^iat.  di  SpUi^na,  217, 
22  febbraio. 

(0  Ivi,  lettere  dell' Aldrovandi  al  Paolucci  del  3,  8,  11,  20  e 
27  febbraio,  e  6  marzo. 


470  J,  ^ometti 


È  facile  immaginare  che,  alFannunzio  del  ritorno  del- 
l'Aldrovandi,  il  Girardelli  dovette  sentirsi  come  alleviato 
da  un  grave  peso.  Ma  ben  presto  la  gioia  provata  mutossi 
in  sorpresa  spiacevole,  «  udendo  qui  »,  egli  scriveva,  circa 
quelle  notizie,  «  di  non  haverla  il  re  intesa  bene».  Ne 
chiese  al  Daubeuton,  e  «  mi  disse  apertamente  che  se  fosse 
«  seguito  [il  ritorno  del  nunzio],  S.  M.  non  ne  avrebbe 
«  gusto  »  ;  si  rivolse  all'Alberoni,  e  costui  non  si  peritò  di 
dirgli  che  sarebbe  stato  meglio  che  l' Aldrovandi  non  fosse 
tornato...  (i). 

Quali  voci  maligne  eransi  sparse  sul  conto  del  nunzio? 
Perchè,  evidentemente,  non  si  trattava  che  di  qualche  ca- 
lunnia. Così  opinava  il  buon  Girardelli;  ed  esortando  il 
Paolucci  affinchè  il  nunzio,  tornando,  avesse  portato  «  quei 
((  obici  (concessioni)  che  concepii  et  avvisai  con  le  pas- 
te sate  a  V.  E.  perchè  riesca  grata  la  sua  venuta»,  dichia- 
rava che  egli  era  sfiduciato  (2);  che  coU'Alberoni  non  era 
più  possibile  il  disbrigo  di  qualsiasi  pratica;  che  il  Dau- 
benton  diventava  misterioso,  e  che,  in  breve,  il  signor 
conte  era  scontento  non  vedendosi  giungere  da  Roma 
alcun  segno  di  distinzione,  e  che,  in  conseguenza,  dolenti 
ne  erano  il  re  e  la  regina. 

Tuttavia,  si  era  longanimi,  perchè  non  si  desisteva  dai 
preparativi  marittimi  :  a  Cadice  si  lavorava  attivamente 
negli  arsenaU;  l'intendente  di  marina,  Patigno,  metteva  la 
flotta  «sul  piede  di  Francia»:  dalle  coste  di  Andalusia  e 
da  Siviglia  reclutavansi  operai  pratici  pel  disbrigo  dei  la- 
vori, i  quali,  per  poco  interrotti  dal  cattivo  tempo,  erano 
stati  ripresi  di  buona  lena  (3). 

Era  avvenuta  in  quel  tempo  la  promozione  a  cardinale 
di  monsignor  Borromeo,  e  il  Girardelli,  eseguendo  istru- 

(i)  ì^uniiat.  di  Spagna,  217,  lettera  del  Girardelli  al  Paolucci, 
i"  niarzo. 

(2)  Ivi,  8  marzo. 

(3)  Ivi,  lettere  del  5  e  12  aprile,  e  Avvisi  di  Madrid  delle  stesse  date. 


Studii  siti  pontificato  dì  Clemente  XI        4J1 


zioni  avute,  riferiva  al  segretario  di  Stato  in  Roma  che 
nessuna  apparente  alterazione  quella  nomina  aveva  pro- 
dotta nel  Ministero  spagnolo  (quel  bravo  uomo  non  era 
sempre  di  facile  intuizione);  ma  «solo»,  confidava,  «mi 
«ha  riferito  un  amico  gran  confidente  d'un  primario  ga- 
«  binettista  che,  discorrendo  seco  di  tal  novità  portata  da 
«  uno  straordinario  che  passò  in  Portogallo,  si  spiegò  nei 
«seguenti  termini:  che  il  re  dovrebbe  mandare  la  squadra 
«  ausiliaria  ai  Veneziani,  non  a  Sua  Beatitudine,  in  segno 
«  di  sentimento  di  essere  disatteso  ».  E  nel  frattempo  chie- 
sto al  ministro  di  mare  e  guerra  se  finalmente  sarebbero 
mandate  le  navi  a  Corfù,  questi  «  sorrise  dicendomi  che 
«  poca  necessità  poteva  esservi,  quando  dai  Maltesi  non 
«  si  fornivano  che  due  navi  :  che  la  Repubblica  veneta 
«  metteva  in  mare  nove  vascelli  meno  dell'anno  passato, 
«  e  che  S.  S.  istessa  haveva  minorate  le  vele,  anzi  non 
«applicava  a  spedirle»   (i). 

Ad  accrescere  la  confusione  e  i  timori,  ecco  spandersi 
una  notizia  dolorosa  e  sorprendente:  all'Aldrovandi,  giunto 
da  Marsiglia  a  Perpignano  il  17  aprile,  gli  si  era  fatto  in- 
contro, allo  scendere  dal  calesse,  un  ufficiale  spagnolo, 
mandato  da  Barcellona  dal  principe  Pio.  Era  latore  d'una 
lettera  breve  e  recisa:  Filippo  V  vietava  al  nunzio  di  en- 
trare nei  dominii  spagnoli  !  Prudentemente,  per  non  su- 
scitare scandali  e  non  rendere  più  strepitosa  la  rottura  (il 
ricordo  dello  Zondadari  non  era  dileguato),  il  nunzio  fer- 
mossi  a  Perpignano.    Di  là  egli  scrisse   al    Paolucci  (2). 


(i)  Nìtniiat.  di  Spagna,  217,  lettera  del   19  aprile. 

(2)  Ivi,  lettera  dell'Aldrovandi  al  Paolucci,  22  aprile  (nella  quale 
acclude  quella  del  principe  Pio). 

Raccontato  il  poco  piacevole  incontro  a  Barcellona,  il  nunzio 
continua:  «  ...Questa  novit;\,  come  ben  può  figurarsi  VE.  V.,  non 
«  lasciò  di  molto  sorprendermi  et  amareggiarmi,  e  dopo  il  dibatti- 
«  mento  di  varii  pensieri...,  stimai  meglio  di  fermarmi  in  questo 
«  luogo,   prima  per  non  risolvere  cosa  alcuna  senza  gli  ordini   pre- 


472  J.  T^ ometti 


Scrisse  anche,  come  la  prudenza  consigliava,  airAlberoni 
e  al  Daubenton,  affinchè  si  fossero  interposti  per  la  revoca 
dell'ordine,  o  almeno  per  ottenergli  il  permesso  di  dimorare 
nei  dominii  regi,  a  Barcellona  o  a  Saragozza,  per  esempio. 

Il  Girardelli,  al  quale  aveva  affidato  il  recapito  di  queste 
lettere,  gli  scriveva  che  l' Alberoni  era  dolente  dell*  acca- 
duto, ma  che  nulla  poteva  fare,  perchè  temeva  anche  per 
se,  essendo  stata  presa  quella  risoluzione  a  sua  insaputa... 
Era  chiaro  che  le  Loro  Maestà  si  consideravano  «disattese  » 
dal  papa  ;  «  onde  trattandosi  di  rispetto  e  decoro,  si  tro- 
«  vava  [r Alberoni]  fuor  di  proporzione  d'  operare,  poiché 
«  qualunque  sua  azione  o  persuasiva,  verrebbe  mirata  dai 
«  padroni  come  promossa  da  proprio  interesse,  senza  ri- 
«  guardo  al  loro,  oltre  che  teneva  per  inutile  qualsivoglia 
«  tentativo  o  suo  o  d' altrui,  a  fine  di  conseguire  la  mu- 
«  tazione  o  moderazione  del  risolutosi...  ».  Egli,  Alberoni, 
non  poteva  che  dare  un  consigUo,  ed  era  questo  :  che  il 
nunzio  non  si  fosse  mosso  da  Perpignano  se  prima  il  papa 
non  ottemperava  il  desiderio  del  re...  (i). 

L'infingimento  era  ben  sottile.  Egli  che  aveva  tutto 
predisposto  e  tramato,  si  traeva  in  disparte;  e,  assumendo 

«  ventivi  di  S.  S*^  e  di  V.  E.,  e  poi  per  non  dare  col  ritornarmene 
«  addietro  1'  adito  ad  una  piii  strepitosa  rottura,  tanto  più  che  avendo 
«  avuto  riscontro,  che  una  tal  risoluzione  fusse  stata  pigliata  coeren- 
«  temente  alli  risentimenti  fatti  costì  dal  Ministero  di  Spagna  per  li 
«  motivi  ben  noti  a  V.  E.,  et  essendo  questi  totalmente  disparati  dalle 
«  materie,  che  cadono  in  discussione,  voglio  sperare  che  ciò  non 
«  debba  far  nascere  un  intiero  scioglimento  alla  composizione  cosi 
«bene  incaminata...  ».  In  quella  congiuntura  l'Aldrovandi  fece  uso, 
in  vero,  di  molto  buon  tatto  e  di  assai  accortezza.  Da  Perpignano, 
come  se  fosse  stato  a  Madrid,  egli  continuò  le  relazioni  amichevoli 
colla  corte  spagnola,  e  le  insistenze  pei  soccorsi  marittimi,  riuscendo, 
in  grazia  alla  disinvoltura  del  suo  carattere,  a  ricomporre  subito  quel- 
r  incidente  che  poteva  avere  più  penose  conseguenze  fra  Roma  e 
Madrid. 

(i)  Nimiiat.di  Spagna,  217,  copia  di  lettera  del  Girardelli  all'Al- 
drovandi,  24  aprile  17 17. 


Si  udii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        473 

atteggiamento  da  vittima,  ben  poteva  esclamare  che  non 
aveva  alcuna  colpa  se  i  Reali  di  Spagna  volevan  vedere 
premiato  dal  papa  nella  sua  persona  il  servitore  devoto, 
il  tramite  benefico  che  tanto  aveva  operato  in  prò  del 
cristianesimo,  che  si  era  ingegnato  a  comporre  i  dissidii 
fra  Roma  e  Madrid.  Era  mia  questione  di  puntiglio  da 
parte  della  corte  spagnola,  ed  egli  vi  si  trovava  impli- 
cato, senza  volerlo! 

11  Daubenton,  che  girava  da  umile  satellite  intorno  al- 
l'astro maggiore  della  corte  madrilena,  ma  che  più  tardi, 
nel  periodo  della  disgrazia,  gli  si  doveva  mutare  in  nemico 
spietato,  lo  secondava  mirabilmente.  In  quei  giorni,  visi- 
tato dal  Girardelli,  mostrossi  ignaro  della  risoluzione  con- 
tro TAldrovandi,  per  la  qualcosa  gli  occorreva  di  «  prender 
«  lengua  in  palazzo»,  ma  aveva  intuito  il  motivo  della 
dolorosa  soluzione:  «Si  stese  bene  in  dolersi  che  costi 
«  non  si  fosse  prestata  fede  a'  suoi  ragguagli  e  dettami, 
«  succedendogli  che  cotesta  corte  lo  risguarda  per  appas- 
«  sionato  del  re,  e  questa  lo  tiene  per  venduto  a  S.  S.  et 
«  interessi  di  Roma  ;  che  egli  sempre  si  persuase  che  non 
«  doveva  porsi  in  consulta  una  risoluzione,  dalla  quale  di- 
ce pendeva  Y  aggiustamento  d*  ogni  controversia  a  piena 
«  soddisfazione  della  Santità  Sua  e  Sede  Apostolica;  essere 
u  la  regina  di  troppo  alta  mente  e  d'  animo  eroico  per  spe- 
«  rare  che  si  renda  a  verun  partito;  dichiarata  già  per 
«  sentita  di  non  essersi  costà  convenuto  nelle  sue  suppli  • 
«  che,  alle  quaU  fu  mossa  da  intendimenti  del  maggior 
«  servizio  della  Santa  Sede  e  religione,  li  cui  risguardi  ts- 
«  sendo  in  essa  naturali,  necessitava  di  fortificarsi  per  Tese- 
te  guzione  per  mezzo  di  soggetto  in  cui  trovava  li  mede- 
<(  simi  principi!,  e  nel  quale  haveva  posta  la  sua  total 
«  confidenza,  aggiungendomi  il  padre  Daubenton  di  bavere 
«  riconosciuto  nel  signor  conte  Alberoni  sentimenti  di  buon 
«  Italiano  quanto  alla  venerazione  verso  S.  B.  e  Santa  Sede 
«  e  suoi  interessi,  e  che  vi  andava  sopra   sicuro  in  con- 


474  .7-  'T^ometti 


«decorarlo  con  la  dignità  richiesta;  poiché  li  principii  che 
«si  imbevono  nei  naturali  difficilmente  si  mutano».  Ma 
omai  il  re  era  «entrato  ne' sentimenti  della  regina»,  e 
c'era  da  «temere  funesta  sequela  da  questi  principii...)). 
Avesse  visto,  ad  ogni  modo,  l'Alberoni.  E  il  Girardelli  rac- 
conta che  corse  a  trovarlo  e  gli  parlò  moderatamente,  pre- 
gandolo «  d'evitare  maggiori  rompimenti . ..».  L'Alberoni, 
egli  narra,  «  hebbe  la  bontà  di  aprirsi  meco,  affermandomi 
«  che  se  S.  S.  havesse  usata  la  generosità  di  consolare  la 
«  regina,  se  1'  havrebbe  guadagnata  in  perpetuo  »;  ma  allo 
stato  presente  non  osava  parlarle,  sapendola  irritatissima, 
sicuro  di  non  ottener  nulla,  «  e  di  acquistarsi  il  concetto 
«di  fiirlo  per  proprio  interesse»,  giacché  «...la  passione 
«non  r  haveva  già  mai  mosso  al  minor  passo...».  Ma 
c'era  di  peggio:  il  re  aveva  ordinato  che  il  Girardelli  fosse 
espulso  dalla  Spagna...  —  Si  deve  ricorrere  proprio  a  que- 
sto estremo  ?  —  chiese  il  poveruomo.  Lo  rassicurò  l'Al- 
beroni, soggiungendo  d'essersi  interposto  presso  il  re,  e 
che  questi  erasi  piegato  al  suggerimento  di  dispensare  il 
Girardelli  dall'  ufficio  fino  allora  tenuto  (i). 

In  verità,  l'Alberoni  voleva  minacciare  soltanto,  e  non 
provocare,  con  quell'estrema  misura,  rappresaglie  al  car- 
dinale Acquaviva,  suo  protettore  in  Roma. 

Non  questa  notizia  soltanto  aveva  funestato  1'  animo 
del  Girardelli,  perchè  altre  ne  circolavano  nella  corte  spa- 
gnola, con  manifesta  intenzione  di  intimorire  il  Vaticano: 
la  squadra  era  già  pronta,  ma,  per  trattative  bene  avviate 
tra  i  ministri  e  il  cavalier  Mocenigo,  sarebbesi  ceduta  a 
Venezia,  se  questa  provvedeva  alle  spese  del  viaggio.  Sa- 
rebbe partita  non  più  pel  Levante,  ma  per  la  Sicilia,  ove 
Francia,  Inghilterra  e  Olanda  disegnavano  insediare  il  ra- 
mingo re  Giacomo  (2). 

(i)  KnniìaL  di  Spagna,  217,  altra  lettera  del  Girardelli  al  Pao- 
lucci,  26  aprile. 

(2)  Ivi,  lettere  del  Girardelli  al  Paolucci,  3  e  io  maggio. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        475 


In  questo  frattempo,  il  duca  di  Parma  e  il  cardinale 
Acquav'iva  eransi  adoperati  a  rendere  meno  tesi  i  rapporti 
fra  Roma  e  Madrid,  ottenendo  da  Filippo  V  che  il  nunzio 
si  recasse  alla  corte  per  esporre  a  voce  i  sentimenti  del 
papa.  La  corte  trovavasi  a  Segovia  (i).  AU'Aldrovandi  fu 
«  gratiosamente  motivato  »  di  non  passare  per  Madrid,  ma 
di  recarsi  direttamente  a  Segovia  o  alFEscuriale.  Si  mosse 
egli  con  grande  giubilo  da  Perpignano  (2),  e  toccando 
Girona  e  S.  Filius,  ebbe  agio  di  vedere  il  Mari,  dal  quale 
ebbe  assicurazione  sulla  prossima  partenzadella  squadra  (3). 
Fu  accolto  con  onore  entrando  nei  domini  spagnoli:  don 
Tiberio  Caraffa  gli  mosse  incontro  fuor  di  Barcellona,  a 
nome  del  governatore;  lo  stesso  principe  Pio  gli  offri  splen- 
dida ospitalità.  Agli  otto  di  giugno  era  ad  Alcalà,  a  sei 
leghe  da  Madrid;  nella  notte  del  nove  giunse  all'  Escu- 
riale. La  mattina  dopo  recaronsi  da  lui  T  Alberoni  e  il 
Daubenton,  i  quali,  quasi  segregandolo,  lo  consigliarono, 
prima  di  presentarsi  al  re,  di  attendere  risposta  da  Roma, 
dopo  il  generoso  temperamento  usato  a  suo  riguardo.  La 
squadra,  intanto,  era  pronta,  protestava  l*  Alberoni;  e  giu- 
stificava il  ritardo  per  la  defezione  di  molti  marinai  rifiu- 
tatisi di  recarsi  in  Levante  e  sostituiti  con  altri  raccolti  in 
Cartagena,  giacche  Filippo  e  la  corte  anteponevano  ad 
ogni  altro  interesse  quello  della  religione...  (4).  L'  Aldro- 

(i)  Nuttiiat.  di  SpagnUy  217,  Avvisi  di  Madrid,  io  e  17  maggio. 

(2)  Ivi,  leu.  dell' Aldrovandi  al  Paolucci,  da  Perpignano,  18  maggio. 

(})  Ivi,  lettera  dello  stesso  allo  stesso,  23  maggio.  A  S.  Filius 
il  Mari  fece  assistere  1'  Aldrovandi  al  varo  di  un  nuovo  vascello  di 
novanta  pezzi,  e  gli  confidò  che  il  soccorso  marittimo  sarebbe  stato 
ancora  rimandato,  «  se  il  signor  conte  Alberoni  non  avesse  trava- 
«  gliato  indefessamente  per  render  vano  ogni  attentato  ».  Altre  notizie 
sulla  squadra,  che  dicevasi  diretta  a  Corfù  sotto  gli  ordini  del  Gue- 
vara  e  del  Mari,  veggansi  nelle  lettere  del  Girardelli  al  Paolucci,  in 
data  31  maggio  e  7  giugno. 

(4)  Ivi,  lettera  dell' Aldrovandi  al  Paolucci,  Hscurial,  13  giu- 
gno 1717. 

ArchMo  della  li.Socirtà  romana  di  storia  patria    Voi.  XX IH.       3^ 


47^  J'  "Pometì 


vandi  comunicò  la  lieta  notizia  al  Paolucci;  e  tornato  a 
Madrid,  in  attesa  di  esser  ricevuto  dal  re,  e  per  togliere 
di  pena  il  Girardelli,  il  21  di  giugno  annunziava  che  il  15 
di  quel  mese  la  squadra  era  partita  da  Cadice  diretta  in 
Levante  (i). 

La  risposta  da  Roma  non  tardò  a  giungere,  e  fu  come 
il  raggiro  di  corte  aveva  predisposto  che  fosse,  e  come  la 
necessità  delle  cose  imponeva:  Clemente  XI,  all'annunzio 
che  r  Aldrovandi  era  tornato  in  ^Madrid  e  che  la  squadra 
era  partita,  concesse  finalmente  all'Alberoni  la  porpora  ago- 
gnata (2).  Fu  il  12  luglio  del  17 17.  Al  Pardo,  ove  la  corte 
soggiornava,  la  notizia,  benché  prevista,  fu  accolta  con  vi- 
vissima gioia  ;  e  il  nunzio,  che  vi  si  recò  per  la  conferma 
ufficiale  di  essa  e  per  la  presentazione  dei  brevi,  ebbe  dal 
re,  dalla  regina  e  dal  principe  delle  Asturie  magnifica  ac- 
coglienza (3). 

Monsignor  Benti voglio  che  nel  17 17  reggeva  ancora 
la  nunziatura  di  Francia,  dopo  i  ripetuti  e  costanti  dinieghi 
altrove  narrati,  aveva  cessato  di  far  pratiche  per  la  guerra 


(i)  Niinitat.  di  Spagna,  217,  come  sopra,  21  giugno.  Tornato  a 
Madrid,  il  nunzio  fu  alloggiato  nel  collegio  imperiale  dei  PP.  della 
Compagnia,  perchè  il  palazzo  della  nunziatura  era  in  rovina.  (Ivi,  let- 
tera del  Girardelli  al  Paolucci,  21  giugno).  A  richiesta  del  Paolucci, 
circa  un  compenso  da  offrire  al  Girardelli,  il  nunzio  consigliava  che 
non  gli  si  desse  più  di  mille  scudi  (scudo  =  5  lire  e  0.37).  Poca  cosa 
invero,  se  si  tien  conto  delle  spese  di  rappresentanza  e  di  posta.  (Ivi, 
lettera  dell' Aldrovandi  al  Paolucci,  21  giugno).  Il  Girardelli,  fin  dal 
I  5  marzo  di  quell'anno  (ivi),  aveva  fatto  notare  al  Paolucci  che,  benché 
da  quarantasette  anni  al  servizio  della  Santa  Sede,  trovavasi  tuttora 
«  nudo  di  qualunque  rendita  ecclesiastica  «  ;  tuttavia,  mostrossi  con- 
tento dell' off'erta,  e  ponendo  fine  al  suo  ce  inutil  carteggio»,  ritornò 
all'esattoria  dei  quinquenni  (ivi,  9  agosto). 

(2)  Ivi,  lettera  del  nunzio  al  Paolucci,  5  luglio. 

(3)  Ivi,  Avviso  di  Madrid,  5  luglio,  e  lettera  del  Girardelli  al 
Paolucci,  2  agosto. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        477 


presso  la  corte  di  Parigi,  ove  i  giansenisti  avevano  il  so- 
pravvento (i).  Sicché  la  sua  corrispondenza,  fin  dalla  metà 
deir  anno  precedente,  è  presso  che  priva  d*  interesse  pel 
nostro  argomento,  ma  in  compenso  è  ricca  di  svariate 
notizie,  delle  quali  potrà  avvantaggiarsi  la  storia  della  Reg- 
genza. 

La  questione  tra  i  figli  legittimi  ed  i  legittimati  di 
Luigi  XIV  (2)  e  gF  intrighi  di  corte  per  gli  educatori  del 
giovane  re (3)  attraggono  la  sua  attenzione;  ma  più  ancora 
egli  osserva   e  tien  dietro  al  movimento  diplomatico  (4), 

(i)  Ntiniìat.  di  Francia,  230,  28  settembre  171 6.  In  questa  lettera 
il  Bentìvoglio  ringrazia  il  Paolucci  di  avergli  comunicata  la  libera- 
zione di  Corfù,  perchè  quella  notizia,  giunta  prima  per  altra  via,  non 
era  stata  creduta.  In  tal  modo  egli  era  in  grado  di  «  chiudere  la 
«  bocca  ai  geniali  turchi  che  non  mancano  in  questo  paese,  ove  ab- 
«  bondano  i  giansenisti  ». 

(2)  Ivi.  Veggasi  a  tal  proposito  una  particolareggiata  ReJatione 
del  nunzio,  inviata  col  corriere  del  31  agosto. 

(3)  Leggasi,  ad  esempio,  la  cifra  dell'S  febbraio  1717,  ove  parla 
dell'  abate  Fleury.  È  uomo  di  bassi  natali,  dice,  e  più  versato  nelle 
leggi  canoniche  che  in  quelle  teologiche,  che  conosce  appena.  È 
nemico  aperto  dei  giansenisti,  «  ma  è  altrettanto  sempre  stato  av- 
«  verso  a  cotesta  corte,  per  la  quale  e  nel  parlare  e  nei  scritti  che 
«  ha  stampati,  non  solo  ha  dato  segno  di  poco  rispetto,  ma  indizi  di 
«  gran  livore  ».  È  stato  scelto  confessore  del  re  per  non  darla  vinta 
ai  gesuiti,  ma  questi  «  si  tengono  come  sicuri  del  posto,  lusingan- 
«  dosi  che  appunto  Sua  Altezza  (l'Orléans)  habbia  scelto  nelle  con- 
«  giunture  presenti  un  huomo  cadente  come  è  lo  stesso  Fleury,  che  è 
«  sopra  li  ottanta  anni,  perchè  intende  di  rimetterne  in  possesso  [del 
<'  posto  di  confessore]  la  Compagnia  ^  (Nutiiiat.  di  Francia,  232). 

(4)  Egli  unisce  immancabilmente  ai  suoi  corrieri  gli  Avvisi  di 
Parigi,  durante  l'  anno  17 16  {Nnniiat.  di  Francia,  250),  dai  quali  pos- 
sono ritrarsi  curiose  e  minuziose  notizie  sulla  vita  mondana  e  diplo- 
matica della  capitale  francese.  Di  preferenza  invia  quegli  avvisi  che 
riguardano  personaggi  italiani:  il  conte  Mari  succede  al  conte  Du- 
razzo  quale  rappresentante  di  Genova  (26  aprile,  17  magg'o);  il  conte 
righetti  di  Rivazzo,  rappresentante  di  Parma,  si  ritira  in  congedo; 
il  marchese  Corsini  sostituisce  il  conte  Bardi  quale  incaricato  di  To- 
scana (28  giugno);  e  notizie  sulla  deposizione  del  cardinale  Giudice 


478  J.  Torneiti 


e  seconda  il  Vaticano  negli  amichevoli  rapporti  col  Por- 
togallo (i). 

Però  a  lui  ed  alla  corte  di  Roma,  intenti  ad  osteg- 
giare il  giansenesimo,  sfuggiva  (poiché  non  ne  troviamo 
traccia)  la  causa  vera  della  condotta  del  d'Orléans.  Questi, 
lusingandosi  che  la  fragile  salute  di  Luigi  XV  gli  aprisse 
la  vìa  per  la  successione  al  trono,  e  temendo  di  Filippo  V 
che  a  quella  successione  non  nascondeva  di  aspirare,  mi- 
rava a  farsi  proseliti  dentro  e  fuori  della  Francia.  Le  ri- 
forme per  sollevare  l'erario  regio  e  1'  abile  politica  contro 
i  figli  legittimati  di  Luigi  XIV,  gli  acquistavano  le  sim- 
patie del  Parlamento  e  del  paese;  le  gelosie  suscitate  contro 
Carlo  VI  per  le  vittorie  in  Ungheria  e  le  nuove  infram- 
mettenze del  re  di  Svezia,  lo  consigliavano  a  non  perder 
di  mira  gli  eventi  che  maturavano.  Infatti,  Carlo  XII,  tor- 
nato in  Isvezia  dalla  Turchia  col  desiderio  di  vendicarsi 
di  Augusto  di  Polonia  e  di  Giorgio  di  Hannover,  erasi 
piegato  alle  lusinghe  dell'  intraprendente  Arrigo  di  Goerts, 
che  gli  aveva  proposto  di  rappaciarsi  collo  czar  Pietro  per 


(lettera  27  luglio)  ;  sul  soggiorno  del  cavalier  Mocenigo  in  Parigi, 
destinato  ambasciatore  di  Venezia  in  Madrid,  il  qual  soggiorno  in- 
genera sospetti  nel  nunzio  (lettera  12  ottobre);  sul  passaggio  del 
conte  Guicciardi  da  Londra  a  Parigi  come  rappresentante  del  duca 
di  Modena  (Nimiiat.  di  Francia,  2 ji,  io  gennaio  1717);  sulla  destina- 
zione del  duca  de  la  Feuillade  ad  ambasciatore  in  Roma,  sostituito  poi 
dall'abate  Du  Bois  (Avvisi,  31  gennaio,  18  aprile);  sul  ritorno  del- 
l'ambasciatore francese  Des  Alleurs  da  Costantinopoli  (20  marzo)  &c. 
(i)  Avverte  che  renderà  grandi  onori  ad  Emanuele  di  Portogallo, 
giunto  in  Parigi,  perchè  colla  Santa  Sede  il  re  di  quel  paese  è  «  nei 
«  presenti  bisogni  il  più  pronto  ad  accorrere  in  difesa  della  mede- 
«  sima  »  (Nwiiiat.  cit.  230,  lettera  18  maggio,  e  Avviso  del  17  dello 
stesso  mese,  171 6).  Manda  più  tardi  notizie  sulla  partenza  per  1' Un- 
gheria di  Emanuele  (Avviso,  12  luglio);  intercede  presso  il  Vaticano 
perchè  il  Ribeyra,  ambasciatore  portoghese  a  Parigi,  sia  accontentato 
in  certe  sue  pendenze  colla  giurisdizione  ecclesiastica  (lettera  14  set- 
tembre). 


Sludii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        479 

averlo  consenziente  nel  rimettere  sul  trono  di  Polonia  Sta- 
nislao Leszczinski  e  su  quello  di  Inghilterra  Giacomo  III. 
Parve  che  lo  czar  accettasse  la  proposta;  ma  più  espli- 
cito di  lui  fu  FAlberoni  nell'  aderire,  perchè  sperava,  con 
quel  mezzo,  di  togliere  la  reggenza  all'  Orléans.  Ma  ve- 
nuto questi  a  conoscenza  della  trama,  ne  avvisò  re  Giorgio, 
che  fece  arrestare  in  Olanda  il  Goerts,  e  in  Inghilterra  il 
Gyllenborg,  compagno  di  costui,  provocando  con  tal  misura 
sdegno  nei  diplomatici  (i),  e  rappresaghe  in  Isvezia.  Passò 
il  timore,  ma  rimase  il  lievito  di  quelle  macchinazioni,  che 
poco  dopo  presero  altra  forma  nella  torbida  mente  del- 
l' Alberoni.  Tranne  il  re  di  Svezia,  gli  altri  reclinarono 
ogni  partecipazione  alla  congiura,  come  fece  Io  czar,  re- 
candosi a  Parigi  (2). 

Non  mancò  il  Vaticano,  nell'occasione  di  quel  viaggio, 
di  far  pratiche  presso  Pietro  il  Grande  in  favore  del  cat- 
tolicesimo in  Russia,  colà  più  che  mai  minacciato  dopo  la 
riorganizzazione  ecclesiastica  del  1700:  un  accordo  collo 
czar,  oltre  che  vantaggiare  la  fede  cattolica,  avrebbe  in- 
fluito favorevolmente  sulle  sorti  della  guerra  contro  la 
Turchia. 

Monsignor  Bentivoglio  e'  informa  dell'  arrivo  e  del 
soggiorno  di  Pietro  in  Parigi  (3),  e  narra  che  ricevuto 
r ordine  «  di  farla  corte  allo  czar  »,  egli,  benché  sofferente 


(i)  È  interessante  a  tal  riguardo  una  lettera  di  mons,  Bentivo- 
glio, nella  quale  si  fa  eco  dei  lamenti  sollevati  dagli  altri  diploma- 
tici contro  questi  arresti  violenti.  Chi  maggiormente  indignossi  fu  il 
marchese  di  Monteleone  ambasciatore  di  Spagna  in  Parigi,  il  quale 
osò  scrivere  alla  corte  inglese  «  ch'egli  compativa  molto  il  re  d'cs* 
a  sere  ridotto  a  non  aver  altro  mezzo  per  assicurare  il  suo  trono, 
a  che  quello  di  violare  il  diritto  delle  genti ...»  {Nimiiat.  di  Fran- 
cia, 251,  1*  marzo  1717). 

(2)  V.  BrCckner,  op.  cit.  pp.  588,  589. 

(3)  Nuniiat.  di  Frauda^  251,  Avvisi  di  Parigi,  2,  16  e  2}  mag- 
gio 1717. 


480  J,  Torneiti 


di  podagra,  pensò  di  visitare  uno  del  seguito,  il  principe 
Kurakin,  che  aveva  conosciuto  nel  1707  in  Roma  (i), 
quando  costui  aveva  tentato  di  dissuadere  Clemente  XI  dal 
riconoscere  il  Leszczinski  per  re  di  Polonia  (2). 

Ammesso  alla  presenza  dello  czar,  gli  recitò  un  fiorito 
elogio,  del  cui  effetto  si  stimava  sicuro;  ma  era  destinato 
a  non  spuntarne  una,  perchè  Pietro  ringraziò  brevemente 
e   «  all'  articolo  della  religione  non  rispose  parola  »  (3). 


(i)  Nun^iaL  di  Francia,  231;  da  una  lettera  del  corriere  del 
7  giugno:  «L'ordine  che  ricevei  l'ordinario  scorso  di  far  la  corte 
«al  czar,  mi  trovò  incomodato  da  un  piccolo  attacco  di  podagra; 
«ciò  non  ne  ha  ritardato  però  l'esecutione  . . .  Tanto  il  signor  mare- 
«  sciallo  di  Tessè  che  l'assiste  per  ordine  del  re,  quanto  il  prìncipe 
«  Kourachim  alli  quali  mi  sono  indirizzato  per  udienza  mi  hanno 
«  fatto  rispondere  che  subito  che  S.  M.  sarà  di  ritorno  me  la  fa- 
«  ranno  avere.  Per  insinuarmi  con  questo  ultimo  gli  ho  fatto  fare 
«  un  complimento  per  il  gentiluomo  mandato  ad  appuntare  l'udienza, 
«  facendoli  dire  che  io  avevo  avuto  l'onore  di  conoscerlo  in  Roma, 
«  al  che  mi  ha  egli  fatto  rispondere  gentilissimamente  esprimendosi 
«  che  egli  voleva  venirmi  a  visitare.  Sabato  doppo  pranzo  andai  io 
«  stesso  all'  hotel  de  l'Ediguiers,  ove  il  czar  alloggia  con  tutto  il  suo 
«seguito  per  prevenirlo  e  visitarlo;  ma  lo  trovai  uscito  di  casa». 

(2)  V.  Bruckner,  op,  cit.  p.  726. 

(3)  Data  l'importanza  dell'argomento  e  le  particolarità  del  dia- 
logo tra  il  Bentivoglio  e  il  Kourachin,  nonché  le  osservazioni  che 
il  nunzio  fa  sullo  czar  Pietro,  stimiamo  utile  la  riproduzione  di  al- 
cuni passi  d'una  lettera  del  corriere  del  14  giugno  171 7  (Nuniiat.  di 
Francia,  231). 

Il  nunzio  premette  che,  avuto  l'assenso  del  reggente  d'Orléans,  circa  la 
visita  allo  czar,  recossi  dal  principe  Kourachin  «...  il  quale  malgrado  una 
risipola  sofferta  in  una  gamba,  da  cui  era  appena  guarito,  mi  venne  a  rice- 
vere ed  accompagnare  fino  alla  carrozza.  Doppo  i  primi  convenevoli,  io  mi 
estesi  nelle  lodi  del  czar;  nella  stima  che  S.  S.  ne  aveva  concepita,  uè 
mancai  di  lusingare  lo  stesso  principe  sul  buon  nome  che  egli  aveva  lasciato 
a  Roma,  e  su  la  confidenza  intiera  che  S.  S.tà  aveva  avuta,  e  tuttavia  aveva 
in  lui.  Corrispose  egli  con  espressione  di  veneratione  e  di  rispetto  verso  la 
sicra  persona  di  N.  S.  ...Doppo  di  che  credendo  io  di  dovermi  stringere, 
cominciai  a  metterlo  sul  discorso  delle  sue  negotiationi  di  Roma;  li  dissi  che 
in  quel  tempo  io  veramente  non  facea  che  cominciare  la  mia  carriera;  e  che 


Stiidit  sul  ponlijìcato  di  Clemente  XI        481 

Ma  oramai  anche  senza   quell'  intervento  T  esito  della 
guerra  era  assicurato.  In  Ungheria,  Eugenio  si  stimava  si- 

non  era  informato  a  dentro  nella  midolla  degli  affari  ;  ma  che  mi  ricordavo 
di  aver  inteso  dire  ch'egli  era  riuscito  in  tutto  ciò  che  avea  al  papa  richiesto, 
e  che  n'era  partito  molto  contento.  Dal  che  (soggiuns'io)  può  lei  ben  com- 
prendere che  non  è  cattivo  negoziare  con  noi,  e  che  siamo  uomini  di  buona 
fede.  Confessò  egli  ch'era  ben  riuscito  nelle  sue  commissioni,  e  che  non  avea 
soggetto  che  di  lodarsi  del  papa.  Ma  con  tutto  ciò  non  veniva  da  se  stesso, 
come  avrei  desiderato,  a  parlarmi  degli  affari  della  religione;  mi  trovai  dunque 
in  necessità  d'entrare  io  stesso  in  materia,  e  d'ingnorante  che  m'ero  fatto 
fin'  allora,  cominciai  a  poco  a  poco  a  mostrarmi  informato.  Le  dissi  che  era 
stato  gran  disgrazia,  che  doppo  che  il  papa  avea  dal  suo  canto  accordato 
quanto  se  gli  era  chiesto,  e  attenuto  quanto  avesse  promesso,  non  avesse  poi 
S.  S.tà  in  ricompensa  potuto  venire  a  capo  di  stabilire  i  vantaggi,  che  per 
la  nostra  S.  religione  gli  erano  stati  intenzionati  in  Moscovia,  e  in  Mosco. 
Il  principe  mi  replicò  che  la  nostra  religione  era  permessa,  che  i  Cappuccini 
avevano  case  e  chiese,  e  li  Giesuiti  in  Mosco  un  collegio,  ove  quasi  tutta 
la  loro  gioventù  andava  ad  imparare.  Ma  parmi  (soggions'io)  che  era  stato 
intenzionato  a  S.  S.tà  di  darli  un  diploma  del  czar,  che  fissasse  per  sempre 
quello  che  fino  ad  ora  non  era  che  semplice  tolleranza.  Ed  egli  mi  rispose 
che  questo  era  stato  un  desiderio  ed  un  negoziato  del  vescovo  di  Cujaccia, 
e  che  veramente  non  credeva  che  il  diploma  fosse  stato  spedito;  ma  che 
questo  non  era  un  punto  di  grande  importanza,  mentre  in  sostanza  l'uso  e 
l'esercizio  della  religione  lomana  era  in  vigore.  Parendomi  che  il  principe 
dissimulasse  la  verità  del  fatto,  e  che  cercasse  di  tenersi  lontano  dall'entrare 
nelle  circostanze,  credei  sempre  più  espediente  all'aliare  venire,  come  si  suol 
dire,  ai  ferri,  e  di  parlarli  più  chiaro;  che  però  gli  dissi:  parermi  pure  ch'egli 
essendo  a  Roma,  avesse  avuto  per  le  mani  il  trattato  di  questo  diploma,  il 
che  mi  negò  egli  costantemente;  ed  io  allora  gli  dissi  ch'io  era  uomo  libero 
e  franco,  e  che  non  volea  dissimularli  essere  io  certamente  informato  che 
questo  negozio  non  era  mancato  che  per  contestationi  di  cerimoniali ...  Il  prin- 
cipe che  fino  allora  avea  paruto  schermirsi  dal  fare  un  negoziato  del  nostro 
discorso,  rallegrandosi  per  quanto  parve,  mi  parlò  da  ministro,  e  mi  disse  che 
mi  pregava  a  darli  due  giorni  di  tempo,  ch'egli  avrebbe  reso  conto  al  czar 
di  quanto  io  l'aveva  esposto  . . .  Qui  io  esagerai  il  peso  dell'amicizia  di  S.  S.tà, 
la  veneratione  che  per  lui  avevano  tutti  principi  cattolici,  e  quanto  potesse 
influire  negli  afiari  temporali,  e  massime  in  quelli  della  Polonia,  che  più  da 
vicino  riguardavano  S,  M.  czariana,  il  clic  tutto  mi  viene  dal  principe  accor- 
dato, e  mi  confessò  che  quanto  alla  Polonia  assolutamente  l'autorità  del  papa 
influisce  molto  negli  affari  ...  —  Il  giovedì  non  venne  il  czar  a  Parigi,  ed  il 
principe  andò  il  venerdì  a  Versailles  a  trovarlo...  11  czar  se  non  muta  dee 
partire  alli  i6,  onde  non  restandomi  più  che  tre  o  quattro  giorni,  non  posso 
lusingarmi  di  finir  questo  affare...  Domenica  mattina,  quando  meno  ci  pen- 
sava, il  sig.r  maresciallo  di  Tessè  mi  mandò  su  le  io  ore  ad  avvisare  che  il 
ciar  era  di  ritorno,  e  clic  S.  M.  m'avcrcbbe  veduto  volentieri  se  voleva  »n- 


482  J.  Tometti 


curo  della  vittoria;  a  Corfù,  si  radunavano  gli  ausiliarii. 
Financo  la  squadra  spagnola  si  avviava  a  quella  volta,  ben- 
dare da  lui  un'ora  doppo  il  mezzogiorno.  Cosi  feci  e  gionsi  che  era  ancora  a 
tavola  ;  mi  trattenni  nell'appartamento  che  il  maresciallo  occupa  per  stare 
appresso  il  czar.  Lo  feci  avvisare  del  mio  arrivo;  e  poco  doppo  discese  il  ma- 
resciallo, e  mi  condusse  nel  gabinetto  di  S.  M.tà,  ove  entrai  con  tutto  il  mio 
seguito.  Io  era  nell'abito  ordinario  in  cui  vado  alla  corte,  cioè  sottana  pao- 
nazza, camaglio,  croce  pettorale  e  mantellone.  Trovai  il  czar  circondato  da 
molti  de  suoi  gentiluomini  e  che  stava  inchinato  su  una  tavola  riguardando 
un  libro  d'antichità.  Al  mio  giungere  si  staccò  dal  tavolino,  ed  io  li  feci  un 
breve  complimento.  Le  dissi  che  la  fama  delle  sue  virtù  si  morali  che  mili- 
tari, alle  quali  erano  stati  termini  troppo  angusti  i  confini  del  suo  vasto  im- 
perio, essendosi  dall'estrema  parte  del  settentrione  diffusa  per  tutta  l'Asia  e 
per  tutta  l'Europa,  avea  eccitato  N.  S.,  ottimo  discernitore  ed  estimatore  dei 
meriti  più  sublimi,  ad  amore  e  stima  della  sua  persona,  che  quelli  che  avevano 
l'onore  d'essere  suoi  ministri  non  potevano  rendere  un  più  aggradevole  ser- 
vigio a  S.  S.tà,  quanto  facendo  la  corte  alla  M.tà  Sua  per  tutto,  ove  avevano 
l'onore  di  rincontrarla;  ch'io  mi  presentava  a  lui  per  assicurarlo  in  nome  di 
N.  S.  del  paterno  affetto  con  cui  n'era  risguardata,  e  dell'intiera  fiducia  che 
aveva  nella  bontà,  con  cui  S.  M.  proteggeva  ne  suoi  Stati  la  nostra  religione, 
sperando  che  S.  M.  si  sarebbe  degnata  di  continuarla  ed  accrescejla,  e  di  to- 
talmente stabilirla.  Che  quanto  a  me  era  troppo  felice  di  poter  ammirare  da 
vicino  un  si  gran  principe  ;  che  doppo  avere  agguerrita  la  sua  nazione  per 
munirla  contro  i  nemici  esterni,  avea  saputo,  introducendo  in  essa  ogni  sorte 
di  scienze  ed  arti  e  d'ogni  più  onesto  costume,  assicurarla  al  di  dentro  contro 
i  più  fieri  nemici  domestici,  quali  erano  la  ferocia  e  l'ozio.  Queste  o  simil 
cose  esposi  al  czar,  che  gli  furono  interpretate  nella  sua  lingua  dal  suo  can- 
celliero.  Lo  stesso  mi  rispose  in  cattivissimo  italiano,  e  con  molta  fatiga  e  con- 
fusione, la  risposta  di  S,  M.,  che  compresi  esser  piena  di  sensi  di  riconosci- 
mento e  di  stima  per  S.  S.tà,  con  qualche  espressione  di  benignità  per  me; 
ma  all'articolo  della  religione  non  rispose  parola.  Mi  fece  poi  domandare  della 
salute  di  S.  S.tà  . . .  Vedendo  poi  io  che  S.  M.  non  parlava  più,  dissi  in  italiano 
al  principe  Kourachim  ch'io  attendeva  gli  ordini  di  S.  M.  per  ritirarmi;  al 
che  il  principe  nella  stessa  lingua  mi  rispose  ch'io  potea  pure  andarmene... 
Il  czaro  è  principe  di  gran  statura  più  alto  di  me  e  più  asciutto;  ha  la  fisio- 
nomia fiera  e  militare,  di  faccia  piccola  a  proporzione  dell'altezza  del  corpo, 
di  colore  olivastro  e  pallido;  ha  una  specie  di  convulsione  che  li  fa  fare  un 
certo  movimento  quasi  continuo  di  capo,  e  di  tempo  in  tempo  qualche  con- 
torcimento di  bocca.  Di  pelo  tirante  nel  nero,  con  un  mostacchio  che  li  corte 
per  tutto  il  labro  superiore,  non  longo  e  folto  come  gli  Ussari  e  i  Cappel- 
letti, ma  corto  e  arricciato  all'in  su;  porta  una  perucca  da  abate  nera,  corta 
e  mal  pettinata;  il  suo  vestire  non  può  essere  né  più  semplice  né  più  dimesso, 
duesto  é  il  ?uo  ritratto  esteriore  ;  quanto  all'interno,  senza  che  io  non  ne 
sarei  buon  giudice,  doppo  ancora  averlo  a  bell'agio  esaminato,  non  è  possibile 
d'averlo  conosciuto  in  una  sola  visita.  Le  sue  azioni  e  la  sua  condotta  pos- 


Stitdii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        483 

che  lentamente.  Partita  da  Cadice,  era  giunta  a  Barcellona 
il  12  luglio;  e,  per  affrettarne  il  cammino,  si  dispose  di 
non  fermarsi  in  alcun  porto  d'  Italia.  Cosi  scriveva  l'Al- 
drovandi;  e  ricordando  che  nell'anno  precedente  la  squadra 
aveva  impiegati  sedici  giorni  da  Cadice  a  Barcellona,  men- 
tre ora  in  soli  undici  giorni  era  giunta  nella  capitale  della 
Catalogna,  ne  deduceva  il  convincimento  che  presto  gli 
Spagnoli  si  sarebbero  trovati  nelle  acque  di  Corfù  (i). 


Vili. 

Ripresa  delle  ostilità  nel  17 17.  —  Scontri  per  mare  fra  Turchi  e 
Cristiani.  —  Vittorie  dei  Veneti  nell'  Erzegovina.  —  Caduta  di 
Belgrado.  —  Impresa  dei  Veneti  e  dei  Pontifici  contro  Dulci- 
gno.  —  La  pace  di  Passarowitz.  —  Conclusione. 

Dileguate  le  speranze  di  pace  ed  incitato  dai  prepara- 
tivi guerreschi  dell'Austria,  Acmet  III  deliberò,  con  inu- 
sitato fervore,  di  continuare  la  guerra;  e  benché  la  peste 
infierisse  ne'  suoi  Stati,  e  1'  Ulema  e  parecchi  membri  del 
Divano  fossero  contrari  alla  ripresa  delle  ostilità,  egli  volle 
lavar  l'onta  dell'  ultima  campagna,  mirando  ad  impadro- 
nirsi di  Corfù  e  di  Temiswar. 


sono  caratterizzarlo.  Qui  s'è  egli  fatto  conoscere  per  un  principe  curioso  d'ac- 
cumular notizie  e  di  farne  conserva  per  arricchirne  il  suo  regno.  Tutto  quello 
clie  vede  lo  nota  di  sua  mano,  ed  è  molto  desideroso  d' introdurre  nei  suoi 
Stati  il  commercio  con  le  nazioni  straniere.  La  marina  è  la  sua  passione  domi- 
nante, ed  intende  perfettamente  le  matematiche.  Quanto  al  suo  modo  di  vivere 
pare  regolato,  a  prima  vista,  mettendosi  sempre  a  tavola  la  mattina  a  1 1  ore, 
e  la  sera  a  7  in  otto,  ed  essendo  sempre  in  piedi  alle  sei  della  mattina,  nel 
qual  tempo  accudisce  ai  negotii  e  ai  dispacci  ;  ma  quanto  ai  costumi  risente 
ancora  Io  sregolamento  della  nazione,  essendo  molto  dato  ai  piaceri  e  alle 
crapule  ;  cosi  anche  la  generosità  non  è  multo  conosciuta  da  lui,  il  che  l'ha 
fenduto  meno  plausibile  in  un  paese,  ove  gii  s'erano  figurati  che  dovesse 
sparger  monti  d'oro  .  . . 

(1)  Nuniiat,  di  Spagna,  217,  lettere  dcH'AIdrovandi  si  Paolucci, 
28  giugno  e  5  luglio  1717. 


484  .7".  Torneiti 


A  ciò  lo  spingevano  quei  suoi  cortigiani  che  tra  la 
confusione  di  una  guerra  disperata  agognavano  di  conse- 
guire onori  e  ricchezze,  e  la  Francia  che,  sperando  in 
quella  contingenza  di  vedere  infiacchita  1'  Austria  e  pro- 
mettendo una  diversione  di  anni  che  non  eseguiva,  spar- 
geva r  oro  fra  i  partigiani  della  guerra  (i). 

A  fine  di  prepararsi  convenientemente  per  la  prossima 
campagna,  il  primo  visir  Chahl-pascià  fece  leva  di  nuove 
truppe,  riattivò  la  corrispondenza  coi  ribelli  ungheresi  Ra- 
koczi  e  Berczeny,  ordinò  le  preghiere  abituali,  e  si  avviò 
poscia  verso  Nissa,  mentre  il  sultano  da  Adrianopoli  pas- 
sava a  Sofia. 

In  questo  mentre  Atscì-AU  muniva  fortemente  Bel- 
grado da  lui  governata,  ben  pensando  che  il  principe  Eu- 
genio sarebbesi  rivolto  contro  di  essa  per  rinnovare  attorno 
le  sue  mura  gU  eroismi  di  offesa  e  di  difesa,  di  che  quella 
città  era  spettatrice  da  due  secoli;  il  governatore  della  Ro- 
melia, Schatir-Ali-pascìà,  erasi  avanzato  nel  piano  di  We- 
retschar;  quello  di  Diarbetz,  Redscheb,  presa  Mehadia, 
sforzavasi  con  trentamila  uomini  verso  Belgrado  per  arre- 
stare la  marcia  del  nemico  a  Pancsova  ;  e  Ali-pascià, 
mandato  in  avanti  al  ponte  della  Morawa,  avvistosi  del- 
l' imminente  arrivo  degli  imperiaH,  sollecitava  rinforzi  che 
il  visir  gli  condusse  il  12  luglio. 

Eugenio  intanto,  superato  il  Danubio  a  Visnitza  nelle 
vicinanze  di  Pancsova,  erasi  accampato  tra  il  Danubio  e 
la  Sava,  proprio  dirimpetto  a  Belgrado.  Un  largo  stuolo 
di  principi  era  accorso  sotto  le  sue  bandiere  a  prender  parte 
a  quella  nuova  crociata  contro  gì'  Infedeli.  I  principi  di 
Baviera,  di  Wurtemberg,  di  Hesse,  di  Bevern,  di  Culm- 
bach,  di  Anhat-Dessau,  di  Lichtenstein,  di  Dombes,  di 
Marsillac,  di  Pons;  i  conti  di  Charolais,  di  Estrade,  il  mar- 


(i)  Salaberry,  Storia  dell'impero    ottomano    &c.,    traduzione    di 
G.  Barbieri,  Milano,  Bettonì,  1821,  III,  14-16. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        485 

chese  d'Alincourt,  figlio  del  maresciallo  di  Villeroi,  erano 
per  ripetere  gli  atti  di  coraggio  e  di  abnegazione  compiuti 
dai  loro  avi  agli  assedi  di  Candia  e  di  Ofen  ed  alla  bat- 
taglia di  Nicopoli. 

Riunito  r  esercito,  che  nella  prima  linea  aveva,  tra  gli 
altri,  il  generale  Montecuccoli,  e  nella  seconda  Emanuele 
di  Savoia  nipote  di  Eugenio,  questi  cinse  d'assedio  Bel- 
grado, sperando  di  espugnarla  prestamente;  quand*  ecco 
comparire,  il  i''  agosto,  dalle  alture  di  Crutzka,  l'esercito 
ottomano,  che,  forte  di  centocinquantamila  uomini,  chiuse, 
come  a  Peterwaradino,  gì*  imperiali  nel  loro  stesso  campo. 
Postate  le  artiglierie  in  modo  da  fulminare  dall'  alto  le 
truppe  cesaree,  e  fatto  pervenire  ordine  ai  trentamila  uo- 
mini raccolti  in  Belgrado  di  tenersi  pronti  all'  attacco,  il 
visir  avanzava  lentamente  ogni  notte,  stringendo  sempre 
più  da  presso  Eugenio,  fin  quasi  a  tiro  d'archibugio.  La 
condizione  degl*  imperiali  era  disperata  ;  e  soltanto  la  fiducia 
nel  genio  militare  del  loro  comandante  supremo  ne  sor- 
reggeva r  animo  e  ne  spronava  V  ardire. 

Clemente  XI  si  era  afl^rettato  a  rinnovare  le  istanze 
affinchè  le  squadre  ausiliarie  giungessero  per  tempo  in  Le- 
vante (i).  L'aiuto  della  Spagna,  per  quanto  abbiamo  dotto, 
non  prometteva  di  riuscire  che  di  assai  dubbia  eflScacia; 
ma  il  Portogallo  (2),  Toscana,  Malta  avevano  risposto 
sollecite  all'  appello.    Il  28  aprile    la    squadra   portoghese 


(i)  Episloìae  et  brevia  sekciiora  cit.  p.  593,  30  gennaio  171 7,  let- 
tere esortative  a  Genova  ed  al  granduca  di  Toscana  per  mandare 
soccorso  di  navi  a  Corfù  ;  p.  594,  26  febbraio,  nuovi  incitamenti  al 
re  di  Polonia;  p.  601,  11  marzo,  loda  i  preparativi  di  Venezia,  e  le 
concede  altri  centomila  scudi  d'oro. 

(2)  Oltre  l'erezione  in  patriarcato  della  cappella  regia,  il  papa 
aveva  concesso  al  re  di  Portogallo  non  pochi  sussidi  sui  beni  ec 
clesiasiici  {Misceli,  di  CkmcnU-  XI,  216,  pp.  15-16;  Biillar.  Clan.  A7, 
pp,  2r^'-22l). 


