Skip to main content

Full text of "Archivio"

See other formats


ARCHIVIO 


della 


R.  Società  Romana 


di   Storia   Patria 


Volume  XXIV. 


Ti 


Roma 

nella    Sede    della    Società 

alla    Biblioteca    Vallicelliana 


I9OI 


kox 


1121208 


Roma.     Forzani  e  C.  tip.  del  Senato. 


NUOVI     DOCUMENTI 


RELATIVI    ALLA 


Ìihcra^ionc  dei  principali  prigionieri  turchi 


PRESI     A    LEPANTO 


òfS^^OEL  volume  XXI.  di  questo  •^rc/jiV/c)  pubblicava  con 
^ì^  ^  ^''^'^'^  illustrazioni  alòurii  documenti  relativi  alla 
[^'^^'  liberazione  dei'  principali  prigionieri  turchi  presi 
a  Lepanto  e  tenuti  a  Roma  parecchi  anni  per  conto  della 
Lega  cristiana.  Secondo  quei  documenti,  Gregorio  XIII 
appariva  premuroso  di  mettere  in  libertà  i  Turchi,  affinchè 
in  cambio  il  sultano  rendesse  a  Venezia  alcuni  capitani 
presi  a  Cipro,  e  alla  Spagna  Gabrio  Serbelloni,  preso  alla 
Goletta.  Delle  due  più  autorevoli  potenze  della  Lega,  Ve- 
nezia desiderava  ardentemente  il  cambio,  la  Spagna  si  op- 
poneva, ed  il  papa,  troy^ndo^ljn  mezzo  a  due  Stati  cat- 
tolici e  potenti,  di  cui  desiderava  i'  amicizia,  e  che  voleva 
conservare  concordi  per  ambile  guerre  contro  i  Turchi, 
proclamava  il  dovere  che  di  liberare  i  Cristiani  incombeva 
a  lui,  capo  della  Chiesa,  e  contro  la  volontà  di  Spagna  lo 
compiva  (i). 

I  documenti  pubblicati  mettevano  in  buona  luce  Gre- 
gorio XIII,  lasciavano  comprendere  alcune  difficoltà  op- 


(i)  M.  Rosi,  Alcuni  documeiiH  relalivi  alla  liberazione  dei  princi- 
pali prigionieri  turchi  presi  a  Lepanto,  in  Arch.  della  R.  Società  romana 
di  storia  patria,  XXI,  159  sgg.  e  documento  relativo  n.  11,  p.  186. 


6  qM.  T{os{ 

poste  da  Filippo  II,  e  in  piccola  parte  anche  gli  ostacoli 
incontrati  a  Costantinopoli,  ma  non  bastavano  per  cono- 
scere tutto  il  retroscena  delle  trattative  che  si  fecero  per 
il  cambio  dei  prigionieri,  né  di  apprezzare  giustamente 
r  importanza  di  esso  e  il  posto  che  occupa  nell'  agitata 
politica  europea  durante  il  periodo  che  corre  dalla  battaglia 
di  Lepanto  al  compimento  del  negozio  concluso  nel  1575. 

E  tale  periodo  può  ben  dirsi  fecondo  di  avvenimenti 
gravi  anche  volendosi  solo  limitare  ai  rapporti  fra  l'  Europa 
e  i  Turchi.  Infatti  si  concluse  la  pace  tra  \'enezia  e  il 
sultano,  si  tentò  un  ravvicinamento  fra  i  Turchi  e  la  Spagna, 
ravvicinamento  che  non  si  potè  f:ire  e  che  divenne  anzi 
difficilissimo  per  la  conquista  della  Goletta,  si  resero  più 
stretti  i  rapporti  tra  1'  Oriente  e  la  Francia,  la  quale  con- 
cepì disegni  sempre  più  arditi,  fitta  audace  dalla  elezione 
d'  Enrico  di  Valois  a  re  di  Polonia,  ed  a  lungo  si  trattò 
pure  delle  relazioni  fra  i  Turchi  e  Roma. 

Queste  ed  altre  cose  io  ben  sapeva  quando  nel  1898  pub- 
blicavo i  citati  documenti,  e  quindi, pur  apprezzando  l'im- 
portanza di  essi,  diceva  che  non  tutto  lasciavano  vedere  e  che 
nuove  ricerche  avrei  fatte  per  arricchire  quello  studio  (i). 

Fedele  alla  mia  promessa,  pubblico  ora  altri  documenti 
trovati  negli  archivi  e  nelle  biblioteche  di  Roma  e  di  Ve- 
nezia, non  già  affermando  di  aver  con  questo  compiuto 
in  ogni  parte  1'  esame  (e  come  potrebbe  dirlo  chi  studia 
su  materiali  inediti  ?)  di  questo  argomento,  ma  solo  sicuro 
di  aver  fatto  lunghe  e  diligenti  indagini  nelle  capitali  dei 
due  antichi  Stati,  che  in  queste  trattative  ebbero  la  parte 
maggiore,  e  lieto  di  presentare  una  raccolta,  la  quale  dal 
punto  di  vista  politico  è  molto  più  importante  della  pre- 
cedente. 

Per  farla,  nulla  ho  potuto  togliere  da  opere  stampate, 
non  avendone  vedute  di   utili,    oltre  quelle   che   adoperai 

(i)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  184. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto         7 

per  il  primo  lavoro;  dovrà  pertanto  il  nuovo  studio  pro- 
cedere su  documenti  inediti,  illustrati,  ove  occorra,  dal- 
l' altro  scritto  che  verrò  via  via  citando. 

Dopo  la  battaglia  di  Lepanto,  i  vincitori  lasciarono 
indivisi  una  quarantina  di  prigionieri  turchi  affidandoli  al 
pontefice,  che  avrebbe  dovuto  custodirli  per  conto  della 
Lega(i). 

Dei  prigionieri  due  rimasero  a  Napoli  (2),  gli  altri,  il 
giorno  8  marzo  1572,  accompagnati  dai  cavalleggieri  giun- 
sero a  Roma  (3),  dove  restarono  fino  alla  loro  liberazione 
chiusi  nel  palazzo  dell'Aquila  in  Borgo,  sotto  la  guardia 
di  ventiquattro  alabardieri  (4). 

(i)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  141  sgg. 

(2)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  142.  Dei  due  non  giunti  a  Roma,  l'uno 
era  il  figlio  maggiore  di  Ali,  morto  poco  dopo  a  Napoli. 

(3)  In  un  avviso  di  Roma  del  giorno  8  marzo  1572,  conservato 
nella  biblioteca  Vaticana,  codice  Latino-Urbinate  n.  1043,  ^^  ^^gg^- 
«  Hoggi  intorno  alle  20  bore  son  entrati  in  Roma  li  -  Turchi  pri- 
«  gioni  accompagnati  dalli  cavalli  leggieri  di  Napoli,  si  come  gli  scrissi, 
«  son  passati  per  mezzo  di  Roma  a  due  a  due  vestiti  tutti  con  la 
«  veste  de  sotto  de  raso  ranciato  et  le  di  sopra  di  raso  rose  secche, 
«  ma  li  due  principali,  cioè  il  figlio  del  Bascià,  et  il  governatore  del 
«  Negroponte,  con  le  veste  del  medesimo  colore,  ma  di  velluto.  Gia- 
ce scheduna  di  queste  coppie  havevano  dalle  bande  un  cavallo  leg- 
«  giero  con  le  lancio  in  mano». 

(4)  Nell'archivio  del  Capitolo  di  S.  Pietro,  che  ho  potuto  visitare 
per  la  cortesia  del  rev.  Galli  ad  esso  preposto,  si  conserva  un  volume 
manoscritto  intitolato:  Descriplio  purrocbiae  et  hapti:^atorum,  incomin- 
ciato nel  maggio  del  1540.  Tra  i  fabbricati  della  «strada  nova»  si 
trova  indicato  «  el  palazo  che  se  dice  de  Ioanni  Baptista  del  Aquila  ». 

Nel  medesimo  archivio  si  trova  un  Libro  della  parochia  di 
S.  Pietro  :  Status  anitnanim,  il  quale  contiene  queste  parole  riferen- 
tisi  all'anno  1573:  «Infra  la  strada  nova  et  borgo  vecchio  seguita 
«  a  l'altra  isola  dalla  strada  nova  a  borgo  vecchio  il  palagio  del  Aquila 
«di  M.  Hieronimo  Geuli  alla  zecca  vecchia,  habitato  adesso  ad  in- 
«  stantia  della  Lega  de  Gristiani  da  M.  Giovanni  Battista  Cossisio 
«  clerico  Ariminensis  dioces.  mastro  de  casa  con  tutta  la  famiglia  in 


8  S\l.  1{osi 

Durante  la  prigionia,  che  durò  circa  tre  anni,  vennero 
mantenuti  dal  pontefice,  perchè,  essendosi  presto  sciolta  la 
Lega,  che  aveva  promesso  di  sostenerne  le  spese,  i  singoli 
collegati  mancarono  agi'  impegni  collettivamente  presi  (i). 

Mentre  i  prigionieri  turchi  stavano  a  Roma,  il  pontefice 
faceva  di  tutto  perchè  la  guerra  continuasse  e  si  tenesse 
unita  la  Lega.  Troppi  interessi  resero  vane  le  cure  del 
papa,  e  ciascuna  potenza,  compresa  Venezia,  credendosi 
sciolta  da  ogni  impegno,  pensò  a  regolare  per  conto  proprio 
i  suoi  rapporti  coi  Turchi  (2). 

Anche  la  Francia  volle  occuparsene,  e  mons.  d'Ax, 
andato  a  Costantinopoli  per  conto  del  suo  re,  quando  già 
pensavasi  dai  Turchi  alla  pace,  ostentava  amicizia  verso 
Venezia,  e  contenevasi  in  maniera  da  far  credere  che  la 
città  vittoriosa  più  di  tutti  desiderasse  la  pace,  e  che  avesse 
affidato  l'incarico  di  concluderla  al  diplomatico  francese  (3). 


«  governo  de  li  turchi  prigioni,  Angelo  spend.r^  dal  Casentini,  Antonio 
e(  Maria  Boschetto  dispensfer,  Vincentio  d'Urvieto  credentiere,  Bene- 
«  detto  Atracini,  Francesco  de  Marzo  scopatore,  Antonio  suo  fratello 
«  garzon  del  tinello,  Camilla  da  Luese  (sic)  coca  vedova  ». 

(i)  Nel  citato  codice  Urbinate  n.  104^,  leggiamo  in  un  avviso 
da  Roma  del  1572,  che  per  mantenere  i  prigionieri  «la  spesa  sì  farà 
«dalla  Lega,  la  quale,  per  quanto  dicono,  ascenderà  a  500  scudi  al 
«  mese  «.  Ma  nella  nostra  op,  cit.  p.  145  dimostrammo  che  in  realtà 
spese  soltanto  il  pontefice,  senza  poter  peraltro  determinarne  la  somma, 
non  avendone  trovato  sicure  notizie  né  in  opere  stampate,  né  in  do- 
cumenti vaticani  e  veneziani  ricercati  con  molta  diligenza. 

(2)  Nella  mia  pubblicazione  più  volte  citata,  e  specialmente 
alla  p.  146  sgg.  e  nelle  note  relative,  parlai  brevemente  della  pace 
che  il  7  marzo  1575  i  Veneziani  conclusero  coi  Turchi,  accennando 
pure  ai  lamenti  che  questa  provocò  da  parte  del  papa  e  della  Spagna. 
Rimando  alle  varie  fonti  edite  e  inedite  ivi  citate  per  intendere  meglio 
quanto  ora  aggiungerò  seguendo  nuovi  documenti  inediti. 

(3)  Nella  biblioteca  Marciana,  ci.  VII .  CDVI,  in  un  codice  del 
secolo  xvH  si  conserva  una  Scrittura  dei  bailo  Barbaro  clic  trattò  la 
p.ice  di  Cipro.  In  questa  si  narrano  le  vicende  delle  trattative,  e  si 
ricorda    che,  mentre  Rabbi  Salomon,  medico  ebreo  nato  a  Udine  e 


La  libi;ra\ioìic  dei  Titrcìii  presi  a  Lcpaulo  9 


In  tal  modo  questi  riuscì  più  dannoso  che  utile  a  \'e- 
nezia,  la  quale  dovette  superare  diflkoltà  maggiori  per 
concludere  la  pace  del  7  marzo  1573,  pace  che  dispiacque 
moltissimo  al  papa,  alla  Spagna  ed  all'  impero,  senza  con- 
tentare appieno  la  diplomazia  veneziana  (i). 

Invano  la  Repubblica,  che  prevedeva  questo  dispiacere, 
aveva  cercato  di  provare,  che  non  dispregio  verso  gli  amici 
d'Occidente,  non  desiderio  di  risparmiarsi  brighe  per  il 
bene  della  Cristianità,  ma  il  bisogno  di  evitare  mali  mag- 
giori r  avevano  indotta  alla  pace,  la  quale  non  solo  costavate 
i  sacrifizi  noti  per  mezzo  del  trattato  di  pace,  ma  altri  an- 
cora che  aveva  f-itti  per  guadagnarsi  segretamente  i  per- 
sonaggi più  autorevoli  della  corte  di  Costantinopoli  (2). 

dimorante  a  Costantinopoli,  come  affezionato  a  Venezia  e  da  questa 
largamente  regalato,  aveva  riferito  al  bailo  che  il  Pascià  pensava 
alla  pace,  la  quale  potevasi  così  concludere  a  migliori  condizioni  per 
Venezia,  mons.  d'Ax  parlò  in  maniera  da  far  credere  che  i  Cristiani 
fossero  deboli,  divisi  e  desiderosi  d'accordarsi  coi  Turchi.  Allora  il 
Pascià  non  ne  volle  più  parlare  con  Rabbi  Salomon,  credendo  di 
«  trattare  con  maggior  avantaggio  che  quando  egli  ne  parlasse,  non 
«come  promottore,  ma  ricercato».  E  sembra  che  al  sultano  s'in- 
spirasse tale  convinzione,  contribuendovi  anche  il  gran  cancelliere 
turco  Floridan  Agà  col  far  apparire  che  «Venezia  avesse  suppli- 
«  cata  la  pace  »,  sebbene  i  rappresentanti  veneziani  muovessero  vi- 
vaci proteste. 

(i)  Lo  dice  francamente  il  Barbaro  nella  Scrittura  citata,  la- 
mentandosi dell'intempestivo  intervento  di  mons.  d'Ax.  In  una  let- 
tera scritta  da  Pera  ai  capi  del  Consiglio  dei  Dieci  il  16  ottobre  1572 
chiarisce  ancor  meglio  il  suo  pensiero,  dicendo  che  egli  aveva  gra- 
dita la  venuta  di  mons.  d'Ax,  sapendo  del  resto  che  il  doge  «  aveva 
«  cercato  di  riscaldare  il  re  Cristianissimo  ad  intromettersi  nella  pace  ». 
ma  solo  dichiarava  poco  abili  i  modi  usati  da  monsignore,  il  quale 
fra  altro  s'era  messo  a  trattare  incito  bene  Mustafà,  nemico  di  Me- 
hemet,  quasi  arbitro  della  pace  per  la  stima  professatagli  dal  sultano. 
Questa  lettera  si  conserva  nel  R.  archivio  dei  Frari,  Capi  del  Con- 
siglio dei  Dieci,  Lettere  di  ambasciatori  a  Costantinopoli,  busta  4. 

(2)  Il  Barbaro  narra  nella  citata  Scritliira  quanto  aveva  do- 
vuto faticare  per  guadagnarsi  con  denaro  la  corte  di  Costantinopoli, 


IO  e^/,  '7^052 

Il  4  aprile  1573  il  doge  in  persona  spiegava  al  nunzio 
pontifìcio  in  \'enezia  le  ragioni  della  pace  e  scusavasi  di 
non  aver  prima  informato  il  papa  delle  trattative  di  essa, 
affermando  che  la  pace  era  «  venuta  improvvisamente  »  senza 
che  alcuno  vi  pensasse  (i).  Il  nunzio  apparve  scontento 
della  pace,  scontento  della  segretezza  con  cui  era  stata 
trattata,  e  Gregorio  XIII  lagnossi  apertamente  di  tutto  e 
mostrò  di  credere  che  Venezia  gli  avesse  mancato  di  ri- 
guardo (2). 

Ambasciatori  veneziani  dettero  spiegazioni  anche  a  Fi- 
lippo II,  il  quale  peraltro  fece  comprendere  che  deplorava 
la  pace,  pur  essendo  sicuro  da  un  pezzo  che  Venezia  ci 
sarebbe  arrivata  (3). 

Credendo  poi  che  la  Francia  fosse  stata  fautrice  e  in- 
termediaria della  pace,  lo  stesso  re  incaricò  il  suo  amba- 
sciatore a  Parigi  di  presentarne  lagnanze  alla  regina  madre, 


senza  che  un  cortigiano  sapesse  dell'altro,  e  senza  che  i)  pubblico 
ne  venisse  informato.  Lo  stesso  Barbaro  scrive  questo  ai  capi  del 
Consiglio  dei  Dieci  in  diverse  lettere  conservate  nel  R.  archivio  dei 
Frari,  loc.  cit.  In  una  di  esse,  scritta  da  Pera  il  17  maggio  1375,  in- 
siste sul  bisogno  di  mantenere  il  più  scrupoloso  segreto  e  si  lagna 
perchè  mons.  d'Ax  aveva  risaputo  che  per  la  pace  spettavano  a 
Mehemet  Bassa  30  000  ducati.  'Questa  lettera,  che  dovrò  altre  volte 
ricordare,  è  pubblicata  integralmente  fra  i  documenti,  n.   i. 

(i)  Venezia,  R.  arch.  dei  Frari,  Esposiiioni,  Roma,  Collegio,  111, 
Secreta,   1 567-1 574,  e.   127,  4  aprile   1573. 

(2)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  147  sgg. 

(3)  Ecco  come  Lunardo  Donati  e  Lorenzo  Friuli,  ambasciatori 
veneziani  a  Madrid,  narrano  con  lettera  del  17  aprile  1573  al  Senato 
il  colloquio  da  essi  avuto  con  Filippo  II.  Mentre  ascoltava  le  parole 
dei  Veneziani,  il  re  non  «  fece  mai  altro  segno  con  la  sua  faccia 
«  se  non  che  quando  ultimamente  udì  le  condit'oni  della  pace  esser 
«  state  accettate  fece  un  piccolissimo  e  ironico  movimento  di  bocca 
«leggerissimamente  sorridendo.  Con  il  quale  pareva  quasi  clie  Sua 
«Maestà  senza  interromperci  volesse  dire:  Morsij  voi  l'avete  fatta 
«  come  tutti  mi  dicevano  che  voi  fareste  ».  La  lettera  si  conserva 
nel  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  III,  Scucia,  n.  9,  Spagna,   1575-1574. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepaiilo        i  r 

la  quale  rispose  «  che  essendo  i  Venetiani  antiqui  amici 
e  della  corona  di  Francia  dovevano  esser  sodisfatti  nella 
«  sua  volontà  da  Sua  Christianissima  Maestà  in  cosa  spc- 
«  cialmente  nella  quale  era  cagionato  il  beneficio  della 
«  Christianità  »  (i). 

xMa  non  per  questo  la  Spagna  volle  troncare  i  cordiali 
rapporti  ufficiali  colla  Francia  ne  con  Venezia,  anzi  il  suo 
ambasciatore  in  questa  città  cominciò  a  recarsi  più  spesso 
del  solito  a  visitare  il  doge,  volendo  far  capire  a  Costan- 
tinopoli che  per  la  pace  «  non  era  diminuita  la  bona  in- 
«  telligentia  con  Sua  Maestà  Catholica  «  (2). 

Nò  migliore  accoglienza  trovarono  le  spiegazioni  ve- 
neziane a  Vienna.  Qui  il  popolo  si  uni  all'  imperatore  nel 
condannare  la  pace  e  nel  risentirsi  contro  Venezia  persino 
«  spargendo  molte  pasquinate  et  pitture  oscene  »  (5). 


(i)  Si  leggono  queste  parole  in  una  lettera  degli  ambasciatori 
veneziani  a  Madrid  che  le  riferiscono  ai  capi  del  Consiglio  dei  Dieci, 
sulla  fede  dell'ambasciatore  francese  a  Madrid.  La  lettera,  scritta  da 
questa  città  il  16  maggio  1573,  si  conserva  nel  R.  arch.  dei  Frari, 
loc.  cit. 

(2)  Il  25  settembre  1573  l'ambasciatore  spagnuolo  si  presentò  al 
doge  e  disse  :  «...  Q.uando  ella  fece  la  pace  io  le  dissi  più  volte  che 
«  tornava  bene  alla  Christianità  che  il  mondo  tutto  conoscesse  che, 
«  benché  s' era  dissoluta  la  Lega,  non  si  era  però  partita  l'amicitia 
«che  teneva  questa  Serenissima  Signoria  con  il  re  mio  signore  et 
«  per  quella  causa  io  frequentava  il  venir  a  lei,  seben  non  havea 
«  negotii,  acciochè  a  Costantinopoli  si  potesse  dir  che  per  quella 
«  pace  non  era  diminuita  la  bona  intelligentia  con  Sua  Maestà  Ca- 
«  tholica,  ma  che  si  era  restati  nel  stato  che  si  era  prima  avanti  la 
«  Lega  ».  R.  arch  dei  Frari,  Senato,  Colloquia,  IH,  Secreta,  Esposizioni, 
Principi,  15 70-1 5 7 3,  e.  6g. 

(3)  Cosi  riferisce  il  nunzio  pontificio  in  Germania  al  cardinal 
di  Como,  aggiungendo  che  l' imperatore  lagnavasi  apertamente  dei 
Francesi,  che  accusava  d'aver  favorito  la  pace  per  invidia  contro  la 
Spagna.  Il  nunzio  scrisse  a  questo  proposito  due  lettere  da  Vienna 
il  23  aprile  e  il  17  maggio  1^73  conservate  nell'archivio  Vaticano, 
Snn-^ialitra  ài  Geniuiuia,  n.  79,  ce.  198  e  212. 


12  c^/.   'Jyosi 

Quindi  soltanto  la  Francia,  tra  le  potenze  che  avessero 
interessi  in  Oriente,  godeva  della  pace  e  assicurava  i  \'e- 
neziani  di  adoperarsi  per  calmare  il  papa(i). 

Degli  altri  Stati  la  Spagna  gridava  più  di  tutti,  sebbene 
avesse  cercato  di  stringere  per  proprio  conto  amicizia  coi 
Turchi  anche  prima  che  questi  si  fossero  accordati  col  doge, 
e  non  era  davvero  disposta  a  favorire  i  \'eneziani,  i  quali 
avevano  bisogno  dell'  appoggio  di  essa  e  del  pontefice  per 
liberare  una  quarantina  di  lor  capitani  tenuti  prigionieri 
dai  Turchi  nella  torre  di  Castelnuovo  sul  Mar  Nero  (2). 

(i)  Il  15  aprile  1573  l'ambasciatore  francese  a  Venez'a  si  ral- 
legrava col  doge  per  la  pace  conclusa  cO'  Turchi  e  prometteva  di 
pregare  il  proprio  re  di  calmare  il  papa.  Il  doge  ricordava  che  la 
pace  dovevasi  anche  ai  buoni  uffici  di  Francia,  la  quale  aveva  sempre 
desiderato  che  amichevoli  fossero  i  rapporti  fra  il  doge  e  il  sultano. 
Infatti  sino  dall'estate  del  1571,  prima  della  battaglia  di  Lepanto, 
mons.  d'Ax  passando  da  Venezia  per  recarsi  a  Costantinopoli  diceva 
di  recarsi  in  questa  città  per  trattare  a  nome  del  suo  re  la  pace  fra 
i  Turchi  e  i  Veneziani.  Queste  due  notizie  si  traggono  dal  R.  arch. 
dei  Frari,  Colloqui,  111,  Secreta,  Esposizioni,  Principi,  1)70-1573,  la 
prima  alla  e.  56  sotto  la  data  15  aprile  1573,  la  seconda  alla  e.  14 
sotto  la  data  6  luglio  1571.  Che  anche  dopo  la  battaglia  di  Lepanto 
mons.  d'Ax  continuasse  la  sua  impresa  già  lo  vedemmo  a  p.  8  di 
questo  lavoro. 

(2)  La  Spagna  si  voleva  aprir  la  via  a  trattative  di  pace  liberando 
il  figlio  di  Ali,  ch'era  il  principale  dei  prigionieri  turchi  custoditi 
nel  palazzo  dell'Aquila  a  Roma.  Il  doge  si  oppose  a  questa  libera- 
zione richiestagli  il  9  gennaio  1573  dal  nunzio  pontificio  a  Venezia, 
temendone  le  conseguenze  (R.  arch.  dei  Frari,  Collegio,  III,  Secreta, 
Esposizioni,  Roma,  1567-1574,  e.  120),  ma  essa  si  fece  ugualmente 
(M.  Rosi,  op.  cit.  p.  169)  ed  il  giovane  turco  arrivato  libero  a  Co- 
stantinopoli raccomandò  effettivamente  di  trattare  la  pace  colla 
Spagna  a  Mehemet  Bassa.  Il  bailo  veneziano,  informato  specialmente 
dal  medico  Rabbi  Salomon,  e  mons.  d'Ax  intralciarono  abilmente 
le  trattative  e  non  si  potè  concludere  nulla.  Di  tutto  questo  abbiamo 
notizie  abbondanti  e  precise  nelle  lettere  scritte  nei  primi  otto  mesi 
del  1573  dal  bailo  M.  A.  Barbaro  ai  capi  del  Consiglio  dei  Dieci, 
lettere  conservate  nel  R.  arch.  dei  Frari,  Capi  del  Consiglio  dei  Dieci, 
Lettere  di  ambasciatori  a  Costantinopoli,  1 571-1575,  busta  4. 


La  liberayioue  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        15 

Nella  pace  del  7  marzo  1573  erasi  convenuto  che  si 
dovesse  fare  il  cambio  od  il  riscatto  dei  prigionieri,  esclusi 
però  quelli  della  torre  di  Castelnuovo,  che  il  sultano  avrebbe 
dati  soltanto  in  cambio  di  prigionieri  turchi  molto  impor- 
tanti (i).  E  diBtti  il  bailo  aveva  potuto  liberare  assai  facil- 
mente numerosi  Cristiani  schiavi  di  particolari  capitani  (2), 
ed  aveva  cominciato  a  vincere  i  gravi  ostacoli  che  impe- 
divano la  liberazione  dei  prigionieri  cristiani  dichiarati 
proprietà  del  sultano,  e  specialmente  di  quelli  presi  a  tra- 
dimento a  Famagosta  (3).  Quando  essi  giunsero  a  Costan- 
tinopoli il  Barbaro  era  prigioniero  nella  sua  abitazione,  ma 
potè  loro  giovare  indirettamente  per  mezzo  del  medico 
Rabbi  Salamon  (4),  finché,  conclusa  la  pace,  ottenne  assai 

(i)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.   157  sgg. 

(2)  I  primi  liberati  partono  per  l'Occidente  nel  giugno  del  1573, 
come  il  bailo  Barbaro  annunzia  al  doge  con  la  lettera  del  giorno  1 1 
di  questo  mese,  avvertendo  che  «  per  diverse  vie  si  sono  con  la 
«  grati  a  del  Signor  Dio  et  con  favore  et  denaro  riscattati».  Minuta 
di  questa  lettera  si  conserva  nella  R.  bibl.  di  S.  Marco,  Manoscrilti, 
ci.  VII,  cod.  390,  Registro  di  htlere  di  M.  Antonio  Barbaro  bailo  in 
Costantinopoli  dalli  21  agosto  i)6S  sino  al  2j  giugno  /jjj. 

(5)  È  noto  che  i  difensori  di  questa  città  si  arresero  al  capitano 
turco  Mustafà  Bjssà  che,  «sulla  testa  del  suo  signore»,  promise  a 
tutti  la  libertà.  Invece,  dopo  la  resa,  il  capitano  supremo  veneziano 
ed  altri  furono  uccisi,  e  i  superstiti  trasportati  a  Costantinopoli.  Al- 
cuni di  essi  a  nome  di  tutti  fino  dal  28  ottobre  1571  scrissero  al 
bailo  di  far  conoscere  al  sultano  l'atto  sleale  ed  inumano  compiuto 
a  loro  danno  e  narrate  le  vicende  della  resa  di  Famagosta,  dimo- 
strarono che  per  l'onore  del  sultano  dovevano  essere  liberati.  L'im- 
portante lettera,  conservata  in  copia  nel  cit.  Registro  di  lettere  di  .\[. 
A.  Barbaro,  mi  par  degna  d'essere  integralmente  conosciuta,  e  quindi 
la  pubblico  fra  i  documentti,  n.  11. 

(4)  Nella  cit.  Scrittura  del  bailo  M.  A.  Barbaro,  conservata  nella 
R.  bibl.  di  S.  Marco,  a  proposito  di  Rabbi,  si  legge  :  «  Si  dimostra  di 
«  buon  animo  verso  questo  Dominio,  essendo  nato  suo  suddito  in 
<(  Udine,  come  ho  detto,  havendo  a  Verona  et  Uderzo  fratelli,  sorelle 
«  et  nipoti,  nella  rottura  poi  della  guerra,  entrando  egli  solo  in  casa 
«  mia  sempre  mi  comunicò  i  più  importanti  e  veri  avvisi  che  io  ha- 


14  c^i-  'l{<>si 

presto  il  miglioramento  della  loro  condi;^ione,  e  nei  pochi 
mesi  passati  ancora  a  Costantinopoli,  cercò  dimostrare  che 
i  prigionieri  di  Famagosta  dovevano  essere  liberati  in  con- 
seguenza de'  patti  della  resa  conclusi  e  poi  non  mantenuti 
da  Mustafà  Bassa.  H  appunto  questi  opponeva  gli  ostacoli 
più  forti  alla  liberazione  per  non  convenire  d'  esser  venuto 
meno  agli  accordi  stabiliti  e  per  evitare  che  il  suo  rivale 
Mehemet  Bassa  si  valesse  del  contegno  sleale  di  lui  per 
metterlo  in  cattiva  luce  presso  il  sultano,  che  in  qualche 
modo  veniva  moralmente  a  soffrire  per  la  slealtà  del  suo 
generale  (i). 


«vessi  in  quel  tempo;  mi  servi  con  amore  e  fedelmente  in  ben  rc- 
«  capitare  molte  lettere  con  molto  suo  pericolo  (Scc.  ».  In  parecchie 
lettere  lo  stesso  Barbaro  parla  bene  di  questo  medico;  confessa  che 
gli  costa  denari,  ma  che  la  sua  affezione  vai  più  dei  quattrini.  In 
una  lettera  poi  del  n  marzo  I57;5  dice  che  Rabbi,  in  premio  dei 
servigi  resi  a  Venezia,  desidera  che  questa  tratti  bene  gii  ebrei,  os- 
servando die  «  se  ben  ne  sono  molti  [ebrei]  di  mala  natura,  che  pur 
«  ve  ne  sono  anco  di  boni,  i  quali  per  altri  non  devono  patire  ».  Il 
bailo  approva  il  desiderio  di  Rabbi  come  cosa  che  gli  la  certamente 
onore,  e  lo  raccomanda  alla  Repubblica.  Copia  di  questa  lettera  si 
trova  nel  cit.  Registro  lìelle  lettere  di  M.  A.  Barbaro,  conservato  nella 
R.  bibl.  di  S.  Marco. 

(i)  Nei  colloqui  avuti  dal  bailo  Barbaro  intorno  ai  prigionieri 
con  Mehemet  Bassa,  questi  si  scagliò  sempre  contro  Mustalà.  Ricor- 
derò ad  esernpio  quanto  il  Barbaro  riferisce  al  doge  con  lettera  del 
27  marzo  1575:  «Qui  entrò  Soà  Magnificentia  al  biasmar  quanto 
«  più  gagliardamente  Mustaffa  Bassa  vituperandolo  di  cosi  iniqua 
«  operatione  con  molte  efficacissime  parole,  detestando  estremamente 
«quel  crudel  atto  del  martirio  dato  al  clarissimo  Bragadino,  dicendo 
«che  atto  tale  non  si  doveva  anco  far  contra  qualsivoglia  huomo 
«  preso  per  forza  et  che  havesse  commesso  ogni  sorte  di  tradimento, 
«  afTermandomi  che  ciò  era  infinitamente  spiaciuto  al  signor  et  che 
«  se  ben  esso  Mustaffa  con  diverse  parole  havea  cercato  di  escusarsi, 
«  però  non  era  Sua  Maestà  rimasta  satisfatta  ève.  ».  La  minuta  di 
questa  lettera  è  nel  cit.  Regiitro  conservato  nella  bibl.  Marciana, 
ci.  VII,  cod.  390.  Si  vedano  pure  la  lettera  del  bailo  M.  A.  Barbaro 
al  doge  di    Venezia  scritta  da  Pera  il  7  maggio  1575    e  pubblicata 


La  liba  anione  dei  Tiirclii presi  a  Lepanto        13 

Il  vecchio  bailo  lasciava  Costantinopoli,  e  nell'  autunno 
del  1575  il  suo  successore  Antonio  Tiepolo  e  1' ambascia- 
tore Andrea  Badocr  assumevano  il  delicato  ufficio  d' indurre 
i  Turchi  a  lasciare  i  prigionieri  e  a  risolvere  la  quistione 
dei  confini.  Il  Tiepolo  d'  accordo  con  Mehemet  nell'  ottobre 
del  medesimo  anno  presenta  domanda  al  sultano  per  la 
liberazione  dei  prigionieri  di  Famagosta,  e  ne  manda  copia 
al  doge(i).  Sebbene  abilmente  cercasse  di  toccare  l'amor 
proprio  del  sultano,  ci  vollero  ancora  altre  domande  (2), 
nuove  trattative  e  nuovi  doni  ai  cortigiani  prima  che  i  pri- 
gionieri di  Famagosta  potessero  riavere  la  libertcà. 

Nel  frattempo  il  bailo  e  l'  ambasciatore  veneziano  parla- 
vano della  quistione  spinosissima  dei  confini  dalmati,  libera- 
vano con  denaro  prigionieri  cristiani  appartenenti  a  privati,  e 
trattavano  di  cambiare  i  capitani  chiusi  nella  torre  di  Castel- 
nuovo  coi  prigionieri  turchi  custoditi  nel  palazzo  dell'Aquila 
a  Roma.  Per  il  cambio  occorreva  però  il  consenso  del  papa 
e  del  re  di  Spagna,  certo  non  contenti  della  pace  recente 
e  quindi  non  facili  a  soddisfare  i  desideri  dei  Turchi  e  dei 
Veneziani.  Questi  peraltro  ebbero  aiuto  dai  parenti  dei  pri- 
gionieri cristiani,  dalla  pietà  verso  essi  mostrata  da  Gre- 
gorio XIII  e  da  avvenimenti  nuovi,  dei  quali  seppero  pro- 
fittare il  doge  Alvise  Mocenigo  I  e  i  suoi  abili  diplomatici, 
specie  il  bailo  Antonio  Tiepolo.  Fra  i  parenti  dei  prigio- 

fra  i  documenti,  n.  i,  e  l'altra  lettera  dello  stesso  pure  al  doge 
scritta  da  Pera  il  14  maggio  1573  e  conservata  nel  R.  àrdi,  dei 
Frari,  Capi  del  Consiglio  dei  Dieci,  Lettere  di  anibascialori  a  Costanti- 
nopoli, 1 574-1 575,  busta  4. 

(i)  Si  conserva  questa  nel  R.  ardi,  dei  V rari,  Senato,  Secreta,  n.  6, 
Costantinopoli,  a.  1575.  La  lettera  colla  quale  il  Tiepolo  invia  questa 
copia  porta  la  data  di  Pera  28  ottobre  1575,  e  si  conserva  nel  loc. 
cit.  dello  stesso  archivio. 

(2)  I  prigionieri  di  Famagosta  inviarono  una  domanda  al  sul- 
tano nel  luglio  del  1374,  domanda  che  conosco  per  la  copia  spedita 
il  giorno  II  dello  stesso  mese  al  doge  dal  bailo  Tiepolo  e  conscr/ 
vata  nel  loc.  cit.  del  R.  arch.  dei  Frari. 


i6  9d.  '7\osì 

nieri  deve  mettersi  in  prima  linea  Giacomo  Malatcsta,  che 
per  riavere  il  figlio  Ercole  ricorse  al  pontefice  fino  dal  1572 
presentando  un  Memoriale,  in  cui  esposte  le  misere  con- 
dizioni del  tìglio  e  dei  suoi  compagni,  chiedeva  a  favore 
di  tutti  r  appoggio  di  Gregorio  (i). 

Al  Malatesta  il  5  gennaio  1573  rispondeva  il  cardinal 
di  Como  dando  le  più  ampie  assicurazioni,  e  dicendo  che 
il  pontefice  l'aspettava  a  Roma  per  a  intendere  più  parti- 
«  colarmente  la  via  che  si  potesse  tenere  per  aiutarli»  (2). 
Ed  il  vescovo  di  ^'icenza  si  rivolse  al  cardinal  Morone 
perchè  raccomandasse  al  papa  Gian  Tommaso  Costanzo, 
di  cui  descriveva  il  valore  dimostrato  combattendo  nel  1571 
un'  intera  giornata  contro  i  Turchi,  mentre  si  recava  di 
guarnigione  a  Corfù  (3). 

Ed  al  medesimo  cardinale  in  favore  del  Malatesta  e  del 
Costanzo  scriveva  calda  raccomandazione  pure  il  duca  di 
Urbino  assicurando  che  il  papa  «impiegherà  l'autthorità  et 
«  l'opera  sua  per  doi  gentilhuomini  di  molto  merito,  che 
«  insieme  con  le  case  loro  le  ne  resteranno  perpetuamente 
«  obligati  come  sarò  io  »  (4).  Gregorio  XIII  per  questi 
prigionieri,  e  può  dirsi  per  tutti  gli  altri,  raccomandati  o 
no,  si  dava  pensiero,  spendeva  danari,  scriveva  e  faceva 
scrivere  lettere  (5),  talvolta  forse  divenendo  anche  troppo 

(i)  Il  Memoriale  senza  data,  scritto  certo  alquanto  prima  del 
3  gennaio  1575,  come  risulta  dalla  risposta  del  cardinale  di  Como, 
si  conserva  nell'arch.  Vaticano,  Miscellanea,  arni.  11,  n.  143,  e.  138. 
Esteriormente  ha  l'indicazione:  Memoriale  del  sig.  lacomo  Malatesta, 
e  internamente:  Memoriale  dei^li  schiavi  che  sono  in  Costantinopoli  cbri- 
stiani  et  dAli  Turchi  sonno  qui  dato  a  A'.  S.  per  la  loro  lil'era:^ione  con  li 
nomi  loro. 

(2)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  158  e  documenti,  n,  i,  p.  185. 

(3)  Copia  della  lettera,  senza  data,  trovasi  nell'arch.  Vaticano, 
Ice.  cit.  p.  84.  La  pubblichiamo  fra  i  documenti,  n.  in. 

(4)  Arch.  Vaticano,  loc.  cit.  e.  154.  La  lettera  porta  la  data  di 
Pesaro,  10  maggio  1574. 

(;)  M.  Rosi,  op.  cit,  p.  155. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        17 

molesto,  senza  ottenere  molto  (i).  Per  quanto  riguarda  i 
prigionieri  turchi  affidati  in  Roma  alla  sua  custodia,  non 
rifiutava  di  cederli  in  cambio,  ed  era  anzi  disposto  ad  aiutare 
i  Veneziani  in  tutto  ciò  che  avrebbe  giovato  alla  libera- 
zione de'  loro  prigionieri.  Cosi,  avendo  capito  che  la  Spagna 
si  opponeva  al  cambio,  appoggiava  la  domanda  dei  Vene- 
ziani di  dividere  tra  loro,  il  papa  e  Filippo  II  i  Turchi 
tenuti  prigionieri  a  Roma,  ed  al  cardinal  di  Como  affi- 
dava l'incarico  d'indurre  a  questa  divisione  il  re  di  Spa- 
gna (2).  Questi  dopo  avere  tergiversato  un  pezzo,  final- 
mente nel  settembre  del  1573  dichiarò  di  volere  per  sé 
tutti  i  prigionieri  turchi,  sebbene  non  ignorasse  che  di 
essi  ventiquattro  erano  stati  presi  dall'ammiraglio  veneziano, 
soltanto  dieci  dalle  galee  spagnuole  e  che  tutti  erano  stati 
mantenuti  per  lungo  tempo  a  spese  del  pontefice  (3).  Se  ne 
dolse  Gregorio  XIII  (4),  e  ben  sapendo  che  senza  la  li- 
berazione dei  principali  prigionieri  turchi  custoditi  a  Roma, 
i  prigionieri  veneziani  non  sarebbero  mai  stati  liberati, 
cercò  invano  d' indurre  con  argomenti  religiosi  Filippo  II 

(i)  Mons.  Salviati,  nunzio  in  Francia,  il  13  gennaio  1574  da 
Poissy  scrive  al  cardinal  di  Como  d'aver  presentato  a  corte,  come 
raccomandato  dal  pontefice,  Pietro  Muscorno  cipriotto  che  chiedeva 
soccorsi  per  liberare  i  suoi  parenti  prigionieri  a  Costantinopoli.  Seb- 
bene il  Muscorno  qualcosa  ottenesse,  il  nunzio  avvertiva  che  conti- 
nuando il  papa  a  far  raccomandazioni  per  i  prigionieri,  essendo  ormai 
troppi  i  raccomandati,  questi  non  sentiranno  «  frutto  dei  brevi  che 
«da  Nostro  Signore  per  tale  conto  gli  saranno  concessi».  Ardi.  Vat. 
'Sun^iatura  di  Francia,  n.  7,  Salviali,  a.  1574,  e.  61. 

(2)  Lettere  del  cardinal  di  Como  al  nunzio  di  Spagna,  Roma, 
17  aprile  e  29  maggio  1573.  Arch.  Vat.  Xiuiiiatura  di  Spa^^iia,n.  15, 
e.  242. 

(3)  Note  nominative  dei  prigionieri  turchi,  dalle  quali  risulta  la 
proporzione  indicata,  si  conservano  nel  II.  arch.  dei  Frari,  Capi  dd 
Consiglio  dà  Dicci,  Lettere  di  ambasciatori  a  Costantinopoli,  a.  1 571-1 575, 
busta  4,  e  nell'arch.  Vat.  Misceli,  arm.   11,  n.  143. 

(4)  Lettera  del  cardinal  di  Como  al  nunzio  pontificio  a  Madrid 
Roma,  15  settembre   1375.  Arch.  Vat.  loc.  cit.  e.  379. 

Archivio  jclla  R.  Società  romana  di  slcria  patria.  \'ol.  XXIV.  2 


i8  qM.  ^l{osi 

.1  cedergli  la  sua  parte  dei    prigionieri  turchi   per  poterli 
cambiare  coi  cristiani  (i). 

Frattanto  il  bailo  di  Costantinopoli  seguitava  a  scrivere 
che  difficilissimo  era  il  cambio,  perchè  il  sultano  mostrava 
premura  di  liberare  soltanto  il  signor  di  Negroponte  e  Chiau- 
rali,  ritenendo  di  poco  valore  gli  altri,  mentre  stimava 
assai  i  Cristiani  della  torre  di  Castelnuovo,  sia  perchè  come 
illustri  e  ricchi  capitani  erano  stati  scelti,  sia  perchè  tali 
erano  fatti  credere  dalle  premure  che  per  tutti,  o  per  al- 
cuni di  essi  dimostravano  prima  di  tutti  i  \'ene;^iani,  e 
poi  la  Francia,  l'impero  (2)  e  specialmente  il  papa,  come 
quello  che  voleva  compiere  un'insigne  opera  di  carità  li- 
berando i  Cristiani,  e  far  nel  tempo  stesso  cosa  gradita  a 
Venezia  anche  pel  desiderio  d' indurla  in  tempo  non  lon- 
tano a  nuova  alleanza  colla  Spagna  ed  alla  guerra  contro 
i  Turchi,  che  si  preparavano  ad  altre  imprese  militari, 
forse  pericolose  per  il  pontefice  stesso  (3). 

(i)  Lettere  del  cardinal  di  Como  al  nunzio  di  Spagna,  Roma, 
16  ottobre,  16  novembre  e  16  dicembre  !)73.  Arch.  Vat.  loc.  cit. 
ce.  356,  367  e  582. 

(2)  Lettere  del  bailo  di  Costantinopoli  al  doge,  scritte  nei  primi 
sette  mesi  del  1574,  e  specialmente  una  in  data  11  luglio  1574. 
R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  Secreta,  111,  Lettere  tla  Costanlinopoìi,  busta  7. 

(5)  Neil' arch.  Vat.  Kiiif^iatura  di  Spagna,  n.  15,  e  nel  R.  arch. 
dei  Frari,  Esposizioni  principi  (1574-1575)  si  trovano  molte  prove 
della  premura  che  Gregorio  XIII  adoperava  per  un'alleanza  veneto- 
spagnuola  contro  i  Turchi,  alle  quali  premure  a  noi  basta  di  accen- 
nare. Il  pontefice  fin  dal  principio  del  1574  sapeva  che  i  Turchi 
preparavano  una  spedizione  verso  Occidente  e  temeva,  prima  di  tutto 
per  i  possedimenti  spagnuoli  d'Africa,  poi  anche  per  il  proprio  Stato. 
La  Francia,  amica  dei  Turchi,  aveva  incaricato  di  distoglierli  da  una 
spedizione  contro  il  territorio  pontificio,  come  il  nunzio  in  Francia 
scrive  al  cardinal  di  Como  il  15  e  il  25  aprile  1574  (arch.  Vat.  Kun- 
:;iatura  di  Francia,  n.  7,  ce.  512,  537).  Sembra  che  per  trattenere  i 
Turchi,  che  difatti  non  vennero,  come  si  temeva,  contro  il  territorio 
pontificio  e  specialmente  contro  Ancona,  occorressero  gl'insistenti  uffici 
del  re  di  Francia,  perchè  alle  prime  parole  dette  da  mons.  d'Ax  al 


La  libcra-^ioìie  dei  Turclii presi  a  Lepanto        19 


Intanto  accadevano  altri  avvenimenti,  che  in  parte  gio- 
varono alle  trattative  del  cambio.  Nell'estate  del  1374  la 
Goletta  era  espugnata  dai  Turchi,  che  portarono  prigioniero 
a  Costantinopoli  Gabrio  Serbelloni  comandante  supremo 
del  presidio  spagnuolo.  Verso  la  fine  dell'anno  moriva  il 
sultano  Selim,  e  gli  succedeva  il  figlio  Amurat,  che  in 
segno  di  amicizia  mandava  uno  speciale  inviato  a  Venezia 
per  notificare  al  doge  la  sua  assunzione  al  trono  (i). 

La  prigionia  del  Serbelloni,  nobile  milanese  fratello  del 
cardinal  S.  Giorgio,  veniva  in  buon  punto  per  affrettare  le 
premure  del  pontefice,  e  faceva  nascere  la  speranza  di  otte- 
nere il  consenso  della  Spagna  al  cambio,  se  fra  i  Cristiani 
da  liberarsi  potesse  venir  incluso  il  Serbelloni.  Né  Venezia 
si  lasciò  sfuggire  sì  bella  occasione.  Appena  l'illustre  pri- 
gioniero giunse  a  Costantinopoli  nella  casa  di  Mehemet 
Bassa,  il  bailo  s'interessò  zelantemente  di  lui,  assicurandosi 
che  fosse  ben  trattato,  e  prima  che  terminasse  l'anno,  apri 
trattative  per  includerlo  fra  i  Cristiani  che  dovevano  cam- 
biarsi coi  prigionieri  turchi  custoditi  a  Roma  (2). 

E  l'ambasciatore  veneziano  in  questa  città,  che  fino  dai 
primi  di  settembre  aveva  ricevuto  l'ordine  d' indurre  ilponte- 


«  Bassa  per  dissuaderlo  dal  molestare  i  luoghi  di  Sua  Santità...)), 
«  questi  li  haveva  risposto  che  il  papa  era  il  maggior  inimico  che 
«  havessero  ».  come  il  doge  scrive  all'ambasciatore  veneziano  a  Roma 
il  20  marzo  1574,  in  una  lettera  di  cui  si  conserva  notizia  nel  R.  ardi, 
dei  Frari,  Libio  primo  da  Roma,  Secreto  del  Consii^Ho  dà  Dieci  sotto  il 
Ser.mo  D.  Alvise  Mocenigo  inclito  duce  di  Vene^^ia,  mdlxxiii,  c.  35. 

(i)  Lettera  del  bailo  al  doge,  Costantinopoli,  31  dicembre  1574, 
conservata  nel  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da  Co- 
stantinopoli, busta  7.  L'inviato  Mustafà  chiaus  il  26  marzo  1575  fu 
ricevuto  dal  doge  con  molte  cerimonie  e  gentili  parole  delle  quali  si 
trova  ricordo  nelle  Esposizioni  principi  (1574-77),  e.  54  b,  conservate 
nel  R.  arch.  d-A  Frari. 

(2)  Lettere  del  bailo  al  doge,  Pera,  2  settembre  e  18  dicem- 
bre 1574.  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da  Costanti- 
ttopoli,  1574,  busta  7. 


20  (H/.  'T^osi 

fice  al  cambio  anche  senza  il  consenso  di  Filippo  II  (i),  ora 
compiva  con  maggior  ardore  la  sua  missione  annunziando 
che  Venezia  mostravasi  premurosa  verso  la  Spagna  trat- 
tando il  riscatto  di  Gabrio  Serbelloni  per  danaro  e  libe- 
rando numerosi  prigionieri  presi,  mentre  combattevano  sotto 
le  bandiere  del  re  Cattolico.  Il  pontefice  contento  finì  col 
proclamare  solennemente,  che,  avendo  egli  speso  da  solo 
per  mantenere  diversi  anni  i  prigionieri,  e  non  potendo 
accordarsi  in  alcun  modo  colla  Spagua,  si  decideva  a  com- 
piere un  atto  di  carità  cristiana  rendendo  i  Turchi  chiusi 
nel  palazzo  dell'Aquila  in  cambio  dei  Cristiani  custoditi 
nella  torre  del  Mar  Nero  (2). 

Dopo  questo  il  bailo  Tiepolo  a  Costantinopoli  conti- 
nuava le  trattative  con  maggior  coraggio,  ed  ai  primi 
del  1575  riusciva  a  persuadere  il  Bassa  ad  accettare  in 
massima  il  cambio  dei  prigionieri  (5),  ed  a  consegnare 
Gabrio  Serbelloni  che  sarebbe  dovuto  rimanere  in  casa  del 
bailo  finché  non  fosse  partito  per  l'Occidente  (4).  Ma  ve- 

(i)  lstru:^ìone  dei  capi  del  Consiglio  dei  Dieci  all'ambasciatore  vetie- 
■:(iaìio  a  Roma,  4  settembre  1574,  R.  ardi,  dei  Frari,  c'ìt.  Libro  primo  da 
Roma,  Secreto  del  Consiglio  dei  Dieci,  e.  27;  documenti,  n.  iv.  Nel  me- 
desimo archivio,  nella  corrispondenza  del  bailo  da  Costantinopoli  si 
trovano  le  prove  delle  premure  da  questo  usate  per  riscattare  con 
denaro  prigionieri  cristiani  presi  mentre  combattevano  a  nome  della 
Spagna,  nonché  delle  notizie  delle  somme  da  esso  spese.  Pubblico 
fra  i  documenti,  n.  v,  l'elenco  dei  soldati  spagnuoli  liberati  fino  al 
28  maggio  1575,  elenco  invinto  lo  stesso  giorno  dal  bailo  Tiepolo 
al  doge  e  conservato  nel  R.  ardi,  dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Let- 
tere da  Costantinopoli,  a,  1575,  busta  8. 

(2)  Lettera  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma  al  doge,  Roma, 
23  luglio  1574.  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da  Roma, 
n.  IO.  Altre  lettere  pur  riferentisi  a  questo  argomento  si  conservano 
nel  medesimo  arch.  Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da  Costantinopoli, bustay. 

(3)  Lettera  del  bailo  al  doge,  Pera,  5  gennaio  1575,  R.  arch. 
dei  Frari,  loc.  cit. 

(4)  Lettera  del  bailo  al  doge.  Pera,  15  gennaio  157).  R-  arch. 
dei  Frari,  loc.  cit. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        21 

nendo  ai  particolari  il  Bassa  oppose  degli  ostacoli,  special- 
mente chiedendo  che  in  cambio  del  Serbelloni  sì  dessero 
i  due  principali  prigionieri  turchi  di  Roma,  giacche  esso 
per  le  sue  parentele  e  ricchezze  valeva  molto  denaro  (i). 
Anche  per  altri  prigionieri  il  Bassa  oppose  ostacoli,  pro- 
fittando degl'imbarazzi  in  cui  trovavasi  Venezia  per  risol- 
vere la  questione  dei  confini,  per  liberare  i  numerosi  pri- 
gionieri caduti  in  mano  di  questi  a  Famagosta,  Antivari  e 
Dulcigno,  e  per  motivi  di  commercio  (2).  iVIa  infine  il  Tie- 
polo  riuscì  ad  ottenere  il  cambio  testa  per  testa  ed  a 
fissare  di  eseguirlo  a  Ragusa,  dove  sarebbero  dovuti  scen- 
dere i  prigionieri  turchi  provenienti  da  Roma.  Questa 
condizione  posta  dal  Bassa  fu  accettata  dal  Tiepolo,  il 
quale  peraltro  non  fidandosi  troppo  dei  nuovi  amici  di 
Costantinopoli,  scriveva  al  doge  di  tenere  sulle  navi  a  Ra- 
gusa i  Turchi  finche  non  fossero  giunti  in  questa  città  i 
Cristiani,  solo  raccomandandosi  di  far  apparire  quest'atto 
di  diffidenza  come  imposto  dal  papa  e  dalla  Spagna  e  non 
dalla  «  Signoria  veneta,  la  qual  non  ha  causa  di  diffidarsi 

(i)  Lettera  del  bailo  al  doge,  Pera,  31  gennaio  1575.  R.  arch. 
dei  Frari,  Ice.  cit, 

(2)  II  bailo  veneziano  spese  molto  denaro  per  rendersi  favore- 
voli le  persone  più  potenti  presso  la  corte  di  Costantinopoli,  e  certo 
questi  denari  contribuirono  ad  agevolare  il  cambio  dei  prigionieri. 
Quanto  ai  commerci,  pur  di  fare  il  proprio  interesse,  i  Veneziani  non 
dubitavano  di  danneggiare  il  pontefice  proprio  nel  momento  in  cui 
gli  chiedevano  la  liberazione  dei  prigionieri  turchi  custoditi  a  Roma. 
Per  esempio,  il  15  maggio  157)  il  doge  ordinava  al  bailo  di  otte- 
nere dal  Bassa  «  commandamenti  efficaci  per  la  prohibitione  che  li 
«sudditi  di  quel  signore  non  vadano  in  Ancona  »,  affine  di  attirare 
il  commercio  turco  su  territorio  veneto.  Raccomanda  di  agire  con 
molta  secretezza  «  per  il  rispetto  che  dovemo  haver  al  pontefice. 
«  Onde  bisogna  mostrar  che  la  causa  venga  da  Costantinopoli,  per 
«  non  esser  niente  di  quel  signor  che  li  soi  sudditi  negociino  in 
«  paese  dei  soi  nemici».  Promette  ai  negozianti  turchi  ogni  cortesia, 
ed  al  Bassa,  un  premio  «fino  alla  somma  di  cecchini  tremilie». 
R.  ardi,  dei  Frari,  Libro  primo  da  Roma,  Secreto  del  Consiglio  dei  Dieci. 


2  2  ci/.    "J^ìSi 

V  della  promessa  di  questo  signor  et  del  HassA  »  (i).  li  l'am- 
basciatore veneziano  a  Roma  diceva  al  papa  che  il  bailo 
aveva  combinato  col  Bassa  che  i  prigionieri  turchi  si  sa- 
rebbero messi  in  viaggio  dopo  i  cristiani  ed  avrebbero 
aspettato  a  Ragusa  sopra  le  galee,  finché  «  non  s'imbar- 
((  cassero  i  Cristiani  »  (2). 

Cosi  partirono  prima  i  Turchi  da  Roma  mettendosi  in 
viaggio  il  12  di  marzo,  ma,  per  ordine  del  papa,  che,  pur 
essendo  da  tante  parti  rassicurato,  diffidava  un  poco  di 
tutti,  non  andarono  direttamente  ad  imbarcarsi  ad  Ancona, 
ma  si  diressero  a  Fermo  per  aspettarvi  le  notizie  dell'ar- 
rivo dei  Cristiani  a  Ragusa.  Bartolomeo  Bruti,  che  per 
conto  del  Governo  veneziano  li  accompagnava,  fece  cre- 
dere ai  prigionieri  che  li  avrebbe  condotti  ad  Ancona, 
perchè  si  affrettassero  ad  esortare  il  Bassa  a  lasciar  partire 
da  Costantinopoli  i  Cristiani,  ma  invece,  obbedendo  agli 


(i)  Lettera  del  bailo  al  doge,  Pera,  4  febbraio  1575,  conservata 
nel  R.  arch.  dei  Frati,  Cupi  del  Cou-iglio  dei  Dieci,  LelUre  da  Costaii- 
tinopoìi,  a.  1571-1575.  busta  4,  e  pubblicata  fra  i  documenti,  n.  vi.  È 
facile  comprendere  che  questo  contegno  dei  Veneziani  di  attribuire 
tutta  la  parte  odiosa  a  Roma  ed  alla  Spagna,  avrebbe  dovuto  rendere 
più  che  mai  difficili  i  rapporti  dei  Turchi  col  papa  e  colla  Spagna 
con  vantaggio  di  Venezia.  Certo  simile  politica  non  può  dirsi  gene- 
rosa, specialmente  riguardo  al  pontefice,  al  quale  il  doge  nel  tempo 
Slesso  chiedeva  non  solo  la  liberazione  dei  prigionieri  turchi  di  Roma, 
ma  ancora  il  permesso  di  riscuotere  le  tasse  sopra  i  bini  del  clero, 
come  faceva  al  tempo  della  guerra  di  Cipro.  Lettere  del  doge  al  car- 
dinale Albani  del  13  luglio  e  del  15  e  25  agosto  1575,  delle  quali 
conservasi  not'zia  nel  R.  arch.  dei  Frari,  nel  cit.  Libro  primo  da 
Roma,  Secreto  del  Consiglio  dei  Dieci. 

(2)  Lettera  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma  al  doge  in  data 
5  marzo  1575.  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  HI,  Secreta,  n.  11,  a.  1573. 

Il  contegno  del  Governo  veneziano  fu  conosciuto  dal  cardinal  di 
Como  che  se  ne  mostrò  dispiacente,  con  grave  dolore  dell'ambascia- 
tore veneziano,  il  quale  temette  che  per  questo  si  mettesse  «  in  mala 
«  fede  il  negotio  suo  ».  Lettera  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma 
al  doge,  12  mar/o  1575.  R.  arch.  dei  Frari,  loc.  cit. 


La  libfì'a-ioìie  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        23 


ordini  precisi  del  pontefice,  si  avviò  verso  Fermo,  dove 
rimase  finche  il  commissario  pontifìcio  Pietro  Grosso,  presi 
gli  ordini  del  suo  Governo,  non  gli  permise  di  partire  (i). 
La  partenza  dei  Turchi  da  Roma  sollevò  le  proteste 
dell'ambasciatore  spagnuolo  che  non  aveva  mai  voluto 
acconsentire  al  cambio,  sebbene  sapesse  che  i  Veneziani 
avevano  giovato  alla  Spagna  riscattando  alcuni  sudditi 
spagnuoli  prigionieri  dei  Turchi  e  comprendendo  nel  cam- 
bio Gabrio  Serbelloni  (2).  Fortunatamente  il  papa  non  si 
lasciò  smuovere  e  solo  si  preoccupò  di  raccomandare  al 
proprio  commissario  che  accompagnava  i  prigionieri  turchi 
ed  ai  Veneziani  di  adoperarsi  perchè  il  cambio  si  eseguisse 
senza  incidenti,  ripetendo  all'ambasciatore  spagnuolo  gli 
stessi  pensieri  che  aveva  espressi  nel  suo  breve  del  22  lu- 
glio 1574  e  nella  lettera  colla  quale  dal  cardinale  di  Como 
lo  faceva  accompagnare  al  re  di  Spagna  (3).  Frattanto  a 
Costantinopoli  il  bailo  si  affaticava  per  far  partire  i  Cri- 
stiani. Già  da  un  pezzo,  il  principale  di  essi,  Gabrio  Ser- 
belloni, trovavasi  in  sua  casa,  già  dal  4  febbraio  1575 
tutto  pareva  concluso,  quand'ecco  il  Bassa  muovere  delle 

(i)  Nel  R.  arch.  dei  Frari,  Senato,  III,  Sscrcla,  Costantinopoli, 
busta  8,  si  conserva  la  lettera  di  Bartolomeo  Bruti  scritta  al  doge 
da  Roma,  dalla  osteria  della  Prima  Porta,  12  marzo  1575,  colla  tra- 
duzione della  lettera  dei  prigionieri  turchi  al  Bassa,  portante  la  stessa 
indicazione  di  luogo  e  di  giorno.  Le  pubblico  entrambe  fra  i  docu- 
menti, VII  e  vili.  Naturalmente  i  Turchi  dichiararono  d'essere  stati 
traditi  quando  si  videro  condotti  a  Fermo  e  non  ad  Ancona,  ma  do- 
vettero rassegnarsi,  e  trovarono  forse  un  conforto  nel  buon  tratta- 
mento che  vi  ebbero.  V.  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  169  sgg. 

(2)  Lettere  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma  al  doge,  Roma, 
7  maggio  e  4  giugno  1575,  conservate  nel  R.  arch.  dei  Frari,  Senato, 
III,  Secreta,  Roìiia^  '5  72,  busta  11. 

(3)  M.  Rosi,  op.  cit.  p.  159  testo  e  nota  3. 

A  conferma  di  questo  si  possono  addurre  anche  due  lettere  scritte 
dall'ambasciatore  veneziano  in  Roma  al  doge  nei  giorni  11  e  18  giu- 
gno 1575  per  rassicurarlo  intorno  ai  sentimenti  pontifici  quali  erano 
espressi  nel  breve.  Si  conservano  nel  R.  arch.  dei  Frari,  loc.  cit. 


24  ''-M.  'J\osi 

obiezioni  facendo  chiaramente  capire  che  i  Turchi  crede- 
vano d'aver  concluso  un  cattivo  affare.  Disse  che  avevano 
dapprima  creduto  che  i  Turchi  di  Roma  fossero  una  cin- 
quantina, da  cambiarsi  coi  trentanove  Cristiani  delhi  torre 
di  Castelnuovo,  mentre  ora  sapevasi  eh'  erano  solo  tren- 
tatre e  che  con  essi  il  bailo  voleva  liberare  anche  due 
vecchi  spagnuoli  fatti  prigionieri  molti  anni  prima  alle 
Zerbe  (i).  Il  bailo,  pur  di  finirla,  aiutato  da  Rabbi  Salomon, 
il  quale  veniva  ben  pagato  dai  \'eneziani,  ed  era  sempre 
caro  al  Bassa,  si  mostra  arrendevole  :  rinunzia  alla  libe- 
razione dei  due  vecchi  spagnuoli,  e  con  una  domanda  sua 
e  dei  prigionieri  cristiani  presentata  al  sultano,  chiede  la 
liberazione  di  questi  in  numero  di  trentanove  e  promette 
di  dare  in  cambio  i  trentatre  Turchi  di  Roma,  più  altri  sei 
Musulmani,  «  tanto  che  il  numero  de  schiavi  d'una  parte 
«  et  l'altra  sia  uguale  »  (2).  Così  il  4  giugno  1575  '^  ^^'^'^o 
annunzia  al  doge  d'aver  ricevuto  la  consegna  dei  Cristiani 
«  la  vigilia  del  Corpo  del  Salvator  nostro  lesu  Christo  ». 
Nella  medesima  lettera  parla  della  gioia  provata  dai  pri- 
gionieri che  vedendosi  dopo  quattro  anni  liberi,  nel  giorno 
successivo  al  festa  del  Corpus  Domini  espressero  il  loro 
contento  con  vive  dimostrazioni  di  religione  (3). 

(1)  Lettera  del  bailo  al  doge,  Pera,  26  maggio  1575.  R.arch.  dei 
Frari,  Strialo,  III,  Secreta,  Lellere  da  Costantinopoli,  1575,  busta  8. 

(2)  Art  presentato  al  sultano  dal  bailo  e  dai  trentanove  pri- 
gionieri cristiani  della  torre  di  Castelnuovo  il  29  maggio  1575, 
conservato  in  copia  nel  R.  ardi,  dei  Frari,  Senato,  ìli,  Secreta,  Let- 
tere da  Costantinopoli,  1575,  busta  8.  Lo  pubblico  fra  i  documenti,  ix. 

(0  Nella  lettera  del  bailo  al  doge,  conservata  nel  R.  ardi,  dei 
Frari,  loc.  cit.,  si  leggono  queste  parole:  «...et  il  giorno  seguente 
«[alla  liberazione]  giorno  di  solennissima  processione  a  riverenza  et 
«  divotione  di  quei  santissimo  corpo  tutt'  insieme  lo  habbiamo  con 
«  profusissime  lagrime  per  soverchia  allegrezza  adorato  et  ringraziato, 
«che  dopo  la  carcere  di  quattro  anni  et  legami  di  durissime  catene 
«  al  traverso  et  alli  piedi  siano  finalmente  tanti  homini  valorosi,  et 
«  per  sangue,  et  per  manifesta  virtù  stimabili  grandemente,  venuti 
«alla  luce  di  questo  cielo  per  opera  della  Serenità  Vostra». 


La  liberaiioìie  dei  Turclìi presi  a  Lepaiilo        2 


-) 


Lo  stesso  giorno  4  giugno  s'  incamminano  essi  verso 
Ragusa  accompagnati  da  un  chiaus  con  relativa  scorta,  e 
usciti  da  Costantinopoli,  scrivono  al  doge  per  annunziargli 
d'essersi  messi  in  viaggio  dopo  essere  stati  liberati  «  con 
«  l'aiuto  dell'onnipotente  Dio,  et  per  gratia  di  Sua  Santità, 
«  di  Sua  Maestà  Catholica  et  della  Serenissima  Signoria 
((  di  \''enetia,  per  opera  del  clarissimo  Antonio  Tiepolo 
«  cavalier  bailo».  Pregano  di  far  andare  subito  i  Turchi 
a  Ragusa,  «  dove  se  ha  a  fare  il  concambio  »,  e  mostrano 
come  per  essere  stati  in  servizio  di  tutta  la  Cristianità  si  cre- 
dono degni,  «  doppo  la  lunghezza  di  tante  miserie,  della 
compassione  «  et  della  gratia  de  principi  tanto  grandi  »  (i). 
Il  doge  informava  sollecitamente  il  suo  ambasciatore  a 
Roma  della  partenza  dei  Cristiani,  e  presto  riceveva  l'assi- 
curazione che  il  papa  aveva  ordinato  la  partenza  dei  Turchi 
per  la  marina  di  Fermo,  dove  sarebbero  stati  consegnati 
al  patrizio  veneziano  Giovanni  Contarini,  il  quale  con  tre 
galere  li  avrebbe  condotti  a  Ragiisa  (2).  Da  parte  sua  il 
sultano  già  aveva  scritto  ai  Ragusei  per  annunziare  l'arrivo 
dei  trentanove  prigionieri  cristiani  e  per  indicare  le  norme 
che  i  Ragusei  avrebbero  dovuto  seguire  per  consegnarli  ai 
Veneziani  (5).  Imponeva  il  sultano  di  tenere  ben  guardati 
i  Cristiani  finché  non  fossero  giunti  i  Turchi  e  di  verifi- 
care bene  die  questi  corrispondessero  esattamente  a  quelli 
indicati  nella  relativa  lista.  Avvertiva  inoltre  che,  se  qual- 


(i)  La  lettera  porta  le  firme  di  quasi  tutti  i  Cristiani  liberati  e 
la  data  dal  Ponte  Picciolo,  4  giugno  1575.  Si  conserva  nel  R.  arch. 
dei  Frari,  Ice.  cit. 

(2)  Lettera  del  doge  al  bailo  a  Cosiantinopoli,  Venezia,  13  lu- 
glio 1575.  R.  arch.  dei  Frari,  Libro  primo  da  Roma,  Secreto  dei  Con- 
siglio dei  Dieci  cit.  e.  68. 

(3)  Lettera  del  sultano  ai  signori  ragusei,  mandata  tradotta  dal 
bailo  al  doge  il  4  giugno  1575  e  conservata  nel  R.  arch  dei  Frari, 
Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da  Costaiiiiiiopoli,  1573,  busta  8;  docu- 
menti, n.  X. 


26  ey\/.    'I^osi 

cuno  fosse  nel  frattempo  morto,  il  cambio  si  sarebbe  ese- 
guito egualmente  (i). 

Il  19  luglio  sulla  spiaggia  di  Fermo  Giovanni  Conta- 
rini  a  nome  del  Governo  veneziano  riceveva  dal  com- 
missario pontifìcio  la  consegna  dei  prigionieri  turchi,  e 
subito  scioglieva  le  vele  per  Ragusa  (2).  Il  viaggio  fino  a 
questa  città  si  compiva  prestissimo,  il  cambio  dei  prigio- 
nieri colle  norme  prescritte  fiicevasi  sollecitamente,  e  il  29  lu- 
glio il  Contarini  giungeva  a  Venezia  con  i  Cristiani  liberati, 
eccettuato  Gabrio  Serbclloni,  che  per  indisposizione  rimase 
a  Ragusa,  donde  parti  poco  appresso  per  Napoli.  Il  doge 
lietissimo  del  fausto  avvenimento  ne  faceva  tosto  avvertire 
il  papa  e  il  cardinale  S.  Giorgio  (3).  L'ambasciatore  ve- 
neziano a  Roma  adempiva  subito  alla  gradita  missione  e 
riferiva  al  doge  che  il  papa  si  era  rallegrato  «  con  fiiccia 
«  ridente  «,  e  aveva  lodato  i  Veneziani  delle  premure  avute 
per  tutti  i  prigionieri  e  specialmente  per  il  Serbelloni,  al 
quale  avevano  usata  nuova  cortesia  conducendolo  a  Bar- 

(i)  Quest'avviso  fu  utile  perchè  uno  dei  Turchi  fu  da  un  com- 
pagno ucciso  a  Fermo,  come  narrammo  nel  nostro  lavoro  più  volte 
citato:  Alcuni  documeiili  8ic.  p.  177  sgg.  L'ordine  del  sultano  avver- 
tiva che  trentanove  erano  i  prigionieri  cristiani,  trentatre  i  prigio- 
nieri turchi  mandati  da  Roma,  e  altri  sei  procurati  dai  Veneziani, 
fra  cui  il  figlio  di  Caramachmuto,  schiavo  della  famiglia  Savorgnan 
e  liberato  per  accordi  presi  fra  i  Savorgnan,  il  Bassa  e  il  bailo,  come 
anche  quest'ultimo  conferma  nella  citata  lettera  del  26  maggio  1575 
al  doge,  conservata  nel  R.  ardi,  dei  Frari,  loc.  cit. 

(2)  Lettera  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma  al  doge,  Roma, 
30  luglio  1)7).  R.  ardi   dei  Frari,  Seualo,  HI,  Secreta,  1571,  n.  11. 

(3)  Nel  R.  arch.  dei  ]rran,  Deliberaiioiii,  Senato,  1573-1 580,  e.  78, 
sotto  la  data  30  luglio  1575,  si  leggono  queste  parole  dette  dal  doge 
in  Senato:  «  Hieri  sera  giunse  in  questa  nostra  città  il  diletto  nobile 
(f  nostro  Gio.  Contarini  con  li  schiavi  christiani,  havendo  con  la  molta 
«  diligentia  et  virtute  sua  effettuato  questo  negoiio  con  prestezza  et 
«  conforme  al  desiderio  et  espctatione  delle  Signorie  Vostre.  Et  questa 
«  mattina  ci  ha  esposto  haver  lassato  l'ili."'"  sig,"^  Gabrio  Serbelone 
«  ammalato  in  Ragusi  ». 


La  libera^ioìic  dei  Tiii'chi pi'esi  a  Lepanto        27 

letta,  dopo  clie  esso,  finita  la  sua  inJisposi;^ione,  aveva 
espresso  il  desiderio  di  recarsi  a  Napoli  (i).  Anche  il  car- 
dinal S.  Giorgio  si  era  mostrato  riconoscente  delle  genti- 
lezze usate  a  suo  fratello  e  ne  ringraziava  il  doire  coiì 
lettera  e  per  mezzo  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma. 

I  Turchi  arrivavano  pure  presto  a  Costantinopoli  e  vi 
portavano  una  gradita  impressione  della  potenza  di  Venezia 
che,  com'era  naturale,  si  attribuiva  il  merito  del  cambio  (2). 

In  tal  modo  terminava  questo  lungo  e  delicatissimo 
negozio  a  beneficio  sicuro  di  tanti  prigionieri  cristiani 
e  turchi,  che  dopo  alcuni  anni  di  prigionia  ritornavano 
in  patria.  Venezia  ne  usciva  accresciuta  di  prestigio  in 
Oriente,  stimata  anche  in  Italia  e  nella  Spagna,  dove  i 
prigioni  liberati  per  il  cambio  e  specialmente  gli  altri 
riscattati  coi  suoi  denari,  che  solo  in  piccola  parte  le  fu- 
rono resi,  dovevano  parlare  bene  della  ricca  e  forte  città, 
senza  contare  che  la  sua  diplomazia  coU'esser  riuscita  a 
vincere  le  resistenze  spagnuole  e  la  diffidenza  turca  ed  a 
guadagnarsi  l'appoggio  di  Gregorio  XIII,  acquistava  un 
nuovo  titolo  all'ammirazione,  per  tanti  titoli  già  meritatasi 

(1)  Lettera  dell'ambasciatore  veneziano  in  Roma  Paolo  Tiepolo 
al  doge,  Roma,  6  agosto  1575.  R.  ardi,  dei  Frari,  Senato,  III,  Se- 
creta, Roma,  1575,  busta  11. 

(2)  Questo  apparisce  da  tutta  la  corrispondenza  del  doge  e  dei 
suoi  ambasciatori,  come  s'è  avuto  occasione  di  notare  nel  corso  di 
questo  lavoro.  Che  i  Turchi  liberali  portassero  buona  impressione 
della  potenza  veneziana  lo  dice  il  bailo  in  una  sua  lettera  al  doge 
il  12  settembre  1575  e  sembra  voglia  confermarlo  col  narrare  questo 
episodio:  «  Li  schiavi  turchi  che  erano  a  Roma  liberati  con  il  concam- 
«  bio  sono  giunti  qui,  et  essendo  dui  di  essi  nel  publico  divano  per 
«  rinovare  il  loro  soldo,  essendo  avanti  il  sìg.  Bassa  gli  domandò  quello 
(■'  che  si  diceva,  perchè  questo  anno  Spagnuoli  non  havevano  fatto 
('armata,  et  uno  di  loro  rispose:  "  Signor,  li  Spagnuoli  non  have- 
«  ranno  le  ali  se  Venetiani  non  potrano  volare.  "  Et  trovandosi  li  a 
«caso  il  Scassi  dragomanno,  il  Bassa  lo  guardò  et  rise  et  non  parlò 
('  più  in  quel  proposito».  Questa  lettera  si  conserva  nel  R.  ardi,  dei 
Frari,  Setialo,  III,  Secreta,  Costantiiiopoli,  1575,  busta  8. 


28  ci/,  "l^osi 

in  passato.  La  Turchia  cementava  la  recente  pace  con 
Venezia,  e  i  suoi  ministri  fiicevano  anche  in  privato  gua- 
dagni cospicui. 

La  Francia  trovava  una  buona  occasione  per  mettere 
sempre  più  in  cattiva  luce  la  nemica  Spagna,  e  special- 
mente per  mezzo  di  monsignor  d'Ax,  sia  nel  negozio  del 
cambio,  sia  negli  affari,  che  trattando  di  'questo  accen- 
nammo,ebbe  modo  di  attaccare  la  sua  antica  nemica,  la  quale 
dovette  più  che  mai  diffidare  di  Venezia  e  da  questa  al- 
lontanarsi ora  che  da  Francia  pareva  con  tanto  zelo  difesa. 

Filippo  II  sembra  puntiglioso  e  quasi  incurante  degli 
interessi  cristiani  in  generale  e  del  bene  degli  stessi  suoi 
sudditi  prigionieri  dei  Turchi,  e  tutto  trascura  pur  di  op- 
porsi a  \'enezia,  ormai  pacificata  coi  Turchi  e  amica  di 
Francia.  Quindi  nega  sempre  il  suo  consenso  al  cambio 
proposto,  rendendo  così  più  bella  l'opera  dei  Veneziani  e 
specialmente  di  Gregorio  XIII,  al  quale  spetta  in  questo 
negozio  la  parte  più  generosa.  Pure  ammettendo,  come 
ci  sembra  giusto,  che  il  pontefice  aderisse  al  desiderio  dei 
\'eneziani  anche  dopo  la  sgradita  pace  da  questi  conclusa 
col  Turco,  per  tenerseli  amici,  nell'interesse  d'una  Lega 
che  avrebbe  voluto  riannodare  contro  i  Turchi,  e  desi- 
derasse di  liberare  i  Turchi  anche  per  liberare  sé  dalle 
spese  che  gli  costavano;  è  certo  ch'egli  osò  opporsi  alla 
Spagna,  ascoltò  commosso  le  preghiere  dei  parenti  de' 
prigionieri,  e  per  esaudirle  pagò  denari  del  proprio,  pose 
in  oblio  il  rimborso  delle  spese  fatte  per  mantenere  i  pri- 
gionieri turchi  a  Roma,  e  compiacque  i  Veneziani,  i  quali 
nei  rapporti  col  papa  facevano  un  po'  troppo  il  loro  in- 
teresse commerciale  e  politico.  Deve  dirsi  che  sostanzial- 
mente, per  quanto  riguarda  questo  negozio,  a  Costanti- 
nopoli, a  Venezia,  a  Parigi  e  a  Madrid  si  faceva  della 
politica  più  o  meno  egoistica,  e  talvolta  puntigliosa,  a 
Roma  invece  ascoltavasi  la  voce  del  cuore  e  della  carità 
cristiana.  M.  Rosi. 


l.a  libura-ioìie  dei  Turchi pi-esi  a  Lcpauio        29 


DOCUMENTI 


I. 

Lettera  di  Marcantonio  Barbaro  ai  capi  del  Consiglio 
dei  Dieci.  Pera,  7  maggio   1573. 

[Venezia,  R.  ardi,  dei  Frari,   Capi  del  Consiglio  dd  Diea, 
Lettere  di  ambasciatori  a   Costantinopoli,  busta  4.] 

Illustrissimi  Signori, 

Nella  audientia  che  io  hebbi  col  magnifico  Bassa,  sicome  scrivo 
al  ecc.^^°  Senato,  quando  parlai  per  la  liberatione  delli  schiavi  che 
sono  in  tore  presi  in  Famagosta,  so  magnificentia  si  acostò  tanto  a 
me  che  mi  pose  quasi  la  bocca  all'orechia,  come  se  io  intendessi  la 
lingua  turca,  poi  facendo  anco  acostare  Orembei  disse:  Q.uesti  schiavi 
che  tu  adimandi  sapi  certo  che  li  haverai,  ma  bisogna  che  babbi  un 
poco  di  pacientia  fino  a  tanto  che  venghi  1'  armata,  perchè  alhora  fa- 
cendone art  al  signor  per  ordine  della  Signoria  io  farò  officio  tale, 
che  li  haverai  ;  intrando  qui  soa  magnificentia  secondo  il  solito  suo 
a  dir  male  di  Mustafa  Bassa,  sicome  per  altre  mie  so  di  aver  scritto 
a  V.  S.'^  sopra  il  che  mi  persuado  che  la  ne  haveva  hauta  conside- 
ratione,  et  me  bavera  anco  dato  quel' ordine,  che  al  suo  prudentis- 
simo  giuditio  sarei  parso.  Et  per  maggior  informatione  soa  le  dirò, 
che  sapendo  io  che  qui  vi  possono  esser  più  di  600  schiavi  di  quelli 
soldati  di  Famagosta,  et  che  la  maggior  parte  sono  dello  signor  et 
dello  mag.'^°  Bassa,  dovendone  egli  haver  da  più  di  cento,  e  trat- 
tandosi di  tanto  suo  interesse  per  la  molta  stima  che  fano  qui  de 
schiavi,  io  non  ho  mai  fatto  specifica  mentione  di  tanto  numero  per 
non  agregar  maggior  dificohà  per  l' interesse  loro,  ma  con  la  ragione 
comune  del  torto  fatto  a  quelli  di  Famagosta  ho  fatto  instantia  di 
quelli  che  sono  in  tore  al  mimerò  di  40  tra  capitani  et  officiali  di  compa- 
gnia. Ma  per  ritornar  all'  intentione  del  Bassa,  che  di  sopra  dicevo,  si 
scopre  chiaramente,  che  egli  cerca  con  quella  occasione  di  smacar. 


30  c^/.  'Ti usi 


e  di  haver  modo  di  offender  Mustafa  Bassa,  perche  dalle  sue  parole, 
et  dalli  moti  del  corpo  ciò  si  scopriva  chiaramente,  sforciandosi  soa 
magnificentia  di  persuadermi  che  si  do%'esse  far  Vari  gagliardo,  et 
dolersi  vivamente  di  esso  Mustafa,  ampliandolo  con  dire  ch'egli  ha- 
vea  usurpato  et  nascosto  molto  tesoro  di  Cipro  ;  alle  qua)  cose  io 
risposi  che  poteva  bastar  a  fare  questo  officio  con  il  serenissimo  si- 
gnor r  autorità  di  so  magnificentia  per  farmi  haver  questi  poveri, 
i  quali  sono  tenuti  con  carico  di  coscientia  et  contra  1'  honor  della 
promessa  di  so  magnificentia.  11  Bassa  tuttavia  rinforzava  la  soa  in- 
stantia, a  tal  che  sempre  più  chiaramente  si  scopriva  1'  affetto  de 
l'animo  suo;  ondechè  conoscendo  io  di  non  poter  far  frutto  alcuno, 
lassai  cosi  cadere  questo  proposito  non  mi  obligando  a  cosa  alcuna, 
si  per  poter  di  novo  secondo  l'occasione  rinforzar  gli  officii,  come 
anco  per  lasciar  la  Serenità  Vostra  in  libertà  di  far  quello  che  meglio 
le  parerà.  Et  per  maggior  soa  informatlone  non  le  tacerò  che  tanto 
è  r  odio  tra  questi  doi  Bassa,  che  è  dificil  cosa  da  creder  come  non 
ne  venghi  la  rovina  di  uno  di  loro:  è  vero  che  Mustafa  Bassa  ha  per 
inanti  hauti  molti  favori  dal  signor,  ma  si  conosce  anco  che  è  assai 
grande  l' autorità  del  mag.'^°  Mehemet,  con  tutto  che  egli  la  usi 
molto  temperatamente,  et  per  il  vero  questa  pace  perchè  è  seguita 
con  universal  satisfattione  de  Turchi  ha  posto  esso  mag.'^°  Mv^hemet 
in  grandissima  riputatione,  il  che  forse  lo  invitterà  ad  usar  nell'ave- 
nire  più  vivamente  la  soa  autorità,  la  qual  per  molti  rispetti,  come 
ho  ditto,  ha  fin  hora  usata  assai  temperatamente,  et  Mustafa  Bassa 
è  sempre  stato  alla  scoperta  contrario  alle  cose  di  Vostra  Serenità,  o 
sia  per  propria  soa  natura,  o  pur  per  opponersi  al  mag.*^"  Mehemet 
Bassa,  et  all'incontro  esso  niag.'^"  Mehemet  si  è  del  continuo  mo- 
strato favorevole,  et  nelli  negotii  parmi  che  sia  proceduto  meco  con 
termini  tali  che  non  può  quel  serenissimo  Dominio  se  non  tenir 
grata  memoria  di  lui,  il  che  ho  voluto  dirle  per  informatione  soa. 
Rabi  Salamon  ha  fatto  meco  con  molta  passione  uno  grave  risenti- 
mento et  con  libera  affettione  mi  disse:  Io  ho  sempre  pensato  che 
nelle  cose  importanti  quelli  ili.""'  Signori  procedessero  con  molta  se- 
cretezza,  ma  in  effetto  non  ritrovo  che  così  sia,  soggiungendo  saper 
che  monsignor  d'Ax  mi  ha  mostrato  una  litera  da  Venetia,  nella 
qual,  oltra  che  vi  sono  scritte  le  conditioni  della  pace,  vi  è  anco  uno 
particolare  di  più,  che  mi  è  dispiaciuto  assai,  perchè  el  potrebbe 
far  malissimo  effetto  de  qua  per  le  emulationi  di  questi  Bassa,  et  è 
che  in  quella  litera  vien  scritto  che  quelli  Signori  sono  obligati  dare 
al  mag."  Bassa  30  mila  ducati,  dicendomi  :  Tu  sai  quanto  mons.  d'Ax 
è  in  disgratia  di  esso  Bassa  et  come  egli  procede  senza  rispetto  al- 
cuno, a  tal  che  ogni  giorno  el  si  (:\.  più  odioso,  massime  perchè  ha 


La  liberazione  dei  Tiucìii presi  a  Lepanto        31 


preso  per  pnrtito  valersi  di  Mustafa  I^assà,  per  il  che  si  può  facil- 
mente creder  che  esso  monsignor  non  si  contcniva  di  ragionar  tal 
cosa,  et  farla  saper  a  detto  Mustafa,  il  che  venendo  alle  orechie  del 
mag.'^"  Mehemet,  el  si  potrà  doler  assai.  Io  cercai  con  molte  ragioni 
di  acquietar  il  dottor,  dicendo  che  questa  non  può  esser  venuta  dalla 
Serenità  Vostra  ma  per  altra  via,  perciochè  cose  tali  sono  tenute  se- 
cretissime  nell'ill'"°  Consiglio  de  X,  ne  che  mai  si  sano,  né  meno 
si  dicono  al  Senato,  ancorché  io  fra  me  stesso  pensando  non  mi  ho 
potuto  assicurar  se  talvolta  comunicando  le  S.  V.  111.'"*  le  litere  mie 
ad  esso  ecc."'"  Senato  fasse  anco  stato  lasciato  liberamente  publicar 
quella  parte  del  donativo  del  Bassa,  et  che  a  questo  modo  ciò  si 
fusse  poi  divulgato,  il  che  in  vero  mi  dispiacerebbe  infinitamente  per 
il  disordine  che  ne  potrebbe  succeder  a  pregiuditio  delle  cose  di  Vo- 
stra Serenità.  Per  me,  S/'  IH.'"',  sarebbe  stato  carissimo  haver  hauto 
con  la  venuta  di  mio  figliolo  qualche  ordine  di  usar  a  Firidum  Aga 
quella  gratitudine  che  le  fusse  parso  conveniente,  perchè  certo  costui 
è  sopra  l'ordinaria  natura  de  Turchi  avidissimo  al  danaro,  et  ha 
presa  tanta  autorità  appresso  al  Bassa  in  questo  suo  carico  di  gran 
cancelliere,  che  scopertamente  egli  contradice  alla  volontà  di  soa 
magnificentia,  cosa  che  niuno  altro  ardisce  di  fare  nepur  un  minimo 
ceno,  et  sia  sicura  la  Serenità  Vostra  che  nel  formar  li  capitoli  con- 
vene al  Bassa  farli  viiania  et  scaciarlo  da  se  con  parole  ingiuriose, 
perchè  havea  scritto  con  modi  tanto  alteri  che  non  Io  potendo  io 
soportare,  ne  feci  risentimento  tale,  che  il  Bassa  per  la  soa  bona  di- 
spositione  gli  fece  una  grave  riprensione,  et  con  tutto  che  esso  Fi- 
ridun  sia  più  volte  stato  querelato  stranamente  al  signor  per  le  sue 
mangiarle,  et  che  egli  s'a  caduto  in  disgratia  tale  di  soa  magnifi- 
centia  che  più  di  una  fiata  ha  date  strane  commissioni  di  lui,  pur 
il  Bassa  lo  ha  sostentato  con  dire  che  per  la  sufficientia  del  carico 
che  egli  tiene  vi  è  gran  bisogno  della  persona  soa.  Per  il  che  dico 
che  mi  sarebbe  stato  carissimo  haver  hauto  hora  quest""  ordine,  per 
ciò  che  havendosi  a  far  al  presente  la  expeditione  di  tanti  compo- 
nimenti importa  assai  a  farlo  favorevole,  et  per  intertenirlo  grata- 
mente mandai  mio  figliolo  a  visitarlo  et  a  farli  parole  gratissime 
con  darli  ferma  intentione  che  dalla  Serenità  Vostra  sarà  ben  co- 
nosciuta r  amorevolezza  soa,  essortandolo  a  diportarsi  cortesemente, 
si  come  infine  si  è  offerto  di  fare;  et  quando  nell'  espedire  li  compo- 
nimenti delle  cose,  che  io  ho  proposto  al  mag.*^"  Bassa,  conoscessi 
ricercar  così  il  beneficio  publico  prima  che  venisse  altro  ordine  di 
lei,  io  con  buona  intentione  mi  prenderò  sicurtà  di  usare  quella  di- 
mostratione  verso  di  lui  che  giudicassi  a  proposito,  persuadendomi 
che  così  possi  esser  di  sua  satisfatione,  pur  volentieri  mi  anderò  in- 


32  ^I.  'llosi 


tertenendo  per  aspettare  con  mio  maggior  contento  ordine  da  Vo- 
stra Serenità.  Di  V.  S.  ecc.™» 

Di  Pera  a  7  di  maggio   1575. 

humil  servitor  Marco  Antonio  Barbaro 
bailo. 


IL 

Lettera  che  alcuni  ufficiali  veneziani  caduti  prigionieri 
dei  Turchi  a  Famagosta  e  condotti  a  Costantinopoli  scris- 
sero al  bailo  il  28  ottobre  1571. 

[R.  bibl.   Marciana,  Registro  di  lellere  ài  M.  Antonio  Bai  baro 
bailo  in   Costantinopoli,  ci.   Vt[,  cod.   590.] 

Cl."°  S/  nostro  et  patron  nostro  osservand." 

Dio  sa  con  quanto  nostro  dolore  et  passione  di  core  si  siam 
posti  a  scriver  questa  per  andar  rinnovando  tanti  travagli,  faticlie 
et  vigilie,  et  poi  remunerati  d'ingiurie  et  villanie  usatene  da  inimici, 
pure  sforzatone  al  piij  che  habbiam  possuto,  si  è  rissolto  a  scriverli, 
prima  per  far  riverenza  a  V.  S.  111."""  come  nostro  patrone  et  pro- 
tettore, apresso  poi  per  darle  raguaglio  al  meglio  che  habbiam  pos- 
suto della  sventurata  resa  di  Famagosta,  a  tal  che  sapendo  lei  noi 
esser  stati  i  primi  gionti  in  questo  loco,  ne  incolpasse  di  negligenti 
et  poco  amorevoli  al  nostro  Ser."""  Principe  et  111."'*  Signoria. 
Et  prima  l'ha  da  sapere  che  prima  che  ne  cominciassero  a  battere 
la  città,  r  essercito  turchesco  n'  intorniò  con  9  bastioni  dalla  parte 
di  Limissò  fino  al  scoglio  ;  nelli  quali  vi  erano  fra  tutti  74  pezzi, 
cioè  basilischi,  canoni  et  colubrine.  Et  il  batter  loro  è  stato  con 
tanta  vehementia  et  furore,  che  non  è  stato  nissun  di  che  fra  notte 
et  giorno  non  habbiano  tirrato  al  continuo  2000  tirri.  Alla  parte  di 
Limissò  era  battuto  con  52  pezzi  da  quattro  bastioni;  la  mezzaluna 
che  viene  apresso  della  qual  ne  havea  cura  la  buona  memoria  del- 
l' ili.*""*  nostro  s.*"  Ettore  Baglione,  era  battuta  da  uno  bastione  con 
8  pezzi.  Battevano  anco  con  altri  tanti  pezzi  in  un  altro  bastione  la 
mezzaluna  che  veniva  apresso,  che  ne  havea  cura  la  felice  memoria 
del  d."""  di  Famagosta.  Battevano  anco  1'  altra  mezzaluna  che  viene 
apresso,  che  ne  havea  cura  il  ci."''*  bona  memoria  di  Baffo.  Da  un 
altro  bastione   battevano  anco  la  cortina  clie  viene  apresso  alla  so- 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        ^^ 


pradetta  mezzaluna  con  alcuni  pezzi  ch'erano  posti  a  piano  Ira 
gabbioni.  Ne  battevano  con  tanto  furore  che  quasi  sino  al  fondo  ne 
batterno  più  della  metà  della  cortina,  del  qual  loco  ne  havea  cura 
il  cavalier  dalle  Aste,  il  capitano  Antonio  del  revellino,  et  io  Matteo 
da  Capua.  Battevano  anco  la  mezzaluna  dell'  arsenale  dal  scoglio  et 
da  un  altro  bastione  con  12  pezzi,  del  qual  loco  havea  cura  la  buona 
memoria  del  maestro  di  campo,  che  era  il  capitan  David  dalla 
Noce  da  Crema.  Et  la  batteria  incominciò  dalli  19  di  maggio  al  fare 
dell'  alba  con  tanto  fracasso,  ruina  et  mortalità  di  noi  altri,  che  non  si 
ricorda  da  coloro  che  son  più  vecchi  di  noi,  d'  haver  vista  tal  cosa 
in  altre  città  assediate.  Con  tutto  ciò  noi  cominciannno  a  farli  con- 
trabatteria da  tutti  i  luoghi.  Né  anco  loro  potevano  apena  comparir  né 
bombarderò,  né  altra  persona,  che  subito  non  fusse  tolto  di  mira  da 
nostri  pezzi.  Et  credo  certo  che  del  tirrare  pareggiavimo  a  loro,  et 
quando  Dio  ne  avesse  concesso  che  quel  loco  fusse  stato  munitionato 
di  polvere  sicome  ogn"  un  credeva  et  che  anco  il  loco  richiedeva, 
i  nemici  haveriano  perso  di  ta!  modo  la  scrima  che  non  harian 
saputo  che  farsi.  Però  essendosi  noi  accorti  che  havendo  tirrati 
1500  tirri  fra  notte  et  di  in  8  giorni  havevimo  consumati  4000  barilli 
di  polvere,  s'incominciò  andar  un  poco  più  posato,  essendosi  fatto  il 
calcolo  della  polvere  et  quel  che  poteva  bastare.  Della  qual  cosa  avi- 
stosi  i  nemici  incominciorno  avvicinarsi,  et  con  più  furor  a  bat- 
terne, che  in  termine  di  un  mese  et  dieci  giorni  spianarono  li  sopra- 
nominati lochi  quanto  potevano  scoprirne,  et  la  ruina  di  dette  mu- 
raglie ad  essi  haver  fatto  si  facile  salita  et  dar  1'  assalto,  che  li  carri 
et  per  dir  meglio  li  cavalli  con  le  some  potevano  montar  su,  ma  le 
nostre  retirrate  fatte  in  tutti  li  sopradetti  lochi  davano  a  loro  tanto 
terrore,  che  mai  li  bastò  1'  animo  de  montarvi;  et  certo  molte  volte 
ne  sforzavimo  uscire  fuori  per  tuor  via  la  ruina,  che  ne  veniva  fatta, 
ma  con  nostro  grandissimo  danno  ne  bisognava  ritirrare  per  essersi 
tanto  avvicinati  alla  fossa,  che  in  brevi  giorni  vennero  al  muro  di 
detta  fossa,  et  sbusorno  in  più  loco  il  muro  di  detta  fossa  fino  al 
fondo,  buttando  sempre  il  terreno  che  de  li  cavavano  dentro  la  fossa. 
Di  tal  sorte  che  il  ruinazzo  della  muraglia  et  il  terreno  che  butta- 
vano, haveano  fatto  una  altura  in  detta  fossa,  che  non  poteva  nes- 
suno comparir  di  dentro,  chg  subito  di  frezza  o  d'  archibusata  non 
fusse  ferito.  Niente  de  meno  mai  in  quatro  assalti  che  in  questo 
termine  diedero  fu  visto  virtù  d'animo  nelli  nemici,  ma  come  galline 
destese  in  giù  venivano  quelli  loro  stendardi,  con  tutto  che  da  noi 
fussero  chiamati  che  venissero  inanti.  Però  come  si  avidero  non  po- 
terne far  altro  pervia  del  batter,  si  posero  a  far  mine  nelli  medesimi 
sopradetti  lochi,  et  la  prima  la  fecero  alla  mezzaluna  dell'arsenale  et 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  yatria.  \o\.  \\{\ .  3 


34  ^^-  'Tiosi 


havendovi  dato  fuoco,  buttorno  tutta  la  tVomc  a  terra,  né  per  questo 
fu  visto  nissuno  accostarsi;  la  seconda  fu  quella  del  cl."^°  di  Fama- 
gosta,  la  qual  per  esser  contraminata  da  noi,  fé'  poco  effetto.  Minorno 
anco  la  mezzaluna  del  ci.™"  di  Baffo,  che  essendo  ritrovata  da  noi, 
li  fu  tolta  la  polvere  che  haveano  posta,  et  mortovi  dieci  Turchi;  la 
terza  mina  che  derno  fuoco  fu  quella  del  revellino,  cosa  che  at- 
terrì molto  r  animo  de  Greci  per  esser  spianato  sino  al  fondo.  Pur 
noi  havevimo  una  mina  nel  medesimo  loco,  la  qual  era  in  posto  per 
darli  fuoco  il  medesimo  giorno  quando  che  la  ruina  non  havcsse 
impedita  la  scmentella  per  darli  fuoco  ;  pur  con  gran  nostra  fatica 
fu  trovata,  et  datovi  fuoco  fé'  poco  effetto.  La  causa  fu  per  esservi 
stata  poca  polvere.  Ma  con  tutto  ciò  diede  gran  terrore  alli  nemici, 
dubitando  che  non  fossero  delle  altre;  pur  essendo  fuggiti  di  dentro 
alcuni  Greci,  li  assicurorno  che  non  vi  era  altro,  talché  si  risolse  di 
provare  di  poterlo  acquistare,  et  al  far  della  diana  ne  diedero  un 
assalto  generale  da  tutte  le  bande,  ma  più  dal  revellino,  il  quale 
essendovi  pochi  Italiani  per  esserne  assai  morti  et  pur  assai  Greci  in- 
cominciorno  a  retirrarsi  dando  animo  alli  nemici.  Né  essi  havendo 
perso  tempo  montorno  sopra  con  loro  bandiere,  et  ributtati  i  nostri 
s' impadronirno  con  gran  nostra  mortalità.  Della  qual  cosa  vistosi 
il  s''  Alvise  Martinengo  che  di  quel  loco  havea  cargo  diede  fuoco 
alla  mina  che  era  fra  la  porta  et  revellino,  non  curando  ch'erano 
di  nostri  da  150  rimasti  fuori,  i  quali  restorno  tutti  parte  morti  et 
altri  feriti;  et  dubitando  che  non  intrassero  dentro  per  la  porta  la 
fece  serrare.  De  la  qual  perdita  tutti  li  Greci  et  anco  Italiani  si  tur- 
barono assai  essendosi  perso  quel  loco  per  poca  cura  de  chi  '1  go- 
vernava. Stando  noi  in  questo  modo  serrati  cercavimo  defendersi  al 
meglio  che  si  poteva;  li  nemici  accostatisi  alla  porta  ferno  tre  mine 
in  detta  porta,  una  per  fianco  et  l'altra  ad  una  batteria  del  cavai- 
liere  di  detta  porta,  et  lavoravano  fortemente.  Non  contenti  di  questo, 
ferno  un' altra  mina  alla  medesima  mina  che  haveano  fatto  all'arse- 
nale, et  un'  altra  alla  cortina  dell'  arsenale  dove  era  la  batteria  et 
tutte  queste  cinque  mine  noi  sapevimo  che  vi  erano;  però  posero 
anche  dui  pezzi  sul  revellino  che  havevano  guadagnato  et  tirravano 
alia  nostra  porta:  la  qual  noi  havevimo  murata  et  piena  di  terra  et 
gottone;  et  oltra  al  terrar  de  due  pezzi  posero  fuoco  con  legne  et 
altre  misture  a  detta  porta,  durando  tre  giorni  di  continuo  un  fuoco 
tanto  grande  che  abrusciava  tutta  la  fabrica.  Per  la  qual  cosa  li  Greci 
si  lassaro  intender  in  publico  et  in  secrctto,  et  in  alcuni  ridotti  che 
loro  facevano,  che  era  bene  arendersi  et  che  loro  non  volevano 
veder  le  loro  mogli,  figli  e  fratelli  et  sorelle  in  man  de  Turchi 
malmenate,  ma    che   se  si    fussimo  arresi  se    saria    stato    osservato 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        ^) 


*.]uanto  ne  veniva  promesso  dal  Bassa.  Et  se  ciò  non  volcvimo  fare 
non  erano  per  combatter  più,  perchè  dicevano  che  noi  havevimo 
ragione  essendo  persone  che  li  non  havevimo  nessuno  de  nostri,  ma 
la  nostra  vita  sola;  la  qual  cosa  diede  molto  da  pensare  alli  animi 
nostri  et  più  alli  signori  che  havevano  a  governare.  Et  come  volse 
la  nostra  disgratia  in  questo  mezzo  scampò  dalla  città  un  soldato 
fiorentino,  il  qual  diede  raguaglio  minutamente  alli  inimici  della 
•solevatione  de  Greci  et  della  polvere  che  ne  era  mancata,  si  clie 
cominciorno  un'  altra  volta  a  dimandar  parlamento,  essendo  che 
prima  da  noi  non  li  fu  dato  orecchio,  anzi  con  1'  artigliarla  et  ar- 
chibusate  scacciati  senza  nlun  rasonamento.  Et  così  si  stete  tre  giorni, 
-et  alli  23  di  luglio  fu  a  tutte  le  cinque  mine  di  sopra  dette  dato 
fuoco,  et  gettata  tutta  la  porta  giù  con  grandissime  ruine.  Con  tutto 
-questo  facessimo  delle  altre  reterrate  al  meglio  che  potevimo  centra 
il  volere  delli  terrazzani,  non  g'à  del  popolo,  ma  della  nobiltà,  la 
•qual  gettata  ogni  vergogna,  a  viso  aperto  andorno  dal  cl."'°  della 
i;erra  e  dallo  ill."^°  sig.  Ettor,  et  dissero  che  non  erano  per  più  re- 
sistere, vedendo  che  non  era  più  ordine  a  casi  loro,  prima  per  esser 
tutti  i  luoghi  aperti  da  batterie,  poi  per  esserne  morti  tanti  Italiani 
et  Greci:  l'altro  per  non  vi  esser  più  polvere  per  ditìendersi,  et  poi 
quello  che  più  importava,  dicevano,  che  essendo  tanto  fìdelissimi  si  ve- 
devano abbandonati  dalla  111.™^  Signoria  che  in  tanto  tempo  non  havea 
[mandato]  altro  che  un  poco  di  soccorso,  senza  mai  avisar  cosaniuna 
ne  haver  nova  alcuna;  sì  che  per  le  sopradette  cose  dicevano  voler 
concorrere  una  medesima  fortuna  con  Rodiotti,  et  che  pensassero 
bene  sopra  tal  cosa.  Per  le  qual  parole  fra  il  ci.™"  Famagosta,  il 
c]."'°  di  Baffo  et  lo  ill."'°  sig.  Ettor  fu  concluso  che  se  non  si  fus- 
simo  arresi  haveriano  havuti  dui  nemici,  1'  uno  alle  spalle  et  l'altro 
dinanzi,  contro  la  volontà  certo  di  tutti  gli  Italiani  che  se  ben  non 
vi  era  altro  che  sei  barilli  di  polvere  et  a  terra  ogni  cosa,  si  era  atti 
con  le  armi  da  fuoco,  et  sassi  che  terravano  le  donne,  deffendendosi 
sino  a  settembre,  che  de  li  poi  Dio  haveria  provisto;  ma  l'animo 
de  terrazzani  buttò  a  terra  ogni  disegno,  sicché  fu  concluso  fra  essi 
signori  che  se  fussero  venuti  per  far  più  parlainento,  che  si  fusse 
cercato  attaccarsi  a  qualche  partito  honorato,  et  che  de  dui  mali  si 
fusse  eletto  il  minore.  Tal  che  non  passorno  dui  giorni  che  venne 
un  cameriero  d'un  Bassa  di  Nicosia  per  parlamento  et  pian  piano  si 
accostò,  dubitando  che  non  si  fusse  fatto  come  per  il  passato.  Fu 
alzata  la  bandiera  da  noi  et  interrogato  che  domandava,  disse  che 
noi  già  vedevimo  apertamente  in  che  modo  se  ritrovava  la  città, 
però  die  pensassimo  bene  a  casi  nostri,  perchè  se  si  fusse  entrato 
per  forza  non  si   haveria  havuto  rispetto  a  niuna  sorta  di  persona; 


^6  <^1.  \l^osi 


et  che  se  noi  si  havessimo  voluto  arrender  al  (ìran  Signore  ne  lia- 
veria  concesso  tutto  quello  che  havessimo  saputo  addimandare.  Nò 
liavessimo  havuto  risguardo  che  noi  eranio  de  diversa  fede  perchè 
era  chiaro  per  tutto  el  mondo  che  di  quanto  è  stato  promesso  dalli 
Gran  Signori  è  stato  osservato  con  inviolabil  fede,  tanto  più  che 
loro  si  offerivano  che  si  fussero  dati  ostaggi  da  una  parte  et  dal- 
l'altra; et  che  quando  noi  altramente  havessimo  fatto,  li  haveria  di- 
spiaciuto come  cristiano  che  è,  benché  per  forza  si  sia  fatto  turco. 
Così  li  fu  risposto  che  quando  si  fusse  stati  certi  che  la  fede  fusse 
per  mantenersi,  che  si  sariamo  arresi  al  Gran  Signore  sopra  la  parola 
del  quale  si  sono  arrese  tante  città  et  regni,  ma  sopratutto  volevimo 
ostaggi.  La  qual  cosa  subito  referita  a  Mustaffa  Bassa  dal  sopradetto, 
subito  ne  mandò  un  foglio  di  carta  bianca,  attaccatovi  sotto  il  bollo 
del  Gran  Signore  dove  vi  era  scolpita  la  sua  testa  d'  oro  fino,  et  che 
noi  havessimo  scritto  su  quello  tutto  il  nostro  volere,  et  che  a  con 
firmatione  de  capitoli  lui  haveria  mandati  dentro  per  ostaggi  l'aga  de 
giannizzeri  et  il  suo  chiecagià,  et  che  noi  havessimo  mandato  dui 
di  nostri.  Et  cosi  la  mattina  mandamo  fuori  il  conte  Hercole  Marti- 
nengo  et  un  altro  cittadino  famagostano  Mattio  di  Colti,  et  di  loro 
vennero  dentro  li  sopradetti  aga  et  chiecagià  accompagnati  da  una 
bellissima  cavalleria  et  molti  pedoni,  pur  andorno  a  dismontar  in 
casa  dell'  ili."""  sig.  Ettor  Baglione,  dove  continuamente  fattali  bo- 
nissima  cera  et  donatoli  di  molti  doni,  incominciorno  de  passar  li 
capitoli  :  Che  essi  ne  davano  il  passaggio  salvo  et  sicuro  sino  a  Settia 
con  caramussali  a  bastanza,  salve  le  nostre  arme,  tamburi,  insegne 
et  cinque  pezzi  d'artigliarla;  salve  tutte  le  famiglie  et  le  nostre  fa- 
cultà.*  Et  di  più  havendo  concesso  al  cl."'°  di  Baffo  .xii.  sachi 
di  gottone  che  erano  suoi  che  li  potesse  levar  via.  Tra  questo  s'in- 
cominciò ad  imbarcar  la  detta  artigliaria  con  il  gottone,  stando  però 
le  banderuole  di  tregua  intorno  la  muraglia.  Noi  tutti  Italiani  e  Al- 
banesi, et  alcuni  pochi  Greci  s' imbarcammo  nelli  caramussali  che 
ne  haveano  mandato  dentro  il  porto.  Vi  erano  venute  ancorade  7  ga- 
lee non  dismontando  però  ninno  di  loro;  il  cl."'°  capitano  di  Fa- 
magosta  et  quello  di  Baffo  con  lo  ili."'"  signor  Ettor  et  lo  ill.'''^  sig. 
conte  Alvise  Martinengo  con  200  archibusieri  restarono  dentro  per 
consignar  le  chiave  della  fortezza  et  munitione  al  Bassa  et  farli  ri- 
verentia.  Et  così  la  sera  alle  21  hora  si  partirono  fuori  della  città 
per  la  porta  del  Diamante,  et  andarono  al  campo;  laonde  li  venne 
incontro  una  buona  flotta  di  giannizzeri  et  spai.  Giorni  al  padiglione 
del  Bassa,  dismontarno  et  intrato  dentro  prima  il  CI.'""  fé  riverenza 
al  detto  Bassa  ;  et  ragionando  con  esso  lui  non  più  di  dieci  parole, 
senza  altro  dire  alzò  la  mano,  et  gli  diede  un  schiaffo  :  et  havendoli 


La  libera\ione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        37 


fatto  dar  di  mano  comandò  ad  un  suo  buffone  die  gli  tagliasse  tutte 
due  le  orecchie;  et  gridò  che  fusse  tagliata  a  pezzi  tutta  la  compa- 
gnia eh'  era  venuta  con  lui,  et  subito  venero  correndo  verso  la  città, 
et  quanti  Italiani  trovavano  che  per  sorte  non  erano  imbarcati,  tutti 
tagliorno  a  pezzi,  et  alli  Greci  diedero  un  sacco  leggiero,  usando  con 
loro  mogli  et  loro  figliole  in  loro  presentia;  et  la  mattina  venero 
nelli  castelli  dove  noi  erimo,  et  prima  ne  tolsero  le  mogli  a  chi  le 
haveva,  figli  et  fratelli,  et  li  mandarno  tutti  entro  uno  serraglio,  et 
poi  caporno  chi  pareva  meglio  per  remo.  Et  come  si  hebbero  piene 
tutte  le  galere,  ne  mandorno  nelle  maone  et  nelle  navi,  havendone 
prima  spogliati  nudi  come  ne  partorì  ncstre  madri.  Et  stando  noi 
cosi  .XI.  giorni,  alli  15  d'agosto  un  venerdì  da  mattina  a  bon  hora 
la  galera  del  capitano  di  Rodi  piena  di  tutte  le  nostre  insegne  alla 
riserva  partì  dalli  giardini  et  andò  al  porto,  et  fatto  legare  il  Cl."^" 
sopra  una  cariega  di  veludo  cremisino,  fatto  prima  cicogno  dell'an- 
tenna, lo  fé  tirrar  su  di  là  onde  lo  fé  stare  più  di  un  hora,  poi  ve- 
nuto il  Bassa  con  una  barchetta,  facendolo  calar  et  fattolo  desmon- 
tar dal  molo  lo  fece  ligar  con  le  mani  da  dietro,  et  condotto  dentro 
la  città,  essendo  battuto  da  diversi  Turchi,  lo  menarono  intorno  le 
mura,  et  per  ogni  batteria  lo  fecero  portar  cinque  coffe  di  terra  ; 
poi  lo  menomo  in  piazza  et  ligatolo  alla  colonna  della  berlina,  dui 
incominciorno  con  dui  coltelli  a  scorticarlo  dalla  schiena,  et  stete 
vivo  fino  che  gionsero  al  bellicolo,  né  mai  da  quel  benedetto  corpo 
si  fu  sentito  mai  lamentarsi  pur  una  parola,  ma  come  martire  di 
Chrìsto  sopportò  il  tutto.  Questo  fu  l'infelice  successo  di  noi  altri 
poveri  Italiani,  li  quali  (si  come  ho  detto)  essendo  noi  stati  posti 
in  diversi  vasselli  siamo  gionti  costì  da  400  Italiani  :  vi  sono  6  ca- 
pitani soli,  li  quali  sono  il  capitano  Lorenzo  Fornarino  da  Bologna, 
il  capitano  Angelo  da  Orbietto,  il  capitano  Gian  Battista  Squar- 
zone  che  hebbe  la  compagnia  del  capitano  Francesco  Bogone:  vi  è 
il  capitano  Hercole  da  Perosa  che  hebbe  la  compagnia  del  capitano 
David  Nose,  il  capitano  Tomaso  Flessa,  et  cinque  son  io  capitano 
Mattio  da  Capua  ;  il  resto  de  capitani  et  altri  soldati  erano  nelle 
altre  maone  et  galee  di  Avapacmat,  che  per  un  poco  di  burasca  in 
Rodo  si  persero  di  vista  da  noi.  Quello  che  vogliam  ora  pregare 
V.  S.  III.'"''  si  è  che  ne  habbia  per  raccomandati,  né  si  voglia  scordar 
di  noi  altri  servitori,  come  nostro  patrone  che  ci  è,  suplicandola  che 
se  possibil  fusse  far  intender  al  Gran  Signore  il  torto  che  ne  è  stato 
usato,  che  essendosi  noi  arresi  alla  testa  del  Gran  Signore,  non  già  di 
Mustaffà,  che  a  lui  non  li  hariamo  mai  creduto,  ne  dovesse  usar  tal 
torto.  Et  che  si  doverla  reccordar  ciò  che  usò  sultan  Soliman  a  Rodi, 
Strigonia  et  Napoli  di  Romania,  né  voglia  per  1 500  uomini  che  fus- 


38  cH/.  'I{osi 


Simo  macchiar  il  nome  di  un  tanto  Gran  Signore.  Ht  quando  altra- 
mente gli  paresse  la  voglia  con  suo  lettere  avisar  lo  ill.""^  Senato 
che  ne  vogli  haver  per  raccomandati,  et  procurar  la  nostra  libertà 
per  via  di  cambio  o  di  riscatto,  sicome  è  il  solito,  et  come  ha  fatto 
quella  Ecc.™'  Republica,  a  tal  che  il  mondo  possa  conoscere  che 
non  si  scorda  de  chi  la  serve.  Et  perchè  V.  S.  III.""  sappia,  siamo 
in  mano  di  .Mehemet  Bassi  cinque  capitani  con  200  soldati  italiani, 
il  resto  al  bagno  del  Gran  S-gnore  et  altri  lochi.  Et  acciò  che  V, 
S.  III."''  sappia  la  nostra  necessità,  siamo  serrati  nel  bagno  senza 
praticar  con  ninno,  et  con  doi  pani  al  giorno,  sicome  ogni  altro  povero 
schiavo.  Et  non  habbiamo  dove  ricorrere  se  non  a  lei,  perchè  oltra 
che  ogn'  uno  di  noi  habbia  rimesso  nella  camera  di  Famagosta  quelhì 
sostantia  che  si  è  possuto  per  la  incommoda  moneta  di  rame  che 
in  quel  regno  correva,  come  appar  per  parte  delle  polizze  di  detta 
camera,  che  sono  apresso  di  noi.  Et  perchè  quello  con  che  si  po- 
tevamo soccorrer  siamo  stati  svaliggiati  et  spogliati  nudi,  a  tal  che 
non  havemo  di  che  potersi  riparare,  la  supplichiamo  che  ne  vogli 
soccorrer  per  poter  passare  la  m-sera  vita  sino  che  piacerà  a  Dio. 
Et  oltra  che  faremo  buono  tutto  quello  che  sera  servito  soccorrerne 
senza  ninno  interesse,  in  perpetuo  saremo  tenuti  pregar  el  .S  ■"  Dio 
per  la  salute  et  felice  prosperità  di  V.  S.  IH."''  et  vittoria  di  quella 
benigna  Republica.  Dal  bagno  di  Mehemet  Bassa  alli  28  d'ottobre  1571. 
Di  V.  S.  111.™'  affettionatissimi  servitori,  suplicandola  fare  la  risposta. 
Io  capitano  Mattio  da  Capua.  Io  capitano  Camillo  Squarzon  vesen- 
tino.  Io  capitano  Hercole  Andriani  da  Perugia.  Io  Simon  Bagnese  da 
Firenze.  Io  capitano  Tomaso  Flessa  capitano  de  Stradiotti. 


III. 

Lettera  colla  quale  il  vescovo  di  Vicenza  prega  mon- 
signor Morone  di  raccomandare  al  papa  la  liberazione  di 
Gian  Tommaso  Costanzo  prigioniero  dei  Turchi.  Senza 
data. 

[Arcb.   Vat.   Mise.  arra,   ii,   n.  152,  e.   liS.] 

Il  sig.  Gio.  Thomaso  Costanzo  figliuolo  unico  al  padre  l'anno  71 
essendo  giovane  di  diciasette  anni  fu  spedito  con  caricco  di  colon- 
nello di  alquante  insegne  di  infanteria,  con  parte  de  quali  andando 
al  presidio  di  Corfii  in  bonaccia  calma  fu  assalito  da  tutta  l'armata 
turchesca  con  la  quale  combattendo  valorosamente  per  spatio  d'un.i 


La  libcì\i\ione  dei  Turcìii presi  a  Lepanto        39 


gioniata  intiera,  non  potendo  con  una  sola  nave  resister  a  tanta 
forza  restò  prigione  di  Lucciali  et  fu  mandato  in  capo  al  settimo 
giorno  a  donar  al  Gran  Signor  in  Costantinopoli,  il  quale  havendolo 
veduto  comandò  a  Mehemet  Bassa  di  sua  propria  bocca  che  lo  fa- 
cesse far  turco,  il  che  havendosi  tentato  con  ogni  arte  posibile  et 
con  offerte  di  grandissimi  premi!  non  volse  mai  acconsentire,  onde 
minacciarono  di  tagliargli  la  testa,  il  che  egli  allegramente  accettò 
pur  che  morisse  Christiane.  Ma  i  Turclii  convertirono  il  tagliargli  la 
testa  in  circonciderlo  per  forza  ;  onde  egli  finita  la  circoncisione, 
buttò  con  admiratione  dello  stesso  Bassa  il  turbante  in  terra  per  di- 
sprezzo, et  stracciò  la  casacca  d'oro,  della  quale  lo  havevano  vestito, 
chiamando  sempre  il  nome  di  Christo,  et  dicendo  che  sotto  questa 
santissima  fede  nella  quale  era  nato  intendeva  voler  morire,  come 
più  chiaramente  appar  nella  istessa  letera  autentica  del  figliuolo  del 
dar.'"»  bailo  di  Costantinopoli  la  quale  in  Roma  sarà  mostrata  per 
il  s.''  abbate  Podocataro  suo  cugino.  Egli  è  nella  torre  del  mar  mag- 
giore, et  è  in  grandissima  stima,  anzi  incomparabile  dagl'  altri  schiavi 
tutti,  cos'i  per  il  grado  eh'  esso  solo  fra  tutti  quelli  tiene  di  colonello, 
come  per  esser  nato  di  famiglia  nobile  et  non  meno  per  il  valore 
dimostrato  in  quella  battaglia  nella  quale  era  principal  nel  comando, 
et  insieme  per  la  costanza  d'animo  che  ha  dimostrato  perseverante- 
mente nella  sua  fede,  il  che  deve  farlo  meritevole  sopra  ognuno 
cosi  appresso  la  S.*  di  N.  S.  et  suo  sacro  colleggio,  come  appresso 
tutti  i  principi  di  Christianità,  poiché  virtuosamente  et  col  proprio 
sangue  se  1'  ha  acquistato,  et  già  gl'altri  schiavi  gli  cedono  il  primo 
posto. 

IV. 

Istruzioni  del  Governo  veneziano  al  suo  ambasciatore 
a  Roma,  4  settembre  i  574. 

[R.  Ardi,  dei  Frari,  Libro  primo  da  Rotita,  Secreto  del  Consiglio  dei  Dieci 
salto  il  ser.mo  D.  Alvise  Mocenigo,  e.  47. 1 

Perché  Rabi  Salomon,  nel  licentiarsi  da  Noi,  ne  ha  confermato 
che  quando  siano  dati  li  schiavi  turcheschi,  che  sono  in  Roma,  et 
particolarmente  quelli  doi,  sopra  quali  scrivete  esservi  stata  fatta 
qualche  difficultà,  a  lui  basta  1'  animo  di  far  liberar  tutti  quei  poveri 
Christiani  che  sono  in  torre  a  Costantinopoli  cosi  miseramente  trat- 
tati in  loco  del  honorato  servitio  che  hanno  prestato  alla  republica 
Christiana;  havemo  voluto  col  consiglio  nostro  di  Dieci  et  Zonta  coni- 


40  €M.  %os{ 


mettervi,  che  debbiate  rinovar  con  Sua  Santità  li  odici  altre  volte 
fatti,  perchè  si  risolvi  in  materia  così  pia,  et  che  ha  da  esser  tanto 
grata  al  S."""  Dio,  et  di  tanta  satisfattione  a  tutti  quelli  che  portano 
il  nome  di  Gesù  Christo,  che  siano  liberati  li  soldati  di  sua  divina 
Maestà  i  quali  hanno  pur  col  petto,  per  quanto  è  stato  in  loro,  de- 
fcso  la  Christianità.  Lassamo  star,  che  tra  questi  meschini  ne  siano  la 
maggior  parte  sudditi  del  Stato  di  S.'"*  Chiesa.  Et  lassamo  ancor  passar 
con  silentio,  che  nelli  schiavi  turchi  ne  havemo  pur  noi  ancora  la  no- 
stra parte.  Ma  non  dovemo  già  tacere  questo,  che  se  non  si  fa  ogni 
opera  per  liberar  questi  tanto  benemeriti  soldati,  non  si  troverà  nel- 
r  avvenir  chi  voglia  più  servir  contra  Turclii,  vedendo  che  sia  te- 
nuto si  poco  conto  di  loro,  che  per  non  liberar  alquanti  pocchi  Tur- 
chi, se  lassano  morir  molti  Christian!  in  servitù;  con  queste  et  altre 
ragioni,  che  la  pietà  Christiana  vi  sumministrerà,  vi  sforzarete  persua- 
der Sua  S.'*  a  non  tardar  più  questa  fruttuosa  et  santa  delibera- 
zione. Non  restando  de  dir  quest'  altra  ragione,  che  si  corre  pericolo 
che  li  suddetti  schiavi  vedendo  di  non  poter  in  alcun  tempo  esser 
liberat",  perchè  li  schiavi  del  Signor  non  se  liberano  mai,  se  non 
con  permuta,  per  disperatione  si  potriano  far  turchi,  il  che  apporte- 
rebbe poi  sommo  dispiacer  alla  S.«à    Sua. 


V. 

«  Polizza  degli  Spagnoli  et  Italiani  presi  in  servitio  di 
<i  Sua  M.*^  Cath."  liberati  et  andati  in  ChristianitA  col  mezzo 
«  e  con  1'  aiuto  del  bailo  della  Ser."""  Signoria  di  Venezia 
((  e  dal  bailo  stesso  inviata  al  doge  il  26  maggio  1575  ». 

[R.  Arci),  dei  Frari,  Senato,  Seci eia.  III,   Lettere  da  Costantinopoli, 
a.   i>75,  busta  8.] 

Il  sj  don  Garsia  de  Toledo  capitano  di  fantaria  et  covezo  delli 
Spagnoli  del  verso  di  Napoli. 

Christoforo  Agiigar  suo  altiere. 

Francesco  suo  creato. 

Il  sig.  D.  Alfonso  de  Fonseca  cavaliero  intertenuto  de  Sua 
Altezza. 

Alonzo  de  Toledo  preso  alle  Gierbe. 

Il  sig.  Andrea  de  Salazar  maestro  di  campo  della  fantaria  spa- 
gnola de  Tunisi. 

L'  alfier  Mugnos  suo  intertenuto. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        41 


Giovanni  Mendoza  alfier  di  cavalli  leggieri  in  Tunesi. 

Sig.  Martin  da  Cugne  capitano  della  fantaria  spagnola. 

Capitano  Gio.  de  Quinteuca  capitano  di  fantaria  spagnola. 

Sig.  Laurenzo  de  Negherà  alfier  de  Moreno  Maldonado. 

Alonzo  de  Salamanga  maggiordomo  dell'  hospitale  della  Goletta. 

Francesco  Casanza  della  compagnia  de  Arsiedo. 

Gio.  Arbisio  creato  del  signor  Pietro  Portacarero. 

Laurenzo  Hernandes  creato  del  sudetto. 

Francesco  Ortis  creato  del  sudetto. 

Diego  de  Oviedo  sergente  maggior  delli  Spagnoli  del  terzo  de 

Figaroa. 

Petro  de  Monterosso  aiutante  del  sudetto  sergente. 

Don   Diego    Brochel  cavalier    di  Malta    preso  con   le  galee  di 

Malta, 

Diego  Ximenes  preso  alle  Glerbe. 

Francesco  Reinera  sbroggiato  presso  alle  Gierbe. 

Francesco  Dias  presso  alle  Gierbe. 

Il  sig.  Giovanni  de  Marigliano  capitano  de  fantaria  italiano. 

Gio.  Stefano  de  Ferrari  suo  alfiere. 

Antonio  Bragnuos  suo  soldato. 

Caserno  da  Milan  suo  soldato. 

Gio.  Antonio  de  Uzegna  suo  soldato, 

Camillo  Poppa  de  Milan  suo  soldato. 

Bartolomeo  Glesis  de  Biensa  suo  soldato. 

lacometto  de  Bezoso  suo  soldato. 

Antonio  Colla  suo  soldato. 

Giuseppe  Cavallo  suo  soldato. 

Capitano  Antonio  Tasso  capitano  de  fantaria  italiano. 

Balarin  da  Milano  suo  soldato. 

Capitano  Cesare  del  Conte  capitano  de  fantaria  italiano. 

Gio.  della  piazza  de  Treccilio  suo  soldato. 

Capitano  Hercule  da  Pisa  capitano  de  fantaria  italiano. 

Bernardino  de  Palazzo  suo  soldato. 

Flaminio  del  Verde  da  Perugia  suo  soldato. 

Horatio  da  Nibale  de  Giorgi  alfier  del  capitano  Paulo  Serbel- 
lone  morto. 

Gio.  Andrea  Colombo  de  Gradisca  suo  soldato. 

Cola  calabrese  suo  soldato. 

Battista  Panar  de  Benivento  suo  soldato. 

Gio.  del  Monte  suo  soldato. 

Franzin  Dalech  luogotenente  della  compagnia  del  sig.  Pagano 
Doria. 


42  ^1-  'J\}^si 


Prospero  Doria  officiale  di  detta  compagnia. 

Giulio  Cesare  de  Giorgi  da  Pavia  gentiihonio  del  sig.  Pagano. 

Porro  del  Borgio  Pelio  in  luogo  del  capitano  Masino. 

Gio.  Domenico  Aniena  do  Carina  luogotenente  del  capitano 
Aloisio  Belviso. 

Gio.  Battista  Artusio  de  Torriccta  alfier  del  sudetto. 

Capitano  Ilario  Trombino  gentiluomo. 

Francesco  Ongaro  gentiluomo. 

Fieramonte  Castiglione  officiale  de  Bovi. 

Cornelio  Petriziolo  officiale  principale  sopra  la  fabrica. 

Vincenzo  Cacenzo  officiale  sopra  l' instrumenti  de  la  fabrica. 

lacomo  Crospuso  genovese  soldato  del  capitano  Hippolito  Doria. 

Matteo  d'Antonio  Calvo  da  Piacenza  soldato  del  capitano  .Vn- 
nibal  Beccaria. 

Antonio  Belette  del  Busachin  da  Trapano  mulatier. 

lacobo  Surboli. 

Michele  da  Trapano  vecchio  stato  schiavo  doi  anni. 

Francesco  Marabotta  de  Trapano  mercante  alla  Goletta. 

Giacomimo  Bolin  de  Navarra  cavalier  de  Malta  presso  alla 
giornata  navale. 

Filippo  de  Sermine  di  Sicilia  stato  schiavo  anni  55  et  tre  anni 
eh'  era  libero  et  non  se  n'  era  potuto  andar. 

Laurenzo  Favo  de  Camerata  de  Sicilia  stato  schiavo  anni  35, 
fu  preso  sopra  Agosta,  et  già  tre  anni  ch'era  libero  et  non  se  n'era 
potuto  andar. 

Antonio  Serranova  trapanese  presso  alle  Gierbe. 

Il  padre  vicario  della  Goletta. 

Fra  Filippo  portughese  della  Goletta  che  andò  a  predicare  a 
Scio. 

Fra  Gio.  della  Goletta  dell'ordine  di  S.'°  Agostino  della  Sicilia, 

Fra  Cicc."  de  Trapano  della  Goletta. 

Fra  lacobo  di  Messina  della  Goletta. 

Fra  Lodovico  della  Goletta  dell'  ordine  di  S.  Francesco. 

Fra  Francesco  Tuscomalo  de  Tunesi. 

Fra  Francesco  de  Pistoia  capuccino  del  sig.  Pagan  Doria. 

Catherina  Ponsa  de  Leon  mogliere  del  Marco  de  Sesna  della 
Goletta. 

Antonia  Diego  moglie  di  Alonzo  de  Aiora  della  Goletta. 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto       45 


VI. 

Lettera  di  Antonio  Tiepolo  bailo  a  Costantinopoli  al 
doge  circa  le  modalità  da  seguirsi  per  il  cambio  dei  pri- 
gionieri a  Ragusa.  Pera,  4  febbraio   1575. 


[R.  Ardi,  dei  Frari,  Capo  del  Consiglio  dei  Dieci,  Le'.tere  di  aiiil'nscialori 
a   Coslaulinopoli,  a.   1571-75,  busta  ^.j 

...  Non  ho  potuto  ottenere  quella  condictione  che  io  voleva  nel 
concambio,  cioè  che  si  obblighi  il  signor  includere  tutti  quei  schiavi, 
che  per  la  loro  qualità  appartenessero  a  lui,  tutto  che  fussero  in 
mano  a  privati,  perchè  è  paruto  ancor  al  Bassa  far  tropo  di  con- 
descendere  a  così  fatto  concambio,  essendo  detto  da  tutti  che  se  egli 
sapeva  fare,  col  Serbellone  solo  haverebbe  ottenuti  li  due  Turchi 
più  principali;  et  certo  che  va  tanto  inanzi  quest'  opinione,  che  io  ho 
ragione  di  dubitare  di  qualche  mutatione  nel  Bassa,  et  però  bisogna, 
che  in  nessun  modo  si  manchi  di  diligentia  nell'  assicurarsi  con 
tutti  i  modi  non  volendo  restar  di  dire,  che  se  il  papa  et  Spagna  si 
resolverà,  che  i  schiavi  turchi  si  conservino  tuttavia  in  galea  a  Ra- 
gusi  per  non  fidarsi  de'  Ragusei,  sia  ottimamente  fatto,  che  si  vegga 
chiaro  questa  essere  sola  opinione  del  papa,  et  de'  ministri  del  re 
di  Spagna,  et  non  già  della  Signoria  di  Venetia,  la  qual  non  ha 
causa  di  diffidarsi  della  promessa  di  questo  signor  et  del  Bassa,  che 
cosi  potrò  io  difendere  questa  diffidentia,  quando  pure  se  ne  volesse 
lamentar  il  Bassa  (i).  Io  ho  pensato  per  maggior  sicurezza,  et  per 
fuggir  il  contender  col  Bassa,  di  dire  a  V.  S.  III.™^  che  non  si  dia 
in  alcun  modo  fede  a  quelle  mie  lettere,  che  io  scrivessi  a  Ra- 
gusi,  se  non  hanno  nel  loro  principio  queste  parole.  Intanto  io  me 
confido,  acciò  che  io  sia  sicuro,  che  quei  Turchi  non  restino  liberi, 
se  questi  di  qua  non  siano  prima  a  Ragusi  dove  si  faccia  il  con- 
cambio, ovvero  siano  già  partiti  di  qua  con  qualche  nave,  et  occor- 
rendo che  io  scriva  senza  il  contrasegno  trovmo  qualche  causa  ap- 
parente di  non  esseguirla,  non  palesando  il  secreto  del  Bassa,  et 
tardino  nondimeno  in  quel  luogo  fino  che  vadino  nuove  mie  lettere. 


(i)  Il  resto  della  lettera  è  fra  parentesi  con  questa  osservazione: 
«  Le  parole  fra  li  [  ]  sono  state  levate  acciocché  non  siano  lette 
«  in  Senato  ». 


44  ^'  Tiosi 


Tanto  è  il  timore  clic  io  ho  dell'  inganno  di  costoro,  che  ancora  non 

mi  pare  di  essere  assicurato  compitamente. 

In  Pera,  4  febbraio   1574. 

Antonio  Tiepolo  cavalier 

bailo. 


VII. 

Lettera  colla  quale  il  commissario  Bartolomeo  Bruti 
annunzia  al  doge  la  partenza  da  Roma  dei  prigionieri 
turchi.  Roma,  dall'osteria  della  Prima  Porta,  12  marzo  157J. 

[R.  Ardi,   dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Coslaiilinopoli,  a.   1575,  busta  8.] 

Ser."'**  Principe,  , 

Essendo  io  partito  da  Roma  oggi  a  i8  hore  in  compagnia  delli 
Turchi  che  erano  preggioni  in  quel  locco  con  ordine  dell'  ili.""'  sig. 
ambasciator  sicome  la  Serenità  Vostra  appieno  intenderà  per  le  let- 
tere di  Sua  Signoria  111.'""  per  inviarmi  la  volta  di  Fermo  di  dove 
non  partirò  senza  altro  ordine  di  Vostra  Serenità,  mando  alla  Sere- 
nità Vostra  la  litera  delli  Turchi  l'atta  al  mag."°  Mehcmet  Bassa  con 
la  sua  traducione,  per  la  qual  fanno  fede  che  sono  stati  liberati,  et 
anco  suplicano  Sua  Maestà  che  quanto  prima  faccia  inviar  gli  schiavi 
di  Costantinopoli.  Non  occorrendomi  altro  alla  Serenità  Vostra  humi- 
lissimamente  mi  raccomando  pregandoli  da  Nostro  Signore  longa 
vitta  et  agumento  di  statto. 

Dall' ostaria  della  Prima  Porta  gli  .xii.  marzo   1575. 

Di  Vostra  Serenità 

Devotiss."  vassallo  et  servitor 

Bartolomeo  Bruti. 


Vili. 

Traduzione  della  lettera  scritta  dai  prigionieri  turchi  al 
Bassa  dall'  osteria  della  Prima  Porta  presso  Roma  per  in- 
formarlo della  loro  partenza  da  questa  città,  12  marzo  1575. 

LR.  Arch.   dei  Frari,   Senato,  HI,  Secreta,   Costantinopoli,  a.   1575,  busta  8.] 

Alla  polvere  delli  piedi  di  V.  Ecc.  quel  che  supplicano  li  suoi 
schiavi  è  questo:  che  alli  25  della  luna  passata  dalla  eccelsa  Porta 
è  venuta  da  parte  del  bailo  Bartolomeo  Bruti  aricordandoci  per  mezo 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto        4; 


di  Sun  Ecc.''  della  gratia  fataci  dai  Gran  Signor  di  riscattare  per 
coniniutazione  del  General  de  Tunesi  clie  è  pregione  là,  et  insieme 
con  quelli  clie  erano  prigioni  nella  torre  nuova  del  Mar  Nero,  noi  3  5 
che  eravamo  qui  pregioni  della  lega.  Eccellentia  Sua,  questa  buona 
nuova  quasi  à  data  la  vita  alli  nostri  corpi  morti,  per  la  perpetuità 
della  grandezza  del  nostro  imperatore,  et  per  la  longa  vita  et  sanità 
di  Vostra  Eccellenza  al  tribunal  della  Divina  Maestà  stanno  sempre 
pregandola  et  rengratiandola. 

Quel  huomo  del  balio  mandato  a  questo  negotio  secondo  l'or- 
dine di  V.  Ecc.  à  fatto  che  noi  55  nel  principio  di  questa  luna  siamo 
partiti  da  Roma  et  giunti  a  un  luogo  clie  si  chiama  Prima  Porta, 
di  là  ad  Ancona,  et  di  Ancona  piacendo  a  Dio  dicono  che  anda- 
remmo  a  Aragugia;  però  pregamo  S.Ecc.  che  secondo  la  sua  pro- 
messa mandi  quelli  pregioni  verso  Aragugia,  acciocché  quanto  prima 
possiamo  gitarsi  alla  polvere  delli  piedi  di  V.  Ecc.  I  nomi  dei  nostri 
sono  scritti  in  una  altra  carta,  delli  quali  nessuno  manca. 

Umiliss."^'  schiavi 

Mahamet  figliolo  di  Sali. 

Hacmet  figliolo  di  Gucrem, 

Ali  Misculman. 


IX. 

Art  (domanda)  presentato  al  sultano  dal  bailo  e  dai 
trentanove  prigionieri  cristiani  della  torre  di  Castelnuovo  per 
la  liberazione  di  questi.  Costantinopoli,  29  maggio  1575. 

[R.  Ardi,  dei  Frari,  Senato,  III,  Secreta,  Lellere  da   Costantinopoli,  a.  1575,  busta  8.]] 

Altissimo,  Potentissimo,  Invittissimo  et  Felicissimo  Imperatore. 

Atteso  che  li  schiavi  musulmani  della  Lega,  che  erano  in  Roma, 
quali  si  deono  cambiare  con  li  schiavi  christiani,  che  sono  nella 
torre  del  Mar  Negro,  secondo  il  patto  fatto  son  già  incaminati  verso 
Ragusi,  io  Antonio  Tiepolo  cavalier  balio  alla  Vostra  Eccelsa  Porta 
della  Ser."^'  Signoria  di  Venetia  vostra  buona  et  perfetta  amica  prego 
la  Imperiai  Maestà  Vostra  voglia  ella  anchora  inviare  questi  Chri- 
stiani verso  Ragusi,  contentandomi  io  che  vadino  in  compagnia  di 
suo  chiaus,  acciochè  esso  cambio,  che  è  cosa  tanto  pia,  segui 
quanto  prima.  Per  li  quali  schiavi  christiani  io  balio  sopradetto 
resto  piezo  che  non  fuggiranno.  Et  perchè  li  schiavi  musulmani 
della  Lega  sono  53  et  li  Christiani  della  torre  39,    io  balio    sopra- 


4^  c^/.  %osi 


detto  mi  obligo  a  supplir  a  dotto  numero  in  Ragusi  de  altri  tanti 
Musulmani  tanto  che  il  numero  de  schiavi  d'  una  parte  et  1'  altra 
sia  uguale. 

Li  schiavi  musulmani  della  Lega  sopradetti  sono  gì'  infrascritti 
Mchemet  Bey  figliuolo  di  Sali  Bascià.     Hacmat  Bey.     Musulman  Ali. 

Il  resto  delli  nomi  di  detti  schiavi  fino  al  numero  di  trentatre 
sono  descritti  alla  lista,  che  è  in  m:ino  del  sig.  Mehemet  Bascià, 
primo  Visir,  sottoscritta  di  mano  dclli  tre  sopra  detti  et  sigilata  col 
sigillo  di  Mehemet  Bei  sopradetto. 

Li  schiavi  christiani  della  detta  torre  sono  gì'  infrascritti: 

Gabrio  de'  Cerbelloni.  Lodovico  Birago.  Manoli  Mormoni. 
Tomaso  Constanzo.  Giorgio  Chelnii.  Alvise  Pisani.  Antonio 
d'Ascoli.  Ercole  Malatesta.  Paolo  Del  Guasto.  Murgante  Man- 
dola. Bastiano  di  Pastrale  d'.\scoli.  Tiberio  Ceruto  Mantovano. 
Carlo Naldi  Padovano.  Pietro  .'\ntonio  Margarucci.  Giorgio  Tosclii 
.\lbanese.  Giovanni  di  Capo  d'  Istria.  Cintio  da  Terni.  Mario 
Rigo  da  Fabriano.  Gian  Antonio  Piacenso  da  Crema.  Ulisse  dal 
Sol  da  Crema.  Federigo  Durante  da  Santo  Agnolo.  Giovanni  Maria 
Rossano.  Giovanni  Battiste  dal  Aquila.  Giovanni  Maria  Carnati 
Veronese.  Angelo  da  Lago  da  Treviso.  Horatio  Federini.  Meo 
Cassini  da  Viterbo.  Anibal  Solza  da  Bergamo.  Rinaldo  da  Fer- 
rara. Giacomo  de  Grassi  da  Modena.  Pietro  Bertolacci.  Galgano 
(ialgani.  Paolo  Cuci.  Tarolfo  .Monte  Marte.  Angelo  Gato.  Paolo 
Mei.  Beraldo  di  Ugon.  Lorenzo  Seregna.  Giacomo  da  Capo 
d' Istria. 


X. 

Lettera  del  sultano  ai  signori  Ragusei  per  il  cambio 
dei  prigionieri,  mandata  tradotta  dal  bailo  al  doge  il 
4  giugno   1575. 

l^R.  Ardi,   dei  Frari,   Senato,  III,  Secreta,  Lettere  da   Costantinopoli,  a.  1575,   busta  8.] 

Alli  Sig.'"'  Ragusei 

Dopo  che  haverete  ricevuto  questo  imperatorio  eccelso  segno 
vi  sia  noto,  come  innanti  d'  adesso  havendo  mandato  Mehemet  Bei 
che  mentre  era  sanzacco  di  Negropontc  fu  fatto  schiavo  da  Cliri- 
stiani  et  il  sig.  sanzacco  di  Cavachisar  Harcmatbei,  et  altri  alla  mia 
Ecc.*  Porta  la  lista  di  trentatre  schiavi,  che  erano  in  Roma  della 
Lcgha  di  Spagna  et  Venetiani,  et  havendoci  pregato  per  la  lor  libe- 


La  liberazione  dei  Turchi  presi  a  Lepanto       47 


raiione  :  et  ancliora  liavendoci  fatto  intendere  il  balio  Je  Venetiani 
di  cambiar  li  sopradetti  con  li  schiavi  christiani  che  sono  nello  ca- 
stello dello  Stretto  ;  et  siando  che  inanti  de  adesso,  quando  fu  fatto 
art  di  questo  negotio  alla  mia  Felice  Porta,  il  mio  alto  comanda- 
mento fu  in  questo  modo:  che  con  li  50  schiavi  musulmani  sopra- 
detti si  scambiassero  li  schiavi  che  erano  prigioni  nel  Castel  novo. 
Et  da  poi  che  questi  saranno  mandati  di  qua,  et  che  quelli  saranno 
giunti,  quelli  che  sono  mandati  di  qua,  siano  consegnati.  H  doppo  il 
nostro  alto  comandamento  fu:  che  per  quelli  che  moriranno  in  questo 
mezzo  il  patto  non  sia  guasto,  e  non  sia  causa  né  lite.  Cosi  siando, 
secondo  il  nostro  eccelso  comandamento,  39  schiavi,  che  erano  pri- 
gione in  detto  castello,  si  sono  mandati  con  l'onorato  fra  i  suoi  si- 
mili Mustafà  uno  delli  ciasci  della  mia  Eccelsa  Porta,  che  sempre 
sia  in  maggior  grado.  Comando  doppo  che  sarà  giunto  da  voi,  che 
s'  anchora  li  schiavi  mussulmani  non  saranno  giunti,  che  salvando  li 
sopradetti  in  luogo  a  proposito,  quando  saranno  venuti  li  schiavi 
musulmani  da  quelle  bande  si  domanderà  se  tutti  li  schiavi  della 
mandata  lista,  che  erano  in  potere  della  Lega  di  Spagna  et  Venetia 
si  sono  liberati,  et  inoltra  di  questi  il  figliolo  di  Caramachmuto,  et 
di  più  5  altri  schiavi  musulmani  che  in  tutto  siano  liberati  39  schiavi. 
Et  doppo  che  saran  venuti  in  compagnia  del  sopradetto  mio 
chiausse,  li  manderete  et  li  mandate  da  questa  banda,  a  quelli  con- 
segnando li  manderete  {sic),  et  fino  a  tanto  che  li  schiavi  della  man- 
data lista,  et  inoltre  il  figliolo  di  Caramachmut  con  cinque  altri 
schiavi,  che  in  tutto  saranno  39  schiavi  musulmani,  quelli  che  di 
qua  si  mandano  non  li  lasserete  andare.  Cosi  vi  sia  noto,  allo  ec- 
celso segno  crederete. 

Dato  in  Costantinopoli  1'  anno  983  in  nelli  ultimi  della  luna. 


ITER    I TA LI C  U  M 


DI    A.    VON    BUCHELL 


Contiiuiaz.  vedi  voi.  XXIII,  p.  5 


XVI.  Olim,  tempore  Plinii,  Roma  .xxxiv.  portas  habuit,  nunc 
vero  minor  .xx.  tantum  habet,  quarum  nomina  et  authores  vide  apud 
Solinum,  Victorem  et  Neotericum,  Onuphrium,  Marlianum,  Blon- 
dum,  Fabritium,  Albertum  Leandrum,  Martinum  Polonum. 

Muros  habet  et  turres  ex  cocto  lapide,  fossas  aut  aggeres  nullos, 
nisi  forte  in  Leonina  urbe.  Turres  nunc  habet  .ccclx.  et  tempore 
Martini  Poloni,  qui  dicit  circuita  esse  22  millia,  praeter  Transtybe- 
rinara  regionem  et  Leoninam  ;  vide  etiam  Itinerur.  Beniainin.  fol.  20  (i). 

De  antiquitatibus  romanis  scripsere:  Benedictus  Aegius,  Andreas 
Fulvius,  Mapheus  Vegius,  M.  Fabius  Calvus,  Pyrrhus  Ligorius,  la- 
cobus  Boisartus  (2). 

XVII.  Amphiteatrorum  quoque  tum  oculis  meis  occurrebant 
pergratum  spectaculum.  Quis  nam  Titi  molem  non  mirabitur,  a  tam 
longo  aevo,  et  post  varias  urbis  vastationes  exstantem,  quam 

Non  tameii  aniiorum  series,  non  fiamma,  nec  ensis 

abolere  potuit?  cuius  formam  et  descriptionem  vide  amplam  apud 
Lipsium  (3)  Vocatur  hodie  CoUiseum,  quia  colossus,  cum  capite  Ne- 
ronis  in  vicinia,  ut  Dion  autor  est.  Scribit  quoque  Tranquillus,  Ve- 
spasianum  colossi  refectorem  magna  mercede  donasse.  Graeci  vocant 
Sjj'aTpo-'  y.uvT,-|£T'.x.òv,  id  est  theatrum   venatorium,  ab  eius  usu.  Vespa- 


(1)  Cf.  Benjamin  de    TuJela's  Reisen,  ed.  Asher,    l8^o. 

(2)  Vedi  Canina,  Indie.  ìopogr.  di  Roma  aulica,  Prefaz.  p.   5  sg. 

(3)  lusTUS  Lii'Sius,  De  amphithecilro  in  Grevio,    Thesniir.   IX,  1292,  capp.  xi-xv. 

A.rchivio  della  R.  Società  ramava  di  stcria  patria.  Voi.  XXIV.        4 


50  0^4.  'Bucìiellius 


sianus,  Suetonio  teste,  fecit  in  urbe  media  ubi  destinasse  compercrat 
Augustum,  non  perfecit,  sed  Titus  filius,  qui  et  dedicavit,  ingentibus 
edificis  niuneribus,  ut  meniinere  Xiphilinus  et  Suetonius. 
De  lioc  niirabundus  Martialis  canit: 

Barbara  pvramiduni  sileant  miraciila  Mempliis, 

Assidims  iactet  nec  Babilona  labor  &c. 
Omnis  Caesareo  cedat  labor  ampliytcatro, 

Unum  prò  cunctis  fama  loquatur  opus. 

Est  liodie  informi  forma,  cum  practer  Gotliorum  aliorumque 
Barbarorum  iniurias,  tempore  Leonis  X,  m.igna  pars  sit  demolita,  ad 
vicecancellariatum  extruendum,  et  liic  Sixtus  V  dicitur  quoque  hinc 
voluisse  sumere  lapides  ad  structuram  templi  Vaticani,  sed  a  Romanis, 
antiquitatis  suae  monumenta  conservari  cupientibus,  impeditus,  abs- 
tinuit  (i). 

Est  et  aliud  amphvteatrum,  quod  Castrense  vocant,  sed  non  eius 
magnitudinis  aut  pulchritudinis,  qua  prius,  maiori  ex  parte  ruinis 
consumptum  id  conspicitur,  intra  portam  Naeviam  et  Coelimontanam, 
moenibus  contiguuni,  cui  inaedìficatum  templum  Sanctae  Crucis  in 
Hierusaleni,  autor  eius  incertus  quamvis  Lipsius  putet  Tiberium,  qui 
castra  non  procul  construxerat.  Theatri  tantum  unius  exstant  rei- 
liquìae,  ubi  hodie  palatium  clarissimae  gentis  Sabellae,  ab  Augusto 
quondam  in  lionorem  Marcelli,  ut  author  Suetonius,  conditum,  ìuxta 
quod  crat  porticus  Octaviae.  De  huius  dedicatione  videndus  Plinius, 
qui  et  huic  impositam  pietatis  aedem  narrat,  ac  cum  eo  Suetonius, 
restauratum  per  Vespasianum  indicans.  Est  vero  in  monte  Aventino, 
plurimisque  gradibus  ascenditur,  ad  portam  hoc  legitur  distichum: 

Amphiteatra  prius,  mox  propugnacula,  rursus 
Diruta  restituit  clara  Sabella  domus. 

Statuas  hic  antiquas,  undique  collectas,  quam  plurimas  vidi.  Scul- 
pturae  autem  usus  Romae  incoepit  post  Syracusas  a  Marcello  captas. 
Sunt  hae  ut  sequitur:  duodecim  Caesarum  marmorea,  item  deorum 
simulachra  ex  marmore  candidissimo:  Bacclii,  Apollinis,  Mercuri!, 
Martis,  Herculis  cum  Caco  pugnantis,  Veneris,  Cereris,  Pomonae  ; 
hominum  vero:  Hadriani  imperatoris,  Cleopatrae  morientis,  statua 
etiam  piane  faeminea.  sed  vestes  elevans  virilia  ostendit,  Hcrmaphroditi 
arbitrantur;  porphyret'ca  virilis  togata,  cuius  effigies  et  manus  pe- 
desque  ex  candido  marmore  restaurati,  cum  altera  nonduni  restau- 
rata, manibus,  pedibus,  capite  mutilata,  et  videbantur  fuisse  senatorum 

(l)  Cf.  Lanciani,  Notizie  inejilt  sulV anf.  Flavio  \n  Rtiidiconli  Accad.  Lineò,  voi.  V, 
fase.  1,  19  gennaio  1896. 


Iter  Itali  e  II  in  5  i 


romanoruni,  pleiaeque  nani  Graecorum  statuae  nudae.  Lapis  porphy- 
reticus,  Clini  sit  durissiniiis,  eiiis  usus  sculpendi  vel  piene  vel  penitus 
interiit.  Spectabantur  et  ibidem  tumbae  marmoreae,  suis  simulacris 
ruditcr  ornatae,  quaedam  etiam  elegantiores.  Harum  statuarum  plu- 
rinias  aeneis  typis  excusas  vidi,  quemadniodum  et  ipsum  Marcelli 
theatrum  (i). 

Prope  hoc  theatrum  olim  career  Tullianum  fuit,  de  quo  Livius  a 
Tullio  pars  in  publico  carcere  facta,  vide  Feslum  in' Tulliano  (2). 

In  Aventino  fuit  olim  aedis  lunonis  reginae,  in  qua  duo  signa 
Deae  cupressea,  de  quibus  quaedam  Livius.  Habeo  et  ego  numisma 
argenteum  Faustinae  ubi  haec  inscriptio:  Il'NONI  reginae  (3). 

Fuit  et  aedes  Minervae  Aventinae,  Livii  Andronici  donariis  Ce- 
lebris, cuius  et  meminit  Ovidius: 

Coepit  Aventina  Palìas  in  arce  coli. 

Libertati  aedem  in  Aventino  T.  Gracchi  pater  ex  multatia  pe- 
cunia faciendam  curavit,  dedicavitque,  in  qua  Gracchus  simulachrum 
festivitatis  militum  Beneventi  post  victoriam  centra  Poenos  Brutios- 
que  intrantum  depingi  iussit. 

Hodie  adhuc  in  usu  mos  antiquus  cuius  olim  meminit  Martialis 
commutandi  vitra  confracta  prò  sulphure,  lib.  I,  epigr.  98  (4). 

«  Romam  in  montibus  positam,  et  convallibus  coenaculi  subla- 
«  tam  atque  suspensam  non  optimis  viis,  angustissimis  semitis  »,  scribit 
Cicero. 

XX.     Pontem    lanuensem    transivi,    nunc    Sixtum,  ubi   haec  in 
marmore  inscriptio: 
Xystus  ]II1  Pont.  Max.  ad  utilitatem  populi  Romani  perogrinaeque  muhitudinis  ad 

iubilaeum  venturae,  ponleni  liuiic  quem  merito  ruplum  vocant,  a  fiindamentis 

magna  cura  et  impensa  restituit;  Xystumque  suo  de  nomine  appellali  voluit. 

Ab  altero  pontis  latere  hoc  legebatur: 

McccLxxv.  Qui  transis  Xysti  quarti    bencfìtio    Deum  roga  ut  Pont.  Opt.  Max.  diu 
servet  incolumem. 

Caetera  coeno  obducta  legere  non  potui  (5). 

(i)  Sulla  raccolta  antiquaria  del  palazzo  Savelli  al  teatro  di  Marcello  cf.  coJ. 
Barb.  XXX,  89,  e.  S3tB;  Giovanni  Colonna  in  cod.  Vat.  7721,  ce.  9-11B;  cod.  Berlin, 
ce.  48,   319  b;  Hondio,  p.  21;  Piranesi,   Vasi,  tav.  7  &c. 

(z'i  L'  ipogeo  del  tempio  della  Pietà  (?)  nel  foro  olitorio,  trasformato  in  prigione 
nel  periodo  bizantino.  Vedi  Cancellieri,  Nolì{ie  del  carcere  Tulliano,  cap.  II;  Gregoro- 
viLS,   Storia,  ed.   it.   IV,  424. 

(5)  Cohen,  Monn.  imp.  I,   507. 

(4)  Allusione   agli   Ebrei  girovaghi,   vulgo  robivecchi. 

(5)  Queste  iscrizioni  isioriclie  stanno  ora  abbandonate  nel  museo  Municipale  al 
Celio,  tutti  gli  sforzi  fatti  dal  Comune  perchè  fossero  nuovamente  collocate  nel  luogo 
loro  essendo  riusciti  vani. 


52  (Vi.  "Biichellius 


luxta  hunc  pontem  pontifex  Sixtus  V  insigne  xenodochium  prò 
mendicis  debilibus  et  invalidis  fecit,  ac  .xv.  coronarum  millibus  per- 
petuo censii  dotavit.  Aedes  vero  tam  sunt  spatiosae  ut  bis  mille  lio- 
mines  commodc  capiant  (i). 

XXI.  In  Aventino,  nomen  habente  ab  Aventino  Latinorum  rege 
ibidem  sepulto,  tempia  aliqua  vidi  antiqua,  ruinisque  proxima,  ubi 
et  aedificium  turris  instar  rotundum,  quod  Solis  fuisse  volunt.  Aure- 
lianus  Soli  templum  fecit,  ut  testes  Vopiscus  et  Eutropius,  sed  non 
ausim  de  hoc  affirmare.  Sunt  et  hic  antiquae  aedes  in  christianum 
usum  translatae,  S.  Alexii  olim  Herculis  victoris,  non  procul  a  porta 
Trigemina,  quam  olim  mulieres  ingredi  non  poterant,  quem  morem 
Romani  etiamnum  in  plurimis  observant.  Vide  Georgii  Fabritii  Ro- 
iiiatii.  Fuit  et  alia  eiusdem  aedis  nunc  S.  Priscae,  S.  Sabinae  olim 
Dianae  Auentinae,  S.  Mariae  Aventinae  olim  Bonae  Deae. 

Non  procul  hinc  oppidum  ludaeorum;  hos  nam  Pius  V  muro 
et  portis  a  reliqua  urbe  claùsit,  eorum  numerus  milliarium  supcrat; 
vestes  et  supellectilem  semitritas  vendunt;  immobilia  nulla  possident. 
Habcnt  suas  nundinas  in  foro  Agonali  (2). 

Hinc  per  forum  ludeorum  ad  piscarium  pervenimus,  ubi  ichtio- 
polae  plerique  habitant,  ubi  templum  D.  Angeli  in  pescarla  vulgo 
olim  Mercurio  attributum,  a  Severo  vel  conditum  vel  instauratum, 
ut  habet  vestibuli  marmorei  inscriptio.  Est  adhuc  cum  porticu  satis 
integrum.  Tum  per  viam  satis  longam  ad  forum  vel  campum  Florae, 
in  quo  heretici  comburuntur,  et  famuli  conductores  dominos  quae- 
runt,  olim  maior,  nunc  domibus  hinc  inde  occupatur,  et  pars  forum 
ducale  dicitur,  la  piace  del  duce,  in  quo  duo  vasa  marmorea 
colore  serpentino,  ex  balneorum  usu  translata.  Aedes  hic  habet  am- 
plissimas  necdum  tamen  perfectas  Alexander  Farnesius  cardinalis  et 
vicecancellarius,  ex  lapide  tyburtino  et  marmore  summae  pulcritu- 
dinis,  et  sumptubus  immensis,  sunt  quadratae  formae,  ut  typis  excusae 
habentur  (5),  magno  antiquitatis  thesauro  refertae;  ibi  nam  quicquid 
antiquitatis  Paulus  III  collegerat  conservatur.  Sunt  in  porticu  inferiore 
Hercules  duo.  ex  Graecorum  officina,  eximiae  artis,  autore  Glycone 
Atheniensi,  quod  nomen  davo  insculptum  legitur  (4).  SuntCommodi 
marmorei  duo  nudi,  unus  puerum  a  se  occisum  manibus  tenens, 
alter  pugiotieni.  Et  Dea  florum.  Reliquae  statuae  non  omnibus  patent, 
inter  quas  historia  sive  fabula  Dirces  tauro  alligatac,  a  fiiiis  Antiopcs 


(1)  L'ospizio  poi  detto  dei   «Cento   Preti».  Vedi    Huebner,    Sixte-Quinl,   II,   159. 

(2)  Vedi   BiRLiNi.R,   Gesch.  der  Juden  in  Rotti,   li,    16. 

(3)  Prima  stampa  di  Ant.   Salamanca,  riprodotta  da  Ant.  Lafreri  nel  1549,  da  Cario 
Los!  nel   1773  &c. 

(4)  Vedi  la  stampa  di  Ant.  Lafreri  del   1560  riprodotta  da  Paolo  Oraziani  nel  1602. 


Iter  Itali  e  imi  J3 


Zctho  et  Amphioiie,  cuius  in  hacc  verba  meminit  Plinius:  «  Zetiis 
«et  Amphion  et  Dirce  et  taurus  viiiculuni;  que  ex  eodem  lapide  a 
«  Rhodo  advecta,  opera  Apollonii  et  Taurisci  ».  Fasti  quoque  Capi- 
tolini ab  Alexandre  Farnesio  e  foro  eruti,  de  quibus  epigramma  non 
indoctum  Flaminii  vidi  et  hic  bases  marmorcas  graecis  latinis- 
que  epigrammatis  titulisque  notatas,  ex  quibus  haec  notavi  (i): 

Paci  aeternae  |  Domus  |  Imp.  Vespasiani  ]  Caesaris  Aug.  |  Liberorumq.  eiiis. 

Victoriae  |  Imp.  Caes.  Vespasiani  |  Augusti  |  Sacrum  [  Trib.  sue.  corp.  luliani  |  C. 

lulius  Hermes  mcnsor  |  Ris  Hon.  ineurat  functus  et  nomine  ;  C.   iulii    Regilli 

fil.  de  suo  fecit  j  Cui    pop.  eius  corporis  immuniiatem  i  sex  centuriarum  de- 

ci'evit. 

Fortunae  reduci  |  Domus  Augustae  I  Sacrum  ;  Trib.  sue.  corp.  foederat  &c.  (2). 

Eodem  in  loco  est  archicancellariatus  cum  aede  D.  Laurentii 
in  Damaso,  quae  iani  restauratur  a  Farnesio,  ubi  et  forum  omnis 
generis  fructuum  refertum,  ubi  ad  domum  angularem  haec  legitur 
de  viis  ampliatis  inscriptio  : 

Alexander  ^'I  Pont.  Max.   post  restitutam  Hadriani  molem  lias  vias  latiores  fecit. 
Anno  .MCcccLxxxxvii. 

Hinc  ad  forum  Agonale  perveni  amplum  formamque  circorum  egregie 
exprimit;  habet  duos  fontes  marmoreis  ornamentis  lympidissimos 
et  templum  D.  lacobi  cum  hospitali  Hispanorum.  Hi  fontes  restau- 
rati anno  iv.  pontificatus  Pii  IV,  anno  vero  Christi  .mdlxiii.  de- 
ducta  in  Urbem  aqua  Salonica  quam  quidam  Alsietinam  alii  Appiani 
credunt,  ut  Ferrutii  additiones  ad  Marlianum,  lib.  IV,  22  (3). 

XXII.  E  Campo  Florae  ad  pontem  Aelium  festinans,  plateam 
luliam  (4)  transiendo  perlustravi,  ubi  ad  pontem  Xystum  xenodochium 
fieri  curat  Sixtus  V,  ubi  pauperes  omnis  generis  alantur,  et  certis 
operibus  exerceantur  prò  membrorum  et  valetudinis  qualitate,  nemini 
nam  mendicare  licet.  Est  et  collegium  et  templum  Anglorum.  Item 
career  Sabellianum,  cuius  meminit  Boisartus  hoc  versu  : 
Et  quotquot  duri  vinxit  domus  alta  Savelli  (5); 

templum  archiconfraternitatis  Mortis,  plurima  etiam  alia  aedificia  et 
tempia;  et  non    procul    a    ponte    Triumphali,    fundamcnta    ingentis 

(i)  Sull'antiquario  Farnesiano,  vedi  specialmente  Fiorelli, -Docttw. /-fr  ìa  storia  dei 
musei  &c.  II,  377;  III,  81,   1S8;  Bull    ardi.  com.  a.    1S99,  p.  6  sg.  &c. 

(2)  C.  /.  L.  VI.  nn.  200,  198,  196.  Queste  tre  ed  una  quarta  base  (n.  197)  furono 
trovate  l'anno  1549  presso  1'  arco  di  Severo.  L'edizione  principe,  non  ricordata  dal  Corpus, 
è  quella  di  Ant.  Lafreri  nella  tavola  del  Marforio  del  1560. 

(j)  Vedi  Giovanni  Beltrami,  Leonardo    Bufaliui,  Firenze,   1880,  p    36  sgg.;  L\N 
CIANI,  /  Coniìnmentarii  di  Frontino,  p     129. 

(4)  La  strada  Giulia. 

(5)  La  via  di  Monserrato  portava  allora  il  nome  di  «  via  Curiae  de  Sabellis  ». 


54  C/^-  ^ucìicllius 


.ledificii,  in  quo  ex  lulio  papa  omncs  notarios  urbis  Romac  inclu- 
Jere  destinasse  videtur,  sed  morte  inipeditum  opus.  Huic  vici- 
num  palatium  a  Cosmo  Mediceo  exaedificatum,  ubi  pictura  Io.  Me- 
dices  gesta  militaria  referens,  addito  lioc  elogio: 

Militiiie  parcns,  qui  prò  libertate  et  gloria  Italiae  adversus  Gcrmanos,  aiiimum 
cftlavit  (i>. 

Tuni  ad  pontcm  .\nglicum  perveniens,  locum  vidi  supplitiis  dcsti- 
natum,  et  ab  utroque  latere  statuas  marnioreas  divorum  Petri  et  Pauli 
inscriptas  hoc  elogio: 

Hinc  liumilibus  venia  Clemens  VII  Pont.  Max.  anno  .mdxxxiiii.  F'ontif.  .x.  Divis 
Petro  et  Paulo  Urbis  patronis. 

Utrelligio  loci  conservaretur  duobus  sacellis  vi  bellica  et  fluminis  dirutis  sta- 
tuas P.  C.  (2). 

Inde  per  plateam,  Banco  vocant,  ubi  notarii  et  coUibistac  seu 
nunimularii  habitaiit.  Hic  occurrit  teinplum  luliani  et  Gelsi,  sequitur 
Parione,  ubi  publicorum  instrumentorum  scriptorum  et  notarii  plu- 
rimi habitant.  Hinc  locus  quem  vocant  Montcm  lordani,  a  nobilissima 
Ursinorum  familia,  quorum  et  ibi  palatium  ubi  Paulus  lordanus  iani- 
pridem  mortuus  Patavii,  dicitur  habitasse.  Habet  hic  aedes  suas  car- 
dinal loiosius  Gallus,  apud  quem  est  Leoncucetius  cardinal  Gallus  (5). 
Hic  olini  fuit  villa  publica.  Post  haec  phrygionum  qui  acu  pingunt 
officinae  et  tempia  varia,  inter  quae:  ApoUinii  Germanorum,  ubi  et 
habent  suum  coUegium,  et  templuni  cum  coenobio  (4)  Augustini, 
ubi  sepulcrutn    Monicae,  matris    ut  fertur  divi  Augustini,  cum    hoc 

cpitaphio  : 

Hic  .\ugustini  Santam  venerare  parentem 

Votaque  ter  tumulo  quo  iacet  ilia  sacro 

Quae  quondam  gnato  loti  nunc  Monyca  mundo 

Succurit  precibus  prestar  opemque  suis. 

Ibidem  nigro  in  marmore  aureis  literis  est  coenotaphium  Onu- 
phrii  Panvinii,  viri  in  otnni  antiquitate  doctissimi,  cum  effigie.  In- 
scriptio  est  in  libris  meis  Epilaphionim. 

Est  et  hic  Guillielmi  Durandi  I.  C.  sepulcrum  cum  epitaphio  (5). 

(i)  Il  palazzo  dei  Medici  nel  rione  di  Ponte,  gii  appartenente  ai  De  Rossi,  fu  preso 
in  affitto  dal  cardinale  Innocenzo  c'è!  Monte  del   is6;. 

(2)  Vedi  Valentino  Leonardi  ntW'Arle,  anno  II,   1900,  p.  261. 

(3)  Gli  «  oratori  >  di  Francia  presero  sovente  in  affitto  il  palazzo  di  Monte  Gior- 
dano. Vi  abitò  il  cardinale  Claude  de  Guiche  nel  i;42.  Della  residenza  del  cardinale  di 
Joyeuse  non  ho  alirimenti  notizia. 

(4)  S.  Apollinare,  donato  da  Giulio  III  a  sant'  Ignazio  da  Loyola,  che  vi  fondò  il 
collegio  Germanico.  Il  collegio  passò  nel  1570  nelle  dipendenze  del  palazzo  Colonna, 
dove  prima  abitava  l'oratore  dì  Spagna. 

($)  Vedi  Forcella,  op.  cit.   V,  59,  n.   170. 


Iter  Italici: in  ^y 


Ad  dextrum  flectenles  latus  est  templum  D.  Mariae  Animarum 
cum  hospital!  Teutonicorum.  In  choro  sunt  sepulcra  Adriani  VI  Ul- 
traiectensis,  pontificis  maximi,  ex  marmore,  cum  simulacro  ut  typis 
excusum  habeo,  quod  Encofortius  Derthoniensis  episcopus  et  car- 
dinalis  unicus  ab  eo  creatus  Belga,  gratitudinis  ergo  fieri  curavit,  hoc 
addito  Pliniano  elogio:  «  Heu  quantum  refert  in  quae  tempora  virtus 
«  cuiusque  indicata.  Huc  ex  D.  Petro  translatum  corpus.  Obiit  vix 
.II.  pontificatus  annum  ingressus.  Cardinalis  vero  Guillielmus  Enco- 
fortius, qui  et  episcopus  Ultraiectensis  post  Henricum  Bavarum  .lix. 
sepulcrum  ad  dextrum  arac  summae  sibi  posuit  Adriani  oppositum. 
Est  totum  quoque  marmoreum  sepulchrum  Caroli,  ducis  Guillielmi 
Clivensis  filii,  qui  summo  Gregorii  XIII  et  multorum  Romanorum 
dolore  obiit  Romae.  De  cuius  peregrinatione,  morbo  et  obitu  amplus 
Ste.  Vinand.  Pighius.  Curam  hospitalis  huius  habent  sacerdotes 
Belgae,  qui  et  sacra  celebrant,  licitumque  Germanis  quorum  iam 
pecunia  deficit  triduum  munere,  vino,  pane,  et  lecto  gaudere.  A  quo 
conditum  ignoro,  quamvis  multa  Hadrianum  nostrum  addidisse  con- 
stet,  Germanum  tamen  conditorem  facile  agnovi,  ex  teutonicis  rith- 
mis  supra  portam  lapidi  incisis  (i). 

Contiguum  est  templum  pulcherrimum,  multis  marmoreis  se- 
pulcris  ornatissimum,  a  Xvslo  IIII  pontifice  D.  Virgini  eiusque  paci 
dicatum. 

Tum  templum  D.  Ludovici  Francorum  pulcherrimum,  vicinum- 
que  palatium  legati  Francici,  ubi  ut  passim  varia  epitaphia  quae  apud 
Schraderum  extant. 

Non  procul  hinc  statua  mutilata  naso  auribusque,  nescio  an 
Martis  olim  aut  Romuli,  certe  est  armata,  nunc  Pasquinum  vocant: 
huicque  solent  probrosa  carmina  famosique  libelli  affigi,  qui  hinc 
pasquilli  vulgo  dicuntur.  Hieronimus  Ferrutius  in  supplemento  ad 
Marlianum  dicit,  quosdam  credere  gladiatoris  aut  militis  cuiusdam 
esse  simulacrum  ferire  volentis,  eo  nam  gestu  spectatur,  et  ex  mar- 
moreo fragmento  cui  incumbit,  constat  cum  alio  dimicasse.  Non- 
nuUos  vero  credere,  idem  putat,  esse  simulacrum  unius  ex  ducibus 
Alexandri  Magni,  nomine  etiam  Pasquini  ;  in  tantum  quidam  se  tor- 
quent  in  nugis  ne  quidquam  ignorasse  videantur.  Videtur  vero  ut 
idem  testatur  cum  aedibus  ipsis  hoc  loco  erecta,  ducentibus  ab  hinc 
annis,  quando  Franciscus  Ursinus  Urbis  praefectus,  ut  ex  epigram- 
mate  in  ostii  supercilio  legitur,  has  aedes  fieri  curavit.  Refert  lovius, 


(i)  Sui  sepolcri  di  Adriano  VI,  del  cardinale  Enckenvoort,  e  di  Guglielmo  duca  di 
Cleves  vedi  Forcella,  op.  cit.  Ili,  451,  n.  1051;  p.  447,  n.  1078,  e  p.  466,  n.  1152 
Il  duca  di  Cleves  aveva  abitato  il  palazzo  dei  Cibo  in  piazza  di  S.  Pietro. 


5(3  QA.  "Buchellius 


quod  cum  Adrianum  VI  pontificem  varii  versus  lascivi  huic  affixi 
lacerarent,  illud  voluisse  in  Tyberim  deiicere  (i).  Inde  ad  scolas 
Romanas,  Sapientiam  vocant,  a  Gregorio  nuper  XIII,  et  nunc  Sixto  V 
restauratas,  ubi  omnium  artium  praelectiones  quotidie  fieri  solcnt. 
Gymnasium  Romanum  Leo  X  instauravit,  accitis  undequaque  prac- 
stantissimis  professoribus  :  Augustine  Supho  pliilosopho,  Christo- 
phoro  Aretino  medico,  Hieronimo  Butigclla  I.C  ,  lano  Parrhasio,  Ba- 
silico Chondile  graecaruni   hic,  ille  latinarum   literarum   professore. 

Ex  hoc  prodiere  docti  viri:  Virginius  de  Boccatiis  I.C,  Guiliiel- 
mus  Giscaferius  medicus,  Salustius  Salvianus  medicus,  lulius  Caesar 
Stella  poeta,  Nicolaus  Valla,  Paulus  de  Roma  augustinianus,  Leo- 
nardus  Furtius  qui  scriptor  de  re  militari,  Ludovicus  Pontanus  I.C., 
Horatius  Mandosius  I.C  ,  Marius  Salomon  Albertisco  I.C.,  Thadaeus 
Romanus  (2). 

Linguam  vero  latinam  inclinante  iam  imperio  in  pretio  habcri 
coepta,  a  tempore  nani  lustiniani  contractus  a  tabellariis  eo  fere  ser- 
mone quo  nunc  utuntur  perscribebantur. 

XXIII.     Visum  pellustratumque  ivi  pulchcrrimum  integerrimum- 

que  ex    antiquitate  opus,  templum  olim  matri   deorum   Cibeli    con- 

secratum,  quod  hodie,  propter  circularem  formam,  S.  Mariae  Rotundae 

nomen    possidet,  D.  Virgini    et   omnibus    santis  a  Bonifacio  III  di- 

catum.  lovi  quoque  Ultori,  Marti  et  Veneri  Romae  conditoribus  sa- 

cratum    fuisse    videtur.  A  M.  olim    Agrippa    conditum  ut  inscriptio 

vestibuli  talis  : 

M.  Agrippa  L.  F.  Cos.  Tertium  fecit 

indicat,  restauratum  per  Septimium  Severum  et  Aureliura  Antonium, 
ut  haec  indicat  semirasa  inscriptio: 

Imp.  Caes.  L.  Septimius  Scverus  Piiis,  Persicus  Arabiciis  Brittannicos  Parthecos 
H  i  a  i  i  Pont.  Max.  Fr.  Pot.  XII  Cos  1  B  S  P.  P.  l'rocos  (3). 

Imp.  Caesar  M.  Aurclius  Antoninus  Pius  Felix  Aug.  Cos.  P  O  |i  1  Ant  g  g  1 
vetustate  GHISE  cultu  restaurarunt. 

Tegulas  aereas  deauratas  Constantinus  III  imperator  detractas, 
cum  omnibus  fere  acreis  ac  marmoreis  statuis  ad  ornatum  Urbis 
pertinentibus,  navi  impositas  abstulit,  ut  Paulus  Diaconus  author  est. 
Hic  autem,  ut  referunt  Blondus  et  Platina,  plus  octo  diebus  orna- 
menti Romae  detraxit,  quam  Barbari  totis  ducentis  quinquaginta 
octo  annis;  cuius  etiam    meminit    Martinus.    Restituere  Nicolaus  V 


(1)  Vedi  Gmoli,  Le  origini  di  iiiaeslro  Pasquino  in  Nuova  Antologia,  i-i6  gemi.  .'890, 
e  l'incisione  di  Ant.  Salamanca  del   i;42,  nell'album   Lafreri. 
(»)  Vedi  Renazzi,  Storia  dell'Unii',  degli  studi  di  Roma. 
(})  C.  /.   L.   I,   n.   896. 


Iter  Italicitm  57 


pontifex  et  Innocemius  Vili,  estque  nunc  nltum  pedes  .cxLiv., 
totidem  latum,  contignaliones  aeneis  trabibus  canalium  modo  com- 
pactae,  pedes  .xl.,  ut  testis  est  Baptista  Leo.  Valvae  iteni  ingentcs  ex 
aere  corinthiaco  (i);  lithostratum  varii  marmoris,  arac  duae  maximae 
marmoreae  seu  marmoratae.  Nullam  habet  fenestram,  sed  lumen  re- 
cipit  per  sphericum  foramcn,  quod  est  in  medio  tecti,  ad  quod  .XL.  gra- 
dibus  plumbeis  adscenditur.  Vide  Georgium  Fabricium  quare  tempore 
aestivo  valde  frigidum,  et  caveae  instar,  parietes  olini  niarmore  in- 
crustati,  nunc  lateritii,  acdiculae  tamen  adhuc  ex  marmorc,  in  quibus 
statuac  deorum  olim  locatae  videntur;  inter  quas  Pallas  eburnea 
opus  Phidii,  et  Venus  aurea,  ornata  unione  illa  notissima  Cleopa- 
trae,  cuius  meminisse  videtur  Dionis  abbreviator,  cum  dicat:  «  Augu- 
«  stum  post  victoriam  Actiacam  Romani  reversum,  ornamenta  Cleo- 
«  patrae  in  tempio  posuisse  »,  et  ampie  Plinius  Maior,  qui  scribit, 
hanc  unionem  unicum  fuisse  naturae  miraculuni.  Habet  nunc  varia 
sepulcra  et  epithaphia,  ut  Taddaei  Zuccari  pictoris  excellentis  et 
Raphaelis  Santii  Urbinatis,  quorum  epithaphia  in  meis  libris  Epita- 
phiorum.  Ad  aram  cum  statua  D.  Virginis  ac  infantis  lesu,  est  epi- 
taphium  Mariae  Bibiennae  Anton  F.  Raphaelis  sponsae  quae  virgo, 
ut  continetur  epitaphio,  obiit.  Sunt  et  alia,  id  est  Bartholomei  Baro- 
nini architecti  Celebris,  cum  simulachro  marmoreo,  Rufinorum  item, 
Marii  pont.  Melpomit.  et  Aureli!  ac  Alexandri  (2). 