48^  J.  "Pometti 


usci  da  Lisbona  al  comando  del  conte  di  Rio  Grande;  il 
24  maggio  fu  a  Palermo,  e  mosse  sulle  tracce  di  quella 
veneta;  erano  sette  navi,  due  brulotti  e  due  tartane  (i). 
Il  granduca  di  Toscana  mandò  due  galere:  la  Santo  Ste- 
fano, comandata  dal  cavaliere  Pier  Francesco  Minucci  da 
\'olterra,  e  la  San  Francesco,  al  comando  del  cavaliere  Pier 
Iacopo  Marescotti,  senese;  inoltre,  due  barche:  la  SS,  Con- 
cezione del  padrone  Giuseppe  d'Andrea  dn  Livorno,  per 
ospedale,  eia  Santo  Eustachio  del  francese  Giuseppe  Human, 
per  provvigioni  (2).  Le  galere  di  Malta  furono  cinque  in 
queir  anno  a  partire  per  Corfù  (3).  Le  comandava  il  ca- 
valiere De  Cintray.  Il  bali  Bellefontaine  ebbe  dal  papa  il 
comando  supremo  delle  squadre  ausiliarie,  per  ovviare  agli 
sconci  della  campagna  precedente  (4). 

(i)  Misceli,  ài  CUm&nte.  XI,  216,  pp.  28-30,  Rela^ioìì e  della  squadra 
che  S.  M.  di  Portogallo  mandò  in  soccorso  dell'armata  cristiana,  ad 
istanza  di  N.  S.  Clemente  XI  in  quest'anno  lyiy,  uscita  da  Lisbona  nel 
28  d'aprile,  e  arrivata  a  Palermo  il  24  maggio;  ìv',  pp.  33-34,  Stato 
delle  navi  spedite  in  soccorso  delle  armi  ausiliarie  dalla  Maestà  del  re  di 
Portogallo  ad  istanza  di  N.  S.  papa  Clemente  XI,  nel  presente  anno  lyiy. 

(2)  Ivi,  pp.  54-57.  Vi  sono  segnati  molti  nobili  toscani  che  pre- 
sero parte  a  quella  spedizione. 

(3)  Ivi,  p.  36,  Stato  dell'armamento  della  squadra  di  cinque  galere 
di  Malta  partite  da  quel  porto  li  50  maggio  lyiy  ecc.;  p.  37,  Nome,  co- 
gnome e  lingua  dei  cavaglieri  officiali  col  posto  che  occupano  sulle  navi 
della  sacra  Religione  GierosoVnnitana,  imharcate  su  le  medesime  li  5  di 
giugno  lyiy,  spedite  in  aiuto  dell'armata  veneta. 

(4)  Ivi,  p.  39,  copia  di  lettera  del  bali  Bellefontaine,  spedita 
(non  è  detto  da  dove)  il  5  aprile  1717  al  gran  mastro  di  Malta: 
<(  Monseigneur.  Je  n'eu  pas  plustost  recu  les  ordres  de  Vostre  Allesse 
«  eminentissime  au  sujet  du  commandement  des  forces  maritimes 
«  auxiliaires  de  l'armée  de  Venise,  que  je  dcpeché  dans  le  moment 
«  un  courrier  à  la  cour  pour  en  obtenir  la  permission  que  nous  at- 
«  tendons  a  tous  moments,  et  comme  ces  sortes  de  commandemens 
«  avec  des  estrangers  me  sont  fort  nouveaux,  je  vous  suplie  de  faire 
«  en  sorte  que  M''  le  commandeurde  Cintray  s'embarque  avec  moy, 
«  a  fin  d'agir  de  concert  pour  la  cause  commune,  et  d'ailleurs  Mgr 
«  vous  pouvés  compter  sur  ma  bonne  volontè  et  ma  diligence  lors- 


Studii  sul  pontificato  dì  Clemente  XI         487 

Partite  da  Civitavecchia  qualche  giorno  prima,  e  ai 
5  di  maggio  lasciato  Pozzuoli,  le  galere  pontificie  giun- 
sero il  12  dello  stesso  mese  al  capo  di  S.  Maria  di  Leuca, 
e  il  giorno  dopo  alle  Merlere.  11  viaggio  si  compi  in  con- 
dizioni migliori  dell'anno  precedente.  Sulla  Reale  era  im- 
barcato il  gran  priore  e  governatore  generale  Francesco 
Maria  Ferretti;  la  S.  Giuseppe  era  comandata  dal  cavaliere 
Vincenzo  Ancaiani,  la  5.  Pietro  dal  cavaliere  De  La  Motte 
d'Orléans,  la  5.  Pio  da  Papirio  Bussi  (i). 

La  squadra  turca  si  teneva  chiusa  nei  Dardanelli  ;  ma 
al  seraschiere  era  stato  comandato  di  trasportare  ottomila 
uomini  a  Corfù;  altri  dodicimila  si  mandavano  presso 
S.  Maura  ov'era  il  Loredano  con  soli  quattromila  soldati; 
ad  Elvano,  sulla  terraferma,  si  ammassavano  le  provvi- 
gioni (2). 

Per  la  levata  dell'assedio  di  Corfù,  era  avvenuto  un 
mutamento  nella  direzione  della  flotta  ottomana.  Quella 


«  que  je  serai  en  place  cependant  avec  tous  les  secours  qui  convie- 
«  nent  au  service,  et  suis  de  Vostre  Aitasse  eminentissime  avec  tous 
«  les  respect  imaginable  les  tres  humblc  et  tres  obeissant  serviteur 
«  le  bailli  de  Bellefontaine  ». 

11  duca  d'Orléans  cosi  rispose  sulla  nomina  del  Bellefontaine 
(Misceli,  eh.  216,  p.  40:  Copie  d'une  lettre  escritte  par  S.  A.  R.  Mgr  le 
regent  a  S.  A.  E.  Mgr  le  gruìid  maitre  de  Malte,  le  7  avril  iji}): 
«  Monseigneur  mon  cousin.  Vous  ne  pourriez  certainement  jetter  les 
((  yeux  sur  personne  plus  capable  de  commandement  que  M""  le 
«  bailly  de  Bellefontaine.  Je  luy  donne  avec  d'autant  plus  de  plaisir 
«  le  congé,  et  la  permission  que  vous  demandés  pour  luy  qu'il  n'y 
«  a  point  d'occasion,  oli  je  ne  desire  de  faire  chose  qui  vous  soit 
<(  agreable,  et  de  vous  marquer  lous  les  sentimcnts  d'amitié  et  d'at- 
"  tachement  avec  les  qucls  je  suis,  monseigneur  mon  cousin,  vostre 
«tres  afFectionné  cousin.  Signé  Philippe  d'Orleans». 

(i)  Miscellanea  di  Clemente  XI,  216,  da  p.  41  a  53:  vi  sono  molli 
particolari  sui  comandami,  sugli  equipaggi  e  sulla  poten/ialità  di 
ciascuna  nave. 

(2)  Ivi,  pp.  79-80,  copia  di  lettera  di  Francesco  Bosalii,  scritu 
da  Otranto  airambasciatore  di  Venezia  il  26  gennaio  17 17. 


488  J.  'Pometti 


inconsiderata  decisione  fu  in  gran  parte  attribuita  al  ca- 
pitan pasci  A  Dschanun  Coggia,  che  accusato  d*  aver  la- 
sciato fuggire  r  armata  veneziana  a  Modone,  era  uscito 
felicemente  da  un*  inchiesta  fatta  sulla  sua  condotta.  A 
Corfù,  per  gelosia  contro  il  seraschiere,  non  aveva  con- 
venientemente assecondato  le  operazioni  di  costui;  e  in- 
vece di  tener  segreto  l'annunzio  del  disastro  di  Peterwa- 
radino,  Taveva  propalato  determinando  la  precipitosa  par- 
tenza della  flotta.  Deposto,  fu  sostituito  da  Ibraim  pascici, 
che  sotto  il  visirato  di  Ali  di  Tschorli  aveva  avuto  per  tre 
anni  il  comando  generale  della  marina  (i). 

Dopo  quel  successo,  i  Veneziani  passarono  dalla  di- 
fesa all'offesa.  Il  Pisani  era  corso  lungo  l'Arcipelago  aspet- 
tando inutilmente  che  la  flotta  turca  uscisse  dal  golfo  di 
Corone  ov'erasi  chiusa  ;  e  a  nient' altro  riuscendo,  aveva 
occupato  S.  Maura. 

Nella  primavera  del  17 17,  in  sostituzione  di  Andrea 
Cornaro,  era  stato  nominato  capitano  straordinario  Ludovico 
Flangini.  Mosse  costui  con  ventisei  navi  verso  i  Darda- 
nelli per  impedirne  l'uscita  al  nemico,  o  almeno  non  per- 
metterne l'unione  coi  barbareschi  (2).  Lasciò  Corfù,  e  agli 
otto  di  giugno,  dopo  essersi  fermato  per  qualche  tempo  a 
S.  Maura  e  al  Zante  ad  imbarcare  milizie  e  munizioni, 
giunse  nelle  acque  di  Imbro,  a  diciotto  miglia  dalle  bocche 
di  Costantinopoli.  Vi  si  fermò  per  ristorare  le  truppe  dalle 
fatiche  del  viaggio  e  per  ispiare  l' inimico.  I  Turchi  fu- 
rono avvistati  fra  i  primi  ed  i  secondi  castelli  dalla  parte 
d'Asia  il  giorno  dieci,  a  quindici  ore.  Fu  ordinata  la  bat- 
taglia ;  ma  pel  rapido  insorgere  d'un  burrascoso  vento  da 
tramontana,  furon    scompigliate  le  file,  rotti  i  contatti,  e 


(i)  De  Hammer,  op.  cit.  Ili,  370. 

(2)  Misceli,  di  Clemente  XI,  216,  pp.    93-94,    foglio  da  Venezia 
portante  notizie  di  Corfù,  22  maggio;  Romanin,  op.  cit.  Vili,  53. 


Stiidii  sul  pontificato  di  Clemente  XI         489 

dopo  un'ora  d*  inutile  manovrare  sì  ritornò  ad  Imbro.  Il 
giorno  dopo  il  nemico  era  scomparso;  ma  continuando 
la  burrasca,  e  questa  volta  con  vento  favorevole  agli  Ot- 
tomani, ecco  questi  ritornare  e  muovere  audaci  alla  pugna 
alle  ore  ventuna  del  giorno  dodici.  Otto  sultane  si  stac- 
cano dalla  coda  della  linea  e  minacciano  l'estremità  della 
flotta  cristiana;  Ibraim,  col  resto,  appoggia  verso  terra.  Mar- 
cantonio Diedo,  capitano  ordinario  delle  navi,  sostiene  in- 
trepido il  primo  assalto,  e  dà  campo  al  Flangini,  se  può, 
di  attaccare  Ibraim;  egli  ad  arte  si  offre  in  aperto  bersa- 
glio, e  cerca  di  attirare  su  di  sé  l'attenzione  del  nemico. 
Durò  la  manovra  e  la  zuffa  sino  a  un'ora  di  notte;  poi 
le  sultane,  perduto  un  brulotto  e  scoverta  l' intenzione  del 
Flangini,  lasciano  il  Diedo  e  corrono  in  appoggio  di  Ibraim. 
Riarde  più  accanita  la  pugna,  e  per  altre  due  ore  è  un 
raggrupparsi,  un  gridare,  un  battagliare  incessante.  I  Ve- 
neti alla  fine  si  son  riuniti  :  stringon  le  file,  scambiano 
ordini  e  in  linea  serrata  avanzano  verso  terra  ;  ma  il  ne- 
mico, a  fuochi  spenti,  in  silenzio  si  allontana  e  dilegua. 
Accendono  i  fanali  i  Veneti  e  veleggiano  tutta  la  notte 
per  unirsi  alle  conserve. 

Al  far  del  giorno  si  trovano  presso  Lemno  e  scorgono 
il  nemico  con  tre  vele  di  meno.  Il  Diedo  non  gli  dà  tempo 
di  riaversi  dalla  sorpresa,  e  gli  muove  contro.  Invano  sette 
sultane  tentano  sbarrargli  la  via:  s'avanza  animoso  e,  fa- 
vorito dal  vento,  si  caccia  fra  le  navi  nemiche  e  le  scom- 
piglia. Nuova  fuga  e  nuovo  inseguimento.  La  mattina 
del  14  l'armata  veneta  si  trova  fra  Lemno  e  Montesanto, 
a  poca  distanza  dai  Turchi,  che  ripiglian  la  rotta.  La  con- 
tinuano il  giorno  dopo,  fra  Montesanto  e  Santi  Strati.  Ma 
la  mattina  del  sedici  non  riescon  più  a  fuggire,  e  i  Veneti 
l'obbligano  a  battaglia.  Erano  le  ore  quindici.  Per  cinque 
ore  durò  la  pugna,  sanguinosissima.  I  Turchi,  incalzati, 
stretti,  decimati,  pensarono  di  salvarsi  colla  fuga.  Oltre 
il  Diedo,  anche  Ludovico  Flangini  rinnovò  eroismi  d'altri 


490  J'  Torneiti 


tempi,  che  ferito  alla  parte  sinistra  del  collo  da  un  colpo 
di  archibugio,  fasciatosi  a  pena,  ritornò  imperterrito  alla 
pugna;  e  qualche  giorno  dopo,  sparsosi  il  grido  che  i  ne- 
mici tornavano,  fattosi  cìngere  le  armi  volle  essere  portato 
sul  cassero  della  sua  nave,  ove  illanguidito  mori.  Marco 
Flangini  suo  nipote,  e  Giovanni  Morosini  di  Michele  vi 
rimasero  malconci  (i). 

Le  perdite  dei  Turchi,  benché  non  conosciute  con  cer- 
tezza, pure  non  furono  lievi:  un  brulotto  bruciato,  una 
sultana  sommersa,  quattro  altre  smontate.  I  Veneti  per- 
dettero cinquecento  uomini  fra  morti  e  feriti;  la  nave 
Coìombay  danneggiata  da  un  colpo  di  cannone,  fu  facil- 
mente risarcita  (2)  ;  ma  in  quelle  tre  battaglie  successive 

(i)  Misceli,  di  Clemente  XI,  216,  pp.  81-88,  da  una  Kelaiioìie 
sul  conflitto  colVarmata  turchesca.  Di  questo  conflitto  di  non  poca  im- 
portanza, sia  sotto  il  rispetto  della  tattica  navale  che  sotto  quello 
morale  che  poi  ebbe  sugli  scontri  successivi,  non  si  hanno  che  im- 
perfetti e  superficiali  accenni.  Ad  esempio,  il  Salaberry  (op.  cit.  Ili, 
tit.  18)  non  ne  parla  affatto;  il  Romania  (op.  cit.  Vili,  53,  54)  men- 
ziona rapidamente  il  solo  scontro  del  giorno  12,  e  lo  narra  come 
avvenuto  dopo  la  battaglia  di  Belgrado;  il  Guglielmotti  (op.  cit. 
IX,  76)  lo  sorvola.  Per  l'errore  in  cui  incorse  il  Randaccio  a  tal  pro- 
posito, è  da  vedere  il  Manfroni  (op.  cit  in  questo  Archivio^  XIV, 
35)  sgg.). 

(2)  Ivi  da  p.  106  a  ITI,  con  lievi  varianti  da  un'altra  Relazione 
delll  combattimenti  seguiti  tra  l'armata  Veneta  e  V  Ottomana  nell'acque 
ili  Jmhro  et  in  quelle  di  Santi  Strati  e  Monte  Santo  nei  giorni  12,  i)  e 
16  giugno  lyiy.  Veggasi  inoltre,  ivi  a  p.  112,  un  disegno  riproducente 
questi  combattimenti;  da  p.  113  a  118  un  Ristretto  Diario  di  essi; 
da  p.  128  a  151,  un  altro  Ristretto  Diario  con  maggiori  particolari, 
e  stampato  in  Roma  presso  F.  Chracas;  da  p.  132  a  135,  un'altra 
Relazione  stampata  a  Venezia  presso  Girolamo  Albrizzi;  e  infine,  a 
p.  127  sgg.,  una  Historia  della  battaglia  seguita  tra  l'armi  Venete  e  Ot- 
tomane, con  la  vittoria  ottenuta  dai  Veneti  li  12,  i)  e  16  giugno  171/, 
composta  in  ottava  rima  da  me  Gio.  Antonio  Giofo.  In  Venetia.  (Sono 
venticinque  ottave;  manca  l'indicazione  tipografica).  Circa  la  nave 
Colomba,  di  cui  è  parola  nel  testo,  v.  da  p.  139  a  141  una  relazione 
datata  «  Nel  Zante  li  28  giugno  ». 


Stiidìi  sul  pontificato  di  Clemente  XI       491 

rinverdirono  gli  allori  militari  della  Repubblica,  perchè  due 
battaglie  in  soli  cinque  giorni,  e  per  giunta  combattute 
sotto  vento,  non  era  caso  comune  (i). 

In  questo  frattempo  il  Ferretti  era  giunto  colle  navi 
pontificie  a  Corfù,  accolto  con  gioia  dal  Pisani  e  dallo 
Schoulembourgh  (2)  ;  il  15  giugno  tutte  le  squadre  ausi- 
liarie, tranne  la  spagnola,  vi  si  trovarono  raccolte  e  si  pre- 
sero gli  accordi.  Surse  qualche  difficoltà  da  parte  del  conte 
di  Rio  Grande,  che  portava  il  padiglione  di  viceammiraglio, 
sulla  nomina  a  generale  degli  ausiliari  del  baly  Bellefon- 
taine;  ma  il  ricordo  dell'anno  precedente  la  fece  subito 
appianare. 

All'annunzio  delle  battaglie  sostenute  dal  Flangini  e 
dal  Diedo,  il  Pisani  diede  ordine  il  29  giugno  alla  flotta 
sottile  di  unirsi  al  grosso  dell'armata,  che  fu  avvistata  il 
primo  lugho  presso  Cerigo.  Fatti  i  segnali  e  riparate  al- 
cune avarie  (3),  si  tenne  consiglio  fra  i  capitani  nelle  acque 
di  Matapan.  Ed  ecco  il  quattro  luglio  comparire  la  fiotta 
ottomana  e  rinchiudersi  nel  golfo  di  Calamatta.  Il  vento 
non  era  favorevole  ai  Cristiani,  sicché  i  Veneti,  cogli  equi- 
paggi ancora  malconci  dalle  ultime  pugne,  si  rifiutarono 
di  attaccare.  Si  entrò  nel  golfo  di  Passava  in  attesa  degli 
eventi,  ma  risoluti  a  combattere  prima  di  dividersi,  come 
solennemente  avevano  giurato  gli  ausiliari. 

(i)  A  proposito  delle  condizioni  nelle  quali  pugnarono  i  Veneti, 
è  da  vedere  la  relazione  anonima,  datata  «  Dalla  nave  Patrona, 
«21  giugno  1717»  (Misceli,  di  Clemente  A7,  216,  pp.  136-138). 

(2)  Misceli  di  Clemente  XI,  216,  pp.  89-92,  Avviso  da  Corfit, 
18  maggio. 

(5)  Ivi,  pp.  189-197.  In  un  Avviso  da  Zante,  11  luglio,  si  legge 
che  la  galea  pontificia  San  Pio,  urtata  dalla  Padrona  di  Malta  il  15  di 
quel  mese,  perdette  lo  sperone.  Nello  stesso  giorno,  a  causa  del 
vento,  ad  una  nave  veneta  si  ruppe  l'albero  di  trinchetto;  il  14  una 
bastarda  veneta  fece  incagliare  la  Capitana  pontificia.  Altre  notizie 
dal  30  giugno  in  poi  trovansi  ivi,  pp.  149-172,  nella  relazione  «  Zanie 
«  li  30  giugno.  Dalla  galera  reale  pontifìcia  ». 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXII I.        32 


492  J,  T^ometti 


Il  i8  luglio,  a  sera,  una  corvetta  dava  l'allarme  che 
l'armata  turca,  uscita  dalla  Sapienza,  si  avvicinava.  I  Cri- 
stiani presero  il  largo  un*  ora  dopo  T  avemaria,  ma  fu 
tanta  la  bonaccia  in  tutta  la  nottata  che  non  si  riuscì  a 
doppiare  il  capo  Matapan.  Fattosi  giorno,  il  nemico  si 
scovrì  in  tre  linee  con  trentanove  vascelli,  quattro  galee 
e  due  brulotti.  Gli  altri  schierarono  trentasette  vascelli, 
ventidue  galee  e  quattro  brulotti.  La  destra,  comandata 
dal  Diedo,  si  avvicinò  alla  sinisra  del  nemico.  I  Turchi 
aprirono  il  fuoco.  Rispose  pel  primo  il  Diedo  ed  avanzò. 
Erano  le  otto  del  mattino.  Il  Pisani,  non  volendosi  sepa- 
rare dalle  galee  che  il  vento  portava  a  ridosso  della  Sa- 
pienza, le  segue  e  si  allontana.  Ne  profitta  Ibraim  e  si  spinge 
arditamente  fra  Tarmata  grossa  e  la  sottile.  Il  vento  caccia 
assaliti  e  assalitori  verso  Matapan;  i  Turchi,  venendo 
dietro,  bombardano  incessantemente.  D'un  subito  il  Pisani 
rallenta  la  marcia,  orza  a  destra,  sfila  dinanzi  alle  sultane 
e  copre  con  rapida  mossa  le  galee.  Mutano  le  sorti  della 
pugna.  Il  baly,  che  stava  alla  coda,  s'avanza,  ed  oflre  a 
bersaglio  la  5.  Caterina  maltese  e  il  5.  Pio  pontificia.  I 
gridi,  il  rullìo  del  vento,  il  fragor  delle  armi  e  il  rimbombo 
del  cannone  annunziano  che  la  battaglia  è  divenuta  gene- 
rale. Favoriti  dal  vento,  i  Turchi  avanzano,  urgono  e  cercan 
di  chiudere  in  breve  cerchio  i  Cristiani.  Ma  è  tardi,  che 
oramai  vascelli  e  galee,  Veneti  e  ausiliari  uniti  in  un  sol 
fascio  si  precipitano  come  valanga  improvvisa  sul  nemico 
e  lo  mettono  in  rotta  (i). 

(i)  Misceli,  di  Clemente  XI,  2i6,  pp.  173-180,  Relaiione  spettanti  alle 
cose  accadute  nel  giugno  e  luglio-,  pp.  189-197,  Avviso  da  Zante  11  luglio; 
pp.  181-187,  Journal  de  gè  qui  s'est  passe  à  Varmèe  de  la  Républìque  de 
Venìse,  pendant  la  campagne  du  lyi']  &c.:  è  del  comandante  della  nave 
maltese  Santa  Caterina.  Da  queste  relazioni  appare  che  le  perdite  di 
uomini  dei  Cristiani  furon  ben  poche.  Forse  il  Guglielmotti  (op.  cit. 
IX,  59)  esagera,  portando  la  cifra  a  cinquecento  morti  e  mille  feriti;  e 
ci  pare  più  nel  vero  l'anonimo  estensore  della  relazione  da  Zante  (ivi, 
pp.  194-105)  che  calcola  i  morti  a  cencinquanta  e  moltissimi  i  feriti. 


Studìi  sul  pontijicato  di  Clemente  XI        495 

Ma  se  il  nemico  era  fuggito,  la  vittoria  non  era  rimasta 
nel  campo  cristiano;  se  i  nostri  avevano  combattuto  con 
valore,  con  pari  energia  si  erano  opposti  gli  Ottomani; 
se  il  Pisani  era  riuscito  a  coprire  le  galee  pericolanti, 
Ibraim  ne  aveva  prima  paralizzate  le  mosse,  poi  si  era  ri- 
tratto a  buon  punto,  salvando  la  propria  flotta  (i). 

(i)  Nel  medesimo  volume  216  della  Misceli,  di  Clemente  XI,  si 
legge  a  p.  198:  «La  prima  relazione  mandata  con  una  tal  qual 
«  pianta  viene  da  un  tal  Angelo  Rossetti  chirurgo  in  una  galera  pon- 
ce tificia.  Egli  ha  casa  in  Corneto.  L'altra  per  via  di  lettera  è  di  un 
«  caporale  chiamato  Carlo  Marucci.  Gavoni  (?)  non  sa  in  quali  ga- 
«  lere  facciano  viaggio;  gli  pare  però  che  il  primo  vada  nella  galera 
«comandata  dal  sig.  cav.  Ancaiani».  La  pianta,  mal  disegnata,  è 
a  p.  199;  da  p.  200  a  21 5,  la  relazione  del  Rossetti;  da  p.  216  a  219, 
la  lettera  del  Marucci  (senza  indirizzo),  nella  quale  appunto  è  detto 
che  l'armata  cristiana  ebbe  «  poco  successo  »,  e  che  «  la  verità  è  che 
«la  veneta  (armata)  fu  maltrattata  ;>.  Altre  notizie  anteriori,  contem- 
poranee e  posteriori  alla  battaglia  del  19  luglio  sono  raccolte  nello 
stesso  volume  da  p.  220  a  250,  e  specialmente  in  una  lettera  del  ca- 
valiere De  Lavai  al  Paolucci,  «Malte  le  31  juillet  1717  »,  pp.  231-237, 
la  quale  mette  conto  di  esser  riprodotta. 

...  Ne  doutant  pas  que  V.  E.  ne  soit  informée  du  succes  des  trois  coiu- 
bats  qu'ont  rendus  lès  Venitiens  contre  les  Turcs  avant  que  les  auxiliaires  les 
cussent  ioints,  ie  ne  luy  parleray  que  de  ce  qui  s'est  passe  dcpuis  la  ionction. 
Los  dernieres  nouvelles  que  nous  avions  eiàes  par  une  barque  fran>;aise  arrivée 
lev  le  17  du  courant,  étoient  que  l'armée  navalle  des  Venitiens  avoit  esté  en 
prcsciice  de  celle  des  Turcs  les  5.  6.  et  7.  iusqu'au  soir  qu'elles  s'etoient 
pcrdiies  de  vùe  ;  ces  nouvelles  nous  furent  confirniées  hier  par  une  barque 
arinéc  icy  cn  guerre,  comniandcc  par  un  chevalier  lieutenant  de  vaisseaux, 
qu'on  .ivoit  envoyée  avec  ceux  de  la  religion  pour  leur  servir  en  cas  de 
besoin,  et  qui  a  esté  obligée,  par  le  mauvais  état  ou  elle  se  trouvoit  faisant 
une  quintile  prodigieuse  d'eau  et  ne  pouvant  aisèment  se  raccomoder  ailleurs, 
de  rcvcnir  icy.  Voicy  Monseigneur  ce  qu'elle  a  dit  qui  s'cst  passe  depuis  le 
susdit  iour  7  du  niois;  Ics  Turcs  s'etants  niis  au  large  et  les  Venitiens,  igno- 
rants  quelle  route  ils  avoient  tenue,  dcmcurerent  a  louvoyer  sur  les  caps 
Matapan  et  St.  Ange,  le  rs  ils  s^jurent  que  Ics  Turcs  etoient  a  Coroii,  et  le  18 
se  irouvant  dans  une  necessitò  extresme  d'eau,  n'en  pouvants  porter  que  pour 
i^  ou  14  iours,  parcc  qu'ils  ne  veullent  point  se  servir,  comnic  toutes  les 
autrcs  nations,  de  tonncaux,  et  qu'ils  n'ont  que  des  pays  qui  n'en  contien- 
ncnt  que  peu  ci  qui  est  touiours  niauvaise,  ils  rcsolurcnt  d'cn  allcr  fairc  dans 
le  golfc  de  Passava,  ou  il  se  tint  un  conseil  de  guerre  dans    le  quel  Ics  gc- 


494  J'  Tornelli 


Sicché,  per  essere  nel  vero,  bisogna  scemare  di  pa- 
recchio r  entusiasmo  di  quegli  storici  che  proclamarono 
come  una  nuova  vittoria  delle  armi  cristiane  il  combat- 
timento del  19  luglio.  Anzi,  ci  fu  di  peggio.  Il  giorno 
dopo,  20,  i  Turchi,  approfittando  del  vento  prospero,  ri- 


neraux  venitiens  representerent  le  mauvais  état  on  étoit  reduitte  leur  arnice 
par  les  combats  precedents  et  conclurent  par  dire  qu'ils  ne  pouvoient  plus 
rien  entreprendre,  les  commandants  des  auxiliaires  au  contraire  representerent 
la  necessité  indispensable  de  combattre  et  direni  qu'ils  n'étoient  venus  au 
secours  de  la  république  que  dans  ce  dessein  ;  pendant  que  chacun  exploit 
ses  raisons,  les  corvettes,  qu'on  avoit  envoyées  au  large  pouf  n'estre  pas 
surpris,  donnerent  avis  que  les  ennemis  paroissoient  sortants  de  dessous  Coron 
et  faisants  route  vers  le  cap  Matapan;  l'eloignement  et  le  calme  qui  regnoit 
alors  firent  esperer  aux  Venitiens  que  les  Turcs  ne  pourroient  pas  les  ioindre 
ce  iour  la  et  qu'ils  auroient  le  temps  de  sortir  du  golfe,  il  firent  effective- 
ment  tous  leurs  efforts  pour  doubler  le  cap  Matapan,  mais  ce  fut  inutille- 
ment,  le  vent  du  large  et  les  courants  contraires  les  en  ayant  empeschcs  ; 
les  signaux  que  leurs  firent  les  corvettes  la  nuit,  pour  leur  faire  connoistre 
que  les  Turcs  s'approchoient,  redoublerent  l'envie  qu'ils  avoient  de  sortir  de 
ce  golfe,  mais  il  leur  fut  absolument  impossible,  et  on  prétend  que  leur  perte 
étoit  inévitable  si  les  ennemis  avoient  mieux  manoeuvré  qu'ils  se  firent. 
Le  19,  a  6  heures  du  matin  l'armée  des  Turcs,  commandée  par  Aly  Rays, 
algerien,  et  composée  de  39  vaisseaux  de  ligne,  2  brulots  et  4  galeres,  se 
presenta  en  ligne  sur  trois  divisions,  a  environ  deux  lieiies  de  celle  des  Ve- 
nitiens sur  la  quelle  elle  avoit  le  vent;  cellecy,  au  nombre  de  37  vaisseaux, 
4  brulots  et  22  galeres,  se  mit  en  ligne  le  mieux  et  le  plus  promptement 
qu'elle  le  put;  Mr.  Diedo  capitaine  ordinaire  des  naves  et  commandant  l'ar- 
mée depuis  la  mort  de  Mr,  Flangini,  commandoit  l'avant-garde,  et  Mr.  le 
bailly  de  Bellefontaine  l'arriere  garde  ayant  dans  sa  division  les  vaisseaux 
portuguais  et  quelques  venitiens,  et  les  galeres  formoient  une  seconde  ligne  ; 
les  Turcs  s'approcherent  en  bon  ordre  et  furent  a  8  heures  a  portée  de  com- 
mencer  un  combat  qui  sembloit  devoir  estre  decisif  pour  eux  ;  le  general  des 
Venitiens  se  trouva  le  premier  assés  pres  pour  repondre  au  feu  des  ennemis,  et 
peu  apres  Mr.  de  Bellefontaine,  avec  sa  division,  se  trouva  dans  la  mesme  situa- 
tion  et  fit  tout  ce  qu'on  peut  attendre  de  son  experience  et  de  sa  valeur.  Le 
combat  dura  jusqu'a  4  heures  du  soir  et  fut  fort  vif,  si  on  en  doit  iuger  par  le 
grand  feu,  que  dit  l'armement  de  la  susdite  barque,  que  firent  les  deux  armées, 
mais,  si  on  en  iuge  par  les  morts  et  les  blessés,  il  est  a  croire  qu'elles  n'ont 
pas  combattu  de  fort  pres;  Mr.  de  Bellefontaine  fit  ce  qu'il  put  pour  s'appro- 
cher  davantage,  et  les  ennemis,  qui  etoient  au  vent  a  luy,  prirent  grand  soin 
de  l'eviter.  La  perte  des  Maltois  et  des  Portuguais  n'a  coté  que  de  25  ou 
30  hommes  tués  et  100  ou  120  blessés,  sans  qu'aucun  vaisseau  ait  ésté  consi- 
derablement  incommodé,  si  ce  n'est  un  portuguais  qui  fut  dématé  de  son  petit 


Stiidii  sul  ponti  ficaio  di  Clemente  XI        495 

tentarono  l'attacco;  i  Veneti  e  gli  ausiliari  non  credettero 
prudente  impegnarsi,  e  si  allontanarono.  Il  22,  sorpresi  a 
Matapan  da  un  furioso  temporale,  e  col  nemico  alle  coste, 
si  sbandarono;  parecchie  navi,  sbattute  dalla  tempesta,  si 
credettero  perdute  ed  errarono  a  lungo  (i).  Tuttavia,  il 


hunier;  nous  ignorons  encore  celle  des  Venitiens,  mais  comme  ils  étoient  déjà 
fort  maltraittés,  ils  doivent  avoir  soufFert  plus  que  les  autres  et  ils  ont  eu 
plusieurs  navires  dématés.  Pendant  le  combat  plusieurs  vaisseaux  turcs  étoient 
tombés  sous  le  vent  et  étoient  suivis  et  battus  par  Mr.  de  Bellefontaine  et  les 
Portuguais  qui,  selón  les  apparences,  en  auroient  rendu  bon  compte,  si  ils 
n'avoient  iugé  plus  utile  d'aller  degager  touttes  les  galeres  qui  étoient  au 
fond  du  golfe  sous  le  vent  des  ennemis,  et  qui  étoient  dans  un  perii  evident 
si  elles  n'avoient  esté  promptement  secourues.  Enfin  apres  huit  heures  de 
combat  les  deux  armées  se  separerent,  l'une  et  l'autre  ayant  gagné  le  large, 
la  turque  a  hauteur  du  cap  Matapan,  ou  allerent  moùiller  les  galeres,  et  la 
venitienne  a  hauteur  du  golfe;  le  20  elles  furent  encore  tout  le  jour  en  vùe 
et  mesme  assés  pres,  les  Turcs,  qui  alors  se  trouvoient  sous  le  vent  aux  Veni- 
tiens, ne  pouvant  pas  venir  a  eux,  mais  faisants  bonne  contenance  et  mar- 
quants  les  attendre  pour  en  venir  a  un  second  combat,  mais  ceux  cy  sont  si 
maltraités,  tant  par  les  combats  qu'ils  ont  rendus,  que  par  ce  qu'ils  sont, 
selon  leur  coutume,  sans  rechange  et  fort  mal  agréés,  que  probablement  ils 
ne  le  risqueront  pas  a  moins  qu'ils  n'y  soient  absolument  contraints  ;  le  21 
au  matin  les  deux  armées  ne  se  voyoient  plus  et  la  veneticnne  fut  chargée 
d'un  coup  de  vent  de  nordovest  qui  obligea  les  galeres  a  courir  vers  le  se- 
rigot,  ou  appareniment  les  vaisseaux  les  auront  suivies.  La  retraitte  de  cette 
armée  paroist  difficile  sans  qu'il  y  ait  encore  quelqu'action,  la  turque  étant 
sur  son  passage,  et  la  necessitò  ou  elle  est  de  vivres,  et  la  quantité  de  ma- 
lades  qu'elle  a  pourroit  bien  luy  faire  risquer  quelque  chose.  La  susditte 
barque,  qui  étoit  avec  les  galeres,  n'etant  pas  en  état  de  soutenir  une  longue 
navigation,  et  ayant  remplacé  le  iour  precedent  25  hommes  tués  ou  blcssés 
sur  le  vaisseaux  de  Mr.  de  Bellefontaine  prit  le  parti  de  faire  route  pour 
Malte  ou  elle  n'a  dit  aucune  autre  particularité  de  ce  qui  s'est  passe,  nous 
cn  attendons  des  nouvelles  plus  positives  avec  impatience,  et  des  que  nous 
en  aurons  j'auroy  l'honneur  d'en  informer  V.  E.... 
Malte  le  31  iuillet  1717. 

Le  tres  humble  et  tres  obeissant  serviteur 
Le  ciievalier  de  Lavai. 


(i)  Sulle  peripezie  di  alcune  di  esse,  è  da  consultare  il  citato 
volume  216  della  Misceli,  di  Clemente  XI:  p.  2)6,  lettera  del  cava- 
liere La  Motte  d'  Orléans  (Zantc,  3  agosto)  al  Paolucci,  in  cui  si 
parla  dei  Ferretti  separato  dalla  tempesta  ;  p.  266,  Avviso  da  ZanU 


49^  J.  Tomettt 


Pisani  e  gli  altri  capì  non  smarrironsi  d'animo;  e  riunita  la 
flotta  sottile  a  quella  degli  ausiliari,  a  fine  dì  agevolare  alla 
flotta  grossa  di  rifornirsi  d'  acqua,  e  ristoratisi  alquanto, 
mossero  da  capo  Matapan.  Incontrarono  il  nemico  che  usciva 
da  Corone  e  1*  affrontarono.  Si  battagliò  con  incerta  for- 
tuna per  circa  dieci  ore,  fino  a  notte  avanzata;  ma  gli 
equipaggi  dall'una  parte  e  dall'altra  erano  esausti,  le  navi 
pressoché  tutte  danneggiate,  e,  se  non  difettavano  le  mu- 
nizioni, lo  scompìglio  e  la  stanchezza  le  rendevano  quasi 
inutili.  La  notte  inoltrata  impose  una  sosta.  Il  giorno  dopo 
i  Turchi  presero  il  largo  novellamente  (i).  Era  un  van- 
taggio che  ridava  opportunità  ai  Cristiani  di  riordinarsi  e 
ristorarsi  ancora,  per  ritentare  poi  le  armi  in  migliori  con- 
dizioni e  forse  con  maggior  successo.  Ma  ecco,  quasi  pre- 
sagita, spargersi  una  notizia  che  rincora  i  nostri  e  getta 
la  costernazione  fra  gli  Ottomani. 

Mentre  svolgevansi  i  fatti  narrati  e  durava  l'assedio  di 
Belgrado,  i  Turchi  con  ardito  disegno  eransi  spinti  altrove, 
allargando  il  campo  delle  azioni  guerresche  e  minacciando 
i  confini  e  le  vie  dell'  impero  austriaco. 

Redscheb  pascià,  destinato  dapprima  per  la  Transilvania 
con  tremila  soldati  e  diecimila  Tartari  agh  ordini  di  Ka- 

3  agosto;  pp.  274-281,  Avviso  dal  Capo  di  Santa  Maria,  4  agosto; 
pp.  285-290,  lettera  del  cavaliere  Zenobi  de  Ricci  «  a  di  7  agosto 
«dalla  Roccella  in  Calabria»  (manca  l'indirizzo);  p.  291,  lettera 
del  cavaliere  De  Centray  al  Paolucci,  «  7  agosto,  dal  capo  Spartì- 
«  vento  a  bordo  della  Santa  Caterina  ^r,  alla  lettera  è  unita  una  rela- 
zione, pp.  293-305  ;  pp.  306-307,  due  lettere  del  Ferretti  da  Corfù, 
6  agosto:  nella  prima  parla  delle  avarie  del  San  Pio;  pp.  311-317, 
lettera  e  relazione  del  cavaliere  De  Lavai  al  Paolucci,  Malta,  17  ago- 
sto; p.  326,  altra  lettera  del  Ferretti  al  Paolucci,  da  Corfù,  29  agosto, 
(r)  Misceli,  di  Clemente  X7,  216,  pp.  254-255,  Copia  di  relazione 
venuta  per  via  d'Otranto  dall' illmo  capitan  generale  Andrea  Pisani,  in 
data  5  agosto  corrente,  dalla  spiaggia  del  Zante;  p.  308,  Avviso  dall'acque 
di  Parga,  15  agosto  17 17. 


Stitdiì  sul  pontificato  di  Clemente  XI        497 


plan-Girai,  devastati  i  dintorni  di  Mehadia,  erasi  poi  get- 
tato su  Orsova  e  Viddino.  Nella  Bosnia,  Koeprili-Nuu- 
mann  pascià  era  riuscito  a  far  retrocedere  il  generale 
Petrosch,  portandosi  con  tutte  le  sue  forze  suU'  incrocio 
delle  vie  di  Novi  e  di  Zwornick.  Czerich,  viste  minacciate 
le  piazze  turche  di  Novi,  Kamingrad  e  Maydan  dai  co- 
mandanti di  Zrin  e  di  Costanizza,  aveva  passato  improv- 
visamente rUnna,  occupando  di  sorpresa  S.  Caterina.  Quelle 
fortunate  irruzioni  turchesche  avevano  sparso  il  terrore  e 
la  desolazione  nei  cantoni  della  Transilvania,  del  Banato 
e  dell'Alta  Ungheria  (i). 

Intanto  Sebastiano  Mocenigo,  provveditore  generale 
di  Dalmazia  e  di  Albania,  che  nella  campagna  precedente 
aveva  retto  con  molto  valore  quelle  provincie,  arrivato  a 
Spalato  il  7  giugno,  aveva  posto  al  sicuro  d'ogni  sorpresa 
nemica  Popovo,  Ottovo  e  Zarina.  Mandate  soldatesche  a 
Narenta  e  nei  paesi  vicini,  si  portò  poi  ad  Iril,  passo  del 
fiume  Cettina,  ove  l'attendeva  il  grosso  dell'esercito.  Suo 
obiettivo  era  di  espugnare  Imoscki.  La  fortezza  d'  Imoscki, 
punto  strategico  dell'Erzegovina,  si  ergeva  a  cavaliere  di 
un  paese  fertilissimo,  proteggendo,  dalla  parte  della  Dal- 
mazia, i  castelli  di  Sing,  Almissa,  Duare  ed  altri  meno 
importanti;  e  dalla  parte  dell'Erzegovina,  le  vie  verso  Duuno, 
Gliubuschi,  Pocitegl  e  Mosztar.  Il  27  luglio  dispose  l'as- 
sedio ed  incominciò  il  bombardamento.  In  quel  giorno 
medesimo,  una  bomba  caduta  nel  primo  recinto  della  for- 
tezza vi  appiccò  il  fuoco  e  rese  inutile  la  resistenza.  Alla 
fine  del  mese  i  Turchi  furono  costretti  a  capitolare  e  l'Er- 
zegovina fu  libera  (2). 

(i)  De  Hammer,  op.  cit.  Ili,  372. 

(2)  Misceli,  di  Ckmetile  A7,  216,  p.  282,  lettera  dell'arcivescovo 
di  Zara  al  Paolucci:  Zara,  5  agosto  1717;  p.  240,  Pian  des  environs 
et  l'attaquc  da  chaUaii  de  Imoschi  (bellissimo  disegno);  p.  241,  Caria 
dclVEr^ef^ovina;  p.  242,  disegno  rappresentante  «La  fortezza  d'Imo- 
«  schi    nell'Erzegovina   che  si  rende  alle  armi  venete  l'anno  1717 


498  J,  Torneiti 


Ma  un  rovescio  ben  più  grave  doveva  toccare  agli  Ot- 
tomani. Dicemmo  come  l'esercito  imperiale  si  trovasse 
assediato,  assediando  Belgrado,  e  che  l'estrema  speranza 
di  salvezza  fosse  riposta  in  qualche  geniale  arditezza  del 
principe  Eugenio.  Nella  notte  del  15  ngosto,  profittando 
d'una  fitta  nebbia,  Eugenio  die'  ordine  ai  suoi  di  gettarsi 
improvvisamente  sull'  inimico.  Il  colpo  ardito  fu  coronato 
da  strepitoso  successo:  i  Turchi,  male  avvezzi  a  star  sulle 
guardie,  non  si  avvidero  degl'  imperiali  se  non  quando 
questi  eran  presso  le  trincee.  Svegliatosi  il  campo  di  so- 
prassalto, accrebbero  la  confusione  e  lo  stordimento  il  rullo 
dei  tamburi,  lo  squillar  delle  trombe,  gli  ordini  dati  e  mu- 
tati ad  ogni  istante.  I  Turchi  s'urtano,  s' impacciano,  s'in- 
calzano, e,  tra  il  panico,  tentano  la  fuga.  Atscì-Ali  oppone 
ai  fuggiaschi  la  cavalleria  tartara,  e  con  essa  si  getta  fra 
l'ala  destra  e  il  centro  degli  imperiali.  Invano.  Dopo  breve 
pugnare,  centocinquantamila  uomini  si  sbandano  e  fuggono 
dinanzi  a  soli  trentacinquemila,  abbandonando  nel  campo 
vistosi  tesori,  sulle  alture  e  dappertutto  le  armi  e  le  ar- 
tiglierie. 

Due  giorni  dopo  fu  segnata  la  capitolazione  di  Bel- 
grado (i). 

«nel  giorno  sabato  ultimo  di  luglio»;  pp.  238-239,  lettera  di  Ste- 
fano arcivescovo  di  Spalato  al  Paolucci:  Spalato,  11  agosto  17 17. 
In  questa  lettera,  Stefano,  coi  disegni  citati,  manda  notizieifra  serie  e 
curiose;  come,  ad  esempio,  dopo  aver  detto  che  settanta  sacerdoti 
della  sua  diocesi  eransi  battuti  da  prodi,  narra  poi  che  sulla  porta 
d' Imoschi  erano  state  trovate  due  rose  scolpite  in  marmo,  e  che  il 
Mocenigo,  vedendole,  avesse  esclamato  che  lo  scalpello  aveva  profetato 
il  conquitatore,  perchè  nello  stemma  dei  Mocenigo  sonvi  due  rose... 
conchiudendo  che  in  ciò  vedeva  la  protezione  di  Maria,  intitolata 
Rosa  Mistica.  La  «  lunga  e  vigorosa  resistenza  »  opposta  dai  Turchi 
al  Mocenigo,  come  vuole  il  Romanin  (op  cit.  Vili,  55),  è  un'esage- 
razione. 

(i)  Misceli,  di  Clemente  XI,  217,  pp.  1-99:  Scritture  spettanti  alla 
guerra  fatta  col   Turco  nelVUngaria,  et  altre  vittorie  riportate  daWeser- 


Stiidii  sul  pontijìcato  dì  Clemente  XI        499 

Non  soltanto  l'annunzio  di  sì  clamorosa  vittoria  e  la 
perdita  dell*  Erzegovina  prostrarono  Acmet  III,  perchè  il 
2  dicembre  per  T  imprevidenza  dei  piloti  e  dei  capitani  la 
marina  turca  subì  il  più  grave  disastro  che  potesse  toc- 
carle, nel  breve  giro  di  ventiquattro  ore:  due  fra  le  navi 
migliori  arenarono  presso  le  Sette  Torri  e  si  perdettero; 
un'altra  saltò  in  aria,  per  uno  scoppio  fortuito,  con  tutto 
l'equipaggio.  Poco  dopo  un  incendio  distrusse  nell'  arse- 
nale i  magazzeni  delle  munizioni  e  le  navi  in  ripara- 
zione (i).  Per  questi  incidenti  Ibraim  fu  deposto  e  confi- 
nato ad  Aszow,  come  dopo  la  perdita  di  Belgrado  era  stato 
deposto  il  gran  visir  Chali I-pascià. 

Finalmente  mutavasi  in  realtà  il  lungo  sogno  vagheg- 
giato da  Clemente  XI:  l'Arcipelago  era  libero  ei  cristiani 
potevano  solcarlo  da  padroni!  Quei  secolari  nemici  della 
Cristianità  erano  abbattuti  per  terra  e  quasi  senza  speranza 
di  rialzarsi;  per  mare  erano  stati  oppugnati  con  valore  e 
perseguitati  da  sinistri  incidenti...;  ancora  un  ultimo  sforzo, 
e  la  politica  vaticana  avrebbe  posto  il  suggello  alla  tenace 
opera  sua  di  opposizione  all'Osmanesimo. 

Ma,  sia  per  qualche  malumore  latente  fra  i  comandanti, 
sia  pei  danni  sofferti  e  la  stagione  inoltrata,  accampando 
il  pretesto  che,  per  quell'  anno  almeno,  la  missione  sul 
mare  era  finita,  i  Portoghesi  (2),  i  Toscani  (3)  ed  i  Maltesi 

cito  dell* imperatore  Carlo   VI  negl'i  anni  Jyi6  e  i'Ji']\  Misceli,  cit.  217, 
pp.  281-290:   Vittorie  ottenute  contro  li  Turchi  in  Vngaria  nel  mese  di 
agosto  iji'j,  con  la  presa  di  Belgrado  &c. 
(i)  De  Hammer,  op.  cit.  Ili,  373. 

(2)  Misceli,  di  Clemente  XI,  216,  pp.  248-252,  Rela\wne  man- 
data dal  conte  di  Rio  Grande  comandante  dei  vascelli  portoghesi,  tra- 
dotta nella  lingua  italiana,  spettante  alle  cose  di  Levante  del  mese  di 
giugno^  luglio,  fino  al  14  agosto. 

(3)  Ivi,  pp.  268-271,  Ristretto  di  lettera  venuta  dal  Zante  in  data 
dei  j  agosto  171J,  scritta  dal  capitano  covtandante  delle  galere  di  To- 
scana. In  Firenze,  mdccxvii,  nella  stamperia  di  S.  A.  R.  Per  i  Tar- 
linl  e  Franchi. 


500  J.  Tometli 


vollero  ritirarsi.  Fu  forza  arrendersi;  e,  nella  lusinga  d*una 
ripresa  delle  ostilità  (i),  il  papa  fu  largo  di  lodi  e  di  do- 
nativi (2),  e  cercò  con  feste,  con  indulgenze  e  con  suffragi 
di  tener  desto  nel  mondo  cattolico  l'entusiasmo  suscitato 
dai  prosperi  eventi  (3). 

Le  navi  pontificie  non  abbandonarono  però  i  Veneti 
dopo  la  partenza  degli  altri  ausiliari;  perchè  se  questi  non 
avevan  creduto  di  prolungare  la  guerra,  non  volle  man- 
care dal  canto  suo  Clemente  XI  a  proseguirla  coi  Vene- 

(i)  Tanto  vero  che,  saputo  essersi  le  navi  portoghesi  fermate 
in  Sicilia  per  provvigioni,  si  era  pensato  di  farle  ritornare  in  Levante 
{Misceli  cit.  p.  328,  viglietto  del  Paolucci,  3  settembre,  privo  d'  in- 
dirizzo, ma  pare  destinato  all'ambasciatore  veneto  in  Roma). 

(2)  Il  gran  maestro  di  Malta,  in  una  sua  lettera  (Malta,  4  ago- 
sto 17 17)  al  priore  Sacchetti,  ambasciatore  maltese  in  Roma,  rin- 
graziando per  le  lodi  tributate  dal  papa  ai  cavalieri,  promette  aiuti 
per  l'avvenire,  ma  insiste  che  al  baly  sia  dato  il  titolo  di  viceammi- 
raglio; e  non  sa  persuadersi  come  «ad  un  cavaliere,  il  quale  si  sa- 
(f  crifica  per  servizio  della  Santa  Sede  e  della  causa  comune,  gli  abbi 
«  da  esser  negata  la  soddisfazione  di  un  nudo  titolo,  quando  quello  di 
«  luogotenente  generale  lo  godeva  già  nell'armata  del  re  Christianis- 
«sirao»  (Misceli,  cit.  pp.  272-273).  Il  papa  non  prese  impegno,  ma 
fece  mandare  al  baly,  in  attestato  di  ringraziamento,  una  croce  con 
entro  «  una  piccola  porzione  dell'  istesso  prezioso  e  sagrosanto  In- 
«  stromento  della  nostra  redenzione  »  (ivi,  pp.  32,-330),  come  ap- 
prendesi  dalla  copia  di  una  lettera  del  Paolucci  al  baly  Bellefontaine, 
del  3  settembre  17 18.  A  p.  331  del  cit.  voi.  vi  è  l'ordine  a  monsi- 
gnor Carlo  Calligola,  protesoriere  generale,  di  pagare  le  spese  del 
donativo  al  «  magnifico  Pietro  Paolo  Gelpi,  gioielliere  del  Sacro 
«  Palazzo  )). 

(3)  Misceli,  di  Clemente  XI,  217,  pp.  ico-200:  Note  di  niancie  e 
regali  dati  tanto  dal  papa  Innocenzo  XI  quanto  da  Clemente  XI,  in  oc- 
casione d'essersi  recate  nuove  di  felici  successi  contro  il  Turco  ;  pp.  200-258  : 
Indulgente  pubblicate  nell'anno  l'ji'j,  tanto  per  implorare  il  divino  aiuto 
contro  il  Turco,  quanto  per  render  gra-^ie  delle  vittorie  conceduteci  \ 
Misceli,  cit.,  tutt' intero  il  voi.  218:  Scritture  spettanti  alle  solenni  ese- 
quie e  divini  sacriji'^i  fatti  celebrare  da  Clemente  XI  per  l'anima  dei  fe- 
deli rimasti  uccisi  nelle  spedizioni  di  mare  e  di  terra  contro  li  Turchi 
negli  anni  lyió  e  lyiy. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        501 

ziani.  Sicché  il  Pisani  e  il  Ferretti,  cercato  inutilmente 
Ibraim,  e  molestati  di  continuo  da  guerriglie  e  rappresaglie 
di  barbareschi,  tornarono  al  Zante  ed  a  Corfù.  Rinfran- 
cata quella  gente,  ed  accordatisi  sul  da  fare  per  1'  anno 
nuovo,  il  Ferretti  tornò  in  Italia;  ed  il  Pisani  mosse  contro 
Prevesa  e  Vonizza  che  conquistò  senza  molti  sforzi  (i). 
L'anno  di  poi,  1718,  il  Ferretti  con  sei  galee  e  seicentodie- 
cinove  fiinti  tornò  a  congiungersi  a  Corfù  col  Pisani.  Ivi 
presi  gli  accordi  collo  Schoulembourgh,  si  diedero  a  cor- 
rere, Veneti  e  pontifici,  per  le  coste  della  Morea  ;  e  saputo 
che  Tarmata  turca  non  era  in  grado  di  tentare  il  mare, 
voltarono  improvvisamente  ad  espugnare  Dulcigno,  covo 
di  pirati,  molestia  dei  Veneziani,  molestia  ed  incubo  dei 
pontifici.  E  bombardandola  incessantemente  per  parecchi 
giorni  nel  mese  di  luglio  di  quell'anno  erano  per  espu- 
gnarla, quando  le  voci  di  pace  vennero  a  troncare  le  loro 
speranze. 

I  rovesci  per  terra  e  per  mare  subiti  dalla  Porta  non 
avevano  del  tutto  fiaccato  il  sultano.  Affrettatosi  a  far  ve- 
nire dalla  Francia  il  Rakoczi,  lo  nominò  principe  di  Tran- 
silvania,  come  a  dimostrare  per  non  avvenute  le  vittorie 
deir  Austria;  tra  i  valorosi  del  suo  esercito  ricompensò 
degnamente  il  fedele  governatore  della  Bosnia  Kocprili- 
Nuumansade,  e  concesse  la  terza  coda  di  cavallo  al  fratello 
di  lui,  ad  incitamento  degli  altri  ;  depose  il  muftì  Ismail 
e  conferi  la  prima  dignità  della  fede  ad   Abdullah;  esiliò 


(i)  Misceli,  di  Clemente  Xly  216,  pp.  336-339:  Rela:^ione  dell'acqui- 
sto della  forteiia  di  Prevesa,  ottenuta  dall'armi  della  serenissima  Repub- 
blica, sotto  la  valorosa  condotta  del  capitan  generale  Andrea  Pisani.  In 
Venezia,  mdccxvii,  presso  G.  Albizzi;  pp.  332-535:  Rela:^ione  del- 
Vacquiito  della  forte^a  di  Voniiat  soggiogata  dall'  armi  delia  serenissima 
repubblica  di  Venezia,  sotto  il  comando  dell* ecc.  capitan  generale  Andrea 
Pisani.  In  Venezia,  mdccxvii,   presso   G.  Albizzi;  Romanin,  op  cìt. 

vili,  55. 


502  J.  Torneiti 


Ghialil  e  lo  sostituì  nel  visirato  col  proprio  genero  Ibraim 
pascià  (i).  Adottati  questi  provvedimenti  per  rassicurare 
l'animo  agitato  del  popolo  ottomano  circa  il  prestigio  del- 
l'impero e  come  promessa  d'un  nuovo  governo  più  ocu- 
lato ed  energico,  Acmet  IH,  che  in  cuor  suo  sapeva  di 
non  poter  più  oltre  resistere  all'Austria,  piegò  a  poco  a  poco 
ai  consigli  di  pace,  quasi  presago  che  neir  indugiare  stesse 
un'ancora  di  salvezza. 

L' Inghilterra,  come  nel  conflitto  precedente  fra  la  Porta 
e  la  Polonia,  aveva  offerta  la  sua  mediazione  a  mezzo 
dell'  ambasciatore  Sutton  prima,  di  Worthley  Montagne 
poi,  che,  come  narrammo,  aveva  a  tale  scopo  visitato  la 
corte  di  Vienna.  Fu  dopo  la  resa  di  Belgrado  che  l'antico 
governatore  di  questa  piazza^  Elhadsch-Mustafà-pascià, 
scrisse  al  principe  Eugenio  il  5  settembre  17 17,  offrendo 
la  cessione  di  Belo^rado  e  del  territorio  adiacente.  Eug^enio 
rispose  prendendo  a  base  dei  negoziati  tutte  le  possessioni 
conseguite,  e  negando  l'armistizio  chiesto  dal  primo  visir. 
Ma  mentre  i  plenipotenziarii  inglesi  Stanyan,  Sutton  e 
Worthley  Montagne  s'adoperavano  attivamente  per  la  pace, 
l'ambasciatore  francese,  il  principe  Rakoczi  e  1'  agente  spa- 
gnolo Boissemène  s'ingegnavano  con  pari  ardore  a  dila- 
zionarla, di  modo  che  i  membri  più  autorevoli  del  Divano 
erano  divisi  in  opposti  partiti,  desiderando  il  muftì  e  gli 
ulemi  la  pace,  il  gran  visir  propugnando  la  guerra. 

Prevalse  infine,  anche  per  l'intromissione  conciliatrice 
dell'Olanda,  il  concetto  d'un  accordo.  I  preliminari  furono 
discussi  a  Vienna  fra  il  principe  Eugenio  e  il  Talman  per 
l'impero,  il  Grimani  e  il  Ruzzini  per  Venezia,  Ibraim  e 
Mohammed-Effendi  per  la  Turchia.  L'Austria  chiese  per 
sègla  Serbia,  la  Bosnia,  quanta  parte  della  Vallachia  si 
estende  dalla  Moldava  al  Niester,  e  la  consegna  del  ribelle 
Rakoczi;  per  Venezia,  la  Morea.  Il  sultano,   che  già  vo- 


(i)  De  Hammer,  op.  cit.  Ili,  273  sgg. 


Studìì  sul  pontificato  di  Clemente  XI        503 

leva  escludere  dal  trattato  di  pace  Venezia,  stimò  si  esor- 
bitanti le  proposte,  che  die'  ordine  di  riprendere  le  ostilità. 

Or  come  avvenne  che  la  Turchia,  coll'esercito  disor- 
ganizzato e  colla  flotta  a  metà  distrutta,  osò  parlare  nuo- 
vamente di  guerra  e  si  mostrò  pronto  a  riaccenderla  ?  Chi 
ad  un  punto  troncò  le  speranze  di  Clemente  XI  ed  ar- 
restò il  corso  della  vittoria  all'esercito  austriaco  ? 

Qui  entra  in  iscena  il  cardinale  Giulio  Alberoni,  la  cui 
opera  politica  come  ministro  di  Spagna,  studiata  in  rap- 
porto alle  relazioni  fra  Madrid  e  la  Santa  Sede,  sarà  ar- 
gomento d'un  prossimo  lavoro. 

A  schiarimento  del  soggetto  che  stiamo  per  esaurire, 
basta  ricordare  che  l'azione  un  po'  intrigante  ma  non  priva 
di  zelo  e  di  buona  fede  dell' Aldrovandi,  le  premure  del 
Girardelli,  l'arrendevolezza  di  Roma  verso  la  corte  madri- 
lena  in  varie  faccende  ecclesiastiche  e  infine  la  sospirata 
concessione  della  porpora  cardinalizia  all'Alberoni,  erano 
state  frustrate  nel  modo  più  sorprendente  e  doloroso:  mentre 
la  flotta  spagnola  salpata  da  Cadice  nel  17 17  sì  supponeva 
in  viaggio  per  Corfù,  si  era  invece  portata  improvvisa- 
mente sulle  coste  di  Sardegna,  sbarcandovi  truppe  e  scac- 
ciandone il  presidio  austriaco. 

Quali  acerbe  rampogne  non  si  ebbe  e  quale  dolore  non 
provò  Clemente  XI  per  la  mancata  fede  della  Spagna 
verso  la  neutralità  d' Italia  ! 

Carlo  VI,  diflidando  della  Francia,  esasperato  dalla  vio- 
lenza della  Spagna,  temendo  complicazioni  al  nord  dei 
suoi  Stati  ed  altre  aggressioni  nei  dominii  d' Italia,  venne 
a  più  miti  consigli  e  limitò  le  pretese  di  prima.  I  delegati 
per  la  pace  si  riunirono  verso  la  fine  di  aprile  del  1718 
a  Passarowitz,  piccolo  borgo  della  Serbia  sulla  Morawa. 
Vi  erano,  per  l'Austria,  il  conte  di  Wirmond  e  il  consigliere 
Talman  ;  per  Venezia,  il  Ruzzini  e  il  segretario  Vendra- 
mino  Bianchi  che  scrisse  la  storia  di  quelle  trattative  ;  per 
la  Turchia,  Ibraim  e  Mohammed-Effendi.  All'impero  fu- 


504  J.  T^ ometti 


roiio  cedute  Temiswar  e  Belgrado,  segnando  il  Danubio, 
e  non  più  i  Carpazi,  la  linea  di  divisione  fra  i  due  con- 
tendenti; a  Venezia  fu  negata  la  iMorea,  ed  ebbe,  per 
magro  compenso,  i  castelli  conquistati  in  Dalmazia,  nel- 
l'Albania e  neir  Erzegovina,  e  le  isole  di  Cerigo,  Butrinto, 
Prevesa  e  Vonizza. 

La  pace  fu  sottoscritta  il  21  luglio  del   17 18. 


Come  a  Carlowitz  per  la  successione  di  Carlo  II,  cosi 
anche  a  Passarowitz  la  Spagna  faceva  gl'interessi  della 
Turchia:  entrambe  quelle  paci  erano  state  stipulate  in 
fretta  dall'Austria,  chiamata  a  rivolgere  altrove  le  armi 
proprio  sul  punto  di  fiaccare  la  sua  antica  rivale.  Dopo 
d'allora,  è  vero,  incominciò  il  periodo  di  decadenza  del- 
l'impero ottomano,  e  il  bacino  del  Mediterraneo  si  sot- 
trasse all'  incubo  del  pensiero  egemonico  dei  sultani  di 
Costantinopoli;  ma  chi  potrebbe  dire  quali  sarebbero  state 
da  quel  tempo  le  condizioni  della  Turchia  se  l'Austria, 
non  minacciata  dalla  Spagna,  poteva  imporre  ad  Acmet  III 
quei;patti  che  la  caduta  di  Belgrado  e  l'azione  delle  navi 
cristiane  potevano  dettare? 

Clemente  XI  non  potè  vedere  coronato  appieno  l'edi- 
fìcio delle  sue  speranze,  iniziato  con  mirabile  fervore,  con- 
tìnuato  con  indomita  tenacia;  tuttavia,  se  altre  amarezze 
(delle  quali  discorreremo  trattando  dell' Alberoni)  non  aves- 
sero contristati  gli  ultimi  anni  di  sua  vita,  egli  avrebbe 
potuto,  se  non  del  tutto  pago,  stimarsi  soddisfatto  della 
politica  che  lo  aveva  guidato  dal  17 14  al  17 17.  La  guerra 
alla  Turchia  fu  da  lui  voluta  e  propugnata  in  vario  modo. 
Infatti,  per  radunare  in  armi  il  mondo  cattoHco,  o  indurne 
una  parte  a  restar  neutrale,  noi  vedemmo  per  quali  vie 
passasse,  quali  concessioni  facesse  e  quali  ostacoli  supe- 
rasse; e  benché  non  si  possa  dire  quale  risultato  avrebbe 
avuto  la  guerra  senza  l'intromissione  del  Vaticano,  non 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        505 

si  può  d*altra  parte  disconoscere  che  all'  iniziativa  di  Cle- 
mente XI  fu  dovuta  la  riunione  in  sol  fascio  delle  forze 
cristiane. 

Fu  questo  un  effetto  dell' ascendente  morale  del  pa- 
pato ? 

Dallo  studio  precedente  è  apparso  quale  esito  disa- 
stroso ottenesse  la  politica  vaticana  nella  contesa  per  la 
successione  di  Spagna,  e  fu  anche  dimostrato  per  quali 
motivi  alle  simpatie  per  la  Francia  si  sostituì,  nella  corte 
di  Roma,  il  bisogno  di  un  nuovo  orientamento  verso  l'Au- 
stria. Abbandonato  da  Luigi  XIV  e  tradito  da  Filippo  V 
nelle  più  gelose  prerogative  temporali,  quale  la  mancata 
clausola  d' investitura  nella  cessione  della  Sicilia  a  Vittorio 
Amedeo  II,  Clemente  XI  dovette,  per  logica  evoluzione 
di  eventi,  considerare  di  secondaria  importanza  i  torti  di 
Carlo  VI  verso  la  Santa  Sede. 

Per  chi  ricordi  l'opera  sua  da  cardinale  intesa  al  ravvi- 
cinamento di  Roma  a  Parigi,  la  personale  e  spiccata  sua 
propensione  verso  Luigi  XIV,  il  peso  del  suo  consiglio 
nel  far  proporre  da  Innocenzo  XII  il  nipote  del  re  di 
Francia  a  successore  di  Carlo  II  ;  e  per  chi  rammenti  co- 
m'egli, eletto  pontefice,  ad  onta  delle  dichiarazioni  di  neu- 
tralità, non  fosse  immemore  dell'antica  predilezione  verso 
la  corte  parigina,  e  come  per  questa  sua  mal  celata  sim- 
patia vedesse  poi  invaso  dagli  Austriaci  il  territorio  eccle- 
siastico...; per  chi  tutte  queste  cose  riassuma  e  consideri,  e 
le  colleghi  all'abbandono  della  Francia  ed  allo  strappo  dal- 
l' Inghilterra  imposto  alla  Spagna,  non  può  non  trovare 
spiegabile  l' evoluzione  compiutasi  nel  pensiero  di  Cle- 
mente XI,  se  agli  avvenimenti  storici  si  vuol  dare  quella 
sicura  interpretazione  che  può  venirle  primieramente  dal- 
l'elemento passionale  che  i  fatti  storici  determina. 

H  nel  caso  in  esame,  non  vi  è  maggiore  giustificazione 
per  Clemente  XI  che  rapportando  il  mutamento  d'indi- 
rizzo della  sua  politica  ai  precedenti  che  lo  determinarono; 


So6  J.  "Pometti 


come  si  troverà  spiegabile  ratteggiamento  della  Cristianità 
neir  impresa  contro  la  Turchia,  quando  si  pensi  che  chi 
lo  determina  è  un'autorità  morale  di  tradizioni  secolari,  la 
quale  se  in  apparenza  seconda  un  bisogno  dello  spirito, 
in  realtà  provvede  ad  una  necessità  politica,  esagerata  ma 
innegabile. 

Ora,  senza  nulla  togliere  a  quanto  di  generoso  e  sincero 
possa  esservi  nella  condotta  di  Clemente  XI  circa  la  guerra 
contro  il  Turco,  non  può  disconoscersi  che  egli  si  decide 
a  parteciparvi  determinatovi  da  -ragioni  che  hanno  radice 
nella  sua  personalità  di  uomo  e  di  pontefice,  e  che  trovano 
un*eco  concorde  in  quanti  delle  tradizioni  morali  e  tem- 
porali della  Santa  Sede  si  stimavano  custodi  o  ferventi 
seguaci.  Clemente  XI  era  uscito  disilluso,  sdegnato  e  umi- 
liato dalla  guerra  chiusa  colla  pace  di  Utrecht;  l'organismo 
politico  del  papato  aveva  ricevuto  un  fiero  colpo  da  quella 
pace,  la  quale,  abrogando  i  diritti  d'investitura,  doveva 
con  lento  ma  fatale  cammino  preparare  la  caduta  del  po- 
tere temporale  dei  papi. 

E  come  chi,  dopo  un  evento  tanto  più  doloroso  se 
non  previsto  o  supposto,  sente  rinascere  novella  forza  che 
all'onta  subita  vuol  porre  riparo,  specialmente  se  offende 
nella  nostra  persona  un  principio  che  è  fede,  diritto,  idea- 
Htà  per  noi  e  per  altri  ;  cosi  il  papa  e  Talta  gerarchia  del 
Vaticano  dovettero  sentire  imperioso  il  bisogno  di  una 
nuova  affermazione  di  potenza,  che  ridasse  ascendente  e 
splendore  alla  corte  di  Roma. 

La  guerra  mossa  dalla  Turchia  a  Venezia  non  poteva 
impensierire  Clemente  XI  se  non  per  qualche  molestia  sui 
lidi  pontificii  dell'Adriatico,  altre  volte  sopportate  passiva- 
mente o  allontanate  con  lieve  sforzo,  perchè,  prima  di  una 
seria  minaccia  contro  lo  Stato  ecclesiastico,  la  tutela  di  altri 
interessi  avrebbe  infrenata  la  Turchia;  ma  una  ripresa  delle 
ostiHtà   ottomane    in    quella  congiuntura  era  il  seme  più 


Siiidii  sul pontijìcato  di  Clemente  XI         507 

adatto  a  germogliare  nella  disposizione  d'animo  del  Vati- 
cano, tanto  che  infuse  improvvisa  vitalità  ad  un  vetusto 
concetto  della  politica  papale:  Topposizione  al  Turco. 

In  vero,  se  negli  atti  della  politica  vaticana  si  vuol 
trovare  qualcosa  che  non  urti  collo  spirito  primitivo  della 
Chiesa  e  che  fonda  armonicamente  V  ascendente  morale 
del  papato  colla  potenza  materiale  delle  armi,  bisogna  ri- 
cordare la  lunga  lotta  sostenuta  dai  pontefici  contro  i 
Turchi,  dalla  caduta  di  Costantinopoli  in  poi.  È  un  pen- 
siero tenace,  proseguito  con  pazienza,  alimentato  con  co- 
stanza, trasmesso  da  un  papa  all'  altro  come  una  grave 
eredità  da  custodire,  ora  più  ora  meno  evidente,  interrotto 
mai.  Molte  gare  piccine,  molti  atti  di  politica  interna  o  di 
quella  circoscritta  all'Italia  ed  allo  Stato  ecclesiastico,  si 
obliano  o  si  attenuano  al  cospetto  dell'opposizione  al  Turco. 
Per  circa  tre  secoli  il  Vaticano  è  perennemente  vigile  col 
consiglio  e  colle  armi  contro  la  barbarie  turchesca  minac- 
ciante la  Cristianità  ;  ed  ergendosi  come  baluardo  in  difesa 
delle  fede  riesce,  dal  1453  al  17 17,  a  tener  desto  il  con- 
cetto dell'  opposizione  con  tanto  fervore  da  poter  distin- 
guere il  tempo  accennato  col  titolo  di  periodo  delle  se- 
conde crociate. 

Dalla  caduta  deir  impero  greco,  Roma  e  Costantinopoli 
rappresentano  due  centri  di  forza  morale  e  materiale: 
questa  mira  ad  espansioni  territoriali  nell'occidente  d*  Eu- 
ropa ed  alla  supremazia  nel  mare  che  la  bagna;  quella, 
alla  tutela  dello  Stato  ecclesiastico  ed  al  prestigio  politico 
del  papato.  Le  opposte  fedi  religiose  dei  due  centri  ser- 
vono efficacemente  ad  alimentare  la  lotta  dall'  una  parte  e 
dall'  altra;  e  il  pensiero  dell*  opposizione  al  Turco,  per  le 
rapine  e  le  desolazioni  dei  corsari  lungo  le  coste  del  Tir- 
reno e  dell'  Adriatico,  e  per  le  predicazioni  della  Chiesa, 
entra  talmente  nella  coscienza  della  Cristianit.^,  ed  in 
ispecie  delle  popolazioni  littoranee  italiane,  che  nelle  arti 
del  disegno,  nella  letteratura,  nelle   tradizioni  popolari  e 

Archivio  dfUa  R,  Società  romana  di  storia  patrir,  Vo'.  XXIII.         35 


5o8  J.  Torneiti 


perfino  iiell'  arte  industriale  veneta,  il   Turco    vi   rappre- 
senta una  parte  importantissima. 

Che  il  ricordo  di  Lepanto  tentasse  Clemente  XI  e  gli 
suggerisse  di  rinverdire  gli  allori  delle  armi  cristiane  come 
il  mezzo  più  acconcio  per  ripristinare  T  ascendente  mo- 
rale del  papato,  è  cosa  evidente,  e  dove  occorreva  l'ab- 
biamo rilevata  nel  corso  del  nostro  lavoro.  Egli  prende  a 
modello  la  condotta  di  Pio  V,  e  non  soltanto  da  quella 
si  lascia  guidare,  ma  cerca  consiglio  anche  dall'  opera  dei 
papi  posteriori  al  Ghisleri,  come  per  trarre  dalla  somma 
delle  esperienze  altrui  la  norma  più  sicura  pel  trionfo  della 
propria  idea.  Sulle  testimonianze  ricercate  negli  archivi 
della  Santa  Sede,  in  quelli  di  monasteri  e  di  famiglie 
patrizie,  egli  determina  le  istruzioni  ai  nunzi,  provvede  ai 
bisogni  dell*  armata,  dell'  esercito  e  delle  spiagge  ponti- 
ficie, invia  sussidi  ai  principi  cristiani,  stabilisce  le  elargi- 
zioni da  farsi  dal  clero  ;  conforta  Venezia,  si  riavvicina 
alla  Francia,  sprona  l'Austria,  incita  la  Spagna,  il  Porto- 
gallo, Firenze,  Genova,  i  cavalieri  di  Malta;  e  nell'  espli- 
cazione di  questo  lavorio  lungo  e  faticoso  non  soltanto 
la  sua  attività  si  esercita  e  si  raddoppia,  ma  vi  trova  oc- 
casione d'instancabile  operosità  1'  azione  dei  cardinali,  dei 
nunzi,  dei  legati,  degli  uomini  d'  arme,  di  quanti  infine 
all'  organismo  del  Vaticano  appartenevano  in  vario  modo. 

E  r  attrattiva  dell'  impresa  che  è  per  cancellare  il  re- 
cente insuccesso  della  diplomazia  vaticana  è  sì  potente- 
mente sentita  dal  papa  e  dai  suoi  cooperatori  che,  per 
uno  di  quei  fenomeni  di  psicologia  collettiva  facili  a  rile- 
vare, ma  difficili  ad  analizzare,  si  diffonde  pel  mondo  cat- 
tolico e  vi  susc:ita,  come  ai  bei  tempi  trascorsi,  il  fervore 
delle  crociate.  Venezia  sembra  risorgere  dalla  fiacchezza 
che  r  opprime,  e  in  uno  sforzo  che  esaurisce  tutta  la 
sua  energia,  popola  di  navi  il  lido  e  le  lagune  sui  cui 
r  alato  leone   figge   novellamente   gli    sguardi  in    un   ri- 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI         509 

sveglio  dì  memorie  eroiche;  rAustria  scende  nei  campi 
d*  Ungheria  a  fronteggiare  ancora  una  volta  il  nemico 
della  fede,  e  vede  accorrere  d*  ogni  dove  sotto  i  suoi  sten- 
dardi principi  cattolici  a  rinnovare  le  gesta  degli  avi  ;  Spagna 
€  Portogallo  con  ispirito  cavalleresco  entrano  nella  lotta 
col  fiore  delle  loro  armate,  pronte,  come  i  crociati  d'  un 
tempo,  ad  atti  di  abnegazione  e  di  valore;  Malta,  Genova 
e  Firenze  offrono  quanto  possono;  la  Francia  rimane 
estranea,  ma  non  può  esimersi  dal  contagio  comune  e  si 
atteggia  a  protettrice  dei  Cristiani  d'  Oriente;  Roma  invia 
navi  in  Levante,  altre  per  l'Adriatico;  e  come  centro 
generante  calore  e  vita  profonde  consigli,  incitamenti,  sus- 
sidi. La  federazione  dei  cristiani  determina  spontanea- 
mente dall'  altra  parte  1'  unione  di  tutte  le  energie  musul- 
mane, e  attorno  alle  bandiere  degli  eserciti  barbari  ma 
valorosi  di  Turchia,  come  sulle  sue  navi  guidate  da  esper- 
tissima gente  di  mare,  accorrono  seguaci  dall'  Africa  e 
xiair  Asia,  per  misurarsi  con  quasi  tutto  1'  Occidente  in 
uno  scontro  supremo  che  par  debba  fare  stridere  sui  suoi 
cardini  la  compagine  politica  dell'  Europa,  e  sconvolgerla. 

Senonchè,  i  tempi,  le  cose  e  gli  uomini  erano  mutati, 
-da  Lepanto. 

A  chi  mediti  sul  contenuto  dell*  argomento  svolto,  la 
guerra  alla  Turchia  appare,  più  che  il  prodotto  spontaneo 
del  sentimento  cristiano,  un  fenomeno  in  cui  la  sugge- 
stione e  l'interesse  tengono  il  primo  posto. 

Clemente  XI  vi  partecipa  con  nobile  intenzione,  ma 
non  può  negarsi  che  vi  cerca,  foss'  anco  indirettamente, 
qualcosa  che  rialzi  il  prestigio  del  papato;  ed  eccitando 
se  stesso  e  quanti  da  lui  dipendono,  non  si  avvede  che 
il  concetto  dell'  opposizione  al  Turco  ha  già  descritta  la 
parabola.  Il  compromesso  della  neutralità  è  accettato  in 
mala  fede,  e  T  impresa  contro  la  Sardegna  lo  dimostra. 
La  I-rancia,  che  non  può  abbassare  1'  Austria  colle  armi, 


510  J.  T^ometti 


incita  la  Turchia  alla  resistenza,  per  riuscire  con  altri 
mezzi  al  suo  intento.  Il  Portogallo,  smanioso  di  conces- 
sioni pontificie,  ottiene  V  erezione  in  patriarcato  della  cap- 
pella regia.  L'Alberoni,  che  governa  e  muove  la  Spagna, 
ne  consegue  la  porpora  cardinalizia.  L*  Austria,  che  pure 
ha  interessi  vitali  da  tutelare,  non  si  decide  alla  guerra 
se  non  dopo  aver  compromesso  il  Vaticano  con  Francia 
e  Spagna  ed  ottenuto  dal  papa  ingenti  soccorsi  finanziari. 
A  tutti,  ai  maggiori  come  ai  minori  Stati  cristiani  (non 
esclusa  Venezia,  Malta,  Genova,  Firenze),  Roma  accorda 
in  tanta  misura  decime,  concessioni,  elargizioni,  bene- 
fizi, che,  pur  restando  nella  realtà  e  convenendo  che  le 
guerre  si  fanno  col  danaro,  non  pare  azzardato  affermare 
che  r  interesse,  più  che  la  fede,  muove  la  Cristianità  contro 
r  Osmanesimo,  e  crea  un  fittizio  entusiasmo. 

Comunque,  Clemente  XI,  benché  meno  esposto  a  pe- 
ricoli che  non  fossero  Venezia  e  Vienna,  e  benché  senza 
speranza  di  qualsiasi  guadagno  da  quell'  impresa,  pure 
propugnò  con  sincerità  e  con  fervore  la  guerra,  ed  è  dove- 
roso riconoscerlo,  come,  d'  altra  parte,  non  è  da  attribuirgli 
a  gran  torto  se  egli  non  vide  (come  noi  a  tanta  distanza 
possiamo  discernere)  che  i  tempi  erano  mutati. 

E  che,  infatti,  il  periodo  delle  seconde  crociate  avesse 
compiuto  il  suo  ciclo,  lo  si  scorge,  oltre  che  dalle  cause 
riposte  per  le  quali  gH  Stati  cristiani  unirono  i  loro  sforzi 
contro  la  Turchia,  dagli  scontri  delle  forze  combattenti. 
Per  mare,  personali  atti  di  valore,  mischie,  inseguimenti; 
ma  non  concordia  d' intenti,  sibbene  gelosie;  non  un  ideale 
per  guida,  ma  V  interesse  per  consiglio  ;  e  sopra  tutto, 
non  una  pugna  decisiva,  prima  non  voluta  dai  Veneti, 
poi  mancata  per  1*  invasione  della  Sardegna.  Per  terra, 
più  che  la  strategia,  è  la  fortuna  che  seconda  Eugenio  di 
Savoia,  e  d' innanzi  al  suo  piccolo  esercito  quello  nume- 
rosissimo dei  Turchi  si  sbanda  inopinatamente  a  Temiswar 
ed  a  Belgrado:  proprio  come  il    frutto  che,  percosso  in- 


St  II  citi  sul  pontificato  di  Clemente  XI         511 

nanzi  tempo,  resiste  sul  ramo,  e  cede  poi  alla  più  lieve 
scossa,  appena  maturo;  così  si  dissolveva  la  formidabile 
potenza  ottomana  e  cadeva  per  sempre  il  concetto  del- 
l' opposizione  al  Turco. 

Senza  congetturare  quali  risultati  avrebbe  avuti  la 
guerra  se  l'Austria  non  fosse  stata  costretta  a  chiuderla 
nel  1718,  basta  fermare  per  poco  Y  attenzione  sulle  con- 
seguenze della  pace  di  Passarowitz,  per  rilevare  l'impor- 
tanza del  soggetto  che  abbiamo  trattato. 

La  pace  di  Passarowitz  segna  il  termine  d'  una  tradi- 
zione medioevale  che,  riassumendosi  nel  concetto  del- 
l'opposizione del  Cristianesimo  all'  Osmanesimo,  interessa 
principalmente  1'  esistenza  politica  della  repubblica  veneta 
e  degli  imperii  di  Turchia  e  d'Austria. 

La  perdita  della  Morea  affrettò  il  disfacimento  della 
Repubblica  ;  e  da  quel  tempo,  limitato  il  commercio,  im- 
miserito r  erario,  negletta  la  flotta,  Venezia  visse  di  ri- 
cordi, e  illanguidi  a  mano  a  mano,  fino  a  quando  Napo- 
leone non  le  tolse  1'  ultima  parvenza  di  vitalità  che  le 
restava.  La  Turchia  segna  nella  sua  storia  la  pace  di 
Passarowitz  non  tanto  per  le  perdite  territoriali  che  vi  subì, 
quanto  pel  definitivo  abbandono  di  conquiste  europee  che 
quel  trattato  le  impose.  D' allora  essa  rivolse  le  armi 
contro  la  Persia  e  la  Russia;  le  tentò  di  nuovo  contro 
l'Austria  nel  173(5,  con  esito  infelice.  Infrenata  sul  Bo- 
sforo, decadde  colla  sua  potenza  il  concetto  musulmano 
che  aveva  mirato  all'  egemonia  dell'  Europa,  della  Spagna 
prima  coi  Mori,  da  Costantinopoli  poi  coi  Turchi. 

L'Austria  si  rassodò  definitivamente  in  Ungheria, 

Non  meno  sensibili  pel  Vaticano  furono  gli  effetti  di 
quella  pace.  L'  armata  pontifìcia,  che  conta  pagine  di  in- 
dubbio valore  e  che  fu  cura  precipua  di  molti  pontefici, 
crebbe  a  ragguardevole  potenza  quando  più  urgente  era  il 
pericolo  di  invasioni  ottomane  sui  lidi  pontifici  ;  poi  ces- 


512  J.  Torneiti 


sato  il  pericolo  (tanto  che  dopo  il  171 8  non  ebbe  più 
occasione  di  misurarsi  in  gravi  cimenti),  mancò  conse- 
guentemente a  poco  a  poco  la  necessità  della  sua  esistenza. 
Per  la  stessa  causa  cessò  anche  T  azione  politica  del  Vati- 
cano, originata  dalle  conquiste  ottomane  di  Costantinopoli; 
e  gli  sforzi  della  diplomazia  pontificia  si  rivolsero  di  nuovo, 
nei  rapporti  tra  la  Santa  Sede  e  1'  Oriente,  alla  soluzione 
del  problema  di  riunire  a  Roma  le  Chiese  dissidenti  :  la 
lotta  dei  pontefici  contro  i  Turchi  è  una  larga  parentesi 
nella  storia  della  politica  estera  dei  papi. 

Il  decadimento  di  Venezia,  della  Turchia,  della  flotta 
(B  di  un  lato  importantissimo  della  politica  vaticana,  danno 
r  immagine  d*  un  grandioso  e  melanconico  tramonto,  a 
cui  si  sostituiscono  altre  energie  a  preparare  i  tempi  nuovi: 
la  Russia,  dalla  pace  di  Passarowitz,  si  fa  più  ardita  nella 
questione  d'  Oriente  iniziata  da  Pietro  il  Grande,  e  mira, 
come  un  tempo  i  sultani  da  Costantinopoli,  ad  espansioni 
al  di  là  dei  Balcani;  T  Inghilterra,  cresciuta  potentissima 
sul  mare,  domina,  come  un  tempo  Venezia,  il  Mediter- 
raneo e  gli  sbocchi  commerciali  coir  Oriente. 

Questa  nuova  condizione  politica  era  stata  preparata 
da  un  lento  maturare  dei  tempi  in  armonia  ai  bisogni 
sociali  di  popoli  rimasti  estranei  alle  antiche  lotte,  e  sa- 
rebbesi  egualmente  determinata  anche  senza  altre  vittorie 
sui  Turchi,  anche  senza  la  spedizione  spagnola  in  Sar- 
degna. Pure,  Clemente  XI  non  potè  attribuire  il  naufragio 
delle  sue  speranze  che  alla  mala  fede  del  cardinale  Albe- 
roni,  e  1'  inganno  tesogli  da  costui  fu  il  più  grande  dolore 
di  tutta  la  sua  vita. 

Francesco  Pometti. 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        313 


AGGIUNTE  E  CORREZIONI 


Nel  primo  dì  questi  Studii  (del  quale,  quando  era  in  corso  di 
stampa,  per  ragioni  indipendenti  dal  mio  buon  volere  non  potei 
convenientemente  curare  le  bozze)  sono  incorsi  degli  errori,  che  stimo 
mio  dovere  emendare. 

Sono  errori  avvenuti  per  mancata  revisione  tra  le  prime  bozze 
e  l'impaginato,  i  seguenti:  p.  364,  nota  i,  Colhi.  Bolognetti,  130,  cor- 
reggi: 131  ;  p.  364,  nota  2;  Ivi,  pp.  337-340  =  Collei.  Bolognetti,  150, 
PP-  537-540  ;  P-  414.  Colìei.  cit.  =  Misceli,  di  Clemente  XI,  106;  p.  449, 
nota  I,  Xuniiat.  ciL=  Nuniiat.  Paci^  50.  La  nota  i  a  p.  327  va  tra- 
sportata a  p.  328,  al  posto  della  nota  i,  che  va  soppressa.  P.  343, 
((per  appianare  le  difficoltà»  aggiungi:  Nun:{iat.  di  Venezia,  293, 
II  giugno,  1701;  p.  348,  «moltissimo  gli  altri»  aggiungi:  Kunxjat.  di 
Venezia,  293,  20  agosto  1701;  p.  444,  la  nota  2  va  dopo  le  parole 
«  delle  nostre  ragioni  ». 

Sono  da  mutarsi  le  seguenti  espressioni:  p.  342  ((  decida  »  ^ 
«  risolvi  »;  p.  343,  ((  sentimenti  »  --  k  intendimenti  »  ;  p.  343,  »  parti- 
«  colari  »  =:  ((  fastidiose  »;  p.  344,  (c  vi  aderisse  »  =  «  vi  aderisca  »; 
p.  3)5,  «  non  aveva  potuto»  =  c<  non  potei  »;  p.  436,  «  soltanto  »  - 
((  solamente  »;  p.  436,  «  potrebbero  »  =  «  possono  »;  p.  437,  k  pro- 
((  fìcua  *)  -  ((  propria  »;  p.  440,  «senza  lesione  indebita  della...  »  - 
((  senza  lesione  della  indubitata...  »;  p.  441,  «perchè  quando  s'in- 
((  troducesse  >i  «  perchè  quando  la  prattica  s'introducesse  »;  p.  443, 
((privatissimamente»  -  «premurosissimamente»;  p.  .\\^,  «pomo 
«  principale  »  -  «  punto  principale  ». 

Sono  errori  materiali  di  stampa,  in  parte  dovuti  alhi  natura  di 
miscellanea  di  alcuni  volumi,  i  seguenti:  p.  303,  nota  i,di  pp.  64  46; 
p.  ^12,  nota  2,  A/mv//.  .//  Cl.-m.  .\7,  54  aggiungi  (X°  di  quelli  sul 
RcL^no  di  Napoli);  p.  312,  n<ita  3,  pp.  1 1  3-1 15  ^  pp.  121-1 30;  p.  3 1 3, 
nota  I,  pp  130-156  -  pp.  I  ;  ^-i  ;A  p.  313,  nota  r,  5  aprile-  3  agosto; 
p.  317,  nota  3.  8  dicembre  i8  dicembre;  p.  320,  nota  2,  21  feb- 
braio 19  febbraio;  p.  320,  noia  3,  pp.  215-240^217-240;  p.  356, 
nota  4,  i^  febbraio  ■■  17  febbraio;  p.  348,  nota  i,  20  agosto  =  30  lu- 


514  J.  Tomctti 


glio;  p.  353,  nota  i,  pp.  2^5-249  =  245-259;  p.  368,  nota  i,  lettere 
del  nunzio  del  gennaio  e  2  febbraio  =  del  24  febbraio;  p.  370,  note  3 
e  4,  lettera  =  cifra;  p.  374,  nota  2,  91  (IV  ^  91  (I;  p.  377,  nota  i, 
lettera  =  cifra;  p.  378,  nota  i,  lettere  =  lettera;  p.  378,  nota  3,  2  set- 
tembre =  3  ottobre;  p.  381,  nota  i,  no  -  120;  p.  383,  nota  4,  29  giu- 
gno =  28  giugno;  p.  386,  nota  3,  dei  primi  del  1704  =  del  30  gen- 
naio 1704;  p.  390,  nota  I,  45  (IV  =  45  (I;  p.  409,  note  i,  263, 
1708=  1709;  p.  423,  nota  I,  21  febbraio  =  21  marzo;  p.  427,  nota  i, 
17  agosto,  31  ottobre  e  28  novembre-  31  ottobre  e  28  novembre; 
p.  431,  nota  I,  19  ottobre  =  9  ottobre;  p.  431,  nota  i  (voi.  54, 
e.  105)  =  (voi.  54,  e.  99);  p.  434,  nota  2,  ce.  177-179  =  e.  177; 
p.  436,  nota  3,  16631  dicembre  =  16  e  30  dicembre;  p.  437,  nota  3, 
16  gennaio  e  19  febbraio  =  cifra  del  16  gennaio  e  avviso  del  19  feb- 
braio; p.  440,  nota  2,  e.  494  =  e.  495  ;  p.  445,  nota  2,  e.  300  =  e.  500; 
p.  447,  nota  2,  Nnniiat.  Paci  =  Ntiniiat.  Paci,  5 1  ;  p.  448,  nota  2, 
Nuniiat.  Paci,  ^4  =  Nimiiat.  Paci,  54,  ce.  200-201. 

Sono  da  considerarsi  come  sunti  dell'  originale,  ma  che  però 
non  ne  alterano  il  contenuto,  i  passi  nelle  pp.  317,  518,  329,  333, 
345  (note  3  e  s),  346,  372  (nota  i),  377  (note  2  e  6),  387,  388, 
393  (note  I  e  2),  397,  406,  407  (3"  capoverso),  410  (nota  2),  416 
(nota  i),  426  (nota  2),  444  (nota  1),  449  (note  i  e  3). 

Sono  anche  sunti  dell'  originale  i  passi  dalle  parole  «  Riteniamo 
che  Erizzo  »  a  «  con  cautela  rì,  p.  347,  nota  5  (ciò  comprende  anche 
la  nota  2  a  p.  357);  «  senza  neanche  volerne  parlare  ...  «  senza  manco 
volerne  parlare  »  p.  377;  «  Su  tutto  questo»  «Ella  dovrà  mostrare  », 
p.  415  ;  «  Dica  chiaramente  »  «  della  porpora  »,  p.  426,  nota  3  ;  «  Tutti 
li  gazzettanti  ne  parlano,  ma  V.  S.  non  se  ne  preoccupi  »,  «  Tutti 
li  gazzettanti  ne  parlano  »,  p.  431,  nota  i  ;  «  L'ambasciatore  veneto  » 
«  Piemonte  »,  p.  433  ;  «  V.  S.  per  riuscire  »  «  minacci  »,  p,  438  ;  a  Fac- 
cia che  il  congresso  vincoli  . . .  faccia  «  che  il  congresso  istesso  vin- 
coli »,  p.  440;  «  Privatamente»  «  i  nostri  diritti  »,  p.  441. 

Vanno  modificati  i  passi:  p.  314,  «  per  partecipargli  il  suo  av- 
«  vento  al  trono  pontificio,  a  fine  di  sapere  »  =  «  forse  per  indagare  »; 
p.  344,  «  il  granduca  di  Toscana  aveva  promesso  di  accettare  »  = 
«  si  era  quasi  sicuri  che  accettasse  »;  p.  344,  «  sei  mila  da  Roma  »  = 
«  sei  mila  dalla  Toscana  »;  p.  366,  «  avrebbe  occupata  quella  città  »  = 
«  avrebbe  occupato  tutto  lo  Slato  »;  p.  371,  «e  di  tenersene  estra- 
«  neo  »  =:  «  e  di  tenersi  quasi  estraneo  ad  esse  »  ;  p.  371,  «  attribuendo 
«  ad  essa  il  riserbo  »  =  «  forse  attribuendo  ad  essa  il  riserbo  ». 

Anche  in  alcune  pagine  della  prima  puntata  di  questo  secondo 
studio  (voi.  XXII)  sono  sfuggiti  degli  errori.  Ad  esempio,  sono  avvisi 
e  non  Zt^/Z^rt;  quelle  citate  a  p.  no,  nota  3  ;  p.  in,  note  i  e  3,  p.  112, 


Studii  sul  pontificato  di  Clemente  XI        51  j 


note  I  e  2.  A  p.  124  si  legga:  «  si  avevano  in  depositeria  500  m.  scudi 
«  di  credito  »;  a  p.  141  è  un  sunto  dell'originale;  a  p.  142  la  nota  2  de- 
v'  essere  i,  e  viceversa  ;  a  p.  143  sopprimere  la  nota  2  ;  a  p.  145,  nota  3, 
«  la  corte  francese  »  =  «  la  corte  spagnola  »  ;  a  p.  148,  «  assicura- 
te zìoni  »  =  ((insinuazioni  ».  A  p.  1 55  si  legga:  «  Non  posso  riferire  tutte 
«  le  parole  all'  E,  V.,  perchè  S.  M.  si  è  estesa  questa  volta  di  molto. . .  w: 
a  p.  157,  nota  i  (Nun:^iat.  di  Vene^iay  ijó)  =  (Nunzia t.  di  Vene\ia^  166); 
a  p.  157,  nota  2,  ((  8  febbraio  »  =  «  i"  febbraio  »  ;  a  p.  159,  nota  3 
(Misceli,  cit.  215,  p.  295)  =  (. . .  p.  259);  a  p.  160,  nota  i,  p.  109,  lett. 
del  card.  Tanari  al  Paolucci  =  . . .  all'  elemosiniere  del  papa  ;  a 
p.  162,  nota  3,  24  febbraio  =  2marzo;  a  p.  163,  nota  3  (^Miscell  di  Cle- 
mente XI,  211,  p.  291  =  (. . .  p.  201)  ;  a  p.  169,  nota  i,  «  dell'  Escu- 
te rial  »  =  <(  da  Madrid  »;  a  p.  170  «  Agli  1 1  di  luglio  »  =  ((  Agli  8  di 
«luglio  »  ;  a  p.  170,  nota  4,  «  16  luglio  »  =  «  11  luglio  »;  a  p.  176, 
nota  I,  ((  pp.  188-198  »  =  «  pp.  180-198  »  ;  a  p.  179,  nota  2,  «  pp.  62- 
102  »  =  «  69-102  ». 


Santa  Diaria  antiqua 

E  GLI  ULTIMI  SCAVI  DEL  FORO  ROxMANO 


A  demolizione  di  S.  Maria  Liberatrice  ha  rivelato 
^[v|^^  l'esistenza  di  due  edifizi  religiosi  la  cui  impor- 
5^^^)^  tanza  storica  ed  artistica  è  di  gran  lunga  supe- 
riore a  ciò  che  era  lecito  sperare  prima  degli  scavi.  Arti- 
sticamente, ambedue  offrono  tracce  così  ricche  di  affreschi 
di  molti  secoli  dell'  età  di  mezzo,  che  si  può  ben  dire  val- 
gano a  colmare  una  grande  lacuna  nella  storia  della  pit- 
tura italiana  anteriore  a  Giotto.  Storicamente,  una  delle 
due  chiese  risolve,  e  crediamo  in  modo  definitivo,  una 
questione  di  topografia  molto  vivacemente  dibattuta  in 
questi  ultimi  tempi.  Dalla  descrizione  che  ne  daremo  più 
innanzi  apparirà  chiaramente  che  due  chiese  ben  distinte 
da  principio,  poi,  con  muri  di  costruzione  più  recente,  riu- 
nite insieme,  sorgevano  all'angolo  nord  del  Palatino  fra 
il  tempio  di  Vesta  e  quello  dei  Dioscuri  e  fin  dentro  il  iem- 
pillili  ilii'i  Au^ii^^iì.  A  che  tempo  risalgano  l' una  e  T  altra 
non  ò  facile  stabilire:  bisognerà  per  questo  attendere  i  risul- 
tati dello  studio  intorno  agli  affreschi  avanzati  sulle  mura 
venerande;  studio  che,  per  la  grande  importanza  storica  di 
quegli  avanzi,  ci  aiii'uri  uno  venga  intrapreso  da  qualcuno 
fri  i  più  competenti  della  materia.  Benché  non  credo  con- 


5i8  V.Jedeìici 


venga  eccedere  troppo  nelle  deduzioni  che  potrebbero  trarsi 
dalla  ricerca  delle  prime  origini  delle  due  chiese. 

Intorno  ad  esse  era  un  vasto  convento  di  monaci  greci, 
come  appar  chiaro  dai  numerosi  graffiti  e  dalle  iscrizioni 
in  lingua  greca  trovate  in  ambedue  le  chiese.  Altri  in- 
dizi della  presenza  del  convento  non  mancano.  Nella 
navata  di  sinistra  della  chiesa  grande  una  piccola  scala  (jx) 
metteva  in  comunicazione  il  tempio  con  la  grande  rampa 
palatina  ;  aditi  che  dalla  chiesa  danno  ai  lati  se  ne 
hanno,  nella  navata  sinistra  uno,  nella  navata  destra  due; 
nel  nartece  ce  ne  sono  due  a  destra,  due  a  sinistra.  S' ag- 
giunga un  altro  fatto  che  mi  pare  abbia  valore  più  che  di 
semplice  indizio.  V  adito  centrale  (Jj)  nel  muro  di  sinistra 
del  nartece,  adito  che  ora,  per  rinforzi,  è  stato  chiuso,  ha 
tracce  notevolissime  di  affreschi  nei  suoi  lati;  la  parte 
esterna  del  muro  di  destra  del  medesimo  nartece  (e)  ha 
un  affi-esco  rappresentante  un  santo  nimbato.  A  qual  fine 
queste  mura,  che  non  son  più  della  chiesa,  sarebbero 
state  adornate  di  pitture?  Il  convento  probabilmente  s'e- 
levava sulle  due  navate  laterali  della  chiesa  o  forse  anche 
a  destra  del  nartece,  in  quella  parte  del  teniphim  Augusti 
che  volge  sulla  via  di  S.  Teodoro  e  dove  sono  evidenti 
avanzi  di  costruzioni  medioevali  adattate  alle  mura  im- 
periali. 

Un  monastero  situato  nelle  vicinanze  della  Nova  via 
è  ricordato  nelle  lettere  di  san  Gregorio  (i):  «  xenodochii 
«  de  via  Nova  »  con  frase  che  ci  lascia  incerti  se  per  via 
Nova  s'abbia  da  intender  quella  che  dava  accesso  alle  terme 
di  Caracalla  o  l' altra  che  menava  dal  Palatino  al  Ve- 
labro  (2)  e  che  tagliava  ad  angolo  retto  il  victis  Tuscus 
non  lungi  dal  tempio  dei  Dioscuri.  E  con  il  viciis  Tuscus 
e  quindi  col  nostro  monastero  greco  non  sappiamo    che 

(i)  Lib.  I,  ep.  XLiv  in  Migne,  Patr.  Lat.  LXXVII,  507. 
(2)  DucHESNE,  Le  Liber  Pont.  II,  46,  nota  108. 


Santa   oMaria   Q/intiqita  519 


relazione  abbia  quello  ricordato  nella  Vita  di  Leone  III  (i): 
«  Xenodochium  qui  appellatur  Tucium  ». 

Qualunque  fosse  il  monastero  di  cui  rimangono  in 
questi  luoghi  tante  tracce,  le  due  chiese  erano  officiate  am- 
bedue da  monaci  greci;  né  è  da  credere  che  fossero  troppo 
popolate  dalla  gente  di  Roma.  Anche  se  si  voglia  risalire 
a  porre  la  trasformazione  di  questi  edilìzi  molto  in  su  nel 
tempo,  siamo  sempre  in  una  età  nella  quale  il  Foro  non 
era  più  il  centro  della  vita  civile  di  Roma,  anzi  giaceva 
abbandonato  ed  isolato  e  cominciava  già  a  volgere  verso 
quella  lenta  rovina  che  doveva,  con  F  andar  del  tempo, 
sollevarne  il  piano  e  nasconderlo  quasi  completamente  ai 
posteri.  Il  culto  alla  Vergine  e  ai  santi  del  cristianesimo 
si  svolgeva  in  queste  chiese  molto  solitario,  e  poco  inte- 
resse, almeno  nei  primi  tempi,  doveva  trovare  nel  popolo 
che  fu  tenace  nella  sua  antica  religione  quanto  forse  non 
è  stato  giustamente  rilevato  finora.  Con  ciò  io  non  voglio 
dire  che  le  chiese  nel  Foro  abbiano  fatto  per  i  monaci 
greci  che  vi  officiavano  nel  vi  secolo,  l'ufficio  che  facevano 
le  catacombe  per  i  cristiani  del  i  e  del  11  secolo,  né  dimi- 
nuire oltre  il  giusto  il  valore  del  fatto  per  se  stesso. 

Delle  due  chiese,  la  II  della  nostra  pianta,  posta  fra 
il  tempio  delle  Vestali  e  quello  di  Castore  e  Polluce,  ha 
nell'  abside  la  rappresentazione  del  Martìrio  dei  Onarauta 
di  Sebaste.  Questa  storia  dipinta  nella  parte  più  interna  e 
più  sacra  della  chiesa,  dove  generalmente  si  dipingeva  l'im- 
magine che  dava  il  titolo  al  luogo,  ci  ix  sospettare  che 
r  edificio  fosse  dedicato  alla  schiera  di  soldati,  vittime  del- 
l' imperatore  Licinio.  E  questa  ipotesi  parrebbe  confermata 
<\a  un   altro  indizio. 

Xcir  esterno  dell'abside  sopra  il  muro  (a)  di  rinforzo 
della  prima  colonna  appoggiata  alla  cappella,  che,  come  ve- 


(i)  Liber  cit.  II,  25   e  :\(\  nota    i<>.^. 


520  V,  federici 


(iremo,  è  di  costruzione  posteriore  al  resto  deircdificio  (i), 
fra  i  quattro  tondi  danneggiatissimi,  uno  ha  la  leggenda 
O  AriOC  GY^^Y['^'^^']»  iio""'^  portato  da  non  pochi 
santi,  ma  anche  da  uno  dei  Quaranta  martiri  di  Sebaste. 
Alla  possibile  identificazione  si  opporrebbe  la  ragione  ico- 
nografica; perchè  si  sa  che  i  Quaranta  erano  soldati  giovani, 
forti,  belli  e  tali  sono  dipinti  nell*  abside:  se  non  belli,  forti, 
giovani  certo,  mentre  V  GyoyKìOC  non  è  più  gio- 
vane ed  ha  la  barba.  Ma  non  dobbiamo  dimenticare  che 
la  ragione  iconografica  non  è  sempre  assolutamente  sicura 
anche  per  le  varie  opere  di  un  medesimo  pittore:  come 
potrà  invocarsi  per  opere  di  pittori  diversi  e  di  tempi  di- 
versissimi come  sono  quelli  dei  due  affreschi  citati  ?  Questa 
constatazione,  qualora  potesse  essere  confortata  da  qualche 
testimonianza  antica,  non  sarebbe  senza  valore  per  la  storia 
del  culto  dei  martiri  di  Licinio  e  del  governatore  Agricola. 
Finora  poche  chiese  si  conoscevano  intitolate  a  quei 
nomi  e  quelle  poche  molto  recenti.  Il  culto  ai  Quaranta 
martiri  se  era  molto  vivo  nei  primi  secoli  posteriori  al  loro 
martirio,  par  che  venisse  lentamente  affievolendosi  a  mano 
a  mano  che  col  tempo  se  ne  allontanava  Favvenimento  (2). 


(1)  V.  pp.  535-36. 

(2)  Nella  Vita  di  Leone  III  {Liber  cit.  Il,  25)  è  ricordato  un 
«.  oratorio  Ss.  Cosma  et  Damiani  qui  ponitur  in  xenodochium  qui 
«  appellatur  Tucium  »  :  la  parentela  fonetica  dell'appellativo  «  Tu- 
«  cium  »  col  «  vicus  Tuscus  »  non  ci  pare  sufficiente  a  stabilire  la 
identità  di  questo  xenodochium  e  quindi  dell'oratorio  dei  Ss.  Cosma 
e  Damiano  con  il  monastero  di  cui  troviamo  tante  tracce  in  questi 
scavi  e  quindi  con  la  II  delle  due  nostre  chiese  (cf.  p.  519).  Nella 
stessa  Vita  di  Leone  III  (ivi,  p.  26)  si  parla,  subito  dopo  la  diaconia 
di  S.  Maria  Antica,  di  un  «  oratorium  S.  Andree  »  posto  «  ubi  su- 
«pra»,  cioè  nella  stessa  diaconia  di  S.  Maria  Antica,  come  com- 
menta lo  stesso  DucHESNE  a  questo  passo  (ivi,  p.  46,  nota  109).  Dopo 
quanto  ho  osservato  a  proposito  della  prima  chiesa  e  dei  Quaranta 
martiri  rappresentati  nella  sua  abside,  non  penso  nemmeno  ad  iden- 
tificare V  oratorium  del  biografo  di  Leone  con  questa  chiesa.  Il  Va- 


Santa   oMaria   oAntiqua  521 

Non  è  necessario,  cred'  io,  riferire  T  importazione  dì 
questo  culto  in  Italia  all'  ingresso  delle  truppe  bizantine  a 
Roma  con  Belisario.  È  noto  che  di  questo  martirio  si  ser- 
viva già  per  ornare  le  sue  orazioni  il  vescovo  Gaudenzio  (i) 
verso  la  fine  del  secolo  iv.  Non  più  antica  di  questo  tempo 
può  essere  dunque  la  nostra  chiesa.  Al  secolo  vi  ci  riporta 
r epigrafe  mortuaria  scoperta  sul  pavimento  fuori  dell'ab- 
side (2);  ai  secoli  vi-vii  i  graffiti  greci  e  latini  sui  muri 
della  cappella  e  l' iscrizione  greca  in  onciale  sul  sarcofago 
del  gerusiarca  (3).  Di  questa  chiesa  prima  degli  scavi  non 
si  sospettava  nemmeno  l'esistenza.  Essa  era  sepolta  sotto 
le  fondamenta  di  S.  Maria  Liberatrice  (che  posavano  lungo 
il  muro  destro  dell*  abside)  e  si  protendeva  con  il  resto 
delle  navate  parallelamente  alla  Nova  vìa  (4).   Dell'altra 


LERi,  in  un  suo  studio  pubblicato  da  pochi  giorni  (/  monumenti  cri- 
stiani del  Foro  Romano  in  Rivista  d' Italia,  15  dee.  1900,  p.  710),  per 
confortare  l' ipotesi  sua  dell'  identità  di  S.  Francesca  Romana  con 
S.  Maria  Antica,  riporta  una  epigrafe,  tolta  dalle  schede  del  defunto 
Stevenson  (cod.  Vatic,  10548,  e.  45)  e  da  questi  trovata  «  presso  uno 
((  scarpellino  in  via  dello  Stradone  di  S.  Giovanni,  già  credo  al  Tempio 
«di  \'enere  e  Roma»,  nella  quale  è  ricordato  un  sant'Andrea: 

/ORTITER    ANDREAS   XPM   CRVCE    MORTE   FATETVr 

ma  l'argomento,  a  parte  il  valore  discutibile  dell'epigrafe,  non  mi 
pare  molto  valido.  L'  «  oratorium  S.  Andree  »  è  nominato  nella  Vita 
di  Leone  III  (795-816)  subito  dopo  la  diaconia  di  S.  Maria  Antica, 
la  quale  è  ancora  detta  «  quae  appellatur  Antiqua  »,  proprio  come  è 
nell'epigrafe  scoperta  nella  navata  sinistra  di  cui  parleremo  in  seguito, 
che  è  del  tempo  di  papa  Zaccaria  (741-752):  testimonianze  ambedue 
anteriori  alla  ricostruzione  di  Leone  IV  (847-855).  Se  dunque,  al- 
meno fino  a  Leone  III,  la  S.  Maria  Antiqua  è  quella  scoperta,  come 
vedremo,  sotto  S.  Maria  Liberatrice,  1'  «  oratorium  S.  Andree  »  posto 
presso  S,  Maria  Antiqua,  doveva  essere  vicino  più  al  tempio  dei  Dio- 
scuri che  all'arco  di  Tito. 