Porlicus  olim  .xvi.  habuit  columnas,  quarum  adhuc  .xiii.  sum- 
mae  crassitudini  marmoreae  extant.  Meminit  harum  Martialis  lib.  IV, 
epigr.  .xviii.,  qui  ubi  viam  ad  hortos  suos  demonstrat,  plura  urbis 
loca  describit,  lib.  I,  ep.  144: 

Qua  vicina  pluit  \'ipsanis  porta  columnis  (s). 

Templi  huius  forma  aeneis  circumfertur  typis,  et  est  in  numi- 
smatibus  antiquis  apud  Caulaeum,  qui  Romanorum  veterum  religio- 
nem  studiose  perscrutatur  ex  numniis  et  antiquis  monumentis.  In 
area  huius  templi,  quae  hodie  olitorum  videtur  forum,  est  labrum 
porphyreticum:  et  duae  sphinges  ex  ophite,  quae  ex  Aegipto  trans- 
latae  videntur,  ex  literis  sacris  sive  hierogliphicis  quibus  notantur. 
Cur  vero  olim  sphinges  ante  tempia?  Explicavit  in  Embkmatibus  In- 
nius.  Nunc    Sixtus    pontifex  ad  restaurationem    aquaeductus    veteris 


(i)  Delle  porte  antiche  di  bronzo  non  rimane  quasi  vestigio.  Vendute    o   rubate  a 
pezzi,  per  farne  opere  nuove  di   metallo,  furono    rifatte  da  papa  Pio   IV. 

(2)  Vedi  Broli,  Iscri:^ioni  pagane  e  cristiane  lu'l  Pantheon,  p.   415  (Zuccari),  p,  435 
(Raffaele),  p.  433  (Maria  Bibbiena),  p.  444  (Baronino),  p.  442  (Rufini). 

(3)  Le  tre  colonne  mancanti  al  tempo  del  Bucliell,  sostituite  dai   papi    Barberini  e 
Chigi  con  fusti  delle  vicine  terme  .alessandrine. 


58  qA.  "Biic/iclliiis 


non  procul  a  tlierniis  Diocletianis  eiusqiie  usuni  transtulit.  Pictura 
labri  est  apud  Caulaeum  de  Balitcis  auliqiiis  (i). 

Extant  hic  ampLie  relliquiae  thermarum  Agripplnarum  retro  Pan- 
theon, quarum  usum  popiilo  per  anniim  gratis  concessit,  teste  Dione, 
ubi  hodie  fons  lavandaruni  vcstium  desiinatus  (2). 

Vicinae    sunt   aedes   Mapheorum,  iani  rcstauratae,  habitatae  ab 

episcopo  Patavino  et  cardinali,  ubi  bases  niarmoreae    quamplurimae 

in  via,  nescio  an  noviter  inventae,  ex  quibus  duas  has  dcscripsi  in- 

scriptiones  : 

TIBKIMlil  KAATAiai 

Praesentibus  '  luvenco  Corneliano  et  |  lulio  Felicissimo  |  D.  Neronis  [  Quiiiqueiina- 
libus  i  Claudio  Quintiliano  et  j  Plotio  Aquilino  ]  Curatoribus  [  Aelio  Augustale 
et  I  Antonio  Vitale  et  I  Claudio  Crispo. 

lovi  O.  M.  Ft  Deae  Suriae  Ft  elenio  Venaliiio  ('.  Gianius  Hilarus  j  Cum  Lessia 
Sabina  ;  V.  \.  (3). 

Epitaphia  quae  nullo  ordine  coUegit  Nathan  Chytraeus  haec:  Ho- 
norae  Quinteriae,  Alexandri  Pavonii,  Dcmetrii  Cabacii  Rhalli,  Ni- 
colai Sudorii  mus.,  lacobi  Mentebonae,  Guidonis  Pisani,  Eduardi 
Carni,  Io.  Frane.  Poggii,  Andreae  de  Castro. 

XXIV.  Ingressus  templum  D.  Mariae  ad  Minervam  Doininica- 
norum  collcgium  celebre,  plura  notavi  epitaphia.  Ohm  hic  Mincrvae 
fanuni  exstitisse,  et  nomen,  et  relliquiae,  tum  veteruni  monumenta 
probant;  in  quo  breviariuni  rerum  in  Oriente  a  Pompeio  gestarum. 
De  quo  vide  Plinium  Maiorem.  Apud  Dionis  abbreviatorem  haec 
leguntur:  «  Consul  nos  convocai  in  templum  Minervae  »,  quod  nomen 
traxit  ab  exercitatione  eorum  qui  in  eo  erudiuntur.  Pompeius  vero 
ex  manubiis  dedicavi!. 

In  hoc  tempio  Calixtus  III  Borgia  sepultus,  teste  Platina,  et 
horum  legi  epitaphia,  vidi  sepulcra  (4): 

(1)  Vedi  la  bella  incisione  edita  da  Ant.  Lafreri  nel  1549,  e  quella  di  Nicolò  Bea- 
trizet,  riprodotta  dal  De  Rossi  alla  Pace  e  dal  van  Aelst. 

(2)  Non  credo  si  abbia  altrimenti  notizia  di  questo  lavatoio  pubblico  fra  i  ruderi 
delle  terme  Agrippianc. 

(})  Ciò  che  dice  l'autore  circa  le  basi  marmoree  della  raccolta  MalTei  messe  in 
istrada  davanti  al  palazzo,  è  confermato  dal  Ksiuuio,  Ber!.  A.  6\  e,  f.  j6,  il  quale  tra- 
scrisse ben  ventisei  iscrizioni  «  in  casa  del  cardinal  Mafei  »  ovvero  <>  su  la  strada  intorno 
«  la  ditta  casa  Mafei  ■>.  La  fondazione  del  museo  e  della  biblioteca  rimonta  ai  tempi  di 
Mario  Maflei  da  Volterra,  vescovo  di  Cavaillon,  uno  dei  più  valenti  e  perfetti  trascrittori 
di  codici  del  sec.  xv.  Nel  settembre  del  1893  vidi  nella  libreria  (guariteli  un  mirabile 
codice  in  pergamena  tutto  di  suo  pugno  (Cicerone,  Driitm,  sta  de  claris  oratjribui;  De 
perfeclo  oratore  ai  Brulnm)  con  lo  stemma  della  famiglia  sulla  coperta.  L'  iscrizione  di 
Giove  e  della  dea  Siria  (C.  I.  L.  VI,  n.  399)  era  stata  vista  anche  dal  Lipsia  «  in  loco 
CI  qui  vulgo   Chambela  dicitur,  in  via  publica  •>. 

(4)  Le  spoglie  del  primo  papa  Borgia,  Callisto  III,  sepolte  presso  S.  Maria  della 
Febbre  in  Vaticano,  furono  trasferite  da    Sisto  V    in    altro    luogo    della    stessa    basilica 


Iter  II  alien  ni  59 


Anastasei  de  Pessatis,  cum  simulacro;  Francisci  Marii,  cum 
marmore  effigie:  Antoni!  Carafcllae  cohortium  pracfecti;  Lactancii 
Nencionii  Pisani  ;  Detissalvi  Neronis  F.  Fiorentini  eqiiitis,  cuius  me- 
minit  Faciiis  lib.  X;  Ioan.  Bapt.  Guillini  Pisani;  Bernardi  Nicolini 
Fiorentini,  cum  sinuilachro;  Antoni!  Castalionis;  Hieronimi  Buti- 
gellae  I.  C.  Papiensis,  cum  effigie;  Hieronimi  Caenae,  cum  effigie; 
Benedicti  Chari  Veronensis;  Francisci  Tornaboni  Fiorentini;  Vin- 
centi! Macaron!  Romani  cum  effigie;  Cherubini  Bonanni;  Portiorum 
familiae,  Antoni!  Francisci  et  lulii,  cuius  hoc  lapidi  inscriptum  di- 
sti eh  um  : 

Patria  Roma  fuit,  gens  Porti.i  nomea  Iiiliis 
Mars  puerum  instituit,  M;irs  puorum  rapuit 
et  hoc  : 

Augustinus  Maphaeus  plumbarii  fisci  .iii.  vip,  aliisque  lioiioribus  egregie  functus, 
boiiarum  literarum  custos,  in  quo  fortunae  non  cessit  virtus,  licic  sepultiis 
est.  Vixit  annos  .i-xv.  m.  d.  .xxv. 

Huius  nis!  fallor  meminit  Politianus  in  Epistol. 

Paulo  Manutio  Aldi  F.  |  Aldus  filius,  ex  test,  j  F.  C.  i  Natus  pi'id.  id.  iunii  .ciD.n.xiii.| 
Ob.  .nx.  id.  aprii,  .m.d.lxxiv.  (i). 

Dicitur  hic  conservar!  pars  praesepe  Christi.  Sequitur  arcus  Gor- 
diani, quem  nescio  an  ali!  Camilli  putent  (2).  Vicinutn  huic  templum 
D.  Stephani  in  Caco,  ubi  olim  antrum  Caci  fuisse  volunt,  cuius 
Ovidius  et  Virgilius  memlnere,  nunc  restaurabatur.  Sunt  qui  dubitant 
an  sit  S.  Maria  in  inferno.  Sed  ego  haec  aliis  relinquo  discutienda, 
cum  mihi  tantum  otii  in  urbe  Rotna  non  fuerit.  Non  procul  ab  arcu, 
pes  iacet  marmoreus  ingens,  colosseae  alicuius,  ut  videtur,  statuae. 

Deinde  ad  collegium  Romanum  novum  pervenimus,  et  hinc  ad 
templum  lesuitarum  pulcherrimum,  totum  ex  lapide  tiburtino,  opera 
et  impensis  Alexandri  Farnesii  cardinalis,  qui  huic  nondum  manum 
imposuit  ultimam,  ubi  haec  legebatur  in  frontispitio  inscriptio: 

Alexander  Farnesius  card.  S.  R.  E.  vicecancejlarius,  Pauli  III  Pont.  Max.  nepos, 
cuius  authoritate  Societas  lesu  recepta  primum  fuit,  et  decretis  amplissimis 
ornata,  templum  hoc  suae  monumentum  et  religionis  et  perpetuae  in  cum  or- 
dinem  voluntatis,  de  fundamentis  exstruxit,  anno  iubilei  .mdlxxv  (3). 

nel  1585,  e  quindi  da  G.  B.  Vives  in  S.  Mari.-i  di  Monserrato  nel  1610,  dove  rimasero 
abbandonate  sopra  una  panca  della  sagrestia  vecchia  sino  al  1889.  Ora  hanno  trovato 
riposo  in  un  piccolo  monumento  nella  cappella  di  S.  Diego.  Sbaglia  dunque  l'autore 
dicendole  tumulate  nella  Minerva. 

(i)  Vedi  FoHCELLA,  op.  cit.  I,  par.  v,  p.  41)  sg.  Molte  lapidi  sepolcrali  viste  dal- 
l'autore sono  andate  a  male   nei  restauri  del    1853. 

(2)  Il  noto  arco  di   Camilliano,   nel   recinto   dell'  Iseo. 

(3)  Il  disegno  originale  della  facciata  del  Gesù  secondo  il  pensiere  del  Vignola  fu 
inciso  in  rame  da  Mario  Canari  nel  1573.  Quello  della  goffa  facciata  fatta  eseguire  dal 
«Gran  Cardinale»  fu   pubblicato  la  prima  volta  da  Nicolao  van  Aelst  nel  1559. 


^o 


Q/i.  'Biic/ielliiis 


Sunt  lesuitae  duplicis  generis,  Theaiini  a  Pctro  Tlieatino  episcopo 
Caraffa  qui  Paulus  IV  pomifcx,  et  Farnesiani  a  Paulo  III  ante  ap- 
probati 

XXV.  Per  viam  Conservatorum  ad  Capitolium  pervcni,  a  Bar- 
baris  disiectum,  inde  restauratum,  olim  rupes  Tarpcia,  nomcn  Livio, 
Plutarcho,  aliisque  Ronianae  rei  scriptoribus  notum,  et  ab  Arnobio 


v»^    iy.iv.   TxtC'  ' 


explicatum;  Priscus  Tarquinius  inchoavit  regni  sui  .xxxviii.  anno; 
sub  Sulla  conflagravit  fortuito  et  ignoto  incendio,  anno  quadringen- 
tesimo  postquam  fuerat  condituni,  eaiidem  fortunam  sub  Vitellio 
tulit,  restauratumque  pentilitio  marmore  per  Domitianum  fuit.  Sub 
Tacito  hinc  imperatore  restauratuni  autor  Vopiscus  (i). 

Ascenditur  aliquot  gradibus  ad  dextrum,  utrimque  statuae  niar- 
moreae  virorum  equos  ducentium,  Castoris  et  Pollucis  putant,  in 
basi  addita  haec  inscriptio: 

S.  P.  Q.  R.  Simulacra    Castorum    ruderibus  in  theatro    Pompcio   egestis   reperta, 
restituii  et  in  Capitolium  posuit. 

In  areae  medio,  ubi  olim  asylum  fuisse  existumant,  statua  equestris 
aenea  deaurata  M.  Antonii  vel  Aurelii,  ut  creditur,  insignis,  quani 
Sixtus  IV  poniifox  in  area  Lateranensi  ex  antiquitate  superstitem 
ercxerat,  ubi  basis  marmorea  cum  titulo.  In  liunc  vero  locum  iussu 


(l)  La  >ies;rizioiie  del  Campidoglio  data  dall'autore  non  contiene  particolari  meri- 
tevoli di  comento.  Vedi  Forcill*,  op.  cit.  I,  e  Lvnciani,  //  cod.  Barherin.  XXX,  9S, 
io  Arthivio,   1883,  fase.  VI. 


Iter  11  alien  ìli  6i 


Pauli  III  translam.  Est  in  cadcm  arca   statua   Mincrvac    marmorea, 
lioc  notata  cpigrammate: 

S.  F',  Q.  R.  Sigimm  Miiiervae  do  parietinis  urbis  enitiim  et  in  Capitolium  l'aulo  III 
poiititìce  ma\imo  translatum  in  illiistrioii  areac  loco  Ciicgorius  XIII  P.  iM. 
posuit  ac  restitiiit.  Ocruvio  GuiJotto  et  Io.  Bapt.  Aliovita  Coss. 

Utrimque  adiaccnt  simiilacra  marmorea  Tyberis  et  Nili. 

In  ipso  vero  Capitolii  acdificio,  sunt  variae  statuae  antiquae, 
inter  quas  una  Marii  top;ata,  cum  lioc  titulo:  «  S.  P.  Q..  R.  Mario 
(f  .VII.  Cos.  ».  Praeterea  Florae,  Hadriani,  relliquiae  et  colossi  mar- 
morei, a  quo  fortean  amphiteatruni  Titi  nomen  niutavit,  d'giti  pedis 
erant  longitudine  pcdi3  cum  dimidio,  monstrabaturque  caput  integrum 
summae  magnitudinis;  quemadniodum  et  aencum  alteruni.  Tum  in 
pila  marmorea  hanc  legi  inscriptionem: 

Ossa  I  Agrippinae  M.  Agrippae  F.  [  Divi  .Vugiisti  neptis  ]  Uxoris  j  Germanici  Cae- 
saris  j  Matris  C.  Gaesaris  .\ug.  '  Germanici  principi*. 

Sunt  et  antiquissima  monumenta  trophei  victoriae  navalis 
C.  Duelli!  contra  Poenos  quae  Victoria  contigit  anno  .v.  belli  poe- 
nici  primi,  cui  tum  erat  collega  Cornelius  Asina,  ut  authores  sunt 
Eutropius  et  Plinius. 

Item  aenea  lupa,  lactantesque  Romulus  et  Rhemus.  Lex  etiam 
regia  in  aere,  praeterea  antiqua  tabula  marmorea  quae  sic  incipiebat: 
«Imperatore  Caesare  Augusto  P.  Helvio  Pertinace  .11.  Cos  ordo  cor- 
ee poratorum  lenunculariorum,  tabulariorum,  auxiliariorum,  ostien- 
«  slum  »  &c. 

Item  statuae  lunonis  et  Uraniae,  ac  Deae  unius  larvam  tenentis, 
tum  Constantini  triumphantis. 

In  aula  Capitolina  sunt  pontificum  quorundam  statuae  positae, 
ut  mannorea  Pauli  III  pontificis  hoc  elogio: 

Paulo  HI  PP.  Max.  Quod  eius  iussu  auspitiis  atque  aere  conlato  urbem  situ  et 
diverticulis  viarum  deformem,  atque  imperviam,  disiectis  male  positis  aeditkiis, 
in  meliorem  formam  redegeat,  viis,  areisque  cum  veteribus  directis  et  am- 
pliatis,  tum  novis  constitutis  auxeriut  ornaveriiitque  Latinus  luvenalis  Mar- 
mectus,  Hieronimus  Maphaeus  curatores  viarum  urbe  instaurata  offilii  et  mc- 
moriae  ergo  statuam  in  Capitolio  optimo  pontifici  posuere.  Anno  Cliristi  .mdxliii. 

Inde  ad  statuam  marmoream,  opus  Pauli  Oliverii,  haec  legebantur: 

Gregorio  XIII  Pont.  Max.  Opt.  principi  Hugoni  Boncompaigno  Bononicnsi,  qui  per 
Rom.  magistratus,  et  ecclesiasticas  dignitates,  iustitiam  et  pictatem  coleus,  ad 
pont.  sedem  evectus,  universam  rcmpublicam  Christ.  summa  prudentia  et  cha- 
rìtate  moderatur:  S.  P.  Q.  R. 

Gregorio  ob  farinae  vecligal  sublatum  urbem  templis  et  operibus  magnitkentiss. 
exornatam,  H  S  octingentìes  singulari  beneficentia  in  egenos  distributum. 


62  (ò4.  "Buchellius 


Ad  Leonis  X  itcm  marmoream  hoc  ndJitum  est  elogium: 

Oplumo  principi  Leoni  X  Mcvl.  loan  Pont.  Mnx.  oh  restitiitam  instaiiratamqiie 
urbem,  aucla  sacra,  benofitia,  arlos,  ascitos  patrcs,  siiblatum  vectigal,  datiimque 
conj-iarium,  S.  P.  Q.  R.  H. 

AJ  aercum  Xysti  V  simulachrum  haec  leguntur: 

Xysto  V  Pont.  Max.  ob  quietem  publicam,  compressa  sicariorum  exulunique  licentia, 
res'iintam,  aiinonae  innpiani  sublevatam,  urbem  acdifìcìis,  viis,  aquaeductu  il- 
Instratam  S.  P.  Q.  R. 

SequitLir  hinc  statu.i  antiquior  Caroli  Siculi  regis,  qui  oliin  se- 
nator  Urbis  a  Clemente  IV  papa  declaratus,  et  Hierosolimorum  ac 
utriusque  Siciliae  rex,  cuni  fuissct  Amlegaviae  conies  et  Ludovici 
Francoruni  regis  consobrinus,  et  vixit  anno  circiter  .mccl.x..,  cuius 
et  res  gestas  conscripscre  Blondus,  Platina,  ad  liane  hi  versiculi  le- 
guntur restauratali!  : 

llle  ego  praeclari  tuleram  qui  sceptra  senatus 

Rex  Siculis  Caroins  iura  dedi  popiilis, 
Obrutus  lieu  iacui  saxis  fiinioque  dedcrunt 

Hunc  tua  conspicuum  tempora  Sixte  locum. 
Hac  me  Tuscanus  posuit  Malheus  im  aula 

Et  pairiae  et  geniis  gloria  magna  suae: 
Is  dedit  et  populo  post  me  bona  inra  senator, 

Insignis  litulis  dotibns  aique  animi. 

Ad  de.xtrum  Capitolii  est  templum  olini  lovis  Feretrii  sive  Ca- 
pitolini, quod  condidit  Superbus,  licet  Suetonius  author  sit  Augustuni 
lovi  Tonanti  in  Capitolio  aeJeni  fecisse,  illudque  postea  per  Vitel- 
l'anos  incensum  et  Vespasianum  restauratuni  scribat,  in  quo  ara  Vi- 
ctoriae,  cuius  meminit  Symniachus  oratione  prò  gentilium  relligione, 
et  Prudentius  ac  Anibrosius  in  eius  refutatione,  nunc  vero  restaura- 
tum  et  Franciscanis  fratribus  concessum,  vocnturque  Ara  Coeli,  estque 
pulcherrimum,  ad  quod  ex  platea  Conservatorum  centuni  pluribus 
gradibus  marmoreis,  ex  Quirini  ut  creditur  tempio  translatis,  adscen- 
ditur(i).  In  hoc  oratorium  marmoreum,  in  quo  haec  sepulcra,  epi- 
taphiaquc: 

Rodiilplii  Carporum  principis  et  card  cui  Pius  V  monimentum  lioc  posuit.  Vixit 
ann.  .lxiiii.  Nat.  .m.d.viii.  ob.  .m.d.lxfiii  ,  .vi.  N.  mail 

et 

Ccciliae    Ursinae   Alberti  Pii  Carporum    principis  uxoris,    quae  obiit   anno  aetat. 

.LXXXII.  (3). 

(i)  Qaesro  paragrafo  relativo  al  tempio  di  Giove  O.  M.  e  alla  chiesa  dell'Aracoeli 
e  dei  più  scorretti  e  confusi.  L'ara  della  Vittoria  non  appartiene  al  Capitolium  tna  alla 
Curia.  La  scila  saliva  alla  chiesa  non  dalla  piazza  di  Campidoglio,  ma  da  quella  del  Mer- 
cato   ìlc 

(a)  Il  cardinale   Rodolfo   Pio  dei  principi  di  Carpì  (y   1564)  fu  sepolto  non  in  Ara- 


Iter   Italicum  6} 


Sunt  ibidem  ad  templi  parietes  dune  statuae  marmoreae,  Coii- 
stantini  imperatoris  et  fragmenta  leonis  equum  devorantis  (i). 

Retro  Capitolium,  si  ad  forum  Boarium  pergas,  locus  est,  ubi 
olim  lacus  Curtius,  de  quo  variae  opiniones,  et  Varrò  de  lingua  lathia 
quarto,  tres  inter  se  pugnantes,  porcilii  qui  in  eo  loco  dehisisse  ter- 
ram,  et  ob  id  ex  S.  consuluisse  haruspices,  relatum  esse  responsum 
deum  manium:  postulare  civem  fortissimum  eo  mitti;  tum  Curtium 
quendam  armatum  ascendisse  equum,  et  in  co  praecipitatum  (quam 
sequuntur  Festus,  Livius,  Valerius  Maximus)  tradidit.  Pisonis  in  J^ìi- 
ualibii;  scribcntis,  Sabino  bello  quod  fuit  Romulo  et  Tatio,  virum 
fortissimum  Metium  Curtium  cuni  Romulus  cum  suis  ex  superiore 
parte  inipressionem  fecisset,  in  locum  palustrem,  qui  tum  fuit  in  foro 
antequam  cloacae  sint  factae  secessisse,  atque  ad  suos  in  Capitolium 
se  recepisse,  ab  eo  lacum  invenisse  nomen.  Cornelii  et  Lucei,  qui 
scriptum  reliquere,  eum  locum  fulguratum  esse,  et  ex  senatuscon- 
sulto  septum,  iJque  a  consule  Curtio  cui  Marcus  Genutius  fuit  col- 
lega, ab  eoque  Curtium  appellatum.  Vide  Plutarchum  in  Roiiudo.  In 
area  Capitolina  ante  introitum  templi  Arac  Coeli,  tempore  Georgi 
Fabritii  erat  sepulcrum  Biondi  Flavi!  cum  epitaphio  ;  Vallarum  vero 
est  in  tempio  Nicolai,  Bartolomei,  Retri,  Philippi,  Andreae,  item 
lacobi  Buccabellae  poetae;  Ludovici  Grati  Murganii  mathematici, 
Seraphini  Oductii  philosophi,  Manilii  Britanorii,  fatorum  praescii  (2). 

Sunt  in  Capitolio  adhuc  statuae,  praeter  iamdictas,  aeneae  duo 
stantis  servi  habitu,  et  sedentis  curvato  corpore  e  pianta  pedis  spinam 
evellentis  (5). 

In  descensu  Capitolii  career  Romanus,  hodie  crupta  S.  Retri  in 
carcere,  ubi  divos  Petrum  et  Paulum  fuisse  incarceratos  narranti  est 


coeli,  ma  nella  cappella  di  S.  Micliele  della  Trinità  sul  monte  Pincio.  Quivi  pure  si  tro- 
vano il  busto  e  r  elogio  di  Cecilia  figliuola  del  cardinale  Franciotto  Orsini,  e  vedova  del 
principe  Alberto  Pio.  Forcella,  op.  cit.   Ili,   125,  n.  424;  p.   132,  n.   344. 

(1)  Vedi  C.  I.  L.  VI,  nn.  1149,  1150.  Sul  gruppo  del  leone  e  del  cavallo,  che 
non  era  collocato  «  ad  templi  parietes  »,  come  dice  l'autore,  ma  nel  «  loco  del  Lione  « 
alle  scale  della  loggia  del  palazzo  Senatorio,  vedi  Helbig,  Guide,  ed.  inglese,  189;,  I, 
494,  n.   541. 

(2)  Il  sepolcro  della  famiglia  Biondo  di  Forlì  (Flavio  -\-  1463,  Angela  -}-  1390  &c.) 
sta  nell'ultimo  ripiano  della  scala  davanti  alla  porta  maggiore.  Al  tempo  del  P.  Casimiro 
era  stato  trasferito  nell'interno  della  chiesa,  davanti  alla  cappella  di  S.  Pasquale.  L'ul- 
tima discetidente  del  grand;  archeologo.  Gloria,  moglie  di  Clemente  Buccelleni,  mori 
nel  1624  e  fu  sepolta  sotto  il  pavimento  della  nave  maggiore,  presso  l'ultima  colonna  a 
destra.  Sulle  altre  ircrizioni  sepolcrali  dei  Vall.i,  Boccabella  iS:c.  vedi  Fouci-lla,  op.  cit. 
I.  '«3  sg 

(j)  «  La  Zingara  »  o  Camillo,  e  il  <■  I"anci-illo  dalla  Spina».  Vedi  HtLDic,  loc.  cit. 
I,  451,  n.  607,  e  p.  457,  n.  617. 


64  C/^.  "Bitchellius 


autem  ad  pedem  Capitolii  cum  liodie  sit  career  in  ipso  Capitolio:  in 
vestibulo  legebatur: 

C.  Vibius  C.  F.  Ruftnus  M.  Cocceius  S  E  Coss.  ex  S.  C  (i). 

Puto  primum  hunc  et  unicum  olim  carcerem  romanum,  de  quo  Sa- 

tyricus  : 

Felicia  dicas 
Saecula,  quae  quondam  sub  regibus  atque  tribuiiis 
Viderunt  uno  contentam  carcere  Romam. 

Sub  Capitolio  extant  plurimae  columnae  marmoreae,  ubi  olim 
porticus  et  templum  Concordiae,  teste  Appiano,  post  C.  Gracchi 
necem  Senatus  sibi  in  foro  aeJem  Concordiae  erigi  mandavit.  Ti- 
berius  quoque  Caesar  bine  Concordiae  aedem  dedicasse  scribitur. 
Plutarchus  vero  author  est  Camillum,  post  reconciliationem  plebis 
cum  patribus,  ex  voto  Concordiae  templum  posuisse.  At  Livius  bello 
poenico  secundo,  duumviros  creatos  narrat,  ad  aedem  Concordiae  in 
arce  faciendam,  quam  L.  Manlius,  praetor  in  Gallia  vovisset,  huius 
meminit  saepius  Cicero  in  Orut.  Alterius  vero,  cuius  sunt  .viii.  illae 
columnae,  meminit  Plutarchus  et  habet  hanc  inscripiionem: 

Senatus  Populusque  Romanus  incendio  consumptum  restituit  (2). 

Hinc  inter  Capitolium  et  Palalinum,  forum  occurrit  Romanum,  in 
quo  ad  Capitolii  radices  arcus  Septimii  Severi  imperatoris  marmo- 
reus,  cuius  forma  cum  inscriptione  aere  incisa  extat.  Huic  adiacent 
varia  marmora,  inscriptionibus  notata,  ex  quibus  excerpsi  sequentes: 

Restauratori  urbis  Romae  aJque  Urbis  et  extinctori  pestiferae  tyrannidis  D.  N.  FI. 

Fui.  Constantio  victori  et  triumfatori  semper  Augusto  Neraiius  Cerealis  V.  C. 

praefectus. 

Neratius  Cerealis  W  C.  Cons.  Ord. 

Conditor  Balnearum  Censuit. 
lieo  Herculi  Invicto  C.  Julius  Pomponius  Pudens  Sevcrianus  V.C.  Praef.  Urb.  (3). 

In  foro  quoque  olim  conspicicbatur  templum  Castoris  et  Pol- 
lucis  a  Tiberio  suo  fratrisque  nomine  de  manubiis  dedicatum,  quod 
demolitus  est  Caligula.  Nero  statuas  Castoris  conflavit. 

(0   C.    /.   /..   VI,   n.    1539. 

(2)  È  l'iscrizione  del  tempio  di  Saturno  (C.  /.  L.  VI,  957)  che  l'autore  scambia 
per  quella  della  Concordia. 

(})  Il  rame  dell'arco  di  Settimio  visto  dall'autore  è  quello  edito  dal  Lafreri  nel  i$47, 
riprodotto  da  Chiude  Ducliet  nel  1585  e  più  tardi  da  Enrico  v.  Schoel,  d.i  Nicolao  v.  Aelst 
e  da  G  G.  De  Rossi  alla  Pace.  Il  piedistallo  della  statua  equestre  di  Constanzio,  sco- 
perto negli  scavi  del  1547,  fu  trasportato  al  Palatino  dal  cardinale  Farnese  al  tempo  di 
Sisto  V.  Sulla  base  di  Nerazio  Cercale  pr.  Urb.  a.  352-}$),  vedi  le  osservazioni  del 
Corfrns,  VI,  n.  1744,  Ictt.  f.  L'ara  di  Pudcnte  Severiano  (ivi,  n.  3 17)  str.va  nel  palazzo 
dei  Conservatori  sin  dal  tempo  di  fra  Giocondo  e  di  Pietro  Sabino. 


Iter  Italicuni 


65 


Fuit  et  huìc  vicinimi  templum  lovis  possessoris,  in  quo  Bibuliis 
ab  amicis  deductus,  proptcr  vim  Caesarianorum.  Tcmpluni  Augusti, 
quod  incoeptum  a  Tiberio,  perfecit  Caius,  intra  Palatinum  et  Capi- 
tolinum  montes  fuisse  videtur;  cum  Suetonius  author  sit,  Caiuni 
super  templum  divi  Augusti  ponte  transmisso  Palatiuni  Capitoiiumque 
coniunxisse,  cuius  dicuntur  hodie  quae  extant  columnae  marmorenc. 

Vicinum  Romano  fuit  forum  Caesaris,  a  lulio  Caesare  de  ma- 
nubiis  inclioatum,  cuius  area  constitit  supra  *  *  millies,  in  quo 
porticus  et  templum  divi  Antonini  ei  Faustinae,  hodie  S,  Laurcntii 
in  Miranda,  iuxta  quod  olmi  arcus  Fabianus,  cuius  meminit  Trebel- 
lius  Pollio,  fuit.  Ante  porticum  vero  fuit  turiis  rotunda,  quani  putant 
Palladis  fuisse  aedem,  quae  a  Paulo  IH  pontifice  demolita  (ij. 


}k 


Non  procul  hinc,  nescio  an  in  foro  Romano,  templum  antiquum, 

rotundum,  valvis  aeneis;    quod  credunt  fuisse  Saturni,  in  quo  aera- 

rium  instituit  Publicola.  Condidit  hoc  L.  Munacius  Plancus  ex  manu- 

biis,  ut  liabet  inscriptio  Caietana. 

L.  Munatius  PI.  F.  L.  N.  L.  Pron.  Plancus  .v.  cos.    cens.    imp.   iterum  .vii.  vir. 
Fpul.  triumpli.  de  Riioetis  aedem  Saturni  F.  de  manubiis  &c. 

Hic  censores  ohm  iurare  mos,  incensum  fuit.  Meminit  huius  Sueto- 
nius in  Claudio,  qui  curam  aerarli  Saturno  reddidit,  idem  in  Otbom, 
aedem  Saturni  in  foro  esse  scribit.  Legitur  in  antiquis  monumentis, 
ii  quis  aut  testamenta    corrupisset,  aut   violasset  sepulcra,  mulctam 

(l)  Probabilmente  la  torre  dell' Ifiscrra  0  sita  in  contrata  trium  Colupnarum  in  op- 
a  positu  ecclesie  Sancii  Laurentii  in  Miranda»,  la  quale  era  piantata  sugli  avanzi  del 
tempio  di  Cesare.  Le  sue  fondamenta,  scoperte  negli  scavi  del  1899,  sono  state  confuse 
con  quelle  del  tempio  stesso. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  > 


66  Ci-/.  'Biichelliiis 


inferret  aerarlo  populi  Romani,  aut  aorario  Saturni,  quin  et  acta  c]uae 
susceptis  libcris  parentes  faciebant.  In  eotleni  conservabantur  etiam 
omnium  civium  romanorum  nomina.  Erant  et  magistratus,  ut  prae- 
fectus  aerarlo,  curatores  aerarli,  scribae  aerarli,  quaestores  item  et 
tribuni.  Saturnus  nani,  quem  et  alii  lanum  vocant,  primus  aereum 
nummum  feclt.  Vide  Canterum.  Apud  Romanos  vero  Servius  primus 
aes  signavit.  Vide  Lipsium.  Hodie  vocatur  templum  D.  Hadrianl  in 
trlbus  foris.  Platina,  ab  Honorio  primo  pontifice  Romano,  hoc  tem- 
plum aedificatum  scribit,  In  relliquiis  veteribus  potius  cxcltatum 
credo.  Llvius  ab  A.  Sempronio  et  M.  Minutio  consulibus  alt  esse 
dedicatum,  a  Fianco  vero  restitutum  Vide  Sextum  Pompelum  et 
Plutarchumln  Prohkh.  et  Macrobium,  Cvprlanum,  Ciceronem  &c.  (i). 

Non  procul  a  Saturni  aede  versus  clivum  Capitolir.um,  sunt  tres 
columnae  marmoreae,  ubi  fuisse  credltur  templum  Veneris  genetrlcis; 
in  quo  (ni  fallor)  aurea  Cleopatrae  effigies  fuit.  De  plctura  huius 
templi  multa  Plinius.  Fult  et  hic  aedes  Veneris  Capitolinac,  cuius  me- 
mlnerunt  Sueton.  in  CaVh^itìa  et  Giiìha    Livius  lib.  XXIX. 

His  duobus  foris  tertium  addltit  Augustus,  Suetonio  teste.  De 
tribus  foris  his  Martialis,  iib.  V,  epigram.  lxxxviii: 

Atque  erit  in  triplici  par  milii  nemo  foro. 

Contiguum  est  pallatium,  quod  vulgo  Malus  vocant,  fabulis  multis 
celebratum,  opus,  ut  eius  indicant  ruinae,  stupendum,  vixque  hu- 
mani  ingenil.  De  nomine  paliatii  sic  Dionls  abbreviator:  «Porro 
«  regiae  pàlatia  appellantur,  non  quod  sint  ita  casu  aut  fortuito  no- 
ce minatae,  sed  quod  Caesar  habitabat  in  pallatio,  ubi  et  Komulus 
«  domum  habuit  »  &:c.  In  palatio  templum  Apollinis  feclt  Augustus, 
cuius  meminit  iudex  Anticyranus,  qui  cxtat  apud  Andream  Schottum 
in  annotatis  in  Aurei.  Victorem,  ab  aeterna  oblivione  per  ci.  heroem 
Aug.  Gislen.  Busbequium  redemptus:  «  Tcmplumque  ApoUonis  In 
«  palatio  et  porticus  »;addidit  nam  aulam  cum  porticu  et  bibliothecam 
famosissimam,  quam  Gregorius  V  pontifex  dicitur  igne  corrupisse, 
summo  mehercule  rei  literariae  dammo.  Defendit  Gregorium  Platina, 
et  quae  ipsi  obiiciuntur  negat.  Templum  praeterea  in  Palatino  olim, 
\'ictoriac,  Cereris,  lunonis  Sospltae  matris  Deum,  Libertatis  SiC,  quae 
apud  Marlianum,  Iib.  III. 

Palatium  tempore  Augusti  incendio  consumptum,  scribit  Dion. 
Adsunt  et  horti  Palatini  Farnesiorum  celeberrimi.  In  Palatino  quoque 
ohm  iheatrum  Tauri,  quod  incendio  Ilio  Neronis  famoso  deflagravit. 

(i)  L'  autore  fa  confusione  tra  le  due  cliiese  di  S.  Adriano  e  dei  Ss.  Cosm.T  e  Da- 
miano. Le  sue  osservazioni  sul  tempio  ed  erario  di  Saturno  si  riferiscono  (erroneamente) 
alla  seconda. 


Iter  Ilaliciiììi 


61 


Porticus  etiam  Lunae  hoc  in  loco  erat,  et  domus  PoUionis,  quarti 
Augustus  propter  eiiis  cruJelitntem,  quamvis  sibi  legatam,  delevit. 
Praeterea  domus  Crassi  oratoris,  Ilortensii,  Ciceronis,  L.  Annati  Se- 
necae,  de  qua  ipse  lib.  7  ad  Ijtcìl.  epist.  57  et  horti  Varroneani,  aedes 
Magnac  Matris,  ut  Livius  tradii  lib.  29;  aedes  Victoriae,  ut  idem  re- 
fert  codem.  Formam  liortorum  Palatinorum  in  additamentis  Hiero- 
nimi  Ferrutii  ad  Marlianum  (i). 

Contiguum  foro  Augusti  templum  Pacis,  a  Vespasiano  impera- 
tore condituni,  ut  testis  est  Suetonius  Tranquillus  in  liaec  verba: 
«  Fecit  et  nova  opera  templum  Pacis  foro  proximum  »  et  Sextus  Au- 
rclius  Victor  «  Capitolium,  aedem  Pacis  Claudiique  monumenta  re- 


•^fl^i^i 


«  paravit  »;  Dion,  Vespasiano  .vi.  et  Tito  .iv.  consulibus  templum  Pacis 
dedicatum  scribit:  Plinius  inter  mirabilia  Urbis  posuit.  Incensum  id 
tempore  Commodi,  quod  in  haec  verba  (ut  transtulit  Politianus)  narrat 
Herpdianus  :  «  Totum  de  improviso  templum  Pacis  consumptum 
«  incendio  est ...»  &c. 

Ruinae  huius  exlant  ingentes,  qua  iam  posui  forma,  ac  columna 
quaedam  marmorea  summae  pulcritudinis,  cuius  spirae  summae  la- 
titudinis  ex  solido,  ut  videtur,  lapide,  tantae  crassitudinis  ut  tribus 
ulnis  vix  amplectatur.  Vide  losephum,  Hieronimum,  luvenalem,  Mar- 
lianum lib.  Ili  (2). 

Proximum  est  coenobìum  S.  Mariae  Novae,  quod  et  Oliveti  no 
men  habet.  In  hortis  duo  fornices  vetustate  collapsi,  e  regione  inter 


(i)  Questo  breve  cenuo  del  n  palazzo  Maggiore  »  e  talmente  infarcito  di  errori  che 
non  merita  esame. 

(2)  La  colonna  della  basilica  Massenziana  trasferita  a  S.  Maria  Maggiore  da  Paolo  V. 


6S  qA.  "Buchellius 


se  positi  conspiciiintur,  quos  Victor  videtur  Isidis  et  Serapidis  di- 
cere, cuius  porticum  fccerat  Doniitianus  imperator.  Marlianus  vero 
relliquias  putal  templi  Solis  et  Lunae;  quae  tamen  divcrsis  nominibus 
conveniunt  codem  significatu.  Pomponiiis  Laetus  Aesculapii  et  Sa- 
lutis  dicit;  Poggius,  Castoris  et  Pollucis.  Hic  exorcismata  peraguntur 
et  daemones  imniundi,  ut  narrant,  eiiciuntiir,  cuius  rei  vide  prolo- 
gum  cum  epilogo.  Est  et  hic  ex  candidissimo  marmore  restauratum 
sepulcrum  cum  epitaphio  Gregorii  XI  Lenionicensis  papae  qui  ex 
Avenione  sedem  Romam  reduxit.  Quod  vide  in  meis  Epitaphiorum 
libellis  (0. 

Hinc  arcum  Titi  Vespasiani  imperatoris,  cuius  scuiptura  excel- 
lens  apud  Caulaeum  videre  est,  et  passim  ivpis  aeneis  circumfcrtur 
expiessa  (2).  Transiens,  statini  eius  principia  amphiieatri  apparcnt  am- 
plissima vestigia,  cui  is  et  addiderat  thermas,  quarum  meminere  Sue- 
tonius  et  A.  Gellius.  Appiae  quoque  aquae  nonnullae  relliquiae, 
quam  CI.  Appius  Caecus  primus  in  urbem  invexit,  ut  populo  rem 
gratam  faceret,  per  .vili,  vel  .x.  mill.  sine  Senatus  authoritate  et 
invita  nobilitate,  cuius  originem  et  formam  vide  apud  Frontinum,  qui 
addit  et  liane  ab  Agrippa  restauratam,  quod  et  Dion  in  Octavio  vidc- 
tur  innuere,  cursumque  Aventinum  et  Tyberim  versus  deflectit  (3). 

Circa  liortos  Mariae  Novae  versus  amphiteatrum  fuere  busta 
Gallica,  qui  locus  nunc  vulgo  dicitur  Portogallo.  De  carinis,  quae 
prope  Telluris  aedem  et  Pompeiorum  domibus,  quae  circa  Capito- 
lium  videndi  Victor,  Marlianus,  Laetus  et  Suetonius  in  lib.  De  illti- 
strib.  grammalicis.  Arcum  inde  Constantini  marmoreum  pulcherri- 
mum,  cuius  forma  cum  elogio  lypis  excusa  habctur,  transivi  (4):  ubi 
ad  viam  Novam  (5)  est  monasterium  D.  Gregorii,  cui  est  opposita 
pars  Septizonii,  cuius  descriptionem  vide  apud  Georgium  Fabritium, 
qui  dicit  Severi  sepulcrum  esse,  fuitque  septemplici  columnarum 
altitudine,  ex  qua  populus  Romanus  mare  prospicere  poterat.  Mcminit 
liuius  Spartianus  et  Platina,  quamvis  duo  fuisse  videatur,  et  alterum 
ab  altero  loco  distinctum  ;  meminit  namque  Suetonius  et  Septizonii 
apud  quod  natus  fuit  Titus,  diu  ante  Severi  imperium,  estque  illud 
in  Roma  Ligorii  prope  Circum  maxumum,  ut  hoc  nostrum,  cum 
Severi  fuerit  non  procul  thermis  Antonianis. 

(1)  Vedi   LvCAHO,  5.  Maria  olitn  Atitiqua  vuiic  Nofa  al  Foro  Romano,  Roma,  1900. 
Sul  sepolcro  di  Gregorio  XI  vedi  Lakciaki  in  Bull.  ardi.  coni.  XXI,  189;,  p.  272,  tav.  xii. 

(2)  Rame   del  Lafreri   IS4S. 

(3)  Forse  allude  alla  Meta   Sudarne,  non  essendovi  altra  fcqua  vicina  al  Colosseo. 
{t)  Il   rame  originale  del  Lafreri,  riprodotto  qu.ittro  volte  prima  della   fine  del  se- 
colo XVI. 

(5)  Credo   intenda  r'cordare  la  via  di  S.  Gregorio,  spianata  e  dirizzata  per  la  venuti 
di  Carlo  V. 


Iter  Italicum 


69 


Si  post  D.  Gregoriuni  asccndas,  stabit  ob  oculos  templum 
DD.  Ioaiinis  et  Pauli,  quo  titillo  full  cardinaiis  Adrianus  popularis  no- 
ster,  eius  nominis  VI  pontifex  Romanus  (i),  et  post  cum  Enchafortius 
episcopus  Traiectensis.  Huìc  vicinum  templum  D.  Mariae  in  domi- 
nica,  in  cuius  area  est  navis  marmorea,  cuius  rei  symbolum  nescio, 
hinc  cogiiomen  Navicellae  adeptum. 

Nec  longe  abest  templum  D.  Petri  ad  vincala,  ubi  cathenae, 
quibus  ille  dicitur  vinctus  in  carcere  (ut  in  apostolorum  Actis  le- 
gitur),  reservantur.  Item  pars  clavis  Domini,  et  relliquiae  Machabeo- 
rum  fratrum  (2).  Sepulcrum  hic  quoque  lulii  II  pontificis  maximi  exi- 
miae  sculpturae  marmoreum  Michaelis  Angeli  Bonarotae  manu 
artificiosissima  factum  monstratur. 

Sunt  in  Urbe  duo  lurres,  gotticis  vel  germanicis  saltem  tempo- 
ribus erectae,  et  ut  videtur  factiosorum  civium  propugnacula,  Co- 
mitum  una,  Militiae  altera  dieta  fuit,  non  procul  a  foro  olim  Nervae, 
cuius  extant  adhuc  haec  relliquiae. 


Inchoaverat  id,  teste  Suetonio,  Domitianus,  perfecitque  Nerva. 
Vide  Pausaniam,Spartianum  in  Alexandro  Severo.  Vulgus  vocatur  hic 
locus  prò  arca  Nervae,  arca  Nohe,  errore  in  multis  usitato.  Vicus 
Cyprius    qui    et  Sceleratus    dictus,  ab    impio  Tulliae  facinore,  non 


(i)  La  dignità  cardinalizia  col  titolo  dei  Ss.  Giovanni  e  Paolo  fu  conferita  al  Flo- 
rent  da  Leone  X,  a  richiesta  dell'  imperatore  Massimiliano  che  già  gli  aveva  aifidata  l'edu- 
cazione di  Carlo  (V)  suo  nipote. 

(2)  Il  sarcofago  diviso  in  sette  ricettacoli,  nei  quali  o  condita  erant  ossa  et  cineres 
«  sanctorum  septeni  fratrum  Machabeorura  »  fu  scoperto  a  pie  dell'altare  maggiore  nella 
prim.ivera  del    1S76. 


70  q4.  ^itchclliiis 


procul  a  clivo  olim  fuissc,  qui  nunc  :\d  tcmpkini  D.  Pctri  (cuius 
.XV.  ab  hinc  linea  meniini)  in  vinculis  ducit.  Vide  Marlianum  libro  III 
Antiq.  Rem.  cap-  .XXIV. 

December. 

Fxiil  Hyenis  Latium  trepidaiis  vix  intrai  in  orhcm, 
Komaqiic  Vestali  tuta  sat  igne  calet. 

Kal.  Descedens  Capitoliuni,  ad  radiceni  ubi  nunc  sunt  liorti 
virides  (O,  inter  aedem  S.  Hadriani  in  tribus  foris,  olim  Saturni,  a 
Pascali  II  pontifico  Romano  consecrati  et  templum  Basilii,  optunii 
imperatoris  \ervae  t'ori  relliquias  calcavi,  quod  a  Domitiano  inchoatum 
puto.  et  ad  forum  Traiani  perveni,  quod  ut  miraculum  mundi  cele- 
brat  Cassiodorus,  et  gigantaeis  operibus  comparatur  a  Marcellino. 
Formnm  ex  nunmio  aureo  dat  Gabriel  Sitnoneus  Florentinus  in  Dialogis. 
Vopiscus  praeterea  author  est  clarorum  virorum  statuas,  quemad- 
modum  et  in  Augusti  foro,  fuisse  collocatas.  In  huius  medio  coiumna 
stat  ex  pario  marmore  mirabilis,  artilìciosissima  manu  et  sculpturae 
rationibus  illustris,  cuius  forma  typis  excusa  fertur.  De  hac  sic  Xy- 
philinus:  «In  foro  suo  columnam  maximam  collocavit  partim  se- 
«  peliendi  sui  causa,  partim  ut  opus  quod  ipse  circa  forum  fecerat 
«  posteris  ostenderet  Nam  eum  locum  tnontosuin  quanta  est  altltudo 
«  columnae  perfodit,  forumque  eo  pacto  complanavit  ».  Statuam  huic 
super  ìmpositam  scribit  Victor,  ac  sub  eo  sepultum  Traianum.  Eutro- 
pius  hunc  solum  in  urbe  (an  vere  nescio)  sepultum  tradit  in  urna 
aurea,  columnamque  altam  dicit  .CXL.  pedes,  quem  sequitur  Platina; 
Marlianus  vero  .cxxviii.,  alii  .cxxiii.  pedum  faciunt.  De  qua  plura 
vide  apud  Georgium  Fabritium,  aliosque  Rotnanae  urbis  illustratores, 
Marlianum,  Flavium  &c.,  Angelum  Roccam,  Modium  Triumph.  pandect. 
tom.  I,  lib.  I. 

Vicinum  est  templum  rotundum  novum  quod  sodalitas  Loretana 
condidit,  a  quo  ad  pallatium  D.  Marci  (ut  vocant),  a  Veneto  ponti- 
ficc  Romano  extructum,  deveni,  cui  adstat  templum  aliquod,  ubi  vidi 
sepulcra  Fregepanorum,  Marii  Francisci  aliorumque  eiusdetn  fami- 
liae  ac  epitaphium  Petri  Gillii,  multis  pcregrinationibus  illustris, 
quod  est  in  Epitaphionnii  meorum  libellis  (2). 

Hinc  per  viam  Flaminiam,  quam  nunc  Curtiain  (3),  a  Bacchan- 

(l)  Gli  orti  del   Pantano,   prosciugato  e  colmato  da  Pio  V  e  dal  cardinale  Bonelli. 

(l)  I  sepolcri  della  famiglia  Frangipane,  e  quello  dell'  archeologo  esploratore  Pierre 
Gilles  da  Alby,  fitto  erigere  dal  cardinale  Giorgio  d' Armagnac,  non  istanno  in  S.  Marco 
come  vuole  l'autore,  ma  in  S.   Marcello.  Vedi   Fokcklla,  op.   cit.   M,   ;o6,    307. 

(j)  Questi  aggettivi  alla  AJinolfi  sono  molto  graditi  all'autore,  al  quale  si  deve 
pure  la  creazione  del    «  mons  Ciballinus  »,   della   ■•  S.   Maiia  Populana  »  &c. 


Iter  Italicum  71 


tium  cursubiis,  vocant,  ad  Canipum  olini  Martium  veni;  nam  post 
exactos  reges,  populus  direpta  domo  regia,  agruni  Tarquiniorum 
Marti  sacravit,  qui  inde  dictus  Campus  Martius,  fuitquc  extra  urbis 
portas,  ut  videtur  innuere  Appianus  ;  de  quo  plura  apud  Strabonem. 
Vocatus  fuit  et  Tvberinus  a  flumine  cui  adiacet.  Incipiebat  ubi  nunc 
S.  Laurcntii  aedesin  Lucina  et  ad  pontem  usqueMilviuni  protendebatur. 
Fiebant  in  eo  exercitia  quacque  ludicra,  de  quibus  Horatius: 

Cur  apriciim 
Oderit  campimi  paticiis  piilveiis  atque  solis  &c. 

In  eundem  Julius  Caesar  locum  effodit  et  naumachian  edidit,  ubi  post 
templum  Martis  quantum  nusquam  esset  fecit.  Huius  naumachiae 
putant  relliquias  extare,  non  procul  a  monte  Trinitatis,  olim  Collis 
Hortulorum  (i).  Hic  quoque  tribus  vocabantur  ad  comitia,  ad  novos 
magistratus  creandos,  virorum  quoque  illustrium  cadavera  crema- 
bantur,  ut  de  Svila  Appianus  scribit,  et  hic  funera  imperatorum  in 
divorum  numerum  referendorum  ecferebantur,  ut  late  apud  Hero- 
dianum  et  Lipsium  in  Satnnidlihus.  In  hoc  etiam  loco,  Sulla  quatuor 
hominum  millia  ut  Florus,  vel  .ix.  millia  ut  author  Fironim  ilhistr. 
et  ut  Valerius  Maximus,  quatuor  legiones  Marianas,  contra  fidem 
publicam,  trucidari  iussit  (2). 

Tribunal  in  Campo  Martio  fuisse  refert  Vopiscus  in  Taciti  vita. 
Ad  septa  campi  Martii,  columna  est  coclidis  Antonini  (3),  a  qua  haec 
regio  nomen  habet,  altitudine  176  pedum,  cum  interiori  cochlea  et 
gradibus  104,  fenesteljis  156.  luxta  septa  olim  via  Lata  usque  ad 
Capitolium,  cuius  relliquiae  hodie  extant  in  platea  Sciarrae  (4). 

Fuit  et  hic  via  fornicata  ad  usum  militum. 

Templum  olim  Lucinae,  de  quo  supra,  sacellum  habet,  ubi  olim 
basis  illa  nominatissima  et  horologium  quod  superioribus  annis  ef- 
fossum,  miraculi  instar  fuit  (5). 

Huic  prope  est  arcus  Domitiani,  qui  nunc  vulgo  Tripolii  et  Por- 
tugalli,  quod  Lusitanorum  habitationes  hic  fuerint.  Dionis  abbreviator: 


(i)  Su  pretesi  avanzi  della  «  Naumacliia  inter  Hortos  »  vedi  Bull.  arch.  corti.  1894, 
XXII.  297. 

(2)  Queste  vaghe  erudizioiii  dell'  autore  si  riferiscono  rispettivamente  alle  «  Septa 
"  lulia  »,  alla  piramide  o  mela  di  S.  Maria  de'  Miracoli,  all'  ustrino  Augusteo  ai  o  Quattro 
u  Cantoni  »   ed  alla  Villa  pubblica,  teatro  delle  stragi  sillane. 

(3)  Corr.   <i  divi  Marci  ». 

(4)  Forse  allude  all'  arco  o  fornice  di  Claudio,  gli  avanzi  del  quale  sono  stati  ca- 
vati in  piazza  di  Sciarra.  Uno  de' bassorilievi  (HtLBiG,  Guide,  I,  407,  n.  $47)  dell'arco 
stava  ancora  affisso  sul  prospetto  della   casa   Cafano,  quando   l'autore  visitava   Boma. 

(5)  Sul  pavimento  del  «  Solarium  Augusti  »  con  i  segni  dei  venti  a  mosaico,  e  con 
le  linee  della  meridiana  di  metallo  dorato  vedi  Dl  Rossi,  Noie  di  lopogr.  romana  in  Sludi 
t  doc.  di  slorla,  a.    i88j,  p.   49  sg. 


72  QA.    anelici  li  US 


«  Fuere  »,  inquit,  «  arcus  triuniphales  qiios  ei  [Domitiani]  pliirimos 
«  fecerant,  disturbati»;  de  hoc  Martialis: 

Siat  sacer  et  domitis  gentibus  arcus  ovaiis. 

Vide  de  hoc  Fabritiuni  in  Roma,  et  Marlianum  (i). 
Non   procul  hinc,  legi    in  marmore  hanc    inscriptionem    sepul- 
craleni: 

Dis  Manibus  :  Ceroniae  L.  F.    Thaidis  |  Uxoris  optimae  |  Agatho  Aug.  lib.  {2). 

Hinc  tempia  D.  Augustini  et  S.  lacobi  Incurabiliuni,  cuni  nosocomio 
miserabilium  conspiciuntur.  Circum  haec  loca  et  versus  coUem  Hor- 
tulorum  habitant  mulieres  publicae,  quemadmodum  in  Esquiiiis  olim 
et  ad  Circum  in  ccllis  antrisque  subterrancis,  ut  autores  sunt  Lam- 
pridius  et  luvenalis  (j). 

Proximum  est  templum  S.  Rochi,  ubi  ruinae  mausolei  Augusti 
Caesaris  sepulturae  destinati,  in  quo  plerique  omnes  Caesarianae  fa- 
niiliae  conditi.  Nani  Suctonius  scribit:  «  Caium  matris  patrisque  ci- 
«  neres  mausolaeo  condidisse  »,  quod  et  in  Carmine  ad  Liviam  innuit 
quisquis  fuerit  author;  quin  et  successore»  imperatores  eo  condi  so- 
lere indicare  videtur  Xyphilinus,  qui  dicit  Adrianum  molem  suam 
sepulcralem  eo  extruxisse,  quod  mausoleum  iam  esset  plenum.  Hoc 
ad  exemplum  Cariae  regis  Augustus  .vi.  consulatu  fecerat,  circumie- 
ctasque  silvas  et  ambulationcs  in  usuni  populi  iam  tum  publicarat, 
unde  miror  quid  Xyphilinus  Dionis  epitomator  scribat,  Liviam  et 
Tiberium  ei  in  Urbe  sepulcrum  aedificasse,  idque  Senatus  decreto. 
Occupabant  eius  nemora  totani  planitiem  quae  est  inter  Tyberim 
et  S.  Mariam  Populanam.  Descriptionem  huius  vide  apud  Fabritium. 
Obeliscus  hic  alter  latet,  alter  vero  qui  diu  ante  templum  in  multas 
confractus  partes  iacuit  in  area  D.  Mariae  maioris  erectus  conspi- 
citur  (4). 

Cum  pergerem  ad  portam  Flaminiam,  templum  huic  fere  con- 
tiguum  S.  Mariae  de  Populo,  a  quo  et  porta  hodie  nomen  habet, 
intravi,  ubi  plurimas  votivas  tabellas  suspensas  vidi,  et  marmor  quo 
Sixtus  IlII  hoc  plurimis  privilcgiis  ornarat  (5);  quem  eius  nominis 
quintus  pontifex  hodiernus    insecutus,  in  locum  D.  Sebastiani  extra 

(1)  Sull'arco  di   Portogallo   vedi   Bull.  aich.  com.    1891,    XIX,    18  sg. 

(2)  Vedi  Corpus,   n.    1463S. 

(})  Il  quartiere  delle  cortigiane,  gi.i  all'Ortaccio  nelle  vicinanze  di  piazza  Condo- 
pula  (Monte  d'Oro),  passò  dall'altra  parte  del  Corso,  tra  gli  Orti  alle  Fratte  e  la  via 
Paolina  (del  Babuino),  sul  principio  del   Seicento. 

(4)  Il  secondo  obeli;co  del  mausoleo  fu  cavato  nel  1781  da  Pio  VI,  e  collocato  tra 
i  colossi  del  Quirinale. 

(5)  Vedi  Forcella,  cp.  cit.   I,   319,  nn.   1196,   1197. 


Iter  Italicuììi  73 


muros  substituit,  et  patriarcali  honore  celebravit.  De  nomine  Populi 
haec  narrantur:  hic  olim  populum  ingentem  stetisse  Neroni  dicatam, 
quam  postea  quidam  pontifex  quod  ex  ea  demon  christianos  praete- 
reuntcs  saepe  laederet,  sustulit  et  templum  in  honorem  D.  Virginis 
Matris  fecit.  In  hac  aede  lacob.  Sansovinus  fecit  ex  marmore  duo 
sepulcra  illustri  artificio  :  Ascanio  Mariae  Sfortiae  et  Hieronimo  Sa- 
vonensi  cardinalibus.  Hic  quoque  sepulcrum  cum  epitaphio  Hermolai 
Barbari  Veneti,  viri  clarissimi  doctissimique  (i).  Pius  IV  pontifex 
portam  Flaminiam  aperuit,  ut  refert  Ferrutius  in  additamentis  ad 
Marlianum,  et  viam  Flaminiam  stravit,  multisque  in  locis  renovavit, 
ac  ipsi  portae  imposuit  marmor  lioc  epigrammate  : 

l^ius  IllI  Pont.  Max.  portam  in  liane  amplitudinem  extulit,  viam  Flaminiam  stra- 
vit, anno  .m.  (2). 

Sixtus  V  ante  tetnplum  D.  Mariae  Populanae  erigi  curavi:  obe- 
liscum  ex  Circo  Maximo  traductum  et  literis  hverogliphicis  notatum, 
altum  .evi.  palmas,  citra  basim,  in  qua  antiqua  inscriptio: 
Augusti  Caesar.  imp  .xii.  Cos.  .xi.  Trib.  pot.  .xiv. 

Extat  haec  apud  Angelum  Roccam  lib.  de  bibì.  Valic.  et  in  ap- 
pendice. 

Eodem  die  Urbem  egressus  porta  Flaminia,  per  pontem  Milvium 
ultra  .M.  passus  ab  Urbe  distantem,  et  a  M.  Scauro  Sullae  tempo- 
ribus primum  factum,  deinceps  multotiens  ruptum  restauratumque, 
ut  indicant  vestigia,  transiens,  iter  Fiorentiam  versus  arripui;  ubi  .v. 
ab  Urbe  lapide,  iuxta  viam  Aemiliatn,  vidi  marmoreum  sepulcrum, 
emblematibus  ornatum  et  epigrammate,  quod  vix  legere  potui.  Credo 
tamen  ab  aliis  cum  sit  publicum  lectum  et  collectum,  quare  ne  frustra 
laborem,  hoc  tantum  principium  descripsi: 
E).  M.  S.  :  C.  Vibi  P.  F.  Mariani  &,c.  \  Reginae  maximae  matri  |  karissimae  (4). 

Paulum  progresso  occurrebat  Alexander  Farnesius  cardinal  diu  in 
Urbe  expectatus  (4). 

In  vinea  Carpensi  est  inscriptio,  cuius  meminit  Smetius  fol.  23, 
huic  addita  sculptura  Herculis  contra  Geriones,  tres  viros  armatos, 
pugionibus  et  galeis  pugnantes. 

(i)  Sulle  mirabili  opere  del  Sansovino  in  S,  Maria  del  Popolo,  vedi  Enrico  Mac- 
CARi  nel  periodico  L'Arie,  a.  Ili,  fascicoli  v-vui,  maggio-agosto  1900,  p.  241  sg.  Sul 
sepolcro  del  Barbaro  vedi  Forcella,   op.   cit.   I,  327,  a.   1732. 

(2)  Nel   1561. 

(3)  Dato  in  rame  da  Antonio  Lafreri  nel   1551. 

(4)  Il  «  Gran  Cardinale  »  tornava  probabilmente  dal  suo  castello  di  Caprarola. 
Mori  in  Roma  nel  1589,  circa  un  anno  dopo  l'incontro  col  Buchell  alla  «  Sepoltura  di 
«  Nerone  ». 


74  C/^-  'Bitc/iL'lIiiis 


II.  Aliquot  vicos  ignobiles  prnetergrcssus,  ad  Montem  Kossum 
perveni,  ubi  cum  ex  spina  pedcs  lacsissem,  ac  inde  ulcus  natum 
esset,  de  reditu  cogitavi  (i). 

Summa  olim  Romae  fuerit  cloncarum  largitas  neccsse  est,  cum 
Dionis  epitoniator  dicat,  Neronom  media  nocte  per  cioacam  in  Ti- 
berim  navigasse. 

De  martyrum  cultu  qualis  olim  fuerit  testatur  Cyprianus,  me- 
minil  Marcellinus  ethnicus  author  his  verbis:  «  Q.uorum  memoriam 
«  apud  Mediolanum  colentes  nunc  usque  Ciiristiani,  iocum  ubi  se- 
«  pulti  sunt  ad  Innoccntes  appellant  »  et  quae  paulo  post. 

Nescio  an  Montem  Rossum  dicam  Saxa  rubra  esse,  quorum 
meminit  Cicero  in  Philippicii  et  Livius,  lib.  2. 

[Secundo  ab  liinc  folio,  ubi  de  tempio  S.  Petri  ad  vincla  ago, 
hoc  addendum  epitaphium,  quod  in  antiqua  tabula  pavimenti  exstat: 

Io.  II  P.  R.  Salbo  papa  N.  lohanne  cognomento  Mercurio  ex  sanctae  licci.  Pom. 
presbiteris  ordinato  ex  tit.  S.  Cleiiiciitis  ad  gloriam  pontifìcalem  promoto 
beato  Petro  ap.  patrono  suo  a  vinculis  eius  Scverus  presb.  otTert  et  it.  P.  C. 
Lampadi  et  Oresiis  ..mcc.  urbiciilus  C'erdinus  est  (2). 

Est  in  vinea  Carpensis,  cuius  hoc  folio  supra  memini,  Herculis  statua 
Hvdram  crinibus  tenentis,  quae  usque  ad  pubem  tota  foemina  est  pe- 
dibus  in  angues  duos  desinentibus]  (5). 

IV.  Per  viam  Cassiam  non  procul  a  monte  Mario,  in  quo  olim 
Marianus  exercitus  priusquam  Urbem  intraret  se  continuit,  porta  Petri 
Romam  reversus  sum.  Quo  die  tria  haec  vidi:  Sixtum  V  cum  suo 
comitatu  ad  templum  Virginis  maioris  pergentom,  hoc  ordine:  prae- 
cedebant  cardinales  multi  suis  lecticis  et  vehiculis,  cum  omni  famu- 
latu  sequebantur  insidentes  mulis  episcopi,  galeris  viridi  colore  fim- 
briatis  ;  inde  familia  pontificia  in  equis,  purpureis  vestimentis  conspicua; 
post  hos  ipse  pontifex  in  lectica  holoserica,  familiari  habitu,  duobus 
mulis  portabatur,  et  facto  digitis  primis  signo  crucis,  circumstanti 
populo  benedicere  videbatur,  ad  cuius  adspectum  genua  in  terram 
flectebantur.  Circuibant  lecticam  corporis  custodcs  Helvctii  milites, 
tergumque  daudebat  ala  equitum  lanceatorum  saga  purpurea  in  si- 
gnis.  In  oppido  hinc  Leonino  genus  supplirli  Italis  familiare,  quod 
vocant   la    corde;  condemnatus  vinctis  in  tergum  manibus  inverso 


(1)  Allude  probabilmente  all'osteria  di  Grotta   Rossa  sulla  Flamini.-!. 

(2)  Vedi  Armellini,  Chiesi,  p.  209.  L'iscrizione,  che  appartiene  all'.-inno  532,  è 
pessimamente  trascritta  dall'autore 

(])  La  descrizione  di  questo  gruppo  manca  nel  catalogo  dell'  Hondio  (p.  16  sg.). 
Il  cardinale  possedeva  due  antiquari!;  il  primo  nelle  «  dilitie  antiche  >•  sul  dorso  del  Qui- 
rinale, gli  «  horti  Carpenses  »  degli  epigrafisti:  il  secondo  nel  pala^czo  e  giardino  del 
Campo  Marzio,  passato  dopo  la  sua  morte  a  Baldovino  del  Monte. 


Iter  halicum  75 


ordine,  fune  ex  alto  violcnter  deniittebatur  ad  terram  usque  qua  vi 
brachiorum  iuncturae  rumpebantur  (i).  Et  circa  vesperum  funus  car- 
dinalis  Sabelli.  lacebat  in  Icctulo  cadaver  liabitu  solcnini  cardineo, 
dormire  credidisses,  mortis  ignarus  ;  praecedebant  taedae  innumerae; 
sequcbantur  atrati  ex  familia  cuncti  (2). 

V.  Pontifex  cum  statuam  aeream  D.  Petri  columnae  Traiani 
ìmposuisset,  tormentis  bombardariis  ex  mole  Hadriaiii  explosis  aliis- 
que  ceremoniis  dedicavit  (j). 

[T.  Rhenessius  (4)  mihi  narravit  se  vidisse  Romae  lapidem  anti- 
quum  in  quo  mentio  fiebat  magistri  Campi  et  Ballionum,  unde  con- 
staret  clini  plures  ibi  fuisse  ludaeorum  synagogas]  (5). 

VI.  Hoc  die  tractum  Urbis  versus  portam  Collatinam,  quae 
simul  cum  via  Collatitia,  ab  oppido  Collatia  non  procul  Urbe  deno- 
minata fuit;  nunc  vero  Pinciana,  a  Pinciano  senatore  dieta,  peram- 
bulavi.  Circa  liane,  Sulla  gravissimo  praelio  contra  Marianos  duces 
conBixit.  Mons  hic  Pincius,  qui  et  collis  Hortulorum,  ubi  templum 
Trinitatis,  fratrum  franciscanorum,  liberalitate  regis  Francoruni  alio- 
rumque  piorum  non  ita  dudum  rcstauratum,  pulcherrimaque  pictura 
ornatum.  Sub  hoc  tempio  locant  quidam  naumachiam  Augusti  (cuius 
supra  memini)  et  extant  fornicum  relliquiae  et  multa  concavitas  (6). 
luxta  hoc  templum  sunt  horti  Mediceorum  pulcherrimi,  ubi  leones 
aliaque  animalia  exotica  servantur  (7).  Nec  procul  bine,  ad  montis 
radicera  est  coUegium  templumque  Graecorura,  a  Gregorio  XllI  Ro- 
mano pontifice  conditum. 

Sixtus  V  anno  1588  templum  Hieronimianum  (aedicula  fuerat 
vetusta,  cuius  tutelaris  F.  Felix  de  Montealto  cardinalis)  a  funda- 
mentis  erexit  (8). 


(i)  Di  questi  luoghi  destinati  alla  punizione  dei  contravventori  agli  editti  del  go- 
vernatore di  Roma  rimane  tuttora  memoria  nel  «  Forno  della  Corda  »  in  via  del  Corso, 
nel  11  vicolo  della  Corda  »  nelle  piante  prospettiche  del  Seicento  iic.  La  Cord.i  di  Borgo 
stava  di  contro  alla  n  Curia  »  o  ufficio  di  polizia,  con  le  annesse  carceri,  residenza  del 
bargello,   e  archivio   del  notariato   criminale. 

(2)  Il  cardinale  Giacomo  morto  a  65  anni  nel  1587.  Ai  suoi  tunerali  assisterono 
trentanove  cardina'i  e  cinquanta  prelati,  per  udire  1'  elogio  funebre  scritto  da  Pompeo 
Ugonio.  Fu  sepolto  nella  chiesa  del  Gesù,  a  piedi  dell'altare  di  sant'Ignazio, 

(3)  Vedi   FtA,  Misceìlanta,   II,   g  sg.  ;   Bertolotti,   Artisti  lombariìi,   I,   75   sg. 

(4)  Compatriota  e  amico  di  Buchellio. 

(5)  Allude  alla  pietra  sepolcrale  di  Betulia  Paula  (tra  i  proseliti,  Sara),  morta  a 
86  anni  e  6  mesi  rivestendo  la  dignità  di  madre  della  «  Synagoga  Campi  et  Bolumni». 
Vedi  BtRLiNLp,   Gcschichte  der  Jiulen  in  Rom,  I,   76,   n.  27. 

(6)  Vedi  Lanciani,  Gli  orti  Acilioruin  sul  Piucio  in  BuH.  arch.  coni.  1891,  XX, 
132  sg   ;  Id.  Forma  urbis  Romae,  tav.   I. 

(7)  Credo  inedita  questa  notizia  sujla  ireiingerie  del  cardinale  Ferdinando. 

(8)  S.  Girolamo  degli  Schiavuni. 


7  6  C^.  "Buche!  lì  US 


VII.  Per  forum  olim  Suarium  iuxta  palatium  Columnensium, 
recta  via  tetendi  in  montem  Qiiirinnlem.  Forum  hoc  iam  maxima 
ex  parte  hortìs  est  occupatum.  Mons  vero  Quirinalis  nunc  Caballinus, 
ab  equis  marmoreis,  quos  sessores  pedites  frenis  rctincnt,  vocatur. 
Opus  hoc  Praxitelis  et  Phidii  ccleberrimorum  sculptorum  dicunt,  a 
Tiridatc,  Armeniorum  rege,  Romam  deiatum.  Quirini  nomen  a  tempio 
Quirini  defluxisse  refert  Varrò,  cui  adstipulatur  Ovidius: 

Tempia  Deo  faciunt,  Collis  quoque  dictus  ab  ilio  est. 

Xyphilinustamen  scribit  Augustum  templum  Quirini  extruxisse,  76  co- 
lumnis,  quot  annos  vixerat,  nisi  hanc  restaurationem  dixeris.  Huius 
quaedam  vestigia  extare  dicuntur,  quemadmodum  et  peramplae  rel- 
liqiiiae  thcimarum  Constantiarum. 

Palatium  hic  suum  habet  pontifex  aestivale,  ob  aurae  frigidioris 
lenimentum,  multis  arboribus  hortisque  cultissimis  insigne.  Est  et  hic 
turris,  quam  ex  ornamentis  Soli  attribuunt.  Est  item  aedes  S.  Vi- 
talis,  quam  olim  Salutis  fuisse  credunt,  ab  lunio  Bubulco  dicatam  et 
a  Fabio  pletore  coloribus  ornatam. 

Hinc  versus  portam  Salariam  undc  via  Salaria  extra  Urbem,  a 
sale,  quod  e  Sabinis  adveheretur,  dictam,  olim  etiam  Quirinalis  et 
Agonalis,  nunc  Collina.  Extant  vestigia  hortorum  Salustianorum  in 
valle  profunda,  vulgo  Salusticum  vocant,  cui  adhaerebat  forum  Sa- 
lustii,  inter  templum  S.  Susannae  et  portam  Salariam.  Hoc  emit 
Salustius  post  practuram  Africanam  cuni  hortis,  de  quibus  Plinius  et 
Vopiscus.  Nec  procul  ab  hoc  fuit  templum  Veneris,  ubi  ingens  proe- 
lium  dubia  Victoria  inter  SuUam  et  Marianos  accidit,  ut  Appianus 
author,  qui  et  portam  crate  iam  tum  ferrea  munitam  refert 

Vili.  Vidi  Ugoncm  Lobencum  Alvernum,  magnum  Rhodiorum 
magistrum,  Romam  quam  plurimis  comitatum  sacris  cquitibus  Me- 
litanis  intrantem,  occurrentibus  purpurei  Scnatus  in  mulis  domino- 
rum  famulis,  galeris  cardineis  in  tergum  pendentibus  ornatis.  Ubi  in 
Capitolium  perventum  esset,  variis  musicis  instrumentis,  quibus  ite- 
rum  ad  molem  Hadriani  pontemque  Aelium  exceptus  fuit  (i). 

Quo  tempore  templum  DD.  Bonifacii  et  Alexii  perlustrando,  vidi 
Alexii,  ut  mystogogi  narrabant,  corpus,  dicebaturque  D.  Virginis 
imago,  quae  in  Edissa  urbe  locuta  fuerat,  ibidem  conservare  Huius 


(1)  Ugo  de  Loubens  de  Verdalle,  gran  priore  di  Tolosa,  generale  di  artiglieria  e 
gii  ambasciatore  di  Malta  a  Roma,  eletto  gran  maestro  il  12  gennaio  1582.  L'ingresso 
trionfa'e  del  quale  parla  l'autore  ebbe  luogo  sui  primi  del  1587.  11  gran  maestro  era 
accompagnato  da  trecento  cavalieri,  e  prese  alloggio  in  Vaticano  nell'appartamento  già 
abitato  da  Carlo  V  e  da  Cosimo  I.  Sisto  V  lo  creò  cardinale  dell'Ordine  dei  diaconi 
nel  concistoro  del  18  dicembre   1S87- 


Iter  Italicum  77 


fabulae  vcl  ut  nilhi  vidctur  ab  inipcritis  honiinibus  confictac  historiae 
meminerunt  legendae  istiusmodi  superstitiosis  prodigiis  plenae,  et 
testatur  Cbroiiicon  Martinianum  eiusmodi  nugis  refertum  (i). 

In  pavimento  lioc  legebatur  mediae  antiquitatis  epitaphium: 

Heu  scelus  elusae  verbis  fallairibus  Evae 

Quo  quasi  fermento  solvitur  omnis  lioino, 
Forma  venusta  nimis  putris  est  sub  marmore  pulvis, 

Squallet  et  in  tencbris  forma  venusta  nimis, 
Dum  steterat  solido  pioducta  geniminc  claro, 

Clarior  ipsa  quidem  vicerat  ore  diem 
Foemina  divcs  opum,  divcs  quoque  foeniina  niorum, 

Ubertim  binis  accumulata  bouìs 
Quae  miserans  multis,  multum  dispersi!  egcnis, 

Non  abigens  Christi  membra  minora  Dei. 

Domum  redicns  praeterivi  templum  Crucifìxi;  quod  est  pulchris 
inventionis  S.  Crucis  picturis  ornatum,  in  cuius  vestibulo  legebatur: 

Santissimi  Crucilìxi  ;  ampliss.  sodalitas  [  Alexandre  et  Ranutio  |  Farnesiis  |  S.  R.  E. 
episcopis  I  Cardinalibus  patronis  |  Adiuvantibus  |  Oratorium  hoc  extruxit  et  | 
ornavit  ann.  1568  (2). 

IX.  Ut  in  praxi  Romana  me  exercerem  paululum,  conveni,  in- 
tercedente Philippe  Hurnio  Buscumducensi  amanuensi,  cum  Antonio 
Guidotto  Romani  archivii  notarlo,  de  dando  ei  scribendo  operani. 
Fuerat  hoc  archivium,  non  ita  nuper  a  Celesio  Franco-Gallo,  e  variis 
scribarum  officinis,  in  unum,  pontificis  authoritate,  collectum  (3). 

X.  Per  altani  semitam  a  thermis  Constantinianis  et  dorso  Qui- 
rinali, ad  portam  Viminalem,  ob  viminum  propinquis  in  locis  fre- 
quentiam  sic  dictam,  oliin  perveni,  quae  et  Figulensis,  quod  extra 
eam  primo  essent  figulinae,  et  Nomentana,  ut  nunc  D.  Agnetis  et 
Pia,  vocabatur.  Nomen  ultimum,  a  restauratore  Pio  IV  papa,  possidet, 
ut  ex  marmore  ibi  collegebatur: 

Pius  mi  pontifex  maximus  pcrtam  Piam  sublata  Nomentana  exstruxit,  viam  Piam 
aequata  alta  semita  duxit. 

Hinc  via  Nomentana  ad  primum  milliare  ingressus  sum  templum,  satis 
pulchrum,  variis  ex  marmore  colurnnis  musiveisque  picturis  ornatum, 
quamvis  longa  vetustate  gravatum,  restauratore  opus  habeat.  Dicitur 


(i)  Sulla  falsità  delle  leggende  riferibili  ai  Ss.  Bonifacio  ed  Alessio,  vedi  Duciitsxt, 
in  Mèlanges  d'arch.  ei  d' hisloire ,  X,   225   sg. 

(2)  L'oratorio  detto  di  S.  Marcello. 

(3)  La  notizia  si  riferisce  forse  all'  archivio  urbano  degli  atti  notarili,  benché  la  sua 
istituzione  dati  non  dal  tempo  di  Sisto  V  ma  di  Pio  IV.  Questo  pontefice  aveva  nominato 
nel  1562  Giulio  dell'Orologio  e  Vincenzo  Stampa  o  custodes  archivii  in  curia  Capitolii 
«  erigendi  prò  scripturis  notariorum  defunctorum  ».  Vedi  Ardi,  di  Stato,  voi.  5920,  e.  49:. 


78  qA.  "Bue  he  Ili  US 


Agnetae  virgini  dicatum.  Aliquot  ad  lioc  gradibu?  ascenditur  (i)  ino- 
nasterium,  vero  huic  additum,  ruinis  iam  proximuin,  descrtumque  pene 
videtur.  Honoriiis  I  pontifcx  condidisse  fertur,  Biondo  et  Platina  te- 
stibus.  In  eius  septis,  turris  est  roiunda  sanctae  Constantiae,  divi 
Constantini  filiae,  dicala.  Dicitque  Platina,  cui  adstipulatur  in  fron- 
tispicio  niarmor,  ab  Alexandre  IIII  pontifice  teniplum  lioc  testu- 
dineum  redditum,  et  ad  cultuni  divinimi  translatum,  qui,  et  suis  ma- 
nibus,  Constantiae  aram  dicavit,  cuius  corpus,  ad  Urbem  translatum 
ab  imperatore  Gallo,  et  in  suburbano  viae  Nomentanae  post  pri- 
nium  lapidem  sepulcro  maiorum  illatum  est,  ut  author  est  Pompo- 
nius  Laetus.  Bacchi  hoc  templum  fuisse  antiquariorum  omnium 
consensus  est,  duplici  ordine  columnarum  varii  marmoris  ornatur, 
sepulcrumque  Constantiae  porphyreticum  ibi  spectatur,  ctiamnum 
pukhcrrimum,  pueris  vinis  ferentibus  et  pavonibus  ornatum;  quare 
vulgus  imperitum  Bacchi  sepulcrum  vocat. 

In  hoc  tempio  papa  feriis  divae  Agnetae  solet  conficere  et  con- 
sccrare  lanani,  ex  qua  pallia  episcoporum  iìunt,  hoc  modo:  cum  in 
niissa  canitur  Agnus  Dei,  super  altare  ponuntur  duo  agni  candidi, 
qvii  hinc  traduntur  subdiaconis  S.  Petti,  hi  mittunt  illos  in  pascua, 
suoque  tempore  tondent,  ex  qua  lana  permixta  reliquae  lanae  quum 
in  filum  deducta  fuerit  parantur  pallia,  latitudinis  3  digitorum,  ab 
humeris  propendunt  in  pectus,  atque  renes,  ad  extremum  sunt  la- 
minae  plumbeae  tenues  eiusdem  latitudinis.  Ad  hunc  modum  contesta 
deferuntur  ad  corpora  Petti  et  Pauli,  ac  certis  ibi  precibus  expeditis 
rclinquuntur  per  noctem  unam.  Altera  die  subdiaconi  recipiunt  et 
honesto  loco  reponunt,  quousque  quis  archiepiscopus  opus  habet, 
qui  vel  per  procuratorem  vel  per  se  dari  petit,  traditis  autem  multis 
cum  caeremoniis  deferentibus  mandatur,  ne  supra  noctem  unam,  si 
modo  fieri  possit,  in  eodem  loco  subsistant.  Ceremoniae  hae  cum 
nugarum  instar  videantur  et  si  puritatem  christianae  fidei  inspicias, 
certissima  censura,  alia  ratione  nec  argumento  malori  probatas  iri 
arbitror,  quam  hac  Livii  scntentia  :  «  Eludant  nunc  licei  relligionem 
«  Romani,  quid  nam  est  si  pulii  non  pascentur,  si  ex  cavea  tardius 
«  exierint,  quid  si  accinerit  avis?  Parva  haec  sunt;  sed  parva  ista 
«  non  contemncndo,  maiores  nostri  maxumam  hanc  rempublicam 
«  fecere  »  (2). 

(i)  Corr.  «  descenditur  •.  La  basilica  era  stata  devastata  nel  Sacco  del  i$27.  La 
restaurò  il  cardinale  Spada  Vcralli  nel  1620,  nella  quale  occasione  furono  ritrovali  gli 
otto  mirabili  rilievi  marmorei,  che  si  conservano  ora  nel  vestibolo  del  palazzo  Spada- 
Capodiferro  (Helbic,  Guidi,  II,  161  sg.),  l'Ercole  che  uccide  1' Idra  ora  nel  museo  Ca- 
pitolino rivi,  I,   29;)  ed  altri  marmi  scritti  e  scolpiti. 

(2^  Sulla  cerimonia  degli  agnelli  e  dei  palili  vedi  te  notizie  ricavate  dall' Armellini 
{CbUie,  p.  8j4)  dall'archivio  di  S.   Pietro  in  vinculis. 


Iter  Italicuììi  79 


XVI.  Obambulans  in  Exquiliis,  ubi  Propertius  olini  habitasse 
dicitur,  qui  lias  vocat  aquosas  hoc  versu  : 

Disco  quid  Exquìlias  liac  nocte  fugarat  aquosas 
Cum  vicina  iiie:s  turba  cucurril  agris. 

Post  varios  viarum  amphractus,  intravi  locum  vulgo  Septem  sale 
dictum,  a  FI.  Vespasiano,  ut  ereditar,  ad  usum  pontificum  factum; 
quod  videtur  indicare  marmor  ibidem  rcpertum,  hac  inscriptione  : 

Iinp.  Vespasianus  Aiig.     Vro  Collegio  Pontificum  1  l'ecit  (i). 

Cum  tamcn  sit  vicinum  tlicrmis  Titianis,  ex  eius  relliquiis  putarem. 
Sunt  cubiculi  oblongi  .ix.,  quorum  .vii.  intravi,  Singuli  erant  longi 
137  pedes,  largi  17,  alti  12,  erantque  fornicato  et  reticulato  opere 
pulcherrimi,  et  ostia  dexterrime  collocata  ad  invicem  spectantia,  ita, 
ut  quocunque  oculos  diverteres,  idem  ordo  et  numerus  ostiorum 
conspiceretur. 

In  reditu  templum  D.  Silvestri  ingressus.  Diomedis  Caraffae 
cardinalis,  qui  multis  hoc  ornaverit  monumentis,  vidi  sepulcrum  et 
liane  de  fundatione  templi  inscriptionem: 

Templum  lioc  beatus  Silvester  in  praedio  Exquitii  extruxit,  vasis  aureis  honestavit, 
eisdemque  nec  non  fructibus  Constantinus  imperator  copiose  dotavit.  Sym- 
machus  pontifex  diruptum  restituit,  a  Sergio  luniore  in  liane  formam  redactum 
iliustratumque  Sanctorum  relliquiis  S.  Martini  PP.  et  Silvestri  item  pontificis, 
sub  Leone  IIII  picturis  ornatum. 

Santoruni  hic  praeterea  corpora  conservar!  dicuntur  pontificum  Fa- 
biani, Stephani,  Soteris,  Innocentii,  Anastasei;  episcoporum  vero 
Leonis  et  Quirini. 

In  pavimento  hoc  est  antiquo  in  marmore  epitaphium  : 

C.  Cameri[nn]us  |  Crescens  [  Archigallus  Matris  Deum  ]  Magnae  Ideae  |l||gy||  | 
Attis  =  Populi  Romani  |  Vivus  sibi  fecit  et  [  Camerio  Ecuratiano  Lib.  suo  ce- 
teris  1  Autem  libertis  utrius  |  Que  sexus  loca  singula  1  Sepulturae  causa  H.  M. 
H.  E.  N.  S. 

Idest  hoc  monumentum  heredes  eius  non  sequitur. 
Est  et  hoc  : 

Positus  est  hic  Leontius  presbiter  olim  Stiliconis  Cons.  .11.  (2). 

Tum  per  radices  Esquiliarum  via  quae  olim  Suburra,  impudicis  mu- 
lieribus  et  foro  rerum  furtivarum  famosa,  ad   portam  Laurentianam 

(1)  Pessimamente  trascritta.  L'ara  era  stata  sroperta  «in  una  vigna  appresso  alle 
11  Capocce  o  1' 8  gennaio  1509.  Vedi  Buìl,  ardi,  com,  1891,  XIX,  199,  e  il  C.  I.  L, 
VI,  n.   569. 

(2)  Sulle  iscrizioni  di  S.  Martino  ai  Monti  vedi  Forcella,  op.  cit.  IV,  1-51;  C.  I. 
L    VI,  n.  2183,  e  Fn.lPPiNi,  Rislretlo  di  tulio  quello  che  appartiene  &c.  Roma,  Pei,  16}'). 


So 


OA.   T^iiclicUiiis 


olim  Esquilinam,  Mctiam  quoque  tlictam  putat  Fabritius,  eandcmquc 
Praenestinam  Procopius,  Tiburtinam  Fulvius  et  alii  vocant,  Tauri- 
nani  etiani  dictam  ob  tauri  caput  quod  etiamnuni  in  prima  eius  facie 
cclatum  videtur,  putat  Leander,  perveni,  extra  quam  de  nocentib'is 
supplitium  sumptum  olim  indicant  Tacitus,  Plautus,  Horatius  (i).  Hic 
formas  aquaeductus  Martii  vidi,  quae  sunt  extra  muros  via  Tiburtina. 
Aqua  autem  Martia  ex  Fucino  lacu  post  Appiam  et  Annienem,  anno 
ab  U.  C.  .Dcviii.  a  Marco  Titio  praetore  in  Urbem  ex  senatusconsulto 
deducta,  et  in  Capitolium  delata,  ut  latius  Frontinus  refert,  inde  per 
Augustum  et  M.  Aurelium  iniperatores,  restaurata  est  (2).  Extat  et 
apud  Dupois,  nummus  Martii  Philippi,  hac  iiiscriptione:  aq.va  mar. 
Non  procul    hinc  in  Roma    Ligorii  est  templum  D.  Bibianae,    quod 

sacrum  Aesculapio  fuisse  quidam  volunt 

XVIII.     Romanus  pontifex  maximus  Sixtus  V.  ante  pontificatum 
Felix  de  Monte  alto  ex  Sabinis,  ordinis  rranciscanorum  generalis,  octo 


>1 


7 


k. 


ìb 


0»  '     l"* 


in  Senatum  purpureum  allegit,  presbitcros  .vi  ,  diaconos  duos,  ncmpc 
Fredericuni  Boromaeum,  iuvenem  adhuc,  Mediolanensom  et  Ugoneni 
Lobencum  Alvernum,  Melitensium  equitum  praefectum,  tuni  Schipio- 
nem  Gonzagam  patriarcham  Alexandrinum,  Petrum  Gondium,  FIo- 


(i)  Confonde  la  porta  Tiburtina  delie  mura  di  Aureliano  e  di  Onorio  con  la  port.! 
Eiquilina  delle  mura  di  Servio.  Sul  <i  Forum  Tauri  in  Hxquiliis  i>  vedi  De  Rossi,  Bull, 
arch.  com.    1890,   XVIII,    2R0  sg. 

(2)  È  superfluo  notare  gli  errori  contenuti  in  questo  paragrafo. 


Iter   Italiciim  8i 


reminum  cpiscopum,  Parisiensem,  lohanncni  Mciuiozam,  Hispanum, 
archiepiscopuni  Genuensem  et  Gnbrieleni  Paleotum  monachuni  (i). 

XXII.  Arcum  Galieni  imperatoris  transiens,  in  dorso  Esquilii. 
prope  templum  D.  Viti  in  Marcello,  templum  D.  Praxii.lis  intravi,  pul- 
criim  sic  satis  et  ornatum,  in  quo  2300  martvrum  relliquiae  conser- 
var! dicuntur.  Estque  ibidem  oratorium  qiiod  foeminis  intrare  non 
permittitur;  ubi  columna  quaedam  marmorea  (huius  qua  hic  deli- 
neatur  forraae),  ad  quam  tiagellatum  Christum  servatorem  a  ludeis 
ferunt,  Hierosolymisque  per  lohannem  Columnam  cardinalem  trans - 
latam,  pontifice  Honorio  III  sedente,  anno  christiano  1223.  Templi 
vero  huius  caetera  memorabilia  ab  Onuphrio  Panvinio  satis  enar- 
rantur. 

Hac  quoque  iter  ad  S.  Mariana  Maiorem  ad  praesepe,  ubi  prao- 
sepe  Servatoris  nostri  summa  relligione  servari  creditur,  cuius  ora- 
torium candidissimo  politissimoque  marmore  restauravi!  Sixtus  V  pon- 
tifex  maximus  in  coque  sepulcrum  sibi  et  Pio  V  papae  facit,  addita 

statua cum  rebus  ab  ipso  olim  vivo  gestis,  ex  marmore  expressis, 

ac  praecipue  bellum  Gallicum  et  Turcicum.  Epitaphii  vero  hoc  est 
caput  : 

l'io  V  Pont.  Max.  |  Ex  ordine  Praed  :  [  Sixtus  V  Pont.  Max.  [  Ex   ordine   Minor.  | 
Grati  animi  monumentum. 

Pius  V  gente  Gisleria  l5osci  in  Liguria  natus  theologus  eximius  &c. 

Fuerat  Sixtus  in  cardinalitium  ordinem  per  Pium  hunc  lectus. 

In  eodem  tempio  sepulcrum  marmoreum  elegantis  sculpturae 
Martini  V  pontificis,  ex  familia  Colutnnensium.  Alexandro  quoque 
Sfortiae  cardinali  monumentum  inveni.  Caetera  ampie  apud  Onu- 
phrium. 

In  huius  templi  area  Sixtus  V  papa  erexit  obeliscum,  ex  Augusti 
mausoleo  transvectum,  cuius  iam  memini.  Color  est  ut  Vaticani,  minor 
vero  est  nec  integer,  quamvis  vario  artifìcio  coniunctus.  Huic  quae 
sequuntur  inscripta  nigro  colore  leguntur: 

Christum  Dominum  |  Quem  Augustus  \  De  Virgine  [  Nasciturum  |  Vivens  adoravit 
Seque  deinceps  |  Dominum  j  Dici  vetuit  j  Adoro. 

(1)  Federico  Borromeo  fu  creato  cardinale  del  titolo  di  S.  Marij  in  Domnica,  a 
soli  23  anni,  il  giorno  i6  dicembre  del  1587.  Nella  stessa  occasione  ricevettero  la  por- 
pora Ugo  de  Loubens  de  Verdalle,  gran  maestro  dei  cavalieri  di  Malta,  Scipione  Gon- 
zaga del  titolo  di  S.  Maria  del  Popolo,  candidato  al  trono  pontificio  dopo  la  morte  di 
Urbano  VII,  Pietro  Gondi,  o  Gondy,  oriundo  fiorentino  ma  francese  di  nascita,  vescovo 
di  Parigi  per  lo  spazio  di  ventotto  anni,  cui  Sisto  V  fece  dono  di  un  celebre  quadro  Ji 
Michelangelo  nel  giorno  della  sua  creazione  a  cardinale  del  titolo  di  S.  Silvestro  in  Ca- 
pite, e  Giovanni  Mendoza  da  Guadalajara,  il  più  venusto  membro  del  sacro  collegio. 
Quanto  a  Gabriele  Paleotto  1'  autore  è  caduto  in  errore,  avendo  ricevuta  la  porpora  e 
il  titolo  dei   Ss.  Nereo  ed  .achilleo,  non  da  Sisto  V,  ma  da  Pio   IV  ai  12  marzo  del  1565. 

Archivio  delLi  R.  Società  romana  Ji  storia  patria.  Voi.  XXIV.  6 


82  qA.  \Bitc/iellius 


Sixtus  V  Pont.  .Max.    Obeliscum  |  Aegipto  advectum  ;  Augusto  i  In  eius  Mausoleo  I 

Dicatum  |  Evcrsum  deinde  et  {  in  plures  confractum    partes  |  In  via  ad  San- 
'ctum    Rochum  iacentem     In  pristinam  facieni  !  Restitutum    Salutiferae  cruci  | 

Felicius    Hic  erigi  iussit  An.  D.    .mdlxxxviu.,  F'ont.  .11. 
Ciiristus  1  Per  invictam  |  Crucem  1  Populo  pacem  |  praebuit  ;  Qui  |  Augusti  pace  ;  In 

praesepe  nasci  j  voluit. 
Christi  Dei    In  aeternum  viventis  |  Cunabula  |  Laetissime  colo,  |  Qui    mortui  |  Se- 

pulcro  Augusti  ;  Tristis  |  Serviebam. 

Non  procul  hinc  templum  Antonii,  ubi  pridem  Antoniana  tem- 
ptatio  depicta  conspicitur,  iuxta  quod  olim  lucus  lunonis  Lucinae. 
Est  et  ibidem  in  domo  privata  statua  quaedam  marmorea,  nescio  an 
Commodi  Antonini,  et  antiquum  marmor  quod  Fabritius  extra  portam 
CoUinam  via  Salaria  inventum  tradit,  quod  lioc  ordine  ibi  legitur 
inscriptum  : 

Imp.  Caesar  M.  .\urclius  Antoninus  Augustus  Germanicus,  Sarmaticus  et  |  Imp. 
Caesar  I,.  Aurelius  !  Commodus  .Vugustus  i  Germ.  Sarm,  &c.  Hos  lapides  con- 
stitui  iusserunt ,  Propter  controversias  quae  inter  1  .Mercatores  et  Mancipes  Ortae 
erant  uti  finem  Demonstrarent  vectijjali  Forencularii  et  Ansurii  i  Promerca- 
lium  secundum  ■  \'eterem  legeni  semel  dum-  !  taxat  exigundo  (1). 

Ultra  Esquilias  locus  erat  olim  Puticuli  vocatus,  ubi  commune 
scpulcrum  erat  miserae  plebis,  a  corporum  putredine  sic  dictus,  quamvis 
ex  sepulcrorum  ornatu,  ut  Marlianus  vidisse  se  testatur,  posterioribus 
temporibus  et  divites  illic  fuerint  sepulti. 

XXIIII.  Apophoreta  mittuntur,  et  in  Capitolio  tribus  ac  tribuni 
dulcibus  et  ientaculis  excipiuntur. 

XXV.  Statua  Marfori  quam  Maris  fluvii  antiquitus  fuisse  cre- 
dant,  famosis  libellis  vulgo  Celebris,  quae  diu  in  angulo  quodam  retro 
Capitolium  iacuerat,  loco  mota,  ubi  et  inventum  labrum  marmoreum 
summae  magnitudinis,  ac  deinde  ad  Capitolium  translata,  ut  fonti 
serviret,  quem  eo  pontifex  non  exiguo  sumptu  deduxerat,  unde  sum- 
pserant  quidam  occasionem,  ut  querentem  de  vini  caritate  Marforium 
inducerent  (2). 

XXVII.  Ingressus  thermas  Diocletiani  circa  templum  D.  Su- 
sannae,  cuius  Pollio,  Vopiscus,  Laetus,  Victor,  Marlianus  et  alii  ampie 
meminerunt,  tanti  operis  ruinas  obstipui,  et  vix  lacrimas  tenui  ob 
temporum  rerumque  tam  variam  vicissitudinem.  Q.uidne  non  consu- 
mitis  anni? 


(1)  L.I  e  domus  privata»,  nella  quale  non  una,  ma  moltissime  opere  d'ar:e  eran 
conservate,  apparteneva  a  Federico  Cesi.  Più  tardi  prese  il  nome  di  villa  Caserta.  Vedi 
C.  /  A.  VI,  n,  1016  a.  La  villa  Cesi  occupava  suolo  gii  appartenente  a  Vezzto  Agorio 
Pretestato.  Vi  fu  ritrovata  nel  1591  la  st.itua  della  vestale  Celia  Concord'a.  \' edi  Koli^if 
df^li  icavi,   1885,  tav.  xviii,  n.  4. 

(2)  Vedi   Bu'.I.   arJi.   com.    1900,   XXVllI,    3   sg. 


Iter  Italicuìu  83 


Certe  Roma  olim  non  homlnum  sed  immortalium  potius  Dcorum 
viJetLir  fuisse  habitaciilum.  Extant  vestigia  tubarum,  vasorum,  fistu- 
larum,  oppidi  instar.  In  ruinis  coenobium  Cartusiorum  monacliorum 
exstructuni,  cum  olim  aedes  S.  Crucis  inhabitarint,  ut  tcstatur  Onu- 
phrius  (i).  Xunc  lemplum  amplum  ex  muris  thermarum,  auspitiis 
Pii  mi  pontificis  extruitur;  cuius  nomen  a  S.  Maria  Angelorum 
sumptum.  Ep'tnphia  hic  leguntur  Pii  I\'  Medices  pontificis  maximi 
et  Alciati  cardinalis.  Pictura  quoque  conspicitur  venusta  lulii  Par- 
mensis  et  Pauli  Palmalinensis  clarorum  pictorum  (2). 

luxta  has  termas  est  monasterium  D.  Bernardi  a  Sixto  V  pon- 
tifice  Romano  exstructum,  ad  cuius  frontispicium  haec  legitur  in- 
scriptio: 

Si<ito  V  Potit.  Opt.  Max.  Qiiod  pauperihus  virginibus  viduisqii3  servandis  conser- 
vandisque  monasterio  collegio  atque  instituto  aedes  donavit;  sodalitas  D.  Ber- 
nardi P.  15S7  (3). 

Sunt  etiam  in  ipsis  thermarum  ruinis  granaria  romana  hoc  epi- 
grammate  notata: 

Gregorius  XIII  Pont.  Max.  adversus  annonae  difficultatem  subsidia  pracparans,  hor- 
reum  In  tliermis  Diocletianis  exstruxit,  anno  iub.  1575.  Pont.  .1111. 

Sixtus  vero  V  ad  thermas  deduxit  et  restauravi:  aquam  Clau- 
d'am,  opere  nondum  adhuc  perfecto,  ad  cuius  ornatum  Sphinges  quae 
ante  porticum  Agrippae  eo  transtulit.  Hanc  Claudius  imperator,  teste 
Frontino,  primus  in  Urbem  ex  fontibus  Curtio  et  Cerulio  deduxit.  Sue- 
tonius  a  Caio  (in  Caio,  cap.  xx)  inchoatum  et  Claudio  (in  Claudio, 
cap.  xix)  perfectum  eius  aquaeductum  scribit.  De  hac  haec  legitur  ibi 
inscriptio: 

Tibcrius  Claudius  Drusi  FU.  Caes.  Aug.  &c.  aquas,  Claudiam  ex  fontibus  qui  vo- 
cabantur  '  Ceruleus  et  Curtius  a.  mill.  .xxxxv.,  item  \  Anienem  novam  &c. 
impensa  sua  in  urbem  perducenda';  curavit. 

Vespasianus  inde  et  Titus  Caesares  collapsas  restaurarunt,  ut  ex 
epigrammatibus  huius  urbis  colligitur,  et  iis  quae  ad  portam  Neviam 
extant.  Sixtus  V  liunc  aquaeductum  suo  nomine  Feliceni  dixit,  de 
quo  videndus  Ferrutius  ad  Marlianum  et  extat  inscriptio  ad  portam 
S.  Laurentii  arcui  ipsi  erecto  inscuipta,  qua  continetur  Sixtum  pon- 
tificem  aquaeductum  Felicem  subterraneo  rivo  millium  passuum   15 

(i)  Vedi   Buìl.  arch.  coni.   1S95,   XXIIF,   S7. 

(2)  Il  c.irJ:nale  Francesco  Alciato  era  stato  protettore  dell'Ordine  dei  Certosini,  e 
perciò  ebbe  sepoltura  in  S.  Maria  degli  Angeli. 

(5)  La  chiesa  e  il  monastero  di  S.  Bernardo  furono  edificati  non  da  Sisto  V,  ina 
da  Caterina  Sforza  contessa  di  S.  Fiora  l'anno  1594,  nel  sito  già  occupato  dai  giardini 
Beliay. 


84  Ci/.  "Buchellins 


suhstructione  arcuata  .vii.  suo  sumptu  extruxisse  anno  1)85,  pontitì- 
caius  .T.  (i). 

XXVIII.  Ad  portani  S.  Mariae  Maioris  ambulando  deveni,  quani 
olim  Neviam,  propter  vicinani  silvani  Neviam;  a  Plinio  vero  Labi- 
canani,  ab  aliis  Radusculam  et  Arcuariani,  diversis  opinionibus  di- 
ctam  tradunt,  quam  cum  viis  restauravi!  Sixtus  V  pontifex,  opera 
condemnatoruni,  ubi  in  arcu  marmorea  haec  legitur  inscriptio: 

Sixtus  V  Pont.  .Max.  vias  utrasque  ad  Santam  Mariam  Maiorem  et  ad  S.  Mariani 
Angelorum,  ad  populi  commoditatem  et  devotionem  longas  latasque  sua  im- 
pensa stravit,  anno  Doni.  1585,  pontilicatiis  .1.  (2). 

Revertens  deinde  via  ad  S.  Mariam  Maiorem,  vidi  trophaea 
C.  Marii  de  Cimbris  satis  integra,  de  quibus  Suctonius  (in  /;//.  cap.  xi, 
et  Velleius,  lib.  2)  ad  haec  verba:  «  Tropliaea  C.  Marii  de  lugurtha 
«  deque  Cimbris  atque  Teutonis  olim  a  Sulla  disiecta  restituit  », 
et  aquae  Virginis  aquaeductum  (liane  nunc  Triviam  vocant)  quam 
M.  Agrippa,  C.  Sentio,  et  Sp.  Lucretio  consulibus  ex  agro  Lucullano 
Romani  traduxit.  Nomenque  habet  a  virguncula  quae  venas  mon- 
straverit,  ut  scribit  Frontinus  et  Claudius  imperator  restituit,  quem- 
admodum  ultimo  Julius  II  pontifex  maximus  cum  hoc  ep'grammate: 
«  Publicae  commoditati  »  (5). 

Meminit  huius  quoque  Martialis. 

Feclt  et  Sixtus  viam  Felicem  ex  suo  nomine  dictani,  de  qua 
haec  inscriptio: 

Sixto  V  ponti  ìci  maximo  quod  viam  Felicem  apeniit,  stravitqae,  pontificatus  sui 
anno  .1.  1.^85. 

Pontifex  circa  hoc  tempus  solet  imagunculas  quasdam  effingere, 
in  formam  agni,  ex  alba  caera  oleo  delibuta,  has  affirmat  de  collo 
suspensas  peccata  hominum  aeque  purgare  ac  Christi  sanguis  &c. 
ut  in  libro  Caeremoniarum  poiit.  I  (sect.  7)  scribitur: 

Balsamus  et  caera  munda  cum  chrismatis  unda 
Conlkiunt  agnum;  quod  munus  do  tihi  magnum. 
Fonie  velut  natiim  per  mystica  sanclilìcatnm, 
Fulgura  de  sursum  depellit,  omne  maiignum 
F'eccatum  frangit,  ut  Christi  sanguis  et  angit, 
Praegnans  servatur  simul  et  partus  llberatur  &c. 


(i)  Si  traila  dell' amica  Alessandrina,  non  della  Claudia.  Sui  lavori  di  Sisto  V,  sul 
fornice  presso  porta  S.  Lorenzo,  sulla  mostra  di  Termini,  vedi  Lanciani,  /  Commentarii 
a  Fronlino,    cap.    X,   p.    ì" . 

(a)  Vedi  HiEtjtiR,  Sixle  Ciiiq,  II,  75  sg.  (livre  sixième,  L' A  i  g  u  i  1  I  e)  e  Sit- 
vf.xsoN,    Top,  e  mon.  di  Roma  nelle  pitture  a  fresco  di  Siilo  V  Sci. 

(5)  I  due  trofei  marmorei  che  ornavano  la  fontana  d'Orfeo,  furon  tolti  di  posto 
nel    1591   e  trasferiti  alla  piazza  del   Campidoglio.   Vedi  Heldig,   Guide,  I,   268  sg. 


Iter  Italicum 


De  his  quoque  scribit  Hcnr.  Coni.  Agrippa,  lib.  Ili  Occuìluc  Phil. 
cap.  65,  quales  ex  donatione  Cuijnrctorvii  non  superstitionis,  sed 
demonstrationis  ergo  habeo  (i). 

XXIX.  In  Esquilinis  obambulans  liortos  vidi  Moecenatis,  in 
quibus  olini  privatus  adhuc  Tyberius  habitavit,  teste  in  eius  vita 
Suetonio  (cap.  xvi):  ubi  et  turris  illa  Moecenatis,  ex  qua  Nero  in- 
cendium  Urbis  famosum  spectasse  (Suet.  in  Ner.  cap.  38),  et  Ilii  exci- 
diuni  exultans  cecinisse  legitur.  In  reditu  vidi  hortos  quos  magnificos 
prope  aedem  D.  Mariae  Maioris  exstruit  pontifex,  et  iam  ante  pri- 
vatus senator  purpureus  incoeperat.  Supra  facultatum  magnitudinetn, 
ut  ferunt,  Gregorium  Boncompaignum  ante  liunc  pontificeni  Roma- 
num  obambulantem  hos  inspexisse  et  interrogasse  cuius  essent?  eique 
redditum  Gregorium  pontifice  dignum  opus,  et  supra  vires  pauperis 
senatoris,  praesagio,  ut  quidam  interpraetabantur,  futurorum.  Veruni 
siqui  sibi  hac  pontificiorum  pompa  plaudunt,  Cvprianum  adversus 
Nonatianum  scribentem  de  simplicitate  praelatorum  legissent,  me- 
cum  non  tam  improbarent  quam  prorsus  damnarent  omnium  nostro- 
lum  antistitum  fastum,  regiae  vitae  imo  tyrannide  quam  pontificiae 
verae  proximiorem  (2). 

XXX.  De  regimine  Urbis,  pauca  addam.  Loco  consulum  nunc 
sunt  duo  conservatores;  sunt  praetores  item  duo  et  gubernator  unus 
qui  ius  reddunt  et  res  Urbis  curant  praeter  minorem    magistratum. 

ludices  rerum  causarumque  civilium  sunt  multi,  qui  auditores 
vel  iudices  referendarii  dicuntur.  Horum  collegium  Rotae  nomine 
notatur,  his  pontifex  ad  quem  omnes  primum  supplicationes  et  li- 
belli diriguntur  causas  controversas  committit,  et  ab  eorum  sententiis 
ad  eundem  appellatur.  Horum  iudicum  offitia  sunt  pontifici  lucrosa 
admodum,  venduntur  enim  aliquot  millibus  ducatorum.  Ex  his  quoque 
saepenumero  cardinales  creantur,  qui  nescio  cuius  instituto,  vel  no- 
biles  vel  doctores  esse  solent. 

Lorarii  qui  Italis  isbirri  dicuntur  magno  ab  hoc  pontifice  nu- 
mero aucti,  ad  reprimendam  exulum  licentiam,  qui  grassando  infe- 
stam  totani  tenent  Italiani.  Hos  vero  optumo,  olini  a  Venetis  exco- 
gitato commento,  comprimit  Sixtus  V  pontifex  tribus  publicatis 
edictis,  primo  veniam  delictorum  poenitentibus  indulget;  secundo 
praemium  occisoribus  promittit;  tertio,  impunitatem  et  praeniia  mul- 
taque  privilegia  poUicetur;  quo  postremo  mutuo  ipsis  diffidentiam 
et  nietum  socialem   incutit.  Leges  romanae  de  servis  olim  fugitivis 

(i)  Sul  rito  degli  Agnus  Dei  lii  cera  vedi  Bibliografia  in  Moroni,  Dizionario, 
I,    128-130. 

(2)  Sugli  0  horti  Montaltìni  »  a  S.  Maria  Maggiore  e  sull'incidente  di  Gregorio  XtlI 
vedi  HuEBNER,  op.  cit.   I,  lib.   II,  5  IV,   p.  234. 


S6  d-l.  '■Biichcllius 


Lu.ie  adsimiles,  nam  cavent,  ne  fugitivi  admittantur  in  s.iltuni,  nec 
protegantur  a  villicis  aut  procuratoribus  possessionum,  et  muleta  sta- 
tuunt,  qui  nugistratui  exhibuisset  veniani  in  anteactum  dedere  adi- 
tLinique  militi  vel  pagani  aperuere,  ad  investigandum  in  praedia  vcl 
senatorum  vel  paganorum  (lib.  I,  Di  servis  fiio.)  (i), 

XXX.  Hic  pontifex  Romanus  Sixtus  V,  ante  pontificatum,  Felix 
de  Monte  Alto,  sunimus  Franciscanorum  praefectus,  et  haereticae  pra- 
vitatis  inquisitor,  cuius  posterioris  niunus  infelicitcr  in  Venetos 
tentavit,  cum  ibidem  quemdam  ex  senatorio  ordine  virum  suspectac 
relligionis  reum  fecisset,  eumque  propria  autoritate  custodiae  tradi- 
disset;  cuius  rei  tanquam  insolitae  Senatus  Venetus  impaiiens,  nihil 
òbstante  pontificia  authoritate,  hominem  tradita  caerea  ante  eius  exi- 
tuni  e  finibus  Venetis  decedere  iubent  (2).  Obscuris  admodum  nata- 
libus  ortum  fama  publica  probat,  et  pauperculi  villici  e  Monte  Alto, 
oppido  in  Brutiis  (5)  (cuius  imperium  cum  titulo  ducatus  filio  suo 
notho  dedit  Ferrandus,  primus  Arragonius  rex  Neapolitanus),  filiuni 
qui  cum  oves  paternos  pasceret  admodum  puer,  a  fratribus  franci- 
scanis  assumptus  ob  indolcm  et  educatus  fuit,  quamvis  non  desint, 
qui  falsissime  a  ducibus  Montealtanis  eius  originem  deducunt. 

Initio  pontificatus,  cum  Urbs  inopia  frumenti  laboraret,  naves  et 
mercatores  qui  Anconam  appulerant  detineri  Romamque  deduci  cu- 
ravit,  tanta  nam  fuerat  annonae  inopia,  ut  Romae  cum  pontifici  ac- 
clamaretur  more  solito,  hae  voces  audirentur:  «  patre  sante  fatte  la 
«  paniotte  grande  »;  eoque  facto,  populi  favorem  sibi  demeruit,  quamvis 
alioqui  vir  austerus  et  senectutis  vitio  morosior  haberetur.  Quaedam 
enim  ab  initio  severitatis  edidit  esempla;  Henricos  Borbonios  Xa- 
varraeum  scilicet  et  Condaeum  excommunicavit,  cuius  exemplar 
apud  me  habeo,  etiam  per  Hotomannum  oppugnatum,  Pauloque 
lordano  Ursino  ad  se  venienti,  et  de  pontificatu  gratulanti,  veniamque 
anteactorum  iam  condonatorum  (cum  eius  Consilio  Corambonus  pon- 
tificis  sororis  maritus  a  patre  Ursino  fuisset  trucidatus)  petenti  re- 
spondit:  «  Cardinales  facile  vindictam  remittere  »,  quo  ille  responsu 
nil  pacatum  ab  ipso  exspectans,  cum  familia  Patavium  discessit.  Edidit 
quoque  buUam  Pii  V,  de  filiis  presbiterorum,  quam  Cjregorius  iam 
improbaverat  et  multi  adhuc  ut  iniquam  damnant.  J^dictum  praeterea 
contra  validos  mendicantes  edidit,  et  invalidos  condito  collegio  con- 
gessit,  quibus  necessaria  tribuit.  In  consanguineos  et  amicos  fuit 
summe  liberalis;  ex  sorore  nepotes,  unum  fecit  Romanac  urbis  gu- 


fi) Vedi  HuEBNER,  op.  ih.  X,  llb.  IH,  Les  BanJits. 
(2)  Vedi  HuiBMEii,  op.  rit.  I,  lib.  Il,  Le  Conclave. 
(5)  Avrebbe  dovuto  dire   •  in   Piceno  o. 


Iter  Italicum  87 


bernatorem;  altcrum  carclinalcni,  -.xc  Bononiae  nomine  pontificio  re- 
ctorem;  neptem  etiam  pauperculae  et  extrcmae  sortis  mulieris,  quae 
linteamina  purgare  erat  solita,  filiam,  ut  principem  mulierem  obser- 
vari  iussit,  nec  nisi  esseda  et  multo  famulatu  in  publicum  procedere 
voluit,  ac  prò  ea  ducum  tilios  matrimoni!  causa  sollicitavit.  Aeter- 
nitatis  fuit  admodum  avidus,  et  famam  etiam  operibus  publicis  pe- 
rennem  quaerere  studiit,  eamque  ad  rem  profusissimae  lìberalitatis 
fuit;  caeterum  privatus  rei  videbatur  attentior. 

Cum  quodam  die  Farnesius  prò  captivo  precaturus  pontificem 
adiisset,  idque  ipse  suspicaretur,  cuidam  ex  sua  familia  in  aurem  dixit, 
ut  statim  captivo  laqueo  vita  adimeretur,  ac  tum  audiit  cardinalem 
mortemque  captivo  deprecanti,  reddidit,  se  id  eius  precibus  conces- 
surum  si  viveret;  gratias  egit  pontifici  Farnesius,  et  subito  ad  car- 
cereni  properans  strangulatum  invenit;  quare  iratus,  monachi  hanc 
esse  gratiam  dixit;  quod  ad  pontificem  deferens  carceris  custos,  misit 
qui  Farnesium  accerserent,  qui  cum  de  more  ad  eius  pedes  procum- 
beret,  sic  sinit  per  mediani  horam  iacere,  ac  causam  admirantem, 
hoc  responso  dimisit:  «  haec  monachi  est  iam  gratia,  quem  si  iterum 
«  irritaveris  poena  pontificia  in  te  insurrecturum  noveris  ». 

Sixtus,  inter  alia  quae  suo  pontificatu  statuit,  vetuit  ne  cardina- 
lium  numerus  septuagesimum  excederet,  item  nullos  nisi  mense  de- 
cembri creandos,  certos  etiam  cognationis  gradus  expressit,  in  quibus 
constituti  duo  cardinales  esse  non  possent. 


Amnus  christianus  1588. 

Hunc  variis  lacerai  viilgus  discursibus  annum. 
Da  Deus  infaustum  longius  omeri  eat. 

Ianuarius.. 

Me  lanus  veteri  Romana  vidit  in  urbe. 

Kal.  Novi  urbis  Romanae  magistratus  creati,  qui  in  habitu 
solemni  ordini  ante  pedes  pontificis  procumbentes,  ex  more  iura- 
mento  praestito  inaugurati  sunt,  deinde  circa  vesperum  tormenta 
bellica  ex  arce  summo  tonitru  explosa. 

II.  Perambulavi  Coelium  montem,  olim  Querquetulanum  a 
Silva,  inde  a  Coele  Vibenna  duce  Etruscorum,  teste  Tacito,  sic  di- 
ctum,  et  a  Tiberio  qui  hunc  ab  incendio  deformatum  restaurarat 
montis  Augusti  nomenclatura  indigetatum,  in  quo  templum  Claudii, 
ab  Agrippina  incoeptum,  a  Nerone  funditus  eversum  et  Vespasiano 
restauratum;  et  Lateranenslum  aedes,  quarum    olim   percelebris  fa- 


88  CA.  "Bucliellins 


milia,  meniinit  Laternnensis  cuiusdam  senatoris  Appianus.  Fasti  prae- 
terea    consulares,    lulius    Capitolinus,  Tacitus,  Hieronimus,  Aurelius 
Victor,  Rut'us  Lateranenses  nunierant,  et  luvenalis  in  satyris 
Et  cgregias  Lateranorum  obsides  arces, 

ubi    nunc    a    Constantino,    ut    volunt,    teniplum    S.    Salvaioris    vel 

D.  Ioannis  Lateranensis,  multis  celebre  relliquiis,  de  quibus  videndus 

Onuphrius,  qui  peculiareni  de  septem  Urbis  basilicis  edidit  libelluni. 

Vulgus    imperitum    nescio  quid  fabuletur  de  rana  Keronis,  quae  ibi 

latuerit,  unde  nomen  deducit.  Est  in  hoc  tempio  sepulcrum  Laurentii 

Vallae,  aliorumque  tam  virorum    doctorum,  quam   pontificum.  Por- 

ticum  novo  opere  restaurai  pontifex    Sixtus  V,   et  palatium  purgata 

eius  area  extruit.  Ibidemque  obeliscura  ex  Circo  Maximo  advectum, 

et  in  plures  confractum  partes  hverogliphicis  literis  venerandum  adu- 

natis  fragmentis,  erigi  curat.  Hic  olim  statua  illa  quae  nunc  in  Ca- 

pitolio,  cuius  adhuc  basis  conspicitur. 

Tum  quoque  libuit  Sancta  Sanctorum  (qui  locus  admodum  re- 

ligiosus)  visitare,  ubi  magnae  indulgentiae  donabantur.  Intrare  hunc 

mulieribus  non    licet   nisi    certo    tempore.  Ante  ostium  hoc  est  di- 

stichon  : 

Circumcisa  caro  Christi  sandalia  clara 
Ac  umbilici  viget  hic  praecisio  cliara. 

In  monte  Coelio  fuere  olim  quoque  aedes  Tetrici  tyranni,  in  quibus 

pictura  niusea  admodum  egregia.  Hinc  ad  portam  Coelimontanam, 

quae  et   Asinaria   olim,  nunc  vero  Lateranensis,  et  Latina  (i).  Vidi 

cratorium   non  adeo   magnum,   quod    ingressus,  hos    versus    parieii 

inscriptos  legi  : 

Martirii  calicem  bibìl  hic  athleta  Ioannes 

Principii  verbum  cernere  qui  meruit. 
Verberat  hic  fuste  proconsul  forcipe  tondit 
'  Quae  fervens  oleum  loedere  non  potuit. 

Conditur  hic  oleum  dolium  cruor  alque  capilH 
Quae  consecrantur  inclyta  Roma  tibi. 

Deinde  praeterivi  ruinas  veteris  palati!  et  monasterii  (2)  quibus  est 
contiguum  xenodochium  aegrotantium  S.  Mariae,  et  in  colle  templum 
cum  coenobio  Quatuor  Coronatorum,  ab  Honorio  pontifice  Romano 
eius  nominis  primo  fundatum  (3),  ubi  olim  castra  peregrina,  inde  per 

(1)  L'autore  veramente  distingue  la  porla  Latina  dalla  Asinaria,  come  apparisce 
cliiaro  dal  ricordo  che  segue,  relativo  alla  edicola  di  S.  Giovanni  in  Oleo,  che  sta  nel 
piazzale  intemo  della  porta  Latina. 

(»)  Il  patriarchio  con  le  varie  sue  dipendenze,  distrutto  da  Sisto   \  . 

(j)  Onorio  I  ristauró  il  titolo  Cclimontano  gii  esistente.  Gli  avanzi  delle  «  Castra 
»  peregrina»  sono  stati  ritrovati  nel  sito  dell' «  orto  basso»  dei  Casali. 


Iter  Italiciim  89 


emporium  quod  olim  fuit  Inter  Aniphiteatrum  et  Santam  Mariam  no- 
vani,  cuius  pars  hortis  eius  monasterii  occupatur,  domum  properavi. 

Mirabar  ego  infantcs  duorum  vel  trium  annorum  cucullatos 
conspici;  sed  respondebant  parentes,  se  ex  voto  hoc  facere,  cum 
filium  nasciturum  certis  de  causis  Deo  vovissent,  forte  an  exeniplo 
veterum  ludeorum,  ut  Bibliae  testantur  sacrae,  iustam  tamen  aetatem 
requiruiit  canones,  cap.  «  ad  nostrani  »  cap.  51  Decret.  de  reguìarih. 

In  Luterano,  die  lovis,  ante  festum  Pascatis,  pontifex  execratur 
omne  genus  liumanum,  propter  ingratitudinem  erga  Christum,  cuìus 
vide  formulam  apud  Sleidum,  lib.  Ili  historiarum  sui  temporis  in 
princ. 

Innocentius  II,  in  Laterano  curavit  depingi  Lotharium  impera - 
torem  quasi  vasalluni  ad  ipsius  pedes  prostratum,  et  imperii  coronam 
ab  eo  accipientem,  hoc  verso  addito: 

Rex  venit  ante  fores,  purans  pi'ius  urbis  honores 
Post  homo  fit  papae:  sumit  quo  dante  coronam. 

IV.  Pontifex  legem  tulit  de  bacchantium  insolentia  compri- 
menda,  ne  mulieres  nudae  aut  personatae  discurrerent,  ne  larvati 
telis  armarentur,  ne  sacris  diebus  in  publicum  procederent,  diebusve 
Veneris.  Ab  hoc  nam  tempore  incipiunt,  equites,  pedites,  in  curribus, 
in  vehiculis,  in  mulis,  in  asinis,  exotico  et  quam  maxime  barbarico 
habitu,  per  omnes  urbis  vicos  et  compitas  discurrere,  hi  tura  somma 
in  quosque  licentia  verboromqoe  petulantia  uti,  comoedias  agere,  in- 
strumentis  ludere,  disputare,  ad  amicarum  fenestras  piangere,  lam.en- 
tari,  et  similia  facere  solent  tanta  copia,  ut  viae  quotidie  occupentur 
totae,  ac  praecipue  Flaminia  qoae  et  Curtia,  cum  ultimo  bachina- 
liorum  ibi  variis  cursibus  certetur,  quod  fortean  originem  habeat  a 
Paulo  II  papa,  de  quo  ita  Platina  :  «  Paulus  ad  otium  conversus,  po- 
«  pulo  Romano  ad  imitationem  veterum  ludos  et  cpulum  instituit: 
«  ludi  erant  pallia  octo,  quae  cursu  certantibus  in  carnisprivio  pro- 
«  ponebantur,  singulis  diebus.  Currebant  senes,  adolescentes,  iuvenes, 
«  ludaei  ac  seorsim  pastillis  primo  pieni,  ut  tardiores  in  cursu  essent; 
«  currebant  equi,  equae,  asini,  bubali,  tanta  cum  omnium  voluptate 
«  ut  prae  risu  (ut  inquit  poeta)  vix  ilia  ferrent  ».  Videtur  olim  ludeis 
Mosaica  lege  id  prohibitum  cum  legatur  in  Deuteronomio  (cap.  12): 
«  Non  induetur  mulier  veste  virili,  nec  vir  utetur  veste  foeminea, 
«  abominabilis  nam  apud  Deum  est  qui  facit  illud  ».  Nunc  de  sede 
marmorea  perforata  quae  est  in  Laterano,  cuius  meminere  Onuphrius 
et  Platina,  et  vulgo  fertur  olim  pontificem  hic  coUocari  recenter 
creatum  solitum,  cuius  pudenda  ab  ultimo  cardinalium,  ne  deceptioni 
locus  foret,  attrectari.  In  libro  vero  caeremoniarum    haec    leguntur. 


90  0,'!.  IBiic/u'lìiiis 


Pontifex  creatus  ducitur  a  priore  et  canonicis  ecciesiae  Lateranensis 
:\i  marmoream  sedeni,  quae  stercoraria  appcUatur,  et  ibi  euni  sedere 
faciunt,  qui  ita  tamen  sedet  ut  magis  iacore  videatur;  ad  quem  mox 
accedentes  cardinales  clevant  euni  honorifice,  dicentes:  «  Suscitat  de 
«  pulvere  egenum  et  de  stercore  erigit  paupercni,  ut  sedeat  cum 
>T  principibus  et  solium  gloriae  teneat».  Tum  surgens,  accipit  de  gre- 
niio  camerarii  quantum  pugno  potest  complecti  pecuniarum,  ubi 
tamen  nihil  auri  aut  argenti,  ac  spargit  in  populum  dicens  :  «  Argen- 
«  tum  et  aurum  non  est  mihi,  quod  autem  liabeo  hoc  tibi  do»(i). 

VI.  Ex  mole  Hadriani,  cum  essent  epiphaneorum  feriae  tor- 
menta explosa  sunt;  tum  etiam  epulum  regale  in  multos  dies  datur. 

Ad  portam  Capenam  seu  Triumphalem  quam  et  olim  Appiani 
(cum  ibi  sit  initium  viae  Appiae,  quae  Roma  Capuam  usque,  126  mi!, 
ab  Appio  Caeco  deducta  fuerat)  nunc  divo  Sebastiano  sacram,  ut 
basilicam  D.  Sebastiani  extra  Urbem  viderem,  perveni,  sed  cum  serius 
csset  redii,  et  in  via  intravi  templum  ornatum  recenti  pictura  mar- 
tvrum  multorum  tormenta  secundum  imperatorum  ordinem  expri- 
mente.  Erat  rotundum  columnis  aliquot  marmoreis  sustentatum.  Olim 
Fauni  capreoli  aedem  fuisse  constai  et  terno  ambitu  quasi  porti- 
cibus  ut  ex  vestigiis  apparet  amplissimam.  Huius  cura  incumbit  col- 
legio Germanico  (2). 

[Dicebantur  aliquot  millia  Turcarum  ab  exercitu  imperatorio  in 
Ungaria  ex  improviso  coesa.] 

Dies  hic  sunt  breviores  aestate  quam  in  nostra  provincia,  et  in 
hveme  longiores.  De  horis  vero  Italicorum  vide  Ruscellum  ad  Ptol. 
(lib.  I,  pag.  25). 

Non  procul  a  porta  Capena  olim  fuit  aedes  Honori  et  Virtuti  a 
Marcello  bello  gallico  vota,  et  dedicata  bello  poenico  fervente  An- 
nibale duce,  ut  author  est  Livius  (lib.  XXVII),  liane  quidam  divi  nunc 
Sixti  arbitrantur,  Fabritius  dissentii;  in  via  Appia  ponit  Marlianus, 
lib.  IV,  cap.  XXIV  (3). 

VII.  Sixtus  V  tres  currus  auro  onustos  ad  castrum  velli  curavit, 
et  scrinia  tliesaurarii  ampliora  fecit.  Ex  Capitolio  descendens  versus 
Tyberim  ad  forum  Boarium  deflexi,  quod  olim  maxunium.  In  lioc 
templum  D.  Georgii  in  Velabro,  ubi  dicunt  apud  rudera  Palatini 
draconem  quendam  olim  totani  Urbem  pestilenti  flatu  affecisse,  quem 
Gregorius  fugavit.  Videturque  ibi  ante  aliquod  templum  caput  mar- 

(1)  Vedi  Armellisi,   Chiese,  pp.  96-97. 

(2)  Intorno  l' edificio  di  S.  Stefano  Rotondo  vedi  Lanciami,  L'  Itinerario  lìi  Ein- 
sieìiln,  p.  71    sg. 

(3)  Il  tempio  dell'Onore  e  della  Virtù  toccava  quasi  la  porta  Capena,  mentre  la 
chiesa  di  S.  Sisto  ( •  titulus  Tigridis  •)  ne  dista  di  45Q  metri. 


Iter  Italiciim  91 


moreum,  quod  vulgo  Bocca  della  verità,  collocatum,  de  quo 
mira  fabulantur,  ut  pcriurii  vindice.  Nec  lune  procul  arcus  marmo- 
reus,  variis  sacritìcantium  sculpturis  circum  ornatus.  Ad  hunc  argen- 
tarios  et  negotiantcs  convenire  solitos,  ex  inscriptione  Severo  disci 
videtur,  quae  talis: 

Imp.  L.  Septimio   Severo   Partinaci   &c.    Argentarii   et    negotiantes   boarii   hiiiiis 
loci  DI),  (i). 

De  hoc  arca  eiusque  sculturis  quaedam  apud  Caulaeum  in 
Rell.  Rota.  ani.  (2)   et  Marlianuni  et  Fahritium. 

Prope  in  Velabro  scaturii  fons  aquae  luturnae,  quam  Turni  so- 
rorem  fabulatur  Virgilius.  Haec  olim  faciebat  lacum  in  foro,  iuxta 
templum  Vestae,  ubi  nunc  Silvestri  aedes  in  lacu,  quae  hodie  detorto 
aquaeductu  hic  scaturit  fonte  profundo,  sed  ad  usum  lavandi  tan- 
tum (5). 

Est  et  ibi  arcus  marmoreus  quadratus,  nulla  inscriptione;  cre- 
dunt  olim  templum  fuisse  lani  quadrifrontis,  de  quo  vide  Martialem 
et  Ovidium.  Vicinus  ac  palatio  continuus  videtur  fuisse  Circus  Maxu- 
mus,  inter  Aventinum  et  Palatinum  medius,  cuius  magna  etiamnum 
exstant  vestigia.  Longus  erat  3  stadia,  latus  unum.  Claudius  impe- 
rator  in  hoc  carceres  fecit  marmoreos  et  metas  auratas,  ut  author 
est  Suetonius,  restauravitque  Domitiauus.  Vide  Ang.  Roccam  lib.  di 
hibl.  Val.  embì.  XI. 

Iuxta  Circum  aedes  Liberi  Liberae  et  Cereris  quas  A.  Posthu- 
mius  dictator  voverat,  dedicavit  Tiberius,  quam  et  Florae  aedem  a 
L.  et  M.  Publiciis  aedilibus  constitutam. 

Tum  ad  montem  Testaceum  sive  Doliolum,  qui  a  testis  et  frag- 
mentis  fictilium  in  tantam  magnitudinem  excrevit,  ut  iusti  montis  sit 
instar,  deveni.  In  eo  ambitu  tabernas  figulinas  constitisse  perhibetur. 

Hinc  non  procul  in  ipsis  moenibus,  apud  portani  D.  Pauli,  olim 
Ostiensem  et  Trigeminam,  est  pyramis  ex  quadratis  lapidibus,  se- 
pulcrum  C.  Cestii  .vii.  viri  epulonum,  ut  hae  indicant  literae: 

Opus  absolutum  diebus  330  ex  testamento  C.  Cornelii  tr.  pleb.   septemviri  epu- 
lonum (4). 

Hanc  apertam  ingressam  se  mihi  narravit  Theodorus  Rhenes- 
sius,  variis  picturis  antiquis  adhuc  ornatam  sacrarli  cuiusdam  mor- 
tuari! instar  (5). 

(0  Vedi  C.  I    L.  VI,  n.   1035. 

(2)  Vedi  Bull.  Inst.  a.    1S71,   p.  247. 

(3)  Confonde  l'autore  la  sorgente  di  Giuturna  con  la  cosi  detta  r.  Acqua  di  Mer- 
li curio  ».  Vedi  Laxciani,  Acque. 

(4)  Vedi  C.  /.  L.  VI,  n.   1374. 

(5)  L'  ingresso  antico  alla  cella  sepolcrale  non  è  stato  mai  scoperto  (vedi    Nibby, 


92  qA.   ^UcJlL'llillS 


IX.  Pontifex  Sixtus  V  festum  instituit  hunc  diem,  in  translatione 
Pii  V  pontitìcis  maximi,  cuius  cadaver  ex  Vaticano  nd  S.  Mariani 
maiorem  transtulit,  inque  sepulcro  a  se  condito  coUocavit. 

XI.  Pontit'ex,  astantibus  cardinalibus,  sacrum  solemne  mortua- 
rium  celebravi!  in  aede  D.  Mariae  maioris,  et  manes  Pii  quinti  pla- 
cavit. 

Hinc  obambulans  ripam  Tyberis,  vidi  relliquias  navaliorum  ve- 
terum,  et  horreorum  quae  olim  fuere  ad  radices  mentis  Testacei,  et 
Aventini  versus  tìumen  numero  140.  Vidique  acatum  (navis  genus 
vulgo  galera  dictuni)  magnis  sumptubus  et  ingentis  magnitudinis 
extrui,  ad  pyrataruni,  ut  dicebatur,  excursiones  reprimendas,  sed  cre- 
debatur  a  quibusdam  in  augmentum  classis  Hispanicae  fieri. 

Pro  summo  munere  ut  olim  ita  et  nunc  alieni  ob  eruditioneni 
vel  singularia   merita    tribuunt    Romani  civitatis  suae  ius,  civenique 


<  ARCV/    fMv?    i2\'MK{Tn^P:-T' 


l.nciunt,  ut  nuper  Hubertu- 1  Go'.tzium,  Paullum  Melissum,  Alduni 
Manutium,  M.  Antonium  Muretum  fecerunt. 

XVI,  Vidi  hoc  die  quendani  Graecum  patriarcham,  dicebatur 
vulgo  Constantinopolitanus,  sed  falso  habitu  erat  simplici  de  familia. 

Sixtus  pontifex  legem  tulit  adversus  adulteros,  qua  luliam  re- 
novavit,  iam  penitus  superioribus  saeculis  exstinctam,  et  ultore  gladio 
puniendos  decrevit.  Idem  astrologiam  iuditiariam  nisi  quae  circa 
medicinam  et  agriculturam  versaretur  sustulit. 

Rema  ani.  Il,  540).  Il  taglio  violento  pel  quale  si  entra  attualmente  è  opera  del  i6é;  e 
di  Alessandro  VII.  E  probabile  che  il  Renesse  abbia  potuto  calarsi  nella  cella  per  mezzo 
del  foro  aperto  nel  lato  settentrionale  della  piramide,  vicino  al  suo  innesto  con  le  mura 
della  citii. 


lUr  Ita  licitili  93 


XVII.  D.  Antonio  haec  Jie  sacra,  qui  ìr.c  p.itronus  equorum 
audiebat,  quemadmodum  Duaci  Elgidius,  qutm  vulgo  S'.  Eloy 
vocant. 

XVIII.  Pontifex  ut  larvatorum  comprimerct  insolentiam  eos 
edicto  ut  supra  rettuli  coercuit. 

Vidi  tum  temporis  Academiam  Romanam  veterem,  quam  Sa- 
pientiam  vocant,  per  Pium  V  pontificem  anno  1566  restauratam, 
cum  tum  fere  fuisset  coUapsa,  eiusque  proventus  ab  aliis  occuparentur 
inique,  liane  et  hoc  tempore  vidi  restaurari  ad  pristinumque  nitorem 
reduci. 


(Continua). 


LA  POLITICA  RELIGIOSA 

DI   COSTANTINO   IL  GRANDE 

E 

LA  PROPRIETÀ  DELLA  CHIESA 


OPl  patrimonio  della  Chiesa  cristiana  entrò  ai  tempi 
di  Costantino  nell'  ordine  giuridico  romano.  Se 
r  elemento  patrimoniale  ebbe  occasione  di  deter- 
minarsi subito  nel  campo  delle  antiche  comunità  cristiane, 
entro  alle  quali  largamente  e  presto  il  principio  di  carità 
e  di  soccorso,  che  d'  altronde  era  uno  degli  insegnamenti 
più  belli  della  nuova  dottrina,  ebbe  applicazione,  e  cui  la 
classe  indigente,  schiava  ed  oppressa,  che  in  queste  reli- 
giose associazioni  trovava  fraterno  accoglimento  non  solo, 
ma  assistenza  e  conforto,  forniva  ampio  contributo  di  per- 
sone e  dava  ampia  forza  di  divulgazione  e  di  sviluppo  (i), 
r  importanza  economica  e  sociale  di  tal  fatto  non  rispec- 
chiavasi  gran  che  nell'  ordine  giuridico,  dove  questo  ele- 
mento economico  delle  società  cristiane  ebbe  appena  una 
indiretta    ed    incerta    organizzazione,   e  pur  quando    potè 

(i)  Sopra  questo  elemento  sociale  delle  antiche  comunità  cri- 
stiane, oltre  alle  opere  indicate  nel  mio  voi.  I  sulla  Proprietà  eccle- 
siastica, Torino,  Unione  tipogr.  editr.  1899,  cf.  il  recente  articolo  di 
Knopf,  Ueber  die  so-^iale  Znsaiiniìenset^^iin^  der  iiltesten  heidenchrisllicheu 
Gemeinden,  nella  Zeitschrift  f.  Theol.  iind  Kirche  di  Gottschick,  Tùb. 
und.  Leipz.  1500,  p.  325  sg. 


9^  C    Cj russai 


togliere  a  prestito  la  veste  e  la  significazione  giuridica  dei 
colIei:;ia  temnonim. 

Il  suo  modo  di  esplicarsi  fu  certo  nella  più  gran  parte 
quello  più  semplice  di  spontanea  o  regolata  colletta  e  d'im- 
mediata distribuzione,  anche  nei  più  inoltrati  periodi  (i), 
e  quindi  la  pratica  sua  significazione  ci  sfugge  al  calcolo 
positivo:  ma  la  sua  importanza  si  può  supporre,  se  la  pu- 
rità della  cristiana  dottrina  aveva,  come  è  da  credere,  il 
più  fedele  riflesso  nella  vita  e  nei  costumi  di  quei  primi 
cristiani.  Un  vero  e  proprio  patrimonio,  che  facilmente 
poteva  essere  1'  effetto  di  straordinarie  entrate,  e  special- 
mente di  donazioni  e  lasciti,  che  in  forme  indirette  pote- 
vano trovar  luogo,  dovette  però  aver  modo  di  costituirsi 
e  anche  di  trasparire  esternamente  nei  periodi  in  cui  la 
vita  di  queste  comunità  ebbe  campo  di  svolgersi  con  si- 
curezza e  con  tranquillità  :  ma  questa  proprietà  collettiva, 
di  cui  il  luogo  di  ritrovo,  la  chiesa,  il  convcnticiiìum  era 
il  primo  elemento,  veniva  distrutta  e  dal  fisco  assorbita 
nei  moiiienti  di  persecuzione.  Della  sua  esistenza  e  di 
questa  sua  fine  possiamo  essere  certi,  perchè  ce  ne  danno 
riprova  1'  editto  di  Calerlo  e  le  altre  disposizioni  imperiali 
che,  dopo  r  ultima  persecuzione  di  Diocleziano,  ne  ordi- 
narono la  restituzione  ai  cristiani  (2). 

(i)  Eusebio,  Storia  ecchs.  lib.  IX,  cip.  i  :  [dopo  lo  disposizioni 
òi  tolleranza  date  da  Massimino,  in  parziale  attuazione  dell'editto  di 
Galerio  al  prefetto  Sabino]  . . .  /.aTà  TTxaav  ttóX'.v  (JU•^^y,:5T0•ja£Na;  T:a.z%-t 
l'/ri  i/./.Xr.'ji-xi,  cjvs'òij;  -i  TTaa-.rXr.Seì;,  y.ai  rà;  ì~i  ts'Jtw  è;  ISiu;  Ètti- 
zù.yrj.iifx',  (j-j-*a-^(of  d;  {cjtili'.;)  [«  ecclesias  in  singulis  civitaiibus  con- 
(t  gregatas  et  frequentissimos  christianorum  concursus,  et  coUectas 
«ibidem  ex  more  fieri  solitas  cernere  licebat»]. 

(2)  Editto  di  Galerio  nel  De  titorlibiis  peiscciiiorum  [Lattanzio], 
cap.  4  {Pulroì.  lai.  Migne,  voi.  VII):  «ita  sibimet  legcs  facerent, 
«  quas  observarcnt,  et  per  diversa  fioca,  cf.  sotto,  et  conventicula  sua 
«  componant]  varios  populos  congregarent  ».  Editto  di  Milano  od  or- 
dinanza di  Nicomedia  (cf.  appresso):  «...  statuendum  esse  ccnsui- 
<<  mus  quod  si  eadem  loca,  ad  quae  antea  convenire  consueverunt . . . 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.  97 

Ma  può  d'  altro  canto  ritenersi  che  tale  proprietà  non 
rappresentasse  gran  cosa,  perchè  il  rinnovarsi  delle  perse- 
cuzioni deve  averne  ben  presto  dimostrato  ai  cristiani  la 
precaria  e  pericolosa  esistenza;  e  perchè,  in  fatto,  gli  storici 
delle  persecuzioni  non  accennano  di  proposito  né  a  questa 
proprietà,  né  a  questi  straordinari  incassi  del  fisco  nel  mo- 
mento della  sua  violenta  soppressione.  L'  autore  del  De 
mortibiis persecntoriini,  tutto  intento  a  narrare  le  gesta  dei 
persecutori  e  il  martirio  dei  fedeli,  accenna  appena  alla  di- 
struzione delle  chiese  (i):  cosi  nella  storia  di  Eusebio  ad  una 
rilevante  proprietà  ecclesiastica,  che  fosse  andata  distrutta  e 
fosse  stata  usurpata  dal  fisco,  menomamente  non  si  accenna. 

L'  ingresso  delle  comunità  cristiane  nell'  ordine  giuri- 
dico romano  con  1'  essere  riconosciute  come  coìlegia  licita 
e  con  r  acquistare  perciò  i  diritti  di  corporazione  avvenne, 
com'  è  noto,  sul  principio  del  iv  secolo  con  gli  editti  di 
tolleranza:  con  l'editto,  cioè,  di  Galeno  dell'anno  311  (2), 

»  restituantur  ».  Ibid.:  «...  et  quoniam  iidem  christiani  non  ea  loca 
a  tantum,  ad  quae  convenire  consueverunt,  sed  alia  etiam  habuisse 
«  noscuntur  ad  ius  corporum  »  iScc.  Anche  nella  costituzione  di  Mas- 
simino  (da  non  confondersi  col  rescritto  a  Sabino,  Eusebio,  Storia 
cccles.  lib.  IX,  cap.  io)  è  ripetuto  il  concetto:  .../.ai  tjùts  -jsasSeTrsai 
xxTTiv.cóffau.ev,  Tv'  =1  t'.-'£?  sticiai  )4aì  "/.wpia  tsù  òiy.aiov  tììv  /a'.ffTiaNtSv  ttoò 
TSUTO'j  ÈTUT/^aNO-/  5-<Ta...  raùra  -rrdcNTa  si?  ts  k^yjxXfìH  8ixaio^  -Stn  j^p'.a- 
TtavÙN  àvaii^TiS^Nai  ly.sXsuaav.sv,  Nel  Liber  pontificalis  in  Vita  Sil- 
vestri tra  i  fondi  donati  da  Costantino  alla  basilica  di  S.  Lorenzo 
sulla  via  Tiburtina  in  Campo  Verano  è  notata  la  «  possessio  .\ugusti 
«  in  territorio  Sabinense  praestans  nomini  christianorum  &c.  »  (cf.  Du- 
chesse, Le  Liber  ponlificaìis,  p.  182).  Q.uesta  intestazione  «  praestans 
«  nomini  christianorum  »  ci  riporta  ad  un'epoca  piuttosto  anteriore  che 
posteriore  alla  persecuzione  di  Diocleziano,  come  lo  stesso  Duchesne 
osserva  (Pref.  pp.  cl-cli)  ;  si  tratterebbe  perciò  di  uno  di  quei  beni  per- 
tinenti «  ad  ius  corporum  eorum  [christianorum]  idest  ecclesiis  non  ho- 
«  minum  singulorum  »  dal  fisco  restituiti  in  seguito  agli  editti  di  tolleranza. 

(i)  Cf.  il  cap.  1 2.  Al  cap.  15,  riguardo  a  Costanzo,  riferisce  «  con- 
venticula,  idest  parietes  quae  restituì  poterant,  dirui  passus  est». 

(2)  Lattanzio,  De.  niort.  persec.  cap.  34.  Il  secondo  editto  del- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.        7 


gS  C.   Car assai 


e  con  l'editto  di  Milano  dell'  anno  313.  Di  questo  secondo 
editto,  però,  fu  recentemente  dal  Seeck  negata  l'esistenza  (i). 
Indipendentemente  dalla  forma  della  disposizione  impe- 
riale, se  di  editto  o  di  lettera,  poiché  1'  editto,  se  si  di- 
stingue per  la  solennità  della  forma,  ha  in  sostanza  la 
medesima  forza  legislativa,  Seeck  osserva  innanzi  tutto  che 
il  documento  contenuto  nel  cap.  48  del  De  viort.  persie. 
ed  inoltre,  però  con  qualche  variante,  nella  storia  di  Eu- 
sebio (2),  non  può  essere  il  testo  primitivo  ed  originale  del 
preteso  editto  di  Milano,  poiché  questo  non  poteva  nel- 
r  anno  313  essere  emanato  da  una  città  d'Italia  da  Co- 
stantino e  da  Licinio  per  esser  fatto  valere  nella  Bitinia, 
provincia  soggetta  allora  a  Massimino,  E  la  differenza  del 
testo  nel  De  inori,  perscc.  e  nella  storia  di  Eusebio  dimo- 
stra che  i  due  autori  hanno  avuto  sott'  occhi  due  lezioni 
differenti  del  testo  stesso,  penetrato  diversamente  e  con 
disposizioni  diverse  nelle  provincie  dove  essi  scrivevano. 
Ma  tutto  sta  a  vedere  se  queste  ordinanze  identiche  per- 
fettamente nella  sostanza,  pubblicate  nelle  provincie  orien- 
tali, siano  la  riproduzione,  più  o  meno  genuina,  di  un 
editto  emanato  per  le  provincie  occidentali  da  Costantino 


l'anno  512  (Eusebio,  Star.  eccl.  lib,  IX,  cap.  io)  fu  dimostrato  in- 
sussistente. Cf.  C.  Anton'iades,  Kaiser  Licinins.  Etne  hisl.  L'ntcrsitch. 
uach  d.  hest.  altcn  unii  ncturen  Queìlen,  Mùnchen,  1884,  pp.  79-81. 
L'opinione  è  ammessa  dai  più  ortodossi  critici  dei  documenti  del- 
l'epoca: cf.  A.  HiLGENFELD  in  Zt!i75c/j;//'//.  IFissetisch.  Theologie,  1885, 
XXVIir,  508-512;  GòRRES,  stessa  Zeitschrifl,  1892,  XXXV,  282-83. 
Notevole  è  infatti  che  l'autore  del  De  mori,  pers.,  che  scriveva  poco 
appresso,  non  ne  faccia  assolutamente  menzione. 

(i)  Seeck,  Das  sogenannle  Edikt  voii  Mailand,  nella.  Zeitschrift  f. 
Kircbengescbichte  di  Brieger,  a.  1890,  XII,  381-86:  contro  Gòrres, 
Eine  B^sluitnug  des  Edikts  von  Mailand  dnrch  0.  Seeck,  in  Zeitschrift  f. 
l^issensch.  Theohgie  di  Hilgenfeld,  a.  1892,  XXXV,  282-95;  Cri- 
vellucci,  L'Edilio  di  Milano,  in  Sliuli  slorici,  a.  1892,  I,  239-250; 
a.  1S95,  IV,  267-273. 

(2)  Stor.  eccles.  lib.  X,  cap,  5. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.         99 

e  Licinio  a  Milano.  Ora,  osserva  Seeck,  un  editto  dato 
a  Milano  nell'anno  313  doveva  esserlo  non  solo  a  nome 
di  Costantino  e  di  Licinio,  ma  a  nome  anche  di  Massimino, 
e  cioè  di  tutto  il  collegio  imperiale:  sia  ciò  per  i  rapporti 
fra  i  tre  imperatori,  allora  tali  che  il  tiranno  d'Oriente  non 
poteva  essere  posto  fuori  di  considerazione;  sia  per  il  testo 
dell'  editto  e  per  la  dizione  «  tam  ego  Constantinus  Augu- 
«  stus  quam  etiam  ego  Licinius  Augustus  »,  poiché  questa 
ripetizione  dei  nomi  dei  due  imperatori  nel  dare  la  notizia 
«  cuni  apud  Mediolanum  convenissemus  »  chiaramente 
dimostra  che  la  intestazione  dell'  editto  doveva  contenere 
un  terzo  nome,  e  questo  non  poteva  essere  che  di  Mas- 
simino. Ciò  posto,  il  seguito  della  lettera  «  quare  scire 
«  Dicationem  tuam  convenit,  placuisse  nobis,  ut  amotis 
«  omnibus  condicionibus,  quae  prius  scriptis  ad  officium 
<(  tuum  datis  super  christianorum  nomine  [continebantur  et 
((  quae  prorsus  sinistrae  et  a  clementia  nostra  alienae  (i)] 
«  videbantur  nunc  vere  &c.  »  è  tale  che,  accennandosi  alle 
condizioni  cavillose  e  alle  limitazioni  imposte  da  Massimino 
nell'attuare  non  con  atto  formale,  ma  con  istruzioni  al  pre- 
fetto Sabino  1'  editto  di  tolleranza  galeriano,  non  potevano 
queste  essere  chiamate  dallo  stesso  imperatore,  che  le  aveva 
emanate,  sinistre  e  contrarie  alla  imperiale  clemenza.  Ed  ap- 
punto nuli'  altro  scopo  poteva  avere  quel  documento  che 
di  togliere  queste  condizioni  e  queste  odiose  limitazioni. 
Perciò,  conclude  il  Seeck,  quella  legge  riguarda  non  tutto 
r  impero,  ma  solo  1'  Oriente:  essa  fu  emanata  non  da 
Costantino,  ma  da  Licinio,  e,  quando  si  voglia  darle  un 
nome,  non  più  editto  di  Milano,  ma  solamente  ordinanza 
di  Nicomedia  può  chiamarsi.  Questa  è  la  sostanza  della 
sua  dimostrazione,  cui  si  accenna  di  sfuggita  anche  nella 
Geschichte  des  Untergangs  der  antiken  Welt  (2). 

(1)  Nel  testo  d'Eusebio:  /.ai  ari-^a  ttìtj  Gx-ar/.  x.a;   t-?;  rasTEpa; 

(2)  Anhang.  z.  est.  Band.  I,  457. 


100  e.    Car assai 


Il  Gòrres  contesta  al  Seeck  innanzi  tutto  la  possibilità 
che  una  legge  di  tolleranza  potesse  contenere  il  nome  di 
Massimino:  «  sarebbe  un  controsenso  »,  egli  scrive,  «  di  ri- 
«  tenere  che  il  nipote  di  Calerlo,  questo  brutalissimo  tra  i 
«  persecutori  dei  cristiani,  avesse  potuto  contrassegnare  una 
«  sitHitta  legge  »;  ma  in  verità  ciò  rafforza,  piuttosto  che 
contraddire,  l' argomentazione  del  Seeck.  Sia  (come  vuole 
il  Seeck)  o  non  sia  (come  sostiene  poi  il  Gòrres),  che 
quelle  parole  e  amotis  omnibus  conditionibus  &ic.  »  si  ri- 
feriscano ad  atti  di  intolleranza  dello  stesso  Massimino, 
r  argomentazione  del  Seeck  resterebbe  sempre  perfetta- 
mente convalidata  da  quell'osservazione  d'indole  storica 
più  generale  :  tanto  che  è  costretto  il  Gòrres  a  discono- 
scere quella  induzione,  molto  logica,  benché  tutta  formale, 
come  egli  osserva,  del  Seeck,  che  il  testo  dell'editto,  cui 
l'ordinanza  di  Nicomedia  si  riferisce,  dovesse  contenere  di 
necessità  un  terzo  nome  (i). 

Piuttosto  due  osservazioni  molto  importanti  oppone 
lo  stesso  Gòrres:  la  prima  (2),  che  è  in  sostanza  rilevata 
anche  dal  Crivellucci  (3),  riflette  l' obbiezione  prelimi- 
nare della  diversità  delle  due  lezioni  del  testo  in  Eusebio 
e  nell'  autore  del  De  mortìhus,  che  i  due  autori  avessero 
sott'  occhi  due  testi  diversi  dell'  editto,  tradotti  in  greco, 
e  penetrati  in  periodi  diversi  nelle  provincie  orientali,  os- 
servazione di  cui  il  Seeck  stesso  non  disconosce  in  ve- 
rità, come  si  è  visto,  la  ragionevolezza. 

La  seconda  (pp.  293-94),  anch'essa  di  molta  impor- 
tanza, oppugna  la  conclusione  del  Seeck  che  la  legge 
avrebbe  riguardato  non  tutto  l'impero,  ma  le  provincie 
orientali,  e  sarebbe  stata  opera  non  di  Costantino,  ma 
di  Licinio.  Orbene,  egli  osserva,  una  legge  siffatta,  se  si 


(i)  Op.  cit.  p.  290  in  fine. 
(2^  Op.  cit.  p.  288. 
(5)  Op.  e  loc.  cit. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        loi 

spiega  con  l'educazione  e  con  le  tendenze  religiose,  nonché 
con  la  politica  di  Costantino,  male  si  attribuisce  a  Licinio  e 
male  risponde  al  carattere  della  sua  politica,  all'  educazione 
e  all'  indole  di  lui. 

Questa  osservazione  ha  molto  valore  per  respingere  a 
priori  la  conclusione  del  Seeck  ;  ma  due  punti  rimangono 
da  spiegare,  nei  quali  crediamo  che  effettivamente  il  Gòrres 
non  sia  riuscito  a  convincere  contro  le  geniali  argomen- 
tazioni del  Seeck  stesso,  e  cioè  che  l'  editto  contenesse, 
in  realtà,  anche  il  nome  di  Massimino,  e  che  quell'  «  amotis 
«  omnibus  condicionibus  »  si  riferisse  veramente  alle  tergi- 
versazioni di  Massimino  a  porre  in  atto  l'editto  o  gli  editti 
di  tolleranza,  di  cui  parla  Eusebio  nel  lib.  X,  cap.  5  della 
Storia  ecclesiastica. 

Ma  non  ci  sembra  difficile  di  dare  anche  a  ciò  una 
convenevole  spiegazione.  Ed  innanzi  tutto  una  premessa  : 
che  r  editto  di  Milano  non  avesse  ragione  di  esistere  dopo 
r  editto  di  Calerlo,  è  effettivamente  un'  inesatta  afferma- 
zione del  Seeck.  Non  è  difScile  rilevare  il  carattere  diverso 
dell'  uno  e  dell'  altro;  atto  di  toìkrania  il  primo,  è  in  vero 
atto  di  riconoscimento  pieno,  giuridico  e  politico,  il  secondo; 
di  carattere  generico  il  primo,  è  specifico  il  secondo  e 
disciplina  nel  campo  più  pratico  patrimoniale,  per  cui 
r  altro  aveva  fatto  riserva,  le  conseguenze  del  nuovo  prin- 
cipio, della  nuova  posizione  fatta  alla  classe  cristiana.  L'e- 
ditto di  Milano  non  è  una  superfluità  dopo  1'  editto  di 
Calerlo,  ma  ne  è  un  complemento,  e  insieme  è  un  passo 
innanzi  nella  politica  cui  era  1'  editto  galeriano  ispirato  ; 
un  punto  di  partenza  per  l'  ulteriore  manifestazione  della 
politica  religiosa  costantiniana. 

Ciò  posto,  è  da  riflettere  che  il  testo  dell'  editto,  tra- 
mandatoci da  Eusebio  e  da  Lattanzio,  non  è  l'  originale 
testo  di  Milano,  ma  il  testo  pubblicato  nelle  rispettive 
Provincie  in  cui  i  due  autori  scrivevano:  ciò  è  pacifico 
anche  tra    gU  oppositori  del    Seeck.  Ora  questo    decreto 


102  C.    Car assai 


prototipo,  che  noi  non  conosciamo,  conteneva  forse,  come 
vuole  il  Seeck,  anche  il  nome  di  Massimino,  e  poteva 
però,  d*  altro  canto,  non  contenere  quell'  inciso  «  amotis 
«  omnibus  condicionibus  »  &c.,  che  sarebbe  stato  in 
contraddizione  con  la  intestazione  dell'  editto  ai  nomi  della 
triade  imperiale.  Massimino,  che  non  aveva  pubblicato 
l'editto  di  Calerlo,  non  pubblicò  neppure  quello  di  Milano: 
ciò  avvenne  in  seguito  per  opera  di  Licinio  e  con  l'or- 
dinanza che  conosciamo  di  Nicomedia,  ed  in  questa  quelle 
parole  «  amotis  »  &c.,  come  qualche  altra,  possono  essere 
state  facili  e  spiegabili  interpolazioni.  Anzi,  ponendo  in  raf- 
fronto l'editto  di  Calerlo,  che  ci  dà  lo  stile  di  questi  editti 
generali,  e  le  due  lezioni  del  testo  dell'editto  di  Milano,  in 
Eusebio  ed  in  Lattanzio,  si  potrebbe  intravedere,  su  per  giù, 
il  vero  testo  dell'  editto  di  Milano,  attraverso  queste  in- 
terpolazioni, che  dovevano  essere  state  aggiunte  e  non  po- 
tevano svisare  la  fisionomia  anche  letterale  dell'  editto 
stesso. 

Tralasciamo  infatti  l'esordio  che  è  in  Eusebio  e  non 
trovasi  in  Lattanzio:  esso  è  una  ripetizione  del  principio 
che  verrà  affermato  in  appresso,  e  accenna  a  quelle  «  con- 
«  diciones  »  [aipéac:;],  per  le  quali  aveva  ragione  di  par- 
lare r  ordinanza  di  Licinio,  ma  non  l'  editto  di  Milano, 
e  cui  rifcriscesi  1'  altra  interpolazione  «  amotis  omnibus 
«  omnino  condicionibus  »  &c.  L'  editto  di  Milano  doveva 
cominciare,  come  nel  De  nwrlibiis,  col  ricordo  della  cir- 
costanza del  convegno  di  Milano,  dove,  tra  le  altre  cose 
che  interessavano  la  cosa  e  la  quiete  pubblica,  si  provvide 
alla  pace  e  alla  tranquillità  religiosa,  allo  scopo  e  per  la 
ragione  già  da  noi  rilevati:  e  si  afferma  il  principio  di 
libertà  religiosa.  Seguono  poi  nel  testo  di  Eusebio,  cui 
corrisponde  su  per  giù  quello  di  Lattanzio,  tre  periodi 
esplicativi:  "Axcva  o-jtw;  àpÉaxstv  6ic.,  in  cui  lo  stile  stesso 
e  il  nesso  logico  distaccansi  manifestamente  dai  periodi 
precedenti.  La  interpolazione  di  questi  periodi,  che  pren- 


La  politica  religiosa  di  Costaiiliiio  ecc.        103 

dono  marcatamente  lo  stile  di  lettera  più  che  di  editto, 
che  contengono  quelle  famose  parole  «  ut  amotis  omni- 
«  bus  )>  (Scc,  ci  sembra  molto  appariscente.  Riprende  l'e- 
ditto a  disporre  la  restituzione  dei  beni  dei  cristiani  : 
seguono  le  esplicazioni  epistolari;  si  osserva  lo  stesso  di- 
stacco di  stile  e  di  concetti,  meno  generici  e  più  specificata- 
mente cristiani  nella  lettera  che  nell'  editto.  Si  notano  qui 
le  frasi  «  sicut  dictum  est»  [xax^òj^  7ip0£cp-/,7.a|jiev  ;  xaO'WS  xal 
TtpOìtpr^O'ac],  «  supradicta  ratione  servata»  [xoù  Tìpoecpr^iJLSvo'j 
Xoyca^Jioij  orjXaOY]  cpoXaxO-Évxo?],  che  ribadiscono  il  carattere  in 
questi  periodi  di  parti  e  di  osservazioni  esplicative.  Con- 
clude r  ultimo  periodo  1'  editto  e  1'  epistola. 

In  verità  queste  parti,  che  consideriamo  come  inter- 
polazioni, sono,  come  abbiamo  osservato,  o  ripetizioni  o 
esplicazioni  più  o  meno  necessarie,  di  quanto  è  premesso 
nel  supposto  testo  dell'  editto.  E,  così  denudato,  questo 
ha  più  connessione  con  lo  stile  imperativo  e  conciso,  come 
r  atto  meritava,  dell'  editto  di  Calerlo. 

Il  principio  di  tolleranza  è  concretato  specialmente 
neir  editto  di  Calerlo,  ed  in  verità  esso  non  starebbe  a 
rappresentare  per  sé  una  grande  evoluzione  nel  sistema 
politico-religioso  dei  Romani,  né  una  grande  e  speciale 
conquista  della  religione  cristiana.  Il  tempio  di  Cristo  ve- 
niva ad  acquistare  quella  posizione  che  da  tempo  già 
lungo  godevano  i  templi  di  molte  divinità  forestiere,  che 
già  godeva  lo  stesso  tempio  di  Cerusalemme.  Osserva 
argutamente  Cibbon  (i):  «i  diversi  culti  religiosi  che  si 
«  osservavano  nel  mondo  romano  erano  tutti  considerati  dal 
«popolo  come  egualmente  veri;  dal  filosofo  come  egual- 
«  mente  falsi  e  dai  magistrati  come  egualmente  utili.  Di 
«  tal  modo  la  tolleranza  produceva,  non  solo  una  scam- 

(i)  Storia  della  decaden-^a  e  1  ovina  delVimpero  romano,  ediz,  ita.'. 
Bettoni,  voi.  I,  cap.  2,  p.  43. 


104  ^-    Car assai 


((  bievole  indulgenza,  ma,  eziandio,  una  religiosa  con- 
«cordia».  La  quale  osservazione  solo  relativamente  è 
vera,  tanto  che  appunto  quelle  classi,  che  erano  secondo 
Gibbon  le  più  indifferenti  o  le  più  scettiche,  opposero  più 
viva  e  più  lunga  resistenza  alla  rovina  e  alla  distruzione 
del  paganesimo  (i).  Ciò  non  fu  solo  per  tornaconto,  e, 
del  resto,  gli  adepti  utilitaristi  non  mancavano  nell'  una 
come  nell'  altra  religione.  È  che  il  panteismo  romano  aveva 
oramai  in  sé  un  elemento  disgregativo  e  dissolutivo  per  la 
negazione  delle  vecchie  divinità;  ma,  insieme,  un  elemento 
di  elaborazione  e  di  costruzione  di  un  concetto  nuovo  di 
una  divinità  superiore,  da  cui  le  altre  venivano  assorbite; 
sia  pure  che  in  sostanza  fosse  questa  un'  astrazione,  come 
è  anche  oggi  per  molti  il  sentimento  religioso,  un'idea. 
Come  tale  anzi  non  distrugge,  come  non  ne  è  distrutta, 
qualsiasi  concezione  religiosa  popolare,  dal  cui  morfismo 
è  plasmata  e  materializzata,  ma  non  è  snaturata.  La  reli- 
gione, o  meglio  il  culto,  dà  una  veste  all'idea;  l'immagi- 
nazione e  il  sentimento  fanno  assorgere  il  materialismo  di 
questa  veste  all'  idealità  del  pensiero  e  della  pura  conce- 
zione religiosa.  Sulla  base  di  ciò  può  esser  vero  per  i 
Romani,  come  per  tutti  i  popoli,  quello  che  dice  il  Gibbon, 
che  la  maggioranza  sia  credula,  le  classi  agiate  e  pensanti 
sieno  indifferenti  al  formalismo  religioso,  i  filosofi  cerchino 
di  assorgere  dal  culto  all'idea,  dal  materialismo  allo  spi- 
rito, di  adattare  a  questo  le  forme  e  le  concezioni  pratiche 
popolari. 

In  fondo  all'  indifferenza  religiosa  dei  Romani  nei  più 
avanzati  periodi  può  trovarsi  nascosto,  pertanto,  un  con- 
cetto monoteistico  puro  ;  e  gli  antichi  dei  nelle  loro  forme 
antropomorfe,  come  ogni  nuova  divinità,  non  costituiscono 


(r)  Cf.  gl'importanti  lavori  speciali  sulla  rovina  del  paganesimo 
e  del  mondo  greco-romano  del  Beugnot,  del  Boissier,  dello  Schuitzc, 
del  Seeck,  del  Mariano. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        103 

che  altrettante  forme,  realizzazioni  e  individualizzazioni  del 
culto,  la  cui  sostanza  è  poi  l*  adorazione  di  un  dio  supe- 
riore, r  osservanza  delle  sue  leggi,  conosciute  in  quanto 
sono  r  esplicazione  della  natura  e  delle  tendenze  spirituali 
dell'  uomo,  per  rispondere  alle  supreme  leggi  dell'  universo, 
per  rendere  il  dio  stesso  propizio  all'  uomo,  alla  società, 
allo  Stato.  E  il  concetto  che  rispecchiasi  nella  famosa  ora- 
zione di  Simmaco,  che  fu  tra  le  difese  estreme  del  paga- 
nesimo (i).  È  vero  che  la  religione  pagana  ai  tempi  di 
Simmaco  nell'  estrema  lotta  contro  il  cristianesimo  atteg- 
giavasi  ad  un  eclettismo,  che  riuniva  fraternamente  nel 
pericolo  comune  tutti  i  minacciati  culti  dell'  impero  ;  ma  è 
pur  vero  che  Simmaco  era  ancora  un'  espressione  sincera 
di  questa  religione  cadente. 

Ciò  non  solo  nei  filosofi:  in  Costanzo,  padre  di  Co- 
stantino, si  ha  un'  incarnazione  di  queste  tendenze  mono- 
teistiche,  che  ebbero  riflesso  diretto  sulla  sua  politica  reli- 
giosa e  sulla  sua  condotta  verso  il  cristianesimo. 

Comunque,  la  politica  religiosa  dei  Romani  era  la  più 
elastica  e  la  più  larga  di  fronte  ai  culti  nazionali,  e  certo 
il  fanatismo  religioso  non  era  il  tarlo  che  rodeva  la  com- 
pagine del  vasto  impero.  Sopraggiunto  il  cristianesimo,  la 
ragione  delle  persecuzioni,  oramai  fu  largamente  ripetuto, 
fu  più  politica  e  sociale  che  religiosa.  Analogamente  a  ciò, 
appunto,  r  importanza  dell'  editto  di  Galeno  va  più  consi- 
derata dal  punto  di  vista  politico-sociale  che  religioso.  Gli 
eventi  con  Costantino  precipitarono,  e  gli  effetti  del  prin- 
cipio di  toììeranxfi  sfuggono  all'osservazione  esatta  per  es- 
sere stati  assorbiti  dalla  politica  costantiniana,  più  che  di 
tolleranza,  di  parificazione.  Ma,  certo,  se  F  editto  di  Galeno 


(i)  «  Aequum  est  quicquid  omnes  colunt  unum  putari.  Eadem 
«  spectamus  astra,  commune  caelum  est:  idem  nos  mundus  involvit  : 
<f  quid  interest,  qua  unusquisque  prudentia  verum  inquirat?  Uno  iti- 
t' nere  non  potest  perveniri  ad  tnm  grande  secretum». 


10^  e.    Car assai 


sta  a  rappresentare  un  grande  progresso  politico  della  Chiesa, 
e,  se  non  altro,  la  sua  vittoria  sulla  politica  delle  persecu- 
zioni; e,  comunque  possa  riannodarsi  al  sistema  politico- 
religioso  romano,  restava  pur  sempre  una  grande  novità, 
perchè  spingeva  la  tolleranza  religiosa  fino  a  riconoscere 
un  culto  non  nazionale  ma  universale,  non  adattabile  alle 
comuni  credenze  ma  negazione  di  ogni  altra  divinità, 
degli  altri  culti  e  del  culto  stesso  di  Roma,  se  non  politi- 
camente, sìrìctù  scìisn,  socialmente  sovversivo,  pure  la  sua 
esplicazione  non  avrebbe  rappresentato  che  uno  stato  at- 
tuale di  pacificazione  -  che  ne  costituiva  V  intento  -,  e, 
quando  fosse  stato  sinceramente  applicato,  solo  uno  stato 
adatto  e  favorevole  alla  Chiesa  per  svolgere  le  sue  intime 
energie  di  propaganda  e  di  conquista. 

Il  seguito  di  una  politica  di  tolleranza  sull'indirizzo  dato 
dall'  editto  di  Calerlo  non  sarebbe  andato  forse  più  in  là 
della  politica  religiosa,  nei  momenti  buoni,  incerta,  inte- 
ressata e  sospettosa  di  Massimino  e  di  Licinio,  ne  i  pe- 
riodi di  traversia  sarebbero  finiti  per  la  Chiesa.  Ma  politi- 
camente il  principio  di  tolleranza  non  rappresentò  che  un 
momento  fuggevole  e  transitorio;  tuttavia  dal  lato  giuri- 
dico e  dal  lato  dell'economia  della  Chiesa  ebbe  positiva 
esplicazione  e  reale  importanza.  Esso  sta  a  rappresentare 
giuridicamente  il  riconoscimento  della  personalità  della 
Chiesa;  economicamente  il  consolidamento  dei  suoi  inte- 
ressi patrimoniali,  che  si  erano  nel  corso  di  tre  secoli  de- 
terminati e  svolti:  sotto  questi  due  aspetti  in  esso  sta  la 
base,  od  il  germe,  dell'ulteriore  progresso  e  dell'  ulteriore 
significazione  della  proprietà  ecclesiastica. 


È  da  intendersi.  Dall'  editto  di  tolleranza  uscì  fuori  la 
personalità  della  Chiesa  o,  meglio,  dell' associazione  dei  fe- 
deli come  coUegiuin  Ucitmii,  cioè  come  corporazione,  in 
quanto  che  al  substrato  di  Auto,  che  è  il  presupposto  di 
ogni  persona  giuridica,  venne  ad  aggiungersi  quella  san- 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        107 

zione  pubblica,  che  è  l' elemento  complementare,  pub- 
blico o  politico,  della  persona  stessa  giuridica.  La  somma 
degli  interessi  singoli  o  l'  elaborazione  dell'  interesse  col- 
lettivo, cui  corrisponde  la  delineazione  del  modo  di  essere 
e  del  modo  di  agire  dell'associazione  corporativa,  si  era 
"ià  nell'associazione  cristiana  lar^^amente  conformata  nel 
corso  di  tre  secoli  ;  e  1'  elemento  anzi  collettivo  tanto 
aveva  preso  il  sopravvento  da  presentare  natura  istituzio- 
nale con  la  costituzione  episcopale.  Più  o  meno  in  tutte  le 
persecuzioni,  ma  maggiormente,  perchè  posteriore,  nella  per- 
secuzione di  Diocleziano,  non  tanto  la  professione  di  fede 
in  sé,  quanto  l' associazione  religiosa  fu  combattuta,  e  i 
primi  allarmi  di  essa  consisterono  appunto  nell'  abbattere  i 
convcnticula,  nel  bruciare  i  libri,  nell' imprigionare  i  vescovi, 
nel  distruggere  cioè  e  nello  spostare  i  centri  della  comu- 
nità cristiana  (i).  Ciò  spiega  come  la  violenza  e  la  resi- 
stenza fossero  in  questa  persecuzione  maggiori  :  ma  da 
ciò  apprendiamo  anche  come  1'  atto  reazionale,  che  a  questa 
violenza  pose  fine,  portasse  al  riconoscimento  esplicito 
della  corporazione  cristiana. 

L'  elemento  economico  o  patrimoniale,  che  noi  an- 
diamo esaminando,  e  che  è  nella  quasi  generalità  dei  casi 
essenziale  e  connaturale  a  ciò  che  abbiamo  chiamato  il 
substrato  di  fatto  di  una  persona  morale,  per  mOlte  ra- 
gioni si  era  largamente  costituito  nella  comunità  cristiana, 
con  quali  forme  e  con  quali  mezzi  indiretti  non  importa. 
Ma  appunto  perchè  la  forma  giuridica  è  a  questo  elemento 
patrimoniale  più  necessaria,  con  l'  editto  di  tolleranza  o 
meglio  con  l'editto  di  restiUi:iwnc.  di  Milano  ebbe  essere 
una  vera  proprietà  corporativa  cristiana,  la  cui  prima  base 


(i)  L'editto  di  Galerio  nel  caratterizzare  il  contenuto  della  pro- 
fessione del  cristianesimo  ricorda  gli  elementi  della  associazione  cri- 
stiana :  «  ita  [christiani]  sibimet  leges  facerent,  quas  observarent,  et 
«  per  diversa  [loca]  varios  populos  congregarent  ». 


loS  C.    Carassai 


fu  perciò  il  consolidamento  degli  interessi  patrimoniali 
preesistenti,  che,  spogliate  le  inadatte  parvenze,  acquista- 
rono così  forme,  modo  di  essere  e  modo  di  svilupparsi, 
convenienti  all'indole  loro  collettiva. 

Abbiamo  richiamato  1'  editto  di  Milano  accanto  al- 
l' editto  di  Galerio,  perchè  sono  due  atti  che,  dal  punto  di 
vista  giuridico,  sono  1'  uno  all'  altro  coordinati,  1'  uno  com- 
plemento dell'altro:  e  perchè  l'editto  di  Milano,  oltreché 
alle  premesse  declaratorie  della  libertà  del  culto,  ha  riguardo 
anche  specialmente  all'elemento  patrimoniale  e  al  conso- 
lidamento degli  interessi  patrimoniali  preesistenti,  l'abbiamo 
chiamato  «editto  di  restituzione».  Ma,  dal  punto  divista 
politico,  è  da  riconoscere  la  loro  speciale  e  diversa  natura, 
perchè  r  editto  di  Milano  segna  nell'  affermazione  pubblica 
della  Chiesa  un  nuovo  progresso,  poiché,  non  più  il  prin- 
cipio di  tolleranza,  contiene  ed  afferma  il  principio  di  libertà 
religiosa.  La  sanzione  pubblica  della  personalità  giuridica 
delle  comunità  cristiane  è  cosi  più  completa  e  solenne; 
se  col  principio  di  tolleranza  era  una  conseguenza,  col  prin- 
cipio di  libertà  religiosa  era  una  condizione:  dopo  l'editto 
di  xMilano  la  Chiesa  stette  oramai  perfettamente  nell'  or- 
dine giuridico  romano.  Posta  questa  avvertenza,  ecco  cosa 
r  editto  di  Milano  disponeva  circa  la  proprietà  cristiana  : 
innanzi  tutto  essa  era  considerata  come  proprietà  corpora- 
tiva della  comunità  cristiana,  del  coetus  christianorKm:  «  ipsis 
«  christianis  restituant...  ea  protinus  christianis  reddant... 
«  quae  quidem  omnia  protinus  sine  ulla  dilatione  corpori 
«  christianorum.. .  iisdem  christianis  idest  corpori  et  con- 
«  venticulo  ipsorum  restituì  iubebis  »  (i). 

Quanto  poi  alle  cose  singole,  che  costituivano  questa 
proprietà   cristiana  prima  della  persecuzione,  ciò  che  era 


(i)  Costituzione  di  Massimino,  EusEBio,5/or.  eccles. l\h.  IX,  cap.  io: 
.  .  .  EÌ  T'.-'i;  siy.tat  /.'/!  x<D;ia  tsvì  òf/.atou  to-ì  -/pidTia-cÒv  irpò  vj'jto'j  Ètu-j- 
■/7.i'^i  ivTX  .  .  .  ci;  T5  ipxaìs-*  Siy.aio-*  àvajtXT.Srvat  ey.cXeuaau.ev  (cf.  sopra). 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        109 

stato  tolto  dal  fisco,  e  soprattutto  i  luoghi  di  riunione  (i 
conventicuìa),  e  da  questo  era  ancora  detenuto  doveva 
essere  direttamente  restituito:  ciò  che  era  passato  in  altre 
mani  per  donazione  o  per  vendita  doveva  essere  senza 
prezzo,  salvo  gl'indennizzi  da  parte  del  fisco,  restituito  (i). 

Queste  disposizioni  possono  trovare  dilucidazioni  da 
un  atto  posteriore,  che  sarebbe  stato  emanato  da  Costan- 
tino nel  324(2)  «  provincialibus  Palaestinae  »,  e  che,  tra  i 
vari  obbietti,  avrebbe  avuto  quello  di  disporre  la  ridu- 
zione ///  pristiniim  della  proprietà  cristiana  dopo  la  perse- 
cuzione di  Licinio,  negli  ultimi  anni  del  suo  regno.  Ab- 
biamo usato  il  condizionale  perchè  di  questa  persecuzione 
stessa  di  Licinio  fu  tentato  di  dimostrare  fosse  esagerata 
l'importanza  e  l'entità,  e  di  quella  costituzione  di  Costan- 
tino fosse  molto  dubbia  1' esistenza  (3). 

Se  però  questi  dubbi  possono  essere  più  o  meno  fon- 
dati rispetto  in  genere   alla  persecuzione  liciniana,  hanno 


(i)  Cf.  Editto  di  Milano  e  Costituzione  di  Massimino. 