(i)  Acta  Sane  ter  um,  io  marzo,  p.  14. 

(2)  V.  p.  562. 

(3)  V.  p.  562. 

C4)  Lanciani,  Forma  urbis  Romac,  tav.  29. 


522  F.  Jederici 


invece  (I  della  nostra  pianta)  si  conosceva  il  nartece  ap- 
parso negli  scavi  del  1884  (i)  e  la  parte  superiore  dell'ab- 
side scoperta  per  caso  quando  nel  1702  le  monache  di 
Ter  di  Specchi,  che  possedevano  la  chiesa  di  S.  Maria 
Liberatrice,  bisognando  di  tavole  per  fabbricare,  affittarono 
ad  un  capomastro  muratore  il  giardino  dietro  la  chiesa 
suddetta.  Allora  «  ad  un  tiro  di  sasso  »  dalla  moderna  ab- 
side di  S.  Maria  si  scoperse  un'  «  abside  antichissima  »  ap- 
partenente ad  una  chiesa  «  venti  e  più  palmi  depressa  di 
«  sito  con  pitture  del  Salvatore  crocifisso,  di  molti  santi 
«  fra  i  quali  la  figura  di  Paolo  I,  col  diadema  quadrato  in 
«  segno  eh'  era  vivente  »  (2). 

Questa  chiesa  il  Lanciani  colla  guida  dell'  Itinerario  di 
Einsiedeìn  (^l)  aveva  identificata  con  a  S.  Maria  Antiqua  », 
per  primo  discordando  dalla  vecchia  teoria,  ostinata  nel 
fare  una  cosa  sola  di  S.  Maria  Antica  e  S.  Maria  Nova 
(ora  S.  Francesca  Romana).  La  nuova  opinione,  accolta 
e  sostenuta  anche  dal  padre  Grisar  (4),  trovò  un  opposi- 
tore ardente  nell'abbate  Duchesne,  che  in  un  magistrale 


(i)  Wotiiie  degli  scavi,  1885,  p.  156;  cf.  De  Rossi,  Bulìettino, 
1885,  P"  142. 

(2)  Arch.  storico  Capitolino,  Diario  di  Roma  dell'anno  1702, 
cred.  XIV,  to.  12,  e.  115.  Il  volume,  che  è  di  mano  del  Valesio,  è 
cartaceo,  di  ce.  355,  e  contiene  le  notizie,  in  ordine  cronologico,  più 
importanti  dell'annata.  Nella  medesima  e.  115,  dove  è  la  relazione 
del  ritrovamento,  è  riprodotto  in  acquarello  il  disegno  della  tribuna 
con  gli  affreschi  che  si  vedevano  allora.  L'acquarello  ha  la  scritta: 
Veduta  dell'antichissima  chiesa  scoperta  nel  Campo  Vaccino 
l'anmo  1702;  cf.  Cancellieri,  Storia  dei  solenni  possessi  &c.,  Roma, 
Lazzarini,  1802,  p.  370,  nota  4. 

(5)  R.  Lanciani,  L'  itinerario  di  Einsiedeln  e  V  Ordine  di  Bene- 
detto canonico  in  Monumenti  antichi,  pubblicati  per  cura  dell'  Acca- 
demia dei  Lincei,  voi.  I,  puntata  3",  1891,  e  Forma  urbis  Romae,  tav.  29. 

(4)  In  Zeitschrift  fiìr  catolische  Theologie,  XX,  113,  e  in  Civiltà 
Cattolica,  1896,  p.  458  sgg. ;  Storia  di  Roma  e  dà  papi  nel  medioevo, 
I,  I,  327  sgg. 


Santa    C\Iarta    oAntiqua  525 

lavoro  pubblicato  nel  1897,  giunse  a  conclusioni  che  allo 
stato  delle  conoscenze  d' allora  parevano  irrefragabili. 

Il  Duchesne  affermava  che,  rigettata  la  testimonianza 
àtW  Itinerario  in  questo  punto  guasta,  e  restituito  nella  sua 
integrità  il  passo,  pervenutoci  incompleto  della  Vita  di 
Benedetto  III  nel  Liber  Ponlificaìis,  nessun  altro  monu- 
mento, nessuna  tradizione  monumentale  o  leggendaria  as- 
segnano a  S.  Maria  Antica  il  posto  che  le  si  vuol  dare 
dal  Grisar  e  dal  Lanciani  ;  che  nessuna  testimonianza  seria 
permette  di  stabilire  V  esistenza  di  un  monumento  reli- 
gioso prima  del  secolo  viii  nei  pressi  di  S.  Maria  Libera- 
trice, e  che  la  chiesa,  intravista  ivi  nel  1702  e  nel  1884, 
fu  edificata  in  onore  di  S.  Antonio  e  non  della  Vergine, 
il  cui  nome  comparisce  in  quel  luogo  molto  tardi  (i). 

Questa  opinione,  sostenuta  con  tanta  dovizia  di  dot- 
trina e  con  tanta  acutezza,  parve  confermata  dalla  pubbli- 
cazione del  Tahularinm  S.  Mariae  Novae  iniziata  dal  dottor 
Fedele,  in  questo  stesso  Archivio  (2),  nel  quale  non  poche 
pergamene  del  secolo  xi  chiamano  la  discussa  chiesa  nello 
stesso  modo  del  passo  dal  Duchesne  ricostruito  nella  Vita 
di  Benedetto  III:  «  diaconia  quae  olim  Antiqua  vocabatur 
<(  nunc  autem  Nova  ». 

Sui  nuovi  documenti  principalmente  si  fondavano  il 
Fedele  (3),  il  Padre  Lugano  che  riprese  la  questione  da 
capo  (4)  e  A.  Valeri  in  un  recente  studio  sui  Moruunenti 
cristiani  del  Foro  Romano  (^$):  tutti  e  tre  a  sostegno  della 


(i)  5.  Maria  Antiqua.  Notes  sur  la  lopographic  de.  Rome  au  moycii 
àgi  in  Mèlanges  d'archeologie  et  dlnstoireyWlV^  i\nn(:Q,{:ìSc.  i,  p.  13  sgg. 

(2)  Archivio  della  R.  Soc.  rom.  di  st.  palr.  XXIII,  171   sgg. 

(3)  Per  la  topografia  del  Foro  Romano  nel  medio  evo  in  Arch.  cir, 
XXII,  559  sgg. 

(4)  5.  Maria  Antiqua  e  le  origini  di  S.  Maria  Nova  de  Urbe  al 
Foro  Romano,  rivendicate  su  documenti  finora  inediti.  Saggio  storico- 
topografico,  Roma,  tipografia  degli  Artigianelli  di  S.  Giuseppe,  1900. 

(5)  Art.  cit.  in  Rivista  cit. 

Archivio  della  lì.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XX HI.         ì  \ 


524  V.  federici 


loro  convinzione  che  era  la  medesima  espressa  dall'  abbate 
Duchesne. 

Gli  scavi  hanno  dato  ragione  al  Lanciani.  La  chiesa, 
segnata  I  nella  nostra  pianta,  che  è  quella  di  cui  nel  1702 
si  vide  parte  dell'abside  e  nel  1884  parte  del  nartece,  è 
S.  Maria  Antica.  Ce  lo  dice  una  iscrizione  scoperta  in  fondo 
alla  navata  di  sinistra.  Questa  cappelletta  ha  tutte  le  pareti 
dipinte  con  istorie  rappresentanti  il  martirio  dei  santi  Qui- 
rico  e  Giulitta.  Sul  muro  di  fronte  sotto  la  grande  Cro- 
cifissione sono  dipinte  sette  figure:  nel  mezzo  la  Vergine 
in  trono  col  Bambino  in  braccio,  con  Pietro  e  Paolo  ai 
lati,  a  sinistra  santa  Giulitta  e  Zaccaria  papa  col  nimbo 
quadrato,  a  destra  san  Quirico  e  Teodoto  che  offre,  volto 
verso  Maria  Vergine,  una  chiesa,  quella  di  S.  Maria  Antica. 
L' iscrizione,  in  tinta  bianca,  si  legge  sopra  il  capo  di 
Teodoto: 

^  [tJheodotvs  PKiM(icer)o  defensorvmj  et  d[ispen]- 

SATORE  SANCTE  DEI  |  GE[NtTRl]ciS   SENPERQ.VE  |  BIRGO  MAr[i]a 
QVE    APPELLATUR  I   ANTIQ.A. 

Questa  iscrizione  e  tutto  V  affresco  ci  riportano  dunque 
ai  tempi  di  Zaccaria  papa,  alla  metà  del  secolo  vili  (741- 
752).  Perchè  non  c'è  dubbio  che  il  gruppo  di  Teodoto  e 
Quirico  formino  un  tutto  unico  col  gruppo  della  Vergine 
e  degli  apostoli  e  con  1'  altro  di  Zaccaria  dipinto  vivente 
e  di  Giulitta  che  sono  nella  medesima  zona  e  d'  un  me- 
desimo pennello. 

Viveva  allora  quel  «  Theodotus  » ,  zio  di  Adriano  I, 
di  nobilissima  famiglia  (i),  il  medesimo  che  restaurò  e 
consacrò  la  chiesa  di  S.  Angelo  in  Pescheria,  dove  rimane 
di  lui  un  ricordo  epigrafico  i  cui  dati  cronologici  conven- 
gono egualmente  bene  cogli  anni  755  e  770  (2). 

(i)  Liber  cit.  I,  486. 

(2)  L' iscrizione,  riportata  anche  dal  Duchesne  (Liber  cit.  I, 
514,  nota  2),  dice  che  la  chiesa  fu  dedicata  nell'anno  6263  del 
mondo,  nell'viii  indizione,  a  tempo  di    Stefano  «  papae  iunioris  », 


Santa    Ilaria    Q^n tigna  525 

Nella  iscrizione  di  S.  Angelo  il  «  Theodotus  »  già  duce 
(«  holim  dux  »)  è  chiamato  primicero  («  nunc  primice- 
«  rus  »).  Nella  iscrizione  di  S.  Maria  Antica  il  «  Theodo- 
«  tus  »  non  ha  titoli  ;  ma  il  vederio  dipinto  in  atto  di  of- 
frire alla  Vergine  una  chiesa  farebbe  sorgere  il  dubbio 
chi  egli  fosse  già  primicero  ai  tempi  del  papa  Zaccaria. 
Comunque,  egli  affida  la  chiesa  al  primo  dei  difensori, 
«  primicero  defensorum  ». 

I  «  defensores  »  avevano  nel  medio  evo  il  doppio  uf- 
ficio di  difensori  dei  poveri  e  delle  chiese  di  cui  dove- 
vano curare  quanto  valesse  a  promuoverne  l'incremento  (i). 
Il  capo  di  questo  collegio  era  il  primicero  dei  difensori  detto 
pure  primo  primicero.  l\  primicerus  defensorum  era  uno  dei 
più  alti  uffici  ecclesiastici  della  curia  :  esso  accompagnava 
il  pontefice  e  lo  aiutava  insieme  col  primicero  di  S.  R. 
Chiesa  e  col  secondicero  a  vestirsi  quando  doveva  cele- 
brare il  divin  sacrificio  in  qualche  stazione,  lo  assisteva 
sempre  con  i  due  compagni  durante  la  messa,  lo  accompa- 
gnava quando  si  recava  alla  stazione  di  S.  Maria  Maggiore 
e  insieme  col  secondicero,  tornato  il  papa,  lo  ricondu- 
ceva, per  mano,  nelle  sue  stanze  (2).  Ricordi  di  defen- 
sores sono  nella  Vita  di  Felice  III  (3),  di  Gregorio  III  (4), 
di  Adriano  I,  dove  comparisce  un  «  defensor  regiona- 
«  rius  »  (5)  e  un  «  Anastasium  primum  defensorum  »  fra 
i  messi  spediti  da  Stefimo  a  Desiderio  re  dei  Langobardi 
per  ricordargli  certe  sue  promesse  (^).  Pari  in  dignità  a 
questo  Anastasio  è  il  «  primicero  defensorum  »  della  no- 
stra iscrizione,  che    era   «  dispensator  »   di    S.  Maria  An- 

(i)  Galletti,  Dd  primicero  della  5.  Sede  apostolica,  Roma,  Sa- 

lomoni,  1776,  p.  152. 

(2)  Ivi,  p.  I  I  sgg. 

(5)  Liber  cit.  I,  252. 

(4)  Ivi,  p.  416 

(5)  Ivi,  p.  489. 

(6)  Ivi,  p.  487. 


52^  V.  federici 


tica  (i).  Con  questo  stesso  significato  è  ricordato  una  volta 
nel  Liber  Pontificalis  un  «  dispensator  »  in  un  passo  della 
Vita  di  Adriano  I  che  si  riferisce  alla  diaconia  dei  Ss.  Ser- 
gio e  Bacco.  Il  papa  restaurò  questa  chiesa  venendo  in 
aiuto  dell'  amministratore  di  essa  che  non  aveva  mezzi  di 
fiirlo,  perchè  il  tempio  della  Concordia,  presso  il  quale  la 
chiesa  sorgeva,  da  tempo  pericolante  era  finalmente  ca- 
duto su  di  essa  e  l'  aveva  distrutta  (2).  Come  Adriano 
soccorre  l'  amministratore  dei  Ss.  Sergio  e  Bacco,  Teodoto 
aiuta  quello  di  S.  Maria  Antica  anch'esso  forse  impotente  a 
ricostruire  la  chiesa  deperita.  Perchè  questa  appare  infatti 
nel  disegno  ornata  di  marmi  nelle  due  facciate  e  nelle  due 
porte  e  ricoperta  da  una  volta  a  nervature. 

Dei  tempi  vicini  al  pontificato  di  Zaccaria  pochi  nomi 
ci  soccorrono  col  titolo  di  «  primicerus  defensorum  ».  Ac- 

(i)  Nella  iscrizione  «  dispensatore  «  invece  del  dativo  «  dispen- 
«  satori  »  voluto  dalla  grammatica  del  periodo.  Dello  scambio,  credo 
noti  vorrà  meravigliarsi  nessuno  che  abbia  pratica  del  latino  me- 
dioevale, specialmente  nelle  iscrizioni.  Di  un  dispensatore  di  S.  Maria 
Nova  (ufficio  quello  del  dispensatore  delle  chiese  notissimo  nel  medio 
evo)  è  memoria  in  una  pergamena  dell'  ottobre  1002  (P.  Fedele, 
Tahiilarium  S.  Mariae  Novae,  in  Arch.cìt.,perg.  11,  p.  184).  La  stessa 
ragione  per  la  quale  il  «  dispensatore  »  può  interpretarsi  per  «  di- 
ce spensatori  »  mi  suggerisce  l'altra  spiegazione  dell' intera  epigrafe  : 
«  Theodotus  primicerus  defensorum  et  dispensator  sancte  Dei  »  &c. 
L'offerta  della  chiesa,  in  questo  caso,  verrebbe  fatta  da  Teodoto  di- 
rettamente alla  Vergine. 

(2)  Cos'i  mi  pare  che  debba  interpretarsi  il  periodo,  non  molto 
chiaro,  del  Liber  Pontificalis  (ed.  cit.  I,  312)  che  dice:  «  Item  diaco- 
«  niam  sanctorum  Sergii  atque  Bachi,  eiusdem  diaconiae  dis  pen- 
te sator,  propter  metum  templi  quod  situm  super  eam  videbatur, 
«  evertens  super  eandem  ecclesiam  a  fundamentìs  ipsam  basilicam 
«  exterminavit,  quam  restaurare  minime  valens,  misericordia  motus 
«  ob  eorum  martyrium  amorem,  hic  praesagus  antistes,  a  fundamentis 
«  in  ampliorem  restauravit  decore  nimio  statum  »,  Non  vedo,  almeno 
nel  testo  latino,  il  significato  che  gli  ha  dato  il  Ducheske  (Le  Forum 
chrétien,  Roma,  Cuggiani,  1899,  p.  49)  desumendolo  forse  da  altre 
testimonianze. 


Santa   ^^an'a   oAntiqua  527 

cenno  solo  a  quel  «  Petrum  primiim  defensorum  »  che 
nel  7^1  viene  mandato  da  Paolo  I  al  re  di  Francia  Pi- 
pino, come  «  fidelissimum  missum  »  del  pontefice  (i).  Ad 
un  ufficiale  di  pari  grado  a  questo  Pietro  affida  il  nobile 
Teodoto  la  chiesa  restaurata  di  S.  Maria  «  qui  appellatur 
«  Antiqa  ». 

Con  questo  medesimo  nome  «  Basilica  quae  appellatur 
«  Sancta  Maria  Antiqua  »,  è  ricordata  la  chiesa  nel  codice 
della  biblioteca  Capitolare  di  Salzburg  (n.  209,  ora  in 
\'ienna  1008),  scritto  nel  secolo  ix  o  x,  che  il  De  Rossi  (2) 
crede  compendio  di  un  libro  più  vasto  che  par  risalga 
agli  anni  del  pontificato  d'Onorio  I  (625-^40);  cosi  nella 
biografia  di  Leone  III  (795-81^)  che  la  arricchì  di  arredi 
sacri  (3):  e  quest'  appellativo  essa  conservò  ancora  per 
circa  un  altro  mezzo  secolo,  fin  quando  cioè,  rovinata,  fu 
restaurata  da  Leone  IV  (847-855)  «  a  fundamentis  »  ed 
anche  dopo  come  appare  da  un  passo  della  Vita  di  Bene- 
detto III  (855-858):  «  basilica. . .  qui  vocatur  Antiqua  »  (4). 
Ma  già  lo  stesso  biografo  di  Benedetto  allude  chiaramente 
al  nuovo  periodo  della  storia  dell'  edifizio,  iniziato  dalla 
ricostruzione  di  Leone  IV,  in  un  altro  passo  della  Vita  di 
quel  pontefice  giunto  a  noi  corrotto  e  felicemente  ri- 
costruito dal  Duchesne:  «  basilica  beate  Dei  genitricis 
«  quae  olim  antiqua  vocabatur  nunc  autem  [nova  dicitur 


(i)  MiGNE,  Palr.  Lai.  XCVIII,  182.  Non  mi  fermo  nemmeno 
un  momento,  benché  l'anno  in  cui  comparisce  converrebbe  all'età 
della  nostra  iscrizione,  su  quell'Anastasio  di  una  bolla  di  Stefano  II 
«  data  per  m.  Anastasii  I  episcopi  dioeccsanorum  S.  S  Apostolice  » 
che  il  Galletti  {Del  primiccro  cit.  p.  155)  vorrebbe  correggere: 
«data  per  m.  Anastasii  primicerii  defensorum  S.  S.  Apostolice», 
perchè  la  bolla  è  ritenuta  ancora  oggi  spuria  (Jaffi'ì  L.,  Regesta  pout. 
h  2310). 

(2)  Roma  sotterranea  cristiana,  I,    14^-53. 

(3)  Liber  cit.  II,  26. 

(4)  Liber  cit.  II,  145. 


528  V.  feden'ci 


«  quae]  sita  est  <Scc.  »  (i)  e  confermato  dalla  Vita  di  Nicola  IT 
(858-867)  (2)  il  quale  fi^ce  pure  ornare  la  chiesa,  «  pul- 
ce Chris  ac  variis  fecit  depingi  coloribus  »  :  parole  che  ben 
si  convengono  agli  affreschi  ora  scoperti  nella  antica 
chiesa  ma  che  male  potevano  riferirsi  al  musaico  di  S.  Fran- 
cesca Romana  non  anteriore  al  secolo  xii  (3). 

Vicino  a  questa  chiesa  Giovanni  VII  aveva  fatto  ele- 
vare la  sua  casa,  «  super  eandem  ecclesiam  episcopium  quan- 
te tum  ad  se  construere  maluit  »,  vi  andò  ad  abitare  e  vi 
finì  la  vita:  «  illicque  pontificati  sui  tempus  vitam  fini- 
te vit  »  (4).  Abbiamo  già  accennato  alle  tracce  di  altre 
costruzioni  medioevali  in  un  lato  della  chiesa  I.  Ancora 
costruzioni  medioevali  si  vedono  vicino  air  abside  della 
chiesa  II,  vicino  alle  sostruzioni  del  tempio  dei  Dioscuri  e 
intorno  al  sacro  fonte  di  Giuturna.  La  lezione  del  Liber 
Pontificalis  non  è  dubbia  :  V  «  episcopium  »  doveva  essere  qui 
air  angolo  nord  del  Palatino  «  super  eandem  ecclesiam  » 
presso  (5)  la  chiesa  di  S.  Maria  Liberatrice  e  non  dove  lo 
poneva  Giov.  Batt.  De  Rossi  (6)  vicino  alla  «  turris  char- 
«tularia...  edificata  addosso  all'arco  di  Tito  verso  il 
«  Palatino  ».  Questa  ubicazione  si  intendeva  quando  la  mo- 
derna S.  Francesca  Romana  era  creduta  il  rinnovamento 
di  S.  Maria  Antica  e  di  S.  Maria  Nuova.  Conferma  della 
verità  rivelata  dagli  scavi  recentissimi  s'  ha  nella  scoperta 
fiitta  nel  1883  nelF  ultimo  angolo  dell'  atrio  delle  Vestali, 
verso  il  Foro  e  verso  la  chiesa  di  S.  Maria  Liberatrice  (7) 
di  un  tesoro  di  monete  anglo-papali  cosi  bene  illustrato 


(i)  S.  Maria  Antiqua  &c.  in  Mélanges  cit.  p.  27. 

(2)  Liher  cit.  p.  158. 

(3)  De  Rossi,  Musaici,  tav.  xxxiii. 

(4)  Liher  cit.  I,  385. 

(5)  Mi  pare  ovvia  l' interpretazione   che  alla  frase  dà  il  Padre 
Lugano  (op.  cit.  p.  35). 

(6)  Noti:(_ie  degli  scavi  di  antichità,  1883,  p.  495  sgg. 

(7)  Ivi,  p.  493. 


Santa    oMaria   oAntiqua  529 


dal  De  Rossi.  Si  ripensi  al  luogo  dove  furono  trovate 
quelle  monete,  vicino  cioè  a  S.  Maria  Liberatrice  ;  si  ri- 
pensi alla  fibula  che  il  De  Rossi  crede  appartenesse  ad  uno 
degli  alti  personaggi  della  corte  pontificia,  ad  un  arcarius 
o  ad  un  vestararius,  con  sopra  inscritta  la  leggenda  j-  domxo 
MARINO  PAPA  che  V  illustre  archeologo  bene  determina  sia 
stato  Marino  II  (942-946)  (i);  si  ripensi  ai  tegoloni  col- 
r  impronta  del  sigillo  f  IQANN(y]?)  appartenente  al  pe- 
riodo romano  bizantino,  pel  quale  il  De  Rossi  pone  in- 
nanzi la  doppia  ipotesi  che  possa  rìconoscervisi  o  il  nome 
del  figulo  o  pure  il  figlio  di  Platone,  dell'  illustre  restaura- 
tore delle  prisca  palatia  dei  Cesari,  di  nome  Giovanni,  che 
poi  divenne  papa  col  nome  di  Giovanni  VII.  Tutte  queste 
particolarità  concorrono  mirabilmente  a  localizzare  T  episco- 
piiim  in  quel  gruppo  di  avanzi  di  costruzioni  medioevali 
che  sono  addossate  all'abside  dei  Quaranta,  intorno  al 
fonte  di  Giuturna  e  al  lato  nord  della  casa  di  Vesta. 

L* episcopiuntj  ì  Santi  Quaranta  e  S.  Maria  Antiqua  for- 
mavano, nel  secolo  viii,  al  tempo  di  Giovanni  VII,  un 
vasto  corpo  di  edificii  religiosi  che  occupava  la  linea  in- 
terna nord-sud  del  teiuplum  divi  Augusti,  la  linea  sud-nord 
che  dal  fonte  di  Giuturna  costeggia  la  Nova  via  e  la  linea 
nord-sud  che  dall'  abside  dei  Quaranta  giunge  alla  aedes 
Vcslae,  lungo  le  pendici  del  Palatino.  E  con  1'  episcopio 
r  altro  edificio  pontificio,  la  Ttirris  chartuìaria  che  faceva 
parte  del  palazzo  papale.  Né  a  questa  ubicazione  contrasta 
un  passo  del  biografo  della  Vita  di  Gelasio  (i  1 18-1 119)  (2) 
dove  e  detto  che  i  cardinali  per  eleggere  il  novo  papa  si 
ritirarono  in  luogo  sicurissimo  «  veluti  qui  curie  cedit  » 
nel   monastero   «  quod  Palladium  dicitur  ». 

Di  questo  convento  si  vedono  gli  avanzi  presso  S.  Se- 
bastiano alla  Polveriera.  Il  Duchesne  spiega  il   «  veluti  qui 


(1)  Svli;ic  cit.   p.  490. 

(2)  Libcr  cit.  II,  31}. 


530  V.  Jederici 


«  curie  cedit  »  con  la  vicinanza  del  monastero  e  del  pa- 
lazzo pontificale  che,  secondo  le  conclusioni  del  De  Rossi, 
si  sarebbe  elevato  presso  la  Ttirris  chartidaria  (i).  Ma  non 
era  forse  sottoposto  alla  curia  il  monastero  stesso  «  quod 
«  Palladium  dicittir  »?  I  cardinali  ben  si  sentivano  sicuri 
nel  recinto  sacro  indipendentemente  dalla  vicinanza  del- 
Yepiscopinmy  che  del  resto  non  era  nemmeno  molto  lontano 
dal  monastero  anche  se  elevato,  come  realmente  era,  più 
vicino  al  palazzo  di  Augusto  che  all'  arco  di  Tito. 

Ma  il  biografo  di  Benedetto  nella  seconda  testimo- 
nianza, che  ho  recata  sopra,  determina  la  località  di  «  S.  Ma- 
«  ria  Antiqua  viam  iuxta  Sacram  ».  Leone  IV  quando  ri- 
costruì la  chiesa  ne  cambiò  dunque  il  sito  primitivo  e  la 
innalzò  di  nuovo  presso  T  arco  di  Tito  nel  luogo  dove 
ora  sorge  S.  Francesca  Romana  ?  Io  non  credo  :  nella 
S.  Maria  Antica  scoperta  ora  v'  hanno  tracce  di  pitture  ben 
posteriori  alla  ricostruzione  di  Leone  IV  e  tracce  di  iscri- 
zioni, specialmente  due  mortuarie  e  quella  che  ricorda  un 
«  Leo  »  nel  nartece  (2),  che  non  possono  essere  molto 
lontane  dai  secoU  xi-xii.  E  non  anteriore  a  questo  tempo 
deve  essere  il  pavimento  del  presbiterium,  pavimento  a 
mosaico  con  il  nome  del  compositore,  in  itahano,  inciso 
in  un  tondo  a  destra  di  chi  entra:  matia  compse.  Certo 
la  testimonianza  della  Vita  di  Benedetto  ha  il  suo  va- 
lore, ma  da  sé  sola  non  mi  pare  che  valga  a  togliere 
importanza  agU  elementi  che  abbiamo  testé  ricordato. 
Oltre  di  che,  pur  non  ripetendo  1'  argomento  che  il  testo 
della  Vita  di  quel  papa  ci  è  pervenuto  in  cattive  condi- 
zioni, perchè  potrebbe  parere  argomento  troppo  comodo, 
noi  non  sappiamo  fin  dove  si  sarà  esteso  quel  vasto  corpo 
di  edifici  religiosi  comprendente  due  gnandi  chiese,  un 
episcopio  ed  un  archivio  pontificio.  Non  poteva  per  av- 


(i)  Lib.  cit.  II,  310,  nota  14. 
(2)  Vedi  p.  538. 


Santa  oMaru'a    Contìgua  531 

ventura  giungere  fin  dentro  nel  cuore  del  Foro,  presso  la 
Sacra  via?  E  volendo  il  biografo  di  Benedetto  determinare 
la  località  della  chiesa,  quale  altra  strada  era  più  vicina  a 
questi  edifici,  che  potesse,  anche  per  la  sua  importanza, 
venir  subito  sulla  penna  del  cronista  ? 

Più  importante  certo  della  Nova  via  (i)  che  gli  scavi 
recenti  hanno  rivelato  chiusa  completamente  poco  oltre  l'in- 
gresso di  S.  Maria  Antiqua  da  un  muro  di  costruzione 
imperiale  e  sbarrata  più  innanzi  da  due  muretti  che  con- 
giungevano le  due  chiese  ;  si  che  forse  al  tempo  del  bio- 
grafo non  esisteva  nemmeno  (2).  All'  interpretazione  del 
passo  «  viam  iuxta  Sacram  »  alla  quale  ci  fanno  incli- 
nare le  condizioni  degli  scavi  novissimi,  non  contrastano 
i  documenti  del  secolo  xi  di  S.  Francesca  Romana  pubbli- 
cati finora  dal  dott.  Fedele  (3):  di  essi,  sette  hanno  la  de- 
signazione della  chiesa  «  quae  appellatur  Nova  »  semplice- 
mente, e  vanno  dal  7  marzo  982  al  19  maggio  1089  (4); 
nove  hanno  invece  V  altra  «  quae  holim  Antiqua  nunc 
«  Nova  vocitatur  »  e  vanno  dal  24  giugno  loii  al  31  mag- 
gio 1093  (5).  Ma  insieme  con  queste  due  denominazioni 
non  s' incontra  mai  nessun  dato  topografico  che  valga  a 
farci  credere  ad  una  traslazione  dell'  antica  diaconia  nel 
posto  dove  più  tardi  sorse  la  moderna  S.  Francesca. 
Già  dopo  quanto  ha  scritto  recentemente  il  Valeri  (6)  a 
proposito   delle  pretese  traslazioni  di   titoli  presbiterali  o 


(i)  Lanciani,  Forma  cit.  tav.  29. 

(2)  La  testimonianza  del  passo  già  citato  di  san  Gregorio 
(v.  p.  518)  che  ci  darebbe  esistente  questa  via  alla  fine  del  vi  secolo 
non  sappiamo  se  debba  riferirsi  alla  via  in  questione. 

(3)  V.  p.  $23;  Archivio  cit.  XXIII,   171   sgg. 

(4)  Sono  le  pergamene  i,  11,  xviii,  xxiii,  xxvi,  xxvii,  xx\  111. 

(5)  Sone  le  pergamene  iii,  vi,  xi,  xvi,  xvii,  xix,  xx,  xxv,  xxx. 
Non  riporto  le  semplici  varianti  di  parola  che  non  alterano  il  valore 
della  designazione. 

(6)  Art.  cit.  p.  107  sgg. 


532  V,  Jeden'ci 


diaconiali  da  una  chiesa  ad  un*  altra  nell'età  di  mezzo, 
dovremo  guardarci  dal  ricorrere  troppo  facilmente  ad  una 
ipotesi  che  sarebbe  ben  comoda,  specialmente  quando, 
come  nel  caso  nostro,  della  antica  chiesa  rimangono 
tracce  così  significanti  del  medioevo  più  recente.  Quindi 
noi  non  siamo  alieni  dal  pensare  che  S.  Maria  Antiqua, 
adattata  nel  templum  divi  Augusti,  abbia  continuato  a  vi- 
vere anche  dopo  che  dalla  ricostruzione  di  Leone  IV 
essa  s*  ebbe  il  nome  «  quae  olim  Antiqua  nunc  autem 
«Nova  vocatur  »,  per  qualche  secolo  ancora,  fin  al  tempo 
cioè  delle  più  recenti  pitture,  delle  più  recenti  epigrafi 
che  si  vedono  nel  suo  nartece  e  del  pavimento  di  Mattia; 
che  quando  poi,  nei  secoli  xi-xir,  un  terremoto  fortissimo, 
come  mi  suggerisce  il  direttore  degli  scavi  ing.  Boni, 
od  altre  cause  ne  riempirono  i  vani  di  grandi  rovine,  ciò 
che  fu  scampato  dal  danno  passasse  nell'  altra  chiesa  della 
regione  IV,  presso  il  Colosseo,  alla  quale  per  la  vicinanza 
dei  luoghi  la  tradizione  attribuì  l'antichità,  il  decoro  e  il 
nome  della  primitiva  S.  Maria  Antiqua,  presso  la  quale 
Giovanni  VII  aveva  costruita  la  sua  residenza. 

Colla  vicinanza  della  residenza  pontificia  ci  spieghiamo 
anche  la  grande  ricchezza  di  pitture  in  questa  chiesa,  dove 
non  era  un  palmo  di  muro  che  potesse  capire  un  pen- 
nello e  che  non  fosse  ornato  da  pitture.  Strati  d' intonaco 
dipinti  ve  ne  sono  molti  specialmente  neir  abside,  ed  il 
primo  risale  forse  ad  un  tempo  più  antico  di  quello  indi- 
catoci dal  primo  ricordo  che  della  chiesa  abbiamo  nel  cata- 
logo Salzburgense  (i).  Vi  fece  dipingere  poi  Giovanni  VII 
(705-707)  :  «  basilicam  Dei  genitricis  qui  Antiqua  vocatur 
«  pictura  decoravit  illicque  ambonem  noviter  fecit  »  (2); 


(i)  Cf.  p.  527. 

(2)  Libercìt.  I,  385.  Mentre  rivedo  le  prove  di  stampa  di  questa 
nota  mi  giunge  la  notizia  che  è  stato  scoperto  negli  ulteriori  sterri 
presso  Viconostasis  il  fondo  ottagonale  di  un  ambone,  certo  quello  di 


Santa   oMaria    cAniiqua  ^^^ 

de!  tempo  di  Zaccaria  (741-52)  sono  tutti  gli  affreschi  rap- 
presentanti la  storia  dei  santi  Quirico  e  Giulitta  del  fondo 
della  navata  sinistra  (tranne  forse  la  scena  della  Crocifis- 
sione nell' edicola  superiore  che  par  più  recente);  vivente 
Paolo  I  (757-^8)  furono  eseguiti  i  freschi  del  centro  del- 
l' abside.  Dopo  la  ricostruzione  di  Leone  IV,  dalla  quale 
dobbiamo  escludere  il  fondo  della  navata  sinistra  con  le 
storie  del  martirio  dei  santi  Quirico  e  Giulitta  e  l'abside 
centrale  della  chiesa,  Nicola  II  (858-8^7)  la  rende  bella  di 
pitture  numerose,  «  pulcliris  ac  variis  fecit  depingi  coloribus 
«  augens  decorem  et  plurimis  corde  puro  ornavit  speciebus  », 
quelle  forse  di  cui  rimangono  tante  figure  nel  muro  late- 
rale della  navata  sinistra.  Furono  già  giudicati  del  se- 
colo XI  (i)  gli  avanzi  pittorici  del  nartece  che  potranno 
esser  più  sicuramente  datati  dalla  immagine  di  un  papa 
dipinta  sul  muro  di  destra  dello  stesso  nartece,  se  sarà 
possibile  completare  la  lettura  della  leggenda  danneggia- 
tissima  al  lato  sinistro  del  nimbo  quadrato  di  essa. 

Per  migliore  intelligenza  facciamo  seguire  una  pianta  delle  due 
chiese  novamente  messe  alla  luce,  delineata  dall'  ingegnere  Gustavo 
GiovANNONi  e  dall'ingegnere  Tommasimi,  accompagnandola  con  una 
descrizione  architettonica  che  dobbiamo  pure  alla  cortesia  dell'  inge- 
gnere Giovannoni. 

V.  Federici. 


Giovanni  VII,  sul  ciglio  del  quale  sono  inscritte  da  un  lato  le  parole: 

lOHANNES  SERVVS  SCE  MARIAE 
e  dall'altro: 

IQANNOr  AOrAOr  THS  eEQTOKOr 

Secondo  C.  Maes  (Basilica  pp.  Itilii  I  iuxta  Forum,  Roma,  tip. 
della  Pace,  Cuggiani,  1901),  si  riferirebbe  alla  dissotterrata  S.  Maria 
Antiqua  il  passo  controverso  della  biografia  di  Giulio  I  (Liber  Poti- 
tif.  I,  205),  secondo  il  quale  quel  papa  avrebbe  costruito  una  basilica 
«  iuxta  Forum  ».  Sulla  questione  torneremo  in  altra  occasione. 

La  nuova  scoperta  conferma  pienamente  le  nostre  osservazioni. 

(1)  Dk  Rossi,  /?/<//.  1885,  p.  142. 


534  ^-  J^derici 


APPENDICE. 


I. 

Descrizione  architettonica. 

Delle  due  chiese  tratte  alla  luce  dai  recenti  scavi  del  Foro  Ro- 
mano, l'una,  quella  indicata  nella  nostra  pianta  con  I,  è  una  basi- 
lica importante  e  completa,  l'altra,  la  II,  ha  l'apparenza  d'un  sem- 
plice e  modesto  santuario. 

Ambedue  si  adattano  a  preesistenti  edifici  romani.  La  prima,  che 
occupa  il  vano  tra  la  rampa  che  ascende  al  Palatino  e  il  templiim  divi 
Anglisti,  è  racchiusa  da  muri  potenti,  dell'  epoca  imperiale.  È  prece- 
duta da  una  vasta  sala,  il  nartece  della  chiesa,  che  ha  l' ingresso 
principale  sulla  Nova  via,  sulla  strada  romana  cioè  che  andava  a 
raggiungere  all'arco  di  Tito  la  via  Sacra  prima  che,  ancora  nei  bassi 
tempi  dell'  impero,  un  muro  trasversale  venisse  a  sbarrarla  subito 
dopo  r  ingresso  alla  rampa  del  Palatino.  Ha  questa  sala  nelle  pareti 
la  traccia  delle  antiche  nicchie  alternativamente  rettangolari  e  semi- 
circolari che  ne  costituivano  la  decorazione;  altre  nicchie  più  re- 
centi e  più  basse  si  aprono  nei  muri  sovrapponendosi  alle  antiche  o 
intersecandole.  Una  grande  volta  doveva  costituire  la  copertura,  ed 
un  pilastro  nel  mezzo  dell'  ambiente,  costituito  da  massi  frammen- 
tari di  pietra  (tra  cui  si  riconoscono  i  blocchi  di  peperino  tratti  dalle 
sostruzioni  del  prossimo  tempio  dei  Dioscuri),  mostra  un  tardo  ten- 
tativo di  sostenerla  ed  impedirne  la  completa  rovina  mediante  un 
appoggio  intermedio.  Dal  nartece  per  un  grande  arco  si  entra  nella 
chiesa:  è  questa  una  vera  basilica  ricavata  forse  utilizzando  la  strut- 
tura di  un  antico  atrio;  non  grandi  ne  sono  le  dimensioni:  all' in- 
circa 20  metri  la  larghezza,  e  circa  31  metri  la  lunghezza  dall'arco 
d'ingresso  al  fondo  dell'abside;  ma  ricchissima  la  decorazione  co- 
stituita da  dipinti  a  fresco  che  ne  coprivano  completamente  la  super- 
ficie delle  pareti  e  perfino  quella  delle  colonne.  Quattro  pilastri  d'an- 
golo e  quattro  colonne  di  stile  corinzio,  due  a  destra,  due  a  sinistra, 
limitavano  la  navata  centrale;  la  quale  doveva  evidentemente  ele- 
varsi più  in  alto  delle  volte  a  botte  che.  ricoprono  le  navate  laterali 
e  gli  anditi  trasversali,  sia  per  poter  essere  illuminata  dall'alto,  sia 


Santa  oMaria  oAiitiqua  555 


per  la  statica  delle  colonne  che  richiedeva  un  forte  carico  verticale 
che  venisse  a  comporsi  colla  spinta  orizzontale  delle  volte.  I  fusti 
delle  colonne  ed  i  capitelli  corintii  ancora  di  fattura  classica  sono  tutti 
rinvenuti  e  potranno  essere  di  nuovo  elevati  sulle  basi.  Subito  dopo 
r  arco  trionfale  si  trova  nel  fondo  V  abside,  la  cui  nicchia,  piccola  e 
poco  profonda,  appare  scavata  in  un  vecchio  muro;  ai  suoi  lati  sono 
due  cappelle  rettangolari,  il  diaconicon  e  il  protbesis,  che  si  aprono 
sull'asse  delle  navate  laterali;  i  soli  spazi  sui  quali  ancora  siano  ri- 
maste intatte  le  volte  di  copertura:  due  volte  a  botte  molto  alte  a 
struttura  concreta,  sul  cui  intradosso  le  impronte  delle  tavole  stanno 
ancora  ad  indicare  il  semplice  procedimento  costruttivo. 

Tutta  una  serie  di  muretti  alti  circa  80  centimetri,  ricoperti  an- 
ch'essi  di  pitture,  costituiscono  le  divisioni  tra  le  varie  parti  della 
basilica  ;  e  ad  alcuni  di  essi  è  addossato  uno  zoccolo  di  muro  più 
basso  che  doveva  servire  da  sedile.  Gli  spazi  laterali  (^A  e  B)  da 
essi  limitati  subito  a  destra  ed  a  sinistra  dell'  ingresso  racchiudevano 
forse  i  due  amboni  in  cornu  epistolae  e  in  cornu  evangeìii;  quasi  tutta 
la  navata  centrale  era  occupata  daWa  schola  cantorum  (C)  ;  il  muretto 
indicato  con  d  limitava  il  presbiterio  ed  erano  probabilmente  elevate 
su  di  esso  le  colonnine  che  costituivano  l' icojwstasis,  delle  quali  due 
sono  state  là  vicino  rinvenute.  Nel  presbiterio  erano  la  cattedra  ve- 
scovile e  il  ciborio,  di  cui  sono  state  ritrovate  le  colonnine  tortili  che 
lo  sostenevano,  ed  una  delle  fronti  il  cui  intaglio  in  marmo,  che  ri- 
corda molto  quelli  dell'altare  di  Valpolicella,  ci  riporta  al  vii  o  al- 
l' vili  secolo.  Appunto  nel  presbiterio  è  la  parte  più  conservata  del 
pavimento.  È  questo  a  mosaico  ed  appartiene  forse  al  secolo  xii  o  xiii 
al  qual  tempo  pare  si  possa  attribuire  la  frase  inscritta  in  esso  in- 
torno ad  un  tondo:  matia  comp(o)se. 

La  chiesa  che  abbiamo  indicato  col  n.  II  trovasi  dall'altra  parte 
della  via  Nova  dirimpetto  alla  rampa  del  Palatino  ed  occupa  una 
parte  del  portico  romano,  di  cui  ora  tornano  in  luce  gli  avanzi,  che 
fronteggiava  tal  via  nel  lato  sinistro.  Questa  chiesa,  che  estendevasi 
precisamente  al  disotto  delle  fondazioni  di  S.  Maria  Liberatrice,  ha 
il  suo  muro  laterale  di  est  adiacente  al  fonte  di  Giuturna.  La  sua 
orientazione  è  dal  nord  al  sud,  quasi  ortogonale  rispetto  a  quella 
della  basilica  I,  È  essa  un  semplice  grande  ambiente  rettangolare  nel 
cui  fondo  è  l'abside;  nel  lato  maggiore  volto  al  tempio  dei  Dio- 
scuri si  apre  la  porta  d' ingresso  e  forse  un  atrio  la  precedeva  ed 
aveva  accesso  dalla  via  fiancheggiante  detto  tempio.  Anche  qui 
tutte  le  pareti  portano  importantissimi  avanzi  delle  pitture  che  le 
adornavano,  di  affreschi  ricchi  di  figure,  di  zoccoli  a  finto  marmo 
o  a  drappeggi;  e  tracce  d'intonaco  e  di  pittura  si   trovano   anche 


^$6  V.  federici 


nella  parete  esterna  del  muro  anteriore  e  dei  pilastri  che  in  quel 
lato  sono  venuti  a  racchiudere  e  a  rafforzare  le  colonne  dell'antico 
portico.  Il  pavimento  del  santuario  era  a  mosaico.  Ai  due  lati  del- 
l'abside restano  ancora  le  testate  di  due  muretti  che  venivano  a  se- 
parare dal  resto  della  chiesa  il  presbiterio. 

Il  tipo  della  struttura  romana  appare  sempre  in  queste  costruzioni 
di  cui  ci  siamo  ora  occupati;  tanto  che  nella  costanza  dei  materiali  e 
del  procedimento  costruttivo  è  ben  difficile  in  essi  sceverare  da  muri  di 
epoca  classica,  muri  di  periodi  più  vicini  a  noi.  Addossate  tuttavia  ai 
due  monumenti  altre  traccie  di  costruzione  appaiono  che  indicano  chia- 
ramente un'epoca  ancora  più  tarda  e  più  rozza:  sono  muri  di  piccolo 
spessore  costituiti  da  mattoni  sovente  irregolari  e  da  una  malta  spessa 
e  friabile;  sono  tracce  di  volte  di  calcestruzzo  di  massa  informe  e 
quasi  sprovviste  di  legature  coi  muri  d' imposta.  Anteriormente  alla 
chiesa  II  si  ha,  ad  esempio,  un  tratto  di  muro,  che  indicheremo 
con  la  lettera  K,  di  questa  struttura  veramente  medievale,  che  è  con- 
formato a  nicchie  alternativamente  semicircolari  e  rettangolari,  e 
che  sembra  racchiudere  una  sala,  quasi  un  nartece  del  santuario. 
Più  in  là  intorno  al  pozzo  di  Giuturna  ed  alla  fontana,  fiancheg- 
giami la  via  parallela  al  tempio  dei  Dioscuri,  altre  traccie  di  queste 
costruzioni  appaiono  per  ogni  dove  sino  quasi  alla  Sacra  via,  indizio 
di  tutta  una  serie  di  edifici  che  andavano  a  ricongiungersi  alle  due 
chiese.  Nella  Nova  via  due  muretti  trasversali  che  portano  tracce  di 
pitture  nelle  pareti  mostrano  una  comunicazione,  ottenuta  sbarrando 
la  strada,  tra  la  basilica  I  e  il  santuario  II.  Infine  nell'  interno  del 
iimplum  divi  Augusti  appariscono  evidenti  le  tracce  di  due  costru- 
zioni addossate  alla  parete  di  fondo  e  costituite  da  un  piano  ter- 
reno e  da  due  piani  superiori:  si  scorgono  ancora  i  resti  delle  volte 
che  coprivano  gli  ambienti  e  dei  muri  che  li  dividevano;  nel  muro 
di  confine  colla  basilica  si  disegnano  colle  impronte  dei  travicelli  e 
delle  legature  le  linee  dei  muri  principali  e  delle  scale  e  dei  tetti  di 
questi  due  edifizi  i  quali  lasciavano  tra  di  loro  una  stretta  via,  o  più 
probabilmente  un  cortile  interno.  Le  pitture  sacre  che  anche  su 
questo  lato  della  parete  si  ritrovano,  le  comunicazioni  aperte  in  essa 
per  avere  accesso  diretto  alla  basilica,  mostrano  evidentemente  che  in 
tali  fabbricati  nel  Umplum  divi  Augusti  era  il  monastero  annesso  all'u- 
nica grande  chiesa  in  cui  si  erano  oramai  fusi  i  due  organismi  ori- 
ginariamente distinti  I  e  II. 


Santa  oMarìa  oAntiqua  537 


II. 
Le  Pitture. 

La  chiesa  I  della  nostra  pianta,  ha  tracce  molto  numerose  di 
pitture  e  avanzi  veramente  insigni.  Tutto  1'  edifizio  religioso  aveva 
affreschi  con  una  profusione  di  cui  si  conoscono  pochi  esempi;  per- 
fino le  quattro  colonne  della  navata  centrale,  perfino  gli  anditi  che 
dal  nartece  mettevano  al  templum  divi  Augusti  e  alla  grande  scala  pa- 
latina avevano  dipinte  immagini  di  santi  :  in  tutte  le  pareti  del  por- 
tico e  della  chiesa  erano  affreschi  ornamentali  o  figurativi  di  cui  la 
massima  parte  sono  periti.  Vedemmo  già  che  il  nartece  di  questa 
è  in  comunicazione  con  V  altra  chiesa.  Neil'  interno  dei  muri  che 
dividono  le  due  chiese,  due  piccole  edicole  con  pitture  molto  sva- 
nite: in  quella  di  sinistra  (i)  le  immagini  di  sant'Agnese  e  di  santa  Ce- 
cilia con  le  vesti  e  la  corona  ornate  di  perle,  con  la  leggenda  greca 
in  tinta  bianca. 

[HAriA]  AFNH  |  [HAriA]  (2)  KHKHAHA 

In  quella  di  destra  1'  affresco  rappresenta  tre  santi  ritti  in  piedi, 
quello  di  destra  ha  in  mano  una  croce,  un  libro  gli  altri  due:  non 
v'  hanno  però  tracce  di  leggende  :  solo  qualche  graffito  in  capitale 
greca:  IIETPOI.  Il  muro  di  sinistra,  nei  due  piloni  che  fanno  angolo 
mostra  qualche  lieve  traccia  di  affresco.  Poi  nel  muro  si  apre  il 
primo  andito,  ora  rinchiuso,  verso  la  grande  scala  palatina.  A  destra 
di  questo  andito  una  grande  edicola  presenta  tracce  di  pitture  irri- 
conoscibili :  a  sinistra  di  questa  edicola  è  visibile  il  panneggiamento 
di  una  figura  ;  a  destra  tracce  di  affreschi  con  frammento  di  leggenda 
in  tinta  nera  che  la  paleografia  designa  del  scc.  xi  o  xii: 

LE I  SAC I  NA 

Poi  nel  muro  si  apriva  un  adito,  ora  rinchiuso  per  rinforzare  le 
mura:  le  due  pareti  laterali  di  esso  hanno  ricchissime  tracce  di  af- 
freschi. Alla  destra  di  questo  adito  si  leggono,  in  un  tratto  di  into- 
naco, con  avanzi  di  affreschi,  poche  parole  di  una  iscrizione   sotto- 


(i)  Nel  designare  le   pitture  mi    riferisco  sempre    alla    ilesini  e 
alla  sinistra  dell'  osservatore. 

(2)  Cosi  si  deve  leggere  il  nesso  che  presenta  1'  epigrafe. 


538  V.  federici 


posta  ad  un  dipinto:  è  essa  in  capitale  di  imitazione,  come  la  prece- 
dente, del  sec.  xi  o  xii  : 

////TVO  NOMINE  XP(iste)  \  [...]C  HISTORIA  GAU- 
DENT/////  1  ////[PI]NGERE  FECIT  EGO  LEO////| 

/////AS  XPE  SACER  ET  MONAC//// 

A  destra  di  questa  iscrizione  un'altra  grande  edicola:  poi  fram- 
menti minuscoli  di  dipinti  ;*  un  terzo  adito  alla  scala  palatina  mostra 
più  tracce  di  affreschi;  a  destra  dell'adito,  in  basso,  entro  una  pic- 
cola edicola,  una  grande  testa  di  santo  dalla  barba  e  dai  capelli 
bianchi,  che  porta  in  mano  un  piccolo  bastone:  è  la  testa  di  sant'Ab- 
baciro:  la  leggenda  incompleta  è  scritta  con  tinta  bianca  su  fondo 
celeste  bleu  ai  lati  della  figura: 

^    ()  Ance  I  ABBAKYfOC 

In  alto  sopra  la  nicchia  di  Abbaciro  sono  rappresentati  due  santi 
ai  lati  del  Cristo,  con  croce  nimbata  che  sopra  il  capo  ha  un  fram- 
mento di  iscrizione  X[P];  alla  destra  del  Salvatore  una  figura  dal 
volto  giovanile,  alla  sinistra  un  santo  barbuto,  con  le  mani  aperte  in 
atto  di  pregare. 

Nella  fascia  inferiore  dell'affresco  la  iscrizione  frammentaria: 

[ ABBAKJVRVS  (r)  ET  lÓHS  |  [. . . .  PING]ERE 

ROGA[Vl]T 

Il  muro  di  divisione  del  nartece  con  la  chiesa  aveva  tre  archi  : 
sul  pilone  di  destra  dell'  ingresso  centrale  sopra  un  frammento  di 
intonaco,  dove  rimane  ancora  qualche  traccia  del  colore  degli  affre- 
schi, leggo  un  graffito  in  scrittura  onciale  greca: 

ereAHcooH  gn  [oejcozi  |  gn  . . .  (2) 

Sul  pilone  di  destra  del  terzo  ingresso,  a  fianco  di  un  loculo 
funerario  dove  sono  state  rinvenute  ossa  sepolte,  il  frammento  della 
iscrizione  funebre,  in  tinta  nera,  che  non  appare,  come  le  due  già 
notate,  anteriore  al  sec.  xi  o  xii: 

[HIC  P0SI]T(m5)   E{st)  I [THEODJORUS  | 

[QUI  VIXIT  ANN]OS  •  V-  |  [MENSES ]. 

DIE 

(i)  RV  formano  nesso. 

(2)  MorUius  est  in  Deo,  in . . . 


Santa  oAlaria  oAntiqua  539 


Nel  muro  di  destra  del  nartece,  traccia  dì  molti  affreschi,  dei 
quali  si  distingue  solo  un  panneggiamento  e  una  leggenda  fram- 
mentaria : 

Ac{)eC////A  MAflH  CONTHC  A 

Neir  adito  che  da  questo  muro  mette  nel  Umplum  divi  Augusti, 
tracce  di  pitture  in  tutte  tre  le  pareti  :  quelle  di  sinistra  completa- 
mente distrutte,  come  pochissimo  visibili  sono  anche  quelle  del  muro 
di  volta  dell'adito:  si  vedono  però  ancora  cinque  figure  con  nimbo, 
disegnate  in  piedi  a  destra.  Sul  capo  delle  prime  due  alla  nostra 
sinistra  è  traccia  di  qualche  leggenda  in  tinta  nera. 