(2)  Eusebio,   Vita  Constanlbii,  lib.  Il,  capp.  24-42. 

(5)  Cf.  specialmente  Crivellucci,  D(;//a/<;rf^  rf/  Eusebio  nella  Vita 
di  Costantino,  Append.  al  I  voi.  della  Storia  delle  relazioni  tra  Stato  e 
Chiesa,  Livorno,  1888.  Egli  ragiona  lungamente  di  quella  costituzione 
«  provincialibus  Palaestinae  »  per  rilevarne  la  falsità  sia  con  ragioni 
stilistiche  e  formali,  sia  con  riguardi  al  contenuto,  e  prima  di  tutto 
alla  inesistenza  della  persecuzione  liciniana.  In  ordine  a  questo  punto 
sono  da  riscontrare  però  gì'  importanti  scritti  di  Antoniades,  Kaiser 
Licinins,  Mùnchen,  1884  (recensioni  di  Hilgenfeld  e  Gorres  in  Zeit- 
schrift  f.  Wissensch.  Theolog.  XXVIII,  n.  4,  508-512,  ed  in  Gòttinger 
philol.  An^eiger,  XVI,  n.  9,  560-566);  V.  Schultze,  D^r  Uebergang  des 
Licinius,  in  Zeitschrift  f.  Kirchengeschichte  d'i  BmEGERjYlll,  n.  4,  534- 
542;  GòRRES,  Lìcinianischen  Christenverjolgiing,  in  Zeitschrijt  f.  Wis- 
sensch. Theol.  XIX,  n.  i,  159-167;  id.  Kriiische  untersuchungen  iiher 
die  licinianische  Christenverfolgung,  Jena,  1875.  Cf.  inoltre  Doulcet, 
Essai  sur  les  rapports  de  l'Ei^lise  chrctienne  avec  l'Ètat  roniain,  Paris, 
1883;  Burckhardt,  Die  Zeit  Constantin's  des  Grossen,  Lipsia,  1880, 
cap.  vili;  Seeck,  Geschichte  des  Untergangs  der  antiken  ÌVelt,  Berlino, 
1895,  cap.  V. 


no  C    Car assai 


invece  molto  valore  rispetto  a  quella  costituzione  costanti- 
niana che  nella  sua   prolissitcà  e  nelle  sue    considerazioni 
religiose  apparisce  di  leggieri  di  tutt'  altri  opera  che  di  Co- 
stantino. Però,  ammesso  anche  che  Eusebio  avesse  di  sana 
pianta  inventato  quella  costituzione  imperiale,  il   suo  con- 
tenuto, almeno  per  quanto  riguarda  gli  effetti  patrimoniali, 
può  ritenersi  non  sia  altro  che  la  ripetizione  degli  editti  di 
reslitu:^ioiìi\  siansi  o  meno  questi  rinnovati  dopo  la  vittoria 
sopra  Licinio,  il  che  dipende  appunto    dal    credere   come 
Licinio  si  comportasse   verso   i  cristiani;   e,   sotto   questo 
punto  di  vista,  esso  può  essere  preso  in  considerazione  per 
illustrare   qualche  particolarità   dell'  applicazione  di  quegli 
editti.  Perciò,  se  Eusebio  riferiva  in  ogni  modo,  com'è  pro- 
babile, il  sistema  degli  editti  di  restituzione,  da  quella   co- 
stituzione apprendiamo:  che  questa  reintegrazione  dei  beni 
era  f;uta  non  solo  al  corpus  cbristianontin,  ma  altresì  ai  sin- 
goli cristiani  i  cui  beni  erano  stati  nel  periodo  di  persecu- 
zione confiscati  (cap.  ^^);  e  ciò  è  perfettamente  rispondente 
allo  spirito  e  allo  scopo  degli  editti  medesimi  :  che  in  caso 
di  morte,  fosse  avvenuta  per    martirio  o  per  natura,  dei 
cristiani  stessi  i  beni  ritornavano  ai  loro  legittimi  succes- 
sori, ovvero,  in  mancanza  di  questi,  alla  chiesa  locale  (i); 
che  la  ripetizione  avveniva  dal  fìsco  e  dai  privati   che  da 
esso  avessero  avuto  causa,  salva  però  la   congrua   ricom- 
pensa, e  ferma  la  detenzione  dei  frutti  percetti  (capp.  37, 
38,  41);  che  la  restituzione  comprendeva  non  solo  i  beni 
in   qualunque  modo   confiscati,  ma,  a  maggior  ragione,  i 
«  coemeteria  ;>,  i  «  martyria  »  e  gli  altri  luoghi  di  carattere 
sacro,  che  fossero  stati  occupati  dal  pubblico  e  ad  altro 
profano  uso  destinati  (capp.  39-40). 


(\)  Capp.  ^5-36:  cf.  al  riguarJo  il  Liber  ponlificaìis,  in  Vita 
Silvestri,  «[fondo  donato  alla  chiesa  di  S.  Lorenzo]' quod  fiscus 
aoccupaverat  tempore  persecutionis  ». 


La  politica  religiosa  di  Costaìiliiio  ecc.       iir 

La  conversione  di  Costantino  portò  con  sé,  non  solo 
il  passaggio  dalla  politica  di  tolleranza  a  quella  di  libertà 
religiosa;  non  solo  la  masraior  Mranzia  che  la  Chiesa 
avesse  il  tempo  di  consolidarsi  oramai  nella  civile  società 
in  modo  stabile  e  sicuro,  ma  segnò  altresì  il  suo  ingresso 
nel  mondo  politico  ufficiale  come  religione  pubblica,  nel 
concetto  pubblico  religioso  dell'  epoca,  come  religione  di 
Stato.  Il  prof.  Crivellucci  afferma  essere  malagevole  di 
formarsi  un'idea  di  ciò  che  potesse  essere  allora  il  cristia- 
nesimo, considerato  come  religione  dello  Stato.  Certo  non 
s' intenderà  nel  senso,  come  egli  avverte,  che  chi  ad  esso 
non  apparteneva  non  potesse  godere  dei  diritti  politici: 
ma  nemmeno  dovrà  intendersi  che  la  nuova  religione  pren- 
desse il  posto  dell'  antica,  e  che  quegli  atti  pubblici,  che 
prima  venivano  accompagnati  da  cerimonie  pagane,  fossero 
per  opera  di  Costantino  consacrati  con  riti  cristiani  (i). 

L'importanza  politica  del  cristianesimo  ebbe  allora  per 
forza  di  cose  una  ragione  punto  formale,  che  richiede 
tutt'  altra  spiegazione,  da  basare  sopra  una  sostanziale  con- 
siderazione degli  atti,  degli  scopi  e  degli  effetti  della  po- 
litica costantiniana. 

Il  Seeck  d'  altro  canto  accenna  (2)  che  non  si  po- 
trebbe parlare  di  una  vera  religione  di  Stato,  il  cui  con- 
cetto non  fu  neir  antichità  mai  conosciuto.  Un'  uniforme 
religione  di  Stato,  egli  scrive,  non  fu  mai  data  a  Roma, 
ma  una  pluralità  di  singoli  culti  di  Stato  (Staatskulte), 
la  cui  nota  distintiva  nuli'  altra  era  che  quella  di  essere 
provveduti  dei  pubblici  mezzi.  In  questi  termini,  forse 
troppo  generali,  accenna  indubitatamente  il  Seeck  al  tempo 
dell'impero,  in  cui  era  avvenuta  una  certa  fusione  delle 
varie  membra  del  mondo  romano  e  una  certa  mescolanza 


(i)  CRnELLucci,  Storia  delle  relazioni  tra  Stato  e  Chiesa,  Bologna, 
1886,  I,  cap.  5,  p.   133  sg 

(2)  Seeck,  Gescìiichle  &c.  I,  457,  Appendice. 


112  C.    Car assai 


anche  delle  varie  religioni,  concatenate,  come  ho  già  os- 
servato, da  un  concetto  superiore,  nuovo  e  monoteistico. 
Che  non  vi  fosse  allora  una  religione  romana  praticata  da 
tutto  il  vasto  impero,  ma  che  vi  fossero  egualmente  riguar- 
dati tutti  i  culti  delle  singole  provincie  (Staatskulte)  e  in- 
dubbio. Ma  che  questi  culti,  coesistenti  tra  loro  con  mira- 
bile spirito  di  tolleranza,  e  in  gran  parte  come  fraternizzanti, 
servissero  tutti  allo  scopo  dello  Stato,  e  i  loro  sacerdoti  e 
le  loro  pratiche  entrassero  a  far  parte  del  diritto  pubblico, 
o  almeno  entrassero  in  una  certa  più  o  meno  larga 
maniera  nella  esplicazione  del  diritto  pubblico,  non  è 
pure  da  dubitare.  A  parte  la  considerazione  maggiore 
che  potesse  avere  il  culto  di  Roma,  le  vestigia  di  uno 
Stato  quasi  teocratico,  in  cui  l'ordinamento  religioso  si  con- 
fondeva con  l'ordinamento  politico,  i  culti  dei  singoli  Stati 
entravano  a  far  parte  delle  istituzioni  politiche  degli  Stati 
stessi,  a  regolare  le  loro  relazioni  con  Roma.  E  molte  di 
queste  divinità  passarono  a  Roma,  come  molte  deità  e 
molte  pratiche  religiose  romane  passarono  alle  provincie  : 
il  concetto  pubblico  dell'  epoca  non  scindeva,  e  non  po- 
teva scindere  ancora,  il  principio  religioso  dal  principio 
politico:  la  religione  era  un  elemento  dello  Stato,  il  culto 
un'  istituzione  di  esso,  e  lo  Stato  stesso  annoverava  tra 
le  sue  funzioni  quella  religiosa.  Qualunque  il  culto,  l' im- 
peratore era  sempre  il  gran  pontefice  in  vita  e  dopo  morte 
ascendeva  all'  Olimpo,  e  a  Roma,  come  nelle  provincie, 
nel  tempio  era  collocata  la  sua  statua.  Xon  vi  fu  che  il 
tempio  di  Gerusalemme  che  resistesse  a  questa  infiltra- 
zione dell'  elemento  romano. 

La  Chiesa  cristiana,  riconosciuta  come  tale,  ebbe  perciò 
la  sua  importanza  politica;  fece,  come  tale,  il  suo  in- 
gresso nel  mondo  politico  e  pubblico  romano:  e,  del  resto, 
vi  era  già  preparata. 

Fu  assodato  che  la  ragione  vera  delle  persecuzioni  tu, 
in  fondo,  essenzialmente  politica.  È  esatto,  e  non  poteva 


La  politica  religiosa  di  Costaiilino  ecc.        ii^ 

essere  altrimenti,  che  nell' adattarsi  l'  idea  religiosa  cristiana 
al  mondo  romano  acquistasse  un  fondamento  ed  una 
tendenza  politica:  lo  spirito  pratico  dei  Romani  non  al- 
trimenti comprendeva  la  religione  che  quale  mezzo  ai 
fini  dello  Stato,  il  quale,  secondo  le  loro  credenze,  per 
volere  della  divinità  con  avvenimenti  straordinari  e  con 
destini  superiori  anzi  era  sorto:  l'intima  spiritualità  e  l'u- 
niversalismo della  dottrina  cristiana  dovevano  a  Roma 
adattarsi  ad  una  più  concreta  significazione  nazionale:  il 
romanismo  da  una  parte,  come  il  giudaismo  con  le  sue 
tradizioni  dall'altra,  non  potevano  non  imprimere  alla 
Chiesa  cristiana  un  carattere  nazionale  politico  (r).  L'or- 
ganizzazione stessa  della  Chiesa  dal  primo  al  secondo  se- 
colo ebbe  sviluppo  su  base  e  su  impronta  romana,  su 
riflesso  delle  istituzioni  romane. 

La  Chiesa  cristiana  era  preparata  ad  entrare  nel  mondo 
politico  romano,  a  fungere  da  religione  di  Stato  :  tale  fu 
con  Costantino,  e  accennò  presto  a  divenire  la  religione 
dominante  dello  Stato. 

A  ciò  bastò,  nonostante  le  naturali  e  allora  grandi  resi- 
stenze del  vecchio  mondo  pagano,  fino  a  pochi  anni  in- 
nanzi trionfatore,  o,  meglio,  indisturbato  dominatore,  la 
conversione  dell'imperatore:  l'elemento  imperiale  era 
troppo  preponderante  sugli  altri  elementi  dello  Stato,  perchè 
il  principio  di  tolleranza  non  fosse  che  transitorio  ed  effi- 
mero, e  non  si  producesse  subito  uno  squilibrio  a  favore 
del  culto  personale  dell'imperatore.  Tanto  più  con  Co- 
stantino, col  suo  temperamento  fiualista  e  superstizioso, 
ambizioso,  se  vuoisi,  e  perciò  energico,  assorbente  e  tenace. 

La  significazione  pubblica  della  Chiesa  in  quel  tempo 
non  fu  effetto  immediato  dell'  editto  di  Milano,  o  d'altro 


(i)  Cf.  sopra  questo  punto  delle  osservazioni  di  Tschirn,  Die 
entstehung  d^r  ròmischen  Kirche  ini  ^eiU  christl.  Jabr.  in  Zeilìcìirijt  f. 
Kirchengeschiclile,  a.  1891,  XII,  215-244. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.        ^ 


114  C.    Car assai 


formale  e  pubblico  riconoscimento;  m:i  avvenne  in  fatto 
per  effetto  del  governo,  della  vita  e  delle  opere  dell'im- 
peratore. Che  questa  tendenza  e  questo  carattere  per- 
sonale di  Costantino  fossero  sinceri  o  meno,  poco  im- 
porta: basta,  come  ha  rilevato  Schultze  (i),  di  constatare 
il  f;itto.  E  questo  apparisce  da  tutta  la  vita  di  Costantino, 
non  quale  altresì  ci  è  presentata  da  Eusebio,  ma  quale 
può  pure  risultare  dalla  moderna  critica. 

Dopo  la  battaglia  di  Ponte  Milvio,  a  parte  la  nota 
visione  della  croce,  che  ci  narra  Eusebio,  ebbe  luogo  la 
prima  estrinsecazione  ufficiale  del  sentimento  di  Costan- 
tino, la  prima  manifestazione  pubblica  ufficiale  del  cristia- 
nesimo: sulla  insegna  di  Roma  si  aggiunse,  per  ordine 
dell'  imperatore,  come  è  noto,  il  monogramma  di  Cristo. 

Osservano  Burckhardt  (2)  e  Zahn  (3)  che  una  cifra 
molto  simile  a  quella  del  monogramma  costantiniano  sa- 
rebbe già  stata  posta  nel  tempo  anteriore  a  Cristo  nelle 
insegne  delle  milizie  orientali,  come  abbreviatura  di  Giove: 
il  fatto,  ove  questo  fosse  dimostrato,  non  sarebbe  nuovo; 
ma  influisce  ciò  sulla  significazione  dell'atto  costantiniano? 
Ma,  segue  Burckhardt,  è  da  considerare  che  questo  atto 
non  ha  l'importanza  attribuitagli  tradizionalmente,  in  con- 
seguenza del  racconto  di  Eusebio  :  Costantino  si  rivolgeva 
non  al  popolo,  ma  alle  milizie,  alle  sue  fedeli  e  sperimen- 
tate milizie,  reduci  dalla  guerra  da  lui  condotta  contro  i 
Franchi,  che  avrebbero  facilmente  accolto  qualsiasi  novità 
e  qualsiasi  emblema  che  fosse  piaciuto  al  loro  duce  di 
prescrivere.  Tra  di  loro  erano  molti  cristiani  e  molti  in- 
differenti pagani  :  Cristo  poteva  entrare  nel  loro  culto 
come  una  nuova  divinità,  se  vuoisi,  come  un  dio  pro- 
pizio nella  battaglia.  E  forse,  Burckhardt  non  ne  nega  la 

(i)  ScHULTi^,  Gisch.des  UnUrgangs  des giiech.-i òmisch  Htidmitbums. 
(2)  Op.  cit.  p.  350. 

(5)  Konsiantin  dcr  Cross  uiid  die  Kirche,  p.  14  (citato  dal  Burck- 
hardt). 


L.a  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        115 

possibilità,  tale  superstizioso  sentimento  a  favore  di  Cristo 
poteva  esser  proprio  di  Costantino,  e  poteva  spingerlo  a 
collegarne  il  nome  con  quello  di  Giove  nel  suo  confuso 
sentimento  religioso.  In  Roma  e  nell'  Italia  questa  inno- 
vazione militare  sarebbe  stata  accolta  come  un  sei^no  di 
vittoria  e  di  valore;  o,  tutt'al  più,  da  un  punto  di  vista  re- 
ligioso, come  segno  di  pacificazione  e  di  tolleranza,  bene 
accetto  in  quanto  la  maggioranza  dei  pagani  era  aliena  certo 
dalla  persecuzione. 

Ma,  come  emblema  di  pacificazione,  sarebbe  stato  pro- 
prio il  monogramma  di  Cristo  il  più  adatto  e  il  più  accetto 
alla  maggioranza  pagana?  Del  resto,  esso  fu  precipuamente 
accolto  e  destinato  ad  insegna  militare,  e  quivi  non  entrava 
di  certo  la  questione  della  persecuzione;  tanto  più  che 
oramai  la  pacificazione  era  un  fatto  compiuto,  e  non  per 
opera  di  Costantino,  ma  per  effetto  dell'editto  di  Calerlo. 
L'avere  poi  accolto  il  monogramma  nelle  insegne  di  guerra 
aumenta,  più  che  diminuire,  l' importanza  del  fatto,  perchè 
era  il  partito  militare  allora  preponderante,  e  base  quasi 
esclusiva  della  potestà  imperiale. 

Riteniamo  che  tale  atto  di  Costantino  ebbe  siijnifica- 
zione  esclusivamente  cristiana,  e  con  riconoscenza  e  con 
entusiasmo  fu  accolto  dai  cristiani.  Xon  dico  ciò  a  caso. 
Mi  pare  significante  un  fatto  :  nelle  iscrizioni  funerarie  fino 
dagli  inizi  del  cristianesimo  erano  usati,  com'  era  costume 
anche  pagano  (i),  segni  o  simboli  speciali,  un  pesce,  una 
<:olomba,  dei  fuscelli  di  olivo  ed  altri;  dopo  l'innalzamento 
del  monogramma  di  Cristo  trovasi  invece  in  quasi  tutte  le 
iscrizioni^  in  qualche  modo  adornate,  questo  emblema, 
universale,  oramai,  ed  accetto  stemma  del  cristianesimo. 
Non  può  trarsi  da  ciò  significantissima  induzione  per  ac- 
certare il  vero  significato  di  quell'atto  di  Costantino?  (2) 


(i)  Esistono  esempi  innumerevoli  nel  museo  Lapidario  Vaticano. 
(2)  Cf.  De  Rossi,  Inscriplioius  cbrist.  urbis  Romae,  voi.  I  (p.  es. 
nn.   IO,  26,  39);  numerosi  riscontri  nello  stesso  museo  Lapidario. 


ii6  C.    Car assai 


Qualunque  fosse  l' interno  suo  sentimento,  fosse  egli  un 
ispirato  dal  cielo,  come  da  Eusebio  in  poi  hanno  creduto 
o  fatto  credere  gli  storici  ortodossi,  od  un  furbo  ed  abile 
politicante,  come  ci  e  presentato  da  Zosimo(i)  in  poi  da 
tutti  quelli  che  non  hanno  creduto  alle  sue  virtù  religiose  (2), 
certo  Costantino  ufficialmente  fu  cristiano  ed  anzi  accen- 
tuatamente cristiano.  Per  mio  conto,  credo  che  per  questa 
condotta  molto  concorresse  un  personale  ed  intimo  con- 
vincimento (3):  in  mezzo  a  tutte  le  attrattive  che  il  pa- 
ganesimo offriva  alla  potestà  imperiale,  innalzata  tra  gli  dei, 
in  mezzo  a  tutti  i  ricordi  e  alle  tradizioni  più  gloriose  della 
Roma  pagana;  in  mezzo  e  di  fronte  al  mondo  ufficiale 
tutto  pagano,  alla  maggioranza  della  popolazione  pagana, 
alla  maggioranza  stessa  delle  truppe  pagana,  nulla  più  che 
r  idea  cristiana,  che  così  fresca  e  forte  era  uscita  da  tre 
secoli  di  traversie  e  di  lotta,  incarnata  in  uno  spirito  certo 
elevato,  tenace  e  fiero  come  quello  di  Costantino,  poteva 

(1)  Historia,  II,   18,  28,  29. 

(2)  «  In  einem  genialen  Menschen  »,  osserva  Burckhardt  (op. 
cit.  p.  548),  e  il  suo  apprezzamento  ripete  Crivellucci  {Storia  &.c. 
p.  128),  «  dem  der  Ehrzeiz  und  die  Herrschsucht  keine  ruhige  Stunde 
■'gònnen,  kann  von  Christenthum  und  Heidenthum,  bewutzter  Rc- 
«  ligiositit  und  Irreligiositiit,  gar  nicht  die  Rede  sein  ;  ein  Soichcr 
«  ist  ganz  wesentlich  unreiigiòs,  selbst  wenn  er  sich  einbilden  solite, 
<(  mitten  in  einer  kirchlichen  Gcmeinschaft  zu  stehen  ».  Il  giudizio, 
di  piccante  sapore  moderno,  t  superiore  al  tempo,  poiché  se  un  .ts- 
soluto  scetticismo  religioso  nella  politica,  come  nella  scienza  e  nel- 
l'arte,  potesse  risalire  cosi  addietro,  non  sarebbe  proprio  di  un'epoca 
di  vivo  contrasto  religioso,  come  quella  in  cui  visse  Costantino; 
ed  è  superiore  all'uomo,  che,  appunto  sorto  in  tempo  di  aspra  lotta 
religiosa  e  cresciuto  in  mezzo  alle  armi  ed  alle  imprese  guerresche, 
in  quell'ambiente,  cioè,  più  adatto  a  determinare  e  a  sviluppare  il 
sentimento  religioso,  aveva  mostrato  anzi  fin  dalla  giovinezza,  come 
liuRCKHARDT  stesso  riconosce  (p.  24S),  di  interessarsi  e  di  portare, 
come  il  padre  suo  Costanzo,  sentimenti  e  convinzioni  proprie  in 
questo  contrasto  religioso. 

(3)  La  figura  di  Costantino  è  cosi  più  finita  ed  artistica,  e  cosi 
apparve  naturalmente  al  Boissier  (Hist.  de  ìu  fin  du  paganisme). 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        iij 

dare  una  cosi  energica  e  costante  manifestazione  ai  senti- 
menti e  alle  predilezioni  cristiane  dell'imperatore.  Le  cir- 
costanze non  giustificano  un  così  forte  ed  immediato  tor- 
naconto politico,  che  il  cristianesimo  potesse  offrirgli  (i),  da 
tener  luogo  esso  di  quel  sentimento  e  di  quell'idea. 

Farmi  anzi  quasi  strano,  ed  in  ogni  modo  cosa  note- 
vole, che  una  più  forte  reazione  non  avvenisse  subito  e  un 
grave  contrasto  non  insorgesse  tra  la  potestà  imperiale  e 
gli  altri  ordini  dello  Stato  e  la  maggioranza  della  popola- 
zione e  delle  truppe,  queste  allora  più  che  ogni  altra  cosa 
potenti;  e  ciò  richiede  forse  un'intima  spiegazione  nei  sen- 
timenti della  gran  massa  popolare,  che  nell'  introduzione 
del  cristianesimo  non  scorgeva  probabilmente  che  1'  accre- 
scimento di  una  nuova  divinità  alle  altre  deità  dell'Olimpo, 
lungi  dal  conoscere  l' intima  essenza  e  lo  spirito  riforma- 
tore ed  esclusivista  della  nuova  dottrina  (2).  Perciò  Costan- 
tino si  guardò  bene  dal  dar  di  cozzo  con  dirette  proibi- 
zioni col  paganesimo,  che  rimase  pur  sempre  sotto  di  lui 
religione  ufficiale:  e  non  è  da  far  le  meraviglie  e  conside- 
rare quasi  contraddizioni  della  sua  coscienza  se  si  conia- 
rono ancor  monete  con  i  consueti  e  tradizionali  emblemi  ed 
iscrizioni  pagane  (3),  se,  con  o  senza  il  suo  piacimento  (4), 
si  eressero  templi  pagani,  se  si  celebrarono  giuochi  e  festi- 
vità pagane,  se  furono  onorati  notabilità  e  filosofi  pagani 
(i  filosofi  neoplatonici  non  furono  discari  financo  a  sant'A- 
gostino) (5),  se  r  imperatore  restò  sempre  il  «  summus 
«  pontifex  »  dei  pagani  (6). 

(i)  Bene  in  proposito  il  Seeck,  op.  cit.  pp.  56-59. 
(2)  Cf.  Seeck,  op.  cit.  p.  59. 

(5)  Cf.  Crivellucci,  op.  cit.  p.  129;  Burckhardt,  op.  cit.  p.  349 
e,  specialmente,  p.  352. 

(4)  Cf.  ScHULTZE,  op.  cit.  p.  54. 

(5)  Città  di  Dio,  liix  Vili,  capp.  6  a  13.  Anche  Teodosio  il 
Grande  ebbe  cari  Temistio,  Libanio  e  Simmaco. 

(6)  Intorno  a  ciò  e  al  riconoscimento  per  parte  di  Costantino  dei 
collegi  di  sacerdoti  cf.  Schultze,  op.  cit.  p.  61  sg. 


iiS  e    (Jamssaì 


A  questa  necessiti  politica  devono  ascriversi  anche 
alcuni  generici  ed  indeterminati  atti  di  Costantino,  la  pre- 
scrizione del  (ìies  solis  come  giorno  festivo  (i),  la  preghiera 
stabilita  per  le  truppe,  di  indeterminata  tendenza  religiosa, 
che  Burckhardt  attribuisce,  traendone  nuova  conferma,  al 
vago  ed  incerto  sentimento  religioso  dell'  imperatore  (2). 
Ma,  salvo  una  forma  indeterminata  che  è  frutto,  come  ab- 
biamo osservato,  di  una  necessità  politica,  anche  questi 
fatti  rispecchiano  invece,  secondo  noi,  la  tendenza  cristiana 
della  politica  di  Costantino,  senza  di  che  nessun  bisogno 
avrebbe  avuto  l' imperatore  di  portare  novità  nelle  con- 
suetudini festive  pagane  e  nel  rituale  di  quella  invocazione 
divina. 

Se  alcuni  atti  di  crudeltà,  dovuti  pure  in  gran  parte 
a  quella  specie  di  machiavellismo  politico,  che  guidava 
alla  conquista  e  al  mantenimento  della  porpora  imperiale  (3), 
macchiarono  presso  i  contemporanei  e  più  forse  presso  i 
posteri  la  memoria  di  Costantino  (4),  se  menomano  essi 
il  suo  ardore  e  la  sua  purità  di  neofita  e  se  attestano  V  in- 
tima ambiziosità  del  suo  temperamento,  non  escludono  il 
suo  sentimento  di  cristiano,  anzi  possono  in  certo  modo 
giustificarne  lo  zelo,  successivamente  a  quei  fatti,  come 
Zosimo  ci  insegna  (j). 

(i)  Cod.  Theod.  II,  8,  d.  f^riis,  1.   i. 

(2)  Burckhardt,  op.  cit.  p.  354. 

(3)  Eutropio,  lib.  X,  cap.  6:  «  verum  insolentia  rerum  secun- 
»  darum  aliquantum  Constanthius  ex  Illa  favorabili  animi  docilitatc 
«  mutavit  ». 

(4)  È  da  consultare  in  proposito  Gòrres,  Die  Verwundleiiinorde 
Constantin's  des  Grosseii,  in  Zcilscbrift  f.  IVissensch.  Tbeol.  XXX,  n.  3, 
345-377.  Nella  stessa  e  suU' argomento,  StECK,  XXXIII,  n.  i,  63-77; 
Górre?,  Einc  Enivid^ruit<;  &c.  X.XIII,  n.  3,  320-328. 

(5)  Zosimo  (op.  cit.  II,  29)  narra  in  tal  modo  la  storia  della  con- 
versione di  Costantino  che,  essendo  egli  tormentato  dai  rimorsi  per 
l'uccisione  di  Crispo  e  di  Fausta  e  non  ottenendo  dai  sacerdoti  Fla- 
mini il  mezzo  di  purgarsi  da  si  gravi  delitti,  un  tale  egiziano  (prò- 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        119 

Riteniamo  che  Costantino  fu  cristiano  per  sentimento 
e  per  intima  opzione  della  nuova  dottrina  (i):  del  resto,  lo 
fosse  pure  stato  per  politica,  ciò  spiegherebbe  maggior- 
mente r  importanza  e  i  rifiessi,  dal  punto  di  vista  politico, 
dei  suoi  atti. 

Se  un  sentimento  religioso  muoveva  l'opera  di  Costan- 
tino, esso  doveva  condurre  per  intrinseca  sua  natura  alla 
propaganda  e  al  trionfo  delle  proprie  dottrine;  se  uno 
scopo  politico,  gli  stessi  effetti,  come  mezzi  al  raggiungi- 
mento migliore  e  più  completo  di  quello  scopo,  dovevano 
manifestarsi  (2). 

Ecco  il  succo  della  politica  ecclesiastica  di  Costantino: 
porre  in  linea  parallela  la  vecchia  e  la  nuova  religione  in 
via  di  principio;  allargare  il  campo  di  questa,  in  via  di 
£nto,  a  tutto  scapito  dell'altra. 

In  consonanza  al  primo  ordine  d' idee  vediamo  riam- 
messi i  cristiani  nelle  pubbliche  cariche  (3),  rese  loro  inac- 
cessibili da  Diocleziano;  vediamo  riconosciuti  i  giorni  di 


babilmente  an  certo  Osio),  a  Roma  tradotto  dalla  Spagna,  indicogli 
la  religione  cristiana  come  quella  che  concedeva  il  modo  di  lavare 
ogni  misfatto.  Ed  egli  si  fece  cristiano. 

(i)  Ciò  risponde  meglio  al  carattere  di  Costantino;  se  sono  esa- 
gerate le  lodi  di  Eusebio,  è  pure  esagerato  il  biasimo  di  Zosimo,  e, 
se  non  è  possibile  fare  una  media  delle  une  e  dell'altro  (Gibbox', 
op.  cit.),  si  può  ritenere  più  giusto  e  temperato  il  giudizio  di  un 
altro  storico,  Eutropio,  che,  indipendentemente  dalla  questione  re- 
ligiosa, che  egli  non  rileva,  ci  presenta  con  miglior  criterio  il  ca- 
rattere in  sostanza  elevato  e  non  comune  di  Costantino  (X,  7). 

(2)  A  questa  conclusione  arriva  in  sostanza,  nonostante  il  suo 
contrario  punto  di  partenza,  anche  Burckhardt  (op.  cit.). 

(3)  Eusebio,  Vita  Constant,  lib.  II,  cap.  44:  y-y-i  irp^Òra  'j.ii  tìÌ"; 
x.oct'  iTTapy^iai;  òtvipYiy.svoi?  l'Ssviatv  r,-^£_aova?  t(.o.TÌ—ziJ.Ttz,  'f,  uuTT.p'.u  tti- 
cTsi  /caS(d(j'.(oy.£%s'j;    tsù?  wXstou;  »  &c.  ;  III,   1 :    01  (persecutores)   y-ì'i 

TO'JTOt?   òt=7iXc'.    Sappw";,   vj-iO'Ji   a'JT'ò   y.aì   tt'.sts'J;    óltzÓ.'i-wi   jj.àXXo'<   ts'j- 


120  C.    Car assai 


feste  religiose  cristiane  (i);  vediamo  cadere  in  desuetudine 
molte  cerimonie  religiose,  che  accompagnavano  gli  atti 
pubblici;  vediamo  semplificate  e  rese  come  generiche  le 
cerimonie  religiose  guerresche,  riconosciuta  la  santità  dei 
templi  cristiani  e  rese  valide  le  manumissioni  ivi  fatte  avanti 
al  vescovo  (2),  pagati  o  sussidiati  i  sacerdoti  cristiani  in 
molte  occasioni  con  i  denari  pubblici,  esentati  i  vescovi, 
come  le  autorità  più  eminenti  dello  Stato,  dai  carichi  per- 
sonali, poiché,  dice  Eusebio  (3),  anch'eglino,  col  propiziare 
la  Divinità  alla  Repubblica,  rendono  a  questa  un  grande 
servigio  (4). 

Sotto  il  secondo  aspetto,  la  politica  costantiniana  si  ap- 
palesa con  un  complesso  di  fatti,  personali  dell'  imperatore, 
o  anche  di  governo  e  di  legislazione,  tutti  non  di  natura 
privata  ma  d' indole  ufficiale,  tendenti  ad  allargare  il  campo 
del  cristianesimo,  a  restringere  quello  del  paganesimo. 

Era  il  carattere  stesso  dell'imperatore  che  portava  a 
ciò,  perchè  era  egli  una  di  quelle  personalità  che  sanno 
imporsi  agli  altri,  imporre  la  propria  volontà  e  le  proprie 
convinzioni,  imprimere  un  carattere  particolare  e  tutto  per- 
sonale al  governo  della  cosa  pubblica.  Egli  aveva  tutte  le 
qualità  che  non  devono  mancare  in  uomini  siffatti.  Era 
superstizioso  e  come  convinto  di  avere  quasi  una  missione 
da  compiere  per  volere  della  Divinità  ;  i  suoi  sogni  e  le  sue 
visioni  potevano   essere    astuzia  politica,  potevano  anche 

(i)  Eusebio,    Vita  Const.  lib.  IV,  cap.   2;:   /.ai   toT;   x.aT'  és/s; 

ò'  àp/^ioaf*,  óaoiw;  rry  K'j-A(x/.ht  raspa-*  -'s'ao;  È'fO'.Ta  •^•EpatsEiv  (cf.  osser- 
vazioni fatte  sopra)  tÒ  vEuy.art  [iactX-'oj;  xaì  aaiTupwv  r.(j.£;a;  STtaw-*, 
y-atpi'j;  s'  éostwv  Èy.xXroia-.;. 

(2)  Due  leggi  di  Costantino  degli  anni  316  e  321  riguardano  le 
manomissioni  fatte  nelle  chiese  cristiane  (1.  i,  2  Cod.  Giust.  I,  13). 
La  prima  di  queste  leggi,  cominciando  con  le  parole  «  iam  dudum 
«  placuit  ut  in  ecclesia  »  &c.,  fa  supporre  che  ne  esistesse  ancora 
una  terza. 

(3)  Stor.  eccìes.  lib.  X,  cap.  7. 

(4)  Riscontrare  la  1.  i   Cod.  Theod.  XI,  i,  De  aiittoiia  et  tribiiHs. 


La  politica  religiosa  di  Coslautino  ecc.        121 

essere  effetti  suggestivi  di  quella  superstiziosità  e  di  quella 
convinzione;  in  ogni  modo  erano  da  lui  stesso  narrati  e 
presi  a  base  delle  determinazioni  più  importanti  (i).  Questa 
specie  di  predestinazione  divina  è  affermata  e  forse  cre- 
duta non  solo  dagli  scrittori  cristiani  (2)  ma  dagli  stessi 
pagani,  e  forse  loro  era  meno  difficile,  che  volevano  dir 
cosa  gradita  all'  imperatore  (3).  Era  amante  di  novità  e 
compiacevasi  di  essere  quasi  singolare  :  era  arguto  e  anche 
pungente  motteggiatore  (4):  di  facile  ingegno,  era  amante 
di  occuparsi  di  molte  cose,  anche  estranee  alle  armi  e  alla 
politica;  fu  egli  perciò  amante  delle  belle  arti  (5),  retore 
e  declamatore  nonostante  che  nella  sua  prima  età  non  fosse 
stato  iniziato  alle  lettere  (6),  ed  amò  e  protesse  i  filosofi 
e  i  letterati  del  suo  tempo,  Sopatro,  Porfirio,  Optaziano, 
Eumene,  Lattanzio  ed  Eusebio.  Fu  legislatore  attivissimo  e 
molte  sue  leggi  sono  pervenute  a  noi  nei  Codici  Teodosiano 
e  Giustinianeo  (7):  egli  amava  di  riformare  molte  cose,  di 

(1)  Oltre  alla  nota  visione  della  croce  nella  battaglia  di  ponte 
Milvio  (Lattanzio,  De  mori.  pers.  cap.  44;  Eusebio,  Vita  Const.  lib.  I, 
capp.  2<S  e  29),  basti  ricordare  un  altro  sogno  che  l' imperatore  at- 
testò di  avere  avuto  per  la  fondazione  di  Costantinopoli.  Se  la  te- 
stimonianza di  SozoMENO  è  sospetta  (II,  3),  abbiamo  l'attestazione 
dell'imperatore  stesso  (Cod.  Theod.  XIII,  5,  7  «  iubente  Deo  »). 

(2)  Lattanzio,  De  mort.  pers.  cap.  44;  Eusebio,  Land.  Const. 
lib.  XI,  cap.  i  ;  lib.  XVIII,  cap.  i  ;  Vita  Const.  lib.  I,  cap.  47  ;  lib.  II, 
cap.   12. 

(3)  Eu.MEX.  Paneg.  IX,  2  :  «  habes  profecto  aliquod  cum  illa  mente 
«  divina,  Constantine,  secretimi,  quae  delegata  nostri  dis  minoribus 
«cura  uni  se  tibi  dignatur  ostendere».  Cf.  Seeck,  op.  cit.  p.  54;  Ap- 
pendice, pp.  438-39. 

(4)  VicT.  Ep.  41,  18:  «  irrisor  potius  quam  blandus,  unde  pro- 
«  verbio  vulgari  Trachala  ». 

())  EuTROP.  loc.  cit.  X,  7;  EusEB.  Vita  Const.  lib.  I,  capp.  2, 
19;  lib.  IV,  cap.  29,  p.   5). 

(6)  Anon.  Vales.  II,  2:  «  litteris  minus  instructus  ». 

(7)  «  Multas  leges  rogavit,  multas  ex  bono  et  aequo,  plerasque 
superfluas»;  Eutrop.  loc.  cit. 


122  C.    Car assai 


far  valere  il  suo  giudizio  e  il  suo  sentimento  contro  ogni 
costume  od  ogni  regola  di  diritto,  per  cui  Giuliano  lo 
chiamò  poi  «  novator  turbatorque  priscarum  legum  et  moris 
«  antiquitus  recepti  »  (i);  e  ciò  non  solo  nell'ammini- 
strazione, dove  pur  dimostra  sagacità  ed  in  fondo  un  animo 
giusto,  ma  anche  nel  campo  strettamente  giuridico,  dove 
la  pratica  decisione  che  egli  dettava  fu  osservato  non  ri- 
spondesse sempre  alla  tradizione  del  puro  diritto  romano  (2). 
Anche  nella  penale  giustizia  il  suo  sentimento  personale 
prevaleva  sull'equità,  e  talvolta  mostravasi  severissimo,  pre- 
cipitato e  quasi  feroce,  e  talvolta  di  larga  blandizie  (3), 

Era  dunque  Costantino,  «  vir  ingens  et  omnia  efficere 
«  nitens  quae  animo  praeparasset  »  (4),  l' uomo  adatto  a 
concepire  e  ad  effettuare  il  proposito  di  sollevare  il  cri- 
stianesimo alla  pari  e  quindi  al  di  sopra  del  paganesimo, 
e  con  costanza  e  tenacia  in  tutto  l' insieme  del  suo  go- 
verno porlo  definitivamente  su  quella  via  che  doveva  avere 
per  meta  prossima  il  suo  trionfo  completo,  nella  rovina 
del  paganesimo,  dell'antica  civiltcà  e  dell'antico  mondo. 

Le  manifestazioni  pubbliche  del  cristianesimo  e  le  sue 
influenze  sulla  vita  pubblica  ufficiale  furono  sotto  Costan- 

(i)  Amm.  XXI,  IO,  8. 

(2)  Importante  sarebbe  la  seguente  notizia  data  da  Seeck  (op. 
cit.  pp.  52-55),  ma  non  è  indicata  e  non  ho  trovato  la  fonte:  «  wohl 
«  aber  fehlte  iliin  das  geschultc  Rechtsgefùhl,  welches  auch  den  ge- 
«  stàndigen  Verbrecher  der  schùtzenden  Formen  dea  Prozesses  nicht 
«  zu  berauben  gestattet.  Wo  er  von  der  Schuld  ùberzeugt  war,  schien 
«  ihni  cine  Untersuchung  ùberflùssig,  und  ob  der  Henker  odcr  Mcn- 
<v  chelmórder  das  Urtheil  voUzog,  betrachtete  er  als  cine  gleichgil- 
«  tige  Fo!  mfrage.  In  Fcldlager  aufgewaclisen  und  von  lugcnd  auf  an 
«  Blut  und  Wunden  gewòhnt,  batte  er  das  Mitleid    fruii  verlernt  ». 

(j)  Cf.  i  due  passi  in  Eutropio  (X,  6):  «  primum  necessitudines 
a  persecutus  Crispum  filium  egregium  virum  et  sororis  filium  com- 
«  modae  indolis  iuvenem,  interfecit:  niox  uxorem;  post  numeros 
«  aniicos  »;  (X,  7):  «...  ingentcmque  apud  barbaras  gentes  mcnioriae 
a  gratiam  collocavi!  ». 

(4)  Eutropio,  X,  5. 


La  polìtica  religiosa  di  Coslaiitiiio  ecc.        123 

tino  manifeste  e  continue.  Incominciarono,  si  è  detto,  con 
r  innalznmento  della  croce  sul  labaro,  suU'  emblema  della 
romana  grandezza  che  a  tante  vittorie  aveva  guidato  le 
fortunate  armi  romane;  e  dopo  la  battaglia  di  ponte  Milvio 
non  furono  celebrati  giuochi,  contrari  ai  rigidi  costumi 
cristiani. 

La  lotta  con  Licinio,  che  nascondeva  l'aspirazione  di 
Costantino  a  riunire  nelle  sue  mani  tutto  l'impero  (i),  fu 
combattuta  sotto  l'invocazione  della  protezione  degli  dèi 
da  una  parte,  di  Cristo  dall'altra,  e  fu  riguardata  quasi  come 
una  prova  della  verità  e  della  potenza  dell'una  e  dell'altra 
religione  (2). 

Dopo  ciò  e  dopo  le  fortunate  vittorie,  le  truppe  rico- 
nobbero Cristo,  almeno  nella  loro  rozzezza,  accamo  ai  loro 
dèi;  era  già  questo  un  passo  verso  la  loro  cristianizzazione, 
era  già  un'  affermazione  importante  del  Cristianesimo  che 
doveva  portare  i  suoi  frutti. 

Le  controversie  religiose,  che  con  tanta  violenza  sor- 
sero e  si  combatterono  in  quell'epoca,  ebbero  un  riflesso 

(1)  EUTKOPIC,    X,    ). 

(2)  Eusebio,  Slor.  eccks.  lib.  X,  cap.  9;  Vìla  Coint.  lib  li,  cap.  5. 
È  interessante  di  rilevare  che,  invero,  questo  principio  di  giudicare 
della  verità  o  falsità  delle  religiose  credenze  dall'  influenza  buona  o 
sinistra  del  principio  stesso  religioso  sulle  cose  umane  e  sulle  cose 
dell'impero,  che  in  sostanza  riduceva  la  questione  religiosa  ad  una 
discussione  storica,  ponendola  sopra  una  base  di  fatto,  trasparisce  in 
tutta  la  lunga  lotta  religiosa  fino  alla  rovina  completa  del  pagane- 
simo. Sl!  questo  principio  e  su  questo  scopo  s' incardinano  il  De  nior- 
tihiis  perseciitornm,  come  più  lardi  la  Città  di  Dio  di  sant'Agostino: 
questo  principio  trasparisce  continuamente  negli  scritti  di  Eusebio:  in 
una  lettera  di  Costantino  tramandataci  nella  5/or/a  (jcc/di^/a^z/ca  (lib.  X, 
cap.  7)  non  altrimenti  si  osserva:  'E-siSr,  i/.  TrXsisvw*  Trpa-jry.dTuv  <pai- 
■icTai  Tvape^i'jSScvTiSrerorav  ■:•}■,•*  Spr.a/.iiav  ìi  fi  r,  jcosucpaia  tx?  à-j-utoàTVi; 
sTTO'jpavio'j  alòd);  cp'jXàTTSTat,  y.SYOcXo'j;  )«f(5uN0u;  ì'^-n-ioyj'i'x'.  tsÌ;  Sviu.oaiot; 
Tzoó.'^y.'xrsvi,  aÙTTiv  t;  -oiùzr.'i  IvS/cao);  àvaXYicpScìca-j  /-ai  {p'AaTT0;.;.c'v7iv, 
a£-^iaTr,-;  còiu/^iav  tm  'Puy.aVy.w  ivs'y.aTt,  x.aì  uù'J.noia'.  T5Ì:  rù-i  k'tXtwTTwt 
■jrpà'Y;-'-aci^  s^atpsTS-*   eùòaiaj'ia-/  izy.fzayjr.'J.i-i'xi,   &C. 


124  ^-    Car assai 


diretto  nel  campo  dello  Stato,  e  in  gran  parte  invero  in- 
teressavano la  pace  e  la  tranquillità  pubblica  (i):  lo  Stato 
intervenne  a  mezzo  dell'imperatore,  non  con  mezzi  esclu- 
sivamente di  polizia,  ma  con  mezzi  altresì  e  con  riguardi 
inerenti  all'  organizzazione  della  Chiesa  cristiana. 

È  da  riflettere  al  riguardo  che  l' azione  di  Costan- 
tino si  esplicava  come  cristiano  e  come  uomo  di  governo. 
Non  è  da  esagerare  il  valore  di  questa  sua  intromissione 
nel  governo  della  Chiesa  e  riannodarla  troppo  ai  concetti 
dell'  antica  teocrazia,  perche  Costantino  non  si  arrogò 
anzi  mai  il  diritto  di  far  da  pontefice  nella  Chiesa  cri- 
stiana, nonostante  che  le  circostanze  e  le  condizioni  della 
Chiesa  in  quell'epoca,  dopo  la  persecuzione  diocleziana,  gH 
avessero  anzi  offerto  il  destro  di  estendere  la  sua  inge- 
renza (2).  Egli  convocava  i  sinodi  ed  i  concilii,  ne  stabiliva 
le  modalità;  faceva  obbligo  ai  vescovi  d'intervenirvi,  li 
esortava  alla  concordia,  esercitava  un'autorità  provviden- 
ziale allora  per  l'unità  della  Chiesa  e  della  fede  cristiana, 
mostrando  anzi  in  questa  sua  condotta  molto  tatto,  come 
Burckhardt  riconosce  (3).  Due  sinodi  (ece  egli  convocare 
in  occasione  della  controversia  donatista  di  Cartagine  "(4), 
poiché  a  lui  ambo  le  parti  avevano  ricorso  per  averne  il 
giudizio  e  l'appoggio  (5).  Egli  assistette  al  sinodo  di  Ar- 

(i)  Lo  dice  !o  stesso  Costantino  nella  lettera  a  Milziade,  con 
la  quale  fu  sottoposta  al  giudizio  di  questo  e  di  altri  vescovi  (tw* 
y.'/KXr.-^ut  'iy-wv),  Reticio,  Materno  e  Marino,  la  questione  di  Ceciliano 
cartaginese  (cf.  Eusebio,  Slor.  cecia,  lib.  X,  cap.  5):  /.ai  ts-jtì  asi 
papj  (j'yiòpa  òo/.i',  T9  £v  ra'JTai;  ii:%zyj.a\%  a;  ttì  ìj-t,  /.aSoctróasi  aùsai- 
seTOu;  r,  5eia  npivsia  à/E/^eipiTS,  y.à/.iìa»  iri^J  ttX-^So;  Xaoi3,  ó^^sv  l-i 
ri   oa'jXsTEpj"'   tTt'.'J.iiTit'i-  cJp'.ay.cjSat   woa><ci  òf/^oa-aTSÙvra   &C. 

(2)  Bene  in  proposito  il  Sheck,  op.  cit,  pp.  60,  62. 

(3)  Op.  cit.  p.  365. 

(4)  Mansi,  II,  434  e  456.  Cf.  le  lettere  di  Costantino  a  Milziade 
papa  e  ad  Onesto  vescovo,  in  Eusebio,  Stor.  eccks   lib.  X,  cap.  5. 

(5)  Cf.  le  notizie  sull'origine  del  Donatismo  nella  Zeilschrijt  f. 
Kiichengischichli,  X,   '^o\  sg    Inoltre  Wòlter,  Dcr   Urspning  da  Do- 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        125 

les  (i),  f  cosi  al  grande  concilio  di  Nicea,  che  fu  per  suo 
ordine  convocato  (2).  Ma,  oltre  a  ciò,  le  decisioni  di  questi 
concilii  erano  fatte  da  lui  valere  con  la  forza  pubblica  (3); 
questi  concilii  stessi  erano  adunati  a  spese  pubbliche  (4): 
sotto  tali  aspetti  queste  controversie  interne  della  Chiesa 
rientrarono  nella  competenza  dello  Stato,  e  contribuirono 
perciò  ad  una  nuova  affermazione  pubblica  del  Cristia- 
nesimo. 

Molte  pratiche  religiose  e  molte  feste  pagane,  che  più 
contrastavano  per  la  loro  licenziosità  con  la  morale  cristiana, 
vennero  dall'imperatore  sospese  o  addirittura  proibite  (5): 


nalismiis  iiach  deii    Oucìlen   unlcnncìit   iind    dai-i^cstt'ìlt,  Freib.  und    Tu- 
bing,  1883  (riguardo  a  Costantino  specialmente  pp.   134-194). 

(i)  Eusebio,  Vila  ConsL  lib.  I,  cap.  44;  Zeitschrift,  ivi,  p.  507. 

(2)  Seeck,  Untersuchuiigen  :(.  Gescli.  d.  Kicdeuiris  Kon^iJs,  in  Ztiit- 
schrift  f.  Kirchengeschìcbte,  XVII,  n.  i,   319  sg. 

(3)  Rilevasi  specialmente  riguardo  alla  controversia  di  Atanasio 
ed  al  concilio  di  Nicea  {Vita  Const.  lib.  III). 

(4)  Eusebio,  Star,  eccìes.  lib.  X,  cap.  5. 

(5)  Eusebio,  Vita  Const.  lib.  IV,  cap.  25  (cf.  1.  i  Cod.  Tlicod. 
De  gladiatorihiis,  XII,  15;  1.  i  Cod.  Giust.  XI,  43:  «Cruenta  spe- 
«  ctacula  in  otio  civili  et  domestica  quiete  non  placent.  Quapropter, 
«  qui  omnino  gladiatores  esse  prohibemus,  eos  qui  forte  delictorum 
«  causa  hanc  conditionem  atque  sententiam  mereri  consueverant,  me- 
te tallo  magis  facies  inservire,  ut  sine  sanguine  suorum  scelerum  poenas 
«agnoscant».  Due  leggi  di  Costantino  proibiscono  la  consultazioni- 
privata  degli  aruspici,  non  potendo  compiersi  le  pratiche  relative  che 
nelle  pubbliche  are  a  ciò  destinate  (Cod.  Theod.  IX,  16,  i,  2).  Una 
legge  di  Costanzo  riferisce  un'altra  legge  di  Costantino  che  proibiva 
i  sacrifici  (Cod.  Theod.  XVI,  io,  2):  «  cesset  superstitio,  sacrificiorum 
«  aboleatur  insania.  Nam  quicumque  contra  legem  divi  princi- 
«pis  parentis  nostri  et  hanc  mansuetudinis  nostrae  ausus  fuerit 
«  sacrificia  celebrare  »  &c.  Mi  pare  molto  probabile  che  questa  legge 
di  Costantino  effettivamente  esistesse  e  proibisse  alcuni  speciali  sacrifici 
cruenti  e  contrari  alla  nuova  morale.  Ne  dà,  del  resto,  notizia  anche 
Eusebio,  Vita  Const.  lib.  IV,  cap.  23:  ...  Sjcia?  -i  rpi-s;  à.T:r,'p- 
piUETs  -òt;  •  È  ricordata  anche  nel  lib.  II,  cap.  45  :..•  y-r'^  i^-'h  S'je'.-* 


126  e.    Car assai 


del  resto  Costantino  in  questa  piiri^a:;^ioìie  del  rito  pagano 
non  faceva  che  seguire,  e  magari  estendere,  l'esempio  dei 
più  austeri,  o  meno  corrotti,  suoi  predecessori.  A  quest'ordine 
di  provvedimenti  sono  da  riferire  i  suoi  ordini  di  chiusura 
di  alcuni  templi  pagani  (i).  Questi  templi,  consacrati  nella 
maggior  parte  a  \'enere,  nelle  provincia  orientali,  in  Fenicia, 
in  Cilicia,  neir  Egitto,  erano  centri  di  gravissime  immo- 
ralità e  turpitudini:  xo)  \xr^òiyx  ac[Jivà)v  àvòptov  aùxóS-:  ToX|xàv 
7ìaj>i£va'.  (2). 

È  da  ritenere,  peraltro,  a  questo  proposito  non  essere 
comprovato  che  sotto  Costantino  e  nella  stessa  cittA  di 
Costantinopoli  non  fossero  eretti  nuovi  tempi  pagani  (3). 
Altri  attentati  o  altre  noie  non  ebbero  a  soffrire  questi 
tempi  sotto  Costantino  :  il  racconto  di  Eusebio  (4)  che 
molte  statue  di  dèi  sarebbero  state  fuse  per  destinarne 
l'oro  e  l'argento,  di  cui  erano  composte,  a  sostenere  le 
gravi  spese  ordinate  dall'  imperatore,  e  che  molte  statue 
sarebbero  state  tolte  dai  rispettivi  tempi  per  essere  traspor- 
tate ad  adornare  la  nuova  città  di  Costantinopoli,  raccolto 
da  Schultzc  (5),  non  ha  importanza,  perchè,  tolta  l'esage- 
razione che  qui  manifestamente  trasparisce,  si  tratta  della 
fusione  e  della  spogliazione  di  quei  tempi,  di  cui  fu  ordi- 
nata la  chiusura  (6);  e  il  trasporto  di  statue  artistiche  (-/aXxoO 
'^:/.07.7./.''a:;  à'f.sprojxivtov)  a  Costantinopoli  è  un  fatto  che  si 
spiega  con  ragioni,  che  nulla  hanno  a  vedere  con  la  ragione 

(i)  Eusebio,  Fila  Comi.  lib.  Ili,  capp.   5 1-5 5-56,  58. 

(2)  Eusebio,  ivi,  cap.  55. 

(3)  La  lepge  3,  Cod.  Theod.  XV,  i,  citata  da  Scliultze,  non  può 
avere  questa  interpretazione. 

(4)  Vila  Censi,  lib.  Ili,  cap.  3;:  ...  'EirXr,:&5T0  òè  òiiXju  irSaa  f. 
fiaiO.Sù);  Èttwvo  Ai;  ttìXi;  -w  y.t-'ìt.  -à-;  ÉSvs;  svTSy^vot;  yaXx.ov»  ca-.yoxaXiat; 

())  Op.  cit    pp.   50,  51. 

(ój  Le  ultime  parole  di  quel  capo  della  storia  di  Eusebio  lo  di- 
mostrano :  As'J./.'.i'.  ò^Ta  /.ai  'y.ii  •j.ùUmi  5j;:  ^'E-j'Tsa/.jTcìJv,  •:pr/'7>i  >^à- 
C'j.olg:i  T.7ÌVT;  -2;tJì>,r,53/T£;. 


La  politica  religiosa  di  (Costantino  ecc.        ii'j 

religiosi!,  e  che  riflettono  al  «  su m munì  ius  »  della  città 
che,  come  Roma,  era,  o  veniva  ad  essere,  il  «  caput  » 
dell'  impero  (i). 

Alcune  cerimonie  tradizionali  pagane  non  furono  com- 
piute da  Costantino:  cosi  non  si  ascese  il  Campidoglio 
dopo  la  vittoria  su  Massenzio,  né  alla  ricorrenza  dei  Ludi 
Capitolini  furono  celebratele  consuete  cerimonie,  con  grande 
disdegno,  come  Zosimo  narra  (2),  del  Senato  e  del  popolo. 

Le  ricorrenze  solenni  con  le  quali,  secondo  il  costume, 
si  celebrava  il  compimento  di  ogni  lustro  di  regno  dell'  im- 
peratore, e  si  facevano  voti  per  il  nuovo  lustro  che  comin- 
ciava (0  quinquennalia,  decennalia,  quindicennalia,  vicen- 
nalia»)  furono  dall'imperatore  solennizzate  con  feste  religiose 
cristiane,  con  conviti,  ai  quali,  giusta  il  racconto  di  Euse- 
bio, tutti  i  vescovi  erano  invitati  (3):  ciò  non  esclude  che 
feste  pagane  fossero  altresì  celebrate,  essendo  giorni  di  fe- 
stività universale,  ma  queste  non  avevano,  come  quelle, 
tutto  il    favore   e  la   partecipazione    dell'  imperatore.    Nei 

(i)  Ammiano  Marcellino,  XVII,  92  (ediz.  Parisiis,  1631)  par- 
lando dell'obelisco  trasportato  nel  Circo  Massimo  di  Roma  da  Co- 
stanzo nell'anno  557  (v.  Henzex  e  De  Rossi,  Inscript.  tirh.  Rotiiae, 
ediz.  Bormann  ed  Henzen,  VI,  par.  i,  n.  1163)  dalla  città  egiziana 
Eliopoli,  accenna  che  già  Costantino  aveva  tentato  di  farne  il  trasporto 
a  Costantinopoli.  L'obelisco  era  consacrato  al  dio  Sole,  ed  era  posto 
entro  alle  rovine  del  tempio,  ma,  dice  A.  Marcellino,  «  Constanti- 
«  nus,  id  parvi  ducens,  avulsam  hanc  molem  sedibus  suis,  nihilque 
«committere  in  relisrionem  recte  exsistimanssi  abla- 
«tum.  uno  tempio  miraculum  Romae  sacrarci  [invece  a 
«Costantinopoli]  idestin  tempio  mundi  totius,  iacere  diu 
«  perpessus  est,  dum  translationi  pararentur  utilia  »  &c.  Intorno  a  ciò 
cf.  anche,  in  generale,  Burckhardt,  op.  cit.,  e  Crivellucci,  Della 
fede  storica  di  Eusebio,  pp.   10-27. 

(2)  ZOSIMO,  II,  29:  Tr.i  òi  -jraTpis'J  y.aTaXapj-jijr.;  ioz-r,^,  /.aS' ■/■•< 
àsi'^y.r,  tò  a-^y-riT^zòoi  r.'i  ;'=-/a'.  =;;  ~i  KaTTiTwXts-*,  ivoòo-;  i-W-òi^wi  àvai- 
Òrrt,  /.OLÌ   -r,i  isià;    àTvsGTXTria;,   il;   y-ì'ffs;    ~r,'i   -^spo-jdia-*  /.ai  -zb-i   òr.v.sv 


aNiOTTiCS-^ 


(3)   l'ita  Const.  lib.   I,  cap.  48;  lib.  III,  cap.   15. 


128  e    Car assai 


«  decennalia  »  e  «  vicennalia  »  le  sue  lodi  furono  dette  da 
Eusebio  (i). 

Le  leggi  di  Costantino,  da  quanto  ne  conosciamo  per 
esserci  state  conservate  dal  Corpus  iiiris  e  per  il  giudizio 
che  ne  apprendiamo  da  contemporanei,  rispondono  molto 
alla  morale  cristiana  (2).  In  verità  l'indirizzo  ci  traspa- 
risce da  parecchie,  che  troviamo  nel  Corpus  liiris.  Siste- 
matica è  la  protezione  delle  donne,  dei  minorenni,  delle 
vedove,  degli  orfani,  e  il  miglioramento  in  questa  materia, 
su  larga  base  di  equità,  del  diritto  antico  è  evidente  ;  tale 
protezione  si  estendeva  nel  campo  penale,  processuale  e  pa- 
trimoniale, e  specialmente  aveva  di  mira  di  por  limiti  alle 
cattive  e  voraci  amministrazioni  dei  tutori  e  curatori  (3). 
Né  solo  in  fatto  di  amministrazione  ed  in  materia  patri- 
moniale aveva  riguardo  alla  tutela:  una  legge  dell'anno  320 
commina  severe  pene,  la  deportazione  ed  il  sequestro  di 
tutti  i  beni,  a  quel  tutore  che  avesse  abusato  della  sua 
pupilla  (4).  Il  pudore  della  donna,  in  generale,  sugge- 
risce a  Costantino  alcune  disposizioni  che  accordano  pri- 
vilegi alle  giovanette  e  alle  matrone  «  propter  pudorem 

(i)  Vita  Const.  lib.  I,  cap.  i.  Si  può  confrontare  anche  Eusebio 
{Laud.  Const.),  cap.  2:  iravri-Y'jpi'  te  Taótr.v  u-i-m  sjts;  t'ov  TrwTTUTE  rr.i 
'P'ij'Aaitov  y.i'isr.'fvj.o-ivjci-nii)'!  pac.XE'a;,  ri'.TTaT;  r,ò%  irspiiòsi;  òsiiaStov  Trpò; 
■zcZ  way.paciXj'to;  0:Oj  Tty.r.Sct;,  où  /^Sovisi;  y.aTà  tsò;  iraXdiou;  a'j^rsXeì 
77<2uu.ac;v,  5'jòi  X7.0KXitu)t  tpaay.aci  &atao'*ti)'<  .  .  .  a'J'/y;a37iy,='-(5{  7<5v  eì; 
a'jTÒv  )Cc/_ipT.-]frac'va)v   à-^a5ò'(,   àTTSÒiòwaiv  • 

(2)  Oltre  che  in  Eusebio,  leggiamo  nel  panegirico  di  Nazario, 
cap.  38:  «  Novae  leges  regendis  moribus  et  frangendis  vitiis  consti- 
«  tutae.  Veterum  calumniosae  ambages  recisae,  captandae  simplici- 
«  tatis  laqueos  perdiderunt.  Pudor  tutus;  munita  coniugia»  &c. 

(3)  Cod.  Theod.  I,  22,  De  o[ìicio  iudkuin  omnium,  r,  2  (Cod. 
Giust.  I,  48,  i;  III,  14,  i);  III,  30  Dà  aJminìslratione  et  peiicnlo  tu- 
torum  etcìiratornm,  1-5  (Cod.  Giust.  V,  37,  20-23);  IX,  21,  De  (alni 
moneta,  4,  |]  i  ;  XLII,  De  bonis  proscriptorum  et  damnatorum,  i  (Cod. 
Giust.  IX,  24,  i;  V,  16,  24). 

(4)  Cod.  Theod,  IX,  8,  i  (Cod.  Giust.  IX,  io,  i:  «  pupillani 
quondam  suani  »). 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        129 

«et  verecundiam  »  (i),  «  considerato  sexu  »  (2).  L' influenza 
della  morale  cristiana  è  qui  manifesta,  e  tanto  più  essa 
ci  trasparisce,  se  teniamo  d'occhio  un'altra  legge  di  Co- 
stantino che  vuol  salvaguardare  dalla  prostituzione  la  donna, 
ancor  schiava,  che  all'  osservanza  della  rigida  e  pura  cri- 
stiana legge  si  fosse  dedicata  (3):  «  nemo  alter  coemendi 
«  habeat  facultatem  »,  dispone  la  legge,  «  nisi  aut  hi,  qui 
«  ecclesiastici  qssq  noscuntur,  aut  christiani  homines  de- 
ce monstrantur,  competenti  pretio  persoluto  ».  Altra  severa 
legge  dell'anno  320  commina  punizioni  ai  rapitori  di  fan- 
ciulle, e  disciplina  le  conseguenze  di  cotali  reati  (4).  Un 
rinnovamento  della  legislazione  sotto  l' impulso  di  una  più 
sana  morale  ci  apparisce  da  altre  disposizioni  che  riflettono 
il  matrimonio.  Una  legge  dell'anno  331  disciplina  i  casi  di 
legittimo  ripudio  (5):  un'altra  dell'anno  32^(6)  proibisce, 
durante  il  matrimonio,  di  tenere  presso  di  sé  una  concu- 
bina. Alcuni  rapporti  di  obbligazione  dipendenti  dalla  pro- 
messa di  matrimonio  hanno  suggerito  a  Costantino  sei 
buone  leggi  che  ci  sono  conservate  nel  lib.  Ili,  titolo  V, 
del  Codice  Teodosiano  ;  quattro  di  esse  sono  trascritte 
nel  Codice  Giustinianeo. 

Da  un  frammento  di  una  legge  dell'  anno  33^(7)  rilevasi 
r  esclusione  dal  diritto  di  ereditare  dei  figli  illegittimi;  con 
altra  dello  stesso  anno  (8)  sono  puniti  i  senatori  ed  altre 
persone  che,  rivestite  di  pubblica  autorità,  avendo  illecito 
commercio  con  una  schiava  o  liberta,  o  con  donna  di  cat- 
tivi costumi,  volessero  annoverare  tra  la  prole  legittima  i 


(i)  Cod.  Theod.  II,  17,  I,  5  I   (Cod.  Giust.  II,  44,  2). 

(2)  Cod.  Theod.  I,  22,  i,  (Cod.  Giust.  I,  48,   i). 

(5)  Cod.  Theod.  XV,  8,  i. 

(4)  Cod.  Theod.  IX,  24,  i. 

(5)  Cod.  Theod.  Ili,  16,   i. 

(6)  Cod.  Giust.  V,  26,  I. 

(7)  Cod.  Theod.  IV,  6,  2. 

(8)  Cod.  Theod.  ivi,  3  (Cod.  Giust.  V,  27,  i). 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV. 


ijo  e.    Car assai 


fii-li  in  tal  modo  avuti,  e  annulla  le  donazioni  che  in  via 
diretta  o  indiretta  loro  volessero  fare.  L' ordine  interno 
della  famiglia  è  così  concepito  da  Costantino  che  in  caso 
d' adulterio,  che  era  considerato  pubblico  delitto,  proibisce 
che  intervengano  estranei  a  farsi  accusatori;  ma  ordina  che 
ciò  sia  riservato  al  marito  e  agli  stretti  parenti  (i) 

Anche  all'  immoderata  potestà  del  paterfaniiìias  riflette 
un'opportuna  legge  di  Costantino,  e  a  grave  pena  fu  sot- 
toposto quegli  che  fosse  convinto  di  parricidio  verso  quelle 
persone  che  alla  sua  affezione  avevano  naturale  diritto  (2). 
La  vendita,  come  la  cessione  in  pegno,  dei  fanciulli 
era  pure  proibita:  già  Diocleziano  e  Massimiano  avevano 
dichiarato  nell'anno  294  essere  evidente  (3)  che  l'alie- 
nazione dei  figliuoli  per  parte  dei  parenti  non  fosse 
dal  diritto  permessa.  Ma,  poiché  era  tuttavia  ammessa  la 
vendita  dei  figli  appena  nati  {sanguinoìcntos)  per  estrema 
miseria  (4),  Costantino  provvide  che  il  fisco  intervenisse 
a  sussidiare  siffatti  indigenti  per  impedire  quella  nequi- 
zia (5):  in  ogni  caso  dispose  che,  ove  pure  la  vendita  ve- 
nisse in  tal  modo  effettuata,  fosse  sempre  lecito  al  venditore 
o  allo  stesso  alienato  di  riscattare  la  libertà.  Saviamente 
dispose  Costantino  intorno  agli  esposti,  nell'anno  331, 
che  quegli  che  li  avesse  raccolti  ed  educati,  sciente  anche 
il  padre  o  il  padrone,  li  ritenesse  presso  di  sé  in  quello 
stato  che  egli  avesse  creduto  di  assegnar  loro  (6).  Altre 
disposizioni  riguardano  il  trattamento  più  umano  degli  ar- 
restati e  sottoposti  a  processi  (7)  ;  volle  Costantino  che  i 
processi  fossero   con  sollecitudine  istruiti  e  svolti,  e  che 

(i)  Cod,  Theod.  IX,  7,  2,  anno  326  (Cod.  Giust.  IX,  9,  29). 

(2)  Cod.  Theod.  IX,  I),   I  (Cod.  Giust.  IX,  17,   i). 

(5)  «Manifesti  iuris  »,  Cod.  Giust.  IV,  43,   i. 

(4^^  Cod.  Theod.  V,  8,  i   (Cod.  Giust.  IV,  45,  2). 

(5)  Cod.  Theod.  XI,  27,   i,  2. 

(6)  Cod.  Theod.  V,  7,  i. 

("])  Cod.  Theod.  IX,  3,  i  e  2  (Cod.  Giust.  IX,  4,  i,  2. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        131 

intanto  non  fossero  i  processati  malmenati  né  avvinti  a 
dure  catene,  ma  solo  per  quanto  fosse  necessario  alla  loro 
custodia. 

h  noto  quanto  l'  ordinamento  finanziario  si  avvantag- 
giasse sotto  Costantino;  in  questo  luogo  ricorderemo  quat- 
tro sue  leggi,  che  fanno  obbligo  ai  pubblici  riscuotitori, 
sotto  comminatoria  di  severe  punizioni,  di  essere  giusti  ed 
umani,  alieni  da  qualsiasi  concussione  ;  e  proibiscono  per 
i  morosi  la  pena  del  carcere  o  di  sottoporli  a  dure  sevi- 
zie (i):  «  nemo  carcerem  plumbatarumque  verbera  aut 
«  pondera  aliaque  ab  insolentia  iudicum  reperta  supplicia 
«  in  debitorum  solutionibus  vel  a  perversis  vel  ab  Iratis 
«  iudicibus  expavescat.  Career  poenalium,  career  ho- 
«minum  noxiorum  est»  &c.  (2). 

Un'  altra  legge  dell'anno  519  (3)  punisce  i  padroni  di 
schiavi  che  usassero  verso  i  loro  servi  eccessive  sevizie,  e 
li  rendeva  colpevoli  di  oinicìdio  se  li  avessero  scientemente 
torturati  fino  all'uccisione.  Né  é  questa  la  sola  legge  che  in 
fritto  di  schiavitù  ispirasi  ad  umani  principi  ;  1'  imperatore 
riconosce  anche  in  qualche  modo  la  famiglia  del  servo,  e 
vuole  che  in  caso  di  divisione  di  fondi  rimanga  presso  un 
medesimo  possessore  tutta  un'  agnazione  di  servi:  «  quis 
«  enim  ferat»,  dice  l'imperatore,  a  liberos  a  parentibus,  a 
«  fratribus    sorores,  a  viris  coniuges    separari  ?  »  (4) 

Un'  altra  legge  di  Costantino,  accolta  nel  Codice  Giu- 
stinianeo, proibisce,  sotto  pena  di  morte,  la  formazione  di 
eunuchi  (5). 

Una  grande  conquista  della  dottrina  cristiana  sulla  le- 
gislazione del  tempo  fu  quella  di  togliere  gli  antichi  di- 

(i)  Cod.  Theod.  XI,  7,  De  exactioìjihus,  1-4  (Cod.  Giust.  X, 
19,  I,  2). 

(2)  Ibid.  1.  5. 

(5)  Cod.  Theod,  IX,  12,  i   (Cod.  Giust.  IX,  14,   i). 

(4)  Cod.  Theod.  II,  23,  i. 

(5)  IV,  42,  I. 


n2  C.    Car assai 


vieti  e  certo  pene  contro  i  celibi,  e,  in  genere,  ciò  che  era 
più  grave  e  severo,  contro  coloro  che  eran  privi  di  prole. 
La  legge  è  di  Costantino  e  dell'anno  320  (i);  e  non 
taccieremo  qui  di  esagerazione  e  di  adulazione  Eusebio  so, 
con  poche  considerazioni  sulla  virtù  dell'  astinenza  e  della 
verginità,  fa  risaltare  il  valore  e  il  contenuto  cristiano  di 
sifF;Uta  legge.  Legge  dura  ed  ingiusta  (à7:y]vy);  vópio^),  egli 
la  chiama,  di  punire  come  volontaria  colpa  l'  orbita, 
quando  por  molte  cause  tìsiche  non  fosse  dato  di  otte- 
nere della  prole;  ma  anche  quando  alcuno  per  sentimento 
morale  (v'  a'^oSpoxàtw  cp'.Àoao^'a;  eptoi:)  amasse  astenersi 
dalla  copula  carnale  :  e  ciò  specialmente  riguardo  a  molte 
donne  che,  al  divino  culto  consacrate,  coltivarono  in  sif- 
fatto modo  la  castità  e  il  sentimento  verginale,  da  dedi- 
care a  incorrotta  e  santissima  vita  il  loro  corpo  e  l'anima 
loro  (2). 

È  manifesta,  quindi,  l'influenza  del  cristianesimo  nella 
legislazione  di  Costantino  sia  nel  campo  pubbhco  che  nel 
campo  privato,  nella  sfera  e  negli  istituti  i  quali,  più  che 
ai  rapporti  strettamente  privati,  s  attengono  a  principi  di 
ragion  pubblica  :  e,  se  consideriamo  cosa  fosse  il  diritto 
per  Roma,  quanta  parte  costituisse  della  vita,  del  pensiero, 
del  sentimento  della  nazione,  come  fosse  sostanzialmente 
compenetrato  nelle  istituzioni  e  nella  vita  politica  dello 
Stato,  ci  apparirà  l'  importanza  di  quella  influenza  e  di 
quella  compenetrazione  del  cristianesimo  negli  elementi 
pubblici  dell'  impero.  L'  epoca  costantiniana  segna  l' inizio 
di  questa  trasformazione  del  diritto  pubblico  romano,  che 
progredisce  largamente  fino  e  oltre  Giustiniano,  sotto 
r  ispirazione  di  un  «  diritto  divino  »  che  rompe  lo  resi- 
stenze del  vecchio  mondo  e  adatta  la  vita  giuridica  sopra 
una  nuova  base  etica.  Costantino  appartiene,  con  la  sua 

(1)  Cod.  Theod.  1.  un.  Vili,  16  (Cod.  Giust.  Vili,  57.  i). 

(2)  ViUi  Const.  lib.   IV,  cap.  26. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        133 

legislazione,  all'epoca  nuova;  e  noi  quindi  non  erravamo 
affermando  che  la  religione  cristiana  fu  da  lui  sollevata 
non  solo  al  grado  di  religione  di  Stato,  con  tutte  le  in- 
fluenze correlative  e  necessarie,  coscienti  e  incoscienti, 
sulla  vita  pubblica;  ma  ebbe  da  lui  il  primo  impulso  a 
quella  rapida  evoluzione  che,  per  forza  di  cose,  doveva 
condurla  a  battere  in  breccia  il  vecchio  mondo,  i  suoi 
principi  e  i  suoi  costumi.  Di  questa  evoluzione,  che  dal 
campo  morale  entra  nel  campo  esecutivo  e  materiale  già  ai 
tempi  di  Valentiniano,  mancherebbe  la  base  storica  e  man- 
cherebbe un  anello  di  congiunzione  e  di  attacco,  se  si  di- 
sconoscesse l'opera  e  l'influenza  cristiana  di  Costantino. 

Giusta  il  concetto  romano,  cui  più  volte  si  è  accen- 
nato, della  religione  di  Stato,  il  culto  pubblico  era  man- 
tenuto a  carico  del  pubblico  erario  ;  i  sacerdoti  erano  uflì- 
ciali  pubblici  e  percepivano  un  pubblico  stipendio.  Intorno 
a  ciò  abbiamo  ragionato  in  un  precedente  nostro  lavoro  (1), 
ed  ivi  abbiamo  anche  dimostrato  come,  anche  allorquando, 
specialmente  con  l'  allargarsi  dell'  impero,  i  templi  vennero 
acquistando  una  certa  personalità  propria,  con  un  patri- 
monio loro  determinatamente  destinato  e  con  certe  ren- 
dite, ed  anche  i  sacerdoti  vennero  costituendo  una  specie 
di  corporazione  con  una  cassa  propria,  «arca  pontificum», 
il  fondamento  pubblico  di  questa  proprietà  restò  sempre 
invariato  sia  per  la  origine  di  queste  rendite,  sia  per  la 
natura  speciale  di  molte  di  esse  (come  multe  e  pene  pecu- 
niarie nei  processi,  ed  altre  di  origine  contravvenzionale  o 
penale),  sia  per  le  loro  guarentigie,  per  la  loro  amministra- 
zione e  in  sostanza  anche  per  la  loro  disponibilità  (2).  Ma 
abbiamo  pure  ivi  accennato  come  le  cose  cambiassero  con 
la  proprietà  cristiana  :   «  la  Chiesa  passò  sotto  Costantino 

(i)  La  proprietà  ecclesiastica,  par.  I. 
(2)  Ivi,  cap.  I. 


134  ^-    Car assai 


((  dal  campo  privato  al  campo  pubblico,  ed  entrò  allora  in 
((  rapporto  con  lo  Stato,  venendo  quindi  a  consolidarsi 
«  come  istituto  giuridico  nello  Stato  stesso  ;  ma  vi  entrò 
«  con  un  organismo  giA  formato  e  socialmente  stabilito, 
0  indipendente  dallo  Stato  medesimo,  al  quale  richiese  il 
«riconoscimento  formale  e  la   protezione  giuridica»  (i). 

Il  primo  elemento  che  è  da  considerare  nei  riguardi 
pubblici  della  proprietà  della  Chiesa  sotto  Costantino  è 
quindi  l'elemento  storico,  l'elemento  che  lo  Stato  subisce 
nello  stabilire  i  suoi  rapporti  con  la  Chiesa  cristiana.  E 
questo  elemento  è  sostanza  e  forma  :  è  sostanza,  in  quanto 
trovò  allora  riconoscimento  una  vera  e  speciale  proprietà 
ecclesiastica,  che  sorgeva  da  fonti  che  nulla  avevano  da 
vedere  con  le  risorse  pubbliche  e  con  lo  Stato;  ed  è  forma 
in  quanto  questa  proprietà  costituivasi  assolutamente  indi- 
pendente da  ogni  carattere  pubblico  statuale,  assumesse  o 
meno,  fino  da  allora,  un  carattere  pubblico  ecclesiastico. 

Il  fondamento  di  tutto  ciò  trovasi  negli  editti  di  resti- 
iuTJonc,  sui  quali  ci  siamo  già  soffermati,  che  restituirono 
alla  Chiesa  come  conciìiiuìi,  come  corpus  cbristianoniìn,  cioè 
come  corporazione,  i  beni  sacri  e  non  sacri  che  nel  corso 
di  tre  secoli,  secondo  le  leggi  interne  della  Chiesa,  si  erano 
costituiti.  Questi  beni  formarono  la  prima  base  economica 
del  nuovo  culto,  e  il  diritto  romano  solo  allora  conobbe 
una  vera  proprietà  ecclesiastica  di  natura  corporativa,  cui 
solo  una  tendenza,  più  o  meno  accentuata,  il  diritto  an- 
tico aveva  dimostrato.  E  fu  cura  dello  Stato,  per  opera 
del  suo  imperatore,  che  questo  patrimonio  si  costituisse 
nelle  sue  basi  più  larghe,  profittando  nella  maggior  misura 
dell'evoluzione  anteriore,  ed  aprendo  la  via  più  larga  al  pro- 
gresso futuro  col  riconoscimento  della  facoltà  di  ereditare, 
che  era,  del  resto,  una  mera  conseguenza  logica. 

Non  ci  è  d'uopo  di  ripetere  qui  il  contenuto  degli  editti 


(i)  La  proprietà  ecclesiastica  cit.  p.  67. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        135 

di  restituzione:  Eusebio  ci  fii  conoscere  da  un  documento 
di  Costantino,  trascritto  questa  volta  nella  sua  Storia  ec- 
clesiastica, come  r  imperatore  intendesse  che  essi  doves- 
sero trovare  applicazione  (i).  11  riconoscimento  del  pos- 
sesso della  Chiesa  e  la  restituzione  di  quanto  le  era 
stato  confiscato  non  era  una  concessione  dello  Stato,  ma 
una  questione  di  giustizia;  ed  era  nello  stesso  tempo  il  più 
esplicito  disconoscimento  di  qualsiasi  elemento  pubblico  e 
di  qualunque  ingerenza  pubblica  in  questa  proprietà:  al 
principio  della  più  lata  esplicazione  della  legge  di  resti- 
tuzione rispondono  i  termini  larghi  e  generici  di  questa 
lettera  (2).  Del  resto  che  tale  larga  estensione  ricevessero 
sii  editti  di  restituzione  ci  è  confermato  dalla  testimo- 
nianza  del  Liber  pontijicalis.  Nella  vita  di  papa  san  Silvestro 
il  compilatore  di  quel  libro,  annoverando  i  fondi  donati 
da  Costantino  alla  chiesa  di  S.  Lorenzo  in  Roma,  nel- 
r  agro  Verano,  ricorda  la  «  possessio  cuiusdam  Cyriacae 
«  religiosae  feminae,  quod  fiscus  occupaverat  tempore  per- 
«  secutionis  Veranum  fundum  ».  Ora,  fu  questa  signora 
Ciriaca  vedova  e  martire  ai  tempi  della  persecuzione  di 
Valeriano,  che  costrusse  coi  suoi  beni  il  cemeterio  di  S.  Lo- 
renzo, dove  furono  riposte  le  ceneri  di  questo  martire. 
Dunque  la  restituzione  si  estendeva  anche  alle  confische 
avvenute  nelle  persecuzioni  anteriori  all'ultima  di  Diocle- 
ziano. 

(i)  Lettera  nd  Anulino  (Eus.  Slor.  eccUs.  lib.  X,  cap.  3):  "R^t'./ 

(l'AXornlm  TiQoaìjy.ei,  y.r,  y.oNo-j  a-À  hioyì.tìa^ixt.,  aXXà  )caS  ànoxa^iaTcìy 
^ovXea&ca    ry.à;. 

(2)  Cosi  prosegue  l'imperatore  (loc.  cit.):  "Ossv  PsuXóasSa  h, 
ÓTCOTav  7au7a  xà  'Yoaa'j.axa  -/.oj-iari  i'.  ii^ia.  va  tsutwv  tww  -zrt  Ex/.Xr.ota 
T^  i4a5so>'.)c^  Twv  Xp'.ortavSv  hi  éxccarciu  no'/.faty  ri  >caì  ('"/.'Àoig  ónoii; 
òiicpisov,  x.aì  TiOLxiy^ivi-o  vij-(  r,  ùirà  itsXtTw'^  x  vnó  xii'iai'  u/.'tMV,  raura 
((TioxuiaaTtjyfa  7rapa/^p-^y.a  xaì;  oùrtÒ"*  'Exy.Xr.diai;  Twonóffr,;  '  ÈTretòr.Trsp 
w30Tior,y.£3a  Tauxa  aTrsp  olì  aùrai  ì/.y.Xr.aioii  TtpOTcps-;  Icy^^ns^saav,  t'Ò  òì- 
xatw   a'jTwv   x7:i/.'x-yics-:r,tct<.. 


13 6  C.    Car assai 


Ad  un'altra  designazione  pure  di  un  fondo  donato  dallo 
stesso  Costantino  alla  medesima  chiesa  di  S.  Lorenzo, 
posto  nel  territorio  sabinese,  segue  l' indicazione  «  prae- 
«  stans  nomini  christianorum  »;  e  questo  termine  «  nomen 
«  christianorum  »  per  designare  la  comunità  cristiana  ci 
riporta  a  un  tempo  piuttosto  anteriore,  come  Duchesne 
avverte,  all'  epoca  di  Diocleziano  (i).  Se  ciò  consolidava 
nella  Chiesa  gli  interessi  economici  che  nel  corso  dei  tre 
secoli  di  vita  cristiana  si  erano  esplicati,  era  altresì  fonda- 
mento assoluto  e  arra  di  sicurezza  pei  nuovi  acquisti,  pel 
futuro  possesso:  ed  ecco  che  si  aggiunge  la  capacità  di 
ereditare,  la  fonte  più  diretta  e  più  efficace  di  acquisto, 
il  complemento  e  la  perfezione  ultima,  come  si  è  detto, 
della  personalità  giuridica  delle  chiese.  A.  321  Costantino 
«  ad  populum  . . .  Habeat  unusquisque  licentiam,  sanctis- 
«  simo  catholicae  (catholico)  venerabilique  concilio  dece- 
«  deus  honorum,  quod  optavit,  relinquere.  Non  sint  cassa 
«  iudicia.  Nihil  est,  quod  magis  hominibus  debeatur,  quam 
«  ut  supremae  voluntatis,  postquam  aliud  iam  velie  non 
«  possunt,  liber  sit  stilus,  et  licens,  quod  iterum  non  redit, 
«  arbitrium  »  (2). 

La  giustificazione  giuridica  data,  che  risponde  alle  idee 
di  Costantino,  esplicate  in  altre  disposizioni  relative  ai 
testamenti,  nulla  toglie  al  valore  ecclesiastico  e  politico 
rispetto  alle  chiese  della  concessa  facoltà  di  ereditare  :  facoltà 
che  il  diritto  classico  riconosceva  solo  in  via  eccezionalis- 
sima  ad  alcuni  templi,  indicati  in  un  celebre  frammento 
di  Ulpiano,  sotto  il  nome  dei  loro  dèi  (3). 

Tuttavia,  se  la  base  economica  del  nuovo  culto  costi- 
tuivasi  indipendente  dallo  Stato,  là  dove  circostanze  stra- 
ordinarie di  dispendio  verificavansi,  o  dove  1'  economia 
della  Chiesa    non    aveva   potuto   ancora    sufficientemente 

(i)  Cf.  Introd.  al  IJher  pontificalis,  p.  cl. 

(2)  Cod.  Theod.  XVI,  II,  4  (Cod.  Giust.  I,  II,  i). 

(3)  Cf.  mia  opera  cit.  cap.  i. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        137 

affermarsi,  a  mezzo  dell'  imperatore  intervenne  lo  Stato. 
Ne  abbiamo  veduto  un  esempio  in  occasione  dei  concili!, 
le  cui  spese  per  il  trasporto  e  per  il  soggiorno  dei  vescovi 
furono  sostenute  dall'  erario  pubblico:  ce  ne  dà  notizia 
certa  Eusebio,  anche  nella  sua  Storia  ecclesiastica,  lib.  X, 
cap.  6;  ce  ne  danno  genericamente  conferma  Zosimo, 
Giuliano  ed  Aurelio  Vittore,  accennando  di  proposito  a 
queste  liberalità  di  Costantino. 

Ora,  ci  sembra  di  poter  affermare  che  questo  intervento 
dello  Stato  nelle  spese  del  culto  cristiano,  allorquando  l'or- 
ganizzazione finanziaria  della  Chiesa  non  provvedeva,  fu 
considerato  come  una  logica  fnn:^ionc  dello  Stato  stesso,  coe- 
rente a  quei  principi  della  politica  ecclesiastica  costanti- 
niana, che  abbiamo  sopra  illustrato.  E  di  questi  principi 
stessi  abbiamo  così  una  nuova  conferma.  Nell'ordinare  il 
pagamento  di  queste  spese  o  di  queste  elargizioni  al  culto 
cristiano  Costantino  si  rivolge  ai  pubblici  ufficiali  delle 
Provincie,  che  con  l'una  o  l'altra  carica,  o  procuratioiies, 
amministravano  il  patrimonio  pubblico,  0  ne  disponevano. 
Tale  doveva  essere  quell'  Urso,  di  cui  si  fa  menzione  nel 
capo  VI,  lib.  X  della  Storia  di  Eusebio;  e  tale  forse  anche 
queir  Eraclida,  xou  ènixpÓKO'j  xwv  r^\i.^xipo)y  xxr^\i.ó(.zii)v,  nello 
stesso  capo  menzionato,  accennandosi  alla  concessione  di 
sussidi  straordinari,  poiché  fjixsxspwv  non  tiene  luogo  di 
privataritììi  (^siibstantianun)  o  privatorum  (^praedioriim), 
come  interpreta  il  traduttore  della  Patrologia,  aggettivo  clas- 
sico per  accennare  alla  cassa  privata  dell' imperatore  (i). 
In  simigliante  modo  per  il  trasporto  dei  vescovi  al  luogo 
dei  concili!  è  il  correttore  delle  pubbliche  strade  che  deve  prov- 
vedere, ivoc  Xajjòjv  Tcapà  toO  Icc^xTzpox'xxov  Aa-pwvcavoO  toO 
xz^br/,xopo;  EtVvSPia;  5rj[i.óa'.ov  o/r^[xa  &c.  (2). 

(i)  SozoMENO  dice  che  analoghi  ordini  Costantino  dava  ai  pre- 
sidi delle  Provincie  (ts~;  'r.~(o-yj.i'io'.;  tw-<  isvwv);  similmente  Eusebio, 
Vita  Const.  lib.  Ili,  cap.  50:  tsì;  tw-»  ISvùv  apy^oucj'.'^. 

(2)  Eusebio  Stor.  ecclcs.  lib.  X,  cap.  5,  Costantino  a  Cresto. 


ijS  e    Car assai 


Del  resto,  la  dizione  generica  del  citato  capo  vi  ci 
conferma  la  nostra  interpretazione:  scrivendo  a  Ciciliano 
di  Cartagine  per  annunziargli  di  aver  posto  a  sua  disposi- 
zione del  denaro,  Costantino  premette  di  aver  disposto  che 
per  tutte  le  provincie  dell'Africa,  della  Numidia  e  della  Mau- 
ritania fossero  concessi  sussidi  (xl,  «aliquid»)  a  certi  sacer- 
doti bisognosi  (e:;  àvaX(ó[xaxa)  (i).  Infine  non  altrimenti  ci 
narra  Zosimo,  il  quale  e  queste  elargizioni  ci  conferma  e 
queste  loro  modalità,  che  noi  abbiamo  interpretato.  Egli 
naturalmente  ne  fa  un  appunto  a  Costantino,  e  osserva 
che  con  queste  sue  elargizioni  a  uomini  indegni  ed  inuiììi 
(eìi;  àvaz'Jot;  xal  àvorfiXet;  àvi^ptÓTCcci;)  egli  esauriva  la  pub- 
blica finanza  e  rendeva  gravissimi  i  tributi  (II,  xxxviii). 
Egli  teneva,  conclude  Zosimo,  la  prodigalità  per  muni- 
ficenza. 

Xel  passo  precedentemente  citato  di  Eusebio  è  da  porre 
attenzione  a  quella  frase  zt^c,  £v9-£a[A0'j  xal  àyuoxàxYjs  xxfìo- 
X'.xr^;  O-pr^axcia;  («legitimae  et  sanctissimae  religionis  catho- 
«  licae  »):  quell'aggettivo  àvS-iajxo'j  («  legitimae»)  non  e  ca- 
ratteristicamente corrispondente  alla  natura  pubblica  di 
queste  elargizioni,  e  alla  loro  giustificazione  nella  posizione 
ufficiale  e  legittima  della  Chiesa,  e  nella  funzione  religiosa 
dello  Stato  ? 

Sotto  un  secondo  aspetto  e  per  un  altro  scopo  aveva 
Costantino  occasione  di  largheggiare  di  soccorsi  pecuniari 
verso  la  Chiesa  cristiana,  per  il  soccorso  cioè  dei  poveri, 
che  costituiva,  com'  è  noto,  uno  dei  precipui  compiti  so- 
ciali ed  umanitari  del  cristianesimo.  Dell'  animo  liberale  di 
Costantino   abbiamo  larga  testimonianza  non  solo  in  Eu- 

(l)  ^Emiòr.nif  rpeoe,  jcarà  jiaoa;  ÈTrap/^ia;,  rà;  te  'Acpsi/.à;,  kolì  -rà; 
NiU'Aiòiaj,  jcai  tì;  .Ma'j_;tTa-(ia;,  pr.Tjr;  Tiai  TU'»  'JTrnpsT'Òv  t^;  àvSEay.o'j 
/.ai  à-]^t(i>TàTT,;  y.aSiXi/.-^;  5p7ia/.EÌa;,  ec;  àNaX'iu.ara  èwi/^oprì-jf/irrvai  n, 
Èòu/.a  'Ypày.y.aTa  rpi;  OùpasN  ts"*  òiaffTiy.órxrsN  y.xSjXiJCÒu  tt.ì  'Acppi/.^;, 
/.sci  iòiiX<i}ai  otJT'Ò,  Ì7T(u;  Tpii/^tXii'j;  <j)ó>,>.£t;  t^  o^  oTEppÓTr.Ti  àirapi3y.^ffai 
«9;5>TÌffr,. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        159 

sebio  (i),  ma  altresì  in  Eutropio  (2)  e  in  Zosimo  (3):  come 
il  sole  sorgendo  irradia  e  riscalda  tutte  le  cose,  così  Co- 
stantino, dice  Eusebio  (4),  a  tutti  i  bisognosi  che  a  lui  ricor- 
revano impartiva  i  raggi  della  sua  beneficenza. 

Il  sistema  della  beneficenza  di  Stato  non  era  sviluppato, 
è  noto,  presso  i  Romani;  pure,  sotto  Costantino,  accenna 
questa  funzione  pubblica  a  delinearsi.  Le  leggi  i,  2,  Cod. 
Theod.  XI,  27,  fanno  obbligo  nei  casi  di  somma  indigenza, 
in  cui  l'impossibilità  del  mantenimento  della  prole  ne  spin- 
gesse i  genitori  alla  vendita,  che  questi  fossero  soccorsi  dal- 
l'erario pubblico:  in  questo  caso  v'ha  di  mezzo  un  inte- 
resse ed  uno  scopo  morale;  in  ogni  modo  delineasi  però 
sempre  il  concetto  di  una  funzione  sociale,  per  il  solleva- 
mento della  più  grave  indigenza,  nella  finanza  pubblica.  Più 
tardi  fu  opera  della  Chiesa  di  sviluppare  le  svariate  forme 
di  pubblica  beneficenza  in  modo  da  costituire  un  ordinato 
e  complesso  sistema;  ma  lo  Stato,  col  suo  riconoscimento 
e  coi  suoi  favori,  ebbe  in  questo  sviluppo  la  sua  parte  im- 
portante. 

Sotto  un  terzo  riguardo  il  patrimonio  della  Chiesa  ebbe 
ad  avvantaggiare  sotto  Costantino  dall'  erario  pubblico  e 
dall'erario  privato  imperiale,  rispetto,  cioè,  al  patrimonio 
sacro,  propriamente  detto,  agli  edifizi  sacri  ed  alle  loro  do- 
tazioni di  sacre  suppellettili.  Ne  abbiamo  la  testimonianza 
di  Eusebio  per  l'Oriente  e  del  Liber  pontificalis  per  l'Oc- 
cidente e  più  specialmente  per  Roma. 

Della  liberalità  di  Costantino  a  questo  riguardo  ci  parla 
in  linea  generale  più  volte  Eusebio;  e  qui  la  sua  testimo- 
nianza ha,  in  verità,  riscontro  in  ciò  che  dissero  concor- 
demente i  contemporanei,  cristiani  e  pagani,  del  carattere 
di  Costantino,  in  ciò  che  egli  fece  di  grandioso,  immagi- 

(i)  Vita  Const.  lib.  I,  cap.  45  ;  lib.  Ili,  capp.  4,  58;  lib.  IV,  cap.  28. 

(2)  Eutropio,  X,  7. 

(3)  Zosimo,  II,  29. 

(4)  Vita  Comi.  lib.  I,  cap.  45. 


140  e.    Car assai 


nando  e  reali/czando  la  costruzione  di  una  nuova  Roma. 
Nulla  di  più  facile  che  nei  luoghi,  dove  egli  ebbe  a  soffer- 
marsi, con  siffatte  costruzioni  intendesse  e  abbellire  la  città 
e  tramandare,  come  egli  amava,  la  sua  memoria,  e  sod- 
disfare i  vescovi  che  l'attorniavano,  che,  di  fronte  all'ar- 
tistica venustà  dei  templi  pagani,  dovevano  per  l'abbelli- 
mento delle  loro  chiese  o  basiliche  intercedere  presso 
l'imperatore.  Il  nostro  Eusebio  deve  essere  sincero  quando 
con  storica  parsimonia,  così  rara  nella  sua  rita  di  Costati' 
tino,  ci  narra  al  capo  xlii  del  lib.  I,  che  Costantino  fu  largo 
di  sovvenzioni  alle  chiese  sia  ampliando  e  costruendo  i 
sacri  edifici,  sia  arricchendo  le  ristrette  loro  dotazioni.  Non 
cosi  però  gli  presteremo  completa  fede,  quando  ci  trascrive 
una  lettera  a  lui  diretta  dall'  imperatore,  con  cui,  dopo  un 
ampolloso  discorso  sulla  necessità  che  gli  antichi  sacri 
edifizi,  diruti  o  men  che  decorosamente  costrutti  per  la 
nequizia  de'  tempi  di  persecuzione,  fossero  sollecitamente 
restaurati  ed  ornati  convenientemente,  si  ordina  a  tutti  i 
vescovi  di  porre  la  maggior  cura  e  diligenza  nella  fabbrica 
delle  chiese,  riparando  le  esistenti,  o  ampliandole,  curandone 
la  costruzione  là  dove  occorresse  ;  si  dà  loro  autorizzazione 
a  richiedere  e  ottenere  i  mezzi  dai  presidi  delle  provincie  o 
dalla  prefettura  pretoriana.  Di  vero  in  ciò  non  deve  esserci 
altro  che  quanto  abbiamo  rilevato  dal  citato  testo  del 
libro  primo:  le  lettere  inviate  ai  presidi  dello  provincie  o 
ai  prefetti  del  pretorio  non  devono  essere  altro  che  gli 
ordini  di  pagamento  di  quei  sussidi  che  alle  fabbriche  delle 
chiese,  su  richiesta  dei  vescovi,  come  abbiamo  appreso, 
erano  talvolta  concessi.  Ciò  che  narra  lo  stesso  Eusebio 
nella  Storia  ecclesiastica  ci  conforta  in  questa  interpretazione: 
ivi  si  parla  invero  di  queste  elargizioni  e  di  questi  sussidi, 
come  abbiamo  veduto  (X,  vi,  èTri/oprjYriOfjVai  t'.)  in  genere 
per  i  bisogni  delle  chiese  (tic,  àvaXf')|Aat7,  «  ad  sumptus  ne- 
«  cessarios  n). 

Però  la  costruzione  di  alcune  grandi  chiese  è  da  Eu- 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        141 

sebio  attribuita  a  Costantino,  e  in  verità  non  sembra  che 
qui  egli  non  debba  esser  veritiero.  Egli  scriveva  di  cose 
contemporanee  a  contemporanei,  e  le  esagerazioni  pane- 
giriche non  avrebbero  potuto  estendersi  a  descrivere  templi 
in  realtà  non  esistenti;  anche  qui  la  retorica  non  fa  difetto, 
ma  in  sostanza  dobbiamo  trovarci  di  fronte  a  costruzioni 
effettivamente  eseguite. 

Ed  innanzi  tutto  osservo  che  nella  Storia  ecclesiastica 
non  se  ne  fa  cenno:  esse  devono  riferirsi  all'ultimo  periodo 
del  regno  di  Costantino,  dopo  la  sconfitta  di  Licinio,  cioè 
dopo  il  324;  ed  è  naturale,  si  tratta  di  chiese  costruite 
nelle  provincie  orientali. 

Questi  edifici  annoverati  da  Eusebio  sono  :  il  tempio 
di  Gerusalemme  o  Martirio  del  Salvatore,  il  tempio  di 
Nicomedin,  quello  di  Antiochia,  quello  di  Mambre  o  Te- 
rebinto in  Palestina,  quello  di  Eliopoli,  alcune  chiese  ed 
oratori  di  Costantinopoli  e  specialmente  il  «  Martyrium 
«  Apostolorum  ».  Sono  attribuiti  ad  Elena,  madre  di  Co- 
stantino, quelli  di  Betlemme  e  del  Monte  degli  Olivi. 

Eusebio  lungamente  si  sofferma  a  narrare  l'origine  e 
a  dare  la  descrizione  del  tempio  di  Gerusalemme  :  egli 
narra  come  dagli  empi  Gentili  fosse  stato  ricoperto  di  terra 
il  luogo  dove  Cristo  era  stato  sepolto  e  donde  era  risorto, 
e  vi  avessero  costruito  un  tempio  dedicato  agU  impuri 
sacrifici  di  Venere;  come  l'imperatore  ordinasse  che  e 
questo  tempio  fosse  distrutto  e  con  profonde  escavazioni 
il  sacro  sepolcro  di  Cristo  fosse  rimesso  alla  luce  (III,  26-28); 
come,  essendo  stato  per  volontà  divina  questo  scopo  rag- 
giunto, ivi  ordinasse  a  Macario,  vescovo  di  Gerusalemme, 
che  un  sontuoso  tempio,  degno  della  sacra  reliquia,  fosse 
costrutto  (29-32);  come  in  siffatto  modo  sorgesse  il  tempio 
che  fu  appellato,  giusta  la  profezia  dell'Apocalisse  (XXI), 
«  Nova  lerusalem  »  (cap.  ^^):  e  minuziosamente  ne  descrive 
la  fabbrica,  l'atrio  e  il  portico,  le  pareti  e  il  tetto  e  i  loro 
ricchi  ornamenti,  le  tre  sacre  porte  e  l'emisferio  adorno  di 


142  e    Car assai 


dodici  colonne,  e  l'interna  area  del  tempio  (capp.  34-39); 
infine  avverte  che  questo  magnifico  tempio  Costantino 
arricchì  di  ornamenti  e  di  donativi,  probabilmente  la  dota- 
zione di  sacre  suppellettili,  di  grande  valore  (cap.  40).  Del- 
l'esistenza di  questo  tempio,  così  minuziosamente  descritto, 
non  è  possibile  dubitare:  lo  ricorda  più  tardi  Sozomeno 
(II,  26)  e  avverte  che  anche  allora  esso  esisteva,  ed  era 
chiamato  «  il  grande  Martirio  »  (0  ixÉya  MapiOptov  Ttpoaa- 
vopc-jETat).  Socrate  (^Hist.  I,  ^^)  ne  dà  pure  ampia  descri- 
zione ed  aggiunge  nuovi  particolari  di  miracolosi  avveni- 
menti, che  condussero  al  rinvenimento  della  sacra  Croce; 
ma  avverte  che  siffatte  religiose  pratiche  e  la  erezione  del 
tempio  si  dovette  a  Elena,  madre  di  Costantino.  La  con- 
traddizione tra  Socrate  ed  Eusebio  riguardo  a  questo  par- 
ticolare non  è  di  difficile  spiegazione:  vi  accenneremo  tra 
poco;  notiamo  ora  solamente  un'altra  particolarità  della 
narrazione  di  Socrate  che  avverte  tuttavia  come  V  impera- 
tore stesso  somministrasse  ì  materiali  per  la  costruzione  (i). 

Il  tempio  di  Xicomedia  fu  costruito,  giusta  quanto  narra 
Eusebio  (IH,  50),  dopo  la  vittoria  riportata  sopra  Licinio; 
esso  è  semplicemente  ricordato  da  Sozomeno  (11,3):  quello 
di  Antiochia  (Eus.  ivi;  Soz.  ivi)  aveva  forma  di  ottaedro 
(«  octachorum  »)  ed  era  all'esterno  adornato  di  cubicoli  ed 
esedre:  ambedue  ebbero  molti  doni  di  oro  ed  argento; 
quello  di  Antiochia,  in  special  modo,  per  i  suoi  ricchi  ador- 
namenti fu  detto  Domimciiin  aureiim.  Questo  fu  però  com- 
piuto sotto  Costanzo,  cinque  anni  dopo  la  morte  di  Co- 
stantino. 

La  chiesa  di  Mambre  o  Terebinto  fu  da  Costantino  co- 
strutta in  quel  luogo  dove  la  Genesi  narra  riposasse  Abramo 
e  avesse  la  visione  degli  angeli,  non  molto  lungi  da  Geru- 
salemme; anche  ivi,  narra  Eusebio,  si  compievano  dai  pa- 


(l)   Ivi,   'Eyjpr^et  ['•'i'*  ov»<  -àuot;  tì;  CXa;  ó  (ìao-.X^J;  «i;   tt.v  /.V-ia.- 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        145 

gani  impuri  sacrifici,  e  Costantino  volle  fosse  così  il  luogo 
purgato  e  fosse  onorata  la  tradizione  storica  della  celeste 
apparizione  (i). 

La  basilica  di  Eliopoli  fu,  sempre  secondo  Eusebio,  co- 
struita da  Costantino  dopo  di  avere  distrutto  il  tempio  di 
Venere,  e  allorché  venne  sorgendo  anche  in  quel  luogo  una 
comunità  cristiana. 

Se  queste  costruzioni  erano  da  Costantino  eseguite  nelle 
principali  città  delle  provincie  di  Oriente,  non  è  da  far  me^ 
raviglia  che  altre  basiliche  sorgessero  a  Costantinopoli,  nella 
nuova  Roma,  che  il  suo  genio  destinava  a  seconda  città  e 
seconda  capitale  dell'Impero  ;  tra  queste  Eusebio  descrive 
specialmente  la  chiesa  o  martirio  degli  apostoli  (IV,  58-60). 
Della  splendidezza  di  questo  tempio  scrisse  Gregorio  Na- 
zianzeno  nel  canto  Sopto  sulla  chiesa  di  Anastasia  (2): 

2ÒV  -ole,  xai  jiEyxXa'jyov  'éòr^c,  XpiaToIo  [jiaSYjtwv 
TiXsupalj  o-caupoTilTco'.;  zizpayoL  tsyvóij.evov 

ed  Eusebio  ne  dà  particolareggiata  descrizione,  e  ci  narra 
che  il  tetto  era  ricoperto  di  una  rete  di  bronzo  e  d'oro,  che 
rifletteva  da  lungi  con  mirabile  splendore  i  raggi  del  sole. 

Molte  altre  chiese  di  Costantinopoli  sono  attribuite  a 
Costantino,  e  tra  queste  quella  di  Sant'Irene,  ricordata  da 
Socrate  (I,  16),  e  di  Santa  Sofia,  la  quale  però  fu  con- 
sacrata ai  tempi  di  Costanzo  (3). 

Ad  Elena,  madre  di  Costantino,  sono  attribuite  le  chiese 
di  Betlemme  e  del  Monte  degli  Olivi,  a  ricordo  dei  due 
grandi  episodi  della  vita  di  Cristo  (4). 

Abbiamo  premesso  che  è  nostra  persuasione  che  Eu- 
sebio in  queste  descrizioni  non  narrasse  cose  false,  data  la 

(i)  Eusebio,  lib.  Ili,  capp.  51-53;  SozoM.  II,  4. 

(2)  Cf.  nota  in  Patrologia  del  Migne. 

(3)  Cf.  in  proposito  Dufresne  Carolus  Du  Gange,  Historia 
hy^ant'ma,  par.  II,  Coiistantinopolis  Christiana,  Parigi,  1729.  Anche  Ciam- 
PINI,  De  aedificiis  sacris  a  Conslaritino  Magno  conslruclis,  Roma,   1693. 

(4)  Eus.  lib.  Ili,  cap.  41  ;  Sozom.  II,  2. 


144  ^'    Cav assai 


natura  del  racconto,  sopra  cui  non  parrebbe  possibile  che  egli 
si  proponesse  di  ingannare,  sia  pure  a  titolo  di  lode  di  Co- 
stantino, i  suoi  contemporanei.  Ma  possiamo  darne  la  ri- 
prova. Nella  città  d'Antiochia  furono  trovate  nel  cemeterio 
o  presso  la  città  cinque  iscrizioni  (i)  (ved.  a,  h,  e,  d,  e)  che 
credo  dovessero  certamente  riguardare  il  tempio  di  Costan- 
tino; quelle  e,  d,  e  sono  certamente  connesse  tra  loro,  e 
devono  riguardare  una  grande  costruzione  di  Costantino 
eseguita  da  un  tal  Diogene;  qudV  A  fnndamento  ne  dà  l' in- 
dizio sicuro;  l'essere  questi  preside  della  provincia,  come 
ci  indica  la  iscrizione  e,  conferma  anche  quanto  abbiamo 
sopra  rilevato,  pure  da  Eusebio,  che  l'ordine  di  queste  co- 
struzioni era  dato  dall'  imperatore  ai  presidi  delle  provincie, 
che  alla  loro  esecuzione  dovevano  sopraintendere.  L'essere 
stato  il  tempio  compiuto  e  consacrato  ai  tempi  di  Costanzo, 
dopo  la  morte  di  Costantino,  come  abbiamo  accennato,  ci 
spiega  perfettamente  l'iscrizione  a  e  la  riconnettc  quindi, 
insieme  alla  b,  alle  altre.  Ed  inoltre,  l'essere  state  tre  di 
queste  iscrizioni  rinvenute  nel  cemeterio  potrebbe  confer- 
mare, se  tale  destinazione  di  quel  luogo  fosse  antichissima, 
com'è  probabile,  che  ivi  appunto  sorgesse  il  tempio  di  Co- 
stantino, che  anche  allora  conteneva  indubitatamente  luoghi 


(i)  MoMMSEN',  HiRSCHFELD  e  DoMASZEWSKi,  Corpus  Juscripl.  lai. 
voi.  Ili,  Supplemento,  parte  I  (Arch.aeological  Institute  of  America, 
Papers  &c.  II,  nn.  122,   123,   124;  III,  n.   348): 

a)  X.  6S05.  Columna  rotunda:  imp-caesari-   avg-j  parenti -patriae. 

/')  N.  6805.  Basis  quadrata:  imperatori  •  cahsari  •  |  Flavio -Valerio-' 

CONSTANTINO-j  PIO-FEL-INVICTO  |  AVGVSTO. 

c)  N.  6807.  Cippus  quadratus:  pietati-,  avcvstorvm- |  nostrorvm-J 

VAL-DIOGEXES-V-P-    /)rAES-PROVIN  •  PISID. 

<0N  6806.  Fragmentum:PN...o-i  onstan/ìh-]  victo  aits^  val-cU\oGEìi. 

<;)  N.  6S0.S,    Fragmcntum   epistylii:  . .  ./>ro?itia-maiestate-dd-nn« 
SEmper  atigg.  \ fvndamento  -  diogenes •  v •  p  . . . 


La  politica  religiosa  di  Costanlino  ecc.        145 

di  seppellimento.  A  ciò  servivano  certamente  quelle  esedre, 
oTxo:;  Ò£  TiXei'oacv,  è^sÒfai;  zz  b/  y.'jyjM  ÙTTEptócov,  di  cui,  ac- 
cenna Eusebio,  il  tempio  era  adornato;  ci  dice  infatti  il 
concilio  di  Nantes  (i):  «  Prohibendum  etiam,  maiorum  in- 
«  stituta,  ut  in  ecclesia  nullatenus  sepeliantur,  sed  secundum 
«  in  atrio  aut  porticu,  aut  in  exhedris  ecclesiae  ». 

E  veniamo  al  Libcr  pontificai is.  Anche  questo  documento 
contiene  molte  notizie  false,  inesatte,  e  maggiormente,  s'in- 
tende, per  i  tempi  più  antichi;  pure  le  notizie  che  esso  dà 
in  ordine  agli  edifici  sacri  hanno,  come  il  suo  illustratore, 
il  Duchesne,  ha  osservato,  più  che  il  resto,  una  grande 
autorità  (Introd.  p.  cxli). 

Per  quanto  riguarda  le  fondazioni  di  chiese  da  parte  di 
Costantino,  sono  a  lui  attribuite  (in  Fifa  Silvestri)  : 

La  basilica  Costantiniana  o  Lateranense;  la  basilica  di 
S.  Pietro;  la  basilica  di  S.  Paolo;  la  basilica  di  S.  Croce  in 
Gerusalemme;  la  basilica  di  S.  Agnese;  la  basilica  di  S.  Lo- 
renzo; la  basilica  dei  Ss.  Pietro  e  Marcellino.  Tutte  queste 
in  Roma;  al  di  fuori  :  la  basilica  dei  Ss.  Pietro,  Paolo  e  Gio- 
vanni in  Ostia;  la  basilica  di  S.  Giovanni  Battista  in  Albano; 
la  basilica  degli  Apostoli  in  Capua;  la  basilica  di  Napoli. 

Questa  lista,  osserva  ancora  il  Duchesne,  deve  essere 
stata  compilata  dall'  autore  del  Libcr  in  seguito  a  pub- 
blica notorietà,  in  base  al  nome  che  avevano  gli  edifici, 
ad  iscrizioni  in  essi  certamente  contenute  ;  e  la  sua  fede 
storica  per  questa  parte  non  può  esser  posta  in  dubbio. 
Tanto  più  che  la  notorietà  pubblica  non  poteva  qui  es- 
sere fuorviata  o  flilsata  con  intenti  laudatori  del  primo 
imperatore  cristiano:  1'  autore  del  Libcr  ponlijicalis  non 
fa  della  storia;  raccoglie  delle  compilazioni,  degli  elenchi. 

Dice  il  Liber  pontificalis  :  «  Huius  (Silvestri)  tempo- 
te  ribus  fecit  Constantinus  Augustus  basilicas  istas  quas  et 
«  ornavit:  ...  Basilica  Constantiniana  ».  Tra  gli  edifici  più 

(i)  A.  896,  secondo  il  Mansi  (XVIII,  131);  a.  359,  secondo 
Hefele  (Vili,  645). 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.       TO 


1^6  C.    Car assai 


antichi  e  più  illustri  di  Roma  era  V  «  aedes  «  Lateranense 
di  un'  antica  famiglia  romana,  il  cui  stipite,  che  si  conosca, 
«  Lucius  Sextus  Sextinus  Lateranus  »,  risale  all'  anno  380  di 
Roma.  Di  questa  famiglia  altri  tre  nomi  si  ricordano  nella 
storia:  Plauto  Laterano,  Sestilio  Laterano  e  Appio  Claudio, 
tutti  e  tre  consoli. 

L'  «  aedes  Lateranorum  «  è  ricordata  da  Giovenale 
{Snt.  io). 

Ai  tempi  di  Costantino  non  è  più  menzionata  la  fi- 
miglia  Lateranense,  e  si  trova  la  celebre  «  aedes  »  in  pos- 
sesso di  Fausta,  moglie  di  Costantino  :  i  tre  vescovi  Ma- 
terno, Reticio  e  Marino  della  Gallia  che  insieme  ad  altri 
quindici  vescovi  italici  dovevano  giudicare  nella  causa  di 
Ceciliano  di  Cartagine,  «  convenerunt  in  domum  Faustae 
«  in  Laterano  ».  Orbene,  questa  «  aedes  »  più  tardi,  e  non 
sarei  alieno  dal  credere  dopo  1'  uccisione  di  Fausta,  fu  da 
Costantino  ceduta  ai  vescovi  di  Roma,  e  ivi  fu  edificato 
un  tempio  del  Salvatore,  che  dai  suoi  ornamenti  fu  detto 
basilica  aurea,  e  fu  poi  conosciuto  sotto  il  nome  di  basi- 
lica Coustantiniana.  Che  ciò  avvenisse  effettivamente  viene 
comprovato  da  due  note  iscrizioni  rinvenute  nell'anno  1595 
in  due  tubi  di  piombo  nei  pressi  della  chiesa,  posti  nella 
sacrestia  della  basilica  con  apposita  iscrizione  dal  cano- 
nico Fulvio  Ursino,  cultore  di  cose  antiche  (i). 

Sorvoliamo  sopra  queste  particolarità  conosciute:  la 
costruzione  di  questa  «  basilica  magna  »  costantiniana  nel 
palazzo  di  Fausta  non  può  avere  qualche  relazione  col 
racconto  di  Zosimo,  e  avere  in  qualche  modo  originato 
la  vera  o  maligna  supposizione  di  lui,  che  alla  conversione 
dell'imperatore  desse  origine  o,  come  piuttosto  è  da  rite- 
nere storicamente  più   probabile,    alle  sue    manifestazioni 

(i)  Queste  iscrizioni  suonavano: 

SEXTl-LATERANI 
SEXTI  •  L.\TERAKI  •  1  TOKQ.VATI  •  ETIAM  •  \  LATERANI 


La  politica  religiosa  di  Costaiilino  ecc.        147 

cristiane  desse  impulso  il  rimorso  per  le  uccisioni  della 
moglie  Fausta  e  del  figlio  Crispo  ? 

Segue  nel  JJber  pontificaìis  l'enumerazione  dei  dona- 
tivi che  Costantino  fece  a  questa  basilica. 

Prosegue  il  Liher  stesso  :  «  Eodem  tempore  Augustus 
«  Constantinus  fecit  basilicam  b.  Petro  apostolo  in  templum 
«  Apollinis,  cuius  loculum  cum  corpus  sancti  Petri  ita  re- 
«condit:  ipsum  loculum  undique  ex  aere  cypro  conclusit, 
«  quod  est  immobile:  ad  caput,  pedes  .v.;  ad  pedes,  pedes  .v.; 
«  ad  latum  dextrum,  pedes  .v.;  ad  latum  sinistrum,  pedes  .v.; 
«  subter,  pedes  .v.;  supra,  pedes  .v.;  sic  inclusit  corpus  beati 
«  Petri  apostoli  et  recondit.  Et  exornavit  supra  columnis 
«  purphyreticis  et  alias  columnas  vitineas  quas  de  Grecia 
«  perduxit. 

«  Fecit  autem  et  cameram  basilicae  ex  trimma  auri  ful- 
«  gentem  et  super  corpus  b.  Petri,  supra  aera  quod  con- 
ce clusit,  fecit  crucem  ex  auro  purissimo,  pens.  lib.  .cl.,  in 
«  mensurae  locus,  ubi  scriptum  est  hoc:  Constantinus  Au- 
a  gustus  et  Elena  Augusta  hanc  domum  regalem  simili 
«  fulgore  coruscans  aula  circumdat,  scriptam  ex  litteris  ni- 
«  gellis  in  cruce  ipsa  ». 

La  tradizione  cristiana  attribuisce  a  Costantino  la  prima 
fondazione  di  questa  chiesa,  che  tutte  le  altre  per  splen- 
dore e  per  venerazione  doveva  in  seguito  sorpassare;  e 
in  verità,  come  anche  Gregorovius  osserva,  non  v'  ha 
testimonianza  contraria  o  raizione  di  non  ritenere  ciò  come 
molto  probabile.  Il  tempio  sorse  nella  valle  Vaticana  a 
destra  del  Tevere,  nel  luogo  dove  erano  gh  orti  di  Nerone. 

Dell'  aspetto  che  presentava  il  tempio  in  quella  sua  an- 
tica costruzione  parlano  isuoi  antichi  storici,  quali  ilMallio, 
il  A'egio,  il  Torrigio,  il  De  Angelis:  a  loro  testimonianza 
sappiamo  che  V  edificio  fu  costruito  ed  ornato  di  materiali 
tolti  da  antichi  edifizi  pagani,  ed,  oltre  che  esso  perciò 
mancava  di  unità  e  uniformità  architettonica,  in  esso  si 
raccolsero  e  si    conservarono,  tra    gli    altri    adornamenti. 


1^8  C.   Car assai 


iscrizioni,  figure  e  simboli  pagani (i);  in  verità,  peraltro,  per 
questo  fatto,  che  è  più  caratteristico  di  un'  epoca,  benché 
nel  suo  inizio  di  poco,  posteriore  a  Costantino,  non  sarei 
alieno  dal  credere  che  anche   questa    descrizione   non  ri- 
monti, almeno  in  tutte  le  sue  particolarità,  all'epoca  costan- 
tiniana, e  che  proporzioni  anche  più  modeste  avesse  allora 
la  basilica,  tale  da  rispondere,  più  che  ad  intento   d'  arte, 
al  sentimento  di  venerazione  dei  cristiani  per  quel  luogo, 
dove  i  loro  martiri  erano  caduti,  e  dove  la  tradizione  vuole 
riposasse  anche  il  corpo  di  Pietro.  Le  accertate  leggende 
intorno  a  talune   particolarità   di   quella   costruzione  pos- 
sono spingerci  a  credere  e  spiegare  come  si  possa  avere 
avuto  r  intento    di    magnificare  e  ingrandire    in    qualche 
modo   r  origine   del    tempio,  che    era,  già  al  tempo  del- 
l'autore  del  Libcr  pontifìcaìisjìl  santuario  massimo  di  Roma. 
Ad   ogni   modo    ci   narra,   come  si  e  visto,  1'  autore  del 
Liba-,  che  Costantino  eresse  nel  tempio,  sopra  1'  area  che 
racchiudeva  il   corpo  di   san   Pietro,  una  croce   d'  oro  di 
centocinquanta  libbre,  e  nella  medesima  era  1'  iscrizione  : 
Coììslaniinus  Augustas   ci  Hclena  Angìisla   haiic  àoiìiiim  rc- 
'-aleìii  simili  fnìgorc  coruscaiis  aula  circunidat.  E   donò  alla 
chiesa  stessa  candelabri,  calici,  patene  d'oro  e  d'argento 
ed  altre  sacre  suppellettili,  come    pure  ne    aveva    donato 
alla  chiesa  Lateranense;  inoltre  aggiunse  vasti  possedimenti. 
La  terza  basilica  che  il  Libcr  attribuisce  a  Costantino 
è  quella  di  S.  Paolo,  ancor  questa  costruita   «  ex  sugge- 
«  stione  Sylvestri  ».  San  Paolo  era  1'  apostolo,  che,  come 
san  Pietro,  aveva,  giusta  hi  tradizione,  bagnato    del    suo 
sangue  la  terra  di   Koma:  il  suo  corpo  giaceva  nel  cimi- 
terio  di  Lucina,  nobile  matrona  romana,  dove  altri  corpi 
di  martiri  pur  riposavano;  ed  ivi  fu  eretta  la  nuova  basi- 
lica. Effettivamente  credo  che  il  luogo  rispondesse  a  questa 


(i)  Cf.  il  Severano  (Memorie  sacre,  p.  40):  anche  il  Gkegoro- 
vius,  loc.  cir. 


La  politica  religiosa  di  Costaìitino  ecc.        149 

tradizione,  e  non  a  quella  che  ivi  fosse  srato  il  Santo  mar- 
tirizzato, e  ne  argomento  dal  carattere  generale,  come  anche 
tornerò  a  rilevare,  di  queste  prime  basiliche  cristiane  di 
sorgere  là  dove  erano  le  tombe  e  il  culto  dei  martiri.  E 
forse  nulla  toglie  che  i  due  fatti  ancora  si  corrispondessero. 
Modesta  era  la  costruzione  di  Costantino  e  poco  si 
conosce  della  sua  ampiezza  e  della  sua  forma,  che  peraltro 
è  da  supporre  non  fosse  dissimile  dalle  altre  prime  costru- 
zioni ordinate  da  quell'imperatore;  circa  la  sua  precisa  po- 
sizione ragiona  lungamente  il  Nicolai  (i),  concludendo 
che  «la  direzione  dell'antica  basilica  fosse  da  levante  a 
«ponente,  e  che  il  suo  dorso,  ossia  la  tribuna,  esistesse 
«  dalla  banda  dell'  attuale  portico  e  della  faccia  dell'  at- 
«  tuale  basilica,  vale  a  dire  da  quel  lato  medesimo  dove 
«  trovavasi  1'  antica  strada  ».  Del  resto  le  memorie  di  quel- 
r  antica  chiesa  sono  molto  vaghe,  perchè  dopo  pochi  anni 
fu  interamente  ricostruita  da  Valentiniano,  Teodosio  e  Ar- 
cadio;  il  Baronio  (2)  ci  fa  conoscere  il  relativo  rescritto 
dagli  imperatori  diretto  al  prefetto  della  città  Sallustio. 
Nel  grande  arco  della  navata  di  mezzo,  che  fu  chiamato 
arco  trionfale,  ornato  in  mosaico,  si  leggeva  l'iscrizione: 

THEODOSIUS    CEPIT    PERFECIT    HONORIUS    AULAM 
DOCTORIS    MUNDI    SACRATUM    CORPORE    PAULI. 

Da  allora  la  basilica,  che  ispirò  una  bella  descrizione  di 
Prudenzio  (Pcrìstephan.  hymn.  XII),  fu  una  delle  più  son- 
tuose e  più  belle  di  Roma:  «  Regia  pompa  loci  est;  prin- 
«  ceps  bonus  has  sacravit  arces  -  lusitque  magnis  ambitum 
«  talentis  ». 

Anche  a  questa  basilica  Costantino,  avverte  sempre 
l'autore  del  Lihcr,  donò  i  sacri  vasi  d'  oro,  d'argento  e  di 
bronzo  che  erano  stati  dati  anche  alla  basilica  di  S.  Pietro, 


(i)  Ddla  basilica  di  S.  Paolo,  Roma,  181 5,  pp.  6,  7. 
(2)  Ann.  eccles.  a.  586. 


rjo  C.    Cai'a.'^saì 


e  assegnò  inoltre  possedimenti  presso  Tarso  in  Cilicia,  e 
presso  le  città   «  T3TÌa  «  ed   «Aegiptia». 

Viene  poi  la  chiesa  di  S.  Croce  in  Gerusalemme: 
«  Eodem  tempore  fecit  Constantinus  Augustns  basilicam 
«  in  palatio  Sessoriano,  ubi  etiam  de  ligno  Sanctae  Crucis 
«  Domini  nostri  lesu  Christi  in  auro  et  gemmis  conclusit, 
«  ubi  et  nomen  Ecclesiae  dedicavit,  quae  cognominatur  in 
«  hodiernum  diem  lerusalem  ;  in  quo  loco  hoc  constituit 
«donum:  candelabra,  farà  canthara,  calices,  scyphos,  pa- 
ce tenam,  altarem  ».  Inoltre  «  dono  dedit  omnia  agrorum 
«  iuxta  ipsum  palatium  »,  e  le  «  possessiones:  Sponsas  in  via 
«  Lavicana;  Patras  in  civitate  Laurentum,  Anglesis  et  Ce- 
te rega  sub  civitate  Nepesina;  Nymphas  et  HercuU  sub 
«  civitate  Falisca,  Angulas  sub  civitate  Tuder  ».  Cosa  fosse 
questo  palazzo  Sessoriano,  che  diede  poi  il  nome  anche 
alla  chiesa  e,  più  tardi,  anche  alla  porta  Maggiore,  non 
si  sa,  e  probabilmente  non  ha  mai  esistito.  La  basilica 
che  fu  chiamata  «  lerusalem  »  conservava  una  parte  del 
legno  della  Santa  Croce,  che  era  stata  trovata  miracolo- 
samente, giusta  la  tradizione,  da  Elena  madre  di  Costan- 
tino in  Palestina,  e  che  anche  in  Oriente  aveva  dato  ori- 
gine, come  si  e  visto,  al  tempio  del  Salvatore,  o  «  nova 
«lerusalem».  Anzi  la  stessa  basilica  sarebbe  stata  edifi- 
cata da  Elcna,  e  perciò  era  anche  chiamata,  posteriormente, 
«  Heleniana  »  (cosi  è  chiamata  nel  e.  V,  concilio  Romano 
del  433(1)).  Come  abbiamo  promesso  di  spiegare  già 
altra  volta,  alcuna  contraddizione  esiste  tra  le  due  tradi- 
zioni che  attribuiscono  la  fondazione  della  chiesa  a  Co- 
stantino e  ad  Elena.  Le  notizie  storiche  ci  presentano  la 
madre  di  Costantino  come  piissima  donna  e  fervente  cri- 
stiana ;  larghissima  di  elemosine  e  di  benefiche  opere,  mu- 
nifica nel  concedere  doni  e  sussidi  alle  più  grandi  basiliche 


(i)  Mansi,  V,  1163. 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        151 

e  agli  umili  oratori  (i).  Certo  è  da  ritenere  che  gran  parte 
di  queste  costruzioni,  attribuite  a  Costantino,  devono  es- 
sere state  eseguite  a  preghiera  di  Elena,  e  quindi  il  nome 
dell'  imperatore  e  della  sua  madre  furono  spesso  congiunti 
a  proposito  delle  medesime  opere.  L'  un  nome  e  l'altro  ab- 
biamo trovato  nella  iscrizione  che  il  Lihcr  pontificaìis  ci 
attesta  esistesse  nella  croce  aurea,  donata  alla  basilica  di 
S.  Pietro.  Il  nome  di  Elena  troviamo  altresì  in  due  iscri- 
zioni trovate  nei  pressi  l' una  appunto  della  chiesa  di 
S.  Croce  in  Gerusalemme,  l'altra  della  chiesa  Latcra- 
nense  (2).  Esse  sono  le  seguenti: 

a)  N.    II34:  DOMINAE-XOSTRAE-FL-IVI  (^sic)  \  HELENAE  •  PIIS- 

SIMAE  •  AVG-  [  GENETRICI  •  D  •  N  •  CONSTAN|tINI  •  MAXIMI- 
VICTORIS  •  I  CLEMENTISSIMI  •  SEMPER  •  |  AVGVSTI  •  AVIAE  • 
CONSTAN  !  TINI  •  ET  •  CONSTANTI  •  BEATIS  i  SIMORVM  •  CAESA- 
RVM  •  I  IVLIVS  •  MAXIMILIANVS  •  VC  •  COMES  •  j  PIETATI  •  EIVS  • 
SEMPER  «DICATIS- 

b)  N.    II 35  :    DOMINAE-NOSTRAE- VENERABILI   •    |    HELENAE- 

AVGVSTAE'  GENITRICI  «D-N'CONSTANTINI- MAXIMI  •  I  VI- 
CTORIS •  ET  •  TRIVMPHATORIS  •  SEMPER  •  AVGVSTI  •  j  fL-PLStWS  • 
V  •  P  •  P  •  P  •  RERVM  •  PRIVATARVM  •  !  PIETATI  •  EORVM  •  SEMPER  • 
DEVOTISSIMVS  • 

Le  quali  per  la  loro  dizione,  e  dato  il  luogo  dove  fu- 
rono rinvenute,  debbono  riferirsi  indubitatamente  a  quelle 
due  basiliche  Costantiniane. 

Ma  è  da  tener  conto  di  un'  altra  notevole  osservazione. 
Nella  circostanza  di  opere  siffatte,  di  carattere  pubblico,  era 
costume  nelle  iscrizioni  di  far  menzione  non  solo  del  pre- 
side della  provincia  o  del  funzionario  che  aveva  ordinato 
e  sovrinteso  alle  opere  stesse,  ma,  a  molto  maggior  ragione, 

(i)  EusEB.  lib.  Ili,  capp.  44,  45;  Socrate,  I,  17;  Sozom.  II,  2. 
(2)  Hexzen  e  De  Rossi,  Inscript.  urbis  Roiuae  latinae,vo\.  VI,  par  i. 


152  e.    Car assai 


era  ricordato  il  nome  del  membro  o  dei  membri  della  fa- 
miglia imperiale,  che  fossero  presenti  nella  cittA.  Ora  è 
certo  elle  Hlena  visse  lungamente  a  Roma;  certo  in  tutto  il 
periodo  di  queste  costruzioni;  e  non  deve  far  meraviglia  se 
il  suo  nome,  non  solo  per  l' intervento  diretto  col  chiedere 
e  sollecitare  dall'  imperatore  1'  esecuzione  di  tali  opere,  ma 
anche  per  questa  ragione  si  trovasse  ricordato  insieme  a 
quello  di  Costantino,  Il  nome  di  Elena  era  però  collegato 
più  strettamente  alle  basiliche  della  S.  Croce,  in  Gerusa- 
lemme e  in  Roma,  e  ciò  ha  connessione  con  la  tradizione 
del  rinvenimento  della  Croce,  attribuito  all'opera  della  re- 
gina e  al  suo  viaggio  nella  Palestina. 

A  Roma  poi  l' opera  di  Elena  non  può  essere  disco- 
nosciuta, e  anche  in  un'altra  grande  costruzione  pubblica 
di  carattere  non  sacro,  di  cui  abbiamo  certa  memoria,  le 
terme  Eleniane,  ne  abbiamo  la  riprova.  Una  iscrizione 
trovata  nei  pressi  di  S.  Croce  in  Gerusalemme,  dove  assQ 
erano  situate,  dà  la  notizia  certa  e  dell'  esistenza  di  queste 
terme  e  che  esse  si  dovessero  ad  Elena: 


N.   113^.   Frammenti   varii    che   s'interpretano:   d-n-he- 

LENA  •  VENERABILIS  •  DOMIN  •  N  •  CONSTANTINI  •  AVG  •  MA- 
TER  •  ET  •  AVIA  •  BEATISSIMORVM-ET  ■  1  LORENTISSIMORVM  • 
CAESARVM  -NOSTRORVM-  THERMAS-  INCENDIO  •  DESTRVCTAS  • 
RESTITVIT' 

Queste  stesse  iscrizioni  possono  dimostrarci  adunque 
che  anche  questa  chiesa  di  S.  Croce  in  Gerusalemme  sia 
stata  effettivamente  costruita  ai  tempi  di  Costantino  (i). 


(i)  Cf.  Gregorovius,  ivi,  p.  118:  «Già  molto  per  tempo  la 
<'  Croce  di  Cristo,  quale  altissimo  simbolo  della  religione,  poteva 
«esser  titolo  ad  una  propria  basilica:  ma  la  storia  ignora  il  tempo 
«  preciso  in  cui  venne  fabbricata  (?).  Fondata  in  un  quartiere  deserto 
«e  bello  di  Roma,  era  assai  prossima  a  quell'angolo  delle  mura  di 
«Aureliano,  che  volge  a  nord-est,  presso  l'anfiteatro  Castrense,   e 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.        155 


Queste  sono  le  principali  basiliche  erette  da  Costan- 
tino Magno,  rispondenti  al  culto  di  Cristo  Salvatore,  della 
sacra  reliquia  della  sua  croce,  degli  apostoli  Pietro  e  Paolo, 
che  avevano  bagnato  del  loro  sangue  il  suolo  di  Roma. 
Altre  basiliche  minori  rispondono  al  culto,  già  molto  svi- 
luppato presso  i  cristiani,  dei  loro  martiri  :  vi  erano  luoghi 
sacri  dove  i  corpi  di  questi  erano  stati  dalla  pietà  dei  loro 
correligionari  sepolti  e  custoditi,  luoghi  riposti  e  sicuri, 
da  cui  partivansi  diramazioni  più  o  meno  importanti  di 
catacombe.  Ed  alcuno  di  questi  luoghi  conteneva  il  corpo 
di  martiri,  che  eccellevano  nella  memoria  dei  cristiani  per 
la  crudeltà  della  loro  morte,  per  la  serenità  con  cui  questa 
era  stata  subita,  per  qualche  circostanza  che  aggiungesse  un 
contorno  di  fortezza,  di  virtù,  di  eccelso  sentimento  e  di 
ardore  cristiano  al  tragico  avvenimento.  Celebre  e  vivo  il 
ricordo  era  di  san  Lorenzo  che  in  mezzo  a  cripte  di  molti 
altri  martiri  riposava  nelle  cave  di  Campo  Verano;  di 
sant'  Agnese,  il  cui  corpo  era  custodito  in  altro  luogo  si- 
mile sulla  via  Nomentana,  di  Pietro  esorcista  e  Marcellino 
sulla  via  Labicana. 

Il  culto  di  questi  martiri  esisteva,  i  luoghi  erano  ceme- 
teri dalle  forme  strane  e  nascoste:  restituita  la  quiete,  ap- 
parivano segni  aperti  della  santità  del  luogo;  sorgeva  il 
tempio.  Chi  metterà  in  dubbio  che  ai  tempi  di  Costan- 
tino, allora  che  la  Chiesa  respirava  finalmente  aure  di  li- 
bertà e  si  incamminava  alla  conquista  vittoriosa  del  mondo 
romano,  sorgessero  queste  basiliche  più  o  meno  sontuose, 
ma  donde  spirava  la  più  elevata  poesia  e  il  più  puro  e 
forte  sentimento  di  fede  cristiana?  Qual  meraviglia  che  il 
romano  pontefice  ottenesse  da  Costantino  che,  per  la  ve- 
nerazione di  quei  luoghi,  le  cappelle  fossero  ampliate,  arric- 

«  nelle  vicinanze  dei  bagni  di  Elena  e  del  ninfeo  di  Alessandro  Se- 
«  vero,  che  fu  per  qualche  tempo  reputato  tempio  di  Venere  e  di 
«  Cupido  ». 


154  ^-    Car assai 


cliite,  che  anche  ivi  sorgesse  la  nuova  costruzione  cristiana, 
la  basilica?  (i) 

Passiamo  sopra  alle  modalità,  riteniamo  il  fatto  che 
ai  tempi  di  Costantino  sorgessero  queste  basiliche,  che  l'im- 
peratore ne  agevolasse  con  larghi  doni  la  elevazione  in 
modo  che  ne  restasse  loro  con  diritto  il  suo  nome  colle- 
gato :  e  questa  era  la  tradizione  al  tempo  in  cui  venne 
alla  luce  il  Libcr  Pontificai is. 

Questo  infine  fa  cenno  di  altre  basiliche  costruite  da 
Costantino  Magno,  dei  beati  apostoli  Pietro  e  Paolo  e 
Giovanni  Battista  ad  Ostia,  presso  il  porto  di  Roma;  di 
S,  Giovanni  Battista  ad  Albano;  degli  Apostoli  a  Capua, 
che  fu  pure  chiamata  Costantiniana;  un'  ultima,  di  cui  il 
Libcr  non  dice  la  dedica,  a  Napoli  (il  Ciampini  suU'  au- 
torità del  Chioccarello,  scrittore  napoletano  deli<i43,  reputa 
fosse  dedicata  ai  Ss.  Apostoli  e  Martiri).  Anche  a  propo- 
sito di  queste  chiese  il  Liber  annovera  le  donazioni  Hitte 
da  Costantino;  ed  è  notevole  al  riguardo  un'osservazione 
del  Duchesne:  tra  le  cose  donate  alla  chiesa  d'Albano  si 
trovano  «  omnia  sceneca  deserta  vel  domos  civitatis  in 
«urbe  Albanense»:  questi  sceneca  erano  cattive  abitazioni 
o  baracche  ove  era  ricoverata  la  II  legione  Partica,  istal- 
lata da  Settimio  Severo  ad  Albano;  questa  legione  rimase 
colà  fino  alla  fine  del  ni  secolo  o  ai  principii  del  iv,  e 
anche  questa  circostanza  ci  riporta  all'epoca  costantiniana, 
come  il  Duchesne  osserva,  poiché  siffatte  abitazioni  non 
sarebbero  state  tali,  dopo  qualche  tempo,  da  avere  un  va- 
lore ed  esser  donate  ad  una  chiesa. 


(:)  «  Eodem  tempore  »,  narra  il  Libcr  pontifìcalis,  «  Constantinus 
«  Augustus  fecit  basilicam  B.  Laurentio  Martyri  via  Tiburtina  in 
«  agrum  Veranum  supra  arenario  cryptae  et  usque  ad  corpus  S.  Lau- 
«  renti  martyris  fecit  graaos  ascensionis  et  descensionis  . . .  fecit  ba- 
('  silicam  beatis  martyribus  Marcellino  presbitero  et  Petro  exorcistae 
'<  in  territorio  inter  Duos  lauros  et  Mytileum,  ubi  mater  ipsius  sepulta 
«  est  Helena  Augusta,  via  Lavicana,  miliario  .in.  ». 


La  politica  religiosa  di  Costantino  ecc.       155 

E  da  fare  qualche  osservazione  sopra  quegli  elenchi  di 
doni  da  Costantino  fatti  alle  chiese,  che  abbiamo  ricordato. 

Si  tratta  in  sostanza  di  due  ordini  di  donativi  :  di  sup- 
pellettili liturgiche  occorrenti  per  l'esercizio  del  culto  («  pa- 
«  tena,  scyphus,  calices  ministeriales,  ansae^  altare,  thimia- 
«  materium,  aquamanile  &ic.yì^;  di  fondi  stabili  attribuiti  a 
ciascuna  chiesa,  1'  autore  del  Lihcr  dice  «  in  servitio  lumi- 
«  num  ».  Di  questi  fondi  sono  ordinariamente  indicati  il  red- 
dito e  la  ubicazione:  sono  chiamati  secondo  la  importanza 
«  massae,  fundi,  possessiones,  agri  »  :  essi  eran  posti  d'ordi- 
nario nei  dintorni  della  chiesa,  ovvero  trattavasi  di  possedi- 
menti lontani,  della  bassa  Italia,  o  delle  provincie  orientali 
(«  in  ci  vitate  Antiochia,  sub  civitatem  Antiochiam,  sub  civi- 
«  tatem  Alexandriam,  per  Aegyptum,  sub  civitatem  Arme- 
«  nia,  in  provincia  Euphratense,  sub  civitate  Cyro  »),  di  cui 
sono  ricordati  i  rari  ed  apprezzati  prodotti.  Che  1'  autore  del 
Liher  nel  dare  queste  notizie  abbia  attinto  da  cataloghi  od 
elenchi,  compilati  in  epoca  certo  non  di  molto  posteriore 
a  Costantino,  è  cosa  che  ha  dimostrato  il  Duchesne.  Ma 
due  osservazioni  importanti  occorre  a  questo  proposito 
di  fare.  Questi  fondi,  si  è  detto,  e  l'osserva  anche  il  Du- 
chesne, se  non  appartenevano  a  lontane  provincie  erano 
situati  nei  dintorni  di  ciascuna  chiesa,  cui  erano  attribuiti  ; 
•d'altro  canto  queste  chiese,  abbiamo  pure  rilevato  (i), 
eran  costruite  in  luoghi  lontani  ed  eccentrici,  quasi  tutti 
negli  antichi  cimiteri  e  catacombe;  di  più  per  due  volte 
all'indicazione  di  questi  fondi  segue  la  frase  «  praestans 
«nomini  christianorum  »  o  l'altra  «  quod  fiscus  occupa- 
«  verat  tempore  persecutionis  ».  Tutto  ciò  fa  ritenere  che 
in  verità  molti  di  essi  non  fossero  altro  che  possedimenti 
di  antica  proprietà  cristiana  che  erano  riconsegnati  per 
forza  degli  editti  di  restituzione,  e  che  furono  facilmente 
confusi  nella  compilazione  di  questi  elenchi  tra  le  dona- 

(1)  Ci",  pure  Gregorovius. 


1)6  C.    Car assai 


zioni  di  Costantino,  il  ciò  non  deve  far  meraviglia,  poi- 
ché essi  avevano,  come  apparisce  anche  dal  Liber,  tutto 
il  carattere  d'inventari,  più  che  di  documenti  storici. 

É  da  porre  attenzione,  in  secondo  luogo,  a  quella  espres- 
sione «  constituit  in  servitio  luminum  ».  Che  questa  espres- 
sione sia  propria  del  diritto  canonico  posteriore  per  desi- 
gnare l'assegnazione  di  certe  proprietà  al  mantenimento 
di  una  chiesa  e  al  servizio  del  culto,  compreso  in  seguito 
l'assegno  al  sacerdote  officiatore,  è  cosa  comprovata  e 
nota.  È  facile  anche  spiegare  come  di  essa  si  serva  l'autore 
del  Libcr  nel  ricordare  queste  donazioni  costantiniane;  ma 
non  deve  dedursene,  come  a  torto  fa  il  Duchesne  (p.  cxlv), 
né  che  essa  si  usasse  già  ai  tempi  di  Costantino,  né  che  in 
verità  ciascuna  chiesa  acquistasse  fino  d'allora,  con  questa 
specializzazione  di  beni,  una  personalità  propria  ben  di- 
stinta. Si  può  ritenere  che  ai  tempi  di  Costantino  il 
«  corpus  christianorum  »  abbia  ceduto  man  mano  il  campo 
al  «  sacro,  venerabili  concilio  »,al  collegio  dei  sacerdoti  (i); 
ma  un'ulteriore  evoluzione  nel  concetto  degli  istituti  ec- 
clesiastici, che  avvenne  in  seguito  per  forza  soprattutto 
delle  chiese  locali,  non  fu  propria  di  quel  tempo.  Le  dona- 
zioni alle  chiese,  che  allora  come  in  seguito  erano  fatte 
più  spesso,  com'  è  naturale,  per  atti  testamentari,  ai  tempi 
di  Costantino  e  in  forza  della  ricordata  legge  dell'anno  320 
erano  fatte  al  «  sancto  concilio  »:  le  donazioni  del  genere 
della  Charla  cornntiana  (2)  rispondono  a  condizioni,  interne 
della  chiesa  ed  esterne  dei  suoi  rapporti  con  lo  Stato,  po- 
steriori certo  al  secolo  iv. 

Ed  ora  una  conclusione.  Se  la  Chiesa  con  gli  editti 
di  restituzione  ebbe  riconosciuta  la  capacità  di  possedere 
accanto  alla  libertà  di  esistere   e   di  propagarsi,  fu  effetto 


(i)  Cf.  anche  Burckhardt,  op.  cit.  p.  364. 

(2)   Cfr.  DCCHESNE,  loc.  cit. 


La  politica  religiosa  di  Costaiiluio  ecc.        157 


della  politica  costantiniana  che  il  suo  patrimonio,  sacro 
propriamente  detto  e  non  sacro,  si  costituisse  fino  d'  al- 
lora su  larga  base  ;  ed  inoltre,  se  anche  attingesse  ai  mezzi 
dello  Stato  ed  al  patrimonio  specialmente  imperiale,  si  co- 
stituisse con  una  perfetta  indipendenza  da  ogni  ingerenza 
nella  sua  amministrazione  e  nella  sua  disponibilità  dal  po- 
tere pubblico.  Privilegi  allora  non  ne  ebbe,  ne  la  Chiesa 
ne  pretese:  fu  erronea  esagerazione  degli  storici  eccle- 
siastici, come  Crivellucci  ha  notato  (i),  di  far  credere  che 
ai  tempi  di  Costantino  le  fosse  accordata  una  esenzione 
dalle  imposte:  le  fonti  romane  non  ci  autorizzano  a  rite- 
nere che  ciò  avvenisse  né  per  le  indizioni  ordinarie  e  nep- 
pure per  le  superindizioni,  nel  qual  campo,  del  resto,  non 
avrebbe  pur  costituito  un  privilegio  speciale. 

Ai  tempi  ben  mutati  di  sant'Ambrogio  la  Chiesa  stessa 
in  questo  campo  non  accampò  ancora  dei  privilegi  (2);  e 
possiamo  anzi  dire  che  essa  in  sostanza  di  speciali  non 
ne  avesse  in  tutto  il  periodo  romano. 

Accanto  alle  ragioni  del  suo  sviluppo,  private  e  pub- 
bliche, riteniamo  questa  base  tutta  giuridica  e  privata  della 
proprietà  ecclesiastica  sotto  Costantino  :  per  altre  ragioni 
e  per  altre  condizioni  le  cose  cambiarono  nel  periodo  po- 
steriore. 

Carlo  Carassai. 


(i)  Op.  cit. 

(2)  S.  Ambrogio,  Comm.  in  cpist.  ad  Romanos,  cap.  15,  v.  6. 


Tiihiiliirìiiììì  S.  0\{anae  TSLovae 

AB    AN.   982   AD  AN.    I200 


ContiiKiaz.  e  fine;  vedi  voi.  XXIII,  p.  171 


XXXII. 

1105,  aprile   14. 

Il  clero  di  S.  Maria  Nova  loca  ai  figli  «  Petri  Petro 
«  de  Fayda  »  ed  ai  figli  loro  una  casa  posta  nella  regione 
di  S.  Maria,   «  in  ascensa  Palati!  Maioris  ». 

I.  >x<  In  nomine  Domini.  Anno  quarto  pontificatus  domni  Pa- 
schali  secundi  papae,  indictione  undecima,  mense  G'^)  2.  aprelis, 

die  quarta  decima.  Ego  Benedictus  archipresbiter  ecclesi?  sanct? 
Mari?  Nov?,  insimul  3.   mecum    rogantibus  Theodoro  et  Albe- 

ricus  clericis  suprascript?  ecclesi?,  hac  di?  locamus  et  concedi 
4.  [mus  prop]rie  spontane?  nostr?  voluntatis,  vobis  omnibus  filiis 
Petri  Petro  de  Fayda  qu?  nunc  abet  et  5.  [B]esansecta  nati  erunt, 
et  in  vestri  filii  tantum.  Idest  domus  una  terrinea  carticinia  [cum] 
6.  ortuo  et  curte  ante  se  cum  introitu  suo  et  exitu  et  cum  omni 
sua  pertinentia.  Posita  Rome  7.  regio  sanct?  Marie  Nove  in 
ascensa  Palatii  Maioris,  cuius  finis  isti  sunt:  a  primo  latere  (b)  tenet 
8.  Alexius  naturalis  filius  lohannis  scriniarii,  et  a  secundo  tenet  mona- 
sterium  Mirandi,  et  a  tertio  9.  vel  a  quarto  sunt  vie  publice.  luris 
cuius  existit.  Q.ualiter  nobis  per  dieta  ecclesia  pertinere  vi  io.  de- 
tur  taliter  vobis  sicut  dictum  est  loco,  prò  eo  quia  recepimus  a  vobis 
tres  solidorum  dena  11.  riorum  papiensium,  et  omni  anno  unum 
denarium  prò  pensione  in  Assumtione  sanct?  Marie.  Et  si         12.  [cam 

(a)  fa         (b)  Xel  testo  he 


i6o  "P.  fedele 


volueritijs  vendere,  vestro  placito  vendatis  suprascript?  ecclesiy  no- 
str?  ìusto  pretio  niinus  duobus  solidis;  13.  qiiod  si  ecclesia  no- 

liierit  emere,  vendatis  vestro  placito  tali  persone  ut  dict?  ecclesia* 
pia  14.  [ceat  et]  suprascriptuni  comminus  in  ecclesia  tribuatur. 
Hec  omnia  a  presenti  die  teneatis  15.  [possidjeatis  et  ad  melio- 
rem  cultum  Deo  iuvante  perducatis,  et  cum  ex  hoc  seculo  16.  obie- 
ritis  vos  et  vestri  filii,  tunc  suprascripta  domus  sicut  fuerit  meliorata 
ad  iiis  17.  suprascript?  ecclesÌ9   sine    mora    revertat.    Ambobus 

partibus  observare  et  de  18.  fendere  promittimus.  Kam  quod  absit 
si  quis  vero  pars  contra  promissa  ve  19.  [nir]e  temtavcrit.  tunc 

det  pars  inlìdelis  pani  promissa  servanti  20.  [prò  pena  vjiginti 

solidorum  denariorum  papiensiuni,  et  soluta  pena  maneat  firmus  con 
21.  [tractus.]  De  quibus  rebus  facte  sunt  duo  carte  uno  tenore  con- 
scripte    per  22.  [ma]nus    Bonihomini    scriniarii  sanct^  Romana 

Ecclesia,  in  mense  et  indictione  suprascripta  undecima. 

[Signujm  >ji  manus  Sassi  filii  Petri  qui  prò  se  et  suis  fratribus 
hunc  appare  rogavit. 

Patio  lohannis  Vetuli,  testis. 

Ravnerius  Billane,  testis. 

Benedictus  de  Ruta,  testis. 

Rufinus  filius  eius,  testis. 

Bonus  filius  Octaviani,  testis. 

Bobulus  Cencii  de  Frosina,  testis. 
^  Ego  Bonashomo  scriniarius  sanct?  Roman9  Ecclesi?  compievi  et 
absolvi  (i), 

XXXIII. 

1104,  dicembre  12  (2). 

Pietro,  suddiacono,  offrendosi  alla  chiesa  di  S.  Maria 
Xova,  nel  cui  clero,  col  consenso  di  Riccardo,  vescovo 
d'Albano,  e  di  papa  Pasquale  II,  ottiene  il  terzo  grado, 
le  fa  donazione  di  case  e  di  terre. 

I.  >2<  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo 
centesimo,  anno  vero  sexto  pontificatus  domai  Paschalis  2.  se- 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  «  rallad[ii]  ». 

(2)  Segno  questa  data  corrispondente  al  sesto  anno  del  pontifi- 
cato di  Pasquale  II  ed  all'indizione  xni,  ritenendo  sicuramente  errata 
o  incompleta  la  notazione  degli  «anni  dominicac  incarnationis». 


Tabulariiim  S.  cMariae  V^i^ac  i6i 


cundi  pap9,    indictione  tcrtiadecima,  mense    decembri  (»),    die  duo- 
decima.    Ego     Petrus    subdiaconus    natus    Albano    de    genealogia 

3.  quae   dicitur  Dimidia  Maza    ex  sparte   patris  et   ex  sparte  matris 
Carucini,  offero  me  huic  W  sanct?  ecclesiae  Dei  genitricis  semperquc 

4.  virginis  Marie  domine  nostre  quae  dicitur  Noba  cuntis  diebus 
vite  me?:  et  per  consensum  et  voluntatem  Richardi  venerabilis  Al- 
bani episcopi  et  5.  per  preceptum  sanctissirai  pape  Paschalis  se- 
cundi,  ego  Benedictus  archipresbiter  insimul  cum  Theodero  secundo 
concedimus  huic  6.  Petrus  subdiaconus  tertium  gradum,  quia  anteCO 
riordinati  non  erant.  Post  exspetionem  unius  anni  ego  ian  dictus 
Petrus  7.  et  diaconus  considerans  ad  remedium  anime  me?  et 
ad  salutem  corporis  et  prò  remissione  homnium  W  peccatorum  avi  et 
avi?  mee  8.  parentumque  meorum,  do  in  ecclesia  iam  supradicta 
ad  presens  sub  usufructu  vite  me?  in  primis  totam  portionem  meam 
9.  videlicet  de  terra  sementaricia  que  ponitur  in  pastina  de  Anna  in 
territorio  Albanense,  inter  os  affines:  ad  petium  io.  de  valle  ad 
tribus  lateribus  tenet  heredes  Benedicti  Dimidie  Maze  (e),  a  quarto 
vero  latere  est  vinca  Mari?  neptis  11.  mee.  Ad  petium  qui  est 
in  plano  ante  mandram  in  qua  est  medietas  mea  de  ipsa  mandra, 
i  sunt  affines:  ad  duobus  lateribus  tenet  12.  heredes  Dimidia 
Maza  et  heredes  Cenci  de  Massarello,  a  tertio  latere  est  via  que 
est  inter  ipsam  terra  et  terra  sancti  Pancratii,  a  quarto  latere  est 
13,  communis  (f)  mandra.  Similiter  dono  medietatem  (s)  domus  maioris 
et  totam  cameram  superius  et  subterius,  et  do  me  14.  dium  ca- 
sulare  ante  maiorem  W  domum  ubi  Albertus  modo  habitat,  et  do  par- 
tem  casularis  que  dicitur  actegia,  item  et  par  15.  tem  canapine 
que  est  ad  posatorium,  nec  non  et  partem  orticelli  qui  est  ad  lacum 
Turnum.  Hec  omnia  que  suprascripta  sunt  16.  laudavit  Benedi- 
ctus Leonis  Carucii  abunculus  meus  causidicus  et  comfìrmavit  et 
ratum  habitum  (0  ab  ilio  est.  17.  Post  hec  veni  in  ecclesia  sanct? 
Mari?  que  nunc  patur(k)  Nova,  comfirmavi  omnia  que  superius  no- 
tata 18.  sunt  ante  corani  subscriptis  tesstibus,  scilicet  Leonem 
Fraiapanem  et  lohannem  Berardi  et  Gregorium  19.  filium  eius 
et  Petrum  Mancinum  et  Octabianum  Theubaldi  filium  et  Belizonem 


(a)  decemb        (b)  h  aggiunta  dalla  prima  ìnanoneW  interlineo.       (e)  ante  ? 
Pare  una    corre:iione    non  fatta  completamente.  (d)  homiù  (e)  Dopo 

dimidie  maze  seguono  nel  testo  le  parole  et  heredum  Cenci  de  massarello, 
cancellate  dalla  prima  mano.  (f  )  com  (g)  Xel  testo  medietatem  (h)  La 
r  corretta  su  n  (i)  u ,  habitum  0  hab  con  h  cancellata  ?  (k)  Nel  testo 
nnc  patur 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         H 


i62  T.  Jedcle 


cum  fraire  suo  Bono         20.  et  loliannem  boctiliario  et  lohaniiem  de 
Maria  et  loliannem  de  Franca  et  Hbriele  cum  Pctruziouc. 

Ego  Henricus  scriniarius  sanct?  Roman?  Ecclesiae  sicut  supra- 
scripto  Petrus  michi  precepit,  et  in  suis  preteritis  promissionibus 
oblatio  continetur,  ita  compievi  et  absolvi  (i). 


XXXIV. 

1 108,  marzo  2. 


'> 


Maria,  vedova  di  Giovanni  de  Baldo,  insieme  con  i 
tìgli  vende  a  Benedetto  suo  genero  quindici  ordini  di 
vigna  posti  in  Basiliolo. 

I.  [^  I]n  nomine  Domini.  Anno  nono  pontificatus  domni  Pa- 
schalis   secundi   pap§,  indictione    prinu,  mense  2.  [mjartio,  die 

secunda.  Ego  quidem  Maria  vidua  olim  lohannis  de  Baldo  et  Petrus 
ad  3.  [que  LJaurentius  et  Benedictulo  mater  quoque  et  fili,  hac 
presenti   die    propria  4.  [sponjtaneaque  nostra  voluntate  damus 

cedimus  tradimus  et  ad  propriam  heredita  5.  [tem  ijnrevocabiliter 
vendimus,  tibi  Benedicto  genero  et  connato  nostro  etiam  6.  tuis- 
que  heredibus  in  perpetuum  vel  cui  largire  et  concedere  volueris. 
IdestW  videlicet  ad  quin  7.  decim  ordines  vinee  (b)  cum  versula- 
riis  (0  et  introitum  et  exitum  suo  et  cum  suis  omnibus  perti[nentiis]. 
8.  Positi  in  Basiliolo,  afiìnes  vero  a  primo  latere  tenet  i^)  tu  emtore 
alia  medietatem(«),  9.  a  secundo  sancta  Maria  de  lo  Portico,  a 

tertio  hcredum  Bonizo  de  Landò,  a  quarto  est  via  io.  plubica. 

Hhec  predicta  vinea  sicut  nobis  pertinere  videtur  sic  eam  tibi  inre 
II.  vocabiliter  vendimus  prò  sex   solidorum  denariorum  papiensium 

(a)  Sei  testo  idest         (b)  vin  ;  qui  ed  in  seguito.         (e)  vors,         (d)  Cosi 
nel  testo.        (e)  medietatem 

(1)  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del  xiii  secolo:  «  Car- 
«  tuia  ofiertionis  Petri  supdiaconi  Albancnsis  et  terra  posila  in  pastina 
«  de  Anna,  et  medietatem  domus  maioris  et  cameram  .1.  superius  et 
ffsupterius,  et  dimidium  casulare  et  medietatem  de  duobus  casarinis, 
«  et  partem  canapine  et  orticelli  ad  lacum  Turnum  ».  Di  un'  altra 
annotazione  molto  svanita  riesco  a  leggere  le  parole  «  In  presentia 
«  G.  iudicis  cepimus  . , .  denarium  .1.  in  argento  (?)...  Benedictus  . . . 
«  Maxim[o]  de  ...  ». 


Tabìllariiim  S.  oMariae  V^vae  16} 


quas  proinde  [a  te]  12.  recepimus  corani  subter  scriptis  tesstibus 
nobis  placabilem  prò  roto  pretio,  ita  ut  a    pre  15.  senti    die   li- 

cemtia  («)  et  potestatem(b)  abeatis  in  suprascripti  qiiindecim  ordincs 
vince  in  14.  trandi  tenendi  fruendi  possidendi  vendi  donandi  coni- 

mutandi  vel  quicquit  tibi  tuisqiie  lieredibus  15.  et  successoribiis 

piacuerit  in  perpetuum  faciendum.  Et  insuper  (■-■)  ego  Petrus  obbligo 
tibi  Benedicto  16.  connato  W  meo  totam  mea  portionem  de  domo 
solarata  ubi  abitamus  prò  Bene  17.  dictulo  fratri  meo  si   aliquo 

tempore  litem    tibi  vel  tuis  heredibus  fecerit,  ego  facio  18.  re- 

manere  et  comfirmare  ista  cliartula  ;  quod  si  non  et  in  dannum  ve- 
neritis,  vin  19.  dicetis  in  mea  portione.  Et  omnibus  nos  et  nostris 
lieredibus   promittimus  20.   tibi   tuisque    heredibus    suprascripta 

omnia  defendere  et  observare  sicut  dictum  est;  quod  21.  si  non 

fecerimus  vel  si  aliquo  litem  exinde  proposuerimus,  componamus 
vobis  prò  22.  penam  solidos  viginti  denariorum,  et  soluta  penam 

hec    venditio    firma    permaneat,  25.  Q.uam    scribendam    rogavi 

Enricus(s)  scriniarius  in  mense  et  indictione  suprascripta  prima. 

Signuni  manum  suprascripta  Maria  cum  suprascripti  filli  sui  qui 
hec  chartula  venditio  fieri  rogaverunt. 

Nicolaus  grecus,  testis. 

Bonosulo  filius  lohannis  Bonosi,  testis. 

lohannis  calziolarius,  testis. 

Pagano  de  Berta,  testis. 

Romanus  filius  laquinta,  testis. 

Ego  Enricus  scriniarius  sancte  Romane  Ecclesiae  compievi  et 
absolvi. 

xxx\\ 

I  no,  gennaio   30. 

Benedetto,  arciprete  di  S.  Maria  Nova,  per  comando 
di  Teobaldo,  diacono  del  sacro  Palazzo  Lateranense,  loca 
a  Teodoro  «  Grize  »  ed  a  Paolo  ed  ai  loro  figli  una  pezza 
di  vigna  fuori  della  porta  di  S.  Lorenzo  nel  monte  di 
S.  Ipolito. 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  .xr.  pontificatus  donini  Paschalis 
secondi  papae,  indictione  .111.,  mensis         2.  ianuarii  die  .xxx.  Placuit 

(a)  'Sei  testo  ìicema  (b)  potestatem  (e)  in  sopra  la  linea.  (J)  Nel 
testo  ove  era  stato  scritto  conganato,  ga  fu  cancellato  dalla  prima  viano. 
'(e)  Sopra  la  n  di  Enricus  due  segni  a  ino'  di  virgolette. 


1^4  "P-  Jt'^Vc'/e 


quidem  donino  Benedicto  Dei  gratia  archipresbitcr  venerabili  diaconie 
5.  beate  Maria?  domin?  nostr?  que  appellatur  Nova,  per  iussionem 
donini  Theobaldi  4.   diaconi  sacri  Lateranensis    Palatii  et  diete 

diaconia?  et  per  consetisum  clericorum  meorum  fra  5.  trum,  dare 
per  hoc  instrumentum  locationis  in  Theodorus  Griz?  ac  Paulo  vitrico 
ac  6.  privigno  et  eorum    legitimis    liberis  vite   eorum    tantum. 

Unam  videlicet  petiam  vinea?  cum  intro  7.  itu  commune  simul' 

et  vasscario  cum  omni  suo  usu  vel  pertinentia.  Posita  («)  extra  porta 
sancti  Laurentii  8.  in  montem  sancii  Ypolili:  fines  eius  a  duobus 
partibus  possidet  monasterio  beati  Laurentii,  a  teriio  9.  Johannes 
Bonelle,  a  quarto  est  criptam  sancti  Ypoliti.  Hanc  autem  locationem 
vobis  facio  IO.  eo  quod  dieta  vinea  laborare  et  restaurare  debetis 
ex  omni  vestro  expendio  11.  et  labore,  et  per  singulos  annos  per 
lempus  vindemi?  quartam  partem  12.  vini  mundi  et  acquati  nobis- 
nostraque  9cclesia  tribuatis,  et  manducar?,  13.  ac  bibere  ad  no- 

strum niinistrialem  dum  ipsa  quarta  ad  recipiendum  14.  vcnerit. 
Irem  et  si  per  vestram  culpam  vel  offensa  in  deserto  ierit,  piene 
1 5.  ad  nos  revertatur.  Item  et  si  vendere  volueritis,  nobis  vendatis  iusto 
pretio  minus  16.  .xxx.  denarios;  quod  si  emere  noluerimus,  detis- 
nobis  dictum  comminus  et  vendatis  17.  tali  persone  que  omnia 

nobis  persolvat.   Item    nos  autem  defendimus  vobis  18.  si  opus 

luerit.  Q.uecumque  ergo  pars  contra  hec  omnia  que  dieta  sunt 
19.  venerit  aut  observare  noluerit,  componat  pars  infidelis  20.  partis 
lìdem  servantis  prò  poena  tres  auri  uncias,  et   soluta  21,  poena 

hae  W  due  cartule  secundum  earum  tenore  maneant  firma?.  22.  De 
qua  re  due  facte  cartula?  uno  tenor?  conscripte  a  me  Johannes 
23.  scriniarius  rogatu  utrarumque  partium  in  mense  et  indictione  su- 
prascripta  tertia. 

Signum  y^  y^  manuum  suprascriptorum  huius  appar  rogantiunu 

EgusW  lohannis  Berardi. 

Bovus  Petri  Cyceronis. 

Rainerius  Billane.  Alexander  nepos  diaconi. 

Octavianus  Theobaldi. 

Antoninus  Marie  Alberti  filius. 

Petrus  adulterinus. 
f^  Ego  Johannes  per  divinam  gratiani  sancta?   Romana?  Ecclesia? 
scriniarius  compievi  et  finivi  (i). 

(a)  Sei  lato  l'ita         (b)  li         (e)  Così  nel  testo. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  una  mano  del  secolo  segnò  le 
seguenti  annotazioni  :  « g.  [GJegorgi  .1,  d.  {lìenariuni),  Martinu  .1., 


Tabiilarium  S.  €Mariae  V^opae  16) 


XXXVI. 

II 16,  luglio  23. 

Vendita  fatta  alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova  di  un  filo 
salinario  nella  pedica   «  de  Baccaris  ». 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  mille- 
simo centesimo  sexto  decimo,  pontificarus  vero  domni  Pa[schalis] 
2.  secundi  pap?  anno  eius  septimo  decimo,  indictione  .vini.,  mense 
iuleo,  die  .xxiii.  Ego  quidem  Petrus...  3.  grada,  hac  die  nullo 
prohibente  nec  contradicente  mea  vero  propria  et  spontanea  volun- 
tate  do  publice  vendo  et  4.  investiens    corporaliter  trado  vobis 

domne  Teobalde  Dei  gratia  diacono  sacri  Palatii  Lateranensis  rector 
5.  et  yconome  ecclesi?  sanct?  Marie  virginis  domine  nostre  que  di- 
citur  Nova,  et  dorano  Benedicto  archipresbitero  eiusdem  ecclesie  et 
per  vos  .  .  .  (^)  6.  ecclesia  et  eius  servitoribus  ad  proprietatem  in 
perpetuum.  Unam  videlicet  partem  de  filo  salinario  cum  omnibus 
sibi  pertinentibus,  7.  positam  in  pedica  de  Baccaris,  Inter  hos  affi- 
nes:  ab  uno  latere  tenet  Durus  lohannis  Cariti?,  ab  alio  Bobo  Be- 
nedicti  8.  fornarii,  a  tertio  similiter  Durus,  a  quarto  autem  latere 
est  fossatum  Hostiense.  Qualiter  per  su[c]  9  cessionem  parentum 
meorum  vel  alio  quolibet  modo  pertinere  mihi  videtur  et  nunc  quiete 
teneo,  io.  tnliter  prò  quattuordecim  solidis  denariorum  papien- 

sium  quos  Dulca  quondam  uxor  lohannis  buptilliri  W  ob  amorem 
omnipotentis  Dei        11.  et  prò  anima  prefati  lohannis  et  Landolphi  (<:) 

(a)  Dopo  vos  è  nel  testo  di,  seguito  da  tracce  di  altra  lettera:  da  leg- 
gersi forse  diete  (b)  Sic,  per  buptilliari  (e)  Landolphi]  La  p  aggiunta 
dopo  dalla  stessa  matto, 

«  M.  de  Crescentio  .1.,  Guardascerpa  .11.  d.,  Beneincasa  .ir.  d.,  Inga 
«  .ir.  d.,  Saso  macellaro  .1.  d.,  Rainaldo  fabularo  i.  d.,  P.  Ocilenda 
«  .11.  d.,  Leo  .X.  d.,  Petrus  Palumbi  .11.  d.,  Bonus  filius  Pablo  .1.  d., 
«  Diviczo  .11.  d.,  Petrus  Infinitus  .11.  d.,  Bernardus  .111.  d.,  Gerardus 
«  Mancini  .111.  d.,  Benedictus  Milvie  .111,  d.,  Johannes  Saniermano  .11.  d., 
«  Orrita  .1.  d.,  M.  Petro  Alamanna  .11.  d.  ». 

Di  altra  mano,  di  poco  posteriore:  «  In  cannape  .mi.  d.,  in  cla- 
«  mistari  .viii.  d.,  cecendeuli  .111.  d.,  in  vino  .11.  d.,  prò  runcune  .11.  d.»; 
di  una  terza  mano  :  «  In  candele  .xii.,  in  octaba  sancte  Marie  .xii. 
«  in  convivio  ». 


i66  T.  Jcdele 


lìlii  sui  ut  aliquantulum  indulgentic  a  domino  nostro  Christo  Icsu 
futuro  iu  12.  dice  conscquantur,  prò  toto  prctio  corani  subscriptis 
testibus  mihi  dedit,  ad  presens  do  et  largiens  concedo  ad  13.  usus 
et  sumptus  clericorum  in  perpetuum  prò  futurum.  Ego  igitur  una 
cuni  heredibus  ac  succssoribus  14.  meis  ab  omni  homine  gratis 
defendere  vobis  vestrisque  (*)  succssoribus  promilto;  quod  si  non 
I).  fecero,  si  ego  aut  heredes  mei  vel  aliqua  hominum  persona  a 
nobis  summissa  adversus  .16.  huius  venditionis  chartulam  aliquo 
modo  venire  temptaverimus,  componamus  vobis  vestrisque  succcs- 
soribus  17.  poene  nomine  pretium  in  duplum,  et  poena  soluta 

cartula  hec  secundum  suum  tenorem  mancat  fir  18.  ma.  Quam 

scribere  Petrum  infimum  scriniarium  sancte  Romane  Ecclesie  ro- 
gavi in  men         19.  se  et  indictione  suprascripta  .vini. 

Signum  ^  manus  prelibati  Petri  qui  hanc  venditionis  chartulam 
fieri  rogavit. 

Robertus  lohannis  Fraiapanem  vel 

Fragentis  pancm  W.  Leo  Guidonis  de  Anna,  testis. 

Octavianus.  Gualterius,  testis. 

Briele.  Gregorius  lanista,  testis, 

Johannes  de  Franca.  Rofinus  de  Benedicto  de  Ruta,  testis. 

Ego  Petrus  iniìmus  scriniarius  sancte  Romane  Ecclesie  huius 
rei  rogatus  compievi  et  absolvi  (i). 

(a)  Dopo  vestrisque   e  nel  testo  hd  abraso.  (b)  vel  fragentis  panem 

aggiunto  nell'  interlineo. 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  di  mano  del  secolo  xii:  «  [Car]- 
«  tuia  de  filis  saline  ad  Hostiam  ».  Il  verso  di  questa  pergamena 
fu  poi  adoprato  per  segnarvi  la  seguente  notizia  dell'anno  1163 
o  64  (r  indiz.  e  il  pontificato  non  concordano)  : 

a  In  nomine  Domini.  Anno  sexto  ponlificatus  domni  Alexandri 
«  tertii  pape,  indictione  .xi.,  mense  septembri,  die  .vii.  Ego  Johannes 
«  Betti  I  de  Cisterna  a  presenti  die  (")  nullo  me  cogente  aut  vim  fa- 
ce ciente  set  propria  spontanea  mea  voluntate  do  concedo  |  trado  W 
«  et  ad  perpetuam  hereditatem  dono,  venerabili  ecclesie  sancte  Marie 
«  que  prenominatur  Nova.  Idest  unum  petium  terr?  |  ad  .viii.  rinti- 
«  quas  quartas  sementis  («),  positum  territorio  Cistcrnensi  ad  Pisca- 
«  riam  Oddonis  de  Berga  iuxta  rivum  Dorriga  W,  Inter  hos  affines, 
«a  I  primo  latere  tenet  Bittus  de  Deleita (.'=).  Q.ualiter  mihi 

(a)  Dcpo  die,  propri  cantellalo,         (b)  Dopo  trado,  dono  cancellalo.         (e)  K et  lesto 
semenc  (d)  iuxta  rivum  Dorrig     nell'  interlineo.         (e)   Lacuna  nel  testo. 


TabuUvHum  S.  oMariaeV^pae  i6j 


XXXVII. 
1118. 

Notizia  di  una  sentenza  data  dal  priore  e  dai  rettori 
della  «  Schola  salinariorum  ». 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo 
centesimo  octavo  decimo,  indictione  undecima.  2.  Ego  Dux  prior 
salinariorum  cum  Crispotto,  Benedicto  de  Stephano,  Caro  lohanne, 
lohanne  de  Basilio  et  Romano  3.  de  Guittone,  rectoribus  supra- 
dicte  scoi?  nostr?,  laudamus  et  iudicamus  ut  de  illa  lite  quam  Be- 
niamin  4.  faciebat  centra  lohannem  de  Barone  et  Rainaldum 
de  partibus  duabus  fili  salinarii,  prius  de  calumpnia  5.  iuret,  et 
postea  Rainaldus  iuret  tam  prò  se  quam  prò  lohanne  Baronis  pre- 
dictum  Beniamin  per  mandatum  ipsius  (=»)  Rainal  6.  di  ad  ca- 
piendum  anditum  in  quo  sunt  prenominate  partes,  ivisse  et  tria  carra 
salis  tam  prò  lohanne  de  Barone  7.  quam  Rainaldo  et  Beniabin  (b) 
prò  introitu  Obicioni  de  Leone  data  fuisse:  quod  sacramentum  de 
calupnia  8.  sepe  dictus  Beniamin  renuit  et  renuntiavit.  Et  post 
hec    indictione    duodecima    iterum    adivit  9.  Durum  priorem  et 

Octavianum  Obicionis  paterentem  supradict?  artis  et  conquestus  est 
ut  iusti  IO.  tiam  sibi  facerent.  Q_uibus  auditis  et  diu  molestati 
atque  tessi  sunt.  Die  .xv.  mensis  iunii  cum  11.  Dominico  qui  di- 

ctus  est   prior  ipsius  fossati,  et   Erro  ac  Stephano  lohannis    Cariti? 

(a)  ipsius  neir  interlineo.         (b)   Cosi  nel  testo. 


«  pertinet  per  successionem  mei  W  nepotis  Petrucii    de  Taliacozo  | 
«  (b)  taliterC^)  illud  ut  suprascriptum  est  inrevocabiliter  trado. 

«  Hoc  actum  est  W  in  manu  domni  Widonis  predicte  ecclesie 
«  canonici  et  sacerdotis,  in  presentia  domni  L.  archipresbiteri  Hostien- 
«  sis.  I  Testes  :  Cencius  de  Cimino  et  Bobacianus  filius  eius,  Petrus 
(f  Ovicionis  de  Octaviano,  Nicolaus  Romani  (e)  de  Valentino  |  Ru- 
«  sticus  murator  de  Campitello  ». 

(a)  mei  é  ripetuto.         (b)  Prima  di  taliter,  filii  licioli  (?  ì  cancellato.         (e)  La  sillaba 
tal  ripetuta  nel  testo  fu  poi  cancellata.  (d)   Neil'  interlineo  sopra  hoc  actura  est  son  le 

parole  hec  donatio  facta  est         (e)  La  i  pare  correità  su  u 


1^8  1\  Jedcle 


rectoribus  lauda  12.  veruni  et  confirmaverunt  supradictam  sen- 

tentiam.  Qui  Beniamin  siniiliter  fugivit  et  sacra         i^.  mentum  ca- 
lumpni^'  noluit  subire  (i). 


XXXVIII. 

II 19,  marzo  ^, 

Germano  di  Germano  e  Petrocio,  suo  figlio,  vendono 
alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova  una  pezza  di  vigna,  posta 
nel  territorio  di  Albano,  nel  fondo  Moniano. 

I.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo  centesimo  nono  de- 
cimo, 2.  mense  martio,  die  tertia,  indictione  .xii.  Ego  quidem 
Germanus  Germani  vero  filius,  3.  hac  denique  presenti  die,  nullo 
me  cogente  neque  contradicente  haut  vim  facien  4.  te,  set  pro- 
pria et  spontanea  nostra  bona  voluntate,  cessissemus  et  cessimus 
atque  tradidimus  simul  5.  cum  Petrocio  filio  meo,  nec  non  et 
venundavimus  tibi  domina  nostra  et  totius  mundi  regina  6.  Dei 
genitrix  virgo  Maria  et  per  te  namque  in  tua  sacraiissima  9cclesia 
que  vocatur  Nova,  7.  posita  intra  menia  Romane  urbis,  in  qua 
nunc  preest  dompnus  Tebbaldus  cardinalis  dia  8.  conus,  et  in 
dompno  Benedicto  archipresbitero  eiusdem  ecclesie  et  in  cunctis  aliis 
clericis  ibidem  Deo  9.  servientibus  in  perpetuum,  Idest  unam 
petiam  vinee  plus  ve!  minus  cum  introitu  et  exitu  eius  cum  vascario 
IO.  et  vasca  commune  cum  Tebbaldo  iener  Bovonis  (")  ferrarii,  cum 
arboribus  propriis  diversis  naturis,  11.  cum  omni  utilitate  et 
pertinentia  sua.  Posita  territorio  Albani  in  fundum  qui  vocatur  Mo- 
niano, et  12.  terminatur  his  finibus:  a  primo  latere  tenet  Litolfus 
Sinioretti,  a  secundo  via  publica,  15.  a  tertio  heredes  Cafare,  a 
quarto  sanctus  Benedictus  in  Caccavari.  Pro  eo  quod  dedistis  nobis 
14.  quinquaginta  solidos  denariorum  in  omni  vera  decisione  et  dif- 
finitione.  et  de  iure  et  dominio  no  15.  stro  in  iure  et  dominatione 
vestra  transmittimus,  et  sicut  nobis  evenit  iure  emptionis  16.  vel 
quemadmodum  usque  modo  nostris  detinuimus  manibus,  taliter  eam 
vobis  concedimus  tradimus  17.  atque  venundamus  prò  supra- 
scripto  pretio,  et  moniminas  antiquas  et  nostre  acquisitionis  simul  cum 

(a)  bovonis  corretto  da  bononis 

(1)  Nel  verso  e  Salini  ». 