SCS  BLAS[IVS]  !  SCS    BA[SILIUS] 

È  l'adito  scoperto  negli  sterri  fatti  in  questo  palazzo  nel  1884: 
allora,  oltre  queste  due  leggende  pure  ora  visibili,  si  lessero  ancora 
sopra  la  terza  figura:  [L]AVRE[NTIVS],  sopra  la  quarta:  CRI- 
STOFARVS,  che  oggi  non  si  vedono  più.  A  sinistra,  dove  ora  non 
restano  più  nemmeno  tracce  di  pitture,  si  lesse: 

SCS    BENEDICTVS 

Continuando  nella  parete  di  destra  del  nartece,  alla  destra  del 
suddetto  andito,  è  una  serie  di  pitture  ancora  abbastanza  conservate. 
Da  prima  si  vede  una  figura  di  frate  col  cappuccio;  indi  una  figura 
di  donna  col  nimbo  rotondo;  poi  un  riquadro  con  più  figure:  in 
mezzo  il  Redentore  in  trono  con  due  angeli  ai  lati  e  un  devoto 
che  si  prostra  ai  suoi  piedi,  forse  l' imagine  di  colui  di  cui  sotto  I'  af- 
fresco si  vede  il  loculo  scavato  nel  muro  con  sotto  una  iscrizione 
mortuaria  che  il  tempo  ci  ha  invidiata,  e  che  dalle  lievi  tracce  ri- 
maste si  può  dedurre  fosse  del  medesimo  tempo  di  quella  di  Leo 
del  muro  di  contro. 

Dopo  questa  rappresentazione  un  riquadro  danneggiatissimo 
dove  si  intravede  un  nimbo  rotondo.  Segue  una  figura  con  nimbo 
quadrato  di  cui  la  iscrizione,  in  tinta  bianca,  è  cosi  danneggiata 
che  la  lettura  ne  è  incertissima  : 

[SANCTJISSIMUS  |  A////PA  |  PA 

Sanctissimus  è  1'  unica  parola  la  cui  restituzione  sia  sicura.  La  se- 
conda linea,  se  la  confrontiamo  con  la  analoga  di  Paolo  I  neirabside, 
dovrebbe  contenere  il  nome  del  papa  e,  dopo,  la  parola  papa  (PP)  ; 
in  essa  invece  si  riesce  a  leggere  una  A  molto  in  alto,  poi  un  P  A 
molto  in  basso:  nella  terza  linea  molto  in  basso  un  P  A  sembra  a 
destra  del  nimbo.  Che  s'abbia  da  fare  con  un  Pasquale? 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  X.XIII.      5) 


540  V.  federici 


Dopo  la  figura  del  papa,  un  santo  con  nimbo  rotondO;  un  altro 
santo  recante  un  libro  in  mano,  senza  tracce  di  iscrizioni.  Una  Ma- 
donna seduta  in  trono  con  un  manto  ricco  di  perle  e  la  leggenda: 

[MJARIA  i  REGIN[A] 

alla  quale  pare  che  un  santo  presenti  il  papa.  A  destra  della  Madonna, 
un  altro  santo  col  nimbo  rotondo,  e  con  una  leggenda  molto  incerta: 

SCS  I  [AGV]STI[N]VS 

Segue  una  figura  con  nimbo  rotondo  e  con  libro  in  braccio,  ed 
un'  altra  figura  simile,  senza  tracce  di  iscrizioni. 

Dal  nartece  entriamo  nella  chiesa.  I  muri  del  vano  A,  B  non 
hanno  affreschi.  Ha  invece  pitture  il  muro  seguente  che  limita  la  can- 
toria. In  questo  muro,  che  non  ha  il  corrispondente  a  sinistra,  entro 
una  edicola  1'  affresco  della  Madonna  col  Bambino  ben  conservato 
e  con  la  leggenda: 

HAriA  MAFIA  (i) 

Intorno  a  questa  edicola  sono  dipinti  tre  santi  :  a  destra  una 
figura  di  donna  con  nimbo  rotondo,  sotto  e  a  sinistra  altre  due  figure 
mancanti  della  parte  superiore  del  corpo.  Poggiato  nella  costruzione 
al  grande  pilone  è  il  muricciuolo  che  chiudeva  la  schola  cantorum; 
esso  ha  affreschi  da  ambedue  le  parti:  verso  la  navata  di  destra  si 
vedono  due  strati  di  ornamentazione;  verso  la  navata  centrale  da  un 
lato  un  cavallo  mancante  del  capo  con  sopra  un  cavaliero  con  scudo 
e  lancia,  anch'  esso  mancante  di  testa  :  a  terra  un  uomo  stramazzato. 
Dall'  altro  lato  si  vedono  le  parti  inferiori  di  tre  figure. 

Traversiamo  lo  spazio  della  Schola  cantorum:  ci  troviamo  di- 
nanzi ai  resti  dell'arco  trionfale.  Nel  pilone  di  sinistra  da  un  lato 
del  muro  è  la  traccia  di  una  figura  molto  danneggiata  con  fram- 
mento d'iscrizione: 

MATTIO^ 

Neil'  altro  lato  la  figura  di  san  Demetrio  con  ampio  vestito,  con 
la  croce  in  mano  e  la  leggenda: 

^    AHOC  I  AHMHTflOC 

A  fianco  di  san  Demetrio  l' Annunziazione  di  Maria:  da  un  lato 
l'arcangelo  che  avanza  la  destra  in  atto  di  chi  parla,  mentre  con  la 

(i)  Così  si  devono  leggere  le  due  sigle  di  cui  è  composta  l'i- 
scrizione. 


Santa  oMarìa  oAntiqua  541 


sinistra  tiene  il  bastone  che  è  appoggiato  sulla  spalla,  dall'altro  Ma- 
ria, seduta  sopra  una  cattedra  col  cuscino  di  porpora.  La  leggenda 
greca,  di  tinta  nera,  dice: 

XAip[e  KeXAfITCO]  I  MGNH  [O  KYrJC)S  MGTA 

soY   ey]  I  AorH[MeNH  sy]  I  ^n   ryN- 

AIXIN     [KAI    ey]    I    AOrHMGNOp  O  KAf]  | 

noe  THc  )<oi[aia::  eon]  (i). 

Nella  parte  superiore,  in  uno  strato  più  antico  appare  sotto  il 
nimbo  cilestro  dell'  angelo  un  nimbo  giallo  ornato  di  nero  e  in  conti- 
nuazione del  suo  bastone  esce  un  bastone  più  grosso,  e  presso  la  mano 
dell'  angelo,  inferiormente,  una  mano  atteggiata  come  quella  della 
figura  più  recente,  e  a  destra  evidenti  tracce  dell'  Annunziata  sotto- 
posta. Un'  altra  Annunziazione  era  dunque  dipinta  sull'  intonaco  più 
antico  e  pare  con  disegno  analogo  a  quello  di  san  Demetrio  di  cui  il 
colore  giallo  e  1'  orlo  nero  del  nimbo  si  rassomigliano  ai  corrispon- 
denti del  nimbo  della  figura  più  antica  dell'  angelo. 

Nella  parte  opposta  di  questo  pilone,  nel  muro  cioè  che  guarda 
r  abside,  quattro  figure  dipinte  in  piedi  :  nel  mezzo  la  immagine  di 
Cristo  che  ha  ai  lati  san  Giovanni  Battista  e  Maria  vergine:  alla 
estrema  sinistra  un'  altra  figura  svanitissima. 

Nel  margine  superiore  dell'  affresco  era  una  scritta  in  tinta 
bianca  ora  quasi  completamente  illeggibile  : 

///////////A///////eoc///////ece 

Ai  due  lati  di  san  Giovanni 

[O]  AnOC  I  [ICOJANNIC 

Nel  pilone  di  destra,  nella  parete  che  guarda  l'abside  è  pog- 
giato il  muricciuolo  che  chiudeva  il  presbiterium.  In  esso  si  vedono 
ancora  due  storie  molto  rozze  nel  disegno  ;  in  una  è  rappresentato 
David  in  tunica  corta  e  col  bastone  in  mano,  che  calpesta  Golia, 
caduto  sopra  il  prato  verde  sparso  di  fiori.  La  leggenda  in  tinta 
bianca  è: 

COLI  1  ATH  (2) 

Ci)  Cf.  TiscHENDORF,  Evangelia  apocrypìia^  Proloevangeìium  la- 
cobi,  cap.  XI  (nel  testo  sino  alla  parola  yova'.giv,  nella  nota  pel  resto), 
Lipsia,  Mendelssohn,  1876,  pp.  21  e  22. 

(2)  TU  sono  in  nesso. 


542  V'  Jederìci 


Neir  altra  è  la  scena  del  profeta  Isaia  che  predice  la  morte  al  re 
Ezechia.  Il  profeta  è  vestito  di  bianco  con  le  dita  alzate  in  atto  mi- 
naccioso; le  due  leggende  dicono: 

[ISA]IAS  I  PROPHETA 
^  DISPONE  DOMVI  TVE  [  QVIA  MORIERIS 

^  HEZECHIAS  REX-Y 

Fra  il  re  e  il  profeta  è  una  figura  di  fanciullo  avvolto  in  fas:e 
e  nimbato  ;  allusione  forse  al  Cristo  della  profezia  di  Isaia. 

Nella  parete  opposta  di  questo  medesimo  pilone  una  rappresen- 
tazione composta  di  sette  figure:  nel  mezzo  una  figura  di  santa, 
raccolta  nel  mantello  con  le  mani  aperte  e  stese  in  avanti  1'  una 
sopra  r  altra  :  a  destra  la  leggenda  : 

AFIA  COAOMCUNH 

a  sinistra:  GAGAZAp 

Intorno  a  queste  figure  altre  rappresentazioni  di  giovani  e  di  fan- 
ciulli vohi  verso  la  Vergine.  Più  in  alto  l' intonaco  è  in  parte  ca- 
duto, ne  rimane  ancora  un  tratto  alla  destra,  dove  si  vede  una 
grande  figura  femminile  senza  leggenda.  A  fianco  di  questa  un'  altra 
figura  muliebre  nimbata  e  nell'altro  lato  del  pilone  tracce  di  un'altra 
figura.  Nella  parte  opposta  di  questo  pilone  tre  figure  con  i  nimbi 
rotondi;  quella  di  sinistra  ha  un  libro  in  mano. 

Passata  1'  iconostasis,  due  ingressi  mettevano  in  comunicazione 
r  abside  con  il  diaconicon  e  il  prothesis. 

Sulla  parete  di  destra  del  preshiteniim,  a  fianco  dell'  apertura 
r  immagine  di  una  santa,  forse  sant'Anna  con  una  bambina  in  braccio, 
ben  conservata,  della  quale  l' intonaco  caduto  ci  ha  invidiato  il  nome, 
lasciando  solo: 

^    HAPIA 

In  tutta  questa  parete  di  destra  l' intonaco  della  fascia  inferiore 
è  quasi  completamente  perduto.  Rimane  solo  qua  e  là  qualche  trac- 
cia degli  originali  ornamenti,  che  erano  uccelli,  fiori,  fogUami  Sic. 
Sopra  la  zona  inferiore  era  disegnata  la  fascia  dei  tondi:  se  ne  ve- 
dono solo  cinque  degli  originali  nove. 

Il  primo,  il  secondo  ed  il  terzo  a  destra  sono  stati  danneggiati 
dall'apertura  che  dà  accesso  alla  navata  di  destra.  Del  quarto  è  ri- 
masta la  parte  superiore  del  nimbo,  ma  il  danno  dell'  umidità  non 
ci  permette  di  riconoscerlo,  e  la  stessa  cosa  accade  per  il  quinto. 
Conservato,  ma  irriconoscibile  il  sesto  ;  del  settimo  è  rimasta  poca 


Santa  oMaria  oAntiqua  543 


parte,  nulla  dell'ottavo,  la  parte  superiore  del  nono.  Nessuna  traccia 
di  iscrizione  in  essi. 

Immediatamente  superiore  a  questa  era  un'  altra  fascia  di  af- 
freschi divisa  pure  in  cinque  storie  con  la  rappresentazione  degli  Atti 
degli  Apostoli,  completamente  danneggiate  dall'  umidità  :  solo  sulla 
seconda  storia  (cominciando  da  sinistra)  si  legge  un  frammento  di 
iscrizione: 

[^  AP]OSTOLI 

e  sulla  terza  la  parola  ben  chiara  : 

^   APOSTOLI 

e  sulla  quarta  ancora  : 

>^    APOSTOLI 

Alla  metà  circa  di  questa  fascia  l' intonaco  è  spezzato  e  si  vede 
uno  strato  di  intonaco  inferiore  che  continua  anche  nella  quarta 
fascia  dello  strato  più  recente  nella  quale  forse  era  un'  altra  storia. 
Perchè  si  riesce  a  vedere,  cominciando  da  sinistra,  due  o  tre  affre- 
schi rappresentanti  santi  nimbati.  Sul  primo  a  sinistra  riesco  a  leg- 
gere in  tinta  bianca: 

[^  SXA]  ANN[A] 

A  fianco  del  secondo  affresco: 

[SCS]  I  lOSEF 

Della  terza  figura  nimbata  non  vedo  leggende. 

Lo  strato  più  arcaico  ha  evidenti  tracce  di  affreschi;  ma  ora 
non  si  distingue  che  un  nimbo  rotondo.  Dove  comincia  la  quinta 
fascia  r  intonaco  è  completamente  caduto  portando  seco  nella  sua 
rovina  affreschi  e  leggende. 

Osserviamo  ora  il  muro  di  fondo  alla  destra  dell'abside:  in 
basso  continua  la  fascia  inferiore  di  ornamentazione.  Seconda  zona: 
due  figure  ritte  in  piedi,  ciascuna  delle  quali  reca  in  mano  un  rotolo 
aperto  con  iscrizione  greca  in  tinta  nera. 

Sono  le  due  figure  analoghe  a  quelle  del  muro  di  sinistra  che 
vedremo,  e  rappresentano  forse  i  quattro  evangelisti  con  ciascuno 
il  principio  del  loro  evangelio.  La  figura  di  sinistra  ha  la  leggenda 
frammentaria,  a  sinistra 

y^A  o  Anoc: 


544  ^'^'  J^  devi  ci 


La  figura  di  destra  ha  pure  frammentaria  la  leggenda,  ma  con- 
serva la  parola  di  destra,  cioè: 

^  [O  AI^IOC]  I  ICOANNeC 

Nella  zona  immediatamente  supcriore:  altre  due  figure  in  piedi. 
Esse  sono  in  parte  danneggiate  dalla  caduta  dell'  intonaco  sotto  il 
quale  appare  uno  strato  più  arcaico  di  affreschi:  le  figure  più  antiche 
si  confondono  con  quelle  più  recenti,  delle  quali  quella  di  sinistra 
appare  alla  destra  della  immagine  più  antica  e  la  sua  leggenda,  scritta 
perpendicolarmente  in  tinta  nera,  dice: 

^  o  Arioc  rferopi[oc]  |  o  GeoAAroc 

La  figura  di  destra  è  molto  danneggiata  e  della  sua  leggenda, 
pure  in  tinta  nera,  si  vede  solo  : 

^   O  AFIOC  I  [B]ACIA[IOC] 

Neir  intonaco  più  antico  è  rappresentata  una  Madonna  in  trono 
con  il  Bambino:  è  un  bello  esempio  di  pittura  bizantina.  La  figura 
è  coperta  da  un  ampio  manto  ornato  di  gemme.  La  testa  della  Ma- 
donna si  vede  alla  sinistra  di  san  Gregorio  dell'  intonaco  più  recente: 
sopra  la  Madonna  e  alla  sua  destra,  in  uno  strato  certo  diverso  dai 
due  già  qui  nominati,  si  vedono  due  figure  di  disegno  più  fine  ed 
accurato:  della  prima  è  rimasto  solo  il  volto:  della  seconda  il  volto 
e  quasi  tutto  il  fianco  sinistro. 

Più  in  su  un'  altra  zona  di  affresco,  con  la  rappresentazione  di 
due  papi.  Nello  sfondo  si  vede  un  colonnato  con  drappeggiamenti. 
Dinanzi  a  questo,  a  destra,  la  figura  di  un  papa  con  un  libro  in  mano, 
con  la  stola  e  la  leggenda  frammentaria  verticale: 

se  [AN...]  (?)  1  PP   ROMANVS 

A  sinistra  l' altro  papa,  di  cui  sì  vede  parte  del  nimbo,  la  stola  e 
parte  della  iscrizione,  quella  cioè  che,  come  di  solito,  meno  ci  interessa  : 

[SC///////]  I  [PP  ROJMANUS 

Nella  zona  superiore  gran  coro  di  seniores  curvi  dalla  destra 
verso  la  sinistra  con  ampie  tuniche  :  se  ne  vedono  parecchie  decine. 
Sopra  di  essi  correva  per  tutta  la  larghezza  del  muro  una  grande 
iscrizione  in  tinta  bianca,  in  lettere  onciali  greche,  che  riporta  passi 
del  vecchio  Testamento.  Della   iscrizione  ci  è  rimasta  solo  la  metà 


Santa  oMaria  oAntiqua  545 


destra  e  le  prime  lettere  nell'  estremità  sinistra  ad  angolo  con  la 
volta  deir  abside  (i). 

Sopra  l'iscrizione  greca  un  coro  di  angeli  con  ali  e  nimbi;  più 
in  alto  due  cherubini  alla  destra  del  crocifisso,  di  cui  si  vede  solo 
il  braccio  superiore  e  quello  di  destra.  Poco  più  sotto  il  nimbo  di  una 
santa:  quello  di  Maria.  Il  resto  è  distrutto.  Il  Valesio  nel  1702  aveva 
vista  però  completa  questa  rappresentazione:  intera  la  croce,  con 
quattro  cherubini,  due  per  parte,  e  ai  lati  della  croce  san  Giovanni 
e  Maria.  Ora  alla  sinistra  del  crocifisso  l'intonaco  è  completamente 
caduto:  ricomparisce  in  parte  nella  zona  dei  papi,  dove  se  ne  vedono 
sbiaditissimi  due,  vestiti  come  i  corrispondenti  di  destra,  senza  nes- 
suna traccia  di  leggende.  Tuttavia  è  molto  chiaro  il  nimbo  quadrato 
del  papa  di  sinistra,  a  differenza  dell'  altro  che  1'  ha  rotondo,  come 
rotondo  l'  hanno  i  due  papi  dell'altra  parte.  Meno  intonaco  è  rimasto 
nella  zona  inferiore:  a  sinistra  si  vede  traccia  di  un  nimbo  rotondo 
e  vicino  a  questo  nimbo  la  scritta  in  tinta  bianca  : 

^  SCS  AVGVS[TI]N[V]S    |   [^  SCjS  .... 

Nella  fascia  che  divide  questo  scompartimento  dall'  inferiore  è 
il  frammento  di  questa  iscrizione  che  occupa  tutta  la  larghezza  del 
muro  di  sinistra  ed  è  nello  strato  più  recente: 

^  SC[A]E  DI  [genitrici  semperque  virgini  MarijAE 

perchè  qui  ricompaiono  i  vari  strati:  nella  divisione  fra  questi  due 
scompartimenti  è  visibile  una  testa,  che  appartiene  alle  decorazioni 
più  arcaiche,  del  tempo  stesso,  cioè,  delle  due  figure  che  hanno  in 
mano  i  due  rotoli  con  scritture  greche.  Dal  cartello  della  figura  dì 
destra  leggiamo  qualche  frammento: 

OC  I  . . .  NONoyx  I 

j  ifcroc  I  ToycoY  i<e  k  ope 

l<[A]  I  .  .  .  AM I  NGMO CO  I 

yoN    oc  MIAO  ....  I  rHcoyjo j 

YAHceie  ^ 


(i)  L'iscrizione,  che  noi  «da  così  basso  loco»  non  possiamo 
leggere,  sarà  pubblicata  dal  comm.  G.  Boni  nelle  Notiiie  degli 
scavi. 


54^  ^-  Jederìci 


Dal  cartello  della  figura  di  sinistra  leggiamo: 

y  I  NO       or 

GBHIAI  lON  I  HKeN'JO e 

or  ... .  MT. ...  A  I  NO  xo  pe 

HM'JOYA  ...         O  /  OYAGCOM  ...  G 

TGAONIOC I  NTOyCO  MA  .  .  . 

OMGN  I  TY  coAy. . .  I  vcy I  J". .  .  ^N 


Queste  quattro  figure,  due  a  destra  e  due  a  sinistra,  paiono  i 
quattro  evangelisti.  Partendo  da  quello  di  destra  del  muro  di  destra 
che  ha  la  scritta  e  si  identifica  con  Giovanni,  potremmo  forse  iden- 
tificare il  sinistro  del  muro  di  destra  con  Luca,  la  figura  di  destra  nel 
muro  di  sinistra  con  Marco,  e  quella  di  sinistra  con  Matteo. 

Nella  zona  inferiore  le  tracce  rimaste  dei  due  strati  mostrano 
in  ambedue  la  medesima  decorazione  comune  allo  zoccolo  inferiore 
di  tutta  l'abside  e  della  chiesa  intera.  Nel  muro  di  sinistra  del  presbi- 
Urhnii  appaiono  come  in  quello  di  destra  le  tracce  delle  varie  zone 
di  affreschi;  ma  anche  qui  l' intonaco  è  quasi  completamente  caduto. 
In  basso  la  fascia  ornamentale  con  tracce  di  uccelli  di  varia  natura  : 
a  mezzo  di  questa  fascia  si  vede  un  frammento  di  figura  con  un'  i- 
scrizione  monca  : 

AriA 

Nella  zona  superiore  i  tondi  corrispondenti  a  quelli  del  muro 
di  destra  sono  meglio  conservati:  del  primo  è  visibile  la  parte  su- 
periore: si  vede  la  testa  del   santo  e  la  leggenda  non  completa: 

^  PAV  I  LVS 

Del  secondo  tondo  conservata  bene  la  testa  che  sembra  un 
Giove  con  folta  chioma  e  barba  bianca,  e  quasi  tutta  la  leggenda: 

^  ANDR[E]  I  AS 

Del  terzo  in  parte  la  testa  e  la  leggenda: 

>^I^  lOHA  I  [N]NES 

11   quarto  distrutto  completamente;  del  quinto  s'è  conservata  parte 
del  capo  e  della  leggenda  : 

>^  BA[R]  !  TH[0]LO[MEVS] 

Nella  zona  immediatamente  più  alta  era  rappresentata  la  storia 
delia  Passione.    Non  ne  rimane  che  il  primo  riquadro  in  cui  cam- 


Santa  Ilaria  oAntìqua  Sii 


peggia  la  dolce  figura  del  Redentore  benedicente,  avvolto  tutto  in 
bruno  manto  che  gli  copre  anche  parte  della  testa,  adorna  del  nimbo 
crociato.  Lo  precede  una  figura  maschile  che  sulle  spalle  porta  la 
croce  e  di  cui  ci  dà  il  nome  la  leggenda: 

SIMON  CYRENE(;/)SIS  W 

figura  volgare  e  poco  espressiva,  tutto  al  contrario  degli  spettatori 
che  stanno  nel  fondo,  avanti  a  Simone  e  tra  questi  e  Gesù  ;  uno 
specialmente,  vestito  di  celeste,  col  capo  coperto  di  berretto,  che 
guarda  con  gran  compassione  il  Cristo,  stendendo  versò  di  lui  le 
braccia  con  movimento  pietoso  e  verissimo.  Seguono  Cristo  due  di- 
scepoli dalle  faccie  barbute  piene  di  dolore,  e  un  terzo  che  correndo 
pare  venire  al  Maestro  in  atto  d' interrogare. 

Ancora  più  in  alto,  un  altro  ordine  di  affreschi  dei  quali  è 
conservata  una  sola  storia  che  sarebbe  facile  comprendere  anche 
senza  la  leggenda,  [M]AGI,  che  le  sovrasta.  Di  questi  uno  è  chi- 
nato verso  Maria,  il  secondo  è  volto  indietro  come  a  chiamare  il 
terzo,  che  sopraggiunge  correndo.  Maria  sta  seduta  a  destra  con  in 
seno  il  bambino  Gesù:  dietro  la  sedia  di  Maria,  ritto  in  piedi  Giu- 
seppe, giovanissimo,  appoggiato  il  gomito  sullo  schienale  e  la  testa 
nella  palma  della  mano  destra;  la  leggenda  in  tinta  bianca  dice: 

lOSEF 

Fra  Maria  e  i  Magi  in  alto  si  libra  un  angelo  alato  e  nimbato; 
nimbati  del  resto  sono  tutti  gli  altri  personaggi  meno  che  i  Magi. 
La  scena  è  dipinta  con  espressione  e  movimento. 

Nella  parte  più  interna  dell'abside  spicca  grandiosa  la  figura  di 
Cristo  seduto  in  trono.  A  destra  e  a  sinistra,  all'altezza  delle  sue 
spalle,  v'  hanno  due  cori  di  quattro  cherubini,  dei  quali  quelli  di 
destra  si  vedono  benissimo,  quelli  di  sinistra  sono  quasi  completa- 
mente svaniti:  si  riesce  a  fatica  a  distinguere  qualche  incerta  traccia 
di  ali. 

Più  in  basso,  ai  fianchi  del  Cristo,  originariamente  dovevano 
essere  rappresentate  due  figure  a  destra  e  due  a  sinistra:  forse  i  santi 
il  cui  ricordo  si  voleva  consacrare  con  questa  chiesa  e  il  pontefice 
che  la  dedicò.  Di  queste  figure,  per  le  quali  e'  è  sufficiente  posto  ai 
lati  del  Redentore,  ora  non  si  vedono  più  quelle  di  destra. 

A  sinistra,  immediatamente  più  vicino  al  Salvatore,  è  rimasta 
traccia  di  un  santo:  si  vede  la  parte  destra  superiore  del  nimbo  e, 
più  a  sinistra,  del  volto  un  occhio  e  il  naso.  Di  iscrizione  nessuna 
traccia.  Ancora  a  sinistra  è  la  figura  molto  danneggiata  ma  ancora 


548  F.  Jederici 


visibile  del  papa  Paolo  I  col  nimbo  quadrato  e  con  la  leggenda  in 
tinta  bianca: 

SANCTISSIMVS  |  PAVLVS  PP  |  ROMA[NVS]  ^ 

Inferiormente  all'affresco,  per  tutta  la  curva  dell'  abside,  corre 
una  iscrizione  greca  in  grandissima  parte  danneggiata.  Più  che  la 
metà  di  sinistra  cadde  con  la  caduta  dell'  intonaco  ;  del  resto  si  ca- 
piscono poche  lettere,  perchè  uno  strato  superiore  tinse  1'  affresco 
e  la  iscrizione  confondendone  i  caratteri: 


//////////////////////  NKv. .  eoeeoce . . 

INe  HNGTflNHI .  .  [ING  T61N  . .]  .  .  OC 


Questa  iscrizione  greca  è  di  uno  strato  anteriore  a  quello  di 
Paolo  che  mostra  le  leggende  in  latino:  è  dello  strato  delle  leggende 
greche.  Ciò  apparisce  anche  dall'affresco  del  Cristo  che  poggia  i 
piedi  sopra  un  predellino  soverchiante  la  Tascia  con  l' iscrizione 
greca,  la  quale  limitava  1'  affresco  anteriore.  Il  Cristo  è  del  tempo 
dell'  affresco  di  Paolo.  La  fascia  ornamentale  inferiore  mostra  tracce 
di  più  strati  di  pitture  d'  ornamentazione. 

Passiamo  ora  nella  navata  di  destra. 

Poggiato  al  muro  di  divisione  tra  il  nartece  e  la  chiesa,  ad 
angolo,  s'  è  rinvenuto  un  sarcofago  striato,  con  la  seguente  iscri- 
zione : 

D-M-S.  I  CLODIAE  •  SE  |  CVNDAE  CONIV  |  Gì 
DVLCISSIMAE  ET  BENE  |  MERENTl  QVAE 
VIXIT  AN  1  XXV-  MEN  •  X  •  DIE  •  XIIII  •  IN  CO- 
NIVGIO  MECVM  FVIT  SI  |  NE  QVERELLA 
AN- VII .  MEN  .  mi  I  DIEB  •  XVIII  •  L  •  CAELIVS  • 
FLO  I  RENTINVS  •  7  COH  •  X  .  |  POSVIT  • 

Scritto  poi  con  carattere  più  minuto  intorno  alla  cornice  nei 
margini  della  targa: 

NAT-MAMERTINO-ET  |  RVFO-COS  •  PRID  •  NON  • 
AVG  .  D  I  [X]XV  KAL  [IJVL-APRO  •  ET  MAXIMO 
COS  . 

Sulla  parete  di  destra  l' intonaco  è  completamente  caduto  :  solo 
qua  e  là  v'  hanno  sei  piccoli  frammenti  di  dipinto,  fra  i  quali  due 
elegantissime  testine  di  bambini.  In  una  edicola,  ben  conservata  la 
rappresentazione  di  sant'Anna,  santa  Maria  e  santa  Elisabetta. 


Santa  ^aria  cAn tigna  549 


Maria  in  mezzo  e  ai  lati  sant'Anna  e  santa  Elisabetta,  con  le 
leggende  : 

SCA  I  ANNA  I  SCÀ  |  MARIA  |  SCA  |  ELISABET 

Sopra  quest'edicola  qualche  traccia  di  affresco  indistinguibile  e 
le  lettere  : 

AI  Ari///  I  lAOI  I  ANN///  I  MAr 

Nello  stesso  muro,  quasi  all'altezza  del  pilone  dell'arco  trion- 
fale, tre  eleganti  testine  con  tracce  incerte  di  lettere. 

In  fondo  alla  navata,  nella  parte  corrispondente  all'abside  della 
navata  centrale,  le  quattro  mura  erano  completamente  ornate  di  af- 
freschi. Ne  sono  rimaste  poche  tracce.  La  parete  di  fronte  all'in- 
gresso ha  nel  suo  mezzo  una  specie  di  edicola  con  i  margini  ornati 
di  palme  e  sul  fondo  cinque  figure  di  santi  di  cui  è  rimasto  ben  poco. 

La  prima  a  sinistra  appare,  come  tutti  gli  altri,  col  nimbo  ro- 
tondo: ha  sul  capo  la  leggenda  in  tinta  bianca: 

^   O  AnOC  I  KOCMAC 

Del  secondo  si  vede  solo  la  leggenda: 

^   O  noe  (sic)  i  Af^l^AKYfOC 

Del  terzo  poco  più  del  nimbo  e  della  leggenda: 

^  o  Ance  I  c're<:j)ANOC 

Il  quarto  è  completamente  guasto: 

^  o  Ar[io]c  I  nfOKon[io]c 

Danneggiatissimo  il  quinto: 

^   O  AnOC  I  AAMHAN 

Nel  muro  di  sinistra  si  vedono  delle  pitture  i  disegni  in  tinta 
nera  senza  colore  ;  in  un  luogo,  in  mezzo  ad  un  panneggiamento  è 
segnato  il  monogramma  di  Cristo  con  T  A  e  la  2 . 

Nella  parete  di  destra  più  della  metà  dell*  intonaco  è  caduto,  e 
precisamente  la  metà  di  sinistra;  alla  destra  sono  ancora  rimaste,  non 
sempre  ben  conservate,  alcune  pitture. 

La  prima  ha  ancora  soltanto  le  gambe  e  il  panneggiamento  infe- 
riore: nessuna  traccia  di  iscrizioni.  Segue  una  figura  impaludata  al- 
l'orientale con  la  leggenda  : 

>ì<   O  AIIOC  I  l>A|'XA[////] 


550  V.  Jederici 


Viene  poi  una  figura  di  frate  coi  cappuccio  in  testa: 

^  o  Ance  I  Aa3MeT////c 

Poi  un'altra  figura  di  santo  con  la  leggenda: 

^  O  AHOC  I  nANTGAeHMON 

L' ultima  di  questo  muro  è  mutila  anche  nella  leggenda  : 

a,  o  Anoc  1  //////e//////// 

Anche  la  quarta  parete  è  danneggiatissima  per  la  caduta  dell'in- 
tonaco: dove  questo  è  rimasto  si  vedono  ancora  le  tracce  del  nimbo 
rotondo  delle  figure  che  in  questo  luogo  dovevano  essere  almeno  nove. 

Cominciando  dalla  destra,  della  prima  sì  vede  solo  la  testa  senza 
traccia  di  iscrizione;  della  seconda  solo  in  parte  il  nimbo;  della 
terza,  quarta  e  quinta  appaiono  lievi  segni  del  contorno;  la  sesta 
e  la  settima  mostrano  ancora  i  loro  nimbi  e  la  settima  parte  della 
sua  iscrizione: 

^    O  AFIOC 

La  ottava  si  vede  quasi  completamente,  ma  non  è  sicura  la  lettura 
del  nome  nella  sua  leggenda: 

^  o  Anoc  I  KGAeOC 

La  nona  si  vede  completamente  con  la  sua  iscrizione: 
^  O  Anoc  I  ICOANNGC 

Nella  navata  di  sinistra  si  aprono  due  aditi  verso  la  grande  scala 
palatina;  il  primo,  vicino  all'abside,  ha  qualche  gradino,  l'altro  vi- 
cino al  muro  del  nartece  ha  tracce  di  pitture  in  ambedue  i  muri  la- 
terali. Anche  il  muro  che  divide  la  navata  del  nartece  e  quello  della 
navata  stessa  a  sinistra  dell'adito  hanno  tracce  di  pitture  dove  però 
non  si  riesce  a  vedere  nessuna  iscrizione.  Il  grande  muro  fra  i  due 
aditi  invece  è  quello  dove  più  numerosi  e  meglio  conservati  ci  ri- 
mangono gh  aflfreschi.  Anche  qui  la  parte  inferiore  del  muro  ha  una 
zona  ornamentale;  segue  poi  la  zona  con  la  grande  fila  dei  santi  ai 
lati  del  Salvatore.  Questo  aflTresco  è  d'un  effetto  straordinario:  tutte 
quelle  figure  fissano  l'osservatore  con  una  dignità  religiosa  che  in- 
cute rispetto.  Nel  mezzo  è  il  Salvatore  seduto  in  trono,  nimbato,  con 
la  croce,  recante  nella  sinistra  un  libro  e  con  la  destra  benedicente 
alla  latina.  Ha  alla  sinistra  undici  santi  latini,  nove  greci  alla  destra. 

Queste  rappresentazioni  sono  vestite  tutte  con  lungo  abito  ta- 
lare, con  la  fascia  recante  la  croce  episcopale  e  con  un  volume 
in  mano. 


Santa  oMarta  oAiitiqua  551 

I  nomi  dei  santi  sono  scritti  con  tinta  bianca  e  lettere  onciali 
greche  perpendicolarmente  ai  due  lati*  di  ognuno.  Alla  destra  in  or- 
dine di  grado  e  di  dignità: 

0  AnOC  [lOjANNIC  XflCOCTOMOC 

[o]  Ar[io]c  [qpirofloc 

[O]  Ance    BACIAIOC 

o  Anoc  nerfoc  o  A[A]e2.ANApiN(:)C 

O  Anoc  KYflAAOC 

o  Anoc  eneicj)ANioc 

O  Anoc  [ATJANACIOC 
O  Anoc  NIKOAAOC 
O  Anoc  CfACMOC 

Gli  undici  santi  alla  sinistra  sono: 

O  Anoc  KACIMCNTIOC 

o  Anoc  ceAP»ecT|Moc 

O  Anoc  ACCO 

o  Anoc  AA[eXAN]ApOC 

[O  Anoc]  BAACN TINOC 

o  Anoc  [ARoyN]  \o[c] 
o  Anoc    cyoYMioc 

o  Anoc  [c(c?) ] 

o  Anoc  [r]eo|M~i[oc] 
o  Anoc  )7ir[o|>]i()c 
o  Anoc  [         oc:]  (i) 

Nell'ultimo  riquadro  della  stessa  zona,  verso  l'abside  era  un 
grande  affresco  di  cui  rimangono  solo  pochi  centimetri  d' intonaco  a 
sinistra:  vi  si  vedono  due  figure  coperte  solo  con  una  tunica  breve 
nelle  parti  pudende,  con  i  piedi  nell'acqua  e  con  una  mano  sul  seno 
come  per  nascondere  vergognosamente  la  loro  nudità.  Lungo  tutto 
l'affresco,  nel  lembo  posteriore  era  una  iscrizione  greca,  in  tinta 
bianca  e  in  lettere  onciali,  di  cui  rimangono  poche  tracce: 

lll'v    iirpA>lniTii  (2)  c:cii<oNoc 
AirciJi  ii>|*co////  (3) 

(i)  È  nome  breve,  non  mancano  più  di  tre  lettere. 

(2)  H  e  r  sono  unite  in  nesso. 

(3)  NB  in  nesso. 


552  r.  Jedevìci 


La  terza  zona  di  affreschi  di  questo  muro  rappresenta  i  fatti  della 
vita  di  Giuseppe  ebreo.  La  prima  storia  a  destra  rappresenta  il  ban- 
chetto di  Faraone  dove  si  vedono  seduti  a  mensa  tre  personaggi, 
di  cui  quello  a  sinistra  ha  perduto  con  l'intonaco  il  capo;  a  destra 
un  coppiere  porge  una  tazza;  all'estrema  destra  del  quadro  si  vede 
un  piede,  una  mano  ed  una  testa  di  uno  che  pare  appiccato  contro 
la  fascia  che  chiude  il  riparto:  forse  questa  figura  appartiene  allo 
strato  più  arcaico,  del  quale  però  non  apparisce  traccia.  In  alto  della 
tavola  riscrizione  con  tinta  bianca: 

VBI    R    [E]        BERS?    (lOSEF  ?)    SIT  ? 
IN  OFFICIO 

E  a  fianco  del  personaggio  seduto  alla  sinistra: 

REX.FA[RA]0[N] 

La  seconda  rappresenta  due  scene:  a  sinistra  Giuseppe  fra  due 
personaggi.  È  visibile  solo  la  leggenda. 

lOSEPH 

Di  quella  che  sì  riferisce  agli  altri  due  in  alto  non  se  ne  vedono 
più  che  tracce  irriconoscibili;  a  destra  Giuseppe  con  la  moglie  di 
Putiphar  dinanzi  ad  una  casa  dove  si  vede  un  letto: 

EN  DI  lOSEPH  CONCVPIB[IT]  EVM 

La  terza  rappresenta  la  carcerazione  di  Giuseppe.  Giuseppe  a 
sinistra  con  la  leggenda: 

IO[SEPH] 

A  sinistra  un  altro  personaggio  che  guida  Giuseppe  verso  una 
casa  nella  quale  si  vedono  ad  una  finestra  due  testine:  la  leggenda: 

VBI  IO[S]E[PH]  I  DVCITVR  IN  CAR  |  CERE 

La  quarta  scena:  Giuseppe  messo  nel  pozzo.  All'estrema  destra 
un  camello  carico,  vicino  al  quale  un  personaggio  volge  le  braccia 
verso  il  gruppo  maggiore  che  è  a  sinistra:  sono  tre  personaggi  da 
un  lato  e  tre  dall'altro:  in  mezzo  Giuseppe  tratto  da  costoro  in  un 
pozzo:  a  sinistra  di  Giuseppe  la  leggenda: 

lOSEP 


Santa  oMavìa  ^Antiqua  555 

In  alto  un'altra  leggenda  in  tinta  bianca: 

[EN  ANSATVS  EST  NEGV  CO?]  |  [lOSEJPH  IN- 
DVCTVS  I  EST  IN  PVT[E]0  A  |  FRATRIBVS 
SVIS 

Il  quinto  riparto.  Danneggiatissimo  l'affresco:  si  vede  ancora  a 
destra  un  giovine  in  piedi  dinanzi  ad  un  personaggio  seduto:  man- 
cano le  teste  ai  due. 

Sesto  riparto.  A  sinistra  una  figura  sbarbata  che  par  dorma;  a 
destra  una  figura  curva  sovra  essa,  con  la  mano  mossa  in  avanti. 
Da  una  traccia  di  ala  par  che  questa  figura  sia  un  angelo.  L' iscri- 
zione rimasta  in  tinta  bianca  è  molto  frammentaria: 

[IA]COB(/^^)  I A I  [E]VANGEL[I]A  |  BE- 

N[E]DI[C]T  . . .  .  O  I  R[P  ?] O 

Settimo  riparto.  Danneggiatissimo:  sì  vede  solo  una  figura  dor- 
miente: della  leggenda  rimane  solo: 

////AGO 

L'ultima  zona  ornamentale  rimasta  in  parte  non  ha  affreschi 
cos'i  completi  da  permetterci  di  dire  che  cosa  rappresentassero  ori- 
ginariamente. Essi  sono  in  gran  parte  danneggiati  dalla  caduta  del- 
l'intonaco.  Si  comincia  a  vedere  qualche  cosa  all'altezza  del  quarto 
riparto  della  storia  di  Giuseppe  cominciando  a  sinistra. 

Quarto  riparto.  Si  vede  solo  una  figura  sdraiata  dormiente. 

Quinto.  Apparisce  la  parte  inferiore  di  tre  figure. 

Sesto.  Disegnato  un  mare. 

Settimo.  La  parte  inferiore  di  tre  figure. 

Entriamo  nell'ultima  parte  di  questa  navata,  all'altezza  cioò  del- 
l'abside principale.  La  cappella  aveva  tutti  e  quattro  i  muri  ricoperti 
di  affreschi.  Nel  muro  di  fronte  all'  ingresso,  in  alto,  in  fondo  ad  una 
grande  edicola  è  la  più  bella  e  la  meglio  conservata  pittura  di  tutta 
la  chiesa,  la  quale  rifulge  ancora  dei  colori  e  delle  tinte  come  se 
avesse  pochi  anni  di  vita.  Rappresenta  la  crocefissione.  In  mezzo 
Cristo  ancor  vivo,  sereno  il  volto  chinato  verso  la  Madre,  ravvolto 
il  corpo  lungo  ed  elegante  in  una  tunica  celeste  con  due  liste  d'oro, 
stese  le  braccia  sulla  croce,  inchiodate  le  mani.  In  alto  la  luna  e  il 
sole  oscurati  che  proiettano  l'ultimo  loro  raggio  di  luce  sul  croce- 


554  ^-  Jederid 


fisso  sopra  tm  fondo  di  cielo  bigio.  In  cima  al  braccio  centrale  della 
croce  una  targa  con  la  scritta  greca  in  onciale: 

h^  l(£au)C  O  NAZCDf  Aloe  |  O  RACIACyC  'J  CON 
I  I  OyAAICON 

Ai  lati  della  croce,  a  sinistra  la  Vergine  addolorata,  con  dietro 
la  montagna  rossa,  e  la  leggenda  in  tinta  bianca: 

SCA    MARIA 

A  destra  san  Giovanni  con  la  montagna  verde: 

SCS  IOANNIS  I  EVGAGELISTA  (sic) 

Più  da  presso  alla  croce  i  due  farisei;  a  sinistra  Longino,  a  cui  ridona 
la  vista  il  sangue  del  costato  del  Redentore,  e  la  leggenda: 

LONGINVS 

a  destra  un  altro  del  quale  non  si  vede  la  leggenda  e  forse  non  c'era. 

Ai  lati  dell'  edicola  magnifiche  palme  con  i  datteri  pendenti. 

Sotto  l'affresco  dell'edicola  col  crocefisso  e  san  Giovanni  il  muro  è 
diviso  in  tre  zone  perpendicolari.  In  quella  di  mezzo  è  rappresentata  in 
trono  seduta  la  Vergine  col  Bambino  in  seno.  Del  trono  si  vedono  i 
guanciali  su  cui  siede  Maria  ;  l'affresco  caduto  danneggia  la  parte  su- 
periore della  figura.  Ai  due  lati  di  essa  sono  due  figure,  i  due  apo- 
stoli forse,  anch'essi  danneggiati  nella  loro  parte  superiore.  Quello 
di  sinistra  ha  un'  iscrizione  frammentaria  : 

[^  PAVJLVS 

In  quello  di  destra  manca  l' iscrizione,  portata  via  dalla  caduta  del- 
l' intonaco. 

Nella  zona  di  sinistra  due  figure:  a  sinistra  quella  del  papa  Zac- 
caria col  nimbo  quadrato  e  la  leggenda: 

^  ZACCHARIA  ]  PAPA 

a  destra  la  figura  con  nimbo  rotondo    di    santa    Giulitta   e   la  leg- 
genda : 


SCA  IVLITTA(i) 

(i)  I  due  T  dell'  iscrizione  sono  in  nesso. 


Santa  €Man'a  oAntiqiia  ^^^ 


Nella  zona  di  destra  l'affresco  importantissimo:  due  figure:  a 
sinistra  san  Quirico  col  nimbo  rotondo,  le  braccia  larghe  in  atto  di 
preghiera  con  gli  occhi  rivolti  al  cielo  e  la  leggenda: 

SCS    CVIRICVS 

A  destra  un  «  Theodotus  »  in  piedi  involto  in  un  gran  manto, 
che  reca  nelle  due  mani  coperte  da  questo  manto  una  chiesa,  rivolto 
verso  la  Madonna  che  è  nel  mezzo  dell'affresco.  La  chiesa  è  «S.  Maria 
(f  Antiqua  »  e  la  leggenda  inscritta  nella  parte  superiore  della  zona 
in  tinta  bianca,  dice  così: 

^  [TJHEODOTVS  •  (i)  ^Kl}A(iur)0  •  DEFENSO- 
ilYM-ì  ET  D[ISPEN]SATORE'S(a;0C(0E  •  0(^1  «l 
GE[NITRIC][S  •  SENPERQVE  •  |  BIRGO  •  MA- 
R[IJA  •  QVE  •  APPELLATVR  ■  |  ANTIQA 

All'altezza  di  questa  zona  le  due  pareti  di  destra  e  sinistra  sono 
tutte  ornate  di  affreschi,  come  egualmente  i  muri  che  limitano  l'ingresso 
in  questa  cappella  :  gli  affreschi  rappresentano  la  storia  dei  santi  Qui- 
rico e  Giulitta.  È  nota  la  leggenda  del  loro  martirio.  GiuHtta,  per 
sfuggire  alla  persecuzione  contro  i  cristiani,  fuggì  da  Iconio  (in  Asia) 
col  figlio  Quirico  di  tre  anni  e  con  due  domestiche  a  Seleucia,  poi  a 
Tarso  nella  Cilicia.  Qui  riconosciuta  fu  arrestata  col  figlio  e  condotta 
dinanzi  al  governatore  Alessandro,  che  la  fece  distendere  e  battere 
con  nervi  di  bue.  Alessandro,  invaghito  del  bambino,  se  lo  fece  por- 
tare e  volle  carezzarlo.  Ma  il  piccolo,  col  capo  rivolto  ostinatamente 
verso  la  mamma,  si  dimenava  e  graffiava  in  viso  il  governatore,  e 
alle  grida  della  madre:  «Io  sono  cristiana»,  faceva  eco  con  altre 
grida  :  i'  Io  sono  cristiano  ».  Il  giudice,  inasprito,  in  un  momento  di 
ira  furiosa  lo  prese  per  un  piede  e  lo  scaraventò  di  sotto  dal  tribunale; 
il  bambino  ebbe  poi  la  testa  fiagellata  e  mori  nel  proprio  sangue. 
Il  martirio  pare  avvenuto  nel  304  o  nel  305.  Non  completamente 
simili  a  questa  redazione  della  leggenda  sono  le  numerose  storie 
quivi  riprodotte. 

Nel  muro  di  sinistra  ve  ne  ha  sei,  delle  quali  le  prime  due  molfo 
danneggiate  dall'umidità.  La  prima  storia  rappresenta  forse  il  primo 
episodio  del  martirio  dei  due  santi,  quando  cioè  vengono  condotti 
dinanzi  al  tribunale  dove  ò  il  preside  Alessandro.  A  sinistra  il  trono. 
Ai  lati   di  esso   due    assistenti,  con  sul    capo  una   iscrizione  di   cu 

(i)  TV  nell'iscrizione  sono  in  nesso. 

Archivio  della  H.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIH.  56 


^1^6  V.  Jederici 


rimangono  tracce  irriconoscibili.  Segue  in  mezzo  una  figura  col  nimbo 
rotondo  che  pare  una  donna:  essa  ha  alla  sua  sinistra  un  soldato 
con  lancia.  Sopra  queste  figure  non  si  distinguono  iscrizioni  di  sorta. 
Nello  scompartimento  più  in  alto  è  visibile  con  qualche  difficoltà  la 
leggenda: 

^  SCÀ  .  [IV]LI[T]TA 

La  seconda  storia  è  anch'essa  molto  danneggiata.  Si  vede  a  si- 
nistra il  medesimo  edificio:  di  fuori  la  figura  del  preside  Alessandro 
che  dà  la  mano  al  fanciullo  Quirico,  dipinto  nel  mezzo  della  scena 
e  condotto  da  due  guardie  con  lancia,  una  delle  quali  è  dipinta  alla 
•estrema  destra  della  storia,  innanzi  ad  un  altro  edificio,  dove  forse 
era  stato  rinchiuso  il  fanciullo. 

Alla  destra  del  preside  è  la  traccia  di  una  iscrizione,  di  cui  ri- 
mane poco: 

[PRE]SE[S]  1  [ALEXANDRVS] 

Sul  capo  del  bambino: 

^  SCS  CVIRICVS  B . . . . 

Nel  margine  superiore  del  dipinto  la  leggenda  principale  affatto 
frammentaria  : 

[yl^  VBI  SCS]  CVIRICVS  •  A  . . . 
TE  VO  TVI (i). 

Della  terza  storia  è  rimasto  un  leggerissimo  frammento:  a  si- 
nistra si  vede  il  viso  di  una  figura  e  un  poco  in  alto,  a  destra,  il 
principio  della  leggenda: 

SC[S  CVIRICVS] 

E  nel  margine  superiore  il  frammento  della  iscrizione  generale: 

^   VBI  SCS  CVIRICVS////////// 

La  quarta  storia  rappresenta  la  flagellazione  di  san  Quirico,  dan- 
neggiata alla  sinistra  dalla  parte  del  preside.  Quivi  si  vede  una  figura 
di  cui  rimane  il  viso,  l' estremità  inferiori  e  la  mano  destra  volta 
verso  il  centro  dell'affresco.  La  capigliatura  di  questa  figura  ci  dice 
che  è  la  figura  del    preside  che    incoraggia  un  soldato  dipinto   nel 

(i)  TV  nell'iscrizione  formano  nesso. 


Santa  oMaria  ^Antiqua  557 


mezzo  della  storia  in  atto  di  frustare  un  bambino,  Quirico.  Il  bam- 
bino è  tenuto  in  braccio  da  un  soldato  in  tunica  corta.  Di  san  Qui- 
rico si  vede  solo  parte  del  nimbo  e  la  gamba  destra.  Sopra  questo 
nimbo  la  leggenda: 

SCS    CVIRIC[VS] 

Nel  margine  superiore  la  leggenda  generale: 

vi.  VBI  SCS  CVIRICVS  CATO  MVLE  BAT/7//SET/// 

Nello  sfondo  del  quadro  si  vedono  due  finestre. 

La  quinta  storia  rappresenta  il  miracolo  di  san  Quirico,  che 
parla  anche  dopo  che  gli  è  stata  tolta  la  lingua.  La  storia  si  com- 
pone di  cinque  figure.  A  sinistra,  dinanzi  al  solito  edificio  del  tribu- 
nale, una  guardia  con  Alessandro.  La  leggenda  perpendicolare  dice  : 

PRAESES  I  ALEXANDRVS 

Segue  una  immagine  che  accenna  con  una  mano  ai  due  santi 
guardando  il  preside. 

Poi  son  dipinti  santa  Giulitta  e  san  Quirico  con  le  leggende: 

SCS  CVIRICVS  I  SCA  IVLITTA 

San  Quirico  ha  la  mano  destra  in  atto  di  benedire  il  preside. 
La  leggenda  nella  fascia  superiore  dice: 

^^  VBI   S~C:s  CVIRICVS  LINGVA  ISCISSA 
LOQyiT^  I  AD  PRESIDEM 

La  sesta  ed  ultima  storia  del  muro  rappresenta  la  prigione  dei 
due  santi. 

L'  afifresco  è  danneggiato  alla  sua  sinistra.  Vi  si  vede,  a  destra, 
una  casa  con  un  tetto  che  ha  la  stessa  modellatura  tecnica  della 
chiesa  portata  da  Teodoto. 

La  facciata  dinanzi  ha  una  loggia  dalla  quale  si  vedono  le  due 
figure  di  santa  (ìiulitta  e  di  san  Quirico.  Le  leggende  perpendicolari 
dicono: 

SCS  CX'IRICUS  SCA  IVLITTA 

[SCS  CVIJRICVS    CVM    MATRE 

.Muro  di  destra. 

Ha  tre  grandi  storie,  quasi  in  ogni  parte  danneggiate. 


558  F.  federici 


La  prima  nella  parte  superiore  di  un  adito  che  metteva  in  co- 
municazione questa  navata  con  l'abside  della  navata  centrale  rappre- 
senta l'episodio  dei  due  santi  posti  in  una  padella. 

A  sinistra,  in  alto,  il  Salvatore  con  la  croce  nimbata  circondato 
di  angeli,  anch'essi  nimbati,  che  manda  raggi  di  luce  sui  due  mar- 
tiri, rappresentati  supini  sopra  una  specie  di  padella,  ai  cui  lati  due 
uomini  chinati  la  alzano  dai  quattro  manubri  in  atto  di  staccarla  da 
terra  e  portarla  via. 

Sopra  la  leggenda: 

^  UBI  SC~S  CVIRICVS   CVM   MATRE   SVAM 
IN  SARTAGINE  MISSI  SVNT 

La  seconda  storia  rappresenta  due  momenti  del  martirio  di 
san  Quirico,  quello  degli  aculei  e  quello  in  cui  vien  precipitato  dal 
tribunale.  A  sinistra,  in  alto,  un  angelo  che  si  libra  per  l'aria  diffon- 
dendo luce  sul  capo  di  san  Quirico,  dipinto  sotto  fra  due  soldati, 
di  cui  quello  di  destra  lo  regge,  quello  dì  sinistra  gli  conficca  un 
chiodo  in  testa  donde  sprizza  sangue.  A  fianco  dell'angelo  la  leg- 
genda: 

ANGELVS 

A  sinistra  della  scena  del  martirio  : 

^VBI  SCS  CVIRICVS  ACVTIBV(i)  CONFICTVS  (i) 
[ES]T  ^ 

Segue  l'altra  scena  divisa  in  due  gruppi:  a  destra  il  preside  sul 
trono  circondato  da  due  soldati  con  gli  scudi  e  la  scritta: 

PRE[S]IDE 

il  quale  è  rivolto  verso  la  sinistra,  dove  un  soldato  ha  afferrato  per 
una  gamba  san  Quirico  e  lo  lancia  dal  tribunale.  La  tunica  di  questo 
soldato  svolazza  dalla  veemenza  del  colpo,  e  nel  margine  superiore 
è  rimasto  un  frammento  d'iscrizione: 


^  VBI  SCS  CVIRICVS  IN. 