Tabiilarium  S.  ^ariae  '^N^vae  i6<) 


chartula  (»)  ista  i8.  vobis  contradidimus.  Et  ab  odierna  die  licen- 
tiam  et  potestatem  vobis   concedimus  ibidem  intrare  19.  tenere 

possidere  vendere  donare  commutare  et  facere  quodcumque  facere 
sive   peragere  volueritis    in  vestra  vestro  20.  rumque   successo- 

rum  W  concedimus  potestate:  et  numquam  a  nobis  ncque  ab  here- 
dibus  nostris  neque  etiam  21.  a  nulla  magna  parvaque  persona 

hominum  a  nobis  submissa  aliqua  aliquando  habebitis  que  22.stio- 
nem  aut  calumpniam;  set  si  opus  vel  necesse  fuerit,  stare  nos  pro- 
niittimus  cum  nostris  heredibus  et  de  25.  fendere  vobis  vestrisque 
successoribus  ab  omni  persona  liominum  litigantium  gratis.  Si  enim 
quod  absit  24.  et  cuncta  non  opservaverimus  que  superius  dieta 
sunt,  tunc  coniposituri  nos  promlttimus  cum  nostris  bere  25.  dibus 
vobis  vestrisque  successoribus  ante  omne  litis  iaitium  prò  pena  su- 
prascriptum   pretium    duplum,   et    soluta   pena  26.  hec  chartula 

perpetuo  (<=)  in  sua  maneat  firmitate.  Quam  scribendam  rogavimus 
Gregori  27.  um  scriniarium  sancte  Romane  Ecclesi?  in  mense  et(d) 
indictione  suprascripta  .xii. 

Signum  ^H  manus  suprascripti  Germani  28.  venditoris  atque 
rogatoris.  Signum  )^  manus  suprascripti  Petrocii  filii  eius  consentiens 
huic  (0  venditioni. 

Residente  dompno  Benedicto  iudice. 

>^  Leo  filius  eius  causarum  patronus,  testis. 

)^  Petrus  Attonis,  testis. 

tj<  lohannis  Attonis,  testis. 

y^  Carucius,  testis. 

Yji  Johannes  Bonus  Anastasii,  testis. 

>J<  Tebbaldus  Guittonis,  testis. 

Ego  Gregorius  Palatinus  huius  albe  proprie  notarius  compievi 
et  absolvi  (i). 

(a)  Nel  testo  cnr  (b)  rùq,  success  in  rasura.  (e)  o  corretto  forse 

da  u         (d)  Nel  testo  menset         (e)  Nel  testo  buine 

(i)  Nel  verso  della  pergamena  «  aUr  ».  Una  mano  contempo- 
ranea segnò  poi  a  pie  del  verso:  «  Ad  notarium  d.  .v.  inter  palos 
«  et  frasca  » . 


lyo  T.   fedele 


XXXIX. 

iii9?-ii2o?  agosto  25(1), 

Stefania,  figlia  di  Giovanni  «  de  la  Plana  »,  con  suo  ma- 
rito, vende  a  Romana,  figlia  di  Gregorio  «  de  lohannis 
«  iiono  de  Arno  »,  una  casa  con  la  metà  di  un  orto  e 
della  corte  attigua,  posta  «in  Pede  silice». 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pontificatus  domni  Ca- 
lixtis  («)  secundi  pap?,  indictione  tertia  decima  2.  mense  (*>)  agusto, 
die  vicesima  quinta.  Ego  quidem  Stehania  (e)  filia  olim  lohannis  de 
la  Plana  consentiente  3.  et  simul  niecum  rogante  lohannis  filius 
Petri  de  Beno  de  Marino  viro  meo,  hac  die  propria  spon  4.  tanfa 
mea  voluntate  ac  presenti  di?  do  cedo  trado  et  ad  propriam  here- 
ditatem  inrevocabili  5.  ter  vendo  et  corporaliter  investiens  publice 
tradimus,  tibi  Romana  filia  Gregorius  6.  de  lohannis  Bono  de 
Arno  etiam  tuisque  heredibus  ac  sucessoribus  in  perpetuumC'^)  vel  cui 
largire  et  conce  7,  dere  volueris,  et  per  sacramentum  ego  Stehania 
ista  venditionis  ex  ore  meo  comfirmo.  Idest  8.  videlicet  domum 
una  in  integrum  terrineam  teguUciam  scandoliciam  et  cartiquineam 
coper  9.  ta  cum  medietatem  (0  de  ortuo  pomato  et  medietatem 
de  curte  ante  se  cum  arboribus  io.  et  vitibus  ante  se  et  introitum 
et  exitum  suo  et  usum  et  utilitate  per  ipsa  curte  usque  in  11.  via 
publica,  et  cum  omnia  sua  pertinentia;  siculi  vero  ipso  dicto  ortuo 
cum  arboribus  et  curte  esse  communem  (f)  12.  ad  dividendum 

cum  Constantia  (g)   mea  tia.    Posita  in  Pede  silice:    affines   vero  a 
duobus   lateribus   tenet  13.  Nicolaus   de   Damara,  a  tertio  tenet 

sanctorum  Cosmas  et  DamianiW  ad  totum  ortuo  et  doni  14.  inio(') 
circundantes,  a  quarto  vero  latere  est  via  publica  (k).  Qualiter  pre- 
la)  Cosi  nel  testo.  (b)  n  corretto  da  u  (cj  Così  nel  testo  qui  ed  in 
seguito.  (dj  j^pmu  «</  lesto.  (e)  ìsel  testo  medittnùm;  qui  ed  in  seguito. 
(f)  com  (g)  Nel  testo  Constati»  (li)  L'  ultimo  i  corretto  da  o  (i)  Nel 
testo  dominio  (k)  Nel  testo  putii;  seguono  due  lettere  cancellate  e  poi  la 
sillaba  ca 

(i)  Noto  con  un  segno  di  dubbio  queste  due  date  che  corri- 
spondono alle  note  cronologiche  del  documento,  discordanti  fra  di 
loro. 


Tabiilariiim  S.  oMariae  V^vac  171 


dieta  donium  I5.cum  medietatem  de  ortuo  adque  medietatem  de 
curte  cum  medietatem  de  arboribus  sicut  dieta  sunt  et  16.  miehi 
ex  sparte  Bona  mater  mea  michi  pertinere  videtur,  sie  eam  tibi  in 
17.  revocabiliter  vendimus  prò  decem  et  oeto  solidorum  papiensium 
denariorum  quas  ego  iS.  recepi  a  te  eoram  subseriptorum  testibus 
miehi  placabilem  prò  toto  pretium  et  istis  vero  denariis  19.  ego 
Stehania  do  in  .xi.  ordines  vineas  ad  meum  opus  da  Petrus  de  Beno 
de  Ma  20.  rino  quod  meliorem  lucro  est  'me  quas  predicta  domos 
et  ortuos.  Hac  presenti  die  su  licentiam  W  et  potestatem  habeatis 
in  suprascripta  domum  et  ortuo  medietatem  et  medieta  22.  tem  de 
sua  curte  cum  sua  omnia  pertinentia  sicut  dieta  sunt  intrandi  tenendi  fru 
25.  endi  possidendi  vendi  donandi  eommutandi  et  faeiendi  quod- 
cumque  volueritis  tu  et  tuis  heredibus  ae  24.  sucessoribus  in  per- 
petuum  (!')  et  per  sacramento  ista  chartula  venditionis  ex  ore  meo 
comfirmo  25.  ut  numquam  in  tempore  ego  vel  meis  heredibus 
et  sucessoribus  vel  aliqua  persona  ominum  a  26,  me  sumissa 
litem  (<:)  vel  requisiticnem  de  suprascripta  omnia  faeere  presunse - 
rimus.  Quod  27.  si  absit  feeerimus  in  periuri  incurramus,  ve- 
rum  etiam  daturi  esse  prò  28.  mittimus  tibi  tuisque  heredibus 
et  sucessoribus  prò  pena  suprascripto  pretium  duplum  et  soluta 
29.  pena  hee  venditionis  chartula  perpetuum  stabilis  et  C*!)  firma  per- 
maneat.  Quam  seri  50.  bendani  rogavi  Enrieus  scriniarius  in  mense 
et  indictione  suprascripta  .xiii.  decima.  31.  Signum  manum  su- 
prascripta Stehania  cum  viro  suo  consentiente  hac  venditionis  char- 
tula 32.  sponte  fieri  rogaverunt.  Ego  Romana  de  predictis 
33.  denarii(e)  quod  abstulit  de  terra  mea  de  Marana  dedit  in  prefata 
domum  34.  decem  et  oeto  solidos  papiensium  et  duo  solidos  in 
lename  prò  melioratione  iam         35.  dieta   domo. 

Guido  de  Benizzo,  testis. 

Benecasa  de  Maxaro,  testis. 

lohannis  Mo  pò,  testis. 

Odaldo  sutore,  testis. 

Lipriniano,  testis. 
Ego  Enrieus  scriniarius   sancte    Romane  Eeelesiae  compievi  et  ab- 
solvi  (i). 


(a)  Nel  testo  licna  (b)  AV/  testo  in  p^mu  (e)  AV/  testo   litùr 

(d)  et  e  ripetuta.         (e)   'Sei  testo  denrii 


(i)  Nel    verso    di    mano    del    xiii   secolo:    <f  Cartula    de    una 
«  domo  cum  medietate  orti  et  cum  curte  ante  ecclesiam  nostram  » 


172  '7'.  JcJclc 


XL. 

1 120,  decembre  7. 

Pietro  «  de  Francuccio  Gabulluto  »  concede  ai  figliuoli 
di  Pietro  de  Bona  due  parti  di  un  orto,  fuori  della  porta 
Latina  «  ad  montem  Albinum  »,  col  patto  di  ridurle  a  vigna 
e  di  pagare  un  annuo  canone. 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pontificatus  domni  Ca- 
lixti  (»)  secundi  pap?,  indictione  .xnii.,  mcnsis  2.  decembris  die  .vii. 
Ego  quidem  Petrus  de  Francuccio  Gabulluto  ad  pastinan  ^.  dum 
loco  et  largiens  concedo  vobis  filiis  Petri  de  Bona,  Alexio  scilicet  et 
4.  Nicolao,  vestrisque  lieredibus  ac  sucessoribus  in  perpetuum.  Idest 
duas  partes  unius  orti  cum  5.  fontana  et  rases,  cum  introitu  et 
exitu  suo  et  cum  omni  suo  usu  et  utilitate  atque  peni  6.  nentiis. 
Positas  extra  portain  Latinani  ad  montem  Albinum;  affines  totius 
orti  7.  de  quo  duas  partes  vobis  loco,  ab  uno  latere  tenet  sanctus 
Sebasiianus,  ab  alio  heredes  8.  de  Gottifredo,  a  tertio  lieredes 
lohannis  Fragentis  panem  et  heredes  lohannis  Rainerii,  a  quar  9.  to 
autem  latere  sanctus  lohannes  ante  portam  Latinam.  luris  nostri  do- 
mini!. Ad  tenendum  utendum  io.  fruendum  ex  omni  vestro 
expendio  vineam  C»)  pastinandum  allevandum  congregandum  et  a 
ri.  vobis  vestrisque  lieredibus  ac  sucessoribus  perpetuo  possidendum, 
et  omni  anno  in  sanct?  Crucis  Exalta  12.  tione  .xxx.  duos  denarios 
papiensium  prò  redditu  nobis  detis  amodo  donec  vindcmiam  exinde 
13.  habueritis;  postea  sit  in  mea  voluntate  si  volucro,  tollere  quar- 
tam.  Vos  14.  quartam  partem  vini  mundi  et  acquati  et  canistrum 
unum  iustum  uvis  pie  15.  nuni  per  petiam  et  quartam  partem 
fructus  arborum  quas  illic  possueritis  16.  michi  meisque  reddatis 
heredibus,  et  manducare  et  bibere  nostro  detis  supriste  (<=)  17.  sicut 
vestris  vindemiatoribus.  Et  quando  vascam  ex  novo  feceritis  denarios 
octo  pa  i8.  pienses  prò  adiutorio  vobis  et  Nicolao  vestro  con- 
socio dabimus.  Et  si  fuerit  tantum  una  19.  pars  orti  pastinata, 
de  altera  parte  inpastinata  .xvi.  denarios  papiensium  prò  redditu  nobis 
detis.        20.  Et  si  postquam  vinca  fuerit  allevata  neglegentiam  ibidem 


(ay  Cali         (b)  vifi         (e)  Xel  testo  supste 


Tabulariìiììi  S.  oMariae  V^opae  175 


commixeritis,  per  annum  unum  sustinere  21.  debemus;  quod  si 
in  secando  anno  neglegentiam  commixeritis,  plenam  vobis  tollamus. 
Et  si  per    hostem  publicum  22.  vel    irritum  romanum    seu  celi 

piagam  in  desertum  ierit  et  per  trium  annorum  spatium  vestra  ne- 
glegentia  23.  non  fuerit  relevata,  ad  nos  revertatur.  Et  si  aliquit 
auri  argenti  ferri  lapidis  seu  alterius  spe  24.  elei  metalli  valens  M 
plus  .XII.  denariis,  dimidium  nobis  dctis,  et  si  vendere  volueritis,  prius 
nobis  vendatis  2).iusto  pretio  quo  apretiatum  fuerit  minusduobus 
solidis  denariorum  papiensium  per  petiam;  quod  si  coni  26.  pa- 
rare noluerimus,  tunc  vendatis  persone  que  nobis  placcat  sine  ma- 
litia,  et    ipsos    duos  27.  solidos    detis  nobis    prò   consensu    pcr 

petiam,  nuUoque  modo  alieni  pio  loco  dimittatis.  Si  qua  igitur 
28.  pars  adversus  (idem  huius  locationis  aliquo  modo  venire  tem- 
ptaverit,  aut  si  ego  vel  29.  heredes  mei  ab  omni  homine  vobis 
vestrisque  heredibus  non  defenderimus  si  hopus  et  necesse  fuerit, 
componat  30.  alteri  parti  fidem  servanti  prò  poena  dimidiam  boni 
auri  libram,  et  poena  soluta  he  due  cartule  31.  uno  tenore  con- 
scripte  per  manus  Petri  scriniarii  sanct?  Roman?  Ecclesi?  secundum 
hearum  tenorem  32.  perpetuo  maneant  firme.  In  mense  et  indi- 
ctione  suprascripta  .xiiii. 

Signum  >x<  rnanus  predicti  Petri  qui  hanc  locationis  chartulam 
sponte  fieri  rogavit. 

Beliczo  de  Beliczo,  testis. 

Seniorilis  frater  eius,  testis. 

Romanus  lohannis  Boni,  testis. 

Guido  frater  eius,  testis. 

Johannes  Bonus  prior  ortulanorum  (b),  testis. 

Adammus  (<=)  murator  secundus,  testis. 

Johannes  Cava  casatam,  testis. 
Ego  Petrus  notarius  regionarius  et  infimus  scriniarius  sanct?  Roman? 
Ecclesi?  utriusque  partis  rogatu  compievi  et  absolvi  (r). 

(a)  vat         (b)  or  neW  interlineo.         (e)  Adàmus 

(i)  Nel  verso:  «Monte  Albino».  Di  questo  documento  esiste 
nello  stesso  archivio  una  copia  fatta  da  «  Obicio  imperialis  aule 
«  scriniarius  »  (secolo  xiii  ine). 


174  T-  Jc'cA'/t' 


XLI. 

1123,  aprile  8. 

Concessione  enfiteutica  di  una  casa  posta  nella  regione 
innanzi  alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova. 

I.  y^  In  nomine  Domini.  Anno  quinto  pontificatus  domni  Ca- 
lixsti  secundi  pape,  indictione  prima,  mense  aprelis,  die  octava. 
2.  Ego  quidem  Bcnedictus  Dei  gratia  archipresbiter  adquae  rector 
vcnerabilis  ecclesia  sanct?  Mariae  domine  nostre  quae  5.  mine 

patur  (a)  Noba  conscntientibus  michi  Girardi  presbitero  et  Bonosulo 
adque  Benedictus  et  Leutherius  nec  non  Rimanno,  4.  hac  die  io- 
camus  et  concedimus  propria  spontanea  nostra  voluntate  libi  Briele 
et  Zita  tua  vero  coni[uge]  5.  et  de  vestris  filiis  et  filiabus  quod 
modo  habetis  de  isto  coniugio  et  in  anteam  de  vos  ambobus  Deus 
de  6.  derit  in  antea  tantum.  Idest  viJelicet  domum  unam  in  inte- 
grum  solaratam  teguliciam  et  scandoliciani  sicuti  clausam  7.  [esse 
vi]detur  cum  modico  orticello  pò  se  Cbi  cum  sua  curte  ante  se  adque 
introitu  et  exitu  suo  vel  cum  8.  [omnija  sua  pertinentia.  Positam 
in  regione  ante  ian  dieta  ecclesia;  affines  vero  a  duobus  laleribus 
tenet  dieta  [ecclesia]  9.  [a  tertio]  tenet  lohannis  Pilio,  a  quarto 
latere  est  via  publica.  luris  suprascripta  vestra  ecclesìa,  ad  tenendum 
colendum  fr[uendum]  io.  possidendum  meliorandumque  in  omni- 
bus (0  diebus  vite  nostre  sicut  que  supra  dieta  sunt  tantum.  Et  prò 
uno  (<•)  loeatum  11.  prebuimus  vobis  introitu  solidos  sex  papien- 
sium  denariorum  prò  utilitate  suprascripta  ecclesia,  et  omni  anno 
aniodum  12.  in  anteam  duos  denarios  papiensium  in  fcstivitate 

sancte  Marie  de  suprascripta  domu  tribuamus.  Et  si  vendere  1 5 .  vo- 
luerimus  ipsa  domu  nostro  placito  primus  venundemus  ad  servitores 
dieta  ecclesia  comminus  tres  solidos;  14.  quod  si  emere  nolue- 
ritis  demus  vos  dieto  comminus  et  licentiaW  habeamus  vendere  in 
tali  vero   persona  quae  1 5.  ad  servitores  dieta    ecclesia  plaeead 

sine  malitia  excepto  (S)  in  aliam  ecclesiam  non  vendamus  nec  prò 
anima  16.  dimittamus  nisi  predicta  ecclesia,  et  post  exsplete  pre- 
diete  nostre  persone  dieta  domum  sieut  meli         17.  orata  fucrit  in 


(a)  Così  nel  lesto.  (b)  Così  nel  testo.  ic)  omnibus  è  ripetuto  nel 

testo.         (d)  .\V/  testo  uno        (e)  licna        (f)  "Nel  testo  exepto 


Tabiilariuin  S.  <zMariae  V^vae  175 


predictam  W  sino  mora  eis  revertatur.  Nos  autem  0>)  una  cum  nostris 
heredibus  18.  ac  sucessoribus  promittimus  vobis  et  vestris  suc- 
cessoribus  suprascripta    omnia  observare   et  adinpiere  si  19.  cut 

dieta  sunt;  quod  si  non  fecerimiis  et  qua  dieta  sunt  ('^)  non  obser- 
vaverimus,  20.    componamus  vobis   et    vestris   sucessoribus    ad 

opus  et  proficuum  ian  dictam  ecclesiam  prò  pena  solidos  quad 
21.  raginta  papiensium  denariorum,  et  soluta  pena  hec  due  chartule 
facte  uno  tenore  sit  firme.  Scripte  i'^)  22.  per  manum  Henricus  scri- 

niarius  in  mense  et  indictione  suprascripta  prima. 

Signum  manum  ►J^  suprascripto (e)  et  Zita  uxori  sua  hanc 

apare  sponte  fieri  rogavi. 

Petrus  de  Baldino,  testis. 

Sasso  de  Petrus  Mancino,  testis. 

Petrus  de  Penacelo,  testis. 

Sasso  macellarius,  testis. 

Donadeus  suo  germano,  testis. 

Romanus  de  Carvone,  testis. 

Ardino,  testis. 
Ego  Henricus  scriniarius  sancte  Romane  Ecclesiae  compievi  et  ab- 
solvi. 


XLII. 

1126,  maggio. 

Giudicato  di  Onorio  II  sopra  il  possesso  della  massa 
Careia. 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  secundo  pontìficatus  domni  Hono- 
rii  secundi  papa?,  indictione  .mi.,  mensis  madii  die  . . .  (0  Benedictus 
archipresbiter  sanct?  Marie  Nove  conquestus  est  domno  papa? 
2.  Calixto  de  massa  que  dicitur  Careia  diu  iniuste  possesa  a  Gale- 
ranis  comitibus  et  ab  aliis  hominibus,  quam  dicebat  iuris  sante  Marie 
Nov[e    ess]e.    Unde    d[omno    papa?   Calixto]  (g)  3.  instrumenta 

ostendit.  Tunc  domnus  papa  auditis  instrumentis  et  visis  rationibus 

(a)  Dopo  predictam  e  nel  testo  la  parola  ecclesiam  cancellata  ;  dovevano 
essere  evidentemente  cancellate  anche  le  parole  in  predictam  (b)  'Nel  testo 
autèm  (e)   A  sunt  seguono   le  parole    que    supra    missa    sunt    cancellate. 

(d)  Questa  parola  e  resa  nel  testo  in  maniera  affatto  irregolare.  (e)  La- 

cuna nel  testo.         (f)  Lacuna  nel  testo.         (g)   Inferiormente  ad  uno  strappo 
della  pergamena  si  vedono  le  appendici  inferiori  delle  due  p  della  parola  papae 


17^.  T.  fedele 


quallter  dieta  massa  iuris  ecclesie  esset,  niisit  littcras  comitibiis  Ga- 
leri? ut  massa  illa  ecclesie  restituerent.  4.  Set  comites  precepto 
domni  papa?  obtemperantes,  Benedictum  archipresbiterum  de  massa 
illa  statim  investierunt  (").  Post  paucum  tempus  domnus  papa  Ca  • 
lixtus  diem  suum  obiit.  Dicti  comites  massam  5.  illam  invaserunt. 
Postea  vero  idem  archipresbiter  de  massa  a  comitibus  rctenta  aput 
domnum  Honorium  secundum  papam  restitutionem  petiit,  simulque 
sententiam  domni  Calixti    et  instrumenta  iuris  6.  ecclesie  curie 

ostendit,  Quibus  rationibus  domnus  papa  motus  misit  comitibus  atquc 
precepit  ut  massam  ecclesie  restituerent,  et  sic  sententiam  papa? 
Calixti  per  Ugonem  diaconem  cardinalem  ecclesie  sancii  Theo- 
dori  7.  et  Cencium  Roizonis  romanum  consulem  effectui  man- 
cipavitC»).  Set  monachi  S.  Sabe  hoc  audientes  et  instrumenta  secum 
ferentes  ante  presentiam  domni  papa?  venerunt  et  massam  illam  iuris 
8.  monasierii  esse  atque  per  centum  anr.os  eam  possedisse  dixerunt: 
qua  de  causa  ipsius  masse  restitutionem  petierunt.  Set  cum  monachi 
quoddam  instrumentum  legissent,  pars  S.  Marie  respondit:  9.  in- 
strumentum illud  iuris  ?cclesie  Sanct?  Mari?  Nove  non  voceni 
quia  que  ibi  leguntur  fines  masse  Careie  (<=)  esse  instrumenta  sancte 
Marie  ostendunt.  Domnus  papa  audientes  (J)  utriusque  partis  alle 
IO.  gationes  In  quinta  feria  indutias  dedit,  atque  precepit  ut  instru- 
menta et  rationes  que  inde  haberent  prò  causa  cito  finienda  secum 
utraque  pars   duceret.  Ad  terminum    ambe    partes  11.  in    curia 

representate  sunt.  Tunc  domnus  papa  sicut  preceperat  instrument.i 
prò  causa  citius  tcrminanda  a  partibus  quesivit.  Benedictus  archi- 
presbiter  instrumenta  ?cclesie  sancte  Marie  statim  12.  represen- 
tavit.  Monachi  vero  nisi  possesio  ipsius  prius  restitula  fuisset,  instru- 
menta monasteri!  estendere  omni  modo  rennuerunt.  Altera  pars 
respondit:  masse  restitutionem  nequaquam  peti  posse,  15.  quia 
eius  proprietas  ?cclesie  sancte  Mari?  esse  cernitur,  et  hoc  per  instru- 
mentum a  lohanne  tertio  decimo  papa  confectum.  Quod  coram 
donino  papa  recitatur  et  («)  comprobatur.  Pars  monasteri!  masse 
14.  restitutionem  iterum  petiit  per  legem  illam:  si  quis  non  per  vini 
sed  sententia  iudicis  eam  rem  detinuit.  Altera  pars  restitutionem  (O 
(ieri  his  rationibus  negabat  quia  15.  domnus  papa  Calixtus  post 
citationem  a  Petro  prefecto  legitime  confectam,  visis  instrumentis  et 
rationibus  sancte  Mari?  non  propter  contumaciam  adversariorum 
set    propter  16.  rationes  diete  ?cclesie    bene  prospectans    Bcne- 

(a)  Kil  testo  investierum  (b)  Nel  testo  mancipavi  (e)  Carcic  cor- 
retto dalla  prima  mano  da  Careve  (d)  Così  nel  testo.  (e)  t  per  cor- 
rezione,        (f)  o  sopra  la  linea. 


Tabiilariuììi  S.  ^larìaeV^vae  177 


dictum  archipresbiterum  de  massa  Careia  per  Galeranos  coniites  in- 
vestivit.  Quam  sententiam  domnus  Honorius  sequens  eam  17.  ad 
effectum  (a)  perduxit.  Iterum  et  si  possesio  aput  monasterium  esser, 
ecclesie  sancte  Mari?  restitui  deberet;  inulto  plus  si  possesio  aput 
ecclesiam  maiiet,  ab  ea    retineri  potest,  18.  quia  dolo  facit  qui 

petit  ea  que  restituturus  est.  Cumque  partes  super  hoc  diu  certarent, 
domnus  papa  precepit  iudicibus  ut  ad  consilium  irent  et  cause  (ìnem 
inponereiit.  19.  Set  Bencdictus  dativus  W  index  et  Litardus  et  tres 
iudices  Beneventani  (0  prò  ecclesia  sanct?  Marie  in  unam  sententiam 
concordati  sunt.  Ferrucius  vero  iudex  propter  20.  feudum  quod 
habebat  a  monasterio  illis  concordati  noluit.  Set  dicti  iudices  eorum 
concordiam  domno  pape  dixerunt.  Cum  sero  esset,  domnus  papa  in 
sequenti  die  negotium  pò  21.  suit,  et  partibus  precepit  ut  ad 
curiam  prò  sententia  recipienda  redirent.  Ferrucius  iudex  iudicum  con- 
cordiam monachis  patefaciens  ad  curiam  redire  noluerunt.  22.  Pars 
sancte  Marie  in  presentia  donmi  papa^  representata  est.  Tunc  domnus 
papa  videns  alteram  partem  se  absentantem  dixit  Benedicto  archi- 
presbitero:  uti  possides  2;;.  possideas.  Scriptum  per  manum  Fal- 
conis  scriniarii  sancte  Romane  Ecclesie  in  mense  et  indictione  supra- 
scripta  .1111.  (i). 

xLrii. 

1 127,  marzo  i  j. 

Vendita  di  una  vigna  posta  «  foris  portam  Metromi 
«  iuxta  muros  huius  alme  urbis  »,  obbligandosi  il  compra- 

(a)  Nel  testo  efFetù  (b)  dativus   ripetuto  ed  espunto.  (e)   Corretto 

dalla  prima  mano   da  benevanteni 

(i)  Nel  verso,  di  mano  del  secolo  xiii:  «In  hac  carta  conti- 
«  netur  quod  Benedictus  archìpresbiter  sancte  Marie  Nove  conquestus 
«  est  domno  Calixto  pape  de  comltibus  Galerie  qui  detinebant  massam 
«  Carreiam  iniuste:  qui  comites  ex  precepto  dicti  domni  pape  resti- 
«  tuerunt  eam  predicto  Benedicto  archipresbitero.  Mortuo  vero  domno 
«  papa  Calixto  predicti  comites  invaserunt  predictam  massam,  unde 
«  dictus  Benedictus  archipresbiter  . . .  conquestus  est  domno  pape 
«  Honorio  secundo  qui  restituit  eam  predicto  Benedicto,  contradicen- 
«  tibus  monacis  sancti  Sabe  ». 

Di  un'altra  annotazione  dello  stesso  tempo  intendo  solo  le  pa- 
role: «  Calixtus  papa  et  Honorius  papa  ...  Et  est  quartus  thomus 
«  in ». 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  12 


lyS  T.  Jcdele 


tore  a  rendere  ogni  anno  alla  chiesa  di  S.  Maria  i  dovuti 
diritti. 

I.  In  nomine   Domini.    Anno  tertio  pontitìcatus  (*)   domni    Ho- 
norii  secondi    pap9,   indictione  quinta,   mensis    martii   die   .xiii.  Ego 

quidem 2.  de  Maria  de  Goio,  liac  die  propria  mea  volun- 

tate,  consentientibus  mecumque  rogantibus  Benedicta  scilicet  uxore 
me[a  et  Bene]  j.  dicto  Dei  gratia  archipresbitero  ecclesi?  san- 
ct?  Mari?  Nov?  suisque  clericis,  et  consensum  a  me  habentibus  lo- 
caloribus  meis  do  ven[do]  4.  trado  tibi  lolianni  de  Bulcharello 
tuisque  heredibus  ac  sucessoribus  in  perpetuum.  Idest  petiam  vinee 
unam  quam  olim  noviter  pastinavi  [cum]  5.  introita  et  exitu  (b) 
suo  et  cum  omni  suo  usu  et  utilitate  atque  pertinentiis  (0.  Positam 
foris  portam  Metromi  iusta  muros  huius  alni?  urbis;  Inter  hos  af- 
fines,  ab  uno  latere  teneo  6  ego  venditor,  ab  alio  est  murus  huius 
civitatis,  a  tertio  tenet  Litolphus,  a  quarto  autem  latere  Rufinus  de 
Benedicto  de  Ruta  W.  7.  Q.ualiter  vita  mea  meorumque  heredum  ac 
sucessorum  in  perpetuum  haheo,  taliter  predictis  locatoribus  consen- 
tientibus tibi  tuisque  heredibus  ac  sucessoribus  8.  vendo  et  trado 
prò  .vii.(')  solidis  et  dimidio(f)denariorum  papiensium,  quos  placabiles 
prò  roto  pretio  mihi  et  in  meis  dedisti  manibus,  ut  dehinc  licentiam 
et  9.  potestatem  habeatis  intrandi  utendi  fruendi  et  annualiter  in 
tempore  vindemiarum  quartam  partem  totius  vini  mundi  et  acquati 
IO.  quod  Deus  vobis  ibidem  donaverit,  predicte  ecclesie  sancte  Marie 
reddatis,  et  de  omni  vasca  piena  denarium  unum  papiensum  prò  va- 
scatico  detis,  11.  et  quartam  fructus  nucum  ibidem  stantium  red- 
datis, et  si  illic  inveneritis  aliquit  auri  argenti  ferri  lapidis  seu  alte- 
rius  (g)  12.  speciei  metalli  valens  plus  .xn.  denariis  dimidium  ipsi 
ecclesie  detis,  et  si  vendere  eam  volueritis  prius  illi  vendatis  iusto 
pretio  quo  apreti  i3.ata  fuerit  minus  .xxviiii.  denariis  papiensium. 
Quod  si  comparare  noluerit  tunc  vendatis  persone  sibi  piacenti  sine 
malitia  et  ipsos  14.  .xxviiii.  denarios  detis  heidem  ecclesie  prò 
consensu.  Nulloque  modo  alicui  pio  loco  dimittatis  nec  concedatis 
nisi  prenomina  15.  te  ecclesie  sancì?  Marie.  Nos  igitur  una  cum 
heredibus  meis  nec  non  cum  supradicto  archipresbitero  et  suis  clericis 
ab  omni  homine       16.  defendere  tibi  tuisque  heredibus  promittimusCO 

(a)  Seti' interlineo.  (b)  introita  et  exit  su  rrtjura.  (e)  introitu  -  per- 
tinentiis Oj^giunto  con  inchiostro  diverso  ina  dalia  prima  mano  su  lacuna. 
(d)  ab  alio  -  de  ruta  aggiunto  dalla  slessa  mano  ma  con  altro  inchiostro  come 
sopra.  (e)  /;(  rasura.  (f)  Jim  (g)  Kel  testo  altius  (h)  //  secondo 
ì   corretto  su  rasura  di  o 


Tabiilarium  S.  •zMan'ae  V^vac  179 


si  opus  et  necesse  fuerit;  quod  si  non  fccerimus  aut  non  potue- 
rimus,  si  qua  17.    ergo   pars  adversus  fidcm    huius  conventionis 

sive  venditionis  chartulam  aliquo  modo  vel  in  toto  seu  (*)  in  parte 
venire  temptaverit  18.  componat  pars  infidclis  partì  fidem  ser- 
vanti prò  poena  dimidiam  boni  auri  libram,  et  poena  soluta  he  due 
19.  chartulc  uno  tenore  conscripte  per  manus  Petri  scriniarii  sanct? 
Roman?  Ecclcsi?  secundum  hearum  tenorem  maneant  firme.  20.  In 
mense  et  indictione  suprascripta  .v.  Signum  >^  manus  prcdicti  lo- 
hannis  Bulgarelli  qui  hoc  appar  fieri  rogavit  W. 

Gregorius  de  Bona  de  Georgio,  testis. 

Donumdei  de  Sinebaldo,  testis. 

Girardus  de  Mancino,  testis. 

Johannes  Mutus,  testis. 

Robertuccius  de  Robertello,  testis. 
Ego  Petrus  notarius  regionarius    et   scriniarius    sanct?    Roman?  Ec- 
■clesi?  utriusque  partis  rogatu  compievi  et  absolvi  (i). 


XLIV. 

1127,  aprile  8. 

Concessione  enfiteutica  di  una  casa  innanzi  alla  chiesa 
<ii  S.  Maria  Nova,  fatta  dall'arciprete  Benedetto  ai  figli  di 
•Gregorio  lanista  ed  ai  figli  loro, 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  tertio  pontificatus  domni  Honorli 
secundi  papa?,  indictione  .v.,  men  2.  sis  aprelis  die  .viii.  Ego 
quidem  domnus  Benedictus  Dei  gratia  humilis  archipresbiter  ve- 
nerabili 3.  diaconi?  sancte  Mari?  Nov?  consentientibus  clericis 
predicte  ?cclesie,  damus  atque  concedimus  et  Io  4.  camus  in 
•omnibus  filiis  legitimisCO  et  fili?  quos  vel  quas  nati  et  nascituri  sunt 
de    Grego  5.   rio   lanista    et   in    omnibus    filiis   et  filie  legitimis 

quos  de  ipsis  filiis  tuis  nascituri  6.  sunt  tantum.  Idest  unam  do- 
mum  cum  terra  vacante  iusta  se  cum  curte  ante  se  cum  introitu 
7.  et  exitu  suo  cum  omni  suo  usu  et  utilitate  et  cum  omnibus  suis 

(a)  Dopo  s  di  seu  f'  è  la  lettera  i  abrasa.  (b)   Da  signum,   aggiunto 

Jalla  stesso  mano  con  altro  inchiostro.         (e)  Kel  testo  legiinis 

(i)  Nel  verso  di  mano  contemporanea:  «  He  sunt  carte  de  port.i 
-<tMetrovi»;  di  mano  del  secolo  xni:  «Porta  Mitroni  ». 


iSo  T.  fedele 


pertinentiis.  Positam  Rome  ante  8.  predicta  ecclesia;  inter  lios  af- 
tìnes,  a  primo  latere  tenet  Addasela  comitissa,  a  secundo  et  9.  a 
tertio  latere  tenet  predicta  fcclesia,  a  quarto  via  publica,  iuris  pre- 
dicte  ecclesie.  At  tenendum  io.  habitandum  meliorandiim  et  sicut 
dictuni  est  tantum  fruendam  et  possidendum,  prò  eo  tibi  lo  11.  Ca- 
mus eo  quod  predictam  domum  a  noviter  fecisti,  et  omni  anno  dare 
debetis  in  predicta  12.  ecclesia  denarios  duos  nomine  pensionis 
in  Assumptione  sancte  Marie  (").  Et  nulli  alii  ecclesie  detis  liane  lo- 
cationem  15.  nisi  nostre,  et  nulli  persone  vendatis  nisi  nobis  iusto 
pretio  quo  apretiata    fuerit   minus  14.  duo  solidis  (•>)  si  sic  com- 

parare noluerimus  detis  nobis  comminus  et  vendatis  eam  tali  persone 
ut  nobis  I).  placeat  sine  malitia,  et  omnia  que  dieta  sunt  nobis 
adinpleat  et  persolvat.  16.  Nos  autem  et  nostri  successores  de- 
fendere eam  vobis  ab  omni  homine  si  opus  et  necesse  17.  fuerit. 
Si  qua  vero  pars  contra  fidem  huius  chartule  venire  voluerit,  com- 
ponat  alteri  18.  parti  fidem  servanti  poene  nomine  solidos  pa- 
piensium  denariorum  triginta,  et  soluta  19.  poena  chartula  hec 
firma  permaneat.  Q.uam  scripsit  Falconem  scriniarium  sanct?  Ro- 
man?        20.  Ecclesi?,  in  mense  et  indictione  suprascripta  .v. 

Signum  i~^  manus  dicti  Benedicti  arcliipresbiteri  rogatoris  char- 
tule huius. 

Romanus  de  Oliverio,  testis. 

Sasso  de  Mancino,  testis. 

Theofilactus  filius  Theofilacti,  testis. 

Litulfus  Spada  Marra,  testis. 

Leo  Manduca  ronzoni,  testis. 

Leo  lohannis  Christiani,  testis. 

Theoderellus,  testis. 
►^  Ego  Falconius  scriniarius   sancte    Romane   Ecclesie    compievi  et 
abiolvi  (i). 

XLV. 

1 127,  settembre  17. 

Ottaviano  fiirlio  di  Obicione  ed  Obicione  di  Teubaldo, 
tutori  e  curatori  della  figlia  di  Gregorio  «  lohannis  de  Be- 

(»)  In  assumptione  sancte  Marie  aggiunto    in   margine  dalla  prima  maiia 
con  un  segno  ili  richiamo  al  Icslo.         (b)  sof 

(i)  Nel  verso  di    mano  del  xiii   secolo:   «  Cartula   de    domo 
«  Romani  Bonelle  ». 


Tabulariiim  S.  oMariae  U^orae  i8i 

«  rardo  »,  vendono  a  Gregorio,  giudice  dativo,  una  «carn- 
ee minatam,  solaratam  teguliciam  »,  posta  in  Roma  «  in 
«  Caldararii  ». 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  tertio  pontificatus  domni  Honorii 
secundi  pape,  indictione  .vi.,  mense  septembri,  die  .xvii.  Nos  quidcm 
Octavianus  filius  domni  Ovicionis  et  Ovicione  de  Teu  2.  baldo  (^) 
tutores  et  ciiratores  filie  Gregorii  (b)  loliannis  de  Berardo  denique 
dati  sumus  in  hac  re  a  domno  Guittone  primo  defensore  indice  sacri 
Palatii.  3.  Hac  die  nullo  proibente  nec  contradiccntc  propria  no- 
stra (^)  voluntate  insimul  cum  ipse  puelle  vendimus  et  publice  inve- 
stientes  tradimus  atque  concedimus  tibi  domno  4.  Gregorio  da- 
tivo indice  et  filio  Raduphi  (<i)  et  tuis  heredibus  ac  successoribus  («)  vel 
cui  largire  et  concedere  volueritis  im  perpetuum.  Idest  camminatam 
unam  solaratam  teguliciam  subtus  et  desuper  cum  scala  ante  se 
5.  et  suo  vallatorio  et  cum  suis  petris  et  cum  (O  orto  post  sc(s),  si- 
militer  cum  suis  petris  cum  introytu  et  exitu  suo  cum  omni  suo  usu 
et  utilitate  et  cum  (h)  omnibus  suis  pertinentiis  et  sicut  6.  Gregorius 
lohannis  de  Berardo  detinet.  Positam  Rome  v')  in  Caldararii;  inter  hos 
fines,  a  primo  latere  tenet  ecclesia  sancte  Marie  Nove,  a  secundo  la- 
tere  est  ortus  heredes  de  Repleta,  7.  a  tertio  latere  tenet  ecclesia 
sancte  Adon  Ssannes,  a  quarto  latere  est  via  publica.  Sicut  nobis  per- 
tinet  per  curara  et  tutelam  et  puelle  per  successionem  patris  earum 
8.  sic  tibi  ut  dictum  est  vendimus  et  publice  investientes  tradimus 
atque  concedimus  (k)  prò  octo  libris  denariorum  papiensium  quas  tu 
nobis  dedistis  (')  prò  toto  pretio  nobisque  9.  placentem,  et  nos 
recepimus  ad  maritatione  predictarum  puelle  in  omnem  veram  dici- 
sionem.  Ut  ab  hac  bora  ("0  licentiam  et  potestatem  habeatis  in  eam 
intran  io.  di  tenendi  fruendi  (")  possidendi  vendendi  donandi  com- 
mutandi  vel  quicquid  exinde  facere  volueritis  in  tuam  tuisque  here- 
dibus ac  successoribus  sit  potestatem  im  perpetuum.  Et  numquam  a 
nobis  nec  ab  heredibus  ac  successoribus         11.  nostris  nec  etiam  ab 


(a)  Xel  testo   teubado         (b)  Nel  testo  greorii  fc)   nostra  neW  interli- 

neo, (d)  Le  parole  et  filio  raduphi  furono  aggiunte  dalla  prima  mano  in 

fondo  al  documento  prima  dell' escatocollo  con  un  segno  di  richiamo  nel  testo. 
(e)  Nel  testo,  qui  ed  in  seguito,  le  parole  ac  successoribus  sono  rese  irrego- 
larmente con  accb  (f)  cum  neW  interlineo.  (g)  Nel  testo  pos  se  (h)  cum 
nelV  interlineo.  (i)  rome  neW  interlineo.  (k)  .Ve/ /c5<o  cocedimus  {\)  Nel 
testo  distis  (m)  bora  nelT  interlineo,  (n)  tenendi  fruendi  aggiunto  dalla 
prima  mano  dopo  il  testo  del  documento  prima  dell'  escatocollo,  con  un  segno 
di  richiamo. 


i82  T.  Jcdelc 


al-qua  persona  a  nobis  sunimissa  habebitis  exinde  aliquani  requisi- 
tionem  aut  litis  calupniam.  Q.uam  si  quod  absit  aliquo  modo  12.  fo- 
cerimus  et  si  opus  et  necesse  fuerit  et  cani  a  vobis  ab  omni  hominc 
non  defenderimus  vel  noluerimus  aut  non  potuerimus  vel  plus  prc- 
tiuni  ei  exigerimus,  componannis  vobis  prò  poena  predictum  1 3.  pre- 
tium  duplum,  et  soluta  pena  niancat  firnius  contractus.  Quani  rogavi- 
nius  scribere  Falconem  scriniarium  sancte  Romane  Ecclesie  in  mense 
et  indictione  suprascripta  .vi. 

Signum  >J<  manus  dicti  Octaviani  Ovicionis  et  puelle  rogato- 
rum  (»)  cartule  huius.  Et  predicte  puelle  per  sacramentum  iureiurando 
confirmaverunt. 

Petrus  Fraiapane,  testis. 

Cencius  Patius,  testis. 

Petrus  Romani  de  Micino,  testis. 

Gerardus  lohannis  Tiniosi,  testis. 

Gerardus  fiiius  Ottonis  de  Gerardo,  testis. 
Ego  Gregorius  iudicis  sacri  romani  imperii    scriniarius    sicut   inveni 
in  cartola    scripta   per   Falconem   scriniarium   bone    memorie    cuius 
anima  benedicatur,  ita  scripsi  et  fideliter  exemplavy  (b)  (r). 


XLvr. 

1 157,  gennaio  31. 

Testamento  di  Adelasia,  figlia  del  «quondam»  Cencio 
Frangipane,  vedova  di  Ranieri,  conte  di  Cornazzano. 

r.  [►x^  In]  nomine  Domini.  Anno  septimo  pontificatus  domni  In- 
nocentiiC'^)  secundi  pape,  indictione  .xv.,mensis  ianuarii  die  .xxxi.  l:go 
quidem  Adilascia  filia  quondam  Cinthii  Fra  2.  [iapanis  rejlicta 
vidua  a  Rainerio  comite  de  Cornazzano,  intestata  decedere  nolens, 
nuncupativum  et  sine  scriptis  testamentum  facio.  Ne  3.  [ta]men 
temporum    longinquitate    aliqua    oblivione   tradatur,   publicis   litteris 

commendare  curavi.  In  primis  filios    meos 4 

...(<*)  heredes  instituo,  et  relinquo  eis  medietatem  mee  dotis,  vide- 

(a)  rog         (b)  Kel  lesto  exeplavy  (e)  .\'«/  teslo  IN'NOC.  (d)  La- 

cuna nel  testo  alla  fine  del  rigo  }   ed  al  princìpio  del  rigo  4. 

(i)  Nel  verso  di  mano  del  secolo  xiii  :  «  [In]  caldari  de  ca- 
«  minata  in  Colixeo  ». 


Tabiilaì'iuìii  S.  oMariae  V^oi'ae  183 


lictt  quinquaginta  libras  denariorum  papiensium;  aliam  naiiique  me- 
dietatem  donatione  Inter  5.  vivos  iam  donavi.  Et  obtuli  simul  et 
personam  meam  et  domum  meam  cum  omnibus  suis  pertinentiis  et  tria 
vinealia  in  territorio  Albancnsi  in  colle  de  Seraphia  6.  in  venerabi- 
leni  ecclesiam  sancte  Marie  que  vocatur  Nova,  quam  donationem  nunc 
meo  ultimo  testamento  confirmo,  sicut  in  ipsius  donationis  chartula  con 
7.  [tinejtur.  Volo  autem  et  precipio  ut  si  filii  mei  sine  legitimis  filiis 
hobierint  vel  si  eius  filii  sine  legitimis  liberis  obierint,  et  sic  semper 
ita  quod  nulla  8.  [legijtima  proles  ex  me  descendentibus  supcrsit, 
tunc  prefatc  quinquaginta  libre  vel  quarta  pars  castelli  Cornazzani 
que  ex  eis  empta  fuit  9.  cum  omnibus  suis  pertinentiis  integre 
deveniant  in  prefatam  ecclesiam  sancte  Marie  que  dicitur  Nova.  Q.uod 
scribendum  rogavi  lohannem  scriniarium  in  mense  et  indictione 
IO.  suprascripta  .xv.  Signum  >J<  manus  suprascripte  Adelasciae  filie 
quondam  Cinthii  Fraiapanis  huius  testamenti  rogatricis. 

Girardus  de  Mancino,  testis. 

Gregorius  de  Georgio,  testis. 

Gregorius  de  Benedicto  Cinthii  iudicis,  testis. 

Johannes  de  Rainerio,  frater  eius,  testis. 

Sasso  macellarius,  testis. 

[RJainaldus  de  Falena,  testis. 

Giso  sutor,  testis. 
>J<  Ego  Andreas  scriniarius  sanctae  Romane  Ecclesie  et  sacri  Late- 
ranensis  Falatii,  sicut  inveni  in  dictis  domni  lohannis  scriniarii  pa- 
tris  mei,  ita  scripsi  compievi  et  absolvi  (i). 


XLVII. 

II 39,  gennaio  22. 

Pietro,  figlio  del  «  quondam  »  Pietro  Mancino,  vende 
a  Giovanni,  acolito  del  sacro  palazzo  Lateranense,  ed  a 
Benedetta  sua  moglie  un  casalino  posto  in  Roma  nella  re- 
gione di  S.  Maria  Nova. 

I.  >x<  In  nomine  Domini.  Anno  dominicae  incarnationis  mille- 
simo centesimo  .xxxviiii.,  anno  nono  pontitìcatus  domni  Innocentii 
secundi  pape,  indictione         2.  secunda,  mensis  ianuarii  die  .xxii.  Ego 

(i)  Nel  verso  di  mano  del  secolo  xii:  <f  Testamentum  comi- 
«  tisse  de  Cornazzano  ».  Una  mano  posteriore  aggiunse  :  «  de  Galera  ». 


i84  'P.  Jedele 


quidem  Petrus  filius  quondam  Pctri  Mancini,  consentiente  et  omni 
iuri  quod  sibi  pertinuit  renunti  (,»)  5.  ante  Tlieodora  coniuge  mea, 
hac  dio  propria  mea  vohmtate  concedo  trado  et  vendo  tibi  lolianni 
acolito  sacri  4.  Laterancnsis  l'ahuii  et  Benedictae  uxori  tuae  tuis- 
que  heredibus  ac  successoribus  et  cui  diebus  vitae  meae  et  omnium 
fratrum  5.  ac  sororum  meorum  nec  non  et  vita  omnium  filiorum 
meorum  et  filiorum  (b)  fratrum  ac  sororum  meorum  largir!  et  conce- 
dere volueris.  6.  Idest  unum  modicum  casalinum  in  iiitegrum  cum 
pariete  communi  i^)  inter  te  et  Gerardum  fratrem  meum,  atque  aliis 
parietibus  suis  propriis  ante  7.  et  retro  sive  ex  latere  cum  hor- 
ticello  post  se,  sicut  ipsum  casalinum  retro  extenditur  cum  corticella 
ante  se  usque  8.  in  viam  publicam  et  omnibus  suis  pertinentiis. 
Positum  Romae  in  regione  Sanctae  Mariae  Xovae  in  ascensu  Palatii: 
sub  his  affinibus,  9.  a  duobus  lateribus  tenet  ecclesia  sancti  Lau- 
rentii  de  Mirandi  quae  est  episcopium  Sabinense,  a  tertio  latere  tenet 
Gerardus  frater  io.  nieus.  a  quarto  latere  est  via  publica  que 
ascendit  in  Palatium.  Qualiter  nobis  competit  iure  locationis  a  pre- 
dieta  ecclesia  11.  sanctae  Mariae  Novae,  taliter  predictum  casa- 
linum ut  dictum  est  tibi  vendo  et  trado  prò  quatuor  solidis  et  dimi- 
dio  (<^)  denariorum  papiensium  quos  in  12.  presentia  subscriptorum 
testium  michi  dedisti  prò  toto  pretio  valde  placabili.  Et  ab  hodierna 
itaque  die  licentiam  et  15.  potestatem  habeas  eum  intrandi  utendi 
fruendi  possidendi  vendendi  donandi  commutandi  et  quicquid  in  vita 
mea  et  fratrum  ac  so  14.  rorum  meorum  et  omnium  filiorum 
nostrorum  placuerit  faciendi,  et  omni  anno  in  Assumptione  sanctae 
.Mariae  unum  rotomagense  15.  nomine  pensionis  in  prefatam  ec- 
clesiam  quae  dicitur  Nova  persolvatis.  Quod  si  contra  hec  que  dieta 
sunt  quolibet  modo  16.  venire  («)  temptavero,  et  si  opus  et  necesse 
fuerit  si  ea  defendere  noluero  aut  non  poterò,  tam  ego  quam  mei 
heredes  componamus  17.  tibi  tuisque  heredibus  prò  poena  supra- 
scriptum  pretium  duplum,  et  soluta  poena  hec  venditionis  chartula 
firma  permaneat.  18.  Quam  scribere  rogavi  lohannem  scrinin- 
rium  sanctae  Romanae  Ecclesiae  in  mense  et  indictione  supra- 
scripta  secunda. 

Signum  ^  manus  suprascripti  Petri  de  Mancino  consentiente 
Theodora  uxore  sua  huius  chartule  rogatoris. 

Caruslco  de  Barone,  testis. 

Sasso  de  Mancino,  testis. 

Sasso  de  Sinibaldo  macellario,  testis. 

(a)  Kel  testo  renti         (b)  ùVìoram  nell' interlineo.         (e)  com         (d)  JirTi 
{e)  venire  iw  rasura. 


Tabnlarium  S.  oMariae  \N^pac  185 


Romanus  de  Bonella,  testis. 

Sebastianus  de  lolianne  de  Basilio,  testis. 

Nicolaus  de  Gregorio  Casata,  testis. 

Romanus  de  lohanne  de  Labinia,  testis. 
>5<  Ego  lohannes  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  compievi  et 
absolvi  (1). 


XLVIII. 

1 139,  novembre   12(2). 

«  Instrumento  di  enfiteosi  a  seconda  generazione  d'una  pezza  di 
«  vigna  posta  fuori  di  porta  S.  Lorenzo  a  Baccoli,  fatto  da  Niccolò 
«  arciprete  di  S.  Maria  Nuova  col  consenso  di  Giovanni  prete  e 
«  delli  altri  chierici  a  favore  di  Enrico  di  Giovanni  Mancini  ad  4. 
«  [quartam]  reddendum  del  mosto.    Rogato  da  lohannes   scrin.  » 


XLIX. 

1 1 39,  decembre  22. 

«Instrumento  di  vendita  d'una  casa  solarata  vicina  a  S.  Maria 
«Nuova  fatto  da  Gervasio  figlio  di  Giovanni  Pilgi  a  favore  di  Od- 
«  done  e  Cencio  Frangipani  illustri  consoli  de  Romani,  figli  a  Leone 
«Frangipane  per  100  soldi  den.   pap.  Rogato  da  lohannes  scrin.» 

(i)  Nel  verso:   «  Palladii  ». 

(2)  Tolgo  il  transunto  di  questa  pergamena  e  delle  altre  due  se- 
guenti dall'indice  del  Rosini,  p.  io,  nn.  4  e  5  ;  p.  1 1,  n.  i.  Alla 
cortesia  del  cav.  Alessandro  Corvisieri  debbo  la  notizia  che  queste 
pergamene,  come  le  altre  che  furono  riportate  in  parte  od  in  tran- 
sunto sotto  i  numeri  ix,  X,  xi,  xii  di  questo  Tabularium,  in- 
sieme con  l'originale  della  bolla  di  Alessandro  III  dell'anno  1161 
(cf.  voi.  XXIII  di  questo  Archìvio,  p.  175),  furono  sottratte  al  mo- 
nastero di  S.  Maria  Nova  nel  1862  da  tale  di  cui  è  bene  tacere  il 
nome.  Insieme  con  le  pergamene  fu  pure  sottratto  un  codice  mem- 
branaceo del  secolo  xiv  contenente  la  Bibbia  Sacra  in  testo  ebraico. 
II  codice  fu  però  ricuperato.  Cf.  R.  Archivio  di  Stato  di  Roma,  Tri- 
bunale criminale  di  Roma,  138  A,  Proc.  n.  8655. 


i86  T.   fedele 


L. 

1140,  gennaio  4. 

«  Instrumento  di  vendita  di  due  pciticbe  di  terra  senientarioia 
«  posta  fuori  di  porta  S.  Giovanni  distante  otto  miglia  in  circa,  vicine 
«  alla  torre  di  Pietro  de  Astaldo  a  Colosseo  ed  alla  strada  publica 
«quf  pergit  iuxta  rivum  qui  decurrit  ad  lacum  Domni 
«  Pape  fatto  da  Porpora  vedova  di  Pietro  de  Alberico  di  Leone 
«  Cece  a  favore  di  Niccolò  arciprete  di  S.  Maria  Nuova  e  per  lui  al  car- 
«  dinaie  diacono  della  stessa  chiesa,  Almerico  cancelliere  di  S.  Chiesa, 
«per  58  libre  di  denari  pavesi.  Rogato  da  Johannes  scriniario  ». 


LI. 

1140,  settembre  19. 

Col  consenso  di  Aimerico,  diacono  cardinale  di  S.  Ma- 
ria Nova  e  cancelliere  della  Sede  Apostolica,  1'  arciprete 
Niccolò  loca  ad  un  tal  Runcino,  per  diciannove  anni  da 
rinnovarsi  poi  sempre,  due  casalini  con  una  cripta  ed  un 
orto  posti  presso  S.  Maria. 

I.  >p  In  nomine  Domini.  Anno  dominicae  incarnationis  millesimo 
centesimo  .XL  ,  anno  undecimo  pontificatus  domni  Innocentii  secundi 
papae,  indictione  quarta,  2.  mensis  scptembris  die  .xvini.  E:c  li- 

centia  et  conssensu  domni  Aimerici  venerabilis  diaconi  cardinalis  ve- 
nerabilis  ecclesie  sanctae  Dei  genitricìs  semperque  virginis  5.  Ma- 
riaedominac  nostraequae  d"citurNova,et  .\postolicae  Sedis  sagacissimi 
cancellarli,  ego  quidem  Nicolaus  Dei  gratia  eiusdem  ecclesiae  4.  ar- 
chipresbiter,  consenticntibus  lohanne  et  Nicolao  atquc  alio  lohanne 
presbiteris  ceterisque  clericis  eiusdem  venerabilis  ecclesiae,hac  die  pro- 
pria nostra  voluntate  5.  nomine  libelli  locamus  et  concedimus  aique 
tradimus,  tibi  cuidam  qui  vocaris  Runcino  tuisque  heredibus  ac  suc- 
cessoribus  in  perpetuum  in  decem  6.  et  novem  annos  complendos 
et  renovandos  etomni  tempore  in  alios  tantos  decem  et  novem  annos 
complendos  et  semper  in  perpetuum  renovandos.  7.  Idest  unum 
casalinum  in  integrum  cum  cripta  infra  se  in  quo  domum  solaratam 
edificatam  habes,  cum  alio  casalino  iuxta  se  et  horto         8.  post  se 


Tabiilariiiìii  S.  oMan'ae  'U^oi'ae  187 


et  omnibus  suis  pertinentiis  Posituni  prope  nostrani  ecclesiam  sub 
his  affinibus:  a  primo  latere  tenet  Sasso  macellarius  et  filli  Grcgoril 
fratris  eius,  9  a  secundo  tenet  Nlcolaus  filius  Nicolai  de  Silvio 
et  Morontus,  omnes  iuris  nostre  ecclesiae,  a  tertio  tenet  dictus  Sasso 
macellarius  et  est  alia  domus  nostra  io.  quam  tenuit  Bernardus 
iuris  nostrac  ecclesie.  Ad  tenendum,  utendum,  fruendum,  melioran- 
duni  et  sicut  dictum  est  nomine  libelli  in  perpetuum  possidenduni.  A 
quarto  i  i.  vero  latere  est  via  publica.  Pro  eo  quod  dedisti  nobis 
causa  ipsius  locationis  vlginti  solidos  denariorum  papiensium,  et  omni 
anno  in  Assumptione  sancte  Mariae  12.  duos  denarios  papiensium 
prò  pensione  nobis  et  nostrae  ecclesie  dare  debetis  et  promittitis  (^), 
scniper  tempore  renovationis  quod  est  .xviin.  annorum,  duodecim 
denarios  papiensium  13.  prò  innovatione  libelli  nostre  ecclesie 
detis.  Et  non  liceat  vobis  predicta  omnia  ulli  alii  pio  loco  aliquo 
modo  dare  vel  concedere  14.  nec  etiam  alicui  persone  vendere 

prius  quam  nobis  nostrisve  successoribus  insto  videlicet  pretio  minus 
duodecim  denariis  papiensium.  Quod  si  emere  noluerimus,  dedis 
nobis  1 5.  duodecim  denarios  papiensium,  et  vendendi  licentiam  ha- 
beatis  tali  tamen  persone  que  nobis  placeat  sine  malitia.  Et  si  inte- 
status  et  16.  sine  legitimis  liberis    decesseris  et  ipsam    domum 

quolibet  titulo  alienatam  alicui  non  habueris,  tunc  cum  omnibus  suis 
pertinentiis  ad  nostram  ry.  deveniad  ecclesiam.  lUud  quoque  di- 
cimus  de  eo  cui  primum  eam  alienaveris,  ut  si  intestatus  et  sine  le- 
gitimis  liberis  decedat,  ante  18.  quam  eam  quolibet  titulo  alienct, 
quod  ad  nostram  similiter  deveniat  ecclesiam.  Ulterius  namque  hec 
condicio  in  nullum  alium  postmodum  19.  extendatur  vel  teneat. 

Nos  autem  et  nostros  successores  defensuros  hanc  locationem  vobs 
promittimus  ab  omni  homine   si    necesse  fuerit  20.  Si  qua  vero 

pars  centra  fidem  huius  locationis  venire  temptaverit,  vel  si  ego  Run- 
cinus  conductor  aut  mei  successores  21.  omnia  quae  dieta  sunt 
vobis  et  vestre  ecclesie  non  persolverimus  et  observaverimus,  tunc 
det    pars  infidelis  parti  fidem  servanti  22.  prò  poena  dimidiam 

auri  libram,  et  soluta  poena  hee  due  chartule  uno  tenore  conscripte 
per  manum  lohannis  scriniarii  in  mense  et  indictione  23.  supra- 
scripta  quarta  secundum  earum  tenorem  firme  permaneant.  Signum  y^ 
manus  suprascripti  Runcini  huius  apparis  rogatoris. 

Domnus  Oddo  Fraiapanis,  testis. 

Carusleo  de  Barone,  testis. 

Gerardus  de  Mancino,  testis. 

Oliverius  de  Romano  Oliverii,  testis. 

(a)  Kcl  testo  promittis 


i88  T.  Jedcle 


Guido  frater  eius,  testis. 

Petrus  de  Cencio  Cymini,  testis. 
►•Jh  Ego  lohannes  scriniarius  sanctae  Romanae  Hcclesie  compievi  et 
absolvi  (i). 

LIL 

1141  ?   1142?  maggio   I   (2). 

Porpora,  vedova  di  Bovone  de  Sansetta,  loca  in  per- 
petuo a  Divizo  ed  ai  suoi  eredi  una  pezza  di  vigna  fuori 
della  porta  Latina  col  patto  che  le  si  dia,  dopo  i  primi  due 
anni,  la  quarta  del  vino. 

I.  ►x^  In  nomine  Domini.  Anno  .xii.  pontificatus  domni  Inno- 
cente II  pape,  indictione  .v.,  2.  mense  madio,  die  .1.  Ego  quidem 
domna  Purpura  relieta  a  Bovone  de  San  3.  setta,  conseasu  filiorum 
meorum,  hac  die  propria  spontaneaque  mea  voluntate  loco  4.  atque 
concedo  tibi  Divizo  tuisque  etiam  heredibus  et  successoribus  in  5.  per- 
petuum.  Idest  unam  petiam  vinee  in  desertis  posita  cum  introitu  et 
exitii  6.  suo  cum  vasca  et  tinis  et  cum  omnibus  suis  pertiiientiis. 
Positam  extra  portam  7.  Latinam  Inter  hos  affines:  a  primo  latere 
tenet  lohanne  («)  Granello,  a  secundo  latere  8.  Octavianus  Cinthii 
Petriricii,  a  tertio  Cinthius  dello  Arco,  a  .un.  9.  vero  latere  est 
via  publica.  luris  nostri  domini!.  Ad  tenendam  colendam  io  fruen- 
dam  restaurandam  bene  laborandam  et  ut  d'ctum  est  in  perpetuum 
pos  II.    sidendam,   prò    eo    quod  in   is   primis    a    duobus  annis 

nichil  nobis  reddatis,  de  12.  inde  in  antea   omni  anno  reddatis 

nobis  quartam  vini  mundi  et   aquati  15.  et  unum  canistrum  de 

uvis  quod  .V.  volvat  palmos  et  unum  altum         14.  atque  .1.  denarium 
vascaticum.  Si  aurum  argentum  plumbum  aut  bonum  15.  lapi- 

dem  quod  plus  valeat  .xii.  denariis,  ibi  invencritis,  medietatem  W  nobis 

(a)  Nel  testo  olie  (b)  m 

(i)  Nel  verso:  «  Ante  nostram  ecclesiam  ».  Dall'  indice  del  Ro- 
siNl  (p.  II,  n.  3)  appare  che  esisteva  ai  suoi  tempi  nell'archivio  una 
copia  del  presente  documento. 

(2)  Noto  con  un  segno  di  dubbio  queste  due  date  che  corri- 
spondono alle  note  cronologiche  del  documento  discordanti  fra  di 
loro. 


Tabulariiiììi  S.  £Man'ae  V^Quae  189 


detis.  16.  Si  vero  oste  publico  aut  celi  plaga  in  desertum  icrit,  spa- 
tio trium  17.  annorum  eam  relevetis,  sin  autem  ad  nos  rcvertatur. 
Preterea  non  liceat  18.  vobis  eam  alicui  ecclesie  aliquo  modo  dare, 
nec  alii  persone  prius  ven  19.  dere  quam  nobis  minus  .xxx.  dena- 
riis  papiensium;  si  sic  emere  noluerimus  detis  nobis  20.  ibsum 
comminns  et  vendatis  tali  tamen  persone  que  nobis  placeat  sine 
ma  21.  litia,  et  omnia  nobis  alimpleat  et  persolvat.  Si  qua  vero 
pars  con  22.  tra  fidem  huius  locationis  venire  temptaverit  W, 
vel  si  ego  (b)  23.  conductor  omnia  que  dieta  sunt  non  observa- 
vero,  componamus  24.  vobis  prò  poena  .11.  auri  uncias,  et  soluta 
poena  ec  tamen  chartula  25.  stabilis  et  firma  permaneat.  Signum  fj-t 
manus  supradicti  Divizi  huius  abparis  rogatoris 

Johannes  Rubeus,  testis. 

Johannes  lohannis  Massarelli,  tcsiis. 

Guilielmus,  testis. 

Benedictus  de  M'Ivia,  testis. 

Filippus  (0  testis. 

Ego  Paulus  saacte  Romane  Ecclesie  scriniarius  compievi  et 
absolvi  (i). 

LUI. 

1 141,  maggio  27. 

Locazione  perpetua  di  due  pezze  di  pastino  fuori  della 
porta  Latina  fatta  dai  fratelli  Alessandro  e  Corvo  a  Od- 
done di  Niccolò  di  Giovanni  «  de  Pipa  »  ed  a  Pietro  di 
Cencio. 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo 
centesimo  quadrigesimo  primo,  pontificatus  vero  dompni  Innocenti!  se- 
cundi  pape  anno  .xii.,  indictione  2.  quarta,  mense  madii,  die  .xxvii. 
Nos  quidem  Alexander  et  Corvus  fratres  W  filli  quondam  Gregorii 
Romani  de  Corvo,  hac  die  propria  et  spontanea  nostra  3.  voluntate 
locamus  et  secundum  subscribtum  tenorem  concedimus  vobis  Oddoni 

(a)  Nel  testo  tepmtaverit  (b)  Dopo  la  parola  ego  è  nel  testo  la  prima 
sillaba  della  parola  locator  cancellata.  (e)  Dopo  pp  della  parola  Filippus 
vi  e  un  e  cancellato.         (J)  Nel  testo  fres 

(i)  Nel  verso,  di  mano  contemporanea:  «Cartula  de  vinea  extra 
«  portam  Latinam  ». 


190  'P.  Jcdclc 


Nicolai  lohannis  >.ic  Pipa  adque  Petro  de  Cencio  vestrisquc  herc- 
dibus  vel  successoribus  in   perpctuum.  Idest  4.  duas   pctias  pa- 

stini noviter  ex  isto  anno  pastinatas  cuni  duabus  vascis  ciini  introi- 
tibus  et  exitibus  suis  W  et  cuni  omnibus  suis  usibus  et  utlitatibiis  et 
cum  omnibus  suis  pertinentiis.  5.  Positas  foris  portam  Latinam 

inter  hos  affines:  ab  uno  iatere  tenent  heredes  lonathc  de  Tito,  ab 
alio  tenet  Petrus  de  Mancino,  a  terlio  nos  tenemus,  6.  et  a  quarto 
est  via  publica.  luris  nostri  dominii.  Ad  tenendum  colendum  pro- 
paginandum  cultandum  bene  laborandum  et  ad  bonam  vineam  per- 
ducendum.  Pro  qua  7.  denique  locatione  none  nobis  dedistis  so- 
lidos  sex  papiensium  denariorum,  et  de  bine  ad  expletos  sex  annos 
nichil  nobis  reddatis,  deinde  vero  in  antea  omni  anno  in  tempore 
8.  vindemic  quartam  partem  de  toto  vino  niundo  et  aquato  quod 
exinde  liabueritis  nobis  nostrisque  heredibus  vel  successoribus  in  per- 
petuum    reddatis,  et   unum  canistrum    uvis  9.  per  petiam  vol- 

vens  in  circuitu  palmos  quinque,  allum  vero  uno  summisso.  Iteni  si 
aurum  argentum  ferrum  es  plumbum  vel  aliquod  metallum  io.  seu 
petram  ultra  duodecim  denarios  valentem  (b)  ibi  inveneriiis,  medieta- 
tem  nobis  deti>,  altera  vestra  sit.  Preterea  si  vinea  ipsa  per  hostem 
rcgis  II.  incisa  vel  celesti  plaga  deleta  fuerit,  indutiam  liabeatis 
trium  annorum  ad  eam  relevandam  ;  quod  si  eam  relevare  nolue- 
riiis  ad  nos  12.  revert.Uur.  Et  si  neglegentiam  Iaborandi  (<=)  in  uno 
anno  in  ipsa  vinea  miserit's,  et  in  sequenti  anno  eam  non  restaura- 
veritis,  15.  ad  nos  revertatur.  Itemque  si  quandoque  eam  vendere 
voluerìtis,  nobis  vendatis  insto  pretio  comminus  denariorum  papien- 
sium viginti  quattuor  per  peliam;  14.  quod  si  nos  emere  nolue- 
rimus,  vendatis  cum  nostro  consensu  tali  persone  que  nobis  placeat 
sine  malitia,  et  que  omnia  que  vos  15.  debetis,  nobis  adimpleat 
et  persolvat,  et  tunc  ipsum  comminus  nobis  detis,  excepta  ecclesia 
cui  nullo    modo  eam    detis  vel  relinquatis.  16.  Nos   igitur  cum 

heredibus  nostris  defendamus  eam  vobis  ab  omni  homine  si  opus 
et  necesse  fuerit,  et  vos  omnia  que  dieta  sunt,  nobis  adimpleatis 
et  17.  persolvatis.  Si  qua  vero  pars  contra  tenorem  huius  loca- 
tionis  venire  temptaverit,  componat  alteri  parti  prò  poena  tres  auri 
uncias,  18.    et    soluta  poena    hec    cartula    maneat  firma.  Q.uam 

scribere  rogavimus  lohannem  scriniarium  sancte  Romane  Ecclesie, 
in  mense  19.  et  indictione  suprascripta  .1111.  Signum    tj(  manus 

supradicti  Alexandri  et  Corvi  huius  cartule  rogatorum. 
ȓ<  Petrus  cambiator,  testis. 

(a)  suis  neW  interlineo.  (b)  \>\k         (c)  Et  si  neglegentiam  labo  su 

rasura. 


Tabu  lai'!  lini  S.  oMariae  V^oi^ae  191 


tj<  Deusteguardi  aurifex,  testis. 

tj<  Stcphanus  de  Ceco,  testis. 

>J<  Rainerius  Romani  de  Meta,  testis. 

>^  Johannes  Rusticelli,  testis. 

*~i  Angelus  de  Bonitatulo,  testis. 
>J<  Ego    Enricus  Oddonis  sancte   Romane  Ecclesie    scriniarius  sicut 
inveni  in  cartula  scribta  per  manus  lohanni  scrin'arii  Abundis  W  ita 
scribsi  et  exemplavi  (b)  (i). 

LIV. 

1142,  marzo   14. 

Locazione  di  una  vigna  posta  nel  territorio  d'  Albano 
«  in  capite  Laurenzani  loco  qui  vocatur  Moniano  »,  fatta 
dal  priore  di  S.  Maria  Nova  ai  fratelli  Niccolò,  Giovanni 
e  Donadei  ed  ai  loro  figli  e  nepoti,  obbligandosi  essi  a 
dare  ogni  anno  la  quarta  parte  del  vino  e  delle  frutta. 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo 
centesimo  .XLii.,  anno  xin.  pontificatus  dompni  Innocenti!  secondi 
pape,  indictione  2.  quinta,  mensis  martii  die  .xiiii.  Ego  quidem 
Rainerius  prior  venerabilis  ecclesiae  beate  Marie  Novae,  consentienti- 
bus  3.  lohanne  presbitero  et  Paulo  subdiacono  ceterisque  fratribus, 
hac  die  propria  nostra  voluntate  locamus  et  concedimus  vobis  Ni- 
colao  4.  et  lohanni  atque  Donadei  (0  filiis  Retri  vaccarii,  et  om- 
nibus filiis  ac  nepotibus  vestris  legitimis  tantum.  Idest  unam  petiam 
vinee  5.  et  plus  cum  vasca  et  omnibus  suis  pertinentiis.  Positam 
territorio  Albanensein  capite  Laurenzani  loco  qui  vocatur  6.  Mo- 
niano, sub  his  affinibus:  a  primo  latere  tenet  ecclesia  sancti  Bene- 
dicti  de  Caccabariis,  a  secundo  latere  tenet  7.  Seniorictus  de  Li- 
tolfo,  a  tertio  latere  tenet  Rainina,  a  quarto  est  via  publica  carraria. 
8.  luris  nostrae  ecclesiae.  Ad  tenendam  colendam  meliorandam  et 
sicut  dictum  est  tantum  possidendam,  et  omni  anno  quartam  9.  par- 
tem  vini  mundi  et  aquati  et  medietatem  de  fructibus  arborum  nunc 

(a)  undis  su  rasura.  (b)  extmpla  su  rasura.  Segue  poi  una  rasura  di 
circa  quindici  lettere.         (e)  Dona  su  rasura. 

(i)  Nel  verso:  «De  vineis  extra  portam  Lat'nam  ».  Mano 
del  sec.  xiii. 


192  T.   fedele 


ibi  siantium  et  de  illis  quas  io.  ibi  ullevaveritis  quartam  parteni 
nobis  reddatis,  etsuperiste  nostro  et  bestie  eius  detis  manduca  1 1.  re 
et  bibere  sicut  mos  est  agricolorum  Albnnensium  et  aliis  superistis 
Romanoruni.  Et  si  vinca  12.  ipsa  per  hostcni  vel  irritiim  aut  celi 
plagam  retroierit  et  per  trium  annorum  spatium  vestra  ncglegcntia 
15.  non  fuerit  relevata  fructibus  piena,  ad  nostrani  revertatur  eccle- 
siam.  Et  non  liceat  vobis  ulli  14.  alii  pio  loco  aliquo  modo  dare 
vel  concedere  nec  etiam  alicui  personae  vendere  prius  quani  nobis 
I).  insto  videlicet  pretio  minus  sicut  in  locationae  facta  de  vinea 
lohannis  Casei  contìnetur  ;  16.  quod  si  emere  noluerimus,  detIs 
nobis  ipsum  comminus,  et  vendatis  tali  personae  que  nobis  pla- 
ceat  17.  sine  malitia.  Mortuis  vobis  et  omnibus  vestris  legitimis 
tìliis  ac  nepotibus,  pretata  vinea  prout  fu  18.  erit  meliorata  sine 
mora  ad  nostram(»)  revertatur  ecclesiam.  Nos  autem  et  nostros  suc- 
cessores  defensuros  eam  vobis  promittimus  ab  omni  homine  si  ne- 
cesseC»)  fuerit.  Si  19.  qua  vero  pars  centra  (idem  huius  locationis 
venire  temptaverit  aut  si  nos  conductores  20.  aut  nostri  heredes 
vel  successores  omnia  que  dieta  sunt  et  vestrae  ecclesiae  non  per- 
solverimus  et  21.  observaverimus,   tunc  det  pars    infidclis  parti 

(idem  servanti  prò  pena  viginti  solidos  denariorum  papiensium,  22.  et 
soluta  pena  hee  duae  chartulae  uno  tenore  rogate  a  lohanne  scri- 
nìarioin  mense  et  indictione  suprascripta  quin  25.  ta,  secundum  (<:) 
earum  tenorem  firme  permaneant.  Signum  y~i  manuum  suprascripto- 
rum  scilicet  Nicolao  et  lohanne  atque  Gregorio  liuius  apparis  roga- 
torum. 

Sasso  de  Mancino,  testis. 

Marmannus,  testis. 

Benedictus  qui  et  Moronto,  testis. 

Ego  Petrus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  sicut  inveni  in 
dictis  lohannis  scriniarii  ex  precepto  suo  ita  compievi  et  scripsi  (i). 


(a)  nra  nel  testo.         (b)  defensuros  -  iiecesse  nelV  interlineo.  (e)  Nel 

testo  secunda 


(1)  Nel  verso,  di  mano  del  tempo:  «  de  Albano  .1111.  denari!  »  ; 
di  mano  posteriore:  «de  Albano  vinea  ». 


Tabiilariuìii  S.  zMaraie  ZS^opae  193 


LV. 

1 142,  ciecembre  26  (i). 

Amato  Castelluzzo,  col  consenso  dell'arciprete  di  S.  Gio- 
vanni a  porta  Latina,  vende  a  Giovanni  di  Lione  «  de  Cer- 
ee raccla  )>  i  suoi  diritti  su  di  una  pezza  di  vigna  posta  «  in 
«  monte  Albini  ». 

I.  In  nomine  Domini.  Anno  dominice  incarnationis  millesimo 
centesimo  .xlui.,  anno  .xiii.  pontifìcatus  dompni  Innocentii  secondi 
pape,  in  2.  dictione  sexta,  mensis  decembris  die  .xxvi.  Ego  qui- 
dem  Amatus  Castelluzzo  consentiente  domno  Cencio  archipresbi- 
tero  5.  ecclesiae  sancti  lohannis  ante  portani  Latinam,  hac  die 
propria  mea  voluntate  do  cedo  trado  et  vendo  tibi  lohanni  4.  Leo- 
nis  de  Cerraccla  tuisque  heredibus  ac  successoribus  in  perpetuum. 
Idest  squatratani  petiam  vince  cum  intro  5.  itu  et  exitu  suo  et 

omnibus  suis  pertinentiis,  positam  in  monte  Albini  sub  his  affinibus: 
a  primo  latere  tenent  6.  heredes  lohannis  Peponis,  a  secundo  la- 
tere  est  rivus,  a  tertio  latere  tenet  Petrus  Varzone,  iuris  nostrae  ec- 
clesiae, 7.  a  quarto  latere  est  via  publica.  Pro  eo  quod  dedisti  nobis 
novem  solidos  denariorum  papiensium,  et  omni  anno  quar  8.  tam 
partem  vini  mundi  et  aquati  predicte  ecclesiae  reddatis,  et  superiste 
suo  detis  9.  manducare  et  bibere  secundum  quod  prò  vobis  ibi 

habueritis,  et   omnia  secundum  ipsius    lo  io.  cationis    tenorem 

adinpleatis.  Quod  si  contra  hec  que  dieta  sunt  quolibet  11.  modo 
venire  temptaverimus,  et  si  opus  et  necesse  fuerit,  si  eani  defendere 
noluerimus  12,  aut  non  potuerimus,  tam  nos  quam  nostri  heredes 
componamus  vobis  et  vestris  heredibus  ac  13.  successoribus  prò 
pena  suprascriptum  pretium  duplum,  et  soluta  pena  hec  chartula 
firma  permaneat.  14.  Quam  scribendam  rogavi  lohannem  seri- 
niarium  sanctae  Romanae  Ecclesiae  in  mense  et  indictione  1 5.  su- 
prascripta  sexta.  Signum  ^  manus  suprascripti  Amati  Castelluzzi 
huius  chartulae  rogatoris. 

Romanus  de  Recelle,  testis. 

Nicolaus  lohannis  de  Rosa,  testis. 


(i)  L'anno  1143  segnato  nel  protocollo  del  documento  va    in- 
teso secondo  il  computo  degli  anni  bicurnalionis  vulgares. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  p.Uria.  Voi.  XXIV.  13 


194  '^'  J^'-^*-'^^ 


Petrus  Castellanus.  testis. 

Romanus  de  V'iscelIoC»),  testis. 

Johannes  de  Presbitero,  testis. 

Petrus  de  dompno  lohanne,  testis- 

Ego  Petrus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  sicut  invcni 
in  dictis  lohannis  scriniarii  ex  ipsius  precepto  ita  scripsi  compievi  et 
absolvi  (i). 


LVI. 

1 145.  settembre  20. 

Oddone,  figlio  del  «  quondam  Sassonis  lohannis  Albe- 
«  rici  a  Colosseo  »  vende  alla  chiesa  di  S.  Maria  Nova 
una  pezza  di  vigna  fuori  della  porta  di  S.  Giovanni,  nel 
luooo  chiamato:   «  Prata  Decii  ». 

I.  y~{  In  nomine  Domini.  Anno  dominicae  incarnationis  mil- 
lesimo centesimo  .xlv.,  anno  primo  pontificatus  domni  Eugenii  tertii 
pape,  indictione  nona,  niensis  septembris  die  .XX.  2.  Ego  quidem 
Oddo  filius  quondam  Sassonis  lohannis  Alberici  a  Colosseo,  hac 
die  propria  spontaneaqiie  mca  voluntate  concedo  et  ve[ndo  ajtque 
corporaliter  5.  investiens  ad  veram  proprietatem  publice  trado, 

(a)  O  luscello? 

(i)  Nel  verso,  di  mano  contemporanea:  «  Johannes  Leonis  de 
«  Cerraccla  archipresbiter  de  ecclesia  sancii  lohannis  ante  portam 
«  Latinam  accepi  a  te  Johannes  de  Leo  prò  pensione  .1.  denarium 
«per  indictionem  .xn.  »  ;  e  d'altra  mano:  «  Similiter  Petrus  diaco- 
«  nus  per  indictionem  .xiii.  ;  similiter  per  indictionem  .xiiu.  Ego  Pe- 
«  trus  [diaconus  similiter]  accepi  per  indictionem  .xiiiii.  (?)  ». 

Ed  un'  altra  annotazione  dice:  «  Hec  est  cartula  de  vinea  in  monte 
<f  Albini  quam  dedit  nobis  cum  duabus  aliis  Scorta  de  lohanne  de 
«  Leo  que  habitat  in  foce  Maynis,  cum  duabus  aliis  prò  .1111.  solidis 
«  papiensium.  lusta  istam  vincam  est  alia  vinea  nostra  quam  tenet 
«  nunc  lohannes  Tiburtinus». 

Di  questo  atto  si  conserva  anche  l'altra  copia  «  uno  tenore  con- 
«  scripta  »,  dove  appare  come  autore  dell'atto  quello  che  nella  prima 
era  il  destinatario.  Si  ha  difatti  nel!'  escaiocollo;  «  Signum  >~<  manus 
«  suprascripti  domni  Rainerii  prioris  huius  chartulae  rogatoris». 


Tabularium  S.  oMariac  V^ovae  195 


tibi  dompno  Rainerio  venerabili  priori  et  rectori  venerabilis  ecclesiae 
beatae  Dei  genitricis  semperque  vir  4.  ginis  Mari?  dominae  no- 
strae  quae  dicitur  Nova,  ceterisque  fratribiis  ibidem  regulariter  Deo 
famulantibus  et  per  vos  eidem  venerabili  ecclesiae  eiusque  servito- 
ribus  ini  perpetuum.  5.  Idest   unam    petiaiu  vlneae   in  integrum 

cum  versulariisW  suis  et  tertia  pane  de  vasca  quam  communem 
habeo  cum  Sassone  et  Petro  de  Mancino  cum  introitu  et  exitu  6.  suo 
et  omnibus  suis  pertinentiis.  Positam  extra  portam  sancii  lohannis  loco 
qui  vocatur  Prata  Decii,  sub  bis  affinibus:  a  primo  latere  tenet  ve- 
nerabilis basilica  beati  Laurentii  de  7.  Palatio  Lateranensi,  a  se- 
cando predictus    Petrus  de    Mancino,  a  tertio    heredes   Damiani  de 

Gombizzo,  a  quarto  latere (b)         8.  Qualiter  michi 

competit  hereditario  iure  sive  quolibet  modo,  taliter  predictam  vi- 
neam  ut  dictum  est  tibi  vendo  et  trado  prò  tribus  libris  et  (<=)  sex  so- 
lidis  denariorum  papiensium  g.  quas  michi  dedisti  prò  toto  pretio 
valde  placabili,  ex  quibus  etiam  reddidi  tres  libras  clericis  sancti 
Gregorii  a  Ponte  ludeorum  qui  eandem  vineam  ex  io.  longo  tem- 
pore a  patre  meo  ohligatam  detinebant.  Et  ab  hodierna  itaque  die 
licentiam  et  potestatem  habeatis  eam  intrandi   utendi  ii.fruendi 

possidendi  vendendi  locandi  permutandi  et  quicquid  in  usum  et  uti- 
litatem  prefatae  vestrae  ecclesiae  placuerit  faciendi,  ad  veram  pro- 
prietatem  12.  im  perpetuum.    Et  quoniam  instrumentum  ipsius 

proprietatis  vobis  dare  acqueo  prò  aliis  possessionibus  quae  in  eo  pa- 
riter  continentur  (J),  promitto  vobis  ut  si  aliquo  13.  tempore  ad 

vestram  defensionem  opus  fuerit  quod  eum  vobis  gratis  tribuemus, 
et  ipsam  vineam  ab  omni  homine  si  necesse  fuerit  defendemus. 
14.  Quod  si  contra  hec  quae  dieta  sunt  quolibet  modo  venire  tem- 
ptavero,  et  si  opus  et  necesse  fuerit,  si  ea  defendere  noluero  aut  non 
potuero,  tam  ego  quam  mei  heredes  15.  componamus  tibi  tuisque 
successoribus  prò  poena  suprascriptum  pretium  duplum,  et  soluta 
poena  hec  venditionis  chartula  perpetuo  firma  permaneat.  Quam 
scribere  rogavi  lohannem  (e)  16.  scriniarium  sanctae  Romanae  Ec- 
clesiae in  mense  et  indictione  suprascripta  .vini.  Signum  y^  manus 
suprascripti  Oddonis  de  Sassonae  lohannis  Alberici  venditoris  et  huius 
chartulae  rogatoris. 

Sasso  de  Mancino,  testis. 


(a)  vers,  (b)  Lacuna  nel  testo  di  circa  venti  lettere.  (e)  Dopo  et  è 
nel  testo  dim  cancellato.  (d)  Nel  testo  quae  in  eo  "  continentur  "  pariter 
(e)  Qui  e  nella  e  0  m  p  l  e  ti  0  il  nome  dello  scrittore  è  rappresentato  da  un  mo- 
nodramma. 


1^6  T.   fedele  -  Tabiilarium  ecc. 


Sassolinus  filiiis  eius,  tcstis. 

Johannes  lie  Tento,  testis. 

Angelus  de  Alamanna,  testis. 

Stefanus  de  Imiliola,  testis. 
y^  Ego  lohannes  scriniarius  sanctae  Romanac  Ecclesiae  compievi  et 
absolvi  (i). 

P.  Fedeliì. 


(i)  Nel  verso,  di  mano  contemporanea:  «  Cartula  de  vinea  in 
«  pratis  Decii  »  ;  di  mano  posteriore  :  «  Cartula  de  vinea  de  prata 
i<  Decii  ». 


Le  croìiiche  di  Viterbo 


SCRITTE  DA  FRATE  FRANCESCO  D'ANDREA 


I. 


gf? 


^  ox  questa  nuova  stampa  della  cronaca  di  frate 
Francesco  d'Andrea,  intendo  di  porgere  un  aiuto 
a  chi  si  voglia  accìngere  ad  uno  studio  intorno 
ai  cronisti  viterbesi  del  secolo  xv,  per  prepararne  un'edi- 
zione la  quale  ci  mostri  più  schietta  e  sincera  l'effige  dei 
loro  diari,  finora  a  noi  presentata  come  riflessa  in  specchi 
difettosi  (i).  Gli  annali  del  nostro  frate  in  ispecial  modo 

(i)  La  cronaca  viterbese  e  quella  italiana  di  Nicola  della  Tuc- 
cia, parte  di  quella  di  luzzo,  parte  dei  ricordi  di  casa  Sacchi,  si 
trovano  riunite  nel  volume  di  Ignazio  Ciampi,  Cronache  e  statuti  della 
città  di  Viterbo,  in  Docnnieiiti  di  storia  italiana,  pubblicati  a  cura  della 
R.  Deputazione  di  storia  patria  per  la  Toscana,  le  Marche  e  l'Um- 
bria, voi.  V,  Firenze,  Cellini,  1872.  È  la  migliore  edizione;  certo 
superiore  a  quella  precedentemente  fatta  da  F.  Orioli  della  cronaca 
italiana  di  Nicola  [Cronaca  dei  principali  fatti  d' Italia  dall' a.  J41/ 
al  146S  pìihhl.  per  la  prima  volta  da  un  vis.  di  Montefiascone  nel  Gior- 
nale Arcadico,  Roma  a.  1852]  e  a  quella  posteriore  della  cronaca 
viterbese,  curata  da  F.  Cristofori,  [Le  croniche  di  Anijllolto  viterbese 
dall'  a.  ii6c)  continuale  da  \icola  di  Nicola  della  Tuccia  sino  alV  a.  147^, 
nel  giornale  II  Buonarroti,  serie  iii,  III  e  IV,  a.  i889-i!^'9i]  ;  ma  pure 
assolutamente  insufficiente,  perchè  basata  sul  ms.  Montefiasconese 
che  risale  al  sec.  xvii  ex.  se  non  al  xviii  in.  macchiato  di  contami- 
nazioni non    lievi    (indicherò   qui    solo    quella    della    comparsa   dei 


198  T.  Egidi 


ebbero  avversa  la  fortuna  :  pochissimo  curati  dai  con- 
temporanei e  dagli  studiosi  dei  secoli  scorsi,  tanto  che 
ci  furono  tramandati  in  unico  esemplare  (per  quanto  a 
me  consta),  trovarono  nel  nostro  o  chi  li  studiò  e  li  diede 
alla  luce  solo  parzialmente,  o  chi  non  si  peritò  di  presen- 
tarli in  forma  a  tal  punto  scorretta  da  renderli  assoluta- 
mente inservibili. 

Xe  diede  la  prima  notizia  Francesco  Orioli  or  fa  mezzo 
secolo  (i)  ^  ^^^^  notizia  fece  seguire  a  breve  distanza  l'edi- 
zione di  quella  parte  che  riguarda  l'assedio  sostenuto  dalla 
città  contro  Federico  II  (2):  un  quarto  di  tutta  la  cronaca, 
ma  senza  dubbio  la  parte  più  interessante.  Il  testo,  se  non 
di  gran  perfezione,  è  almeno  sufficiente:  l'Orioli  vi  attese 
già  quasi  settantenne,  e  se  talora  gli  occhi  del  vecchio 
studioso,  indeboliti  dall'  indefesso  lavoro  cui  erano  costretti 
da  tenace  volontà,  rimasero  ingannati,  si  può  ben  perdo- 
nare. L'  età,  la  malferma  salute,  le  fatiche  dell'  insegna- 
mento, le  preoccupazioni  per  gli  avvenimenti  politici  non 
lasciarono  all'  illustre  viterbese  che  scarsi  ritagli  di  tempo 
da  impiegare  nelle  investigazioni  della  storia  cittadina,  nelle 
quali,  come  in  ogni  altro  suo  studio,  come  in  ogni  altra 
cosa,  gli  mancò  l'unità,  la  continuità  che  sono  date  dalla 
severa  costanza  della  vita  e  del  metodo.  Fu  egli  piuttosto 
un  geniale  dilettante,  che  un  vero  scienziato;  pure  a  lui 

demoni,  ed.  Ciampi,  p.  35,  e  quella  dei  miracoli  dei  mammolini, 
p.  56)  e  perchè  condotta  col  confronto  di  soli  otto  codici;  mentre 
si  sarebbe  dovuto  fare  scelta  migliore  nel  Riccardiano  1941,  del 
sec.  xv-xvi,  senza  confronto  più  corretto  e  purgato,  ma  che  dal 
Ciampi  forse  fu  conosciuto  solo  per  mezzo  della  collazione  fatta 
dall'  Orioli  con  la  copia  tratta  dal  Montefiasconese  per  darla  alle 
stampe,  e  mentre  sono  tanto  più  numerosi  gli  esemplari  sparsi  negli 
archivi  e  nelle  biblioteche. 

(i)  Buìldtino  Archeologico,  Roma,  1850,  p.   52. 

(2)  La  guerra  di  Federico  II  contro  Viterbo  in  GioniaU  Arcadico 
di  scienie,  lettere  ed  arti,  Roma,  1850,  CXX-CXXI.  Sono  le  ce.  12  a, 
r.  6  -  22  B,  r.  21   de!  ms. 


Le  croniche  di  Viterbo  199 

ed  a  lui  solo  si  deve,  se  alla  fine,  dopo  secoli  di  vaneggia- 
menti, la  storiografia  paesana  si  liberò  dalla  sciocca  mania  di 
cercar  nelle  tenebre  glorie  f;ivolose,  e  fu  ricondotta  ad  attin- 
gere a  fonti  non  inquinate.  Con  l'opera  copiosa,  sebbene 
frammentaria,  indicò  la  via,  illuminando  più  e  più  oscuri 
momenti  con  la  scintillante  vivacità  del  suo  ingei^no  cor- 
redato  di  cultura  larga  e  variata  (i).  Però  di  questa  non 
si  valse  per  accompagnare  di  adatte  illustrazioni  il  racconto 
del  frate:  si  accontentò  di  farlo  precedere  dalla  relazione 
dell'assedio  stesa  da  un  testimonio  oculare  (2)  e  di  met- 
terle a  fronte  il  racconto  datoci  dall'altro  cronista  viterbese 
Nicola  della  Tuccia. 

Una  metà  circa  della  nostra  cronaca  trovò  posto, 
l'anno  1868,  nel  quarto  volume  delle  FonUs  rerum  Gcrma- 
ìiicariiììi,  per  cura  dell' Hùber,  secondo  la  trascrizione  fatta 
dal  Ficker.  Essa  comprende  tutta  la  parte  diciotto  anni 
prima  edita  dall'Orioli  (della  cui  edizione  né  il  Ficker  né 
r  Hùber  ebbero  notizia)  preceduta  dalle  notizie  più  antiche 
e  seguita  dalle  poche  altre  che  la  conducono  sino  al  1 254  (3). 
L'edizione  è  buona,  non  però  quanto  ci  darebbero  diritto 
a  sperare  il  nome  di  chi  la  curò,  e  l'autorità  della  raccolta 
in  CUI  fu  inserita:  essa  è  talora  macchiata  di  errori  non 
facilmente  evitabili  da  uno  straniero  che  si  trovi  di  fronte 
ad  uno  scritto  come  il  nostro,  ripieno  di  elementi  ver- 
nacoli (4). 

(i)  Si  può  vedere  1'  elenco  de'  suoi  scritti  di  storia  viterbese 
in  Savignoni,  L'archivio  Storico  del  comune  di  Viterbo,  pubblicato  in 
questo  Archivio,  XVIII  sgg.  p.  241  dell'estratto,  cui  mi  riferisco  d'ora 
innanzi. 

(2)  Cod.  Palat.  della  bibl.  Vaticana  n.  955. 

(5)  Fontes  rerum  Germanicarum,  Geschichlsquellen  Denlschìandì, 
4  voli.  Stuttgart,  1843 -1868;  IV,  686  sgg.  Ne  diede  annunzio  il 
Reumoxt  ntW  Archivio  storico  italiano,  ser.  iii,  XII,  par.  I,  p.  202; 
tra  le  pubblicazioni  di  Germania  riguardanti  la  storia  d' Italia. 

(4)  Ecco  le  varianti  introdotte  nel  testo  delle  prime  pagine  del- 
l'edizione  (r.  IO  di  p.  686,  pp.  687-88):  «Ricordi  antiqui».  Ricordi 


2  00  'V.   Fi;  idi 

A  queste  edizioni  assai  pregevoli,  sebbene  parziali,  tenne 
dietro  dopo  venti  anni  una  che  pretese  di  darci  il  testo  tutto 
intiero  e  con  la  massima  fedeltà:  la  curò  il  cav.  Francesco 
Cristofbri  e  vide  la  luce  wtW Archivio  storico  per  ìe  Marche 
e  per  r Umbria  (^i).  Disgraziatamente  l'opera  riusci  immen- 
samente inferiore  alle  intenzioni,  anzi,  lo  si  può  dire  senza 
tema  d'errare,  e  con  esse  in  perfetta  e  completa  antitesi. 
Lasciamo  da  parte  la  mancanza  assoluta  o  quasi  di  illu- 
strazioni, anche  dove  si  rendono  necessarie  e  facili  per  gli 
errori  grossolani  del  cronista,  illustrazioni  tanto  più  agevoli 
a  Francesco  Cristofori,  che  da  decenni  si  occupava  di  studi 
viterbesi,  dei  quali  ha  dato  saggi  numerosi  ed  eruditi,  per 
quanto  informi  e  disordinati  (2);  lasciamo  da  parte  le  ar- 
bitrarie modificazioni  della  grafia  e  della  interpunzione, 
sebbene  giustamente  censurabili  in  chi,  come  lui,  credeva 
avere  per  le  mani  un  originale;  lasciamo  da  parte  la  non- 
curanza che  gli  ha  permesso  di  accingersi  al  lavoro  senza 
leggere  neppure  le  poche  parole  dall'  Hùber  premesse  al 
brano  pubblicato,  tanto  da  fargli  dubitare  che  questo  fosse 
tratto  da  altro  codice  e  non  dall' Angelicano  (3)  ;  ma  come 

di  antiqui;  «  l' archa  »,  harcba  ;  «  secondo  n, provò  (però  in  nota  :  «  dieses 
«  wort  ist  mehr  als  unsicher  »);  «  Curclia  »,  Eiirdia;  «  in  populi  »,  i 
popiili;  a  rilevato  »,  riteiriito;  «andare  in  campagnia  »  (campagna), 
andare  in  compagnia;  «  bactisimo  »,  haclismo;  «  ferno  li  una  chiesa 
«  la  quale  hoggi  si  chiama  S.  Maria  delia  Cella,  poi  ferno  un'  altra 
«  chiesa  fore  del  castello  nella  strada  romana,  la  quale  hoggi  si 
«chiama  S.  Pietro  de  l'olmo»,  ferno  l'i  un'altra  chiesa  la  quale  ho;;.;i 
si  chiama  S.  Pietro  del  Colmo;  «Arrigo»,  Augusto;  «  paupcrem  de 
<f  ceno  »,  pauperem  ceno. 

(i)  Cronaca  inedita  di  frate  Francesco  di  Andrea  da  Viterbo,  dei 
Minori,  trascritta  dal  tns.  originale  del  sec.  XV  della  hibl.  Angelica  di 
Roma,  Foligno,  Salvati,  1888,  voi.  IV  di  detto  Archivio,  pp.  261-538. 

(2)  Vedine  l'elenco  in  SAvrcNONi,  op.  cit.  p.  259  e  il  giudizio 
ivi  a  p.  55. 

(5)  e  D'onde  l'Hùber  trasse  il  brano  di  questa  Cronaca  che 
«  stampò  fra  i  Monumenti  della  storia  Germanica  noi  dice  »;  Cri- 
stofori, op.  cit.  p.  262.  Senza  notare  la  confusione  tra  i  Monumenta 


Le  croniche  di  Viterbo 


201 


scusare  gli  strani  e  continui  mutamenti  di  forma  delle  pa- 
role e  specie  dei  nomi  di  persona  o  di  luogo,  in  modo 
da  renderli  irriconoscibili  ;  come  1'  omissione  di  frasi,  di 
intere  proposizioni,  talvolta  assolutamente  necessarie  per 
cavare  qualsiasi  senso;  come  la  disinvolta  preterizione  di 
quattro  intere  pa^^ine  del  manoscritto  ?  Che  la  mia  non  sia 
esagerazione,  eccone  qualche  prova: 


[Ediz.  Cristofori  p.   270,   r.  20] 

Hercule...    edificò    li    un    bel 
castello  de  Herculc. 


[Cr.  p.   271,  r.  21] 

e  ferno  assai  torri  per  difendersi 
da'  Romani,  secondo  dice  uno 
valente.. . 


[Cr.  p.  272,  r.   15] 

per   lo  comandamento   del  con- 
suli. 

[Cr.  p.   273,   r.   21] 

dopo  la  morte    del    dicto  Felice 
figliolo  de  Federico  Barbaroscia, 


[Ms.   e.   I  B,  r.  21] 

Hercule...  edificò  li  un  bel 
castello  al  quale  non  volse 
mutare  nome,  si  non  ch'el 
fé  chiamare  el  castello  de 
Hercule. 

[Ms.  e.  2  A,  r.  26] 

da  Romani  t  r  a  1  e  q  u  a  1  i  e  i  f  u  - 
rono  assai  cettadini  de 
Tivoli  in  quel  tempo  ne- 
mici de  Romani  secondo  di- 
ce... 

[Ms.  e.  2  B,  r.  26] 

per  lo  comandamento  del  con- 
sulo  con  volontà  de  tutto 
el  popui  o. 

[Ms.  e.  4  A,  r.   18] 

dopo  la  morte  del  dicto  Felice 
fu  electo  imperadore  lo 
dicto  Enrico  fisfliolo... 


Gennaniae  historìca  e  le  Fontes  citate,  si  badi  che  la  prefazione  del- 
l'Hùber  comincia:  «In  Rom  Bibl.  Angelica  B.7.25  befindet  sich 
«  eine  bis  zum  Jahre  1450  reichende  aus  verschiedenen  alteren  Chro- 
«  nichen  compilirte  Chronik  von  Viterbo». 

Il  Cristofori  non  lesse  nemmeno  la  notizia  data  di  questa  edizione 
dal  Reumont  (v.  p.  199,  nota  3),  poiché  la  dice  eruditisiima  recensione  ; 
mentre  ecco  le  parole  del  Reumont:  «  Croniche  di  Viterbo  1080- 
«  1254,  porzione  di  cronica  viterbese  che  giunge  sino  al  1450,  ma  rac- 
«  coglie  in  se  scritture  molto  più  antiche,  di  maggiore  importanza 
«per  gli  anni  1245-47  ».  Neppure  una  parola  di  più! 


202 


'P.  Egidi 


[Cr.  p.  jSo,  r.  29] 

fu  elccto  imperatore  ci  dicto  Bi- 
tervo  chiamalo  in  latino  Uetus 
Vtrbiini  et  ciisi  poi  da  lui  sono 
discesi  l'altri  imperatori  di  Co- 
stantinopoli chiamati  della  casa 
de  Paleologo. 


[Ms.  e.  8  A,  r.  15] 

fu  electo  imperatore  el  dicto  Vi- 
terbo, chiamato  in  latino  Vetus 
Verbum  e  in  greco  el  chia- 
mavano P  a  1  i  o 1 o  e  o ,  che 
tanto  viene  addire  Palo- 
loco,  quanto  in  latino  ve- 
tus verbum  e  cusì  de  lui 
sono  discesi  l'altri . . . 


[Cr.  p.   280,   r.   38] 

...  socto  el  Castel  d'Hercule  ad 
guerregiar  con  le  genti... 

[Cr.  p.  184,  r.  4] 

. . .  tutti  li  cavalieri  de  Roma  allo 
Jmperadore  Federigo  .  . . 


[Ms.  e.  8  A,  r.  24] 

. . .  el  Castel  d'  Hercule  e  conti- 
nuamente uscivano  fu  ore 
ad  guerregiare. .. 

[^Ms.  e.    IO  A,   r.    I$l 

. . .  tutti  li  cavalieri  de  Roma,  e  t 
200  cavalieri  senesi,  et  in 
quello  anno  li  Viterbesi 
mandarono  .xii.  ambascia- 
tori allo  imperadore  Federico... 


[Cr.  p.  28S,  r.   19] 

.  . .  i  quali  non  ci  volsero  dar 
niente.  Nel  dicto  anno  li  Viter- 
besi cavalcamo  in  quel  de  Cor- 
neto. 


[Ms.  e.   \o  B,  r.  30] 

. . .  dar  niente ;nel  dicto  anno 
li  Viterbesi  distrussero  Vi- 
glianello  e  Raniianu.  Nel 
dicto  anno  li  Viterbesi  cavalca- 
rono .  . . 


[Cr.  p.  J95,  r.  23] 

Anno  Domini  124V  Fue  pote- 
stà de  Viterbo  Fabo  de  Bono- 
gna  ...  et  cosi  fue  facto  (i). 


[Ms.  e.   18  A,  r.   Il] 

...  Fubo  de  Bologna  e  ordinò 
che  le  misure  di  m  u  1  i  n  a  r  i 
fussero  facti  di  rameecusi 
fu  facto. 


[Cr.  p.   295.  r.  28] 

il  papa...  coniise  in  vice  sua  in 
Roma  Mons.re  Ranieri  Card. le  in 


[Ms.  e.    18  ^,  r.    lé] 

...comise  in  vice  sua  in  Roma 
m  e  s  s  e  r  R  i  e  a  r  d  o    d  '  .\  n  e  o  n  a 


(i)  Anche  i  puntini  sono  nell'edizione. 


Le  croniche  di  Viterbo 


203 


Toscana  ed  Ducato    de  Spoleto 
et  la  Marcha  d'Ancona. 


[Cr.  p.  296,  r.  30] 

lacobo  da  Morrò  anche  se  ne 
fuggì  e  andò  per  Puglia. 


cardinale  e  commise  in 
vice  sua  in  Campagnia 
ni  esser  Raniero  diachene 
e  in  Toscana  e  ducato  di 
Spoleti  e  la  Marella  d' A  n  - 
e  o  n  a  . 

[Ms.  e.   18  B,  r.   17] 

e  lacobo  da  Morrò  anche  si  ne 
fugì  e  andò  ad  Roma,  e  lo 
imperatore  adunò  grande 
exercito  e  andò  per  ra- 
q  u  i  s  ta  r  e  Puglia. 

[Ms.  e.  20  B,  r.  14] 

et  mandarno  uno  messo  ad 
niesserM.  et  all'altri  che 
erano  in  Palenzana  che 
devessero  venire  al  de- 
cto  ponte  ad  parlare  con 
loro,  allora  el  decto  Ma. 
la.  con  tutti  quelli  di  Pa- 
lenzana vennero  al  decto  loco. 


Basti  ormai,  sebbene  non  siamo  alla  metà  della  cronaca 
(nell'  ediz.  Cristofori  mancano  ancora  ima  quarantina  di 
pagine)  e  sebbene  questa  parte  fosse  molto  più  facile  a  ben 
pubblicare  dopo  le  buone  edizioni  dell'Orioli  e  dell' Hùber. 
Né  è  da  credere  che  anche  nei  fogli  che  ho  scorsi,  si  tro- 
vino soltanto  le  omissioni  qui  segnate,  che  per  amor  di 
brevità-  quelle  ho  scelte  che  mi  parvero  di  maggiore  im- 
portanza. Sono  poi  senza  numero  le  parole  malamente  tra- 
scritte o  corrette  ad  arbitrio,  le  date  errate,  i  nomi  alterati  (i). 


[Cr.  p.  joo,   r.  6] 

niandorno  uno  mastro  ad  mes- 
ser  Alexandro  et  altri  che  erano 
in  Palentiana,  vennero  al  dicto 
loco. 


(i)  Eccone  alcuni  esempi  :  Trusco  diviene  Tusco  -  Presola,  Fie- 
sola  -  Parti,  Partegn  -  Ianni,  Vanni  -  Viterbo,  BiUrvo  -  Mavente, 
BinnenU  -  Bragaiolo,  Bragaiisolo  -  Azalitio,  Aialitio  -  iudice,  sindico  - 
Cavelli,  Cavalli  -  Tadeo  conte  di  Tollerano,  Sancle  conte  di  Val- 
Urano  -  Parangano,  PalanTfina  -  Campuvaro,  Carnpaonano  -  de  Qui- 
leia,  de  Guihia  -  obtinuisset,  ohninluisset  -  Federigo,  Fedingo  -  1196, 


204  ^'  Egidi 


Ben  si  comprende  che  molti  e  molti  di  tali  errori  non 
siano  da  segnare  a  carico  dell'  editore,  ma  del  tipografo 
da  cni  fu  malamente  servito;  gran  parte  però  delle  mende 
si  sarebbe  potuto  evitare  con  una  più  attenta  e  ripetuta 
correzione  delle  prove  di  stampa,  che  dubito  sia  stata  fatta 
con  cura  (i).  Forse  in  ciò  il  Cristofori  si  è  valso  dell'opera 
di  altri,  che  non  seppe  far  quel  che  doveva,  e  ne  tradì  la 
fiducia  ;  non  saprei  in  altro  modo  spiegarmi  il  valore  ne- 
gativo della  pubblicazione. 

Come  scusare  però  la  omissione  del  Lamento  di  Goti- 
fredo  e  di  Lancillotto,  che  nel  manoscritto  occupa  quasi 
quattro  pagine,  e  cioè  dalla  linea  ottava  della  carta  dodi- 
cesima (jeri^o)  alla  ventiquattresim.i  della  carta  quattordi- 
cesima? Come  comprenderla,  dopo  che  l'avevano  edito  e 
l'Orioli  e  l'Hùber  e  il  Waitz?  (2)  come  scusarla  mentre  è 
uno  dei  pochi  tratti  rimastici  della  cronaca  originale  e 
perciò  importantissimo?  Mi  perdoni  l'egregio  editore,  se 
mi  si  affaccia  il  dubbio  che  egli  il  manoscritto  lo  abbia 
veduto  solo  quel  tanto  che  basta  a  descriverlo  esternamente, 
come  ben  h,  e  che  si  sia  valso  per  la  sua  pubblicazione 
di  una  copia  qualunque  capitatagli  in  mano,  e  forse  di 
quella  del  canonico  Ceccotti,  ora  conservata  nell'archivio 
Comunale  viterbese,  in  cui  appunto  quel  valentuomo,  che 
la  ^ece  per  suo  uso  privato  senz'  alcuna  idea  di  renderla 
pubblica,  non  trascrisse  il  Lamento  suddetto  (da  lui  certo 
conosciuto  nell'edizione  dell'Orioli),  e  poco  curò  l'esat- 
tezza formale,  pago  della  sostanziale. 

jic)S  -  60CO,  óoonn  -  1 170  e  i  172,  injo  e  ioj2  -  i  (5  J,  14J)  -  IIII,  j  - 
XXVI,  2)  -  Vini,  5  -  XIII,  2]  Sic.  Di  più  le  ultime  due  righe  della 
p.  270  debbono  esser  portate  alla  fine  della  precedente. 

(i)  II  Cristofori  .1  p.  267  della  prefazione  dice  di  aver  talora 
collazionate  le  prove  di  stampa  col  manoscritto  stesso  :  mi  si  per- 
metta di  dire  che  c'è  ragione  di  dubitarne. 

(2)  L'  Orioli  e  1'  HDber  nei  luoghi  citati,  il  Va:  rz  nei  Monumenta 
Germaniae  historica,  ed.  in  fol.  Script.  XXII,  374-75. 


Le  croniche  di   ì^itcrbo  205 

Aggiungete.  Il  cronista  all'anno  1281  accenna  ad  una 
sconfitta  patita  da'  nobili  di  Viterbo  per  opera  di  Pietro 
della  Valle,  ma  non  si  dilunga  nella  narrazione;  la  inter- 
rompe e  dice:  c<  ne  farò  mentione  in  questo  ad  carte  41  ». 
Inflitti  la  riprende  alcuni  togli  dopo,  sotto  l'anno  1394(1). 
Nella  copia  del  Ceccotti  a  p.  35  in  questo  punto  sta  scritto: 
«ne  farò  mentione  in  questo  ad  carte  54»,  e  difatti  a 
pp.  54,  )$,  ^6  si  trova  il  racconto  accennato.  Il  Cristofori 
pubblica:  «  fiirò  mentione  ad  carte  54  »  e,  subito  dopo, 
senza  affatto  accennare  la  restituzione  cronologica,  fa  se- 
guire le  pp.  54,  55  e  5(3  della  copia  Ceccotti  per  riprendere 
poi  la  narrazione  interrotta  a  p.  35  della  stessa  (2). 

Aggiungete  ancora.  Nel  ms.,  dopo  la  carta  24  verso, 
è  avvenuta  una  trasposizione.  La  materia  contenuta  dalla 
e.  25  A  alla  28  B  inclusive,  deve  essere  ripristinata  dopo  la 
e.  32  B,  mentre  il  racconto  di  e.  24  continua  da  e.  29  a  a 
e.  32  B.  Il  Ceccotti  a  p.  37  della  sua  copia  corrispondente 
a  e.  24  B  del  ms.  notava  in  margine:  «  seguita  a  pp.  44, 
«45,  4^,  47,  48,  49,  50,  51  linea  prima.  Poi  ripiglia 
«qui  alle  parole:  Ancho  nel  detto  anno  &c.  »  e  a  p.  5  r 
ripeteva  la  nota.  Il  Cristofori  invece  restituisce  l'ordine  sto- 
rico del  testo,  ma  non  si  ferma  ad  accennarlo  (3).  Ed  anzi 
nella  restituzione  non  è  felice,  perchè  le  prime  sei  righe 
della  e.  23  le  dispone  dopo  la  e.  32  b  e  poi  fa  seguire  le 
ce.  25-28  b  (pp.  44-51  della  copia  Ceccotti),  attribuendo 
cosi  all'anno  1378,  quello  che  invece  è  dal  cronista  rife- 
rito al  139 1  (4).  Non  mi  intratterrò  più  a  lungo  intorno 

(i)  C.  25  B,  r.  24  il  primo  accenno;  a  e.  55  A,  r.  3  sgg.  sta  la 
narrazione  della  rotta.  Nella  copia  Ceccotti  a  p.  55  sotto  il  numero  54 
sta  il  n.   II  :  è  il  n.  41  del  ms.  letto  malamente. 

(2)  P.  305. 

(3)  P.  310.  Facilmente  egli  credette  l' inversione  opera  del  Cec- 
cotti. 

(4)  Sono  le  rr.  11 -16  della  p.  317  e  dovrebbero  trovarsi  invece 
tra  la  r.  20  e  la  21   di  p.  324. 


2o6  T>.  Egidi 


a  questi!  disgraziata  edizione,  dopo  avere  però  notato  che 
le  ultime  pagine  sono  un  poco  meno  infedeli. 

Il  ms.  Angelicano  avrebbe  potuto  essere  di  grande  uti- 
lità al  Ciampi  nella  preparazione  del  suo  volume  di  cro- 
nache e  statuti  viterbesi  (i);  però,  esaminatolo  rapidamente 
e  visto  che  nelle  notizie  del  secolo  xv  era  meno  copioso 
di  Nicola  della  Tuccia,  egli  credette  di  poterlo  trascu- 
rare (2),  sebbene  avesse  notato  la  straordinaria  somiglianza 
col  testo  che  stava  studiando;  come  credette  di  poter  tra- 
scurare anche  l'edizione  dell'  Hùber,  che  non  conobbe  se 
non  di  fama  pel  cenno  datone  dal  Reumont,  e  che  pensò 
ricavata  o  da  altri  manoscritti  del  della  Tuccia,  o  in  por- 
zione dai  copiosi  brani  da  lui  precedentemente  pubbli- 
cati (5).  Che  se  egli  vi  avesse  guardato  dentro  con  occhio 
più  attento  e  sagace,  certo  vi  avrebbe  veduto  cose  che 
forse  gli  avrebbero  suggerito  non  lievi  modifiche  al  suo 
lavoro;  che  non  gli  sarebbero  sfuggiti  i  legami  anormali 
e  secreti  che  intimamente  collegano  l'opera  del  frate  con 
quella  del  mercante,  né  avrebbe  mancato  di  fare  le  osser- 
vazioni, le  quali  hanno  dato  il  primo  impulso  e  furono  la 
precipua  ragione  della  presente  ristampa. 


II. 


Difatto  (4)  la  cronaca  del  frate  non  deve  essere  presa 
e  considerata  da  sé  sola;  bisogna  sottoporla  ad  attenta  di- 

(i)  Op.  cit. 

(2)  Ciampi,  op.  cit.  p,  xxxv.  Veramente  egli  dice  di  non  aver 
potuto  valersene,  con  tutta  la  buona  intenzione  che  ne  aveva  ;  ma 
la  intenzione  non  doveva  aver  tanto  di  tenacia,  quanto  di  bontà, 
poiché  egli  dimorava  in  Roma  e  1'  accesso  all'  Angelica  non  gli  era 
certo  difficile. 

(})  Prefazione,  p.  xxxi. 

(4)  Le  osservazioni  seguenti  sono  qui  esposte  in  succinto  per 
averne  io  trattato  in  uno  scritto  intorno  alle  Relazioni  dcJh  croniche 


Le  croniche  di  Viterbo  20 


/ 


samina  raffrontandola  alle  altre  cronache  viterbesi  e  allora 
si  vedrà  che  uscendo  dall'  umile  posto  finora  assegnatole, 
per  la  scarsezza  delle  note  riguardanti  i  suoi  tempi,  essa 
viene  di  buon  dritto  ad  occupare  il  primo  per  la  fedeltà 
verso  le  fonti,  e  forse  s'  ha  da  riconoscere  in  lei  il  canale 
per  cui  a  quelle  tacitamente  si  attinse. 

Trattando  in  questo  stesso  periodico  della  leggenda  ac- 
colta nelle  cronache  viterbesi  intorno  alla  origine  dei  Pa- 
leologi  (i),  nutro  fiducia  di  esser  riuscito  a  dimostrare 
come  gli  annalisti  del  secolo  xv,  frate  Francesco,  Nicola 
della  Tuccia,  Giovanni  di  luzzo,  dicano  a  torto  di  avere 
tratto  le  notizie  anteriori  al  1254  da  un  libretto  di  carta 
pecorina,  di  bella  lettera  antica,  cominciato  di  propria  mano 
da  un  orefice  di  Mterbo,  chiamato  Lanzillotto,  intorno 
al  1244  e  continuato  sino  al  1254;  mentre  il  testo  che 
essi  ci  tramandano,  presenta  contaminazioni  che  potevano 
entrarvi  solo  dopo  la  metà  del  secolo  seguente.  D'  altra 
parte  la  ripetuta  asserzione  che  fan  tutti  i  cronisti  del  xv, 
di  aver  avuto  sotto  gli  occhi  proprio  l'autografo  dell'ore- 
fice (2),  non  permette  di  ritenere,  come  dapprima  n'ebbi 
il  pensiero,  che  la  contaminazione  fosse  opera  del  medico 
Girolamo  o  di  Cola  di  Covelluzzo  (fonti  dei  quattrocentisti 
dall'anno  1252  sino  agli  avvenimenti  contemporanei),  si 
che  la  cronaca  del  Dugento  pervenisse  a  questi  incorporata 
a  quelle  del  Trecento.  Si  deve  quindi  pensare  ad  un  testo 
contaminato  dopo  la  metà  del  secolo  xiv,  il  quale  dalla 
terna  dei  cronografi  del  secolo  xv  fu  preso  e  adoperato  come 

viterbesi  del  secolo  xv  tra  di  loro  e  con  le  fonti,  il  quale  avrebbe  do- 
vuto veder  la  luce  già  da  parecchio  tempo,  e  che,  per  cause  da  me 
indipendenti,  apparirà  solo  di  qui  a  qualche  mese. 

(i)  XXII,  S39-))8,  a.  1900. 

(2)  Fr.  Francesco,  c.  22  b,  rr.  :ì  sgg.,  e.  16  b,  rr.  1 1  sgg.  ; 
N.  DELLA  TuccL\,  p.  24.  Non  essendo  completa  la  stampa  del  testo 
di  Francesco,  per  le  citazioni  mi  varrò  della  numerazione  delle  carte 
del  ms.  la  quale  sarà  indicata  in  margine  della  nostra  edizione. 


2o8  T.  E  nidi 

l'originale  di  Lanzillotto.  Ma  se  ci  si  addentra  un  po' più 
nella  questione,  ci  si  para  innanzi  una  difficoltà  di  non 
lieve  momento.  A  detta  del  nostro  frate  Francesco,  il  suo 
esemplare  non  si  restringeva  a  note  di  storia  viterbese, 
ma  diceva  in  latino  «  d'altre  cose  che  di  Viterbo  annua- 
«  tim  ))  (i).  Ora  se  e  Nicola  e  luzzo  e  Francesco  attin- 
sero tutti  a  questi  annali  d'indole  generale,  come  mai  nella 
scelta  delle  notizie  non  presentano  alcun  divario  ?  e  se 
l'esemplare  era  latino,  come  ne  trassero  tutti  e  tre,  cia- 
scuno per  suo  conto,  un'  unica  narrazione  in  tutti  e  tre 
identica,  il  più  delle  volte,  fino  alla  lettera?  Poiché,  come 
poco  sopra  ho  accennato,  i  divari  presentati  dalle  tre  re- 
dazioni sono  tanto  poco  numerosi  e  di  cosi  lieve  im- 
portanza che  non  mette  il  conto  qui  di  soffermarcisi  (2); 
all' infuori  di  uno,  il  quale  invece  mi  pare  di  gran  ri- 
lievo e  che  forse  ci  indicherà  la  via  per  giungere  a  for- 
mulare un'  adeguata  risposta  ai  quesiti  propostici.  Dopo 
narrato  che  Federico  II  nell'anno  1242  aveva  fatto  co- 
struire in  Viterbo  «  una  terribile  prescione,  della  quale  li 
«  Viterbesi  la  temivano  assai  »  (3),  il  nostro  frate  fa  se- 
guire un  lungo  brano  latino  che  chiama  «  lo  lamento  di 
c<  Gottifredo  e  di  Lanzillotto  »  nel  quale  per  quattro  pagine 
si  rimproverano  acremente  i  Viterbesi  di  non  amare  la 
patria,  anzi  badare  solo  a  disfarla,  avendo  regalato  l'altare 
viareccio  che  li  assicurava  della  vittoria,  non  avendo  saputo 
approfittare  della  venuta  dell'  imperatore  Barbarossa,  né  di 
quella  del  marchese  Marcovaldo,  né  di  quelle  di  Ottone 
e  di  Federico  II;  e  si  finisce  con  una  vera  lamentazione 
sui  dolori  e  sui  danni  che  soffre  la  città  (4).  Orbene  Nicola 
della  Tuccia  (il  confronto  con  luzzo  è  meno  agevole,  per 
la  pochezza  dei  brani  che  ne  abbiamo  a  stampa)   invece 

(i)  C.  22  u,  r.  16. 

(2)  Si  vedano  nelle  note  che  accompagnano  il  testo. 

(3)  C.  12  B,  r.  5. 

(4)  Da  e.  12  B,  r.  8  a  tutta  la  e.  i  j  a. 


Le  croniche  di  Viterbo  209 


di  riportare  tutto  insieme  il  lamento  e  in  latino,  lo  spezza, 
ne  ripartisce  i  brandelli  a  mano  a  mano  che  il  racconto  lo 
conduce  a  trattare  degli  avvenimenti  cui  le  querimonie 
si  riferiscono_,  lo  converte  ncU'  idioma  volgare,  solo  con- 
servando in  latino  l'ultima  parte  (quella  cui  il  frate  inti- 
tola «  de  fortuna  Viterbii  »)  e  qua  e  là  qualche  proposi- 
zione (i).  Ma  se  i  vari  brani  si  riunissero,  si  troverebbe 
ricomposto  il  Lamento,  salvo  l'omissione  di  alcuni  pochi 
periodi.  Di  fronte  a  tal  fatto  vien  naturale  domandarsi  se 
l'aspetto  dell'esemplare  cui  guardarono  i  due  cronisti,  ci 
sia  riprodotto  più  fedelmente  dal  frate  o  dal  mercante;  e 
naturale  viene  anche  la  risposta;  poiché  mi  pare  quasi 
assurdo  il  pensiero  di  una  ricostituzione  paziente  del  cen- 
tone latino  per  opera  del  frate.  Sicché  non  mi  sembrerebbe 
ardito  ritenere  che,  al  testo  compilato  su  quello  di  Lan- 
zillotto  nella  seconda  metà  del  secolo  xiv,  rimanesse  più 
fedele  degli  altri  il  nostro  Francesco. 

Che  se  si  passi  ad  esaminare  la  parte  delle  cronache 
quattrocentiste  che  vien  di  seguito  narrando  dall'anno  1255 
all'  inizio  del  secolo  xv,  e  cioè  l'  ulama  desunta  da  fonti 
scritte,  ci  si  presentano  il  medesimo  fenomeno  e  le  mede- 
sime domande  in  forma  anche  più  inesplicabile.  Si  giudichi. 
Per  quel  periodo  Nicola  della  Tuccia  designa  come  fonte 
gli  scritti  di  Cola  di  Covelluzzo  «  vantagiato  spetiale  »  (2); 
Giovanni  di  luzzo,  quelli  del  detto  Cola  e  quelli  di  «  uno 
«  valentomo  dottore  di  medicina,  lo  quale  si  appellò  ma- 
«  stro  Gironimo  ))  (3);  Francesco,  quelli  di  Cola  e  di  Gi- 
ronimo  e  «  d'altri  cittadini  che  in  ciò  si  dilettavano  »  (4}. 
Ebbene,  con  tanta  varietà  di  fonti  la  identità  dei  racconti 

(i)  Ciampi,  op.  cit.  pp.  6,  9,  io,  sotto  gli  anni  1170,  1193.  Si 
noti  come  a  p.  20  il  Ciampi,  nel  riportare  un  brano  di  Lamento  di 
luzzo,  lo  creda  differente  da  quello  di  Nicola,  mentre  è  la  stessa  cosa. 

(2)  Ciampi,  op.  cit.  p.  44. 

(5)  Ivi,  p.   51,  nota  5. 

(4)  C.  22  B,  r.  22  sgg. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  14 


210  T.  Egidi 

che  ci  ha  colpito  nelle  pagine  precedenti  non  solo  si  con- 
serva, ma  diventa  quasi  anche  maggiore;  sebbene  il  frate 
ci  dica  anche  qui  di  non  aver  concordato  delle  fonti  «  tutte 
«  loro  scripture  che  dicano  anno  per  anno  »,  ma  solo  aver 
scritto  quelle  che  gli  «  parevano  più  degne  ad  farne  men- 
«  tione  »  (i).  I  divari  che  si  riscontrano  sono  in  numero 
minimo  e  per  valore  assolutamente  insignificanti,  soprat- 
tutto se  si  consideri  che  il  testo  del  Ciampi  fu  cavato  da 
un  codice  del  secolo  xvii  avanzato  se  non  del  xviii(2),  men- 
tre quello  di  Francesco  è  in  uno  del  x\'  ex.  o  xvi  in.  Quindi 
anche  qui  mi  par  naturale  che  si  debba  pensare  ad  un  con- 
cordatore  e  compendiatore  delle  cronache  del  xiv,  da  cui 
dipendano  i  racconti  a  noi  conservati.  E  venuti  in  questo 
pensiero,  se  si  ricordi  che  frate  Francesco  è  quello  che 
più  fedelmente  si  attenne  all'esemplare  che  gli  porgeva  la 
narrazione  di  Lanzillotto;  se  si  ricordi  che  egli  dice  espli- 
citaiìiente  di  aver  dato  la  sua  opera  al  paziente  lavoro  di 
tarsia  (3);  non  potrebbe  sorgere  l'ipotesi  che  una  tal  fa- 
tica sia  stata  da  lui  fatta  non  solo  a  proprio  beneficio,  ma 
anche  a  quello  dei  due  suoi  colleghi?  che  insomma  il 
compendio  suo  sia  passato  per  le  mani  di  Nicola  e  di 
luzzo.''  La  cosa  potrebbe  sembrare  probabile,  ma  non  en- 
trare nel  campo  della  certezza,  se  fosse  impossibile  ad- 
durne  in  sostegno  altre  osservazioni  e  altri  più  validi  ar- 
gomenti. 

Dall'anno  1394  frate  Francesco  fa  cominciare  la  parte 
originale  del  suo  racconto  con  queste  parole:  «  Hora  seri- 
ci vero  per  l'avvenire  le  cose  comò  sonno  passate  in  Vi- 
ci terbo  da  questo  sopradicto  dì  in  poi  [..  maggio  1394] 

(i  )  C.  22  B,  r.  28. 

il)  L'  Orioli  lo  disse  «  di  forse  due  secoli  fa  »  ;  Giornale  Ar- 
cadico, CXXV,  300;  il  Ciampi  non  si  esprime  mai  chiaramente. 

(5)  Una  traccia  se  ne  potrebbe  trovare  nelle  ripetizioni  in  cui 
cade  talora  (ce.  33  b,  34B)  e  nell'anormale  posto  occupato  dalla  nar- 
razione della  cacciata  dei  gentiluomini  del  1281  (ce.  23  u  e  3;  a). 


Le  croniche  di  Viterbo  211 

«  secondo  mi  disse  uno  bono  et  antico  cittadino  di  Viterbo, 
«  chiamato  Paulo  de  Perella,  clie  si  trovò  et  vidde  lui 
«  r  entrascritte  cose  in  fine  ad  questo  dì  .x.  de  luglio  1455. 
«  El  dicto  Paulo  era  d'età  di  anni  87  et  più»  (i).  Le  in- 
formazioni di  questo  vecchio  non  sono  per  verità  né  molto 
copiose  né  tampoco  esatte  ed  ordinate:  solo  allorché  nei 
fatti  egli  ha  qualche  parte,  come  nella  concordia  tra  Bo- 
nifazio IX  e  Giovanni  di  Vico,  per  la  quale  egli  che  dal 
Prefetto  era  stato  sbandito  perchè  a  chiesiastro  »  potè  rien- 
trare in  città  (2),  e  come  nelle  imprese  del  capitano  di 
ventura  viterbese  Pietro  Paulo  detto  il  Braca,  del  quale  il 
Perella  aveva  seguito  la  fortuna  nelle  guerre  del  reame  di 
Napoli,  ed  aveva  acquistata  la  fiducia,  tanto  da  esser 
mandato  a  tenere  in  suo  nome  corte  bandita  nella  sua  casa 
a  Viterbo  (3);  solo  allora  i  ricordi  del  vecchio  prendono 
colore  ed  interesse,  altrimenti  divengono  pallidi  e  scarsi  e 
lasciano  trascorrere  perfino  un  periodo  di  sette  anni  (140(3- 
141 3)  senza  pur  una  notizia.  Che  se  per  gli  anni  141 3 
e  141 4  queste  abbondano  qualche  poco,  ritornano  subito 
dopo  così  scarse^  saltuarie,  confuse  ed  errate  da  perdere 
quasi  ogni  interesse  sino  alla  fine  della  cronaca  (4). 

Nicola  e  luzzo  danno  alle  fonti  del  Trecento  una  esten- 
sione maggiore;  poiché  il  primo  se  ne  dice  sussidiato  sino 
al  140^(5),  e  il  secondo  sino  al  1404  ((j);  dopo  di  al- 
lora affermano  di  esporre  i  propri  ricordi.  Orbene,  anche 
se  non  si  voglia  badare  che  Nicola  nel  140^  era  appena 
nel  sesto  anno  di  età  e  luzzo    non  gli  era  di  certo  assai 

(i)  C.  36  A,  r.  18  sgg. 

(2)  C.  36  B,  r.  2. 

(3)  C.  38A,  r.  27. 

(4)  Le  notizie  dal  1420-1450  occupano  appena  due  pagine  e 
mezzo  del  ms.  ce.  41  a-b. 

(s)  Ciampi,  op.  cit.  p.  47. 

(6)  Ivi,  p.  49,  nota  I.  Si  noti  che  luzzo  fa  questa  dichiara- 
zione dopo  aver  accennato  a  fatti  del  141 3. 


212  ^.  Egidi 

maggiore,  come  spiegare  clie  i  ricordi  del  vecchio  Perella 
combinassero  non  solo  nella  sostanza,  ma  nell'ordine,  ne- 
gli errori  e  fin  nelle  parole  con  quelli  dei  due  fixnciulli  ? 
Finanche  le  particolareggiate  e  in  gran  parte  iperboliche 
narrazioni   ispirate  al    Perella  dall'  affetto  nutrito  verso   il 
Braca,  il  glorioso  capitano    di  ventura  sotto  i  cui  ordini 
aveva  servito  e  di  cui  aveva  goduto   la    confidenza,  son 
riferite  alla  lettera  e  da  luzzo  e  dal  della  Tuccia.  A  che  più 
dilungarmi?  Tutto  quanto  dal  frate  è  narrato  sino  al  1424, 
con  alcune  correzioni  cronologiche  e  qualche  lieve  aggiunta, 
vien  ripetuto  serenamente  dagli  altri  due.  Di  li  in  poi  le 
narrazioni  di  costoro  prendono  un'  ampiezza  ed  un  interesse 
tale  cui  neppur  da  lontano  segue  quella  del  nostro;  però, 
chi  guardi  con  attenzione,  scorgerà  in  mezzo  alle  copiose 
onde  del  fiume  il  filo   d'  acqua  della  fonte   disprezzata  e 
nascosta.  O   io  m'  inganno    a  partito    o  da    questo  fatto 
ci  vien  dato  la   chiave  dell'enigma  che   ci    ha  accompa- 
gnato   fin    dalle    prime    osservazioni.    Il   giuoco   è   fatto 
chiaro:  Nicola  e  luzzo    non  conobbero   Lanzillotto   nò    i 
cronisti  del  Trecento,  se  non  per  il  tramite  di  frate  Fran- 
cesco d'  Andrea,  del  quale  s'  appropriarono  1'  opera  senza 
riguardo,  disprezzandola  perchè  cosi  misera   nel  racconto 
degli  avvenimenti  contemporanei.  Essi  pensarono  forse  che 
giammai  si  sarebbe  fatta  la  luce  sulla  bassa  sopcrchieria  ; 
ma  per  fortuna  una  copia   dello   scritto   disprezzato  potè 
giungere  fino   a  noi,   bastante  a  smascherarli  e   preziosa, 
perchè  ci  dà  il  testo  più  attendibile  e  più  vicino  alle  fonti 
originarie.  A  Francesco  si  deve  l'opera  di  compendio  degli 
scritti  di    Lanzillotto,  disgraziatamente    a  lui  pervenuti  in 
una  redazione  della  seconda  metà  del  secolo  xiv,  macchiata 
di  più  interpolazioni  che  egli  non  seppe  o  non  volle  espun- 
gere, credendo  d'  aver  sott'  occhio  l'autografo  dell'orefice; 
a  lui  la  concordanza  e  il  compendio  dei  cronisti  del  Tre- 
cento; a  lui  le  memorie  del  primo  quarto  del  Quattrocento. 
Pertanto  la  presente  edizione  si  prefigge  lo  scopo  di  porre 


Le  croniclic  di   Mterbo  213 


il  caposaldo  al  quale  possa  affidarsi  chi  voglia  intrapren- 
dere lo  studio  del  testo  definitivo  delle  cronache  viterbesi  ; 
poiché  in  nessun  modo  e  per  nessuna  parte  può  ritenersi 
come  tale  quello  stabilito  dal  Ciampi. 


III. 


Fosse  noncuranza,  fosse  umiltà  o  fosse  che  nella  vita 
uniforme  e  monotona  del  chiostro  nulla  gli  apparisse  me- 
ritevole di  memoria,  certo  è  che  il  nostro  frate  non  parla 
mai  di  sé.  A  mala  pena  tre  volte  è  dato  di  incontrarci 
nel  nome  suo;  una  nel  proemio,  1'  altra  quando  ci  vuol 
hr  conoscere  che  dal  libro  di  Lanzillotto  trae  le  ampie 
notizie  suir  assedio  di  Federico  II,  la  terza  quando  1'  aiuto 
dell'orafo  gli  viene  a  mancare;  ma  anche  quelle  volte  il 
crudo  nome  «  frate  Francesco  d'  Andrea  di  Viterbo  »  e 
nuli'  altro  (i).  Per  incidente  quando  racconta  che  nel  140(3 
Innocenzo  VII  fuggi  a  Viterbo  dopo  la  ribellione  di  Roma, 
gli  QSCQ  di  bocca:  «  et  io  lo  viddi  «  (2).  Anche  per  inci- 
dente veniamo  a  sapere  che  ai  io  di  luglio  del  1455  egli 
ascoltava  i  racconti  del  vecchio  Paolo  di  Perella,  e  che  aveva 
compito  il  noioso  lavoro  di  concordare  e  compendiare  gli 
annali  de'  suoi  predecessori  (3).  Resta  difficile  pertanto 
stabilire  anche  congetturalmente  quando  egU  possa  esser 
nato  e  quando  morto,  tanto  più  che  le  ricerche  archivi- 
stiche non  ci  possono  recare  alcun  aiuto,  essendo  an- 
date disperse  la  massima  parte  delle  carte  che  si  dovevano 
conservare  negli  antichi  monasteri  viterbesi  (4).  Però,  chi 
osservi  l'aspetto  dell'ultima  parte  della  sua  cronaca,  simile 
più  ad  una  frettolosa  serie  di  appunti  gettati  giù  alla  rin- 

(i)   C.   I  A,  r.   i;  e.   16  B,  rr.   11   sgg.  ;  e.  22  B,  rr.   14  sgg. 

(2)  C.  37  A,  r.  28. 

(3)  C.   36  A,  r.   18  sgg. 

(4)  Cf.  Savigxoni,  op.  cit.  p.  26. 


214 


T.  Esrìdi 


fusa,  che  ad  uno  scritto  ordinato  ed  organico,  non  parrA 
ardito  il  pensiero  che  1'  opera  sua  venisse  troncata  improv- 
visamente a  poca  distanza  da  quel  giorno  di  luglio  del '55, 
in  cui  cominciava  a  fermar  sulla  carta  i  ricordi  dell'amico 
quasi  nonagenario.  Poiché,  in  caso  contrario,  è  cosa  proba- 
bile che  egli  si  sarebbe  adoperato  a  liberare  il  suo  lavoro 
delle  inutili  ripetizioni,  delle  confusioni  e  degli  errori  gros- 
solani, che  anche  solo  una  superficiale  lettura  gli  avrebbe 
fatto  balzar  agli  occhi.  Chi  potrebbe  dire  però,  se  dell'in- 
terruzione si  debba  dar  colpa  alla  morte  o  ad  altro  ?  Inutile 
lanciare  ipotesi  campate  in  aria:  solo  il  fatto  che  nel  1406 
egli  era  in  età  da  ricordare  quello  che  vide,  ci  può  in- 
durre a  ritenerlo  nato  nello  scorcio  del  secolo  xiv,  e 
quindi  a  credere  probabile  la  sua  morte  non  molto  lontana 
dal  1455.  In  tal  caso  nulla  avrebbe  egli  comune  con  quel 
frate  Francesco  d'  Andrea  da  Viterbo  dei  Minori  osservanti, 
che  nel  1469  spinse  i  Viterbesi  alla  istituzione  del  Monte 
di  Pietà(i),  e  tanto  meno  con  l'altro  dello  stesso  nome  e  pur 
viterbese,  ma  della  religione  di  san  Domenico,  che  nel  1485 
in  S.  Maria  Novella  di  Firenze  predicava  intorno  alla  va- 
nagloria (2).  Una  guida  per  giungere  a  saperne  qualche 
cosa,  sarebbe  stato  la  conoscenza  della  religione  cui  ap- 
partenne, ma  anche  questo  ci  fa  difetto,  per  quanto  il 
Cristofori  senz'  altro  lo  dica  «  de'  Minori  »  (3).  L'  Orioli 
lo  ritenne  Agostiniano;  ma,  sebbene  la  cronaca  si  trovi  in 
una  biblioteca  di  quest'Ordine,  chi  potrebbe  assicurarcene? 
Meglio  lasciare  il  nostro  Francesco  nell'  ombra  di  che  vo- 
lontanamente  s'  avvolse. 


(i)  Ciampi,  op.  cit.  p.  xxiv,  nota. 

(2)  MoRPL'RGO,  Cuiaìi:;^o    dei   mss    dilla   hibl.  Riccardiaiui   di  Fi- 
renze, pp.  324-26,  Cod.  (1186  C,  ce.  71  U-72A)  prcd.  n.  XXIV. 
(j)  Cronaca  inedita  di  fials  Francesco  de  Minori  &.c. 


I.c  croniche  di  Viterbo  21 


IV. 


Il  ms.  Angelicano  è  segnato:  Fondo  antico  -  194  (B  .  7  . 
23)  (i).  Cartaceo,  in  4",  delle  dimensioni  m.  o.233Xo-'f53  j 
le  pagine  sono:  0,18  per  0,12  e  contengono  da  25  a  30  ri- 
ghe; le  lettere  alte  0,003,  ^^  iniziali  0,007.  La  calligrafia 
è  corsiva  umanistica,  le  iniziali  talvolta  rosse,  h.  composto 
di  cinque  fascicoli,  i  primi  di  quattro  fogli  ciascuno,  l'ul- 
timo di  sei.  Nel  verso  del  battente  stanno  le  due  segna- 
ture di  catalogo,  seguono  una  carta  di  guardia  bianca  e  poi 
41  carte  numerate  in  tempo  a  noi  vicinissimo  (2),  le  quali 
contengono  la  cronaca;  restano  da  ultimo  altre  tre  bian- 
che; la  legatura  può  risalire  alla  metà  del  secolo  xix.  Il  ms. 
probabilmente  appartiene  allo  scorcio  del  secolo  xv  (3), 
in  nessun  modo  certo  potrebbe  esser  riferito  ad  età  più 
tarda  del  primo  quarto  del  xvi.  La  scrittura  è  chiara  e 
di  facile  lettura,  solo  talvolta  v'  è  qualche  incertezza  nelle 
sigle,  specialmente  delle  vocali  finali,  usando  lo  scrittore 
le  stesse  per  indicare  e  ed  i  (4).  Il  Cristofori  credette 
che  esso  fosse  originale  (5)  ;  V  Hùber  lo  dice  :   «  tutto  di 


(i)  Al  tempo  della  trascrizione  del  Ficker  aveva  solo  la  segna- 
tura in  parentesi;  il  Cristofori,  p.  261,  sbaglia  perfino  in  questo, 
dicendo  il  codice  segnato:  7  .  (VII) .  B  .  23. 

(2)  Infatti  nel  1853,  quando  trascrisse  il  Ficker,  non  lo  erano 
ancora.  Cf.  Huber,  op.  cit.  prefaz.  p.  xlix. 

(5)  L' Hùber  ne  tace;  il  Ciampi  (p.  xxxv)  conviene  con  me; 
il  catalogo  dell'  Angelica  lo  dice  del  xvi  in.  La  filigrana  della  carta 
ha  la  forma  di  una  bilancia  simile  alla  4^  varietà  indicata  dal  Briq.uet, 
Les  papiers  des  archives  de  Géiies  et  kitrs  filìgranes  in  Atti  della  Soc.  lig. 
di  st.  patr,  XLX,  330  e  fig.  24  e  assegnata  all'a.  1404.  La  bilancia  a 
piatti  tondi  e  piccoli,  come  la  nostra,  fu  in  uso  a  Fabriano  del  1575- 
1560,  specialmente  nei  tempi  più  antichi;  ibidem. 

(4)  Cf.  HiJBER,  op.  cit.  prefaz.  ultime  parole. 

(5)  Prefaz.  p.  266. 


2\6  T.  Bifidi 

«  una  medesima  mano  di  un  copista  colle  correzioni  se- 
«  condo  un  manoscritto  »  (i).  H  certo  la  ragione  sta  dalla 
parte  dell'  Hùber.  Invero,  oltre  le  correzioni  numerosis- 
sime marginali  ed  interlineari,  tutte  di  altra  mano,  seb- 
bene coeva,  parecchie  e  più  gravi  cause  mi  spingono  a 
crederlo  una  copia 

Spesso  a  brevissima  distanza  uno  stesso  nome  di  per- 
sona o  di  luogo  è  scritto  diversamente.  Cosi  una  stessa 
torre  è  detta  a  e.  io,  r.  26  «  Beccala  »  ;  a  e.  11  b,  r.  27 
«  Beceta  »,  e  negli  stessi  luoghi  il  proprietario  di  essa 
torre  è  detto  una  volta  «  Bartolomeo  di  Ponzo  »,  1'  altra 
«di  Panza».  Nelle  ce.  io,  11,  12  ripetutamente  si  trova 
un  solo  nome  in  tre  forme,  «  Cocco,  Coccio,  Coccho  »; 
a  e.  54  B  «  Gran,  Gian,  lan  todesco  »,  e  cosi  in  mille 
altri  siti.  Nella  e.  23  b,  come  altrove  accennammo,  s'  in- 
terrompe la  narrazione  della  rotta  dei  gentiluomini  di  Vi- 
terbo per  opera  di  Pietro  della  Valle  (1281)  e  si  rimanda 
a  carta  41  per  il  seguito;  invece  esso  si  trova  a  carta  '^^. 
Anzi  qui  stesso  si  dice  di  continuare  ciò  che  si  era  in- 
cominciato a  dire  a  carta  28,  mentre,  come  vedemmo, 
r  inizio  del  racconto  si  trova  a  carta  25.  E  da  questo 
luogo  ci  è  porto  un  altro  validissimo  argomento.  L'autore 
avendo  terminato  a  e.  ^^  coU'anno  1394  la  narrazione 
derivata  da  maestro  Girolamo  e  da  Cola  di  Covelluzzo, 
prima  di  passare  ai  ricordi  orali  del  Perella  e  ai  suoi  propri, 
vuol  adempiere  alla  promessa  fatta  sotto  l'anno  1281  (e.  23) 
e  scrive  :  «  Per  cascione  io  non  ho  facta  mentione  d'  una 
«  grande  rissa  che  fu  facta  in  Viterbo  nel  anni  di  Dio  1281, 
«  come  comenza  in  questo  volume  a  foli  28,  la  quale  qui 
«  presso  stendarò  partitamentc;  nel  tempo  di  papa  Mar- 
«  tino  quarto,  el  quale  fu  facto  in  Viterbo,  nota  che  es- 
ce sendo  Viterbo  ricco  et  di  grande  stato,  come  dice  nel 
«  dicto  foglio,  di  bello  et  grande  contado,  et  molti  gentili 

(i)  Loc.  cit. 


Le  croniche  dì  Viterbo  217 

«  hoQiini  &c.  ».  Ora  il  correttore  non  comprendendo  come 
la  frase  «  io  non  ho  facta  mentione  »,  dipendesse  da  «  per 
e  cascione  »,  la  cancellò  (sotto  la  cancellatura  chiarissima 
si  legye)  e  la  pose  invece  dopo  le  parole:  a  el  quale  fu 
«  facto  in  \'iterbo  »,  facendo  acquistare  in  tal  modo  al 
periodo  il  senso  che  ognuno  può  da  sé  vedere.  Tal  cor- 
rezione, che  e  della  solita  mano,  non  avrebbe  potuto  ve- 
nire in  mente  per  alcun  modo  all'autore,  come  difficil- 
mente, anche  per  il  loro  valore  intrinseco,  si  potrebbero 
a  lui  riferire  la  maggior  parte  delle  variazioni  introdotte 
nel  tosto  dal  revisore.  Per  lo  più  si  tratta  di  copule  («  et, 
«che»,  specialmente)  delle  quali  spesso  non  si  sentirebbe 
alcun  bisogno. 

Se  la  copia  Angelicana  venga  direttamente  dall'  auto- 
grafo, mi  pare  quasi  impossibile  stabilirlo:  però,  qualora 
si  ponga  mente  che  1'  amore  di  fedeltà  non  permise  all'  a- 
manuense  la  restituzione  dell'ordine,  neppure  quando  l'au- 
tore gliela  suggeriva,  inclinerei  a  crederlo,  o  almeno  a 
ritenere  che  di  questa  copia  ci  si  possa  servire  con  grande 
fiducia. 

Il  canonico  Luca  Ceccotti  trascrisse,  come  fu  detto,  il 
nostro  codice;  e  la  sua  copia,  discretamente  fedele,  è  con- 
servata fra  le  sue  carte  nell'archivio  Comunale  di  Viterbo; 
però  anche  in  essa  manca  il  Lamento  di  Lancillotto. 

Delle  varie  edizioni  fecero  uso  come  fonte,  oltre  gli 
studiosi  locali  (i),  specialmente  il  Winkelmann  ne'  suoi 
lavori  sopra  Federico  II  e  il  Valois  nella  storia  del  grande 
scisma  d'  Occidente  (2). 


(i)  Cf.  Pinzi  nella  sua  Storia  di  Viterbo,  voi.  II,  Roma,  Camera 
dei  deputati,  1889;  voi.  Ili,  Viterbo,  Agnesotti,  1899. 

(2)  Winkelmann,  Kaiser  Friedrich  II,  Leipzig,  Duncker  und 
Humhlot,  1889;  Kaiser  Friedrichs  II  Kampf  tini  Viterbo  nella  Miscel- 
lanea in  onore  di  G.  Waitz,  Hannover,  1886;  Valois,  Le  grande 
schisine  et  la  France,  cont.   1°  e  2°  voi.,  Paris. 


2iS  T.  Lìm'di' 


V. 


Le  norme  seguite  nell.i  stampa  del  testo,  sono  quelle 
determinate  dall'Istituto  Storico  Italiano.  Si  restituirono  le 
maiuscole  ai  nomi  propri  di  persona  o  di  luogo  e  agli 
inizi  dei  periodi,  si  soppressero  in  ogni  caso  non  consono 
alla  nostra  presente  ortografia;  si  rappresentarono  con  due 
segni  la  ii  consonante  e  la  n  vocale,  tanto  più  che  l'uso 
ne  appariva  promiscuo  ed  incerto;  si  modificò  l'interpun- 
zione assimilandola  all'uso  moderno,  solo  quando  risultasse 
necessario  alla  migliore  intelligenza  del  testo;  si  conservò 
la  grafia  del  manoscritto,  ovvero,  quando  in  casi  speciali 
si  credette  opportuno  di  recarvi  modificazioni,  se  ne  diede 
avviso  nelle  note;  delle  variazioni  introdotte  nel  testo  dal 
correttore  si  indicarono  tutte  quelle  che  non  erano  sfornite 
di  qualche  valore.  Non  parve  opportuno  di  abbondar  troppo 
di  illustrazioni  ;  per  lo  più  ci  si  accontentò  di  rimandi  bi- 
bliografici, di  correzioni  cronologiche  e  di  fatto,  di  iden- 
tificazioni personali,  di  note  topografiche:  tutto  con  voluta 
sobrietà.  Solo  parve  dover  usare  maggior  larghezza,  allora 
che  la  storia  viterbese  diventava  d'  interesse  generale,  spe- 
cialmente nel  periodo  svevo;  e  si  credette  necessario  di 
indicare  le  discrepanze  che  col  nostro  presentano  i  rac- 
conti di  Nicola  della  Tuccia  e  di  luzzo  sino  all'anno  1424, 
senza  tener  conto,  s'  intende,  di  quelle  sintattiche  o  gra- 
fiche, a  meno  che  non  si  trattasse  di  nomi  di  persona  o 
di  luogo. 

i\r  auguro  che  le  mie  poche  fiuiche  possano  riuscire 
di  qualche  utilità  agli  studiosi  e  ridonare  all'opera  del  frate 
quella  considerazione  che  merita,  vincendo  la  f:italità  che 
pare  1'  abbia  perseguitata. 

Roma,  26  aprile  1901. 

Pietro  Ecidi. 


T^c  cronic/ie  di  Viterbo  219 


LE  CRONICHE  DE  VITERBO 


Qui  in  questo  volume  io  frate  Francesco  di  Andrea  de  (i)  la  città 
de  Viterbo,  scriverò  alcuni  ricordi  antiqui,  trovati  in  certi  libri  et 
memoriale  de  antiqui  authori  e  di  Viterbesi  delli  quali  farò  mentione 
in  breve  parole,  della  novità  de  Viterbo  e  de  altri  lochi  scripti  del 
dicto  paese  de  Viterbo.  Et  comenzaremo  ad  lafet,  uno  delli  figlioli 
de  Noè,  el  quale  partendosi  da  li  soi  fratelli,  dalle  montagne  di  Ar- 
menia ove  si  posò  l'archa  nel  diluvio,  e  pigliando  la  via  verso  Europa 
nostra,  primamente  arrivò  in  Inghilterra,  e  lì  vi  edificò  Loudres  e 
Camellot  et  altre  città,  le  quale  poi  mutarno  suoi  nomi.  Poi  le  gente 
di  lui  descesero,  e  vennero  stendendosi  per  Io  paese  intorno.  Ultima- 
mente arrivorno  in  Italia,  facendo  città  e  castella,  dove  più  li  dilectava. 

Tra  questi  descendenti  di  lafet,  venne  uno  barone  chiamato  Co- 
rinto, con  una  sua  moglie,  chiamata  Electra,  bella  e  saggia;  haviva 
costui  uno  grande  tesoro  e  homini  saggi  con  lui,  et  cossi  gionse  in 
quello  paese,  dove  è  hoggi  Fiorenza,  e  li  vi  edificò  una  città  chia- 
mata Presola  Corinta,  cioè  Corinta  per  lo  suo  nome,  e  Fresola  per 
che  fu  sola  di  qua  (2). 

Trusco,  fratello  di  Corinto  predicto,  pigliò  terreno  verso  Arezzo, 
e  fé'  una    città    con  molti   altari,  perchè  lui  fu  prete  e  re    secondo 

(i)  Per  questa  parola  vedasi  l'osservazione  fatta  a  p.  215.  Il 
frate  adopera  promiscuamente  di  e  de  ;  più  spesso  però  scrive  cf .  che 
io  risolvo  sempre  con  de.  per  analogia  con  c%  =  che  e  con  le  parole 
polisillabe  Jvesse,  Jctero,  Silo  ,  Jlla  ;  solo  sciolgo  Jcto  in  dicto  perchè 
questa  forma  è  a  dismisura  in  prevalenza  allorché  la  parola  è  scritta 
per  intero.  La  stessa  incertezza  è  in  5',  si  o  se  che  io  sciolgo,  pure  per 
analogia  alle  forme  integre,  in  se.  Incerta  è  pure  la  finale  Ij  =  ti  e  te; 
ordinariamente  la  risolvo  in  te,  finale  spesso  adoperata  anche  ora 
in  vernacolo  pel  plurale. 

(2)  Secondo  Fazio  degli  Uberti  {Dittamondo,  III,  7),  Fiesole 
fu  fondata  da  Atlante  : 

Fiesola  nominolla  perchè  sola 
Prima  si  vide  per  queste  contrade, 

e  già  prima  la  stessa  spiegazione  aveva  data  G.  Villani,  Storie,  I,  7. 


220  'P.  Egidi 


la  legge  de  gintili,   e   fella    ad   honore  di  tutti  li  loro  dei,  e  poseli 
nome  la  Città  Toscana;  poi  fu  chiamata  Eurelia,  poi  fu  dieta  Arezzo, 
cioè  città  de  molti  altari, 
e.  I  n  Un  altro  barone  chiamato  Sutro,  parente  di  Corinto,  fece  ||  un'al- 

tra città  per  lui  dieta  Sutro,  e  poi  Saturno  la  fé'  migliore. 

Un  altro  barone  parente  di  Corinto,  chiamato  Italon,  con  uno 
suo  fratello,  chiamato  laseo,  capitando  nel  Patrimonio  nel  dicto  paese 
de  Viterbo,  per  li  molti  acasamenti  che  vi  stavano,  si  chiamava  el 
Cayro  della  Grecia  grande,  ferono  dui  città,  l'una  chiamata  Sorena 
presso  al  BuUicame  di  Viterbo,  e  un'altra  chiamata  Civita  Mu- 
serna  (i),  e  altri  palazzi  e  casamenti  nel  dicto  paese;  poi  edifi- 
corno  in  Campagna  molte  città  e  castella,  et  allagorsi  (2)  assai  in 
Italia;  per  lo  quale  Italia  fu  poi  nominata,  come  ancora  si  chiama. 

Hora  le  diete  due  città,  Sorena  e  Muserna,  muhiplicarno  assai  in 
populi,  e  in  spacio  di  tempo  guerreggiaro  insieme  in  modo  che  si 
dcsferno  l'una  e  l'altra  tra  loro  da  li  fondamente. 

In  quel  tempo  capitò  nel  dicto  paese  uno  valente  homo,  chia- 
mato Hercule,  figliolo  de  Amphitrione  e  di  Almena  di  Grecia,  dn 
poi  che  hebbe  morto  lo  re  Girione  de  Spagna;  e  vedendo  el  bel  paese, 
e  le  terre  disfatte  senza  habitatìone  di  genti,  e  tutto  el  paese  disolato, 
per  la  pietà  che  li  venne,  edificò  li  uno  bel  castello,  al  quale  non 
volse  mutare  nome,  si  non  che'l  fé'  chiamare  el  castello  di  Hercule,  e 
per  lo  amor  che  lui  li  portava,  li  donò  per  insegna  e  per  arme  el 
lione,  imperhò  lui  sempre  el  portava  adesso  uno  corio  de  leone,  per 
uno  che  ne  uccise  per  sua  vigoria.  Poi  se  n'andò  ad  quel  loco  dove 


(i)  Dei  Sorrinensi  abbiamo  notizia  nel  Liher  colonìantm  e  nelle 
iscrizioni  3010,  5012  del  voi.  XI,  par.  i,  del  C.  J.  L.  edito  dal  Bormann  ; 
li  troviamo  poi  coll'aggiunta  di  «  Novenses  »  nelle  iscrizioni  3009,"30i4. 
«  Surrena  Nova  »  fu  dal  Mariani  {De  Ethruriae  metr.  &c.  p.  429,  n.  566) 
posta  a  Soriano,  dall' Orioli  {Viterbo  e  il  suo  territorio,  p.  6  sg.)  sul 
colledi  Riello,  trasportando  sul  colle  del  Duomo  la  vecchia  Surrena. 

Il  Bormann  (op.  cit.  p.  454)  non  sa  decidersi,  solo  ritiene  siano 
da  identificare  i  «  Sorrinenscs  »  coi  Subertani  che  Plinio  (X,  3,  52) 
pone  in  Etruria  e  Tolomeo  (III,  i,  43)  tra  i  Votrinii  e  i  Ferentesi, 
di  cui  parla  anche  Livio  (XXVI,  23,  5  ad  a.  543).  Il  Ciampi  (Croii. 
e  stat.  p.  277)  ed  il  Pinzi  (Si.  di  Vit.  I,  8)  ne  parlano  fugacemente 
accettando  l'opinione  dell'Orioli.  Anche  di  Muserna  cercò  1' Orioli 
il  sito  (op.  cit.  in  Giorn.  Arcad.  CLXIII,  113)  nel  «  Mons  Arminii  »  ; 
ma  è  una  semplice  congettura. 

(2)  Che  sia  «  allargorsi  »  ? 


Le  croìiicìic  di   Viterbo  221 


ó  hoggi  Roma  e  li  uccise  Cacco  nel  monte  Aventino,  e  fc'  la  città 
Valeria  ove  è  Capidoglio  (i). 

Era  el  ciicto  castello  de  Hercule  (2)  grande  e  bello,  posto  tra  e.  2  a 
doi  valloni  et  rilevato  in  uno  poggio,  con  ripe  dintorno,  et  haviva  uno 
bel  borgo,  per  lo  quale  albergavano  tutti  quelli  che  volevano  andare  in 
campagnia,  et  cusì  se  mantenne  in  prosperità  in  sino  che  Roma  fu 
edificata;  et  dapoi  che  (3)  Christo  incarnò  nella  vergine  Maria,  havendo 
li  terrazani  pigliato  la  fede  del  bactisimo,  ferno  lì  una  chiesa  la  quale 
hoggi  si  cliiaraa  Sancta  Maria  della  Celia,  poi  ferno  un'altra  chiesa 
fore  del  castello,  nella  strada  romana,  la  quale  hoggi  si  chiama  San- 
cto  Pietro  de  l'Olmo. 

Essendo  Roma  grande  e  magna,  cercamo  li  Romani  sottomettere 
dicto  castello,  e  non  possendolo  bavere,  li  ferno  una  bastia  in  quello 
loco,  ove  hoggi  sta  la  chiesa  de  Sancto  Sixto  (4). 

Anno  Domini  1080.  Fu  facta  la  chiesa  di  Sancta  Maria  Nova  de 
Viterbo  (5),    presso   al    borgo   della  pieve  de  Sancto  Piero;  e  durò 

(i)  Di  questa  venuta  parla  anche  il  primo  dei  mitografi  editi  dnl 
ìMai  {Classkor.  auct.  Ili,  n.  54)  e  ne  favoleggia  Annio  (Quaest.  XXIX). 
Un'  altra  tradizione,  avvalorata  da  un  frammento  d' iscrizione  che  si 
narra  ivi  scoperto  nel  xvi  secolo,  dice  che  sul  colle  del  Duomo 
fosse  un  tempio  di  Ercole,  sul  quale  sarebbe  stato  fabbricato  il  ca- 
stello di  S.  Lorenzo. 

(2)  Sul  castello  che  sin  dall'ottavo  secolo  cominciò  a  chiamarsi 
Viterbo  e  sul  luogo  sottostante  vedi  il  bel  capitolo  della  topografia  di 
Viterbo  del  Pinzi  (Ospiti  medioevuli  e  l'Osp.  Grandi  di  Vilerbo,  Viterbo, 
1893,  p.  2)  sg.)  che  insieme  col  cap.  vii  sono  quel  che  di  meglio 
si  scrisse  finora  della  topografia  viterbese  e  riempiono  la  lacuna  che 
appariva  cosi  patente  nel  voi.  I  della  Storia  di  Vii.  del  medesimo 
autore.  Su  le  chiese  di  S.  Maria  della  Celia  e  di  S.  Pietro  dell'Olmo 
V.  pure  Pinzi,  OspiTJ  inedioevaìi  cit.  p.  26,  nota  5,  e  p.  29,  nota  i,  e 
Ciampi,  p.  279  sg. 

(3)  «  et  dapoi  che  »  su  rasura. 

(4)  Il  Ciampi  (p.  279)  crede  questa  bastia  probabilmente  del  tempo 
delle  guerre  tra  Enrico  IV  e  Gregorio  VII,  tenendo  Viterbo  per  questo 
e  per  Matilde  di  Canossa.  Il  Pinzi,  e  più  ragionevolmente  a  me  pare, 
la  ritiene  un  fortilizio  innalzato  da  quei  del  vico  Quinzano,  situato 
appunto  presso  S.  Sisto,  per  loro  difesa  (Ospiii  tnedioevali  &.c.  p.  51  sg. 
e  note). 

(5)  Su  questa  chiesa  vedi  la  monografia  del  dott.  Tito  Ecidi 
nella  Rosa,  Slrmna  viterbese  per  V  anno  iSS),  p.  50.  V.  pure  Pinzi, 
Storia  di   Vit.  I,  98  sg.  e  note;  Ospiti  viedioevali  &c.  p.  58  sg.  L'Orioli 


222  y.    Egi<.ii 


la  Jicta  bastia,  in  sino  ad  uno  tempo  clic  Arezzo  fu  scarcato  lia 
Romani  col  braccio  dello  imperadorc  Arrigo  terzo  nell'anni  Do- 
mini 1084  ;  per  la  qual  cosa  li  Arezini  che  facevano  continuamente 
guerra  ad  Roma,  si  redusscro  al  castello  de  Ercule  et  per  forza  pi- 
gliamo la  bastia  de  Romani,  et  edificamo  sopra  al  dicto  castello  doi 
borghi,  l'uno  per  la  strada  romana  verso  Sancto  Pietro  dell'Olmo,  l'altro 
per  la  vìa  che  va  da  una  chiesa  chiamata  Sancto  Peregrino,  e  chia- 
masi el  Borgo  longo,  che  già  erano  incominciate.  Poi  multiplicarno 
populi  assai  nel  decto  loco,  e  ferno  assai  torri  per  difendarsi  da  Ro- 
mani ;  tra  le  quale  gente  ci  fumo  assai  cettadini  de  Tivoli  in  quel 
tempo  inimici  de  Romani,  secondo  dice  uno  valente  homo  chiamato 
Lanzellotto,  che  dice  come  el  dicto  castello  fu  poi  chiamato  Viterbo, 


e  dice  : 

2   B  Qui  cupit  acerbi  cognoscere    gesta    Viterbi, 

AuJiat  absque  mora,  quid  liber  iste  sonat  ; 
Quem    Lanzillocius   scripsit,  cui  prisca  tulere 
Antiqui  facta,  quae  bene  seda  fcccre. 
Anno  sub  millesimo  atque  bicenteno 
lunto  quaternario  soli  quatrageno 
Quo  dejcendit  dominus  munJo  sorde  pieno, 
Erigens  de  stercore  pauperem  de  ceno. 
Tunc  prefatus  aurifex,  eiusdem  civitatis 
Civis,  facta  condidit  illius  probitaiis. 
Hiis  tnetris  et  ritimis  ciiìque  nosse  datur 
Huius  libri  tilulus  et  qui  in  ipso  fatur  (i). 

In  quel  tempo  vennero  ad  Viterbo  grande  quantità  de  Lombardi, 
homini  nobilissimi  et  gagliardi  e  sagi,  et  edilìcorno  una  strada  del 
dicto  castello  insino  alla  porta  di  Sonsa  (2),  et  impopularo  tra  li  dicti 


parlò  della  fondazione  neir^//n<m  romano,  XIII,  350  sg.  e  poi  nel 
Giorn.  Arcad.  CXXXVII,  179,  pubblicando  la  pergamena  ed  il  marmo 
relativo  alla  istituzione  dell'ospedale  annesso  alla  chiesa,  ambedue 
del  1080.  Il  Ciampi  li  ripetè  a  p.  281.  Tali  pubblicazioni  non  sono 
intieramente  esatte,  non  credo  però  opportuno  ripeterle  qui. 

(i)  Orioli  propende  a  leggere  «  pravitatis  »  nel  verso  io.  Nel 
v.  4  il  nis.  ha  «  ferunt  «;  non  mi  pare  difficile  che  debba  correggersi 
«  fecerunt»  e  meglio  «  fecere  »  pel  senso  e  per  la  rima.  I  due  ultimi 
versi  nel  ms.  suonano: 

Hiis  metus  et  ritinus  cuique  noxe  datum 
Huius  liber  titulus  et  qui  in  ipso  fatur. 

(2)  V.  Ciampi,  p.  290  sg.  Da  notare  la  nuova  e  probabilissima 
opinione  del  Pinzi  {Ospi\i  medioevali  &c.  p.  70)  sulla  posizione  del 
«  castrum  Sunsae».  Intorno  alla  venuta   di  questi  Lombardi,  come 


Le  croniche  di   Viterbo  225 


borghi  di  case  e  ili  fanieglie.  Valeva  in  quel  tempo  el  mesale  del 
grano  soldi  .ini.,  la  soma  de  l'orzo  denari  .xxvni.,  la  soma  della  spelta 
denari  .xxii.,  la  soma  de  cici  e  di  fave  soldi  .1111.,  cento  fiche  per  uno 
denaro. 

Fu  chiusa  da  muri  nel  1095.  Fu  la  dieta  città  hedificata  sotto 
el  pianeta  di  Marte,  activa  e  passiva;  el  circuito  suo  era  cinque  milia 
quattrocento  trentaquattro  passi,  comenzando  alla  porta  di  Sonsa,  e 
sequendo  canto  el  fossato  et  girando  intorno,  senza  ci  piano  di  Scar- 
lano  et  el  piano  di  Santo  Fustino,  che  non  erano  habitati  salvo  che 
nel  piano  di  Santo  Fustino  era  uno  castello  chiamato  el  caste!  di 
Santo  Angelo,  ove  sta  Santo  Pietro  della  Rocha.  El  fondatore  fu  Ra- 
nieri Muntio  (i)  e  Pietro,  per  Io  comandamento  del  consulo  con 
voluntà  di  tutto  el  populo,  anno  Domini  1095,  tempore  Enricus  quin- 
tus  .V.  imperatori  (2;,  nel  tempo  di  papa    Pascale  secondo  toscano. 

In  quel  tempo  fumo  |j  molte  battaglie  con  le  terre  dintorno,  e  e.  5  .-v 
sempre  erano  vencitori;  et  la  cagione  si  era  che  loro  havevano  uno 
altare  viareccio  clie  in  ogni  guerra  che  lo  portavano,  erano  vincenti 
per  la  virtù  che  Dio  li  aveva  posto  in  quello  altare;  el  quale  altare  (3) 
l'avivano  levato  dall'  isola  Mattana  ;  e  era  terra  libera  che  non  ren- 
diva  tributo  ad  persona  del  mondo,  et  durò  insino  la  venuta  de  lo 
imperadore  Federico  Barbaroscia  (4).  Capitando  el  dicto  imperadore 
alla  dieta  città  de  Viterbo,  li  fu  facto  grandissimo  honore,  e  feroli 
cortesia  di  loro  medesimi,  cioè  el  populo  de  Viterbo,  et  in  questo 
modo  fu  soctoposto  alla  sedia  imperiale;  et  dicto  Federigo  donò  al  con> 
muno  de  Viterbo  el  castello  di  Monte  Munistero,  Altecto  (5),  Sancto  lu- 
venale,  et  el  castello  di  Sancto  Archangelo.  Anche  li  donò  Vetralla 
et  la  roccha  di  Rispampani,  Luni,  Beassenzo  (6),  Mazzano,  Planzano, 
et  Castri  Lupardi,  et  fu  nel  1170;  e  nel  1172  donò  al  communo  de 
Viterbo  Giugnanello,  et  entrando   in  Viterbo  li  dede  la  sua  benidi- 


agli  allargamenti  di  Viterbo  poco  sopra  narrati  cf.  l'articolo  anonimo: 
Qui  si  conia  come  e  quando  Vitirho  si  allargasse  Scc.  in  Rosa,  Strenna 
viterbese  pel  1SS6,  p.  47  sg. 

(i)  Nicc.  DELLA  Tlccia  dice  Raniero  Munao  (p.  5). 

(2)  Cosi  nel  ms.  In  Nicc.  della  Tuccia  «  quartus  ».  Pasquale  II 
poi  fu  eletto  nel  1099. 

(3)  Postilla  della  seconda  mano  nell'  interlineo. 

(4)  Questa  venuta,  assegnata  dai  cronisti  al  11 70,  è  a  ritenersi 
avvenuta  nel   1167.  V.  Pinzi,  Storia  di   J'it.  I,  157;  Ciampi,  p.  298. 

(5)  Nel  ms.  «  Al  tecto  »;  evidentemente  Alteto. 

(6)  Nicc.  della  Tuccia  «  Bisenzo  ». 


2  24  ■^-   ^^8 


P.  Enidi 


lione,  et  donogli  ci  vessillo  imperiale  (i).  Poi  donò  la  decta  città  de 
Viterbo  ad  uno  suo  figliolo  chiamato  Enricho,  et  fello  acciò  che  fusse 
fondo  dotale  de  madonna  Gostanza  moglie  del  dicto  Enricho.  Poi 
dicto  imperadore  n'andò  oltramare  contra  al  gran  Soldano  del  Cairo, 
e,  da  poi  grandi  facti  che  fc',  se  annegò  in  uno  fiume  chiamato  Ferro 
in  Soria.  Fu  poi  facto  imperadore  Felice  (2). 

Io  non  ho  facto  mentione  come  in  quelli  tempi  fu  rotta  la  guerra 
tra  Viterbesi  e  Ferentisi,  e  fu  nel  1169;  ch'io  so  trasscurso  innanzi 
per  dir  la  fine  de  lo  imperadore  Federico  Barbaroscia. 

La  cosa  fu  in  questo  modo  che,  havendo  li  Ferentesi  reciputa 
una  grande  iniuria  da  Nepisini  e  volendosi  loro  vendicare,  et  non 
vedendosi  esser  sufficiente,  mandarno  ad  pregare  li  Viterbesi  che  l'aiu- 
tassero, e  cusi  li  Viterbesi  accettarne,  et  all'  ordine  per  loro  dato  li 
Viterbesi  n'  andarne  tutti  verso  Nepe,  e  quando  fumo  in  cima  del 
monte,  li  Ferentesi  gionsero  ad  Viterbo,  e  vedendo  che  non  era  ri- 
masa  persona  da  difendere,  entraro  dentro  amichevilmente,  e  miserlo 
ad  saccomando.  Per  la  qual  cosa  certe  donne  fugirno  ad  una  chiesa 
chiamata  Sancta  Christena,  che  stava  nella  valle  del  Tignoso,  e  dissero 
ad  uno  arciprete  della  chiesa  tutto  el  facto;  onde  el  dicto  prete  montò 
sopra  una  iomenta,  e  gionse  el  populo  de  Viterbo,  e  disseii  come 
Ferentesi  havevano  messo  ad  saccomando  Viterbo;  per  la  qual  cosa 
lorotornaro  indrieto  ed  andarno  per  la  costa  del  monte  di  Sancto  An- 
gelo, et  scesero  in  uno  piano  chiamato  Carraiole,  ove  s'  agionsero 
con  Ferentesi  che  n'andavano  via,  et  li  gli  ruppero,  et  uccisene  grande 
quantità,  et  riscossero  loro  robbe,  e  tornaro  ad  Viterbo, 

(i)  È  vera  questa  concessione?  Ne  dubito,  come  ne  dubitò  I'Orioli 
{Giorn.  Arcad.  CXXXVI,  120  sg.)  contro  quanto  credettero  il  Ciampi 
(p.  501)  e  il  Pinzi  (loc.  cit.),  perchè  il  diploma  di  Cristiano  di  Ma- 
gonza  del  I)  marzo  1175,  su  cui  si  basa  la  loro  persuasione,  non 
dice  se  non  che  egli  conferma  «  quecumque  serenissinnis  Romano- 
«  rum  imperator  dono  per  vexilluni  imperiale  eis  contulit  et 
«  bona  gratia  et  voluntate  eos  investivit  in  tenimentis  ipsorum  et 
«  bonis  usantiis  »,  parole  che  mi  pare  accennino  piuttosto  ad  un  segno 
di  investitura  che  ad  ahro.  Cf.  Savignoni,  L'archivio  storico  del  comune 
di  Viterbo,  n.  III.  Giusta  mi  pare  l' ipotesi  fatta  dal  Savignoni  (// 
comune  di  Velraìla  nei  secoli  xiii-xiv,  Roma,  Forzani,  if-'gy,  p.  25, 
nota  2)  che  tutte  queste  donazioni  attribuite  a  Federico  non  siano  altro 
che  l'accentramento  de'  piccoli  paesi  ghibellini  sotto  la  protezione 
della  potente  Viterbo,  allora  capo  del  partito  nella  regione. 

(2)  Curiosa  questa  leggenda  di  I-elice,  di  cui  non  so  che  esista 
altro  riscontro  fuori  de'  cronisti  viterbesi. 


Le  croniche  di  Viterbo  225 


Poi  in  quelli  tempi  li  Viterbesi  andaro  ad  offendere  ad  Cornerò, 
et  pigliarne  grande  quantità  ;  per  la  qual  cosa  li  Cornetani  ferono 
pacti  con  Viterbesi,  e  acciò  che  li  fussero  renduti  li  pregioni,  donarno 
ad  Viterbo  la  mità  del  porto  di  Corneto  in  segno  de  Victoria,  e  pu- 
sergli  nauti  Sancto  Salvestro  (i). 

Poi  li  Viterbesi  andarno  ad  offendere  la  città  di  Orbieto  al  ca- 
stello di  Maffuccio,  e  pigliaro  tanti  prescione  che  ne  impiro  tutto  ci 
castello  Ferentino  (2),  e  per  derisione  davano  trenta  Orbetani  per  uno 
cappello  de  semmola,  e  secte  per  una  serta  de  ficha  ;  e  in  questo 
modo  li  lassarno  tutti. 

Anno  Domini  11 70.  Di  lunedì  a  di  primo  de  ienaro  li  Viterbesi 
di  nocte  tempo  entrarne  per  forza  in  Ferenti,  e  pigliarne  la  mità,  e 
guastarne  fine  ad  uno  luoco  che  si  chiamava  Cercini  (3). 

Anno  Domini  1171.  Li  Ferentesi  giurarno  vassallaria  a  li  Viter- 
besi, e  pocho  durò  che  si  ribellarno;  per  la  qua!  cosa  li  Viterbesi  ii 
facevano  gran  guerra. 

Anno  Domini  1172.  Li  Viterbesi  entrarno  per  forza  nella  città  di 
Ferenti  et  tutta  la  robbarno  et  scarcarno,  et  recamo  ad  Viterbo  tutta 
la  robba  che  v'era  e  tutte  li  reliquie  de  sancti;  et  quelli  di  Ferenti 
fugiro  chi  là  e  chi  qua,  e  assai  ne  andarno  ad  habitare  in  Viterbo; 
per  la  qual  Victoria  li  Viterbesi  adgionsero  al  leone  del  comuno  la 
palma  che  era  l'arme  del  comuno  di  Ferenti  (4)  ;  et  in  quel  tempo 

(i)  Evidentemente  qui  manca  una  linea:  il  che  viene  a  confer- 
mare che  il  manoscritto  non  è  di  mano  di  frate  Francesco.  In  Nicc. 
DELLA  Tl'ccia  SÌ  dice:  «e  lì  Viterbesi  recorno  le  porte  di  S.  Pietro 
«  di  Corneto  in  segno  »  &;c.  (p.  6). 

(2)  Più  giusta  la  lezione  di  Nicc.  della  Tuccia:  «castel  (di) 
«Fiorentino»,  che  era  tra  Montefiascone  e  Celleno.  Cf.  Pinzi,  Storia 
di  Vit.  I,  173,  nota. 