Con  questa  storia  la  leggenda  dei  due  santi  è  finita  e  sul  resto 
della  parete  sono  dipinte  cinque  figure.  Esse  sono  danneggiate  nella 
parte  superiore:  mancano  quindi  il  capo  delle  tre  figure  più  impor- 
tanti dell'affresco  e  l'iscrizione  superiore. 

(i)  TV  neir  iscrizione  formano  nesso. 


Santa  oMar^ìa  oAntiqua  559 


La  prima  figura  a  sinistra  pare  un  uomo  recante  in  mano  due 
candele,  di  cui  è  restata  solo  la  parte  inferiore,  con  vesti  per  colore 
simili  a  quelle  di  Teodoto.  Segue  una  figura  piccola  con  nimbo 
quadrato,  che  non  rassomiglia  iconograficamente  a  san  Quirico. 

La  terza  figura  è  dipinta  con  un  predellino  sotto  i  piedi,  ritta, 
con  ricchissime  vesti.  Si  vede,  oltre  tutto  il  corpo  al  disotto  del  seno, 
anche  una  mano,  la  sinistra,  e  i  piedi  di  un  bambino  seduto  sul 
seno  della  mamma:  probabilmente  la  Vergine  col  Redentore.  La 
quarta  figura  è  la  corrispondente  della  piccola  seconda  figura  dell'af- 
fresco. Ha  il  nimbo  quadrato,  una  magnifica  collana,  i  pendenti  e 
un  fiore  in  mano  in  forma  di  giglio.  L'ultima  figura  è  danneggiata 
nella  parte  superiore  del  corpo:  l'abito  ne  è  ricchissimo  e  bellamente 
adorno.  Forse  era  in  tutta  la  storia  rappresentato  Teodoto  con  la 
famiglia  dinanzi  all'immagine  della  Vergine. 

Nel  muro,  alla  destra  di  chi  entra,  un  altro  affresco  di  tre  figure, 
anch'esse  danneggiate  nella  parte  superiore  e  prive  quindi  della  iscri- 
zione che  doveva  essere  nel  lato  superiore  dell'  intonaco.  A  sinistra 
una  figura  con  nimbo  quadrato,  ginocchioni,  con  due  candele  accese, 
volto  verso  le  altre  figure,  anch'  essa  vestita  come  Teodoto.  La 
seconda  manca  del  capo:  è  una  donna  in  piedi,  di  cui  si  vede  la 
mano  destra:  i  colori  delle  vesti  la  designano  probabilmente  per 
santa  Giuliita.  La  terza  è  una  figura  di  fanciullo  che  anche  per  i 
vestiti  può  essere  identificato  con  san  Quirico;  è  anch'esso  dipinto 
in  piedi,  con  nimbo  rotondo  e  con  i  segni  del  martirio.  Proba- 
bilmente r  intera  storia  presenta  Teodoto  che  venera  i  due  santi  ai 
quali  era  dedicata  la  cappella. 

Nel  muro,  alla  sinistra  di  chi  entra,  quattro  figure  dipinte  in 
piedi,  con  nimbo  rotondo,  ampie  tuniche  ed  in  mano  la  croce  e  la 
corona.  Ai  lati  della  prima  figura  appaiono,  indistinguibili,  alcune 
tracce  di  scrittura;  della    terza  si  legge  invece  chiaramente: 

v:^  scs  armi:ntise///// 

Nel  margine  superiore,  lungo  tutto  l'affresco,  era  una  iscrizione 
in  t'nta  bianca,  di  cui  rimane  solo  un  frammento  a  destra: 

iUS  QUORYM. NOMINA. DO'/OS-SCET  <^ 


i  imo  ora  dalla  chiesa  II  ;',li  ;iv,in/i  dc;;!i  :ltìVc>^^lli   e  delle 
pitti  "'■'■1   era  ricca:    niisL-ri    .iv:in/,i  ne    sono    limasti   liu^ri 

del!  di  atfrcsclii  orii.iniciu.ili  sono  sui  muretti  che  uni- 

sco:. ,::    questa   navata   col   muro  esterno  del  nartece    della 


5^0  V.    federici 


chiesa  I.  Q.ui  stesso  furono  rinvenuti  due  sarcofaghi  con  un  fram- 
mento d' iscrizione  mortuaria  in  tinta  nera  : 

VENIET I  TERRIS  O | S 

i  DI 


Sul  muro  di  rinforzo  addossato  all'abside  è  un  avanzo  di  pit- 
tura e  il  frammento  di  un'  epigrafe  in  tinta  nera  : 

.  . .  Ol I  H  1  KG  I  AOrOl KA'J'G  . . .  |  XO- 

MGNON 1  efG    GTHN |  TON 

e I CGKT I  QyiN 

Sul  secondo  muro  di  rinforzo  (d)  sono  visibili  quattro  tondi,  con 
teste  di  santi;  riconoscibile  soltanto  il  primo  in  basso.  Esso  rappre- 
senta un  santo  barbuto  con  la  iscrizione: 

yji    o  A[noc]  I  eYBY[^<'^^^-] 

Gli  altri  tre  tondi  si  distinguono  soltanto  per  la  traccia,  lasciala 
suir  intonaco  dal  cerchio  che  li  racchiude. 

Più  numerosi  sono  invece  gli  avanzi  di  dipinti  nell'  interno  della 
cappella.  Tutto  intorno  nella  zona  inferiore  si  vedono  tracce  d'or- 
namentazioni identiche  a  quelle  che  si  sono  scoperte  negli  scavi  del- 
l'antica chiesa  di  S.  Saba.  Sul  muro  di  divisione  a  sinistra  l'umidità 
ha  così  fortemente  sviluppate  le  muffe  che  qua  e  là  è  rimasto  solo 
in  parte  il  colore  delle  tinte:  trascriviamo  qualche  graffito  in  scrit- 
tura corsiva  e  in  latino  : 

Ego  grego[ritis]  \  hivani  in  deo  \  semper 

in  scrittura  onciale  e  in  lingua  greca  : 

ynef e  {sic)  \  ynerey  xie  kgn  j . . .  ik  |  y^g- 

TG  X^GCG  I  NGNACKA  [ 

Sulla  parete  laterale  di  sinistra  l'intonaco  è  danneggiatissimo; 
la  seconda  zona  aveva  una  fila  di  santi  vestiti  riccamente,  con  tu- 
niche a  righe  longitudinali  bianche  e  rosse,  alcuni  con  corone  in 
capo  e  con  nimbi  alternatamente  azzurri  e  gialli.  In  mezzo  risalta 
la  figura  del  Salvatore  con  le  braccia  distese  sopra  di  essi.  Nessuna 
traccia  d' iscrizioni  in  questa  parete  ;  incerta  la  determinazione  del- 
l'affresco  eseguito  nella  nicchia  di  questo  stesso  muro  perchè  quasi 
tutto  svanito  e  nel  colore  e  nel  disegno.  Sulla  parete  di  fondo,  a 
sinistra,  due  grandi  croci  ornate  di  pendenti  e  delle  lettere  A  ed  Q 


Santa  oMaria  oAntiqua  5^1 


circondate  da  ghirlande  rotonde  a  tre  colori,  delle  quali  una  ha  nel 
mezzo  la  faccia  del  Cristo.  In  basso  agnelli,  pavoni  ed  altri  animali. 

Nel  concavo  absidale  l' affresco  è  interessantissimo.  Rappresenta 
su  parecchie  file  molti  giovani  ignudi  fino  alla  cintola,  con  faccie 
vigorose  di  tipo  classico,  ritti  in  mezzo  alle  onde.  A  sinistra  una  pic- 
cola grotta  simile  ad  un  casotto  di  una  sentinella,  e  in  basso  due 
soldati  con  elmo,  lancia  e  scudo.  Uno  dei  giovani  è  dipinto  in  atto  di 
abbandonare  i  compagni  e  di  entrare  nel  casotto.  Sono  i  quaranta  mar- 
tiri di  Sebaste  che  il  governatore  romano,  per  costringerli  a  rinne- 
gare la  fede  di  Cristo,  fece  esporre  di  notte  in  uno  stagno  agghiacciato, 
presso  il  quale  aveva  fatto  porre  un  bagno  caldo  che  offriva  a  chi 
acconsentisse  di  sacrificare  agli  Dei.  Nell'affresco,  guasto  verso  si- 
nistra, si  vedono  ancora  ventiquattro  figure:  quindici  conservate  quasi 
completamente  ;   nove  solo  nella  parte  inferiore  del  corpo. 

Questa  pittura  appare  come  l'affresco  più  antico  di  questa  chiesa. 
In  alto,  sul  capo  di  ognuno  dei  soldati,  era  iscritto  il  nome,  in  tinta 
nera,  in  caratteri  onciali  greci.  Queste  iscrizioni  sono  quasi  tutte 
danneggiate.  Ne  rimane  una  sola  intera:  K^piCON,  uno  dei  qua- 
ranta martiri  nominati  dal  compendio  che  di  questo  martirio  ci  è 
stato  tramandato  «  ex  lingua  armena  »  da    Bartolomeo  Abagaro  (i). 

Procedendo  verso  sinistra  si  colgono  traccie  di  un  altro  nome 

[         ]ll<IOC 

forse  «  Epichius  »  o  «  Hysichius  »,  greco  :  'Haóxioc;  (2). 

Altre  lettere  sono  ancora  visibili  al  di  sopra  del  capo  di  altri 
tre  giovani 

I  CJ>IM)I MCOI  I  TiGOC  I  CGY' 

Sulla  parete  di  fondo  a  destra  dell'  abside,  rimangono  un  pan- 
neggiamento di  figura;  nella  fascia  ornamentale  inferiore  solo  i  piedi 
di  una  figura,  e  sotto  di  essi  un  graffito  relativamente  recente: 

hl^  Goy^Ni  I  (:Go  Pc3RBrr(: 

Sulla  parete  laterale  di  destra,  originariamente  si  aprivano  due 
edicole  :  la  prima  ha  tracce  di  affreschi.  Si  vede  a  sinistra  in  basso 


(i)  Ada  Sanclortiiii,  io  marzo,  p.  18.  Nel  testo  è  veramente 
chiamato  «  S.  Quirion  »  (ivi,  pp.  18  e  19),  ma  oltre  che  i  due  nomi 
sono  simili  foneticamente,  altre  redazioni  danno  di  quel  nome  la 
forma  «  Cyrion  »  (ivi,  p.  20,  nota  e). 

(2)  Ivi,  p.  18. 


5^2  V.  federici  -  Santa  oMaria  oAntiqua 


lina  gamba,  una  veste  e  più  in  alto  due  ali,  a  destra  un  viso  di 
donna  :  una  Annunziazione.  L'  altra  edicola  fu  murata  nella  poste- 
riore ricostruzione  e  sopra  l' intonaco  della  ultima  muratura,  dipinti 
affreschi  ornamentali  dì  cui  rimangono  rare  ed  incerte  tracce. 

Fra  le  due  edicole  v'  hanno  due  riquadri,  con  due  storie  dan- 
neggiate dall'  umidità. 

A  sinistra  non  si  distingue  nulla:  a  destra  è  visibile  una  giu- 
menta. Così  pure  indistinguibili  sono  le  tracce  di  affreschi  e  senza 
iscrizioni  di  sorta  nel  muro  a  destra  di  chi  entra.  Addossato  a  questo 
muro  e  sepolto  nel  pavimento  s'  è  rinvenuto  un  sarcofago  romano 
con  due  cadaveri,  e  nella  faccia  anteriore  è  una  targa  con  la  scritta 
greca  in  caratteri  onciali  dei  secoli  vi-vii: 

CiNOAAG  XI I  T\\  Cei AIKIC  |  rGf OICIAf Kl  IC  ! 
)<e  CCOcj^pONIA  CYN|BIOC  AYToy  K^3 
HAJpiA  KG  NlKANAfOC  YC>  A  |  Y^^^^N  (i). 

Dinanzi  all'ingresso  di  quest'abside,  sul  pavimento  una  tomba 
con  avanzi  di  cadaveri  coperta  da  una  lastra  di  marmo  che  reca  la 
seguente  iscrizione,  dell'anno  570  [marzo  12-15]: 

^  HIC  REQVISCIT  IN  PACE  AMANTIV[S^PI]- 
FEX  QVI  VIXIT  I  PLVS  M(0N(//5)  ANN(Ù) 
^  h  <4^  DEPOSITVS  SVB  D0>)  XII[. .. .  MJAR- 
TIAS  QVINQ.VIES  V{pst)  Cipnsuìatiim)  D{omi)ì^l 
IVSTINI  V^atris)  F^atriae)  AYGQisti)  lND(ictione) 
QVARTA 

Sopra  questo  sarcofago  e  nel  lato  opposto  ad  esso  posavano  le 
vive  fondamenta  di  S.  Maria  Liberatrice  (2). 

(i)  Hic  iacet  Seilici  Gerusiarca  et  Sofronia  iixor  eins  et  Maria  et 
Nicandrtis  filii  eorum. 

(2)  Non  posso  terminare  questa  pur  troppo  incompletissima 
descrizione  degli  avanzi  pittorici  delle  due  chiese  senza  rivolgere, 
anche  a  nome  e  per  incarico  del  Presidente  della  R.  Società  romana 
di  storia  patria,  i  più  vivi  ringraziamenti  al  direttore  degli  scavi 
comm.  G.  Boni,  che  mi  facilitò  con  ogni  mezzo  il  lavoro  e  mi  fu 
sempre  largo  di  consigli  e  di  aiuti  nella  interpretazione  delle  epigrafi. 


VARIETÀ 


UN  EPISODIO 
DEL   PONTIFICATO    DI   GIULIO  IL 

Quando  nel  settembre  del  13 io  Giulio  II,  risoluto  più 
che  mai  a  impadronirsi  di  Ferrara,  si  volle  trasferire  con 
tutta  la  corte  a  Bologna  «  per  strignere  più  con  la  sua  pre- 
ce senza,  e  dare  maggiore  autorità  alle  cose,  ed  accrescere 
«la  caldezza  dei  capitani  inferiore  all'impeto  suo  »  (i), 
durante  il  viaggio  cinque  cardinali,  cioè  i  due  spagnoli  di 
S.  Croce  e  di  Cosenza,  i  due  francesi  di  Baiusa  e  di  S.  Malo, 
e  r  irrequieto  Federigo  di  Sanseverino,  in  vece  di  far  in- 
sieme a  lui  la  via  di  Romagna,  ottennero  il  permesso  di 
passare  per  la  Toscana.  Ma,  giunti  a  Firenze,  si  ferma- 
rono, e  di  lA  andavano  rispondendo  con  varie  scuse  al 
pontefice,  che  insospettito  fini  con  imporre  loro  di  recarsi 
subito  a  Bologna  «sotto  pena  della  sua  indegnazione».  I 
cinque  cardinali,  in  cambio  d'ubbidire,  se  ne  andarono  a 
Milano  per  la  Lunigiana. 

Quanto  questo  atto  di  aperta  ribellione  irritasse  il  papa, 
è  fiicile  immaginarlo;  moho  più  che  l'idea  di  un  «  con- 
«  cilio  »,  che  già  il  re  di  Francia  gli  minacciava,  poco  gli 
andava  a  genio. 

Le  vicende  di  quella  guerra,  tra  cui  il  famoso  assalto 
della  Mirandola,  ma  più  che  altro,  forse,  la  speranza  che 

(i)  Guicciardini,  Istoria  d* Italia,  Ub.  IX,  cap.  5. 


5^4  ^'  Grimaldi 


i  ribelli  avrebbero  finito  con  il  sottomettersi,  trattennero  il 
collerico  pontefice  dalF  occuparsi  della  cosa  con  la  solita 
furia. 

Fu  dopo  la  perdita  di  Bologna,  quando,  alla  notizia  del- 
l' assassinio  del  cardinal  legato,  si  levò  in  fretta  da  Ravenna 
per  tornarsene  a  Roma,  che  gli  giunse  a  Rimini  la  notizia 
del  concilio  intimato  a  Pisa,  per  il  i°  di  settembre  del  151 1, 
al  quale  veniva  citato  a  comparir  personalmente.  Allora, 
mentre  alle  porte  delle  chiese  gli  attaccavano  le  cedole 
dell'  intimazione,  e  la  canaglia  bolognese  trascinava  e  vi- 
tuperava la  sua  statua  nel  fango,  egli,  con  una  di  quelle 
risoluzioni  energiche  così  frequenti  nella  sua  fiera  e  tem- 
pestosa anima  di  acciaio,  indisse  il  conciHo  universale  in 
Roma,  a  S.  Giovanni  Laterano,  per  il  r^  maggio  pros- 
simo; e  disperando  ormai  di  poter  ridurre  con  le  buone 
all'obbedienza  i  cardinaU  ribelli,  pubblicò  contro  tre  di  loro 
un  monitorio,  «  sotto  pena  di  privazione  della  dignità  del 
«  cardinalato  e  di  tutti  i  benefizi  ecclesiastici,  se  infra  ses- 
«  santacinque  giorni  non  si  presentassero  innanzi  a  lui  »  (i). 

Credeva  cosi  che  il  «  conciliabolo  »  convocato  dagli 
avversari  non  avrebbe  più  luogo;  ma  in  vece  il  1°  di  set- 
tembre questo  veniva  aperto  ugualmente  dai  procuratori 
dei  cardinali,  rimasti  allora  a  Borgo  S.  Donnino,  e  subito 
il  papa  dichiarò  che  Firenze  e  Pisa  eran  cadute  sotto  T  in- 
terdetto ecclesiastico,  per  la  bolla  del  concilio  intimato 
da  lui. 

Intanto,  dopo  lunghi  negoziati,  s'era  stretta  finalmente 
tra  il  papa,  il  re  di  Spagna  e  Venezia,  contro  la  Francia, 
quella  lega,  che  lo  stesso  Giulio  II  volle  che  venisse  chia- 
mata ((  sanctissima  »,  e  il  5  ottobre  era  pubblicata  solen- 
nemente a  S.  Maria  del  Popolo.  Assicuratosi  da  questa 
parte,  attese  con  più  anima  alla  cosa  dello  scisma,  che  su- 
scitato dal  re  di  Francia  con  il  solleticare  l' ambizione  di 

(2)  Op.  cit.  lib.  X,  cap.  I. 


Varietà  565 


qualcuno,  e  l'avarizia  di  qualche  altro  (i),  si  trascinava 
stentatamente  fra  la  noncuranza,  o  meglio  Fodio  del  po- 
polo, il  quale  vedeva  nei  riformatori  le  stesse  macchie  e 
gli  stessi  vizi,  contro  cui  levavano  così  fieramente  la  voce. 
Fino  dal  6  ottobre  Bernardo  di  Bibbiena,  che  alla  corte 
pontificia  trattava  gì'  interessi  del  cardinal  de'  Medici,  il 
quale  in  quei  giorni  era  stato  flitto  legato  di  Bologna  e  della 
Romagna,  scrive  al  padrone  che  «  N.  S.  vole  omnino  pri- 
«  vare  li  tre  scysmatici  cardinali  et  pargli  mille  anni  sia  ve- 
ce nuto  il  tempo,  et  ha  giurato  volere  privare  ancora  San  Se- 
«  verino  et  in  vero  le  opere  sue  son  di  natura,  da  procedere 
«  in  ogni  cosa  contro  di  lui  »  (2).  Tuttavia  continuavano 
le  trattative  per  venir  a  una  conciliazione,  poiché,  special- 
mente il  cardinale  di  S.  Croce  e  quel  di  Cosenza,  erano, 
o  si  fingevano  disposti  a  tornare  all'  ubbidienza;  ma  il  papa 
metteva,  come  condizione  indispensabile,  il  ritorno  a  Roma, 
e  non  cedeva  agli  assalti  dell'  oratore  di  Spagna,  che  trat- 
tava la  pratica  (3).  Alla  fine,  poiché  i  due  cardinali  spa- 
gnoH  proponevano  di  recarsi,  in  vece,  a  Siena  o  a  Piom- 
bino, Giulio  II  disse  che  si  sarebbe  piegato,  in  tal  caso, 
«  allungare  .x.  giorni  più  il  termino  del  monitorio  »,  perchè 
avessero  tempo  di  andar  poi  a  Roma  a  far  segno  di  ob- 
bedienza (4).  A  tale  scopo  anzi  il  Cattolico  e  i  Sanesi  man- 
darono loro  un  salvacondotto  (5).  Ma  stava  per  cadere  il 
termine  del  monitorio,  e  non  veniva  dai  cardinali  nessuna 

(i)  «  Dicenii  [Niza]  vcchio,  haver  per  certo  come  [il  Christia- 
«  nissimo  ha]  mandato  ad  [Santa  f,  S.  Malo  et  Cosenza]  octanta 
«  [mila  franchi] ...  ».  Cosi  Bernardo  di  Bibbiena  al  cardinal  de'  Me- 
dici, il  3  ottobre  1511,  da  Roma.  Questa,  e  le  altre  lettere  citate 
in  seguito,  si  trovano  inedite  nel  VI  voi.  delle  CaiU  Stroi\iane^  nel- 
l'archivio Centrale  di  Firenze.  I  passi  compresi  tra  i  segni  []  nel- 
l'originale sono  in  cifra. 

(2)  Ivi,  a  e.  25. 

(3)  Ivi,  a  ce.  23  e  21;  lettere  del  io  e  dell' 1 1  ottobre. 

(4)  Ivi,  a  e.  29;  lettera  del  12  ottobre. 

(j)  Ivi,  a  e.  33  ;  lettera  del  16  ottobre;  e  a  e   38,  del  19  ottobre. 


^66  G.  Grimaldi 


risposta;  solo  che  l'oratore  di  Spagna  il  lunedì,  20  ot- 
tobre, propose  al  papa  una  sicurtà  di  100  000  ducati,  per 
il  cardinale  di  S.  Croce  e  il  cardinale  di  Cosenza  (quest'ul- 
timo allora  ammalato  gravemente  del  male,  per  cui  morì  poco 
dopo)  (r),  promettendo  che  sarebbero  venuti  a  Siena,  pur- 
ché soprassedesse  di  qualche  giorno  al  privarli.  Ma  «  N.  S.  », 
scrive  Bernardo  di  Bibbiena,  «  non  ne  ha  voluto  udir  niente, 
«  et  se  domani  non  si  muta,  mercore  mattina  li  priverrà  &:c. 
«  [S.  S**^]  stasera  [mi  ha]  decto  che  [lo  oratore]  disopra 
«  li  ha  facto  tucto  [rincircumire  il]  sangue  per  quel  che  ha 
«  cerco,  contrario  a  tucto  quel  che  hanno  domandato  questo 
«  anno,  et  par  che  [tema  de]  inzoppamento  ...  «  (2). 

Non  valse  neppure  che  il  cardinale  di  S.  Croce  offrisse 
di  dargli  in  mano,  come  ostaggi  che  avrebbero  osservato 
la  promessa  di  andare  a  Siena,  due  suoi  nepoti,  per  ot- 
tener una  proroga  di  qualche  giorno,  dicendo  che,  per  la 
malattia  dell'altro,  da  Modena,  dove  si  trovavano,  non 
era  possibile  «  che  al  termino  del  monitorio  potessino  essere 
«  a  Siena  ».  Il  papa,  sospettando  che  «  loro  usassino  questi 
«  termini  a  qualche  loro  proposito,  et  che  in  facto  non  fus- 
«  sino  a  Modona  et  che  manco  havessino  voglia  di  venire 
«a  Siena»,  rispose  all'oratore  spagnolo,  che  gli  chiedeva 
la.  proroga,  di  non  ne  voler  far  niente,  «  concludendo  che 
((  omnino  domattina  in  consistorio  vole  privarli,  et  cosi  ha 

(i)  «  Conferendo  a  N.  S.  l'aviso  che  mi  mandò  mcsser  Giulio 
«  del  mal  di  Cosenza  iuxta  la  lettera  del  governator  di  Ravenna,  mi 
«  rispose  che  il  morirsi  da  per  se  saria  la  ventura  sua,  attento  che  se 
«  mercoledì  fussi  pur  ancor  vivo,  lo  amazeria  la  S.  B."^^  volendo  inferire 
«che  non  venendo  a  Siena  lo  priveria  con  li  altri  ».  Carte  Stroi:(jane^ 
a  e.  38;  lettera  del  19  ottobre.  Nella  medesima  lettera  appare  già  il 
malcontento  di  alcuni,  che  disapprovavano  la  condotta  severa  del 
papa;  tra  gli  altri  il  card,  di  S.  Giorgio,  il  quale  «  duolsi  che  [S.  S.tà] 
«  voglia  procedere  così  presto  [contra  li  cardinali],  et  immediate  vole 
«  [citare  Sanseverino  et  Baius]  né  dar  loro  più  tempo  che  .xv.  in 
«  .XX.  dì  ». 

(2)  Ivi,  a  e.  48;  lettera  del  20  ottobre. 


Varietà  567 


«  facto  intendere  a  tucti  li  cardinali,  che  vole  che  si  tro- 
«  vino  al  consisterlo  di  domattina  etiam  a  quelli  che  sono 
«  alquanto  indisposti  et  cosi  intendo  che  hanno  promesso 
«  di  andarvi,  salvo  che  Aux,  quale  è  ricascato  malato  et 
«  ha  la  febre  et  non  poca.  In  somma  se  stanocte  non  si 
«  muta  consiglio  et  voluntà,  domattina  si  proponerà  la  pn- 
«  vatione  delli  4  cardinali  (i)  &c.  et  se  bene  alcuni.. .  di- 
«  cono  voler  enixe  supplicare  per  questa  prorogatione, 
<c  pure  io  credo  che  si  farà  all'usanza,  et  che  ognuno  ca- 
«  lerà  le  vele,  perchè  [li  due  pazi  Monte  et  Ancona]  (2) 
«  caccia[no  più  la]  cosa  [che  non  fa  S.  S*-^]  »  (3). 

Il  mutamento  notturno  non  venne;  e  il  giorno  dopo 
infatti,  22  di  ottobre,  si  fece  il  concistoro,  del  quale  cosi 
scrive  Bernardo  al  cardinale  de*  Medici: 

Reverendissime  domane  mi  &c. 

Stamattina  se  è  facto  consistono,  nel  quale  N.  S.  prepose  la 
privatione  delli  cardinali  citati  replicando  tucte  le  arti  et  dolceze, 
che  S.  S.*-^  ha  usato  per  levarli  dal  mal  camino  nel  quale  si  erano 
messi,  et  cosi  dixe  tucte  le  loro  malignità  et  iniqui  pensieri  per  fare 
scyxma  et  per  minare  la  Chiesa,  et  decto  di  loro  tre  (4)  entrò  in  Bayus, 
mostrando  che  per  se  stesso  se  era  privato  alhor  che  si  partì  di  Roma 
per  non  andare  ove  era  S.  S.'^  contra  la  obligatione  facta  in  con- 
sistono dopo  la  captura  de  Aux  &c.  e  su  questo  furono  chiamati 
drento  lo  advocato  et  procuratore  fiscali,  notarlo  et  testimonii,  ffa 
quali  fu  il  R''**  nostro  Grossetano  et  finalmente  facti  tucti  li  acti,  ri- 
cercò S.  S'*  li  voti  &c.  Il  R'""  camerlingo,  Grimanno,  Arborense, 
Flisco,  Nantes,  et  qualchuno  altro,  parlarono  in  conformità,  molto 
bene,  ma  maxime  San  Giorgio,  suplicando  a  S.  Bnc  che  per  vedere 
se  dicevano  da  vero  maxime  li  due  Spagnoli,  si  prorogasse  alcuni 
pochi  dì,  per  che  venendo  a  Siena,  era  di  molta  reputatione  di  S.  H"*^ 

(i)  Contro  il  card,  di  Sanseverino,  benché  favorisse  apertamente 
il  concilio  di  Pisa,  pure  ancora  non  era  stato  lanciato  il  monitorio. 

(2)  Antonio  del  Monte,  del  titolo  di  S.  Vitale,  e  Pietro  degli 
Accolti,  del  titolo  di  S.  Eusebio,  erano  i  due  cardinali  favoriti  ed  on- 
nipotenti. 

(3)  Carle  Stroniane,  a  e.  44;  lettera  del  21  ottobre. 

(4)  Cioè  di  S.  Croce,  S.  Malo  e  Cosenza. 


5^8  G.    Grimaldi 


et  di  certa  quiete  &:c.  Non  veiìendo,  S.  Bne  era  tanto  più  iustificata 
a  farlo,  et  ognuno  ne  la  aiuteria  &c.  Circum  circa  fu  da  molti  par- 
lato, ma  la  S.  S^^  li  strinse  a  dare  li  voti  chiari  et  resoluti,  et  final- 
mente ognuno  dette  il  voto  alla  prìvatione  di  tucti  quattro,  et  ve- 
nerdì si  farà  consistorio  publico  nel  quale  saranno  dichiarati  privati 
del  capello  della  dignità  et  de  beneficii. 

Alla  S.  V.  R'"*  humilmente  me  raccomando. 

Rome  22  oct.  15  ii.  Lunedì  farà  N.  S.  consistorio  per  dare  le 
cose  de  privati:  fora  di  quelle  che  ha  promesso  di  dare  a  voglia  del 
Catolico  forse  anche  tenera  in  collo  quelle  di  Francia. 

Raptissimc. 

humilìs.  servus  D.  V.  R"^^ 
Bernard  US  (i). 

Come  si  vede,  era  solo  a  malincuore  che  molti  cardi- 
nali avevano  ceduto  alla  volontà  del  papa;  e  a  Giulio  de* 
Medici,  il  quale  accompagnava  il  cugino  nella  legazione, 
Bernardo  quello  stesso  giorno  scriveva  che 

...  di  questa  privatione  de  cardinali  non  è  chi  si  sia  rallegrato.  Du- 
bitando che  per  questo  li  animi  di  là  se  habbino  molto  ad  infiam- 
marsc  al  possibile,  ove  ora  parevano  assai  mitigati. 

E  più  sotto: 

Dite  a  mons.  che  la  maggior  parte  de  cardinali  all'uscir  si  ralle- 
gravano meco  della  absentia  di  mons.  presertim  Flisco  et  Sauli,  a  quali 
par  che  mons.  usassi  già  dire  [che  non]  consenti[ria  mai]  &c.  A  chi 
voleva  punto  [replicare]  sopra  la  cosa  [S.  S^i  dava  sulla  voce]  dicendo 
'che  [dessino  il  voto  libero]  senza  tante  cerimonie  et  parole  &c.  Perchè 
[il  Vincula]  mandò  hiersera  a  replicare  che  haveva  male  &'c,  Dixe 
N.  S.  che  non  fece  mai  cosa  di  che  più  si  pentissi  che  d'averlo  facto, 
et  che  meritava  più  lui  de  esser  [privato  che]  alcuno  di  quelli  &c, 
et  venne  in  consistorio  . . .  (2). 

Notava  Giulio  II  la  freddezza  degli  uni,  il  servilismo 
e  la  prontezza  degli  altri;  e  mentre  prometteva  subito  al 
cardinale  Grassi  un*  abbazia  che  il  cardinale  di  Cosenza 
aveva  a  Ravenna,  dicendo  che  «  sempre  haveva  inteso  S.  S. 

(i)  CarL  Stro:i\iiUU,  a  e.   30. 
(2)  Ivi,  a  e.  30. 


Varietà  5^9 

«  essere  homo  da  bene  ma  non  haveva  conosciuto  già 
«  prima  che  hiermattina  in  dare  cosi  liberamente  il  voto 
«suo  contra  quelli  ribaldi  »  (i),  parlando  con  Bernardo  sì 
doleva  invece  assai  del  cardinale  Grimanno,  «  el  quale  dice 
«  che  stette  duro  »  (2). 

E  il  24  ottobre  si  ebbe  l'epilogo. 

Reverendissime  domine  mi  colendissime  &:c. 

In  questa  bora  torno  da  palazo,  ove  ho  visto  la  cerimonia  di 
questi  cardinali  privati.  La  quale  se  è  facta  nella  sala  delli  Re  tra 
l'una  et  l'altra  cappella  parata  excellentissimamente.  La  residentia  con 
le  panche  spallierate  è  stata  apiè  di  decta  sala  ove  era  la  scala  mu- 
rata. Essendo  N.  S.  nella  sede  sua,  senza  cardinali  da  canti,  et  li 
R™^  alli  lochi  loro,  imposto  a  ciascuno  silentio,  cominciò  ad  orare 
lo  advocato  fiscale,  mostrando  quanto  era  laudabile  la  unione  delli 
membri  della  Sede  apostolica,  et  quanto  sancta  la  obbedientia  verso 
colui  che  gerebat  vices  Christi  in  terris,  et  e  converso  quanto  dete- 
stabile la  disunione  et  inobbedientia  &c.  Extendendosi  in  le  laude  di 
papa  lulio  che  tante  fatiche  et  spese  facte  havessi  per  accrescere  la 
reputatione,  lo  stato  et  la  grandeza  della  Chiesa,  et  che  volendo,  l'anno 
passato,  recuperare  la  sua  città  di  Ferrara,  si  mosse  infermo  andarvi 
impersona,  ma  li  tali  iniqui  cardinali  si  partirono,  come  disubbidienti  &c. 
et  qui  narrò  quanto  N.  S.  haveva  cercato  redurli  alla  vera  via,  il  che 
loro  non  havevano  mai  facto,  ma  sempre  andati  di  male  impeggio, 
et  ultimamente  intimato  il  concilio,  per  fare  scysma,  dividere  la 
Chiesa  et  metterla  sotto  sopra  &c.  che  N.  S.  li  aveva  facto  il  mo- 
nitorio penale,  al  quale  non  havevano  obbedito,  et  che  per  questo 
nel  ultimo;secreto  consistorio  S.  S»^  col  consenso  di  tucto  il  collegio  li 
haveva  privati,  pregando  hora  come  advocato  fiscale  insieme  col  pro- 
curatore fiscale  che  S.  S'^  degnassi  concluderli  dichiarati  privati  della 
dignità  del  cappello,  d'ogni  honore,  d'ogni  auctorità,  d'ogni  chiesa, 
e  beneficio  &c.  et  cosi  N.  S.  dixe.  Concludimus.  Dipoi  parlò  il  pro- 
curatore fis.  che  era  drieto  alle  spalle  del  camarlingo,  suppHcando  a 
X.  S.  che  volessi  far  leggier  la  sententia,  et  dixe:  Volumus,  et  fu- 
rono date  al  secretarlo  certe  carte  che  leggessi  :  et  cosi  fece,  ma 
quasi  nessuno  lo  intese.  Contenevono  li  errori  commessi  di  questi 
cardinali   di  per  se  quelli  delli   tre  citati,  da  quelli  di  Bayus,   et  in 


(i)  Carle  Strc:^iiaiie,  a  e.  52;  lettera  del  2^  ottobre. 
(2)  Ivi,  a  e.  57;  altra  lettera  del  medesimo  giorno. 


570  G.    Grimaldi 


ultimo  gli  sententiava  et  dichiarava  privati  di  quanto  dico   di  sopra 
aggiugnendovi  etiam  della  voce  activa  et  della  voce  passiva. 

Riparlò  il  procuratore  supplicando  a  S.  5*^  che  ad  futuram  rei 
memoriam  commectessi  che  di  ciò  si  facessi  publico  instrumento, 
et  che  lì  era  il  notaro,  mostrandolo  a  S.  B^e  la  qual  dixe:  Com- 
mictimus,  et  così  il  notaro,  voltatosi  alli  R™i  cardinali  et  alii  pre- 
lati, dixe,  et  vos  estis  testes,  et  qui  finì  la  commedia  per  N.  S.  et 
la  tragedia  per  li  privati.  Andando  su  fino  in  camera  di  N.  S.  vidi 
S.  S^à  benché  un  poco  stanca,  tanto  allegra  quanto  dir  si  può.  Io 
me  ne  son  venuto  a  casa  per  obbedire  a  S.  Bne  di  spacciarvi  questa 
stafTecta. 

Alla  S.  V.  R"^^  humilmente  me  raccomando.  Roma  24  oct.  151 1. 

•••* ,...,, 

humil  factura  di  V.  S.  R™* 
Bernardo  (i). 

Poco  appresso  avvenne  la  privazione  del  cardinale  di 
San  Severino,  che  poi  dal  «conciliabolo»,  trasferitosi  da 
Pisa  a  Milano,  e  finalmente  a  Lione,  fu  eletto  legato  di 
Bologna,  e  contrapposto  al  cardinale  de'  Medici. 

Ma  quello  scisma  fu  una  ben  misera  cosa,  non  avendo 
il  consentimento  e  1'  appoggio  del  popolo,  che  anzi  ne  ma- 
lediceva e  scherniva  pubblicamente  gli  autori,  quasi  rite- 
nendolo causa  delle  sciagure  di  quel  periodo  fortunoso,  e 
alla  perdizione  dei  corpi  aggiungesse  quella  delle  anime. 
Eppure  ancora  cinque  o  sei  anni,  e  il  frate  agostiniano 
avrebbe  lanciato  il  grido  della  rivolta,  mettendo  sossopra 
tanta  parte  della  Cristianità.  La  corruzione  della  Chiesa  non 
era  certo  divenuta  più  grande  in  cosi  breve  spazio  di  tempo  ; 

(i)  Cariò  cit.  a  e.  61.  Il  giorno  dopo  così  dice  in  un  poscritto: 
«  Il  papa  si  dolse  hiersera  meco  molto  del  oratore  hispano,  dicendo 
«  che  contra  la  saputa  et  expressa  voluntà  del  re  haveva  operato 
«  per  questi  privati  et  che  oltra  di  questo  haveva  cerco  con  molti 
«  cardinali  che  stassino  duri  et  forti  a  dare  li  voti  alla  privatione, 
«  tra  quali  credeva  che  fussi  uno  il  Petruccio,  che  stette  un  poco  du- 
ce retto  &c. . . .  Crede  ognuno  che  questa  [privatione]  babbi  a  gene- 
«  rare  gran  [scandalo]  et  che  forse  [a  Bologna]  subito  verranno  [fran- 
«  zesi]  ...  ».  Ivi,  a  e.  62. 


Varietà  571 


né  Leon  X  fu  peggiore  di  Alessandro  VI  o  di  Giulio  IL 
Perchè  mai,  dunque,  i  cardinali  ribelli  non  riuscirono  a 
commover  nessuno,  benché  avessero  il  favore  e  Y  aiuto  di 
un  sovrano  cosi  potente  come  Luigi  XII  ? 

Mancò  l'uomo,  mancò  l'apostolo:  non  era  la  luce  di 
un'  idea,  una  visione  di  verità  e  di  libertà,  che  aveva  spinto 
i  cinque  cardinali  a  intimar  al  papa  di  presentarsi  al  con- 
cilio ;  ma  o  r  avevan  £uto  per  ossequio  servile  al  re  di 
Francia,  del  quale  erano  sudditi,  o  li  aveva  allettati  qualche 
bassa  cupidigia  di  denari  o  di  onori.  Mancava  poi  anche 
nel  popolo  superstizioso  quella  fede  che  fa  i  martiri  o  i 
fanatici,  tenendo  i  più  con  scettica  noncuranza  alle  pratiche 
esterne  e  alle  belle  cerimonie,  che  appagavano  l'occhio 
e  l'orecchio,  anziché  all'austerità  e  alla  purezza  dei  principi. 

Quasi  appena  morto  Giulio  II,  i  cardinah  privati  ve- 
nivano per  desiderio  del  novo  pontefice  restituiti  alla  di- 
gnità del  cardinalato,  dopo  essersi  umiliati  e  aver  aderito 
pubblicamente  al  concilio  Laterano,  confessando  e  ricono- 
scendo gli  errori  commessi.  E  alla  fine  dello  stesso  anno 
anche  il  re  di  Francia,  a  nome  suo  e  della  chiesa  galli- 
cana, aderiva  al  conciho  Lateranense,  rinunziando  afflitto 
e  per  sempre  al  suo  infehce  tentativo  di  riforma  reli- 
giosa (i). 

Giulio  Grimaldi. 

(i)  Guicciardini,  htoria  d' Italia,  lib.  XI,  cap.  6,  e  lib.  XII,  cap.  i. 


Archivio  della  R.  Società  rimana  di  sl<.i/\i  yaiiu.  \\A.  XMll.     57 


572  J.  S,  Cardasi 


ORIGINE  PAGANA  DI  DUE  CHIESE 
IN  ROMA. 


Nessuno  dei  descrittori  delle  chiese  urbane  ha  saputo 
ritrovare  1'  origine  della  chiesa  di  S.  xMaria  Maddalena,  ne 
di  quella  della  Pietà  in  piazza  Colonna.  L'Armellini,  il  più 
recente  di  essi,  si  limita  a  dire  di  quella  della  Maddalena 
eh'  è  molto  antica;  che  nel  1403  già  esisteva,  e  che  ad 
essa  vicino  sorgeva  T  arco  della  pietà,  un  antico  fornice 
creduto  di  Traiano,  detto  forse  della  pietà  perchè  situato 
a  poca  distanza  dal  primitivo  Monte  dei  pegni,  e  che  alla 
chiesa  era  annesso  un  ospedale  detto  dei  Battensi.  Prose- 
gue poi  a  narrare  le  vicende  della  chiesa,  cioè  la  con- 
cessione fattane  dall'  arciconfraternita  del  Gonfalone,  che 
n'  era  proprietaria,  ai  ministri  degl'  infermi,  cioè  al  loro 
fondatore  san  Camillo  de  Lellis,  nel  i58(^,  ed  infine  la 
riedificazione  posteriore  fino  alla  bizzarrissima  facciata  eretta 
da  Giuseppe  Sardi  (i).  Occorre  anzi  tutto  eliminare  la 
ipotesi  che  il  nome  della  Pietà  venisse  dall'  arco,  che  ve- 
ramente sorgeva  tra  il  Pantheon  e  la  Maddalena,  dal  Monte 
dei  pegni,  sia  perchè  questo  fu  molto  discosto,  essendo 
stato  da  Sisto  V  collocato  presso  la  via  de'  Coronari,  ove 
se  ne  conserva  il  nome  (piazza  di  Monte  vecchio'),  sia  per- 
chè questo  istituto  fu  fondato  da  Sisto  V  nel  158^;  men- 
tre invece  l*  arco  era  cosi  denominato  nel  medio  evo,  come 
dovrò  notare.  Inoltre  si  deve  reclamare  una  ben  più  re- 

(i)  Armellini,  Chiese  eli  Roma,  2"  ed.  p.  318. 


Varietà  575 


mota  antichità  per  questa  chiesa,  poiché  essa  è  annoverata 
nel  catalogo  delle  chiese  urbane  esistente  in  Torino,  eh*  è 
del  secolo  xiv  (i).  Anche  la  chiesa  della  Madonna  della 
Pietà  in  piazza  Colonna,  di  recente  passata  in  proprietà 
dei  Bergamaschi,  ha  origine  ignota  (2).  Mette  conto  il 
ricercare  queste  due  curiosità,  con  la  massima  parsimonia 
di  citazioni  e  di  discorso. 

Gli  studiosi  delle  antichità  di  Roma  sanno  perfetta- 
mente come  la  leggenda  famosa  di  Traiano  che,  sul  punto 
di  partire  per  la  guerra,  rese  giustizia  ad  una  vedova  cui 
era  stato  ucciso  il  figlio,  si  era  formata  sulla  rappresen- 
tanza di  un  rilievo  marmoreo  che  decorava  il  Foro  Tra- 
iano, e  probabilmente  1'  arco  trionfale  che  a  questo  serviva 
d' ingresso  (3).  Ora,  senza  che  io  qui  riferisca  tutta  la  let- 
teratura storica  con  cui  si  svolge  questo  soggetto,  che  si 
connette  con  la  storia  di  Gregorio  Magno  e  che  è  stato 
reso  immortale  nella  Divina  Commedia  (^Purgatorio,  X, 
73-93),  osserverò  soltanto  che  1'  appellativo  di  arciis  pietatis 
derivato  da  questa  scena,  che  in  verità  rappresentava  Y  im- 
peratore in  mezzo  ai  suoi  uffiziali,  avanti  al  quale  una 
provincia  conquistata  si  genuflette,  fu  di  antica  data,  poi- 
ché si  trova  nelle  più  antiche  descrizioni  dei  monumenti 
romani  dal  secolo  xii  in  poi.  Cosi  nell'  Ordo  romanus  del 
secolo  suddetto  leggiamo  che  il  pontefice  dal  Quirinale 
veniva  ad  sanctam  Mariani  in  Aquiro  ad  arcum  pietatis  (4). 
Nel  cosi  detto  anonimo  MagHabecchiano  si  trova:  «  arcus 
«  pietatis  ad  S.  Mariam  Rotundam  triumphalis  est  versus 
«  ubi  est  hospitale  iuxta  Magdalene  et  Bactentium  difor- 
«  matus  murus  ubi  fuit  historia  imperatoris  cum  pauper- 

(i)  Papencordt,  Gesch.  d.  St.  Rom.  p.  6^. 

(2)  Idem,  p.  307. 

(3)  G ASTON  Paris,  La  léi^cnde  de  Traian  nella  Bibìioih.  des  huutes 
t'iitdes,  1878,  p.  271;  Arturo  Graf,  Roma  nella  vientoria  e  neW  imagi' 
nazione  del  medio  evo,  II,  5. 

(4)  Urlichs,  Codex  top.  U.  R.  p.  79. 


574  .7-  *^-  Cardasi 


«  cula  »  <Scc.  (i).  È  pertanto  cosa  certa  che,  come  nel  Foro 
Traiano  questa  rappresentanza  fu  causa  delle  celebre  leg- 
genda per  la  quale  san  Gregorio  avrebbe  liberato  Tanima 
dell'  imperatore  dall'  inferno,  cosi,  di  fronte  al  Pantheon, 
ve  n'era  un'  altra,  che  fu  soprannominata  delia  pietà.  L'arco 
trionfale  occupava  il  centro  dell'area,  che  ora  è  occupato 
da  un'  isola  di  case,  tra  le  vie  della  Rosetta  e  del  Sole.  Que- 
st'  arco  fu  demolito  insieme  con  1'  ala  settentrionale  del 
quadriportico,  nel  secolo  xvii  ;  e  i  marmi  ne  furono  portati 
via  a  carrettate,  come  si  legge  in  un  appunto  manoscritto 
in  casa  Chigi. 

Questo  rilievo  del  Pantheon,  e  non  quello  già  scom- 
parso del  Foro  Traiano,  dev'essere  stato  osservato  dal  di- 
vino poeta  ;  ed  anch'  egli  volle  seguirne  la  popolare  deno- 
minazione, quando  fece  dire  a  Traiano,  a  cui  sempre  e 
dappertutto  risaliva  il  fatto  :  «  giustizia  il  vuole  e  pietà  mi 
«  ritiene  ».  Tutto  il  quartiere  circostante  fu  intitolato  della 
Pietà,  e  cosi  anche  1'  ospedale  dei  pax^erelli,  il  primo  ma- 
nicomio d' Italia,  che  con  i  suoi  fondi,  orto  e  ricinto  giun- 
geva fino  alla  piazza  ora  detta  di  Pietra,  dai  numerosis- 
simi marmi  del  tempio  di  Nettuno  quivi  scoperti.  Su  questa 
piazza  stava  la  fronte  della  piccola  chiesa  detta  della  Pietà, 
che  adesso  è  spostata  verso  piazza  Colonna  (2).  L' ima- 
gine  della  Madonna,  eh'  è  in  essa  chiesa,  è  modernissima 
importazione  da  Subiaco  :  il  titolo  è  ben  più  antico;  ed 
è  la  Pietà  di  Traiano.  Questo  monumento  è  forse  il  mo- 
tivo del  titolo  ancora  della  chiesa  della  Maddalena,  che 
ho  ricordato  per  la  prima.  Il  soggetto  della  donna  genu- 
flessa innanzi  all'  imperatore,  che  significava  la  provincia 
sottomessa,  interpretato  per  la  ripetuta  scena  pietosa,  do- 
vette servire  anche  alla  fantasia  del  popolo  per  indicare  la 
donna  di  Magdala  prostrata  innanzi  al  divino  Maestro.  Se 

(i)  Urlichs,  op.  cit.  p.  155. 
(2)  Armellini  cit.  p.  307. 


Varietà  575 


noi  potessimo  ricostruire  T  ambiente  perfetto  di  quella 
piazza,  nel  pieno  medio  evo,  vedremmo  quel  rilievo  ve- 
nerato come  imagine  di  Cristo  e  della  Maddalena,  ornato 
forse  di  luminarie  e  di  oggetti  votivi,  finché,  crollato  l'in- 
tiero edifizio  («  archus  diruptus  et  fractus  »,  lo  dice  il  Ma- 
gliabecchiano  cit.),  fu  sostituito  da  un  oratorio  dedicato  alla 
Santa,  e  quindi  dalla  moderna  chiesa.  Questo  soggetto,  che 
fu  anche  interpretato  in  Paneade,  ossia  in  Cesarea  di  Fi- 
lippo, per  r  incontro  del  Redentore  con  l'Emorroissa,  sug- 
gerì alla  imaginazione  religiosa  dei  Romani  la  ragione  di 
una  chiesa  speciale,  come  T  antica  denominazione  della 
Pietà  suggeriva  quella  del  quartiere  e  dell'  ospedale  dei 
pazzi.  E  quando  l'ospedale  stesso  fu  trasferito  alla  via  della 
Lungara,  mantenne  la  intitolazione  di  S.  Maria  della  Pietà. 


Francesco  Saverio  Cardosi. 


Raffaele  Ambrosi  De  Magistris. 


Un'  altro  de'  più  antichi  della  nostra  Società,  Raffaele 
Ambrosi  De  Magistris,  è  mancato  ai  vivi,  rapito  quasi 
improvvisamente  all'  affetto  dei  congiunti  e  degli  amici, 
la  notte  del  29  dicembre  ultimo  passato. 

Era  nato  in  Anagni,  di  nobile  famiglia,  nel  183 1.  A 
Subiaco,  nel  convitto  presso  l'abbazia  dei  Benedettini, 
aveva  fatto  i  primi  studi  e  nell'  Università  di  Roma  aveva 
conseguita  la  laurea  in  giurisprudenza.  Chiamato  più  tardi 
air  ufficio  di  Bibliotecario  della  Vittorio  Emanuele,  a  quello 
accudì  con  tutto  sé  stesso,  pago  di  poter  dedicare  a'  suoi 
studi  prediletti  le  ore  che  i  doveri  dell'ufficio  gli  lascia- 
vano libere.  D'  animo  buono,  affabile  di  maniere,  cordial- 
mente servizievole  verso  chiunque  si  fosse  rivolto  a  lui, 
lascia  in  quanti  lo  conobbero  il  ricordo  di  una  di  quelle 
figure  che  ogni  giorno  si  vanno  facendo  più  rare.  L'  a- 
more  dei  suoi  studi  fu  la  storia,  e  il  nostro  Archivio  rac- 
colse la  maggior  parte  dei  lavori  coi  quali  egli  s'  era  ve- 
nuto preparando  a  rifare  gli  annali  della  sua  città  nativa, 
opera  alla  quale  intendeva  di  dedicare  quanto  gli  restava 
della  vita.  Ma  la  perdita  di  una  figlia  amatissima,  indi 
quella  della  sua  compagna,  portarono  nel  suo  spirito  il 
lutto  e  la  stanchezza,  e  la  morte  lo  sorprese  prima  an- 
cora ch'egli  avesse  portata  a  compimento  la  bella  storia 
d'Anagni,  alla  quale  pur  resta  onoratamente  legata  la  me- 
moria del  suo  nome. 

E.  M. 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ 


Seduta  del  ij  dieembre  i^oo. 

Sono  presenti  i  soci:  U.  Balzani,  presidente,  I.  GiORcr, 
segretario,  G.  Navone,  tesoriere,  C.  Maes,  E.  Monaci, 
G.  MoNTicoLO,  M.  Rosi,  O.  Tommasini,  ed  i  signori 
Federici,  Focolari,  Giovankoni,  Hermanin  invitati  alla 
riunione.  Si  scusano  di  non  potere  intervenire  i  soci 
Guidi  e  Torraca. 

Il  Presidente  notando  come  la  ripresa  dei  lavori  so- 
ciali sia  quest'  anno  oscurata  da  un  velo  di  profonda  tri- 
stezza, riferisce  che  non  appena  giunse  in  Roma  il  ferale 
annunzio  dell'  assassinio  che  ha  funestato  il  mondo  civile 
e  ha  coperto  T  Italia  di  lutto,  il  seguente  telegramma  fu 
diretto,  in  nome  della  Società,  alla  Reggia  di  Monza: 

A.  S.  E.  LA  Marchesa  di  Villamarina. 

La  Reale  Società  Romana  di  Storia  Patria  prega  V.  E.  d'essere 
interprete  presso  S.  M.  Li  Regina  Margherita  dei  sensi  con  cui,  nel- 
r  angoscia  di  quest'  ora  nefanda,  si  associa  al  lutto  d' Italia  e  all'e- 
secrazione del  più  orrendo  dei  parricidi. 

Il  Vicepresidente:  E.  Monaci. 

A  questo  telegramma  S.  E.  la  Marchesa  di  Villamarina 
rispondeva  : 

Società  Romana  di  Storia  Patria. 

Nella  parte  presa  al  suo  straziante  dolore  S.  M.  la  Regina  rav- 
visava un  atto  di  devozione  affettuosa  di  cui  ringrazia  vivamente  ri- 
conoscente. 

La  Dama  d'onore:  Marchesa  di  Villamarina. 


jSo  oAtti  della  Società 


Nel  giorno  poi  del  giuramento  di  S.  M.  Vittorio  Ema- 
nuele III,  non  avendo  il  Presidente  potuto  trovarsi  in 
Roma,  inviò  alla  Reggia  del  Quirinale  quest'  altro  tele- 
gramma : 

A.  S.  E.  IL  Primo  Aiutante  di  campo  di  S.  M. 
Palazzo  Quirinale  -  Roma. 

La  Reale  Società  Romana  di  Storia  Patria  invia  alla  Maestà  del 
Re  in  questo  giorno  solenne  un  augurio  reverente  e  l'espressione 
della  sua  sudditanza  devota  e  fedele.  Ai  tempi  nuovi  che  Iddio  ma- 
tura nel  destino  dei  popoli,  soccorra  lungo  fermo  glorioso  il  regno 
di  Vittorio  Emanuele  III,  e  riveli  ancora  una  volta  al  mondo  l'alta 
perpetua  missione  della  madre  Italia  nella  storia  delle  genti  umane. 

Il  PresidmU:  Ugo  Balzani. 

S.  E.  il  Ministro  della  Real  Casa  inviava    la  seguente 

risposta  : 

Conte  Ugo  Balzani 
Presidente  della  R.  Società  Romana  di  Storia  Patria. 