(3)  Facilmente  è  il  teatro,  di  cui  anche  ora  si  vedono  rimar- 
chevoli ruderi.  Cf.  Ciampi,  p.  289,  n.  xix  ;  Orioli,  Viterbo  e  suo  ter- 
ritorio, p.  96.  Nella  regia  galleria  degli  Uffizi  di  Firenze  si  trovano 
due  disegni  di  Baldassarre  Peruzzi  che  studiano  il  teatro  in  pianta  ed 
in  alzata  e  due  altri  allo  stesso  scopo  fatti  da  Antonio  e  da  Giovanni 
Battista  Sangallo.  Indici  e  catalogìji.  III,  4i,dis,  564,  367,  491,  1300- 
1301,  1966 

(4)  Esistono  ancora  nella  chiesa  cattedrale  indumenti  sacri  (ca- 
mice, amitto,  cingolo,  stola  e  manipolo  mi  pare)  provenienti  da  Pe- 
rento e  attribuiti  al  vescovo  san  Bonifacio  (519-530),  La  prove- 
nienza è  probabile,  ma  l' attribuzione  falsa,  poiché  e  per  la  forma, 
e  per  il  taglio,  e  per  i  particolari  decorativi  specialmente  del  camice, 

Archivio  -iella  /?.  Società  romana  di  stjria  patria.  Voi.  XXI\'.        I  5 


e.  4  A 


226  V.  Eiridi 


Felice  imperadore  donò  ad  Viterbo  el  Castello  di  Piero  e  fu  in  quel 
ponto  che  hebbe  la  corona  de  lo  imperio. 

Anno  Domini  1 174.  Venne  in  Viterbo  lo  legato  del  dicto  impe- 
radore, e  fé'  l'assolutione  al  comuno  di  Viterbo  della  disfactione  di 
Ferenti  per  parte  del  dicto  Felice  (i).  Dopo  la  morte  del  dicto  Felice 
fu  clecto  imperadore  lo  dicto  Enrico  figliolo  de  Federigo  Barbaroscia, 
e  in  quel  tempo  fu  posto  per  il  dicto  imperadore  una  libertà  alla 
porta  de  Viterbo  principale,  che  stava  al  lato  ad  Sancto  Mateo  di  Sonza, 
ove  fu  posto  uno  epitaffio  che  diceva  :  «  Gottifredo  Viterbiense.  No- 
«  mine  Suaza  vocor  fulgentis  porta  Viterbi  :  est  mihi  grande  decus 
«  et  fungor  honore  perhenni  ;  omnis  enim  qui  servili  sub  lege  gra- 
«  vatur,  si  civis  meus  estiterit,  libar  deputatur.  Maximus  Enricus  cesar 
«  mihi  contulit  istud  »  (2).  , 

e  per  i  caratteri  che  in  alcuni  punti  sono  leggibili,  non  ò  dato  ri- 
salire al  di  là  del  sec.  xii.  Cf.  Grisar,  "NoU  sulla  Mostra  sacra  d'Or- 
vieto in  Kiiovo  Bollettino  d'archeologia  cristiana.,  a.  1897,  pp.  59  e  40. 
Ferentesi  si  dicono  anche  un  crocifisso  conservato  in  S.  Angelo 
in  Spata  e  la  campana  maggiore  di  S.  Sisto  (però  le  tre  di  cui  co- 
nosco l'iscrizione  appartengono  agli  anni  1256,  137),  1764).  Per  la 
distruzione  di  Perento  e  per  lo  stemma  di  Viterbo  cf.  Ciampi,  pp.  505 
e  506,  nn.  xxv,  xxvi;  Orioli,  Florilegio,  p.  7  sgg. ;  Bussi,  I,  Appen- 
dice, doc.  IV,  e  pp.  2,  58,  40;  Pinzi,  Storia  di  Vit.  I,  165,  178.  Per 
Ferento  poi  vedi  Bormann',  C  /.  L.  XI,  454;  Orioli,  Viterbo  e  il  suo 
territorio,  Append.  prima;  P.  Germano  da  S.  Stanislao,  Memorie 
archeologiche  e  critiche  sopra  gli  atti  ed  il  cimitero  di  S.  Euticio  di  Fe- 
rento, Roma,  1886;  DucHESNE,  Le  sedi  episcopali  nell'antico  ducato  di 
Roma  in  questo  Archivio,  XV,  489.  Si  noti  che  nel  Gams,  Series 
episcoporum,  la  lista  dei  vescovi  di  Ferento  è  posta  sotto  il  nome  di 
Ferentino. 

(i)  L'assoluzione  è  del  13  febbraio  1175,  come  ci  dice  il  de- 
creto emanatone  da  Cristiano  arcivescovo  di  Magonza  in  Foligno. 
Savignoni,  L'archivio  storico  del  comune  di   Vilerbo,  doc.  iv, 

(2)  Nel  ms.  subito  dopo  dal  correttore  fu  ripetuta  la  iscrizione  e 
racchiusa  da  linee  che  pare  rappresentino  una  lapide.  Anche  ora,  sopra 
il  facsimile  della  porta  di  Sonsa,  incastrato  nel  muro  di  S.  Matteo,  sta 
una  iscrizione  marmorea  in  caratteri  gotici  dello  stesso  tenore.  Ve 
ne  è  anche  altra  di  cui  vedi  Pinzi,  Storia  di  Vit.  I,  112,  nota  36  201  ; 
Bussi,  p.  loi  sg.  ;  Ciampi,  p.  308,  nn.  xxvii,  xxviii.  Nella  ripetizione 
dei  ms.  il  nome  della  porta  è,  più  rettamente,  «Sunsa».  Nella  ta- 
vola marmorea  indicata,  invece  di  «  deputatur  »  (lezione  di  tutti  i  cro- 
nisti) si  ha:  «  reputatur  ». 


Le  cronicììc  di  Viterbo 


227 


Haveva  la  dieta  città  sei  nobilita.  La  prima  che  era  libera,  et  non  e. 
rendeva  censo  a  persona.  La  seconda  che  aveva  quello  altare  viareccio 
che  in  ogni  loco  che  lo  portavano,  havivano  Victoria;  lo  dicto  altare 
lo  recamo  li  Gothi  del  paese  di  Parte,  quando  vennero  a  Ravenna, 
e  pigliamo  tutta  Italia,  e  scarcarno  Roma.  La  terza  che  havevano  una 
giovane  chiamata  Ghaliana  la  bella,  la  quale  non  trovava  pari  di 
bellezze,  e  molte  gente  venivano  da  longhi  paese  per  vederla,  tra  li 
quali  ci  venne  l'exercitu  de  Romani  che  la  volevano  per  uno  loro  si- 
gnore; e  non  possendola  havere,  misero  l'assedio  ove  stanno  le  grotte 
maltagliate,  e,  non  possendola  havere,  domandarne  che  al  manco  li 
fusse  monstrata,  e  cusi  la  viddero  sopra  el  muro  di  Saiicto  Chimento, 
ove  fumo  scarcati  tre  merli  per  recordanza  di  ciò,  e  cusi  lo  exercito 
de  Romani  se  partì,  e  tornossine  ad  Roma.  Quando  la  dieta  Galiana 
morì,  fu  messa  in  uno  bello  avello  di  marmo,  et  posto  nanti  alla 
chiesa  de  Sancto  Angelo  della  Spada,  ove  fu  scritto  uno  epitaffio  che 
diceva  in  questo  modo,  cioè  : 


Flos  et  honor  patrlae  species  pulcherrima   rerum 
Clauditur  hoc  tumulo  Galiana  decus  mulierum. 
Femina  pulcra  polos  conscendere  si  qua  meretur, 
Angelicis  manibus  hodle  Galiana  tenetur. 
Si  Veneri  non  posse  mori  natura  (l)  dedisset, 
Nec  fragilis  Galiana  mori  mundo  potuìsset. 
Anno  milleno  centeno  terque  deceno 
Bisque  quaterdeno  rosa  clauditur  inclita  celo. 
Roma  dolet  nimium,  tristatur  Tuscia  tota: 
Gloria  nostra  perit,  sunt  gaudia  cuncta  remota  : 
Miles  et  arma  silent  nimio  percussa  dolore  ; 
Organa  cum  citeris  percute  caritura  canore. 
O  si  nostra  prius  gladio  male  vita  perisset 
Q.uam  nos  morte  sua  tantus  dolor  obtinuisset  (2). 


C.    S    A 


(i)  Nel  ms.  «mori...  ira  dedisset»;  completo  con  la  lezione 
di  Niccola  della  Tuccia. 

(2)  Di  questa  leggenda  vedi  Piccarolo,  La  bella  Galiana,  leg- 
genda viterbese.  Alba,  1891.  Noto  le  correzioni  apportate  al  testo: 
V.  4:  «Angelicis»,  in  luogo  di  «Angelicus»,  seguendo  il  Ciampi 
(p.  8);  V.  6:  «Galiana»,  per  «Gallane»,  secondo  lo  stesso;  «fra- 
«  gilis»,  per  «  fragili  »  ;  il  v.  7  è  evidentemente  errato;  «  terque  »,  in 
luogo  di  «  treque  »  ;  v.  8:  «quaterdeno»,  in  luogo  di  «  quatredeno  », 
nel  ms.  prima  di  «  quatredeno  »  era  stato  scritto  «  quatrageno  »,  poi 
cancellato;  v.  io:  «perit»  sostituito  a  «petit»;  v.  11:  «nimio»,  in 
luogo  di  «  nimia  »  ;  v.  12:  «percute»  in  luogo  di  «percutit»,  evi- 
dentemente errato:  anche  «percute»  è  poco  soddisfacente;  Ciampi 


228  T.  Egìdi 


e.   5    D 


La  quarta  nobilita  che  liavesse,  fu  che  hebbe  una  donna  che  fu 
cliianiata  Anna,  che  la  niità  di  soi  capelli  erano  davi,  l'altra  mità  erano 
verdi. 

La  quinta  fu  che  hebbe  uno  cavallo  bellissimo  et  animoso  et  su- 
perbo e  più  possente  che  nisuno  altro  si  trovasse  in  quel  tempo,  e 
molte  gente  venivano  per  vederlo. 

La  sexta  fu  che  hebbe  uno  ioUaro  lo  più  nobile  che  mai  se  po- 
tesse trovare,  e  faceva  per  suoi  ingegni  cose  inextimabile  ad  crederle, 
e  haveva  nome  Frissinghello  (i). 

Hora  el  dicto  Enrico  per  havere  la  corona  dello  imperio  dal  papa 
Celestino  romano,  donò  al  dicto  papa  Viterbo  e  Toscanella,  e  in 
questo  modo  pervenne  nelle  mani  della  Chiesa  e  del  papa;  e  il  dicto 
imperadore  si  n'  andò  in  Puglia,  e  conquise  la  donna  di  Tancredi 
col  figliolo,  e  pigliò  Guglielmo  e  le  sorelle  (2). 

Ora  el  dicto  papa  Celestino  havendo  la  signoria  de  Viterbo  ri- 
confermò el  castello  di  Monte  Munistero,  et  donolli  Barbarano. 

Anno  Domini  1 180.  Papa  Innocentio  terzo  di  Campagnia  donò  al 
comuno  de  Viterbo  Castellardo  (5),  Cellari  e  Canino. 

Anno  Domini  1187.  Fu  cresciuto  Viterbo  et  facto  piano  di  Scar- 
lino  in  quel  tempo  chiamato  piano  Ascarano.  Anco  li  dicti  Viterbesi 
roppero  le  genti  de  Tancredo  de  Girardo  di  Guitto,  et  di  Romani 
nella  valle  di  Castiglione,  che  erano  tanti  che  per  ogni  Viterbese  li 
inimici  erano  diece  et  più,  et  tutti  li  misero  in  rotta. 

Poi  roppero  le  gente  de  Romani  nel  cerqueto  d'Assi;  anche  pu- 
gnarne con  Romani  dil  là  da  Sutri  et  in  quello  ferono  pace  ensieme,  et 
pocho  durò;  imperhò  che  li  Romani  andarne  per  pigliare  Orchie,  la 
qual  tenevano  li  Viterbesi,  et  quelli  della  torre  ferono  el  fiume;  per 
la  qual  cosa  li  Viterbesi  andarno  in  soccurso  et  roppero  li  Romani  et 
menarno  assai  prigioni  ad  Viterbo  ;  poi  li  lassarne  per  commanda- 
mento de  papa  Alixandro  (4). 


«  pcreunt  ))  con  senso  anche  meno  giusto,  se  non  m'inganno;  v.  14: 
nel  ms.  «  non  »,  che  sostituisco  con  «  nos  ». 

(i)  Per  questa  leggenda   vedi   Ciampi,   p.   314  sg.  ed  opere  ivi 
citate. 

(2)  Cf.  Ciampi,  p.  316,  e  n.  xxx;  Orioli,  Florilegio,  p.  80;  Pinzi, 
Storia  di  Vit.  I,  199. 

(3)  Nicc.  DELLA  Tuccia  (p.  8)  dice  Castelletto.  Landò  da  Se/.ze, 
col  nome  di  Innocenzo  III,  fu  il  quarto  antipapa  contro  Alessandro  III. 

(4)  Alessandro  era    morto  già  dal  1181.    Da  «et  quelli»  a  «li 
«  Viterbesi  »,  glossa  marginale  del  correttore. 


Le  croniche  di  Viterbo  229 


Poi  li  Viterbesi  ruppero  el  conte  Altobrandino  per  favorigiarc 
doi  cardinali,  et  cacciarlo  insino  ad  Monte  Fiascone  et  arsero  el  borgho 
di  Santo  Fiviano;  et  el  dicto  conte  s' arendè  libero  lui  et  la  robba 
sua  et  rendè  Monte  Fiascone  et  la  rocha  a  li  dicti  cardinali,  et  li  Viter- 
besi tornarno  ad  Viterbo;  per  la  qual  Victoria  el  papa  donò  ad  honore 
del  comuno  la  bandiera  colle  chiavi  corno  la  tien  per  insegna  (i). 

Anno  Domini  11 88.  Giuzzo  et  Burgognione  da  Vetralla  volivano 
rehedificare  el  castello  de  Vetralla,  et  li  Viterbesi  li  ruppero  guerra 
adesso,  acciò  che  non  si  refaccssc  (2). 

Anno  Domini  1189.  Fu  scarcato  in  tutto  Vetralla  da  Viterbesi  et 
pacificata  la  guerra. 

Anno  Domini  1 193.  Venne  Enrico  di  Calandrino  (3)  con  grande 
exercito  di  Todeschi  centra  Viterbo  et  allogiarno  in  valle  Pettinale, 
et  li  Viterbesi  l'andarno  ad  assaltare  ir.  campo  et  fumo  cacciate  in 
sino  alla  porta  di  Sonza  et  alla  porta  di  ponte  Tremulo,  et  fuUi  tolto 
el  castello  di  Sancto  Angelo  da  dicti  Todeschi  ||  et  arsero  Monte  Mu- 
nistero.  Poi  li  Viterbesi  li  derno  milli  ducati  d'argento,  et  levarsi  da  e.  6  a 
campo  et  andarono  via. 

Anno  Domini  1 196.  Fece  guerra  Finaguerra  et  Pietro  Alixandro, 
imperhò  che  el  dicto  Pietro  mise  fuoco  alla  torre  de  Finaguerra  nel 
mese  di  maggio  ;  et  in  quel  tempo  Romani  posero  campo  ad  Toscanella. 

Anno  Domini  1 197.  Li  Viterbesi  pigliamo  Marta  et  occisero  Ianni 
Macaro,  che  era  stato  gran  inimico  de  Viterbesi;  et  nel  dicto  anno  li 
Viterbesi  et  Orbetani  andarno  a  campo  ad  Acquependente  et  pigliarla 
et  donaro  la  parte  loro  ad  Orbetani. 

Anno  Domini  1199.  Li  Romani  vennero  a  campo  ad  Viterbo  et 
allogiarno  al  Risieri,  et  li  Viterbesi  li  andarno  adesso  et  combatterne 
con  loro  al  ponte  d'  Oglie  et  alla  Sala,  ad  cavallo  et  ad  piede,  et 
durò  dal  mezzo  di  insino  alla  sera  et  furci  morti  dei  cavallieri,  cioè 
Rinaldo  del  Veccia  et  Aventura.  La  sequente  mattina  li  Romani  tor- 
narne ad  Roma. 

(i)  Si  vedano  gli  scritti  indicati  a  p.  225,  nota  4. 

(2)  Cf.  Savignoni,  Il  comune  di   Vetralla  &ic.  p.  8  sg. 

(3)  Enrico  di  Pappenheim  maresciallo  imperiale,  seconde  1'  Hù- 
ber.  Il  Pi>Jzi,  ep.  cit.  I,  197,  dice  di  aver  «  forti  ragioni  »  per  ritenerle 
tutt'uno  con  il  conte  Enrico  di  Roccisburga,  che  secondo  la  cronaca 
di  Fossaneva  nel  1 186  «  fregit  securitatem  Babuco  et  terrae  Pausanae  ». 
Io  pendo  piuttosto  a  crederle  una  sola  persona  con  1'  Enrico  de  Ka- 
lendinis,  o  Kallendinis,  0  «  Calatin  maycalcus»,  di  cui  si  parla  in 
tre  documenti  (aa.  1 195-1224)  riportati  dall' Huillard-Bréholles, 
IV,  18,  588,  647. 


230  'P.  Bifidi 


Anno  Domini  1200.  Li  Romani  tornarno  a^i  hoste  in  quello  de 
Viterbo  et  scarcarno  Monte  Garofano,  el  castello  Almadiano  et  Salci; 
poi  allogiarno  apreso  ad  uno  castello  chiamato  Pitrugnano.  Et  li  Vi- 
terbesi cuprirono  una  cava,  la  quale  se  chiama  la  cava  di  Gorga,  et 
fer  la  fogliata,  che  pariva  sopra  quello  fosso  uno  bello  et  spatioso 
piano.  Poi  tutte  Torta  acquatile  da  quello  lato  allacarno  d'acqua,  per 
modo  che  tutti  erano  franchi  (i). 

Hora  li  Romani,  non  liavendo  di  ciò  advisamento,  ne  venivano 
tutti  correndo  ad  piò  et  ad  cavallo  per  dare  una  battaglia  presso  alla 
città,  della  qual  cosa  li  Viterbesi  temivano  assai.  Et  venendo  nelli 
e.  6  B  dicti  luochi  della  cava,  |l  per  lo  grande  peso  delle  gente  che  venivano 
schierate,  la  coperta  della  cava  si  sfondò  et  cadcrno  tanti  Romani 
nella  cava  che  infiniti  et  senza  numero  ne  morirno.  L'altri  che  pas- 
savano per  altri  camini,  giongendo  nelli  dicti  orti,  tutti  li  cavalli 
s'affangavano,  li  fanti  a  pie  non  ce  volevano  entrare;  per  la  qual  cosa 
li  Viterbesi  stavano  con  le  porte  serrate  et  non  volevano  che  persona 
uscisse  della  terra,  imperilo  non  sapivano  tutto  el  facto.  Erano  nella 
contrada  de  Sancto  Marcho  di  Viterbo  molti  pecorari  et  stavano  fore 
de  Viterbo,  erano  riparati  dal  muro  di  Sancta  Rosa  in  fino  al  fossato  di 
Sonsa,  et  cusi  tutti  loro  con  altri  lavoratori  clie  erano  tra  loro  (2),  fumo 
circa  cento  homine,  et  andaro  ad  vedere  queste  gente  de  Romani  et 
vedendo  li  cavalli  che  non  se  potevano  sfangare,  tutte  se  scalzarno 
et  con  le  loro  lance  longe  l'andarno  adosso;  onde  li  Viterbesi  uscirno 
tutti  fuori  de  la  porta  et  ucciserne  grande  quantità  et  guadagnarno 
robba  infinita,  et  cusi  li  Romani  si  ne  fugiron  in  sino  al  loro  allo- 
giamente;  et  questa  rotta  fu  lo  di  de  sancto  Domeniche,  et  fu  veduto 
sancto  Domenicho  in  favore  de  Viterbesi;  non  era  ancora  canonizato(3). 
Et  li  Romani  così  percossi  mandaro  per  più  gente  ad  Roma,  onde 
Viterbesi  tractaro  con  loro  pace,  con  questi  pacti  che  li  derno  la  cam- 
pana del  comuno  la  quale  loro  portarno  ad  Roma,  poserla  nei  Gam- 
pidoglio  et  poserli  nome  la  Patarina  de  Viterbo.  Anco  si  portare  la 

(i)  L' HiJBER  (p.  694)  annota:  «fanghi  oder  fangosi  mòchte  ich 
«  vermuthen  ».  Mi  pare  invece  che  «  franchi  »  voglia  intendersi  per 
sicuri.  Della  cava,  ora  detta  di  Scorga,  vedi  Pinzi,  Storia  di  Vii.  1,250, 
nota  I.  Solo  un  dubbio:  la  cava  è  verso  Salci  (via  di  ponte  Sodo  tra 
porta  Paul  e  porta  del  Garmine);  come  escono  contro  i  Romani,  che 
«  s'afTangavano  »,  i  pecorari  di  S.  Marco,  luogo  diametralmente  oppo- 
sto? La  frase  «la  quale  se  chiama  la  cava»  è  glossa  del  correttore. 

(2)  Da  «  con  altri  »  glossa  marginale  del  correttore. 

(j)  Non  era  neppur  mono;  ciò  che  avvenne  21  anni  appresso: 
fu  canonizzato  ai   13  giugno   1234. 


Le  croniche  di  Viterbo  231 


catena  et  le  cliiave  della  porta  di  Salcicchia,  le  quale  adtaccarno 
all'arco  de  Sancto  Vito  in  Roma(i),  et  anche  li  merli  fumo  scarcati 
nell'anni  1235  come  più  addirieto  trovarete.  ||  Anche  in  quel  anno  li  e.  7  a 
Romani  volivano  Vitorchiano,  et  li  Viterbesi  li  contradicevano,  et  an- 
daronli incontra  ad  darli  impedimento,  imperhò  che  speravano  haverlo 
loro.  Per  la  qual  cosa  li  Romani,  comò  tal  cosa  sintirno,  mandarno 
l'abate  di  Farfara  (2)  con  altri  compagni  per  ambasciatori  ad  Viterbesi 
et  dissero  :  «  Li  Romani  vi  pregano  che  voi  li  facciate  tanto  onore  che 
«  non  li  voliate  impedire  una  battaglia  che  voglino  dare  ad  Vitor- 
«  chiano,  et  da  quella  in  poi  vi  prometteno  non  impacciarsi  più  di  facti 
«  di  Vitorchiano,  et  lo  lasseranno  pigliare  ad  voi  senza  loro  contradi- 
«  tione  ».  Questo  odendo  li  Viterbesi,  ad  alcuni  piacque,  et  ad  alcuni 
non  piacque,  ma  furono  certi  a  piedi  (3)  che  cominciorno  addire  ver- 
gogna al  dicto  abate,  et  menarli  inanti  una  meretrice;  per  la  qual 
cosa  l'abate  vedendosi  così  villaneggiare,  irato  si  tornò  ad  li  Romani, 
et  li  Romani  si  irarno  assai  contra  Viterbesi  et  andarseni  via  et  ferno  • 
gran  guerra  insieme,  pigliando  assai  persone  l'una  parte  et  l'altra  (4). 
Anno  Domini  1201.  Li  Romani  et  Viterbesi  feron  pace  insieme 
per  le  mani  del  conte  Ranuccio  collectore  (5)  et  lassarno  li  prigioni 
r  uno  et  r  altro.  El  dicto  conte  Ranuccio  fu  el  primo  che  ordinasse 

(i)  L'arco  di  S.  Vito  è  quello  di  Gallieno:  di  queste  catene  se  ne 
vedeva  «  una  porzione  pendente  »  nel  1806.  La  «  Paterina  »  (cos"i  detta 
dai  numerosi  eretici  di  cui  Viterbo  era  nido)  stette  in  Campidoglio  sino 
alla  occupazione  francese;  allora  fu  spezzata  e  fusa;  aveva  otto  palmi 
di  diametro.  F.  Cancellieri,  Le  due  nuove  campane  di  Campidoglio 
benedette  da  Pio  VI,  Roma,  Fulgoni,  1806,  p.  37.  Per  i  paterini  tra 
noi  cf.  Tocco,  Storia  della  eresia  nel  medio  evo  ;  Rotondi,  La  pataria 
in  Milano  in  Archivio  stor.  ser.  Ili,  voi.  I,  a.  1867;  Ci.\mpi,  op.  cit. 
Append.  n,  xxxviii,  p.  324  sg.;  L.  Fumi,  Eretici  e  ribelli  neW  Umbria 
del  i^20-i}}0  su  documenti  inediti  dell'archivio  Vaticano  in  Boll,  della 
R.  Depili,  di  st.  patr.  per  V  Umbria,  III,  3. 

(2)  Nicc.  DELLA  Tuccia,  p.  11:  «  Farfa  ». 

(3)  Nicc.  DELLA  Tuccia:  «pedoni»;  luzzo:  «tristi». 

(4)  Per  queste  guerre  vedi  Pinzi,  Storia  di  Vit.  l,  221  sgg.  Da 
lui  specialmente  si  seguono  le  Gesta  Innoc.  Ili,  cap.  134,  edite  dal 
Muratori,  R.  I.  S.  Ili,  563  sg.  I  Viterbesi  ebbero  una  sconfitta,  ta- 
ciuta dai  cronisti,  addi  6  gennaio  1200(0  1 201  ?),  dopo  la  quale  sce- 
sero a  patti  e  prestarono  giuramento.  Il  testo  ce  ne  è  conservato  ed 
è  dato  in  latino  dal  Ciampi,  loc.  cit.  e  in  italiano  dal  Pinzi,  op.  cit. 
p.  232,  nota  2,  e  da  altri.  Cf.  Savignoni,  L'archivio  &c.  n.  xii. 

(5)  Nel  ms.  sta:  «  collatoe  »,  forse  per  «collatore».  Preferisco 


232  'P.  Egidi 


in  Viterbo  el  grano  che  si  vendeva,  cioè  che  fusse  rasa  la  misura 
con  la  rasoia. 

Anno  Domini  1202.  Ianni  Cocco  et  Pietro  de  Forteguerra  et 
Pietro  de  Polo  con  molte  Viterbesi  roppero  li  Cornctani  sopra  Mon- 
talto  et  pigliarne  gran  quantità. 

Anno   Domini   1204.    Forteguerra  fé'  battaglia   colla  compagnia 
di  cento,  presso  la  torre  chiamata  Pretavonna. 
e.  7  B  Anno  Domini  1205.    La  granditia    de  Viterbo,  cioè  li   cittadini 

maiuri,  si  ribellarno  contra  el  comuno,  et  vennero  armati  in  fina  a 
la  piazza  de  Sancto  Silvestro,  poi  fumo  pacificati  per  mezzo  del  iudice 
del  comuno. 

Anno  Domini  1206.  Fu  fa  età  piazza  Nova,  che  prima  se  chiamava 
le  Carbonate,  e  fu  facta  la  fontana  del  Separi,  e  fu  facta  la  fontana 
di  piazza  Nova  ;  e  in  quello  anno  venne  in  Viterbo  papa  Innocentio  (i) 
et  fuUi  facto  grandissimo  honore  ;  e  il  dicto  papa  congregò  gran 
quantità  de  cittadine  viterbesi  dentro  la  chiesa  de  Sancto  Lorenzo, 
et  disse:  «  O  homine  de  Viterbo  io  non  vinne  mai  più  ad  voi,  ma 
«  io  vi  do  per  conseglio  che  più  non  ve  fidiate  de  chierica  rasa,  corno 
tf  havete  facto  de  me  »  ;  e  volse  che  molti  notarli  ne  fussero  rogati,  et 
Viterbesi  chi  ne  pigliò  sospecto  e  chi  non  se  ne  curò. 

Anno  Domini  1207.  Li  Romani  si  pusero  in  assedio  ad  Toscha- 
nella  et  richiesero  li  Viterbesi  in  aiuto  per  posserli  (2)  pigliare  ad  tra- 
dimento, et  li  Viterbesi  accorgendosi  del  tradimento  tornarne  ad  casa 
sani  et  salvi. 

Anno  Domini  120S.  El  castello  de  Sancto  Angelo  di  Viterbo  fu 
guasto  da  Viterbesi  et  in  quello  loco  fu  facto  uno  palazzo  delli  Ala- 
manni (3). 

la  lezione  data  dal  della  Tucin.'v  (p.  13).  Il  collettore  era  come  un 
esattore  e  tesoriere. 

(i)  Si  corregga  l'anno.  Innocenzo  venne  a  Viterbo  nel  giugno 
del  1207  e  vi  stette  in  due  riprese  sino  alla  metà  di  ottobre.  Primo 
atto  suo  in  Viterbo  «  .viii.  idus  iunii  »,  ultimo  «.iv.  idus  octubris  ». 
PoTTHAST,  nn.  3 116,  3 197.  Secondo  il  De  Mas  Latrie,  Trésor  de 
cbronologie,  v'  era  già  il  3 1  maggio. 

(2)  Ms.  «  posserla»;  dalle  parole  seguenti  è  impostala  corre- 
zione. 

(3)  Nicc.  DEi.i.A  Tuccia  aggiunge:  «  e  cinsero  il  piano  di  S.  Fau- 
('  stino  »  (p.  12);  però  l'addizione  non  è  felice.  Questo  tratto  di  muro 
non  può  essere  stato  elevato  che  dopo  il  121 3  (cf.  Pinzi,  Ospiii  &c. 
p  78,  nota)  e  facilmente  nel  1215  come  dice  Francesco  a  c.  9  a. 
Il  nome  «  delli  Alamanni  »,  che    trova    raffronto    con    quello    dato 


Le  croniche  di  Viterbo  233 


Anno  Domini  1209.  Nella  festa  de  santa  Maria  una  brigata  de 
giovani  viterbesi  havivano  facta  una  compagnia,  et  chiamavasi  la 
Compagnia  della  gioia  ;  ferno  la  festa  de  1'  arbore  della  fortuna  nella 
piazza  di  Sancto  Silvestro,  et  il  dicto  papa  Innocentio  el  sequcnte  dì 
se  partì  da  Viterbo  et  andò  ad  Roma  (i)  per  la  venuta  de  Octo  di  San- 
sogna,  el  quale  Octo  fu  incoronato  imperatore  dal  dicto  papa  (2).  Et 
in  quel  tempo  li  Greci  roppero  guerra  con  li  Latini  et  tolserli  Co- 
stantinopoli che  era  del  dccto  imperatore  Octo,  con  altre  terre  din- 
torno, e  ne  fu  || facto  imperatore  Filippo  conte  di  Fiandra,  che  era  e  8  a 
inimico  de  lo  imperatore  Octo.  E  sentendo  el  dicto  Octo  la  muta- 
tione  de  Costantinopoli,  li  andò  adosso  con  le  genti  suoe  ;  per  la  qual 
cosa  el  dicto  conte  de  Fiandra  mandò  in  Lombardia,  e  decte  el  soldo 
ad  uno  capitano  viterbesi,  chiamato  per  nome  Viterbo,  e  condusselo 
ad  Costantinopoli  con  [tre]  (3)  milia  cavalli  e  2000(4)  f'>"ti  ad  pie, 
et  in  piccolo  tempo  el  dicto  Viterbo  pigliò  Octo  imperatore,  e  ruppe 
le  gente  suoe,  et  presentandolo  prigioni  nante  al  conte  Filippo,  ferno 
pace  insieme,  e  riconfirmò  1'  imperio  de  Costantinopoli  al  dicto  Fi- 
lippo, et  tornossine  el  dicto   Octo  in  Puglia. 

Poi  si  mossero  doi  gran  baroni  di  Turchia,  1'  uno  chiamato  el 
gran  Caramari,  1'  altro  el  gran  Carmiari,  et  mossero  guerra  centra 
Greci  et  contra  l' imperadore  di  Costantinopoli.  Per  la  qual  cosa  Vi- 
terbo da  la  città  di  Viterbo (s)  li  andò  adosso  con  le  gente  suoe  e  rup- 
poli,  e  occisene  assai,  onde  l' imperatore  li  pose  grande  amore,  e 
donoUi  per  moglie  una  sua  figliuola  che  più  non  n'  aveva.  Et  de  pò 


dalle  carte  «  de  Alemannia  »  al  vicino  piano  di  S.  Faustino  (Pinzi, 
op.  cit.  p.  53,  nota),  potrebbe  esser  sorto  dal  palazzo  dei  Farulfi  (i  quali 
certo  furono  d'origine  tedesca)  e  che  si  ergeva  appunto  nel  luogo 
prima  detto  castello  di  Sonsa,  poi  castello  di  S.  Angelo,  e  cioè  dove 
ora  è  la  chiesa  di  S.  Francesco  (Pinzi,  Ospi\i  Sic.  p.  70  sgg.). 

(i)  Si  veda  per  la  data  da  assegnare  a  questa  partenza  la  nota  3 
a  p.  196  del  WiNKELMANN,  P]}ilippo  volt  Schwaheu  iind  Olio  IV  von 
Braiinscl}Wiig,  II,  196.  Il  De  Mas  Latrie  fa  dimorare  il  papa  a  Vi- 
terbo fino  al  20  di  settembre;  è  difficile  poter  giungere  a  conclusioni 
sicure  mancando  i  documenti. 

(2)  Ai  4  di  ottobre.  Cf.  Winkelmann,  op.  cit.  p.  198;  Bòhmer- 
FiCKER,  Regesla  imperli,  Y ,  97,  n.  501  a. 

(3)  Nel  ms.  si  vede  appena  una  parte  della  /  perchè  la  carta 
ha  un  foro. 

(4)  Su  rasura  di  «  sei"'  ». 

())  «  da  la  città  di  Viterbo  »  glossa  del  correttore  nell' interlineo. 


234  ^-  Egidi 

Il  morte  del  dicto  imperatore  fu  electo  imperatore  el  dicto(i)  Viterbo, 
chiamato  in  latino  Vetus  Verbum,  e  in  greco  ci  chiamavano  Pa- 
lioloco,  che  tanto  viene  addire  Paloloco,  quanto  in  latino  Vetus 
Verbum,  e  cusi  de  lui  sonno  discesi  l'altri  imperatori  di  Costantino- 
poli cliiamati  della  casa  de  Paloloco  (2). 

Anno  Domini  12 io.  Octo  imperadore  venne  in  assedio  alla  città 
de  Viterbo,  e  questo  fé' per  lo  sdegno  che  pigliò  coll'ante  dicto  (5) 
capitano  ad  Costantinopoli.  Vedendo  li  Viterbesi  si  facta  cosa,  si  rin- 
forzarno  centra  el  dicto  imperatore,  e  ferno  el  muro  de  piazza  Nova 
in  fme  Sancto  Chimento  socto  el  castel  de  Hcrculc,  e  continuamente 
uscivano  fuore  ad  guerreggiare  con  le  gente  de  lo  imperadore.  Et 
in  spatio  de  molte  di  lo  imperatore,  vedendo  non  possere  havere  Vi- 
terbo, andò  campigiando  da  contrada  in  contrada,  et  guastò  tutti  li 
beni  che  erano  di  fore  alla  dieta  città  de  Viterbo;  poi  se  partì,  e 
e.  8  B  andò  in  assedio  ad  ];  Roccha  Altia  nclli  monti  de  Viterbo,  e  in  poche 
di  la  pigliò;  poi  pose  l'assedio  ad  Mugnano  e  similmente  el  pigliò; 
et  con  queste  victorie  se  n'andò  ad  Monte  Fiascone,  continua  guerra 
ad  Viterbo  (4).  Li  Viterbesi  se  n'  andare  ad  dare  battaglia  ad  Roccha 
Altia  et  pigliarla  per  [forjza,  e  pigliamo  assai  di  quelli  de  lo  impe- 
ratore. Per  la  qual  cosa  l' imperadore  con  le  gente  suoe  andò  ad 
Roccha  Altia  per  pigliari  li  Viterbesi,  e  fu  facta  una  gran  battagl'a 
intra  loro,  per  modo  che  lo  imperatore  se  parti  senza  guadagnar 
niente,  et  tornò  ad  Monte  Fiascone  et  mandò  le  gente  suoe  ad  Mu- 
gnano e  ad  Vetralla  et  alla  Roccha  del  Veccia,  et  facevano  guerra 


(i)  «  el  dicto  »  glossa  marginale  del  correttore. 

(2)  Si  veda  quanto  scrissi  Intorno  ad  una  leggenda  viterbese  sul- 
Vorigine  dei  Pukologi  in  Archivio  della  R.  Soc.  roni.  di  storia  patria, 
XXII,  539  sgg. 

(j)  Nel  testo:  «  collant;  dicto  »;  evidentemente  deve  intendersi: 
ff  coir  ante  dicto  »  &c.  L'  Huber  legge  :  «  collante  »  e  aggiunge  :  «  die 
«  lesung  sehr  unsicher...  Wahrschcinlich  ist  cs  ein  Eigenname  »  ! 
(p.  697).  Il  Cristofori  (p  24)  legge:  «coll'altro».  Nicc.  della 
Tuccia  dice:  «contro».  In  un  catalogo  di  pontefici,  di  fattura  viter- 
bese, scritto  nel  sec.  xin,  inserito  nel  Memoria  saeculorum  di  GoTi- 
FREDO  Viterbese  trovo:  «Reverso  Rome,  prefatum  Ottonem  apud 
«  Beati  Petri  basilicam  coronavit  mens.  oct.  5  die  intrante;  alio  anno 
«  venit  in  obsidionem  Viterbi»;  Mon.  Germ    Hist.  Script.  XXII,  352. 

(4)  Cosi  il  ms.  Il  Cristofori  inserisce  un:  «facendo»,  senza 
darne  avviso  (p.  25).  Nicc.  della  Tuccia  (p.  13):  «facendo  far 
«  guerra  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  255 


a  Viterbo (i)  :  li  Viterbesi  andarne  alla  Roccha  del  Veccia,  e  ruppero 
le  gente  de  lo  imperatore,  e  pigliamo  la  dieta  roccha.  Poi  se  mossero 
con  tutto  el  loro  sforzo  e  andaro  ad  Monte  Fiascone,  e  alio  impera- 
tore, et  ricacciamo  li  inimici  et  cacciarli  per  forza  dentro  la  porta  (2). 

Anno  Domini  121 1.  Fu  grande  mortalità;  et  li  Viterbesi  andaro 
contra  la  Tolfa,  e  loro  si  renderò  ad  Viterbesi  et  giuraro  fedeltà,  et 
Gliezu,  che  n'era  stato  signore,  si  levò  armata  mano,  e  pigliò  la 
torre,  e  lui  e  li  figlioli  e  generi  e  con  li  parenti  de  Pietro  de  Nicola 
se  ne  andaro  ad  Rispanpani  ;  e  in  quel'  anno  li  Viterbesi  armata  manu 
roppero  e  destrussero  el  marchese  che  era  stato  mandato  dal  re  Fe- 
derico, et  cacciarlo  da  Monte  Fiascone  in  sino  ad  Galiano  (3), 

Anno  Domini  121 3.  Li  Toscanesi  pigliato  doi  Viterbesi,  et  fe- 
rirli sconciamente,  e  cusi  ferite  li  mandaro  ad  Viterbo.  Per  la  qual 
cosa  li  Viterbesi  tutti  si  mossero  ad  arme  et  andarno  contra  Tosca- 
nella,  e  pigliamo  grandissima  quantità  de  pregioni  e  tutti  li  menaro 
legati  alle  code  de  castrone  (4)  che  1'  avevano  tolte  de  preda,  e  molti 
ne  ferirno  quando  glie  pigliaro. 

Anno  Domini  1214.  Guito  figliolo  de  Guitto  faceva  gran  guerra    e.  9  a 
alli  Viterbesi,  per  che  li  havivano  morto  el  padre,  e  cavalcava  per 
Valcena  e  per  altre  contrade  (5). 

Anno  Domini  1215.  Fu  facto  el  muro  sopra  la  porta  di  Buove 
et  il  circuito  et  el  piano  di  Sancto  Fustino,  che  era  habitato  da  molte 
Ferentesi  (6);  e  in  quel  anno  andaro  li  Viterbesi  per  pigliare  Bisenzo, 

(i)  L'  ultima  frase  è  su  rasura,  di  mano  del  correttore. 

(2)  Di  questi  avvenimenti  non  abbiamo  altra  notizia,  oltre  queste 
delle  croniche  viterbesi,  fuorché  in  un  atto  di  Ottone  emanato  «  ante 
«  Viterbium  in  castris  »  ai  16  di  settembre,  il  quale  ci  permette  di 
fissarne  la  data  approssimativa.  Bòhmer-Ficker,  op.  cit.  n.  439.  Cf. 

WiNKELMANN,    Op.    cit.    II,    259  Sgg. 

(3)  Questa  notizia  non  ha  riscontri  ed  è  almeno  inverosimile. 

Cf.    WiNKELMANN,  Op.   cit.   II,   319,  7. 

(4)  Nicc    DELLA  Tuccia  (p.  14):  «alle  corna  delle  castroni». 

(5)  Questo  Guitto  (non  «  Gioto  di  Giunto  »  come  scrisse  il  Bussi, 
Storia  &c.  p.  185)  è  facilmente  della  famiglia  de'  conti  di  Bisenzo. 
Cf.  Savignoni,  //  comune  di  Vetralla  nei  secoli  xii-xv.  «  Valcena  », 
secondo  il  Ceccotti  (postilla  alla  sua  copia  della  cronaca  di  fra  Fran- 
cesco d'Andrea,  p.  13),  sarebbe  la  contrada  ora  detta  «  Belceno  » 
ove  si  vedono  rovine  e  sepolcri.  Forse  «  Valtena  »,  tra  Montefiascone 
e  Toscanella. 

(6)  Il  Pinzi  (Ospi'^i  &c.  p.  78,  nota),  crede  che  il  cronista  an- 
ticipi di  qualche  anno  e  che  ancora  in  quest'epoca  il  muro,  spicca- 


236  T.  Egidi 


e  loro  niandaro  per  li  Orbetani,  e  dectersi  a  loro.  Per  la  qual  cosa 
li  Viterbesi  tornarno  ad  casa  senza  posscrlo  bavere;  poi  li  Viterbesi 
andarno  contra  Ocapalica  (i),  e  pigliamo  Giordano  soprano. 

Anno  Domini  1216.  Fu  facto  tra  li  consoli  el  Tignoso  per  Al- 
tibrandino  Galileo,  che  fu  balio  del  coniuno  de  Viterbo  (2). 

Anno  Domini  1217.  Uno  bono  homo  de  Viterbo  voleva  andare 
ad  Hierusalem  oltra  mare,  et  hebbe  in  visione  la  nocte  innante  corno 
devesse  cavare  apresso  el  bagno  do  la  Grotta  et  che  diviva  trovare 


to<;i  dalla  torre  tonda  di  S.  Lupara,  tagliata  la  odierna  piazza  della 
Trinità,  su  cui  si  apriva  la  porta  urbana  detta  Porticella,  corresse  alle 
pendici  sottostanti  a  S.  Agostino.  Queste  fino  al  ponte  Tremoli  ba- 
stavano alla  difesa,  come  pure  erano  sufìicienti  pel  tratto  che  corre 
sulla  sinistra  del  fosso  dal  ponte  alla  porta  di  S.  .Maria  Maddalena; 
da  questa  al  castello  di  S.  Lorenzo  correva  un  muragliene  di  cui 
ancora  adesso  restano  i  ruderi  ;  poi  la  sicurezza  era  affidata  agli  sco- 
scesi fianchi  del  colle  su  cui  sorgeva  il  castello,  sino  all'estremità 
verso  ponente,  ove  le  mura  ricominciavano  di  là  da  porta  di  Valle 
per  girare  tutto  intorno  a  sud  e  a  levante  della  città  seguendo  presso 
a  poco  il  tracciato  odierno.  Il  tratto  che  andando  sino  a  Torre  di  Bove 
racchiude  il  piano  della  Trinità,  secondo  il  suo  pensiero,  sarebbe 
stato  eretto  più  tardi.  Io  però  mi  sentirei  attratto  a  prestar  fede  al  cro- 
nist.T,  anche  perchè  appunto  nel  1215  era  podestà  di  Viterbo  «Bovo 
«  Oddonis  Bovonis  »,  dal  quale  con  molta  verosimiglianza  potrebbero 
aver  preso  il  nome  la  nuova  porta  e  la  sua  torre.  Cf.  Signorelli, 
I  podestà  nel  comune  di  Viterbo,  p.  345,  in  Sludi  e  documenti  di  storia 
e  diritto,  a.  1894.  Completamente  aperta  ed  indifesa  rimaneva  cosi 
la  grande  valle  di  Paul,  che  si  spingeva  tra  le  due  ali  estreme  della 
città  (porta  di  Bove  a  nord  e  porta  di  Valle  ad  ovest)  sino  a  battere, 
contro  le  ripe  del  castello,  il  muro  e  la  porta  di  S.  Maria  Madda- 
lena da  un  lato,  e  dall'  altro  contro  le  ripe  che  fiancheggiano  il  fosso, 
un-te  dal  ponte  Tremoli. 

(i)  Nicc.  DELL.\  Tuccia:  «  Capranica  e  pigliorno  il  signore  che 
«si  chiamava  Giordano  Soprano»  (p.  14).  Niccola  si  dilunga  intorno 
alle  mura,  cosa  naturale  in  lui,  che  si  spesso  fu  provveditore  del 
comune  per  la  loro  conservazione. 

(2)  Qui  manca  qualche  parola.  Nicc.  della  TccciAdice:  «fu 
«facto  guerra».  Sarà  la  frase  giusta?  Il  Pinzi  lo  segue  (op.  cit. 
p.  268).  A  me  pare  invece  che  si  debba  intendere:  «  fu  fatta  pace  », 
per  intervento  di  Altlbrandino  Galileo.  L'Hìjbeu  sottintende:  «  ac- 
«  cordo  »  (p.  698). 


Le  croniche  di  Mterbo  i^j 


un  gran  thesoro.  La  qual  visione  notificò  alli  consuli,  e  tutto  el  pa- 
paia andare  con  la  croce  innanti,  e  con  la  processione,  e  cavarno 
in  quel  loco,  et  trovarno  1'  acqua  calda  assai  virtuosa,  alla  quale  pu- 
sero  nome  l'acqua  della  Crociata  (i). 

Anno  Domini  12 18.  Si  levò  Giuvanni  de  Cocci  contra  li  consoli, 
e  fu  tra  loro  gran  battaglia;  in  fino  el  dicto  Ioanne  s' arendè,  e  fu 
comandamento  di  consoli  (2);  e  li  consoli  di  quel  anno  furon  Orlando 
di  Pietro  de  Alixandro,  e  Ugolino  Burgognione,  Acconcio  di  Ma- 
vente  et  Bramando. 

Anno  Domini  1219.  duelli  di  casa  di  Brectoni  (5)  di  Viterbo 
andaro  e  ferirò  Ioanne  di  Coccio  nanti  la  casa  sua,  per  le  qual  fe- 
rite fu  gran  battaglia  in  Viterbo,  e  morirce  assai  hominì.  Et  in  quel 
anno  li    Christiani    pigliamo    Damiata  presso  al    Cayro  di   Babella. 

Anno  Domini  1220.  Fu  potestà  el  Mosca  di  Fiorenza,  et  pigliò    e.  9  b 

(i)  Intorno  alle  sorgenti  termali  del  territorio  viterbese,  cono- 
sciute anche  da  Dante  {Inferno,  XV)  e  da  Fazio  degli  Uberti  (Dit- 
tamondo,  X),  vedi  Bussi,  Storia  della  città  di  Vit.  pp.  27-83  ;  Ciampi, 
Cronache  Sic.  Append.  p.  ^^2;  M.  Foggiale,  Mènioires  sur  les  eanx  mi- 
nérales  de  Viterie,  Paris,  Noblet,  1852;  Pinzi,  Storia  &c.  loc.  cit.  nota  i  ; 
I  principali  monumenti  di  Viterbo,  p.  140;  AtiOtilMO,  Guida  di  Viterbo, 
ivi,  Agnesotti,  1889,  p.  95  ;  M.  Alivìa,  Il  clima  nella  stagione  estiva 
e  le  sorgenti  termomitierali  di  Viterbo  (con  Proemio  storico:  Quasi  due- 
mila anni  di  memorie  sulle  terme  viterbesi,  di  C.  Pinzi),  Viterbo,  Agne- 
sotti, 1894;  F.  Cristofori,  Delle  terme  viterbesi,  Memorie  e  documenti 
inediti,  Siena,  S.  Bernardino,  1898.  La  menzione  che  Dante  fa  del 
Bullicame  ha  procurato  una  fiorita  di  pubblicazioni,  di  cui  vedi  Scar- 
tazzini,  Enciclopedia  dantesca  sotto  quel  nome.  Ad  esse  debbonsi  ag- 
giungere le  seguenti:  F.  Cristofori,  Sul  Bullicame  di  Viterbo  ricor- 
dato da  Dante,  Siena,  S.  Bernardino,  1888;  Pinzi,  Ospi:(i  &c.  p.  137, 
nota   5. 

(2)  Che  si  debba  leggere  :  «  e  fu  a  comandamento  »? 

(3)  Il  partito  guelfo  era  capitanato  in  Viterbo  dalla  famiglia  Gatti, 
detta  de'  Brettoni,  cui  tra  gli  altri  si  univano  gli  Alessandri.  Quello 
ghibellino  aveva  a  capo  i  Tignosi,  detti  Maganzesi,  a  cui  si  accosta- 
vano i  di  Cocco  o  Cocci,  i  di  Ponzo.  Le  case  dei  Gatti  erano  un  po' 
per  tutta  la  città:  a  piazza  delle  Erbe  (ora  Vittorio  Emanuele),  a 
S.  Moccichello  (via  Principe  Umberto),  a  Fontana  Grande.  Quelle 
degli  Alessandri  a  S.  Pellegrino,  e  sono  uno  dei  piìi  bei  monumenti 
medioevali  rimastici.  Quelle  de'  Tignosi  intorno  al  ponte  del  Duomo; 
quelle  de'  di  Cocco  e  dei  di  Ponzo  intorno  a  S.  Bernardino.  Cf  Pinzi, 
Storia  di  Vit.  I,  269  ;  Ospiii  &c.  p  26S. 


238  'P.  Kg  idi 


sci  della  parie  di  Brectoni,  e  sei  della  parte  de  li  figli  di  Ioanne 
Coccio  et  mandolli  confinati  a  Fiorenza;  et  in  quel  anno  li  Viterbesi 
comprarne  Cincelle(i);  et  in  quel  anno  fu  incoronato  in  Roma  Fe- 
derico secondo. 

Anno  Domini  1221.  Li  Romani  posero  l'oste  ad  Viterbo  et  al- 
logiaro  alli  Palazzi,  poi  vennero  ad  combattere  la  porta  de  Sancta  Lu- 
cia et  in  Fabule  (2),  e  fumo  cacciate,  e  tornarne  ad  Roma,  e  fu 
per  Cincelle.  Poi  li  Viterbesi  andarne  in  assedio  ad  Comete,  e  fe- 
roli  danne  assai.  Pei  si  mosse,  la  necte  del  giovedì  d'imbragaiolo  (5), 
el  figliolo  de  Ianni  Coccio  chiamato  Nicola,  et  il  Tignoso,  et  Ra- 
nuccio con  certe  Viterbesi,  e  pigliamo  Rispampani,  e  pigliamo  Pietro 
di  Nicolò  che  v'  era  signore,  e  gittarlo  nel  pozze,  acciò  che  si  ce 
morisse.  Poi  dei  suoi  amici,  uno  chiamato  Lonardo,  1'  altro  chiamato 
Palombecto,  di  necte  tempo  andarno  a  Rispampani  col  coltello,  e 
tante  cavarne  le  ripe  di  Rispampani  che  gionsero  al  pozzo,  e  cavarlo 
fuore  el  decto  Pietro,  e  menarle  ad  Toscanclla. 

Anno  Domini  1222.  Li  Romani  assediarne  la  rocca  de  San- 
cte  Pietre  in  Pietra  (4),  onde  le  imperatore  Federico  II,  a  pregarle 

(i)  Il  Bussi  credette  «Cincelle»  un  castello  presso  Toscanella, 
invece  esso  è  «  Centumcelle  »  o  «  Civitavecchia  »,  che  i  Viterbesi 
riscattarono  da'  Cornetani,  e  meglio  da  alcuni  usurai  di  Cernete:  ne 
resta  l' istrumente  originale.  Vedi  Pinzi,  Storia  dì  Vit.  I,  273  sg.  ;  Sa- 
viGNONl,  L'archivio  storico  del  coìHune  di  Viterbo,  n.  xvii;  C.  Calisse, 
Storia  di  Civitavecchia,  Firenze,  Barbera,  1898,  p.  149.  Il  Pinzi  ed  il 
Calisse  errano  la  data,  ponendo  l'atte  al  giorno  2  settembre,  mentre 
è  «  die  seconda  exeunte  »,  e  cioè  il  29  settembre.  Nicc.  della  Tuccia 
dice:  a  Acelli  »  (p.  15);  luzzo:  «Cincelle»  (ibid.).  Nel  ms.  «Cin- 
ti celle  »  è  ripetuto  anche  nel  margine  dalla  seconda  mane. 

{2)  Nicc.  DELLA  Tuccia  invece  di:  «in  Fabule»,  dice:  «Fabio 
«  prese  la  porta  di  S.  Maria  Maddalena  »  &c.  il  che  dà  agio  al  Pinzi 
di  scrivere  una  bella  pagina  (Storia  di  ì'it.  I,  280).  Io  credo  più  esatta 
la  lezione  del  nostro,  perchè  non  è  possibile  che  egli  avesse  trala- 
sciato un  fatto  d'  armi  così  importante  ed  onorevole  pe'  Viterbesi, 
se  la  sua  fonte  ne  avesse  fatte  parola. 

(3)  Forse  il  cronista  scrisse:  «  imbriagaiole  »,  ossia  delle  ubbria- 
cature,  il  che  confronterebbe  coli' «  imbriacaccio  »  del  ms.  viterbese. 
Nicc.  DELLA  Tuccia  scrive:  «  brancaiolo  cioè  di  carnasciale».  Vedi 
Ciampi,  p.  15. 

(\)  Il  Ceccotti  in  una  nota  marginale  alla  p.  14  della  sua  copia 
di  questa  cronaca  segnò  :  «  È  la  rocca  di  Rispampani  detta  anche 
«  S.  Pietro  in  Sasso».  Non  ho  elementi  per  controliare  questa  no- 


Le  croniche  di  Viterbo  239 


del  papa,  mandò  .v*^.  cavalli  in  favore  de  Viterbesi  socto  conducta  del 
conte  Gozalino.  Et  del  mese  di  maggio  fu  morto  Raniere  Ghezzo  dal 
figliolo  di  lohanne  Cocco,  e  li  Brettoni  de  Viterbo  girno  ad  Monte 
Ardito  contro  (i)  de  Rispampanì,  e  la  parte  de  li  figli  di  lohanne  Cocco 
si  levarne  contra  el  podestà  de  Viterbo,  e  ferno  gran  battaglia,  et  el 
podestà  si  ne  fugi.  Poi  li  Romani  andarno  ad  succurrere  Rispampani, 
e  cacciamo  li  Brectoni  di  Monte  Ardito  e  la  nocte  de  sancto  Mar- 
tino Pietro  de  Nicolò  ritolse  Rispampani;  nel  quale  trovaro  el  Ti- 
gnoso e  lohanne  de  Cocco  e  .xii.  con  loro,  et  tutti  li  fcrirno(2);  e  li 
Brectoni  scarcharno  la  torre  grande  di  Ioanne  de  Coccho  che  stava 
nella  casa  sua  (3).  E  in  quel  anno  piovve  nel  terreno  de  Viterbo  per 
tutto  la  terra  rosela  miraculosamente. 

tizia,  né  trovo  accennata  tale  identità  dal  Pinzi  o  da  altri;  però  mi 
pare  poco  verosimile,  perchè  in  questo  momento  Rispampani  era  in 
mano  ai  di  Cocco,  amici  de'  Romani,  quindi  non  vi  era  ragione  di 
assedio;  difatti  poco  dopo  i  Romani  vanno  in  aiuto  di  Rispampani, 
ancora  in  mano  ai  di  Cocco  e  assediata  dai  Gatti.  Più  facilmente 
è  la  Rocca  S.  Pietro  a  detta  dal  Pinzi  (Storia  di  Vit.  Ili,  169)  castello 
del  contado  viterbese,  tra  Mugnano  e  Colle  Casale. 

(i)  Nel  ms.  «  conte  »  ;  credo  indubbia  la  correzione. 

(2)  L'ultimo  inciso  è  glossa  interlineare  del  correttore. 

(3)  Pare  che  il  Pinzi  {Storia  di  Vit.  I,  283-284)  non  creda  con- 
nesse tra  loro  le  discordie  interne  e  la  venuta  dei  Romani.  Dalla 
lettura  del  cronista  il  nesso  mi  sembra  evidente,  e  cosi  pure  la  suc- 
cessione degli  avvenimenti,  che  in  parte  discorderebbe  da  quella  data 
dal  predetto  scrittore.  Mi  pare  si  debba  intendere  così  :  Niccola  di 
Giovanni  di  Cocco  e  i  suoi  partigiani  pigliano  Rispampani  e  carce- 
rano Pietro  di  Niccolò;  Leonardo  e  Palombetto  liberano  Pietro.  I 
Romani  vengono  in  aiuto  dei  loro  amici,  i  di  Cocco;  ai  Brettoni  da 
Federico  sono  mandati  500  cavalieri.  I  Gatti  o  Brettoni  vanno  per 
riprendere  Rispampani;  nella  loro  assenza  i  Maganzesi  muovono  tu- 
multo contro  il  podestà.  I  Romani  tornano  in  aiuto  dei  di  Cocco, 
loro  amici,  e  respingono  i  Gatti  da  Rispampani;  ma  poco  dopo  (fa- 
cilmente appena  furono  essi  Romani  partiti),  Pietro  di  Niccolò  riesce 
a  riprendere  il  castello,  e  i  Gatti  in  Viterbo  soperchiano  i  nemici  e 
ne  abbattono  la  torre.  Del  conte  Gozolino,  capitano  dei  cavalieri  te- 
deschi mandati  da  Federico,  vedi  Pinzi,  S/or/^z  J;  Vit.l,  284;  E.  Win- 
KELMANN,  Ddv  Kaiser  Friedrich  II,  I,  185  sg.  ;  Theiner,  Cod.  dipi, 
dom.  temp.  S.  S.  I,  71-74;  Rain.\ldi,  Annales,  a.  1222,  nn.  27-32. 
Nota  che  Nicc.  della  Tuccia  lo  chiama:  a  Sozzalino  »,  e  il  ms. 
Ardenti:  «  Sozanino  »  (p.   15). 


240  T*.  Ei>idi 


e.  IO  A  Anno  Domini  1225.  Fu  facto  gran  battaglia  nella  chiesa  di  Snn- 

cto  Sixto,  e  fucci  morto  Giffredo,  e  [fu]  grande  pugna  per  Viterbo,  e  li 
Brettoni  perdiro  la  torre  Pretela,  la  quale  era  ad  canto  al  muro  de 
Sancto  Antonio,  et  in  quello  anno  fu  el  diluvio  ad  Sonsa  et  adfoghò 
tutto  ci  borgo  de  Sancto  Luca,  e  affogò  molte  persone,  e  fu  la  vi- 
gilia de  sancta  Maria  d'  agosto. 

Anno  Domini  1224.  Li  Nargesi  assediamo  Castiglione,  e  per- 
dieronce  el  mangano  (r),  e  fumo  cacciati;  e  in  quello  anno  el  po- 
testà fé'  tornare  in  Viterbo  Nicola  di  Ioanne  di  Coccho,  e  fello  pa- 
cificare con  li  Brectoni.  La  qual  pace  non  durò  troppo.  El  decto 
Nicola  riceppe  dinari  da  Romani,  e  redificò  la  torre  sua,  e  posscli 
nome  Damiata,  e  donoUa  al  populo  di  Roma,  e  pose  nella  parete  el 
titulo  S.  P.  Q..  R.,  e  non  volse  el  decto  Nicola  entrare  per  la  porta, 
ma  puse  le  scale  al  muro  de  essa. 

Anno  Domini  1225.  Li  Orbetani  assediamo  Bulimarzo  et  licb- 
bero  con  loro  tutti  li  cavalieri  di  Roma  et  200  cavalieri  (2)  senesi.  Et 
in  quello  anno  li  Viterbesi  mandamo  .xii.  ambasciatori  allo  impera- 
dore  Federico  in  Lombardia.  Erano  in  Viterbo  circa  .lx.  milia  per- 
sone intra  grande  e  piccoli,  tra  li  quali  erano  .xviii.  niilia  da  difen- 
dere loro  persone  o  c[irca]  .xx.  milia  (j). 

Anno  Domini  1227.  Nicola  di  Ianni  di  Coccho  col  suo  fratello 
Ranuccio  e  altri  loro  compagni  armati  andarno  a  casa  de  Ullando 
di  Pietro  d'Alexandro,  e  con  uno  coltello  lo  ferirno  nella  gola,  e 
ferirno  Ghezone  di  Sperante  (4),  e  allora  fu  facta  gran  battaglia 
tra  r  una  parte  e  1'  altra  per  le  torre  e  per  terra,  et  per  le  torre  fa- 
civano  con  li  manganelli  ;  e  fu  nel  mese  de  genaro.  Poi  nel  mese 
de  febraio  lo  venardì  di  carnevale  li  Brettoni  dectero  la  battaglia  alla 
torre  di  Bartolomeo  di  Panza  (5),  chiamata  Becchaia,  e  pigliaro  la 
dieta  torre,  et  Nicola  de  Coccho  vidde  non  posser  ristare  contra  li 


(i)  Nicc.  DELLA  Tuccia  invece:  «  e  presero  Mugnano  »1!  (p.  16). 

(2)  La  cifra  è  su  rasura  di  parola  che  cominciava  con  s;  «ca- 
ie valieri  »  è  nell' interlineo. 

(3)  Nicc.  DELLA  Tuccia  dice  allora  gli  atti  alle  armi  20,000 
«  e  poi  salirno  tra  terrazzani  e  forestieri  a  pie  e  a  cavallo  a  60,000  »  !  1 
(ibidem),  «milia»  nell' interlineo  e  del  correttore.  L'inchiostro  ha 
forato  la  carta. 

(4)  Nicc.  DELLA  Tuccia:  «  Gezzone  di  Spezzante». 

(5)  Devesi  leggere:  «Ponzo»,  come  più  sotto  a  e.  uh,  e  come 
da  un  documento  indicato  dal  Pinzi,  Storia  di  FU.  I,  doc.  288,  nota  i. 
11  nome  «  Becchaia  »  è  ripetuto  dal  correttore  nel  margine. 


Le  croniche  di  ì'ilci'bo  241 


Brettoni,  di  nocte  tempo   lassò  la  torre,  e  la  casa  sua,  e   fuggi   col 
figliolo,  col  fratello  suo  Ranuccio,  e  andossine  ad  Vitorchiano. 

El  sequentc  dì,  che  fu  el  sabbato  a  mattina,  li  Brectoni  andarno  e.  io  b 
ad  combattere  la  d'età  torre,  et  non  trovando  troppa  difesa  la  pi- 
gliamo e  misero  1'  homini  a  scarcarla.  Per  la  qual  cosa  Nicola  ha- 
vendolo  sentiti,  prestamente  se  ne  andò  ad  Roma,  ove  li  fu  facto 
gran  honorc  et  deterli  denaro  assai.  Lui  disse  alli  Romani  conio  la 
loro  torre  de(i)  Damiata  si  scharchava,  et  li  Romani  mandaro  l' im- 
basciatori  ad  Viterbo  che  non  devessero  scarcare  la  torre  loro,  et  li 
Viterbesi,  sentiti  li  ambasciatori,  appresciaro  de  scarcare  la  dieta  torre 
Damiata,  et  scarcarno  torre  Beccaia,  e  un'  altra  torre  chiamata  la 
Spagnola.  Et  in  quel  anno  santo  Francesco  passò  de  questa  presente 
vita  (2). 

Anno  Domini  1228.  Li  Romani  posero  l'assedio  ad  Moniste- 
rio  (^)  con  trabocchi  e  bombarde  e  manganelli,  e,  stando  lì,  l'hebbe 
per  pacti  Barbarano.  Era  in  Barbarano  uno  castellano  viterbesi  chia- 
mato messer  Rollando  di  Pietro  de  Alexandre,  con  .ecc.  fanti  vi- 
terbesi, e  ricuperare  in  un'alta  torre  facta  de  legname  che  soper- 
chiava le  mura,  e  continuamente  guerriggiava  el  castello  con  balestre 
e  altri  ingegni  :  poi  la  nocte  misero  fuoco  alla  dieta  torre,  e  arsero 
la  torre  e  uno  trabocco  grande,  e  poi  tornarne  ad  Viterbo.  E  dicti 
Romani  giurare  di  non  partirse  che  prima  non  havessero  Munisterio, 
e  in  ogni  modo  si  partirne  el  tertio  di,  e  di  poi  li  octo  di  vennero 
centra  Viterbo,  e  ferne  battaglia  nel  piano  di  Tornateri  (4)  di  do- 
menicha,  e  furne  morti  di  Romani  tre  cavalieri.  La  sequente  mattina 

(i)  Nel  teste  dice:  «et  Damiata»,  come  pure  poco  più  sotto: 
«la  decta  terre  e  Damiata».  Facilmente  era  una  d  tagliata  per  ab- 
breviazione di  «de»,  letta  dall'amanuense  come  «et». 

(2)  Nicc.  DELLA  Tuccia  aggiunge  che  furono  uccisi  50  Viter- 
besi, tra  cui  Nicolò  Cocco,  e  che  furono  fatti  i  «  barbacani  »  intorno 
alle  mura  (p.  17).  San  Francesco  morì  ai  4  ottobre  1226. 

(3)  Il  Ceccotti  in  margine  alla  sua  copia  qui  segna  (p.  17): 
«  S.  Maria  in  Palomba?»  Mi  sembra  evidente  che  qui  si  tratti  del 
castello  di  Monte  Munistero.  Il  Pinzi  (Storia  di  Vit.  I,  307)  è  dei 
medesimo  parere;  però  segue  nella  cronologia  Riccardo  da  S.  Ger- 
mano, che  pene  queste  avvenimento  all'anno  seguente;  di  più  con- 
fonde le  due  imprese  contro  Munisterio  e  contro  Barbarano  in  una 
sola,  dicendo  Ullando  d'Alisandro  difensore  di  quel  castello  e  non 
di  questo. 

(4)  Nicc.  DELLA  Tuccia  :  «  del  Tornatere  »;  luzzo  :  «  de  Trom- 
«  bettori  »  (p.  7). 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  l6 


242  'P.  Fi^idi 


li  Romani  tornarno  ad  Roma,  e  in  quel  tempo  li  Viterbesi  compa- 
rato tante  balestra  grandi  clie  cosiamo  cento  marchi  d'  argento. 

Nel  dicto  anno  li  Romani  tornarno  in  assedio  ad  Viterbo,  e 
mandaro  uno  messo  ad  Viterbesi,  che  devessero  rifare  il  danno  che 
havivano  facto  ad  Nicola  Cocco,  e  li  Viterbesi  se  ne  fero  beffe,  e 
loro  guastaro  molte  vigne  di  fuore,  e  stettero  in  campo  .xii.  di  ;  poi 
se  n'andaro  nd  Rispampani,  e  promisero  ad  quelli  della  terra  che  si 
li  volivano  dare  Pietro  de  Nicolò,  li  dariano  tre  milia  libre;  e  li  tra- 
ditori pigliamo  ci  dicto  Pietro,  e  insieme  con  lo  castello  lo  dectcro 
ad  Romani,  e  li  Romani  non  li  volsero  dar  niente.  Nel  dicto  anno 
li  Viterbesi  distrussero  Viglianello  e  Ramianu(i). 
II  A  Nel  dicto  anno  li  Viterbesi  cavalcamo  in  quello  di  Corneto,  e 

menarne  grandissima  preda  di  animali,  e  di  prescione,  e  passarno 
per  quello  di  Toscanella.  Li  Toscanesi  si  fero  contra  a  li  Viterbesi, 
e  ferno  battaglia  insieme,  e  fumo  pigliate  di  Toscanesi  e  mortine 
assai,  e  menarno  ad  Viterbo  assai  pregioni. 

Nel  decto  anno  li  Sutrini  cursero  in  quel  de  Viterbo,  e  tolsero 
molti  porce,  uno  sabato  de  quaresima,  e  menarli  ad  Sutro;  li  Viter- 
besi trassero  di  retro  a  loro  in  sino  ad  Sutro.  El  senatore  de  Roma  (2) 
con  gran  populo,  e  preliarno  con  Viterbesi,  e  pigliarne  .xit.  cavalieri 
e  menarli  pregione  ad  Roma,  e  tenerli  .v.  anni  in  Canapora  (5). 

Anno  Domini  1229.  Fu  l'assedio  di  Romani  ad  Alteto,  e  per 
difesa  di  Viterbesi  non  lo  posserno  bavere  ;  per  la  qual  cosa  fumo 
facti  assente  (4),  e  chiamavansi  li  franchi  d'Alteto. 

Anno  Domini  1230.  Li  Viterbesi  andaro  ad  offendere  in  quello 
di  Corneto,  e  ferno  battaglia  nel  ponte  de  Santo  Litardo,  e  fumo 
sconficte  li  Cornetani,  e  menato  assai  pregioni,  e  recamo  el  Gonfa- 
lone di  Corneto,  e  appicarlo  nella  chiesa  di  Sancto  Lorenzo. 

Nel  dicto  anno  li  Viterbesi  andarno  ad  offendere  Toscanella,  e 
cursero  in  fine  a  la  porta,  e  tolsero  le  chiavi  della  dieta  porta,  e 
pigliamo  el  confaloniere  col  confalone  in  mano,  e  menarno    molti 

(1)  Cosi  pure  luzzo.  Nicc.  dell.\  Tuccia  invece:  «  Damiatn  », 
lezione  impossibile,  avendo  già  prima  parlato  della  sua   distruzione. 

(2)  Manca  certamente:  «si  fece  loro  incontro».  Cf.  Nicc.  della 
Tuccia,  p.  17.  «  Il  senatore»  correzione  da  «li  senatori  ». 

(5)  Cosi  e  più  spesso  «  Cannapara»  era  detto  il  Foro  Romano 
o  almeno  una  parte  di  esso  nel  medio  evo.  Cf.  Rcg.  Subì.  n.  202. 
Nicc.  DELLA  Tuccia  dice  in  «  Campidoglio»,  e  luzzo  «  Canapino», 
lezioni  poco  attendibili  (p.   17). 

(4)  Evidentemente  «  esenti  »  come  del  resto  par  che  fosse  scritto. 
Cf.  Nicc.  DELLA  Tuccia,  p.  18;  Pinzi,  Storia  di  Vii.  I,  308. 


Le  croniche  di  Viterbo  24- 


pregioni,  e  le  chiave  adtaccarno  alla  torre  di  Colino  Burgognone,  e 
il  Gonfalone  appicarno  nella  dieta  chiesa  di  Sancto  Lorenzo.  La 
qual  porta  di  Toscanella  si  chiamava  la  porta  di  Pietro  de  Polo  (i). 

Anno  Domini  125 1.  Li  Viterbesi  andarno  ad  ofifendere  Orte  e 
pigliare  gran  quantità  de  prescione  e  bestiami,  e  menando  la  dieta 
preda  verso  la  Penna,  in  uno  passo  cactivo  fumo  adsaltati  li  Viter- 
besi da  Orbetani,  e  bisognolli  per  forza  lassare  li  pregioni  e  la  preda, 
e  fugiro  via  verso  Viterbo. 

Anno  Domini  1232.  Se  partirne  da  Viterbo  doi  cento  homine 
intra  a  cavallo  e  a  piede  et  andarno  ad  pigliare  Vitorchiano  colle 
schale  di  fune,  et  doi  Vitorchianesi,  l'uno  chiamato  Cittadino,  l'altro 
chiamato  ||  lohanne,  adtaccarno  le  funi  sulle  mura,  e  li  Viterbesi  sa-  e.  n  b 
limo  sopra  le  mura  la  sera  de  noeta  (2),  et  una  delle  guardie  se 
ne  acorse,  e  levò  el  romore  e  fugi.  Alcuni  Viterbesi  l' andarno  de- 
rieto,  et  alcuni  andarno  alla  porta,  et  alcuni  alla  torre  del  Cassero, 
e  pigliare  la  dieta  torre,  e  mandarne  ad  Viterbo  per  più  gente,  e 
tutti  cursero  grandi  e  piccelini,  e  fu  pigliato  Vitorchiano,  e  messo 
s.à  saccomando,  e  scarcato  tutto,  e  a  quelle  furne  date  .v'^.  libre  dal 
communo. 

Anno  Domini  1233.  Li  Romani  fecero  pace  con  Viterbesi  per 
mezzo  di  papa  Gregorio  none,  et  fu  scarcato  el  Munisterio  e  li 
merli  el  peetorale  delle  mura  del  piane  di  Scartano,  di  cemmanda- 
mento  del  papa  in  servitio  di  Romani;  e  tornarne  in  Viterbo  li  figli 
di  Ianni  Cocco,  e  rifece  la  sua  torre  delli  denare  de!  papa  che  li 
refece  el  suo  danno  riceputo.  El  diete  papa  canonizzò  el  corpo  di 
sancto  Domenico.  Et  li  Romani  de  nuovo   redificerno  Vitorchiano. 

Anno  Domini  1234.  Li  Remani  misero  li  termini  intra  il  tini- 
mente  de  Viterbo  et  Rispampani,  e  molti  confini  alli  castelli  intorno; 
e  fu  recta  la  guerra  tra  el  papa  et  li  Remani:  il  papa  stava  in  Riete 
et  Viterbo  di  com.andamente  del  es[so]  (3)  papa  roppe  guerra  con  Re- 
mani. El  papa  fé'  venire  lo  imperatore  Federico  che  stava  in  Lom- 
bardia, et  venne  ad  Viterbo  et  pose  campo  ad  Rispampani  insieme  con 
Viterbesi,  e  fé'  cascare  molte  ripe  (4);  e  poi  se  partire  et  anderne  in 
Sicilia,  e  il  papa  mantenne  la  guerra  con  Guglielmo  ad  Rispampani. 

(i)  Nicc.  DELLA  Tuccia:  «di  Pietro  di  Polla»  (p.  18). 

(2)  Nicc.  DELLA  Tl'Ccia:  «La  sera  a  due  ore  de  nocte  >>. 

(3)  La  ricostituzione  è  dubbia:  nella  carta  c'è  un  foro  prodetto 
dall'inchiostro  ;  la  parola  era  scritta  su  rasura  di  altra  che  cominciava  f . 

(4)  Le  Croniche  di  G.  Sercambi  hanno  notizia  di  una  battaglia 
in  cui  Viterbesi  ed  imperiali  sconfissero  i  Remani  :  «...  fu  d'octebre 
<' e  morictevl  Lamberto  Masineri  ch'era  capitano  dei  Luchesi»;  edi- 


244  ^^^-  %''^^'" 


e.    12  A 


Anno  Domini  1255.  Guglielmo  di  Fogliano  (i)  lombardo,  che 
era  per  l'imperatore  a  campo  ad  Rispanpani,  andò  ad  vedere  e 
vedendo  clie  non  si  poteva  pigliare  per  forza,  si  parti  e  andò  via. 
Li  Romani  vennero  ad  Rispanpani  e  stettero  .1111.  dì,  poi  vennero 
contra  Viterbesi  e  alloggiare  appresso  la  Cava  della  Sala  e  al  ponte 
di  Gorga;  et  li  Viterbesi  di  novo  scarcarno  la  torre  de  Ranieri  di 
Ianni  de  Cocco,  cioè  Damiata,  et  un'  altra  torre  che  stava  dericto 
alla  chiesa  de  San  Salvatore,  et  un'  altra  torre  (2)  che  se  chiamava 
Beceta  appresso  la  casa  di  niesser  Valentino;  era  di  Bartolomeo  di 
Ponzo,  nipote  del  dicto  niesser  Ranieri.  El  sequente  dì  li  Romani 
s'  afrontarno  con  Tedeschi  nel  piano  della  Sala,  et  li  Tedeschi  fu- 
giro(5)  infino  a  Sancto  Paulo.  Poi  usci  fuore  Guglielmo,  loro  capi- 
tanio,  e  cacciò  li  Romani  infino  al  ponte  de  la  Cava,  e  molti  morirno 
tra  l'una  parte  e  l'altra  e  pigliamo  l'un  l'altro  assai  prigioni  (jY 

Anno  Domini  1256.  Papa  Gregorio  venne  in  Viterbo  (5)  e  fé' 
rifare  li  merli  e  il  pectorale  delle  mura  di  piano  di  Scarlano  e  fé' 
scarcare  la  torre  d'Altobrandino  in  Viterbo  la  vigilia  de  Natale. 

Anno  Domini  1259.  Li  Romani,  contra  li  pacti  che  havivano 
facti  con  Viterbesi,  comperarno  la  roccha  di  Sancto  Pietro  in  Sasso 
da  Altibalduccio  da  Viterbo. 

Anno  Domini  1240.  Lo  imperatore  venne   in  Viterbo  (6).  Con 

zione  di  S.  Bongi  in  Fonti  per  la  storia  d'Italia  pubblicati  dall'  Isti- 
tuto Storico  Italiano,   1892,  I,  30.  Cf.  Bohmer-Fickf.r,  n.  2058  a,  b. 
(i)  Fu  in  quest'anno  anche  podestà.   Sign'ORELLI,  I  podestà  nel 
comune  di  Fiterlw,  p.  356. 

(2)  Da  «  stava  derieto  »  sin  qui  le  due  frasi  sono  in  due  glosse 
marginali  con  richiamo. 

(3)  L'ultimo  inciso  ò  della  seconda  mano,  su  rasura. 

(4)  Seguendo  Riccardo  da  S.  Germano  e  gli  annalisti  di  Colonia, 
il  Ciampi  (n.  lv,  p.  512)  e  il  Pinzi  (Storia  di  Vii.  I,  526  sgg.)  ri- 
tengono questa  battaglia  avvenuta  nel  1234;  però  ai  5  marzo  del  125) 
Gregorio  IX  scriveva  che  Viterbo  è  «  continuo  a  Romanis  attrita 
rt  guerrarum  impulsibus  et  dapnis  gravibus  laccssita».  Savignoni, 
L'archivio  &c.  doc.  XLiii.  I  docc.  XLiv  e  XLV  parlano  de'  prigionieri 
romani  e  sono  del  marzo  1255;  forse  anzi  a  questi  avvenimenti  è 
da  riferire  anche  la  notizia  data  dal  Sercambi;  vedi  p.  245,  nota  4. 

(5)  Il  primo  atto  di  Gregorio  datato  da  Viterbo  ò  del  7  no- 
vembre 1235,  e  l'ultimo  del  14  maggio  1256.  Pottiiast,  nn.  10041 
e  10161. 

(6)  Entrò  ai  16  di  febbraio.  Bòhmer-Ficker,  n.  2750;  Win- 
KELMANN,  Kaiscr  Friedrichs  II  Kampf  uni   Fiterlw,   Hannover,    1886, 


Le  croniche  di  Viterbo  245 


grande  honore  fu  riceuto  e  smontò  nel  palazzo  del  cardinale  Ra- 
nieri, e  molti  conviti  fé'  l' imperatore  ad  Viterbesi  e  poi  le  mandò  in 
exercito  a  Corgneto,  e  li  Corgnetani  ferno  la  voluntà  dell'impera- 
tore, e  così  li  Viterbesi  tornarno  a  casa  (i).  Et  nota  che  li  Viterbesi 
in  quello  di  Corneto  alloggiamo  in  uno  loco  chiamato  Monte  Fi- 
stola. A  di  .XV.  del  mese  di  marzo  l'imperatore  fece  un  gran  col- 
loquio nel  piano  di  Sancta  Lucia  colli  Viterbesi,  e  compuse  pace  tra 
li  Brettoni  e  Ranuccio  di  Ioanne  di  Cocco  e  suo  nepote;  poi  si 
parti  el  dicto  imperatore  e  andò  nel  reame  di  Napoli,  e  menò  con 
lui  .XVIII.  gintilhomini  di  Viterbo.  Nel  mese  di  maggio  li  Viterbesi 
assediamo  Gemmino  dove  stettero  .vini,  di  (2). 

Anno  Domini  1241.  Li  Viterbesi  andarno  a  predare  in  quello 
di  Roma,  cioè  ad  Cerveteri  et  Sancta  Sivera,  e  li  vi  stettero  .xviiii.  di 
in  oste;  et  nel  dicto  anno  li  Viterbesi  andarno  ad  Sutro  e  guastarne 
tutte  le  vigne  e  altri  frutti,  e  tornaro  ad  Viterbo  ;  et  nel  mese  di 
luglio  li  Romani  andarno  ad  offendere  in  Sabina.  Sapendo  ciò  li 
Viterbesi  congregamo  gente  e  andaro  in  soccurso  centra  Romani  e 
gionsero  canto  el  fiume  del  Tevere  e  alloggiamo  alla  torricella  di 
Gallese  e  li  stectero  .viii.  di  ;  in  quel  mezzo  guerriggiarno  contra 
li  Romani  e  distrussero  sei  castelli,  cioè  Torasa,  Castello  Paparesco, 
Foglia,   Bronsvico  e  Magliano    Pecorareccio  e  Campuvaro  (3).  Nel 

nella  Miscellanea  pubblicata  in  onore  del  Waitz,  p.  280.  Vi  rimase 
per  l'appunto  un  mese,  ripartendone  ai  16  di  marzo. 

(1)  Cf.    BÒHMER-FiCKER,   n.    2875. 

(2)  Il  cronista  dimentica  la  istituzione  fatta  in  Viterbo  da  Fede- 
rico mentre  era  all'assedio  di  Faenza  (settembre  1240)  di  una  fiera 
e  della  zecca:  ne  restano  i  diplomi.  Savignoni,  L'archivio  <kc.  do- 
cumenti XLix,  l;  ivi  l'indicazione  di  chi  li  conobbe  e  ne  fece  uso. 
Delle  monete  battute  a  Viterbo  vedi  Pinzi,  Storia  di   Vii.  L  374- 

(3)  Magliano  Pecorareccio,  da  non  confondersi  con  Magliano 
di  Sabina,  è  presso  Scrofano  sulla  Flaminia  e  fa  parte  del  comune 
di  Campagnano  :  esisteva  già  nel  secolo  xi,  più  tardi  fu  degli  An- 
guillara  e  da  questi  venduto  agli  Orsini  nel  15 14  per  3300  fiorini. 
ToMASSETTi,  Della  Campagna  Romana  in  questo  Archivio,  VII,  216. 
Foglia  è  in  Sabina  a  poca  distanza  di  ponte  Felice  :  ora  piccolo  borgo 
di  appena  200  anime,  una  volta  dovette  essere  più  considerevole; 
appartenne  agli  Orsini.  Neil'  archivio  del  comune  di  Magliano  Sa- 
bino, cui  Foglia  è  oggi  incorporata,  si  conserva  lo  statuto  in  un  bel 
manoscritto  del  secolo  xvi,  membranaceo,  in  volgare;  il  che  fa  ve- 
dere che  anche  Foglia  passò  per  Io  stadio  di  comune.  Nello  stesso 
archivio,  nel  protocollo  del  notaio  Paolo  Marti  è  conservato  un  atto 


2^6  T.  Egidi 


dicto  anno  Ranieri  Gactu  e  Massiiccio  Diotaiuti  di  Salamare  heb- 
bero  tra  loro  certe  parole  assai  ingiuriose  e  pochi  factì,  presente  el 
podestà  (i)  nella  piazza  di  Sancto  Silvestro;  e  [fu]  condannato  Ranieri 
in  400  1.  e  Massuccio  in  800,  e  fu  scarcata  una  torre  del  dicto  Mas- 
succio,  che  fu  d'Angelo  di  Salamare,  la  quale  stava  acanto  alla 
strada  delle  prete  del  pesci,  e  fu  una  gran  torre  più  che  nulla  altra 
della  città, 
e.  i;  n  Anno  Domini  1242.  Li  Viterbesi  andarno  in  assedio  nel  terreno 

di  Roma  et  stectero  .xini.  di  nel  mese  di  luglio,  et  guastaro  due 
castelli,  l'uno  chiamato  Losa,  l'altro  Longhezza  (2).  In  quel  anno 
l'imperatore  Federico  secondo  fé'  fare  in  Viterbo  uno  bello  et  grande 
palazzo,  nel  quale  fé'  fare  una  terribile  prescione  della  quale  li  Viter- 
besi la  temivano  assai  (3).  Et  già  è  facto  el  dicto  imperatore  si- 
di  costituzione  di  dote  fatta  da  Bertoldo  di  Troiolo  Orsini  a  sua  figlia 
Ursina  che  andava  sposa  a  Giovanni  di  S.  Eustacchio  in  «  6100  fi, 
«  au.  et  in  alia  manu  .e.  due.  nu.  .  .  Actum  in  castro  Polii  »,  23  gen- 
naio 1426.  Nella  miscellanea  Capponiana  della  biblioteca  Vaticana, 
sotto  il  n.  XXVIII,  è  una  Relalioiie  dello  stato  effetti  et  ragioni  del  ca- 
stello di  Foglia,  ce.  150-157,  sec.  xvii.  Vedi  anche  in  questo  Archivio, 
VII,  543;  Sperandio,  Sabina  sacra  e  profana,  antica  e  moderna,  Roma, 
Zempel,  1790,  p.  250  sgg.  e  ultima  tavola.  Degli  altri  non  so  indi- 
care l'ubicazione.  Si  potrebbe  ricercare  Castel  Paparesco  presso  il 
lago  Paparone  (oggi  Strappacappe)  in  quello  dell'Anguillara;  Cam- 
puvaro  sulla  Flaminia  in  luogo  incerto  (To.massetti,  op.  cit.  p.  587, 
un  «Campus  vario»);  Torasa  e  Bronsvico  o  Bronsuico  o  Bronso- 
nico,  come  legge  Niccola  della  Tuccia,  non  saprei  dove  porli:  in  Sa- 
bina v'è  un  Torano  (Sperandio,  op.  cit.  p.  50)  e  vi  era  un  «  Bru- 
«  scitum  »  (Regesto  Farfense,  III,  n.  158,  a.  looi  ;  V,  n.  285,  a.  1292). 
(i)  Bartolomeo  «de  Mala  nocte  »  vicario  imperiale.  Signorelli, 
op.  cit.  p.  376, 

(2)  Sulla  via  Tiburtina;  Lunghezza  ancora  esiste,  di  Losa  resta 
il  nome  ad  una  tenuta. 

(3)  Restano  ancora  gli  strumenti  di  compera  delle  case  demo- 
lite a  questo  scopo.  Cf.  Savignoni,  L'archivio  &c.  in  nota  al  n.  XLix, 
c'WììiKEi.M\ìiy}, Kaiser  Friedricbs  II  &c.  p.  281,  nota  4,  Ivi  stranamente 
si  vuole  identificare  questo  palazzo  presso  la  chiesa  di  S.  Maria  del 
Poggio  (vedi  e.  21B")  con  quello  degli  Alemanni,  che  secondo  il  cro- 
nista sorgeva  sulle  rovine  dell'antico  castello  di  S.  Angelo  (vedi 
e.  7  b).  I  due  luoghi  sono  più  di  mezzo  chilometro  distanti  fra  loro; 
del  palazzo  di  Federico  nel   1888  sono  venute  in  luce  le  sostruzioni, 


Le  croniche  di  ì'ilcrbo  247 


gnore  de  Viterbo,  e  disponiva  quello  che  voleva.  Hora  sequita  lo 
Lamento  de  Ghottifredo  e  di  Lanzillotto  sopra  Viterbo  (i). 

De    n  e  q  u  i  t  i  a    e  i  v  i  u  m  (»)  V  i  t  e  r  b  i  i  (2). 

O  Viterbium  civitas  nobilis  et  amena,  iam  i^)  obierunt  tui  fìlli,  qui 
te  agnoscentes  tenerrimc  dilexerunt,  et  conducentes  te  in  magnum 
triumphum    et   in   mirabilia    facta,  tecerunt  te  pulcrum  et  ctiam  (<=) 

(a)  Xel  ms.  priir.a  il  titolo  era  De  nequitia  Viterbiensium  ;  poi  fu  rasa  la 

seconda  parola,  al  suo  luogo  fu  posto  civium  e  aggiunto  Viterbii  ;  tutto  dalla 

stessa  mano.  (h)  amena  e  iam  su  rasura.  (e)  Hùber  e  IFait^  l'omet- 
tono nel  testo,  poi  in  nota  et  est 

anche  oggi  visibili,  tagliate  in  mezzo  dalle  mura  della  città,  che  a 
bella  posta  vi  fece  passare  il  cardinal  Capocci,  come  dice  il  cronista 
(vedi  e.  21  b);  sorgeva  appunto  in  contrada  S.  Maria  del  Poggio  nel 
luogo  presso  cui  sono  i  monasteri  di  S.  Rosa  e  di  S.  Simone  Giuda.  Il 
Castel  S.  Angelo  invece  era  dove  ora  sorge  la  chiesa  di  S.  Francesco. 

(i)  Del  Lamento  seguente,  interessante  perchè  insieme  coi  po- 
chi versi  di  Lanzillotto  che  vedemmo  a  e.  2  b,  costituisce  quanto  ne 
rimane  delle  croniche  primitive,  è  difficile  stabilire  quanta  parte  possa 
attribuirsi  a  Gottifredo  :  tanto  più  che  non  c'è  giunta  non  dico  una 
riga  di  lui  che  ex  professo  tratti  di  cose  viterbesi,  ma  neppure 
un  suo  accenno  a  tali  scritti  ;  anzi  di  questi  non  ci  è  dato  trovare 
altra  menzione  che  la  presente  ed  un'  altra  assai  vaga,  anche  quella 
nei  cronisti  del  secolo  xv  (Nicc.  della  Tuccia,  p.  20).  Certo  cosi 
corno  a  noi  si  presenta,  questo  brano  non  può  essere  che  fattura  di 
Lanzillotto,  poiché  il  cappellano  imperiale  mori  nello  scorcio  del  se- 
colo XII  o  ne'  primissimi  anni  del  seguente,  e  qui  invece  si  parla  del- 
l'assedio che  Viterbo  sostenne  da  Ottone  nel  1210  e  della  venuta 
di  Federico  IL  Se  pure  vi  è  qualche  cosa  tolta  da  Gottifredo,  ne 
ha  perduto  ogni  stigma  di  paternità  e  nel  contenuto  e  nella  forma. 
Oltre  che  dall' Orioli  e  dall' Huber  (opp.  e  locc.  citt.)  il  Lamento  fu 
pubblicato  nei  Mon.  Genn.  Hist.  (Script.  XXII,  374-75)  dal  Waitz,  che 
lo  aggiunse  alle  opere  di  Gottifredo,  pur  reputandolo  attribuito  a  lui 
ingiustamente.  Le  parole  «  lo  Lamento  de  Ghottifredo  »  erano  state 
cancellate  e  poi  furono  riscritte  dalla  mano  del  correttore. 

(2)  Poiché  parecchi  sono  i  divari  della  lettura  mia  da  quella  di 
tutti  e  tre  gli  editori,  li  indico  in  nota,  come  indico  anche  quelle 
forme  del  manoscritto  che  ho  creduto  necessario  di  modificare.  L'  edi- 
zione del  Cristofori  da  questa  riga  salta  a  quella  4  della  p.  252. 


248  "P.  Ki^idi 


e.    J  5    A 


forte  et  mirabile  niniis  aspectu.  lam  preteriit  quoddam  (")  tempus(i). 
Quod  0>)  te  insensati  (=)  homines  possidcrunt  et  abstulerunt  [libi] 
onines  virtutes  et  dominationes  W.  Item  abstulerunt  tibi  bonum  al- 
tare viaticum,  quoJ  prestabat  magnani  fortunam  («)  et  magnum 
triumphum  tuorum  inimicorum,  de  quo  donationem  (O  fecerunt. 
Postquam  Viterbium  altare  predictum  amisit,  molestar!  incepit  a 
multis  et  variis  tribulationibus,  quas  primitus  nullo  modo  sustinebat  (g). 
Item  fuit  debellatum  in  Monte  Razzanense  CO,  quo  transacto,  omissit 
comitatum  eiusdem  (')  cum  omnibus  suis  castris,  et  expugnatum 
fuit  ad  Montem  Pettoncm  (2).  Revera  sacratis  unum  quod  (')  de 
suis  est  omnibus  supradictis,  quia  propter  odium  et  invidiam  unus 
destruit  alium,  non  solum  in  persona  sed  etiam  in  aliis  rebus,  ita 
quod  ("i)  vix  posset  aliquis  aliquatenus  estimare.  Quamvis  multi  di- 
cant  de  Viterbii  civitate  quod  seniper  crescat  in  bello,  tamen  non 
ita  est  quod  crescat  sub  bello,  immo  dccrescit:  etiam  (")  quare  ac- 
cidit?(«>)  quod  homines  ad  invicem  habent  se  odio.  Item  [propter] 
invidiam  astrum  (p)  et  superbiam  eorum  amisit  Viterbium  multas 
granditias  et  divitias  cam  multis  bonis  usibus. 

Propterea  postquam  (q)  imperator  rubeus  Federicus  ab  urbe  Ro- 
manorum  discessit,  venit  cum  magno  exercitu  et  castramentatus  (O 
est  apud  Viterbium  in  ora  quf  Riserium  nuncupatur.  Et  tunc  ipsis 
supervenit  tam  valida  mortalitas  quod  vix  aliquis  evadebat  et  the- 
sauri  eorum  viterbienses  remanebant  («).  Sed  propter  fatuitatem  et 
insipientiam  quorundam,  statim  ad  Cesarem  adcesserunt  rogaturi 
ipsum,  quatenus  (0  fructus  vinearum  et  etiam  (")  agrorum  a  suis 
subditis  et  fidelibus  non  debeant  devastari.  linde  confestim  imperator 
C?sar  ad  interrogata  respondit:  «O  insensati,  qui  non  cognoscitis  ea 

(a)  Ms.  qdda;  quodJam  0  quondam?  H  quoddam  tempus,  quod 
(b)  Orioli  quo  e  in  nota  quum  (e)  O  omettete  e  legge  iiisecuti  (d)  O 
donationes  (e)  O  portabat  magnas  fortunas  (f)  Ms.  dona-  tionc  O  do- 
nationem (g)  Ms.  HW  sustincbas  (h)  Ms.  H  11^  Hozzancnsi;  (i)  O  l'o- 
mette. (1)  Così  il  ms.  IV  corregge:  sciatis  unum  quod  (ra)  Ms. 
H  itaquc  (n)  ÌV  H  et  (o)  IV  interrogativo.  O  H  affermativo. 
(p)  IV  corregge  astum  (q)  Ms.  H  pretcr  quam  (r)  JV  H  castramctatus 
(s)  O  Vitcrbiensibus  remanebat  /r  H  Vitcrbiensibus  lemanobant  (t)  Ms.  H 
quantus         (u)  O  sicut  et 

(1)  Come  sarà  qui  da  punteggiare,  così  o  unendo  questa  frase 
alla  seguente,  ovvero  anche  alla  precedente?  Orioli  l'unisce  con  la 
frase  seguente  leggendo  «  quo  »  invece  di  «  quia  ». 

(2)  A  Monte  Razzano  da  Ottone  IV  nel  12 io,  a  Monte  Pettone 
da  Enrico  di  Calandrino  nel  119J;  cf.  p.  229. 


Le  croniche  di   Viterbo  249 


«  que  vobis  debcant  prodesse  [et]  ad  vcstruni  profectum  et  honorem 
«  debeant  pertinere  ».  His  auditis  et  plenarie  intcUectis,  rediit  cum  toto 
suo  exercitu  et  hospitatus  est  in  oris  Senensiuni,  et  de  illa  liereditate 
sunt  Senenses  et  magna  pars  Tuscorum  [ditatij  (»)  (i). 

Ad  h?c  quando  (b)  venit  marchensìs  Marcualdus,  volens  Viter- 
biensium  esse  civis  (0,  et  ut  eum  in  eorum  civem  reciperent,  voluit 
omnes  filios  nobilium  militali  cingulo  (t^)  decorare,  centum  libras  («) 
cum  indumentis  et  equos  et  arma  unicuique  liberaliter  poUicendo, 
et  etiam  (f)  singulis  peditibus  unam  tunicam,  .x.  libras,  scutum  cum 
elmo  et  unum  asbergum  largiri  volebat,  quod  propter  ignorantiam 
Viterbiensium,  qui  (g)  sensum  habent  iM)  retro  et  non  ante,  penitus(') 
renuebant  (2). 

Adhuc  (k)  imperator  Oddo  propter  Ecclesiam  Viterbiensium  bona 
omnia  depopulavit  extrinseca;  quam  depopulationem  Apostolicus 
emendare  volebat;  quod  per  invidiam  uniuscuiusque  (0  Vitcrbienses 
recipere  neglexerunt  (3).  Item  in  tempore  Federici  imperatoris  cum 
acquisiverat    maiorem    partem    Lombardie  et  etiam  (■")  debellaverat 

(a)  La  resHlti\ione  è  dell' O  e  del  W.  (b)  H   quoque  (e)    Viter- 

biensium su  rasura.  H  civis.  Et  (d)  H  angulo  ?  (e)  A/i.  libris  (f)  O 
poblicendo,  sicut  et  (g)  Ms.  H  quia  (h)  Ms.  habet  (i)  Ms.  aiìpcnitus 
(k)  //'  ad  lice  (I)  Ms.  uniuscuique     IV  legge  unicuique  e  corregge  unius- 

cuiusque        (m)   O  dum  et 

(i)  Tali  fatti  sarebbero  da  riportare  all'anno  11 700  al  1172  (vedi 
e.  3  a).  Nicc.  della  Tuccia  questo  brano  del  Lamento,  in  volgare, 
lo  ascrive  all'anno  1170. 

(2)  Quando  Markwald  von  Anweiler,  investito  da  Enrico  VI  della 
Marca  d'Ancona,  venisse  a  Viterbo,  non  possiamo  stabilire.  Nel  1195 
egli  è  detto  solamente  «  senescalco  »  nel  privilegio  di  Enrico  ai  Gal- 
lipolani.  ScHEFER-BoiCHORST,  Z«r  Geschìchte  des  xii  luid  xiii  Jahrhim- 
derts  diplomatische  Forschungeii,  Berlin,  Ebering,  1897,  p.  393  ;  nel  1197 
è  però  di  già  detto  «  marchio  Anchone,  dux  Ravenne  et  Romaniole  ». 
Ibid.  pp.  230  e  376. 

(3)  Di  questa  «  emendazione  »  cui  il  papa  voleva  attendere,  po- 
trebbe essere  indizio  la  lettera  con  cui  Innocenzo  III  in  segno  della 
fedeltà  mostrata  dai  Viterbesi  «  qnando  alii  ceciderunt  «  concesse  loro 
la  esenzione  dal  pedaggio  e  dal  piazzatico  in  Montefiascone  «et  im- 
«  munitatem  vendendi  et  emendi  apud  Cornetum  et  circa  partem 
«  quam  nunc  habemus  in  portu,  et  circa  eam  quam  in  postero  nos 
«  contingat  habere  »;  20  settembre  1214.  Savignoxi,  L'archivio  &:c. 
doc.  XIV. 


250  'T.  Egidi 


Mcdiolanum  venit  ad  partes  Viterbii  et  intravit  civitatem  cum  militihus 
suis;  unde  si  Vitcrbienscs  scivissent  querere  summo  C?sari,  statini 
exibuisset  eis  omne  («)  ius  et  omnes  actiones  C»)  et  omnes  bonos  usus 
eoruni  et  multa  bona  contulisset  eis.  Sed  ipsi,  ignorantes  de  pre- 
dictis,  amiserunt  omnia  que  (<=)  dieta  sunt  et  reddideruiit  se  absque 
pacto  et  tenore,  de  quo  penituit  eos  valde  (r). 
1}  n  O  Viterbium,  quare    intcrticis  Viterbium?  Narra  milii,  cur  Vi- 

terbium  occidit  Viterbium,  lam  video  ipsam  civitatem  pulcram  et 
fertilem  et  amenam.  Et  tundamenta  (J)  ipsius  non  deficiunt  ei?(«) 
Non,  que  sunt  de  vivo  lapide.  Ergo  viridaria  pulcra  et  fontes  et  vi- 
ne?  et  molendina  et  multi  agri  (0  et  etiam  (g)  silve  cum  magnis 
venationibus  aut  magna  abilitas  balneorum  destruunt  h?c  civitatem? 
Non  (5>),  quia  omnia  ista  facta  sunt  propter  pulcritudinem  et  abili- 
tatem  (')  pulcr?  civitatis.  Igitur  civitas  interfìcit  homines  habitantes 
in  ea  ?  Non  W,  quia  terra  non  habet  manus  cum  quibus  interficiat 
eos,  et  pulcr?  turres  et  palatia  cum  domibus  non  sunt  serpentes 
nec  dracones  qui  devorent  et  interficiant  ipsos.  Ergo  homines  sunt 
qui  destruunt  civitatem.  Sic  (0  ergo  cur  destruunt  cum  in  ea  sint 
nati  et  filii  eius  sint?  (>")  Non  sunt  filii  sed  servi;  quia  filius  non 
libenter  destruit  bona  paterna,  immo  crescere  facit  ea  et  multipli- 
cari,  et  colit  in  ea  (")  bonas  et  odoriferas  erbas  et  malas  (o)  destruit. 
Servus  autem  non  sic  facit,  sed  facit  sicut  laborator,  qui  vineam  ad 
laborandum  accepit  (p)  alienam,  qui  dimittit  malas  erbas  crescere  et 
bonas  colere  numquam  (q)  curat;  et  etiam  omnes  bonos  fructus 
eligitW  et  arbores  frangit  et  non  curat  si  destruuntur  (0  qu?  (2)  here- 
ditas  non  ei  pertinet.  Ita  videte  quid  (')  accidit  Viterbio,  quod  non 
est  aliquis  qui  (")  Viterbio  faciat  et  dicat  iy)  vel  operetur  bonum  et 

(a)   O  omette  eis  omne  (b)  H  omnem  actionem  (e)  Ms.  quod 

(d)  Ms.  fundamcDto  (e)  IV  ipsius  deficiunt  non,  qui.i;  e  ih  «o/a  ipsius  non 
deticiunt  eius,  non  que,   che  è  la  lettura  dell'  II.  (f)    Ms.  mullis  agris 

(g)  O  Sed  et  (h)  i/ fr  civitatem  non,  quia  (i)  O  nobilitatcm  (k)  HW 
habitantes  in  ea  non,  (1)   IV  Die  (m)    IV  sintl  (n)  IV  vinca 

(o)  Ms.  mala  (p)  O  omette  accepit  (q)  nequaquam  ?  (r)  IV  elidit 
(s)  IV  H  destruitur  O  destruantur:  quia  (t)  Ms.  H  quo  (u)  Ms.  quia 
H  qui  a         (v)  O  omette  et  dicat 

(i)  Qui  non  si  comprende  bene  se  si  tratti  di  Federico  I  o  Fe- 
derico II:  più  facilmente  però  di  questo,  e  allora  dovrebbe  riferirsi 
all'entrata  da  lui  fatta  in  Viterbo  nel  1240  (vedi  e.  12  a)  dopo  la  bat- 
taglia di  Cortenuova  (1237,  «cum  debellaverat  Mediolanum  »). 

(2)  Strano  caso  di  attrazione  per  «  ea  quorum  hereditas  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  251 


augumentum  ;  immo  auferunt  et  diminuunt  et  destruunt  omni  die, 
et  virtutes  et  dignitates  et  dominationes  extorserunt,  et  in  quolibct 
veniunt  (*)  auferendo,  sicut  superius  dictum  est.  Et  ille  qui  magis 
simulat  bene  loqui  et  bene  operari,  ille  citius  accipit  et  furatur  et 
levendit  eum.  Et  nemo  est,  qui  possit  lucrar!  .v.  solidos  aut  .x.  libras 
vel  .e.  aut  plus  vel  minus,  et  communitas  Viterbii  deterioraretur 
.M.  marcis  argenti  vel  duo  milia  aut  plus,  quod  aliquid  ipse  curet,  qui(b) 
non  dilìgit  suam  civitatem.  Immo  s?pe  homines  tradunt  et  faciunt 
sibi  magnum  malum  ;  de  quo  bene  adhuc  eos  penitebit.  Et  sic  Vi- 
terbium  (.<=■)  et  h9c  prophetia  apparent  W  propter  peccata  hominum 
consumati. 

D  e    f  o  r  t  u  n  a    V  i  t  e  r  b  i  i  .  e.  14  a 

O  Viterbium,  iam  es  («)  clipeus  durissimus  et  fortissimus  qui  (0 
nulla  vulnera  times,  et  quicumque  te  portat  in  bellum,  vittori?  partem 
tenet  ;  et  longo  tempore  ad  percussiones  trium  (g)  fortissimorum  bel- 
latorum  durasti:  pap^OO,  imperatoris  et  Rom?  qui  dominantur  toti 
mundo,  totamque  terram  pessundant.  Et  quilibet  de  te  scutum 
facit  et  sbarram,  inducit  te  in  magnos  labores  et  angustias,  quae 
portare  non  potes  sine  dolore  niultorum. 

O  Viterbium,  cum  quiescis,  tota  contrada  quìescit;  et  cum  mo- 
lestaris,  tota  molestatur  contrada.  O  Viterbium,  iam  es  clavis  que 
per  totam  contradam  portam  pacis  et  guerre  pandis.  O  Viterbium, 
omnis  homo  facit  tibi  malum  et  te  tradit  et  vendit  et  spoliat.  O  Vi- 
terbium, adhuc  non  habuisti  Deum  (0  te  amantem,  qui  vellet  te  cre- 
scere et  (S)  multiplicare,  et  te  quilibet  dominus  diligit  fraudolenter, 
suum  (0  capiens  de  te  commodum,  dum  (™)  sibi  necessarium  ades  et 
recedit  de  te,  qualiter  remaneas,  nunquam  curans.  O  Viterbium,  tu 
es  factum  petra  iacens  in  via,  super  quam  quilibet  terendo  transit,  et 
nemo  te  colligere  curat,  immo  te  lacere  dimittit.  Quare?  Quia  omnis 
homo  videtur  te  odire  et  videtur  quod  verus  tibi  sit  inimicus.  Sed 
tu  de  omnibus,  te  auxiliante  Deo  ("),  vindicabis;  quia  nullus  te  offen- 
dentium  adhuc  impunitus  evasit;  nam  omnes  occidisti,  destruxisti  et 
ad  paupertatem   duxisti,  et  qui  tuam    mortem    cupiunt,  sibi  mortem 

(a)  ?F  vendunt         (b)   O  curet  :  quia     H  que  (e)  ///^penitebit.  Et 

sic  Viterbium.  Et  liaec  prophetia  (d)    Ms.    apparet  (e)    \Is.  IV  est 

(f)   O  quia  (g)   H  ÌV  l'omettono,  in  nota  dicono  esservi  tran  con  segno  di 

abbreviazione  sulla  n  ;  così  è  di  fatto,  ma  non  ho  dubbio  sulla  convetiienia  della 
correzione,  (h)   O  idest  pape  (i)   O  H  W   dominum  (k)  HIV  vel 

(1)  et  suum         (m)   O  et  dum         (n)  H  domino 


2J2  y.  Ei^idi  -  Le  croniche  ecc. 


dedisti;  et  qui  te  deslruerc  affectat  ("),  gladio  nianuum  tuariim  ni  re 
periit  (*>),  indubitanter  peribit,  et  qui  te  maledicit,  malcdictus  sit  in 
secula  seculoruni.  Amen. 

Ora  comincia  Viterbo  ad  entrare  nella  tribulatione  et  nelle  guerre 
e  nelle  fatighe  et  nelle  angustie,  e  dove  prima  dava  battaglia  et  guerra 
et  affari  ad  altrui,  cominciano  ad  esser  loro  oppressati,  come  ad  presso 
faremo  mentione. 

{Continua). 


riit 


(a)  Ms.   H  lì'  O  afTectant         (h)  Ms.  H  gladiuni  manuum  tuarum  ne  repe- 
/^  tuarumne  reperiit  e  in  noia  «  clTugiet  vcl  quid  simile  legendum  videltir  ». 


VARIETÀ 


DIPLOiMA  PURPUREO  DI  RE  ROGGERO  II 

PER  LA  CASA  PIERLEOXI 


I  diplomi  scritti  con  lettere  d'oro  su  membrana  pur- 
purea presentano  uno  speciale  interesse  per  la  storia  della 
scrittura  e  per  T  arte  calligrafica.  Per  questo  appunto  sono 
ritenuti  come  i  più  preziosi  documenti  a  noi  pervenuti 
dal  medio  evo  e  vengono  sempre  studiati  con  cura  spe- 
ciale. Ma  disgraziatamente  il  numero  dei  conservati  è 
molto  ristretto,  per  quanto  non  manchino  notizie,  sebbene 
vaghe  ed  incerte,  di  molti  altri,  come  risulta  dalla  lista 
quasi  completa  che  troviamo  nel  noto  libro  del  professor 
Bresslau  (i).  Io  mi  limito  a  registrare  soltanto  i  sei  con- 
servati, che  sono: 

1.  Il  famoso  diploma  di  Ottone  I  per  la  Chiesa 
Romana  del  9^2  febbraio  15.  Originale  (2)  nell'archivio 
Vaticano,  arm.  I,  caps.  in,  n.  i.  Vedi  il  facsimile  (la  ri- 
produzione è  poco  riuscita)  presso  Sickel  (3); 

2.  Altro  diploma  famoso  è  quello  degU  Ottoni  I  e  II 
per  r  imperatrice  Teofana  del  972  aprile  14.  Originale  (2) 
nell'Archivio  di  Stato  di  Wolfenbiittel  (4)  ; 

(i)  Haitdbucb  der   Urknndenlehre,  I,  900  sg. 

(2)  Originale  non  in  istretto  senso  diplomatico. 

(3)  Das  Privilegium  Otto  I  fi'ir  die  romische  Kirche  (1883). 

(4.)  Vedi  il  facsimile  nelle  Ori^'.  Guclf.  IV,  460  e  presso  Sybel 
e  Sickel,  Kaisiriirkunden  in  Ahhildun^cn,  IX,  tab.  2. 


2  54  'T^'  A'e//r 

3.  Il  diploma  di  Grimoaldo  principe  di  Bari  per  la 
chiesa  di  S.  Nicola  di  Bari  del  giugno  1123.  Originale 
neir  archivio  Capitolare  di  S.  Nicola  (i); 

4.  Il  bel  diploma  di  Roggero  II  per  la  cappella  Pa- 
latina di  Palermo  del  1140.  Originale  nell'archivio  di 
questa  cappella  (2); 

•  5.  Il  diploma  di  Lotario  III  per  1'  abbate  Wibaldo 
di  Stablo  del  1137.  Originale  nell'Archivio  di  Stato  di 
Dusseldorf  (5)  ; 

G.  Il  diploma  di  Corrado  III  per  lo  stesso  abbate 
Wibaldo  di  Corvei  del  1147.  Originale  nell'Archivio  di 
Stato  di  Berlino  (4). 

A  questi  sei  sono  ben  lieto  di  aggiungerne  ora  un  altro 
di  speciale  importanza. 

L.  Bethmann  neWArchiv,  XII,  495,  parlando  dell'ar- 
chivio di  S.  Giovanni  (invece  di  S.  Vincenzo)  di  Volturno, 
osserva:  «  Archiv  zerstreut,  einige  Urkunden  in  der  Barbe- 
«  riniana,  darunter  die  Roberts  mit  Goldschrift  auf  violet- 
«  tem  Grund  )>.  Questa  notizia  è  ripetuta  dal  Wattenbach(5), 
dal  Bresslau  (6)  e  dal  v.  Pflugk-Harttung  (7).  Desta  mera- 
viglia che  finora,  come  pare,  nessuno  abbia  fatto  ricerche  per 
rintracciare  un  documento  così  prezioso  e  singolare. 

Quando  io  nello  scorso  dicembre  lavoravo  nella  biblio- 
teca del  principe  Barberini,  favorito  da  gentile  raccomanda- 
zione del  P.  Ehrle,  prefetto  della  biblioteca  \'aticana,  e  dalle 
flicilitazioni  concessemi  da  monsignor  Alessandro  Pieralisi, 


(i)  Ed.  da  I.  V.  Pflugk-Harttung,  lUr  JUiìicuni,  I,  459,  n.  49 
e  nel  Codice  diplomatico  Barese. 

(2)  Ed.  dal  Garofalo,  'J'abularium  Regine  Cappellue,  p.  11. 

(3)  Vedi  Stumpf,  Reg   n    3353. 

(4)  Vedi  Stumpf,  Reg.  n.  354^  ed  il  facsimile  presso  Sybel  e 
SiCKEL,  Kaiserurkunden  in  Abhildiiugen,  X,  tab.  5. 

(5)  Das  Scbriftwesen  im  Miltelaltcr,  ed.  3°,  p.  258. 

(6)  Handbuch  der  Urkundenlehre,  I,  900. 

(7)  Forschungen  ^ur  Deutscben  Geschiclik,  XXIV,   571, 


Varietà  255 

l'ottimo  bibliotecario  della  Barberini,  per  la  mia  raccolta 
delle  antiche  bolle  pontificie,  pensai,  approfittando  dell'oc- 
casione, di  far  ricerche  per  rintracciare  se  possibile  il  ri- 
cordato diploma.  E  con  meraviglia  non  poca  tra  le  per- 
gamene sciolte  della  biblioteca  rinvenni  un  singolarissimo 
diploma  purpureo,  ma  non  di  Roberto,  bensì  di  Rog- 
gero II,  e  non  per  S.  Giovanni  o  S.  Vincenzo  di  Volturno, 
ma  per  la  casa  Pierleoni.  Sono  convinto  che  questo  sia 
il  diploma  citato  dal  Bethmann,  per  quanto  non  sappia 
spiegare  la  confusione  della  notizia  del  grande  erudito  (i). 

Alcune  osservazioni  sui  caratteri  cstcnii. 

È  il  documento  su  pergamena  o  su  carta  ?  Il  diploma 
purpureo  di  Roggero  per  la  chiesa  Palatina  di  Palermo  è 
riconosciuto  dagli  esperti  come  scritto  su  carta  (2).  Io 
stesso  ebbi  occasione  di  esaminare  questo  originale  e  ri- 
levai che  la  stoffa  è  forte  e  spessa  a  guisa  di  cartone.  Il 
nostro  documento  invece  è  su  materiale  sottile,  flessibile, 
asciutto,  precisamente  come  pergamena  fina  e  morbida.  Io 
sono  d'  avviso  che  si  tratti  di  vera  pergamena;  però  lascio 
che  la  questione  venga  decisa  da  persone  tecniche,  non  po- 
tendo io  rilevare  tutta  l'azione  delle  materie  coloranti  sulla 
stoffa.  Osservo  in  riguardo  che  1'  album,  cioè  la  faccia  in- 
terna, presenta  un  colore  violetto  quasi  azzurro,  mentre  la 
faccia  verso  ha  colore  purpureo  vivo  ed  intenso. 

Il  documento  misura  in  larghezza  cm.  51  in  alto, 
cm,  52  in  basso;  in  altezza  cm.  ^c)^  la  plica  ha  cm.  ^,^.  La 
rigatura  venne  praticata  con  punta  a  secco  sul  recto.  Il  mar- 
gine è  determinato  da  linea  verticale,  pure  tracciata  sul  recto. 

La  scrittura,  dalle  lettere  d'  oro,  ha  nel  suo    insieme 

(i)  Probabilmente  1'  errore  va  attribuito  al  compilatore  delle 
notizie  del  Bethmann  pubblicate  dopo  la  sua  morte,  le  quali  anche 
in  altri  punti  presentano  incertezze  ed  errori  gravissimi,  dovuti  alla 
negligenza  ed  all'ignoranza  di  quel  compilatore. 

(2)  Vedi  Carin'i,  SuUa  porpora  &c.  in  Xiiove  Effetueridi  Siciliane, 
ser   III,  voi.  X,  1880. 


2)6  T.  Kelir 

qualche  cosa  di  artificiale,  di  ricercato  :  i  tratti  forti,  mar- 
cati con  aste  prolungantisi  ed  ornate  con  nodi  e  ghirigori 
varii,  come  riscontriamo  del  resto  in  altri  documenti  del- 
l' epoca.  Questa  scrittura  presenta,  secondo  il  mio  parere, 
speciale  riscontro  con  quella  del  diploma  purpureo  di  Rog- 
gero per  la  cappella  Palatina,  ed  anzi  si  tratterebbe  molto 
probabilmente,  se  ben  ricordo,  di  uno  scrittore  comune, 
del  quale  conosciamo  anche  il  nome  dal  presente  diploma. 
Il  chrysografo  si  chiama  «  H.  Panormitanus  archidiaconus 
«  et  capellanus  »  :  è  l'arcidiacono  Enrico  di  Palermo  il 
quale  ricorre  anche  in  altri  documenti  della  cappella  Pa- 
latina. Osservo  ancora  che  nel  nostro  Inedito  le  parole: 
«  Quoniam  cancellarius  deerat  »  sono  aggiunte,  come  io 
credo,  da  un'  altra  mano,  anche  con  lettere  d'  oro,  ma  al- 
quanto più  piccole  e  dai  tratti  più  fini. 

La  plica  ha  quattro  fori.  Rimangono  i  fili  serici  in- 
trecciati e  di  colore  giallastro,  ora  molto  svanito.  Il  sigillo 
andò  perduto  ed  era,  secondo  il  testo,  d'oro. 

Passo  ora  ad  alcune  osservazioni  sulla  storia  del  docu- 
mento. 

Come  pervenne  alla  biblioteca  della  famiglia  Barbe- 
rini ?  Ora  si  trova  fra  alcune  pergamene  conservate  a  parte, 
delle  quali  molte  provengono  da  Verdi  e  da  Monte  S.  Gio- 
vanni. Non  si  esclude  la  possibilità  che  sia  stato  un  acquisto 
d'occasione.  Di  certo  sappiamo  solo  che  ancora  nel  se- 
colo XVI  era  in  possesso  della  famiglia  Pierleoni. 

Questo  apprendiamo  dal  ben  noto  Alfonso  Ceccarelli 
da  Bevagna.  Nel  suo  lavoro,  La  serenissima  nobilita  del- 
ì'alma  città  di  Roma  (cod.  Vat.  lat.  4909-491 1),  troviamo 
(voi.  Ili,  fol.  3)  copia  del  nostro  documento  (i),  preceduta 
da  queste  parole:  «  Copia  di  un  privilegio  fatto  a  casa  Pier- 
«  leoni  da  Roggiero  primo  re  di  Napoli,  il  quale  è  scritto 

(i)  Un'altra  copia  recente  del  nostro  diploma  si  trova  fra  le 
schede  di  mons.  Gaetano  Marini  (cod.  Vat.  lat.  91 13,  fol.   316). 


Varietà  257 

«  in  carta  pergamena  rossa  sottile  a  lettere  d'oro  minute 
«  et  si  trova  in  mano  del  signor  Pompeo  Pierleone  ». 

Alfonso  Ceccarelli!  non  è  questo  il  famoso  falsifica- 
tore di  tanti  diplomi  ?  Non  domanda  il  metodo  scientifico 
di  rigettare  per  questo  solo  anche  il  nostro  documento 
tra  i  falsi  o  almeno  tra  i  sospetti  ?  Infatti  il  eh.  professore 
A.  Riegl  nel  suo  bel  lavoro  sopra  Ceccarelli  e  le  sue  falsi- 
ficazioni nelle  Mitteiìiiìigen  des  ostcrr.  Inslituts,  XV,  232,10 
cita  come  «  vermutlich  gefiilscht  ».  E  davvero  questo  so- 
spetto può  parere  a  prima  vista  fondato  (i). 

iMa  non  bisoa;na  oreneralizzare  ed  escludere  senz'altro 
tutto  il  materiale  che  offre  il  Ceccarelli,  Noi  sappiamo  bene 
che  la  maggior  parte  dei  suoi  documenti  sono  indubita- 
tamente falsificazioni  del  Ceccarelli  stesso.  Ala  per  alcuni 
attinse  a  fonti  genuine;  così  apprendo  dal  terzo  volume  del 
citato  lavoro  La  serenissima  nobilita,  fol.  2,  28,  37  &c.,  che 
egli  utilizzò  i  regesti  Vaticani  da  copie  autenticate  dai  cu- 
stodi della  biblioteca  \^aticana.  La  copia  poi  che  egli  fece 
del  nostro  diploma  è  veramente  stata  eseguita  suU'  origi- 
nale, come  attestano  le  lacune  e  gli  errori. 

Da  questo  risulta  come  molto  ancora  sia  da  farsi  per 
uno  studio  sul  metodo  delle  falsificazioni  del  Ceccarelli, 
il  quale  non  inventava  in  vero  senso,  ma  fabbricava  su 
pochi  tipi  e  formole  la  serie  dei  documenti  che  lo  interes- 
savano per  le  genealogie. 

Per  quanto  grande  sia  T  importanza  di  questo  diploma 
dal  lato  paleografico  ed  artistico,  mi  godo  assai  più  di  of- 
frire agli  studiosi  un  documento  di  tanto  valore  per  la 
diplomatica  dei  Normanni  e  sopra  tutto  per  la  storia  di 
Roma  nel  secolo  xii. 

Non  intendo  però  di  occuparmi  della  parte  diplomatica, 

(i)  Il  Ceccarelli,  loc.  cit.  fol.  6,  cita  anche  un'  altra  pergamena, 
«  scritta  a  lettera  formata  colle  maiuscule  d'oro  e  rigata  di  linee  d'oro 
«et  di  altri  colori  quale  ho  havuto  dal  signor  Curtio  Saccoccia»,  Di 
questo  e  della  sua  sincerità  non  intendo  occuparmi  per  ora. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         17 


258  'P.  Kehr 

perchè  sulla  diplomatica  dei  Normanni  è  imminente  un 
ampio  studio  di  mio  fratello  Carluccio,  il  quale  discuterà 
particolarmente  anche  del  nostro  documento. 

Il  periodo  storico  in  cui  ci  trasporta  questo  diploma  è 
noto  a  tutti.  Nessuno  ignora  la  parte  avuta  dalla  famiglia 
Pierleoni  nella  storia  della  Chiesa  nei  secoli  xi  e  xii  e  l' in- 
fluenza che  ha  avuto  negli  avvenimenti  politici  d'  Italia, 
sopra  tutto  nelle  lotte  intestine  di  Roma:  Anacleto  II, 
che  ha  cinto  Roggero  II  della  corona  di  Napoli,  è  il 
figlio  del  console  romano  Pietro  Leone  e  fratello  di 
Giovanni,  Leone,  Roggero,  Giordano  e  Guido,  ricordati 
nel  nostro  diploma  inedito.  Per  la  storia  e  per  la  genea- 
logia di  questa  famosa  famiglia  romana,  per  le  relazioni 
tra  Roma  ed  i  Normanni  è  questo  documento  di  tanta 
importanza  che  desidererei  che  altri  studiosi  più  esperti  di 
me  nella  storia  di  Roma  1'  illustrassero  ampiamente.  Io, 
come  modesto  ricercatore  dei  documenti  nascosti  negh 
archivi,  mi  contento  di  offrire  a  questi  studiosi  il  testo. 

P.  Kehr. 


In  nomine  domini  Dei  eterni  et  salvatoris  nostri  Icsu  Christi. 
Anno  eius  incarnationis  .MC.xxxiili.  indic(tione)  .xii.  Ego  R.  Dei 
gratia  Sicili?  et  Itali?  rex.  D[um  in]  palatio  nostro  siimma  |  felici- 
tate usi  resiiJeremus,  ad  nostre  maiestatis  presentiam  lohannes  quon- 
dam P.  Leonis  bone  recordationis  Romanorum  consulis  filius  advenit, 
ad  memoriam  revocans  |  beneficia  et  honores  qu?  pater  et  mater  no- 
stra felicis  memori?  et  nos  ipsi  habundanti  largitione  patri  et  fratribus 
et  ei  frequenter  contulimus,  ultroneus  sorvitium  |  et  ligium  homi- 
nium  suum  et  receptacula  omnium  municionum  et  castrorum  sua 
et  domorum  fratrum  et  nepotum  eorum  subscriptorum,  domum  vi- 
delicet  Leonis  et  Rogerii  et  lordanis  |  et  Guidonis  et  nepotum  Petri 
Hugezonis  et  Gratiani  obtulit.  Et  ut  h?c  ad  fìnem  perduci  potuissent, 
constanter  institit  et  per  se  et  per  homines  nostros  assidue  claborans 
potestatis  I  nostre  clcmentiam  exoravit.  Nos  itaque  audita  peticione 
et  cognita  illius  voluntatc,  communicato  nostrorum  fidelium  Consilio, 
eius  peticioni  asensum  prebere  |  decrevimus.  Statuimus  enim  et  tem- 
poribus perpctuis    observandum    esse  mandavimu5,  ut  tam  ipsi    pre- 


Varietà  259 


tiicti  honorabiles  et  egregi!  viri  quam  |  ooruni  licredcs  nobis  et  he- 
redibus  nostris  ligium  liomiiiiuni  et  bipiani  fidelitatem  centra  omnes 
homines  et  feminas  faciant  et  quod  in  omnibus  ]  castellis  et  municio- 
nibus  eorum  nos  et  heredes  nostros  et  gentem  nostram  et  pecuniam 
salve  et  secur?  rtceptent  ad  facicndam  guerram  omnibus  |  inimicis 
nostris,  si  inde  requisiti  fucrint  vcl  quandocumque  vel  ubicumque  ne- 
cesse  fuerit,  sine  fraude  et  dolo  quod  ad  dampnum  nostrum  |  et  he- 
redum  nostrorum  sit  iurciurando  assecurent,  termino  et  loco  quem 
nos  vel  nostri  heredes  eis  et  eorum  heredibus  nominabimus  vel  |  no- 
minare faciemus.  Nos  igitur  nostr?  liberalitatis  arbitrio  de  nostri 
palacii  thesauro  ad  pondus  nostr?  curi?  ducentas  quadraginta  uncias  | 
auri  singulìs  annis  eis,  si  requisicrint,  communiter  dare  promisimus 
aut  redditus  ad  valens  im  possessionibus  et  .vii.  §quos  et  duos 
ethiopes,  hac  vide  |  licet  ratione  ut  privilegium  donationis  quod  pater 
noster  et  nos  patri  eorum  et  illis  quondam  fecimus  remaneat.  Sacra- 
mentum  autem  erit  hoc  modo:  Ego  (  talis  iuro  et  assecuro  tibi  do- 
mino meo  R.  Dei  gratia  Sicili?  et  Itali?  regi  magnifico  et  domino 
R.  duci  filio  tuo  aliisque  tuis  heredibus  secundum  tuam  |  ordinationem 
ligiam  fidelitatem  et  ligium  hominium  de  vita  et  menbris  et  terreno 
honore  et  corona  regni  tui  et  quod  non  queram  nec  querere  faciam 
nec  I  ero  in  dicto  facto  Consilio  seu  consensu,  qualiter  ea  perdatis 
vel  captionem  vestrorum  corporum  habeatis  et  terram  quam  hodie 
tenes  vel  acquisiturus  es  et  coronam  |  regni  tui  adiuvabo  te  et  he- 
redes tuos  tenere  et  defendere  contra  omnes  homines  et  feminas 
qui  ea  vobìs  ad  tollendum  invadere  temptaverint,  per  me  et  per  | 
meos  et  meas  municiones  et  castella.  Consilium  quod  michi  credi- 
deris,  alieni  non  pandam  ad  tuum  dampnum.  Vivam  et  continuam 
guerram  tuis  inimicis  fideliter  |  faciam  et  neque  pacem  neque  con- 
cordiam  neque  trevias  neque  suatam  cum  eis  accipiam  nisi  t[ua]  li- 
centia.  In  villis  et  castellis  nieis  te  et  militiam  tuam  et  pecuniam 
tuam  I  et  tuorum  salv?  et  secare  receptabo  ad  guerram  faciendam 
inimicis  tuis  et  in  guerra  et  in  pace,  si  tibi  placuerit.  H?c  attendam  et 
observabo  tibi  et  domino  (  R.  duci  filio  tuo  aliisque  tuis  heredibus 
secundum  tuam  ordinationem  per  fidem  sine  fraude  et  ingenio  quod 
ad  tuum  vel  eorum  sit  dampnum.  ]  Sic  Deus  me  adiuvet  et  h?c  sancta 
evangelia.  Ad  huius  sane  nostr?  concessionis  robur  et  durabile  firma- 
mentum  per  manus  H.  Panor  |  mitani  archidiaconi  et  capellani  no- 
stri hoc  privilegium  fieri  mandavimus  et  nostro  aureo  sigillo  insignari 
precepimus.  Data  Panormi  |  quinto  kal.  februarii.  Quoniam  cancel- 
larius  deerat. 

B.  dep. 


2^0  'P.   Tacchi-Venturi 


UN  RUOLO  INEDITO 

DELL'ARCHIGINNASIO  ROMANO  SOTTO  PAOLO  III 


Un  nuovo  documento  per  la  storia  dell'  archiginnasio 
romano  nel  secolo  xvi  viene  ad  aggiungersi  a  quello  che 
ora  sta  illustrando  F.  Pometti  e  che  quanto  prima  egli 
darà  alle  stampe  (i). 

Poche  parole  metteranno  in  evidenza  quale  sia  la  sua 
importanza  per  conoscere  più  minutamente  lo  stato  della 
Sapienza  in  uno  dei  suoi  più  singolari  periodi  nella  prima 
metà  del  Cinquecento. 

Era  fin  qui  ben  noto  che  Paolo  III,  gran  mecenate 
de'  nobili  studi,  tra  le  prime  cure  del  suo  pontificato  aveva 
posto  ancor  quella  di  riaprire  l'Ateneo  romano,  chiuso  da 
Clemente  VII  dopo  i  luttuosi  fatti  del  sacco  di  Roma. 
Monumento  della  sollecitudine  del  pontefice  ci  rimane 
tuttavia  il  breve  spedito  l'ii  novembre  1534,  cioè  appena 
un  mese  dalla  sua  elezione,  al  celebre  medico  Girolamo 
da  Gubbio,  l'Accoramboni,  nel  quale,  ricordandogli  il  pro- 
posito concepito  di  riaprire  lo  Studio  e  di  attirarvi  d'ogni 
parte  uomini  insigni,  T  invitava  a  recarsi  a  Roma  per  leg- 
gervi medicina  (2). 


(i)  Ringrazio  il  Pometti  di  avermi  cortesemente  mostrato  il 
lavoro  in  preparazione. 

(2)  Il  breve,  edito  già  dal  Marini,  Archialri,  II,  279,  fu  ripubbli- 
cato dal  Rexazzi,  Storia  dell'  Università  degli  studi  di  Rotila,  II,  243, 


Varietà  261 

Quali  e  quanti  fossero  stati  i  primi  professori  nel  ria- 
prirsi della  Sapienza,  quale  la  provvigione  loro  assegnata, 
l'ignoravamo  del  tutto.  Anzi,  benché  il  ricordato  invito 
all'Accoramboni  dicesse  congetturare  che  lo  Studio  avesse 
ripreso  i  corsi  nel  1535,  tuttavia,  portando  il  ruolo  più 
antico  la  data  del  1539,  il  Renazzi  si  restrinse  prudente- 
mente a  scrivere  che  «  sotto  i  fausti  e  validi  auspici  [quei 
«  dei  Farnesi,  l'avo  Paolo  e  il  nipote  Alessandro]  nel  1539 
«  era  l'Università  ben  ristabilita  e  fondata»  (i). 

Una  felice  ventura  lo  scorso  febbraio  mi  fece  cadere 
sott'occhio,  nel  R.  Archivio  di  Stato  in  Parma,  la  minuta 
originale  del  primo  ruolo  approvato  da  Paolo  III  per  la 
riapertura  dello  Studio.  Questo  documento,  sconosciuto 
sin  qui,  mette  fuori  di  controversia  che  già  nel  primo 
aiino  del  suo  pontificato  Paolo  III  ripristinò  l'insegna- 
mento alla  Sapienza.  Ne  di  minore  importanza  sono,  a 
mio  avviso,  le  conclusioni  che  se  ne  traggono  per  cono- 
scere più  minutamente  i  costumi  del  tempo  circa  la  scelta 
dei  lettori  e  la  durata  nella  lettura. 

Un  raffronto  fra  i  tre  ruoli  già  noti  del  pontificato  di 
Paolo  III  per  gli  anni  1539,  1542,  1548  mostrava  in  ve- 
rità quanto  spesso  succedessero  cambiamenti  nel  corpo 
insegnante.  Ciò  confermavasi  ancora  dal  vedere  due  dei 
primi  compagni  del  Loiola,  il  Fabro  e  il  Lainez,  messi  dal 
papa  a  leggere  nella  Facoltà    teologica  appena    giunti  in 


n.  vin.  Errò  il  Renazzi  scrivendo   che  fu  spedito    sedici    giorni  dal- 
l'elezione del  Farnese  avvenuta  il  12  ottobre  i)34. 

(i)  Renazzi,  op.  cit.  II,  97  II  ruolo  originale  in  pergamena  in- 
sieme con  gli  altri  del  pontificato  di  Paolo  III  e  dei  suoi  successori 
conservasi  tuttora  nell'archivio  della  R.  Università  di  Roma.  Va  os- 
servato che  la  data  1)39  in  calce  del  recto  della  pergamena  non 
risale  alla  sua  prima  compilazione,  ma  fu  apposta  da  una  mano 
del  sec.  xviii,  che  la  prese  dal  verso  dove  era  stata  notata  in  tempi 
molto  più  antichi,  come  si  giunge  a  discernere  dalle  svanite  tracce 
delie  cifre. 


262  'P.   Tacchi-  ì'ciiliiri 

Roma  il   1537,  e  mutati  da  li  a  men  di  due  anni,  cioè  nel 
maggio  1559  (0- 

Ora,  mettendo  a  riscontro  questo  ruolo  del  1535  con 
quello  del  '39,  il  primo  degli  altri  tre  sotto  Paolo,  tro- 
viamo tante  mutazioni  nel  corpo  degli  insegnanti  alla 
breve  distanza  di  soli  tre  anni,  quante  certo  non  si  veri- 
ficano mai  relativamente  in  ninna  Università  moderna. 
Fra  diciotto  professori  che  l'Università  contava  nel  1535, 
solo  sei  o  al  più  otto  rimangono  al  posto  nel  1539,  quando 
il  loro  numero  era  stato  notevolmente  accresciuto  elevan- 
dolo a  ventiquattro  (2). 


(i)  I  nomi  di  questi  due  teologi,  savoiardo  l'uno,  spagnuolo  il 
secondo,  non  ricorrono  in  alcuno  dei  ruoli  fin  qui  conosciuti.  11  Re- 
NAZZi  (op.  cit.  p.  99)  li  ricordò  attingendo  al  Maffei,  buona  fonte, 
ma  non  certo  di  prima  mano  yDe  vitd  et  nioribus  li^n,  Loyolae,  lib.  2, 
cnp.  6). 

Gli  studi  di  questi  ultimi  anni  sopra  le  origini  della  Compagnia 
di  Gesù  ci  mostrano  1'  esattezza  dello  scritto  del  Maffei  e  degli  altri 
biografi  ignaziani.  Dell'  insegnamento  infatti  del  Fabro  e  Lainez  alla 
Sapienza  scrisse  in  una  sua  lettera  lo  stesso  Santo  il  19  dicembre  1558 
{Cartas  de  san  Igiiacio  de  Loyola,  Madrid,  1874,  I,  65,  76),  Anche  il 
Bobadilla  loro  compagno,  venuto  in  Roma  nella  primavera  del  1558, 
in  una  lettera  autografa  inedita  al  duca  Krcole  li  di  Ferrara  dei 
I)  giugno  dello  stesso  anno,  conferma  il  fatto  (Arch.  di  Stato  in 
Modena.  Cancelleria  ducale,  Regolari),  e  il  medesimo  ripete  il  con- 
temporaneo PoLANCO  nel  Chronicon  Soc.  Jes.  I,  65  (nei  Moniim.  hislor. 
Soc.  Jes.,  Madrid,  1894). 

Questi  ragguagli  hanno  grande  valore  per  determinare  l'anno 
del  più  amico  ruolo  in  pergamena,  conservato  nell'  archivio  della 
R.  Università  di  Roma.  Portando  esso  la  data  del  1539,  5'  potava 
dubitare  se  rappresentasse  lo  stato  dei  professori  per  1'  anno  scola- 
stico 1538-59,  o  per  il  1539-40.  Ma  poiché  non  vi  compaiono  i  nomi 
dei  pp.  Fabro  e  Lainez,  i  quali  (come  spero  di  dimostrare  nella 
storia  della  Compagnia  di  Gesù  in  Italia)  tennero  la  lettura  dal 
nov.  1537  al  maggio  1539.  ne  segue  che  il  ruolo  debba  attribuirsi 
al  1539-40  e  in  niuna  guisa  all'anno  precedente. 

(2)  Dico  sei,  o  al  più  0//0,  perchè  si  rimane  veramente  dub- 
biosi se  il  «  dominus  Franciscus  Racanatensis  »  e  il  «  doniinus  licen- 


Varietà  2^3 

Rileveremo  ancora  alcuni  pochi  particolari.  Il  ruolo 
del  1539  omette  interamente  la  provvigione  dei  singoli 
lettori,  che  ricorre  del  resto  in  quelli  del  1542  e '48.  Questo 
primo  del  '^^  la  dà  per  tutti,  eccetto  che  per  quello  della 
loirica.  L'Accoramboni  non  fìirura  insegnante  né  in  me- 
dicina,  né  in  altre  Facoltà  affini;  il  perché  non  sappiamo 
qual  fede  si  debba  al  Renazzi,  che  asserisce  avere  lui  ac- 
cettato l'invito  e  letto  alla  Sapienza  (i). 

Il  celebre  chirurgo  napoletano  Alfonso  Ferri,  che  in- 
contrasi nei  ruoli  del  1539  e  ne'  seguenti,  aveva  comin- 
ciato a  tenere  scuola  di  chirurgia  sin  dal  1535  alla  riaper- 
tura dello  Studio.  Si  convince  ancora  inesatta  la  notizia 
del  Renazzi,  che  fra  Cipriano  da  Roma  dell'Ordine  dei 
Predicatori  fosse  destinato  alla  cattedra  di  teologia  nel 
riaprimento  dell'Università.  Il  ruolo  del  '^^  mostra  che 
egli  successe,  non  sappiamo  se  immediatamente,  al  p.  Carlo 
Pinelli  che,  primo  sotto  Paolo,  tenne  quella  lezione. 

Resterebbero  ora  da  illustrare  i  nomi  dei  singoli  pro- 
fessori, tra'  quali  non  mancano  personaggi  cospicui.  Ma 
questo  compito  lo  trasmetto  intero  a  chi  vorrà  darci,  se 
non  una  nuova  storia,  almeno  più  ampi  e  critici  studi  sul 
celebre  archiginnasio.  Il  campo,  per  quanto  percorso  nei 
tempi  andati,  lascia  tuttavia  luogo  abbondante  a  chi  voglia 
spigolare  utilmente  e  copiosamente. 

Pietro  TACCHI-^'ENTURI  S.  I. 


«tiatus  hispanus  »,  professori  in    diritto    canonico    e    in  matematica 
nel  1535,  non  siano  gli  stessi  che  ricorrono  nel  ruolo  del  1539  sotto 
il  nome  di  a  M,  Franciscus  Leopardus  »  lettore  in  medicina,  e  «  Hie- 
«  ronimus  Artins  hispanus  »  professore  di  metafisica, 
(i)  Renazzi,  op.  cit.  II,  95,   107-iOcS. 


2^4  *P.   Tacc/ii-Veiìturi 


[Arcli.   Ji  Stato   in   Parm»,    Cjr/<»g/o   Farueiiano,   ij3S,   Ofig-] 

Professores  deputati  a  Sanctissimo  Domino  Nostro 
Paulo  III  ad  I e g e n d u ni  in  G y m n a s i o  Romano  prò 
hoc  anno    15^5    cum   infrascriptis   salariis.  In   primis 

In    T  h  e  o  I  o  g  i  a . 

A     60.  Magister  Ioannes  lacobus  procurator  ordinis  sancti  Augustine 
A     60.  Magister  Carolus  Pynellus  ordinis  praedicatorum. 
A     60.  Magister  Ioannes  Monlutius  Gallus. 

In    Canonico. 

A     50.  Dominus  Sylvester  Politianus. 

A     50.  Dominus  Franciscus  Racanatensis. 

In    Civili. 

A  100.  Dominus  Ioannes  Baptista  Osius. 
A  100.  Dominus  Restorus  Perusianus. 

A  n  (sic)  I  n  s  t  i  t  u  t  a . 
A     75.  Dominus  Damianus  Politianus. 

In   Medicina. 
A  150.  Magister  Ioannes  de  Macerata. 

In    P h i  1  o s o p h i a . 
A  300.  Dominus  lacobus  de  lacomellis. 

In    Logica. 

Idem  dominus  lacobus  de  lacomellis. 
A     30.  Magister  Andreas  de  monte  Ilcino. 

In   Chirurgia. 

A  100,  Magister  Alfonsus  de  Regno. 
A     75.  Magister  Franciscus  Romanus. 

I  n   M  a  t  h  e  m  a  t  i  e  a . 
A     60.  Dominus  licentiatus  Ispanus. 


Varie  là  26  \ 


In    R  h  e  t  o  r  i  e  a . 

A  120.  Doniinus  Nicolaus  Scacvola  de  Spoleto. 
A     36.  Dominus  Ncstor  Mcdiolancnsis. 

In    Greco. 
A  100.  Dominus  Nicolaus  Maioranus. 

Subscriptio  talis   erat:  S.mus   Dominus  Noster  ita  mandai.  Am- 
brosius  Recalcatus  S.  S."^  secretarius. 

[A  tcr^o  d' altra  mano,  ina  coeva]  Lectores    Romac. 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ 


SedtUa  del  21  marzo  igoi. 

Sono  presenti  i  soci  U.  Balzani,  presidente;  I.  Giorgi, 
segretario;  C.  Maes,  L.  Mariani,  A.  Monaci,  F.  Nitti, 
M.  Rosi,  P.  Savignoni,  Th.  Sickel,  O.  Tommasini. 

Si  scusano  di  non  potere  intervenire  i  soci  Guidi,  Fon- 
tana, MoNTicoLO  e  Navone. 

Il  Segretario  legge  il  verbale  della  seduta  precedente 
che  è  approvato. 

Il  Presidente  dà  lettura  della  relazione  seguente: 

«  Egregi  Colleghi, 

«  Il  volume  MY Archivio  che  ho  l'onore  di  presentarvi, 
incomincia  con  una  pubblicazione  che  mostra  le  continue 
e  cordiali  relazioni  tra  la  Società  nostra  e  le  Società  stori- 
che d'altri  paesi.  La  Historiscb  Genootschap  di  Utrecht,  de- 
siderosa di  dare  in  luce  tutti  i  diari  di  Arnoldo  von  Bu- 
chell,  ci  offriva  cortesemente  di  pubblicare  la  parte  di  essi 
relativa  ai  viaggi  che  l'erudito  olandese  aveva  compiuti 
in  Italia  tra  il  novembre  del  1587  e  l'aprile  del  1588.  Il 
ConsigUo  di  presidenza  accettò  di  buon  grado  l' offerta, 
e  V  Iter  Italiciini  viene  ora  in  luce  nel  nostro  Archivio 
grazie  alle  cure  del  dottor  van  Langeraad  che  ha  fornito 
il  testo  e  le  notizie  intorno  all'  autore,  e  del  nostro  collega 
il  professore  Lanciani,  il  quale  con  note  topografiche  e 
storiche  fa  da  par  suo  l'illustrazione  del  testo. 


26S  oAlti  della  Società 


«Il  professor  Tomassetti  ha  continuato  in  questo  volume 
il  suo  lavoro  sulla  Campagna  Romana  concludendo  in  esso 
la  descrizione  della  via  Portuense,  e  il  professore  France- 
sco Pometti  ha  condotto  a  termine  i  suoi  studi  sul  pon- 
tificato di  Clemente  XI.  La  geniale  consuetudine  fissata 
dalla  Società  di  tenere  adunanze  allo  scopo  di  fare  delle 
comunicazioni  scientifiche,  oltre  all'  interesse  e  al  vantaggio 
grande  delle  discussioni  ha  fornito  :\\V Archivio  ottimo  ma- 
teriale di  pubblicazione.  Incuti  sono  frutto  di  queste  adu- 
nanze la  comunicazione  del  socio  professor  Kehr  di  due 
documenti  inediti  che  illustrano  la  storia  di  Roma  negli 
ultimi  anni  del  secolo  undecimo,  e  sui  quali  egli  porta  la 
luce  della  sua  critica  misurata  e  feconda,  e  le  comunica- 
zioni del  dottor  Hermanin  suU'  atfresco  scoperto  a  S.  Ce- 
cilia in  Trastevere,  e  attribuito  a  Pietro  Cavallini,  e  del 
dottor  Federici  sopra  Santa  Maria  Antiqua  e  gli  ultimi 
scavi  del  Foro  Romano.  Sulla  importanza  delle  scoperte  di 
cui  trattano  queste  due  comunicazioni  sarebbe  superfluo 
insistere,  ma  sono  certo  d'  accomunarmi  al  pensiero  vostro 
facendo  voti  perchè  l'ardore  delle  ricerche  bene  iniziate 
non  si  rallenti,  e  dia  col  tempo  nuovi  risultati.  Le  indagini 
archivistiche  continuate  dagli  alunni  della  Scuola  Storica, 
hanno  anch'esse  fornito  materia  all'Archivio.  Il  dott.  Fe- 
derici ha  compiuta  la  pubblicazione  del  Regesto  del  mona- 
stero di  San  Silvestro  de  Capite,  e  il  dott.  Fedele  intraprese 
quella  del  Talmìario  di  Santa  Maria  Nova  che  contiene 
documenti  di  gran  pregio.  Oltre  a  questi  lavori,  lo  studio 
del  prof.  Pietro  Egidi  sulla  Fraternità  dei  Disciplinati  di 
Viterbo,  e  alcuni  brevi  scritti  dei  signori  Grimaldi,  Cardosi 
e  del  socio  comm.  Fumi,  completano  questo  volume  che 
spero  non  troverete  inferiore  a    quelli  che   lo  precedono. 

«  La  stampa  del  futuro  fascicolo  è  già  bene  innanzi,  e 
non  mancherà  materia  al  volume  nuovo,  sia  con  le  con- 
tinuazioni di  lavori  già  in  corso,  sia  con  altri  già  pronti 
ed  offerii.  Cito  fra  questi  alcuni  nuovi  documenti  relativi 


OAtti  della  Società  269 

alla  liberazione  dei  principali  prigionieri  turclìi  presi  a  Le- 
panto, che  pubblicherà  il  socio  prof.  Rosi;  uno  studio  del- 
l'avv.  Carassai  sulla  storia  della  proprietà  ecclesiastica  nei 
riguardi  pubblici  dall'epoca  Costantiniana  alla  Giustinianea; 
la  cronaca  di  frate  Francesco  d'Andrea  da  Viterbo,  a  cura 
del  prof.  Hgidi,  e  alcuni  altri  studi  del  dott.  Federici  com- 
plementari della  sua  comunicazione  intorno  a  Santa  Maria 
Antiqua.  Debbono  poi  aggiungersi  a  questi,  i  lavori  che 
stanno  preparando  gli  alunni  della  Scuola  Storica. 

«  Intorno  a  questa  Scuola  debbo  annunziare  che  i  si- 
gnori Pietro  Fedele  e  Vincenzo  Federici,  avendo  compiuto 
il  termine  pel  quale  erano  stati  eletti,  hanno  dovuto  stac- 
carsene. I  lavori  eh'  essi  hanno  pubblicato  nel  nostro  Ar- 
chivio, le  belle  comunicazioni  fatte  da  loro  nelle  nostre 
riunioni  scientifiche,  attestano  del  loro  ingegno,  del  loro 
zelo  e  del  loro  amore  agli  studi  e  m'  è  caro  ricordarne 
l'opera  con  grande  lode.  Su  proposta  di  questa  Presidenza, 
il  Ministero  dell'  Istruzione  ha  nominato  in  loro  vece  i 
dottori  Pietro  Egidi  e  Luigi  Schiaparelli,  e  confido  che 
essi  serberanno  alto  il  buon  nome  di  questa  giovane  Scuola 
che  io,  con  fede  tenace,  credo  destinata  a  salire  dagli  umili 
principi  ad  una  vita  rigogliosa  e  fiorente.  Essi  hanno  in- 
cominciato già  i  loro  lavori  dedicandosi  l'  Egidi,  oltre  al 
lavoro  annunziato,  ad  uno  studio  sui  necrologi  della  pro- 
vincia romana,  e  lo  Schiaparelli  alla  esplorazione  di  alcuni 
archivi  molto  importanti  e  finora  non  bene  conosciuti. 

(c  Circa  le  pubblicazioni  libere  della  nostra  Società,  ho 
poco  da  aggiungere  a  quanto  vi  dicevo  nella  relazione 
precedente.  Gli  scarsi  nostri  mezzi  finanziari  ci  costringono 
a  procedere  con  cauta  lentezza.  Prosegue  però  la  stampa 
del  Liher  hystorianun  Roìnanorum,  e  pel  Rci^eslo  di  harfa 
si  lavora  all'  indice  dei  luoghi  che  è  a  stampa,  ma  la  cui 
correzione  definitiva  richiede  cure  minuziose  e  verifiche 
continue  e  diffìcili.  Inoltre  al  dott.  Schiaparelli  è  stato  dato 
incarico  di  spingere  innanzi  il  lavoro  di  preparazione  per  la 


270  Q/ltti  della  Società 

raccolta  dei  Diplomi  imperiali  e  retili  pubblicati  a  facsimile, 
con  r  intendimento  di  avere  così  apparecchiato  il  lavoro, 
che  appena  si  riesca  ad  avere  i  mezzi  per  l'esecuzione  dei 
facsimili,  r  opera  possa  venire  compiuta  con  la  maggiore 
rapidità. 

«  Alle  pubblicazioni  dell'  Istituto  Storico  Italiano  la  So- 
cietà continua  a  portare  il  suo  contributo.  Dei  lavori  de- 
liberati d'accordo  con  l'Istituto  continuala  preparazione, 
e  intanto  la  stampa  del  Chroiiicon  Farfcnse  procede  alacre- 
mente. 

«  L'  anno  scorso  si  è  chiuso  e  questo  nuovo  si  è  aperto 
con  due  avvenimenti  dolorosi  per  la  Società  nostra  :  la 
morte  dei  colleghi  Raffaele  Ambrosi  de  Magistris,  e  Mandell 
Creighton.  D'  entrambi  troverete  il  ricordo  nelT  ultimo  fa- 
scicolo deWJrchivio,  ma  so  d'interpretare  gli  animi  vostri 
mandando  un  affettuoso  e  mesto  saluto  alla  loro  memoria  ». 

Messa  ai  voti  la  relazione  è  approvata. 

Il  Presidente  presenta  alla  Società  i  bilanci,  ma  fa  os- 
servare come  ad  essi  manchi  la  sanzione  di  uno  dei  due 
soci  eletti  a  sindacarli,  il  socio  Ambrosi  mancato  ai  vivi 
prima  che  avesse  potuto  prenderli  in  esame.  Chiede  alla 
Società  se  ritiene  che  sia  meglio  rimandare  ad  altra  se- 
duta la  discussione  dei  bilanci  nominando  intanto  un  altro 
sindacatore  in  sostituzione  del  socio  Ambrosi. 

Il  socio  Rosi  è  d'avviso  che  basti  l'approvazione  di  un 
solo  sindacatore. 

Il  socio  ToMMASiNi  Crede  che  in  questione  di  bilanci 
sia  opportuno  tener  ferme  le  consuetudini,  e  propone  il 
rinvio  della  discussione  e  la  nomina  di  un  altro  sindaca- 
tore. 

Il  Presidente  dichiara  che  nel  rimettersi  al  parere  della 
Società  il  Consiglio  propende  per  la  proposta  Tommasini 
che  è  approvata.  A  sindacatore  viene  eletto  il  socio  Nitti. 

Il  Presidente  annunzia  che  alla  Società  è  pervenuto  un 
invito    di  partecipare    ad  un    Congresso  internazionale  di 


oAtti  della  Società  271 

scienze  storiche  che  dovrebbe  tenersi  in  Roma  nell'  anno 
venturo.  Egli  è  d'avviso  che  la  Società  debba  in  questo 
caso,  come  in  altri  casi  precedenti,  astenersi. 

Il  socio  ToMMASiNi  appoggia  la  proposta  di  astensione. 
Rileva  come  non  si  sia  potuto  ancora  adunare  il  Congresso 
nazionale  di  Palermo.  Crede  opportuno  che  la  Società 
lasci  alla  iniziativa  individuale  dei  soci  di  partecipare  come 
meglio  essi  credono  all'opera  di  questo  Congresso  inter- 
nazionale, ma  eh'  essa  debba  mantenere  il  riserbo  tenuto 
in  altre  occasioni. 

Il  socio  NiTTi  è  di  contrario  avviso  e  crede  che  la  So- 
cietà debba  prender  parte  ad  un  Congresso  che  ha  già 
avuto  adesioni  notevoli  e  che  deve  tenersi  qui  in   Roma. 

Dopo  ulteriore  discussione  a  cui  prendono  parte  i  soci 
Monaci,  Tommasini  e  Nitti,  la  Società  delibera  di  astenersi. 

A  tenore  dello  statuto  si  procede  allo  scrutinio  segreto 
per  r  elezione  del  presidente,  di  due  consiglieri  e  del  te- 
soriere. Fatto  lo  spoglio  delle  schede  risultarono  eletti  i  soci 
U.  Balzani  a  presidente,  E.  Monaci,  O.  Tommasini  a  con- 
siglieri, G.  Navone  a  tesoriere.  Al  presidente  Balzani  viene 
confermato  il  mandato  di  rappresentare  la  Società  come 
delegato  presso  l'istituto  Storico  Italiano. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore   18. 


Seduta  del  26  aprile   igoi. 

Sono  presenti  i  soci  U.  Balzani,  presideìite;  G.  Lum- 
BROso,  E.  Monaci,  M.  Rosi,  P.  Savignoni,  O.  Tomma- 
sini, e  i  signori,  G.  Arias,  P.  Ecidi,  V.  Federici,  G.  Fo- 
colari, F.  Hermanin,  F.  Pometti,  V.  Rocchi  e  E.  Guerri 
invitati  alla  riunione. 

Si  dà  lettura  del  verbale  della  seduta  precedente  che 
è  approvato. 


272  Q^lti  della  Società 

Il  Prksidenfk  commemora  il  socio  defunto  Bartolomeo 
Fontana  ricordandone  i  meriti  verso  la  Società. 

Invitato  dal  Presidente  il  dott.  Federico  Hekmanin 
comunica  che  in  seguito  a  riscontri  stilistici  fatti  coli' af- 
fresco di  Pietro  Cavallini,  scoperto  in  S.  Cecilia  in  Traste- 
vere, egli  crede  di  potere  assegnare  al  grande  pittore  ro- 
mano anche  la  decorazione  del  semicatino  dell'  abside  di 
S.  Giorgio  in  Velabro,  per  tradizione  attribuita  a  Giotto. 

L'  affresco,  nel  quale  sono  raffigurati  Gesù  Cristo,  la 
Vergine  Maria,  S.  Giorgio,  S.  Pietro  e  S.  Sebastiano,  deve, 
secondo  il  dott.  Hermanin,  porsi  cronologicamente  fra  i 
musaici  dell'abside  di  S.  Maria  in  Trastevere  (1291)  e 
l'affresco  di  S.  Cecilia  (1298?-!  300.''). 

Committente  ne  fu  probabilmente  Iacopo  Gaetano  Ste- 
faneschi,  nominato  cardinale  diacono  di  S.  Giorgio  in  Ve- 
labro ai  18  di  dicembre  del  1295,  e  quindi  la  pittura  sarà 
stata  cominciata  nell'anno   129^. 

Già  il  Cavalcasene  negava  che  quest'affresco  potesse 
assegnarsi  a  Giotto  e  vi  notava  rapporti  di  stile  con  i  musaici 
di  S.  Maria  in  Trastevere. 

Il  dott.  Gino  Arias  dà  notizia  di  alcuni  documenti  del- 
l'archivio  Vaticano,  cioè  principalmente  di  un  libro  di  com- 
mercio in  volgare  e  di  alcune  lettere  commerciali  pure  in 
volgare,  del  secolo  xiii,  appartenenti  alla  compagnia  mer- 
cantile senese  de'  Bonsignori.  Questi  documenti  (che  fan 
parte  degli  atti  di  un  processo  tenutosi  nel  1345,  per  ini- 
ziativa della  S.  Sede,  contro  gli  eredi  di  quella  società  da 
vari  anni  fallita)  sono  interessanti  sotto  moltissimi  aspetti, 
sia  per  lo  studio  storico  e  giuridico  dei  rapporti  fra  i 
banchieri  toscani  e  la  S.  Sede  nel  secolo  xiii,  sia  per  l'in- 
dagine delle  cause  che  determinarono  il  fallimento  de' 
Bonsignori  e  il  decadere  del  commercio  bancario  senese 
al  principio  del  xiv  secolo,  vuoi  per  la  ricerca  del  valore 
comparativo  delle  monete  medioevali,  vuoi  infine  per  la 
storia  del  nostro  volgare. 


oAtti  della  Società  273 

Questi  documenti  e  il  loro  commento  vedranno  la  luce 
wqW Archivio  della  nostra  Società. 

Il  dott.  Rocchi  riferisce  intorno  ad  una  bolla  inedita 
di  Urbano  VI,  e  il  dott.  Focolari  intorno  ad  un  sarcofago 
scoperto  di  recente  nel  Foro  Romano. 

Il  prof.  PoMETTi  comunica  che  la  lacuna  che  si  riscontra 
nella  cronologia  dei  cardinali,  dal  1201  al  1213,  può  essere 
riempita  col  nome  di  Paride,  cardinale  dell'  Ordine  dei 
preti  e  dal  titolo  dei  XII  Apostoli,  il  quale  figura  tra  i 
firmatari  d'una  bolla  di  Innocenzo  III  (1202,  9  giugno), 
inedita,  e  della  quale  il  Pometti  dimostra  1'  autenticità. 

Il  dott.  Luigi  Schiaparelli  parlando  di  alcune  sue 
osservazioni  sulla  «  finnatio  autografa  nelle  carte  pagensi 
romane  dei  secoli  x  e  xi  »  crede  di  potere  asserire  come 
conclusione  che  in  tali  carte  è  regola  l'uso  della  firma  auto- 
grafa. Questa  firma  consisteva  o  nella  sottoscrizione  auto- 
grafa (per  intiero  od  in  parte)  o  nella  semplice  croce 
autografa.  Di  quest'  ultima  si  usa  pure  il  sistema  detto  a 
spacco,  cioè  col  solo  tratto  orizzontale  autografo.  La  fir- 
matio  autografa  si  f:i  sempre  più  rara  verso  la  fine  del  se- 
colo XI  e  diventa  eccezione  nel  secolo  xii. 

Il  prof.  Pietro  Ecidi  comunica  le  conclusioni  a  cui  è 
giunto  nei  suoi  studi  preparatori  alla  edizione  della  Cronaca 
Viterbese  di  frate  Francesco  d'Andrea  di  cui  s'incomincia 
la  pubblicazione  in  questo  fascicolo  à.e\\' Archivio. 

Il  Presidente  dà  lettura  delle  relazioni  sui  bilanci  che 
vengono  approvati. 

La  seduta  è  sciolta  alle  ore   18. 


Archivio  della  K.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  l8 


BIBLIOGRAFIA 


R.  Poupardin,  Ètiidc  sur  la  diplomatiqiie  des  princci  ìombards 
de  Bénévcìit,  de  Capone  et  de  Saleriie,  in  Mélan^es  d'archeo- 
logie et  d'ìmtoire,  tom.  XXI.  —  Rome,  1 90 r,  pp.  1 1 7- 1 80. 

Il  Poupardin  divide  il  suo  lavoro  in  tre  capitoli  :  nel  primo  parla 
dei  diplomi  dei  principi  di  Benevento  dei  secoli  viii  e  ix,  Romualdo, 
Godescalco,  Liutprando,  Arichi,  Gisolfo,  Grimoaldo  III  e  IV,  Sicone, 
Sicardo,  Radelchi  I  e  II,  Radelgario,  Adelchi,  Aione.  Questi  diplomi 
hanno  i  vari  nomi  di  «  preceptuni  »,  «  preceptum  firmissimum  »  o 
«  roboreum  »,  o  «  concessionis  »,  o  «  fìrmitatis  »,  o  «  renovationis  », 
ed  altri  nomi  meno  frequenti,  come  «  libertatis  et  fìrmitatis  prece- 
«ptum»,  «membrana  concessionis  preceptum  »  &c.;  la  loro  invo- 
cazione è  quasi  sempre  la  medesima:  «  In  nomine  domini  Dei 
«  salvatoris  nostri  lesu  Christi»;  l'intitolazione  i  principi  di 
Benevento  si  nominano  «  vir  gloriosissimus  »  o  con  la  frase  «  nostra 
«gloriosa  potestas  »,  «  nostra  clementia  »,  o  '(  exemietas  »,  o  «  es- 
ce cellentia  »,  o  «  sublimitas  »,  con  la  sola  eccezione  di  Arichi  che  si 
chiamava  «vir  excellentissimus  »;  l'esposizione,  quasi  sempre 
mancante  nei  documenti  del  secolo  viii,  è  ridotta  in  quelli  del  se- 
colo IX  alla  sola  menzione  della  cosa  richiesta,  annunciata  dalla  frase 
«per  rogum  »  seguita  dal  nome  del  «rogator»  che  è  uno  della  fa- 
miglia del  principe  o  più  spesso  un  funzionario  di  palazzo. 

Nella  disposizione,  in  genere  breve,  la  concessione  se  ad 
un  particolare  è  espressa  per  «  concessimus  tibi  N.  »,  se  ad  una  casa 
religiosa  «concessimus  in  ecclesia  »,  «  in  monasterio  N.  »  e  termina 
con  una  formola  che  stabilisce  i  diritti  del  beneficiato,  l'ordine  ai 
soggetti  di  farli  rispettare,  la  perpetuità  dei  suddetti  diritti;  vi  manca 
quasi  sempre  la  espressa  sanzione  penale  in  caso  di  contrav- 
venzione all'atto. 

Dalle  sottoscrizioni  della  cancelleria  appare  che  nella 
preparazione  del  documento  si  distinguevano  tre   momenti:  l'ordine 


iqd 


'\Bibliografia 


dato  dal  principe  Ji  prepararlo;  l'ordine  di  un  funzionario  di  farlo 
redigere;  la  stesura  dell'atto  da  parte  di  un  notaio:  tutti  e  tre  risul- 
tanti dalla  formula  «  ex  iussione  nominatae  potcstatis  dictavi  ego  Petrus 
«  vice  dominus  et  referendarius  tibi  Teodaldo  scribendum  w  del  di- 
ploma del  721  del  duca  Romualdo  (Trova,  n.  378).  Da  certi  atti 
risulta  che  spesso  il  documento  si  redigeva  senza  intermediari  fra  il 
principe  e  il  notaio:  del  referendario,  del  resto,  che  pare  fosse  il 
capo  della  cancelleria,  non  si  trova  più  menzione  dal  774  in  poi. 
I  notai,  molto  numerosi,  pare  che  facessero  parte  di  una  cancel- 
leria ben  costituita  o  che  almeno  appartenessero  in  qualche  modo 
alla  famiglia  del  palazzo  del  principe. 

Nella  data,  l'actum  comprende  il  luogo,  il  mese,  l'indizione; 
dal  774  in  poi,  anche  l'anno  del  principato,  con  la  formula  «  anno 
«  tanto  ».  Nei  diplomi  del  secolo  ix  il  «  Datum  »,  dalla  parola  «  mense  » 
in  poi,  è  di  carattere  diverso  dal  resto,  né  è  possibile  dire  se  della 
medesima  o  d'altra  mano. 

L' a pprec azione  sempre  con  le  lettere  Fé  o  F  «feliciter». 
Di  sigilli  non  se  ne  conosce  nessuno  anteriore  al  secolo  x; 
ma  in  atti  di  Romualdo  II,  di  Gisolfo  II  e  di  Adelchi  si  ha  notizia 
di  un  «  anulus  »  ;  un  atto  di  Gisolfo  è  detto  «  preceptum  sigillatum  »  ; 
tracce  di  sigilli  sono  pure  in  documenti  del  secolo  ix  in  uno  dei  quali 
(Montecassiuo,  caps.  XII,  n.  21)  esso  doveva  avere  40  millimetri  di 
diametro. 

Alcuni  atti  privati  acquistavano  forma  di  precetti  quando  a  re- 
digerli concorrevano  funzionari  palatini  e  quando  avevano  il  sigillo 
del  principe. 

Gli  atti  giudiziari  («indictum»,  «  iudicatum  »,  «  iudicatum 
«  diffinitionis  »)  sono  redatti  in  nome  del  principe;  hanno  l'invoca- 
zione abbreviata:  «in  Dei  nomine»;  la  formula  iniziale  costante 
«  cum  coniunximus  nos  vir  gloriosissimus  dominus  N.  &c.  in  loco  N.  »; 
minutissima  l'esposizione  delle  parti,  richiamati  gli  incidenti  di  pro- 
cedura, identiche  alle  altre  le  varie  parti  dell' esc  ato  col  lo. 

Nel  secondo  capitolo  l'autore  tratta  dei  diplomi  dei  principi  di 
Capua  e  di  Benevento  del  secolo  x  e  del  principio  dell' xi:  Atc- 
nolfo  I,  li,  III;  Landolfo  I,  II,  III,  IV,  V;  Paldolfo  I,  II,  III,  IV; 
Landenolfo,  Laidulfo,  Paldolfo  di  Teano  e  Giovanni. 

Essi  assomigliano  per  i  caratteri  esterni  ai  diplomi  Carolini: 
sempre  in  pergamena,  in  genere  di  forma  irregolare,  specialmente 
dopo  il  x  secolo;  in  minuscola  longobarda  cancelleresca;  frequenti 
le  abbreviazioni  per  sospensione;  corrotto  il  loro  latino  quasi  come 
quello  degli  atti  privati. 


bibliografìa  277 


Olire  che  con  i  nomi  già  indicati  per  gli  atti  del  primo  periodo 
essi  si  trovano  designati  anche  con  gli  altri  «  munitionis  »  o  «  nui- 
«  nitatis  apices  »,  «  hrmitatis  apices». 

In  certi  casi  i  principi  di  Capua,  come  semplici  privati,  dispo- 
nendo dei  loro  beni,  facevano  redigere  atti  meno  solenni,  in  tutto 
simili  agli  atti  pagensi,  che  son  forse  quelli  designati  col  nome  di 
(f  cartola  »  (cf.  un  documento  del  Chronicon  Vullurnense  in  Muratori, 
Rer.  11.  Scr.  I,  11,   160). 

La  prima  linea  del  protocollo  iniziale  preceduta  dalla 
croce  e  la  sottoscrizione  del  principe  nell' es  e  a  tocol  1  o  in  ca- 
rattere cancelleresco  allungato:  essa  contiene  l'invocazione,  la 
soscrizione  del  principe  e  l'esordio  abbreviato;  le  tre  parti 
distinte  da  puntuazione  molto  variabile. 

La  formula  di  intitolazione  è  la  solita:  «  N.  divina  ordi- 
te nante  providentia  Langobardorum  gentis  princeps  <Scc.  »  ;  quella 
dell'esordio  che  nel  primo  periodo  si  trova  completa  (cf.  un  do- 
cumento di  Atenolfo  in  Gattola,  Hist.  p.  28)  vien  ridotta  in  questo 
tempo  alla  abbreviata  «  cum  principalis  excellentia  petitione  dilecti 
«sui  clementer  favet  igitur...  ìnic». 

L'esposizione  contiene  anche  ora  la  domanda  fatta  diretta- 
mente o  per  mezzo  d'un  intermediario  che  in  questo  tempo,  a  diffe- 
renza del  primo  periodo,  è  un  parente  del  principe,  o  sua  moglie  o  sua 
madre  o  un  conte  o  un  sacerdote  o  un  gastaldo;  spesso  vi  si  trova 
la  formula  di  devozione  «  prò  amore  Dei  et  mercede  ac  redemptione 
«anime  nostre»,  e  più  tardi  l'altra  «prò  patrie  nostre  salvacione  ». 

La  disposizione  è  rappresentata  dalla  parola  «sancimus», 
«  concedimus  »  come  negli  atti  analoghi  del  primo  periodo,  ma  con 
le  formule  finali  meno  determinate. 

La  corroborazione  è  spesso  seguita  da  una  sanzione 
materiale  che  varia  da  i  a  100  libbre  d'oro,  talvolta  da  dividersi  tra 
il  fisco  e  la  parte  lesa;  sanzione  rarissima  nel  primo  periodo  e  che 
forse  si  deve  all'influenza  dei  diplomi  Carolini. 

La  sottoscrizione  del  principe,  se  regna  uno  solo,  è  «  Si- 
«  gnum  (monogr.)  dom.  N.  excellent.  principis  »;  se  regnano  in  più,  o 
ne  è  sottoscritto  uno  solo,  quello  ricordato  nella  intitolazione;  o 
ambedue,  uno  doDO  l'altro:  spesso  la  sottoscrizione  è  seguita 
da  punteggiatura  speciale  e  completata  dal  sigillo.  Il  monogramma, 
come  in  molti  diplomi  Carolini,  è,  forse,  fatto  in  cancelleria;  del  prin- 
cipe potrebbe  riconoscervisi  il  «  signum  »  in  quel  comma  d'inchio- 
stro nero  che  si  vede  nel  mezzo  della  O  dei  monogrammi  medesimi. 

Nelle  sottoscrizioni  della  cancelleria  non  comparisce 
più   il  referendario   del   primo   periodo    ma    solo    un  «  notarius  »  o 


278  IBibliografa 


K  scriba  »  che  forse  apparteneva  al  palazzo,  come  parrebbe  dalla  firma 
di  un  diploma  di  Atenoifo  (Gattola,  Accession^s,  p,  44).  Spesso  le 
sottoscrizioni  della  cancelleria  e  la  data  sono  di  altra  mano  che 
quella  del  testo,  dal  che  si  può  dedurre  che  certi  atti  copiati  da  uno, 
erano  completati  in  seguito  con  le  formule  dell' e  s  cat  o  e  o  1  lo. 

Nella  data  è  compreso  Factum  con  l'indicazione  del  luogo, 
il  datum  con  quella  dell'anno  del  principato  (o  dei  principati)  con- 
tato dal  giorno  che  il  principe  è  associato  al  governo  dal  suo  pre- 
decessore, e  con  l'indizione  che  è  sempre  quella  del  i"  settembre. 

Il  sigillo  segue  la  sottoscrizione  del  principe;  è  di  cera  bianca, 
oggi  abbrunata  dal  tempo:  di  forma  rotonda,  di  dimensioni  varie  che 
vanno  gradatamente  ingrandendosi  da  Atenoifo  I  a  Landolfo:  in  ge- 
nere quelli  dei  principi  di  Capua  hanno  nel  recto  l'immagine,  nel 
verso  il  monogramma  del  principe  in  nome  del  quale  è  redatto  il 
documento  con  il  nome  di  colui  che  gli  è  stato  associato.  Ma  nu- 
merose sono  le  varietà,  e  il  Poupardm  ne  riporta  quante  ne  ha  trovate. 

Nel  terzo  capitolo  tratta  degli  atti  dei  principi  di  Salerno:  Si- 
conolfo,  Ademaro,  Guaifero,  Guaimaro  I,  II,  III,  IV,  Gisolfo  I,  II, 
Paldolfo  I,  Testa  di  Ferro  Giovanni. 

Molti  di  questi  sono  atti  privati  analoghi  a  quelli  dei  conti,  dei 
vescovi  e  dei  particolari. 

Fino  al  principato  di  Guaimaro  III  i  caratteri  esterni  dei  docu- 
menti sono  i  medesimi  del  secondo  periodo.  Cominciano  con  la  croce; 
scritti  senza  distinzione  in  tutte  le  varie  parti  con  la  medesima  scrit- 
tura, ad  eccezione  della  data  che  dopo  la  parola  '<  mense»  è  di  ca- 
rattere più  grande;  mancano  sottoscrizioni;  manca  il  monogramma. 

Da  Guaimaro  III  l'invocazione  e  il  nome  del  principe 
sono  scritti  in  lettere  cancelleresche  allungate. 

Nel  protocollo  iniziale,  1' invocazione  negli  atti  di  Sico- 
nolfo  è  «  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  lesu  Christi  »  ;  in  quelli  di 
Guaimaro  «  In  nomine  domini  Dei  eterni  salvatoris  lesu  Christi  »;  in 
quelli  di  Gisolfo  «  In  nomine  sancte  et  individue  Trinitatis  ». 

Il  titolo  del  principe  è  sempre  «  princeps  Langobardorum  » 
con  la  frase  «  Dei  providentia  »,  «  divina  opitulante  cletnentia  ». 

Nel  testo,  tanto  l'esordio  che  la  notificazione,  l'espo- 
sizione e  la  disposizione,  sono  come  nei  documenti  che  ab- 
biamo già  esaminati;  nessuna  sanzione  legale;  nessuna  corro- 
borazione, che  è  rappresentata  soltanto  dall'annunzio  del  sigillo, 
senza  sottoscrizioni  e  senza  monogramma.  Il  solo  Guaimaro  IV  pare 
che  usasse  di  scrivere  le  formule  finali  nei  suoi  atti  e  di  apporre  il 
monogramma,  che  dal  solo  originale  di  lui  pervenutoci  (ardi.  .Mon- 


Tìibliografìa  279 


tecassino,  caps.  XII,  n.  13)  apparisce  essere  in  nero  e  non  in  rosso 
come  nei  documenti  degli  altri  due  gruppi. 

La  sottoscrizione  della  cancelleria  è  fatta  sempre  «ex 
«  iussione  suprascripte  potestatis  scripsi  ego  N.  notarius  »,  e  ciò  fin 
al  momento  in  cui  nei  diplomi  di  Guaimaro  IV  si  trova  la  firma  del 
notaio  Truppoaldo.  In  seguito  la  sottoscrizione  rassomiglia  a  quella 
di  atti  privati,  nel  senso  che  il  principe  vi  parla  in  persona  prima. 
I  nomi  dei  notai  di  questi  atti  spesso  sono  gli  stessi  degli  atti  privati 
dell'epoca  e  del  luogo.  Questo  fatto  non  permette  di  concludere  che 
i  principi  di  Salerno  non  avessero  vera  e  propria  cancelleria  o  che 
si  servissero  dei  medesimi  notai  che  rogavano  atti  per  il  pubblico, 
poiché  in  tutti  i  casi  nei  quali  in  atti  principeschi  si  trovano  firme 
di  notai  che  si  riscontrano  pure  in  atti  privati  è  sempre  estrema- 
mente difficile  stabilire  la  identità  come  dei  nomi  anche  delle  per- 
sone, per  le  quali  talvolta  potrebbe  invece  trattarsi  di  vere  omonimie. 

Anche  in  questo  periodo  la  data  comprende  Factum  con  il 
luogo,  l'anno  del  principato,  il  mese  e  l'indizione.  Dal  principio  del 
secolo  XI  la  parola  actum  scompare  e  la  data  viene  compresa  nella 
formula  finale  di  cancelleria.  Manca  l'apprecazione. 

II  più  antico  documento  di  Siconolfo  aveva  già  il  sigillo;  e 
sigillati  erano  i  documenti  dei  principi  successivi  di  Salerno.  Di  si- 
gillo facevano  uso  Guaimaro  I,  Gisolfo  I,  Guaimaro  III. 

In  questo  periodo  v'  ha  anche  una  categoria  di  documenti  detti: 
atti  privati  non  solenni,  che  i  principi  di  Salerno  facevano 
redigere  non  come  sovrani  ma  come  proprietari.  Questi  non  avevano 
sigillo  ed  erano  redatti  per  domanda  del  principe  da  un  notaio. 
Cominciano  dalla  data  (anno  del  pontificato,  mese,  indizione);  vi 
manca  la  domanda  fatta  al  principe,  la  formula  di  conferma,  la 
disposizione.  Dal  x  secolo  in  poi  qualche  volta  vi  si  trova  una 
specie  di  sanzione  temporale  (poena  pecuniaria)  per  la  quale 
il  principe  promette  di  pagare  una  certa  somma  se  non  avranno 
effetto  le  convenzioni  stabilite.  Nel  secolo  xi  si  trova  un'altra  specie 
di  atti  nei  quali  comparisce  l'autorità  di  un  giudice  che  presiede  alla 
redazione  dell'atto. 

Di  tutti  e  tre  i  periodi  l'autore  compila  la  nota  dei  referendari 
e  dei  notari.  La  ragione  e  l'importanza  di  questo  lavoro  sta  in  ciò 
che  tutti  questi  documenti  rappresentano  per  la  loro  redazione  di- 
plomatica come  un  periodo  di  transizione  fra  gli  atti  dei  re  longo- 
bardi dei  secoli  vii  ed  viii  e  quelli  dei  principi  normandi  del  secolo  xi. 