I  sentimenti  di  rinnovata  devozione  alla  Casa  di  Savoia,  dei 
quali  V.  S.  rendevasi  interprete,  giungevano  ben  graditi  a  S.  M.  il 
Re,  che  ringrazia  dello  spontaneo  omaggio. 

Il  Ministro:  E.  Ponzio  Vaglia. 

II  Presidente  annunzia  inoltre  di  avere  avuto  l'onore 
di  presentare  a  S.  M.  il  Re  l'espressione  del  devoto  omaggio 
della  Società,  e  che  Sua  Maestà  si  è  degnata  incaricarlo 
di  riferire  ai  colleghi  i  suoi  sentimenti  di  benevolenza  e 
d' interesse  per  la  Società  stessa.  Legge  poi  la  seguente 
commemorazione  : 

«  U  ultima  volta  che  ci  adunammo,  io  ebbi  l'onore 
di  portarvi  il  saluto  che  Sua  Maestà  il  Re  Umberto  I  vi 
mandava,  e  ripetervi  le  parole  benevole  eh'  Egli  mi  aveva 
incaricato  di  dirvi.  Pochi  mesi  dopo  1'  Italia  era  in  lutto, 
piena  di  raccapriccio  per  un  delitto  nefando  dal  cui  pen- 
siero rifugge  l'animo.  Il  bello  e  altero  soldato  d'Italia  non 
era  caduto  sul  campo    col    sole  radioso  in   fronte,   tra  il 


oAtti  della  Società  5S1 

rombo  dei  cannoni  e  lo  squillar  delle  trombe,  guidando  i 
suoi  alla  battaglia.  Così  soltanto  pareva  che  un  Savoia 
potesse  morir  di  ferite,  ma  nei  misteri  della  vita  il  suo  era 
un  diverso  destino.  A  lui  che  fanciullo  aveva  udito  sulle 
labbra  del  padre  risuonar  cupo  il  nome  di  Novara,  e  fre- 
mere fiero  il  giuramento  della  riscossa,  che  nella  adole- 
scenza aveva  provata  V  ansia  impaziente  d' essere  troppo 
giovane  per  trovarsi  a  Palestro  e  a  S.  Martino,  che  a  Vil- 
lafranca  aveva  finalmente  goduta  1'  ebbrezza  del  pericolo 
sfidato  per  la  patria,  dovevano  essere  troncati  i  palpiti  del 
cuore  dalla  mano  abietta  d*  un  assassino  in  agguato. 

«  Il  corso  del  suo  regno  fu  arduo  ad  un*  anima  de- 
siderosa d*  espandersi  e  d'uscir  dal  comune.  UltaHa,  dopo 
il  grande  sforzo  compiuto  pel  suo  risorgimento,  pareva 
stanca  quando  Umberto  I  saliva  al  trono.  Egli  che  aveva 
trascorsa  la  giovinezza  tra  sogni  di  gloria,  accanto  ai  grandi 
che  circondavano  il  suo  gran  padre,  non  trovò  intorno  a 
se  che  forze  mediocri  e  mediocri  aspirazioni.  Nessuna 
maggiore  malinconia  che  avere  nel  segreto  del  cuore  il 
sentimento  dell'  eroico  e  non  vedersi  vicino  petti  a  cui 
comunicarne  il  sospiro.  Altri  si  sarebbe  sfiduciato.  Egli 
comprese  ed  accettò  il  grave  dovere  che  gì*  incombeva.  Il 
suo  fu  genio  d'amore.  Intuì  le  forze  latenti  del  suo  popolo 
e  si  consacrò  ad  esso.  Pose  la  sua  gloria  negli  umili,  e  si 
diede  ad  essi  dimentico  di  se  nella  coscienza  alta  della 
sua  missione.  Non  tutte  le  grandi  virtù  e  le  più  pure  ri- 
vela sempre  la  storia,  e  virtù  suprema  è  l*  operare  il  bene 
in  silenzio.  La  pietA  di  Casamicciola,  la  carità  di  Busca  e 
di  Napoli,  dove  Egli  parve  accarezzare  la  morte  per  ad- 
dolcirla ai  morenti,  sono  come  lampi  di  luce  che  illumi- 
nano tutta  una  vita  di  benefici  amorosamente  celati.  Con 
verace  espressione  ha  detto  testé  un  nostro  consocio  che 
il  grido  Fado  dove  si  muore,  riscontra  nella  storia  sabauda 
le  supreme  parole  di  Amedeo  Vili:  Facitc  iustitiam  et  di' 
lipie  pauperes. 


582  oAtti  della  Società 

«  Egli  infatti  amava  facendo  giustizia,  e  Topera  sua  s'in- 
formava a  un  principio  educatore  aiutando  il  suo  popolo 
verso  un  moto  di  rigenerazione  morale  che  ancora  procede 
e  di  cui  solo  col  tempo  si  vedrà  il  frutto.  Ogni  tentativo 
per  avanzare  la  civiltà  del  paese  in  tutte  le  sue  espressioni 
trovava  in  lui  pronta  simpatia  ed  aiuto.  Fedele  ai  suoi 
doveri  di  Re,  Egli  fece  quanto  era  da  lui  per  tenere  in- 
sieme le  forze  spesso  discordi  che  dovevano  guidare  V  I- 
talia  in  una  via  di  sincero  progresso.  Quale  e  quanto  sia 
stato  questo  progresso  vedranno  i  posteri,  a  noi  ora  vieta 
di  scernerlo  appieno  il  sobbollimento  di  male  passioni  che 
vanno  venendo  a  galla  nelle  acque  intorbidate  della  poli- 
tica italiana.  Fra  le  sue  aspirazioni  e  T  attuazione  di  esse 
si  ponevano  sovente  come  un  cuneo  queste  male  passioni, 
ed  egli  lo  sentiva  e  se  n*  addolorava.  Gli  doleva  di  non 
essere  assecondato  come  avrebbe  voluto,  e  dai  suoi  di- 
scorsi familiari  spesso  traspariva  un  sentimento  misto  d'en- 
tusiasmo e  di  tristezza  che  lasciava  pensoso  chi  l'ascoltava. 
Certo  nelle  ore  sue  più  tediose  e  meste  doveva  crescergli 
più  intenso  nell'  anima  generosa  1'  ardore  di  trovarsi  col 
popolo  e  fra  il  popolo  ch'egli  amava  e  comprendeva,  e  da 
cui  si  sentiva  amato  e  compreso.  I  suoi  valligiani  di  Val 
d'Aosta,  i  fieri  onesti  Romagnoli  a  cui  s'  abbandonava  si- 
curo, questa  Roma  immutata  dal  giorno  che  gli  giurò  fede, 
i  braccianti  d'Ostia,  le  espansive  popolazioni  di  Napoli,  di 
cui  aveva  consolato  i  dolori  e  i  terrori,  lo  compensavano 
della  lunga  pazienza  che  gli  era  necessaria  nel  lavoro  quo- 
tidiano, lavoro  prezioso  del  quale  terrà  conto  un  giorno 
e  farà  giustizia  la  storia. 

«  Col  regno  d'Umberto  I  si  chiude  un  periodo  storico 
di  elaborazione  lenta  e  faticosa,  e  nuovi  problemi  s"  affac- 
ciano innanzi  ai  quali  l' Italia  avrà  bisogno  di  tutte  le  forze 
eh'  egli  cercò  di  educare,  avrà  soprattutto  bisogno  di  fede 
in  sé  stessa  e  nei  suoi  destini.  Egli  ha  dato  tutto  sé  alla 
patria,  e  la  stessa  sua   morte   è  come  un  simbolo  di  sa- 


oAttì  della  Società  583 

grifìcio  di    cui  tutti  dobbiamo  cercare  d' intendere  T  alto 
significato. 

«  Dalla  sua  tomba  come  da  un'ara  sacra  s'innalza  la 
preghiera  di  tutto  un  popolo,  e  la  solleva  a  Dio  una  cosi 
santa  interprete  d'amore  e  di  dolore,  che  par  quasi  pro- 
fano profferirne  il  nome  augusto  e  pio,  e  i  cuori  non 
possono  che  seguirla  riverenti  in  silenzio.  Accolga  Iddio 
la  preghiera,  e  quando  la  sua  benedizione  scenderà  sul 
capo  del  giovane  Re  che  gli  succede  e  sulF  Italia,  esulterà 
in   alto  l'anima  immacolata  d'Umberto  il  Buono». 

Il  signor  Hermanin,  invitato  dal  Presidente,  legge  una 
relazione  intorno  alle  pitture  scoperte  nel  convento  di 
S.  Cecilia  e  attribuite  al  Cavallini  (Un  affresco  di  Pietro 
Cavallini  a  S.  Cecilia  di  Trastevere').  Dopo  alcune  osserva- 
zioni del  socio  Navone  a  cui  risponde  il  signor  Hermanin, 
il  Presidente  dà  la  parola  al  signor  Federici  per  una 
comunicazione  intorno  alle  pitture  recentemente  scoperte 
nel  Foro  (5.  M.  Antiqua  e  gli  nltimi  scavi  del  Foro  Romano). 

La  Società  ringraziando  gli  autori  delibera  che  le  due 
interessanti  comunicazioni  vengano  per  intero  inserite  in 
questo  stesso  fascicolo  àdV  Archivio  (i). 

La  Società  dehbera  anche  che  si  mandi  un  voto  di 
plauso  alla  Amministrazione  del  Fondo  pel  culto  e  alla 
Direzione  generale  degli  scavi  per  1'  opera  sapiente  di  ri- 
cerche cosi  bene  iniziate  e  che  hanno  recato  tanta  luce 
alla  storia  medioevale  di  Roma. 

La  seduta  è  sciolta  alle  ore   15. 

(i)  V.  pp.  397  e  517. 


BIBLIOGRAFIA 


Pasquale  Villari,  Le  invasioni  barbariche  in  Italia,  con  tre 
carte.  —  Milano,  Hoepli,  1901,  pp.  xiii-480,  in- 16. 

Pasquale  Villari  nota  opportunamente  nella  Prefazione  a  questo 
libro  come  in  mezzo  al  fiorire  degli  studi  storici  la  classe  colta 
d' Italia,  lasciati  i  manuali  scolastici,  non  potendo  leggere  le  opero 
critiche  degli  specialisti,  sia  obbligata  per  conoscer  la  storia  del  po- 
polo nostro  a  ricorrere  ai  libri  stranieri.  L' illustre  autore  con  questo 
suo  scritto  accresce  il  prestigio  ad  una  serie  di  volumi  di  storia  che 
r  Hoepli  ha  cominciato  a  pubblicare,  perchè  anche  l' Italia  abbia 
delle  opere,  le  quali  narrino  i  fatti  «  nella  loro  cronologica  succes- 
«  sionc,  senza  discutere  o  dissertare,  e,  per  quanto  è  possibile,  senza 
«  annoiare  »  (Pref.  p.  xii). 

Valendosi  di  buoni  autori  moderni,  del  suo  studio  delle  fonti  e 
della  propria  coltura  acquistata  con  tanti  anni  di  proficuo  lavoro,  il 
Villari  narra  nei  quattro  libri  di  questo  volume  la  storia  nostra  dagli 
ultimi  tempi  dell'  Impero  d'  Occidente  all'  incoronazione  di  Carlo 
Magno. 

Tutta  l'opera  si  legge  volentieri  e  con  profitto,  comprese  quelle 
parti  che  trattano  di  cose  difficili  in  sé,  e  che  più  difficili  appariscono 
quando  son  trattate  brevemente.  Ciò,  per  esempio,  avviene  per  la 
descrizione  della  società  barbarica  e  della  romana  fatta  vivacemente 
e  con  sobrietà  nei  primi  due  capitoli,  i  quali  servono  tanto  bene  per 
far  capire  gli  elementi  che  costituiscono  la  società  medioevale.  Chiaro 
è  r  intuito  dei  danni  preparati  a  Roma  per  la  concessione  da  Teo- 
dosio fatta  ai  Goti  di  abitare  come  federati  in  Tracia.  «  Questi  bar- 
«  bari  »,  come  giustamente  osserva  il  Villari  nel  lib.  I,  cap.  v,  p.  5, 
«  che  potevano  da  un  momento  all'altro  risorgere,  erano  il  richiamo 
«  continuo  di  altri,  i  quali  passavano  il  Danubio  alla  spicciolata,  o  di- 
«  sertavano  le  bandiere  romane,  o  spezzavano  le  catene  della  schiavitù  ». 

È  pregio  notevole  di  quest'  opera  lo  studio  delle  condizioni  dei 
popoli  e  dell'amministrazione  degli  Stati.  Vedasi  a  questo  proposito 


SS6  bibliografia 


la  descrizione  delle  condizioni  dell'Africa  sotto  i  Vandali  (I,  viii,  90), 
dell'  Italia  sotto  Odoacre  (II,  i,  132)  e  sotto  Teodorico  (II,  ni,  152). 
E  non  meno  pregevole  può  dirsi  il  racconto  di  leggende  e  di  epi- 
sodi fatto  con  molta  opportunità.  Per  averne  un  saggio  si  legga  la 
narrazione  della  morte  del  generale  Bonifazio  (I,  viii,  87),  l'episodio 
di  Onorio  e  di  Attila  (I,  ix,  97),  la  leggenda  dei  morti  combattenti 
in  aria  la  notte  successiva  alla  battaglia  vinta  da  Ezio  a  Chàlons 
contro  gli  Unni  (I,  ix,  105),  l'incontro  di  Attila  con  Leone  I  (I,  ix, 
ire),  la  visita  di  Odoacre  a  san  Severino  (II,  i,  128)  &c. 

Allo  scopo  propostosi  dal  libro  giova  pure  la  descrizione  dei  ca- 
ratteri di  alcuni  personaggi  celebri,  come  Leone  I  (I,  ix,  108),  Teo- 
dosio (II,  IV,  173),  san  Benedetto  (II,  vii,  209),  san  Gregorio  Magno 
(III,  IV,  285)  &c. 

L'illustre  autore  in  tutto  il  libro  riconosce  l'importanza  della 
Chiesa,  lo  spirito  di  sacrificio  e  la  fede  sublime  de'  suoi  primi  sa- 
cerdoti :  e  con  poche  e  precise  parole  fa,  quando  occorre,  giusti 
apprezzamenti.  Così,  per  esempio,  dopo  aver  ricordato  il  saccheggio 
di  Roma  fatto  dai  barbari  e  la  carità  del  vescovo  di  Cartagine  Deo- 
gratias,  dice  :  «  In  mezzo  alla  spaventosa  rovina  del  mondo  romano, 
((  solo  i  rappresentanti  della  religione  e  della  Chiesa  sapevano  dar 
«prova  di  umana  dignità  e  di  eroica  grandezza.  Certo  è  che  col 
«sacco  dato  dai  Vandali  l'antica  Roma  è  caduta,  la  nuova  già  co- 
«  mincia  a  sorgere  facendo  prova  d'una  grandezza  diversa,  ma  non 
«  meno  ammirabile.  La  gloria  del  Campidoglio  più  non  esiste,  co- 
te mincia  quella  del  Vaticano»  (I,  x,  117). 

E  nel  medesimo  modo  parla  della  coltura  e  dei  costumi,  finendo 
così  col  mettere  insieme  elementi  bastevoli  per  conoscer  la  vita  del 
popolo  nostro  nell'  intricato  periodo  che  termina  colla  restaurazione 
dell'  Impero  romano  d'  Occidente. 

Le  carte  geografiche  unite  al  volume  ne  agevolano  la  lettura,  e 
un  diligente  indice  alfabetico  lo  rende  utile  anche  a  quelli  che  vo- 
lessero soltanto  consultarlo. 

M.  Rosi. 


Orazio  Bacci,  Vita  di  Benvenuto  Celìini.  Testo  critico  con 
introduzione  e  note  storiche.  —  Firenze,  G.  B.  San- 
soni,  1901. 

L'edizione  critica  dell'autobiografia  del  Cellini  a  cura  di  Orazio 
Bacci  era  attesa  da  un  pezzo.  Si  sapeva  che  egli  vi  lavorava  da  al- 
cuni anni,  sin  da  quando  cioè  Giosuè  Carducci  lo  aveva  incaricato 


"Bibliografia  587 


di  apprestare  un'edizione  scolastica  commentata  della  Vita  celliniana. 
Essa  vede  ora  la  luce,  dedicata  a  «  Firenze  madre,  nel  IV  centenario 
«della  nascita  di  Benvenuto  Cellini».  Tutti  i  precedenti  editori  della 
Vitay  qual  più,  qual  meno,  si  proposero  di  scusare  e,  peggio  ancora, 
di  correggere  le  capestrerie  e  le  irregolarità  che  sono  invece  le  doti 
più  singolari  e  più  belle  del  Cellini.  Il  curioso  si  è  che  le  incertezze 
e  le  mescolanze  crebbero  pure  con  editori  diligenti,  ma  ben  poco 
fortunati,  quali  il  Carpani,  la  cui  opera  attesta  il  desiderio  e  il  bi- 
sogno di  una  edizione  definitiva.  E  cosi  si  perpetuarono,  perfino  nella 
accurata  edizione  del  Bianchi,  i  difetti  originali  delle  prime  stampe, 
che  erano  anche  i  difetti  delle  copie  manoscritte:  l'infedeltà  e  T ar- 
bìtrio. 

Prima  del  Bacci,  nelle  ultime  edizioni  fiorentine,  si  era,  è  vero, 
collazionato  il  testo  sull'  originale.  Ma  la  collazione  fu  compiuta  senza 
quel  metodo  che  la  critica  moderna  richiede,  in  fretta,  trascurando 
completamente  l' interpretazione  della  punteggiatura  e  degli  altri  segni 
grafici.  Movendo  dal  concetto  di  correggere,  si  videro  errori  dove 
non  erano  e  si  alterarono  forme  più  che  legittime,  si  ebbero  fedeltà 
inopportune  e  libertà,  anzi  licenze  non  giustificabili.  Il  bello  si  è  che 
alcuni  editori,  mentre  affermavano  di  avere  studiato  il  manoscritto 
originale,  in  realtà  ne  avevano  appena  conosciuta  l'esistenza.  Cosi 
il  Plon  (nell'opera  B.  Cdlini  orfèvre,  médaiìleur  &c.,  Paris,  1883,  p.  114) 
dice  il  manoscritto  coperto  di  pergamena  {parchemin),  mentre  invece 
è  legato  in  pelle  verde,  e  Gaetano  Guasti,  ultimo  ripubblicatore  (Bar- 
bera, 1890)  della  intera  Vita^  asserisce  la  medesima  cosa:  il  che  non 
gli  impedì  peraltro  di  scrivere  sulla  copertina  del  suo  libro:  «Nuo- 
ce vamente  riscontrata  sul  manoscritto  Laurenziano  ». 

Del  metodo  tenuto  nella  edizione  del  manoscritto  originale  il 
Bacci  parla  a  lungo  nel  capitolo  III  della  Prefazione  (pp.  lviii-lxxiv). 
Egli  giustamente  osserva  come  il  metodo  da  serbare  nella  ricostru- 
zione dei  testi  anticiii  ha  progredito  assai,  e  dai  tentativi  empirici, 
in  odio  alla  filologia  e  alla  storia,  ci  ha  condotti  ad  una  rappresen- 
tazione razionale  e  conveniente.  L'editore  critico  si  trova  dinnanzi 
quasi  per  ogni  testo  ad  un  caso  nuovo,  reso  tale  da  quelle  piccole 
contingenze  di  luogo  e  di  tempo  che  egli  avrebbe  gran  torto  di  tra- 
scurare. Sin  dove  ha  da  essere  fedele  riproduzione?  Quali  cambia- 
menti si  possono  fare?  Nel  caso  attuale  il  manoscritto  originale,  che 
ha  valore  di  autografo  anche  nelle  parti  non  di  mano  del  Cellini, 
non  poteva  risolvere  di  per  sé  ogni  questione  di  metodo.  Il  ripro- 
durlo del  tutto  tale  e  quale  non  avrebbe  mentito  il  nome  di  opera 
critica,  come  avrebbe  meritato  ben  contrario  nome  T.ivor  uniformato 
rigidamente  quello  che  è  per  sua  natura  e  fortuna  disforme  e  vario. 

Archivio  della  li.  Società  romana  di  storia  patria.  \'oI.  \XIII.  ^"^ 


588  "Bibliografia 


Il  manoscritto  si  può  distinguere  in  due  parti  principali:  l'auto-, 
grafa  e  la  non  autografa,  e  questa  quasi  tutta  messa  insieme  da  un 
garzoncello  di  bottega:  Michele  di  Goro  della  Pieve  a  Groppine, 
che  scriveva  sotto  dettatura.  Il  garzoncello  scrivendo  ci  portava  la 
sua  inesperienza  ortografica  e  grafica.  Ma  le  scorrezioni  dell'ama- 
nuense in  certo  qual  modo  riconobbe  e  fece  proprie  il  Cellini  che 
dovette  pur  rivedere  il  dettato  del  ragazzo.  Come  rispetto  allo  stile, 
it  Bacci  stimò  doveroso  conservare  e  non  correggere  i  costruiti  ge- 
nuini, così  per  quello  che  è  forma  e  colorito  gli  parve  necessario 
mantenere  ragionevole  fedeltà  all'originale,  accettando  le  grafie  biz- 
zarre, incoerenti,  ma  nella  loro  bizzarria  e  incoerenza  appunto  più 
celliniane.  Non  dunque  riproduzione  fotografica,  ne  diplomatica,  ma 
trascrizione  fedele  con  discreta  interpretazione  di  segni  della  scrittura, 
mirando  a  rispettare  le  forme  caratteristiche  e  accogliendo  pur  qualche 
temperamento,  di  cui  non  si  può  fare  a  meno  con   nessun  sistema., 

Cosi  facendo  il  Bacci  riuscì  -  come  egli  stesso  ci  dice  -  a  non 
deformare  la  storica  e  legittima  forma  di  un  testo,  che  è  ben  sin- 
golare sì,  ma  che  trova  poi  alla  sua  legittimità  facili  attestazioni  e 
riscontri  in  molte  scritture  popolari  del  secolo  ;  riuscì  ad  evitare  gli 
inutili  arbitri,  e  a  serbare  il  loro  carattere  originario  alle  capestrerie, 
del  manoscritto,  evitando  il  pericolo  di  ridurre  a  legge  ciò  che  è 
eslege  e  di  costruire  teoriche  per  ogni  fantasia  di  un  copista  igno- 
rantello  e  di  uno  scrittore  strambo. 

Primo  ad  avere  notizia  del  manoscritto  originale  fu  il  Maglia- 
becchi,  ma  sino  al  1829  esso  non  fu  esaminato  da  nessuno. 

La  storia  del  codice  è  una  delle  più  intricate  e  il  Bacci  stesso 
non  riesce  a  poter  determinare  esattamente  le  vicende  che  subì. 

Certo  è  però  che  i  primi  possessori  dell'autografo  ceUiniano  ci 
appariscono  i  Cavalcanti.  Come  dai  Cellini  passasse  ai  Cavalcanti 
non  si  sa.  Il  primo  dei  Cavalcanti  che  possedette  il  prezioso  mano- 
scritto fu  Andrea,  che  il  Bacci  identifica  col  noto  accademico,  figlio 
di  Lorenzo  di  Vincenzo,  e  dal  1658  accademico  della  Crusca.  Altro 
possessore  fu  Lorenzo  Maria  Cavalcanti  che  lo  donò  a  Francesco 
Redi.  L'anno  in  cui  il  Redi  l'ebbe  in  dono  s'ignora.  Il  Bacci  però 
riesce  a  precisarlo  nell'anno  1691. 

Ai  primi  di  questo  secolo  il  codice  era  in  mano  degli  Scolopi, 
che  sembra  lo  acquistassero  dai  Gesuiti.  Nel  1805  Luigi  de  Poirrot, 
bibliotecario  della  Mediceo-Laurenziana,  I' acquistò  dal  libraio  «  Cec- 
«  chino  dal  Seminario»  e  morendo  nel  1825  lo  lasciò  alla  biblioteca 
stessa. 

Il  Bacci  ha  voluto  fissare  bene  i  tratti  caratteristici  della  scrit- 
tura celliniaila  e  nella  Prefazione,  senza  riferire  la  minuta  analisi  che 


"Biblìogra/ìa  589 


ne  ha  fatto,  ha  creduto  però  opportuno  dichiarare  che  molti  e  par- 
ticolari raffronti  dell'originale  fece  specialmente  col  Libro  dei  ricordi 
e  conti  autografo  (ms.  Riccardiano  3082)  e  colle  scritture  della  cas- 
setta palatina  della  Nazionale  di  Firenze,  contenente  autografi  cel- 
liniani,  raffronti  non  inutili  per  la  ragione  che  la  scrittura  del  Cellini 
e  quella  del  fanciullino  hanno  molti  punti  di  contatto. 

Completa  è  la  rassegna  critica  che  il  Bacci  fa  delle  edizioni  a 
stampa  e  delle  traduzioni  in  lingue  straniere  e  l'elenco  dei  drammi, 
delle  commedie,  dei  romanzi,  che  dalla  autobiografia  del  Cellini  tras- 
sero argomento. 

L'edizione  ha  delle  note  critiche  e  delle  note  storiche.  Nelle  prime 
ha  raccolto  via  via  elementi  sufficienti  per  la  posizione  e  soluzione 
dei  piccoli  problemi  che  sono  risoluti  nel  testo.  Nelle  note  storiche,  ha 
riassunto  quanto  gli  ultimi  editori  avevano  detto  in  proposito,  non 
risparmiando  però  ricerche  a  fonti  non  usate  o  poco  esplorate,  rifa- 
cendo, per  esempio,  del  tutto  le  esplorazioni  d'archivio  per  le  per- 
sone che  sono  ricordate  della  famiglia  Cellini. 

Alcuno  potrebbe  forse  osservare  che  qualche  nota  avrebbe  po- 
tuto essere,  se  non  più  esatta,  certo  più  completa,  ma  il  Bacci  non 
ha  inteso  di  fare  vere  e  proprie  ricerche  dirette  sulle  fonti,  acconten- 
tandosi di  richiamare  poche  e  sicure  noti/'e  su  personaggi  ed  avve- 
nimenti noti  ad  ogni  lettore  mediocremente  colto. 

Il  Bacci  premette  alla  Vita  la  lettera  indirizzata  il  22  maggio  1559 
dal  Cellini  al  Varchi,  ricollazionata  però  sull'autografo,  contenuto 
fra  le  carte  celliniane  della  cassetta  palatina.  Alla  Vita  è  anche  pre- 
messa una  nota  critica  di  I.  B.  Supino  sull'  unico  ritratto  del  Cel- 
lini, raffigurato  in  un  dipinto  del  Vasari  nella  gran  sala  di  Cosimo, 
in  Palazzo  Vecchio. 

L'edizione  critica  è  completata  óaW Albero  genealogico  dei  Cellini 
dal  secolo  xv  al  xvii;  da  una  minuta  Notiiia  dei  documenti  editi  ed 
inediti  su  Benvenute,  da  un  Sommario  cronologico  della  vita  del  me- 
desimo; àzW  Elenco  delh  opere  d'arte  ricordate  nella  Vita,  e  da  un  mi- 
nuzioso Indice  delle  persone  e  delle  cose  notabili  nella   Vita. 

Alcuni  documenti  inediti  intorno  al  Cellini  sono  ricordati  a 
pp.  428  e  429  della  sua  edizione,  altri  sono  riprodotti  per  intero  in 
fine  del  volume,  come  quelli  rifercntisi  alla  sepoltura  (2  marzo  e 
27  marzo  1571). 

L'edizione  critica  dell'autobiografia  celliniana  era  una  vera  la- 
cuna nel  campo  della  letteratura  nostra  e  questa  lacuna  ha  colmato 
ora  con  rara  maestria  e  profondo  acume  critico  Orazio  Bacci. 


Domenico  Orano. 


590  bibliografia 


Bruno  Albers,  Consuetudines  monasticae.  Voi.  I.  Consuetii- 
dines  Farfenses  ex  archetypo  Faticano  mine  primum  re- 
eensuit  B.  A.  —  Stuttgardiae  et  Vindobonae,  Roth,  1900, 
in-4,  pp.  LXXXi-20^. 

È  il  primo  volume  di  una  serie  che  nel  disegno  dell'autore  deve 
comprendere  le  diverse  Consuetudines  dei  vari  monasteri  benedettini. 
Le  Farfenses  pubblicate  ora  dall' Albers  sono  tratte  dal  cod.  Vaticano 
lat.  6808,  un  tempo  del  monastero  di  Farfa,  donde,  non  sappiamo 
quando,  passò  nella  ricca  raccolta  di  manoscritti  della  biblioteca  apo- 
stolica. Dal  Prologo  stesso  delle  Consuetudini  si  desume  facilmente 
che  esse  furono  recate  dal  monaco  Giovanni  in  Italia  da  Cluny  e 
introdotte  nel  monastero  di  S.  Maria  di  Farfa  dopo  che  l'abate  Ugo 
si  ritrasse  nel  famoso  cenobio  (1009);  anzi  il  codice  stesso  ci  dice 
che  queste  regole  di  vita  spirituale  furono  fatte  scrivere  dal  succes- 
sore di  Ugo  nel  governo  badiale  del  convento,  dall'  abbate  Guido, 
al  quale  sicuramente  si  riferisce  il  distico  che  si  legge  nel  principio 
del  manoscritto  Vaticano  (i)  : 

Hoc  opus  in  Christi  monachos,  Guido  fecit  hon  | 
Hunc  rogo,  Christe,  tuo  fac  dlgnum  semper  am  \ 

distico  col  quale  un  monaco  del  secolo  xiii,  ben  sapendo  a  chi  la 
comunità  dovesse  la  trascrizione  delle  regole,  volle  ricordarne  il  nome 
in  testa  dell'opera  e  raccomandarne  l'anima  a  Dio  buono  e  miseri- 
cordioso. Sì  che  non  è  ben  chiara  la  ragione  per  la  quale  l' Albers 
presenta  come  ipotetico  il  riferirsi  dei  due  versi  all'abbate  Guido, 
cosa  che,  con  gli  aiuti  del  codice  stesso,  appare  invece  ovvia  e  si- 
cura, quando  d'altronde  essa  può  confermarsi  con  l'analisi  della  scrit- 
tura e  della  composizione  del  codice,  sulle  quali  l' Albers  in  parte 
ha  sorvolato  ed  in  parte  ha  taciuto   completamente.  L'osservazione 


(1)  Carta  i  b  marg.  sup.  Questo  distico,  benché,  come  risulta  dal  Prologo  delle 
Consuetudini,  si  riferisca  certamente  alla  traduzione  di  esse,  lo  credo  aggiunto  qui  da 
mano  posteriore,  quando  cioè  le  varie  parti  del  codice  erano  già  riunite  insieme  come 
sono  ora.  Chi  lo  appose  a  questa  carta  volle  ricordare  il  nome  di  Guido,  1'  autore  di 
queste  regole,  al  quale  ci  riportano  anche  ragioni  paleograficlie.  Sarebbe  pur  questo 
uno  dei  tanti  casi  di  attribuzione  posteriore,  che  per  il  nostro  codice  appare  sicura  anche 
perchè  rìsale  ad  un  tempo  non  troppo  lontano  da  quello  in  cui  le  regole  furono  tra- 
scritte, non  potendo  quella  nota  essere  posteriore  alla  seconda  metà  del  secolo  xiu. 


bibliografia  591 


di  questi  due  elementi  esterni  lo  avrebbe  forse  guidato  a  porre  in 
modo  diverso  il  quesito  delle  origini  e  dell'  importanza  del  codice, 
ricercare  cioè  se  tutlo  il  codice  risalga  al  tempo  in  cui  giustamente 
egli  pone  la  trascrizione  delle  Consuetudini;  se  la  parte  del  mano- 
scritto che  contiene  le  Consuetudini  sia  veramente  del  tempo  in  cui 
esse  furono  introdotte  nel  monastero  di  Farfa,  e  quindi  se  il  Vati- 
cano 6808  abbia  in  tutto  il  valore  d'archetipo  che  gli  attribuisce  l'Al- 
bers.  Già  lo  stesso  Albers  avverte  che  la  scrittura  del  manoscritto 
è  di  varie  mani.  Ma  converrà  qui  subito  aggiungere  il  dubbio  se,  nel 
caso  nostro,  s'abbia  un  materiale  connesso  nelle  diverse  sue  parti  da 
formare  una  raccolta  organica,  come  avviene  nella  massima  parte 
dei  codici  monastici,  anche  in  quelli  cosi  detti  :(ibaldoni,  dove  pure 
la  varietà  della  materia  ha  sempre  un  legame  qualsiasi  che  spiega  la 
sua  unione,  o  se  non  più  tosto  il  manoscritto,  così  come  è  pervenuto 
a  noi,  non  sia  altro  che  la  riunione  di  varie  parti  di  più  codici,  rac- 
colte insieme  per  comodo  o  per  ignoranza,  in  tempo  posteriore.  Guar- 
diamo infatti  come  fu  composto  il  volume.  I  quaderni  che  conten- 
gono le  Consuetudines  (i)  sono  contrassegnati  con  una  nota  di  mano 
sincrona  al  testo,  posta  nel  margine  inferiore  della  ottava  facciata, 
nota  che  riproduce  la  prima  parola  o  frase  con  la  quale  comincia  il 
quaderno  immediatamente  seguente;  invece  le  orazioni  che  prece- 
dono il  testo  delle  Consuetudini  (2)  non  hanno  in  fondo  al  quaderno 
nessuna  nota  e  nessuna  numerazione;  una  vera  e  propria  numera- 
zione hanno  invece  i  quaderni  che  vengon  dopo  le  Consuetudini  (3), 
distinti  oltre  che  dalla  nota  anche  dal  numero  romano  visibile  nel 
primo  quaderno  soltanto,  per  il  danno  prodotto  dal  tempo  nei  mar- 
gini inferiori  dei  rispettivi  fogli.  Del  IV  quaderno  (4)  furono  adope- 
rali solo  tre  fogli;  del  VI  (5)  solo  cinque  carte;  dell' Vili  (6)  sette 
carte.  Come  si  spiega  tanto  disordine  di  composizione?  Ammettendo 
anche  che  l' abbate  o  chi  presiedeva  allo  scriptoriuvi^  stabilita  una 
volta  la  composizione  del  volume,  avesse  assegnato  a  diversi  monaci 
la  trascrizione  delle  varie  parti  di  esso,  quando  le  riuniva  insieme 
egli  non  avrebbe  mancato  di  ordinarne  la  parte  esterna,  anche  per 
quel  senso  di  correttezza  elegante  che  distingue  il  benedettino  in  tutte 
le  sue  opere  e  che,  per  non  uscire  dallo  scriptorium  di  Farfa,  non 
manca  mai  nei  codici  Farfensi.  Corrispondente  alla  composizione  del 

(1)  Ce.  9  A-iia  n,  rr.  1-16. 
(a)  Ce.  1-8  ». 
(j)  Ce.  113-iao  B. 
(4)  Ce.  iJ7-'39» 

($)  Ce.  148  A-IS2  B. 

(6)  Ce.  161  A-:67B. 


592  'Biblìograjia 


codice  è  anche,  in  gran  parte,  la  natura  varia  degli  argomenti:  stanno 
a  sé  i  tredici  quaderni  delle  Consuetudini  (i);  sono  in  quaderno  a 
parte  (2)  un  Officio  di  messa,  un  Kyrie  eleyson  ed  altre  orazioni  varie; 
ben  distinte  da  altri  argomenti  sono  le  omelie  e  i  canoni  diversi  con- 
tenuti in  quattro  quaderni  (3),  del  quali  l'ultimo  mutilo,  che  seguono 
alle  Consuetudini;  a  sé  l'esposizione  del  Cantico  dei  cantici  e  l'inter- 
pretazione di  certe  parole  bibliche  contenute  in  un  quaderno  intero 
e  in  uno  mutilo  (4);  da  parte  pure  \ì  Sermo  sancti  lohannis  Cbrisostomi 
suir  annunziazione  di  Maria,  una  Lectio  S.  Evangelii  seciindum  Lucani, 
un  Servio  sancti  Ambrosii  episcopi  de  feria  IV  e  un  Nataìis  S.  Pelegrhii 
contenuti  pure  in  due  quaderni  incompleti  (5);  argomenti  tutti  che 
troverebbero  loro  posto  più  opportunamente  in  un  Breviarium  mona- 
sticum  che  in  un  volume  dove  si  conservavano  le  regole  della  vita 
spirituale  dei  monaci,  che  per  la  loro  importanza  avrebbero  do- 
vuto trovarsi  trascritte,  e  forse  erano,  in  un  solo  volume,  come  da 
sole  in  libri  a  parte  ci  son  pervenute  varie  redazioni  della  Regola  di 
Benedetto  in  codici  benedettini.  Il  nostro  dubbio  parrebbe  confor- 
tato anche  dalla  diversità  di  tempo  in  cui  le  varie  parti  del  codice 
furono  scritte.  Perché  se  quasi  tutto  il  testo  delle  Consuetudini  (6)  è 
d'una  sola  mano  (A),  la  medesima  forse  che  scrisse  anche  l'esposizione 
del  Cantico  dei  cantici  (7)  ;  di  mano  diversa  (B)  invece  appaiono  le 
orazioni  che  precedono  le  Consuetudini  (8)  ;  il  Canon  de  tonsura  (9), 
la  spiegazione  di  alcune  parole  bibliche  (io),  alcuni  Canones  diversi  (i  i); 
come  diversa  va  considerata  la  mano  (E)  dell'indice  delle  materie 
contenute  nel  resto  del  manoscritto,  nella  colonna  sinistra  di  e.  113  b 
e  diversa  quella  della  colonna  di  destra  con  quella  della  facciata  se- 
guente (114  a);  ad  un  monaco  sciatto  e  negligente  (F)  si  debbono 
alcuni  brani  tratti  da  un'omelia  (12), la  lezione  dell'Evangelio  secondo 
il  testo  di  Luca  (13);  e  ad  un  altro  (G)  il  discorso  intorno  all'annun- 

(1)  Ce.     II3-I20;     I2I-I28;     129-136;     137-139  B. 

(2)  Il  Canon  de  tonsura  (e.   iiib,  rr.    17-31)  può    ben  esser  posteriore  al  testo  del 
libretto  o  al  tempo  in  cui  questo  fu  rilegato  con  gli  altri  quaderni. 

(3)  Ce.    1-8  B. 

(4)  Ce.  140-147;   148-152. 

(5)  Ce.   153-160;   161-167. 

(6)  Ce.  9A-9IB,  rr.   1-25  e  ee.  92  a,  r.  8-ii2b,  rr.   1-16.  Son  di  carattere  diverso 
solo  i  rr.  26-31  di  e.  91  b,  cominciando:    «  Deinde  faciat  »   &e.   fino  a  r.   7  di  e.  92  b. 

(7)  Ce.  140  A-150  B. 

(8)  Ce.  1-8  B. 

(9)  C.  112  B,  rr.  17-31. 

(10)  Ce.  151  A-I$2  B. 

(11)  Ce.  I  q  B-115  B,  rr.  i-i$  ;  116  a- 139  a,  rr.  1-26;  161  a,  r.  7  167  b. 

(12)  Ce.  139  a,  r.  34-139  B. 
(15)  C.  157  A,  rr.  7-31. 


^ibliografa  593 


zlazione  di  Maria  di  san  Giovanni  Crisostomo  (i),  il  discorso  di  san- 
t'Ambrogio intorno  alla  feria  IV  secondo  Luca  (2).  Di  queste  diverse 
scritture  la  più  antica  è  quella  delle  Consuetudini  (mano  A).  Q.uesto 
monaco  farfense  (tale  lo  dimostrano  oltre  tutto  il  resto  anche  il  modo 
di  ornar  le  lettere  iniziali  maiuscole,  che  è  l' identico  che  si  trova 
in  tutti  i  codici  Fnrfensi)  scrive  quella  minuscola  nella  quale  si  sente 
già  lo  studio  della  forma  d' imitazione  che  apparisce  nei  primi  anni 
del  secolo  xi:  fra  le  sue  lettere  troverai  raramente  la  s  capitale  finale 
sostituita  alla  più  arcaica  f  ;  e  vi  trovi  ancora  il  ricordo  dei  migliori 
tempi  di  questa  forma  d'arte  nei  nessi  NT  in  fin  di  parola,  e  talora 
anche  TR  in  mezzo  di  parola  («trina»  e.  ij  b,  r.  io)  che  muovono 
dall'uso  delle  scritcure  maiuscole,  e  che  troviamo  già  completamente 
dimenticati  nella  minuscola  di  transizione  che  apparirà  fra  poco  con 
la  trasformazione  dei  migliori  esempi  della  scrittura  romana.  E  più 
o  meno  minuscole  di  transizione  e  quindi  posteriori  ad  A  sono  tutte 
le  altre  scritture  del  manoscritto  nelle  quali  diventa  comune  in  luogo 
della  minuscola  la  forma  della  S  maiuscola  in  fine  di  parola,  che 
spesso  s'innalza  al  disopra  dell'altezza  comune  delle  altre  lettere, 
talvolta  è  scritta  in  alto  sull'ultima  vocale  della  parola,  e  nelle  quali, 
in  proporzione  più  o  meno  grande,  si  trovano  anche  altri  segni  pe- 
culiari della  minuscola  di  transizione  e  della  minuscola  romanesca, 
come  i  nessi  minuscoli  rt,  ri.  Paragonata  con  queste  più  recenti,  la 
scrittura  delle  Consuetudines  va  riportata  con  grande  sicurezza  ai  primi 
anni  del  secolo  xi,  proprio  nel  tempo  in  cui  l'abbate  Guido,  suc- 
cesso nel  governo  abbaziale  al  suo  predecessore  Ugo,  commetteva 
ad  uno  dei  monaci  suoi  dipendenti  di  trascrivere  le  regole  che  Ugo 
aveva  accolto  nel  suo  convento.  Cosi  dunque  per  una  via  forse  più 
aspra  di  quella  tenuta  dall' Albers  siamo  giunti  alle  medesime  sue 
conclusioni;  ma  il  cammino  noioso  non  parrà  inutile  quando  si  pensi 
che  non  è  indifferente  il  sapere  con  minore  o  maggiore  sicurezza 
che  valore  dobbiamo  attribuire  ad  un  testo,  che  ò  così  importante 
per  la  vita  interna  di  uno  dei  più  importanti  monasteri  italiani  del 
medio  evo.  E  quanto  al  testo  le  Consuetudines  escono  molto  più  cor- 
rette che  non  fossero  nella  edizione  precedente  dell' Ilerrgott  (^  per 
l'opera  diligente  dell' Albers  che  nelle  lezioni  incerte  s'è  potuto  va- 
lere di  riscontri  su  codici  Cassinesi  del  secolo  xi.  Fra  le  note  di 
qualche  interesse  storico  aggiunte  in  vari  tempi  nei  margini  del  co- 


(i)  Ce.   IJJ-I57Ì,  rr.   1-7. 

(2)  Ce.   15811,  r.  14-161  A,  r.  6. 

(3j  .Mabillon,    Vtlui  dite,  man  ,  PatUiit,    17 j6. 


594  bibliografia 


dice  ve  n'ha   qualcuna  omessa    nell'edizione   che  di    esse   dette  il 
Bethmann  nei  Monumenta  Germaniae  hìstorica  (i). 

Del  secolo  xiii  è  la  terza  nota  (2):  «  ,ccc  xc  vini.  Christì  incar- 
«  nationis  anno,  iubente  imperatore  Honorio.  Sunt  tempia  eversa 
«  et  fracta  simulacra  | . . .  quo  usque  ad  annos  ferme  .xxx.  tempore 
«  S.  Augustini  multum  crevit  ecclesia  ». 

L'altra,  più  lunga  e  più  importante,  è  datata  dal  1234,  e  con- 
serva memoria  di  un  atto  di  amministrazione  interna  del  monastero  (3): 
«  Ut  que  geruntur  in  tempore  cum  tempore  nequeant  deperire,  solet 
«  ea  sapientum  virorum  |  astutia  per  licteras  eternare.  Ideoque  no- 
«  scant  presentes  et  posteri  non  ignorent,  quod  Farfensis  [  conventus 
«  statuit  de  communi  assensu  et  fratrum  omnium  voluntate  ut  qui- 
«  libet  prepositus  [  cui  alicuius  castri  vel  ville  gubernacula  commit- 
«  tuntur  solvat  ipsi  conventui  annuajtim  dominica  septuagesima  prò 
((  p'scibus  .VII.  soUos.  Si  quis  autem  ipsorum  hoc  statutum  tam  bojnum 
«  et  utile  noluerit  observare,  sit  quousque  satisfecerit  ab  omni  fratrum 
«  conjsortio  segregatus.  Factum  est  hoc  in  Farfensi  capitulo  anno 
«  Domini  .mccxxxiiii  ». 

Vincenzo  Federici. 


Donato  Tamilia,  //  Sacro  Monte  di  Pietà  di  Roma.  Ricerche 
storiche  e  documenti  inediti  con  illustrazioni  e  tavole.  — 
Roma,  Forzani  e  C,  1900. 

Della  storia  del  Monte  di  Pietà  di  Roma  nessuno  finora  si  era 
occupato  di  proposito.  Incidentalmente  molti  ne  parlarono  nei  loro 
scritti,  ma  le  loro  notizie  erano  vaghe  ed  inesatte.  Il  Moroni,  nel 
suo  Dizionario  d'erudizione.  (XLVI,  157-268),  scrisse  un  articolo  che 
era  ancora  il  più  compiuto  che  intorno  al  Monte  si  avesse,  saccheg- 
giando le  opere  di  Camillo  Fanucci  (1600),  di  Teodoro  Amideno 
(1625)  e  dell'anonimo  autore  dell'opuscolo  intitolato:  lì  vero  stato  degli 
Ebrei  in  Roma  (Roma,   1668), 

Ora,  d'incarico  della  Commissione  del  Monte  di  Pietà  di  Roma, 
il  dottor  Donato  Tamilia,  archivista  del  Monte,  ha  compiuto  una 
monografia  storica  che  illustra  le  origini  e  le  varie  vicende  dell'  im- 
portante istituto. 


(i)  Scriplcres,  XI,   589  sgg. 

(2)  Nel  margine  superiore  di  e.  8  n.  Danneggiata  la  pergamena  al  principio  del 

(3)  Margine  laterale  di  destra  di  e,  5  a. 


Ti  ibi  log  rafia  595 


Il  Tamilia  si  trovava  dinanzi  ad  un  campo  completamente  ine- 
splorato, ad  una  vera  miniera  sfuggita  sino  al  presente  allo  ricerche 
degli  eruditi:  l'archivio  del  Monte,  e  dai  documenti  originali  rinve- 
nuti in  esso  ha  tratto  notizie  importantissime.  Nella  biblioteca  Vati- 
cana il  Tamilia  ebbe  la  fortuna  di  trovare  nel  cod.  Vat.  6203  gli  sta- 
tuti originali  del  Monte  e,  nel  codice  Ottoboniano  2498,  alcune 
importanti  notizie  intorno  alla  sua  amministrazione  nel  1669.  Nel- 
l'Archivio di  Stato  {Archìvium  Camerale^  sezione  Monte  di  Pietà)  rin- 
venne altri  preziosi  documenti  riguardanti  la  sua  vita  economica  du- 
rante le  vicende  anteriori  e  posteriori  alla  Repubblica  romana  degli 
anni  1798- 1799.  Ma  fonte  principale  della  monografia  del  Tamilia 
furono,  come  ho  già  detto,  i  documenti  dell'  archivio  del  Monte,  tutti 
originali  ed  inediti  e  che  misero  a  dura  prova  la  pazienza  del  Ta- 
milia, perchè  si  trovano  riuniti  in  grossi  fascicoli  o  registrati  in 
codici,  per  lo  più  senza  alcun  ordine  né  di  tempo  nò  di  materia. 
Il  manoscritto  più  prezioso  è  il  Registro  di  lettere  apostoliche  e  d' istni- 
inenti  diversi^  che  contiene  anche  documenti  anteriori  al  settembre  1539, 
cioè  alla  bolla  di  costituzione  del  Monte.  Segue  ad  esso  il  Registro 
di  brevi,  strumenti  e  decreti  di  congregazione  dal  1^40  al  1604  ;  le  Bolle 
e  brevi  e  lettere  apostoliche  ;  i  Decreti  della  Congregazione  del  Monte  ;  le 
Patenti  e  i  Mandali  dal  i)y4  al  1^76;  i  Bilanci  dal  i6)<)  al  ij^i. 

Il  Tamilia  nell'Appendice  riproduce  alcuni  fra  i  documenti  più 
importanti,  fra  cui  la  Copia  concessionis  luriiim  domus  factae  per  do- 
ininum  Io.  Petruni  Cribellimi  in  favorem  Montis,  ì  Capitoli  et  ordina- 
zioni del  Sacro  Monte  de  la  Pietà  di  Roma,  un  Chirografo  di  Paolo  J' 
dell'ir  ottobre  1611  ed  un  altro  del  25  novembre  1735  di  Cle- 
mente XII. 

Sulla  scorta  di  questi  documenti  il  Tamilia  costruisce  la  storia 
del  Monte,  dimostrando  che  nei  secoli  passati  esso  non  solo  fu  un 
Monte  di  prestiti  sopra  pegno,  ma  anche  il  principale  istituto  di  cre- 
dito della  città  e  che,  se  non  ha  il  vanto  di  essere  stato  il  primo  a 
sorgere  -  poiché  il  primo  Monte  di  Pietà  fu  quello  di  Perugia  nel  1462  - 
pure  per  la  sua  vita  economica  ha  una  importanza  storica  superiore 
a  quella  di  qualsiasi  Monte  di  Pietà  d'  Italia. 

Il  Tamilia  spiega  l'incremento  ch'ebbe  il  Monte  anche  colla 
sua  legislazione  statutaria  e  colle  «  relazioni  immediate  con  il  go- 
«  verno  dei  papi  ».  Ora  io  non  credo  che  la  legislazione  statutaria 
del  Monte  di  Pietà  di  Roma  abbia  avuto  originalità  alcuna.  I  primi 
ordinamenti  del  Monte  furono  copiati  di  sana  pianta  da  quei  di  Bo- 
logna, come  del  resto  il  Tamilia  comprova  irrefragabilmente  I  primi 
statuti  del  Monte  di  Pietà  di  Roma  non  risalgono  che  al  1565  e  lutti 
i  loro  rifacimenti  non  sojio  che  un  rimpasto  di  quelli  alla  loro  volta 


59^  '^ìb  liog  rafia 


modellati  sopra  quei  delle  altre  città  italiane.  Le  relazioni  immediate 
poi  con  il  governo  dei  papi  furono  il  tarlo  che  fini  col  far  crollare 
un  edificio  cosi  mirabile  come  quello  del  Monte.  I  pontefici  -  e  il 
Tamilia  lo  determina  con  documenti  ineccepibili  -  dopo  la  seconda 
metà  del  secolo  xvii  ed  anche  prima  distolsero  -  malgrado  l'aperta 
violazione  degli  statuti  fondamentali  -  i  denari  dei  poveri  o  a  bene- 
ficio dell'  erario,  o  autorizzando  in  favore  dei  privati  prestiti  gratuiti 
senza  pegno,  oppure  con  semplice  ipoteca  sopra  i  loro  beni. 

Malgrado  questi  difetti,  dirò  così,  organici,  è  indubitato  che  il 
Monte  di  Pietà  di  Roma  raggiunse  un  notevole  stato  di  floridezza, 
quale  non  raggiunse  mai  alcun  altro  Monte  di  Pietà,  poiché,  sorto 
con  un  capitale  di  pochi  scudi,  per  i  sentimenti  umanitari  di  un  fran- 
cescano, Giovanni  Mattei  di  Calvi,  in  breve  volger  d'  anni  ebbe  un 
patrimonio  dei  più  ingenti  fra  quelli  degli  istituti  pii  di  Roma. 

Gli  studiosi  di  cose  romane  devono  esser  grati  al  Tamilia  del 
suo  lavoro,  col  quale  oltre  una  storia  minuta  del  Monte  di  Pietà  di 
Roma,  egli  ha  dato  un  prezioso  contributo  alla  storia  della  benefi- 
cenza e  alla  storia  economica  della  città  eterna. 


Domenico  Orano. 


Dott.  Giacomo  Gorrini,  La  cattura  e  prigionìa  di  Annibale 
Maìvex^xi  in  Germania,  Episodi  delle  lotte  di  rappresaglia 
in  Bologna,  14)2-14^4.  —  Bologna,  Zanichelli,  1900, 
pp.   147. 

Nella  storia  della  diplomazia  e  del  diritto  internazionale  l'Italia, 
nei  tempi  passati,  ebbe  indubbiamente  il  primato  sugli  altri  paesi 
d'  Europa,  perchè  la  divisione  nostra  in  molteplici  Stati,  Statarelli  e 
autonomie  comunali  fu  occasione  di  continue  relazioni  politiche,  con- 
cordati, arbitraggi,  incidenti  e  vertenze:  d'onde  scaturì  un  materiale 
giuridico  copioso  e  vario  di  carattere  internazionale,  principio  e  fon- 
damento delle  norme,  che  oggi  regolano  i  rapporti  diplomatici  fra  i 
popoli  civili.  Pertanto  ben  si  comprende  quanta  importanza  abbiano  i 
lavori,  che  off"rono  nuovo  contributo  a  questo  genere  di  studi:  e  fra 
i  migliori  va  segnalato  il  libro,  che  il  dottor  Gorrini  ha  dato  alle  stampe. 

Fra  gl'istituti  giuridici,  che  nel  medio  evo  e  nell'età  moderna 
ebbero  piij  largo  sviluppo  e  più  estesa  letteratura,  fu  certamente  quello 
delle  rappresaglie,  prede,  vendette  e  ritorsioni.  Ogni  antico  statuto  o 
legge  municipale  contiene  più  rubriche,  che  concernono  questa  ma- 


"Bibliogj^afia  597 


teda.  Anche  gli  Stati  maggiori  d'  Europa  sentirono  la  necessità  di 
stabilire  regole  fisse  su  tale  argomento;  e  i  più  celebrati  giurecon- 
sulti nostri  lessero  dalla  cattedra  e  pubblicarono  dotti  trattati  in  ma- 
teria di  rappresaglia.  Ciò  nondimeno,  difficilmente  avvenne  che,  sorta 
una  vertenza  fra  Stato  e  Stato  per  occasione  di  rappresaglia,  fossero 
sempre  seguite  le  norme,  riconosciute  legali  per  comune  consenso: 
il  più  delle  volte  le  parti  contrastanti  fra  di  loro  trascendevano  ad 
atti  arbitrari  di  eccessiva  difesa,  di  ritorsione  o  di  vendetta;  ed  ap- 
punto di  casi  simili  dobbiamo  ora  occuparci. 

La  Memoria  del  dottor  Gorrini,  fatta  su  documenti  inediti  e  fmo 
ad  oggi  sconosciuti,  raccoglie  una  quantità  d'episodi  e  d'incidenti 
di  rappresaglia  fra  la  città  di  Bologna  da  una  parte  e  la  corona  di 
Ungheria  e  l'impero  dall'altra,  nel  corso  degli  anni  1452-1494. 
Il  libro  prende  nome  dal  più  importante  episodio:  la  cattura  e  pri- 
gionia di  Annibale  Malvezzi  in  Germania.  I  documenti  sono  pubbli- 
cati per  esteso  in  Appendice  al  lavoro,  nelle  pp.  81-141:  e  riguar- 
dano due  distinte  serie  di  avvenimenti,  che  pur  s' intrecciano  fra  di 
loro.  Il  primo  periodo  corre  fra  gli  anni  1432-1444  (docc.  1-2);  il 
secondo  fra  gli  anni  1477- 1480  (docc.  3-31).  Gli  ultimi  tre  docu- 
menti della  serie  (anno  1482)  concernono  la  vita  di  Annibale  Mal- 
vezzi, dopo  la  sua  scarcerazione. 

Nel  1432  Ercole  Fantuzzi,  mercante  bolognese,  fu  derubato  delle 
sue  merci  e  imprigionato  nella  città  di  Zagabria  da  un  nobile  Ro- 
ther,  connivente  forse  la  regina  Elisabetta  d'  Ungheria.  Potè  essere 
liberato  mediante  riscatto;  ma  ebbe  a  subire  di  \\  a  poco  nuova  ru- 
beria di  costosi  panni  serici  fiorentini,  da  parte  anche  questa  volta 
del  prepotente  ungherese.  II  comune  di  Bologna,  chiesta  invano  sod- 
disfazione e  risarcimento  di  danni,  decretò  le  rappresaglie  contro  la 
regina  d'  Ungheria  e  contro  i  sudditi  di  lei.  Parecchi  anni  più  tardi 
un  Enrico  Hayden  passava  per  Bologna  con  una  buona  somma  di 
denaro  e  con  tre  pezze  d'oro,  diretto  a  1-irenze  per  commissione 
della  regina  d'  Ungheria,  che  lo  mandava  colà  per  acquistar  seterie. 
11  magistrato  bolognese,  ad  istanza  del  Fantuzzi,  sequestrò  ed  inca- 
merò il  denaro  e  l'oro.  Elisabetta  protesta,  minaccia  e  poi  nel  1440 
decreta  in  tutti  i  suoi  Stati  le  rappresaglie  contro  i  Bolognesi,  con- 
fermate nel  1444,  dopo  vani  tentativi  di  arbitraggio,  dall'  imperatore 
Federico  III.  Se  fossero  seriamente  applicate  non  sappiamo.  Sembra 
però  che  la  questione  per  allora  rimanesse  sopita:  ma  più  tardi,  come 
vedremo,  si  ridesterà. 

Passiamo  ora  ai  fatti,  che  sono  descritti  nella  scvoiuia  e  più  co- 
piosa serie  di  documenti.  Un  tedesco,  Giovanni  .M.i^no,  che  per  pro- 
prie faccende  soggiornò  per  qualche  toni)  o  a  Venezia,  nel  1474  era 


598  bibliografia 


passato  a  Bologna,  ove  trovavasi  ancora  nel  1477.  Giovanni  era  de- 
bitore per  una  rilevante  somma  di  denaro  di  certi  fratelli  Stuliden, 
signori  di  Othen,  luogo  situato  presso  Kempten  in  Baviera.  I  cre- 
ditori non  avevano  fatto  alcun  passo,  neppure  amichevole,  presso  il 
magistrato  bolognese,  per  essere  soddisfatti,  forse  perchè  ben  sape- 
vano che  non  avrebbero  raggiunto  l' intento,  essendo  norma  gene- 
ralmente riconosciuta  in  quel  tempo  che  non  si  dovesse,  eccetto  il 
caso  di  trattati  speciali,  concedere  estradizione  per  ragion  di  debiti  o 
per  altro  reato  a  danno  di  un  fuggitivo  ospitato  in  Stato  straniero: 
e  neppure  fosse  consentito  di  chiamare  in  giudizio  presso  il  magi- 
strato del  luogo  di  rifugio  il  debitore,  che  godeva  guarentigia  d' in- 
dennità. 

Ma  gli  Stuliden  ricorsero  alla  privata  vendetta  ed  a  rappresaglia 
illegale  contro  il  comune  di  Bologna,  che  accusavano  di  aver  dato 
in  mala  fede  un  salvacondotto  al  debitore,  pur  avendo  notizia  del 
loro  credito.  Catturarono  cioè,  e  tennero  lungamente  imprigionato 
e  incatenalo,  un  nobile  bolognese,  che  a  caso  trovavasi  nel  dicembre 
del  1479  ^  Kempten,  Annibale  Malvezzi,  capitano  della  Repubblica 
veneta,  figlio  di  un  rinomato  maggiorente  di  Bologna,  Virginio  Mal- 
vezzi, uno  degli  anziani  e  dei  riformatori  della  città  in  quell'anno 
medesimo.  A  causa  dell'alta  condizione  sociale  del  detenuto  nacque 
naturalmente  in  Bologna  indignazione  grande.  Pure  il  magistrato  cit- 
tadino si  comportò  dapprima  con  molta  moderazione,  sia  perchè, 
non  essendo  mai  stata  chiusa  la  vertenza  del  Fantuzzi,  nominalmente 
vigevano  ancora  le  rappresaglie,  decretate  in  altro  tempo  dall'  Im- 
pero contro  Bologna;  sia  perchè  non  volevasi  provocare  l'allonta- 
namento dallo  Studio  bolognese  della  università  tedesca,  assai  nu- 
merosa in  quella  età.  Il  governo  cittadino  iniziò  trattative  amichevoli 
con  gli  Stuliden,  scongiurandoli  di  rilasciare  il  Malvezzi;  e,  riusciti 
vani  i  suoi  sforzi,  minacciò  rappresaglie  e  chiamò  in  causa  i  rettori 
della  città  di  Kempten;  ma  nell' istesso  tempo  dichiarò,  per  mezzo 
di  un  bando,  la  piena  sicurezza  dei  mercanti  tedeschi  nel  Bolognese. 
Se  non  che,  crescendo  sempre  più  il  fermento  per  la  mancata  sod- 
disfazione, il  bando  non  fu  osservato;  perchè  nel  febbraio  del  1478 
furono  sequestrate  a  Bologna  per  rappresaglia  cinque  balle  di  zaffe- 
rano, dirette  ai  fratelli  Welter  di  Augusta  in  Baviera.  Entrano  allora 
in  iscena  i  Fiorentini,  il  papa,  l' imperatore,  la  Repubblica  di  Ve- 
nezia. Le  lettere  diplomatiche  e  le  missioni  s' intrecciano  e  si  suc- 
cedono senza  posa,  ma  non  approdano  a  buon  porto.  Infine  i  Bolo- 
gnesi, perduta  la  pazienza,  inaspriscono  le  rappresaglie  con  la  cattura 
di  un  Alberto  Nyeser,  cittadino  di  Augusta,  liberato  non  molto  dopo 
mediante  mallevadoria.  Pure  continuano  le  trattative,  specie  presso 


'Bibliografia  599 


r  imperatore,  che  mostrava  buona  disposizione  verso  i  Bolognesi, 
ma  non  riusciva  a  vincere  l'ostinazione  degli  Stuliden.  Intanto,  a 
rendere  più  malagevole  la  condizione  del  disgraziato  Malvezzi,  torna 
a  galla  la  questione  Fantuzzi-Hayden,  sorta  trentacinque  anni  in- 
nanzi, ed  è  fatto  ai  Bolognesi  il  monito,  che  le  rappresaglie,  decre- 
tate in  quel  tempo  dall'  impero,  non  erano  mai  state  ritirate  :  e  ciò 
avveniva  mentre  i  fratelli  Welser  si  davano  sempre  più  da  fare  per 
riavere  le  robe  loro  e  gli  Stuliden  non  prestavano  orecchio  né  a  mi- 
nacele, né  a  preghiere. 

L'alta  signoria,  che  la  Chiesa  esercitava  su  Bologna,  imponeva 
al  papa  la  protezione  della  città.  Sisto  IV  non  mancò  d' insistere 
presso  le  autorità  locali  bavaresi  e  presso  l' imperatore  per  la  libe- 
razione del  Malvezzi;  e  promise  ai  Bolognesi  che,  quando  non  fosse 
data  loro  soddisfazione,  avrebbe  decretate  le  rappresaglie  negli  Stati 
pontifici  contro  i  Tedeschi.  Ma  poi  si  apprese  a  partito  più  mode- 
rato, rievocando  a  sé  la  decisione  delle  controversie,  e  chiamando 
i  contendenti  in  giudizio  a  Roma.  Se  effettivamente  le  parti  conven- 
nero a  Roma,  e  se  colà  fu  pronunziato  il  lodo,  non  ci  é  dato  di  as- 
sicurare per  mezzo  dei  documenti.  £  certo  però  che  il  papa  e  l'im- 
peratore riuscirono  ad  ottenere  la  liberazione  di  Annibale  Malvezzi 
sul  finire  del  1479  ^  "^^  seguente  anno;  bisogna  dunque  credere  che 
in  quel  tempo  fossero  anche  composte  tutte  le  altre  controversie, 
che  avevano  data  occasione  a  tanta  operosità  diplomatica. 

Al  coscienzioso  racconto  delle  vicende,  che  ho  riassunte,  l'au- 
tore fa  seguire  importanti  notizie  sulla  nobil  casa  Malvezzi  nel  se- 
colo XV,  e  più  specialmente  sulla  vita  di  Antonio;  ed  offre  nei  due 
ultimi  paragrafi  della  Memoria  un  utile  contributo  alla  storia  della 
città  dì  Bologna  ed  a  quella  dell'  istituto  giuridico  delle  rappresaglie. 
Lo  studio,  condotto  nel  suo  insieme  con  chiarezza  e  con  metodo 
sicuro,  è  preceduto  da  una  breve  esposizione  delle  fonti  consultate 
e  da  un  difiuso  indice  bibliografico. 

Pietro  Santini. 


NOTIZIE 


Il  14  gennaio  1901  nella  sua  residenza  di  Fulham  moriva  il  no- 
stro socio  dott.  Mandell  Creighton,  vescovo  di  Londra.  La  sua  morte 
è  una  perdita  grave  per  gli  studi  storici  e  per  la  Chiesa  d' Inghil- 
terra della  quale  per  nobiltà  di  cuore  e  felici  attitudini  della  mente 
era,  tra  molti  uomini  insigni,  il  più  cospicuo  prelato.  Nato  a  Car- 
lisle  nel  1843,  compi  il  corso  dei  suoi  studi  all'Università  di  Oxford, 
dove,  ottenuti  con  grande  lode  i  gradi  accademici,  fu  chiamato  ad 
insegnare  e  mostrò  per  circa  dieci  anni  qualità  non  comuni  di  mae- 
stro educatore.  Lasciata  l'Università  si  ritrasse  nel  Northumberland, 
dove  resse  una  parrocchia  per  quasi  un  altro  decennio  dedicandosi  con 
pari  ardore  ai  suoi  studi  e  ai  suoi  doveri  sacerdotali.  Quivi  cominciò 
a  pubblicare  i  primi  volumi  della  sua  Storia  dei  papato  nel  tempo 
della  Rifonna,  che  poi  continuò  quando  fu  eletto  canonico  nella  cat- 
tedrale di  Worcester  e  professore  di  storia  ecclesiastica  all'Università 
di  Cambridge.  Chiamato  a  reggere  la  sede  episcopale  di  Peterborough, 
e  poi  nel  1896  quella  di  Londra,  spiegò  le  maravigliose  attitudini 
sue  come  uomo  di  Chiesa,  lasciando  in  quelle  sedi  una  traccia  che 
rimarrà  notevole.  L'attività  straordinaria  e  lo  zelo  sereno  ma  fer- 
vente con  cui  si  sforzò  di  disimpegnare  i  molteplici  e  delicati  uffici 
del  suo  alto  ministero,  gli  spezzarono  la  fibra  robusta.  Agli  studi 
storici  oltre  il  suo  grande  lavoro  Storia  del  Papato  nel  tempo  della  Ri- 
forma, diede  contributo  di  molti  altri  lavori,  tra  i  quali  citiamo  The 
age  of  Eliiabethy  la  Vita  del  IVolseVj  la  storia  della  città  di  Carlìsle, 
The  story  of  some  enarlish  Sbires,  e  alcuni  notevoli  saggi,  tra  cui  quelli 
intitolati:  Persecution  and  loleratice,  The  early  Renaissance  in  Eui^land, 
The  English  national  character.  Fondò  e  per  alcuni  anni  diresse  la 
Em^lish  Historical  Revieiu.  Ebbe  amici  molti  e  caldissimi  tra  i  mag- 
giori uomini  non  solo  d'Inghilterra,  ma  d'ogni  paese  da  lui  visitato 
nei  suoi  viaggi  frequenti,  e  specialmente  in  Italia  eh'  egli  amava 
d' intenso  amore.  La  memoria  di  lui  resterà  santa  e  viva,  come  di 
fratello,  in  quanti  ebbero  la  ventura  d'avvicinarlo  e  d'amarlo. 


6o2  "Moii^ie 


Gli  editori  Bocca  hanno  recentemente  pubblicato  il  primo  vo- 
lume di  un'  opera  del  professore  Francesco  Ruffini  sulla  Libertà  re- 
ligiosa. Di  questo  primo  volume,  assai  notevole,  in  cui  si  studia  la 
storia  dell'  idea,  si  renderà  conto  particolareggiato  in  uno  dei  pros- 
simi fascicoli  delV Archivio. 

Per  la  notizia  conservatane  dal  Panvinio  e  dal  Marangoni  si 
sapeva  che  sotto  la  scala  santa,  elevata  da  Sisto  Quinto,  si  conserva- 
vano ancora  i  resti  dell'oratorio  dedicato  a  san  Lorenzo  da  Gregorio 
Magno,  ma  da  lungo  tempo  ninno  li  aveva  veduti,  né  si  conosceva 
con  esattezza  in  che  cosa  consistessero.  Il  signor  Lauer  ha  eseguito 
delle  ricerche  coronate  da  assai  fortunato  successo.  Sotto  la  scala 
sono  al  presente  tre  vani  preceduti  da  una  costruzione  rettangolare 
che  il  Lauer  crede  possa  essere  la  base  del  campanile  che  v'  è  no- 
tizia ornasse  1'  oratorio.  Il  suolo  delle  tre  sale  scandagliato  attenta- 
mente non  ha  lasciato  scoprire  traccia  di  pavimento  ;  invece  nel  ter- 
riccio si  son  trovati  resti  numerosi  (frammenti  di  colonne,  un'  urna 
funeraria,  scudi  pontifici,  un  piccolo  capitello,  un  timpano  a  mo- 
saico &c.)  di  epoche  assai  svariate,  dalla  romana  a  quelle  a  noi  più 
vicine  (un'  iscrizione  è  del  sec.  xvii).  Più  importanti  i  resti  architetto- 
nici e  pittorici.  Nel  lato  nord  due  colonne,  ad  intervallo  di  due  metri, 
dai  capitelli  bassi  e  grossolani,  le  quaU  il  Lauer  crede  giustamente 
facessero  parte  della  facciata  del  patriarchium,  quale  ce  lo  indicano 
i  piani  del  xvi  secolo.  Nella  seconda  e  terza  sala  e  in  una  quarta 
che  esce  fuor  della  scala  verso  mezzogiorno,  gli  venne  fatto  di  rico- 
noscere tre  ordini  di  pilastri  per  massima  parte  incorporati  nei  muri 
con  cui  fu  divisa  l'  area  dell'  antico  edificio.  Questo  non  poteva  es- 
sere una  basilica  perchè  le  distanze  tra  i  pilastri  sono  sempre  eguali 
e  mancherebbe  quindi  la  distinzione  tra  navata  principale  e  seconda- 
rie, perciò  i  pilastri  dovettero  appartenere  in  origine  a  un  vestibolo 
o  a  un  portico.  Il  Lauer  crede  si  tratti  del  portico,  vestibolo  o  ma- 
crona  che  Zaccaria  e  Adriano  I  avevano  abbellito,  Leone  III  riedi- 
ficato, e  Gregorio  IV  completato  o  restaurato.  I  piloni  sono  ornati 
di  pitture  già  vedute  dal  Marangoni  e  dal  Rohault  de  Fleury,  tra  cui 
notevole  una  che  il  Duchesne  ha  interpretato  per  l' interramento  di 
san  Giovanni  Evangelista,  e  che  deve  attribuirsi  ad  un  discreto  artefice 
del  secolo  xi.  Alla  medesima  epoca  appartengono  anche  le  altre  più 
o  meno  rozze,  di  cui  una  che  probabilmente  rappresenta  santo  Ste- 
fano papa,  è  stata  più  tardi  (xiii  secolo?)  trasformata  in  un  san  Lo- 
renzo, togliendole  gli  attributi  poutificali.  Anche  le  altre  pitture  han 
sofferto  grossolane  restaurazioni  che  però  non  tolgono  loro  gli  spe- 
cifici caratteri  del  secolo  xi. 


"'N^oti^ie  60^ 


Gli  scavi  furono  estesi  anche  nel  massiccio  di  sostruzioni  su  cui 
è  poggiata  la  cappella  del  Sancta  Sanctorum.  Si  rinvenne  un  piccolo 
pozzo  o  meglio  un  loculo,  le  cui  pareti  appartengono  a  tempi  vari 
ma  tutti  anteriori  al  xiii  secolo,  ripieno  di  ossa  che,  data  V  anti- 
chità e  il  luogo  ove  si  trovano,  molto  probabilmente  sono  reliquie 
asportate  dalle  catacombe.  Le  mura  più  antiche  recano  tracce  di 
panneggi  dipinti,  un'  iscrizione  disgraziatamente  tanto  mutila  da  non 
poter  dare  un  senso  completo,  e  da  ultimo  una  seconda  iscrizione 
accennante  un  Padre  della  Chiesa  che  «  omnia  dixit.  Romano  eloquio 
«  mystica  sensa  tonans  »,  sottoposta  ad  una  figura  ornata  del  clavus 
nella  quale  il  Lauer  piega  a  riconoscere  sant'Agostino.  Questo  affresco 
rimonterebbe  al  secolo  vi  o  lì  vicino,  e  i  resti  architettonici  su  cui 
è  dipinto  sarebbero  le  reliquie  dell'  antico  «  scrinium  sanctum  La- 
«  teranense  »  o  deposito  degli  archivi  pontifici  e  sede  della  Schola 
notarioruw,  del  quale  resterebbe  in  tal  modo  fissata  1'  ubicazione  presso 
r  oratorio  di  S.  Lorenzo  del  Laterano,  dopoché  fu  distaccata  da  S.  Lo- 
renzo in  Damaso,  dove  si  trovava  nel  secolo  iv.  Tale  opinione  ver- 
rebbe rafforzata  dalla  notizia  dataci  dal  Liber  Pontificalis  che  Zac- 
caria avanti  allo  scrinio  fece  erigere  un  portico  ed  una  torre,  parole 
che  si  converrebbero  agli  altri  resti  di  cui  sopra  si  è  parlato.  Queste 
le  conclusioni  che  il  signor  Lauer,  alunno  della  Scuola  francese  di 
Roma,  prima  comunicò  nel  secondo  Congresso  di  archeologia  cri- 
stiana e  ora  ha  rese  di  pubblica  ragione  nel  to.  XX  dei  Mélanges 
d'archeologie,  et  cVhistoire. 

Di  minore  importanza,  ma  sempre  d'un  certo  rilievo  sono  gli 
scavi  compiti  nel  mese  di  ottobre  a  Viterbo,  nella  chiesa  di  S.  An- 
drea. Si  sapeva  per  notizia  conservata  dall'  Orioli  e  si  arguiva  dal- 
l' esterna  costruzione  dell'  abside  che  la  chiesa  anticamente  fosse 
fornita  di  una  cripta  :  ora  questa  per  gli  scavi  fatti  dal  parroco,  con 
l'aiuto  del  vescovo  e  del  comune,  è  stata  liberata  dal  terriccio  con 
cui  era  stata  riempita,  e  ha  mostrato  per  intero  la  sua  pianta.  Era 
quadrilatera  e  con  i  lati  maggiori  nel  senso  delia  larghezza  della 
chiesa,  leggermente  più  lungo  quello  opposto  all'  abside.  Tre  archi 
rotondi  in  concio  si  aggirano  attorno  alle  calotte  delle  tre  absidi  ;  i 
due  laterali,  naturalmente  minori,  con  questo  di  strano  che  non  sono 
concentrici  alle  calotte  sottoposte.  Poggiano  gli  archi  su  tre  gruppi 
lombardi  dal  capitello  elegante  e  lavorato  con  cura.  La  parete  di  fronte, 
invece  che  tre,  aveva  quattro  archi  pure  rotondi.  A  metà  distanza 
tra  le  due  pareti  erano  piantate  tre  colonne  su  cui  poggiavano  degli 
archi  non  sappiamo  se  tondi  od  acuti,  poiché  la  volta  6  caduta,  che 
formavano  le  crociere.  Dalla  colonna  di  mezzo  partiva  un  segmento 

Archivio  della  li.  Società  romana  di  storia  yatria.  Voi.  XXlll.       39 


604.  '^oii^i'e 


d'arco  che  s'appoggiava  sulla  chiave  del  grande  arco  mediano,  so- 
prastante all'abside  principale;  gli  archi  aderenti  alle  pareti  laterali 
erano  acuti  anziché  tondi.  L' intera  costruzione  presenta  i  caratteri 
del  secolo  xii.  Tutte  le  pareti,  anzi  anche  il  vivo  peperino  delle 
colonne,  delle  cordonate,  dei  capitelli  erano  ricoperti  di  freschi.  Ne 
restano  parecchie  tracce,  che  però  non  ci  fan  dolere  molto  della  per- 
dita del  resto.  Sono  pitture  rozze  nel  disegno  e  prive  di  vivacità  nel 
colorito.  Neil'  abside  maggiore  la  calotta  aveva  1'  agnello  pasquale 
circondato  dei  simboli  de'  quattro  Evangelisti,  più  in  basso  Gesù  (o 
la  Vergine)  tra  due  schiere  di  sante,  quasi  interamente  perdute.  Lo 
stesso  è  accaduto  delle  altre  pitture:  le  tracce  più  importanti  sono 
un  busto  del  Salvatore,  non  bello  ma  severamente  maestoso,  nella 
calotta  dell'abside  a  corna  epistolae,  e  due  scene  della  vita  di  Gesù 
bambino,  1'  adorazione  dei  Magi  e  la  fuga  in  Egitto,  nella  parete  di 
contro.  Da  un'iscrizione  mutila  pinta  nell'abside  a  cornu  epistolae  e 
da  un'  altra  pur  mutila  sottoposta  ad  uno  de'  quadri  nella  parete 
opposta  alle  absidi,  si  verrebbe  a  sapere  che  la  cripta  fu  dipinta  per 
cura  di  certo  P(éfr«)S  MICCALDA,  ma  non  è  detto  quando  né  per 
mano  di  chi.  Dal  complesso  però,  e  specialmente  dalla  forma  dei 
caratteri  delle  leggende  in  gran  parte  gotici,  si  é  spinti  a  crederla 
dipinta  nel  secolo  xiii,  certo  non  contemporaneamente  all'  erezione. 
La  cripta  servi  a  lungo  da  cimitero  ed  era  accessibile  ancora  alla 
fine  del  secolo  xv[  :  non  si  sa  quando  e  perchè  venisse  così  barba- 
ramente sconciata. 

Dal  suolo,  coperto  già  dalla  chiesa  dì  S.  Maria  Liberatrice,  che 
ci  è  stato  prodigo  di  tante  ricchezze,  é  venuto  fuori  anche  un  fondo 
di  ambone  ottagonale,  sul  cui  ciglio  stanno  le  due  iscrizioni: 

JOHANNES  SERVVS  SCE  MARIE 

e  IQANNOr  AOIAOT  THS  eESTOKOr 

le  quali  ci  riportano  con  certezza  a  Giovanni  VII  (705-708)  e  al- 
l' ambonem  novum  da  lui  fatto  costruire  in  S.  Maria  Antiqua  come 
ci  dice  il  Liher  Pontlficalis. 

Il  prof.  Adolfo  Venturi  ha  pubblicao  per  i  tipi  dell'  Hoepli  il 
suo  primo  volume  della  Storia  dell'  Arte.  Abbraccia  il  periodo  che 
corre  dall'  inizio  del  cristianesimo  all'  impero  di  Giustiniano.  L'opera 
è  ricchissima  di  illustrazioni,  che  però  non  sempre  soddisfano  per 
intero.  Qualunque  possa  essere  il  giudizio  che  ne  daranno  gli  inten- 
denti (e  di  gran  cuore  lo  auguriamo  favorevole),  ci  rallegriamo  che 
si  sia  accinto  a  tale  lavoro  un  Italiano,  dando  così  lieto  testimonio 


C\o//\/e  ^05 


del  risveglio  avvenuto  negli  ultimi  anni  in  questo  genialissimo  ramo 
di  studi. 

Il  prof.  N.  Rodolico,  come  bel  saggio  di  un  lavoro  sulla  demo- 
crazia fiorentina  dopo  il  tumulto  dei  Ciompi,  che  sarà  compimento 
dell'altro  suo  sul  popolo  minuto,  pubblica  per  nozze  un  prezioso  do- 
cumento: la  petizione  presentata  alla  Signoria  dalle  Arti  dei  tintori 
e  dei  farsettai,  dopo  che  la  loro  scissione  dai  Ciompi  o  popolo  di  Dio 
ne  aveva  determinata  la  caduta,  perchè  approvi  la  loro  costitu- 
zione. Cosi  ci  è  possibile  di  queste  minime  tra  le  Arti  conoscere 
almeno  per  sommi  capi  l' interno  ordinamento,  che  fino  ad  ora  ci 
era  rimasto  ignoto,  i  roghi  accesi  dalle  Arti  vittoriose  avendone 
bruc-ati  gli  statuti.  Col  nome  di  farsettai  s' intendevano  i  farsettai,  ì 
sarti,  i  cimatori,  i  cappellai,  i  retaioli,  i  bandierai  e  i  barbitonsori  : 
predominavano  i  primi  due  mestieri  con  diritto  alla  nomina  di  tre 
consoli  su  sei  da  cavare  due  in  un  mestiere  ed  uno  nell'altro  a 
turno.  Gli  altri  artieri  si  univano  in  due  gruppi,  tra  i  quali  si  avvi- 
cendava la  scelta  dei  rimanenti  tre  consoli  con  la  stessa  regola. 
Dell'Arte  de'  tintori,  oltre  questi,  facevano  parte,  aggruppati  due  a 
due,  i  cardatori  ed  i  saponai,  i  cardaioli  e  i  pettinatori,  i  tiratori  e  i 
rimandatori,  poi  da  soli  i  tessitori  di  drappi  e  ultimi  i  lavandai  di 
sudicio.  Su  dodici  consoli  quattro  erano  de'  tintori,  tre  dei  cardatori 
e  saponai,  due  de'  cardaioli  e  pettinatori,  uno  per  ogni  altro  gruppo 
o  mestiere,  rimanendo  in  tal  modo  ribadita  la  disuguaglianza  tra 
Arte  e  Arte  anche  tra  le  minime,  ed  esclusi  assolutamente  i  Ciompi 
(9  o   10000),   elemento  perpetuo  di  malcontento  e  di  disordine. 

Il  signor  Filippo  Monnier  ha  pubblicato  per  i  tipi  del  Perrin  di 
Parigi  una  storia  letteraria  d'Italia  nel  secolo  decimoquinto  {Le 
Quattrocento)  in  due  grossi  volumi.  A  lungo  egli  si  è  soffermato 
sulla  vita  letteraria  della  corte  romana. 

Presso  la  regia  Università  romana  il  Ministero  ha  istituito  una 
scuola  di  storia  dell'  arte  medioevole  e  moderna,  ponendola  sotto  la 
direzione  del  prof.  Adolfo  Venturi:  i  due  posti  di  studio  furono  con- 
quistati per  concorso  dai  dottori  Gino  Fogolari  e  Pietro  Tocsca. 

Il  nostro  socio  signor  Henry  Charles  Lea  ha  di  questi  giorni 
pubblicato  un  importante  volume  intitolato  The  Moriscos  of  Spain, 
Ihdir  convenion  and  expulsion.  il  un  importante  contributo  alla  storia 
della  Inquisizione  di  Spagna  a  cui  l' illustre  autore  attende  da  molti 
anni.  Se  ne  terrà  parola  in  uno  dei  prossimi  fascicoli  dcWÀrchivio, 


6o6  V^pti^ie 


Nelle  Mittheilungen  des  Insllluts  fùr  osterreichische  Geschichl^jorchun- 
f^eti  (fase.  VI),  il  nostro  socio  Paul  Kehr  ha  pubblicato  un  breve 
scritto  dal  titolo  :  Scrinium  una  Palaiinm,  in  cui  tratta  da  par  suo 
della  storia  della  cancelleria  pontificia  nel  secolo  xi.  Basti  ora  ac- 
cennarvi, se  ne  parlerà  poi  più  ampiamente,  come  si  farà  anche  del- 
l'altro suo  scritto  intorno  ad  Umberto  de  Silva  Candida  e  della  prima 
relazione  intorno  ai  documenti  pontifici  di  Roma  (Papstiirkunden  in 
Rom-Erster  Bericht)  che  egli  ha  inseriti  nel  i°  e  nel  2°  fascicolo 
delle  Nachrichten  der  K.  Geseìlschajl  der  fVissenschaften  ^u  Gòttingen  di 
quest'  anno. 

Dall'  editore  Ulrico  Hoepli  è  stata  iniziata  una  Colle:iione  Villari 
degnamente  aperta  dall'  opera  del  Villari  stesso,  Le  invasioni  harha- 
riche,  e  da  quella  di  P.  Orsi,  L'Italia  moderna. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


American  (The)  Historical  Review.  Voi.  VI,  fase.  I,  ot- 
tobre 1900  — R&censiom  dell'opera  dell' Holmes:  Caesar's  Conquest 
of  Gaul  (La  conquista  della  Gallia  fatta  da  Cesare).  -  Platner, 
recensione  dell'  opera  del  Newman  :  A  Manual  of  Church  History 
(Manuale  di  storia  della  Chiesa). 

American  Journal  of  Archaeology.  Serie  2%  voi.  IV,  fasci- 
colo I.  —  C.  L.  Meader,  Symmetr)'  in  Early  Christian  Relief  Sculp- 
ture  (La  simmetria  nel  primitivo  bassorilievo  cristiano). 

American  Journal  of  Philology.  Voi.  XX,  fase.  I.  —  J.  H. 
Drake,  Studies  in  the  Scriptores  Historiae  Augustae  (Studi  sugli 
S.  d.  S.  A.). 

Archivio  storico  italiano.  Serie  V,  to.  XXVI,  1900,  disp.  i".  — 
F.  P.  Garofalo,  recensione  dello  scritto  di  D.  Comparetti:  Inscri- 
zione arcaica  del  Foro  Romano.  —  Disp.  3".  S.  Minocchi,  La  «  Le- 
«  genda  trlum  sociorum  ».  Nuovi  studi  sulle  fonti  biografiche  di 
san  Francesco  d'Assisi.  IL  Critica  comparata  delle  Leggende  Fran- 
cescane. —  Disp.  4"*.  G.  Pansa,  Un  documento  inedito  per  Li  storci 
degli  eretici  e  ribelli  nelle  Marche.  -  D.  ÌAkkli^  recensione  dclT  opera 
del  GoRRiNi:  La  cattura  e  prigionia  di  Annibale  Malvezzi  in  Ger- 
mania. Episodi  delle  lotte  di  rappresaglia  in  Bologna,  1432-94. 

Archivio  storico  siciliano.  N.  S.  An.  XXV,  1900,  fascicoli  i* 
e  2".  —  F.  Pollaci  Nuccio,  I  papi  e  la  Sicilia  nel  medio  evo. 

Bibliothèque  de  l'École  des  Chartes.   An.    io(h\  Ii 

e  4".   —  MoKTirr,  La  mcsure  des  voùtcs  roinaincs  ci'.ii'tr  .    .e 

d'origine  antique. 

Ut 


^o8  T^eriodicì 


Bollettino  storico  della  Svìzzera  italiana.  An.  1900,  fasci- 
coli I-IO.  —  Lettere  di  sovrani,  principi  e  prelati  dirette  a  Pio  IV, 
al  cardinale  Borromeo  e  ad  altri  (i 561-1630). 

Bollettino  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  l' Um- 
bria. Voi.  VI,  1900,  fascicoli  1°  e  2°.  —  L.  Fumi,  I  registri  del  du- 
cato di  Spoleto  dall'archivio  segreto  Vaticano,  Camera  Apostolica.  - 
F.  GoRi,  Due  monumenti  relativi  ad  un  vescovo  e  ad  un  antipapa 
francese  e  ad  un  antipapa  svizzero. 

Bullettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  An.  1900,  fascicoli  1°,  2°  e  3".  —  R.  Lanciani,  Le  escava- 
zioni del  Foro.  -  T.  Ashby,  Un  altro  panorama  di  Roma  delineato 
da  Antonio  van  den  Wagagaerde.  -  R.  Paribeni,  Di  un'  iscrizione 
inedita  di  via  Labicana  menzionante  un  re  straniero.  -  L.  Correrà, 
Il  toro  e  r  Ercole  Farnese.  -  D.  Vaglieri,  Nuove  scoperte  al  Foro 
Romano.  -  G.  Pinza,  Necropoli  laziali  della  prima  età  del  ferro.  - 
R.  Paribeni,  Ancora  del  re  straniero  ricordato  in  una  antica  iscri- 
zione. 

Englìsh  (The)  Historical  Review.  Voi.  XV,  fase.  59°,  lu- 
glio 1900.  —  Greenidge,  recensione,  dell'opera  del  Drumann:  Ges- 
chichte  Roms  in  seinem  Ùbergange  von  der  republikanischen  zur 
monarchischen  Verfassung  (Storia  di  Roma  nel  passaggio  dalla  co- 
stituzione repubblicana  alla  monarchica).  -  Rashdall,  recensione  del- 
l'opera  deir  EuBEL  :  Hierarchia  catholica  medii  aevi.  —  Fase.  60°, 
ottobre  1900.  Ward,  recensione  dell'opera  dell' Immisch:  Papst  Inno- 
cenz  XI  (Papa  Inn.  XI). 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  An.  1900,  fasci- 
coli 1°  e  2«  (voi.  XXXVI,  fascicoli  io6«  e  107°).  —  V.  Gian,  recen- 
sione dell'opera  del  Pastori  Geschichte  der  Pàpste  seit  den  Aus- 
gang  des  Mittelalters.  III.  Band,  sec.  edizione  (Storia  dei  papi  dopo 
la  fine  del  M.  E). 

Historisches  Jahrbuch.  An.  1900,  fase.  2°  e  3°.  —  Schnitzer, 
Savonarola  am  Sterbebette  Lorenzo  de  Medicis  (Savonarola  al  letto 
di  morte  di  L.  d.  M.).  -  Ketterer,  recensione  dello  scritto  del  Mar- 
TENs:  Beleuchtung  der  neuesten  Kontroversen  ùber  die  ròmische 
Frage  unter  Pippin  und  Karl  d.  Gr.  (Esame  delle  ultime  controversie 
sulla  questione  romana  sotto  Pipino  e  Carlo  Magno). 


T^eriodici  ^09 


Mélanges  d'archeologie  et  d'histoìre,  fase,  agosto-dicem- 
bre 1900.  —  M.  Besnier,  Les  cartes  vaticanes.  Une  vue  de  Rome 
en  163 1.  —  D.  Serruys,  Les  feuillettes  de  garde  de  l'Urbinas  grec 
N.  92.  —  L.  DucHESNE,  Saint-Denis  in  Via  Lata,  notes  sur  Li  to- 
pographie  de  Rome  au  moyen  àge. 

Mittheilungen  des  Instìtuts  fiir  oesterreichische  Ges- 
chichtsforchung.  An.  1900,  fase.  4''.  —  Steinherz,  Das  Schisma 
von  1378  und  die  Haltung  Karl's  IV  (Lo  scisma  del  1378  e  il  con- 
tegno di  Carlo  IV). 

Mittheilungen  aus  der  historischen  Litteratur.  An.  1900, 
fase.  3°.  —  Dietrich,  recensione  dell'opera  dell'  Ihxe:  Ròmische  Ges- 
chichte  (Storia  romana).  -  Id.  recensione  dell'opera  del  Drumann: 
Geschichte  Roms  in  seinem  Uebergange  von  der  republikanischen 
zur  monarchischen  Verfassung  (Storia  di  Roma  nel  suo  passaggio 
dalla  repubblica  alla  monarchia).  -  Volkmar,  recensione  dell'opera 
del  Lux:  Papst  Silvesters  IL  Einfluss  auf  die  Politik  Kaiser  Ottos  III. 
(Influsso  di  papa  S.  Il  sulla  politica  dell'  imperatore  O.  III).  — 
Fase.  4**.  Martens,  recensione  dell'opera  del  Clementi:  Il  carnevale 
romano  nelle  cronache  contemporanee. 

Nouvelle  Revue  historique.  An.  1900,  fase.  i<*.  —  Dareste, 
recensione  dell'opera  del  Kiaer:  L'Édit  de  Rotharis,  études  sur  la  na- 
tionalité  des  Langobards.  —  Fase.  2°.  D'Arbois  de  Jubainville,  Le 
Fundus  et  la  Villa.  —  Fase.  3°.  Flach,  Fundus,  Villa,  Village.  — 
Fase.  5°.  HuvELiN,  recensione  dello  scritto  del  Prrnard:  Le  droit  ro- 
main  et  le  droit  grec  dans  le  théàtre  de  Piante  et  de  Térence. 

Nuovo  Archivio  Veneto.  To.  XX,  par.  I.  —  C.  Cipolla,  Pub- 
blicazioni sulla  storia  medioevale  italiana  (1897):  Roma  e  Lazio.  — 
To.  XIX,  par.  IL  G.  Della  Santa,  Il  vero  testo  dell'appellazione 
di  Venezia  dalla  scomunica  di  Giulio  IL  -  Preoelli,  recensione  del- 
l'opera  del  Kehr:  Papsturkundcn  in  Venetien  und  Friaul.  Bcrichte 
ùber  die  Forschungen  L.  Schiaparelli's  (Doc.  pontifici  sulla  Venezia 
e  sul  Friuli;  relazione  delle  ricerche  di  L.  Schiaparclli). 

Revue  d'histoire  ecclósiastique.  An.  I,  fase.  2'^.  —  Kauf- 
mann,  recensione  dello  scritto  del  Dh  Vaal:  Der  Sarkofag  des  Junius 
Bassus  in  der  Grotten  von  St.  Peter  (Il  sarcofago  di  Giunio  Basso 
nei  sotterranei  di  S.  Pietro).  —  Fase.  3°.  Cauchie,  recensione  del- 
l'opera del  Dufourcq.:  Étude  sur  les  Gesta  martyrum  romains.  — 


610  T^er  iodici 


F^sc.  4**.  De  Ridder,  La  question  romaine  en  1862.  -  Brants,  recen- 
sione dell'opera  del  Tamilia:  Il  Sacro  Monte  di  Pietà  di  Roma. 

Revue  Historique.  An.  XXV,  1900,  fase.  2°.  — Guiraud,  rg- 
censione  delle  opere  del  Suchon:  Die  Papstwahlen  von  Bonifaz  Vili 
bis  Urban  VI,  und  die  Entstehung  des  Schismas  1378  (Le  elezioni 
pontificie  da  B.  Vili  a  U.  VI  e  l'inizio  dello  scisma  del  1378)  e  Die 
Papstwahlen  in  der  Zeit  des  grossen  Schismas  (Le  elezioni  ponti- 
ficie nel  tempo  del  grande  scisma). 

Revue  des  Questìons  historiques.  An.  1900,  i**  luglio.  — 
M.  B,,  recensione  dell'opera  del  Mirot:  La  politique  pontificale  et  le 
retour  du  St-Siège  à  Rome  en  1376.  -  Péllissier,  recensione  del  la- 
voro del  PoMETTi:  Studi  sul  pontificato  di  Clemente  XI  (1700- 1721). 
La  Santa  Sede  nella  guerra  di  successione  al  trono  di  Spagna.  - 
G.  P.,  recensione  dell'opera  del  De  Love:  Les  archives  de  la  Chambre 
apostolique  au  xiv^  siede.  —  Fase,  del  1°  ottobre.  Vidal,  Le  pape 
Jean  XXII,  son  intervention  dans  le  conflit  entre  la  Savoie  et  le  Dau- 
phiné  (1319-1334). 

Rivista  italiana  di  numismatica  e  scienze  affini.  An.  1900, 
fascìcoli  1°,  2"  e  3°.  —  F.  Gnecchi,  Appunti  di  numismatica  ro- 
mana. -  G.  Camozzi,  Intorno  alla  «  Adoptio  »  di  Adriano  impera- 
tore: note  di  storia  e  numismatica. 

Rivista  storica  italiana.  An.  XVII.  N.  S.  voi.  V,  fascicoli  3"- 
4°.  —  Mariani,  recensione  dello  scritto  del  Tropea:  La  stele  arcaica 
del  Foro  Romano.  -  Id,,  recensione  dello  scritto  dell' Eumann:  Die 
archaische  Inscr.  d.  ròm.  Forums.  -  Io.,  recensione  dello  scritto  del 
Courbaud:  Le  bas-relief  romain.  -  Tahamelli,  recensione  delV  opera 
del  Duhn:  Alteste  lat.  Inscrift  am  Forum  rom.  -  Rinaudo,  recen- 
sione dell'opera  del  Lair:  Bulle  du  pape  Sergius  IV.  Lettres  de  Ger- 
bert.  -  Spezi,  recensione  dell'opera  del  Del  Lungo,  Da  Bonifacio  VIII 
ad  Arrigo  VII.  -  Cipolla,  recensione  dell'opera  del  Kirsch,  Die 
Rùckkehr  Urban  V  u.  Gregor  XI  nach  Rom.  -  Battistella,  recen- 
sione dell'opera  del  Cogoi  La  guerra  di  Venezia  contro  i  Turchi 
del  1499.  -  Id.,  recensione  dell'opera  del  Della  Santa,  Le  appella- 
zioni di  Venezia  dalle  scomuniche  di  Sisto  IV  e  Giulio  IL  -  Ca- 
PASSO,  recensione  dell'opera  del  Wolf  :  Deutsche  Geschichte  im  Zeit- 
alter  der  Gegenreformation.  -  C.  M.,  recensione  dello  scritto  del 
Rosi,  Storia  della  relazione  fra  la  Repubblica  di  Genova  e  la  Chiesa 
romana.  -  Battistella,  recensione  dell'opera  del  Celani:  Documenti 


Periodici  6 1 1 


pel  dissidio  tra  Venezia  e  Paolo  V,  -  Id.,  recensione  dell'opera  del- 
l'Arezio:  Politica  della  S.  Sede  rispetto  alla  Valtellina.  —  Fase.  5". 
L.  M.  recensione  dell'opera  del  Russel:  The  Roman  Aqueducts.  - 
Galli,  recensione  dell'opera  del  Cortellini:  Leggi  delle  XII  Ta- 
vole. -  CoRAZZiNi,  recensione  dell'opera  del  Ferrerò:  Nuove  iscri- 
zioni ed  osservazioni  sulle  armate  romane.  -  Sangiorgio,  recensione 
dell'opera  del  Tedeschi:  Il  diritto  marittimo  dei  Romani.  -  Ecidi, 
recensione  delio  scritto  del  Fedele:  Un  consolato  nel  protocollo  d'una 
carta  nel  1004.  -  Schiaparelli,  recensione  dell'opera  del  Fraikin • 
Bulles  inédites  relatives  à  diverses  églises  d' Italie.  -  Ecidi,  recen- 
sione dell'opera  del  Mirot:  La  politique  pontificale  et  le  retour  du 
St-Siège  à  Rome.  —  Fase.  6°.  Mariani,  recensione  dello  scritto  del 
Thédenat:  Le  Forum  Romain  et  les  forums  impériaux.  -  Ramo- 
RiNO,  recensione  dell'opera  del  Neumann  :  Die  Grundherrsch  der  rò- 
mischen  Republik.  -  Io.,  recensione  degli  scritti  del  Ribbeck:  Sena- 
tores  romani  qui  fuerint  idibus  martii  a.  U.c.  710,  e  del  Tropea: 
Studi  sugli  «  Scriptores  historiae  Augustae».  -  Cipolla,  recensione 
dell'opera  del  Rappaport:  Die  Einfiille  der  Goten  in  das  ròmischen 
Reich.  -  Spezi,  recensione  dell'opera  del  Ginetti:  Avanti  lo  scisma 
Laurenziano.  -  Cipoll\, recensione  dell'opera  dell'  Hartmann:  Ròmer 
und  Langobarden  bis  zur  Theilung  Italicns.  -  Spezi,  recensione  dello 
scritto  dell' Ecidi:  Intorno  ad  una  leggenda  viterbese  sull'origine  dei 
Paleologi.  -  Rondoni,  recensione  dell'opera  del  Moro,  Di  sant'An- 
tonino in  relazione  con  la  riforma  cattolica.  -  Id.,  recensione  dello 
scritto  del  Casanova  :  La  legazione  dì  A.  Piccolomini  a  Roma  e  a 
Napoli.  -  Spezi,  recensione  degli  scritti  del  Viti  Mariani:  L'archiduc 
Ernest  d'Autriche  et  le  St-Siège;  La  Spagna  e  la  S.  Sede.  -  Ci- 
polla, recensione  dell'opera  del  Bischoffhausen  :  Papst  Alexander  Vili 
u.  d.  Wiener  Hof. 

Ròmische  Quartalschrift.  An.  1900,  fase.  3°.  —  Stecensek, 
Architek'tonische  Untersuchung  von  S.  Croce  in  Gerusalemme  in 
l^om  (Esame  architettonico  di  S.  C.  in  G.  di  Roma).  —  Fase.  4°. 
De  Waal,  Die  Coemeterial-Basilikcn  Roms  um  die  Wende  des  vili. 
Jahrhunderts  nach  dem  Liber  Pontifìcalis  (Le  basiliche  cemeteriali 
di  Roma  del  secolo  viii  secondo  il  L.  P.).  -  Ehses,  Vertrag  zwischen 
Papst  Plus  II  und  der  Markgrafcn  Ludwig  von  Mantua  fùr  die  Dauer 
dcs  1-urstenkonvcntes  zu  Mantua  1459  (Patto  tra  Pio  II  e  il  mar- 
chese Ludovico  di  Mantova  per  il  congresso  de'  principi  a  Mantova 
nel  1459). 

Stimmen  aus  Maria-Laach.  An.  1900,  fase.  7  '.  —  Knlller, 
recensione dtìV opera  del  Grisar:  Analecta  romana,  voi.  I.  —  Fase.  8°, 


6 12  Periodici 


Braun:  recensione  dell'opera  del  Wiegand  :  Das  altchristliche  Haupt- 
portal  an  der  Kirche  der  hi.  Sabina  auf  den  aventinischen  Hùgel  zu 
Rom  (Dell'antica  porta  maggiore  cristiana  di  S.  Sabina  sull'Aven- 
tino in  Roma).  —  Fase.  9°.  Borkowoski,  recensione  dell'  opera  del- 
l' Aust:  Die  Religion  der  Ròmer  (La  religione  dei  Romani). 

Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto.  An.  XXI,  1900,  fasci- 
coli i^-j".  —  G.  BoNELLi,  Le  imposte  indirette  di  Roma  antica.  - 
P.  Brand,  Innocenzo  VII  e  il  delitto  di  suo  nipote  Migliorati  Lu- 
dovico. 

Studìen  und  Mittheilungen  aus  dem  Benedictiner-  und 
dem  Cistercienser-Orden.  An.  1900,  fascicoli  2°  e  3°.  —  Albers, 
Aus  Vaticanischen  Archiven.  Zur  Reformgeschichte  des  Benedicti- 
nerordens  ini  xvr.  Jahrh.  (Dagli  archivi  Vaticani.  Per  la  storia  della 
riforma  dell'Ordine  Benedettino  nel  secolo  xvi). 

Zeitschrift  fiir  Kirchengeschichte.  An.  1900,  fase.  3°.  — 
KuPKE,  Die  Audienz  des  pàpstlichen  Nuntius  ani  Hofe  in  Dresden, 
Monsignor  Arezzo,  bei  Napoleon  I  in  BerHn  (Udienza  concessa  da 
Napoleone  I  in  Berlino  a  mons.  Arezzo,  nunzio  pontifìcio  presso  la 
corte  di  Dresda).  —  Fase.  4°.  Blumenthal,  Johann  XXIII,  scine 
Wahl  und  seine  Personlickeit  (G.  XXIII,  la  sua  elezione  e  la  sua 
personalità). 


INDICE  GENERALE 

delle  materie  contenute  nel  volume  XXIII 


A.  BUCHELLIUS.     Iter  Italicum  {Continua)  ....     pag.  5 

V.  FEDERICI.     Regesto  del  monastero  di  S.  Silvestro  de  Ca- 
pite             67 

LI.     (Continuazione,  e  fine)  ..    .     , »     .     .       411 

G.  TOMASSETTI.     Della  Campagna  romana  (Continua^:).       129 

P.  FEDELE.     Tabularium  S.  Mariae  Novae   ab   an.   982   ad 

an.   1200  (Continua) 171 

F.  POMHTTI.     StuJii  sul  pontificato  di  Clemente  XI  (1700- 

1721) 239 

Id.     (Continuazione  e  fine) 449 

P.  ECIDI.     La  fraternità  dei  Disciplinati  di  Viterbo     ...  331 

F.  HERMANIN.     Un  affresco  di  Pietro  Cavallini   a   S.  Ce- 
cilia in  Trastevere 397 

V.  FEDERICI.     Santa  Maria  Antiqua  e  gli  ultimi  scavi  del 

Foro  Romano 517 

Varietà  : 

P.  KEHR.     Due  documenti  pontifici  illustranti   la  storia 

di  Roma  negli  ultimi  anni  del  secolo  xi 277 

L.  FUMI.  Una  lettera  del  Bayeux  oratore  di  Francesco  I 
in  Venezia  al  datario  Gian  Matteo  Gibcrti  in  Roma 
(11  dicembre  1526)       284 

G.  GRIMALDI.     Un  episodio  del  pontificato  di  Giulio  II.       563 

F.  S.  CARDOSI.     Origine  pagana  di  due  chiese  in  Roma.       572 

Necrologia  : 

Raffaele  Ambrosi  De   Magìstris .       $77 


6i^  Indice  generale  del  volume  XXIII 


Atti  della  Società: 

Seduta  del  22  gennaio   1900 pag.  295 

Seduta  del  26  marzo  1900 295 

Seduta  del  23  aprile  1900 299 

Seduta  del  15  dicembre  1900 579 

Bibliografia  : 

Francis  Stevenson  Seymour  M.  P.  «  Robert  Grosseteste 
bisliop  of  Lincoln.  A  contribution  to  the  relìgious  politicai  and  intel- 
lectual  history  of  the  thirteenth  century  »,  —  London,  Macmillan 
and  Co.,   1899  (Mary  Bateson) 3^3 

Luigi  Fumi.  «  Eretici  e  ribelli  nell'  Umbria  dal  1320  al  1330».' — 
Perugia,  Unione  tipografica  coop.,   1899  (F.  Tonetti...)    3^S 

H.  Grisar  S.  I.  «  I  papi  nel  medio  evo  »  (traduzione  dal  tede- 
sco) ;  voi.  I  :  Roma  alla  caduta  dell'  impero  :  voi.  II  :  Roma  sotto  la 
dominazione  ostrogota  e  bizantina;  parte  III,  voi.  I:  Roma  alla  fine 
del  mondo   antico  (R.  Ambrosi  de  Magistkis) l>^^ 

Achille  Dina.  «  L' ultimo  periodo  del  principato  longobardo  e 
l'origine  del  dominio  pontificio  in  Benevento  ».  —  Benevento,  Giuseppe 
De  Martini,   1899  (P.  Fedele) 3  I  I 

G.  A.  Garitfi.  «La  curia  stratigoziale.di  Messina  a  proposito  di 
Guido  delle  Colonne  »  ;  estratto  dai  «  Rendiconti  della  R.  Accademia 
dei  Lincei  »,  class,  stor.  e  filol.,  voi  IX,  fase.  I,  1900,  in-4,  pp.  18 
(V.  Federici) .' 3  I4 

«  Italy    and    her    invaders  »    by    Thomas    Kodgkin,  voi.  VII,         ^j^ 
Book  vili  :  «  Frankish  invasion  »,  pp.xvti-397,  in-i6  ;  voi. VIII,  Book  lx  : 
«  The  Frankish  Empire  »,  pp.  xi-331,  in-i6.  —  Oxford,  1899  (M.  Rosi) 

Pasquale  Villari.  «  Le  invasioni  barbariche  in  Italia  »  con 
tre  carte.  —  Milano,  Hoeplì,   1901,  pp.  xiii-480,  in-i6  (M.  Rosi) 5"5 

Orazio  Bacci.  «  Vita  di  Benvenuto  Cellini  ».  Testo  critico  con 
introduzione  e  note  storiche.  —  Firenze,  G.  B.  Sansoni,  1901  (Dome- 
nico  Orano) 5  °" 

Bruno  Albers.  «  Consuetudines  monasticae  ».  Voi.  I.  «  Consue- 
tudines  Farfenses  ex  archetypo  Vaticano  nunc  primum  recensuit  A.  B. — 
Stuttgardiae  et  Vindobonae,  Roth,  1900,  in- 4,  pp.  lxxxi-2o6  (V.  Fe- 
derici).          590 

Donato  Tamilia.  «  Il  Sacro  Monte  di  Pietà  di  Roma  ».  Ricerche 
storiche  e  documenti  inediti  con  illustrazioni  e  tavole.  —  Roma,  For- 
;.anl  e  C,   1900  (D.  Orano) 591 

Dott.  Giacomo  Gorrini.  «  La  cattura  e  prigionia  di  Annibale 
Malvezzi  in  Germania.  Episodi  delle  lotte  di  rappresaglia  in  Bologna, 
1432-1494».  —  Bologna,  Zanichelli,   1900,  pp.  147  (Pietro  Sani  ini).         59^ 

Notizie 319 

Id ■ 601 

Periodici  (Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma)       327 

Id.  607 


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V.23 


Società  romana  di  storia 
patria 

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