È  questo  il  primo  lavoro  speciale  che  dopo  il  volume  del  Russi 
(Paleografìa  e-  diplomatica,  Napoli,  Rinaldi,  Sellitto,  1883)   si  sia  pub- 


28o 


Tiihliuii- rafia 


blicato  sulla  diplomatica  dei  principi  di  Benevento,  di  Capua  e  di 
Salerno.  Il  volume  del  Russi,  specialmente  per  la  mancanza  di  un 
metodo  più  rigoroso  in  relazione  allo  sviluppo  che  fuori  d'  Italia, 
avevano  avuto  gli  studi  diplomatici,  invecchiò  appena  pubblicato: 
che  pochi  anni  dopo  la  sua  comparsa  (11S85)  in  Germania  usciva  la 
prima  edizione  deir//a»;d/'«r/;  del  Bresslau  (1889)  e  in  Francia  il  Ma- 
nuale del  Giry;  ma  per  l'Italia  il  suo  lavoro  era  fra  i  primi  dei  ge- 
nere: che  soltanto  allora  si  pubblicava  la  prima  redazione  del  Pro- 
^raminu  scolastico  del  Paoli,  da  poco  tempo  il  Piscicelli  aveva  fatta 
la  bella  raccolta  della  Paìeo^^rafui  aiiìslica  di  Motitecassino  e  da 
un  anno  solo  il  Monaci  aveva  iniziata  la  bella  e  vasta  raccolta 
del  suo  Archivio  paleografico  italiano.  Per  questo  almeno  l'operetta 
del  Russi  meritava  di  essere  conosciuta  dal  valente  Poupardin  che 
pure  vi  avrebbe  trovate,  se  non  vagliate  al  lume  di  metodi  moder- 
nissimi, nitidamente  poste  e  studiate  tutte  le  questioni  di  diploma- 
tica dei  documenti  delle  Provincie  napolitane  coU'ampio  sussidio  che 
air  autore  venne  dalla  vasta  conoscenza  ch'egli  aveva  del  materiale 
archivistico.  Ma  il  Poupardin  non  è  riuscito  (p  117,  nota  i)  a  trovare 
il  volume  del  Russi,  che  cita  soUanto  richiamandosi  al  giudizio  che 
ne  dà  il  Bressiau.  È  questa  si  può  dire  l'unica  osservazione  che  mi 
occorre  di  fare  al  lavoro  del  giovane  allievo  della  Scuola  francese; 
per  il  resto  mi  affretto  a  dir  subito  ciò  che  mi  son  studiato  di  far 
apparire  dal  riassunto  che  ne  ho  dato,  che  cioè  il  suo  lavoro,  per 
rigore  di  metodo,  per  sobrietà  di  esposizione,  per  fine  discernimento 
critico,  diverrà  facilmente  il  lavoro  fondamentale  intorno  all'  argo- 
mento. E  ciò  nonostante  che  l' autore  abbia  dovuto  servirsi,  nello 
studio  delle  forme  diplomatiche,  di  raccolte  dove  il  testo  del  docu- 
mento non  è  sempre  criticamente  sicuro,  come  in  quella  del  Trova 
(tomo  V  della  sua  Storia  iiltulia)  e  in  quella  del  Muratori  {Rer.  It. 
Scr.  I,  II)  dove  il  Cbroiiicon  Viilturnense  è  riprodotto  da  un  apo- 
grafo poco  corretto  e  per  il  quale  sarebbe  stato  desiderabile  il  ri- 
scontro con  l'originale  Barberiniano,  come  molto  opportunamente 
l'autore  ha  fatto  per  quelli  del  Cbrotiicon  S.  Sophiac,  già  edito  nel- 
ì" Italia  sacra  (tom.  X)  dell' Ughelli.  Un  altro  titolo  di  importanza  e 
di  originalità  al  lavoro  del  Poupardin  viene  dal  fatto  che  per  i  di- 
plomi dei  principi  di  Capua  e  di  Benevento  del  secolo  x  e  del  prin- 
cipio del  secolo  xi  egli  trae  il  suo  materiale  direttamente  dall'archivio 
di  Montecassino,  dalia  biblioteca  Capitolare  di  Benevento,  e  per  i  di- 
plomi dei  principi  di  Salerno  oltre  che  dalla  biblioteca  Capitolare  di 
Benevento  e  dall'archivio  di  Montecassino  anche  da  quello  di  Cava 
e  dall'archivio  Vescovile  di  Salerno, 

V.  Federici. 


ISibliografia  281 


Prof.  Francesco  Ruffini,  J.a  liberili  rcìU^nosn,  voi.  I,  Storia 
dell'idea. —  Torino,  1901,  pp.  xi-542,  ìu-i6. 

La  libertà  religiosa,  che  non  consente  di  «  perseguitare  nessuno, 
«né  privarlo  della  piena  capacità  giuridica  per  motivi  di  religione  »(p.  6), 
è  stata  spesso  offesa  dalle  religioni  e  dalla  «  miscredenza  non  illuminata 
«  e  non  equanime  «  (p.  3),  colla  quale  è  quasi  connaturale  «  lo  studiarsi 
«  di  far  violenza  allo  Stato  perchè  comprima  la  libera  esplicazione  di 
«  quelle  opinioni  e  di  quei  riti  religiosi,  ch'essa  disprezza  e  crede  dan- 
te nosi  al  progresso  e  al  benessere  umano  »  (p.  4).  A  questa  libertà 
gli  antichi  si  mostrarono  favorevoli,  e  se  i  Romani  perseguitarono  il 
Cristianesimo,  lo  fecero  perchè  questo  appariva  confuso  col  Giudaismo 
e  perchè  era  accusato  di  aver  negata  l'adorazione  del  genio  imperiale. 
I  primi  Cristiani  invocarono  la  tolleranza  mentr'erano  perseguitati,  ma, 
divenuti  liberi  e  forti,  molti  fra  essi,  e  specialmente  gli  Ariani,  si  mo- 
strarono intolleranti.  In  mezzo  al  Cristianesimo  l'intolleranza  aumenta 
dopo  il  Mille,  «quando  lo  spirito  cavalleresco  francese  einsieme  quello 
«  commerciale  italiano  generarono  le  crociate,  e  le  crociate,  rinfo- 
«  colando  gli  odii  di  religione,  sostituirono  alla  figura  scomparsa  del 
«  pagano  quella  nuovissima  dell'infedele  »  (p.  42).  Forse  qui  sarebbe 
stato  bene  osservare  che  l'intolleranza  dei  Mussulmani  aveva  avuta 
la  sua  parte  nel  promuovere  le  crociate,  dando  così  incitamento  al- 
l' intolleranza  dei  Cristiani,  e  sarebbe  stato  meglio  parlare  subito  della 
parte  che  i  papi  ebbero  specialmente  alle  prime  crociate,  non  certo 
per  ispirito  cavalleresco  e  commerciale,  cosa  del  resto  che  l'egregio 
autore  ammette  osservando  poco  dopo  che,  mentre  i  principi  seco- 
lari perseguitavano  gli  Ebrei  bramosi  delle  ricchezze  loro,  «  la  Santa 
«  Sede  invece,  più  disinteressata,  si  mostrò  sempre  assai  benigna  verso 
«  gli  Ebrei,  e  cercò  invece  di  volgere  il  rinnovato  fervore  religioso  verso 
«  la  Terra  Santa  ». 

In  mezzo  all'intolleranza  cristiana  Marsilio  da  Padova  si  leva 
«  con  sprazzo  di  antiveggenza  veramente  profetica  sopra  tutti  i  con- 
«  temporanei  e  l'età  immediatamente  successive  »  (p.  47).  Forse  1'  idea 
più  ammirata  del  dotto  padovano  è  quella  espressa  nel  capitolo  JX 
del  Defensor  pacis,  dove  si  nega  alla  Chiesa  qualunque  autorità  coer- 
citiva in  religione;  ma  per  questo  non  oserei  portare  Marsilio  tanto 
in  alto,  sapendo  che  egli  poi  concede  allo  Stato  il  diritto  di  limitare  la 


2  82  "'Biblioi'ra/ìa 


libertà  degli  eretici,  e  ricordando  che  volle  spogliare  la  Cliiesa  d'ogni 
forza  materiale  scrivendo  l'opera  sua  non  dottrinale  ma  polemica  in 
difesa  di  Lodovico  il  Bavaro  venuto  in  aperta  guerra  col   papa. 

Dopo  molti  anni  la  Riforma  protestante  poneva  dei  principi,  da 
cui  «  qualunque  spirito  moderno  non  potrebbe,  procedendo  unica- 
(f  mente  a  filo  di  logica,  non  dedurne  la  necessità  di  proclamare  la 
«libertà  di  coscienza  e  di  culto  nell'ambito  almeno  del  Cristiane- 
«  simo  »  (p.  59).  Invece  allora  i  Riformati  chiesero  libertà  polemizzando 
coi  Cattolici,  ma  di  fatto  la  negarono  agli  avversari.  Il  prof.  Ruffini 
attribuisce  questo  alla  «  loro  originaria  coltura  cattolica  »,  e  trova 
giusta  l'osservazione  del  Laboulave  che  «  i  principi  da  essi  posti  fe- 
ce cero  tutto,  poiché  da  essi  al  momento  opportuno,  in  più  favorevoli 
«  condizioni  di  ambiente,  la  libertà  religiosa  potè  erompere  trionfal- 
«  mente  »  (p.  64).  Quanto  alla  coltura  calloUca  potrebbe  forse  notarsi 
che  fino  dal  iv  secolo  gli  Ariani  si  mostrarono  intollerantissimi  pur 
essendo  usciti  da  un  Cristianesimo  che  aveva  fino  a  poco  tempo  prima 
chiesta  la  libertà  religiosa,  e  quanto  ai  principi  da  cui  sarebbe  più  tardi 
venuta  questa  libertà,  perchè  non  ricorrere  addirittura  al  primo  tempo 
dei  Cristiani  che  molto  prima  di  Lutero  li  avevano  solennemente  pro- 
clamati? 

Tra  i  Riformati  l'egregio  autore  chiama  tolleranti  i  Sociniani  esa- 
minandone le  dottrine  religiose,  ma  non  dice  come  e  dove  essi  ap- 
plicarono verso  le  minoranze  i  loro  principi  di  libertà.  Ci  sembra  che 
per  un  gran  pezzo  tutti  quanti  i  Cristiani,  cattolici  o  no,  invocassero 
la  libertà  quand'erano  deboli,  la  negassero  quando  avevano  la  mag- 
gioranza, e  che  solo  sembrino  più  tolleranti  quelli  che,  come  i  So- 
ciniani, riducendo  a  poche  le  credenze,  avevano  minori  occasioni  di 
es:ere  contradetti.  E  ci  pare  che  questo  sia  confermato  dallo  studio 
che  il  prof.  Ruffini  presenta  intorno  alle  condizioni  religiose  dei  paesi 
cattolici  e  protestanti  d'Europa.  Infatti  nell'Inghilterra  i  decreti  di  tol- 
leranza di  Carlo  II  e  di  Giacomo  li  nel  1662,  1672,  1687  e  1688  si 
credettero  dovuti  alla  simpatia  di  questi  re  verso  i  Cattolici,  vennero 
respinti  dal  Parlamento  d'accordo  con  tutti  i  Protestanti  e  furono 
causa  non  ultima  della  venuta  al  trono  di  Guglielmo  III  d' Grange. 
In  Olanda  nella  seconda  metà  del  Seicento  si  ebbe  a  sbalzi  una  certa 
tolleranza  di  fatto  dalle  leggi  non  prescritta,  e  che  probabilmente  era 
dovuta  alle  relazioni  cogli  stranieri  che,  fuggiti  per  cause  religiose  dai 
loro  paesi,  portavano  ai  pratici  Olandesi  attività  e  ricchezze.  Nella 
Francia  l'editto  di  Nantes,  più  tardi  revocato,  non  è  certo  da  attri- 
buirsi alla  tolleranza  della  maggioranza  cattolica,  e  nel  Belgio  e  nella 
Spagna,  come  negli  altri  paesi  cattolici,  tolleranza  non  vi  era,  od  in 
certi  casi  speciali  veniva  concessa  per  motivi  particolari,  proprio  come 


"Bibliografìa  283 


accadeva  nei  paesi  protestanti  e  specialmente  in  Germania,  dove  so- 
prattutto i  mutamenti  territoriali  rendevano  difficile  la  conservazione 
dell'unità  religiosa. 

I  primi  esempi  di  libertà  vera,  raccomandata  assai  presto  da  qualche 
scrittore,  li  troviamo  in  America,  e  il  primo  fra  tutti  nella  colonia  cat- 
tolica di  Maryland  fondata  da  Lord  Baltimore,  cattolico  sincero  e 
grande  fautore  della  libertà  religiosa.  Per  volontà  di  Baltimore  il 
2[  aprile  1649  si  proclamò  legalmente  nella  colonia  la  libertà  reli- 
giosa, con  un  decreto,  che  fu  il  primo  «  che  un'assemblea  legalmente 
«  costituita  abbia  votato  al  mondo  »  (p.  502).  La  tolleranza  fu  tolta 
poco  dopo  da  fanatici  Puritani  divenuti  maggioranza  in  questa  co- 
lonia, ma  più  tardi  fu  ristabilita,  mentre  si  estendeva  alla  rimanente 
America  del  Nord.  E  sebbene  in  alcuni  luoghi  incontrasse  degli  osta- 
coli, fini  per  essere   solennemente  sancita  nella  costituzione  federale. 

In  Europa  si  fa  un  passo  decisivo  con  Giuseppe  II,  l'opera  del 
quale  avrà  una  grande  efficacia  anche  fuori  de'  suoi  Stati.  Invece  la 
Rivoluzione  francese  in  nome  della  libertà  inaugurerà  una  violenta 
persecuzione  religiosa,  che  fino  al   1795   fece. le  sue  vittime. 

All'Italia  in  particolare  il  prof.  Ruffini  dedica  una  cinquantina 
di  pagine  (pp.  477-532)  esaminando  lo  svolgimento  legislativo  e  il 
movimento  letterario.  Dichiara  il  primo  relativamente  tollerante, 
specie  a  Venezia,  e  si  ferma  a  parlare  quasi  esclusivamente  di  questa 
c'ttà,  del  Piemonte  e  di  Napoli.  Proprio  non  so  perchè  non  abbia 
parlato  un  poco  più  di  altre  città,  come  per  esempio  di  Lucca  e  di 
Ferrara,  che  pure  meriterebbero  di  essere  considerate  in  un  lavoro  come 
questo.  Eppure  in  questi  ultimi  anni  si  è  raccolto  un  materiale  assai 
ricco  e  pubblicato  in  volumi  dal  Minutoli,  dal  Tommasi,  dal  Fontana, 
dall'Amabile  &c-,  od  in  periodici  e  in  Atti  accademici  si  può  dire  in 
ogni  regione  d'Italia  da  Genova  a  Palermo.  Da  tali  pubblicazioni  ri- 
sulta che  neppure  in  Italia  si  ebbe  vera  libertà  religiosa  sancita  espli- 
citamente dalle  leggi,  ma  che  in  forza  di  queste  e  per  opera  dei  cittadini 
stessi  si  godette  d'una  certa  tolleranza,  in  qualche  luogo  fors'anche 
desiderata  per  motivi  commerciali,  come  avveniva  a  Luce;  ed  un  poco 
anche  a  Genova. 

Quanto  al  movimento  letterario  osserva  il  Ruffini  che  i  migliori 
lavori  in  Italia  si  devono  ad  ecclesiastici.  Tali  furono:  L.  A.  Mura- 
tori, mite  ma  non  tollerante,  e  l'ab.  Vincenzo  Palmieri  d'idee  vera- 
mente molto  libere,  mentre  i  laici  confusero  quasi  la  tolleranza  colla 
distruzione  della  religione  propugnando  «una  rivoluzione  radicale  e 
c(  rompendola  colle  tradizioni  secolari  del  popolo  nostro,  lo  spauri- 
«rono  e  gli  fecero  guardare  con  diffidenza,  anzi  con  inimicizia  alle  li- 
«  berta  religiose»  (p.  552).  Questa  osservazione  del  Ruffini  ci  sembra 


284  '^Biblioi^rafia 


giusta,  ma  avremmo  preferito  che  fosse  stata  preceduta  da  una  più 
lunga  e  profonda  trattazione  della  parte  riservata  all'Italia,  rendendo 
così  l'opera  sua  più  utile  agli  Italiani,  che  di  cose  religiose  si  occu- 
pano poco.  In  ogni  modo  il  libro  è  pregevole  e  merita  di  essere  con- 
tinuato. 

M.  Rosi. 


V.  La  Mantia,  Stiitiiti  di  Olcvaìw  Romano  dei  /;  f^cmiaio  1)64. 
—  Roma,  Bocca,    1900. 

II  La  Mantia,  particolarmente  benemerito  delia  storia  del  diritto 
e  degli  statuti  delle  città  italiane,  à  recentemente  dato  in  luce  gli 
statuti  di  Olevano,  sopra  una  copia  eseguita  nel  1853  dal  prof.  Fran- 
cesco Massi,  scrittore  latino  della  biblioteca  Vaticana,  ed  elegantis- 
simo, per  quanto  non  popolare,  scrittore  di  lettere  italiane.  .Questa 
copia  trovasi  ora  nella  raccolta  degli  SUititta  uibinm  et  oppidornm  fatta 
già  per  ordine  del  cardinal  Mertel,  custodita  presso  il  R.  Archivio 
di  Stato  in  Roma.  La  copia  del  Massi  è  autenticata  come  copia  con- 
forme all'originale  in  pergamena  esistente  nell'archivio  Comunale  di 
Olevano.  Il  figlio  del  La  Mantia  ne  fece  trascrizione  dal  24  gennaio 
al  IO  febbraio  1900.  La  nota  che  il  Massi  appose  al  suo  esemplare, 
ne  mette  in  rilievo  tutta  l'importanza.  «  11  prezioso  codice  fu  scritto 
«l'anno  1450.  Contiene  gli  statuti  primarii  accordati  dai  riformatori 
«della  repubblica  romana  agli  Olevanesi  l'anno  1364  sotto  papa 
«  Urbano  V,  ed  una  concessione  di  riforme  data  da  Giordano  Co- 
«  lonna,  signore  di  Olevano,  nel  pontificato  di  Martino  V  l'anno  1450. 
«  Agli  statuti  furono  aggiunti  un  ordine  di  Marzio  Colonna  sull'en- 
«  trate  della  comunità  di  Olevano  e  22  capitoli  di  riforma  ordinati 
e  da  Pompeo  Colonna  per  la  comunità  stessa  sotto  il  pontificato  di 
«Gregorio  XIII  e  di  Sisto  \'  l'anno  1581-87,  con  una  tavola  delle 
«  spese  nelle  cause  civili  e  criminali  a  norma  dei  governatori  di  Ole- 
«  vano  ».  Questi  capitoli  del  secolo  xvi  non  son  pubblicati  dal  La 
•Mantia  «non  essendo  suo  disegno  occuparsi  di  essi  »  (cap.  XXII). 
Dell'originale  conservato  nell'archivio  di  Olevano  egli  ebbe  notizia 
dal  sindaco  del  Comune,  sig  Domenico  di  Pisa,  non  avendo  i  suoi 
figli  potuto  recarsi  a  confrontare  la  copia  del  Massi,  che  v'  è  ogni 
ragione  di  credere  esatta,  coll'originale  in  pergamena  quivi  conser- 
vato. Al  testo  degli  Statuti  conservato  in  Olevano  è  premesso  un  ca- 
pitolo, che  contiene  l'assicurazione  della  conferma  fatta  dal  comune 
di  Roma  (reipuhlice  Romanonim),  mentre  al  cap.  CXLI  degli  statuti 
editi  dal  La  Mantia  si  hanno  i  nomi  dei  sette  riformatori  della  re- 


'Bibliografìa  285 


publica   romana  che  confermarono  e  sottoscrissero  gli   ordinamenti 
sopra  detti  :  Cecco  di  Parente,  Pietro  di  maestro  Angelo,  Tuzio  Tor- 
doneri,  Paolo  Nari,  Giovanni  Angeli,  Cecco  detto  Scellone  e  Tuc- 
ciolo  di  Paolo  Marcellini.  Il  Senatore  di  quell'anno  è  Bonifacio  di 
Pippo  de'  Ricciardi  da  Pistoia,  di  cui  si  die  già  nel  nostro  Archivio 
(XIX,  p.  583)  la  notizia  e  lo  stemma.  Francesco  di  Matuzzo  (e  non 
jUa//jt;c:(/)  de' Rustici  (e.  CXLIII)  è  il  notaio  de' riformatori.  Seguono 
al  e.  CKLIV  le  sottoscrizioni  dei  banderesi,  Pietro  Paolo  Mellini  e 
lacovo  Magnescoli,  e  quelle  dei  quattro  anteposti  della  felice  Società 
dei  balestrari  e  pavesati:  Nannolo  Bapezzino,  Cola  Cardelli,  Pietro 
Canicatto  e  Pietro  dello  Guercio,  i   quali   approvano  e  confermano 
gli  ordinamenti  «  castri  Olebani,  salvo  quod  si  in  eis  contineretur  seu 
«  aliquo  tempore  reperiretur  aliquod  quod    esset  contra  honorem  et 
«  statum   Urbis  et  praesentis  status  seu  Camere  Urbis  vel  contra  Sta- 
«  tuta  nova  facla  vel  fieiida  seu  reformationes  Urbis  factas  vel  fiendas  j>. 
È  evidente  l'allusione  alla  riforma  degli  statuti  di  Roma  del   1363. 
Circa  al  documento,  che  il  La  Mantia  cita  dal  Saggio  di  Codice  di- 
plomatico del  Minieri   Riccio,  dell'ir   aprile   1271,  in  cui   si    accenna 
agli  statularios   Urbis  e  allo  statulnin  di  essa,  non  possiamo   non    ri- 
cordare le  diligenti  e  sottili  ricerche  di  Guido  Levi  (Arci}.  Soc.  roiii. 
VII,  465-485)  che  nelle  dotte  e  accuratissime  notizie  premesse  alla 
presente  pubblicazione  circa  gli  statuti  di  Roma  e  della  regione  ro- 
mana, è  forse  la  sola  che  s'a  sfuggita  al  benemerito  editore,  e  che 
ben  merita  d'essere  richiamata  alla  memoria    degli   studiosi.  Le  di- 
sposizioni sancite  dagli  statuti  di   Olevano,  se  valgono  a  caratteriz- 
zare una  popolazione  ordinata,  laboriosa  e  benevola,  onorano  il  pae- 
sello che,  per  quanto  concerne  le  sanzioni  penali,  mostra  una  mitezza, 
che  attesta  non  men  dell'intelletto  sano  di  chi  condanna  che  della 
nativa  bontà  del  costume  popolare  in  quella  regione  incantevole.  Il 
filologo  trova  non  poca  materia  ad  etimologie  dialettali  nel   materiale 
delle  voci  latinizzate,  che  nel  documento  olevanese  occorrono.  Ba- 
sterebbe   accennare   le    voci:  aniaria,  capeìlaria,  canapina,  plac~atico, 
logia,    pastina,  revalìosus  (ribaldo),  capiitdccevi  nel  significato  di    capi- 
dieci  armati,  a  custodia  della  terra,  fioccali,  flociili  (porcellini  che  non 
compierono  l'anno,  e.  XXXI),  tronco  (e.  CXXIV,  «  truncum  seu  grex 
«  intelligatur  tota  congregatio  porcorum  qui  simul  vadunt  tunc  cum 
«  inveniantur  in  damno»),/t;«;^/uw(c.LXXXVIII),  niaiiivaluni  (CXXIIl), 
sfiiginosa  (CXXII-CXXIII).  Il  La  Mantia,  ricercatore  infaticabile,  la- 
scia sperare  di  dar  in  luce  prossimamente  anche  gli  statuti  di  Castel 
San  Polo,  da  un  codice  proveniente  dalla  biblioteca  Borghese.  Non 
farà  che  accrescere  le  molte  sue  benemerenze  verso  le  discipline  sto- 
riche e  giuridiche.  O.  T. 


286 


'B  ibi  io  i>  rafia 


Henry  Charles  Lea,  The  Moriscos  of  Spaili  :  Their  convcrsion 
iiiid  cxpnìsioìi.  —  Plìihidelfia,  1901,  pp.  xii-465,  in- 16. 


Negli  undici  capitoli  dell'opera  si  studiano  i  rapporti  fra  Spa- 
gnuoli  e  Mori  dal  tempo  in  cui  questi  godevano  sotto  i  Cristiani  una 
certa  libertà  religiosa  fino  alla  totale  scomparsa  del  maomettanesimo 
dalla  Spagna. 

Carlo  di  Ahsburgo  succeduto  agli  Aragona  dopo  un  periodo  di 
relativa  tolleranza  e  di  saltuarie  persecuzioni,  diede  vigoroso  impulso 
alla  lotta,  che  divenne  efficacissima  per  opera  concorde  dello  Stato 
e  della  Chiesa.  Sciolto  da  Clemente  VII  dal  giuramento  che  aveva 
prestato  dinanzi  alle  Cortes  di  non  cacciare  i  iMori,  nel  1525  impose 
loro  di  scegliere  fra  la  conversione  al  cattolicesimo  e  la  espulsione. 

Com'era  da  aspettarsi,  l'ordine  sollevò  fiere  proteste  e  non  potè 
essere  subito  applicato,  specialmente  in  alcune  provincie;  per  cui  di- 
ventò necessario  l'altro  decreto  del  15  decembre  1528,  col  quale  Carlo 
ordinava  che  i  Mori  di  Aragona  e  di  Catalogna  si  battezzassero  entro 
quattro  anni. 

Ma  più  dei  decreti  del  re  valeva  l'opera  de' suoi  ministri  e  del- 
l'Inquisizione, ora  blanda,  ora  severa,  a  seconda  del  tempo  e  del 
luogo,  sempre  però  abbastanza  efficace  contro  ogni  ordine  di  persone. 
Un  giorno  si  disarmavano  i  Mori  e  se  ne  dileggiavano  i  sentimenti 
nazionali  e  religiosi  per  metterli  alla  mercè  d'un  popolo  che  li  odiava, 
un  altro  ricorrevasi  piuttosto  a  mezzi  persuasivi:  fondazione  di  col- 
legi, prediche,  indulti  a  favore  dei  relapsi,  tutto  s'intende  perchè  si 
compisse  l'ideale  dei  re  spagnuoli  d'un  solo  principe  e  d'una  sola 
fede. 

I  Mori  offesi  in  ciò  che  avevano  di  più  caro:  la  religione  e  la 
razza,  fecero  rivolte  con  difficoltà  represse,  e  ricorsero  talvolta  anche 
ai  Turchi  e  ad  Enrico  IV  re  di  Francia  per  abbattere  il  governo  spa- 
gnuolo.  Questo  allora  accrebbe  le  sue  persecuzioni  contro  i  Mori  pub- 
blicando e  scrupolosamente  applicando  severi  decreti  di  espulsione. 
DeirefTeito  di  questi  emanati  alla  fine  del  secolo  xvi  e  al  principio 
del  xvii  si  occupa  con  serenità  e  dottrina  l'illustre  autore  nel  capi- 
tolo X,  seguendo  passo  passo  l'applicazione  dei  decreti,  narrando  le 
sofferenze  degli  espulsi  e  il  ritorno  di  molti  fra  questi  nella  Spagna, 
dove  finirono  per  sottomettersi  definitivamente  ai  vincitori.  I  resultati 


'^Bibliografìa  287 


della  cacciata  di  tante  persone  quali  sono  descritti  nel  cap.  XI  non 
possono  tar  piacere  a  chi  ami  la  Spagna;  giacché  sei  persecutori  nel- 
l'accecamento di  loro  passioni  ne  furono  lieti,  certo  il  benessere  mo- 
rale e  materiale  del  paese  non  se  ne  avvantaggiò.  In  breve  il  mao- 
mettanesimo  si  estinse,  il  clero  cattolico  e  il  bigottismo  si  accrebbero, 
ma  le  ricchezze  si  pubbliche  come  private  andarono  diminuendo  e  le 
idee  si  fecero  più  grette  conducendo  indubbiamente  al  peggio  la  vita 
materiale  e  intellettuale  del  popolo. 

Nelle  città  ormai  poco  popolose  e  nelle  campagne  mal  coltivate, 
dopo  la  fme  delle  lotte  religiose  e  di  razza,  regna  una  quiete  mor- 
tale, che  giova  conoscere  per  capire  la  decadenza  di  quel  grande 
paese  latino. 

E  per  conoscerla  e  ben  valutarla  insieme  colle  sue  cause  e 
colle  sue  conseguenze  utile  riesce  l'opera  severa  del  Lea,  che  scrive 
serenamente  d'un  argomento  delicato  e  difficile,  usando  rara  mae- 
stria e  valendosi  non  solo  delle  migliori  opere  scritte  finora  su  tale 
materia,  ma  ancora  di  documenti  inediti.  Alcuni  di  questi,  tratti  quasi 
tutti  dagli  archivi  di  Simanca  e  di  Valenza,  chiudono  l'opera  me- 
ritevole d'essere  davvero  raccomandata  perla  diligenza  delle  ricerche, 
per  la  imparzialità  della  trattazione  e  per  l'importanza  dei  resultati 
ottenuti. 

M.  Rosi. 


NOTIZIE 


Con  la  morte  del  professore  Bartolomeo  Fontana  (24  marzo  1901) 
la  nostra  Società  ha  perduto  un  socio  dei  più  benemeriti,  e  gli  studi 
storici  un  cultore  assai  dotto  e  ricco  di  notevoli  doti.  Il  suo  libro  su 
Renata  di  Francia,  che  rimarrà  come  contributo  notevole  alla  storia 
della  riforma  religiosa  in  Italia,  vide  dapprima  in  parte  la  luce  in 
questo  Archivio.  Maestro  affettuoso  e  buono,  carattere  integro  e  se- 
reno, diede  esempio  di  virtù  sincera  ai  giovani,  e  fu  tenuto  in  gran 
conto  e  profondamente  amato  da  quanti  ebbero  la  ventura  di  cono- 
scerlo davvicino. 

Si  è  costituita  in  Roma  per  opera  di  alcuni  cultori  de'  vari  rami 
degli  studi  filologici  una  Società  filolofica  romana,  che,  se  prende  il 
nome  dal  luogo  dove  è  sorta,  abbraccia  però  nel  suo  programma  lo 
studio  di  ogni  parte  della  storia  della  cultura  in  Italia,  intesa  nel 
senso  più  largo.  Essa  si  propone  di  costituire  un  centro,  dove  gli  stu- 
diosi trovino  libri  e  mezzi  di  studio,  e  sopratutto  possano  scambiarsi 
idee  e  prestarsi  reciproco  aiuto.  Ogni  mese  si  tengono  riunioni,  nelle 
quali  i  soci  comunicano  e  discutono  i  risultati  de'  loro  studi,  de'  quali 
si  fa  parte  al  pubblico  per  mezzo  di  un  Bollettino.  Inoltre  la  Società 
col  prossimo  mese  di  agosto  pubblicherà  il  Libro  delle  tre  scripttcre, 
poemetto  fin  qui  sconosciuto  di  Bonvesin  da  Riva,  scoperto  dal  socio 
prof.  V.  De  Bartholomaeis.  Questo  poemetto  sarà  il  primo  di  una  serie 
di  studi  e  documenti,  che  la  Società  si  propone  di  dare  alla  luce, 
tra  i  quali  sono  annunciati  le  edizioni  diplomatiche  del  canzoniere 
Vaticano  3793  e  dell'autografo  petrarchesco  contenuto  nel  cod.  Va- 
ticano 3196,  nonché  la  stampa  àeì  Documenti  di  Amore  dì  Franctsco 
da  Barberino. 

Domenico  Orano  ha  intrapreso  coi  tipi  del  Forzani  la  pubbli- 
cazione del  suo  lavoro  sul  Sacco  di  Roma  del  1527.  L'opera,  che 
formerà  un  completo   studio   bibliografico  e  critico    di  quell'  impor- 

Archivio  della  R.  Società  romana  dì  storia  pi-'lna.  Voi.  XXIV.  19 


290  C\^o//\/V 

tante  periodo,  comprenderà  sei  volumi  così  distribuiti:  I,  II,  III,  Studi 
e  documenti  inediti  tratti  dall'archivio  di  Stato  di  Roma,  dall'archi- 
vio  storico  Capitolino,  dall'archivio  segreto  Vaticano;  IV,  Bibliografia 
ragionata  con  prefazione  di  Giovanni  Monticolo;  V,  Storia  documen- 
tata del  sacco  di  Roma;  VI,  Roma  nel  1527,  illustrata  nelle  pitture, 
sculture,  incisioni,  monete,  armi,  oggetti  del  tempo,  con  prefazione 
di  Rodolfo  Lanciani  per  la  parte  archeologica,  di  Adolfo  Venturi  por 
la  parte  artistica. 

Del  primo  volume,  che  contiene  la  seconda  edizione  (la  prima 
comparve  in  questo  periodico,  voi.  XVIII)  dei  Ricoidi  di  Marcello 
Alberini,  venuto  in  luce  or  ora,  V Archivio  si  occuperà  nel  prossimo 
fascicolo. 

Quasi  contemporaneamente  sono  apparsi  la  relazione  del  nostro 
socio  prof.  P.  Kehr  sui  documenti  pontifici  di  Piemonte  {Papsturkumìcii 
im  PieviQìil  in  Alli  della  R.  Accademia  di  Gottinga,  classe  filologico- 
storica,  1901,  fase.  2°)  e  il  primo  fascicolo  delle  Bolle  pontificie  degli 
archivi  piemontesi  di  A.  Tallone  {Biblioteca  della  Società  storica  Subal- 
pina diretta  da  F.  Gabotto,  XVI^  i),  in  cui  sono  raccolte  le  bolle 
degli  archivi  Capitolari  di  S.  Maria  e  S.  Gaudenzio  di  Novara  e  del 
Capitolare  di  Vercelli.  Dal  confronto  dei  due  lavori  quello  dell'ita- 
liano purtroppo  non  esce  con  grande  onore.  Mancano  nel  Tallone 
sei  bolle  inedite  che  il  Kehr  trae  dall'archivio  di  S.  Maria  di  No- 
vara e  una,  pure  inedita,  dell'archivio  di  Vercelli;  mancano  anche 
quattro  bolle  notissime  (tra  cui  la  più  antica  tra  quelle  ivi  conser- 
vate, di  Silvestro  II,  maggio  999;  Jaffè-Loewcnfeld,  3903)  pure  dell'ar- 
chivio di  Vercelli.  Nemmeno  il  metodo  adottato  ttial  Tallone  per  la 
pubblicazione  ci  pare  molto  felice,  né  sempre  sufficiente  ed  esatto 
r  apparato  critico-diplomatico. 

La  bibliografia  inglese  s'  è  arricchita  di  un  ottimo  libro  scritto 
dal  Cross,  The  sources  and  litterature  of  english  history  (rovi  the  ear- 
liest  limes  to  about  14S),  diviso  in  quattro  parti,  di  cui  la  terza  e  la 
quarta  riguardano  la  storia  medioevale. 

Una  iniziativa  che  ci  pare  degna  di  speciale  attenzione  e  quella 
presa  da  H.  Weinel  (Zeitscbrift  fi'ir  die  neutestamentliche  fVissensclmft 
und  die  Kundc  des  Crchristeiitiims,  1900,  pp.  347-351),  proponendo  che 
gli  studiosi  indichino  nelle  riviste,  quando  loro  ne  capiti  l'occasione, 
quelle  questioni  che  essi  credano  poter  essere  trattate  con  utilità  e 
alle  quali  non  è  loro  possibile  di  applicarsi.  In  tal  modo  ne  ver- 
rebbe direzione  e  coordinazione,  che  risparmierebbe  molti  lavori  inu- 


'X.oti:;ie  291 


tili  e  su  argomenti  mal  scelti.  Però  v'  è  da  temere  che  i  suggerimenti 
siano  troppo  spesso  e  troppo  strettamente  dipendenti  dalla  cultura  e 
dall'  indole  speciale  di  studi  del  suggeritore. 

Con  r  opera  del  p.  Ehrle  sono  stati  stesi  gli  statuti  clie  dovran 
reggere  la  sezione  storica  della  Società  cattolica  italiana  per  gli  studi 
scientifici.  Essa  si  propone  di  aiutare  con  sussidi  i  giovani  studiosi 
di  scienze  storiche  e  di  diritto  canonico,  che  si  volessero  dare  a  ri- 
cerche speciali.  Se  gli  scritti  saranno  in  tale  copia  da  non  trovare 
posto  nelle  riviste  già  esistenti,  si  fonderci  un  apposito  Archivio  o 
una  Raccolta  di  testi  e  studi  storici  appena  i  mezzi  lo  permettano. 
In  seguito  la  Società  spera  di  essere  in  grado  di  intraprendere  opere 
pilli  grandi  e  difficili,  come  la  storia  amministrativa  dello  Stato  pon- 
tifìcio nei  secoli  xiv  e  xv,  la  bibliografia  storica  dei  papi,  lo  studio 
delle  nunciaturc  in  Italia,  un  bollettino  bibliografico  storico. 

La  Società  bibliografica  italiana  ha  bandito  un  concorso  per  una 
monografia  intorno  ad  un  gruppo  di  edizioni  antiche  che  trattino  la 
medesima  materia  o  che  abbiano  origine  tipografica  comune.  Il  pre- 
mio è  di  500  lire  e  il  termine  utile  il  30  novembre   1901. 

La  preparazione  del  Thesaurus  linguac  latinae  aveva  già  promossa 
un'associazione  tra  le  Accademie  scientifiche  di  BerUno,  di  Vienna,  di 
Gottinga,  di  Lipsia  e  di  Monaco:  nel  1898  si  propose  che  l'associazione 
divenisse  internazionale.  Accettarono  l' invito  tutte  e  diciassette  le 
Accademie  cui  fu  rivolto  (in  Italia  quella  dei  Lincei)  ad  eccezione 
di  quella  Reale  di  storia  in  Madrid,  e  cosi  nel  febbraio  1900  l'asso- 
ciazione internazionale  fu  costituita.  Ai  31  luglio  1900  ebbe  luogo  in 
Parigi  la  prima  riunione  del  Comitato  e  ai  15  aprile  dell'anno  cor- 
rente la  prima  assemblea  generale  pure  a  Parigi.  L'  Accademia  dei 
,  Lincei  fu  rappresentata  dal  nostro  socio  prof.  Ignazio  Guidi.  L'  as- 
sociazione si  propone  di  unificare  e  coordinare  l'enorme  produzione 
scientifica  del  nostri  tempi,  e  di  facihtare  il  lavoro  rendendo  più  uni- 
forme la  nomenclatura,  le  classificazioni  e  le  definizioni. 

Il  prof.  E.  Masè-Dari,  sotto  il  titolo:  Af.  T.  Cicerone  e  h  sue 
idee  sociali  ed  economiche,  riesce  a  darci  una  visione  abbastanza  com- 
pleta e  vivace  della  società  romana  sullo  scorcio  della  Repubblica, 
specialmente  considerata  sotto  l'aspetto  economico.  La  figura  di  Cice- 
rone non  ne  esce  davvero  ingrandita  ;  poiché,  sebbene  l'autore  richieda 
da  lui  forse  troppa  modernità  di  pensiero,  appare  chiaro  che,  se- 
condo la  mente  dell'autore,  se  Tullio  fu   sommo  artefice  della  pa- 


292  "Moti^ie 

rola,  non  altrettanto  fu  grande  nel  comprendere  le  necessità  econo- 
miche di  un  popolo  che  voglia  perpetuare  la  propria  grandezza  e 
non  accontentarsi  di  formare  il  benessere  della  classe  prevalente. 

Il  22°  e  il  2 3°  volume  dei  Monumenta  bistorica  Societatis  lesu  con- 
tengono la  vita  e  le  opere  del  p.  Gerolamo  Nadal,  che  fu  gran  parte 
della  vita  primitiva  della  congregazione.  Per  l' Italia  e  per  Roma 
specialmente  sono  importanti  le  lettere,  delle  quali  duecentotrè  (1546- 
15Ó2)  sono  comprese  nel  voi.  22°,  già  interamente  pubblicato;  le 
altre  (1)62-1580,  anno  in  cui  il  Nadal  fu  colto  dalla  morte  qui  in 
Roma),  saranno  raccolte  nel  2^"  che  è  ancora  in  corso  di  pubbli- 
cazione. 


PERIODICI 

(Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma) 


Archivio  storico  lombardo.  Ser.  Ili,  a.  XXVIII,  fase.  XXIX. — 
C.\LLiG.\Pis,  recciisioiiii  di  Arezzo:  La  politica  della  Santa  Sede  ri- 
spetto alla  Valtellina  dal  concordato  di  Avignone  alla  morte  di  Gre- 
gorio XV  (i2  novembre  1622-8  luglio  1623). 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane.  An.  XXVI, 

fase.  1°.  —  Beltrami,  receii.uone  dello  scritto  di  G.  Paolucci:  Con- 
tributo di  documenti  inediti  sulle  relazioni  tra  Chiesa  e  Stato  nel 
tempo  svevo.  -  Idem,  recensione  dello  scritto  di  E.  Pais:  Gli  ele- 
menti italioti,  sannitici  e  campani  nella  più  antica  civiltà  romana. 

Bulletin  historiqxie  du  diocèse  de  Lyon.  An  I,  n.  2  et  5. — 

Le  premier  concile  oecuménique  de  Lyon  (1245). 

Bullettino  della  regia  Deputazione  di  storia  patria  per 
l'Umbria.  Anno.  VII,  fase.  i".  —  A.  Simonetti,  Adalberto  I  mar- 
chese di  Toscana  e  il  saccheggio  di  Narni  nell'S/S.  -  L.  Fumi,  I 
registri  del  ducato  di  Spoleto.  Archivio  segreto  Vaticano  ;  Camera 
apostolica. 

Bullettino  storico  della  Svizzera  italiana.  —  Anno  XXIII, 
1901,  fase.  i°-3°.  —  Lettere  da  Roma  ai  nunzi  pontifici  in  Svizzera 
negli  anni  1609-1615. 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  Anno  XIX,  vo- 
lume XXXII,  fase,  iio-iii.  —  I.  Della  Giovanna,  Rassegna  fran- 
cescana (delle  opere  di  Sabatier,  Faloci  Pulignani,  Minoechi,  Van 
Ortroy,  d' Alencon).  -  R.,  recensione  dell'opera  di  F.  X.  Kraus: 
Geschichte  des  christliehen  Kunst;  voi.  II,  par.  2:  Renaissance  und 
Neuzeit,  e  di  quella  di  J.  Addixgton  Symoxds:  Il  rinascimento  in 
Italia.  L'èra  dei  tiranni.  Prima  versione  italiana. 


294  '^^'  iodici 


HJstorisches  Jahrbuch.  Anno  1901,  fase.  1°.  —  H.  Schròrs, 
Eine  vermeintliche  Konzilsrede  des  Papstes  Hadrian  II  (Un  supposto 
discorso  conciliare  del  papa  Adriano  II).  -  P.  M.  Bau.mgarten,  Dio 
Translationen  der  Kardinale  von  Innocenz  III  bis  Martin  V  (La 
traslazione  dei  cardinali  da  Innocenzo  III  fino  a  Martino  V).  - 
R.  Paulus,  Zu  Luthers  Romreise  (Intorno  al  viaggio  di  Lutero  a 
Roma).  -  Recensione  di  Rostiz-Rieneck  nell' opera  dello  Helmolt: 
Weltgeschichte  I,  IV,  III  (Storia  universale").  -  Recensione  di  Kauf- 
MANN  delle  opere  del  Grisar:  Gescliichte  Roms  und  der  Piipste  in 
Mittelalter  I  (Storia  di  Roma  e  dei  papi  nel  medioevo);  Analecta 
Romana. 

Mittheilungen  aus  der  historischen  Litteratur.  Anno  1901, 
fase.  1°.  —  Recensione  di  Dietrich  del  lavoro  di  W.  Liebenam  : 
Stàdteverwaltung  im  ròmischen  Kaiserreiche  (Il  governo  cittadino 
neir  impero  romano).  —  Fase.  2°.  Recensione  di  Hahn  dell'opera  di 
\V.  Gl'NDLAch:  Die  Entstehung  des  Kirchenstaates  und  der  curiale 
Bcgù^  Res  public  a  Romanonim  (Origine  dello  Stato  della  Chiesa  ed  il 
significato  curiale  della  Res  ptihiica  Romanonim).  -  Recensione  di 
G.  WoLF  dell'  opera  di  Th.  v.  Sickel,  Ròmische  Berichte,  I,  II,  III. 

Mittheilungen  des  Instituts  fur  oesterreichische  Geschi 
chtsforschung.  Anno  1901,  fase  1°.  —  J.  Fìcker,  Das  longobar- 
dische  und  die  scandinavischen  Rechte  (Il  diritto  longobardo  ed  il 
diritto  scandinavo).  -  Stolz,  recensione  dell'opera  di  G.  Oberziner: 
Le  guerre  di  Augusto  contro  i  popoli  alpini.  -  J.  Jung,  recensione 
dell'opera  dello  Hartmann:  Geschichte  Italiensim  Mittelalter,  II,  i: 
Ròmer  und  Longobarder  bis  zur  Theilung  Italiens  (Storia  d'  Italia 
nel  medioevo,  II,  i  :  I  Romani  ed  i  Longobardi  fino  alla  divisione 
d'  Italia).  -  J.  Jung,  recensione  del  lavoro  dello  Hartmann  :  L' Italia 
e  r  impero  di  Occidente  fino  ai  tempi  di  Paolo  diacono. 

Neues  Archiv  der  Gesellschaft  fùr  altere  deutsche  Gè- 
schichtskunde.  Anno  1901,  XXVI,  fase.  2'.  —  A.  Brack.mann, 
Reise  nach  Italien  von  Màrz  bis  Juni  1900  (Viaggio  in  Italia  dal 
marzo  al  giugno  1900  per  studi  sui  mss.  del  Liber  p  enti  fi  e  ali  s).  — 
Fase.  3<».  A.  VVerminghokf,  Verzeiehnis  der  Akten  friinkischer  Sy- 
noden  von  843-918  (Catalogo  degli  atti  sinodali  del  periodo  franco, 
843-918).  -  Otto  Cortellieri,  Reise  nach  Italien  in  Jahre  1899 
(Viaggio  in  Italia  nell'a.  1899  per  i  manoscritti  delle  cronache  di 
Saba  Malaspina  e  di  Nicolò  de  lamsilla).  -  J.  Schwalm,  Reise  nach 
Italien   im    Herbst  1898  (Viaggio    in    Italia  nell'  autunno  1898,  con 


Periodici  295 


un'appendice  dei  diplomi  ed  Ada  impeni,  1355-1558).  -  P.  Wik- 
TERFELD,  Ueber  die  «  Translatio  sanctorum  Alexandri  papae  et  lustini 
presbiteri  ». 

Nouvelle  Revue  historique.  An  XXV,  fase.  1°.  —  P.  1-.  Gi- 
rard, L'organisation  judiciaire  de  Rome  au  temps  des  rois.  —  Fasci- 
cule  2°.  A.  EsMEiN,  Les  coutumes  primitives  dans  les  écrits  des  ni}-- 
thologues  grecs  et  romains. 

Rendiconti  della  Reale  Accademia  dei  Lincei,  classe  di 
scienze  morali,  storiche  e  filologiche.  Serie  V,  voi.  X,  fasci- 
colo i°-2°.  —  Tocco,  Nuovi  documenti  sui  dissidi  francescani,  tra- 
scritti dal  p.  G.  Boffito  barnabita.  -  Gamurrini,  Di  alcuni  versi  vol- 
gari attribuiti  a  san  Francesco.  -  Pais,  I  frammenti  dell'autobiografia 
di  M.  Emilio  Scauro  e  la  Lex  Varia  de  maieslak. 

Review(the  American  historical).  Voi.  VI,  1901,  fase.  3°  — 
C.  Gross,  The  year  1000  and  the  antecedents  of  the  Crusades 
(L'anno  1000  e  gli  antecedenti  delle  Crociate).  -  C.  H.  Levermore, 
The  politicai  influence  of  the  University  of  Paris  in  the  Middle 
Ages  (L' influenza  politica  dell'  Università  di  Parigi  nel  medio  evo). 

Review  (the  English  historical).  Voi.  XXI,  1901,  fasci- 
colo 62°.  —  R.  Garnett,  Mandell  Creighton  Bishop  of  London 
(Mandell  Creighton  vescovo  di  Londra).  -  J.  L.  Strachax-Davidson, 
Mommsen's  Roman  Lavi'  (Il  diritto  penale  romano  del  Mommsen).  - 
F.  LiEBERMANN,  Lanfranc  and  the  Antipope. 

Revue  d'hìstoire  ecclésiastique.  An  II,  fase.  1°.  —  E.  Van 
Roev,  La  coUection  des  «  Texte  und  Untersuchungen  zur  Geschichte 
«  der  altchristliche  Literatur  ».  -  Kissch,  recensione  del  libro  di 
A.  Stapylton-Barnes:  S.  Peter  in  Rome  and  his  Torab  on  the 
Vatican  Hill  (San  Pietro  in  Roma  e  la  sua  tomba  sul  colle  Vati- 
cano). -  A.  DE  Ridder,  recensione  dello  scritto  di  C.  Pigorini-Beri: 
Santa  Caterina  da  Siena.  —  Fase.  2°.  Van  dem  Ven,  recensione  dello 
scritto  di  G.  Pfeilschifter:  Die  autentische  Ausgabe  der  40  Evan- 
gelien-Homilien  Gregors  des  Grossen. 

Rivista  italiana  di  numismatica  e  scienze  affini.  Anno  XIV, 
1901,  voi.  XIV,  fase.  i".  —  G.  Camozzi.  La  consecralio  di  Traiano.  La 
consecraiio  nelle  monete  da  Cesare  ad  Adriano. 


2<)6  'Periodici 


Rivista  storica  italiana.  Anno  XVIII.  fase.  i°.  —  Gr.\sso, 
recensione  dello  scritto  di  E.  Pais  :  Gli  elementi  italioti  nell'antica 
civiltà  romana.  -  Luzz.^tto,  recciisioue  dello  scritto  del  Barbag.\llo  : 
11  senatusconsultum  ultimum.  -  Ramorino,  recensione  dello  scritto 
di  C.  Pascal  :  L' incendio  di  Nerone  e  i  primi  cristiani.  -  Mariani, 
recensione  del  volume  del  Grisar:  Analecta  romana.  -  Cosmo,  re- 
censione dello  scritto  di  P,  Sabatier:  Tractatus  de  indulgentia  S.  M. 
de  Portiuncula.  -  Capasso,  recensione  dell'opera  del  Gualano  :  Pau- 
lus  papa  III  nella  storia  di  Parma. —  Fase.  2".  Cantarelli,  recen- 
sione dell'opera  del  Drumann  :  Geschichte  Roms.  -  Sangiorgio,  re- 
censione del  libro  di  Mash-Dari:  M.  T.  Cicerone  e  le  sue  idee  sociali 
ed  economiche.  -  Rinauuo,  recensioni  dei  libri  di  Oberziner  :  Le 
guerre  di  Augusto  contro  i  popoli  alpini.  -  Mariano,  La  conversione 
del  mondo  pagano  al  cristianesimo.  -  Nobili-Vitelleschi,  Storia 
civile  e  politica  del  papato  fino  a  Teodosio.  -  Allard,  Julien  l'A- 
postat,  to.  1".  -  Gregorovius,  Storia  di  Roma  nel  medio  evo,  2"  ediz. 
i"  voi.  -  Cosmo,  Recensione  dello  scritto  del  Sabatier:  De  l'authen- 
ticité  de  la  legende  de  saint  Franvois  dite  des  trois  compagnons.  - 
Capasso,  recensione  del  3**  voi.  5"  ediz.  di  Pastor:  Geschichte  der 
Pàpste.  -  A.  L.,  Recensione  della  pubblicazione  del  Della  Santa:  Il 
vero  testo  dell'appellazione  di  Venezia  dalla  scomunica  di  Giulio  II.  - 
Ferrerò,  recensione  dello  scritto  del  Tordi:  11  codice  delle  rime  di 
Vittoria  Colonna.  -  Capasso,  r(;ci;;/i/o;;^  dell'opera  del  Fischer:  Car- 
dinal Consalvi. 

Ròmische  Quartalschrift.  Anno  1901,  fase.  ì°  e  2°.  —  Bau.m- 
stark,  Das  Verzeichnis  dcr  ròmischen  Coemitcrien  bei  Andrea  Fulvio 
(Il  catalogo  dei  cemeteri  romani  presso  Andrea  Fulvio).  -  Federici, 
La  Regula  pastoralis  di  san  Gregorio  Magno  nell'archivio  di  S.  M. 
Maggiore.  -  Wilpert,  Beitriige  zur  christlichen  Archeologie,  i  : 
Topographische  Studien  ùber  die  christlichen  Monumente  der  Appia 
und  der  Ardcatina;  2:  Neue  Studien  zur  Katakombe  des  hi.  Kalli- 
stus  (Contributi  agli  studi  d'archeologia  cristiana,  i  :  Studi  topogra- 
fici intorno  ai  monumenti  cristiani  delle  vie  Appia  e  Ardeatina; 
2:  Nuovi  studi  sulle  catacombe  di  S.  Callisto).  -  De  Waal,  Ausgra- 
bungen  :  S.  Saba,  S.  Cecilia,  S.  Maria  Antiqua  (Scavi:  S.  Saba,  S.  Ce- 
cilia, S.  Maria  Antiqua).  -  H.  Kirsch,  Anzeiger  fùr  christliche  Ar- 
chào'.ogie,  i:  Ròmische  Conferenzen  fùr  christliche  Archàologie 
(i.  Seduta  del  dicembre  1900;  2.  Seduta  del  gennaio);  2  :  Romana 
Accademia  pontificia  d'archeologia  (seduta  del  24  gennaio);  3:  Die 
Kirche  S.  Maria  Antiqua  am  ròmischen  Forum  (La  chiesa  di  S.  Maria 
Antiqua  al  Foro  romano);  4:  Ausgrabungen  und  Funde  (Scavi  e  ri- 


Ter  iodici  297 


trovamentl);  5  :  Bibliographie  und  Zeitschriftenschau  (Bibliografia  e 
registro  dei  periodici);  6:  Mittheilungen  (Comunicazioni).  -  Bruno 
Albers,  Ein  Papstkatalog  des  xi  Jahrhunderts  (Un  catalogo  dei  papi 
del  secolo  xi).  -  S.  Ehses,  Kirchliche  Reformarbeiten  unter  Papst 
Paul  III  vor  dem  Trienter  Ronzii  (Lavori  di  riforma  della  Chiesa 
sotto  Paolo  III  avanti  il  concilio  di  Trento).  -  P.  Kehr,  Aus  dem 
Archiv  des  Fùrsten  Colonna  (Dall'archivio  del  principe  Colonna). - 
G.  BuscHBELL,  Ein  Bericht  Bellarmins  ùber  den  Befund  der  Leiche 
Marcellus  II  und  die  Uebertragung  der  Gebeine  in  die  neue  Peterskir- 
che  (Una  relazione  del  Bellarmino  sul  ritrovamento  del  corpo  di  Mar- 
cello II  e  il  trasporto  delle  sue  ossa  nella  nuova  chiesa  di  S.  Pietro).  - 
Recensioni  di  G.  P.  Kirsch  sul  lavoro  del  Tamill\  :  Il  sacro  Monte 
di  pietà  in  Roma.  Ricerche  storiche  e  documenti  inediti. 

Stimmen  aus  Maria  Laach.  Anno  1901,  fase.  4°.  —  J.  Hil- 
GERS,  Die  Vaticana  und  ihr  Grùnder  (La  biblioteca  Vaticana  ed  il 
suo  fondatore,  Nicolò  V). 

Theologische  Quartalschrift.  Anno  1901,  LXXXIII,  fase.  1°. — 
Sagmùller,  DieoligarchischenTendenzen  des  Kardinalkollegs  bis  Bo- 
nifaz  VIII  (La  tendenza  oligarchica  del  collegio  dei  cardinali  fino  a 
Bonifacio  Vili).  -  Punk,  recensione  dell'opera  del  Nurnberger: 
Papsttum  und  Kirchenstaat,  2,  3  (Papato  e  Stato  della  Chiesa,  2,  3). — 
Fase.  2°.  FuNK,  recensione  del  lavoro  di  K.  v.  Hase:  Kirchenge- 
schichte.  Zwòlfte  Àuflage  (Storia  della  Chiesa,  la"*  ed  ). 

Zeitschrift  fùr  Katholische  Theologie.  Anno  1901,  fasci- 
colo 1°.  —  R.  RiLLES,  Die  Datierung  des  liber  sextus  Bonifaz  Vili, 
iuxta  glossa  (La  datazione  del  liber  sextus  Bonifacii  Vili,  iuxta  glossa). — 
Fase.  2°.  C.  Gutberlet,  recensione  del  lavoro  di  A.  Weber:  Die 
Ròraischen  Katakomben  (Le  catacombe  romane).  -  A.  Kròss,  re- 
censione del  lavoro  del  Grisar:  Geschiehte  Roms  und  der  Pàpste 
im  Mittelalter,  I  (Storia  di  Roma  e  dei  papi  nel  medioevo).  -  R.  Pau- 
Lus,  Bonifacius  IX  und  der  Ablass  von  Schuld  und  Strafe  (Bonifa- 
cio IX  e  r  indiilgentia  a  pena  et  a  culpa).  -  R.  Paulus,  Aufhebung 
der  Ablàsse  in  Jubeliahre  (La  sospensione  delle  indulgenze  nell'anno 
di  giubileo), 

Zeitschrift  fiir  Kirchengeschichte.  Anno  1901,  fase.  1°.  — 
Lic.  C.  Erbes,  Petrus  nicht  in  Rom  sondern  in  Jerusalem  gestorben 
(Pietro  morì  in  Gerusalemme  e  non  in  Roma). 


Le  croniche  di  Viterbo 


SCRITTE  DA  FRATE  FRANCESCO  D'ANDREA 


ContiuuaE.  e  fine;  vedi  voi.  XXIV,  p.  197 


Anno  Domini  1243,  Lo  imperadore  Federico  II  che  era  inimico  e  14  b 
di  Romani  andò  col  popolo  di  Viterbo  in  terre  di  Roma  ad  offendere, 
et  fé'  capo  in  Campagna  et  in  quel  paese  campigiò  .xxvi.  di,  guastando 
el  paese;  poi  si  ritornaro  i  Viterbesi  col  conte  Simone  (i)  capitanio 
del  dicto  imperatore  et  andaro  ad  campo  a.  Nargnie  (2)  e  ferno  el 
guasto;  ove  stecte  .v.  dì. 

In  quel  tempo  tutti  li  cardinali  di  corte  stavano  ad  Nargnie  (3) 
e  l'imperatore  lassò  tutti  li  cardinali,  vescovi  e  prelati  che  haviva  presi 


(i)  Simone  conte  di  Chieti;  nel  1240  podestà  imperiale  in  Vi- 
terbo (SiGNORELLi,  op.  cit.  p,  356)  e  almeno  dall'agosto  del  1242  «  sacri 
«imperii  ab  Amelia  usque  per  totam  Maritimam  vicarius  geueralis  » 
WiNKELMANN,  Actd,  I,  323  ;  Kaiser  Friedrichs  Kanipf,  p.  282.  Secondo 
una  narrazione  di  parte  pontificia  in  Amelia  avrebbe  fatto  una  rocca 
«  subversis  altaribus  .  . .  baptisterium  in  clybanum  convertendo,  proie- 
«  cto  extra  civitateni  corpore  sancte  femine  »  venerata  nella  chiesa. 

VVlNKELM.\NN,  Actcl',  II,   719. 

(2)  Cf.  Rice.  DI  S.  Geriiano  in  Mon.  Gemi,  hist.,  Script.  XIX,  383  ; 
H.  Weber,  Dir  Kumpf  -^ischm  Papst  Innocen\  IV  und  Kaiser  Frie- 
drich II  bis  lur  Flucht  des  Papstes  uacb  Lyon  in  Historiscbe  Sttidien  veroff. 
von  E.  Ebering,  Berlin,  Ebering,  1900,  p.  3.  Questo  scritto,  che  ha 
pregi  grandi  di  serietà  e  di  chiarezza,  per  le  cose  viterbesi  non  è 
che  un  fedele  riassunto  della  monografia  del  Winkelmann  più  volte 
citata. 

(3)  Si  legga  Anagni, 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.        20 


500  7'.  Egidì 


per  mare  due  anni  innanti  (i),  e  li  cardinali  fecero  papa  Innocentio  IIII 
nel  mese  di  luglio  (2).  E  in  quel  mese  li  Romani  pigliamo  Bottignano 
e  guastare  Montopoli  in  Sabina.  Adì  .xviii.  d'agosto,  martedì  (5),  el 
conte  Simone  fece  un  gran  parlamento  con  li  Viterbesi  nella  piazza 
di  Sancto  Silvestro,  e  disse  corno  sapeva  che  certi  ^'iterbesi  si  vole- 
vano ribellare  allo  imperatore  e  darsi  al  papa.  Et  el  populo  tutti  si 
scusavano,  dicendo  che  tutti  erano  boni  et  fideli,  e  chi  fussi  colpevoli 
fusse  morto.  El  venerdì  sequente  similmente  el  dicto  conte  fé'  parla- 
mento colli  Viterbesi  nella  dieta  piazza,  e  Ranieri  Gatto  si  levò  in 
piedi,  e  disse  al  populo  conio  e!  dicto  conte  haveva  captiva  voluntà 
sopra  ad  Viterbo,  dicendo  certe  cose  che  se  n'era  accorto.  Per  la  qual 
cosa  tutto  el  populo  si  volse  incontra  al  dicto  conte,  recandolo  in 
odio.  El  sequente  dì  fé'  conseglio  el  potestà  (4)  con  tutti  li  giniilho- 
mini  della  città,  e  elessero  dui  ambasciatori  e  mandorli  all'imperatore, 
che  li  devesse  mandare  miglior  capitanio  et  devesse  levare  via  el 
conte  Simone.  Onde  el  conte  Simone  sapendo  che  doveva  perdere 
Viterbo,  pigliò  la  torre  del  Tignoso  (5)  Landolfo  del  castello  di 
Sancto  Lorenzo,  el  qual  castello  fornì  de  tutte  le  cose  che  bisogna- 
vano alli  castelli;  e  questo  fé'  per  paura  di  cittadini.  Onde  che  el 
cardinale  Raniero  da  Viterbo  (6),  eh'  era  legato  di  tutta  Toscana  e 

(i)  N.  D.  Tuccia  qui  aggiunge  la  notizia  di  una  certa  campana 
che  i  Viterbesi  avrebbero  predato  a  Nola  nella  Campagna  romana, 
e  posta  sul  campanile  di  S.  Sisto.  Tale  notizia  non  può  provenire 
da  Lanzillotto  contemporaneo  agli  avvenimenti,  poiché  una  Nola  in 
Campagna  non  è  mai  esistita,  per  quel  che  mi  sappia. 

(2)  Fu  ai  25  di  giugno  l'elezione  e  ai  28  la  consecrazione. 
Cf.  NicoLAUs  DE  Carbio,  Vita  hinocentii  IV  edita  da  F.  Pagxotti 
in  Arci),  d.  R.  Soc.  rem.  di  st.  pallia,  XXI,  80. 

(3)  N.  D.  Tuccia:  «  17  agosto  di  martedì  »,  ma  il  17  era  lunedì. 
Cf.  GiRY,  Manuel  de  diplomatique,  p.  238. 

(4)  Il  5  febbraio  Federico  II  aveva  nominato  potestà  Vitale 
d'Aversa  (Winkelmann,  Ada,  I,  6S5)  ;  durò  sino  al  luglio,  secondo 
il  SiGN'ORELLi,  op.  cit.  p.  356;  credo  però,  col  Winkel.mann  {Kaiser 
Friedricbs  KampJ,  p.  284),  che  debba  estendersi  la  durata  della  sua  po- 
testeria  anche  all' agosto,  perchè  nominato  in  febbraio  doveva  durare 
tutto  l'anno  (Signorei.li,  p.  350).  Sopravvenutala  rivoluzione  è  na- 
turale che  egli,  imperiale,  fosse  sostituito  ;  v.  e.  15  a.  Anche  la  lettera 
del  Tignoso  (Huii.lard-Bréholles,  VI,  125)  ci  dice  che  il  podestà 
fu  trattato  come  nemico. 

())  Il  DELLA  Tuccia  erratamente:  «  Tignoio  »  (p.  21). 

(6)  Ranieri  Capocci,  viterbese,  vescovo  della  sua  patria  dal  12  13- 


Le  croniche  di  Viterbo  301 


stava  in  Sutro,  entrò  in  Viterbo  addi  .vini,  de  septembre,  di  mcr- 
cordi,  e  fumo  facte  grande  battaglie  in  quel  di  nella  piazza  di  San- 
cto  Silvestro,  e  fu  cacciata  la  gente  de  lo  imperatore  del  palazzo,  e  ri- 
cuperare ||  nel  castello,  dove  era  el  dicto  conte;  el  quale  conte  haviva  e. 
con  lui  .ii'^.L.  homini  bene  armati,  e  entra  Abbruzzesi  et  Tedeschi 
erano  trecento  novanta  (i). 

El  dicto  cardinale  fé'  giurare  ogni  viterbese  (2)  et  assediò  el  ca- 
stello intorno  intorno  con  manganelle  et  mangani  e  trabocchi  per 
le  torri  e  per  terra;  el  trabocco  [grande]  (5)  fu  posto  in  Damiata. 
Et  el  conte  mandò  all'imperatore  in  Puglia  che  devesse  succurrere  (4) 
Viterbo,  si  non,  che  si  perdiva  tutto.  Li  ambasciatori  de  Viterbo,  che 
erano  andati  all'imperatore,  menaroper  capitanio  del  palese  el  conte 
di  Caserta  (5)  el  quale  se  n'  andò  ad  stare  ad  Montefiascone,  e  scrisse 
all'  imperatore  che  presto  mandasse  soccurso,  impcrhò  che  poteva 
ricuperare  Viterbo  e  la  contrada.  L' imperatore  mandò  subito  uno 
grandissimo  exercito.  Et  sentendo  li  Viterbesi  si  facta  cosa,  ferno  car- 
bonare e  steccata  sopra  lo  piano  Tornatori,  che  circundava  el  castello 
di  Sancto  Angelo,  in  fine  al  muro  del  piano    di  Scarlano;  cioè  dalla 

1245  e  cardinale  del  titolo  di  S.  M,  in  Cosmedin  dal  12 16,  creato 
da  Innocenzo  III,  morì  nel  1251.  Cf.  Eubel,  Hierarchia  calholica 
in.  ili.,  Monasteri!,  1898,  p.  627;  Pinzi,  Storia,  I,  331,  nota 

(i)  N.  D.  Tuccia  (p.  21)  dice  solo  250;  il  numero  di  frate 
Francesco  è  confermato  dalla  relazione  che  dell'assedio  fu  scritta  da  un 
familiare  del  Capocci,  conservata  nel  cod.  Palat.  della  bibl.  Vaticana 
n.  953,  ce.  56  sg.  che  dice:  «...  quasi  quadringenti  milites,  cum  suis 
«  principibus,  in  castrum  S.  Laurentii  civitatis  contiguum  aufuge- 
«  runt  »  ;  fu  pubblicata  dall' Orioli,  Guerra  «Scc.  p.  70  sgg.  Il  Winkel- 
MANN  da  una  copia  del  Pertz  pubblicò  novamente  questa  narra- 
zione negli  Ada  iniperii,  I,  546-553;  la  citeremo  da  questa  edizione 
col  titolo  Relatio. 

(2)  Resta  l'atto  di  giuramento;  v.  Pinzi,  Storia,  I,  391;  Savi- 
GNOKi,  L'  archivio  &c.  n.  li.  Quest'  atto  e  la  lettera  del  Tignoso 
citata  ci  confermano  che  tra  i  seguaci  di  Raniero  era  Guglielmo  conte 
palatino;  quindi  non  è  giusto  il  pensiero  dello  Schirrmacher,  rife- 
rito dal  WiNKELMANN,  A".  F.  Kaiiipf,  p.  284,  nota  3,  che  voleva  iden- 
tificarlo col  conte  Guido  Guerra.  Più  giustamente  il  Pinzi,  Storia,  I, 
388,  nota  2. 

(3)  Prendo  ad  imprestito  questo  aggettivo  dal  della  Tuccia. 

(4)  Nel  ms.  «  succerrere  ». 

(5)  Riccardo  conte  di  Caserta  nell'  ottobre  prende  il  titolo  di 
vicario;  cf.  Winkel.mann,  Acta,  I,  330. 


302  7^.  Egidi 


porla  di  Sancta  Lucia  in  fino  al  piano  di  Scarlano  dal  lato  di  fiiorc  le 
mura  sopra  la  porta  di  Valle,  clic  girava  mille  cinquecento  sette  passi, 
da  longa  (i)  dalla  porta  di  Valle  .ii'-.xxxi.  passo  (2);  e  niurarno  tutte 


(i)  «  Da  longa  »,  della  seconda  mano. 

(2)  Sebbene  un  po'  oscuro,  mi  pare  evidente  che  debba  inten- 
dersi: fecero  carbonare  e  steccati  che,  cominciando  da  porta  S.  Lucia 
correvano  prima  pel  piano  de'  Tornatori,  che  è  intorno  ni  castello 
di  S.  Angelo,  passavano  poi  231  passi  avanti  a  porta  di  Valle  e 
giungevano  da  ultimo  a  porta  di  piano  Scarano,  con  uno  sviluppo  di 
1 507  passi.  In  tal  modo  come  un  grand'  arco  la  trincea,  partendo  dalla 
estremità  settentrionale  della  città,  raccoglieva  il  castello  di  S.  Lo- 
renzo, sbarrando  sia  quella  grande  insenatura  che  dicemmo  altrove 
(p.  255,  nota  6)  internarsi  tra  quejto  e  il  colle  della  Trinità  col  nome  di 
Valle  di  Paul,  sia  l'altra  valle  che  è  adiacente  al  fianco  meridio- 
nale dello  stesso  castello,  e  andava  a  morire  da  ultimo  a  mezzogiorno 
delle  mura  cittadine.  E  questo,  a  mio  parere,  è  il  solo  steccato  che 
i  Viterbesi  abbiano  costrutto  durante  la  guerra.  L'Orioli  {Guerra  Scc. 
p.  76,  nota)  e  il  Pinzi  (Storia,  I,  395  e  399)  mostrano  di  credere  che 
essi  ne  costruissero  due;  uno  che  tutto  intorno  aggirasse  il  castello 
p:r  assediarlo,  avendo  li  sua  parte  più  forte  verso  oriente  nello  spia- 
nato di  S.  Bernardino,  ed  un  altro,  vòlto  invece  contro  i  soccorsi 
che  potevano  venire  dall'  esterno  e  collocato  là  dove  è  stato  indi- 
cato poco  sopra.  La  loro  opinione  è  nata,  se  non  m'  inganno,  da 
una  poco  giusta  interpretazione  delle  parole  con  cui  il  cod.  Pai.  953 
più  volte  citato  narra  questi  avvenimenti.  Essi  han  creduto  che  il 
vallo,  di  cui  ivi  si  racconta  la  costruzione  subito  dopo  che  il  conte 
Simone  avea  dovuto  racchiudersi  nel  castello,  sia  tutt'altra  cosa  da 
quello  che  più  tardi  oppose  sì  lunga  e  nerboruta  resistenza  alle  armi 
di  Federico.  Ma,  chi  ben  legga,  la  Rclatio  non  fa  mai  questa  distin- 
zione, e  quel  vallo  che  dice  costruito  in  principio  «in  castri  am- 
«  bitu . . .  ne  quisquam  conclusis  presidium  ferre  posset  »  (p.  547),  e 
che  non  circondava  tutto  il  castello  ma  «  vastam  campi  planitiem 
e  occupabat  longius  a  castro  propter  iacturam  tclorum  ad  instar 
«semicirculi  sequestratam  »  (p.  547),  è  per  lui  quello  stesso  che 
viene  disprezzato  dal  nemico  «  cum...  convexam  semitam  tenuem  et 
(f  protensam  ac  erectam  lignorum  congeriem  eminus  conspexissct» 
(p.  547),  quello  che  i  cittadini  scongiurano  «quod...  relinquerent.. . 
«  et  se  restringerent  intra  muros  »  (p.  518).  quello  che,  cominciato  l'as- 
sedio, essi  «  ut  frequentius,  fodientes  profundius.. .  ampliabant,  in  ag- 
«f  geris  tumulo  erigentes  coronam  palorum  cum  propugnaculis  alilo- 


Le  croniche  dì  Viterbo  305 


le  porte  de  Viterbo  salvo  hi  porta  di  Bove  e  la  porta  di  Salciccliia 
e  la  porta  dell'Abate.  Et  el  cardinale  elesse  per  potestà  de  Viterbo 
Ranieri  di  Stephano  da  Orbieto,  el  di  de  sancto  Angelo  di  setembre. 


«  rem  »  (p.  5  50).  Siccliè  lo  steccato  e  la  fossa:  di  cui  fa  parola  la  Relatio 
sono  da  identificare  con  quelli  cui  accennano  le  parole  di  Lanzillotto. 
Mi  pare  per  g'unta  che  1'  esistenza  di  una  linea  di  circonvallazione 
torno  torno  al  castello  sia  esclusa,  come  dal  racconto  di  Lanzillotto, 
che  poco  sopra,  detto  della  ritirata  di  Simone  nel  castello,  aggiunge: 
«  el  dicto  cardinale...  assediò  el  castello  intorno  intorno  con  man- 
te ganelle  et  mangani  e  trabocchi  per  le  torri  e  per  terra:  el  trabocco 
«  grande  fu  posto  in  Damiata  »,  cos'i  dalle  lettere  stesse  dei  rac- 
chiusi, de'  quali  Simone  scriveva  al  conte  di  Caserta  :  «  instanter  diebus 
«  et  noctibus  nos  impugnant  balistis,  arcubus,  fundis  necnon  et  ma- 
«  chinis  quas  in  summitate  oppositarum  nobis  turrium  erexerunt  » 
(Huillard-Bréholles,  vi,  127),  e  il  Tignoso  quasi  con  le  stesse 
parole:  «  diebus  ac  noctibus  impugnarunt  hostiliter  et  instanter  lapi- 
«  dibus,  arcubus,  balistis  et  machinis  quas  in  summitate  turrium  erexe- 
«  ruat  »  (Huillard-Bréholles,  VI,  125);  parole  tutte  che  si  con- 
vengono ottimamente  ad  un  bombardamento  del  castello  e  non  ad 
un  regolare  assedio.  È  vero  che  la  Rdalio  (p.  551)  dice  che  allo 
steccato  i  cittadini  combattevano  contro  Federico,  mentre  «  magna 
«pars  ...  castrum  S.  Laurentii  obsideret»,  in  modo  che  v'era  doppia 
battaglia;  ma  dall'insieme  del  testo  anche  li  mi  pare  che  si  escluda 
l'esistenza  di  un  duplice  steccato.  Del  resto,  chi  ricordi  la  configu- 
razione del  colle  di  S.  Lorenzo  con  le  sue  ripidissime  pendici  (al- 
lora certo  pii^i  ripide  che  oggi),  non  troverà  necessario  tanto  lavoro 
per  impedirne  l'uscita  ai  racchiusi.  Per  accedervi  o  per  uscirne  due 
sole  erano  le  vie;  ad  oriente  il  ponte  che  l'univa  al  resto  della  città, 
il  quale  certo  fu  subito  asserragliato  o  più  facilmente  rotto  dagli  im- 
periali, quando  si  rifugiarono  nel  castello,  e  che  era  molto  age- 
vole battere  coi  mangani  e  coi  trabocchi;  a  ponente  la  porta  di 
Valle  (la  quale  probabilmente  si  dovrà  cercare  un  po'  più  a  monte 
di  dove  ora  si  trova).  Bastava  quindi  che  contro  questi  due  punti 
fossero  volte  le  difese  dei  cittadini;  per  gli  altri  era  sufficiente  una 
guardia  attenta  senza  opere  di  fortificazione.  Il  Winkelmann  nella 
citata  monografia,  che  ci  dà  la  migliore  narrazione  di  questi  avve- 
nimenti (pp.  285-288),  ammette  il  bombardamento  contro  il  castello 
e  l'unico  steccato  contro  Federico,  ma  quanto  egli  dice  sulla  sua 
situazione  è  assolutamente  ed  interamente  errato:  nello  schizzo  to- 
pografico che  correda  il  suo  scritto,  neppure    una  indicazione  ha  il 


304  y.  Egidì 


El  conte  di  Caserta  adunò  forando  excrclto  ad  Montcfìascone  et 
andò  a  loggiare  alla  selva  di  Sancto  lohanni  e  Sancto  Vittore  e 
stette  lì  tre  dì,  e  poi  a'  nove  di  ottobre,  de  giovedì  (i),  gionse  l'im- 
peratore e  aleggiò  nel  piano  di  Bagni,  et  el  sequente  di,  la  maitiiu 
per  tempo,  venne  a  loggiare  nel  piano  del  Tornatore  e  nel  piano 
di  Miisilegio  in  fine  ad  Sancto  Favolo  (2),  ad  canto  alle  steccata, 
quanto  pò  gettare  una  balestra  da  longa. 


suo  posto,  se  si  eccettuino  l'Arcione  e  la  cattedrale  di  S.  Lorenzo:  cosa 
quasi  inevitabile  d'  altra  parte  per  chi  non  aveva  a  sua  disposizio:ie 
altro  che  l'orribile  p'anta  prospettica  pubblicata  dal  Bussi,  Islorin, 
p.  50.  il  tratto  di  steccato  che  correva  dalla  fronte  di  porta  di  Bove 
s-no  all'  altezza  di  porta  di  Valle,  doveva  seguire  presso  a  poco  la 
linea  delie  mura  presenti  e  fu  conservato  anche  dopo  l'assedio,  forse 
fino  a  che  Visconte  Gatti  non  gli  sostituì  la  cinta  murata  (1268). 
Certo  nello  statuto  del  1251  si  stabiliva  che  si  avesse  cura  di  esso 
e  delle  fosse.  «  Statuitnus  quod  carbonarie  nove  utiles  de  sticcatM, 
0  scilicet  a  Pertusa  Vallis  usque  ad  carbonarias  que  sunt  extra  por- 
«  tam  Bovis,  nullatenus  repleantur  ;  et  si  quis  repleverit  vel  repleri 
«  fac'at,  suis  expensis  evacuet  et  solvat  penam  .l.  librarum  :  et  pò- 
«  testas  personaliter  videat  ter  in  anno  si  est  aliquid  evacuandum,  ut 
«  faciat  evacuari  »  ;  Stiitiito,  III,  2;  Ciampi,  op.  cit  p.  499.  Si  noti 
come  si  parli  di  una  <f  Pertusa  Vall's  »  di  fronte  ad  una  «  porta 
«  Bovis  »,  il  che  potrebbe  far  pensare  che  in  corrispondenza  della 
porta  Valle  che  si  apriva  ai  piedi  del  castello,  ci  fosse  una  interru- 
zione nello  steccato,  non  una  vera  porta.  Cf.  la  Porta  Pertusa  di  Roma 
in  ToMASSETTi,  Catiipa^iui,  m  questo  Archivio,  IV,  ^66.  Anche  quando 
pàrtiisa  venne  adoperato  in  senso  di  porla  (Dl'Cakge,  GJossarinin,  ad 
verbum),  dovette  essere  per  quelle  porte  che  in  origine  erano  state 
aperte  provvisoriamente. 

(i)  11  nove  era  venerdì  ;  c(.  GiuY,  Manuel  Sic.  p.  239.  N.  d. 
Tuccia  dice  1'  8. 

(2)  Il  campo  si  stendeva  da  nord  ad  ovest  della  città,  appunto 
contro  lo  steccato  allora  allora  costruito.  La  chiesa  di  S.  Paolo  era 
presso  il  ponte  di  Signorino  a  ponente  della  città,  e  non  è  da  con- 
fondere affatto  con  quella  che  poi  venne  in  mano  dei  Cappuccini, 
la  quale  si  trova  al  punto  diametralmente  opposto,  come  fa  il  Ca- 
Mli-LT,  in  una  misera  ed  insignificante  narrazione  di  questi  avveni- 
menti inserita  ncWAlbinnfponiiih  ìclUrario  e  di  belle  arti,  Roma,  i<^48, 
XV,  135-138,  col  titolo:  Battaglie  e  vittorie  riportate  contro  gli  imperiali 
dai  Viterbesi  nell'anno  124},  p.   137. 


Lii  croniche  di  Viterbo  305 


E  vedendo  ciò  li  Viterbesi  temevano  assai  dello  assedio  de  T  im- 
peratore Federico  e  mai  se  partivano  dalle  steccata  né  de  di  né  de 
nocte,  e  li  si  mangiavano  e  bivevano,  e  lassarno  la  guardia  di  tutta 
la  città,  e  havivano  proveduti  nelli  lochi  più  dubiosi  (i)  intorno  alle 
mura(2).||  La  domenicha  ad  mattina  per  tempo,  lo  imperatore  in  e.  15  b 
persona  se  mosse  con  chavalieri  e  pedoni  armati,  et  ordinò  le  schiere 
con  uno  suo  indice  chiamato  Pietro  della  Vigna  et  Enrico  di  Paran- 
gano  (3),  et  andarno  sopra  el  palazzo  de  la  contrada  del  piano  di 
Scarlano.  Ma  li  Viterbesi  vedendo  dove  era  andato  lo  imperatore, 
alcuno  di  loro  cominciò  a  dire:  «  Faciamo  el  comandamento  de  1'  im- 
peratore »  ;  e  alcuni  dicevano  di  non  volerlo  fare  (4).  L'  altri  homini 
più  gagliardi  balestravano  e  facivano  diflesa  alle  steccata  contra  quelli 
de  l'imperatore.  Lo  imperatore  comandò  ad  tutti  li  cavalieri  (5)  che 
devessero  smontare  ad  piede,  et  tutti  insieme  dessero  la  battaglia 
grande  alle  steccata;  e  cusì  fu  facta  grandissima  battaglia  intorno 
intorno  alle  steccata.  El    conte  di  Caserta   et  Enrico   de  Palangano 


(i)  «  più  dubiosi  »,  del  correttore,  su  rasura. 

(2)  N.  D.  Tuccia  aggiunge:  «  E  nella  piazza  di  S,  Silvestro  stava 
«  la  moltitudine  del  popolo  per  soccorrere  alle  bisogne  di  quel  lato, 
«  ove  fosse  stato  bisogno.  Avevano  tra  loro  ordinato  le  bandiere,  cioè 
«  25  giovani  per  una,  li  quali  stavano  tutti  alla  richiesta  e  coman- 
«  damento  del  capitano  della  comunità  e  popolo  »  (p.  22).  Di  questo 
ordinamento  non  trovo  altrove  alcuna  menzione.  Se  vi  fu,  ebbe  gran 
somiglianza  con  quello  che  per  Roma  esisteva  probabilmente  già  a 
questo  tempo,  di  certo  nel  1327.  Cf.  Ecidi,  Intorno  airesercito  del  co- 
munii  di  Roma  ndla  prima  mila  dd  sec.  XIV,  Viterbo,  Agnesotti,  1897, 
p.  119  sg.  Però  io  son  d'opinione  che  tale  divisione  sia  interpolata 
dal  della  Tuccia,  poiché  neppure  il  contemporaneo  autore  della  citata 
Reìalio  ne  fa  cenno  alcuno,  per  quanto  essa  si  presentasse  adatta  a 
ricamarvi  qualcuno  de'  suoi  periodi  fioriti. 

(3)  È  questa  l'unica  menzione  che  io  conosca  di  operazioni  mi- 
litari guidate  da  Pietro  delle  Vigne.  Quanto  ad  Enrico  di  Palangano 
nulla  posso  aggiungere  a  quello  che  se  ne  dice  qui,  a  meno  che  non 
voglia  identificarsi  con  l'Enrico  de  Para^^nano  nominato  nel  doc.  3032 
del  BòHMER  e  con  1'  Enrico  de  Paremiano  che  fu  padrone  del  ca- 
stello di  Giove  presso  Amelia;  Berger,  Les  registres  d' Innocenl  IF, 
Paris,  1884,  n,  4247.  Cf.  Winkelmann,  A'.  F.  Kampf,  p.  292,  nota  2. 

(4)  A  commento  di  queste    parole  si  veda  la  Relatio,  p.  79  sg. 

(5)  Qui  e  più  sotto  la  prima  mano  scrisse  «  chrii  »,  la  seconda 
neir  interlineo  «  cavalieri  ». 


So6  T.  Egidi 


colli  cavalieri  toscani  e  con  li  pugliesi,  pugnano  nella  valle  di  San- 
cto  Paolo.  L'imperatore  con  molti  chavalieri  e  baroni  della  Magna  e 
della  Marella  e  del  Ducato,  ch'erano  gagliardi  homini,  pugnarno  et 
fcrno  rempire  le  carbonare,  C'oè  li  fossi,  di  botti  e  fascia  di  viti,  et  rop- 
pero  le  steccata  in  tre  lochi.  Per  la  qu.il  cosa  li  Viterbesi  fortissima- 
mente facivano  difesa,  e  mai  se  partivano  da  dicti  steccati  et  occi- 
devano  et  ferivano  assai  di  quelli  de  1'  imperatore;  coll'aiuto  di  Dio 
li  soperchiavano.  Et  tutte  le  donne  viterbese  con  sollecitamento  por- 
tavano sassi  et  arme  da  difesa  e  rinfrescamenti  alli  loro  homini  (i). 
Onde  vedendo  1'  imperatore  clie  la  sua  gente  periva,  e  non  possiva 
pigliare  li  steccati,  fé'  comandare  e  bandire  che  ogniuno  tornasse  alli 
loro  logiamenti. 

El  secondo  di  poi  la  battaglia  lo  imperadore  mandò  el  conte 
Pandolfo  di  Fasanella  (2)  in  Toscana,  che  devesse  menare  assai  gente 
ad  piede  bene  armati  et  ben  gagliardi.  Poi  comandò  lo  imperatore 
che  tutte  le  suoe  gente  trovassero  legnami  et  edificassero  case  e  cap- 
panne;  e  la  casa  de  l'imperatore  fu  facta  sopra  al.  poggio  de  A!to- 
brandino  (3),  sopra  la  grotte  del  Riello,  et  li  vi  fecero  beli  ssime  grotte. 
Li  cittadine  de  Viterbo  cominciamo  a  temere  fortemente  vedendo 
che  loro  facivano  le  case,  dicendo  tra  loro:  «  Questo  sarà  longo  as- 
sedio »;  et  ordinarno  fare  le  guardie  ad  muta.  Acciò  a  lloro  non  ve- 
nisse in  fastidio  lo  guardare,  alcuni  guardavano  el  dì,  alcuni  la  nocte. 
r6  A  Lo  dicto  conte  Pandolfo  menò  più  de  .vi.  milia  fanti  ad  piede  di 

Fiorenza,  Pisa,  Pistoia  et  Pretasanta,  di  Siena  et  Lucca  et  di  Arezzo  (4). 
Poi  che  lo  imperatore  vidde  li  dicti  fanti,  comandò  che  fussero  tro- 


(i)  CiAz  Reìalio,^.  552:  «  catervae  puellarum  ...,  onuste  victua- 
«  libus,  non  metuunt  ubique  per  campum  ad  bellatores  accedere  ac 
«de  sepis  cacumino  lapides  prohicere  contra  hostes.  Deinde  vulr.e- 
a  rate  in  capite  ac  mammillis  et  membris  reliquis  non  clamabant 
tf  nec  lacrimas  emittebant.. .  »;  però  ne  parla  solo  durante  il  secondo 
assalto. 

(2)  Reìatio,p.  551:  «  de  suis  optimatibus  misit  quosdam  in  Lom- 
«  bardiam  et  Tusciam  ut  coUigcrent  moltitudinem  peditum  «.  Pan- 
dolfo di  Fasanella  era  vicario  imperlale  in  Tuscia  come  suo  fratello 
Riccardo  lo  era  nella  Marca    d'Ancona.   Bòhmer-Ficker,  n.   3586; 

WiNKELMANN,   Ada,    I,    325,    28,    29,    30. 

(})  «  De  Altobrandino  »,  della  seconda  mano,  su  rasura  di  «  Al- 
ce tobrandino  ». 

(4)  Per  Siena  v.  Ficker,  Forscbungen  iiir  Reichs  uni  Rechisge- 
schichle  ItalUns,  Innsbruck,  1868-74,  IV,  402. 


Le  croniche  di  Viterbo  307 


vati  assai  legni  per  fare  castelli  di  legnami  et  anche  ponti  per  posser 
rompere  le  steccata;  et  fé' fare  .xxvi.  castelli  et  ponti,  et  una  man- 
ganella, la  quale  poserro  ad  Sancto  Favolo;  per  la  qual  cosa  li 
Viterbesi  di  novo  renforzarno  le  steccata,  et  ferno  maggior  fossi  et 
fecero  una  buffa  grande  et  una  piccola,  et  si  le  pusero  nel  piano 
sopra  Sancta  Maria  della  Ginestra,  et  contìnuo  gettavano  nel  castello 
di  Sancto  Lorenzo  et  nel  campo  de  l'imperatore;  et  fecero  molte 
manganella  et  altri  edifitii  et  molti  pulzoni  con  le  teste  di  ferro,  con 
li  qu'ali  rompevano  le  castella  di  legno,  et  ferno  molti  graffioni  o 
veramente  petre  lupo  con  le  rustiche  di  legno,  con  li  quali  pigliaveno 
li  castella  et  li  gettavano  in  terra  ;  et  fecero  più  vie  sotto  terra,  onde 
escivano  ad  offendere  li  nimici  (i).  Et  fore  delle  carbonare  fecero  le 
steccate,  acciò  che  le  castella  di  legno  non  si  potessero  acostare, 
ficcandoci  assai  passoni  de  legno;  et  sparsero  assai  tribali  de  ferro, 
acciò  che  intrassero  nelle  piante  delli  piedi  delli  inimici  appiede  e  a 
cavallo;  et  fecero  steccata  per  la  valle  del  Tignoso  infine  al  muro 
di  Sancto  Chimento  (2).  Et  el  cardinale  comandò  che  la  torre  et  il 
palazzo  di  Ranuccio  (3),  con  la  torre  che  stava  nel  piano  di  Scar- 
lano,  fusse  scarcata,  acciò  che  tutti  quelli  dell'assedio  lo  vedessero, 

e  cusi  fu  facto. 

Addi  .X.  del  mese  di  novembre,  martedì,  venne  l' imperatore  con 
tutto  el  suo  exercito  et  con  le  castella  di  legname  et  altri  edifici  ad 
canto  a  li  fossi,  et  fé'  fare  grande  battaglia,  credendo  certamente  vin- 
cere la  pugna.  Il  Li  Viterbesi  fortissimamente  et  durissimamente  si  di- 
fendevano, con  balestra  et  archi  e  con  petre  ne  ferivano  et  occide- 
vano  assai  et  molti  ne  gectavano  per  terra;  et  le  doe  buffe  continuo 
gectavano  per  lo  campo,  et  tutti  li  nimici  facivano  fugire  chi  là  chi 
qua  per  paura  di  quelle  pietre;  et  li  Viterbesi  uscivano  fuore  di  quelle 
cave  et  abrusciavano  l'alogiamenti  di  nimici  che  stavano  nel  piano 


(i)  S.  Camilli  dice  che  «  circa  20  anni  sono  furono  scoperti 
«  tali  cunicoli  nel  prato  giardino  e  podere  Chigi,  sebbene  in  parte 
«franati  e  riempiuti»,  art.  cit.  p.  157. 

(2)  Una  descrizione  interessante  di  queste  varie  sorta  di  mac- 
chine e  di  fortificazioni  ci  è  data  dalla  Rdatio,  p.  549  sg.  La  valle 
del  Tignoso  è  la  parte  esterna  di  quella  già  indicata  col  nome  di 
Paul:  anche  qui  il  Winkei-.manm  si  trova  imbarazzato  nell' ubicarla, 
K.  F.  Kampf,  p.  295.  Lanzillotto  dimentica  di  narrarci  i  tentativi  fatti 
da  Federico  per  sollevare  la  città,  specialmente  per  mezzo  degli  ere- 
tici Pietro  e  Giovanni  di  Orte.  Cf.  Rdatio,  p.  548. 

(5)  Ranuccio  Cocco  secondo  Pi^/A,  Storia,  l,  429. 


e. 


3o8  T.  Eiridi 


de  Toniatori  e  nella  valle  de  Saiicio  Favolo,  e  nbrusciavano  quelli 
castelli  che  possivano.  Per  la  qual  cosa  li  nimici  non  possendo 
vencere,  si  tirato  di  lontano  et  lassarne  li  castelli,  et  li  Viterbesi  tutti 
li  scarcarno  et  miserci  fuoco. 

Et  (i)  di  queste  cose  lo  ante  dicto  Lanzillotto  fa  piena  fede 
che  li  vidde  con  li  ochi  soi  :  et  l'ò  scritte  io  frate  Francesco,  ricavate 
d'  uno  libro  scripto  (2)  de  sua  propria  inano,  di  bella  lettera  antica. 

El  secondo  dì  di  poi  la  battaglia,  el  papa  mandò  el  cardinale 
Octone  (3)  all'  imperatore,  comandando  che  si  partisse  della  terra 
sua,  et  lo  cardinale  li  rendè  (4)  omne  cavaliere  che  teneva  pregionc, 
et  con  loro  el  conte  Simone  che  era  nel  castello  di  Sancto  Lorenzo. 
Lo  imperatore  se  partì  contatto  l'exercito  el  sabbato  sequente  (5).- 

(i)  In  margine  una  mano  con  l'indice  teso  e  le  parole:  «Nota 
«  lo  auctore  »,  di  mano  del  correttore. 

(2)  Nel  ms.  «  scripo  ». 

(3)  La  lettura  è  incerta:  parrebbe  scritto  piuttosto  «  Cetone».  Re- 
stituisco «  Octone  »  come  mi  dicono  anche  le  righe  seguenti. 

Ottone  Candido,  card,  diacono  di  S.  Nicolò  in  Carcere  Tulliano 
fin  dal  1227,  nel  1244  poi  divenuto  vescovo  della  suburbicaria  Por- 
tuense,  rimasta  vacante  per  la  morte  del  card.  Romano  Bonaven- 
tura; cf.  EuBF.L,  op.  cit.  p.  6.  Sicché  in  questo  momento  egli  era 
ancora  card,  diacono  come  appare  del  resto  dai  docc.  lui  e  LVii  del 
Savignoni,  L'archivio  &c.  e  però  poco  esattamente  N.  de  Carbio 
lo  dice  già  «  episcopus  Portuensis  »  (op.  cit.  p.  87).  Fu  legato  in 
Inghilterra  nel  1257,  ma  è  evidente  che  la  sua  legazione  non  durò 
sino  al  1251,  come  vorrebbe  Gervasius  Cantauriemsis,  Ada  le^^um 
continuala,  II,  130-201;  vi  era  però  ancora  il  12  maggio  123S  come 
da  una  sua  lettera  nell'arch.  Sublacense,  arca  IV,  3.  Intorno  all'am- 
basceria cf.  anche  Huillard-Brf.iiollus,  op.  cit.  VI,  206.  Niccolò 
della  Tuccia  lo  chiama  Cetone,  e  per  togUere  la  contraddizione  sop- 
prime il  nome  «  Oddo  »  poche  righe  più  sotto  (p.  24). 

(4)  Così  il  ms;  però  inclinerei  a  leggere  «  li  rendesse»,  affine 
di  metter  d'accordo  questa  frase  con  le  righe  che  seguono.  N.  d.  Tuc- 
cia: «  l'imperatore  fece  patti  che  li  rendesse  il  conte  Simone...», 
p  24.  Le  trattative  sono  a  lungo  esposte  nella  lettera  di  Federico 
ai  principi  intorno  alla  loro  rottura,  scritta  forse  due  giorni  dopo, 
14  novembre;  Huillard-Bri^holles,  VI,  142;  cf.  Pinzi,  S/0//1/,  I, 
441  sgg.  I  patti  furono  confermati  dal  Consiglio  cittadino  secondo 
dice  Innocenzo  IV  nella  lettera  del  18  noveinbre  ;  ibidem,  p.  446;  Sa- 
viGNONi,  L'arc/j/u/o,  n,  lui. 

(5)  14  novembre. 


Le  croniche  di  Viterbo  309 


El  cardinale  Odo  entrò  nel  castello  di  Sancto  Lorenzo  e  cavò  fuore 
ci  dicto  conte  Simone  con  li  dicti  chavalieri,  et  nolli  seppe  si  bene 
condurre,  che  fumo  robbati  dn  Viterbesi  et  da  Romani  che  erano  di 
nuovo  vinute  colli  cardinali  (i).  Et  el  cardinale  Ranieri  comandò  al 
podestà  che  tutti  li  gintilhomini  et  li  migliori  del  castello  fussero 
presi  et  legati  et  messi  in  prescione,  et  li  fossero  da  Viterbesi  tenuti. 

La  domennicha  a  mattina  per  tempo  maschi  et  feniine,  grandi  e 
piccoli,  unanimiter  infra  (2)  essi  levarno  ci  romore,  et  andarno  alle 
case  dì  quelli  cittadini  eh'  erano  stati  contra  la  communità.  et  havi- 
vali  messi  in  tanti  pericoli,  e  tolsero  tutta  la  robba  loro  et  miseria 
al  fuoco  et  abbrusciarla.  Lo  imperatore  hebe  di  questo  si  grande  ira 
che  mise  genti  per  Toscanella,  Veiralla,  Montefiascone  et  Vitor- 
chiano,  che  tutti  fussero  continuamente  ad  oflfendere  Viterbo  (3). 

Havendo  li  Romani  sentito  come  lo  imperadore  s'era  partito  da 
Viterbo,  vennero  in  adiutorio  della  Chiesa,  et  pigliamo  Crapalica,  e 
disferno  Ronciglione,  et  pigliarci  el  conte  Pandolfo  (4)  et  mandarlo 
prigione  ad  Roma,  et  poi  pigliamo  Vico. 


(i)  L'  esercito  romano  due  volte  s'  era  mosso  in  aluto  degli  as- 
sediati, ma  s'  era  arrestato  a  Sutri  non  sappiamo  se  per  maneggi  di 
Federico  o  pel  rancore  putrito  contro  Viterbo;  Relatio,  pp.  549  e  553; 
pure  che  alcuni  e  Romani  e  di  altri  paesi  ad  incitamento  di  Inno- 
cenzo venissero  a  Ranieri  Capocci,  ci  mostrano  le  parole  di  N.  de 
Carb'O,  «  subsidio  »  (così  credo  sia  da  correggere  il  «  subito  »  letto 
dal  Pagnotti)  «  nichilominus  subsequente  tam  Romanorum  quam 
«  aliorum  quos  dominus  papa  transraisit  «,  op.  cit.  p.  83,  e  quelle 
della  stessa  Relatio,  pp,   549  e  551. 

(2)  «  unanimiter  infra  »,  della  seconda  mano,  su  rasura. 

(3)  La  fellonia  spiacque  anche  ad  Innocenzo,  come  appare  dalle 
sue  lettere  ai  Viterbesi.  Savigxoxi,  L'archivio,  nn.  lui,  lv;  Pinzi, 
Storia,  I,  446. 

(4)  Il  Bussi,  op.  cit.  p.  131,  credette  che  questo  Pandolfo  fosse 
il  Fasanella;  il  Pinzi,  Storia,  I,  447,  non  dice  chi  sia;  il  VVinkel- 
MANx,  K.  F.  Kaiìipf,  p.  299,  pensò  che  fosse  uno  de'  Vico,  poiché 
il  Fasanella  non  era  conte  e  quest'  imprigionamento  è  d'accordo  con 
le  occupazioni  di  Ronciglione  e  di  Vico.  Ma  nel  1244  era  «  comes 
«  .A.nguillarie  »  Pietro  (III)  di  Vico  e  di  un  Pandolfo  di  Vico  non 
c'è  notizia.  Per  me  non  corre  dubbio  che  Pandolfo  sia  da  identifi- 
care col  padre  del  Pandolfo  dell'  Anguillara  che  nel  1264  a  capo  de' 
guelfi  si  oppose  a  Pietro  (IV)  da  Vico  e  ne  fu  sconfitto  e  preso  pri- 
gioniero presso  Vetralla.  A  questo  mi  spingono  le  parole  del  nostro 


310  T.  Eì^ÌlÌì 


Nel  mese  de  dicembre  tutti  le  torri  et  palazzi  di  niess.  Biascio 
di  Pietro  Vicaro  ad  canto  al  poggio  di  Sancto  Silvestro  fero  hedificare 
studiosamente  (i);  et  nel  dicto  mese  fu  guasta  la  fontana  di  pìazzaNova. 

Anno  Domini  1244.  Nel  mese  di  ienaro  tutto  el  castello  d'Er- 
cole, in  quel  tempo  chiamato  el  castello  de  Sancto  Lorenzo,  fu  scarcato 
da  Viterbesi;  nel  quale  (2)  erano  .xvi.  torri  et  alcuni  belli  palazzi. 
A  di  12  de  febraro,  el  sabato  di  carnovale  (5),  certi  selvaioli  de  Vi- 
terbo andarno  a  predare  Vetralla  e  pigliamo  gran  preda  di  pecore 
et  Giorgio  da  Vetralla  con  certi  pregioni;  ad  qual  remore  trassero 
[li  W'trallesi]  con  (4)  li  Todeschi  che  stavano  in  Vetralla  per  l' im- 


stesso  cronista  a  e,  19  a  che  temo  non  siano  altro  fuorché  una  ri- 
petizione di  questo  stesso  avvenimento,  e  quelle  della  Historia  Si- 
cilia riportate  dal  Cklisse,  I  prefd Hi  di  Fico,  n.  32,  nota  5:  «  huius 
«  comitis  pater  multum  fuerat  imperatori  Friderico  devotus:  scd  hic 
«  a  paterna  devotione  degenerans,  Manfredo  signa  reverentiae  non 
«  ostendit  ».  Il  trovare  contemporaneamente  conti  dell'  Anguillara 
Pietro  di  Vico  e  Pandolfo,  non  recherai  meraviglia  a  chi  ricordi  quanto 
spesso  si  distaccassero  o  si  riunissero  i  signorotti  a  Federico  e  al 
papa,  e  quanto  spesso  i  beni  del  disertore  venissero  dati  al  fedele 
come  premio.  Forse,  come  il  Calisse  pensa  (op.  cit.  p.  23),  Pan- 
dolfo si  volse  alla  Chiesa  e  Pietro  ne  ebbe  la  contea. 

(i)  Cosi  il  nostro  ms.  N.  d.  Tuccia  dice:  «  fumo  edificate  no- 
M  bilmente  »  (p.  24);  Itjzzo  :  «  furono  scarcate  studiosamente»  (ibi- 
dem, nota).  I  Vico  erano  di  parte  imperiale  e  quindi  sarebbe  da 
attenersi  alle  parole  di  luzzo,  tanto  più  che  seguono  alla  notizia  della 
presa  di  Vico;  ma  d'altra  parte  case  de'  Vico  appunto  del  secolo  xiii 
esistettero  nei  pressi  di  S.  Silvestro  (cf.  Pinzi,  Storiti,  I,  445,  nota). 
Potrebbe  pensarsi  alla  preesistenza  di  case  de'  Vico  in  quel  luogo, 
ora  distrutte  insieme  con  quelle  degli  altri  ghibellini  che  si  trova- 
vano nel  castello  di  S.  Lorenzo,  poi  ricostruite,  passata  la  bufera,  e 
a  questo  potrebbe  credersi  più  facilmente  quando  si  rifletta  che  le 
parole  «  scarcare  »,  «  distruggere  »,  «  distrutto  »  ìxc.  dei  nostri  cro- 
nisti non  si  debbono  prendere  sempre  alla  lettera,  perchè  troppe 
volte  si  ritrova  in  piedi  quello  che  prima  era  stato  detto  abbattuto. 

(2)  Espungo  la  parola  «  anno  »,  pensando  che  sia  stata  intro- 
dotta nel  ms.  per  disattenzione  dell'amanuense. 

(j;  Il   12  febbraio  era  venerdì;  Gikv,  op.  cit.  p.  247. 

(4)  Il  «  con  »  è  aggiunto  dalla  prima  mano  sopra  riga  con  una 
chiamata,  quindi  necessariamente  manca  qualche  parola,  che  io  credo 
debba  congetturarsi  come  ho  fatto. 


Le  croniche  di   Vilcì-bo  3^^ 


peratorc,  et  correndo  di  rieto  (i)  alli  Viterbesi  riscossero  dieta  preda 
e  cacciaro  li  Viterbesi  infino  ad  Sancto  Antonio.  Lo  romore  si  leva 
in  Viterbo:  et  le  genti  tragono  (2)  di  rieto  ad  Todeschi  et  cacciorli 
in  sino  ad  Sancto  Appolito,  et  ferno  un  bel  facto  d'  arme.  Infine  li 
Todeschi  fumo  rocti  et  pigliatene  ,XXVi.  cavalieri  et  mortine  .vini. 
et  li  Viterbesi  cacciamo  et  sequirno  l' inimici  in  sino  al  ponte  ad 
canto  ad  Vetralla. 

A  di  .XKiii.  de  febraro  la  brigata  de  l' imperatore  Federico  II,  e.  17  b 
raccolta  dalle  terre  intorno,  cavalcaro  in  quello  di  Viterbo,  et  ripu- 
sorsi  nella  valle  delle  Pantane  di  nocte  tempo,  et  la  mactina  per 
tempo  fugi  uno  cavallo  del  decto  aguato  et  venne  alla  porta  de  Vi- 
terbo. Pe'r  la  qual  cosa  li  Viterbesi  si  guardarno  et  nullo  usci  fuora  ; 
et  li  nimici  cursero  in  sino  al  piano  di  Tornatori,  et  non  guadagnarno 
niente.  El  giovedì  sancto  della  septimana  sancta  Io  imperatore  mandò 
al  papa  Pietro  delle  Vigne  suo  iudice  et  Tadeo  conte  di  Tollerano  (3) 
e  dissero  che  el  dicto  papa  devesse  mandare  ambasciatori  a  lui,  im- 
pcrhò  che  voleva  fare  pace  con  la  Chiesia.  El  papa  stava  ad  Civita 
Castellana  e  questo  odito,  mandò  doi  imbasciatori  a  l'imperatore  con 
authorità  che  possano  fare  la  dieta  pace  et  confirmare  quanto  lui 
proprio  (4).  Lo  imperatore,  havendo  li  dicti  imbasciatori,  in  fine  non 


(i)  Ms.  «  rietto  ». 

(2)  Ms.  «  tragano  ». 

(3)  Il  testo  è  qui  evidentemente  corrotto,  né  migliore  mi  pare 
la  lezione  accettata  da  luzzo  «  conte  di  Trollerano».  Ch'  io  sappia, 
non  esisteva  in  questo  tempo  alcun  Taddeo  di  Tollerano  (?)  o  di 
Trollerano:  d' aUra  parte  (N.  de  Carbio,  op.  cit.  p.  84;.  Huillard- 
Bréholles,  vi,  207  e  altrove)  sappiamo  che  l'ambasceria  era  com- 
posta di  Pietro  delle  Vigne,  di  Taddeo  di  Suessa,  di  Raimondo  conte 
di  Tolosa.  Sarebbe  troppo  ardito  di  correggere  :  «  Pietro  delle  Vigne 
«suo  iudice  et  Tadeo  et  el  conte  Tolosano  »?  A  ciò  mi  conforta  il 
fatto  che  quest'  ultimo  sempre  nei  documenti  è  detto  «  Raimundus 
«Comes  Tolosanus  »  e  mai  «  de  Tolosa  »  (Huillard-Bréholles, 
IV,  485,  799,  800,  802,  P06  &c.),  anzi  alcune  volte  semplicemente 
«Comes  Tolosanus»  (idem,  IV,  386,  912,921  &c.).  Da  Tolosano  a 
Tollerano  il  passaggio  grafico  è  niente  aflfatto  difficile  ;  meno  ancora 
la  caduta  dell'  articolo  o  la  trasformazione  della  «  et  »  in  «  de  »  e  la 
sua  metatesi.  Cf.  Huijer,  p.  714,  nota   i. 

(4)  Il  cronista  confonde  due  ambasciate  imperiali.  La  prima  com- 
posta del  conte  di  Tolosa,  di  Pier  delle  Vigne,  di  Taddeo  da  Suessa 
trovò  il  papa  a  Roma  nella  pasqua;  la  seconda  di  cui  facevano  parte 


312  T*.  Egidi 


volse  fare  pace  col  papa.  El  papa  indignato  se  pani  da  Civita  Ca- 
stellana et  andò  ad  Sturo  e  lì  vi  fé'  il  consìglio  con  li  suoi  cardinali 
e  eoa  Romani,  domandando  loro  aiuto.  Li  Romani  promisero  aiuto 
et  poi  nollo  obscrvarono;  et  el  papa,  indignato  di  tale  e  de  si  facta 
cosa  e  come  homo  proveduto,  si  n'  andò  ad  Civita  Vecchia,  e  li  vi 
trovò  .XL.  galee  di  Genovesi,  et  lui  con  .x.  cardinale  entrò  nelle 
diete  galee  (i)  et  andossine  ad  Genova.  Ht  lì  (^cc  uno  grande  con- 
seglio  e  commise  al  cardinale  Ranieri  el  governo  di  tutta  Toscana 
e  del  ducato  (2)  di  Spoleti  et  della  Marcha  d'  Ancona  e  così  lo 
fé'  vicario  et  rectore.  Lo  imperatore,  havendo  ciò  sentito,  prestamente 
se  ne  andò  ad  Pisa  et  comandò  ad  Vitale  d'  Aversa  (3),  el  quale 
era  capitanio  in  Toscanella  e  in  Montefiascone,  che  facesse  grande 
guerra  ad  Viterbesi. 

In  quel  anno  si  levò  in  Viterbo  una  compagnia  chiamata  Pezza 
gagliarda,  li  quali  ferno   una    curraria  ad  Montefiascone  e  menarno 
certa  preda,  la  quale  condussero  alla  torre  di  Ianni  da  Perenti. 
18  A  Et  Vitale  d' Aversa  montò  ad    cavallo    con   grande    exercito   e 

cavalcò  in  quel  de  Viterbo,  e  pigliò  certa  preda  de  pecore.  Li  Vi- 
terbesi trassero  con  furia  in  sino  all'ospitale  di  Rosignolo  (4);  ma 
Vitale  vedendo  sì  gran  tratta,  comandò  ad  tutte  le  gente  suoi  e  strecte 
e  serrate  si  desserarono  (5)  adosso  a  li  Viterbesi,  onde  fu  facta  gran 
battaglia;  in  fine  li  Viterbesi  furono  rocti,  et  ce  fu  morto  uno  fante 
ad  piede;  et  fumo  pigliate  .xl.  Viterbesi  e  menati  ad  Montefiascone. 
E  questo  fu  a  dì  .vi.  de  luglio,  di  mercordì.  A  di  .xxiiii.  de  agosto 
li  Viterbesi  andarne  ad  Vitorchiano  e  tagliamo  tutte  le  vigne  e  arsero 
quante  cappanne  erano  di  fuora. 


Pietro  e  Gualtiero  di  Sora  lo  trovò  a  Civita  Castellana,  dove  egli 
era  dall'  809  giugno  e  dove  si  trattenne  diciannove  giorni,  sino 
al  27,  quando  andò  a  Sutri.  N.  de  Carbio,  op.  cit.  p.  86;  Huillard- 
Brlholles,  VI,  210. 

(i)  N.  DE  Carbio  dice  xxii,  op.  e  loc.  cit.  Per  questa  fuga 
V.  ScHiRRMACHER,  IV, 568-371,  nota  9;  Causse,  Storia  di  Civilavecchiii, 
p.   166  sgg. 

(2)  Ms.  e  del  ducato  e  di  Spoleti  ». 

(3)  Vitale  in  questo  momento  era  capitano  imperiale  nel  Patri- 
monio; Huillard-Bréuollei,  VI,  368,  371.  Si  noti  ciie  N.  d.  Tuccia 
erratamente  lo  chiama  sempre  Vitale  d'  Anversa,  p.  25.  II  Pinzi  segue 
Nicola,  I,  462   sgg. 

(4)  Di  questo  ospedale  v.  Pinzi,  Ospiti,  pp.  67,  70,  357. 
())  La  prima  mano  aveva  scritto  «  dessero  ». 


/.e  croniche  di  Viterbo  313 


Anno  Domini  1245.  Fu  potestà  di  Viterbo  Fubo  (i)  da  Bologna 
e  ordinò  che  Ile  misure  di  mulinari  fossero  facti  di  rame,  e  cosi  fu 
facto.  Nel  dicto  anno  Innocentio  papa  IIII  passò  oltra  li  monti  con 
tutta  la  sua  corte,  e  andossine  ad  Leone  sopra  Rodano  e  lì  vi  or- 
dinò el  concilio  con  tutti  li  cardinali  (2);  salvo  che  lo  vescovo 
Ostiensis  e  messer  Stefano  presbiter  cardinale  commise  in  vice  sua 
in  Roma  (3Ì  ;  messer  Ricardo  d'Ancona  cardinale  (4)  commise  in 
vice  sua  in  Campagnia;  messer  Raniere  diachene  in  Toscana  edu- 
cato di  Spoleti  e  la  Marcha  d'Ancona.  In  quello  anno  furono  molte 
cavalcate  e  preda  tra  li  Viterbesi  et  gente  de  l'imperatore.  Et  el  pa- 
triarca d'Antiochia  (5)  et  lo  patriarca  d'Aquileia  andarno  in  Francia 
e  tractarno  pace  tra '1  papa  et  l'imperatore,  el  quale  imperatore  stava 
alli  bagni  di  Pezzolo  per  certa  sua  infirmità  (6). 

In  quel  mezzo  Pandolfo  di  Fasanella  e  Vitale  d'Aversa,  capi- 
tanii  dell'  imperatore,  ferno  grande  exercito  contra  Viterbo,  e  asse- 
diamo in  uno  loco  chiamato  Rotella  e  stectero  octo  di  e  guastarno 
arbori  e  vigne  quante  vi  forno.  Poi  li  venne  molta  gente  dal  reame 
e  andarno  ad  guastare  nella  valle  di  Sancto  Antonio  per  .v.  di.  Et 
li  dicti  patriarchi,  sentendolo,  si  lamentaro  co  l' imperatore  che  trat- 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  26,  «Fulvio»;  luzzo,  «Fabio».  Il  vero 
suo  nome  è  Faber.  Signorelli,  op.  cit.  p.  356. 

(2)  Vi  giunse  il  2  dicembre  1244  (N.  de  Carbio,  op.  cit.  p.  90) 
e  ordinò  il  concilio  ai  25   (p.  95). 

(3)  «  Stephanus  tituli  Sancte  Marie  in  Transtiberim  presb.  card. 
«  qui  remansit  in  Urbe  vicarius  »  ;  N.  de  Carbio,  p.  87. 

(4)  Riccardo  Annibaldi  «  Sancii  Angeli  diac.  card,  de  Campa- 
«  nia  et  Maritima  comes  »  ;  ibidem.  Queste  frasi  nel  ms.  sono  mal 
punteggiate,  tanto  che  parrebbe  lasciato  vicario  in  Roma  Riccardo, 
e  in  Campania,  Tuscia  &c.  Ranieri. 

(5)  «  d'Antiochia  »,  aggiunto  dalla  seconda  mano,  in  spazio  ap- 
positamente lasciato  libero  dalla  prima. 

(6)  Cf.  N.  DE  Carbio,  p.  93  :  «  patriarcha  Antiochenus  et  alii  ». 
Patriarca  d'  Antiochia  era  Alberto  Rizzato  vescovo  di  Brescia,  cui 
ai  16  luglio  1243  da  Innocenzo  IV  era  stato  commesso  l'ufficio  delia 
legazione  nella  provincia  di  Antiochia  e  nell'esercito  cristiano  di  Terra 
Santa.  Cf.  Eubel,  op.  cit.  p.  93,  Patriarca  d'Aquileia  era  Bertoldo 
de  Meran  «  ep.  Colossensis  »,  nominato  da  Onorio  III  (27  marzo  12 18)  ; 
id.  p.  99.  Per  le  trattative  V.  Huillard-Bréholles,  op.  cit.  VI,  266,  271. 
In  luogo  di  «  Pezzolo  »N.  d.  Tuccia,  p.  26,  dice  «  Pozzolo  ».  La  notizia 
di  questa  bagnatura  è  poco  verosimile.  Cf.  Bòh.mer-Ficker,  n.  3470  a. 


14  "P.  Egidi 


tante  la  pace  non  doveva  lare  sì  grande  guerra  alle  terre  del    papa, 
et  lo  imperatore  mandò  che  l'assedio  si  levasse  da  Viterbo, 
e.  18  B  In  quello  anno  li  Viterbesi  ferno  le  carbonare  intorno  ad  Sancta 

Maria  in  Grada,  di  comandamento  di  niesser  Ranicre  cardinale. 

Nel  mese  di  giugno,  lo  di  di  sancto  lohanni  Baptista,  el  diete  papa 
Innocentio  IV  (i)  nel  concilio  del  Leone  sopra  Rodano  fece  il  pro- 
cesso contra  l'imperatore  (2).  E  in  quel  tempo  Vitale  d'Aversa  fc'  una 
cavalcata  ad  Corneto  et  pigliò  molta  preda  e  .XLiiii.  prigioni  0  me- 
nolli  ad  Montefiascone.  In  quel  anno  nel  mese  di  novembre  el  ca- 
stello di  Pitrugnano  (5)  fu  disfacto  da  Vitale  d'Aversa. 

Anno  Domini  1246.  Di  comandamento  de  l'imperatore  Fede- 
rigo II  mandò  ad  Cornetani,  si  volevano  fare  li  comandamenti  de 
l'imperatore;  quando  non  lo  facessero,  lui  impiccaria  tutti  quelli  pre- 
gioni.  Li  Cornetani  rispusero  che  questo  non  stava  in  loro  libertà. 
Per  la  qual  risposta  el  dicto  Vitale  impiccò  .xxxii.  di  quelli  Cornetani 
che  teniva  prescioni  (4\ 

Nel  dicto  anno,  del  mese  di  marzo,  Grosseto  era  dell' imperatore,  e 
Pandolfo  era  con  l'imperatore  dentro  in  Grosseto,  e  Tebaldo  Franco  (5) 
sovertio  tutta  Puglia  e  tolsela  a  1'  imperatore.  Sentendo  questo  lo  im- 

(i)  «  Innocentio  IV»,  del  correttore,  in  spazio  serbato  a  bella  posta. 

(2)  V.  la  Relatio  de  concilio  Lugdunensi  in  ^'Ion.  Gemi.  ìiist.,  Lcgicm, 

IV,  II,  513-516. 

(3)  Nel  Viterbese  tra  S.  Martino  al  Cimino  e  Vetralla;  ne  con- 
serva il  nome  una  contrada.  Della  devastazione  resta  notizia  anche 
in  un  doc.  pubblicato  dall'  Huillard-Brhholles,  VI,  282  :  «...  Cun- 
«  età  .  . .  vastaverunt,  vineis  evulsis  radicitus,  in  hac  hostili  desola- 
«  tione  velut  mensis  dimidium  commorando  et  demoliendo  (prodi- 
«  torie  securitate  incolis  prius  data)  castrum  Ecclesie  Petrognnni  ». 

(4)  Vedi  il  Lamento  metrico  composto  per  questo  eccidio  e  con- 
servato nella  Murgaritu  Cornetana  in  Ciampi,  n.  lxii,  p.  353,  e 
in  Dasti,  Soiixji  slorico-archeologichi  di  Tarquinia  e  Corneto,  Roma, 
1878,  p.  462;  in  Huillard-Briìholles,  VI,  368,  e  in  più  altri.  Il 
Lamento  però  dice  il  fatto  accaduto  nel   1245. 

(5)  Nel  ms.  «  di  Francesco  »,  ma  più  sotto  due  volte  «  Franco  ». 
Egli  è  «  Theobaldus  Franciscusw  0  «  Francisius  »  che  nel  1242  era 
stato  podestà  imperiale  a  Padova;  Huillard-Bréholles,  VI,  139; 
nel  1245  «regni  marescalcus  »  nell'esercito  di  Federico  «  in  depo- 
«  pulatione  Urbis  »  ;  H.-B.  VI,  88;  Winkelmamn,  Ada,  I,  328, 
nel  1245  «  potestas  Parmae»;  H.-B.  VI,  252  &c.  N.  d.  Tuccia, 
p.  26,  lo  chiama  «f  Tebaldo  Francesacco  ».  Della  ribellione  si  accorse 
per  primo  Riccardo  conte  di  Caserta;  Winkelmann,  Ada,  I,  570.  Il 


Le  croniche  di   Viterbo  315 


peratore  hebbe  grande  ira,  e  Pandolfo  per  paura  fug'i  da  Grosseto  e 
andossine  ad  Corneto,  poi  andò  a  Roma;  e  lacobo  da  Morrò  (i) 
anclie  si  ne  fugi  e  andò  ad  Roma.  Lo  imperatore  adunò  grande  exer- 
cito  e  andò  per  raquistare  Puglia,  e  Tebaldo  Franco  liebbe  gran 
paura  e  andò  in  una  fortezza  con  bona  amunitione  (2),  e  l'impera- 
tore r  andò  assediare. 

Li  Perosini  vedendo  che  lo  imperatore  non  voliva  fare  li  coman- 
damenti del  papa,  de  comandamento  de  messer  Raniere  cardinale  ferno 
grande  esercito  e  andaro  contra  Foligne,  e  combatterno  e  li  cac- 
ciamo in  sino  a  la  porta,  e  tagliamo  le  vigne  et  arbori  assai.  Uno 
duca,  che  stava  in  Foligne  per  lo  imperatore,  usci  fuore  con  tutta  la 
sua  gente  e  con  tutto  il  populo  de  Fuligne  e  pugnò  contra  li  Pero- 
sini e  roppeli  e  pigliorni  circa  sette  mili.i  e  ucciserne  e  ferirne  assai. 
Era  l'exercito  di  Perosini  .xx.  milia  tutti  feriti  (5). 

Nel  mese  de  magio  li  Romani  andaro  contra  Anguillara,  e  pi-    e.  19. 
gliarno  el  castello,  e  pigliamo  el  conte  Pandolfo,  et  menarlo  pregione 
ad  Roma  (4).  A  dì  17  di  giugno  venne  Vitale  d'Aversa  contra  Vi- 


Pandolfo  qui  nominato  è  il  Fasanella  (Huillard-Bréholles,  VI, 
395  e  altrove;  Winkelman'n,  Ada,  I,  540;  II,  54),  che  anch'esso  si 
ribellò  insieme  col  fratello  Riccardo. 

(i)  Nel  1242  vicario  imperiale  «  in  Ducatu  »,  Winkelmann, 
Ada,  I,  325  ;  nell'ottobre  del  1245  era  con  Federico  sotto  Viterbo, 
I,  330,  332;  nel  1246  fu  de'  capi  della  congiura;  Huillard-Bréhol- 
les, VI,  595,  405  e  altrove;  Winkelmann,  Ada,  li,  54.  N.  d.  Tuccia, 
p.  26,  aggiunge  agli  altri  congiurati  certi  Tocco  e  lacomo  di  Mantova. 

(2)  Occupò  «  Capuacium  »,  mentre  altri  ribelli  occuparono  Salò. 
Winkelmann,  op.  e  loc.  cit. 

(5)  Le  due  ultime  parole  aggiunte  dalla  seconda  mano,  che  ha 
voluto  mettere  in  evidenza  il  racconto  di  questa  battaglia,  segnando 
nel  margine  esterno  un  lungo  serpentello  verticale  e  la  parola  «  nota  ». 
N.  D.  Tuccia,  «deserti,  feriti  e  maltrattati»;  luzzo,  «erano  tutti 
«cerne  »,  p.  27.  Fu  ai  3 1  marzo  1246;  capitano  degli  imperiali  Marino 
d' Eboli,  vicario  per  il  ducato;  secondo  una  lettera  di  Federico  II 
oltre  ai  morti  e  ai  feriti,  si  sarebbero  fatti  prigioni  cinquemila  Pe- 
rugini e  Assisinati.  Huillard-Bréholles,  VI,  406  ;  Bonazzi,  Storia 
di  Perugia  dalle  origini  al  1S60,  Perugia,  Santucci,  1875,  I,  292  ; 
F.  Tenckhoff,  Der  Kampf  der  Holwistaufen  um  die  Mark  Ancona  uni 
das  Hir^ogtuni  Spoleto  voii  der  :{iveiteii  Exkommunikation  Friedrichs  li 
bis  xu't^  Tode  Konradins,  Paderborn,  Schoningh,  1895,  p.  43. 

(4)  Q.uesta  notizia  è  da  aggiungere  alla    serie  raccolta  intorno 

Archivio  della  R.  Società  romaìia  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         21 


3i6  T.  Egidì 


terbo  e  guastò  le  vigne  dalle  grotte  del  Riello  ;  poi  tornò  la  sera  ad 
Montefiascone  (i). 

A  dì  .XXIII.  de  luglio  fu  fatto  un  gran  romore  nella  piazza  di 
Sancto  Stefano  tra  doi  fratelli  carnali,  cioè  messer  Berardo  di  Petro' 
Farolfo  et  Pietro  suo  (2)  fratello  e  fecero  insieme  gran  questione,  alla 
quale  trasse  il  podestà  (5)  con  molti  in  suo  aiuto,  e  mise  gran  voce 
che  fussero  pigliate;  nella  quale  mischia  fu  ferito  uno  chiamato  Lam- 
berto, nanti  l'altare  della  dieta  chiesa. 

Vitale  d'Aversa,  havendo  sentito  si  facto  romore,  se  mosse  da 
Montefiascone  con  le  suoe  gente  (4).  seco  andando  pensando  che  Vi- 
terbo volesse  fare  niutatione  di  stato;  el  sequente  dì  tutti  li  nimici 
d' intorno  vennero  ad  cavallo  e  ad  piede,  credendo  che  fusse  pif^liato 
Viterbo.  Per  la  qual  cosa  el  podestà  de  Viterbo,  havendo  sospecto, 
mise  in  pregione  .xxxviii.  cectadini  (5)  delli  quali  più  dubitava.  In 
quel  tempo  Tebaldo  Franco  s'arcndè  alle  gente  dell'  imperatore  per- 
chè non  si  posseva  piij  tenere,  e  lui  e  li  suoi  sequaci  fumo  robbati 
e  arsi  (6). 

In  quel  anno  fu  sì  gran  fame  in  Viterbo  che  molte  fameglie  se 
ne  fugivano  per  non  possere  vivare,  e  sparserosi  per  tutto  il  paiese 
d' intorno. 

Nel  dicto  anno,  che  fu  nel  dì  de  (7)  sancto  Angelo  de  septem- 
bre,  fumo  electi  .1111.  rettori  del  populo,  cioè  Ranieri  Gattu,  Ranuccio 
di  Ioanne  di  Coccio,  lovanne  (8)  di  Ferenti  e  lacobo  di  Gregorio 
del  Rosso;  li  quali  stectero  nel  dicto  offitio  e  ferno  fare  el  muro  de 
Sancta  Maria  Magdalena  infino  a  la  portecella  (9)  del  piano  di 
Sancto  Fustino. 

all'  Anguillara  da  G.  Tomassetti,  Campagna,  in  questo  Archivio,  V, 
88  sgg.  Mi  sorge  però  il   dubbio   che   essa   non  sia  che  una  r'peti- 
zione  di  quella  data  dal  cronista  a  e.  17. \. 
(i)  Cf.  Huillard-Bkéholles,  VI,  282. 

(2)  «  et  Pietro  suo  »,  del  correttore,  su  rasura. 

(3)  Era  un  certo  «Michael».  Sign'orelli,  op.  cit.  p.  556. 
(4")  Sopprimo  un  e  e  »,  che  mi  pare  fuor  di  posto. 

(5)  N,  DELLA  Tuccia,  p.  27:  «  piglionne  34  e  miseli  prigione»; 
Pinzi,  Storia,  I,  475,  cita  il  passo  del  nostro,  però  legge  xxxiv. 

(6)  Con  Tebaldo  furono  presi  «  Gisolfus  de  Mannia,  Guillclmus 
«  de  S.  Severino,  Galfridus  de  Morra,  Robertus  et  Richardus  de  Pha- 
«  sanellis  »;  Huillard-Bréhoi  les,  VI,  457. 

(7)  Raso  e  poi  riscritto  dalla  seconda  mano. 

(8)  «-vanne»,  della  seconda  mano. 

(9)  N.  D.  Tuccia,  p.  27,  «  anteporticella  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  517 


Como  ho  dicto  in  prima,  Viterbo  in  tutto  periva  de  fame  e  impe- 
rhò  non  si  trovava  cosa  da  mangiare,  et  era  sì  gran  fame  che  per  le 
chiese  e  per  molti  lochi  obscuri  erano  trovati  le  creature  morte.  O 
quanti  guai  liaviva  el  dicto  populo,  donne  e  fanciulli  e  tutti,  grandi 
e  piccoli  !  E  corno  uscivano  fuore  delle  mura  della  città,  erano  pi- 
gliate dalli  nimici  !  ||  E  tutte  queste  penurie  soffersono  per  mantenersi  e.  19  d 
nello  stato  di  sancta  Chiesia.  Mectivano  loro  figlioli  in  luochi  (i)  ser- 
rati, acciò  che  non  andassero  strillando  (2)  per  la  terra,  et  quando 
li  andavano  a  vedere,  molti  ne  trovavano  morti  per  li  diserti  casa- 
lini  (3)  et  mangniati  da  bestie.  Per  la  qual  cosa  molti  se  ne  fugivano 
di  uocte  tempo  per  paura  dei  nimici,  e  cusi  la  città  se  veniva  con- 
sumando. Alcuni  eh'  erano  trovati  dai  nimici  fuore  le  mure,  fugi- 
vano  per  certe  caverne,  e  li  nimici  facevano  el  fumé  et  adfucavali 
dentro.  Intra  li  quali  ne  afucarno  in  un  un  dì  .xiii.,  un  altro  dì 
.villi,  tra  maschi  et  femine  (4). 

Anno  Domini  1247.  Rimase  tanta  pocha  gente  in  Viterbo  che 
per  nullo  modo  vedevano  posserlo  guardare  da  nimici  ;  imperhò  che 
li  giovani  erano  fugiti  per  la  fame  et  lassati  loro  patri  et  matre  et 
altre  fameglie  (5).  Onde  quelli  pochi  ch'erano  rimasti,  muraro  tutte 
le  porte  de  Viterbo,  salvo  la  porta  de  Sancto  Sixto  et  la  porta  de 
Sancta  Maria  Magdalena,  una  al  levante,  l'altra  al  ponente.  El  sequente 
mese  de  febraro  messer  Alexandro  (6)  disse  ad  Vitale  corno  Viterbo 


(i)  Ms.  «  luohi  », 

(2)  In  margine  il  correttore:   «stridendo». 

(3)  Nel  ms.  .«per  li  diserti  et  casalini  mangniati  ». 

(4)  N.  D.  Tuccia  ha  compendiato,  e  poco  felicemente,  questa 
descrizione.  «  Tuttavia  in  Viterbo  si  moriva  di  fame  e  si  trovavano 
«  putti  e  putte  morte  nelle  chiese  ;  e  quelli  uscivano  fora  delle  porte, 
«  eran  presi  da  nemici,  e  posti  in  luoghi  che  non  facessero  rumore; 
«  e  quando  l'andavano  a  vedere  li  trovavano  morti  per  la  fame.  Così 
«  si  trovavano  assai  morti  nei  casali  disabitati  e  magnati  dalle  bestie. 
«  Ne  fuggivano  assai  di  notte  per  paura  dei  nimici,  e  si  mettevano 
<c  per  le  grotte,  e  li  nemici  1'  affogavano  con  il  fumo.  In  due  giorni 
«ne  fumo  trovati  34  morti  e  un  altro  43  tra  maschi  e  femine;  e 
«  questo  soffrivano  per  non  ribellarsi  a  S.  Chiesa  »,  p.  27. 

(5)  Famigliari? 

(6)  Alessandro  di  Cavelli  (v.  poco  sotto)  o  di  Calvelli  (N.  d.  Tuc- 
cia, loc.  cit.),  secondo  il  Pinzi,  probabilmente  feudatario  di  Monte  Cal- 
vello. Una  colonia  de  Cabdlis  esisteva  sulla  Cassia  già  nel  secolo  x 
(To.MASSETTi,  op.  e  loc.  cit.  V,   130),    ma    non    mi   pare    probabile 


3iS  T.  E -idi 


e.   20  K 


era  cus'i  disolato,  et  il  di  de  sancta  Maria  Candelora  vennero  con  tutto 
l'exercito  ad  combattere  in  quel  de  Viterbo  e  per  forza  vensero  Bar- 
tholomeo  de  Ioanni  de  Ferenti  e  tollero  il  suo  castello.  Et  l'impe- 
ratore levò  el  sopra  dicto  Vitale  della  commissione  e  volse  che  '1 
dicto  Alexandre  fussc  suo  commissario.  Poi  il  dicto  Alexandre  andò 
ad  combattere  Bieda  et  per  forza  la  vense  et  disfella. 

Vendevasi  nel  dicto  mese  ci  grano  .xxxvi.  soldi,  cioè  nel  mese 
d'  aprile. 

Li  Viterbesi  elexero  anco  quattro  boni  ceptadini  et  idonei  che 
devessero  supplire  al  bisogno  della  città.  Et  fu  messcr  Azalitio  di 
Clarimbaldo  (i),  Ioanni  di  Ioanni  da  Ferenti,  Ioanni  de  Bartholomeo 
del  Monte  e  Scambio  de  Ghirigorio  (2),  i  hominì  electi  per  supplire 
a  la  città  de  Viterbo,  li  quali  provedevano  sopra  l' offitii  et  altri  bi- 
sogni. 

In  quel  tempo  certi  gintilhomini  et  prodi  della  città  de  Viterbo 
si  partirne  e  andarne  ad  Tede;  et  el  nome  di  loro  sonno  lud.,  l'altro 
la.  (3),  e  ordinare  con  uno  chiamato  messer  Federico  (4),  che  se  de- 
vesse  intermettere  con  l' imperatore,  che  volesse  havere  Viterbo  per 
recomandato,  e  che  li  volesse  f?.re  la  bolla  della  remissione  de  ogni 
ingiuria  che  li  Viterbesi  li  avessero  facta,  et  con  questa  bolla  loro 


si  tratti  di  essa.  Questo  Alessandro  mi  è  ignoto:  conosco  invece  un 
Simon  de  Calvellis    «  magne  curie  magister  iusticiarius  »  nel   12 16 
(H.-B.  I,  954),  ma  egli  pare  «  civis  Panormi  »;  ibidem,  p.  853. 
(r)  N.  D.  Tuccia,  «Alessandro  Orlandini»,  p.  28. 

(2)  Ms.  «  de  Ghiorio  »  :  suppongo  manclii  il  segno  di  abbrevia- 
zione. Il  ms.  Viterbese  di  N.  d.  Tuccia  «  Gregorio  «,  il  testo  del 
Ciampi  lo  tace  (p.  28).  Nel  ms.  i  quattro  nomi  son  posti  in  colonna 
e  di  fronte  stanno  le  parole  che  io  ho  messo  di  seguito. 

(3)  Nel  ms.  «  lud'...,  la:  ».  Il  testo  dato  dal  Ciampi  (p.  28)  li  tace, 
però  nel  seguito  della  narrazione  uno  dei  due  è  detto  Giacobbe,  che 
corrisponderebbe  allo  la.  del  nostro.  Il  ms.  Viterbese  riferito  in  nota 
dice:  «l'uno  chiamato  X...  l'altro  lud...,  non  dichiaro  altramente  loro 
«  nomi  perchè  detto  Lanzillotto  non  li  chiarie  lui  »  e  facilmente  dice 
la  verità.  Lanzillotte  scriveva  appena  Viterbo  era  tornata  alla  Chiesa 
e  non  era  forse  prudente  troppo  liberamente  far  i  nomi  di  costoro 
che  avevano  ridato  la  città  all'  imperatore.  Il  ms.  dell'Archivio  di 
Stato  Romano,  p.  74,  «  l'uno  chiamato  Re...  l'altro  lud...  ». 

(4)  Federico  d'Antiochia,  figlio  naturale  di  Federico  II,  era  vi- 
cario in  Tuscia.  PiKZi,  Storia,  I,  484;  Sa viGNONi,  L'arc/jif io,  n.  lxiii; 
Huillard-Bréholles,  vi,  386,  404,  418,  477,  488. 


Le  croniche  di  ]^iterbo  319 


speravano  che  Viterbo  si  desse  a  l' imperatore  (i).  Onde  che  incon- 
tinente lo  dicto  Federico  andò  a  1'  imperatore,  e  recò  una  bolla  de 
remissione  sugellata  col  sugello  d'oro  pendente  (2).  Li  quali  dui  cit- 
tadini, havendo  la  dieta  bolla,  si  n'andaro  di  terra  in  terra  ove  stavano 
li  Viterbesi,  notificando  la  dieta  remissione,  et  a  tutti  piacque;  e 
cussi  se  ne  adunaro  una  gran  quantità  nella  città  de  Orvieto,  e  fcrno 
noto  al  dicto  messer  Alixandro  di  Cavell!  tutto  el  facto  (3).  Ad  messer 
Alixandro  piacque  assai,  e  ordinarno  venire  li  dicti  cittadini  presso  ad 
Viterbo  ad  una  abadia  chiamata  Sancta  Maria  di  Palenzana  e  fumo 
circa  mille  cittadini  e  mandarno  ad  dire  ali!  Viterbesi,  ch'erano  dentro 
in  Viterbo,  tutto  el  fatto.  Per  la  qual  cosa  1'  hcbbero  tanto  ad  male 
che  ferirno  li  messaggi,  e  villaneggiandoli  li  cacciorno  via.  E  fu  a 
dì  .VI.  del  mese  de  magio  che  lo  popolo  levò  gran  rumore,  e  uscirno 
fuori  ad  cavallo  et  ad  piede  contra  quelli  di  Palenzana,  e  quanti  ne 
giongevano,  ferivano;  e  loro  fugirno  chi  qua  chi  là. 

Lo  imperatore  in  quel  tempo  vinne  ad  Terani  (4),  e  ordinò  el 
suo  figliolo  Carlo  signore  et  re  de  tutti  suoi  paesi  di  qua,  con  tutti 
li  tituli  che  s'intitulava  lui  (5),  e  piacque  alla  sua  maiestà  di  mettere 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  2S,  continua  :  «  Queste  cose  ordinorno 
«  detti  cittadini  da  lor  medesimi  senza  aver  volontà  di  pace.  Messer 
«  Federico  andò  all'  imperatore,  esponendoli  si  fatta  imbasciata,  e  li 
«  piacque  assai,  perchè  aveva  gran  volontà  aver  Viterbo,  e  fé'  una 
«  bolla  pienissima  di  remissione  e  sigillolla  col  piombo,  e  così  il  detto 
«  Federico  tornò  a  Todi  con  tal  bolla.  Li  cittadini  viterbesi  vedendo 
«  la  detta  bolla,  dissero  non  valeva  niente,  perchè  era  sigillata  col 
«piombo;  dovesse  ritornare  e  farla  sigillare  d'oro.  Tornò  detto  Fe- 
«  derico  all'  imperatore,  la  fece  sigillare  d'oro,  e  poi  ritornorno.  An- 
ce domo  detti  cittadini...  ». 

(2)  Questo  viaggio  pare  dubbio.  Cf.  Bòhmer-Ficker,  Regesta, 
n.  3609  .\,  e  più  sotto  a  p.  321,  nota  2. 

(3)  Ms.  «  et  tutto  el  facto  »,  La  «  et  »  è  una  glossa  interlineare. 

(4)  Nessun  documento  di  quest'anno  è  datato  da  Terni,  però 
Federico  ai  22  gennaio  era  a  Foggia,  ai  18  febbraio  a  Capua,  nel- 
l'aprile a  Pisa  (H.-B.  VI,  265-66)  e  ai  20  di  febbraio  doveva  essere 
«  apud  Yteranum  »;  Bòhmer-Ficker,  n.  3609  a. 

(5)  Carlo  o  Carlotto  detto  anche  Enrico,  terzo  figlio  legittimo 
di  Federico  II,  avuto  da  Isabella  d' Inghilterra.  Cf  Wimkel.mann, 
Kaiser  Friedrich  II,  II,  145  sgg.  Egli  è  il  testimonio  che  appare  nel 
diploma  di  remissione  ai  Viterbesi  emanato  da  Federico  II  nell'ago- 
sto 1247  ^  "O"  Enzo  come  credono  il  Pinzi,  Storia,  I,  483  e  485  e 


320  'P.  E<>tdi 


in  mano  di  messcr  Sin'baldo  (i)  tutta  la  pace  e  concordia  della  ci;ti\ 
de  Viterbo,  e  lui  se  parti  et  se  ne  andò  in  Lombardia. 
e.  :o  B  La  sequentc  nocte  tornaro  li  dicti    cittadini  in  Palenzana  et  di 

nuovo  tentarno  quelli  dentro  che  devessero  consentire  ad  quella  vo- 
luntà  per  bono  et  pacifico  stato  della  dieta  città.  Ma  quelli  dentro 
temivano  forte  che  questa  cosa  non  fusse  facta  ad  fine  de  desfare  la 
città,  et,  armati  tutti,  serrarne  tutte  le  porte,  et  posersi  ad  guardare 
nella  piazza  de  Sancto  Silvestro,  et  vetarno  che  nullo  devesse  parlare 
con  quelli  di  Palenzana,  dicendo  :  «  Guardamone  da  loro  come  da  no- 
c  stri  inimici  ».  Poi  tutti  se  n'andaro  alla  porta  de  Sancto  Sixto  ad  fare 
la  guardia,  e  li  stettero  in  fino  ad  vespero  El  sequente  di,  di  mercoldi, 
dui  consuli,  cioè  messer  Azzolino  (2)  et  Ianni  da  Ferenti,  di  voluntà 
et  consentimento  (3)  di  Raniere  Gatto,  et  di  Ranieri  di  Ianni  Coccio, 
loro  compagni  (4),  menarno  con  loro  el  balio  del  comuno  e  el  iudice, 
et  andorno  infino  al  ponte  Buffiano,  et  mandarno  uno  messo  ad  mes^ 
scr  M.  (5)  et  all'altri  che  erano  in  Palenzana,  che  devessero  venire 
al  dicto  ponte  ad  parlare  con  loro.  Allora  el  dicto  Ma.  (6)  la.  con 
tutti  quelli  di  Palenzana  vennero  al  dicto  loco,  e  quando  fumo  gionti, 


il  Ceccotti    nelle    postille   alla    copi.i  di  questa  cronaca.  Il  Bussr, 
p.   157,  lo  scambia  con  Corrado. 

(1)  «  Sinibaldo  tutta»  della  seconda  mano  su  rasura  di  «  Sini- 
«  baldo»;  così  pure  del  correttore  «  se  parti  et  ».  Chi  è  questo  Sinibaldo? 

(2)  Facilmente  è  l'Azalizio  di  cui  a  e.  19  B.  Il  mercoldi  era  l'ot- 
tavo giorno  di  maggio. 

(3)  Nel  ms.  «  cosimeto  ». 

(.4)  Credo  che  non  fossero  i  consoli,  come  dice  il  frate,  ma  i 
quattro  magistrati  eletti  straordinariamente  per  provvedere  alle  an- 
gustie cui  era  in  preda  la  città.  Mi  induce  in  quest'opinione  il  ve- 
dere che  durante  il  lasso  di  tempo  in  cui  sarebbero  avvenute  queste 
trattative  (a.  1247- 1248)  ^^a  podestà  «  Monaldus  de  Eugubio  »  (Signo- 
RELLi,  op.  e  loc.  cit.),  e  che  in  quest'epoca  non  si  trovano  più  mai 
coesistenti  consoli  e  podestà.  N.  d.  Tuccia,  nella  copia  edita  dal  Ciampi, 
tralascia  i  nomi  dei  due  Ranieri  e  fa  di  Azzolino,  Angiolino;  in  quella 
Viterbese  oltre  i  due  Ranieri  aggiunge  Giovanni  di  Bartolomeo  e 
Scubio  (Scambio)  di  Gregorio.  Ciampi,  op.  cit.  p.  29  e  nota. 

())  Questa  «  M  »  è  aggiunta  in  fine  della  riga  dal  correttore, 
dopo  esser  stata  rasa  al  principio  della  seguente  riga.  N.  d.  Tuccia, 
ivi:  «  mandorno  due  messi  in  Palanzana  ».  Del  ponte  Buffiano,  Pof- 
fìano,  Foffiano  v.  Pinzi,  Os{)i:^i,  p.  54. 

(6)  Messer  Iacopo  ?  N.  d.  Tuccia  :   i<  Giacobbo  ». 


Le  croniche  di   Mlcrbo  321 


loro  stavano  verso  Palenzana,  e  li  consuli  verso  Viterbo,  et  el  ponte  in 
mezzo.  Dicano  li  consuli:  «  Che  volete  voi  da  noi?  »  Loro  risposero: 
«  Volemo  el  bene  e  la  pace  et  la  quiete  de  la  nostra  città  ».  E  moltis- 
sime parole  dissero  umilissimamente.  Li  consoli  volevano  vedere  la 
bolla,  e  loro  dicevano  :  «  La  volemo  leggere  presente  el  populo  ».  E 
li  consoli  non  volevano,  e  cus'i  tornò  ogniuno  in  drieto.  El  sequente 
dì  andorno  molti  cittadini  ad  Palenzana  ad  vedere  loro  parente  et 
amici,  e  comparavano  del  pane  e  altri  frutti  con  gran  festa,  e  quel 
che  costava  in  Palenzana  uno  denaro,  vendevano  in  Viterbo  cinque 
denari.  L'altro  d'i  vennero  quelli  de  Palenzana  ad  Sancta  Maria  in 
Grada;  infine  fumo  lassati  entrare  dentro  in  Viterbo,  ||  et  dipoi  molte  e.  21  a 
eccectioni  (i),  gridarne  tutti:  a  Pace,  pace  »;  e  cusì  fu  facta  la  pace.  E 
lo  figliolo  de  r  imperatore  venne  in  Viterbo,  e  smontò  nel  suo  pa- 
lazzo, ove  poi  fu  giurata  fedeltà  da  tutto  el  populo,  e  fé'  scarcare  le 
case  del  cardinale  Raniere  adpresso  ad  Sancto  Bartholomeo  da  Vi- 
terbo per  comandamento  di  dicto  Carlo,  figliolo  de  l'imperatore  (2). 


(i)  Ms.  «  occectioni  ». 

(•2)  Non  è  facile  intendere  se  il  figliolo  dell'  imperatore  che  entrò 
in  Viterbo  e  ne  ricevette  il  giuramento  sia  Federico  o  Carlo,  ma 
parrebbe  più  presto  questi,  poiché  del  primo  mai  il  cronista  ha  detto 
il  legame  di  sangue  che  aveva  coli' imperatore.  Col  Winkelmann, 
K.  Fr.  Kampf,  p.  304,  credo  più  probabile  si  tratti  di  Carlo.  Il 
modo  con  cui  Viterbo  tornò  alla  fede  imperiale  non  appare  ne' 
documenti  per  intero  consono  a  quello  esposto  dal  cronista.  Ci  re- 
stano due  diplomi  dell'amnistia  concessa  da  Federico  II  alla  città, 
uno  del  gennaio,  l'altro  dell'agosto  1247  (B.-F.  nn.  5603,  3641); 
la  cronaca  invece  fa  menzione  di  uno  solo  emanato  nel  marzo  al- 
l' incirca.  Il  Pixzi,  Storia,  I,  481  sgg.,  discostandosi  dagli  annali,  tra- 
sportò tutta  la  serie  degli  avvenimenti  nell'estate  del  1247,  per  porla 
in  relazione  col  diploma  di  agosto  che  solo  gli  era  noto,  e  pensò  che 
questo,  ottenuto  da  Federico  di  Antiochia  in  un  viaggio  apposita- 
mente intrapreso,  fosse  quello  per  mezzo  del  quale  gli  emigrati  riu- 
scirono a  persuadere  i  loro  concittadini  alla  sottomissione.  Il  Wik- 
KELMANN,  K.  Fr.  KuiHpf,  p.  305,  uota  4,  pensò  invece  che  il  cronista 
avesse  postergato  gli  avvenimenti  e  che  al  viaggio  di  Federico  si 
dovesse  assegnare  una  data  precedente  al  diploma  del  gennaio  1247, 
il  quale  sarebbe  stato  appunto  «la  bolla  della  remissione»,  che  i 
fuorusciti  avevano  impetrato.  Ma  giustamente  si  può  osservare  che 
l'itinerario  di  Federico  d'Antiochia  durante  lo  scorcio  del  1246  e 
l' inizio  dell'anno  seguente  non  consente  un  viaggio  suo  alla   corte 


322  T^.  Egidi 


Lo  dicto  imperatore  Federico  II  (i)  havendo  poi  conquistata  tutta 
Italia,  chi  per  forza  e  chi  per  amore,  si  parti  con  suoe  gente  e  andò 
al  Lione,  ove  stava  el  papa  col  concilio,  e  cercò  pigliare  el  papa  per 
forza  dentro  Lione.  El  papa  e  tutti  i  cardinali  et  tutti  i  prelati  di 
stima  se  contravestirno,  e  gectarno  loro  abiti,  e  scognosciutamcnle 
fugirno  chi  là  e  chi  qua:  et  el  papa  se  n'andò  alla  città  de  Venetia  (2) 
e  h  vi  s'acconciò  per  coco  di  canonici  regulari  nella  chiesa  della 
Carità.  Era  el  dicto  papa  della  città  de  Genova. 

Ora  el  dicto  imperatore  andò  perseguitando  tuttala  chierichia(5), 
e  tristo  colui  che  se  fusse  nominato  prete;  e  questo  faceva  per  di- 
specto  del  papa.  Et  durò  questa  persecutione  tre  anni  e  mezzo. 


imperiale,  dimorante  allora  ncU'  Italia  inferiore,  e  che  egli  con  ogni 
probabilità  non  potè  recarvisi  se  non  una  volta  in  quell'anno,  di  estate, 
appunto  quando  fu  emanato  il  diploma  dell'agosto,  nel  quale  anzi  com- 
parisce come  testimonio.  Mi  pare  difficile  non  consentire  in  ciò,  e 
con  questa  sentenza  non  mi  sembra  difficile  concordare  il  racconto 
del  cronista,  che  resterebbe  integro  nella  sostanza,  salvo  una  omis- 
sione e  un  anacronismo,  se  i  fatti,  come  credo,  si  svolsero  in  que- 
st' ordine.  Sullo  scorcio  del  1246  i  fuorusciti  iniziano  le  pratiche 
per  ottenere  il  perdono  imperiale,  che  Federico  concede  nel  gennaio 
dell'anno  seguente  (da  questo  facilmente  la  notizia  degli  Annales  la- 
nueuses,  p.  220,  che  Viterbo  già  nel  dicembre  fosse  dell'  imperatore). 
I  Viterbesi  diffidenti  non  accolgono  l'atto  di  clemenza,  lo  Svevo  per 
rassicurarli  toglie  il  vicariato  a  Vitale  d'Aversa  (e.  19  b),  che  per  la 
crudeltà  vi  si  era  tanto  distinto  da  meritare  con  Pier  delle  Vigne 
(strano  connubio)  che  fossero  a  loro  dai  guelfi  attribuite  le  parole 
bibliche  «duo  vasa  iniquitatis  bullcntia  »  (H.-B.,  VI,  282).  Ma  anche 
tal  prova  non  basta  ai  Viterbesi  che  resistono  ancora  qualche  tempo, 
finché,  stretti  dalla  fame  e  convinti  dalle  persuasive  parole  dei  con- 
cittadini, si  acconciano  a  restituirsi  nell'obbedienza,  ai  io  di  aprile 
del  1247  (erroneamente  il  Tenckhofk,  op.  cit.  p.  44,  dice  che  ciò  ac- 
cadesse il  nove).  Più  tardi,  per  maggior  sicurezza,  chiedono  con- 
ferma del  diploma,  la  quale  viene  loro  concessa  con  la  bolla  aurea 
dell'agosto,  ottenuta  a  loro  favore  da  Federico  di  Antiochia  nella  sua 
andata  a  Parma  sotto  cui  Federico  era  in  campo  e  da  ciò  forse  nacque 
il  racconto  della  bolla  plumbea  rifiutata  di  cui  a  p.  319,  nota  i. 
(i)  «Federico  li)),  del  correttore,  nell' interlineo. 

(2)  Ms.  «hi».  In  margine  il  correttore  ha  segnato:  «Papa  In- 
«  nocentio  4°  fugito  in  Venetia». 

(3)  Ms.  «  chiericha  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  323 


Tenendo  l'imperatore  si  facta  vita,  multiplicarno  tanti  li  pec- 
cati suoi,  che  Dio  non  volse  abandonare  la  sancta  Chiesa  ne  ancho 
li  soi  fideli:  et  essendo  el  dicto  imperatore  tornato  in  Italia,  andò 
alla  città  di  Napiili,  e  li  vi  mandò  cercando  el  figliolo,  e  miselo  in 
mare  centra  Venetia  con  36  galee  armate.  Poi  se  parti  di  Napuli 
e  misesi  in  mare  per  andare  ad  Valenza  (i).  La  qua!  partita  sentirno 
li  Genuesi  e  miscrsi  in  porto  con  .XL.  (2)  galee  armate,  e  assalirne 
l'imperatore,  e  pigliarlo  per  forza,  e  menarlo  prigioni;  poi  mandarne 
ambasciatori  per  tutto  il  paese,  si  si  potesse  trovare  el  papa,  noti- 
ficando comò  havivano  pregione  l'imperatore.  (Alcuni  dissero  che 
anco  fu  pigliato  e  rotto  el  figliolo  de  l'imperatore  ad  presso  ad  Ve- 
netia con  36  II  galee  e  il  dicto  figliolo  trattò  pace  col  papa  e  co  l'im-  e.  201? 
peratore.  Lo  papa  era  stato  cognosciuto  da  un  francioso,  essendo 
travestito  d'  abito  [de]  canonico  regulare  nella  chiesa  de  la  Cha- 
rità). 

La  novella  è  gionta  alla  città  di  Venetia,  comò  l'imperatore  era 
prescione  ad  Genova.  Subito  li  Venitiani  mandarno  uno  bandimento 
che  qualunche  ricognoscesse  el  papa,  e  nuntiasselo  (3)  a  loro,  gua- 
da jnarebbe  mille  fiorini  d'oro.  Advenne  che  uno  giorno  dicto  papa 
stava  ad  scopare  la  piazza  de  Sancto  Marco  in  Venetia;  uno  corti- 
sciano  antiche  lo  ricegnobe,  e  guardò  con  chi  tornava  in  Sancto  Marce, 
et  factone  advisato  el  regimento  di  Venetia,  loro  mandarno  cercando 
lo  canoniche  e  1  ceco;  e  cussi  loro  andarne.  Fu  el  dicto  papa  ri- 
ccuto  con  grande  henore,  e!  quale  lui  assai  recusava.  In  fine  li  ferno 
venire  innanzi  el  dicto  cortisciano,  e  non  pessendo  più  negare, 
confessò  et  [fu]  revestite  heneratissimamente  et  messo  in  uno  grande 
et  magno  palazzo;  età  cului  che  l'haveva  palesato,  gli  denaro  mille 
fiorini,  et  vestirlo  de  ornato  vestimento.  E  cusì  per  tutta  la  Christianità 
fu  spasa  la  novella,  e  gionta  che  fu  a  Genua,  li  Genovesi  menarne 
l'imperatore  pregione  ad  Venetia,  e,  presentate  inanzi  al  papa,  si  in- 
ginocchiò e  basolli  el  piede,  et  disse:  «Non  tibi  sed  Petro  ».  Le 
papa  si  levò  in  piede  e  poseli  el  piede  sul  collo  e  passò  oltra  et 
disse:  «  Super  aspidem  et  basiliscum  ambulabis  et  conculcabis  leenem 
«  et  draconem  »  ;  e  cusi  fu  retenuto  in  fine  che  esse  li  assegnò  (4) 
tutte  le  terre  de  la  Chiesa,  cioè  Remagna,  la  Marcha,  el  Ducato,  el 
Patrimonio  et  Campagnia.  Et  cusì  il  cardinali  Ranieri  tornò  in  Viterbo 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  29,  traspone  i  due  racconti. 

(2)  N.  D.  Tuccia  dice  44. 

(5)  Ms.   «  nuntiassere  ». 

(4)  «  li  assegnò  «,  del  correttore,  su  rasura. 


52  (.  'P.  Kg  idi 


con  Ile  commissione  che  haveva  haute  prima  che  il  papa  fusse  di- 
scacciato, e  fé'  fornire  la  chiesia  di  Sancta  Maria  in  Grada,  dove  sta 
l'ordine  di  sancto  Domeniche.  Ancho  el  dicto  cardinale  fé'  scarcare 
e.  22 A  le  case  e  le  |  torri  del  palazzo  dell'imperatore  sopra  la  chiesia  de 
Sancta  Maria  del  Poggio  e  per  cascione  che  da  quel  lato  era  Viterbo 
senza  mura,  fé'  fare  el  muro  castellare  per  mezzo  del  dicto  palazzo 
disfacto,  e  mezzo  ne  rimase  fuore  della  città  e  mezzo  dentro  nella 
dieta  città  (i). 

Lo  dicto  imperatore,  da  (2)  poi  le  diete  cose,  li  fu  fatto  grande 
honore  dal  dicto  papa;  e  lui,  vedendo  havere  commesso  grande  er- 
rore, per  satisfare  sì  facto  peccato,  deliberò  andare  contra  li  Snra- 
cini  in  Soria,  e  collo  aiuto  del  papa  e  di  Venetiani  e  Genovesi  e 
con  la  possanza  sua  andò  e  conquistò  assai  terre  nel  paese  de  Hve- 
rusalem  (,)•  Et  essendo  in  quelli  triumphi  oltra  mare,  li  si  ribellarono 
molte  delle  terre  suoe  per  conducta  del  re  de  Boemia  e  d'altri  signori. 
Per  la  qual  cosa  lui  lassò  l'impresa  di  Soria  e  tornò  nella  Magna  e 
gasticò  tutti  quelli  che  l'havevano  fallito.  Et  visse  questo  imperatore 
nella  sedia  imperiale  anni  .xxx. 

El  papa  si  parti  da  Venetia  con  tutta  la  corte;  che  l'erano  andati 
a  trovare  quelli  pochi  cortisciani  ch'erano  in  quello  tempo,  li  quali 
erano  andati  tappinando  tre  anni  e  mezzo.  Et  el  papa  tornò  ad  Roma 


(i)  La  restituzione  di  Viterbo  al  papa  avvenne  certo  ne'  primi 
mesi  del  1252,  poiché  Innocenzo  se  ne  rallegra  in  una  lettera  del 
17  aprile  (Potthast,  n.  U557;  Berger,  n.  5645);  non  pare  quindi 
per  nulla  attendibile  che  vi  abbia  preso  parte  Ranieri,  il  quale, 
secondo  un  autorevolissimo  contemporaneo,  si  spense  a  Lione  prima 
che  la  curia  ne  partisse  (N.  de  Cardio,  op.  cit.  p.  103),  e  cioè  prima 
del  19  aprile  125 1.  Cf.  Winkelmann,  A'.  Fr.  Kanipf,  p.  305,  nota  4. 
La  chiesa  di  S.  Maria  ad  Gradus  era  stata  cominciata  nel  12 17  per 
cura  di  Raniero  e  donata  ai  predicatori  nel  1220  o  1221;  pare 
fosse  compita  nel  1244;  fu  consacrata  nel  1258.  Il  Cristofori,  Le 
tombe  de  papi  in  Viterbo,  Siena,  San  Bernardino,  1887,  p.  61  sgg , 
raccolse  molte  notizie  intorno  alla  chiesa,  utili  sebbene  disordinate: 
ne  parlò,  oltre  il  Pinzi,  Storia,  II,  134,  nota  2,  I'Ojetti  in  una 
conferenza  tenuta  avanti  ai  cultori  della  archeologia  cristiana  in 
Roma  ai  16  marzo  1884;  BuUdtino  di  Archcoloi^ia  cristiuiui  di  G.  B. 
De  Rossi,  serie  iv,  III,  39  sg.  Del  palazzo  di  Federico  dissi  già  a 
p.  246,  nota  3. 

(2)  Glossa  interlineare  del  correttore. 

(3)  «  Hye-  »  correzione  su  rasura  di  «  Gè-  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  3-5 


e  fc'  nuovi  cardinali  e  visse  poi  anni  quattro  et  poi  mori.  Era  visso 
nel  papato  anni  .xi.  mesi  .vi.  dì  .v.(i). 

Hora  comincia  la  città  di  Viterbo  a  ricogliere  un  podio  el  fiato, 
e  vedendosi  bavere  bone  entrate  deliberarno  fare  una  bella  piazza 
nel  mezzo  de  la  dieta  città,  e  compararno  (2)  da  persone  private,  o 
vuoi  dire  da  pii:i  persone  più  et  più  casamenti,  e  tutti  li  scarcarno  e 
ferno  una  piazza,  nella  quale  ferno  uno  palazzo  per  lo  capitanio  in 
capo  della  dieta  piazza,  e  ad  piede  della  dieta  piazza  ferno  un  pa- 
lazzo per  li  consuli,  |1  li  quali  consuli  in  quel  tempo  si  facivano  per  e  22  b 
uno  anno  (5).  Et  nota  che  insino  ad  quel  tempo  li  olTiciali  erano 
stati  in  uno  palazzo  ad  presso  la  chicsia  de  Sancto  Silvestro,  l'altri 
in  uno  palazzo  apresso  la  chiesa  di  Sancto  Pietro  dell'Olmo;  altri 

(i)  Credo  che  non  faccia  mestieri  avvertire  la  strana  confusione 
tra  le  gesta  di  Federico  Barbarossa  e  quelle  del  nipote.  Ricorderò 
quello  che  dissi  altrove,  e  cioè  che  questa  narrazione  di  certo  non 
può  derivare  dalla  cronaca  di  Lanzillotto,  contemporaneo  di  Fede- 
rico II,  per  cui  tale  errore  era  assurdo;  ma  deve  di  certo  attribuirsi 
ad  una  copia  interpolata  nel  secolo  xiv  che  frate  Francesco  ha  preso 
per  l'originale.  Papa  Innocenzo  mori  ai  7  dicembre  1254,  sicché  se- 
dette undici  anni,  cinque  mesi  e  dieci  giorni  a  contare  dalla  conse- 
craz^one  (28  giugno  1243);  tre  giorni  di  più  a  contare  dalla  ele- 
zione (25  giugno).  Cf.  N.  DE  Carbio,  op.  cit.  p.  119,  e  ivi  in  nota 
l'errore  di  Bernardo  di  Guido  sulla  data  della  morte,  che  dice  av- 
venuta il  giorno  di  santa  Lucia  (13  dicembre),  quando  già  due  giorni 
prima  era  stato  eletto  Alessandro  IV.  Innocenzo,  partito  da  Lione 
ai  29  aprile  del  125 1,  dopo  varie  tappe  in  Francia  e  nell'Italia  su- 
periore, giunse  a  Perugia  ai  5  di  novembre,  vi  si  trattenne  sino  ai 
28  aprile  del  1253  e  ivi  creò  i  cardinali;  poi  dopo  breve  sosta  ad 
Assisi  venne  a  Roma  ai  6  di  ottobre,  per  ripartirne  ai  primi  dell'ot- 
tobre seguente,  diretto  verso  Napoli,  dove  incontrò  la  morte;  qumdi 
il  racconto  del  nostro,  anche  in  quel  che  v'  è  di  storico,  è  pieno  di 

errori. 

(2)  Nel  ms.  «comparavano». 

(3)  Cf.  SiGN'ORELLi,  op.  cit.  p.  3  SO.  In  realtà  ordinariamente  si 
elec'geva  il  podestà  e  non  i  consoli.  Sotto  Bonifacio  Vili  la  durata 
fu  ristretta  a  sei  mesi.  N.  d.  Tuccia  aggiunge:  «  e  questo  fu  nel  1268. 
«  Dicono  alcuni  questa  persecuzione  del  papa  fosse  fatta  dall'impera- 
«  tore  Federico  Barbarossa.  Ma  io  l'ho  scritta  come  l'ho  trovata, 
a  Questo  Federico  perseguitò  santa  Rosa  »,  p.  30.  L'erezione  dei  pa- 
lazzi municipali  è  però  da  riferire  al  1261  (Pinzi,  Storia,  II,  158  sgg.). 


326  T.  Egidi 


in  uno  palazzo  ad  presso  la  chiesa  di  Sancto  Simone;  e  cusì  li  dicti 
offitiali  fumo  reducti  nella  dieta  piazza  facta  de  nuovo,  nella  quale 
ferno  una  fontana  et  uno  beveratoro  da  cavalli. 

Haveva  la  dieta  città  in  quel  tempo  sotto  di  sé  più  che  .CL.  ca- 
stelli, confinando  al  fiume  del  Tevere  e  Val  di  Laco(i)  e  Canino 
e  dal  mare  di  Montalto  (2)  in  sine  alla  Tolfa  e  alli  confini  di  Ncpe 
e  de  Orte;  e  questi  erano  li  confini  della  dieta  città.  Ancho  fu  el 
loro  Radicofani  e  Proceno  e  altri  eastelleeti  in  quel  paese,  inperhò 
el  dieto  papa  Innocentio  assai  lo  bonificò  per  restauratione  de  l'as- 
sedio che  havevano  li  Viterbesi  sostenuto  per  la  Sua  Sanctità(3),  Et 
molte  altre  cose  ho  trovate  seripte  nella  cronicha  dello  diete  Lan- 
zillotto  delle  quale  non  ho  facto  memoria,  imperhò  che  dicevano 
d'altri  faeti  che  della  dieta  città  di  Viterbo  annuatim.  Nel  dicto  Lan- 
zillotto  secondo  le  suoe  scripture  ho  trovato  lui  essere  stato  valen- 
tissimo homo  e  bono  grammatico  e  bono  versificatore  e  lo  suo  libro 
era  scripto  in  carta  di  cuoro;  e  qui  fo  fine  alle  croniche  del  dieto 
Lanzilloeto  (4). 

Hora  io  frate  Francesco  di  Andrea  farò  ricordo  di  alcune  altre 
croniche  che  ho  trovate  scripte  in  certi  libri  d'uno  valente  homo  chia- 
mato maestro  Gironimo  medico  e  de  uno  altro  cittadino  di  Viterbo 
chiamato  Cola  di  Covelluzzo  spetiale  e  d'altri  cittadini   che  in  ciò 


(i)  La  valle  del  lago  di  Bolsena. 

(2)  Sulla  cosi  detta  torre  della  Galiana  sta  l'iscrizione  seguente: 
«  In  nomine  Domini  ..mcc.  |  nonagesimo  .vi.  nobilis  vir  dominus 
«  Conjradus  de  Branca  civis  Eugubinus,  potestas  |  civitatis  Viterbii, 
«  felici  suo  regimine  |  deeoratus  honore,  hanc  turrim  fecit  |  hedificari 
«de  redditu  cL.  librarum  |  paparinarum,  que  castrum  iMontis  alti 
«  prò  I  tertia  parte  portus  pcrtinentis  |  ad  commune  Viterbii  tenetur 
«  eidem  |  communi  solvere  annuatim  «{(  Leggi  ».  La  riporto  per- 
chè edita  dal  Marocco  e  riferita  dal  Cristofori,  Tombe,  p.  311,  in 
modo  da  essere  irriconoscibile.  Il  Cristofori  ne  sbaglia  anche  l'ubi- 
cazione e  al  suo  posto  crede  sia  un'  altra  iscrizione,  non  letta,  che 
parli  della  Galiana.  Pel  tributo  di  Montalto  cf.  i  docc.  Lxxviii 
e  Lxxix  del  Savignoni,  L'archivio,  a.  1257.  La  prima  cessione  del 
terzo  del  porto  di  Montalto,  fatta  dai  cittadini  ai  Viterbesi,  risale 
all'a  1186.  Cf  Bussi,  Isloria  di  Viterbo,  p.  395;  Savignoni,  L'ar- 
chivio, doc.  VI. 

(3)  Cf.  Savignoni,  L'iuchivio,  n.  lxiv;  Ciampi,  op.  cit.  p.  53J, 
n-  159  sgg. 

{3,)  Qui  terminano  le  edizioni  dell'Orioli  e  dell'  Hùber. 


Le  croniclic  di  Viterbo  327 


se  dclectavano,  li  quali  ho  concordate  in  questo  piccol  volume,  conio 
vederete;  non  perhò  tutte  loro  scripture  che  dicano  anno  per  anno, 
ma  solo  ho  scripte  quelle  che  mi  parevano  più  degne  ad  farne  men- 
tione  (i). 

Anno  Domini  1255  (2).  Havendo  li  Viterbesi  facta  la  piazza  del  e.  23  a 
comune  novamente,  corno  per  dicto  Lanzillotto  se  scrive,  ferno  nella 
strada  romana  certa  quantità  de  archi,  ove  ferno  pontiche  assai  actuatc 
ad  fare  il  macello  del  bestiame,  al  quale  puser  nome  el  Macel  Mi- 
nore, per  cascione  che  nella  strada  antica  era  un  altro  macello  che 
giongeva  dalle  Pietre  del  Pesce  infine  sopra  la  chiesa  de  Sancto  Vito, 
e  per  cascione  el  nuovo  si  chiamava  Minore,  ad  quello  fu  dicto  el 
Macello  Magiure.  Anco  fu  facta  una  prescione  obscura  in  uno  fondo 
de  torre,  allato  alla  porta  di  ponte  Tremulo,  dove  stava  la  risecata 
del  piano  de  Sancto  Fustino;  la  quale  prescione  fu  poi  chiamata  la 
Malta;  dove  el  papa  metteva  li  suoi  prescioni  quando  stava  in  Vi- 
terbo (5).  Ancho  in  quel  tempo  fu  facta  una  fontana  nel  chiostro  de 
Sancto  Francesco  de  Viterbo  et  una  nella  piazza  ove  poi  fu  facto 
Sancto  Pietro  della  Roccha,  la  quale  acqua  pigliaro  sopra  Viterbo 
ad  presso  alla  via  che  andava  ad  Roma,  ove  si  chiama  l'acqua  de 
la  Mazzetta.  Ancho  fu  facto  in  quel  tempo  in  Viterbo  uno  bello  et 
grande  palazzo  ad  presso  la  chiesa  de  Sancto  Lorenzo,  chiamato 
el  Vescovato;  del  quale  palazzo  fu  l'ordinatore  lo  predicto  Ranieri 
Gatto  (4),  con  altri  nobili  e  buoni  cittadini  amanti  della  dieta  città  e 


(i)  Cf.  prefazione,  p.  208. 

(2)  Nel  margine  supcriore:  «  125  »;  evidentemente  errato. 

(3)  Non  mi  fermerò  sulla  «  vexata  quaestio  »,  se  sia  da  ricono- 
scersi in  questa  la  Malta  di  cui  Dante,  Paradiso,  IX,  terz.  18.  Ri- 
mando al  Ciampi,  op.  cit.  p.  561  ;  al  Pinzi,  Storia,  II,  138;  al  Cri- 
STOFORi,  La  prigione  della  Malta  ricordata  da  Dante,  nella  Miscellanea 
storica  viterbese,  IL 

(4)  N,  DELLA  Tuccia,  p.  31:  'cE  il  primo  Francesco  Paniere 
«  fu  che  gli  fece  mettere  in  molti  luoghi  l'arma  sua,  e  gli  fece  fare 
«  una  bella  fontana  e  fu  fatta  a  spese  del  Commune  acciò  vc- 
«  nisse  »  &c.  Ma  quanto  al  nome  ha  ragione  il  nostro,  come  dice 
l'iscrizione  ancora  esistente  sulle  mura  del  palazzo:  «  Rainerius 
«  Gattus,  iam  ter  capitaneus  actus...»,  dalla  quale  si  apprende  che 
fu  eretto  nel  1266.  L'anno  seguente  fu  innalzata  l'attigua  loggia, 
vero  gioiello  della  nostra  arte  medioevale,  che  col  suo  misere- 
vole stato  pare  gridi  vendetta  per  l' incuria  deplorevole  dei  citta- 
dini, della  Curia,  del  Comune  e  del  Governo  verso  i  nostri  monu- 


328  7^  h\i:t\ii 


loro  comuno.  Et  queste  cose  nobile  facevano,  acciò  che  venisse  vo- 
luntà  al  summo  pontitìce  venire  ad  stare  in  Viterbo;  che  in  fine  a 
quel  tempo  non  vi  n'era  mai  vinuto  nisciuno,  si  non  per  passagio. 

In  quel  tempo  Viterbo  fructava  castelli  e  gabelle,  e  tutta  l'en- 
trata era  del  suo  communo   e  piccolissima  cosa  davano  al  summo 
pontilke,  più  per  nome  de  dono  che  per  sugetione  (i). 
e.  2?  B  Anno  i2)7.  Fu  facta  la  chiesia  della  Ternità  di  Viterbo  e  fu  facto 

el  muro  ad  piede  ad  Faule;  cioè  dalle  mura  delle  ripe  della  porta 
di  Buove,  in  sino  alia  porta  del  castello  guasto,  sotto  ad  Sancto  Chi- 
niento,  e  fu  il  principale  uno  cittadino  chiamato  Ranieri  Cacto  (2). 

Anno  Domini  1258.  Fu  alargata  la  piazza  de  Sancto  Sylvestro 
ove  si  fa  '1  mercato  di  Viterbo,  e  fu  concesso  ad  Viterbo  Valle- 
rano(5)  et  consacrata  Sancta  Maria  in  Grada,  la  qual  chiesia  l'ha- 
veva  facta  fondare  el  dicto  cardinale  Ranieri. 


menti.  Del  palazzo  è  conservato  1'  originario  scheletro  quasi  senza 
mutamento,  ma  l'interno  ha  subito  tali  trasformazioni  o  meglio  de- 
turpazioni da  essere  assolutamente  irriconoscibile.  Da  qualche  anno 
gli  animi  di  coloro  che  sono  preposti  alla  Curia  danno  mostra  di 
volgersi  alla  sua  restaurazione  e  già  il  grande  salone  d'ingresso  è 
tornato  a  ricevere  luce  ed  abbellimento  dalle  sei  grandi  eleganti  bi- 
fore che  si  aprono  nella  parete  settentrionale,  sopra  la  Valle  di  Faul, 
mentre  per  secoli,  chiuse  quelle,  era  stato  sconciato  da  tre  gran  fi- 
nesironi  degni  di  un  granaio.  La  Curia  ha  fatto  studiare  dall'  inge- 
gnere G.  Zampi  un  piano  di  completo  restauro,  e  c'è  da  augurarsi 
che  non  vengano  meno  la  volontà  e  le  forze  perchè  sia  portato  a 
compimento. 

(1)  N.  DELL.\  Tl'CCI.'X,  p.  51,  aggiunge:  «1256,  papa  Urbano 
«donò  a  Viterbo  Colle  Cabale  e  l'isola  Martana  ».  Si  ricordi  che 
Urbano  fu  eletto  solo  nel  1261. 

(2)  luzzo,  p.  5  I  :  «  Ranieri  Gatto,  Ianni  Como  (Coccio?)  e  mol- 
«t'altri  di  condizione  e  da  bene».  Ma  l'iscrizione  ancora  esistente 
sulle  mura  c'insegna  che  sono  errati  data  e  nomi:  «Mille  ducen- 
«  tenls  I  octo  cum  ses  quoque  (qqe)  denis  |  annishos  fieri  natus  |  stirps 
«Clara  Ranerii  |  Gatti  vi  Verbi  capita  neus  ipse  Viterbi  |  fecit  Vi- 
«  sconte  muro  s  cum  divite  fonte  |  turpis  \_ceito  da  correggere  turris]  ab 
«  utraque  par|te  Favulis  aque  ».  Pubblicata  molto  male  dal  Bussi, 
op.  cit.  p.  157;  e  dal  Cristofoki,  Tombe,  p.  313;  assai  meglio  dal 
PiN/.i,  Storia,  II,   ijr. 

(5)  Già  dal  12)4  si  hanno  ricognizioni  di  dominio  per  i  co- 
muni di  Canino,  Castellardo,   Pianzano,   Valentano,  Gallese,  Valle- 


l 


Le  croniche  di  Viterbo  329 


Anno  Domini  1265.  Papa  Chimento  quarto  donò  al  comuno  de 
Viterbo  Cornessa  (i),  e  el  dicto  papa  iace  in  Sancta  Maria  in  Grada 
presso  all'altare  magiure,  ove  li  fu  facta  una  bella  scpultura  de 
marmo  (2). 

Anno  Domini  1272.  Fu  donato  al  comuno  di  Viterbo  Colle  di 
Casale  e  l'isula  di  Marta  da  papa  Urbano  quarto  (5). 

Anno  Domini  1276.  Morì  in  Viterbo  papa  Adriano  quinto  et  è 
sepellico  in  Sancto  Francesco,  e  visse  nel  pontificato  .xxxviiii.  dì  (4) 
e  iacc;  adpresso  l'altare  maggiure  :  era  di  casa  el  Fieschi  de  Genova. 

Anno  Domini  1277.  Fu  facto  in  Viterbo  papa  Giovanni  XXI  e 
visse  nel  pontificato  .vini,  mesi  e  octo  dì,  e  mori  in  Viterbo  et  è 
sepellito  in  Sancto  Lorenzo  (5).  Et  fu  facto  papa  Nicola  III  de 
Ursinis,  e  visse  nel  papato  doi  anni,  octo  mesi  et  .vii.  di. 


rano,  Vignanello,  Carbognano,  Casamala.  Cf.  Savignoni,  L'archivio, 
n.  Lxxi  e  nota;  Pinzi,  Storia  II,  46.  Nel  1259  avvenne  la  dedizione 
di  Canino,  nel  1260  la  presa  di  possesso  di  S.  Giovenale.  Savi- 
GNONi,  ibid.  nn.  Lxxxii,  lxxxiii. 

(ij  N.  D.  Tuccia,  p.  31,  «Cornetow;  luzzo,  «  Cornossa  »  che 
è  la  forma  giusta.  Stava  tra  Marta  e  Montefiascone. 

(2)  Clemente  morì  ai  29  novembre  1269.  Il  suo  sepolcro,  di 
bellissima  opera  musiva,  venne  trasferito  dalla  chiesa  di  S.  Maria 
di  Gradi  a  quella  di  S.  Francesco,  dopoché  era  stato  arbitrariamente 
aperto  e  visitato  da  un  privato  nell'anno  1885.  Anche  nel  medioevo 
quelle  ceneri  non  goderono  pace  e  chi  voglia  può  leggerne  le  vicende 
nel  Cristofori,  Tombe,  p.  26  sgg.  Per  la  descrizione  del  sepolcro 
v.  G.  Rossi,  Ricerche  siili' origine  e  scopo  dell' arcììitellura  archiacuta,  Siena, 
S.  Bernardino,  1889,  p.  45  sgg.  Il  Gregorovius,  Toutbe  dei  papi,  pp.  64 
e  2 1 8,  erra  ponendolo  nella  cattedrale.  In  N.  d.  Tuccia  segue:  «  Nel  1 268 
«  fu  comprato  il  palazzo  dove  stava  prima  il  podestà  da  più  persone  ». 

(3)  Urbano  IV  era  morto  già  dal  1264;  però  nel  ms.  1272  è 
correzione  di  1262.  Colle  di  Casale,  ora  distrutto,  si  trovava  presso 
Bomarzo. 

(4)  Dal  IO  luglio  al  18  agosto.  Il  suo  mausoleo  fu  dal  Grego- 
rovius,  Tombe,  p.  65,  erroneamente  collocato  nella  cattedrale. 

(5)  N.  D.  Tuccia,  aggiunge  «  presso  l'aitar  maggiore  »,  p.  32. 
Anche  il  corpo  di  Giovanni  più  volte  peregrinò:  poiché  da  presso 
l'aitar  maggiore  dove  era,  secondo  il  cronista,  nel  sec.  xv,  passò 
tra  la  porta  principale  e  quella  di  destra,  e  forse  in  quell'occasione 
alla  primitiva  urna  di  porfido  fu  sostituita  quella  che  racchiuse  le 
ceneri  sino  all'anno   1886,  la  quale  certo  non  é  la  originaria,  poiché 


350  y.  E  gì  di 


Anno  Domini  1281.  Fu  facto  in  Viterbo  papa  Martino  quarto, 
e  in  quel  tempo  fumo  morti  in  Cicilia  tutte  le  genti  de  arme  de 
Franciose  (i),  per  conducta  di  Gianni  da  Precida;  e  fu  la  cascione 
per  femine. 

1282.  Fu  la  rotta  di  gintilhoniini  in  Viterbo,  come  farò  mcntione 
in  questo  ad  carte  41  (2). 

Anno  Domini  1520.  Addì  .xxviii.  de  maggio  fu  ci  miraculo  che 
apparve  nella  capella  della  Eternità,  ove  sta  la  figura  de  la  Nostra 
Donna,  la  quale  cappella  haveva  facta  fare  messer  Campana  (3). 


ha  perfino  errata  la  data  di  morte  del  pontefice.  In  quell'anno  poi 
da  questa  seconda  urna  le  ceneri  passarono  in  una  terza,  più  deco- 
rosa, apprestata  per  cura  del  duca  di  Saldanha,  ambasciatore  porto- 
r'hese  presso  la  S.  Sede,  e  dello  stesso  papa  Leone  XIII,  la  quale  fu 
collocata  nell'ultima  cappella  della  navata  destra.  Le  due  urne  si  pos- 
sono vedere  in  Cristofori,  Tombe,  tavole  dopo  la  p.  520. 
(i)  Xel  ms.:  «da  franciose».  Fu  ai  50  marzo  1282. 

(2)  V.  e.  3  j  A.  N.  D.  Tuccia  !a  inserisce  in  questo  luogo  (pp.  32 
e  33  sino  a  r.  15)  con  le  stesse  parole  che  vedremo  più  tardi  usate 
dal  frate. 

(3)  N.  D.  Tuccia  più  diffusamente:  «  Alli  28  di  maggio  fu  il 
«  memorabile  miracolo  della  Madonna  santissima  della  Trinità  che 
«  liberò  Viterbo  dalle  mani  de'  diavoli,  di  cui  l'aria  tutta  era  piena, 
«  e  gridavano  voler  proi'ondare  la  città.  Ma  la  Vergine  miscricordio- 
«  sissima,  che  sta  dipinta  nella  cappella  di  S.  Anna,  apparve  a  molti 
«eremiti  e  incarcerati,  omini  da  bene,  dicendoli  che  andasse  a  quella 
«  cappella  tutto  il  popolo  con  luminarie  e  sariano  liberati.  Correndo 
«  tutti  della  città  con  molta  devozione,  compunzione  e  penitenza 
«  conforme  aveva  comandato  la  Vergine  pietosa,  fumo  visibilmente 
«  veduti  tutti  demoni  buttarsi  con  urli  orrendissimi  nel  bullicame  :  e 
«da  tutto  il  popolo  fu  riconosciuta  la  similitudine  della  santa  figura 
«  con  la  quale  era  apparsa  la  Madonna.  Questa  fu  la  prima  lumi- 
«  naria  istituita  in  Viterbo,  proseguita  sempre  con  solennità  e  imi- 
«  tata  poi  nelle  altre  feste  notabili,  come  appare  nella  Margarilu  del 
«  Commune.  Il  fondatore  di  quella  cappella  fu  messer  Campana 
«castellano  di  Viterbo»,  p.  33.  Ma  il  Pinzi  notò  che  quest'amplia- 
mento non  si  trova  nell'unico  ms.  di  Nicola  che  appartiene  al  sec.  xv 
(Riccardiano  1941},  quindi  fu  interpolato  posteriormente  e  dà  indizio 
di  quella  elaborazione  la  cui  più  completa  espressione  fu  consegnata 
nella  leggenda  trascritta  di. sopra  una  «  tavola  attaccata  alla  cappella 
a  della  Trinità»  da  uno  degli  amanuensi  di  luzzo  (Ciampi,  op.cit.p.  3  8  3), 


Le  croniche  di  Viterbo  331 


Anno  Domini   1525.  El  d'i  penultimo  de  dicembre,  di  sabato,  fu    e  24  a 
pigliato  Montefiascone  da  Viterbesi  e  miserlo    ad    saccomanno   e   li 
Viterbesi  per  derisione  andavano  tutti  per  la  terra  festigiando  ad  ca- 
vallo in  su  l'asini  (i).    lira  in  quel  tempo   Montefiascone  castello    e 
non  città  (2}. 


la  quale  doveva  servire  di  commento  alle  brutte  pitture  commemo- 
rative, di  cui  si  può  vedere  una  anche  più  brutta  riproduzione  nel 
Bussi,  op.  cit.  p.  188.  Il  testo  Riccardiano  è  perfettamente  conforme 
a  quello  del  Nostro,  venendo  così  a  confermare  una  volta  di  più 
quanto  cercammo  dimostrare  altrove.  Come  debba  intendersi  l'av- 
venimento si  veda  in  Pinzi,  Sloria,  II,  122  sgg. :  io  convengo  per 
intero  con  lui,  solo  discordo  nella  data  da  attribuirsi  alla  tempesta 
che  si  scatenò  quel  giorno  sopra  Viterbo.  La  Pasqua  del  1520  non 
fu  il  25  marzo  come  egli  crede,  ma  il  50  (Giry,  op.  cit.  p.  199; 
De  Mas  Latrie,  Trésor  de  clironologie,  p.  322),  quindi  la  Penteco- 
ste cadde  il  18  maggio,  che  concorderebbe  con  la  notizia  conservata 
nella  tavola  suddetta  «  die  lune,  .xviii.  mensis  mali,  in  Pentecoste 
«  circa  medietatem  noctis  que  est  immediate  post  doniinicam  ».  L'er- 
rore costante  dei  cronisti  è  spiegabile,  per  l'unicità  della  fonte  e  la 
facilità  dell'errore  tra  xviii  e  xxviii;  quello  dei  Ricordi  di  casa 
Sacchi,  conservati  in  copia  del  sec.  xvi,  per  l'influenza  dei  cronisti 
stessi.  Fino  al  1870,  più  o  meno  solennemente,  si  continuò  a  cele- 
brare la  processione  commemorativa  del  presente  miracolo. 

(i)  Più  giustamente  N.  d.  Tuccia  narra  quest'avvenimento 
sotto  l'anno  13 15.  Si  tratta  dell'aiuto  portato  ai  29  di  novembre  di 
quest'anno  dai  Viterbesi,  ghibellini,  sotto  il  comando  di  Manfredi 
di  Vico,  a  Bernardo  di  Cucuiaco,  vicario  del  rettore  del  Patrimonio, 
il  quale  perchè  ghibellineggiante  (strano  fatto  per  un  ufficiale  pon- 
tificio) era  stato  assalito  e  ridotto  a  mal  punto  in  Montefiascone  dai 
guelfi  a  capo  dei  quali  erano  gli  Orvietani.  Dopo  la  sconfitta  contro 
i  guelfi  si  istituì  un  processso  terminato  con  la  sentenza  di  condanna 
del  24  dicembre  che  imponeva  forti  taglie  ai  vinti,  mentre  i  vinci- 
tori Viterbesi  venivano  insigniti  del  titolo  di  gonfalonieri  della 
Chiesa  e  resi  padroni  per  dieci  anni  di  Montefiascone.  Pure  la  ribel- 
lione durò  fino  ai  21  giugno  13 17,  finché  Giovanni  XXII  concesse 
perdono  a  tutti  i  signori,  i  castelli,  le  città  ribelli  meno  Montalto, 
Canino,  Toscanella  e  Castro.  Cf.  M.  An'tokelli,  Una  ribdlionc  con- 
tro il  vicario  dei  Patrimonio  Bernardo  di  Coucy  (13  15-13 17)  in  questo 


(2)  Vedi  nota   i   a  p.   532. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV. 


??2  T.  E  nidi 


:>:>- 


Anno  Domini  1^29.  Entrare  in  Viterbo  li  guelfi  con  lo  sforzo 
de  la  Chiesia  per  la  porta  del  piano  di  Scadano  e  gionsero  in  sino 
alla  piazza  del  coniuno.  Poi  uno  cittadino  chiamato  Marciiccio  et 
un  altro  se  chiamava  Silvestro,  si  riferno  e  cacciamo  li  guelfi.  Poi 
fu  grande  battaglia  tra  loro  e  morti  assai  homini  nella  piazza  del 
comuno,  e  stettero  morti  parecchi  di  senza  esser  sepellite;  e  fu  nel 
mese  de  febraro  (2).  Nel  dicto  anno  nel  mese  de  septembre  fu  mortu 
Silvestro  da  Fatiolo  del  Profecto  in  casa  Mactiuccio  della  Viva  nella 
contrada  di  Sancto  Stephano  e  furci  morti  parecchi  cittadini  e  Fa- 
tiolo rimase  signore  (3). 

Anno  Domini  1548.  Fu  in  Viterbo  grande  mortalità. 


yirf/;h'io,  XX,  177-215,  a.  1896.  Il  Pinzi,  5/o;-/a,  III,  84  sgg.,  conviene 
con  l'Antonelli  nel  racconto,  ma  non  nel  fare  di  Coucy  il  vicario. 
La  sentenza  di  condanna  è  pubblicata  per  intero  dall' Antonelli;  ne 
è  dato  il  regesto  dal  Savign'Oni,  L'archivio,  n.  ccLiii:  della  conces- 
sione di  dominio  sopra  Montefiascone  si  veda  il  regesto  del  Savi- 
GN'ONi,  n.  ccLii,  e  quello  più  ampio  del  Pinzi,  p.  95;  della  conces- 
sione del  confalonierato  il  Savignoni,  n.  CCLV,  dà  il  regesto,  il 
Pinzi,  p.  98,  dà  l'intiero  testo. 

fi)  Infatti  nei  su  citati  documenti  è  detto  sempre  «  castrum 
«  Montisflasconis  ». 

(2)  È  un  episodio  della  lotta  tra  guelfi  e  ghibellini,  inacerbita 
per  la  venuta  del  Bavaro,  di  cui  Salvestro  Gatti  (nipote  del  Ranieri 
più  volte  menzionato)  era  vicario  nella  città,  della  quale  già  dar25 
era  padrone.  Partito  l'imperatore,  Salvestro  venne  assalito  dal  rettore 
del  Patrimonio  Giovanni  Cìaetano  Orsini  ai  2  di  febbraio  del  1529. 

(3)  L'uccisione  fu  ai  io  di  settembre.  Calissf.,  /  Prefetti,  p.  66; 
Pinzi,  Storia,  III,  166.  Faziolo  era  bastardo  di  Manfredo  da  Vico, 
prefetto,  e  non  si  resse  contro  le  truppe  guelfe  fino  al  1532,  come 
disse  il  Calisse,  p.  67,  anzi  nel  novembre  1329,  dopo  alcune 
trattative,  ammise  il  legato  pontificio  nella  città.  Cf.  Savignoni, 
L'archivio,  n.  ccLxxxv;  Pinzi,  III,  173.  luzzo  dice  l'uccisione  avve- 
nuta in  casa  «  di  Martinuzzo  della  Viva  »,  p.  33.  N.  d.  Tl'CCIA  fa 
seguire:  «  1338.  Fu  morto  detto  Facciolo  dal  Prefetto,  quale  poi  ri- 
«  mase  signore»,  notizia  che  nel  ms.  Viterbese  è  in  questa  forma: 
«  fu  morto  detto  Faziolo  dal  prefetto  Giovanni  nella  contrada  di 
«  S.  Salvatore,  nella  casa  di  Sciarra  al  lato  di  detta  chiesa,  e  fumo 
«  scarcate  dette  case  del  mese  d'aprile  e  il  Prefetto  rimase  signore  », 
p.  3  j.  Il  ms.  dell'Archivio  di  Stato  di  Roma  ha  una  redazione  per- 
fettamente identica   a   questa    ultima    (p.  9^1,   r.    3),   né  so  come    il 


Le  croniche  di  Viterbo  }^^ 


Anno  Domini  1549-  ^^^  "i  Viterbo  si  gran  tcrranioto,  che  fc' 
cascare  una  torre  clie  stava  contro  ad  Sancto  Stepliano  nelle  case 
de  li  Gacteschi  e  colse  in  su  la  facciata  de  Sancto  Stephano  et  fé' 
cascare  la  loggia  dinanzi  a  dieta  chiesia,  e  la  facciata  dinanti  di 
dicto  Sancto  Stefano,  e  uccise  molta  gente  che  stava  ad  vedere  el 
corpo  de  Christo  la  domennicha  a  mattina:  camponne  Voccapane  (i). 
Un'altra  torre  cascò  nella  contrada  (2)  di  Sancto  Chiricho  [e  fé'  ca- 
scare] (3)  tante  case  clie  poi  ce  fumo  facte  nove  pontiche,  e  uccise 
assai  persone  grande  e  piccoli  (4). 

Anno  Domini  1350.  Fu  l'anno  del  giubileo,  e  rimasero  in  Vi- 
terbo assai  denari  da  quelli  che  andavano  ad  Roma. 

Anno  Domini  1352.  Fu  rocta  la  guerra  tra  papa  Chimento  VI 
et  el  profecto  Ianni  (5). 

Anno  Domini    1355.  Fu  levato  il  remore  in  lo   piano  di  Scar-    e.  24  b 
lano  et  vense  el  Profecto  e  fé'  tagliare  la  testa  a  quattro  chiesastri; 
poi  si  levò  il  romore  in  lo   piano  di  Sancto   Fustino,    pure    per   la 
Chiesia,  e  vense  el  Profecto,  e  fé'  tagliare  la  testa  ad  tre  huomini. 

Anno  Domini  1554.  Nel  mese  de  giugno  morì  papa  Chi- 
mento VI  (6),  e  per  parte  della  corte  che  stava  ad  Advignone,  gionse 
ad  Viterbo  messer  Gilio  cardinale  di  Spagna  (7),  e  acquistò  Viterbo 
per  la  Chiesia,  e  molte  altre  terre.  Et  el  dicto  cardinale  de  Spagna 


Ciampi  vi  leggesse  che  l'uccisione  era  dovuta  a  Mattiuzzo  della  Viva 
(op.  cit.  p.  xxxiv),  notizia  che  da  lui  prese  in  prestito  anche  il  Ca- 
LissE,  op.  cit.  p.  69, 

(i)  N.  D.  Tuccia:  «  Coccapane  che  stette  sotterrato  intra  li 
«  sassi  tre  dì  e  tre  notti,  governato  per  un  poco  di  pertugio  »,  p.  34. 

(2)  Nel  ms.:  917;  ma  non  credo  si  debba  risolvere  in  altro 
modo  che  come  feci. 

(3)  Manca  il  verbo  nel  ms.:  lo  prendo  dal  della  Tuccia.  Que- 
sta torre  era  di  Marcuccio  «domini  Pauli  ».  Pinzi,  III,  263, 

(4)  Fu  ai  9  di  settembre.  Ibidem,  nota  i. 

(5)  N.  D.  Tuccia:  «...e  scurò  il  sole  e  la  luna».  La  guerra 
era  rotta  già  nell'anno  precedente,  però  la  città  fu  assediata  nel  135  2. 

(6)  Clemente  muore  ai  6  dicembre  del   1352. 

(7;  Egidio  d'Albornoz  entrò  in  Viterbo  il  26  luglio.  Su  questo 
periodo  v.  gli  scritti  di  F.  Filippini,  La  riconquista  dello  Sluto  della 
Chiesa  per  opera  di  Egidio  Albornoi  (1353-1357)  e  Documenti  sulla 
prima  legazione  del  cardinale  Alborno:^  in  Italia  negli  Sludii  storici  di 
A.  Crivellucci,  V  e  VI,  a.  1896-97.  Per  Viterbo  il  Pinzi,  Storia, 
III,  284  sgg. 


334  "P-  ^è'-'^^' 


addi  .XXVI.  di  luglio  fé'  principiare  la  roccha  di  Viterbo  e  signolia 
di  sua  nianu  ove  stava  el  palazzo  de  messer  Campana  alla  porta 
de  Sancta  Lucia;  et  el  cardinale  diete  puse  la  prima  pietra. 

Anno  Domini  1555. Fu  facto  in  Avignone  papa  Innoccntio  VI  (i). 

Anno  Domini  1561.  A  di  .xxvi.  de  agosto  si  gettò  fuocho  nella 
chiesia  di  Sancto  Ianni  Laterano  di  Roma  e  arse  molte  reliquie  e 
molte  robbe  e  colonne;  tra  quali  ci  furo  doi  colonni  di  iaspido, 
[che]  stavano  presso  a  l'aitar  maggiure;  e  arse  la  sachristia  (2)  con 
ciò  che  v'era  dentro  (5"). 

Anno  Domini  1562.  Muri  papa  Innoccntio  VI  e  fu  facto  papa 
Urbano  quinto  in  Avignone,  che  era  chiamato  l'abate  de  Marsilia  (4). 

Anno  Domini   1365.  Fu  grande  mortalità  di  gente. 

Anno  Domini  1365.  Fu  arso  el  castello  de  Vico  da  Viterbo  per 
comandamento  di  Giordano  (5)  capitanio  della  Chiesa. 

Anno  Domini  1366.  Fu  facto  cardinale  frate  Marco  da  Viterbo, 
generale  ministro  di  fratri  minori,  con  dui  suoi  compagni,  cioè  el 
vescovo  di  Marsilia  di  fratri  predicatori,  e  il  vescovo  d'Avignone  fra- 
tello del  papa  (6). 

Anno  Domìni  1567.  Papa  Urbano  V  si  parti  da  Vignone  e  venne 
per  mare  con  .xxiiii.  galee  armate,  e  gionse  ad  Corneto  ad  5  di  di 
giugno  (7)  e  con   sette  cardinali:   entrò   in   Viterbo  a  di  .vini,  del 


(i)  Era  stato  già  eletto  ai  18  dicembre  del  1352. 
{7.)  Su  rasura. 

(3)  La  notizia  del  nostro  completa  quella  del  Villani,  Cronica^ 
X,  cap.  69:  «E  ciò  avvenne  del  mese  d'agosto  »  e  corregge  quella 
dell' Infessura,  Diario  della  città  di  Roma,  in  Fonti  per  la  storia  d'I- 
talia pubbl.  daU'Ist.  Stor.  It.,  edizione  curata  da  O.  Tommasin'i,  p.  7: 
«  del  mese  di  agosto  a  di  21  de  giovedi  ».  Infatti  il  21  era  domenica 
e  il  26  giovedi. 

(4)  Innocenzo  muore  ai  12  di  settembre,  e  ai  28  è  eletto  Gu- 
glielmo di  Grimoard  abbate  di  S.  Vittore  di  Marsiglia  che  prende  il 
nome  di  Urbano. 

())  N.  D.  Tuccia  :  «  Nicolao  »  ;  però  rettore  era  Giordano  Orsini. 
La  distruzione  t  per  lo  meno  dubbia.  Cf.  Calisse,  op.  cit.  p.  136; 
Pinzi,  Storia,  III,  326. 

(6)  Fu  ai  18  di  settembre.  Vescovo  di  .Marsiglia  era  Guglielmo  de  la 
Sudrie  che  ebbe  il  titolo  dei  Ss.  Giovanni  e  Paolo;  il  vescovo  d'Avi- 
gnone Angel'co  de  Grimoard  de  Grisac  card,  di  S.  Pietro  in  Vuicoli. 

(7)  La  partenza  da  Avignone  fu  ai  50  aprile,  l'arrivo  a  Corneto 
zi  .\  di  giugno.    Già  ai  20  luglio  1366  Urbano  aveva  dato  ordine  di 


Le  croniche  di  Filerbo  }SS 


dicto  mese  per  la  porta  del  plano  di  Scarlano  e  entrò  nella  roccha 
facta  di  nuovo  in  Viterbo.  ||  A  di  .xxtiii.  de  agosto  mori  in  Viterbo  (i)    e.  29  a 
el  dicto  messer  Gillo,  cardinale  di  Spagna,  e  fu  portato  ad  Sancto  Fran- 
cesco d'Asise. 

A  dì  .V.  de  septembre,  di  domenica,  certi  famcgli  del  manescalco 
del  papa  lavorno  uno  cagnolino  nella  fontana  dil  piano  di  Scarlano; 
per  la  qual  cosa  fu  facta  gran  questione  tra  cortigiani  e  Viterbesi  e 
morirno  assai  tra  l'una  parte  e  l'altra,  e  maxime  dcUi  famegli  del  car- 
dinale di  Carcassona  e  altri  cardinali.  La  domenicha  e  lunedi  se- 
quente  (2)  poi,  e  'I  martedì  vinnero  molte  comunanze  contra  Viterbo 
e  fumo  Todini,  Ortani,  Surianesi,  Montefiasconesi  e  Sutrini.  Allora 
si  mossero  .V^.  (3)  cittadini  Viterbesi  et  colla  correggia  in  canna  an- 
darne al  papa  per  mitigare  l'ira  sua;  et  el  papa  disse  che  voleva 
gastigare  li  malefactori.  Mossersi  li  dicti  cittadini  et  armarsi  e  colla 
gente  del  summo  pontifice  andarno  in  piano  di  Scarlano  contra  li 
malefactori  (4)  e  scarcarno  la  dieta  fontana  da  le  fondamenti  et  ar- 
sero le  case  de  quelli  che  cominciaro  la  questione.  Et  el  mercodì  se- 
quente  entrò  in  Viterbo  (5)  il  cardinale  Marche  et  smontò  nel  palazzo 
di  Sancto  Pietro  dell'Olmo  et  consigliò  alli  Viterbesi  che  tutte  l'armi 
loro  da  offendere  e  da  defendere  portassero  alla  roccha  dove  stava 


preparare  nella  rocca  la  sua  abitazione,  e  ai  20  gennaio  1367  aveva 
ripetuta  la  promessa  di  trattenersi  in  Viterbo;  Theiner,  Cod.  dipi.  II, 
nn.  413  e  427;  Kirsch,  Die  Rùckkehr  der  piipste  Urhan  V  and  Gregor  XI 
voti  Avignon  nacìi  /?o)«,  Paderborn,  iSpcS,  p.  xiii. 

(i)  Nel  palazzo  che  si  chiamava  k  Bonriposto  »  presso  S.  Maria 
del  Paradiso  a  poche  centinaia  di  metri  fuori  le  mura.  Montemarte, 
Cronaca,  edita  dal  Gualterio,  p.  i8q;  Pinzi,  Sloria,  III,  342,  nota  2. 
Per  la  numerazione  delle  carte  di  qui  a  p.  345  v.  a  p.  205. 

(2)  Il  testo  pubblicato  dal  Ciampi,  p.  35,  omette  questo  periodo, 
che  però  si  trova  in  nota,  tolto  dal  cod.  Viterbese,  un  po'  amplifi- 
cato nella  forma.  Lascio  la  interpunzione  del  ms.  la  quale  fa  giun- 
gere le  milizie  del  Patrimonio  i  giorni  12,  13,  i^,  mentre  secondo 
la  dizione  del  Viterbese  sarebbero  giunte  subito  il  martedì  7.  Sono 
spinto  a  ciò  dalla  lettera  di  Francesco  Bruni  segretario  del  papa  ai  Senesi 
che  dice  la  loro  comunità  la  prima  «  in  hac  necessitate  realiter  Sue  sub- 
«  venientem  Sanctitati  ».  Fumi,  Un'ambasciata  dei  Senesi  a  Urbano  V, 
in  questo  Archivio,  IX,  150,  doc.  xii.  Ora  i  Senesi  giunsero  il  14. 

(3)  N.  D.  Tuccia,  cinque.  Lo  segue  il  Pinzi,  III,  348, 

(4)  N,  D.  Tuccia  ha  queste  frasi  solo  nel  ms.  Viterbese,  p.  35. 

(5)  «  entrò  in  Viterbo  »,  del  correttore,  su  rasura. 


33^  T.  Egidi 


el  papa:  et  cusl  fu  facto.  El  giovedì  sequentc  el  papa,  vedendo  tanta 
humihà,  mitigò  parte  de  l'ira  sua  contra  el  dicto  populo  et  comandò 
che  fiisse  formato  el  processo  contro  li  malfactori  del  piano  di  Scar- 
lano  (i),  cioè  ad  tutti  quelli  de  dieta  contrada  et  contra  quelli  della 
contrada  de  Sancto  Sixto  et  contra  quelli  della  contrada  di  SanctoMat- 
theo  dell'Abate,  et  contra  quelli  di  Sancto  lacobo  et  contra  quelli 
di  Sancto  Ioanne  in  Petra,  li  quali  contrade  (2)  erano  stati  più  per- 
sequitatori  di  cortisciani  che  l'altri.  De  li  quali  ne  fumo  scripti 
circa  .vi',  homini  (5),  e  fumo  pigliati  li  homini  e  fumo  impiccati 
sette  (4)  ad  Sancto  S'xto  e  tre  alla  fontana  del  Separi.  Et  poi  il 
papa  decte  per  sententia  che  ogni  torre  fusse  scarcata  fine  alli  tecta,- 
et  voleva  in  tutto  smantellare  et  disolare  Viterbo.  Et  allora  fumo 
un'altra  volta  scarcate  le  mura,  cioè  li  merli  delle  mura,  dil  piano 
e.  29  B  di  Scarlano  (5).  ]  Onde  tre  cardinali  de  la  sua  corte,  vedendo  co- 
minciari  a  scarcare  le  mura  et  vedendo  el  crudele  pianto  delle 
donne  et  di  fantini  et  di  tutto  el  populo,  per  pietà  si  mossero  ad 
domandare  di  gratia  al  papa  che  questo  non  si  facesse;  narrando 
alla  Sua  Santità  che  si  alcuno  haveva  facto  fallo,  non  erano  già 
tutti;  et  dandoli  ad  intendere  come  la  prefata  Sua  Santità  n'aviva 
pochi  di  pari  di  Viterbo,  et  come  per  Viterbo  el  cardinale  de  Spagna 
haviva  acquistato  tutto  il  paese  del  Patrimonio  per  la  Sua  Sanctità, 
et  erano  più  fideli  servitori  che  lui  havesse.  Li  cardinali  fumo  l' in- 
frascripti:  mcsser  Nicola  cardinale  Orsino,  messer  Nicola  cardinale 
de  Napuli,  messer  Francesco    Bruno   primo  secretarlo  del  papa  (6). 


(i)  N.  D.  Tuccia,  nel  testo  del  Ciampi,  va  di  qui  a  «  fumo  pi- 
«  gliati  «  ;  il  ms.  Viterbese  ha  i  nomi  delle  contrade,  ma  S.  Sisto  è 
mutata  in  S.  Stefano. 

(2)  Nel  ms.  :  «  contra  ». 

(3)  N.  D.  Tuccia:  «cinquanta»;  Pinzi,  III,  349:    «sessanta». 

(4)  N.  D.  Tuccia:  «.XVII.»;  lo  segue  il  Pinv.i,  HI,  349.  Mi  pare 
più  probabile  il  numero  dato  dal  nostro,  anche  perchè  più  consono 
alla  testimonianza  del  G.\ROSCo,  che  agli  1 1  di  settembre  dice  im- 
piccati «duo  homines  ante  portam  cardinalis  Vabrensis  »  e  ai  13 
e  quinque  homines  »  avanti  quella  del  card,  di  Carcassona,  la  quale 
era  appunto  presso  S.  Sisto.  lUr   Urlhiiii  V  in  Baluze,  lì,  769. 

(5)  N.  D  Tuccia  aggiunge:  «Li  Viterbesi  stavano  tutti  di  mal 
«  talento  e  del  continuo  si  raccomandavano  al  papa  e  all'altri  prelati 
«  di  sua  corte  ». 

(6)  Omessi  dal  testo  del  Ciampi,  riferiti  dal  ms.  Viterbese.  A 
costoro  si    era  aggiunta   la    Signoria  senese.   Fu.Mi,    Un'  aitibasciutu. 


Le  croniche  di  Viterbo  337 


Per  le  qual  prece  il  papa  rivocò  la  sententia,  et  fé'  tornare  indrieto 
el  dicto  processo.  Et  questo  fu  a  dì  .viii.  del  mese  d'octobre  (i).  Et 
fc'  bandire  che  ogni  fuglto  tornasse  ad  Viterbo  et  fé'  lassare  tutti 
quelli  ch'erano  prescioni.  Poi  a  dì  .xiii.  del  dicto  mese  el  papa  si 
parti  da  Viterbo  et  andò  ad  Roma  (2).  Poi  nel  mese  de  dicembre  el 
dicto  papa  mandò  uno  comandamento  che  tutte  l'arme  fussero  ren- 
dute  ad  Viterbesi,  et  cusi  fu  facto  (3). 

Anno  Domini  1368.  El  dicto  papa  Urbano  V  se  parti  de  Roma 
et  andò  ad  Montefiascone,  el  quale  non  era  ancora  facta  città  et 
fella  città  a  dì  .v.  del  mese  de  luglio.  Et  tolse  al  vescovato  de  Or- 
vieto Bulseno  (4),  al  vescovato  di  Viterbo  tolse  Marta  et  l'isola,  al 
vescovato  de  Bagnoreia  tolse  Celleno,  et  al  vescovato  de  Castro  tolse 
Valentano  et  dettegli  al  vescovato  de  Montefiascone,  nova  città  facta. 
A  dì  dui  de  agosto  nel  dicto  anno  passò  per  Viterbo  el  corpo  de 
sancto  Tomasso  d'Aquino,  et  venne  da  Puglia  et  fu  portato  ad  To- 
losa de  Francia. 

Anno  Domini  1569.  A  dì  3  de  septembre  morì  il  cardinale  e.  30  a 
Marco  di  Viterbo  et  fu  sepellito  in  Sancto  Francesco  di  Viterbo,  ove 
li  fu  facta  una  nobile  sepultura  di  marmo  presso  l'aitar  grande  della 
dieta  chiesia(5).  A  di  28  del  dicto  mese  morì  in  Viterbo  el  cardinale 
Carcassona  et  fu  sepellito  in  Sancto  Lorenzo.  A  dì  4  de  ottobre  mori 
in  Viterbo  el  cardinale  Cesareaugusto  et  fu  sepellito  nella  chiesia 
della  Eternità  nella  cappella  della  Madonna.  A  dì  6  del  dicto  mese 
mori  el  cardinale  de  xMontemaggiore  et  fu  sepellito  in  Sancto  Fran- 

doc.  XIII  ;  Pinzi,  III,  351.  Però  di  Orsini  in  questi  anni  era  cardi- 
nale solo  Rinaldo,  per  quel  che  io  sappia,  eletto  nel  1350.  Che  sìa 
Nicola  Capocci  detto  card.  «Urgellensi  »  perchè  vescovo  d'  Urgel?  Di 
Nicola  di  Napoli  e  di  Frane.  Bruno  come  cardinali  non  ho  notizia, 
(i)  Omessa  dal  Ciampi,  riferita  dal  ms.  Viterbese. 

(2)  N.  D.  Tuccia:  «andò  a  Roma,  e  poi  fece  rendere ...»,  p.  35. 
A  Roma  entrò  il  16.  Cf.  Kirsch,  op.  cit.  pp.  xvi,  65. 

(3)  i"  dicembre  1367.  Bussi,  op.  cit.  p.  425  ;  Theiner,  II,  n.  454; 
S.wiGXOxi,  Uarcìiivio,  n.  cccxlix.  Cf.  per  questa  ribellione  il  buon 
racconto  del  Pinzi,  op.  e  Ice.  cit.  Il  Gregorovius,  Storia,  VI,  498, 
nel  racconto  della  rivolta  trascura  il  nostro   cronista. 

(4)  N.  D.  Tuccia  nel  testo  del  Ciampi:  «li  donò  Marta  e  l'i- 
«  sola  Mattana  che  tolse  al  vesc.  di  Viterbo  e  li  donò  molti  altri 
«lochi».  La  bolla  di  erezione  è  del  30  agosto  1569;  Urbano  era 
a  Montefiascone  il  30  maggio.  Rainaldi,  AiuiaUs,  ad  a.  n.  3. 

(5)  Il  sepolcro  esiste  ancora,  ma  appare  costruito  solo  in  pieno 
rinascimento. 


338  T.  Egìdi 


Cesco.  A  d'i  28  del  dicto  mese  morì  el  cardinale  Cruniacensis  (i)  et 
fu  sepellito  in  Sancta  Maria  della  Verità.  A  di  2  de  novembre  mori 
in  Roma  el  cardinale  Lemovicensis  (2).  Et  in  quel  tempo  fu  gran- 
dissima mortalità  per  tutto  il  paese.  Nel  dicto  anno  fu  incoronato 
in  Roma  dal  dicto  papa  et  confermato  Alexandro  imperatore  di  Co- 
stantinopoli (5). 

Anno  Domini  1570.  Nel  feste  (4)  dì  di  sancto  Pietro  e  di  san- 
cto  Favolo  el  diete  papa  palesò  in  Roma  le  teste  di  sancto  Pietre  et 
di  sancto  Pavolo,  el  quale  el  fé'  ornare  d'argento,  ove  mise  tanto 
argento  che  pesò  m-lii  ducente  marchi,  et  felle  ornare  de  molte 
pietre  preciosc  et  molti  re  de  christiani  li  ferne  magni  doni;  et  ci 
diete  papa  li  fé'  collocare  sopra  l'altare  maggiure  di  Sancto  Ioanne 
Laierano  (5),  el  quale  altare  haviva  facto  edificare  lui  (6).  A  di  .xxvi. 
de  agosto  si  partì  el  dicto  papa  di  Roma  per  andarsine  in  Avignone 
et  la  contessa  Brigida  di  Svesia  li  scrissi  questa  lettera  cioè:  «Te 
«tedet  vivere;  quo  vadis  (7")  ignoras.  Festinas  ad  mertem  ».  Et  en- 
trò el  dicto  papa  nel  porte  di  Cernete  a  di  .v.  di  septembre  (8)  ;  per 
la  qual  partita  tutte  le  terre  de  la  Chiesia  fumo  messe  in  guerra 
30  11  dalli  tiranni  et  tirannozzi  d'intorno.  \\  Adì  19  de  dicembre  nei  dicto  anno 
morì  in  Avignone  el  dicto  papa  Urbane  quinto.  Era  visse  nel  papato 
.vjiii.  anni  et  uno  mese;  fu  poi  facto  papa  Gregorio  undecime  (9). 

(i)  Di  mano  del  correttore. 

(2)  Cardinale  di  Carcassona  era  Stefano  Albert  eletto  da  Inno- 
cenze VI  nel  1561;  card.  Cesareaugustano  Guglielmo  d'Aigrefeuille 
eletto  da  Clemente  VI  nel  1550;  quello  di  Mentemaggiere  Pietre  di 
Banaco  eletto  ai  22  settembre  1368;  il  Cluniacense;  Androyno  de 
Rocha  elette  ai  17  settembre  1361;  il  Lemevicense  Nicola  de  Besse 
eletto  ai  27  febbraio   1544. 

(5)  È  Giovanni  Paleologo,  che  non  fu  da  Urbane  coronato,  ma 
accolte  nel  grembo  della  Chiesa,  previa  sua  abiura  pubblicamente 
fatta  ai  18  di  ottobre  1369;  Rainai.di,  AnnaUs,  ad.  a.  n.  i   sgg. 

(4)  Nel  ms.:  «  sesto»  che  crede  errore  di  trascrizione. 

(5)  Ms.  «  Laterarene  ». 

(6)  In  realtà  la  cerimonia  fu  ai  15  di  aprile  e  la  partenza  del 
papa  ai  17:  ai  26  di  agosto  egli  parti  da  Montefiascene  dove  s'era 
trattenute  nel  frattempo.  Cf.  Gregorovius,  VI,  512. 

(7)  Nel  ms  :  «  vidis  ».  Brigida  non  scrisse,  ma  a  voce  in  Mon- 
tefiascene parlò  ad  Urbano.  Gregorovius,  VI,  516. 

(8)  Così  anche  il  ms.  Viterbese:  quelle  del  Ciampi:  «  Il  papa 
«s'imbarcò  per  Avignone  ». 

(9)  Ai  30  di  dicembre. 


Le  croniclie  di  V'ilcrbo  339 


Anno  Domini  1371.  Fu  facto  l'ospidale  di  Sancto  Spirito  in 
Sasso  di  Roma.  E  nel  dicto  anno  fu  fornita  la  cliiesia  de  Sancta 
Croce  di  Viterbo  per  messer  Angelo  Tavernieri,  tesauriere  del  Patri- 
monio (i). 

Anno  Domini  1372.  Fumo  notificati  molti  miraculi  facti  per  lo 
beato  corpo  di  papa  Urbano  quinto;  et  nel  mese  de  giugno  fu  el  suo 
corpo  cavato  da  Vignone  et  portato  in  Marsilia  et  sepellito  nel  mo- 
nistero  ove  era  stato  abate  prima  che  fuse  facto  papa.  Nel  dicto 
anno  1372(2)  fu  comenzato  el  muro  nuovo  di  Sancto  Francesco  di 
Viterbo  con  uno  bello  usciale. 

Anno  Domini  1574.  Fu  grande  mortalità  per  tutto  el  paese. 

Anno  Domini  1375.  Entrò  in  Viterbo  el  profecto  Francesco  di 
domenica  lo  di  della  consegratione  di  Sancto  Pietro  et  Sancto 
Paulo  (3):  entrò  per  la  porta  onde  entra  l'acqua  di  Sancto  Matteo 
di  Sonsa  et  stette  nascoso.  Et  Batiste  suo  fratello  entrò  per  la  porta 
de  Sancto  Sixto,  ad  modo  d'uno  bifolco,  colle  some  delle  legna; 
poi  s'armoro  con  forse  .l.  persone  loro  sequaci  et  andorno  nella 
piazza  del  comuno;  gridarne  :  «  Viva  el  populo  »  ;  et  con  questo  nome 
optinnero  vittoria,  et  non  ce  fu  maculata  persona  ne  robba,  salvo  che 


(i)  N.  D.  Tuccia:  «  Tavernini».  Era  tesoriere  già  dal  20  mag- 
gio 1549.  Delle  sue  angherie  v.  Pinzi,  Storia,  III,  572  sgg. 

(2)  N.  D,  Tuccia:  «  1373  »,  p.  36. 

(3)  La  consecrazione  o  meglio  dedicazione  della  basilica  Vati- 
cana è  ai  20  di  novembre,  però  è  errata  la  indicazione  del  cronista, 
essendo  caduta  questa  domenica  ai  18,  come  dice  egli  stesso  e  come  si 
può  accertare  col  calcolo.  N.  d.  Tuccia  erroneamente  attribuisce  il 
fatto  all'anno  precedente  e  ne  comincia  la  narrazione  con  altre  pa- 
role :  «  Mess.  Angelo  Tavernieri  di  Viterbo  tesoriere  del  Patrimonio 
«  prestava  assai  denari  e  altre  robe  ad  osura  e  chi  non  pagava  a 
«  tempo  li  scopriva  le  case  e  faceva  de  mali  portamenti.  Così  li  Vi- 
«  terbesi  non  potendo  soffrire  si  dettero  al  prefetto  F.  di  Vico  che 
«  entrò  in  Viterbo  nascostamente  con  suo  fratello  con  some  di  legna 
«a  modo  di  villano  legnaiuolo;  stette  due  giorni  nascoso:  poi  s'ar- 
«  morno,..  ».  Il  ms.  Viterbese  dopo  «  portamenti  »  aggiunge:  «  per  la 
«  qual  cosa  il  popolo  di  Viterbo  era  assai  malcontento  e  a  queste 
«  soperchianze  teneva  mano  l'abbate  di  Monte  Maggiore  ch'era  go- 
te vernatore  di  Perugia,  e  non  possendo  li  cittadini  più  sofferire,  trat- 
«  torno  darsi  nelle  mani  del  Prefetto,  e  fumo  cinque  principali  cioè 
«  Pandolfaccio  Falsatacela,  B.  G.  e  Gianni  di  F.  e  ser  Farolfo,  e 
«  così  detto  Prefetto  entrò...  »,  p.  36  sg. 


540  T.  Eiiidi 


11  Maleficii  del  comuno  e  lo  Statuto  clic  fumo  arsi  in  piazza.  Poi 
lunedi  ad  di  .xviiii.  fu  combattuta  la  roccha  de  Viterbo  et  fatteli  dui 
cave.  A  di  .xxiiii.  del  dicto  mese(i)  venne  el  campo  de  la  Chiesia 
ad  Viterbo  sotto  condutta  di  messer  Giovanni  (2)  venuto  con  tre 
milia  cavalli,  et  era  inghilesc  (5);  et  entrorno  per  la  porta  de  San- 
cta  Lucia  che  era  stata  abrusciata  et  trovarne  tutta  la  piazza  delia 
Roccha  piena  de  triboli  et  bombarde  carche,  et  fero  gran  battaglia,  et 
grande  parte  della  gente  del  dicto  messer  Giovanni  fumo  ferite  et 
moltissime  morte.  j|  Per  la  qual  cosa  le  gente  del  dicto  messere 
uscirne  de  Viterbo  et  tirarsi  indricto,  et  el  dicto  di  el  Profecto  andò 
ad  habitare  nella  casa  del  thesorieri  a  canto  ad  Sancta  Croce  (4'),  et 
Batiste  suo  fratello  nel  palazzo  della  fontana  del  Separi,  et  Ianni 
Sciarra  nel  palazzo  di  Sancto  Pietro  dell'Olmo,  et  messer  Ludovico 
nella  casa  di  ser  Giovanni  ad  Sancto  Simone.  A  di  29  de  novem- 
bre (5)  si  parti  el  campo  della  Chiesia  nel  lenimento  de  Viterbo  et 
lassarne  molta  robba  et  andarne  ad  Perugia  allo  abbate  de  Monte- 
maggiure  (6).  El  sequente  dì  fu  scarcato  el  casale  del  thesorieri, 
presso  ad  Sancta  Maria  del  Paradiso,  el  dì  de  sancto  Andreia.  Et 
in  quel  tempo  molte  terre  se  ribellare  alla  Chiesa,  et  dettorsi  a!  dicto 
Profecto  (7). 


(i)  N.  D.  Tuccia:  «  a  dì  venti  ».  Ms.  Viterbese:  «  a  di  2S  »,  p.  57. 
Ms.  Riccardiano  «a  di  .xxv.  ». 

(2)  N.  D.  Tuccia:  «  Aguto  ». 

(3)  La  prima  mano  aveva  scritto  «  ingilese  »;  la  seconda  in  mar- 
gine corresse  «  inghilese  ». 

(4)  Di  qui  alla  fine  del  periodo  manca  nel  ms.  edite  dal  Ciampi, 
ma  è  dato  da  quello  Viterbese. 

(5)  Il  ms.  del  frate  dice  24:  he  corretto  29,  in  relazione  alle 
parole  seguenti.  Cf.  anche  N.  D.  Tuccia,  p.  37. 

(6)  Gerardo  du  Puy  abate  de  Marmoutiers,  legate  pontificio, 
sulla  cui  cattiva  amministrazione  v.  Mirot,  La  politique  ponlificaU  el 
le  rdouv  du  Saiiil-Su^e  eit  ijyó,  Paris,  Bouillon,   1899,  p.  45  sgg. 

(7)  Questo  periodo  è  in  glossa  marginale  di  mano  del  cor- 
rettore. La  prima  a  ribellarsi  fu  Montefiascone;  Cronachella  d'iiiceilo 
in  Raccolta  di  cronachetle  antiche,  Firenze,  1753,  p.  204.  Continua- 
mente i  Fiorentini  sollecitavano  «  che  non  dubitassero  a  ribellarsi, 
«  però  che  loro  erano  presti  a  difenderli.  Per  le  quali  proferte  molti 
«  acconsentirono  a  ribellarsi  e  la  prima  terra  che  si  ribellasse  da 
«  S.  Chiesa  si  fu  Montefiascone,  poi  seguio  Orti,  apresso  Viterbo, 
ola  Ciptà  di  Castello...  e  di  ciascluma  terra  ribellata  si  mandava  a 


Le  croniche  di  Viterbo  541 


Nel  dicto  anno  a  dì  primo  de  dicembre  li  priori  del  populo  de 
Viterbo  adpianarno  in  palazzo  con  gran  triumfo,  col  contaione  del 
populo,  et  cosi  di  tutto  pigliamo  la  signoria.  A  di  7  del  dicto  mese 
Perugia  levò  el  romore  et  ribellarsi  alla  Chiesia  contra  1'  abate  de 
Montemaggiure,  et  assediato  la  cittadella,  ove  stava  el  dicto  abate 
et  continuo  li  facevano  guerra.  A  di  14  del  dicto  mese  fu  pigliata 
la  roccha  de  Viterbo  per  forza  et  fu  scarcata  da  Viterbesi  (i). 

Anno  Domini  1376.  A  di  primo  de  genaro  1'  abate  di  Monte- 
maggiure s'  accordò  con  Perusini  et  lassolli  la  cittadella  nelle  mani; 
per  la  quale  cosa  li  Perusini  la  scarcorno,  et  el  dicto  abate  si  n'andò 
via  con  messer  Giovanni  Aguto.  A  di  22  del  mese  de  giugno  venne 
el  conte  de  Alta  Villa,  mandato  dalla  regina  Giovanna  di  Napoli  in 
favore  delle  gente  de  la  Chiesia  et  giungendo  una  sera  ad  Crapal'ca 
fu  rocto  li  presso  alla  terra  dalle  genti  dell'  oste  del  Profecto  et  pi- 
gliati 1)0  persone  et  cavalli  assai,  et  moltissima  robba  di  quel  conte 
fu  guadagnata. 

A  di  .XVII.  de  septembre  (2)  si  parti  da  Vignone  papa  Gregorio  XI.    e.  51  b 
A  di  .XVII.  del  dicto  mese  el  Profecto  fé'  1'  oste  ad  Montefiasconc  et 
guastò  li  molina  et  vigne  in  valle  Parlata  et  felli  gran  danno.  A  di 
.VI.  de  novembre  nel  dicto  anno  gionse  a  Llicina  (3)  el  dicto  papa 


«  Firenze  l'ulivo  in  forma  d'allegrezza,  prendendone  piacere  e  festa 
«  i  Fiorentini,  parendo  loro  aver  facto  grande  aquisto  ».  Sercambi, 
Croniche,  I,  215. 

(i)  Per  questa  ribellione  che  condusse  Viterbo  alla  lega  con 
Firenze  e  con  Bernabò  Visconti  contro  Gregorio  XI,  cf.  A.  Ghe- 
RARDi,  La  guerra  dei  Fiorentini  con  papa  Gregorio  XI,  in  Arch.  slor. 
Hai.  serie  in,  v,  vi,  vii,  viii;  Calisse,  op.  cit.  p.  144  sgg.;  Mirot, 
op.  cit.  p.  83   sgg.  ;  PiNzr,  Storia,  III,  376  sgg. 

(2)  N.  D.  Tuccia  qui  e  nell'inciso  seguente:  «a  27  detto»,  il 
ms.  Viterbese  «  diciassette  ».  Errano  tutti,  poiché  la  partenza,  fissata 
prima  per  1' 8  settembre,  ebbe  luogo  a  di  13,  come  ci  dice  il  cap- 
pellano del  papa  Pietro  Ameilhe  nella  relazione  versificata  del  viaggio. 
Muratori,  Rer.  It.  Script.  III,  11,  690.  Cf.  Mirot,  op  cit.  pp.  102  6156. 
Nel  ms.  a  questa  notizia  precedono  due  linee  cancellate  dove  l'ama- 
nuense per  errore  aveva  scritto:  «  A  di  .xvii.  de  septembre  nel  dicto 
«  anno  gionse  a  Llicina  el  dicto  papa  Gregorio,  poi  gionse  ad  Or- 
«  betello  ». 

(3)  Cosi  il  ms.  N.  D.  Tuccia  corregge  a  sproposito  «  a  Lione» 
facendo  fare  a  Gregorio  un  viaggio  ben  strano.  Non  saprei  come  re- 
stituire il  testo,  seppure  non  si  voglia  pensare  ad  un  «  Liorna  »  stor- 


342  T.  Egìdi 


Gregorio,  poi  gionse  ad  Orbetello.  A  di  5  de  dicembre  gionse  ad 
Corneto  (i),  cioè  al  porto  per  mare;  e  messer  Angelo  Tabernini 
da  Viterbo,  tesorieri  del  Patrimonio,  andò  ad  Orbetello  per  parlare 
al  papa.  Et  el  dìcto  papa  haviva  sentito  come  per  sua  cagione  et  dello 
abbate  de  Montcmaggiure  s'  erano  ribellate  tutte  le  terre  della  Chicsia, 
per  li  gattivi  portamenti  che  loro  liavivano  facti  et  per  le  gran  colte 
de  denari  che  havevano  posti  ;  per  la  dieta  cagione  el  papa  non  lo 
volse  udire  né  vedere  (2).  Onde  che  el  dicto  messer  Angelo  mori  di 
dolore  quattro  miglia  da  longe  da  Montalto.  Et  era  fugito  da  Viterbo 
per  paura  del  Profecto,  et  portò  seco  circa  vinte  milia  fiorini  et  molte 
gioie;  che  era  stato  tesorieri  .xxv.  anni;  et  haviva  facto  podere  in 
Viterbo  per  .xv.  milia  fiorini  di  stabile  con  un  uno  bel  casale  presso 
Sancta  Maria  del  Paradiso  (5).  Et  el  dicto  papa  fé'  cardinale  l'abate 
de  Montemaggiure  (4). 

Anno  Domini  1377.  El  dicto  papa  entrò  in  Roma  a  di  17  de 
gennaio  (5);  andò  per  mare  fino  ad  Ostia;  per  la  quale  andata  molte 
terre  del  paese  li  mandarno  ambasciatori.  Ad  ultimo  dì  de  maggio 


piato  dall'  amanuense,  proveniente  da  «  Liorna  »  -  Livorno.  Ai  sei 
novembre  il  papa  era  a  Portovenere.  «  Die  Veneris,  que  fuit  dies  .vii. 
«  mensis  novembris,  intravit  Liornam,  Pisane  diocesis».  Intioitus  et 
cxitus,  n.  545,  e.  66,  in  Mirot,  op.  cit.  p.  163,  nota  5. 

(i)  Il  Mirot,  p.   167,  lo  crede  arrivato  il  giorno  seguente. 

(2)  Le  frasi  «  denari  che  havevano  posti  »,  «  non  lo  volse  udire 
«  né  vedere  »  sono  ricalcate  dalla  seconda  mano  sulla  vecchia  scrittura. 

(3)  N.  D.  Tuccia,  p.  37:"  18  mila  scudi  d'oro»,  omette  la 
ubicazione. 

(4)  N.  D.  Tucci.x,  p.  37:  «  li  5  di  dicembre»,  ma  molto  facil- 
mente non  è  che  la  data  dell'  arrivo  a  Corneto,  omessa  a  suo  luogo. 

())  Erano  stati  fatti  grandi  lavori  di  restauro  e  ad  Ostia  e  in 
Roma  stessa:  nel  giorno  dell'ingresso  «  senator,  bannarenses,  con- 
«servatores,  romani  principes  ac  nobiles  ad  pedes  pape  fuerunt,  adex- 
«' trantes  incessim  eundem  cum  suis  banneriis  ac  vexillis;  clerus 
«  totus  romanus  cum  suo  apparatu  eciam  fuit  et  eum  per  Urbem 
«  equitavit  de  Sancto  Paulo  usque  ad  Sanctum  Petrum,  tota  via,  ab 
«  utroque  latere,  hominibus,  feminibus  (sic)  parvis  et  magnis  piena 
<' erat,  unanimi  voce  dicentibus:  vivat  dominus  noster  papa;  qui 
e  omnibus  leto  vulto  dabat  benedictionem  suam  «;  Archivio  di  Stato 
Senese,  lettere  del  Concistorio,  XVI,  n,  30,  26  genn.  1277,  da  Mirot, 
op.  cit,  p.  177,  nota  i;  cf.  in  Kirsch,  op.  cit.  pp.  169-273,  i  docu- 
menti relativi  al  ritorno  di  Gregorio. 


Le  croniche  di  Viterbo  343 


el  dicto  papa  andò  ad  Nargnc,  et  l'i  stette  tutta  la  state.  Poi  tornò 
ad  Roma  a  di  .vii.  de  novembre. 

A  di  .VII.  del  dicto  maggio  el  Profecto  di  nuovo  fé'  I'  oste  ad 
Montefiascone  et  guastolli  assai  vigne  et  oliveti  et  li  stettero  la 
notte  (i).  Ij  A  di  .XXI.  de  giugno  el  Profecto  andò  ad  oste  ad  Vi-  e.  52  a 
turchiano  et  felli  el  guasto  grande  et  recamo  ad  Viterbo  più  di 
.vi'^.  some  de  grano  e  d'altre  robbe  assai,  cioè  orzo,  lino,  legumi  et  altre 
cose;  el  quale  lino  lo  cavorno  del  fossato  de  Viturchiano.  A  di  24 
del  dicto  mese  tornò  l'oste  ad  Vitorchiano  con  le  bombarde  et  felli 
gran  danno.  El  bombardieri  era  uno  chiamato  Petrucciodi  mastro  Gianni 
spetiale  de  Viterbo,  l'altro  chiamato  Spirito  d'Andereuzo  del  Boscio. 

A  di  5  de  novembre  agonfiò  l'acqua  sopra  a  le  mura  del  quattro  (2) 
da  Sancto  Marco,  et  allacò  molte  possessione,  et  ruppe  el  molino 
di  San  Gillo,  et  sorrenò  el  molino  ad  Sancta  M.  Madalena,  et  sor- 
retto Torta,  et  sollevò  le  botte  del  cellaro  di  Sancto  Spirito,  et  roppe 
sotto  le  mura  a  pici  ad  Faule,  et  roppe  li  sportelli  della  porta  de  Valle, 
et  empi  Sancta  Marya  in  Palomba  (3). 

Anno  Domini  1378.  Venne  in  Viterbo  messer  Nicola  vescovo  de 
Viterbo  nel  mese  de  gennaro  et  recò  novelle  che  si  potessiro  dire 
messe  et  altri  ofiìcii,  che  poco  nanzl  erano  state  velate  dal  papa  ('4). 
Nel  dicto  anno  venne  in  Viterbo  uno  cardinale  romano  (5)  man- 
dato dal  papa;  poi  andò  ad  Serazana  ad  metter  pace  con  la  lega 
toscana  che  era  centra  el  papa.  A  di  .x.xvi.  (6)  de  marzo  mori  el 
dicto  papa    Gregorio  XI  di   scoriatione    d' orina,    et   fu    sepellito   in 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  38,  omette  questa  notizia. 

(2)  Cosi  il  ms.  Del  quarto?  quartiere?  Il  cod.  Viterbese  del 
della  Tuccia  «  da  quel  lato  ov'  entra  l'acqua». 

(3)  L'ultima  frase  è  su  rasura,  in  cui  leggesi  ancora  «et  sca 
«  m  1  paloba  ».  La  correzione  è  della  prima  mano. 

(4)  La  bolla  di  remissione  è  datata  «.vi.  l<al.  ianuarii  ».  Edita 
dal  Pinzi,  III,  392  nota;  dai  Cristofori,  Tombe,  p.  401  ;  indicata  dal 
Calisse,  /  Prefetti,  doc.  CLXXXii.  Questo  Nicola  è  il  secondo  vescovo 
viterbese  di  tal  nome,  che  sedette  dal  13 50- 1385,  come  può  vedersi 
nel  Catalogus  episcoporum  oininuui  Vilerhii  de  quibus  notitiam  haberi  po- 
tuit  ex  variis  pnbìicis  scripluris  et  diploinatibus  ;  ms.  nella  biblioteca 
della  cattedrale  di  Viterbo,  pp.  93-95. 

(5)  Non  romano,  ma  francese:  Giovanni  Lagrange  card,  di 
Amiens,  che  ebbe  tanta  parte  nelT  inizio  dello  scisma  d'  Occidente. 

(6)  Si  legga  27.  Cf.  Eubel,  Das  Itinerar  der  Piipste  inr  Z:it  des 
grossen  Schhmas,  in  Hislor.  Jahrh.  XVI,  545. 


344  "P-  Egidi 


Sancta  Maria  Nova  di  Roma,  et  funne  facto  Tassequio  in  Sancto  Lo- 
renzo in  Viterbo  a  d'i  .v.  d'aprile. 

A  dì  .villi,  de  dicto  aprile  fu  facto  papa  Urbano  sexto,  chiamato 
prima  messer  Bartliolomco  Lotticus  (i)  di  Napuli,  arcivescovo  di  Bari, 
et  fu  incoronalo  a  dì  xi.  (2)  del  dicto  mese,  contra  voluntà  de  tutti 
li  cardinali  e  a  voluntà  de  Romani,  che  dissero:  «  Romano  lo  volemo 
e.  ì2  n  «  o  almeno  italiano  »  (3).  \  El  dicto  papa  non  volse  li  pacti  che  haveva 
facti  papa  Gregorio  col  Profecto  ;  per  la  qua!  cosa  ne  uscirò  molti 
mali.  Et  el  dicto  papa  (4)  se  ne  andò  ad  Tivoli,  senza  cardinali,  a 
dì  .XXVI.  (5)  de  giugno,  et  ribellorsi  el  Castello  de  Sancto  Angelo 
et  fu  gran  discordia  tra  cardinali.  Tornò  el  dicto  papa  ad  Roma  a 
dì  .xviiii.  (6)  de  agosto  et  passò  per  Tristevere  et  venne  ad  San- 
cto Pietro.  Li  cardinali  se  ne  andaro  ad  Fondi  et  ferno  un  altro 
papa  chiam.ito  Chimento  VII  et  fu  incoronato  a  dì  ultimo  de  octobre 
da  cardinali  tramontani  et  italiani,  inimici  de  papa  Urbano  VI  et  fu 
lo  scisma;  e  '1  dicto  papa  Chimento  s'intendeva  col  Profecto,  che 
stava  in  Viterbo,  con  la  regina  Giovanna  di  Napuli,  et  fu  gran  guerra 
tra  uno  papa  et  1'  altro. 

A  di  ultimo  di  novembre  mon  in  Plaga  Carolo  imperatore  che 
haviva  governato  l' imperio  .xxiii.  (7)  anni.  Nel  dicto  anno  fu  levato 
el  romore  in  Viterbo  contra  el  Profecto,  et  octenne  Victoria  el  Pro- 
fecto et  pigliò  molti  Viterbesi  et  molti  ne  fugirno.  Ancho  nel  dicto 
anno  fumo  mandati  al  papa  Urbano  certi  ambasciatori  ad  Roma 
per  parte  del  Profecto,  et  fumo  questi  cioè  Giovanni  di  messer  Ni- 

(i)  Bartolomeo  Prignano,  arcivescovo  di  Bari,  non  so  se  mai 
ebbe  anche  questo  cognome  (nel  ms.  «  Lottic''  »)  o  quello  di  Lotti 
datopli  dal  d.  Tuccia,  p.  58. 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.  58:  «  Ai  .xii.  di  detto  mese  ».  In  realtà  fu  il  :8. 

(5)  «Romano  Io  volemo  o  almanco  italiano;  o  per  la  clavel- 
«  lata  di  Dio  saranno  tutti  quanti  franch'gene  ed  ultramontani  uccisi 
«e  tagliati  per  pezzi  e  li  cardinali  li  primi».  Deposizione  di  Gille 
Btllemère  in  XoiiL  Valois,  La  France  el  le  i;ra)id  schisuie  J'Ociidciit, 
Paris,  Alphonse  Picard,  1896,  I,  12.  V.  intorno  all'elezione  tutto  il 
bellissimo  primo  capitolo. 

(4)  N.  D.  Tucci.\,  p.  58:  «  Il  papa  fece  buttare  in  Tevere  un- 
«dici  cardinali  e  se  n'  andò  a  Tivoli  senza  cardinali  ».  Notizia  falsa. 

(5)  N.  D.  Tuccia,  ibidem  :  «  A'  27  di  giugno  ».  «  lulio  ineunte  », 

EfliEL,  Op.   cit,    p.    555. 

(6)  N.  D.  Tuccia,  p  38:  «A'  29  d'agosto».  Il  giorno  manca  al- 
l' EuiiEL,  Ice.  cit. 

(7)  N.  u.  Tuccia,  p.  38:  «  22  anni  ». 


Le  croniche  di   Vilerho  345 


cola,  Manfreo,  Girolimo  e  lacobo  Ji  Minelli  et  Patio  di  Tanio;  et 
el  dicto  papa  li  fé'  pigliar!  et  tenneli  in  pregione  .v.  mesi,  poi  li 
lassò.  Poi  il  papa  mandò  uno  cittadino  di  Viterbo,  chiamato  el 
Maestro,  per  ambasciatori  al  Profecto,  per  la  qual  venuta  el  dicto 
Mastro  ne  fu  disfiicto  con  molti  cittadini  (i).  Nel  dicto  anno  una 
compagnia  di  Brettoni  passarno  per  Ferenti  et  andarno  verso  Roma; 
et  giongendo  ad  ponte  Salaro  combatterò  con  Romani  et  rop- 
perli  et  uccisene  più  de  dui  ccntonara,  poi  andarno  ad  Anagni  (2). 
Nel  dicto  tempo  venne  una  compagnia  de  gente  d'  arme  ad  Vi- 
terbo, sotto  condutta  de  mcsscr  Adolfo  da  Camerino  et  messer  Sal- 
vestro,  et  stectero  in  Viterbo  tre  di  (5).  |]  Anche  nel  dicto  anno  ven- 
nero li  Brettoni  ad  Montefiascone  et  stettero  più  di  ad  campo,  et 
ferno  battaglia  insieme  et  fumo  molti  feriti.  Per  la  qual  cascione  li 
Montefiasconesi  si  ribellarno  ad  quelli  della  roccha  loro.  Anche  in 
quel  tempo  el  Profecto  pigliò  Ancarano  et  la  Roccha  di  Ghiorio, 
che  r  aviva  perduta  prima  (4).  Nel  dicto  mese  di  novembre  el  Pro- 
fecto andò  ad  Toscanella  con  molta  gente;  che  li  fu  promessa  dare 
per  tradimento,  et  fu  tradimento  doppio;  che  come  fu  dentro  una 
parte  della  dieta  gente,  li  Toscanesi  li  ressirno  adosso  et  ucciserne 
assai,  et  quelli  che  pigliamo,  li  tagliamo  la  testa.  Rimasero  morti 
ben  .XXX.  ($)  homini,  tra  li  quali  fu  messer  Borgaro  da  Marciano 
et  il  figliuolo  et  anche  el  figliolo  de  Francesco  di  Lanfanello  da 
Viterbo. 

Anno  Domini    1379.  Fu  recato  in  Viterbo   el  gioco   delle  carte 
che  in  Saracino  parlare  si  chiama  Nayb  (6).  Nel  mese  di  genaro,  la 


(r)  Il  suo  nome  è  «  Petruccius»  e  l'ambasceria  fu  d'aprile,  come 
ci  dice  la  domanda  pòrta  da  lui  e  dai  suoi  nipoti  Giacomo  e  Bar- 
tolomeo ad  Urbano  VI  il  2  luglio  1380  di  esser  risarciti  dei  danni 
avuti  per  quella  ambasciata,  essendo  stati  processati,  imprigionati, 
confiscati  i  loro  beni.  Urbano  commette  a  Bartolomeo  di  Giovanni, 
uditore  di  palazzo,  che  indaghi  e  risarcisca.  Calisse,  Prejellì,  p,  558, 
n.  cLXXXViii;  Savignoni,  L'archivio,  n.  ccclxiv, 

(2)  Infessura,  Diario,  p.  7:  «di  luglio  a  dì  16».  Le  perdite  da 
alcuni  si  fecero  ascendere  a  500  morti  o  feriti  ;  cf  Valois,  op.  cit. 
p.  75,  nota  5. 

(3)  Omesso  questo  periodo  da  N.  d.  Tuccia,  registrato  da 
luzzo,  p.  39. 

(4)  Periodo  omesso  dagli  altri  cronisti. 

(5)  N.  D.  Tuccia,  p.  38:  «ben  50  omini». 

(6)  N.  D.  Tuccia,  ibidem  :  «  Hayl.  «  ;  luzzo  «  Nayl  ». 


e.  2\  A 


34^  "P-  l'^giài 


domenica  a  sera  cavalcare  277  Brettoni  et  andaro  ad  offendere  Cer- 
nete et  pigliamo  .L.  pregioni  in  dui  cavalcate  ;  poi  cursero  ad  Roma 
et  predarne  .xii.  milia  pecore,  .vi*^.  bestie  vacine  et  .1111'^.  bufali  et  me- 
narle ad  Viterbo.  La  qual  preda  tutta  fu  messa  a  sacco  in  Viterbo, 
salvo  certa  quantità  de  cavalle.  A  di  25  de  febraio  (i)  li  dicti  Bret- 
toni presero  Lubriano  et  miserie  ad  saccomanno  et  recare  ad  Vi- 
terbo molte  grano  et  orzo  et  altra  rebba.  Nel  mese  di  marzo  fu 
terribilissima  neve.  A  di  .x.  de  maggio  papa  Chimento  si  parti  di 
Roma  (2)  et  andò  ad  Napuli  ;  et  a  di  .xxii.  del  dicto  maggio  si 
parli  da  Napuli  et  per  mare  andò  ad  Avignone. 

A  di  .XXIII.  de  giugno  venne  el  campo  de  papa  Urbano  ad  Vi- 
terbo centra  el  Profecto,  che  si  teniva  con  papa  Chimento,  et  misero 
e.  25  B  campo  in  tre  luochi  et  ferno  el  guasto  et  stettero  .lvii.  di  (3).  ||  Et 
el  dicto  papa  guastò  in  Roma  molti  calici  et  croci  per  fare  denari 
per  soldati;  el  Profecto  fé'  pagare  al  preti  de  Viterbo  .v.  milia  ducati. 
A  di  .X.  de  septembre  (4)  el  Profecto  fé'  el  guasto  ad  Ronciglione 
et  recarne  ad  Viterbo  moltissima  uva  et  molte  cose.  A  di  18  de 
septembre  ci  Profecto  andò  ad  Comete  et  felli  gran  guasto  sopra  vigne 
et  giardini  ;  poi  venne  ad  Toscanella  et  similmente  fece  gran  gua- 
sto (5).  Nel  dicto  anno  el  Profecto  dette  Vetralla  ad  mcsser  Guglielmo 
sue  soldato  ;  el  dicto  messer  Guglielmo  la  mise  ad  saccomanno,  poi 
la  vendè   ad  Romani,  et   in  poco  tempo  el  Profecto   la  ritolse  (6). 

(i)  Pinzi,  S/or/d,  III,  405:  «  23  di  aprile  »,  ma  cita  il  della  Tuccia 
che  dà  lo  stesso  giorno  del  nostro. 

(2)  Clemente  non  fu  mai  a  Roma,  egli  si  trovava  nell'aprile  a 
Sperlonga  :  «die  nona  mail  dominus  noster  recessit  de  Spelunca,  ante 
«  prandium,  ad  eundum  apud  Neapolim,  ubi  applicuit  in  crastinum 
«ante  prandium».  Conti  del  papa  in  Valois,  op.  cit.  I,  174,  nota  2. 
A  Napoli  non  rimase  che  fino  al  13,  avendo  fatto  ritorno  a  Sper- 
longa, donde  si  parti  il  22.  Ibidem,  p.  175. 

(3)  N.  D.  Tuccia,  p.  39:  «  62  di». 

(4)  N.  D.  Tuccia,  ibid.  :  «  A  di  16  de  septembre». 

(5)  Idem:  «  Robavano  tutte  le  persone  e  donne  che  ci  anda- 
«  vano  a  recar  frutti  e  le  possessioni  et  omnia  bona  aliena  sibi  ap- 
«  propriabant  ». 

(6)  t' Nota  quod  Paulus  romanus  prò  redimendo  castro  Vetralle 
«  a  magnifico  Guilelme  filio  Baptiste  milite  alemanno  et  capitanco 
«  gentium  armorum  detinentium  dictum  castrum,  vendidit  4000  rubra 
«fsalis».  Galletti,  cod.  Vat.  8040,  p.  IH,  e.  14,  ex  cod.  lacobatii 
a.  1 370,  in  arch.  Capitolino  (ora  irreperibile).  Non  sarà  da  corre,:;- 
gere  «  Populus  romanus»? 


Le  croniche  di  Viterbo  547 


Nel  dicto  anno  el  Profecto  prese  Bracciano  et  miselo  ad  saccomanno, 
poi  si  parti  con  li  Brettoni  et  lassoUo  ad  certi  suoi  soldati  italiani  et 
questi  lo  venderò  ad  Romani. 

Anno  Domini  1380.  Fu  si  gran  carestia  in  Viterbo  che  valse 
el  grano  .xxxii.  libre  la  soma  (i)  et  poco  se  ne  trovava.  In  Viterbo 
se  mangiava  el  sangue  de  macello  et  erba  senza  pane,  et  era  si 
grande  la  guerra  che  le  donne  andavano  fuore  a  recare  li  frutti,  et 
ninno  cittadino  usciva  fuore  da  la  porta  per  paura  de  non  esser  pi- 
gliato, et  le  diete  femine  mectevano  ad  sacco  tutti  li  frutti  eh'  erano 
de  fuore.  A  di  primo  de  aprile  fu  arsa  di  nocte  tempo  la  porta  de 
Sancta  Lucia.  A  di  14  fu  arsa  la  porta  de  Salcicchia.  Valeva  in  quel 
tempo  el  quartuccio  del  sale  .xl.  soldi,  eh'  erano  doi  terzi  ducato 
d'  oro.  Nel  dicto  mese  el  Profecto  andò  tre  dì  ad  fare  el  guasto  ad 
Vitorchiano  et  felli  gran  danno,  et  tornò  el  grano  a  .xiiii.  libre  la 
soma,  la  carne  a  soldi  .111.  la  libra. 

Anno  Domini  1381.  Carlo  de  la  Pace  entrò  per  forza  in  Napoli 
col  braccio  de  papa  Urbano  VI  et  tolsela  alla  regina  Giovanna,  che 
si  teneva  con  papa  Chimento;  et  fu  a  di  .xvi.  de  luglio  (2).  Et  fu 
sì  grande  diluvio  d'acqua  nel  mese  de  febraio,  che  roppe  el  muro 
sotto  ad  Faule  et  fé'  uno  fosso  di  sei  passa. 

Anno  Domini  1383.  Mori  la  dieta  regina  Giovanna  nel  mese  d'a-  e  26  a 
gosto.  Haveva  signoreggiato  Napoli  .xxxviii.  anni.  In  quel  tempo  el 
Profecto  prese  Palazzolo  (3);  anche  Ianni  Sciarra,  nepote  del  Pro- 
fecto, pigliò  Nepe  et  misela  ad  saccomanno;  anche  el  Profecto  et 
messer  Ranaldo  posero  campo  ad  Montefiascone,  et  in  octo  dì  recorno 
ad  Viterbo  assai  grano,  orzo,  et  molti  legumi  (4). 

Anno  Domini  1585.  El  dicto  Profecto  a  dì  22  de  marzo  andò 
ad  campo  ad  Montefiascone  et  menoeci  molti  bovi  de  Viterbo  ad  arare 
el  grano,  et  menoeci  circa  nove  milia  pecore  ad  pascere  el  grano  (5), 

(i)  N.  D.  Tucci.\,  p.  39:  «  74  lire,  che  erano  otto  ducati  d'oro  »; 
Pinzi,  op.  cit.  Ili,  40S:  «l'enorme  prezzo  di  82  lire». 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.  40:  «A  17  di  luglio».  Carlo  di  Durazzo, 
detto  principe  della  Pace,  investito  del  reame  il  1°  giugno,  occupò 
Napoli   appunto  ai  16  luglio,   come  dice  il  nostro.  Cf.  Valois,  op. 

cit.    Il,    10. 

(3)  Castello  presso  Bassano  in  Teverina. 

(4)  N.  D.  Tuccia,  p.  40,  omette  l'uliima  notizia.  Messer  Ranaldo 
è  Rinaldo  Orsini;  cf.  Raixaldi,  Annahs,  a.  1383,  n.  2. 

(5)  N.  D.  Tuccia,  p.  40:  «  Ma  li  Viterbesi  in  cambio  di  guastare 
<f  il  grano  co  li  bovi,  lo  riparavano  acciò  paresse  guasto  e  fu  quel- 
«  l'anno  più  bello  ».  Circostanza  inverosimile. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  25 


348  T.  Egidi 


per  la  qual  cosa  li  Montefiasconesi  per  mezzo  di  loro  el  vescovo, 
che  stava  in  campo  col  Profecto,  s'arendero.  Et  ci  giovedì  sancto  a 
di  30  de  marzo  mandato  li  staggi  ad  Viterbo,  che  fu  messer  Paolo 
et  messer  Giovanne  medici  et  messer  Tliomasso  da  Fabriano.  Et 
comenzaro  guerra  con  la  roccha  con  bombarde  che  l'aviva  mandate 
el  Profecto,  et  fero  le  cave.  Anciie  mandò  el  Profecto  ad  Moiite- 
fiascone  cento  some  de  grano,  ch'erano  affamati;  et  dectero  in  terra 
un  pezzo  del  muro  della  roccha,  et  pigliarla  per  forza,  et  presero 
Simonetto  da  Castel  de  Piero  ch'era  capitanio  del  papa,  et  li  Broctoni 
Io  menarno  prescione  ad  Marta  ch'era  loro.  A  dì  .vi.  de  giugno  el 
Profecto  fé'  el  guasto  ad  Toscanella,  poi  andò  ad  Corneto,  et  arse 
tutto  quello  che  trovò  di  fuore.  Nel  mese  de  maggio  et  di  giugno 
valse  el  pititto  del  vino  in  Viterbo  .xxviii.  soldi,  eh'  era  presso  ad 
mezzo  ducato  d'oro. 

Anno  Domini  1586,  A  dì  primo  de  genaio  fu  l'eclipse  et  scurò 
la  luna  et  il  sole  ad  ora  di  sesta.  Era  scurata  un'altra  volta  nel  1552 
a  dì  .XV.  de  septembre:  1386  scurò  la  luna  la  uocte  cli'era  sereno, 
et  tutta  si  copri  de  scurità.  Nel  diete  anno  nel  mese  de  aprile  el 
Profecto  hebbe  Toscanella  et  Montalto,  et  fé'  battere  in  Viterbo  la 
moneta,  cioè  bolognini  da  due  soldi  l'uno  con  sancto  Lorenzo  con 
la  grata,  et  li  quatrine(i)  colla  croce  et  col  .P.  da  l'altro  lato. 
263  Anno  Domini  1 586.  El  predicto  mese  de  luglio  el  cardinale  Or- 

sino entrò  in  Montefiascone  et  tolselo  al  Profecto. 

Anno  Domini  1387.  A  dì  sei  de  maggio  li  Viterbesi  levarno 
romore  contra  el  Profecto,  el  quale  stava  in  Casalotto  (2);  et  el  Pro- 
fecto se  difese  et  vense  la  piazza  del  comuno.  Poi  a  di  8  del  dicto 
mese  (3)  se  referono  li  Viterbesi  contra  el  Profecto.  Per  la  qual  cosa 
el  Profecto  fugi  in  casa  de  Nicola  de  messer  Giovanne  (4)  di  ma- 

(i)  Nel  ms.  «  quatrine  ».  N.  D.  Tuccia,  p.  40:  cf  quatrini  con 
«  la  golpe  e  la  croce  ».  Per  queste  monete  vedi  Ciampi,  op.  cit.  p.  402; 
Pinzi,  5/or;a,  III,  425,  nota  2,  424  nota  i,  e  rispettive  bibliografie.  Vedi 
anche  la  lettera  di  Urbano  VI  (16  febbraio  1389)  intorno  alla  co- 
niazione dei  bolognini  d'argento  in  Theixer,  II,  617,  n.  650. 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.  40:  «in  casa  sua». 

(3)  N.  D.  Tuccia,  p  40:  «Ai  17  del  medesimo  mese». 

(4)  v  ...  direto  a  S.  Biagio  e  un  fuoruscito  di  Viterbo  cittadino, 
«Angelo  Palino  di  casa  Tignosi,  andò  a  trovare  el  Prefecto  e  l'uc- 
«  cise  e  lo  fé'  cascare  da  un  ponticello  sopra  l'orto  »  (N.  D.  Tuccia 
p.  40).  Teodorico  de  Nyem,  Di  schimicitc,  I,  66,  chiama  Angelo  il 
Prefetto  e  lo  dice  preso  ed  ucciso  dai  pontifici,  ai  29  settembre. 
EJiz.  Erler,  p.  116;  cf.  però  ivi  la  nota  4. 


Le  croniche  di  Viterbo  349 


donna  Berta,  et  lì  fa  ucciso  et  fu  strascinato  fino  la  piazza  del  comuno 
et  stette  in  terra,  et  teneva  la  bocca  apresso  il  culo  d'  uno  suo  cavallo 
che  l'era  stato  morto.  Poi  la  sera  fu  portato  dalli  frati  de  Sancto  Fran- 
cesco, et  stetti  due  di  ne  l' orto  come  entri  in  la  porta  ad  mano 
mancha,  innudo  in  uno  cataletto  senza  niente  sotto  nò  sopra.  Non 
ci  mori  altra  persona  (i),  e  casa  sua  et  casa  de  rectori  con  certe  case 
de  suol  famegli  fumo  robate,  et  fu  robbata  la  prescione  et  fu  rob- 
bato  tutto  el  palazzo  del  potestà.  Et  el  dicto  cardinale  Orsino  (2) 
lo  fé'  pigliare  el  papa,  et  mandollo  prescione  ad  Peroscia  per  suo 
diffecto  (5). 

Anno  Domini  1388.  La  gente  del  papa  con  li  Romani  hebbe 
molte  terre.  Et  valse  la  soma  del  grano  dalli  .xxx.  [alli]  (4)  .xl.  libre 
et  mangiavano  seme  de  lino  macinato  et  intriso  col  mèle;  et  tutte 
le  cose  furono  care  salvo  el  mòle  che  n'era  assai.  Nel  dicto  anno 
mori  papa  Urbano  VI,  et  in  tempo  d'un  mese  fu  facto  papa  Bonifatio 
nono;  era  pure  napoletano  di  Tomacelli  (5). 

Anno  Domini  1390.  Messer  Guido  d'Asciano,  capitanio  de!  Pa- 
trimonio, con  le  molte  gente  de  Viterbo  andarno  ad  fare  el  guasto 
nella  Montagnola  ad  Vallerano  et  Carbugnano  et  Casamala  (6).   Et 

(i)  Nel  ms.  «  p  ». 

(2)  «  Thomas  Ursinus  de  Manopello,  S.  Mariae  in  Domnica  car- 
«  dinalis  »,  legato  apostolico.  Cf.  Savignoni,  L'archivio,  n.  ccclxv. 
Fu  preso  a  forza  in  Viterbo  da  una  schiera  di  mercenari  stranieri 
mandata  dal  papa.  Montemarte,  C/OMaca  d'Ori/Zd/o,  ed.  Gualterio, 
I,  60;  Rainaldi,  Annales,  VII,   500. 

(3)  «  Un  figlio  bastardo  del  Prefetto,  che  teneva  Rispampani,  fece 
«  pigliare  detto  Angelo,  ch'aveva  ucciso  suo  padre  e  lo  fece  ingras- 
«  sare  ben  bene:  poi  lo  cacciò  fuora  e  fc'  legare  in  piazza  e  tagliare 
«  a  pezzi  vivo,  dando  la  carne  sua  a  mangiare  alli  cani  affamati  che 
«  a  posta  teneva  »  ;  N.  d.  Tuccia,  p.  40. 

(4)  La  lacuna  è  nel  ms. 

(;)  Urbano  morì  ai  15  ottobre  1389  e  Bonifacio  fu  eletto  papa 
ai  2  e  coronato  ai  9  novembre  del  medesimo  anno  (L.  Pastor,  op. 
cit.  I,  127;  Valois,  op.  cit.  n,  157  e  159).  Tra  ì  primi  atti  di  Boni- 
facio è  una  lettera  ai  Viterbesi  nella  quale,  compianta  la  triste  con- 
dizione in  cui  si  trovano  per  la  Chiesa,  dice  aver  comandato  «  prae- 
«  ceptori  Sancti  Spiritus  in  Saxia  de  Urbe  ut  granum  in  malore 
«  quantitate  quam  potuerit  ad  Viterbium  festinet  transmittere  »;  Sa- 
vignoni, U  archivio,  n.  ccclxxiii  ;  cf.  anche  i  nn.  ccclxxiv-ccclxxxi 
che  sono  ottimo  commento  alla  narrazione  seguente. 

(6)  Tutti  e  tre  sul  versante  orientale  del  Cimino. 


550  'P.  Egidi 


valse  d'aprile  et  de  maggio  la  soma  del  grano  fiorini  dodeci  d'oro 
et  infine  .l.  libre  (i).  Era  tanto  affamato  Viterbo  dalia  guerra  di 
Brectoni,  che  non  potevano  li  Viterbesi  niente  più  restare,  et  più  et 
più  volte  raandarno  al  papa  per  succurso,  et  mai  non  li  mandò  un 
e.  ;;a  cavallo,  imperhò  che  era  povero.  |1  Per  la  qual  cosa  infine  li  Viter- 
besi levarno  romore  gridando:  «  Viva  la  pace  ».  Et  fu  a  di  24  de  sep- 
tembre  (2),  et  tutta  la  terra  andò  sotto  arme,  et  questo  fu  per  cagione 
che  li  Viterbesi  havevano  mandato  ambasciatori  al  eardinale  de  Ra- 
venna (5)  che  stava  in  Montefiascone  con  li  Brettoni  per  la  corte  de 
Avignone;  et  uno  chiamato  Angelo  de  Casella,  uno  delli  ambascia- 
tori, al  tornare  che  fé'  ad  Viterbo  disse  tra  certi  ortulani:  «  Noi  tro- 
«  vamo  la  pace  et  non  la  volemo  ».  Per  questo  si  levò  tal  romore  che 
UDO  de  priori  la  sera  proprio  andò  in  piano  de  Sancto  Fustino  et  fé' 
armare  tutti  li  Pianesi  et  disse  che  andassero  ad  robbare  un  capitano 
del  papa  che  stava  ad  Sancto  Francesco.  Uno  cittadino,  chiamato 
lacobo  del  Garoso  (4),  n'andò  al  dicto  capitano  et  fello  sapere;  onde 
lui  si  mosse  con  molta  gente  armata  et  andonne  ad  assaltare  quelli 
del  piano  di  Sancto  Fustino,  et  non  potè  farli  niente,  anzi  fumo 
cacciati  con  poco  honore  (5)  ;  andossine  in  fine  in  piazza,  poi  se  n'andò 
a  casa  la  sera  al  tardo.  La  sequente  mattina  se  levò  el  romore  di 
nuovo  et  gridavasi:  «  Viva  la  pace  ».  Et  cusi  continuò  dui  di.  Levossi 
uno  cittadino  chiamato  Gianni  di  Francesco  (6)  et  con  certi  suoi  amici 
et  sequito  da  certo  populo  per  la  terra  andarne  gridando:  «  Viva  la 
«  pace  ».  Onde  che  el  populo  per  questo  lo  ferno  confaloniere  et  mi- 
serie nel  palazzo  del  potestà,  et  colli  priori  insieme  fu  fermato  con- 
falonieri  per  sei  mese;  et  nella  sua  entrata  fu  rotta  la  prescione,  et 
cavatone  tutti  li  prescioni,  tra  qualli  e'  era  uno  figliolo  dello  dicto 
Gianni,  chiamato  lacomello.  Stecte[siJ  in  Viterbo  in  questo  modo 
et  con  le  porte  serrate  octo  di.  Un  altro  cittadino  chiamato  messer 
Andrea  Capoccio,  el  quale  era  stato  ambasciatore  al  dicto  cardinale 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  41:  «La  soma  di  grano  lire  otto». 

(2)  Pinzi,  Storia,  III,  442:  «  21  settembre  1390  »  e  cita  il  Tuccia, 
p.  45,  che  dà  il  giorno  24. 

(3)  Pileo  de  Prata,  arcivescovo  di  Ravenna,  fatto  da  Urbano  VI 
cardinale  ai  28  settembre   1378. 

(4)  N.  D.  Tuccia,  p.  41  :  «  del  Corso  ». 

(5)  Sia  le  parole  del  nostro  sia  quelle  di  Nicola,  mi  pare  fac- 
ciano intendere  che  l'esito  delle  armi  fu  favorevole  ai  cittadini,  con- 
trariamente a  quello  che  intese  il  Pinzi,  III,  443. 

(6)  N.  D.  Tuccia,  p.41:  «chiamato  Francesco». 


Le  croniche  di  Viterbo  551 


con  Angelo  di  Casella,  fé'  populo  et  acostossi  col  populo  minuto  cioè 
con  quelli  de  Sancto  Sixto  et  di  Sancto  Fustino  et  di  Sancto  Luca 
et  con  gran  ciurma  andò  in  piazza  gridando:  «  Viva  la  ||  pace  et  il  e.  27  b 
«populo  »;  cacciare  Ianni  di  l'rancesco  de  palazzo  ch'era  stato  .xvi.  dì; 
poi  andarno  in  casa  de  priori  et  cassarne  secte  priori  cli'erano  state 
nel  offitio  poco  più  d'uno  mese,  e  solo  lassarne  uno  priore,  chiamato 
ser  Pietro  di  Golinuzzo  (i).  Et  el  dicto  messer  Andrea  fu  capo  delle 
diete  cose  et  fermò  sette  priori  novi.  Dipo'  pochi  dì,  ordinarne  ch'el 
dicto  cardinale  di  Ravenna  venisse  ad  Viterbo,  cercando  far  pace  con 
lui.  Et  in  questo  regimento  era  un  altro  cittadino  chiamato  messer 
Bello  et  buono.  Dall'altra  parte  li  sette  priori  cercavano  assettarsi  con 
papa  Bonifacio  et  con  1  cardinale  et  con  Romani.  Per  la  qual  cosa  el  re- 
gimento novo  cercò  accordo  col  dicto  cardinale  et  ferno  pacti;  onde 
li  priori  vecchi  et  lo  capitano  del  Patrimonio  si  partirno  de  Viterbo 
et  portarne  robba  et  denari  del  comune.  Domenica  a  dì  23  d'octobre 
el  dicto  cardinale  entrò  in  Viterbo  per  la  porta  de  San  età  Lucia,  la 
sera  a  lume  de  torci  col  solicchio  sopra  1  capo,  et  li  priori  nuovi  l'an- 
dare in  centra  ad  piede  fine  alla  Croce  et  con  grande  henore  1'  ac- 
compagnorno  fine  alla  chiesa  de  Sancto  Sixto  (2),  et  lì  dismontò 
et  con  lui  vennero  molti  usciti  che  prima  stavano  fuori  de  Viterbo. 
Poi  a  l'entrata  de  novembre  fumo  facti  li  priori  nevi,  si  che  in 
quattro  mesi  furne  tre  priorati  (3). 

Anno  Domini  1391.  A  dì  .vii.  de  febraio,  messer  Pilage  cardi- 
nale di  Ravenna  predicto  fé'  une  grande  tradimento  in  Viterbo,  in 
questo  modo  cioè:  costui  fé'  venire  la  nocte  molte  gente  del  populo, 
cioè  fu  el  Sarto  che  era  capitano  di  Romani,  Farnesani  et  molte 
gente  dintorno  et  mise  dentro  li  capitani  con  tutti  l'escite;  et  el  dicto 
cardinale  teneva  la  chiave  della  porta  de  Sancto  Sixto.  E  passata 
mezza  nocte,  chiamò  le  guardie  della  dieta  porta  et  quando  furne 
gionti  a  lui,  le  costrense  in  una  camera.  Poi  tutti  li  capitani  et  capo- 
diece  delle  II  guardie  di  Viterbesi  che  andavano  guardando  la  terra,  come  e.  28  a 
erano  ad  Sancto  Sixto,  teneva  li  dui  suoi  famegli  et  dicevano:  «Dice 
«  monsignore  che  l'andate  un  poco  ad  parlare  ».  Et  cusì  di  mano  in 
mano  tutti  li  costrense  in  una  camera.  Et  pei  che  tutte  l'ebbe  nelle 
mani,  et  non  andava  più  persona  atorno,  opri  la  dieta  porta  di  San- 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  41:  «  Galinezze  ». 

(2)  Clemente  VII  ai  12  novembre  del  1390  si  rallegrava  coi 
Viterbesi  perchè  avevano  accolto  il  card.  Pileo.  Lettera  edita  dal 
Pinzi,  IH,  445,  nota.  V.  regesto  in  Savignoni,  L'archìvio,  n.  ccclxxi. 

(3)  N.  D.  Tuccia,  p.  42:  «furne  4  priorati». 


SS^  *?.  Egidi 


CIO  Sixto  et  npontellolla  per  modo  che  non  si  poteva  chiudere.  La  niu- 
tina  all'alba  del  di  entrarno  dentro  in  la  terra  tutte  le  loro  gente  d'arme, 
et  sniontarno  nel  chiostro  di  Sancto  Sixto  et  nello  arengho  di 
Sancta  Maria  in  Grada,  et  col  confalone  del  cardinale  et  d'altri  ca- 
pitani, con  molte  trombette,  armati  da  vantagio  vennero  fino  alla 
fontana  del  Separi,  gridando:  «Viva  el  papa  de  Roma».  Li  homini 
della  contrada  de  Sancto  Si.\to,  sentendo  el  remore,  tutti  s'  armonio 
et  tragono  ad  romore  et  comenzarsi  ataccare  con  loro  f  et  cusì  li  altri 
cettadini,  sentendo  el  romore,  tutti  trassero  clii  da  una  strada  et  chi 
da  un'altra,  tt  combattendo  cacciaro  ad  reto  li  nimici  fine  alla  catena 
dell'alberghi,  gridando:  «  Molano  li  forestieri  ».  Nel  qual  luoco  allog- 
giavano dui  capitani  del  cardenale,  l'uno  chiamato  Tendone  et  l'altro 
Alberto  Cerasolo,  li  quali  non  sapevano  el  tradimento  del  carde- 
naie  (i),  et  vedendo  sì  facta  cosa,  s'accostumo  con  Viterbesi  li  quali 
gridavano  tutti:  «  Viva  papa  Chimento  et  molano  li  furisticre  ».  La 
zuffa  fu  grande.  Nel  quale  asalto  forno  morti  tre  de  quelli  del  car- 
dinale, et  fu  dato  per  terra  quello  che  teneva  el  suo  confalone;  et 
tolselo  uno  chiamato  Lario  da  San  Marco  (2)  et  dectelo  ad  uno  che  1 
portasse  trascinando  per  la  terra;  e  tutta  via  lo  popolo  avanzava 
terreno  et  cacciaro  li  furistieri  in  fine  la  porta  de  Sancto  Sixto  et 
ferirne  gran  quantità,  et  tutta  via  combattendo  infine  li  ruppero,  et 
e.  28  u  fugirno  fuore  come  gente  vile.  ||  E  li  Viterbesi  guadagnarne  cento 
vinte  cavalli  et  molta  roba. 

E  lo  cardinale  fugi,  che  s'affunò  per  le  mura  con  la  fune  della 
campana  de  Sancto  Sixto,  et  tutta  la  robba  sua  fu  messa  ad  sacco- 
manno, che  fu  tanta  che  molti  Viterbesi  ne  fumo  ricchi.  E  fucci 
preso  lo  vescovo  d'Andria  (3)  et  lo  vescovo  de  Spoleie  et  conlet- 
tore (4)  del  cardinale  et  altre  famegli  vili  ;    l'  altri  tutti  fugirno.  De 

(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  42:  e  uno  detto  Rendone,  l'altro  Alberto 
«  Cerisela  »  e  nel  ms.  Ardenti  <f  Tendone  e  Alberto  Caresola  ». 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.42:  «  Lorio  di  Marco»  e  il  ms.  Ardenti 
«  Corio  di  Marco  ». 

(5)  N.  D.  Tuccia,  p.  42:  «vescovo  d'Adria».  Lucido  vescovo 
d'Andria  il  ij  decembre  1390  era  stato  nominato  vescovo  di  Viterbo 
da  Clemente  VII  al  posto  del  defunto  Nicolò  (arch.  Vat.  Reg.  Ave- 
nion.  LXI,  e.  225  b);  però  ai  26  febbraio  1592  ancora  non  aveva 
giurato  (ibid.  LXV,  e.  295  b)  sebbene  già  dall'anno  avanti  sedesse  nel 
palazzo  episcopale  (Ciampi,  op.  cit.  p  404;  Valois,  op.  cit.  p.  164). 
Il  vescovo  di  Spoleto  è  Lorenzo    Corvino   già   vescovo  di  Gubbio. 

(})  Nel  ms.:  «co  le  tre».  N.  d.  Tuccia:  «lo  correttore  del 
«  cardinale  ». 


Le  croniche  di  Viterbo  S53 


Viterbo  non  ci  fu  maculato  persona,  salvo  che  uno  che  ebbe  una 
piccola  ferita  nel  piede.  Dipo'  la  Victoria  hauta  li  Viterbesi  pigliamo 
Angelo  de  Casella,  el  quale  Angelo  era  molto  inanti  col  cardinale 
et  menava  le  cose  a  suo  modo  et  faceva  di  molte  soperchianze  alli 
cittadini,  et  faciva  molte  usurparle  et  fu  uno  gattivo  homo;  e  per 
parole  di  costui  el  cardinale  fé'  molte  cose  ingiuste,  et  ancho  costui 
s'intese  col  cardinale  al  tradimento.  Costui  fu  pigliato  el  martedì  de 
carnevale,  poi  el  mercordi  fu  cavato  de  prescione  et  fu  tagliato  in 
pezzi  ad  romore  de  populo,  et  prima  che  che  1  fusse  fenito  de  mo- 
rire, li  fu  tagliata  la  testa.  Anche  in  piazza  fumo  morti  doi  de  quelli 
del  cardinale,  che  ci  fumo  trovati,  pure  ad  romore  de  populo.  Altra 
persona  de  Viterbo  non  ci  fu  incolpata  al  tradimento,  si  non  uno 
chiamato  Giovanni  di  prete  lenio  (i),  che  se  n'andò  col  cardinale. 

A  di  .X.  de  febraio  entrò  in  Viterbo  el  profecto  Ianni  Sciarra 
et  entrò  per  la  porta  de  Sancta  Lucia,  e  li  Viterbesi  lo  riceverò  con 
grande  honore  et  con  la  processione  (2);  andò  per  la  strada  de 
Sancto  Lorenzo,  ove  smontò  et  fesi  mostrare  el  mento  (3)  de  san- 
cto  Giovanne  Baptista;  poi  rimontò  et  andò  ad  scavalcare  ad  San- 
cto Sixto,  ove  era  stato  el  cardinale  predicto.  Domenica  a  di  12  del 
dicto  mese  fumo  comenzate  a  scarcare  le  case  de  Salvestro  de  Pa- 
tio de  Gatto  centra  ad  Sancto  Stephano  et  molte  de  cettadini  ch'e- 
rano usciti  fuore  (4)  ;  fumo  tratte  li  uscia  et  finestre  et  guasti  de 
molti  orticelli  et  altre  possessioni.  |j  Poi  a  dì  28  de  octobre,  fu  rico-  e.  55  a 
menzato  ad  scarcare  le  diete  case  di  Salvestro,  dove  ce  fumo  man- 
dati molti  maestri  di  pietra  et  di  legname,  et  fumo  comandati  li 
cittadini,  alla  pena  de  .e.  fiorini,  che  devessero  andare  ad  scarcare; 
et  cusì  facevano  ad  muta  in  fina  che  tutte  fumo  gittate  per  terra. 
La  quale  era  una  bellissima  casa. 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  45  :  «  Giovanni  di  Pietro  Renio  ». 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.  43,  omette  di  qui  alla  fine  del  periodo  nel 
testo  dato  dal  Ciampi,  però  lo  registra  il  ms.  Viterbese  riferito 
in  nota. 

(3)  Correggo  il  ms.  che  dice  «  manto  »  poiché  nella  cattedrale 
viterbese  si  mostra  anche  ora  il  mento  di  san  G.  B.  Cf.  N.  d.  Tuc- 
cia, p.  43. 

(4)  N.  D.  Tuccia,  p.  43:  «Il  detto  Silvestro  teneva  Celleno  e 
«  la  Rocca.  Domandò  un  cittadino  di  Viterbo  come  stavano  le  case 
«  sue.  Pulii  detto  che  n'era  levato  Tuscia  e  le  finestre.  Lui  rispose 
«  e  disse:  "  Tosto  si  potranno  rifare.  "  Le  quali  parole- fumo  riportate 
«al  detto  Prefetto.  Per  le  quali  parole  a  dì  28...». 


354  "P-  ^>''^^' 


Anno  Domini  159.1.  El  Profecto  a  di  S  de  genaio  (i)  cavalcò  con 
molti  Brettoni  et  andò  alla  Tolfa  vecchia  et  pigliarla  et  lì  se  riposò 
più  et  più  di.  Nel  mese  de  aprile  el  Sarto,  capitano  de  Romani, 
pigliò  Bulseno  et  vadagnò  molti  cavalli  di  Brettoni.  In  quel  tempo 
valeva  la  soma  del  grano  in  Viterbo  .xi..  libre;  et  fumo  fncti  in  Vi- 
terbo molti  confinati,  et  furon  facti  de  stratii  di  molti  cittadini,  chi 
preso  et  chi  rescosso,  chi  robbato,  et  tristo  colui  ch'era  in  desgratia 
del  Profecto!  La  guerra  era  grandissima  nel  paese,  che  papa  Boni- 
facio era  in  Roma,  et  el  Profecto  se  teneva  con  papa  Chimento  in  Avi- 
gnone, sì  che  el  soccurso  era  troppo  da  longa,  et  el  Profecto  tra- 
ctava  Viterbo  a  mal  modo  (2). 

Nel  mese  di  magio  andò  l'oste  de  Romani  ad  Vetralla  et  ad 
Civitavecchia  che  era  del  Profecto  et  ferii  gran  guasto  delti  bieni 
de  fuore.  A  dì  27  di  maggio  1592(3)  venne  l'oste  de  Romani  ad 
Viterbo  in  nome  della  Chiesa,  lunedì  a  mattina,  et  posesi  ad  ressitoio  (4) 
di  Rispoglio  et  verso  Grazzano  (5)  ;  poi  andaro  ad  Bagnala,  poi  alla 
Mandruale,  poi  alla  Ricciuta,  et  vennero  ad  far  battaglia  fino  alla 
porta  de  Sancta  Lucia,  dove  tra  l'una  parte  et  l'altra  ci  forno  morti 
otto  homini  et  feriti  assai  et  fumo  cacciati  ad  reto  ;  erano  in  Vi- 
terbo .CL.  cavalli  de  Brectoni.  Valeva  la  soma  del  grano  fiorini  .xvi. 
d'oro,  et  ogni  cosa  era  più  cara.  El  maggio  fu  humido,  li  biadi 
erano  belli,  la  stagione  per  questo  fu  tardìa;  li  Viterbesi  metivano 
l'orzo  verde  et  seccavalo  nel  forno,  per  poterlo  mangiare,  et  chi  al 
sole  (6).  Et  portarno  le  bombarde  nel  barbacane  di  Sancto  France- 
c.  55  B  sco,  et  el  dicto  campo  \\  andava  per  lo  tenimento  de  Viterbo  da  loco 
in  loco  et  andava   guastando   ogni   cosa.  Et  el  cardinale   ch'era  in 


(i)  La  data  b  aggiunta  nell' interlineo  dalla  seconda  mano,  la 
prima  aveva  posto  in  fondo  alla  notizia  :  «  ce  andò  a  di  .viii.  de 
«  genaio  ». 

(2)  Nicola  è  qui  più  compendioso. 

(3)  N.  D.  Tuccia,  p.  45:  «  A  22  del  detto  l'oste  de  Romani...»; 
Pinzi,  III,  451,  lo  segue, 

(4)  Così  la  correzione  marginale  della  seconda  mano;  «  resitelo  » 
nel  testo. 

(5)  Campo  Graziano  era  dove  ora  il  villaggio  della  Quercia. 
Pinzi,  Memorie  e  doc.  di  S.  M.  della  Quercia  cit. 

(6)  Di  qui  sino  «  Mercedi  a  dì  25  del  dicto  mese...  »  (p.  555) 
il  racconto  dato  dal  Ciampi  nel  testo  è  rimpastato  ed  è  stata  omessa 
la  notizia  delle  bombarde,  però  è  integro  e  nello  stesso  ordine  che 
nel  nostro  testo  la  narrazione  del  ms.  Viterbese  data  in  nota. 


Le  croìiiclw  di  Viterbo  355 


campo  se  n'andò  ad  Corneto,  et  el  capitano  de  Romani  ad  Sutro 
et  per  le  terre  intorno,  con  poco  honore  considerato  la  molta  gente 
ch'era,  et  non  acquistò  niente.  Nota  che  Roma  era  libera  et  non 
del  papa. 

Martedì  a  d'i  .xi.  de  giugno  Lione  Brettone  et  Pier  Pignatello 
se  partirno  de  Viterbo  con  tutta  lor  gente  et  andoro  in  terra  de 
Roma  ad  cavalcare;  et  el  campo  della  Chiesa  et  di  Romani  tornò 
ad  Viterbo  a  dì  26  del  dicto  mese,  et  di  loco  in  loco  si  mutarno  per 
lo  lenimento  in  otto  luoghi.  Lo  dì  de  sancto  lacobo  et  di  sancto  Chri- 
stof.mo  di  luglio  (i)  fu  bandita  la  trieve  col  papa  et  con  Romani 
per  tre  mesi. 

A  di  .XX.  d'octobre  fu  si  gran  tempesta  in  Viterbo  che  levò 
molte  tegule  delle  tetta  et  ad  Sancto  Sixto  spezzò  tevole  et  legname 
di  tetta  et  di  casa,  sconficò  per  forza  una  finestra,  et  ruppe  tutti  li 
arbori  del  giardino  dentro  le  mura  de  Sancto  Sixto  et  guastò  molte 
case  verso  Sancto  Fortunato,  et  di  fuore  guastò  olive  et  arbori  in- 
finiti et  occise  doi  femine  de  Viterbo  eh'  erano  andate  per  le  ca- 
stagne. Mercedi  a  di  23  del  dicto  mese  (2)  venne  in  Viterbo  uno 
Brettone,  parente  de  papa  Chimento,  et  stette  in  casa  de  Lorenzo 
di  Minelle  per  suo  reducto,  et  era  commissario  del  dicto  papa.  Poi 
si  partì  et  andò  ad  Soriano  per  cascione  che  in  Viterbo  se  facivano 
molti  mali,  cioè  s:arcare  case,  togliere  legname  per  ardere,  robbare 
altrui  senza  iustitia,  et  tristi  quelli  ch'erano  guelfi  et  non  erano  fu- 
giti  fuore  come  molti  altri  usciti.  Nel  dicto  anno  papa  Bonifacio  si 
partì  de  Roma  et  andò  ad  Nargni  (3);  onde  che  de  Viterbo  andorno 
doi  ambasciatori  per  fare  acordo  con  lui;  l'uno  fu  maestro  Pietro 
de  maestro  Matteo,  et  l'altro  fu  Giovanne  de  Simone,  et  tornarno 
senza  acordo.  [[  Nel  dicto  mese  ser  Pietro  de  Gulinuzzo  con  uno  e.  54  a 
Francioso  fu  mandato  per  ambasciatore  ad  papa  Chimento  che  stava 
ad  Avignone  per  parte  del  comuno  de  Viterbo  et  del  Profecto  (4). 

Anno  Domini   1393.  Ser  Giovanne  da  Toscanella  bariscello  del 


(i)  Il  giorno  venticinque. 

(2)  N.  D.  Tuccia,  p.  44:  «  A  dì  25  d'ottobre  ».  Il  23  ottobre  1392 
era  appunto  mercoldi,  sicché  è  preferibile  la  data  del  nostro. 

(3)  Bonifacio  ai  primi  di  ottobre  andò  a  Perugia.  Cf.  Bonazzi, 
op.  cit.  I,  515  ;  Rain'aldi,  ad  a.  n.  6.  Ai  9  era  a  Narni.  Eubel,  Da5 
Itinerar  &c.  p.  557. 

(4)  Dei  messi  frequenti  che  corsero  tra  il  Prefetto  e  Clemente 
dal  1591  al  1593  V.  Valois,  op.  cit.  p.  161,  nota  i  ;  però  questo  Pietro 
di  Gulinuzzo  non  vi  appare. 


5^  T.  Eh  idi 


colmino  de  Viterbo  con  certi  marraflìni  andò  ad  casa  de  Cola  de 
Covelluzzo  (i)  et  cercò  la  casa  et  trovocci  libre  5768  de  lino  ch'era 
de  Vanni  de  Santoro  et  ferlo  cavare  fuore.  Con  dicto  Giovanni  ci  fu 
ser  Nicola  de  Vico  gabellieri  et  Angelo  di  Maltuzzo  (2)  ch'era  ca- 
merlengo del  comune,  Getto  da  Toscanella  et  Bonello  de  Nicola, 
Manicarello  et  Favolo  di  Tuccio  di  Bernardo  (^),  et  pesollo  el  Pe- 
coraio et  portollo  Giovannuzzo  ad  casa  de  Ruberto  del  Mazzante 
nella  piazza  del  comune.  Et  portarne  le  cose  de  Giovanni  de  Pro- 
culo et  dui  cassette  con  le  cose  de  Petruccio  del  Bussa  et  tutta  la 
robba  buona  del  dicto  Cola;  et  era  de  li  priori  Vannicelio  de  Co- 
luzza  e  1  Pogia,  porta  Sancto  Lorenzo;  Paulo  di  Nello,  Petruccio 
de  Funarelio,  porta  Sancto  Pietro  (4)  ;  lacobo  de  Petruccio  di  An- 
gelo et  lacobo  de  Scardatone,  porta  Sancto  Mateo.  Nel  qual  prio- 
rato fumo  robate  molte  robbe  de  li  esciti  che  stavano  aguattate  per 
li  munisteria  de  Viterbo  et  per  li  lochi  religiosi;  et  questi  robbatori 
si  chiamavano  «strappa  cappa»  mandati  per  li  dicti  priori. 

Lunedi  a  dì  .xii.  de  maggio  l'oste  di  Romani  venne  ad  Viterbo 
et  posesi  al  poggio  della  Iella  (5)  et  vennero  con  bombarde  insino  a 
la  vigna  de  Sancta  Maria  in  Grr.da,  et  scarcaro  un  pezzo  de  muro, 
et  entrare  nella  vigna,  et  guastarne  la  dieta  vigna.  Mercedi  si  par- 
tiro  et  andare  ad  casale  del  tresolieri  (6)  et  lì  ferno  el  guasto.  Ve- 
nardi  andoro  ad  fossato  del  Rianese,  per  la  via  de  Montefiascone, 
e.  54  B  et  ogni  cosa  andavano  guastando.  j|  El  sabate  venne  in  Viterbo  el 
fratello  di  lan  Colonna,  et  col  Profecto  et  con  li  priori  ordinò  di 
andare  in  campo  per  lo  accordo,  et  menò  con  lui  .xii.  cittadini  am- 
basciatore et  andarci  dei  priori:  l'uno  fu  messer  Andrea  Capoccio, 
l'altro  ser  Antonio  de  Ceccone,  et  ferno  l'accordo,  et  el  Profecto  ri- 


(i)  «Colui  che  fu  prima  scrittore  di  questa  cronica,  dal  cui 
«libretto  l'ho  ricavata  io  Nicola».  N.  D.  Tuccia,  p.  44. 

(2)  Ibidem:  «  Martiuzzo  ». 

(3)  Ibidem  :  «  Bonello  Cela  Ciambrone,  Monicarello  e  Paolo 
«  Puccio  di  Bernardo  ». 

(4)  Ibidem:  «  Paulo  di  Nello,  Petruccio  di  Simarella,  Paulo  di 
«  Santerello  Crucifisso,  luzzo  da  Civita  della  porta  di  S.  Sisto  ».  I 
priori  erano  due  per  ognuna  delle  quattro  porte  S.  Sisto,  S.  Mat- 
teo, S.  Lorenzo,  S.  Pietro:  è  quindi  agevole  ricostituire  il  primi- 
tivo testo. 

(5)  Ora  Barco  sulla  via  della  montagna,  a  piedi  della  Palanzana. 

(6)  N.  D.  Tuccia,  p.  44:  «  tesauriero  »  ;  è  il  casale  di  Angelo 
Tavemini  di  cui  a  pp.  340  e  342. 


Le  croiiiclic  di  Viterbo  357 


mase  governatore  de  Viterbo  (i).  Nota  ch'el  papa  non  era  signore 
de  Roma  come  fu  poi,  anzi  Roma  era  libera  et  chiamavasi  la  Chie- 
sia  di  Roma  et  non  Roma  della  Chiesia. 

Nel  mese  di  magio  1394  el  papa  et  Romani  et  Senesi  andaro 
ad  uno  castello  di  Brettoni,  chiamato  Musignano,  presso  a  Canino 
et  stette  circa  .xv.  dì  et  portarno  di  Viterbo  bombarde  et  andarci 
de  Viterbo  et  di  Canapina  et  di  Bagnaia  cento  guastatori  et  andarci 
dui  capi  maestri  de  Viterbo,  l'uno  chiamato  maestro  Tomasso  di  Na- 
raorato,  et  maestro  Paulo  di  Piano;  et  fecero  la  cavata;  et  li  bombar- 
dieri si  chiamavano  Giovanni  del  Bono  (2).  Et  fornita  la  cavata,  gionse 
in  soccurso  de'  Brettoni  uno  che  si  chiamava  ci  Gran  todesco,  el 
quale  non  molto  innanzi  haveva  tolto  Nargne  al  papa  con  1'  aiuto 
delli  esciti  (0;  et  el  dicto  Gran  tedesco  gionse  ad  Musignano  che 
già  n'era  cascato  gran  pezzo  dil  muro  per  la  cavata,  et  lui  con  sei- 
cento cavalli  assaltò  el  campo;  et  lo  capitano  del  campo,  che  si  chia- 
mava el  Sarto,  subito  se  dette  ad  fugire,  et  un  altro  conductiere  ro- 
mano, chiamato  Fiasco,  fé'  una  bella  difesa  ;  infine  ci  fu  pigliato  et 
rotto,  e  fumo  pigliati  molti  prescioni  tra  quali  ci  fumo  .xxx  Viter- 
besi, Erano  nel  dicto  campo  milli  cavalli  et  milli  fanti  con  trecento 
balestrieri,  et  fumo  rotti  da  seicento  cavalli  ;  et  tornosse  lan  todesco 
ad  Montefiascone,  poi  se  n'andaro  ad  fare  il  guasto  ad  Celleno  et 
portare  molta  robba  ad  Montefiascone.  Et  cusi  la  guerra  di  giorno 
in  giorno  si  faciva  tra  '1  papa  et  Brettoni  e  Gian  tedesco,  el  quale 
si  teniva  per  lo  papa  d' Avignone.  ||  El  dicto  profecto  Ianni  Sciarra  e  55 
fu  signore  de  Viterbo  sei  anni  et  fu  homo  savio,  astuto  et  malitioso 
et  di  communa  persona;  tenevasi  con  papa  Chimento  (4). 

Per  cascione  io   non   ho  facta  mentione  (5)   d'una  grande  rissa 
che  fu  facta  in  Viterbo    nel  anni  de  Dio   1281,    come    comenza    in 


(r)  Il  trattato  fu  concluso  facilmente  l'anno  dopo.  Pinzi,  III,  455. 

(2)  Cosi  il  ms.  Questa  prima  parte  de'  fatti  di  Musignano  dal 
della  Tuccia  è  compendiata.  Tutto  l'avvenimento  è  stato  trascurato 
dal  Pinzi. 

(5)  Narni  fu  tolto  a  Bonifacio  da  Pandolfo  Malatesta  e  da  Biordo 
perugino,  né  trovo  notizia  di  questo  Gran,  lan,  Gian  todesco.  Cf. 
R.\iNALDi,  a.  1394,  n.  21,  che  ha  per  fonte  Theodor,  de  Nyem, 

(4)  Q.UÌ  per  la  cronologia  bisogna  tornare  a  e.  23  b.  Si  veda 
quanto  dissi  nella  prefazione,  p.  216. 

(3)  Questa  frase  è  stata  cancellata  qui  da  chi  ha  fatte  le  cor- 
rezioni sul  manoscritto  (v.  p.  217)  e  poi  riscritta  dopo  «  il  quale  fu  facto 
«  in  Viterbo  »  (p.  358,  r.  2).  Mi  pare  si  debba  restituire  al  posto  primitivo. 


358  P.  Et^idi 


questo  volume  a  tf.  28  (i),  la  quale  qui  presso  stendarò  partita- 
mente;  nel  tempo  di  papa  Martino  quarto,  el  quale  fu  facto  in  Vi- 
terbo, nota  che  essendo  Viterbo  ricco  et  di  grande  stato,  come  dice 
nel  dicto  foglio,  di  bello  et  grande  contado,  et  molti  gentili  homini 
li  quali  pigliavano  grande  arbitrio  sopra  tutto  lo  popiilo  minuto,  et 
lo  pesce  grosso  comenzava  ad  mangiare  lo  piccolino,  et  già  li  gentili 
homini  havivano  pigliate  per  loro  uso  la  più  parte  di  castelli  più 
fructiferi;  per  la  qual  cosa  el  popolo  minuto  n'erano  tutti  mal  con- 
tenti, et  essendo  facto  confalonieri  de!  popolo  uno  chavalieri  (2)  chia- 
mato messer  Pietro  di  Valle,  homo  di  bassa  conditione  et  di  grande 
intellecto  et  di  grande  animo  (3),  deliberò  fare  uno  conseglio  generale, 
ove  fusse  tutto  il  populo  de  Viterbo,  gentili  et  populari,  et  havendo 
el  dicto  conseglio  adunato,  si  levò  in  piede  ad  esporre  al  populo  la 
cascione  della  lor  congregatione  in  quel  loco,  et  expose  et  disse  come 
li  pariva  che  li  castella  del  comuno  fussero,  da  quelli  gentili  homini 
che  li  tenivano,  restituite  alla  republica.  El  quale  conseglio  fu  facto 
nel  palazzo  ove  stavano  li  consuli  e  '1  dicto  confalonieri  a  piede  la 
piazza  del  comuno.  Et  in  fine  fu  deliberato  nel  conseglio  che  tutti 
dicti  castelli  fussero  renduti  alla  communità;  et  tutti  li  gentilhomini, 
ch'erano  nel  dicto  conseglio,  a  tal  deliberatione  dissero  ch'erano  con- 
tenti volerli  restituire,  et  con  questo  preposito  se  partirno  ;  et  questo 
consentirno  per  paura  del  popolo.  E  partiti  del  palazzo  et  tornati 
alle  lor  case,  che  stavano  nella  contrada  de  Sancto  Tomasso  et  di 
Sancto  Salvatore  (4)  et  di  Santa  Maria  Nova  et  di  Sancto  Salve- 
c.  35  B  stro,  ||Sse  radunarno  insiemi  (5),  et  ferno  tra  loro  uno  conseglio  nella 
chiesia  di  Sancto  Salvatore,  de  volere  occidere  el  dicto  messer  Pietro 
di  Valle.  Et  facto  tra  loro  gran  tumultu,  la  sequente  mattina  se  ar- 
niorno  con  tutti  loro  adherenti  et  andorno  al  palazzo  di  consoli.  Per 
la  quale  andata  subito  el  dicto  messer  Pietro  pigliò  adviso,  et  fé'  ser- 
rare le  porte  del  palazzo,  et  con  quelli  famegli  ch'erano  in  casa,  si 
difese  da  loro  gran  pezzo.  Lo  romore  si  spase  per  la  terra,  et  gri- 

(i)  V.  p.  216  e  350. 

(2)  Nel  testo  «  cliri  »;  in  margine  il  correttore  «  cavalieri». 

(5)  Neir  interlineo  «  el  quale»;  glossa  inutile  o  meglio  dannosa 
della  seconda  mano. 

(4)  S.  Tomasso  ove  ora  la  chiesa  della  Morte;  S.  Salvatore  ora 
S.  Cariacelo.  Come  si  vede,  le  case  de'  nobili  si  trovavano  raggrup- 
pate nel  centro  della  città;  per  quelle  del  popolo  minuto  si  confronti 
e.    27  A. 

(j)  Questa  frase  è  della  prima  mano,  ma  su  rasura  di  «  et  li  se 
«  adunarno  ». 


I 


Le  croniche  di   Viterbo  359 


davasi:  «  Viva  el  popolo  et  moiano  li  lupi  »  ;  et  giongendo  la  gente 
nella  piazza  del  comune,  cacciamo  li  gentili  homini  insino  la 
piazza  de  Sancto  Salvatore,  et  uccisero  doi  loro  famegli.  Poi  tornati 
in  piazza  del  cornano,  lo  dicto  messer  Pietro  elesse  di  loro  .ce.  gio- 
veni  et  miseli  sotto  el  palazzo,  et  tutti  l'altri  licentiò  che  andassero 
ad  mangiare  senza  disarmarsi,  et  quando  sentissero  el  romore,  venis- 
sero in  piazza,  et  cusi  fu  facto.  Ora  essendo  le  cose  quietate,  li  gen- 
tili homini  mandarne  ad  vedere  la  piazza  del  cornano  et  non  tro- 
vandoci persona,  loro  n'  andarno  in  piazza  con  tutto  loro  sforzo  et 
derno  la  battaglia  al  palazzo  di  consuli,  ondechc  (i)  subito  fu  levato 
el  romore  per  tutta  la  città,  e  tutto  el  populo  curse  nella  piazza  et 
pigliamo  tutte  le  strade  dintorno,  come  prima  era  stato  ordinato,  et 
messer  Pietro  mise  in  piazza  li  dicti  .ce.  giovani  bene  arditi  et  armati, 
li  quale  haveva  bene  governati  sotto  al  suo  palazzo;  et,  facendo  grande 
uccisione  di  gentilhomini,  li  cacciamo  via,  et  tutti  fugirno  fuore  de 
Viterbo;  et  dipo' loro  tornata  in  piazza,  trovarne  .xxiii.  gentili  homini 
morti.  Et  el  dicto  messer  Pietro  sequ'i  la  Victoria,  et  col  confalone 
del  populo  usci  ad  campo  alle  diete  castella  et  stectero  li  Viterbesi 
in  campo  .xiiii.  mesi  et  scarcorno  .xlviii.  castella  (2),  et  quanti  gen- 
tili homini  possivano  havere,  disfacivano  di  loro  robbe.  [j  Et  alcuni  e.  56  a 
che  s'arendivano  et  assegnavano  le  castella  in  pace,  li  remenarno  con 
loro  ad  Viterbo  senza  farli  impedimento;  et  questi  fumo  li  Brettoni, 
Alexandrini,  Tignosinl  et  Monaldeschi.  Et  fé'  fare  uno  statuto,  che 
nessuno  gentilhomo  potesse  havere  ofìfìtio  in  comune,  et  non  potesse 
uscire  della  selciata  de  piazza  per  andare  ad  casa  de  consuli.  Et  questo 
fu  nell'anni    1282  (3),  nel  tempo  di  papa  Martino  IIII,  el  quale  era 

(i)  Nell'interlinee,  del  correttore. 

(2)  Il  testo  del  Ciampi  dice  diciotto  i  castelli  disfatti;  i  mss.  Vi- 
terbese e  Ardenti,  p,  32,  concordano  col  nostro.  Il  cronista  si  guarda 
bene  dal  dire  che  non  tutte  le  imprese  furono  agevoli  e  fortunate  : 
andati  contro  Vallerano  i  Viterbesi  toccarono  una  grave  sconfitta  da 
Bertoldo  Orsini  della  quale  poterono  prender  vendetta  solo  piij  tardi, 
dopo  alleatisi  con  Pietro  di  Vico  e  da  lui  guidati.  Cf.  Pinzi,  Storia, 
II,  405  sgg.  Non  pare  però  che  vi  prendesse  parte  Pietre  della  Valle. 
La  fine  di  queste  coraggioso  popolano  non  è  conosciuta. 

(3)  luzzo  concorda,  Nicola,  pone  il  1281.  La  data  si  deve  ri- 
ferire alla  campagna  contro  i  nobili  nel  contado  e  allora  è  giusta. 
Quanto  durasse  lo  statuto  contro  i  grandi  non  sappiamo,  certo  non 
è  di  quest'anno,  come  credette  il  Cuturi,  Le  corporazioni  delle  Arti  nel 
comune  di  Viterbo,  in  questo  Archivio,  VII,  9,  la  costituzione  degli  otto 
priori  e  quattro  gonfalonieri. 


S6o  T.  Egidi 


stato  cre;Uo  papa  in  Viterbo  l'anno  nanti;  el  quale  papa  voleva  gran 
bene  alla  Jicta  città,  et  ad  prcghieri  del  populo  li  feTa-^solutione  (i). 

Poi  nell'anni  1294  fumo  pacificati  tutti  li  Viterbesi  et  tornarno 
tutti  li  g'ntil  honiini  che  stavano  fore  de  Viterbo  ;  tornarno  nel  tempo 
de  papa  Bonifacio  octavo,  che  fu  messer  Benedicto  Gaittano  (2),  et 
fu  penata  la  testa  ad  chi  rompesse  la  dieta  pace,  la  quale  fu  facta 
per  mano  di  dui  cardinali  (})  La  qual  pace  è  scritta  in  uno  pitaffio 
che  sta  nel  palazzo  del  podestà  de  Viterbo,  nella  facciata  dinanti,  et 
non  fu  perhò  (4)  disfacto  lo  dicto  statuto. 

In  sinc  alle  sopradicte  (5)  cose  ho  cavate  di  libri  delpredicto  mae- 
stro Girolimo  et  di  Nicola  de  Covelluzzo.  Hora  scriverò  per  l'evenire 
le  cose  comò  sonno  passate  in  Viterbo,  da  questo  sopradicto  dì  in 
poi,  secondo  mi  disse  uno  bono  et  antico  cittadino  de  Viterbo,  chia- 
mato Paulo  de  Perella,  che  si  trovò  et  vidde  lui  l' enfrascritte  cose 
in  fino  ad  questo  cii  .x.  de  luglio  145 5.  El  dicto  Paulo  era  di  età  de 
anni  .lxxxvii.  et  più  (6). 

Come  nanzi  [s'  è  dicto]  el  dicto  profecto  Sciarra  s'accordò  con 


(i)  «  1293.  A  dì  28  gennaro  rimase  in  Viterbo  nella  chiesa  di 
«  S.  Lorenzo  la  guancia  o  vero  mento  di  san  Giovanni  Battista.  E  nel 
«  detto  anno  fu  fatta  la  chiesa  di  S.  Nicola  delle  Vaselle.  In  quell'anno 
«  Ciciliani  occisero  tutte  le  genti  d'arme  de'  Francesi,  che  avevano 
«  in  Cicilia,  per  condotta  di  Giovanni  Procida  e  dell'  imperatore  Pa- 
«  leologo  di  Costantinopoli,  disceso  da  un  Viterbese  come  è  detto  di- 
«  nanzi  ».  N.  d.  Tuccia,  p.  33.  Cf.  il  nostro  a  e.  23  d,  anno   1281. 

(2)  Nel  ms  :  «  Cacto  »,   cancellato  e  seguito  da  «  Gaietano  ». 

(3)  Matteo  de  Aquasparta  vescovo  Portuense,  Napoleone  Orsini 
cardinale  di  S.  Adriano.  Ci  restano  alcune  tracce  del  lavoro  di  rappa- 
ciamento  nei  docc.  ccxii-ccxv  del  Savignosi,  L'  archivio,  e  nel  re- 
gesto di  Bonifacio  Vili.  Cf.  Pinzi,  Storia,  III,  19,  n.  2.  Ma  è  da  credere 
che  avvenisse  nel  1295. 

(4)  N.  D.  Tuccia  nel  testo  del  Ciampi  ha  :  «  più  ».  Credo  sia 
un  errore  dell'amanuense  che  pe^isò  la  frase  doversi  riferire  a  quel 
«  pitaffio  »  di  concordia,  infitto  nel  palazzo  del  podestà.  Non  potevano 
certo  aver  questa  intenzione  nò  Nicola,  nò  tanto  meno  il  cronista  del 
Trecento,  che  sapevano  bene  quante  e  quante  volte  la  pace  fosse  stata 
violata.  Invece  essi  vogliono  parlare  dello  statuto  che  allontanò  i 
nobili  dai  publici  oftìzi  nel  1282  e  che  sarebbe  rimasto  fermo  anche 
dopo  la  concordia. 

(5)  Su  rasura  delle  medesime  parole. 

(6)  V.  di  Paolo  p,  210. 


Le  croniche  di  Viterbo  }6\ 


papa  Bonifacio    nono   et  rimase   governatore  de  Viterbo,  anno  Do- 
mini  1394  nel  mese  de  maggio. 

Anno  Domini  1395.  EI  papa  volse  eh'  el  Profecto  li  rendesse  ci 
dominio  de  Viterbo,  et  el  Profecto  ricusò  che  no!  poteva  rendere,  per 
cascione  che  li  cittadini  profecteschi  non  volevano.  Per  la  qual  cosa 
el  papa  ci  mandò  el  campo  delle  gente  suoe,  sotto  conducta  del  Sarto 
et  di  Fiasco  da  Roma,  et  commissario  fu  messer  Ianni  Tomacelli,  fra- 
tello del  dicto  papa,  et  pusero  el  campo  al  ponte  Ruffiano  tra  Viterbo 
et  Bagnala,  et  stctterci   1 5  di. 

Poi  el  Profecto  s'accordò  con  la  Chiesia  et  mise  in  Viterbo  una  e.  56  u 
parte  de  li  cittadini  chiesiastri  ch'erano  stati  fore(i),  et  dicto  Paulo 
fu  uno  de  quelli  che  entrò.  L'altro  fu  Pietro  et  Paulo  di  Ranuccio, 
et  maestro  Gironimo,  Simonetto  di  Paltonuzzo,  Ioanne  di  prete  lenio. 
Tignoso  Palino,  messer  Petrone  et  altri  cittadini.  L'altro  dì  sequente 
entrò  Patio  et  Ranieri  et  Ioanne  di  Salvestro  Gatto  et  Ioanne  Lo- 
renzo di  Monaldeschi,  ser  Predo  Tignosini  et  Pietro  Paulo  di  Facta- 
studio,  Gianni  di  Francesco  et  messer  Francesco  Lanciotto  et  Giorgio 
suo  figliolo  et  Tuccio  Armato  la  Poltrigla  et  Tomasso  suo  figliolo, 
Pirotto,  Matteo,  et  Paulo  di  Mazzatosta,  Guglielmo  del  Todesco,  ser 
Ianni  Cocco,  Puccio  di  Scoiaio,  el  Tasso,  Angelo  de  lacobo  et  ser 
lovanni  de  lemmino  del  Cerroso,  Cola  di  Scoiaio,  Alexio  di  Gio- 
vanni de  Naido,  Urbano  de  Guidozzo,  Mennico  de  Ianni,  messer  Bello 
et  buono,  messer  Nicola  et  Ioanne  et  Antonio  de  Nicolazzo,  Mattia 
et  Urbano  et  ser  Mariotto  del  Sorce,  Chimento  loro  patre,  Angelo 
de  serFarolfo,  messer  Oddo  Alexandrini,  Andrea  et  Petruccio  de  To- 
masso, ser  Valentino  di  Corrado,  et  molti  altri  cittadini  chiesiastri,  li 
quali  s'erano  intesi  con  1  cardinale  de  Ravenna  et  dipo  rotto  el  dicto 
cardinale  questi  sopradicti  cittadini  fugirno  fuore  de  Viterbo.  Hora 
essendo  Viterbo  venuto  nelle  mani  del  papa,  el  Profecto  si  parti  di  Viterbo 
et  portò  tutta  la  robba  sua  et  andossine  ad  Vetralla,  et  con  lui  se  ne 
andaro  molti  cittadini  suoi  amici  (2),  cioè  Gianni,  Biascie,  Angustino, 
Crucifisso,  Calcagnone  di  Lanfanelli  et  ser  Girardo,  le  qual  case 
stavano  ad  Sancta  Croce,  Pietro  et  Giovanni  et  Nicola  et  messer  Bar- 
tholomeo  de  Scardabone,  Paulo  di  Tuccio  di  Bernardo,  Paulo  de 
maestro  Gianni,  messer  Andrea  Capoccio,  messer  Nicola  Victore,  et 
molti  altri  cittadini,  che  non  si  recordavano  ad  dicto  Paulo. 


(i)  N.  D.  Tuccia,  p.  45,  omette  i  nomi  e  continua  «  e  si  partì 
a  con  buon  accordo  «.  Sono  dati  da  luzzo  con  leggere  varianti  gra- 
fiche. 

(2)  La  stessa  osservazione  precedente. 


S62  T.  Kg  idi 


Et(i)  per  cascione  eh'  el  prefato  Profecto  haveva  facte  scarcare 
le  case  de  Salvestro  Gatto  nella  piazza  de  Sancto  Stefano,  papa  Bo- 
nifacio donò  Celleno  al  dicto  Salvestro,  che  haviva  riceute  danni  dal 
e.  57  A  Profecto.  j]  Et  poi  che  le  cose  fumo  reposate,  el  dicto  papa  fé'  rifare 
parte  della  roccha  de  Viterbo  et  cominciò  ad  porre  la  terzaria  alla 
dieta  città,  che  mai  innanzi  s'era  pagata;  et  anque  si  paga,  che  sonno 
ducati  mille  d'oro  l'anno,  s\  che  ogni  gattiva  usanza  che  si  mette  in 
questa  nostra  città,  se  mantiene.  Anche  el  dicto  papa  fu  el  primo 
che  fusse  signore  de  Roma,  che  prima  Roma  era  stata  libera;  e  fé' 
rifare  el  Castello  de  Sancto  Angelo,  ch'era  guasto.  Et  ad  questa  su- 
gectione  si  pusero  li  Romani,  perchè  el  dicto  papa  stava  ad  Peroscia 
et  non  voleva  stare  in  Roma:  poi,  tornato  in  Roma,  volevano  la  loro 
libertà,  et  el  papa  volse  essere  pure  signore  et  fé'  tagliare  la  testa  ad 
Petruccio  de  Savo  et  ad  una  gran  brigata  di  cittadini  romani  (2). 

Anno  Domini  1399.  Fu  l'anno  delli  Bianchi,  cioè  gran  multitu- 
dine  de  Franciosi  si  mossero  de  Francia  et  altri  tramontani,  et  tutti 
vestiti  de  panno  de  lino  bianchissimi,  vennero  ad  Roma,  et  tutto  il 
mondo  si  mosse,  cioè  tutta  la  cristianità  (5),  venendo  ad  Roma  con 
gran  devotione,  facendo  pace  tutti  li  discordanti. 

Anno  Domini  1400.  Lo  papa  fece  l'anno  del  giubileo  et  fu  anno 
sancto,  et  in  quel  anno  fu  grandissima  mortalità:  et  dice  el  dicto 
Paulo,  che  fumo  numerati  per  lo  vescovo  de  Viterbo  che  morirno 
abitanti  in  Viterbo  .vi™vi'=LXin.  persone  tra  grandi  et  piccoli  (4). 

Anno  Domini  1402.  Mori  papa  Bonifatio  nono  et  fu  facto  papa 
Innocentio  (5).  Nel  qual  tempo  li  Romani  volevano  la  loro  libertà, 


(i)  Al  posto  di  questo  periodo  N.  d.  Tuccia  scrive:  «Silvestro 
'<  Gatto  eoa  Giovanni  suo  figliuolo  e  altri  suoi  fratelli  supplicorno 
f  il  papa  li  dovesse  restituire  li  loro  danni  per  le  case  l'aveva  fatte 
«  scarcare  il  Prefetto.  Il  papa  li  concesse  la  roba  di  un  cittadino  [chia- 
«  mato  lacobo  di  Nello]  partito  da  Viterbo  col  Prefetto.  Fu  una  bella 
a  casa  di  rincontro  a  S.  Chirico,  orti  aquatili,  vigne  e  altre  posses- 
«  sioni  »  ;  p.  45. 

(2)  N.  D.  Tucci.\,  p.  46,  erratamente  «  Petruccio  di  Sacco  ». 
Cf.  Infessura,  Diario,  p.  8  sg.  Nicola  ha  qui  più  parole,  senza  nes- 
sun divario  sostanziale. 

(j)  Nel  nis.  «  Xf nta  ». 

(4)  N.  D.  T'JcciA,  p.  46,  qui  invece  che  all' a.  1595  pone  la 
notizia  del  tributo  annuo  di  1000  scudi  messo  dal  papa  sopra  Vi- 
terbo. 

(5)  Errato, mentre  è  giusto  a  e.  41  a  e  in  Nicola  (1°  ottobre  1404): 


L.C  croìiiche  di   ì^i/crbo  ^6^ 


che  havivano  perduta  per  loro  tristitia,  onde  uno  nepote  del  dicto 
papa,  chiamato  messer  Ludovico  da  Sermona,  uccise  .xiii.  cittadini 
de  Roma  ad  Sancto  Spirito  de  sua  propria  mano;  cioè  lui  li  dava 
el  primo  colpo  con  una  accettella,  et  uno  suo  ragazzo  li  forniva  (i). 
Per  la  qual  cosa  si  levò  gran  romore  in  Roma;  el  papa  fugi  ad  Vi- 
terbo et  io  lo  vidi;  (1406)  venne  di  settembre  et  stetteci  sei  mesi; 
poi  li  Romani  li  recamo  le  chiavi  delle  porte  di  Roma  in  Viterbo 
et  pregarlo  che  tornasse  ad  Roma,  et  lui  tornò  (2). 

In  quel  tempo  fu  uno  cittadino  de  Viterbo,  chiamato  el  Bracha  (3), 
altramente  Pietro  Paulo,  el  quale  fu  homo  d'arme,  el  quale  di  po'  la 
morte  di  papa  Bonifacio  si  parti  et  andò  con  doi  suoi  compagni, 
r  uno  chiamato  Giannino  della  Treccia  et  l'altro  Giannino  da  Ber- 
gamo, con  trecento  cavalli  ad  uno  castello  chiamato  Tocco,  in  quello 
dell'Aquila,  el  quale  si  teneva  per  lo  re  Lansilao  di  Napuli;  el  qual 
castello  era  del  dicto  re,  che  altro  che  quello  et  Gaeta  non  haviva. 
Et  entrando  li  dicti  homini  d'arme  in  dicto  Tocco,  roppero  guerra 
con  tutto  el  reame  di  Napuli,  gridando  :  «  Viva  el  re  Lansilao  «  ;  et 
tanto  seppe  fare  el  dicto  Bracha  con  soi  compagni,  che  acquistarno 
tutto  il  reame  per  lo  dicto  re,  et  prima  fu  l'Aquila.  Per  la  qual  cosa 
el  dicto  Bracha  fu  facto  signore  di  Calabria  di  sopra  et  poi  della  Ca- 
labria di  sotto,  et  fu  facto  conte  di  Belcastro  (4)  et  marchese  di  Co- 

sbaglia  anche  1'  Ikfessura  :  «  Dell'anno  1404  dello  mese  di  settembre 
«  die  primo  se  morio  papa  Bonifatio  nono  ».  Diario,  p.  8.  Innocenzo 
fu  eletto  ai  17  ottobre.  Eubel,  Das  Ilinerar  Scc.  p.  559. 

(i)  A  dì  6  di  agosto  1405  secondo  Saba  Giaffri  e  secondo 
l'EuBEL,  Dai  Itinerar  &c.  p.  559;  1' Ikfessura,  p.  11,  per  errore  an- 
ticipa il  fatto  di  un  giorno.  Intorno  a  questi  avvenimenti  vedi  la  bella 
monografia  di  I.  Giorgi,  Relazione  di  Saba  Giaffri,  notaio  di  Trastevere, 
intorno  alla  uccisione  di  undici  cittadini  romani  &c.  in  questo  Archivio, 
V,  165  sgg.  e  quella  più  recente  di  P.  Brand,  Innccenxp  VII  e  il  delitto 
di  suo  nipote  Ludovico  Migliorati  in  Studi  e  doc.  di  storia  e  diritto, 
a.  XXI,  fase.  1-3,  p.  179  sgg.,  di  cui  cfr.  recensione  in  questo  fascicolo. 

(2)  Parti  di  Roma  lo  stesso  giorno  del  delitto,  l'ambasceria  fu 
mandata  in  settembre  e  il  papa  tornò  a  Roma  ai  15  marzo  del  1406. 
Infessura,  pp.   12,  14.  Cf.  Eubel,    Das  Itinerar  &c.  p.  545. 

(3)  La  prima  mano  aveva  scritto  k  Braca  »,  la  seconda  nell' in- 
terlineo «  Bracha  ».  Cosi  pure  ogni  altra  volta  il  correttore  ha  ag- 
giunto per  lo  meno  la  h  nell' interlineo. 

(.1)  K  Bracca  Viterbiensis  Polycastri  comes  »  ;  Crivelli,  De  rebus 
gestis  Sfortiae  in  Muratori,  R.  I.  S.  XIX,  651;  «  B razza  da  Viterbo 
ff  conte  di  Policastro  »  ;  Collen'UCCIo,  Compendio  della  storia  di  Napoli. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  24 


e.    57  B 


3(^4  '^-  ^gì<ii 


trona,  el  quale  l'acquistò  lui  col  braccio  del  dicto  re,  et  fu  viceré  de 
tutto  il  reame;  et  ad  queste  cose  si  trovò  ci  dicto  Paulo  (i).  Intra 
l'altre  prodezze  che  facesse  el  dicto  Bracha  nel  dicto  reame  fu  che 
lo  re  Lansilao  lo  mandò  centra  la  città  di  Cosenza  in  Calabria  et 
menò  con  lui  seicento  cavalli  et  cinquecento  fanti  ad  piede,  et  gion- 
gendo  nel  dicto  paese  entrò  in  una  valle  per  fare  la  curraria  et  predare 
r  inimici.  Per  la  qua!  cosa  li  villani  del  paese  si  adunarne  da  tutte 
le  parte  d' intorno  et  [presero]  tutti  passi,  assediando  el  dicto  Bracha 
con  le  gente  suoe  per  modo  che  non  si  potivano  partire.  Facivano  e 
dicti  paiesani  gran  remore,  gridando:  «  darne,  carne  »;  et  di  loro  non 
volivano  altro  che  carne  et  potivano  ben  dire,  imperhò  che  erano 
più  di  .XX.  milia  persone  centra  ad  .xi.  centonara.  Per  la  qual  cosa 
el  Bracha  si  consigliò  con  le  suoi  genti  et  disse:  «  Pigliati  di  dui  partiti 
«  l'uno:  o  volete  vivare  con  vergogna,  o  morire  con  honore  ».  E  tutti 
resposero:  «  Volemo  prima  morire  con  honore,  che  vivere  in  vergo- 
«  gnia  ».  Et  cusi  deliberarno  darsi  adosso  all'  inimici  et  uccidere  quanti 
e.  58  A  ne  II  giongevano  ;  et  adzuflandosi  insieme,  tanti  et  tanti  no  uccisero, 
che  saria  incredibile  a  dire  et  in  fine  tutti  li  mise  in  rotta  (2).  Et  cusì 
prestamente  pigliati  infiniti  prescloni  li  fé' tutti  legare  a  dodeci  per  fune, 
et  con  queste  dozine  inante  si  andò  alle  porte  di  Cosenza  ;  per  la  qual 
cosa  tutti  i  contadini  et  cittadini  d'intorno  li  mandarne  ambasciatore 
con  la  carta  biancha  in  mano,  et  cusì  tutti  si  renderò  ad  discretione 
del  dicto  Bracha.  Et  Bracha  l'accettò  et  pigliò  di  loro  la  vera  si- 
gnoria el  tutti  li  riscosse  ad  denari  contanti,  et  tanti  migliaia  di  ducati 
ne  cacciò  di  loro,  che  ne  carchò  parecchi  muli  et  tutti  li  mandò  al 
re  Lansilao,  el  quale  re  era  povero  de  denari,  che  di  pocho  tempo 
haviva  acquistato  Napoli  et  il  reame  (3).  Poi  el  dicto  Braca  s' ingi- 


(i)  X.  D.  Tuccia,  p.  47,  omette  questo  periodo,  invece  aggiunge: 
«  Il  Braga  e  compagni  andorno  a  Gaeta  e  tanto  pregorno  la  regina, 
«  che  li  fidò  suo  figliolo  con  paura  grande.  Questi  homeni  d'  arme 
«trascorsero  tutto  detto  reame  e  in  poco  tempo  ne  ferno  padrone  e 
<f  signore  il  detto  re  Lancislao  e  lo  misero  in  Napoli.  Per  la  qual 
«  cosa  il  re  pose  grande  amore  al  Braga.  Il  duca  di  Calabria  non 
«  si  portava  troppo  bene  con  detto  re,  onde  il  re  mandò  il  Braga  in 
«  Calabria  contro  la  città  di  Cosenza  ». 

(2)  N.  D.  Tuccia  compendia  il  racconto  e  pone  il  grido  «  carne  » 
in  bocca  al  Braca,  p.  48. 

(j)  N.  D.  Tuccia  omette  il  resto  delle  imprese  del  Braca  e  le 
notizie  intorno  agli  altri  condottieri  di  ventura  viterbesi  :  luzzo  invece 
è  conforme  al  nostro,  p.  49. 


Le  croìiicltc  Ji   \'i!erbo  365 


nocchio  (i)  ni  dicto  re  tutti  li  signori  de  Sancto  Severino,  et  poi 
cli'el  re  n'hebbe  nelle  mani,  li  fé'  morire  et  imbalsimare  in  una  sala 
con  molti  altri  signori  del  reame  eh'  erano  stati  inimici  suoi  ne  li 
tempi  passati.  Anque  el  dicto  Bracha  guerrigiò  con  Gentile  da  Mon- 
tarano  nelli  confini  del  reame  in  Campagna,  et  pigliò  el  dicto  Gen- 
tile (2)  et  fu  riscosso  tanti  ducati  d'oro  quanto  lui  pesava  di  carne. 

Poi  eh'  el  dicto  re  hebbe  Roma,  per  la  fugita  di  papa  Gio- 
vanni XXIII  nel  [415  a  dì  8  de  giugno  (3),  el  dicto  re  passò  più 
inanzi,  pigliando  molte  terre  della  Chiesia  et  lassò  el  dicto  Bracha 
in  sua  vice  et  fu  signore  di  Roma.  Essendo  el  dicto  Bracha  in  Roma, 
mandò  auibasciatori  al  comune  di  Viterbo  che  voleva  venire  ad  vi- 
sitare casa  sua  et  li  suoi  cittadini.  Per  la  qual  cosa  li  fu  resposto  che 
venisse  solo  con  .xxx.  cavalli  et  saria  ben  receuto.  Lui  respose  prima 
che  non  (4)  ci  voleva  venire,  et  pigliò  alquanto  disdegno;  poi  mandò 
el  dicto  Paulo  di  Perella  ad  Viterbo  et  tenne  corte  bandita  (5)  nella 
casa  del  dicto  Bracha,  presso  la  chiesia  di  Sancto  Martino  (6),  et  fé' 
honore  ad  quante  gente  ce  volevano  andare  ;j|  et  durò  uno  mese  in-  e.  58  u 
tegro.  Anque  fu  sua  Orte  et  altre  terre,  et  pigliò  per  moglie  la  so- 
rella de  Antonio  Colonna.  Et  di  poi  ch'el  dicto  re  morì,  lui  se  tornò 
nelle  terre  suoi,  et  li  vi  hebbe  longa  vita;  poi  morì  di  morte  na- 
turale. 

Un  altro  valente  conductierdi  gente  d'arme  hebbe  Viterbo  chia- 
mato Capoccino  (7)  et  haviva  con  seco,  sotto  di  se  .vi*^.  cavalli,  et 
trovossi  avanzati  contanti  pii^i  di  .xl.  milia  ducati  d'oro.  Et  stette  con 
messer  Baldassarre  Cossa,  quello  che  fu  poi  papa  Giovanni  XXIII, 
et  fé'  gran  guerra  contra  messer  Octo  Bonterzo  in  quello  di  Bologna. 

Molti  altri  conductieri  et  huomini  d'armi  viterbesi  fumo  in  quel 
tempo,  che  saria  longo  ad  farne  mentione,  et  sotto  sopra  li  Viterbesi 

(i)  Così  il  ms.  Io  credo  sia  errore  di  trascrizione  da  «  siugiucò  », 
soggiogò. 

(2)  Ai  6  dicembre  14 io.  Diarii  napoletani  in  Muratori,  R.  I.  S. 
XXI,  1074. 

(5)  Infessura,  Diario,  p.  19,  erroneamente:  «nel  mese  di  iu- 
«  glio  ».  Cf.  EuBEL,  Das  Itinerar  &c.  p.   564. 

(4)  Nel  ms.  «che  prima  non...».  Credo  sia  avvenuta  una  me- 
tatesi per  colpa  dell'amanuense. 

(5)  Ms.  «  sbandita  »  con  la  s  cancellata. 

(6)  Atterrata  nel  1576  per  aprire  la  strada  nuova  (via  Cavour): 
era  presso  il  palazzo  Polidori. 

(7)  È  quello  stesso  che  troveremo  più  sotto  col  nome  di  Riccio. 
Pinzi,  Storia,  III,  510,  n.  5. 


^ 


66  T,  Esrtdi 


che  vanno  al   soldo   sonno   valenti  homini  et  capitani    bene  per  lo 
loro  buono  indiistriare. 

Un  altro  valente  homo  d'  arme,  che  ebbe  bona  conducta  di  ca- 
valli, chiamato  Santoro  da  Viterbo.  Un  altro  valente  homo  d'arme, 
chiamato  Pierciotto  da  Viterbo,  hebbe  bona  conducta  di  cavalli.  Un 
altro  valente  homo  d'  arme  chiamato  Paulo  della  Fornaia  dil  piano 
di  Scarlano.  Un  altro  valente  homo  d'arme,  chiamata  Petruccio  della 
Caldussa  da  Viterbo.  Un  altro  valente  homo  d'arme  chiamato  Pa- 
tacchia  da  Viterbo. 

Anno  Domini  1404.  Mori  papa  Bonifacio  nono  et  fu  facto  papa 
Innocentio  ;  poi  fu  facto  papa  Alexandre  et  papa  Gregorio,  poi  fu 
facto  papa  Giovanni  XXIII  {i). 

[Anno  Domini]  141 5.  Fug'i  di  Roma  papa  Giovanni  et  il  re  Lan- 
silao  hebbe  Roma  (2).  Nel  dicto  anno  la  nocte  de  sancto  Tomasso 
entrò  in  Viterbo  l'abate  Lanciotto,  figliolo  di  Gianni  de  Francesco, 
et  fu  morto  dentro  la  prescione:  et  fumo  impiccati  .xviii.  fanti  de 
Paulo  Ursino  come  qui  de  sotto  appare, 
-g  X  Anno  Domini  141 5  (3).  Poi  ch'el  re  Lansilao  hebbe  Roma,   si 

fugi  de  Viterbo  l'abbate  de  Sancto  Martino  del  Monte,  et  Giorgio 
di  Gianni  de  Francesco  suo  fratello.  Poi  la  nocte  di  sancto  Tho- 
masso  nel  dicto  anno  (4),  el  dicto  abate  col  braccio  di  Paulo  Ur- 
sino ruppe  il  muro  del  suo  palazzo  alla  porta  de  Salcicchia,  et  entrò 
dentro  con  molte  gente  del  dicto  Paulo,  et  pigliamo  San  Sixto,  et 
in  sine  la  piazza  del  cardinale.  Et  uno  cittadino,  chiamato  Riccio, 
con  .XVI.  fanti  gionse  insino  ad  casa  del  dicto  Giorgio  et  comen- 
zarno  ad  mettere  a  saccomanno  la  robba  d'uno  homo  d'arme,  chia- 
mato Antonino  Cortese,  che  stava  nella  dieta  casa;  per  la  qual  cosa 
li  Viterbesi  comenzaro  ad  gridare:  «  Molano  li  furistieri  »,  et  ad  pi- 
gliare r  arme.  Regnavano  in  Viterbo  una  casa  di  gentili  et  nobili 
homini  chiamati  Gatteschi  ;  li  principali  fumo  Patio  et  Giovanni  suo 
fratello,  Petruccio  loro  nepote  carnale,  Antonuccio  figliolo  del  dicto 
Giovanni  et  altri  loro  figlioli,  li  quali,  corno  sentirne  si  facto  romore, 


(i)  Cf.  ce.  37  A  e  41  A. 

(2)  «Dell'anno  141 3  dello  mese  di  yugno  venne  lo  re  Lanci- 
<' slao  da  Napoli  a  Roma...  et  per  questa  cascione  dello  re  se  partì 
«  papa  Ianni  de  Roma  et  gissene  a  Fiorenza  et  partivose  nel  mese 
«di  luglio»;  Infussura,  Diario,  p.  19.  Parti  l'S.  Eubel,  Das  lline- 
rar  &c.  p.   564. 

(3)  Cf.  N.  D.  Tuccia,  p.  49,  r.  9  sgg. 

(4)  21  dicembre. 


Le  croniche  di  Viterbo  367 


pigliamo  l'arme  et  adunarne  el  popolo  et  andnro  centra  a  li  dicti 
furistieri  et  rupporli  et  cacciarli  via,  et  pigliamo  el  dicto  abate  et  il 
Riccio  con  assai  fanti  della  compagnia  d'uno  conestavile  chiamato 
Giovanni  Starli,  et  fumo  impiccati  all'  anella  del  palazzo  del  pote- 
stà .XVIII.  et  morto  el  dicto  abate  dentro  la  prescione,  da  quelli 
fanti  prescioni  che  haveva  menato  lui.  Si  che  in  tutto  ce  morirno 
29  persone  et  Giorgio,  fratello  del  dicto  abate,  fugì  et  annegossi  nel 
Tevere  presso  ad  Baschie. 

Anno  Domini  1414(1).  Fu  facto  in  Viterbo  uno  gran  tumultu, 
et  adunarsi  assai  cittadini  contra  i  dicti  Gacteschi  alla  chiesa  di 
Sancto  Giovanni  de  la  Cocciela  (2)  ;  per  la  qual  cosa  Patio,  Giovanni, 
Petruccio  et  Antonino  con  li  loro  adherenti  si  n''  andarno  alla  chiesia 
de  Santo  Sixto,  et  li  loro  inimici  l'andaro  ad  trovare;  et,  facendo 
tra  loro  gran  battaglia  per  uno  pezzo,  in  fine  li  Gacteschi  fumo  |i  ven-  e.  39  b 
citore  et  cacciorno  loro  inimici,  li  quali  tutti  fugirno  dalla  porta  de 
Sancto  Matheo  delP  Abate,  imperhò  scassarne  le  serrature  et  havi- 
vano  messi  in  su  la  torre  dui  loro  amici,  li  quali  corno  gionsero  li 
Gatteschi,  poco  si  tennero  che  non  si  renderò  prescioni;  et  molti 
Viterbesi  fugirno  via  et  fumo  facti  esciti.  Et  in  quel  tempo  mori 
in  Viterbo  uno  rectore  del  Patrimonio,  chiamato  messer  Baptista. 

Anno  Domini  1416  (5).  Paulo  Orsino  con  tutti  1'  esciti  venne 
ad  campo  ad  Viterbo,  et  posesi  al  casale  del  Trasoriero  et  ad  San- 
cta  Maria  del  Paradiso,  et  ruppero,  la  nocte,  el  muro  ad  presso  al 
palazzo  dello  imperatore;  et  quando  comenzavano  ad  forare  (4)  dentro 
el  muro,  fumo  sentiti  da  uno  delle  guardie,  el  quale  si  chiamava  Pietro 
de  Menichello.  Setterci  dentro  ad  campo  circa  .viii.  di,  et  fumo 
morti  assai  di  loro  ;  poi  si  partirne  senza  bavere  niente  et  andossine 
Paulo  Orsino  ad  Colfiorito  et  fu  morto  da  Ludovico  Colonna   (5). 


(i)  Cf.  N.  D.  Tuccia,  p.  50,  r.  15  sgg. 

(2)  Ora  S.  Giovanni  in  Zoccoli. 

(^)  Cf.  N.  D.  Tuccia,  p.  50,  r.  23  sgg. 

(4)  Nel  ms.  prima  era  «  scarcare  »  ;  la  correzione  fu  fatta  dalla 
prima  mano. 

(5)  «  Dell'anno  1416  del  mese  di  agosto  Braccio  et  Tartaglia 
«  dell'Avello  furo  alle  mani  con  Paolo  Orsino  nello  tenimento  di  Fo- 
tc  ligno  et  Io  ditto  Paolo  fu  morto;  occisolo  Lodovico  Colonna  che 
«stava  allo  soldo  con  Braccio  de  Montone  da  Perosia»;  Ixfessura, 
Diario,  p.  21.  Nel  protocollodel  notaro  Paolo  Marti  (141 1-1451),  con- 
servato nell'archivio  notarile  di  Magliano  Sabino,  a  e.  7  b,  «.mccccxvi. 
«tempore  supra  dicto  et  mense  augusti  die  .v.  fuit  detractus  de  hoc 


S6S  T.  Egìdi 


Anno  Domini  1419  (i).  Fumo  pigliati  circa  450  Viterbesi,  li 
quali  andavano  in  soccurso  de  Sforza  da  Cotognola  et  fumo  pigliati 
da  la  compagnia  de  Braccio  et  di  Tartaglia  nella  contrada  di  Molano 
presso  la  selva  di  Sancto  Secondo  a  di  15  de  giugno.  Et  dicto  Sforza 
fu  ingannato  dai  Montilìasconesi  che  si  dectero  ad  Braccio  et  ad 
Tartaglia,  et  Sforza  in  quella  sera  se  n'  andò  a  loggiare  ad  Ferenti, 
poi  la  mattina  per  venire  presto  ad  Viterbo  si  miseno  alla  fila  et  li 
inimici  si  dectero  in  mezzo  di  loro,  e  pigliami  assai  et  tolserli  mol- 
tissima robba,  et  fu  a  dì  14  del  dicto  (2).  Et  a  di  15  si  pose  Braccio 
et  Tartaglia  ad  campo  sopra  la  grotta  de  Riello,  dove  rescie  l'acqua 
et  stettero  l'i  .xv.  di,  poi  si  partirno  senza  possere  bavere  niente. 
e.  40 A  Era  in   quel    tempo    in  Viterbo  grandissima   mortalità  et  gran- 

dissima fame  et  valeva  la  soma  del  grano  .viii.  ducati  d'oro:  et  fumo 
tre  case  de  Viterbo  che  ferno  el  pane  ad  vendere,  et  fu  estimato  che 
si  faceva  della  soma  del  grano  .lx.  fiorini  (5);  et  cusi  Viterbo  in- 
sieme hebbe  mortalità,  fame  et  guerra.  Molte  scaramucce  fumo  facte 
et  sempre  Sforza  avantagiava.  Era  al  soldo  di  Sforza  uno  valente 
homo  d'  arme  viterbese  chiamato  Riccio  el  quale  si  operò  assai  nella 
dieta  guerra  et  giostrando  con  uno  homo  d'  arme  di  Tartaglia,  li 
passò  la  spalla  da  l'uno  lato  a  1'  altro.  E  cus'i  come  io  ho  dicto,  el 


«  seculo  noster  dominus  ac  verelissiraus  (?)  capitaneus  Paulus  de  Ur- 
«  sinis,  a  gentibus  Brachii  de  Forte  brachio  de  Montone  et  a  genti- 
«  bus  Tartaglie  de  Avello  in  CoUeflorito.. .  et  fuìt  interfectus  a  Lo- 
«  dovico  Colonna  ».  Nella  e.  6  B  c'è  l'altra  nota:  «  .mccccxiiii, 
«  tempore  supradicto  [Ioannis  XXIII]  fuit  captus  Paulus  de  Ursinis 
o  a  rege  Ladislao  et  stetit  in  roccha  Salerni  circha  duos  annos  et  in 
«  ilio  tempore  spiravit  dominus  rex  Ladislaus  de  hoc  seculo  ». 

(i)  Cf.  N.  D.  Tuccia,  p.  50,  r.  35,  p.  52,  r.  j,  ha  tutto  il  rac- 
conto del  frate,  spesso  con  le  stesse  parole  :  aggiunge  solo  due  o  tre 
notizie. 

(2)  Vedi  le  enfatiche  descrizioni  di  queste  due  battaglie  in  Cri- 
velli, op.  cit.  col.  68j  e  col.  694  sg.  Cf  Pinzi,  III,  526-530.  Fa- 
cilmente a  questa  battaglia,  sebbene  non  esatte,  si  riferiscono  le  pa- 
role di  A.  DE  Tu.MMULiLLis,  Notubilia  temporum  in  Fonti  per  la  storia 
d' Italia  pubblicate  a  cura  deli'  Ist.  Stor.  Ital.  da  A.  Corvisieri,  p.  25: 
«...quem  [Lancislaum],  ut  fortuna  voluit,  magnificus  armorum  ca- 
ci pitaneus  Brachius  de  Fortebrachiis  supra  relatus  debellavit,  illuni 
«  persequendo  in  bello  usque  ad  portas  Viterbii,  ubi  evasit  cum  pau- 
«  cis  de  gentibus  suis  ». 

(j)  N.  D.  Tuccia:  «40  fiorini». 


Le  croniche  dì   Vilei'bo  369 


campo  se  n'andò  via:  Tartaglia  ad  Toscanclla  et  Braccio  ad  Pe- 
roscia.  Et  el  dicto  campo  si  partì  per  cascionc  ciie  sentirno  come  el 
conte  Francesco,  figliolo  di  Sforza,  era  ad  Canapina  gionto,  et  ve- 
niva in  soccorso  al  patre. 

Poi  Sforza  andò  et  mise  ad  saccomanno  Capitona  et  Liibriano 
et  recamo  ad  Viterbo  grano  assai  et  uva  passa  et  altra  robba.  Poi 
Sforza  fé'  una  cavalcata  in  quello  de  Peroscia  et  menò  tanto  bestiame 
vaccino  che  fé'  in  Viterbo  grande  abundantia  de  ogni  cosa  et  conti- 
nuamente andava  ad  offendare  Toscanella.  Poi  Sforza  fé'  fabricare  in 
Viterbo  parecciiie  barche  de  botte  marinaresche,  nella  chiesia  di 
Sancta  Maria  della  Verità,  et  portoli!  di  nocte  tempo  al  laco  di  Marta; 
et  tutti  r  omini  d'arme  soi,  eh'  erano  stati  pigliati  et  messi  neh'  isola 
da  Braccio  et  Tartaglia,  cavò  fuore  et  menoUi  ad  Viterbo.  Poi  si 
parti,  et  andò  verso  Roma. 

Nel  dicto  anno,  a  1' escita  d'agosto,  tornò  ad  campo  a  Viterbo 
el  dicto  Braccio  et  Tartaglia,  et  pusersi  tra  Viterbo  et  Bagnaia  et 
ogni  sera  si  faciva  facti  d'  armi  presso  la  porta  di  Sancta  Lucia,  nel 
piano  II  presso  Sancta  Chaterina,  ove  el  dicto  Riccio  si  provò  tanto  e.  40  b 
valentemente  che  mai  fino  Braccio,  insino  che  l'ebbe  al  soldo  suo. 
Et  venne  poi  el  dicto  Riccio  in  conducta  di  seicento  cavalli  et  morì 
poi  di  morte  naturale  in  Lombardia.  Havendo  Sforza  sentito  come 
el  campo  era  tornato  ad  Viterbo,  si  mise  in  ponto  con  la  sua  com- 
pagnia et  veniva  ad  trovarli  ;  per  la  qual  cosa  Braccio  et  Tartaglia, 
come  lo  sentirne,  se  n'andarno  via:  Braccio  ad  Peroscia  et  Tarta- 
glia ad  Toscanella.  Sforza  con  li  Viterbesi  andò  ad  campo  ad  Mon- 
tefiascone  a  l'entrata  di  septembre,  et  in  uno  dì  li  Montifiasconesi 
s'accordarono  con  Sforza.  Poi  Sforza  et  Giovanni  Gatto  se  (1)  andarno 
ad  Fiorenza  ad  visitare  papa  Martino  quinto,  et  fé'  fare  dal  papa  Bal- 
dassarri  suo  figliolo  abate  de  Sancto  Martino  del  Monte  e  fé'  fare 
messer  lacobo  Gorzalino  vescovo  di  Viterbo  (2).  Poi  alla  loro  tor- 
nata, fé'  pace  con  Tartaglia  et  fello  adconciare  ai  soldo  della  Chiesia 
et  andò  ad  Fiorenza.  (1420).  Et  alla  sua  tornata  curse  ad  Suriano  et 
pigliò  molti  prescioni  et  puse  l'assedio  (3)  per  lo  papa.  El  castellano,  che 
se  chiamava  Giovanetto  di  Magna  monte,  s'areudè  et  portossine  la 
robba  sua,  et  de  compagnia  (4)  ad  Fiorenza,  et  lassò  Suriano  al  papa, 


(i)  «  Gatto  se  »,  su  rasura. 

(2)  Iacopo  Ugozolini  nominato  ai   17  dicembre   141 7. 
(5)  Ms.  «  l'assedio  per  l'assedio  »;  però  lo  tre  ultime  parole  can- 
cellate. 

(4)  Ms.  «  et  de  q  ». 


370  "V.  lìi>idi 


et  fu  de  state:  Taviva  tenuto  trenta  anni  (i).Nel  dicto  anno  papa  Mar- 
tino se  parli  da  Fiorenza  et  venne  ad  Viterbo,  et  di  voluntà  di  Giovanni 
Gatto  reniise  l'esciti  in  Viterbo,  salvo  .xviii.  esciti  ad  voluntà  del 
dicto  Giovanni;  tra  quali  ce  vennero  certi  esciti  ch'erano  usciti  col 
Profecto  .XXV.  anni  innanzi;  e  poi  el  dicto  se  n'andò  ad  Roma, 
e.  41  A  Anno  Domini  1421.  Fé'  Sforza  tagliare  la  testa  ad  Tartaglia  in 

Aversa  di  voluntà  del  papa  (2).  Et  li  signori  priori  di  Viterbo  con  le 
gente  de  Pier  Brettoldo  da  Farnese  andarno  ad  campo  ad  Toscanella  ; 
et  li  Toscanesi,  come  sentirno  la  morte  di  Tartaglia,  se  dectero  alla 
Chiesia,  et  cus'i  tutte  le  terre  che  teniva  Tartaglia,  cioè  Comete, 
Castro,  Montalto,  Canino,  Marta,  Sipicciano  et  altre  castella. 

Anno  Domini  1422.  Sforza  s' anegò  nel  fiume  della  Pescara  (3). 

Anno  Domini  1425.  Braccio  fu  rotto  et  morto  all'Aquila  (4)  da 
le  gente  della  Chiesia,  tra  quali  ci  fu  ci  conte  Francesco  Sforza  et 
mosser  lacobo  Caldoro. 

Anno  Domini  1424  (5),  Papa  Martino  fé'  l'anno  sancto,  et  molta 
gente  venne  a  Roma  al  perdono,  et  fu  gran  piace  per  tutto  el  paese 
nostro,  et  fu  sopra  l'abundantia  di  Roma  uno  nostro  cittadino,  chia- 
mato Giovanni  di  luzzo,  el  quale  mise  in  Roma  per  mare  et  per 
fiume  circa  sedeci  migliara  de  some  de  grano;  et  liebbe  gran  fatica 
con  poco  merito.  Et  nota  che  valeva  el  grano  28  carlini  el  ruio,  et 
tornò  ad  18  et  hebbe  grande  honore. 

Nel  dicto  tempo  essendo  grandissima  quantità  de  gente  ad  Roma, 
parte  venendo  da  Sancto  Pietro  et  parte  andando,  si  scontrarne  su 
nel  ponte  con  tanto  impeto,  che  ne  perirò,  cioè  si  afFucaro,  grandis- 
sima quantità,  et  molti  ne  caddero  in  fiume.  Nota  ch'el  dicto  papa 
ne  fé'  memoria  facendo  scarcare  molte  pontiche,  per  alargare  el  dicto 
ponte,  et  fenci  su  dui  belle  cappelle  per  memoria  (6). 


(1)  Cf.  N.  n.  Tuccia,  p.  115. 

(2)  «Vilissimamente  lo  fece  decollare»;  N.  d.  Tuccia,  p,  ir6; 
cf.  Infessura,  Diario,  p.  24.  Fu  nell'anno  1423  e  non  nel  '21. 

(3)  «  E  mai  fu  trovato,  che  portello  l'acqua  alla  foce  del  fiume  »  : 
N.  D.  Tuccia,  p.  116.  Fu  ai  3   gennaio  1424. 

(4)  '(  1424,  die  secunda  iunii  »  ;  Infiìssura,  Diario,  p.  25.  La 
battaglia  fu  il  2,  la  morte  il  >  :  le  genti  che  combattevano  Braccio 
non  erano  della  Chiesa. 

(5)  Il  numero  è  ripetuto. 

(6)  Tutte  queste  notizie  si  debbono  riferire  al  giubileo  del  1450. 
Cf.  luzzo,  p.  56,  n.  6;  N.  d.  Tuccia,  p.  24;  Infessura,  p.  49.  Secondo 
Pastor,  Geschichk,  3  u.  4  Auflage,  1902,  I,  798,  n.  17,  nota  4,  Mar- 
tino V  avrebbe  celebrato  l'anno  santo  nel  1423. 


Le  croniche  di  Viterbo  571 


Anno  Domini  1404.  Morì  papa  Bonifatio  nono  a  di  primo  de 
octobre  (i). 

Anno  Domini  1429.  Fu  mutatione   in    Viterbo    per    far  portare    e.  41  b 
el  segno  a  li  Giudei,  et  fugi  de  Viterbo  messer  Antonio  da  Celano, 
rectore  del  Patrimonio,  et  fu  casso  de  l'offitio.  Poi  Marcangelo  fece 
populo  contra  Giovan   Gatto,  et  fu    rocto  et  morto  sotto  la  piazza 
de  Sancto  Stefano  (2). 

Anno  Domini  143 1.  Morì  papa  Martino  et  facto  papa  Eugenio  (3); 
et  fu  pigliate  1'  arme  in  Viterbo,  et  morto  Cola  Lanciare.  Nel  dicto 
anno  fugì  di  Viterbo  messer  Bartholomeo  d'  Altopasso  rectore,  et  fu 
casso  de  1'  offitio. 

Anno  Domini  1433.  A  di  <S  de  magio  entrò  in  Viterbo  Gismondo 
imperatore. 

Anno  Domini  1435.  F"  morto  el  Profecto  ad  Suriano  (4). 

Anno  Domini  1442.  Fu  pigliato  in  Viterbo  el  rectore  del  Pa- 
trimonio, chiamato  messer  Giovanni  da  Ruta  (5),  et  menato  ad  Suriano. 

Anno  Domini  1443.  Mori  in  Viterbo  messer  Pier  Rampone,  re- 
ctore del  Patrimonio  (6). 

Anno  Domini  1444.  Mori  in  Montefìascone  Serapione  da  Fer- 
rara, rectore  del  Patrimonio  (7). 

Anno  Domini  1450.  Mori  in  Viterbo  messer  Nere,  vescovo  de 
Siena  et  [rectore]  del  Patrimonio  (8). 

(i)  V.  e.   37  A. 

(2)  Sono  avvenimenti  da  distribuire  tra  il  1428  e  il  '29.  N.  della 
Tuccia,  p.  53. 

(3)  Martino  mori  ai  20  di  febbraio,  Eugenio  fu  eletto  ai  5  di 
marzo. 

(4)  «  AUi  28  di  settembre  fu  tagliata  la  testa  al  prefetto  lacovo 
«  da  Vico  nella  piazza  de  Suriano  »;  N.  d.  Tuccia,  p.  55.  Sulle  ul- 
time vicende  di  Giacomo  vedi  i  docc.  xxx-xxxvii,  xxxix-XLi,  pub- 
blicati dal  Pinzi  nell'appendice  al  terzo  volume  della  sua  Storia  e  il 
n.  ccccxxvi  del  Savignoni,  L'archivio. 

())  N.  D.  Tuccia:  «da  Rieti»,  p.  55. 

(6)  Già  dal  1436  era  «  commissarius  d.  lohannis  Vitelleschi, 
«  patriarcha  Alex.,  apostolice  Sedis  legati  »  ;  Savignoni,  op.  cit. 
n.  ccccxxvii.  Il  20  d'agosto  N.  d.  Tuccia,  p.  56,  lo  dice  a  campo 
contro  Toscanella. 

(7)  luzzo,  p.  56,  nota  i:  «  Scipione  vescovo  di  Modena  ».  Cf, 
N.  D.  Tuccia,  p.  96. 

(8)  Vedi  luzzo  e  Nicola  ai  luoghi  citati. 


Oliando  visse  Coìnniodiano 


:iN  da  quando  per  la  prima  volta  furono  stampate 
le  lììstructiones,  Commodiano  è  stato  oggetto  di 
^s;irSj)  molti  studi,  ma  soprattutto  in  questi  ultimi  tempi, 
in  cui  le  discipline  filologiche  hanno  avuto  un  grande  in- 
cremento. Eppure,  per  un  caso  strano,  dopo  tanti  studi 
fatti  su  di  lui,  dopo  tante  questioni  a  lui  attinenti  discusse 
e  risolute,  non  è  stato  ancora  sciolto  il  problema  che 
prima  d'ogni  altro  doveva  porsi  e  risolversi,  il  problema 
dell'età  in  cui  egli  è  vissuto  e  ha  scritto.  Il  Rigault  e  poi 
il  Dupin  e  il  Ceillier  ritennero  che  Commodiano  fosse 
fiorito  al  tempo  dell'  imperatore  Costantino  e  del  pontefice 
san  Silvestro  (i).  Il  Dodwell  lo  poneva  verso  la  metà  del 
terzo  secolo,  o  anteriore  o  contemporaneo  a  san  Cipriano  (2). 
Il  Cave  nella  prima  edizione  della  sua  storia  ecclesiastica 
stava  per  l'opinione  del  Rigault,  nella  seconda  sosteneva 
che  Commodiano  avesse  composto  le  Instructiones  dopo  la 


(i)  Rigault,  Commodiani  Instructiones  per  litleras  versiuiìii  primas 
tempore  Silvestri  ponlificis  romani  sub  Constantino  Caesare  compositae  Sic, 
Tulli  Leucorum  &c.  mdcx.lix,  Pref.  p.  in;  Dupin,  Nouvelle  Biblio- 
thèqne  des  auteurs  eccìcsiasliques,  Paris,  1686,  I,  236  sg.  ;  Ceillier, 
Histoire  generale  des  auteurs  sacn's  et  eccUsiastiques,  Paris,  1765,  IV, 
179  sg. 

(2)  Dodwell,  Dissertatio  de  Commodiani  astate,  Oxonii,  1698. 


374  G.  S.   'ì(aniitìido 


persecuzione  di  Decio,  un  po'  prima  di  quella  d'Aureliano(i). 
Il  Pauli  lo  assegnava  addirittura  al  secondo  secolo  (2). 
Scoperto  e  pubblicato  dal  Pitra  il  Carmen  apologelkumy 
r  Ebert  credette  di  poterne  determinare  con  precisione  la 
data  della  composizione,  che  collocò  dopo  la  morte  del- 
l'imperatore Filippo  o  dopo  l'elezione  di  Decio,  nel  249. 
Le  lììstnictioncs  secondo  lui  erano  state  composte  alquanto 
prima  (3).  Il  Dombart  invece  sosteneva  che  le  Insìruct'wncs 
erano  state  composte  dopo,  ma  arrivava  alla  stessa  conclu- 
sione, che  Commodiano  era  vissuto  verso  la  metà  del  terzo 
secolo  (4).  Oramai  ciò  sembrava  un  fatto  assodato,  e  tutti 
gli  storici  della  letteratura  latina  e  quanti  trattarono  delle 
origini  e  dello  svolgimento  della  poesia  ritmica,  attenen- 
dosi alle  conclusioni  dell' Ebert  e  del  Dombart,  concorde- 
mente ascrivevano  Commodiano  alla  metà  del  terzo  se- 
colo. I  dubbi  sollevati  dal  Kraus,  che  Commodiano  potesse 
esser  vissuto  sotto  la  persecuzione  di  Diocleziano  (5),  non 
riuscivano  a  smuovere  l'opinione  dei  dotti.  Ma  ecco  re- 
centemente il  Brewer  pubblica  un  articolo,  nel  quale  so- 
stiene che  Commodiano  è  vissuto  in  un  periodo  d' impe- 
ratori cristiani,  e  promette  di  dimostrare  in  un  prossimo 
lavoro  che  \t  luslructiones  e  il  Carmen  apologeticnm  sono  stati 
composti  tra  il  458  e  il  466  (6).  Tra  le  conclusioni  del  Bre- 
wer e  quelle  dell'  Ebert  e  del  Dombart  ci  è  un'enorme  di- 

(i)  Cave,  Scripiorum  ecdesiasticoriim  hislorhi  litcraria,  I.ondini, 
MDCLXXXvni,  p.  148;  2'  ed.  Oxonii,  1740,  p.  157. 

(2)  Sebastiano  Pauli,  Dissertazione  della  poesia  dei  Ss.  padri  greci 
e  latini,  Napoli,   17 14,  p.   iSo. 

(5)  Coiumodian's  Carmen  Apologeticnm  in  Ahhandl.  d.  sìtchs.  Ges. 
d.    l^iss.  philol.  hisl.  Classe,  V,  408  sg. 

(4)  Commodian  nnd  Cyprians  Testimonia  in  Zeitschrift  f.  wiss. 
Tluol.  XXII,  384  sg. 

(5)  Kraus,  Lehrbuch  der  Kirchengeschicbte,  Trier,  1896;  4"  ed., 
p.   121. 

(6)  Die  Abfassungs\eil  der  Diclitungen  des  Commodians  von  Gaia 
in  Zeitschrift  f.  kalh.  Theol.,  Innsbruck,   1899,  p.  759  sg. 


Quando  pisse  (JuJinnuJiaiio  375 

screpanza.  Credo  quindi  non  solo  opportuno,  ma  anche 
interessante  studiare  e  vagliare  gli  argomenti  che  questi 
autori  adducono  in  sostegno  delle  loro  tesi,  e,  se  sarà 
possibile,  procurare  di  stabilire  definitivamente  l' età  di 
Commodiano.  Non  mi  pare  necessario  discutere  gli  argo- 
menti che  portavano  il  Rigault,  il  Dodvv'ell,  il  Cave  &c., 
perchè  non  avevano  conoscenza  completa  dell'autore,  igno- 
rando affatto  il  Carmen  apolof^eticum,  e  anche  perchè  spesso 
basavano  le  loro  argomentazioni  su  alcuni  versi,  che  leg- 
gevano in  una  forma  corrotta. 

Nei  versi  805-810  del  Carmen  apologeticiim: 

Sed  quidam  hoc  aiunt:  Quando  haec  ventura  putamus? 

Accipite  paucis,  quibus  actis  illa  sequantur. 

Multa  quidem  signa  fient  tantae  termini  pesti, 

Sed  erit  initium  septima  persecutio  nostra. 

Ecce  [iam]  ianua[m]   pulsat  et  cingitur  ense, 

Qui  cito  traiciet  Gothis  irrumpentibus  amne  (i) 

r  Ebert  trovava  la  data  precisa  della  composizione  del 
Carjncìi  stesso.  In  quei  versi  si  parla  della  settima  persecu- 
zione e  d'  un  passaggio  dei  Goti  su  un  fiume,  che  è 
evidentemente  il  Danubio.  Ora  i  Goti  passarono  il  Da- 
nubio con  un  grosso  esercito  dapprima  sotto  Filippo,  ma 
tornarono  indietro,  e  fecero  un  nuovo  e  vero  passaggio  sotto 
Decio.  Dunque,  ragiona  l' Ebert,  il  Carmen  apoìogeiicum 
dovette  essere  stato  scritto  immediatamente  dopo  la  morte 
dell'  imperatore  Filippo  o  almeno  dopo  l'elezione  di  Decio. 
Ma  si  può  essere  sicuri  che  Commodiano  accenni  a  questa 
irruzione  dei  Goti?  Egli  appresso  (versi  811-822)  dice 
che  «  sarà  con  essi  il  loro  re  Apolione,  di  nome  terribile, 
«  che  disperderà  la  persecuzione  dei  santi.  Questi  marcia 
«  verso  Roma  con  molte  migliaia  di  uomini,  e  la  prende  per 


(i)  Nelle  citazioni  dell'autore  di  regola  mi  attengo  all'edizione 
critica  del  Dombart,  voi.  XV  del  Corpus  script,  eccìcs.  hit.,  Vienna,  1887. 


37^  G.  S.  'J^iuiindo 


«  decreto  di  Dio.   Molti  senatori  fatti   prigionieri  piange- 
«  ranno,  e,  vinti  dal  barbaro,  bestemmieranno  il  Dio  dei 
«  cieli.  I  lussuriosi  e  gli  idolatri  saranno  perseguitati,  il  se- 
(t  nato  so£:gioiT;ato.  Simili  mali  soffriranno  coloro  che  hanno 
«  perseguitato  i  cristiani:  sotto  questo  nemico  saranno  tru- 
ce cidati  per  cinque  mesi  ».  Commodiano  ci  dipinge  i  Goti 
come  un  popolo  terribile,  capace  di  far  vendetta  sui  pagani 
di  tutte  le  persecuzioni  sofferte  dai  cristiani.  Difficilmente 
nella  metà  del  terzo  secolo  i  Goti  potevano  essere  ritenuti 
capaci  di  tanto.  Ancora    non    avevano   riportato  nessuna 
importante  vittoria  su  le  legioni  romane,  anzi  erano  stati 
vinti  da  Caracalla  (21 1-2 17)   e  tenuti  a    freno    da  Ales- 
sandro Severo  (222-235).  Occupavano  la    regione  com- 
presa tra  la  Theis  e   il   Don,  e  di  quando   in  quando  si 
staccava  qualche  banda  avventurosa,  che  a  tutto  suo  rischio 
e  pericolo  varcava  il  Danubio  e  1'  Bussino.  Nello  spazio  di 
trenta  anni  (238-2^9)  sono  state  contate  dieci   invasioni 
principali  fatte  da  loro(i).  A  quale  di    queste   può  aver 
accennato  Commodiano.'*  A  quella  avvenuta  sotto  Filippo 
o  sotto  Decio,  secondo  l'  Ebert;  secondo  me,  a  nessuna. 
Difatti  dal  modo  come  Commodiano  s'esprime  («  Gothis 
«  irrumpentibus  amne  »;  s'indica  il  Danubio  senza  farne 
il  nome),  s'arguisce  che  ai  suoi  tempi  il  Danubio  doveva 
formare  la  linea  di  confine  tra    le    province  romane  e  il 
territorio  dei  Goti,  e  che  la  Dacia  Traiana  era  già  scom- 
parsa. Questa  provincia  fu  perduta  sotto  Gallieno,  ma  re- 
starono ancora  le  piazzeforti.  Sotto  Aureliano  (270-275) 
furono  richiamati  di  qua  dal  Danubio    i   cittadini  romani 
rimasti  e   le  guarnigioni,  e  si  formarono  due  nuove  pro- 
vince tra  la  Moesia  siiperior  e  la  Moesia  inferiori  la  Dacia 
ripeiisis  e  la  Dacia  mediterranea  (2).  Solo  dopo  Aureliano 


(\)  DuRUY,  HUloin  des  Romains,  Paris,  1879,  ^^'  289  sg. 
(2)  Mo.MMSF.N  e  Marquardt,  Manuel  des  anliqnitt's  rotiiaiiies,  Paris, 
1892,  IX,  195   sg. 


Quando  fisse  Commodiano  377 

Commodiano  poteva  benissimo  accennare  al  Danubio  senza 

nominarlo. 

L'  altro  argomento  dell'  Ebert  è  che  Commodiano  parla 
d' una  prossima  persecuzione,  che  chiama  settima,  e  la 
settima  persecuzione  secondo  il  computo  di  sant'Agostino, 
il  quale  sembra  essere  stato  il  più  comune,  è  appunto 
quella  di  Decio. 

Perchè  questo  argomento  avesse  quel  valore,  che 
r  Ebert  gli  vuol  dare,  bisognerebbe  dimostrare  per  lo  meno 
che  alla  metà  del  secolo  terzo  si  solevano  computare  le 
persecuzioni  nello  stesso  modo,  che  da  alcuni  si  computa- 
vano circa  due  secoli  dopo.  Le  persecuzioni  furono  nu- 
merate quando  già  erano  terminate.  Sant'Agostino  ci  fa 
sapere  che  ai  suoi  tempi  moiri  cristiani  contavano  dieci 
persecuzioni:  «  Primam  computant  a  Nerone  quae  facta 
«  est,  secundam  a  Domitiano,  a  Traiano  tertiam,  quartam 
«  ab  Antonino,  a  Severo  quintam,  sextam  a  Maximino,  a 
«  Decio  septimam,  octavam  a  Valeriano,  ab  Aureliano 
«  nonam,  decimam  a  Diocletiano  et  Maximiano  »  (1).  Se- 
condo costoro  la  Chiesa  non  avrebbe  subito  altre  persecu- 
zioni sino  alla  venuta  dell'Anticristo  :  quella  sarebbe  stata 
r undicesima  e  l'ultima.  Ma  sant'Agostino  non  dice  che 
quella  numerazione  fosse  seguita  universalmente,  uè  egli 
stesso  l'approvava,  perchè  gli  autori  l'avevano  fatta  sotto 
un  aspetto  simbolico,  trascendentale,  riferendosi  cioè  alle 
dieci  piaghe  degli  Egiziani,  e  anche  perchè  non  compren- 
deva la  persecuzione  di  Erode,  dopo  l'ascensione  di  Cristo, 
quella  di  Giuliano  l'apostata  &c.  Anche  nel  principio  del 
quinto  secolo  dunque  era  possibile  che  le  persecuzioni  si 
computassero  diversamente  secondo  le  vedute  speciali  di 
ciascuno.  Certo  è  che  Sulpicio  Severo  descrive  ed  enumera 
nove  persecuzioni  sino  a  Diocleziano  trascurando  quella 
d'Aureliano,  e  per  lui  «quae  superest,  ultima»,  quella  che 

(i)  Di  Civitati  Dii,  lib.  XVIII,  cap.  52. 


37S  G.  S.  "lyaifiuncio 


«  sub  fine  iam  saeculi  Antichristus  exercebit  »,  è  la  de- 
cima (i).  Lattanzio  poi  nella  prima  metà  del  quarto  secolo 
nel  suo  libro  De  niortibiis  pcrscciiiorum  non  descrive  che 
sei  persecuzioni,  quella  di  Nerone,  di  Domiziano,  di  Decio, 
di  Valeriano,  d'Aureliano  e  quella  di  Diocleziano.  Dal  fatto 
dunque  che  Commodiano  parla  d'  una  ventura  settima 
persecuzione  non  si  può  concludere  in  nessun  modo  che 
egli  accenni  alla  persecuzione  di  Decio. 

Il  Dombart,  trattando  dell'imitazione  di  san  Cipriano 
in  Commodiano,  dimostrava  che  nel  Carmen  apoìogclicum 
sono  stati  imitati  i  due  primi  libri  dei  Testimonia  pubblicati 
nel  248,  non  però  il  terzo,  il  quale  apparve  più  tardi,  e 
che  invece  è  stato  utilizzato  nelle  Insiriictiones.  Con  ciò 
sembrerebbe  che  egli  fosse  riuscito  indirettamente  ad  av- 
valorare la  tesi  dell'  Ebert.  Ma  si  può  legittimamente  sup- 
porre che  Commodiano  non  imitò  nel  Carmen  apologeticiiin 
il  terzo  libro  dei  Testimonia,  non  perchè  ancora  non  era 
stato  pubblicato,  ma  solo  perchè  non  l'aveva  presente,  o 
perchè  non  volle,  o  non  credette  opportuno  imitarlo. 

Il  Brewer  prende  le  mosse  dall'acrostico  xviii  del  primo 
libro  delle  Instructiones  intitolato:  De  Amnuidatc  et  deo  magno. 
Commodiano,  dice  il  Brewer,  per  convincere  i  pagani  della 
vanità  di  quel  nume  d'origine  siriaca,  il  cui  culto  era  abba- 
stanza diffuso,  racconta  in  modo  satirico  un  fatto  concreto. 
Fino  a  che  l' idolo  fosse  rimasto  nel  tempio,  i  suoi  ado- 
ratori avrebbero  potuto  piegare  il  capo  dinanzi  alla  sua 
maestà  e  devotamente  prestato  orecchio  alle  parole  del 
furbo  sacerdote,  come  se  pronunziate  dall'aureo  nume.  iMa 
successe  una  catastrofe:  l' imperatore  fece  levare  quell'  idolo 
d'oro,  e  il  nume  scomparve,  non  si  sa  se  fuggi,  o  fu  but- 

(i)  SuLPicio  Severo,  Chronica,  lib.  II,  cap.  33:  «  Tranquillis 
«rebus  pace  perfruimur:  ncque  alterius  persccutioneiu  foro  credinnis, 
«  nisi  eam  quani  sub  fine  iam  sneculi  Antichristus  exercebit.  Etenim 
«  sacris  vocibus  decem  plagis  niunduni  afficiendum  pronuntiatum  est: 
«  ita  cum  iam  novem  fueriat,  quac  superest,  ultima  erit  ». 


Quando  l'issc  Coììunodiano  379 

tato  in  mezzo  alle  fiamme.  Evidentemente  sono  stati  gli 
imperatori  cristiani,  i  quali  a  'cominciare  da  Costantino 
fino  a  Teodosio  II  mediante  ripetuti  editti  ordinavano  di 
rimuovere  le  statue  degli  dei  e  di  liquefare  gì'  idoli  d'oro 
e  d'argento.  Da  questa  allusione  alla  sorte  decretata  da 
un  imperatore  all'immagine  d'Ammudas  si  deve  conclu- 
dere che'  Commodiano  viveva  in  un'  epoca  d' imperatori 
cristiani.  Appresso  il  Brewer  passa  ad  esaminare  se  Com- 
modiano imitò  veramente  Lattanzio,  come  dice  Geimadio. 
Ei2;li  sostiene  che  Commodiano  ha  imitato  Lattanzio  da 
uomo  erudito,  liberamente,  non  servilmente,  trasformando 
la  materia  in  una  dicitura  sua  propria,  combinandola  con 
pensieri  d'altri  autori,  come  d' Ippolito  e  del  pseudo  Ippo- 
lito, e  dandole  spesso  un  aspetto  nuovo  (i).  A  conferma 
della  sua  tesi  cita  alcuni  luoghi  in  cui  Commodiano  in- 
sieme con  la  materia  ha  imitato  anche  la  conformazione 
delle  parole  di  Lattanzio.  Commodiano  quindi  non  può  più 
essere  ascritto  alla  metà  del  terzo  secolo. 

GU  argomenti  del  Brevv'er  sono  per  me  abbastanza 
convincenti;  tuttavia  non  sarà  inutile  aggiungerne  altri  a 

(i)  Brewer,  op.  cit.  p.  761:  «  Commodian  war...  ein  durchhaus 
«  gebildcter  Mann...  Scine  Nachahmung  des  Lactanz  ist  dem  ent- 
«  sprechend  keine  sklavische,  sondern  cine  freie:  er  verflicht  den  Stoff, 
«  den  er  entnimmt,  in  seine  eigene  Darstellung,  wo  es  ihm  pas- 
«  scnd  scheint,  oder  er  combiniert  ihn  rait  den  Gedanken  anderer 
«  Schriftsteller,  wie  des  Hìppolyt  und  des  Ps.-Hippolyt,  oder  er  gibt 
«  ihm  auch  wohl  eine  neue  Wendung  aus  Zuthaten  selner  eigenen 
«  Zeit  und  Umgebung,  wie  zB.  in  der  Beschreibung  des  zweifachen 
«  Antichrists,  ùber  welchen  Commodian  bedeutend  ùber  Lactanz 
«  hinausentwickelte  Anschauungen  vortràgt.  Der  wesentliche  Beweis 
«  einer  Nachahmung  des  Lactanz  durch  unsern  Dichter  liegt  daher 
«  in  einer  Aufzeigung  der  eigenthùmhchen  StofFelemente,  die  er  ihm 
«  entlehnt  hat  ;  und  dafs  solche  Entlehnungen  vorliegen,  zB.  in  der 
«  Schilderung  des  1000  jàhrigen  Reiches,  wird  kein  Leser  bei  einer 
«  vergleichenden  Lectùrebeider  Schriftsteller  bezweifeln,  vorausgesetr, 
«  dafs  er  ùber  das  zeitliche  Verhiiltnis  beider  zu  einander  aufge- 
«  klàrt  ist  j). 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  25 


380  (;.  .V.  'i{.ìi/i'.iuji) 


quelli  addotti  da  lui.  Cosi  non  solo  verrà  ad  essere  del 
tutto  scalzata  l'opinione  sinora  diffusa  e  radicata;  ma 
anche,  assodato  e  posto  fuori  d'ogni  dubbio  che  Comnio- 
diano  è  posteriore  al  terzo  secolo,  sarà  cosa  relativamente 
facile  determinare  con  precisione  l'età  in  cui  egli  è  vissuto. 
Xcl  Carmen  apoìo<^cùcuììì  (v.  8(39  sg.^  Y  autore  fa  che 
l'imperatore  Nerone,  il  quale  non  è  altro  che  l'Anticristo (i), 
s'associ  al  potere  due  Cesari  per  perseguitare  i  Cristiani, 
e  poi  tutti  e  tre  insieme  mandano  editti  per  le  diverse  parti 
dell'impero. 

Hic  ergo  rcx  durus  et  iiiiquus,  Nero  fugatus, 
Pelli  iubet  populum  christianum  ipsa  de  urbe, 
Participes  autem  duo  sibi  Caesares  addir, 
Cuni  quibus  liunc  populum  persequatur  diro  furore. 
Mittunt  et  edicta  per  iudices  omnes  ubique  &c, 

]•  poi  vv.  910  e  911  : 

Turbaturque  Nero  et  senatus  proxinie  visum. 
Et  ibunt  illi  tres  Caesares  resistere  centra  ivo. 

Ora  Commodiano  nel  descrivere  1*  avvenire  doveva 
prendere  gli  elementi  del  passato,  e  perchè  potesse  imma- 
ginare che  un  imperatore  si  associasse  altri  nel  potere  e 
poi  governassero  tutti  contemporaneamente,  bisognava  che 
almeno  un  caso  simile  si  fosse  dato  nella  storia  dei  suoi 
tempi  (2).  Marco  Aurelio  e  Lucio  Vero  furono  i  primi 
due  imperatori,  che  regnarono  insieme.  Governarono  in- 
sieme anche  Caracalla  e  Geta,  i  due  Gordiani,  Clodio 
Pupieno  e  Celio  Balbino,  i  due  Filippi,  Valeriano  e  il 
fratello  Gallieno  (3).  Ma  solo  sulla  fine  del  terzo  secolo 
si  videro  tre  e  quattro  imperatori  governare  insieme  con- 
temporaneamente. Marco  Aurelio  Caro  si  associò  al  trono 

(i)  Curm.  apoloi^.  v.  933: 

Kobis  Nero  factus  Anticbrìstus. 

(2)  Cf.    EUERT,   loc.   cit.    p.   409. 

(3)  DuRUY,  op.  cit.  IV,  436  Sg. 


Quando  J'issc  Coinniodiauo  381 

i  due  figliuoli  Carino  e  Numeriano  (283),  e  Diocleziano 
nominò  suo  collega  (^Augnstits)  Aurelio  Valerio  Massi- 
miano (286),  e  poi  scelse  a  successori  {Cacsares)  Calerlo 
e  Costanzo  Cloro  (292).  Gli  esempi  citati  dall' Ebert,  di 
Massimino  coi  due  Gordiani  e  di  Massimo,  Balbino  e 
Gordiano  IH  non  rassomigliano  affatto  a  quello  che  tro- 
viamo in  Commodiano.  I  due  Gordiani  erano  avversi  a 
Massimino,  e  dovevano  combatterlo;  Gordiano  III  fu 
eletto  quando  già  Massimo  e  Balbino  erano  stati  trucidati 
in  una  congiura  militare.  Del  resto  Commodiano  parla 
anche  d'  una  divisione  dell'  impero  in  tre  parti.  Instructìo- 
ìics,  I,  41 ,  )-6: 

Tum  scilicet  mundus  finitur,  cum  ille  parebit 
Et  [in]  tres  imperantes  ipse  diviserit  orbem(i). 

Cr  imperatori  antecedenti  a  Diocleziano  avevano  sempre 
posseduto  ciascuno  tutto  l' impero.  Caracalla  e  Geta  eb- 
bero il  pensiero  di  dividere  tra  loro  le  province  e  gli 
eserciti,  ma  non  ne  fecero  nulla.  Diocleziano  fu  il  primo 
che  intraprese  di  fare  ciò  che  si  era  riguardato  sempre 
come  l'onta  e  la  rovina  dell'  impero,  assegnando  a  Mas- 
simiano il  governo  dell'Italia,  dell' Illiria  e  dell'Africa,  a 
Galerio  la  Mesia  superiore,  la  Macedonia  e  l'Acaia,  a  Co- 
stanzo la  Gallia,  la  Spagna  e  la  Britannia,  e  serbando  per 
se  l'Oriente,  l'  Egitto  e  la  Tracia  (2). 

(i)  Il  DoMBART  qui  legge: 

Et  tres  imperantes  ipse  devicerit  orbe 

e  intende  «  orbe  =  in  orbe  ».  Però  sta  il  fatto  che  tutti  e  tre  i  codici 
delle  Instr.  portano  «  orbem  ».  La  lezione  da  me  seguita,  che  è 
quella  dell' Oehler  e  dell' Ebert  (loc.  cit.  p.  419),  mi  sembra  pre- 
feribile anche  perchè  questo  verso,  letto  così,  trova  un  riscontro  col 
V.  87 1  del  Carw.  apolog.: 

Participes  autem  duo  sibi  Caesares  aJJit. 

(2)  TiLLEMONT,  Histoire  des  Entpereurs,  IV,  22  sg.  ;  Duruy,  op. 
cit.  VII,  16  sg. 


582  Ci.  S.  "T^aniitiido 


LeiJ£rendo  le  Div'viac  insliiutìoìics  di  Lattanzio  scorciamo 
una  meravigliosa  concordanza  ira  gli  ultimi  capitoli  del 
lib.  VII  e  r  ultima  parte  del  Canncìi  apoìo^^eticiim  e  alcuni 
acrostici  di  Commodiano  {Instr.  I,  41;  II,  i;  II  2;  II,  4). 
Sì  l'uno  che  l'altro  aspettano  la  fine  del  mondo,  quando 
saranno  compiuti  sei  mila  anni  dopo  la  creazione;  poi  suc- 
cederà un  regno  di  mille  anni,  al  cui  termine  avverrà  il 
giudizio  universale.  Però  Lattanzio  ritiene  il  finimondo  vi- 
cino, ma  non  imminente,  e  pone  il  limite  massimo  secondo 
i  calcoli  del  suo  tempo:  alla  somma  dei  sei  mila  anni  non 
ne  possono  mancare  più  d'altri  duecento  (i).  Per  Commo- 
diano invece  i  sei  mila  anni  sono  per  compiere,  ed  egli 
spera  di  vivere  sin  allora  (2).  Già  cominciano  ad  apparire 
i  segnali:  l'approssimarsi  della  settima  persecuzione  e  del- 
l'irruzione dei  Goti  (3).  Assolutamente  parlando  Commo- 
diano poteva  vivere  nel  terzo  secolo  e  aspettarsi  la  fine 
del  mondo.  Già  ai  tempi  degli  Apostoli  alcuni  attendevano 
l'Anticristo,  e  il  finimondo  fu  temuto  sotto  l'imperatore 
Tito  Vespasiano  nella  tremenda  eruzione  del  Vesuvio,  du- 
rante la  persecuzione  di  Settimio  Severo;  e  nel  terzo  se- 
colo stesso  credettero  in  una  prossima  venuta  dell'  Anti- 
cristo san  Dionigi  Alessandrino,  sotto  la   persecuzione  di 

(i)  Lattanzio,  lib.  VII,  cap.  25:  «  lam  superius  estendi  coni- 
«' pletis  annoram  sex  milibus  mutationem  istam  fieri  oportere  et  iam 
«  propinquare  summum  illuni  conclusionis  cxtremac  diem...  Quando 
«  compleatur  haec  summa  docent  il  qui  de  temporibus  scripserunt 
«  coiligentes  ea  ex  litteris  sanctis  et  ex  variis  historiis;  quantus  sit 
«  numerus  annorum  ab  exordio  mundi,  qui  licet  varient  et  aliquaii- 
«  tum  numeri  eorum  summa  disscntiat,  omnis  tamen  expectatio  non 
«  amplius  quam  diicentorum  videtur  annorum.  Etiam  res  ipsa  de- 
«  clarat  lapsum  ruinamque  rerum  brevi  fore...». 

(2)  Itistr.  1,  55,  6:  a  Finitis  sex  milibus  annis  immortales  erimus»  ; 
Cjim.  apoì.  vv,  291  e  292: 

Sex  milibus  annis  ptovenient  ista  replctis, 

Quo  tempore  nos  ipsos  spero  t.im  in  litore  portus. 

(5)  Cann.  apol.  vv.  805-810. 


(^iiauJo  l'isse  Coiìiìuodiano  383 

Decio,  e  san  Cipriano  al  tempo  di  Gallo  e  di  Volusiano, 
sotto  cui  cominciò  la  persecuzione  che  continuò  e  crebbe 
sotto  Valeriano  (i).  Ma  Commodiano  s'aspettava  la  line 
del  mondo  al  termine  dei  sei  mila  anni,  come  Lattanzio; 
secondo  il  suo  computo  quindi  non  doveva  mancare  molto 
perchè  si  compisse  quel  numero.  La  maggior  parte  dei 
Padri  della  Chiesa,  latini  e  greci,  noveravano  cinque  mila 
e  seicento  o  cinque  mila  e  cinquecento  anni  dalla  crea- 
zione alla  nascita  di  Cristo,  parecchi  anzi  ne  noveravano 
assai  meno  (2).  Secondo  Sulpizio  Severo,  che  scriveva 
circa  r  anno  400  dopo  Cristo,  ai  suoi  tempi  i  sei  mila  anni 
stavano  per  finire  (3).  Sant'Agostino  nel  lib.  XII,  cap.  12, 
De  Civitatc  Dei,  scriveva  :  «  Ut  minus  quam  sex  millia 
«  sint  annorumex  quo  esse  coepimus  in  sacris  litteris  inve- 
((  nitur  »  ;  però  quando  arriva  al  lib.  XX,  cap.  7,  è  compiuto 
il  «  sextum  annorum  milliarium  »  e  «  spatia  posteriora  voi- 
ce vuntur».  Commodiano  dunque  nel  terzo  secolo  non  po- 
teva in  nessun  modo  né  ritenere,  ne  asserire  che  ai  suoi 
tempi  stessero  per  finire  sei  mila  anni  dalla  creazione; 
poteva  appena  dirlo  nella  seconda  metà  del  secolo  quarto. 
Commodiano  che  parla  una  lingua  piena  d'  errori  di 
grammatica,  che  fa  dei  versi  in  cui  non  è  più  osservata 
la  quantità,  doveva  vivere  in  un  tempo  in  cui  la  quantità 
e  la  grammatica  andavano  dissolvendosi.  Nel  terzo  secolo 
è  un  anacronismo,  che  non  si  riesce  a  spiegare  in  nessun 
modo  ;  rimane  come  campato  in  aria,  simile  ad  un  quadro 
senza  cornice  e  senza  sfondo,  e  bisogna  studiarlo  isolata- 
mente, perchè  non  si  trova  un  solo  autore,  che  abbia  con 
lui  una  certa  affinità.  Il  Boissier  scriveva  :  «Se  Commo- 
«  diano  non  rassomiglia  a  quelli  che  l'  hanno  seguito,  questa 

(i)  Malvenda,  De  Jiitechristo,  Lugdun'i,  MDCXLvir,lib.  II,  p.  113  sg. 

(2)  Malvenda,  op.  cit.  lib.  II,  p.  65  sg. 

(^)  SuLPicio  Severo,  Chroiiicd,  lib.  I,  cap.  2:  «  Mundus  a  Deo 
«  constitutus  est  abbine  annos  iam  paene  se.x  milia,  sicut  processa 
«  voluminis  istius  digeremus  ». 


384  (^'   ■'^-   '^JyTJniiido 


«  è  una  ragione  di  più  per  studiarlo  da  vicino  »  (i).  Non 
è  più  logico  dire  che,  se  non  rassomiglia  agli  scrittori 
contemporanei,  significa  che  egli  non  è  vissuto  al  tempo, 
in  cui  si  suol  porre,  ma  dopo?  Uscirei  dai  limiti  prefissi 
a  questo  lavoro,  se  volessi  sottoporre  ad  un  esame  anche 
breve  le  peculiarità  morfologiche,  sintattiche  e  lessicali  delle 
lustnictiùiics  e  del  Carmen  apoìogeticum;  se  volessi  occuparmi 
della  verseggiatura,  sarci  costretto  ad  ingolfiirmi  nell'ampia 
ed  intricata  questione  delle  origini  e  dello  sviluppo  della 
poesia  ritmica.  I  lettori  potranno  formarsi  un'idea  della 
grammatica  e  della  metrica  di  Commodiano  dalle  poche 
citazioni,  che  mi  occorrerà  di  fare;  rimando  chi  .oglia 
saperne  di  più  agli  scritti,  che  ne  trattano  di  proposito  (2). 
Qui  cosi  di  volo  faccio  alcune  piccole  osservazioni. 

Commodiano  dice  fortia,  plurale  neutro  di  fortìs,  nel 
senso  di  vis,  foixa;  Carni,  apoìof;.  v.  40:  «  demonstravit 
((  (Deus)  fortia  Pharaone  decepto  »  e  v.  31^:  «  Dominus... 
«  inanivit  fortia  mortis  ».  Né  in  scrittori  del  terzo  secolo, 
ne  del  quarto  mi  è  riuscito  di  trovare /or/m  in  tale  signi- 
ficato. 

Chiama  i  pagani  gens,  gentes:  lustr.  I,  26,  24;  I,  34,  5; 
li,  19,  20;  II,  32,  11;  Carm.  apoìog.  v.  6S6;  ma  li  dice 
anche  geniiks:  Instr.  I,  ^y,  I,  34;  II,  19,  7;  Carni,  apolog. 
vv.  263  e  817,  e  usa  inoltre  l'avverbio  gcutiìitcr:  Inslr.  II, 
ì6,   19;  II,  32,  7.  Ora  in   una    legge    di  Valentiniano  e 

(i)  BoissiER,  Commodicu  in  Mìlaw^es  Reiiier,  Bibl.  de  l'Ecoìc  des 
hatites  ètudes,  Paris,  1887,  p.  39. 

(2)  Intorno  alla  grammatica  di  C.  cf.  Schkeider,  Die  Casus, 
Tempora  tind  Modi  bei  Commodian,  Nùrnberg,  1889;  intorno  alla  me- 
trica di  lui,  cf  Hanssen,  De  arie  metrica  Commodiani,  Strassburg,  1881  ; 
.Meyur,  Aufuu'^  uiid  Ursprnng  dcr  ìaiàniscben  iiiid  i^riechischen  Dichliiii^ 
in  Abììaudl.  d.  k.  bayer.  Akad.  d.  IViss.  XVII  (1885),  288-307  ;  Ronca, 
Primi  monumeiili  ed  origine  della  poesia  ritmica  latina,  Roma,  1890, 
pp.  16-2 j  e  122  sg  ;  Ramorino,  La  pronuncia  popolare  dei  versi  quan- 
titativi latini  nei  bassi  tempi  ed  origine  della  verseggiatura  ritmica, 
Torino,  1895,  pp.  65-68. 


UuauJu  j'issc  Coìiimo.iiano  385 

Valente  troviamo  ancora geiitiìis  col  valore  di  barbaro:  CoJ. 
Thecd.  Ili,  XIV,  i:  «Nulli  proviiicialium  cum  barbara  sit 
«  uxore  coniunctio,  nec  ulli  gentilium  provincialis  femina 
(c  copuletur  ».  Cominciamo  a  trovare  gcntìììs  nel  senso  di 
pacano  in  Prudenzio,  IIspl  axecpàvtov,  v.  4(34,  in  san  Gero- 
lamo, Ep.  XXII,  e  in  altri  autori  della  seconda  metà  del 
quarto  secolo  e  del  principio  del  quinto;  ma  anche  allora 
r  uso  non  doveva  essere  divulgato,  perchè  sant'Agostino 
crede  necessario  darne  la  spiegazione:  Comm.  in  psal- 
intim  XXFIII  :  «Gentilis  ille  est  qui  in  Christum  non  cre- 
te dit  »  ;  De  opere  monacb.  cap.  XI:  «  Quis  utique  nonnisi 
«  gentiles,  quos  paganos  dicimus  vult  intelligi  ?  » 

Sant'Agostino  nel  395  compose  un  inno  abecedario 
in  versi  ritmici  monorimi;  ma  quasi  se  ne  scusò,  come 
d'una  colpa  commessa.  Rctractationiiiii  lib.  I,  cap.  20  : 

Volens  etiam  causam  Donatistanira  ad  ipsius  humillimi  vulgi 
et  omnino  imperitorum  atque  idiotarum  notitiam  pervenire  et  eoruni 
quantum  fieri  posset  per  nos  inhaerere  memoriae,  psalmum  qui  eis 
cantaretur  per  latinas  litteras  feci...  Ideo  autem  non  aliquo  carniinis 
genere  id  fieri  volui,  ne  me  necessitas  metrica  ad  aliqua  verba  quae 
vulgo  minus  sunt  usitata  compelleret. 

In  altro  luogo  parla  d'una  traduzione  dei  canti  sibillini 
fatta,  come  egli  dice,  «  versibus  male  latinis  et  non  stan- 
tì tibus  ».  E  chiaro  che  quei  versi  che  non  si  reggevano, 
che  mal  potevano  chiamarsi  versi,  non  erano  altro  che 
versi  ritmici.  Sant'Agostino  non  ha  idea  precisa  della  nuova 
poesia  ritmica  che  allora  sorge,  e  che  poi  finirà  col  sosti- 
tuirsi del  tutto  alla  poesia  metrica.  Ora,  se  Commodiano 
avesse  scritto  i  suoi  esametri  ritmici  nella  metà  del  terzo 
secolo,  sant'Agostino  circa  cento  cinquanta  anni  dopo  non 
avrebbe  creduto  suo  dovere  giustificarsi,  perchè  anche  lui 
scriveva  di  quei  versi,  ne  avrebbe  così  vagamente  definito 
la  traduzione  in  versi  ritmici  dei  canti  sibillini.  In  un  pe- 
riodo di  circa  un  secolo  e  mezzo  la  poesia  ritmica  avrebbe 
progredito,  e  si  sarebbe  sviluppata  tanto  che  non  si  può 


386  (j.  S.    l^aniniiiio 


ammettere  che  un  uomo  eruditissimo,  qual  era  sant'Ago- 
stino, non  dovesse  averne  esatta  conoscenza  (i). 

Commodiano  ci  fa  sapere  che  ai  suoi  tempi  le  matrone 
cristiane  portavano  abiti  di  seta,  ricchi  ornamenti  d'oro, 
splendide  collane,  braccialetti  e  orecchini,  si  pettinavano  i 
capelli  artificiosamente,  s'imbellettavano  il  viso,  si  tinge- 
vano le  sopracciglia  e  i  capelli,  ballavano  nelle  loro  case, 
e  invece  di  salmi  cantavano  canzonette  amorose  (2).  Erano 
cosi  corrotti  i  costumi  cristiani  nel  terzo  secolo  ?  Almeno 
ciò  non  apparisce  dagli  scrittori  cristiani  dell'  epoca  (3). 

Tertulliano  e  san  Cipriano  nel  terzo  secolo,  Arnobio 
e  Lattanzio  al  principio  del  quarto  secolo  combattono  il 

(i)  Il  Ramoriko,  e  in  ciò  e  d'accordo  con  molti  altri  dotti,  nella 
memoria  citata  classifica  C.  nel  numero  dei  poeti  ritmici,  e  poiché 
segue  ad  occhi  chiusi  l'opinione  dell'  Ebert,  è  costretto  a  dire  che 
C.  è  il  «  solo  scrittore  che  nel  ter^o  secolo  fé'  uso  di  versi  ritmici  » 
(p.  58).  Però  nel  termine  del  suo  lavoro,  dopo  aver  esaminato  le  te- 
stimonianze dei  grammatici,  gli  errori  di  prosodia  nelle  iscrizioni  la- 
pidarie e  nelle  opere  letterarie  dei  bassi  tempi,  la  pronunzia  comune 
delle  parole  latine  e  la  lettura  dei  versi  quantitativi,  i  più  antichi 
monumenti  di  ritmica  volgare,  arriva  alla  conclusione  che  «  a  co- 
«  minciare  dal  quarto  secolo  dell'era  volgare  e  venendo  giù  al  quinto 
«  e  sesto  è  in  uso  una  verseggiatura  conforme  bensì  alle  leggi  me- 
«  triche  dell'età  classica,  ma  più  o  meno  errata  quanto  a  prosodia; 
«ed  è  in  uso  contemporaneamente  un'altra  maniera  di  verseggia- 
«  tura  che  suol  esser  detta  ritmica,  e  differisce  dalla  precedente  non 
«  per  la  forma  dei  versi,  ma  perchè  vi  è  trascurata  la  prosodia,  0 
«  meglio,  vi  è  curata  solo  subordinatamente  alla  posizione  dell'  ac- 
«  cento  grammaticale,  ed  inoltre  tollera  più  spesso  che  mai  l'iato,  e 
<'  tende  a  terminare  i  versi  in  un'  assonanza  o  rima  »  (p.  69).  In- 
somma C.  compone  in  versi  ritmici  le  Inslr.  e  il  Carm.apoìo'^.  ce  verso 
«  la  giusta  metà  del  terzo  secolo  »,  e  la  poesia  ritmica  sorge  nel 
quarto.  La  contraddizione  salta  agli  occhi  di  tutti,  e  la  notò  il  Ra- 
morino  stesso,  il  quale  anzi  cercò  cavarsi  d'imbarazzo  asserendo  che 
«le  manifestazioni  letterarie  d'un  momento  linguistico  psicologico 
«  possono  casualmente  aver  luogo  in  ordine  diverso  da  quel  che  ten- 
«  gono  i  momenti  successivi  d'  esso  »  (p.  70,  nota  2). 

(2)  Cf.  hnlr.  II,  18  e  19. 

(3)  Cf.  Tertulliano,  Dì  cnllu  foeminarum. 


(^luììido  l'iste  Contino Jiùìio  387 

pnganesimò  con  argomenti  filosofici  e  teologici.  Commo- 
diano  non  conosce  altra  arma  che  il  ridicolo  e  la  satira 
pungente,  feroce.  Si  burla  di  Saturno  che  divora  i  figli, 
di  Giove  che  ha  bisogno  di  Piragmone,  il  quale  gli  for- 
nisce i  fulmini,  di  Mercurio  con  le  ali  ai  piedi  e  una  borsa 
in  mano,  di  Nettuno  che  non  potendo  vivere  del  suo  fa 
il  muratore,  d'Apollo  che  s' innamora  pazzamente  di  Cas- 
sandra, la  quale  non  gli  corrisponde,  e  lo  vince  alla  corsa, 
di  Mitra  che  è  nato  da  un  sasso  e  vive  rubacchiando,  di 
Silvano  che  suona  il  flauto  (i).  Non  ha  alcun  rispetto  per 
i  vecchi  numi  dell'Olimpo:  i  miti  più  belli  ed  eleganti 
sono  da  lui  trasformati  in  grossolane  parodie  (2).  Saturno 
è  un  vecchio  pauroso  e  imbecille,  Giove  un  seduttore 
della  sorella  propria  e  delle  mogli  altrui,  reo  di  molti  de- 
litti, parricida,  Nettuno  un  adultero  e  un  misero  muratore. 
Mitra  un  ladro.  I  sacerdoti  dei  numi  sono  stolti  e  scelle- 
rati ingannatori,  ubbriaconi  (3).  Non  sa  rivolgersi  ai  pagani 
senza  coprirli  di  vituperio.  Li  chiama  sciocchi,  insensati, 
maligni,  sciagurati,  perfidi,  empii,  crudeli,  sanguinarli  (4)  : 
dei  loro  idoli  dovrebbero  farne  delle  padelle  : 

Solveretis  eos  magis  in  vascula  vobis  (5). 

Anche  quando  li  ammonisce,  e  vuole  usare  parole  dolci, 
insinuanti,  gli  sfugge  sempre  qualche  frase  ingiuriosa. 

Gens,  homo,  tu  frater,  noli  pecus  esse  ferinum, 

Erue  te  tandem  et  tecum  ipse  retracta: 

Non  utique  pecus  nec  besteis,  sed  homo  natus  (6). 


(1)  Insti-.  I,  4;  I,   5;  I,  9;  I,  io;  I,    II  ;  I,   13    &c. 

(2)  PiCHON,  Histoire.  di  la  littérature  lutine,  Paris,  1898,  p.  876  sg. 
(5)  Insti:  I,  8,  fo;  I,   12,  12;  I,   17,   i;  I,   18,   16  &:. 

(4)  Insti:  I,  6,   i;  I,  6,  7;  I,  7,  9;  I,   II,   5;  I,   14,  6;   I,  io,  4; 
I,  23,  3  ;  I,  24,  )-  ;  I,  25,   I  ;  I,  26,  I  ;  I,  27,  i  &:c. 

(5)  Insti:  I,  20,  7. 

(6)  Insti:  I,   34,   5-7. 


3 ss-  G.  S.  %vuiindo 


Commodiano  che  non  eni  né  fanatico,  ne  imprudente, 
ma  uomo  pratico  e  avveduto,  e  dava  saggi  consigli  ai  cri- 
stiani, predicando  ad  essi  la  pazienza  e  la  rassegnazione, 
avrebbe  parlato  con  tanto  poco  rispetto  degli  dèi  e  dei  loro 
adoratori  e  adoperato  un  linguaggio  così  violento  nel 
terzo  secolo,  quando  la  religione  pagana  era  la  religione 
officiale  dello  Stato,  e  i  cristiani  non  formavano  che  una 
piccola  minoranza  ?  Le  sue  parole  sarebbero  state  una  pro- 
vocazione, e  avrebbero  avuto  per  effetto  sicuro  un  rincru- 
dimento nella  persecuzione  contro  i  suoi  compagni  di  fede. 

Facilmente  da  uno  studio  più  minuzioso  e  accurato  delle 
Itisfnictiones  e  del  Carmen  apoìogcticiim  altri  argomenti  si 
potrebbero  trarre  in  favore  della  prima  parte  della  nostra 
tesi,  che  cioè  Commodiano  non  è,  e  non  può  esser  vissuto 
nel  terzo  secolo,  ma  dopo.  Però  credo  che  quelli  addotti 
finora  siano  più  che  sufficienti  ;  anzi  forse  bastavano  i  due 
soli  portati  dal  Brewer.  Si  può  porre  come  tenninus  post 
ijiiem  sicuro  l'anno  324,  in  cui  avvenne  la  morte  di  Li- 
cinio. Fino  allora  Costantino  non  essendo  solo  a  gover- 
nare non  mostrò  alcuna  preferenza  per  la  religione  cri- 
stiana. Con  l'editto  di  Milano  promulgato  d'accordo  col 
collega  Licinio,  nel  quale  stabiliva  la  libertà  di  culto,  con 
le  disposizioni  in  cui  dichiarava  esenti  dagli  obblighi  della 
curia  i  sacerdoti  cristiani,  con  la  legge  in  cui  proibiva  di 
costringere  i  cristiani  a  far  atto  di  paganesimo,  non  con- 
cesse nessun  favore  speciale,  ma  solo  equiparò  il  diritto 
dei  cristiani  a  quello  dei  pagani  (i).  Prima  dell'anno  324 
non  potè  esser  avvenuta  la  scomparsa  del  dio  Ammudatc, 
di  cui  parla  Commodiano. 

Un  tcrmbius  ante  (jtiem  è  dato  da  Commodiano  stesso 
nei  versi  810-817  del  Carmen  apologeticuni,  in  cui  si  parla 


(i)  .\li.ard,  Le  chrisliaiiisnie et  l'em[)iie  romain  di  Kcroii  à  Thèo- 
dosc,  Paris,  1897,  p.  155  sg. 


Quando  pìssc  Couimodiaiio  389 


d'un  passaggio  del  Danubio  che  flumo  i  Goti,  i  quali  sono 
detti  genliìcs.  Sotto  Valente  i  Goti,  non  potendo  resistere 
all'invasione  degli  Unni,  in  gran  numero  varcarono  defi- 
nitivamente il  Danubio,  e  chiesero  ed  ottennero  di  stabilirsi 
nella  Mesia.  Maltrattati  dai  Romani,  che  essi  riconoscevano 
come  loro  protettori,  si  ribellarono,  assalirono  e  vinsero  il 
generale  Lupicino,  e  unitisi  con  le  bande  gotiche,  che  com- 
battevano nelle  file  romane  in  qualità  di  milizie  ausiliari,  si 
avanzarono  minacciosi  verso  Costantinopoli.  Valente  mosse 
loro  incontro  con  un  forte  esercito,  ma  fu  vinto  presso 
Adrianopoli,  ed  egli  stesso  peri  nella  mischia.  Teodosio 
venne  a  patti  coi  vincitori,  concesse  di  fissare  la  loro  di- 
mora nella  Tracia  e  nell'Asia,  e  li  ammise  a  far  parte 
delle  legioni.  Sotto  Valente  i  Goti  si  convertirono  nella 
maggior  parte  al  cristianesimo  (r).  Commodiano  dunque 
si  deve  collocare  fra  il  324,  anno  della  morte  di  Licinio, 
e  il  378,  anno  della   morte  di  Valente. 

E  scxxssQÌQ.  Instructiones  e  il  Carmen  apoìogeticum  al  prin- 
cipio d'una  persecuzione  o  piuttosto  sotto  una  persecuzione 
dei  cristiani  da  parte  dei  pagani,  come  apparisce  special- 
mente da  alcuni  acrosdci  (Insti:  I,  12,  3  e  io;  II,  io,  i-io; 
II,  II,  4;  II,  20,  5-8;  II,  21,  8;  II,  25,  7-9),  e  vedremo 
meglio  di  qui  a  poco.  Ora  nel  periodo  di  tempo  che  va 
dalla  morte  di  Licinio  a  quella  di  Valente,  sotto  Giuliano 
l'Apostata,  si  ha  una  serie  d'imperatori,  che  professarono 
e  favorirono,  o  per  lo  meno  non  combatterono  il  cristia- 
nesimo. Costantino  dopo  il  324,  rimasto  solo  imperatore, 
pur  serbando  uno  spirito  di  tolleranza,  non  trascurò  oc- 
casione di  dimostrare  la  sua  preferenza  per  la  religione 
cristiana  e  la  sua  avversione  sempre  crescente  verso  il  pa- 
ganesimo (2).  Costante  e  Costanzo  si  dichiararono  aperta- 
ci) DuRUY,  op.  cit.  VII,  438  sg. 

(2)  Costantino  proibì  i  sacrifizi  occulti,  distrusse  alcuni  templi 
pagani  in  Egitto,  in  Fenicia  e  in  Cilicia  e  da  molti  altri  tolse  statue 
e  oggetti  d'arte  per  ornarne  Costantinopoli,  divenuta  nel  329  la  se- 


390  G.  S.  '7^c7;////;/(./o 


niente  per  i  cristiani  e  osteggiarono  la  religione  pagana. 
Gioviano  e  poi  Valentiniano  e  Valente  mantennero  la  li- 
bert;\  di  culto.  Veramente  questo  ultimo,  ariano,  dette 
qualche  molestia  ai  cristiani  ortodossi;  ma  soltanto  Giu- 
liano prese  a  difendere  il  paganesimo  contro  il  cristiane- 
simo. Egli  credette  di  poter  ristabilire  un  ordine  di  cose 
destinato  a  sparire.  Morto  Costanzo  si  dichiarò  subito  pel 
vecchio  culto,  fece  riaprire  i  templi  degli  dèi  e  ripigliare 
le  cerimonie  pagane  interrotte.  Non  ordinò  mai  alcuna 
esecuzione  capitale  per  ragione  di  fede,  non  volle  perse- 
guitare i  cristiani  ferocemente:  li  molestò,  ma  restando 
sempre,  almeno  in  apparenza,  nelle  vie  legali.  Soppresse 
i  privilegi  della  Chiesa,  il  diritto  di  giurisdizione,  che  i 
vescovi  avevano  in  alcuni  casi  e  il  diritto  d'esenzione  da 
alcune  pubbliche  imposte,  di  cui  godevano  gli  ecclesiastici; 
interdisse  ai  cristiani  l'insegnamento  nelle  pubbliche  scuole. 
L'  editto  con  cui  ordinava  di  riedificare  i  templi  distrutti 
dai  cristiani  fu  una  misura  pericolosa,  e  provocò  disordini. 
Avvennero  massacri  dei  cristiani  in  Alessandria,  in  Gaza, 
in  Aretusa,  in  Eliopoli  e  in  altre  città.  Giuliano  invece  di 
punire  severamente  i  colpevoli  si  contentò  di  biasimarli 
a  parole:  la  sua  indulgenza  fu  senza  dubbio  eccessiva,  e 
forse  servi  ai  pagani  d'incitamento  ad  eccessi  e  violenze 


conda  capitale  dell'impero.  Cf.  Socrate,  Storia  ecd.  I,  i6,  17,  18; 
SozoMENo,  Storia  ecd.  II,  5;  Zosimo,  II,  32;  Eusebio,  Vita  di  Co- 
stantino, III,  55,  )7;  Lodi  di  Costantino,  8  Sozomeno  ci  racconta  che 
gì'  idoli  di  metalli  preziosi  erano  liquefatti,  e  divenivano  proprietà  del 
fisco;  gl'idoli  di  bronzo  lavorati  artisticamente  erano  spediti  a  Co- 
stantinopoli;  Storia  ecd.  II,  5:  «  Twv  5'aù  joavtov  tì  ovxa  Tiiiia^  OÀr^; 
«•/.al  xwv  àXXo)v  òoov  è?óx£'.  yj^rioi^o^t  eìvai,  Ttopl  SiexpiveTO  xal  Sr^- 
«  [lóa-.a  èyiyyzzo  7py,|iaTa.  Ti  Ss  sv  y.aXyò)  ì>ocu|jLaa'.w5  eipyaonéva, 
«  7:àv":o3-6v  si;  -zy,-/  èitwvjiiov  7:óX'.v  toO  aOxoy.fiixopos  iie-exon'.oO-r;  roc.; 
e  xó^iiov  ».  È  molto  probabile  che  in  questa  strage  d' idoli  ordinata 
da  Costantino  sia  anche  perito  V  idolo  del  dio  Ammudate,  di  cui 
parla  Commodiano, 


(Quando  j'issc  (SoiuDiodiaiio  391 

maggiori  (i).  Alcuni  storici  moderni,  pur  condannando  la 
sua  politica  reazionaria,  lo  giudicano  con  una  certa  bene- 
volenza; ma  gli  storici  cristiani  contemporanei  e  posteriori 
lo  pongono  tutti  tra  i  persecutori  della  Chiesa.  Si  deve 
quindi  conchiudere,  con  la  certezza  di  non  errare,  che  le 
lìistructioìh's  e  il  Canncn  apologeticiim  furono  composti  sotto 
Giuliano  l'Apostata.  E  di  ciò  si  può  essere  pienamente 
sicuri  anche  perchè  tanto  nel  Carmen  apoìogeticiim,  quanto 
e  più  nelle  Instrnct'wncs  si  trovano  accenni,  i  quali  non 
possono  riferirsi  che  alla  persecuzione  di  Giuliano  e  a 
Giuliano  stesso,  e  sono  tanti  e  cosi  chiari,  che  reca  me- 
raviglia a  pensare  come  1'  età  di  Commodiano  abbia  po- 
tuto   essere    un  problema  sinora. 

G.  S.  Ramundo. 

(Coiilinua). 

(i)  Della  politica  religiosa  di  Costantino,  di  Costante  e  Co- 
stanzo, di  Giuliano  &c.  tratta  diffusamente  1' Allard  nell' opera  ci- 
tata. Cf.  p.  168  sg. 


Le  carte  antiche 


DELL'ARCHIVIO  CAPITOLARE  DI  S.  PIETRO 

IN    VATICANO 


Notizie  intorno  all'archivio. 

5^  A  venerabile  basilica  di  S.  Pietro  dovette  posse- 

M  \ìl^^  ^^^^  ^^^  ^'^'^  primi  tempi  un  proprio  archivio  am- 
5^^^)  ministrativo  ed  una  biblioteca.  Forse  dapprima 
archivio  e  biblioteca  non  furono  nettamente  divisi. 

Volendo  conoscere  le  vicende  di  quest'archivio,  occorre 
prendere  le  mosse  dallo  «  scrinium  confessionis  beati  Petri  », 
i  di  cui  primi  accenni  si  trovano  segnatamente  nel  Liber 
Poiìtifìcaìis  e  nel  Liber  Diurmis.  Le  notizie  non  sono  ab- 
bondanti, ma  tali  da  darci  un'idea  approssimativa  dei  do- 
cumenti che  in  esso  venivano  depositati. 

Il  pontefice  Leone  II  (i),  inviando  per  la  firma  ai 
vescovi  di  Spagna  gli  atti  della  sesta  sinodo,  scrive  che 
il  documento,  munito  delle  loro  sottoscrizioni,  verrebbe 
in  seguito  depositato  presso  la  confessione  del  principe 
degli  apostoli,  «  ut  eo  mediante  atque  intercedente  a  quo 
«  christianae  fidai  descendit  vera  traditio  offeratur  domino 
«  lesu  Christo  ad  testimonium  et  gloriam  eius  mysterium 
«  fideliter  confitentium  ac  subscribentium  ».  Sappiamo  da 
Gregorio  II  (2),  che  le  lettere  dell'  imperatore  Leone  Isau- 

(i)  A.  682;  Jaffé-L.  n.  21 19. 
(2)  Circa  729  ;  J.-L.  n.  2180. 


594  ^"    SchiafJirel/i 


rico  e  predecessori  si  conservavano  diligentemente  nella 
confessio.  Delle  donazioni  fatte  dai  re  e  duchi  longobardi 
e  dai  primi  imperatori  Carolingi  a  san  Pietro  ed  alla 
Chiesa  Romana  si  depositava  un  originale  nella  cotifcssio; 
le  testimonianze  del  Libcr  Ponlìficaììs  sono  esplicite  per  le 
donazioni  di  Astolfo  (i)  e  particolarmente  di  Carlo  Ma- 
gno (2),  anzi  il  biografo  di  Adriano  I  descrive  con  inte- 
ressanti e  preziosi  particolari  il  solenne  cerimoniale  della 
tradilìo  del  diploma  Carolino  (3). 

Il  biografo  di  papa  Constantino  (4)  ci  fa  noto  che  la 
caiilio  o  promissio  Jìdei  dei  pontefici  e  dei  vescovi  si  depo- 
sitava sull'altare  della  confessione  e  veniva  poi  conservata 
nello  scrin'miìi.  E  questa  testimonianza  è  comprovata  dal 
Libcr  Diitnnis,  dove  fortunatamente  ci  sono  tramandate 
tali  formule  (5).  Nello  stesso  scriniiiiìi  dovevano  deposi- 
tarsi gli  atti  delle  sinodi  tenute  nella  basilica  (6),  e  certa- 
mente, come  ci  attesta  la  bolla  di  Agapito  II,  J.-L.-|-  3(^44  (7), 

(i)  Liber  PonlificaUs,  ed.  Duchesse,  I,  453. 

(2)  Liber  Pontificalis,  ed.  Duchesne,  I,  498. 

(3)  Cf.  Th.  v.  Sickel,  Dus  Piivilegiiiin  Otto  I  fiir  die  roinische 
Kirche,  Innsbruck,  1883,  pp.  40-1  r. 

(4)  Liber  Pontifica]is,ed.DvcHESìiE,l,  389;  ed.  Mommsex,  p.  222. 

(5)  SiCKELy  Liber Diurnus  Romanorum pontificnm,  Vindobonae,  1889, 
p.  93,  form.  Lxxxiii,  p.  103,  Lxxxiv  «  Indiculum  pontificis  »  ;  p.  80, 
forni.  Lxxv  e  p.  81,  Lxxvi  «  Indiculum  episcopi». 

(6)  Cf.  Liber  Ponlificalis,  ed.  Duchesne,  I,  281;  ed.  Mommsex, 
p.  139.  Sulle  sinodi  tenute  nella  basilica  cf.  O.  Panvinius,  Dj 
rebus  anliquis  tneniorabilibus  et  prueslanlia  basilicae  Sancii  Petri  aposto- 
loriim  principis,  libri  seplcm  (nello  Spicileiiiuiii  Romanum,  IX),  lib.  IV, 
cap.  XVI  :  De  coiiciliis  in  basiiica  Vaticana.  Biillarium  basilicae  Vaticanac, 
Romae,  1747,  I,  1-2,  nota.  Albert  Wer.minghoff,  Vcr^àchnis  der 
Akkn  Jrankiscben  Synoden  von  S4}-(jiS,  nel  Keites  Archiv,  XXVI, 
609  sg. 

(7)  Cf.  G.  B.  De  Rossi,  La  biblioteca  della  Sede  Apostolica  ed  i 
cataloghi  de'  suoi  manoscritti,  negli  Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto, 
a.  V,  1884,  p.  343;  Codices  Palatini  latini  bibliotbecae  ì''aticanae,  ree. 
Henricus  Stevenson  IUNIOR, recognovit  G.  B.  De  Rossi,  Romae,  1886, 

p.    LXXXII. 


Caridì-io  di  S.  Pietro  in    l'alienilo  595 

SI  conservava  in  esso  memoria  delle  concessioni  della  di- 
gnità del  pallio,  il  quale  veniva  tolto  dalla  confessione  di 
san  Pietro. 

Nella  citata  bolla  di  Agapito  II  compare  per  la  prima 
volta  l'espressione  «  archivio  Sancti  Petri  »  nel  significato, 
come  nei  riferiti  documenti,  di  «  scrinium  confessionis 
«sancti  Petri»,  e  per  quanto  il  documento  sia  falso,  nel 
suo  complesso  la  veridicità  della  notizia  e  dell'espressione 
non  può  essere  infirmata.  Il  pontefice  Gregorio  VII  citando 
in  una  sua  lettera  (J.-L.  n.  5203)  il  falso  diploma  di  Carlo 
Magno,  Mùlilbacher,  Reg.  n.  340  (331),  tuttora  presso  l'ar- 
chivio Capitolare,  lo  dice  esistente  «  in  archivo  ecclesiae 
«  Beati  Petri  ». 

I  documenti  citati  come  deposti  nella  confessione  non 
possono  dirsi  di  stretta  amministrazione  della  basilica,  e 
nulla  hanno  di  comune  colle  solite  donazioni  fatte  al  pa- 
trono della  chiesa  considerato  come  persona  vivente,  uso 
molto  esteso  nel  medioevo.  Era  questa  la  basilica  del  prin- 
cipe degli  apostoli,  del  fondatore  della  Chiesa  Romana,  e 
nella  confessione  e  sul  di  lui  corpo  si  deponevano  come 
omaggio  e  come  in  un'  arca  di  sicurezza  i  documenti  di 
speciale  importanza  per  la  Chiesa  in  genere.  Tuttavia  l'ar- 
chivio della  confessio  non  si  confonde  mai  collo  scrinium 
S.  Romanac  Ecclesiae  o  Lateraiiense.  È  merito  del  rimpianto 
G.  B.  De  Rossi  l'aver  chiarito  questo  punto  (i).  Ma  l'ar- 
chivio della  confessione  era  diverso  dall'  archivio  della 
basilica  o  dei  canonici  di  S.  Pietro  ?  Gli  storici  della  ba- 
silica non  si  occuparono  del  quesito;  pare  che  il  De  Rossi 
ritenesse  lo  scriiiiuiìi  della  confessio  tutt'uno  coli'  archivio 
della  basilica  ;  cosi  il  professore  Bresslau,  nel  suo  ottimo 
manuale  di  diplomatica,  non  nota  differenza    alcuna  (2). 

(i)  G.  B.  De  Rossi,  La  hiblioUca  &c.  pp.  342-45  ;  Codices  Pala- 
tini Sic.  pp.  LXXix-LXKXii.  Cf.  H.  Brbsslau,  Hundbuch  der  Urkuii- 
dinlilire  fiir  Diulschland  luid  Ilalicn,  Leipzig,   1889,  I,   120  sg. 

(2)  Op.  cit.  I,  124. 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         20 


39^  /•■    •V//.c7yL\7rc7// 

Di  altro  avviso  e  il  professore  Scheffer-Boichorst,  il  quale, 
dopo  di  aver  indicato  sommariamente  quali  documenti  ve- 
nivano deposti  nella  confessio,  aggiunge:  «  aber  die  Cripta 
<(  war  dodi  nicht  das  Archiv  der  Peterskirche:  was  aus 
«  diesem  hervorgegangen  ist,  was  nodi  in  demselbcn  auf- 
«  bewahrt  wird,  besieht  sich  unmittelbar  auf  Kirche  und 
e  Geistlichcit  von  St.  Peter»  (i).  Anzi  tutto  va  notato, 
che,  tanto  presso  l'attuale  archivio  Capitolare  di  S.  Pietro 
quanto  presso  l'archivio  Vaticano,  non  si  conservano  do- 
cumenti originali  che  con  certezza  siano  stati  deposti  sul- 
r  altare  della  confessione,  indi  nello  scriiiiiitii  confessioiiis  {2)  \ 
tutto  quel  prezioso  materiale  è  andato  perduto. 

Le  donazioni  fatte  a  san  Pietro,  di  qualsiasi  genere  e 
accompagnate  o  no  da  testimonianza  scritta,  venivano 
collocate,  secondo  le  espressioni  più  comuni,  ante  o  super 
coiifessioiiein,  ante  o  super  aitare  confessioms  beati  Petri.  Con 
queste  o  simili  formule  si  descrive  materialmente  l' atto 
della  donazione,  la  traditio;  ma  non  dobbiamo  ritenere  che 
gli  oggetti  donati  rimanessero  sempre  sull'altare.  I  do- 
cumenti scritti  venivano  in  seguito  deposti  nello  scrininui 
confessioms.  Alla  parola  confessio  va  attribuito  in  questo 
caso   un  significato  ampio,  come  cripta,  fors'  anche  chiesa. 

Intanto  non  si  può  parlare  di  un  unico  e  proprio  ar- 
chivio Capitolare  della  basilica  di  S.  Pietro  anteriormente 
al  secolo  xi.  I  canonici  di  S.  Pietro  erano  distribuiti  nei 
quattro  monasteri  di  S.  Stefano  maggiore,  di  S.  Stefano 


(i)  Paul  Scheffer-Boichorst,  Zwei  UnUrsuchinigen  :;^iir  Gc- 
sclìicbtc  der  pùpstìichcii  Tcrriloriul-  und  Finatiifìolitìk,  nelle  Mittbeiìuii- 
^cn  de-  Iiislituts  fùr  osti:  Gescbichtsforschuno,  IV  Ergiinzungsband,  p.  89, 
nota   I. 

(2)  È  una  ipotesi,  per  quanto  assai  fondata,  quella  di  Marino 
Marini  (Nuovo  esame  dcW autenlicHìi  dei  diplomi,  Roma,  1822,  p.  67), 
e  del  SiCKEL  (op.  cit.  pp.  40-41)  che  il  diploma  Ottoniano  962  feb- 
braio 15,  proprio  nel  ritenuto  originale  presso  l'archivio  Vaticano 
(arm.  I,  caps.  ni,  n.  i),  s:a  stato  deposto  sull'altare  della  confessione. 


Cartario  di  S.  'Pi^'lro  in    Vaticano  397 


minore,  di  S.  Martino,  di  S.  Giovanni  e  di  S.  Paolo, 
situati  presso  la  basilica,  retti  da  un  proprio  abbate  col 
titolo  di  archiprcsbiier,  con  propria  amministrazione  e,  ar- 
gomento, con  proprio  archivio.  L'unione  dei  quattro  mo- 
nasteri si  effettuò  nel  secolo  xi,  ma  a  grado,  sebbene  il 
documento  giuridico  di  quella  possa  ritenersi  la  bolla  di 
Leone  IX  (J.-L.  n.  4294)  diretta  a  Giovanni  arciprete  di 
S.  Pietro,  colla  quale  il  pontefice  conferma  alla  detta  chiesa 
tutti  i  beni  e  possessi  dei  singoli  monasteri.  I  documenti  di 
questi  si  conservano  tuttora,  pochi  in  numero,  presso  l'ar- 
chivio di  S.  Pietro  e  appartengono  ai  secoli  x  e  xi;  man- 
cano carte  di  data  posteriore  spettanti  ai  singoli  monasteri; 
r  unione  amministrativa  fu  completa,  pur  continuando  cia- 
scun monastero  a  prosperare  separatamente.  Il  capitolo 
si  era  così  unito  e  consolidato;  da  quest'epoca  in  poi,  i 
documenti  privati  e  le  bolle  pontificie  ci  mostrano  un'  am- 
ministrazione unica,  quella  del  capitolo  in  genere  della 
basilica.  Quest'unione  avrà  senza  dubbio  richiesto  un  ac- 
centramento dei  documenti  amministrativi;  ritengo  che 
allora,  alle  carte  spettanti  puramente  alla  basilica  e  con- 
servate nello  scriniìuìi  coufessioìiìs,  si  aggiungessero  quelle 
dei  quattro  monasteri.  Forse  a  quell'  epoca  risale  1'  uso  del- 
l' espressione  archivium  o  scriniiuìi  ecclesie.  Beati  Petri.  E  no- 
tevole che  in  seguito  non  si  ha  più  ricordo  dello  scrinio 
della  confessione. 

L'attuale  archivio  della  basilica  od  archivio  Capitolare 
di  S.  Pietro  possiede  un  solo  documento  del  secolo  ix, 
cioè  una. bolla  di  Leone  IV  (J.-K.  n.  26^^)  pervenutaci 
in  copia  autentica  del  1141  (1).  I  documenti  originali  prin- 
cipiano col  secolo  X,  ed  i  più  antichi,  quelli  dei  secoli  x  e  xi, 
appartengono  al  fondo  dei  monasteri  aggregati.  Ma  anche 


(i)  Non  tengo  conto  del  falso  diploma  di  Carlo  Magno  (p.  pò, 
n.  I). 


398  L.    Scliiaparclli 


questi  documenti  non  sono  numerosi.  Di  quelli  citati  par- 
lando della  confessione  (pp.  593-94),  del  chirografo  ricor- 
dato nelle  l'arie  di  Cassiodoro  (i),  delle  donazioni  della 
domits  ciiìia  Laiirctiim  e  della  massa  Fontiana  (2),  della  donuis 
culla  Saiictc  Cecilie  (3),  della  domiis  eulta  nel  decimoquarto 
miliario  (4),  delle  masse  Aniìus  e  Formias  (5),  della  bolla  di 
Gregorio  II(J.-L.  n.  2 184),  delle  donazioni  di  Gregorio  II  (6) 
e  di  Zaccaria  (7)  per  la  luminaria  Sic.  1'  attuale  archivio 
non  conserva  né  copia,  né  memoria  alcuna.  Così  non  con- 
serva notizia  dei  documenti  riguardanti  gli  antichi  censi 
della  S.  Sede,  originati  da  offerte  fatte  da  chiese  e  da  mo- 
nasteri a  san  Pietro  per  ottenere  la  tuitio  o  dcfensio.  Era 
bensì  il  papa  che  disponeva  di  questi  censi  o  rendite,  ma 
prima  della  riorganizzazione  delle  finanze  pontificie  sotto 
Alessandro  II  per  opera  dell'arcidiacono  Ildebrando  (8), 
si  verificarono  alcune  confusioni  e  si  hanno  esempi  di  of- 
ferte a  san  Pietro  e  deposte  sul  di  lui  corpo,  le  quali  non 
spettavano  al  palalium,  cioè  al  papa,  ma  alla  basilica.  Ad 
esempio,  in  un  documento  lucchese  del  790  (9)  si  specifica 
che  l'offerta  debba  servire  per  la  luminaria  della  chiesa  di 
S.  Pietro;  nel  documento  del  1062  di  fondazione  del  mo- 
nastero di  S.  Nicola  di  Poitiers  (io)  si  stabilisce  un  censo 


(i)  Ed.  MoMMSEN,  nei  A/oh.  Genti,  hist.,  Auctorcs  atiliquissimi, 
XII,  20,  377. 

(2;  Liber  Ponti ficiilis,  ed.  Duchesse,  1,  452;  cf.  p.  458,  nota  40. 

(3)  Lihir  PoHtificaUs,  ed.  Duchesse,  I,  434;  cf.  p.  459.  nota  52. 

(4)  Libir  Pontificalis,  ed.  Duchesse,  1,454-55  ;  cf.  p.  439,  nota  54. 

(5)  Liber  Pontificalis,  ed.  Duchesse,  I,  435:  cf.  p.  439,  nota  55. 

(6)  Liber  Ponlificalis,  ed.  Duchesse,  I,  410. 

(7)  Liber  Pontifualis,  ed.  Duchesse,  I,  452;  cf.  p.  438,  nota  41. 

(8)  Cf.  Paul  Fabre,  Elude  sur  le  Liber  Censuum  de  l'Église  Ro- 
maine,  nella  Bibliotbcque  des  écoles  frati(aises  d'Alhcnes  et  de  Rome,  LXII 
(Paris,  1892),  p.  151. 

(9)  L.  A.  Muratori,  Anliqnil.  li.  III.  561;  cf  P.  Fabre,  op.  cit. 
pp.  58,  150. 

(,10)  Cf.  P.  Fabre,  op.  cit.  p.  151. 


Cartario  di  S.  Tìetro  in    Vaticano  399 

al  capitolo  di  S.  Pietro.  Almeno  di  questi  censi,  in  cui  cioè 
si  specifica  l'offerta  per  la  chiesa  di  S.  Pietro,  l'archivio 
di  questa  avrà  conservato  ricordo. 

Se  mai  un  archivio  ecclesiastico  doveva  essere  ricco 
di  antiche  carte  era  per  1'  appunto  quello  della  basilica  del 
principe  degli  apostoli.  Le  notizie  che  si  attingono  dal 
Liber  Pontijicalis  e  dai  libri  dei  censi  o  redditi  della  basi- 
lica (i)  possono  offrirci  una  pallida  idea  delle  innumere- 
voli donazioni  di  pontefici,  imperatori  e  re,  di  chiese  e 
monasteri,  di  persone  private  (2).  Il  prezioso  materiale 
andato    perduto    è   incalcolabile. 

Troppo  difficile  sarebbe  voler  indagarne  le  cause; 
mancano  le  testimonianze.  Del  resto,  la  stessa  sorte  toccò 
agli  altri  archivi  della  città,  i  quali  certo  ebbero  a  soffrire 
dalle  lotte,  dai  saccheggi  di  cui  essa  fu  teatro  e  vittima, 
segnatamente  nel  secolo  xi  (3).  Anche  nel  saccheggio 
del  1527  l'archivio  di  S.  Pietro  perdette  molte  carte  (4). 
Non  dovettero  essere  estranee  altre  cause  come  la  poca 
oculatezza  nella  conservazione  o  la  malvagità  di  persone 
che  potevano  avere  interesse  a  nascondere  e  a  soppri- 
mere documenti  ;  ed  a  proposito  va  ricordata  la  bolla  di 
Urbano  IV  (Potthast,  n.  1S610')  dove  si  legge:  «nonnulli 
«  iniquitatis  filli,  quos  prorsus  ignorant  diversos  redditus, 
c(  decimas,  census,  domos,  terras,  vineas,  possessiones,  li- 
ce bros,  apostolica  privilegia,  instrumenta  publica  et  quae- 
«  dam   alia  bcvna   ad   dictam   basilicam  pertinentia  temere 


(i)  Rimonta  alla  fine  del  secolo  xii  un  elenco  delle  chiese 
soggette  alla  basilica  con  enumerazione  dei  censi  da  queste  dovuti. 
Mi  propongo  di  pubblicare  questo  interessante  documento  con  uno 
studio  generale  sui  censi  della  basilica. 

(2)  Cf.  O.  P.-^NViNius,  op.  cit.  lib.  Ili,  cap.  xxxiii,  De  redìiilnis 
aiUiquis  hasilicae  Vaticanae,  pp.  275-78. 

(3)  Cf.  G.  B.  De  Rossi,  Codices  Palatini  &c.  p.  xc. 

(4)  Cf.  Bullario,  II,  397;  Martorelli,  Storia  del  clero  Vaticano 
dai  primi  secoli  del  Cristianesimo  fino  al  XVII,  Roma,   1792,  p.  249. 


400  L.    S:h\aparclli 


«  occultare  et  occulte  Jetinere  presumunt  in  animarum  pe- 
ce riculum  et  dictae  basilicae  non  modicaai  lesionem...  », 
e  colla  quale  il  pontelìce  minaccia  di  scomunica  quanti 
non  restituiranno  entro  determinato  periodo  i  documenti 
dell'archivio.  Nel  secolo  xv  MalTeo  Vegio  lamenta  la  man- 
canza di  notizie  intorno  ai  monasteri  presso  la  basilica,  do- 
vuta alla  perdita  di  antichi  documenti  (i). 

Mancano  notizie  antiche  sull'ordinamento  o  sui  lavori 
eseguiti. 

Sotto  il  pontificato  di  Innocenzo  II  lo  scriniario  Gio- 
vanni fece  un  transunto  della  bolla  di  Leone  IV  e  del 
falso  diploma  di  Carlo  Magno,  e  1  indica  la  fonte  con  le 
parole:  «  sicut  inveni  in  thomo  carticineo  iam  ex  magna 
«  parte  vetustate  consumto  »,  espressione  questa  che,  come 
anche  attestano  alcuni  caratteri  estrinseci  della  copia,  si 
riferisce  all'originale  in  papiro  della  bolla  e  allo  pseudo 
originale  in  pergamena  del  diploma.  Questo  scriniario  ci 
è  noto  anche  per  altri  documenti  da  esso  eseguiti,  e  si 
rivela  un  trascrittore  corretto  e  diligentissimo  (2). 

Pare  che  il  prete  Pietro  Mallio,  il  quale  visse  sotto 
Alessandro  III  e  principia  la  sua  Descriplio  basilicae  Vali- 
canae  colle  parole:  «  Petrus  Mallii  Beati  Petri  presbyter, 

(t)  «  .. .  nuniquam  tamen  invenire  potui  ncque  .apud  historicos 
«ncque  apuJ  privilegia  pontificum  in  quibus  magna  horum  habetur 
«noiitia.  Nani  tot  ex  iis  quae  ad  basilicani  pertinebant  depericrunt, 
«  ut  dolcndum  sit,  quantum  vel  negligcntia  vcl  malignitas  iiominuni 
e  omnia  consumat,  omnia  deleat  et  conficiat  »  (Bolland.  Acta  Ss.  lunii, 
VII,  80) 

(2)  Nella  copia  dei  due  citati  documenti  è  di  una  esattezza  esem- 
plare; riproduce  non  solo  alcuni  caratteri  estrinseci  della  fonte,  ma 
le  note,  i  tratti  di  lettere  che  ancora  potevansi  rilevare  nell'originnle 
assai  danneggiato,  cosiccliè  da  questa  sua  riproduzione  abbiamo  una 
guida  per  completare  lettere  e  parole  mancanti.  E  non  sono  dell'avviso 
del  ToRRiGio  {Le  sacre  grotte  Valicane,  p.  505)  die  incolpa  lo  scri- 
niario Giovanni  degli  errori  nella  copia  del  diploma  di  Carlo  Magno. 


(lai-lario  di  S.T^iclro  in    Wìtx.ino  401 


«  libellum  ex  archivo  eiusdem  sacrosanctae  basilicae  compi- 
«  latum  «,  non  abbia  in  realtà  attinto  a  documenti  dell'ar- 
chivio (i);  ma  certo  ricorse  ad  essi  il  di  lui  continuatore 
il  canonico  Romano,  ai  tempi  di  Celestino  III.  Alcuni 
lavori  di  trascrizione  si  eseguirono  nel  secolo  xiii,  e  cito 
particolarmente  una  pergamena  del  1289  maggio  14  con 
estratti  delle  bolle  di  Leone  IX  (J.-L.  nn.  4292,  4293)  e 
Adriano  IV  (J.-L.  n.  10387)  (2);  ma  solo  nel  secolo  xiv 
si  fimno  numerosi  e  attestano  uno  speciale  interesse  per  la 
conservazione  dei  documenti  dell'archivio.  Ricorderò  anche 
che  nel   1350,  anno  di  giubileo,   essendo    pontefice   Cle- 

(i)  Cf.  G.  B.  De  Rossi,  Inscripiioiies  christianae,  II,  pars  I  (Ro- 
mae,  1888),  p.  197. 

(2)  «  Hec  sunt  quedam  capitula  et  pars  cuiusdam  alterius  pu- 
« 'olici  et  orlginalis  privilegii  supradicti  domni  Leonis  noni  pape  . .  .  jj 
coir  autenticazione  :  «  [ST]  Ego  Leonardus  lacobi  Rubei  sancte  Ro- 
te mane  Ecclesie  auctoritate  index  et  notarius  sicud  inveni  in  predi- 
ce ctis  privilegiis  bullatis  predicta  capitula  ex  eis  scribsi  et  fideliter 
«  exemplatus  sum.  Et  dictis  privilegiis  in  dictis  capitulis  in  eis  con- 
«  tentis  cum  presenti  exemplo  diligenter  abscultatis  et  lectis  in  pre- 
«  sentia  discreti  viri  domni  presbiteri  Egidii  archipresbiteri  ecclesie 
«  Sancti  Vincenti!  de  Urbe  Romane  fraternitatis  rectoris  per  ipsum  rc- 
«  ctorem  et  per  subscriptos  testes  licterarum  eruditos  ipsa  capitula 
«  dictorum  privilegiorum  decreto  et  auctoritate  dicti  rectoris  in  hiis 
«  per  eum  interpositis  publicavi  et  in  publicam  formam  redegi  ad  in- 
«  stantiam  et  preces  discreti  viri  domni  Retri  Romanucii  beneficiati  ac 
«  camerari!  et  procuratoris  basilice  principis  apostoloruni  de  Urbe,  cui 
«  predicta  privilegia  pertinere  noscuntur.  Actum  Rome  in  lovia  ante 
«  dormitorium  diete  basilice  in  anno  dominice  incarnationis  mille- 
«  Simo  ducentesimo  octuagesimo  nono,  tempore  domni  Nicolai  pape 
«quarti,  indictione  secunda,  mense  madii,  die  quarta  decima,  presen- 
«  tibus  et  abscultantibus  hiis  testibus  licterarum  eruditis,  scilicet  pre- 
te sbitero  Francisco  de  Mancinis,  presbitero  Saba  magistri  Retri  Lau- 
te rentii  et  Retro  de  Zatro  benefìciatis  diete  basilice,  Sebastiano  clerico 
et  Sancti  Vincenti!,  domno  Bartholomeo  Gregorii  lohannis  Guidonis 
ee  et  Saba  lacobus  loliannis  Zucke  notario  ad  hec  vocatis  et  rogatis, 
ee  qui  inferius  se  propriis  manibus  subscribserunt  »,  La  pergamena  è 
tagliata  inferiormente  e  quindi  mancano  le  sottoscrizioni  autografe. 
Archivio  Gap.  caps.  LXXIII,  fase.   158. 


402  L.    Scìn'jparelli 


mente  VI,  il  capitolo  fece  trascrivere  ed  autenticare  dal 
notaio  «  Gualterius  domni  Frederici  de  Clarmonte  cleri- 
«  cus  Firmanus  »  parecchi  documenti,  tra  cui  le  bolle  di 
Leone  IX  (J.-L.  n.  4509)  e  di  Eugenio  III  (J.-L.  n.  9714) 
il  IO  maggio,  di  Leone  IX  (J.-L.  nn.  4293  64294)  il  5  giu- 
gno (1).  E  sono  copie  esatte,  le  quali  riproducono  nella 
Rofj  e  nel  Bcnevalete  i  caratteri  estrinseci  dell'  originale 
con  vantaggio  grande  per  la  critica  del  testo  e  per  la 
diplomatica.  Da  queste  notizie  si  può  dedurre  che  tino  al 
secolo  XII  r  archivio  possedesse  1'  originale  in  papiro  della 
bolla  di  Leone  IV  e  fino  al  secolo  xiv  gli  originali  in  per- 
gamena delle  bolle  di  Leone  IX. 

La  perdita  di  questi  originali,  all'  infuori  forse  della  bolla 
di  Leone  IV  in  papiro,  materia  per  sé  così  facile  a  dete- 
riorarsi, va  dovuta  al  fatto  -  tutt'altro  che  raro  nella  sorte 
dei  documenti  -  che  venivano  usati  ed  allegati  come  titoli 
ad  atti  processuali.  Leone  X  nel  «  motu  proprio  »  col  quale 
incarica  il  chierico  e  notaio  capitolare  Lodovico  Ceci  di 
transuntare  i  documenti  dell'archivio,  lamenta  appunto  la 
perdita  di  bolle  e  di  istrumenti  allegati  ad  atti  giudiziari!  (2). 

Da  alcuni  regesti,  da  note  di  mano  identica  sul  verso 
di  parecchie  pergamene,  specie  delle  bolle  e  dei  diplomi, 
si  può  argomentare  che  nel  secolo  xiv  siasi  tentato  un 
ordinamento. 

Della  fine  del  secolo  xiv  o  dei  primi  anni  del  xv  è 
il  più  antico  inventario  fino  a  noi  giunto.  È  fatto  molto 
sommariamente  cosicché  non  ci  permette  di  identificare 
tutti  i  documenti  che  registra  con  quelli  tuttora  conser- 
vati, ma  ciò  non  diminuisce  la  sua  importanza,  data 
l'epoca  cui  risale.  Lo  riproduco  per  intiero  in  appendice 
alla  presente  Introduzione,  ed  accennerò  a  suo  tempo, 


(i)  Per  le  autenticazioni  cf.  Biillurio  l'ulicano,  I,  32,  3},  36. 
(2)  Bullario   Vaticano,  II,   371. 


Cartario  di  S.  T*ietro  in    Valicano  403 


nel  corso  del  lavoro,  ai  documenti  in  quello  registrati  ed 
ora  perduti.  Apprendiamo  da  questo  inventario  che  ì  docu- 
menti erano  collocati  in  tre  casse  e  dentro  a  queste  si  con- 
servavano in  appositi  sacchetti  carte  spettanti  a  speciali 
fondi.  Non  si  può  ancora  parlare  di  un  vero  ordinamento, 
ma  pure  la  distribuzione  per  fondi  o  per  materia,  che  verrà 
adottata  nei  cataloghi  successivi,  è  più  che  abbozzata.  Tale 
inventario  od  elenco  di  documenti  si  trova  coli'  inventario 
dei  libri,  dei  beni  e  mobili  della  sacrestia,  e  le  carte  sono 
talora  confuse  con  questi.  E  come  nella  cassetta  segnata  Q 
tra  le  pergamene  e  le  carte  si  trovava  «  unum  breviarium 
«  copertum  de  corio  rubeo  et  depicto  et  notatum»,  cosi 
«  in  cofino  pulcro  cum  signo  littere  II  »  tra  libri  ed  oggetti 
si  registra:  «  item  bulle  et  instrumenta  quam  plurima» 
(e.  3  b);  «in  uno  cassecto  ferrato  cum  littera  FD  »  tra  i 
libri:  «item  una  bulla  Bonifatii  octavi  »  (e.  7);  in  una 
scatola  tra  oggetti  vari  :  «  una  bulla  domnì  \'enetorum 
«  super  receptionem  Niceni  ad  nobilitatem.  Alia  bulla  super 
c(  unione  Grecorum  cura  Romana  Ecclesia»  (e.  58  b)  (i). 
Autore  di  questo  inventano  è  un  prete  o  canonico  di 
S.  Pietro  (2). 

Nel  secolo  xv  alcuni  documenti  dell'archivio  vennero 
utilizzati  dallo  storico  della  basilica  Maffeo  Vegio  e  nel 
secolo  XVI  dall'erudito  Onofrio  Panvinio, 

Intanto  nel  secolo  xv  e  soprattutto  nel  xvi  l'archivio 
si  arricchisce  del  materiale  delle  abbazie  aggregate,  prin- 
cipalmente di  S.  Martino  di  Valle,  unita  alla  mensa  capito- 


(i)  E.  Muntz  e  A.  L.  Frothimgham,  //  tòioro  dellu  hasilica  di 
S.  Pietro,  neWArch.  della  Soc.  rom.  di  st.  patr.  VI,   134. 

(2)  Si  argomenta  dalle  espressioni:  «  particola  testamenti ...  super 
«  censu  nobis  dimisso...  »;  «  bulla  Urbani  V  exemptionis  nostre  et 
«  membroruni  nostrorum  »  ;  «  bulla  Gregorii  Villi  continens  eccle- 
«  sias  et  bona  nobis  subiecta  et  incorporata  »  Sic. 


404  L.    Schuìp.ìrelli 


lare  di  S.  Pietro  con  bolla  di  Nicolò  \'  1451  Febbraio  3  (i), 
di  S.  Salvatore  di  Maiella  con  bolla  di  Giulio  II  1550  feb- 
braio 22  (2),  di  S.  Martino  di  Viterbo  e  di  S.  Rufillo  di 
Fcrlinipopoli  con  bolla  di  Pio  IV  1564  giugno  20  (5),  di 
S.  Barbato  di  Pollutro  unita  da  Gregorio  XIII  nel  1582 
novembre  13  (4). 

Accresciutosi  l'archivio  di  cosi  ricco  ed  importante  ma- 
teriale si  fece  tosto  sentire  il  bisogno  di  un  riordinamento; 
si  compilarono  nuovi  cataloghi,  si  fecero  trascrizioni  di 
documenti,  lavori  opportunamente  favoriti  da  saggie  di- 
sposizioni dei  pontefici  e  del  capitolo. 

Leone  X  col  citato  «motuproprio»  del  1521  luglio  5  (5) 
permette  al  chierico  e  notaio  capitolare  Lodovico  Ceci, 
«  ut  omnia  et  singula  instrumenta  dictae  basilicae  facta  ac 
«  publicata  et  litteras  apostolicas  eidem  concessas,  propria 
«  auctoritate  fideliter  tamen  transumere  et  exemplari  et 
«  in  publicam  formam  transumpti  redigere  et  publicare 
(i  libere  et  licite  possit...  Decernentes  omnibus  et  singulis 
«  instrumentis  ac  litteris  apostolicis  praedictis  per  dictuni 
«  notarium  praefiti  capituli  transumptis  et  suo  sub  signo  in 
a  publicam  formam  redactis,  in  iudicio  et  extra  iudicium 
u  in  Romana  Curia  et  extra  ubique  locorum  tanquam  ori- 
ce ginalibus  fidem  indubiam  adhiberi  »  (6). 

Sisto  V  con  bolla  dell'anno  1589  giugno  8(7)  lancia 
la  scomunica  contro  quanti  non  restituiranno,  entro  quin- 
dici giorni,  i  libri,  le  scritture,  gli  estratti,  le  quitanze,  le 


(,i)  Biillario   Vaiic.  II,    134. 

(2)  Biilluiio  Vdlic.  Ili,   I. 

(5)  Bulliirio   Vaiic.  Ili,  50. 

(  \)  Ballar  io   Vaiic.  III.   141. 

())  Bullario  Vaiic.   II,  371. 

(6)  I  libri  copiali  B,  C,  D,  E,  che  ricorderò  in  seguito,  conten- 
gono documenti  autenticati  da  L.  Ceci. 

(7)  Bullario  Valle.  Ili,  160. 


(\ìi'lario  di  S.  'Pi'.'lro  in    VdUcJiuo  405 

cedole,  i  libri  oensuali,  gli  istrumenti  &c.  per  qualsiasi 
motivo  asportati  dall'archivio.  Con  altra  bolla  del  15S9 
settembre  27  (i),  minaccia  nuovamente  di  scomunica 
chiunque  non  restituirà  i  documenti  dell'archivio;  vieta  che 
in  seguito  altre  carte  si  asportino  senza  espressa  e  scritta 
licenza  dell'arciprete  della  basilica,  ordina  poi  che  dei  do- 
cumenti pontifici  come  degli  istrumenti  e  delle  carte  in- 
teressanti il  capitolo  e  conservate  nell'archivio  si  esegui- 
scano copie,  per  mezzo  di  notai  a  ciò  deputati  dall'arciprete 
e  dal  capitolo,  debitamente  autenticate  colle  sottoscrizioni 
e  col  sigillo  dell'arciprete,  cosicché  possano  usarsi  ed  ab- 
biano il  valore  di  veri  originali  (2). 

Clemente  VII!  nel  1600  maggio  31  osservando:  «  cum- 
«  que  opus  sit  diversa  privilegia  authentica  et  bullas  ponti- 
te  ficias  nimium  vetustas  -^c  etiam  librum  buUarum  et  con- 
«  stitutionum  ipsorum  capituli  et  canonicorum  dudum  ex 
«  privilegio  felicis  recordationis  Leonis  pape  X  predeces- 
«  soris  nostri  a  quondam  Ludovico  Cecio  notarlo  publico 
«  transumptatum  ob  eius  etiam  vetustatem  de  novo  tran- 
ce sumptari  et  quandoque  etiam  de  aliis  privilegiis  instru- 
«  mentis  et  scripturis  suprascriptis,  ne  inde  originalia  ex- 
«  trahantur,  transumpta  fieri  oporteato,  dà  incarico  di 
compiere  questo  lavoro  al  notaio  pubblico  e  capitolare 
Giacomo  Grimaldi  «  de  cuius  fide  et  integritate  ipsi  capi- 
«  tulum  et  canonici  valde  confidunt  «   (3). 

Dopo  l'aggregazione  delle  abbazie,  il  più  antico  indice 
oJ  inventario  è  del  1520,  «  Liber  sive  inventarium  bono- 
«  rum    et   scripturarum   basilice  Sancii   Petri»,   del  quale 


(i)  Buìlario  ]\itic.  III,  166. 

(2)  In  due  filze  (sala  prima,  armadio  17)  si  conservano  le  «  Li- 
ft centiae  eminentissimorum  archipresbyterorum  extrahendi  scripturas 
«et  alia  ex  archivio  Vaticano  ab  anno  1589  ». 

(3)  Buìlario  Valle.  HI,  198. 


40^  L.   Schiaparcllì 


si  conservano  due  copie  cart>icee  del  secolo  x\i  (i).  È  una 
serie  di  brevi  inventari  dei  singoli  fondi  (2). 

Segue  l'inventario  del  1567  scritto  da  Alfonso  Menio 
chierico  della  basilica  «  de  mandato  ili.'  et  rev.  domni  Mo- 
«  naldi  de  Monaldensibus  de  Cervaria  ».  I  documenti  sono 


(i)  Sala  terza:  Sacrestia,  armadii  inferiori. 

(2")  C.  I  :  «  Inventarium  honorum  que  scrvantur  in  sacliristia  se- 
«  creta  et  custodiuntur  a  domnis  sachristis  canonicis  ». 

C.   16:  (f  Inventarium  scripturarum  rerum  basilica  in  regno  Nea- 
«  politane,  Sardìni?  et  Corsic9,  Orlon?  ». 

C.  21  :  ff  Inventarium  instrumentorum  domorum  locatarum  ad 
«  generationem  ». 

C.  29:  «  Inventarium   instrumentorum   domorum  locatarum  in 
«  perpetuum  ». 

C.  54:  «  Inventarium  testamentorum  emptionum  donationum  et 
«  antiquorum  instrumentorum  ». 

C.  50:  «Inventarium  instrumentorum  vinearum  ». 

C.  54:  «  Inventarium  scripturarum  Sanct?  Mari?  et  Catherine  de 
«  regione  Arenai?  ». 

C.  55  :  «  Inventarium  scripturarum  Sancte  Caiherin?  de  Burgo  ». 

C.  58:  «  Inventarium  scripturarum  Sancti  Blasli  della  Pagnotta». 

C.  59:  «Inventarium  scripturarum  Sancti  Magutii». 

C.  60:  «Inventarium  scripturarum  Sanct?  Mari?  Tiburtin?  ». 

C.  61  :  «  Inventarium  scripturarum  monasterii  Sancti  Pauli  Podii 
«  Donadei  ». 

C.  62  :  «Inventarium  scripturarum  monasterii  Sancti  Martini  de 
«  Fara  Theatine  diocesis  ». 

C.  63  :  «  Inventarium  scripturarum  monasterii  Sancti  Salvatoris 
«  de  Maiella  Theatine  diocesis  ». 

C.  64:  «Inventarium  scripturarum  hospitalis    Sancti  Thom?  in 
«  Formis  ». 

C.  65:  «  Inventarium   scripturarum   beneficiorum  qu?  sunt    ad 
«  coUationem  capitali  ». 

C.  69:  «Inventarium  bullarum  et  privilegiorum  ». 

C.  104:  «  Casnlia  in  Transtiberina». 

C.  113:  «  Casalia  in  Insula». 

C.  114:  «Casalia  in  Laiio». 

C.  116:  «  Q.ue  non  possidentur  ». 

Sono  anche  inventariati  alcuni  «  libri  instrumentorum  ». 


Cariai  IO  di  S.  'Pietro  in    Witicano  407 

distribuiti  in  armari  e  teche  e  classificati  per  fondi,  ad  ecce- 
zione delle  bolle  pontificie  che  formano  una  categoria  a 
parte  (ad  es,:  scripUirac  Portiis,  Campi  Salini  et  Fumi  Sara- 
ceni; scripturae  casalinni  Iiibiìci,  Monasterii  et  Petre  auree; 
scripturae  casaìis  Comax;(ani  6cc.)(i). 

Un  notevole  progresso,  perchè  più  completo  e  dai  re- 
gesti più  estesi  ed  esatti,  presenta  quest'altro  «  Inventarium 
«  omnium  buUarum  et  aliarum  scripturarum  spectantium 
«  ad  sacrosanctam  basilicam  S,  Petri  de  Urbe  »  di  G.  B.  Te- 
gerone,  beneficiato  della  basilica,  del   1568  (2). 

Abbiamo  un  breve  sommario  del  1592:  «  Doppo  la 
«  visita  di  Clemente  Vili.  Sommario  delle  scritture  dell'ar- 
te chivio  donato  alli  ili."'  SS.  Visitatori  1592  «. 

Il  «  Summarium  instrumentorum  et  aliarum  scriptu- 
«  rarum  existentium  in  archivio  basilice  Sancti  Petri  »,  ms. 
cart.  del  sec.  xvi,  bibl.  Barberini,  XXXIII,  29,  non  è  com- 
pleto, ma  importante,  con  ampi  regesti  con  qualche  copia 
ed  estratto;  i  documenti  sono  in  generale  datati  (3). 

Si  arriva  così  all'indice  di  Giacomo  Grimaldi  (4),  il 
benemerito,  erudito  archivista.  Il  suo  indice  del  1599  me- 
rita davvero  l'elogio  tributatogli  da  Gaetano  Marini  (5).  In 
quanto  alla  distribuzione  del  materiale  per  fondi  e  possessi 
si  attenne,  in  genere  e  migliorandolo,  al  metodo  adottato 
nei  cataloghi  precedenti,  ma  egli  compì  un  lavoro  di  diffi- 
coltà e  di  lena  non  comune  dandoci  un  transunto  ampio  e 
preciso  di  tutte  le  pergamene  e  carte  dell'archivio. 

L'indice  di  Paolo  Bizono,  canonico  bibliotecario,  dei  1 6 1 8 
è  un'appendice  a  quello  del  Grimaldi. 

(i)  Tra  i  mss.  della  bibl.  Gap.  A,  77. 

(2)  Sala  terza:  Sacrestia,  armadi!  inferiori. 

(3)  Nella  busta  48,   B,  fase.  3. 

(4)  Cf.  EuGÉNE  MuxTZ,  Rccìierches  sur  Vituvre  archéologiqae  de 
Jacques  Grimaldi,  nella  Bibliolbcque  des  écoles  jrangaises  d'Athènes  et  de 
Rome,  I,  225  sg. 

(3)  Cf.  Muntz,  op.  cit.  p.  228. 


.|oS  L.   Sc/i:aparclli 


Xel  1602  il  bibliotecario  e  canonico  G.  Batt.  Lancel- 
lotto  compie  un  altro  voluminoso  «  index  instrumentorum 
«  et  scripturarum  archivi  sacrosanctae  Witicanae  basilicac 
«  principis  apostolorum  ex  protocollis  et  transumptoruni 
«  libris  iuxia  singulorum  materias  distincte  accurateque 
«  capituli  iussu  confectus».  Si  rimanda  perle  pergamene 
al  catalogo  Grimaldi. 

In  fine,  del  172(3  abbiamo  un  «  inventarium  omnium 
«  bonorum  mobilium,  stabilium,  semoventium,  fructuum, 
«  rcddituuuij  iurium  et  onerum  cuiuscumque  generis  sa- 
«  crosanctae  basilicae  Vaticanae  seu  ipsius  mensae  capitu- 
«  laris  atque  membrorum  ciusdeiii  mensae  ».  Vi  precede 
una  «  descriptio  archivii  »,  e  dei  principali  fondi  si  danno 
notizie  storiche.  È  anonimo. 

Non  torneranno  forse  inutili  alcune  notizie  sulla  loca- 
lità dell'archivio. 

l^iblioteca  ed  archivio,  che  probabilmente  nei  primi 
tempi  erano  una  cosa  sola,  occuparono  locali  attigui, 
presso  la  sacrestia. 

Ignoriamo  se  lo  scriìiiiini  confessionis  beati  Petri  si  tro- 
vasse presso  la  confessione  e  nelle  Sacre  Grotte;  ma  se 
pure  ebbe  questa  sede,  dopoché  l' archivio  della  basilica 
si  arricchì  dei  documenti  dei  quattro  monasteri,  cioè  nel 
secolo  XI,  esso  dovette,  ritengo, occupare  posto  migliore,  più 
comodo  per  l'uso  delle  carte  amministrative.  Nel  medioevo 
si  ricorda  raramente  l'archivio,  mentre  non  scarseggiano 
notizie  intorno  alla  biblioteca,  «quam  plurimis  antiquissimis 
«  codicibus  »,  dice  l'Alfarano  (i),  «  referta,  quae  viris  do- 
«  ctissimis  semper  patebat».  La  località  dell'archivio  va 
ricercata    con  quella  della  biblioteca  e  presso  la  sacrestia. 

L' inventario  più  sopra  ricordato  del  xiv-xv  secolo 
accomuna  l'inventario  degli  oggetti  di  sacrestia  con  quello 

(r)  Ms.  G  6,  e.  50  della  bibl.  Gap. 


Cartario  dì  S.  T^ictro  in    V'alicaiio  409 

tlei  libri  e  delle  pergamene,  nò  la  distribuzione  è  netta  e 
precisa  (i).  Abbiamo  un  «  inventarium  suppellettilium  et 
«  librorum  bibliothecc  et  sacristie  anni  1454  et  1455  »  (2); 
nel  1520  si  compilò  un  «  liber  sive  inventarium  bonorum 
«  et  scripturarum  basilico  Sancti  Petri  »  dove  al  ricordato 
inventario  dei  documenti  precede  Tee  inventarium  bonorum 
«quc  scrvantur  in  sachristia  secreta  et  custodiuntur  a  do- 
<(  minis  sachristis  canonicis». 

Secondo  la  tavola  dell'Alfarano  la  biblioteca  era  si- 
tuata nel  luogo  segnato  ///.  Quando  poi  sotto  Paolo  III 
si  proseguirono  i  lavori  per  la  nuova  basilica  e  si  adattò 
per  uso  della  sacrestia  il  tempio  della  Madonna  detta  della 
Febbre,  in  questo  venne  pure  trasportata  la  biblioteca  e  con 
€ssa  l'archivio  (3).  Dai  libri  degli  «///degli  anni  1535-1549 
desumiamo  particolari  notizie  sui  lavori  di  trasporto  e  di 
ordinamento  dei  libri  e  delle  carte  nella  nuova  sede  (4). 

(i)  Lo  stesso  si  verifica  negli  antichi  indici  dell'  archivio  della 
S  Sede.  Si  cf.  Franz  Ehrle,  Zar  G^schichU  des  Schaties  der  Biblio- 
Ib/.k  una  dis  Archivs  der  Piipste  ini  vierichnlen  Jahrlmnderl,  neìVArchiv 
fiìr  LilUraiur-  und  Kircbengcscbichte  des  Miitelalters,  I,   i  sg. 

(2)  Cf.  GoTTLiEB,  Ueber  Mittelalt.  Bibliolbeken,  Leipzig,  1890,  n.  ój'O. 

(3)  Cf.  Cancellieri,  Sagrestia  Vaticana  eretta  dal  regnante  pon- 
tefice Pio  sesto,  Roma,  1784,  p.  6;  Cancellieri,  De  secretariis  hasilicae 
Vaticanae,  Romae,  1786,  p.  1225  sg.  Egli  ritenne,  nel  suo  lavoro  cit. 
sulla  sagrestia,  che  il  trasporto  della  biblioteca  e  dell'archivio  fosse- 
avvenuto  sotto  Gregorio  XIII,  in  quest'altro  Io  pone  sotto  Paolo  IV 
o  Pio  V;  ma  da  quanto  si  legge  nella  seguente  nota  non  vi  è  dub- 
bio che  questo  sia  avvenuto  prima,  sotto  il  pontificato  di  Paolo  III. 

(4)  15^5  [e.  30. J  Die  nona  ianuarii...  et  prò  una  davi  ad  locum  ubi  est 
colutnna  domini  nostri  lesu  Christi  in  ecclesia  nostra  et  prò  duabus  serraturis 
prò  armario  quod  eU  sub  cathedra  sancti  Petri  boi.  x.x.v.,  et  prò  duabus  ser- 
raturis fortibus  prò  armario  magno  sub  imagine  sancti  *  *  ordinis  predica- 
torum  boi.  .xxxx.ta  et  prò  resarcimine  novem  parvorum  armariorum  supra  cap- 
pellam  reliquiarum  in  quibus  tenentur  instrumenta  et  scripture  pertinentes  ad 
capitulum  et  ecclesiam  nostrana  et  prò  duabus  clavibus  prò  dictis  armariis  et 
aliis  duabus  prò  duabus  magnis  cassis  inibi  ad  eundom  usum  consistentibus 
boi.  .L.ta 

[C.  31.]  Dedi  magistro  Lombardo  architecto  prefato  prò  infixione  dictorum 


4IO  L.   SchiapaìL'llì 


Intanto  nel  1579  si  stabilisce  un  nuovo  archivio  per 
la  Fabbrica  di  S.  Pietro,  e  nei   «  Decreta   et  resolutiones 


ferroruiii  ad  parietes  et  prò  incisura  et  incrustatura  et  dealbamento  cappelle 
nostre  in  qua  sunt  libri  et  in  qua  debent  recoiidi  reliquie  sanctorum  et  prò 
calce  et  cemento  ad  dictum  opus,  ex  pacto  facto  concorditer  cuni  eo  per  manus 
rev.Ji  domini  Tiberii  de  Mutis,  in  totum  scuta  duo  et  iul.  quinque,  quorum 
ultimam  solutionem  feci  die  .xxx.   aprilis. 

[C.  51.]  Dedi  magistro  Angelo  fabro  lignario  habitanti  in  Burgho  Novo  prò 
duobus  armariis  novis  capacibus  nostrorum  librorum  qui  solebant  esse  in  li- 
braria, que  armaria  sunt  posila  in  cappella  nostra  in  qua  solent  teneri  pre- 
fati  libri,  ex  pacto  facto  consciis  rev.dis  dominis  sindicis,  scuta  duodecim, 
quorum  solutionem  cepi  die  sexta  februarii  et  finivi  die  .x\v.  aprilis. 

[C.  jr.)  ...item  dedi...  et  prò  resarcimento  parvorum  armariorum  su- 
peiiorum  in  quibus  ad  presens  tenentur  scripiure... 

[C.  55.]  Exposuit  die  .xiiii.  et  .xv.  decembris  prò  mercede  duorum  mer- 
cennariorum  qui  transportarunt  et  mundarunt  libros  bibliothece  nostre  et  prò 
duobus  prandiis  quibus  interfuerunt  domnus  Benedictus  Ecchius  et  domnus 
Pax  Angeli  et  domnus  Faustinus  et  sacriste  et  accoliti  nostri  qui  omnes  la- 
boraverunt  in  poliendo  et  inventariando  et  ordinando  et  recondendo  omncs 
libros  nostros,  et  ut  apparet  in  armariis  librorum  nostrorum  in  sacristia,  in 
totum  iul.   25. 

[C.  55  B.]  Dedi  magistro  Laurentio  Tozino  ferrarlo  prò  ferris  armariorum 
librorum  et  prò  ferris  armarli  reliquiarum  quibus  configitur  parieti...  in  totum 
4.  b.  50. 

[C.  36.]  Dedi  domno  Andree  de  Pintassis  mercatori  florentino  suprascripto 
prò  tribus  petiis  tele  viridis  prò  conficiendis  cohopertis  armariorum  in  quibus 
sunt  reconditi  libri  nostri  scuta  tria  et  prò  duabus  cannis  tele  violacee  San- 
cii Galli  ad  cohoperieadum  tabernaculum  corporis  Domini  in  choro,  iul.  novem. 

[C.  56]  Dedi  magistro  lohanni  florentino  pictori  habitante  prope  Ro- 
bertum  Busdragliam  prò  pictura  telarum  armariorum  librorum  et  telarum  al- 
taris  reliquiarum  . . . 

[C.  155.]  Recepì  a  librario  lanuensi  qui  vendit  libros  veteres  a  Campi 
Flore  prò  pretio  plurium  quinternorum  librorum  inutilium  qui  superfuerunt 
quando  fuerunt  reconditi  libri  nostri  in  armariis  suis,  quos  quinternos  inu- 
tiles  ego  vendidi  de  consensu  dominorum,  die  .xviii.  decembris  scuta  duo. 

1)57  [^-  59]  Dedi  magistro  Baptiste  de  Caravagio  architectori  scuta  sexde- 
cim  et  boi.  45  prò  suo  opere  in  destruendo  murum  capelle  ubi  nunc  est  li- 
braria nostra  et  resarciendo  et  muniendo  et  dealbando  dieta  capella  et  prò 
elevatione  et  resarcimento  loci  ubi  nunc  tenetur  oleum  et  prò  calce  et  pu- 
tcolana  et  prò  omni  residuo  sui  magisterii  facti  tempore  nostri  sacristatus. 

[C.  59.]  Dedi  magistro  .Matheo  de  Lu:a  fabro  Ugnarlo  prò  resarciendis 
aroiiriis  omnibus  sacristie  nostre  ubi  reconduntur  paranienta  et  multis  tabulis 
mutatis  in  dictis  armariis,  ex  pacto  facto,  scuta  tria,  boi.   50. 

[('..   39.]  Item  dedi  eidem  prò  conficiendo  tote  ornata  librarie  cuin  com- 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  411 


«  s.icrae  Congregationis  rev.  Fabricae  S.  Petri  »   (voi.  se- 
gnato n.  158  presso  l'attuale  archivio  della  Fabbrica,  e.  1 30  b) 


missuris  et  tabulis  et  columnis  et  portis  librarie  una  cum  trabibus  et  repagis 
et  continuatione  seu  annexione  novi  ornamenti  ad  vetera  et  prò  omni  residuo, 
in  totum  scuta  decem  et  octo,  et  boi.   55. 

[C.  59  B.J  Item  exposui  prò  conducendis  armariis  librorum  ad  librariam 
et  mutandis  ac  ordinaadis  pluribus  cassis  ad  loca  sua  boi.  .Lx.ta,  et  prò  coii- 
ducendo  armario  magno  a  muro  veteri  librarie  ad  locum  ubi  nunc  est,  boi.  20. 

[C.  41  B.]  Dedi  magistro  Bartholomeo  carpentario  ad  plateam  Catinariani 
prò  uno  armario  magno  cum  suo  scabello  seu  credentia  in  sacristia  altaris 
sanati  Petri  et  prò  scabellis  et  cornicibus  ad  4°''  capsas  sacristie  in  cappella 
Calisti  et  prò  resarcimento  chori  et  scabellis  et  elevatione  armariorum  librarie 
et  eorum  resarcimento  et  prò  una  mensa  cum  su's  pedibus  in  libraria  in  medio 
eius  et  aliis  duabus  que  sunt  suspense  ad  parietes  et  resarcimento  armarii 
cere  et  duobus  sedilibus  prò  sacristia  et  prò  resarcimento  armarii  prò  cera  in 
totum  .villi,  b.   3. 

1557,  aprilis  [e.  45  b.]  Habui  prò  precio  quorundam  saxorum  qui  super- 
fuerunt  ex  muro  diruto  quod  erat  ubi  nunc  est  libraria,  b.   50. 

1538,  octobris  [e.  48  B.]  Pro  prandio  facto  in  sacristia  in  revisendis  et 
ordinandis  scripturis  in  duobus  diebus,  in  totum  b.  60. 

...Pro  spacu  causa  ligandi  scripturas,   b.   5. 

1545  [e.  73  B.]  Solvit  idem  prò  aptatura  armariorum  scripturarum  et  prò 
una  bannella  prò  fìnisire  camere  et  aliarum  rerum  ut  in  mandato  rev. di  Fran- 
cisci  Vannuccii  die  22  iunii   1543,  2,  b.  25. 

154$  [e.  83  B.]  Pro  sex  operibus  magistri  muratoris  et  sex  manualis  prò 
incollando  murum  et  aptare  scalas  quando  itur  ubi  sunt  scripture  et  libri 
Sancii  Petri,  videlicet  in  cappella  ubi  sunt  reliquie,  ad  rationem  b.  25  opera 
magistri,  b.    17  manualis,  in  totum  2,  b.   52. 

1546,  IO  di  febraro  [e.  90  b.]  ...et  più  per  una  cassetta  de  foglio  de 
stagno  per  serbare  le  scritture,  b.   12. 

Et  per  un  libretto  da  fare  recordi  delle  scritture  et  libri  se  danno  fora 
del  archivio,  b.  6  (*). 

1549  [e.  121  B.]  Rev.dus  pater  D.  Tiberius  de  Mutis  episcopus  Giracensis 
et  canonicus  nostrg  basilice  de  presenti  anno  1549  donavit  sacristie  diete  ba- 
silice  scutos  ducentos  triginta  de  iuliis  decem  prò  quolibet  scuto,  quos  de 
anno  1547  amicabili  mutuo  mutuavit  diete  sacristie,  ut  apparet  fol.  .x.  Hanc 
autem  donationem  ipse  rev.dus  pater  fecit  quia  ex  eius  ordinatione  de  anno  1548 
fuerunt  incepta  de  presenti  anno  finita  quedam  armarla  prò  conservandis  pa- 
ratnentis  et  libris  predicte  basilicg,  que  armarla  sunt  collocata  in  una  ex  ca- 
pellis  sacristie  que  est  contigua  capelle  rev.  D.  canonicorum. 


(♦)  La  stessa  spesa  per  detti  oggetti  si  registra  negli  «  exitus  »  dell' a.  1546,  ai  15  dì 
maggio  nel  ms.  che  contiene  il  citato  inventario  dell' a.   1520. 

Archivio  della  R.  Società  roman.i  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         27 


412  L.   Sdì iapa ; 'clli 


all'anno  1579  gennaio  13  si  legge:  «  Oeconomo  flibricae. 
«  Frovideri  de  archivio  apud  tabrìcam  basilicae  principis 
«  apostolorum  de  Urbe  in  quo  reponantur  scripture  omncs 
t(  ad  fabricam  spectantes  ». 

Della  vera  posizione  e  dell'ordinamento  dell'archivio 
Capitolare  quando  si  trovava  nel  tempio  della  Madonna 
della  Febbre  ci  informa  una  accurata  e  interessante  visi- 
tatto  et  dcscriptio  (ircbii'ii  dei  16^6  febbraio  6(1),  della  quale 
stralcio  alcuni  passi: 

Die  6°  mensis  februarii  1656.  Eminent.^us  et  rev.™"'  D.  Lauren- 
lius  S.  R.  E.  cardinalis  imperialis  delegatus  a  3."^°  ad  visitationeni 
camerariatus  et  archivi  Vaticanae  basilicae  divi  Petri  una  cum 
R.  P.  D.  Ascanio  Rivaldo  coadiutore  accessit  ad  locum  archivi  prefati, 
ibique  repertis  D.  Luca  Holsteiiio  praefatae  basilicae  canonico,  et  ad 
presens  archivista,  nec  non  D.  Ccntofloreno  eiusdem  basilicae  cano- 
nico,vocato  clerico  losepho  eiusdem  (2)  archivi  custode,  ostie  ciusdeni 
rescrato,  archivum  insimul  omnes  ingressi  sunt.  Occupat  archivuni 
praefatum  tria  cubicula,  omnia  desuper  et  inferius  concamerata,  duo 
ad  laevam,  alterum  ad  dexteram  scalarum  in  vestibulo  sacristiae  exi- 
stentiuni  super  capellam  S  Annae  sitam  in  eodem  sacrario  con- 
structa(5).  Vergunt  fenestris  quae  respiciunt  viam  publicam  in  pro- 
spectu  ecclesiae,quam  dicunt  Campi  Sancii  nationis  Theutonicae,  ex 
una  ad  orientem,  ex  altera  vero  fenestris  quae  sacrarium  respiciunt 
ad  occasum.  Opportuna  quiJem    et  ad    rem    satis  situ  securitate  et 

siccitate   peridonea Archivum    basilicae  Vaticanae  Sancti  Petri 

licet  tria  fere  cubicula,  ut  supra  diximus,  penitus  occupet,  unicum 
tamen  interius  quicquid  boni  scripturarum  et  librorum  sit  continet, 
et  hoc  duabus  praecipue  partibus  constat,  cartofilacio  scilicet  et  bi- 
bliotheca.  Cartofìlaceum  in  capsulas,ut  diximus, et  armarioladistinctum 
continet  pontificum  privilegia  et  liiteras  omnes  exemptionum,  ercctio- 
num,  fundationum,  unionum  et  dotationum,  nec  non  iura  et  instru- 

(1)  Archivio  Vaticano,  segretaria  di  Stato,  Miscellanea,  arm.  VI, 
n.  50,  Collectanea  de  eccUsiis  Urbis,  II,  ce.  122-132.  Altra  copia  del  se- 
colo XVII  nella  Miscellanea  X,  IV,  39  (5208),  e.  441  sg.  della  bibl. 
Casanatensc. 

.  (2)  «  eiusdem  »  leggesi  solo  nella  copia  presso  la  bibl.  Casana- 
tcnse;  in  quella  presso  1'  arch.  Vaticano  vi  è  una  lacuna. 
(5)  Il  ms.  Casanat,  lia:  «  constituia  ». 


Cartario  di  S.  dietro  in  Faticano  415 


menta  quaccumque  emptionum,  acquisitionum,  venditionum,  atììctuuni 
aliarumque  locationum,  acta  cupitularia,  catasta  abbatiarum  et  eccle- 
siarum  omnium  quae  basilicac  subincent,  visitatioiies  et  relationes  vi- 
cariorum  Capituli  aliasque  scripturas  ad  basilicam  periinentes,  quae 
vel  in  libros  et  voluniina  regesta  sunt  vel  in  foliis  et  fascicuiis  separata 
habeatur,  quorum  omnium  istorum  voluminum  et  fasciculorum  duo 

habentur  in  archivo   generales   indices Q.uod   sequitur  inferius 

cubiculum  praefato  interiori  anncxum  cum  solo  divisorio  pariete  di- 
stinctum  nova  fabricae  constructione  ad  prescns  ampliatur,  ita  ut  post 

hac  ordine  etiam  scripturae  meliori  servire  in  eo  possint Ter- 

tium  archivi  cubiculum  ad  orientem  pariter  in  via  publica  fenestris 
respondet  ad  occasum  in  sacrario  ad  latus  dexterum  scalarum  desu- 
per et  inferius  concameratum  super  vestibulo  sacrarli  constructum. 

Nella  citata  (p.  408)  Descriptio  archivii  del  172^,  a  e.  2 

si  legge  : 

Constai  ergo  hoc  archivium  tribus  cubiculis  tam  desuper  quam 
inferius  concameratis  que  sacrosanct?  basilic?  sacrario  adli^rent  et 
ad  qu?  per  scalam  prope  dicti  sacrarli  vestibulum  collocatam  ascen- 
ditur.  In  iis  autem  cubiculis  plurima  bene  ordinateque  disposila  ad- 
sunt  armaria,  qu?  distinctis  et  apparentibus  titulis  exornantur  ut  fa- 
cilius  conspici  possit  quo  in  loco  bull?,  privilegia,  codices,  protliocolln, 
registra,  censuales  et  qui  libri  mastri  nuncupantur  sub  quecumque 
scripturarum  genera  recondita  sint  ac  valeant  repcriri. 

Brevi  notizie  ed  a  queste  rispondenti  ci  offrono  R.  Sin- 
done (i),  G.  Pietro  Chattard  (2),  F.  Cancellieri  (3),  e 
F.  Maria  Mignanti  (4). 

Nel  1758  si  stacca  una  parte  della  volta  dell'archivio, 

e  la  Congregazione  della  Fabbrica  il  15  marzo  delibera: 

...  si  stima  necessario  demolire  la  medesima  e  farvi  un  solaro  con 
camera  a  canna  sotto,   acciò  non  svisti  in  sagrestia;  nella  stanza  a 

(i)  R.  Sindone,  Aìtariiuii  et  reliquìanim  sacrosanclai  hasilicae  Va- 
iicanae  descriptio  historica  scriptoribiis  et  inonumentis  archivi  capituìaris 
iìlnstraia,  Romae,  1744,  p.  78, 

(2)  Gio.  Pietro  Chattard,  Xiiova  descrizione  del  Vaticano,  ossia 
della  sacrosanta  basilica  di  S.  Pietro,  Roma,  1762,  I,  236-38. 

(5)  Op.  cit.  p.  1253. 

(4)  F.  Maria  Mignanti,  Istoria  della  sacrosanta  basilica  Vaticana, 
Roma,  1S67,  II,  228  sg. 


414  ^'  Schiaparelli 


mano  destra  salita  la  scala  sotto  la  fenestra  potrà  aprirsi  una  porta 
per  passare  al  luogo  nuovamente  costruito  per  comodo  dell'illustris- 
simi signori  canonici  (i). 

Nell'anno  seguente  si  fece  il  trasporto  dell'archivio  nel 
nuovo  locale,  cosi  descritto  dal  Chattard  : 

Neil'  uscire  dalla  sagrestia  accanto  la  porta  della  medesima  si 
trova  altra  piccola  porta  la  quale  da  l'ingresso  all'archivio  del  re- 
verendissimo capitolo  di  S.  Pietro  per  mezzo  di  due  branche  di  scala 
della  larghezza  di  palmi  cinque;  di  esse  una  è  composta  di  quindici 
gradini  e  di  diciassette  l'altra.  Conducono  esse  ad  un  ripiano  ove 
ritrovansi  altre  due  porte,  a  destra  l'una,  di  contro  subito  che  si  sale 
l'altra;  quest'ultima  da  l'ingresso  alle  stanze  del  sagrestano  della  ba- 
silica ;  la  prima  a  numero  cinque  stanze  divise  in  due  piani  e'  introduce  : 
quattro  delle  quali  comprese  ne!  primo  piano  servono  ad  uso  del- 
l'istesso  archivio  del  reverendissimo  capitolo  e  l'altra  che  forma  il 
secondo  piano  serve  ad  uso  di  guaroarobba  del  medesimo.  Questo 
commodo  edifizio,  benché  piccolo,  fu  fatto  erigere  a  spese  della  reve- 
renda Fabbrica  di  S.  Pietro  per  trasportarvi  l'archivio,  come  infatti 
segui  l'anno  1759,  il  quale  prima  esisteva,  come  nel  superiore  capi- 
tolo fu  accennato,  con  grande  angustia,  ove  al  presente  risiede  la 
magnifica  stanza  capitolare  e  le  altre  annesse  stanzuole  (2). 

Il  trasporto,  che  durò  più  mesi,  nel  nuovo  locale  venne 
compiuto  dai  reverendi  D.  Giovanni  Mario  Colarelli  e 
D.  Vincenzo  Canori  e  furono  compensati  con  una  somma 
di  venti  scudi  ciascuno  (3). 

Nel  1776  si  praticò  la  demolizione  dell'antica  sacristia 
per  la  costruzione  della  nuova,  e  all'archivio  venne  asse- 
gnata dall'  economo  della  rev.  Fabbrica  D.  Francesco  Caf- 
farelli  una  sede  provvisoria  «  nei  due  cameroni  esistenti 
«  sopra  la  volta  dei  due  grandi  arconi  corrispondenti  am- 
«  bedue  alla  cappella  di  S.  Gregorio,  fatti  in  forma  di  cap- 


(i)  «  Decreta  et  resolutiones  sacrae  Congregationis  R.  Pabricac 
«  S.  Petri  »,  n.  170,  e.  35  a. 

(2)  Op.  Cit.   I,  248-219;   Cf.   MlGNANTI,  Op.   Cit.    II,   253. 

(3)  Come  da  atto  7  luglio  1759  firmato  e  Philippus  Amadei  ca- 
«  nonicus  prosecretarius  »,  busta  48  B,  fase.  2. 


I 


Cartario  di  S.  Vietro  in    Vaticano  415 

«  pelle  senza  finestre  colla  sua  cuppola,  dal  di  cui  unico 
«  occhio  nel  mezzo,  chiuso  con  vetriata  e  ramata,  ricevono 
«  poca  rifrazione  di  luce  per  esservi  al  di  sopra  altro  cup- 
«  polino  corrispondente  sulla  piazza  della  platea  superiore  ». 
Questa  descrizione  si  legge  in  una  domanda  dal  sotto- 
archivista   D.  Vincenzo  Canori   inoltrata    al    capitolo  per 
ottenere  un  aumento  nello  stipendio,  poiché  egli  era  co- 
stretto, «  rendendosi...  inservibili  li  medesimi  cameroni  a 
«  potervicisi  senza  incomodo  leggere  e  scrivere,...  tuttociò 
«  che  occorre  trasportarlo  giù  nello    stanziolino    formato 
«  quasi  al  pari  del  piano  della  chiesa,  con  riportare  poi  il 
<(  tutto  al  di  sopra  ai  suoi  luoghi  per  conservare  il  buon 
«  ordine  ed  evitare  qualunque  confusione,  con  un  sommo 
«  incomodo    e    fatica,   il  che  o  per  un  motivo  o  per  un 
«  altro  succede  quasi  alla  giornata,  con  doverci  anche  per 
«  la   loro    connessione    tornare   e   ritornare  »  (i).    Il   tra- 
sporto in  questo  infelice  locale  si  effettuò  nei  mesi  di  aprile 
e  maggio  1777  dal  ricordato  Canori  e  dai   chierici  Luigi 
Scardovelli  e  Giuseppe  Gueriggi,  i  quali  ultimi  ricevettero 
venti  scudi  (2). 

Terminata  la  costruzione  della  nuova  grandiosa  sacre- 
stia, nel  1782  Pio  \l  faceva  deporre  i  preziosi  documenti 
nelle  eleganti  e  comode  sale  dell'attuale  archivio  (3). 

Non  ostante  questi  cambiamenti  di  sede  non  vennero 
mai,  con  lodevole  disposizione,  alterati  la  collocazione  e 
r  ordinamento  delle  carte,  cosicché  anche  ogori  jl  catalogo 
del  Grimaldi  e  quelli  successivi  servono  perfettamente 
come  le  descrizioni  ricordate  del  165^  e  1672,  indipen- 
dentemente dalla  mutata  situazione  delle  sale,  possono  ser- 

(i)  Busta  48  B,  fase.  2. 

(2)  Busta  48  B,  fase.  2,  documento  firmato  «  P.  Parracciani  cano- 
«  nicus  secretarius  ». 

(3)  Can'cellieri,  Sagrestia  Vaticana  S<.c.  p.  98;  Cancellieri,  Z)j 
Sicretariis  cit.  p.  1472;  A.  Nibby,  Roma  tielV  anno  MDCCCXXXTIII. 
Parte  prima.  Moderna  (Roma,  1839),  p.  645. 


4i6  L.   Schiaparelli 


vire  come  descrizione  dell'  archivio  nello  stato  e  nella  sede 
attuali. 

Degli  studiosi  moderni  che  di  proposito  si  siano  occupati 
del  contenuto  di  questo  archivio  ricorderò  i  ben  noti  nomi 
del  Dudik(i),  deliiethmann(2),  dij.v.  Pflugk-Harttung(5) 
e  segnatamente  del  valoroso  prof.  P.  Kehr  (4),  tanto  be- 
nemerito degli  studi  storici  ed  archivistici  in  Italia. 

I  documenti  di  maggior  interesse  storico  si  conservano 
nella  prima  sala  d'  entrata.  Le  pergamene  e  le  carte  legate 
in  fascicoli  sono  distribuite  in  78  capsule  negli  armarli  13, 
14,  15.  Sono  tutte  transuntate  neir  indice  Grimaldi.  Sopra 
questi  armadi  in  altri  più  piccoli,  dal  n.  i  al  3,  sono 
collocati  i  preziosi  libri  copiali  ed  i  libri  ìnstrumentorum: 

A,  Exempldiia  huUanim  ci  privile^/onaìi,  membr.  sec.  xvi. 

B,  Transiimpta  autheittica  statulcruin  et  piivilcgiorum  apostoliconnii 
Ludovici  Cedi  pio  baiti  tea,  cart.  sec.  x\i. 

C,  Transumptd  aitthentica  instrniiietitorum  casalium  basilicae  pjr 
I.ndovicuin  Cecium  iioluiiiim  1200,  1^00,  1410,  cnrt.  sec.  xvi. 

D,  Tramnmpld  aiitbeiilica  casalis  Campi  Merini  et  pedicarum  Ma- 
tini  per  Ludovicum  Cecium,  cart.  sec.  xvi. 

E,  Transumpta  autìientica  inslrutveutoi  niu  doiiionitìi  per  Ltidovicuiii 
Caiuin  nolarium,  1400,  1^00,  cart.  sec.  xvi. 

F,  Insti  umenta  Aiidreae  Carusii  truiisniiipta  per  lobuiniein  Daptistain 
eiui  fìlium,  care.  sec.  xvi. 

G,  Copiae  instrumenloruin  Andreae  Carusii  nolarii  ah  a.  14J6  ad  ipy, 
cart.  sec.  xvi. 

I,  Exeiiiplaria  hullaruiii  ti  priviìcgiorum  basilicae  S.  Petri,  membr. 

sec.  XVI. 

L,  Liber  qui  dicìtiir  iiovus  in  peri^ameno.  Exemplaria  bullarum  pri- 
vihgiorum  et  alioruin  a  diversis  summis  ponlificibiis  sacrosanctae  basilicae 
Valicanae  concess.,  membr.  sec.  xvi  (5"). 

(i)  DuDiK,  Iter  Romanum,  Wicn,  1855,  I,  77  sg. 

(2)  Bethmann,  Archiv,  XII,  407. 

(?)  J.  V.  Pi-lugk-Harttung,  iter  Italicum  (Stuttgart,  1885),  p.  So. 

(4)  P.  Kehr,  Pupsinrhunden  in  Rem.  Erster  Bcriiht.  (Aus  tien  Na- 
chricliten  der  K.  Gesellscliaft  der  Wissenschaften  zu  Gottingen.  Plii- 
lologisch-historischc  Klasse,  1900,  Heft.  2,  125  sg. 

(5)  In  fine  venne  aggiunto  un  fascicolo  cartaceo  con  copia  della 


Cartario  di  S.  Tietro  in    Vaticano  417 


Pillili  Ldii  Pelroiiii  inilntmcitta,  1441  usqiie  1447- 

Patri  de  Meriliis  instniiiuntii,  14^)1-1)04. 

Demetrii  Guassclli  insti  unicnta,  ab  a.  rfij)  ad  fj04,  &.C. 

La  serie  è  completa  fino  a  questi  ultimi  anni. 

Negli  armadi  inferiori  trovansi  i  catasti  e  le  piante  dei 
possessi  della  basilica. 

La  sala  seconda  conserva  i  preziosi  codici  della  bi- 
blioteca. 

Nella  terza  sala,  ampia  e  bella,  non  vi  sono,  per  quanto 
mi  fu  dato  di  constatare  fugacemente,  pergamene,  ma  si 
trova  un  ricco  e  vario  materiale  cartaceo  dal  secolo  xiv 
in  poi,  distribuito  sotto  le  classificazioni  :  Abadie,  Eccetti, 
Camposanto,  Sacrestia,  Cappella  luìia.  Mensa  Capitolare,  Se- 
minario, Eredità  Carcarasi. 

La  quarta  sala  conserva  la  superba  raccolta  dei  libri 
censuum. 

Questo  archivio,  non  per  l'antichità  delle  carte  tuttora 
possedute,  ma  per  la  ricchezza  del  materiale,  per  la  pre- 
ziosa raccolta  dei  libri  censitnm,  dei  ///'//'  instrumentorurn, 
per  tutte  le  cure  e  disposizioni  dei  pontefici  e  del  capitolo 
rioruardanti  l' ordinamento,  la  trascrizione  e  conservazione 
dei  documenti,  non  è  solo  l'archivio  principale  dell'Alma 
Città,  ma  uno  dei  più  importanti,  se  non  il  primo,  degli 
archivi  capitolari  d' Italia. 

La  presente  pubblicazione  ha  il  modesto  intento  di  por- 
t.  re  un  contributo  ai  lavori  intrapresi  dalla  R.  Società  ro- 

bolla  di  Leone  IX  (  J.-L.  n.  4163)  estratta  dai  Registri  di  Gregorio  IX 
ed  autenticata  da  Felice  Contelori  prefetto  dell'archivio  Vaticano 
nel  1635  dicembre  17.  Segue:  «  Informatio  abbreviata  in  facto  capituli 
«  Sancti  Petri  »,  copia  1635  dicembre  17  di  Felice  Contelori,  «ex 
«  processa  originali  anno  1354  sub  Innocentiopapasexto  Inter  capitulum 
«  et  canonicos  ex  una  et  commissarium  apostolicum  ex  altera  super 
«  oblationibus  factis  in  altaribus  basilicae  principis  apostolorum  ».  In 
ultimo  si  ha  copia,  autenticata  colla  stessa  data  da  F.  Contelori,  della 
bolla  di  Benedetto  VIII  J.-L.  n.  4024,  estratta  dai  Reo.  di  Gregorio  IX, 


4i8  L,  Scìiiaparclli 


man  a  di  storia  patria  per  la  preparazione  di  un  Coàex  dì- 
pìomaticus  urbis  Romac.  A  questo  intento  venne  subordinato 
il  metodo  adottato  per  le  ricerche  e  per  1'  edizione  dei  sin- 
goli documenti.  Del  materiale  dei  monasteri,  di  cui  a  pa- 
gina 404,  mi  occuperò  in  speciali  lavori. 

Prima  di  chiudere  questa  breve  introduzione  rivolgo 
r  espressione  di  sentita  riconoscenza  al  reverendissimo 
capitolo  di  S.  Pietro  ed  in  particolare  a  monsignor  Fara- 
bulini  prefetto  dell'  archivio,  i  quali,  animati  da  sincero 
amore  per  gli  studi  storici,  favorirono  questa  pubblicazione. 
Nei  lavori  di  ricerca  trovai  autorevole  ed  efficace  aiuto 
nel  benemerito  sottoarchivista  monsignor  Galli  e  nel  ze- 
lante archivista  D.  Felice  Ravanat;  essi  mi  usarono  tutte 
le  agevolezze,  tutte  le  cortesie  possibili,  del  che  rendo  loro 
pubblici,  vivissimi  ringraziamenti. 

Antico  inventario  dell'archivio  Capitolare 
DI  S.  Pietro  i\  Vaticano. 

Nel  ms.  col  titolo  sul  dorso  del  secolo  xvi  «  Inven- 
«  tarium  mobilium  honorum  et  reliquiarum  sacristie,  et 
«  librorum  bibliothecc  annorum  1454,  1455,  1489  »  (i) 
si  trova  inserto  un  fascicolo  pergamenaceo  di  dodici  carte 
colla  rubrica:  «  istud  est  inventarium  continens  in  se  omnia 
«  et  singula  bona  et  mobilia  sacrosancte  basilice  principis 
«  apostolorum  de  Urbe  »  (2).  Da  e.  8b  a  e.  12  si  registrano 
i  documenti  dell'  archivio.  Ne  è  autore,  come  sopra  rile- 
vai (^cL  p.  403),  un  prete  o  canonico  della  basilica.  I  do- 
cumenti di  data  più  recente  che  vengono  citati  sono  di  Bo- 
nifacio IX  e  del  re  Ladislao,  cosicché,  conforme  anche  al 
carattere  della  scrittura,  possiamo  ritenere  che  questo  ca- 

(1)  Sala  terza:  Sacrestia,  armarli  inferiori. 

(2)  Cf.  E.  Mu.sT/.  e  A.  L.  Frothincam,  //  ksoro  della  basilica  di 
S.  Pietro,  neW  Ardì,  della  Soc.  rom.  di  slor.  patr.  VI,  82,  nota  j;  p.  99, 
nota  I. 


Cartario  di  S.  T^iclro  in    ì^aticano  419 

talogo  rimonti  alla  fine  del  secolo  xiv  o  al  principio  del  xv. 
Si  confronti  cogli  indici  dell'archivio  della  Santa  Sede  editi 
dal  p.  Ehrle,  Die  Bibliothek  und  das  Archiv  dcr  Pàpsk  in 
Perugia^  Assisi  und  Avignon  bis  1)14  (i). 

[C.  8  B.]  Item,  in  cassa  cuni  signo  A  R  et  cominentur  infra- 
scripta  bona,  videlicet. 

Item,  bulla  domini  Bonifatii  Vili  continens  castra  et  possessio- 
nes  ab  eo  empta  basilica  Sancii  Petri. 

Item,  priviicgium  senatoris  Urbis  concessum  basilice  predicte  de 
peregrinis,  quod  nullus  possit  vendere  seu  emere  in  platea  Sancti  Petri 
sine  licentia  canonicorum. 

[C.  9.]  Item,  imstrumentum  publicum  seu  statutum  iuratum  et 
publicatum  in  publico  parlamento  (a)  Ortone  continens  quod  nulla 
gabella  statuatur  in  dieta  Ortona  preter  gabellam  Sancti  Petri. 

Item,  imstrumentum  locationis  et  baiulationis  Ortone. 

Item,  confirmatio  apostolica  de  gabella  Ortone  per  papam  Gle- 
ni entem  V. 

Item,  alia  confirmatio  facta  per  eundem  dominum  C.  super  pre- 
dieta  gabella. 

Item,  privilegium  Caroli  secundi  super  gabella  Ortone. 

Item,  lictere  confirmationis  et  baiulationis  Ortone. 

Item,  privilegium  Caroli  tercii  super  confirmatione  gabelle  Ortone. 

Item,  sententia  platee  contra  campsores. 

Item,  donatio  domine  lohanne  regine  de  .L.  unciis  percipiendis 
in  suo  regno. 

Item,  processus  de  factls  Ortone. 

Item,  aliud  privilegium  domine  regine  super  .l.  unciis. 

Item,  aliud  privilegium  de  factis  Ortone. 

Item,  aliud  super  facto  Ortone  super  decima. 

Item,  aliud  super  facto  Ortone  Karoli  secundi. 

Item,  privilegium  domine  lohanne  regine  super  vectigalibus. 

Item,  bulla  concessa  per  dominum  Bonifatium  papam  Vili  de 
castris  filiorum  Nicolai  Totani  et  Balce,  Trulli  et  Fumi  Saraceni  &c- 

Item,  privilegium  regis  Roberti  super  facto  Ortone. 

Item,  lictera  armorum  de  portandis  armis  in  Ortona. 

Item,  bulla  conservatorie  perpetue  concesse  basilice  Sancti  Petri 
per  Ioannem  XXII  concessa. 

(a)  palamento  colla  1  su  r 

(i)  Op.  cit.  I,  41  sg. 


420  L.   Schiiiparelli 


Item,  privilegiuni  regis  Roberti  strale  Morricine. 

Item,  privilcgium  prcdicti  reg's  .R.  super  facto  .L.  unciaruni. 

Item,  bulla  domini  Leonis  pape  Villi  super  multis  possessioni- 
bus  et  maxime  prò  factis  acceptorum. 

Item,  privilegium  domine  regine  super  facto  Orione. 

Item,  privilegium  regis  Roberti  super  facto  Orione. 

Item,  duo  privilegia  imperialia  cum  bullis  aureis. 

Item,  tria  privilegia  super  factis  Orione  etiam  c.mi  bullis 
aureis. 

Item,  certa  alia  privilegia  super  factis  Orione  et  gabellis  Aquile 
cum  c|uibusdam  licleris  in  una  scatula. 

Item,  aliud  privilegium  super  solutione  .L.  unciarum. 

Ilem,  bulla  Urbani  V  confirmacionis  Orione. 

[C.  9b]  Item,  instrumentum  donationis  inier  vivos  domus  exi- 
stentis  in  via  Pape,  factum  per  dominam  Malheam  uxorem  condam 
de  La  Lege. 

Item,  insirumenta  medielalis  casalis  domini  Prede. 

Ilem,  privilegium  Karoli  secundi  super  donalione  .L.  unciarum 
in  civiiate  Neapolitane. 

Item,  iura  Luce  macellarii  producta  coram  magistris  contra  la- 
cobellum  Magliocii. 

Item,  bulla  conservatorie  facta  per  dominum  lohannem  pa- 
pam  XXII. 

Ilem,  instrumentum  de  ordinatione  altaris  domini  Honorii 
pape  IIII. 

Item,  privilegium  conservatorie  factum  per  archìpresbiterum  San- 
cii Vincencii. 

Item,  sententia  lata  conlra  archipresbiterum  et  canonicos  San- 
cte  Marie  in  Transpadina. 

Item,  sententia  lata  contra  Antonianos. 

Item,  sententia  lata  prò  capitulo  super  factis  Lucerni  et  pluri- 
marum  domorum. 

Item,  privilegium  baiulationis  .l.  unciarum  concessum  per  Karo- 
lum  tertium. 

Item,  conservatoria  perpetua  concessa  per  dominum  lohan- 
nem XXII,  sua  bulla  bullata. 

Item,  exemplar  super  facto  filorum  novem  ad  sai  faciendum, 

Item,  instrumenta  casalis  quod  dicitur  Piano  dello  Muro. 

Item,  copia  quorunJam  instrumentorum  de  baiulationc  Orione. 

Item,  instrumenta  domus  et  posscssionum  quas  habet  basilica  in 
Oriona. 

Item,  bulla  Innoceniii  VI  super  decima  altaris. 


Cartario  di  S.T^ictro  in    Valicano  421 


Itom,  bulla  reconciliationis  basilice  Sancti  Petri  facta  per  Urba- 
na m  V. 

Item,  particula  testamenti  uxoris  condam  Cechi  Barberii  super 
censu  nobis  dimisso  de  quadani  vinca  Mentis  Maris. 

Item,  bulla  Celestini  continens  de  filis  salini  que  habet  basilica 
Sancti  Petri. 

Item,  sententia  centra  presbiterum  Bernardum  canonicum  San- 
cti Apolinaris  de  Urbe. 

Item,  bulla  Alexandrii  III  quod  preter  quartam  partem  canoni- 
corum,  videlicet  altaris,  omnia  sunt  fabrice. 

Item,  bulla  bonorum  (a)  condam  AnJree  mercatantis  facta  per 
Bonifatium  Villi,  lacerata. 

Item,  bulla  Urbani  V  exemptionis  nostre  et  membrorum  no- 
strorum. 

Item,  procuratorium  domini  Stephani  et  domini  Masii. 

Item,  bulla  Innocentii  III  quod  preter  quartam  partem  canoni- 
corum,  videlicet  altaris,  omnia  sunt  fabrice  et  luminarium  basilice 
prelibate. 

Item,  privilegium  universalis  indulgentie,  videlicet  buUatum  anni 
centesimi  iubilei  concessum   per  dominum  Bonifatium  octavum. 

Item,  bulla  Gregorii  Villi  continens  ecclesias  et  loca  nobis  subie- 
cta  et  incorporata. 

[C.  IO.]  Item,  bulla  pape  Benedicti  XI  centra  illos  qui  ceperunt 
Bonifatium  Vili. 

Item,  instrumeuta  castri  Attigliani  et  iuramentum  subiectionis 
vassallorum  dicti  castri. 

Item,  quarta  bulla  Clementis  pape  III  super  oblationibus  maioris 
altaris  confessionis. 

Item,  bulla  Clementis  pape  predicti  continens  hospitalia  et  ec- 
clesias basilice  subiecta. 

Item,  lictera  super  factis  de  Francavilla. 

Item,  Calisti  pape  II  de  littera  Verventana(b)  super  accepta. 

Item,  bulla  Clementis  pape  VI  super  facto  platee  contra  mane- 
scalcos. 

Item,  sententia  lata  prò  basilica  Sancti  Petri  coatra  capitulum 
Sanctorum  Celsi  et  luliani. 

Item,  privilegium  Karoli  secundi  super  aditione    L.  unciarum. 

Item,  lictera  regine  (■=)  super  extrahenda  pecunia  de  Regno. 

Item,  trasumptumpublicum  cuiusdam  concessionisfacte  per  regem 
Aragonie. 

(a)  La  n  corretta  su  u  (b)   Sic,  forse  invece  di  Beneventana         (e)  regina 


422  L.   Schi^iparelli 


Itcm,  bulla  «.lomini  Bonifatii  Villi  cxcomiiiicationis  Francisci  de 
Ottona. 

Item,  instrumentum  venditionis  castri  Totani. 

Item,  bulla  Urbani  V  confirmationis  omnium  iurium  et  maxime 
exemptionum  basilice  Sancii  Pctri. 

Iiem,  privilegium  quod  est  centra  Sanctum  Laurentiuin  et  Da- 
masum  de  Sancta  Maria  et  Katlierina. 

Item,  bulla  Innocentii  IIII  monasterii  Sancti  Vincenti!  de  porta 
Pertuso. 

Item,  bulla  donationis  sive  confirmationis  Bonifatii  Vili  de  ven- 
ditione  Trium  Colunnarum. 

Item,  bulla  pape  Martini  de  licentia  venditionis  castri  porte 
Pertusi. 

Item,  bulla  Nicolai  IIII  in  qua  confirmantur  et  de  novo  conce- 
duntur  quedam  indulgentie  visitantibus  sacrosanctam  basilicam  no- 
strani. 

Item,  bulla  pape  Alexandri  IIII  concessiouis  Sancie  Marie  de 
Tiburi. 

Item,  bulla  Clementis  sexti  indulgentie  iubilei  quiquagennrii. 

Item,  bulla  Innocentii  VI  confirmationis  bonorum  nostre  basilico. 

Item,  una  cassula  cum  certis  reliquiis  (»). 

Item,  bulla  Bonifatii  Vili  de  donatione  Trium  Colunnarum. 

Item,  bulla  Bonifatii  supradicti  de  donatione  ecclesie  Sancti  Egidii 
et  bonorum  eius. 

Item,  trasumptum  confirmationis  regis  Ladizilai  super  Ortona  (*>) 
et  Aquila  ('). 

Item,  bulla  Bonifatii  supradicti  et  est  bulla  super  creatione  octo 
canonicorum  et  trium  beneficiatorum  et  .xx.  clericorum. 

Item,  bulla  pape  Gregorii  noni  quarundam  indulgentiarum. 

Item,   bulla  pape  Clementis  VI  contra  Sanctnm  Spiritum 

Item,  bulla  Innocentii  VI  de  confirmatione  Sancte  Marie  in 
Transpedina  et  aliarum  citra  pontem. 

Item,  bulla  pape  Benedicti  XI  prò  W  nostra  basilica  possit  cum 
monasterio  Sancti  Sabbe  domos  permutare. 

[C.  lOB.]  Item,  lictere  .xv.  in  uno  panno  quas  («)  credimus  super 
facto  Ortone. 

Item,  una  alia  lictera  super  facto  Hortone. 

Item,  omnia  suprascripta  bona  posita  sunt  in  una  cassa  cum 
signo  lictere  AR. 


(«)  1^         (b)  ortan         (e)  Aquile        (d)  Sic.  (e)  super  quas 


Cartario  di  S.  'Vietro  in    Vaticano  423 


Item,  ini  primis  trasumptum  pape  Leonis  Villi  super  omnes  La- 
tinos  sepeliendos  et  quibusdam  possessionibus. 

Item,  bulla  Urbani  V  donationis  et  confirmationis  de  Corsica  et 
Sardinia  de  .xxx.  unciis. 

Item,  bulla  Innocentii  III  quorundam  statutorum. 

Item,  trasumptum  concessionis  senatoris  Urbis  super  multis  et  di- 
versìs  auctoritatibus. 

Item,  trasumptum  privilegii  quomodo  peregrini  sint  de  foro  no- 
stre basilice  nominatim  prò  acceptis. 

Item,  privilegium  oblationum  Sudarli  quomodo  sint  canonicorum. 

Item,  statuta  Nicolai  pape  III  sine  bulla. 

Item,  statuta  nostre  basilice  lohannis  pape  XXI. 

Item,  bulla  confirmationis  facti  de  solo  in  quo  est  palatium  iuxta 
ecclesiam  Sancii  Michaelis(=')  Honorii  pape  HIT. 

Item,  bulla  Bonifatii  pape  Vili  confirmationis  vendicionis  casalis 
Trium  Columpnarum. 

Item,  bulla  Bonifatii  pape  Vili  super  augumento  .viii.  canonico- 
rum  et  trium  beneficiatorum  et  .xx.  clericorum  cori  basilice. 

Item,  privilegium  castrorum  et  ecclesiarum  basilice. 

Item,  due  bulle  de  lictera  Vermentana  (b)  pertinentia  ad  exce- 
pta  (e)  simul  ligate. 

Item,  bulla  mandati  facti. 

Item,  bulla  Nicolai  pape  IIII  de  pedendo  certas  indulgentias  et 
confirmando  alias. 

Item,  due  bulle  de  obtinendis  benefitiis  residendo  in  basilica. 

Item,  bulla  Nicolai  pape  IIII  super  prebenda  Liconiensi. 

Item,  arbitrium  datum  de  certis  terris  de  lite  Inter  capitulum  et 
filios  Milonis  Saraceni  (''). 

Item,  bulla  pape  Nicolai  IH  continens  ea  que  sunt  agenda  in 
cappella  Sancti  Nicolai. 

Item,  bulla  statutorum  pape  Nicolai  III. 

Item,  bulla  pape  Nicolai  IIII  super  prebenda  Liconiensi. 

Item,  privilegium  contra  invasores  bonorum  nostre  basilice. 

Item,  bulla  Nicolai  pape  IIII  collationis  prebende  Niconiensi,  va- 
cantis  per  obitum  in  Romana  Curia  concessa  (e)  domino  (0  cardinali 
archipresbitero  nostre  basilice. 

Item,  bulla  Atriani  pape  IIII  de  oblationibus  quarte  partis  maioris 
altaris. 


(a)  Carrello  sopra  Nicolai         (b)  Sic  ;  forse  da  correggersi  Beneventana       (e)   Carrello 
da  ad  optenta  (d)  filios  Milonis  Saraceni  aggiunlo  dopo  da  prima  mano.  (e)  con- 

cesse        (f)  dni 


424  L.   Schìaparelli 


Itcm,  bulla  Bonifaiii  Vili  de  universis  indulgeutia  anni  cente- 
simi iubilei. 

Item,  bulla  Nicolai  papa  IIII  communicationis  proventuum  &c.  («). 

Itom,  bulla  Bonifatii  pape  Vili  de  donatione  casalis  Trium  Co- 
lunipnaruni. 

[C.  II.]  Item,  bulla  Urbani  pape  UH  de  regiila  Sancte  Giare, 
duplicata. 

Item,  bulla  Nicolai  pape  IIII  super  executoria  gratiose  super  (b) 
canonicoruni  et  prebende  Liconionsis  concessa  per  papam  domino 
cardinali. 

Item,  unum  breviarium  copertum  de  cerio  rubeo  et  depicto  et 
notatum. 

Item,  bulla  Bonifatii  octavi  continens  possessiones  emptas  basi- 
lice  per  eundem. 

Item,  bulla  Innocente  III  de  ecclesia. 

Item,  instrumentum  relationis  facte  Martino  de  terris  Sancte  Ana- 
tolie. 

Item,  privilegium  quod  possessiones  basilice  non  perscribuntur 
minus  centum  anni. 

Item,  privilegium  in  lictera  Bermentaaa  (e)  de  possessionibus 
ecclesie. 

Item,  instrumentum  revocationis  sequestri  Sudarii. 

Item,  processus  super  prebenda  Liconiensì. 

Item,  lictere  super  facto  castri  Vallerani. 

Item,  instrumentum  de  concessione  et  licentia  vendendi  bona 
de  Terrione  basilice  Sancii  Petri. 

Item,  bulla  seu  carta  conlirmationis  pape  Adriani  IIII»'  de  multis 
ecclesiis  et  possessionibus  nostre  basilice. 

Item,  privilegium  Honorii  pape  III  de  signis  plubeis. 

Item,  instrumentum  Sancte  Marie  de  Palazolo  subiecte  nostre 
basilice. 

Item,  instrumentum  duarum  domorum  de  quibus  fit  aniversarium 
domini  lacobi  Gayetani. 

Item,  instrumentum  casalis  seu  castri  domini  Egidii. 

Item,  instrumentuiìi  terrarum  et  possessionum  civitatis  Tibur- 
tine  quas  habet  nostra  basilica  ibidem. 

Item,  testamentum  Laurentii  Donneparve  de  regione  Gampitelii 
de  centrata  .Mercati. 

Item,  indulgentia  anni  iubilei  per  Bonifatium  octavum. 

(a)  comunicationis  proventuum  eie.  aggiunto  dopo  da  prima  viana;  prima  di  comunica- 
tionis  cancellatura  di  corona  (b)  Sic.  (e)  Sic,  ma  da  correggersi,  ritengo,  in  Bene- 

ventana 


Cariarlo  di  S.  'Pietro  in    V^aticaiio  425 


Itcm,  privilegium  quod  cavctur  quoti   non    conprestentur  aliqua 
bona  basilice  alicui  persone  maxime  laicis. 

Item,  privilegium  cruciate  conlra  Saracenos. 

Item,  instrunicnta  domorum  domini  Petri  de  Posterula. 

Itcm,  unum  saccolum  plenum  de  instrumentis  domorum  nostra- 
rum  olim  Giliotii  della  Geza. 

Itcm,  instrumentum  confirmationis  per  senatorem  Urbis  de  ca- 
stro nostro  Buccieic. 

Item,  instrumenta  casalis  Sancti  Andree  et  Silice  et  plura  alia 
instrumenta  involuta  in  pannis  lineis  («). 

Itcm,  unum  saccholum  cum  instrumentis  emptionis  certarum  vi- 
nearum  que  fuerunt  Pauli  Rogerìi  Romanutii. 

Itcm,  bulla  prò  ecclesia  Sancti  Thome  in  Formis  centra  occu- 
patoresbona  et  res  ipsius  ecclesie. 

Item,  unum  sacculum  in  quo  continentur  diversa  instrumenta  et 
maxime  castri  Bucciegie. 

Item,  omnia  ista  suprascripta  bona  posita  sunt  in  una  cassa  cum 
signo  Q.. 

Item,  in  primis  bulla  Urbani  pape  tercii  continens  hospitalia  et 
ecclesias  basilice  predicte  subiectas. 

[C.  II  B.]  Item,  ^bulla  domini  Honorii  pape  IHI  super  liberta- 
tibus  regni  Sicilie. 

Item,  unus  sacculus  cum  instrumentis  de  Scrigniolo. 

Item,  instrumentum  casalis  de  Silice. 

Item,  testamenta  dominorum  Francisci  cardinalis  de  Sancto  Petro 
et  Thebaldi  prothonotarii  de  Teballescis. 

Item,  testamentum  domini  Bartholomei  Vaiani. 

Item,  instrumenta  emptionis  casalium  de  Quinto. 

Item,  carta  emptionis  medietatis  casalis  Palmaroli  empti  a  San- 
ctospiritu. 

Item,  carta  vinearum  que  fuerunt  Mascii  Rogerii  Romanutii. 

Item,  cartula  senatoris  quod  capitulum  Sancti  Petri  post  primam 
citationem  possit  facere  gravari  personas  eis  debitas. 

Item,  sententia  expensarum  condennationis  contra  campsores, 

Item,  transumptum  domini  Innocentii  VI  ubi  ecclesias  Sancti  Leo- 
nardi et  Sancti  lacobi  de  Subtigniano  et  plures  alias  (b)  subicit  basi- 
lice Sancti  Petri. 

Item,  instrumenta  cappelle  et  chori  basilice  de  Sancto  Petro. 

Item,  instrumentum  donationis  doraus  domini  Laurentii  Guarnì 
in  Ermenos. 

(a)  pa.  1.         (b)  aliis 


426  L.    Schiaparelli 


Item,  bulla  Clementis  pape  IIII  concedens  llcentiam  vendenJi 
mìnus  utiles  et  emendi  niagis  utlles. 

Item,  bulla  Urbani  V  quomodo  prior  possit  reconciliare  basilicam 
nostram. 

Item,  instrumentum  donationis  triuni  partium  castri  Campanilis. 

Item,  laudum  latum  per  dominum  episcopum  Tudertinum  super 
facto  castrorum  Atiliani,  castri  Nicolai,  Totani  et  Totanelli. 

Item,  bulla  domini  Adriani  pape  IIII  super  ecclesia  Sancti  Sil- 
vestri de  Sutrio. 

Item,  instrumentum  domus  cuni  signo  triuni  columpnarum  que 
est  in  pede  platee. 

Item,  quamplura  alia  instrumenta. 

Item,  omnia  ista  suprascripta  posita  sunt  in  cassa  cum  signo  (i). 


I. 

797  dicembre  22. 

Carlo  Magno  stabilisce  che  la  chiesa  di  S.  Salvatore 
serva  come  ospizio  dei  pellegrini  d'oltremente  e  luogo  di 
sepoltura  per  quelli  che  morranno  in  Roma;  enumera  le 
reliquie  della  chiesa,  fa  donazioni,  vi  elegge  tre  preti  e 
dodici  chierici  e  prescrive  che  i  regni  di  Francia,  di  Aqui- 
tania  e  di  Gallia  debbano  pagare  ciascuno  quattrocento 
libbre. 

Copia  membr.,  circa  Va.  1141,  dello  scriniario  Giovanni  (2),  caps.  XI, 
fase.  18  [B].  Cop.  cart.  sec.  xvi  nel  ms.  Barberini  XXXIII,  29,  e.  64,  da  B. 
«  Manuscrìpta  basilicae  Vaticaiiae  »,  ms.  cart.  H,  61,  bibl.  Gap.,  e.  99,  reg. 
del  sec.  xvi.  «  Gatalogus  sacrarum  reliquiarum  almae  Vatic.  basilicae  Paulo 
«  Bizono  et  Marco  Aurelio  Maraldo  domini  nostri  Pauli  papae  V  datario  eius 
«basilicae  canonicis  maioribus  sacristis  curantibus  fìdeliter  scriptus»,  1617, 
ms.  H,  ri  bibl.  Gap.  e.  46  b,  estratto.  Due  copie  cart.  sec.  xvii.  ms.  G,  94,  e.  48, 
e  e,  60,  bibl.  Vallicelliana,  da  B. 

ToRRiGio,  Le  sacre  grotte  Vaticane  (1659),  p.  505,  da  B  =  L.  \.  Muratori, 
Antiquilates  II.  Ili,  io,  cit.   Martinelli,   Roma  ex  eihnica  sacra,  p.  589,  cit. 
Ughelli,  Italia  sacra,  ed.  Goleti,  I,  112,    estr.   Marini,   I  papiri  diploma- 
ci) Segno  di  una  chiave. 
(2)  Cf.  p.  .}oo. 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  427 


liei,  pp.  105-108,  n.  Lxxr,  da  B;  cf.  p.  245.  Scheifer-Boichorst,  op.  cit.  IV, 
86  sg.  cit.  A.  De  Waal,  La  schola  Francorum  fondata  da  Carlo  Magno  e 
l'ospizio  Teutonico  del  Campo  santo  nel  scc.  xv  (Roma,  1897),  riproduzione 
fotografica  di  B  ;  si  ci.  pp.   12-16   «  Il  privilegio  di  Carlo  Magno». 

Regesti:  Sickel,  Ada  Karolinofum,  II,  454,  tra  gli  "  Acta  spuria  »  ; 
MiiHLBACHER,  Reg.  Karol.  n.   540*  (551*). 

Falsiticazione  grossolana  del  secolo  xi,  e  prob.ibilmeiite  tra  il  105 1  ed 
il  10)5  (!)•  Dello  scopo  del  falso  si  occuparono  lo  SchetTer-Boichorst  ed  il 
De  Waal  nei  citati  lavori,  il  primo  con  maggiore  erudizione.  Il  formulario  è 
tutto  una  invenzione  dell'autore;  anche  il  contenuto,  almeno  nel  suo  insieme, 
non  pare  dipenda  da  diploma  autentico  ^'ndato  perduto,  per  quanto  non  si  possa 
dubitare  che  la  «  schola  Francorum  »  già  esistesse  ai  tempi  di  Carlo  Magno  {2). 
É  grave  e  strano  1'  errore  di  fare  Leone  IV  contemporaneo  di  Carlo  Magno. 
Il  presente  diploma  è  citato,  dal  presunto  originale  trascritto  poi  dallo  scri- 
niario  Giovanni,  in  una  lettera  di  Gregorio  VII  (J.-L.  n.  5203)  e  viene  confer- 
mato da  Leone  IX  (J.-L.  11.  4292). 

La  falsificazione  non  toglie  importanza  al  documento  per  la  topografia 
di  Roma  nel  medioevo. 

>5<  ;  In  nomine  sanctae  et  individuae  Trinitatis.  Karolus  divina 
protegente  clementia  augustus  magnus  a  Deo  coronatus  rex  Franco- 
rum  et  Langobardorum  et  patricius  Romanorum.  |  Cunctis  sanura 
sapientium  scilicet  hac  futurorum  noveri:  universitas  *  ♦  •  ♦  ♦  *(3) 
prò  ****♦»*  *  [stajbili  (a)  .statu  perpetue  valeat  sanccioni,  uiide 
suffragar!  nostra  pietas  iure  omnibus  debetur,  opitulatione  subveniri, 
quemadmodura  nostre  tutationi  presto  sit  tribuendi  cuique.  Deni- 
[que]  W  corroboramus  et  confirmamus  quadam  ecclesia  quem  nostrae 
petitioni  iure  sacri  palati!  Lateranensis  sanctaeque  Sedis  apostolicae 
dompni  LEONI  summi  pontifici  et  universali  quarti  papae  vendidit  et 
in  aliquo   donavit    cum    sacra    constitutione  *  *   ponendi  firm[a]  W 

(a)  Lacuna  segnata   in  B. 

(i)  Cf.  ScHEFFER-BoiCHORST,  op.  cit.  p.  86,  nota  5. 

(2)  Liher  Pontijìcalis,  ed.  Duchesne,  II,  6. 

(5)  Nella  presente  edizione  si  indicano  con  asterischi  le  lacune 
segnate  nelle  fonti,  originali  o  copie,  e  si  ebbe  cura  di  mantenere 
la  stessa  proporzione  di  spazio,  in  modo  che  il  lettore  possa  avver- 
tire il  numero  approssimativo  delle  lettere  mancanti. 

Sono  racchiuse  tra  [  J  le  parole  o  lettere  illeggibili  per  guasti 
della  pergamena;  gli  altri  usi  di  [  j  vengono  indicati  nelle  note.  Si 
riproducono  in  nota  parecchie  abbreviazioni,  quelle  che,  data  la  man- 
canza di  ogni  regola  grammaticale  in  simili  documenti,  possono  la- 
sciare dubbi  di  qualche  valore  sulla  concordanza  o  grafia  del  vocabolo. 

Archivio  rifila   li.  Società  romana  .ii  storia  patria.  Voi.  XXIV.  28 


428  L.   Scliiaparelli 


stabiliss[imn]  (*)  promulgatione  et  summa  libertas,  precavcns  in  fìr- 
[mamJC')  (»^  perpctuam  soliditatem  annectit,  qiiemai.lmo(Jinn  in  utro- 
rumque  nostris  benivoIen[t]iis  («)  decuit.  Quapropter  succurrend  •  • 
♦  •  •  •  ♦  egenor[um]  («)  qui  dandis  »••♦»♦•  auxiliari 
valeafnt]  (•),  uti  presenti  constitutionc  prodesse  possit  ibi  Deo  per 
tempore  famulantibus  in  pcrpetuuni.  Videlicet  imam  ecciesiam  qui 
sita  est  in  civitatem  novam,  quem  dompnus  Leo  i^)  papa  edificavit 
iuxta  murum  in  predium  qui  dicitur  Magelli  non  longe  a  monte  qui 
vocatur  Baticano,  quem  dompnus  Leone  sacre  Sedis  apostolicae  presul 
tribuii  maluit  nostrao  implori  peiicioni,  suae  magnitudini  per  preceptuni 
contìrmavit,  lioc  donum  quod  soilorti  cura  cogitante  me  divine  cle- 
mentiae  serviti  (d)  ad  sepeliendi  utilitatem  (0  egenorum  studui  erogare. 
Et  est  ipsa  ecclesia  dedicata  in  lionore  venerabilis  Salvatoris  domini 
nostri  lesu  Christi,  quem  libens  voto  augeri  cupio  ampliarique  iussi,  et 
altare  ibidem  consecrari  feci  et  maxima  reliquiarum  cnndiri  statuimus 
in  honore  Salvatoris  et  sancti  Stepliani  protomartiris  et  sancti  Lau- 
rentii  et  beatorum  lohannis  et  Pauli.  Denique  ibi  condite  sunt  de  ve- 
stimentis  sancti  Stephani  protomartiris  et  unam  parapsidem  plenam 
de  carbonibus  quos  (f)  ustus  fuit  sanctus  Laurentius  et  duabus  costi- 
bus  lohannis  et  armiila  Paoli  et  duas  torqucs  de  Sergius  et  Bachus 
primicerius  et  secundicerius  et  boiam  de  collo  Alexandri  quinti  pape 
et  de  capiilis  eius  quantum  pugillo  capere  potest.  Sic  omnia  sunt 
condite  in  iam  predicto  aitano  sancti  Salvatoris.  Sita  est  autem  ipsa 
ecclesia  propter  tradendi  sepulturas  pauperes  et  divites  nobHes  et  in- 
nobiles  quos  de  ultramontanis  partibuo  venturi  cernuntur,  ut  omnes 
ibi  sint  sepeliendi  per  manus  scolasticorum  et  cum  obsequio  sacer- 
dotum  qui  ilio  commorantur  in  perpetuum.  Statuimus  siquidem  ibi 
tres  presbitcros  et  duodecim  clericos  scientes  litteris  (g)  et  omnes 
tonsis  comis  ministrent  cum  presbiteris  (').  Fecimus  autem  in  iam  su- 
pradicta  ecclesia  hornamentis  aureis  et  argenteis.  Fecimus  autem  ibi 
tres  cruces,  una  auream  cum  gavata  aurcam  habentem  auri  libram  ('') 
unam,  et  alie  due  cruces  argentee  cum  gavatis  suis  habentem  duo- 
decim libras('i)  argenti  unam  et  duodecim  libras(h)  argenti  aitera,  et 
gavatas  duo  libras  ('•)  argenti  unam  similitcr  et  altera.  Feci  autem  et  tres 
vmagines,  unam  aurea  et  duo  argentee,  quem  sederunt  supra  trabem 
involuta  argento,  supra  vmagines  tres  arcus,  unum  aureum  et  duo  ar- 

(«)  Laruiia  segnata  in   B,           (b)  ir    carrello    J.i    u  (e)    Tra  Leo    e    pipa    niiura 

di  una  le  nera,  forse  p         (d)  La  seconda  i  aggiunta  dopo  e  su  rasura.         (e)  B  ad    utilitatem 

sepeliendi,  ma  con  rirhiami  che  in.licani)  doversi  trasporre  e  leggere  ad  sepeliendi  utilitatem 
(f)  o  carrello  da  a         (g)  li  corretto  da  a         (h)  tì  lib 

(r;  Cf.  ScHEFFER-BoiCHORST,  op.  cit.  p.  86,  nota  5. 


Cartario  di  S.  T'ielru  in    Vaticano  429 


genteis,  h:ibentcm  aureum  libram  (»'  unam  et  argenteis  singiilis  libras 
duodecim,  vmagincm  autem  auream  habentem  tres  libras  (^)  auri  cum 
gemmis  pretiosis  expressa  ymaginibus  Salvatoris  domini  nostri  lesu 
Christi  et  Dei  genitricis  Mariae  et  sancti  Michaclis  Archangeli  W,  in 
una  argentea  exprcssa  vmagine  Alexandri  quinti  pape  et  Sergi!  et 
Bachi,  in  alia  vmagine  expressis  ymaginibus  lohannis  et  Pauli.  Feci 
autem  et  unum  crucifixum  maiorem  argenteum  habentem  sexaginta 
libras  (»)  et  duodecim  gavatas  duo(<:)  aureas  et  decem  argenteas  cum  ca- 
tenis  de  oricalco  et  duoJccim  pallias,  qui  pendant  sub  arcis,  cum  uno 
velo  serico,  qui  habet  istoriam  a  nativitate  Domini  usque  ad  ascen- 
sionem  eius;  vestimenta  quoque  altaris  quatuor  deauratis  cum  gemmis, 
in  una  expressa  ascensione  Domini,  in  alia  expressa  ymagine  Salvatoris 
et  beate  Mariae  et  sancti  Michaaelis  Archangeli,  in  alia  veste  expressa 
ymagine  Alexandri  et  Sergii  et  Bachi,  in  quarta  Johannes  et  Paulus; 
duas  patenas,  unam  auream  habentem  quatuor  uncias,  alia  argentea 
habentem  libra  (»)  una;  calices  quoque  duo,  unum  aureum  habentem 
mediam  libram  (=>)  et  unum  argenteum  habentem  unam  librami;  duo 
etiam  W  coclearia,  unum  aureum  et  unum  argenteum,  aureum  habet 
dimidiam  unciam  («), argenteum  una;  et  duas  forficiculas,  unam  auream 
et  unam  argentea,  habentem  auream  mediam  unciam,  argenteam 
unam.  Constituimus  etiam  in  ipsa  supradicta  ecclesia  in  circuitu  ip- 
sius  totum  predium  ubi  sita  esse  videtur  in  integrum  cum  terminos: 
a  primo  lato  porticu  malore  (f)  pergente  iuxta  Baticano  (g)  usque  ad 
Sanctam  Agathe  qui  dicitur  in  Lardarlo,  venientem  ad  murum  civi- 
tatis  (h)  Leoniana  usque  in  ipsa  ecclesia  Sancti  Salvatoris,  videlicet  de 
ipsa  munitione  quatuor  turres,  a  secundo  latere  monumentum  qui 
stat  super  sepulchrum  Marci  frater  Aurelii,  a  tertio  latere  forma  Tra- 
iana  usque  in  porta  Aurelia,  et  a  quarto  latere  descendente  de  pre- 
dicto  monumento  usque  in  alveum  liuminis,  locum  quod  dicitur  Septem 
Venis  in  flumine  qui  dicitur  Tiberis,  pergentem  per  criptam  Rubeam 
ad  murum  civitatis  et  a  (')  ipso  loco  per  aquam  (k)  venientem  in  iam 
predicto  portico  malore.  Concedimus  denique  in  ipsa  supradicta  ec- 
clesia Sancti  Salvatoris  novem  filas  ad  salem  faciendum,  quas  emi 
insto  meo  pretio  a  Johannes  Portuensis  episcopus  in  via  qui  da  Bucina 
pergit  ad  Portum  tantum  pretio  unam  libram  W  auri.  Simili  modo  de- 
dimus  alie  tres  fìlas  ad  salem  faciendum  in  Cancellata,  quas  benedi- 
ctionem  tribuit  michi  dompnus  Leonemsummus  pontifex  et  universalis 


(a)  B  li'o  (b)   B  archagli  (e)    Corretto  da  prima  mano  da  duodecim  con  cancella- 

tura ili  decim         (d)  etiam  aaaiunto  interlinearmente.         (e)  B  dim  une  (t)  m  su  rasura. 

(g)   B  corretto  su  u  (li)   B  ciu  (i)  a  su  rasura.  (I<)  per  aquam   su   rasura. 


430  L.   Schiaparelli 


quarti  papa  («')  a  parte  sui  et  sanctac  Sedis  apostolicae  per  prcccptuni 
contìrmavit.  Sic  denique  possidendo  tradimus  donamus  unani  curtem 
qui  dicitur  Maceranum,  qui  non  plus  niiiuis  longe  videlur  esse  a  su- 
pradicto  loco  quani  duodecim  miliaria  iuxta  Salaria  vctere,  qui  dìvi- 
ditur  ad  pontem  Molvi,  quaem  emi  a  dompno  apostolico,  vidclicct 
Leone  quartus  i^)  papa,  licet  centum  libras  in  integrum  damus  cum 
omnibus  ad  iam  dieta  curte  pertinentibus  (0  cum  prediis,  vineis,  pratis, 
pascuis,  arboribus  fructiferis  vel  infructiferis,  silvis,  pantanis,  aquis, 
aquimolis  aquarumque  decursibus,  servis  et  ancillis,  aldii,  aldiabus  co- 
lonis  C'^)  cum  colonabus  suis,  cultuni  vel  incultiim  :  omnia  generaliter 
in  integrum  ad  eandem  curte  pertinentibus  inrevocabiliter  concedimus. 
Itaque  stabili  iussu  decrevit  nostra  auctoritas  in  prefata  ecclesia  tres 
presbiteros  et  duodecim  clericos  scolasticos  litteras  scientibus  tonsis 
comis  ministrent  illic  cum  presbiteris(«)  ibidem  Deo  famuiantibus.  Sic- 
que  de  regnis  nostris  colligimus  quattuor  per  trium  partium  in  figura 
sanctae  Trinitatis  et  quatuor  evangelistarum.  Sic  in  honore  duodecim 
apostolorum  eligimus  quatuor  planae  de  Francia  et  quattuor  de  Au- 
guittania,  quattuor  de  Gallia.  ut  ibi  serviant  Deo  omnibus  temporibus 
et  nostrae  preceptioni  obediant  absque  mora,  remota  omni  pigritia. 
CoUigant  fratres  peregrinos  qui  migratori  sunt  in  istis  partìbus  Romae, 
qualicumque  accidentiis  contingerit  venientium  <0,  scpclliantur  ibidem 
in  iam  predicto  loco  sollicita  caritate.  Vocatur  denique  prior  huius 
scolae  Raino,  Ingelbertus,  Gotbertus  et  Ingelrii  de  Francia;  alii  de 
Auguittania,  Dosde,  Amiz,  Amat  et  Benuardus;  de  Gallia,  Frederig, 
Octone,  Mellitus,  Stefanus.  Ita  tamen  constituimus  ut  ipsi  et  suc- 
cessores  eorum  exibeant  servitium  Deo  et  regni  nostri  tantum  statuni 
obediant,  ut  ubicumque  in  istis  partibus  venientibus  do  ultramontanis 
partibus,  si  casu  accidit  moriendi,  inquirant  et  sepeliant  deducendum 
ad  iam  dictam  ecclesiam.  Pro  qua  causa  annuatim  volumus  de  regnis 
nostris  Francia,  Auguittania  et  Gallia  remunerari  in  eodeni  loco  ex 
uno  quoque  regno  quatuor  (g)  centi  libras  (h);  in  Francia  colligant  in 
Remps(')  quatuor  centi  libras  (h);  de  Auguittania  colligant  ad  Sanctam 
Maria  qui  dicitur  in  Pogium;  de  Gallia  colligant  in  Asiae  palatio; 
ut  prehordinatis  qui  fuerint  in  ipsis  predictis  locis  (•>)  per  ipsorum 
nuntiorum  manus  dcstinentur  ducendis  in  iam  prenotato  loco  sicut 
nostra  preceptali  sanctione  decrevit  iussio,  atque  ibi  servientibus  nulla 

(a)  B  pp  (b)  qua  su  rasura  e  di  mano  posleriort.  (e)   Carrello  da  perlinenti- 

nenbus  con  canceìlalura  di  nen         (d)  Prima  di  colonis  canctlìatura  di  cum  (e)  lì  pris 

Ji    aggiume    poi    inUrlinearmenle  lì  (()     veni-    su    r.rura.  (g)    La    o  su    rasura^ 

0')   B  lih  (i)  B  reps  colla  ^  cornila  ju  n;  la  stessa  mano  scrisse  inlerlinrarmenU-  remps 

quasi  fer  maggiore  chtare{{a  della  forma  abbreviala.  (k)  B  locis    predictis,    ma    con 

•erni  die  indicano  la  Irasfiosi^ioae  t  doversi  leggere  preiictis  lo:is 


Cartario  di  S.  T*iefro  in    Vaticano  431 


inpediatur  causa  necessitatis.  Precipientes  precipimus  commorantibus 
ibidem  alluni  servltiiim  exibeant  Dco  et  nostrae  serenitati.  Idclrco 
quoscumque  causa  orationis  de  ultramontanis  partibus  venerint,  ipsi 
sint  ductores  eoium  adorandum  per  limina  sanctorum;  de  aliata  mu- 
nera  quod  datur  per  unaquamque  ccclesias,  quos  per  eorum  ductio- 
nes  niittuntur,  ut  duas  partes  predictis  ecclesiis  detur,  tertia  vero  ipsi 
ductores  accipiant  (^),  tantummodo  hac  prenotatione  utetur.  Scola- 
stici una  cum  presbiteris  suprascriptae  ecclesiae  Sancii  Salvatoris  de  re- 
gnis  Francie;  et  Auguitaniae  seu  Burgundionis  V°)  Alamannica(<:)  et  aliis 
numerosis  (*^)  regnibus  ut  de  W  Saxia  et  Frisia,  omnibus  aliis  regnis, 
ipsi  ducantoratoresethospitentCO,  sepeliant  (g)omnes('').  Q.uod  quidem 
nostrae  assertioni  verius  credatur  et  nostrae  sanctioni  utilius  observe- 
tur,  sugerente  me  humili  suggestione  dompno  Leoni  summae  sanctae 
Sedis  apostolicae  pontifici  una  cum  episcopis  archipresbiteris  abbatibus, 
et  stipatus  maxima  multitudine  prudentium  virorum  in  basilica  Beati 
Petri  apostoli  in  loco  qui  vocatur  ad  Quattuor  (0  Rotas,  similiter  ego 
imperatore  Karolo  cum  universis  archiepiscopis  sive  episcopos  atque 
de  preordinibus  viros  erudimenta  scientiae  decoratos  circumfultus  con- 
grua multitudine  hoc  preceptum  optuli  sanctae  preceptioni  eorum,  per- 
cunctavi  commoditate  suprascriptae  ecclesiae,  et  tandem  bonum  visura 
dompno  pontifici  quam  et  universi  qui  illic  aderant  deverunt,  ut  qui- 
cumque  inventus  fuisset  malivolo  instigatus  animo  vel  temerario  hoc 
preceptum,  quod  nostrae  serenitati  corroboramus  et  confirmamus,  fran- 
gere aut  corrumpere  vel  in  alio  usu  ponere  vel  pontifex  qui  per  tem- 
pore prefuerit  huius  almae  urbis  Romae  non  defenderit  in  omnibus 
omnino  locis  in  omni  vero  tempore  gratis,  tunc  universi  cum  sacro 
pontificae  dederunt  perpetuam  anathemationem,  quatinus  nullus  dux, 
marchio,  comes,  vicecomes,  castaldus,  nulli  regni  nostri  magna  aut 
parva  persona  ibi  molestare  vel  inquietare  audeat  in  rebus  vel  in  homi- 
nibus.  Quod  si  quis  diabolico  furore  exagitatus  contraire  voluerit,  in 
primis  iram  Trinitatis  incurrat,  sortietur  autem  cum  lannes  et  Mam- 
bres  adversarii  Movsi,  habeat  partem  cum  luda  Christi  traditore  dam- 
pnandus  cum  his  qui  pollutis  manibus  crucifixerunt  Christum,  et  cum 
hereticos  qui  negant  quicquid  de  Deo  credendum  est,  qui  descendunt 
in  infernum  usque  ad  instar  puncti,  in  presenti  seculo  sciant  se  pena 


(a)    Tra  accipiant  e  tantummodo  rasura  di  una  o  due  ìeliere.  (b)  La  prima  asta 

della  seconda  n  è  su  rasura  di  lettera  che  si  abbassava.  (e)  B  Alamanniea  (d)  La 

prima  asta  della  m  su  rasura  di  lettera  che  si  abbassava.  (e)  ut  de  ricalcato  da  mano 

posteriore.  (f)  hosp   su  rasura.  (g)  sep  su  rasura.  (h)   Dopo  omnes   cancellatura 

di  qd ,  in  inchiostro  diverso;  il  l'a:  .-.  hospitent  sepeliant  omnes  è  nel  medesimo  inchiostro, 
il  che  proverebbe  che  venne  scritto  .iopo  nello  spa^^io  lasciato  in  bianco;  segue  rasura  di  s 
(i)  La  prima  t  aggiunta   interlinearmente. 


432  L.    Schiaparelli 


subiacendum,coiuponat  auri  optimi  libras  triginta,  nicdictatcm  camere 
nostrae  et  medietatem  iam  predictae  ecclesiae.  Hoc  nostrae  confirmatio- 
nis  preceptum  firmitcr  stabilìmus  in  pcrpetuum  permansurum  W.  Que 
scribendum  precipimus  Alcuino  levita  et  cancellarlo  sacri  nostri  pa- 
lati!, in  vicesinio  sccundo  die  mense  decembrio  opus  hoc  compier! 
fecimus  et  amilo  nostro  subtus  (b)  insignir!  iussimus. 

•  Signum  manus  domni  Karoli  serenissimi  invictissimi  ac  trium- 
phatori  pacifici  (^' magni  imperatori.   * 

♦  Fregdigarch!  cancellar!!  ex  vice  dompn!  augusti  potentissimi  f"^) 
atque  sanctlssimi  totius  («)  orbis  imperatoris.  Alcuinus  cancellarius 
sanctione  imperatoria  perfecit,  adsumpsit,  dedit,  complevit,  roboravit 
et  absolvit  (f).   | 

Dat.  anno  ab  incarnatione  domini  nostri  lesu  Christi  septingen- 
tesimo  nonagesimo  septimo,  indictiont  septima  (g).  Actum  est  in 
palatio  iuxta  Vaticano  ad  basilica  Sancti  Petri  apostoli,  in  mense 
decemb.  e»),  die  .xxii.,  feliciter('),  amen  (i). 

IL 

8)4  agosto  IO. 

Il  pontefice  Leone  I\'  dona  al  monastero  di  S.  Mar- 
tino in  Roma  numerosi  possedimenti. 

Copia  membr.  1141  dello  scriniario  Giovanni  (2),  caps.  IV,  fase.  9  [BJ. 
Grimaldi,  Cod.  lai.  Vatic.  6458,  reg.,  da  B.  Copia  cart.  sec.  xvii  in:  Ron- 
coni, Collecianea  de  basilica  Vaticana  (bibl.  Cap.),  e.  539,  da  B.  Copia  cart, 
sec.  xviii,  caps.  IV,  fase,  g,  da  B. 

(a)  man  racchiuso  Ira  una  grande  Q.,  che  poi  venne  annullala  da  prima  mano.  (b)  La  t 
tu  rasura  di  lettera  che  si  abbassava.  (e)   B  pacifi  (d)   Carrello  da  pontentissimi   con 

cnncellalura  della  prima  n  (e)  B  tt  (f)  B  y(ec  adsum.  dd.  cp .  ri',  et  abslvt  (g;  Tri 
seplima  ed  Actum  è  rappresentalo  un  monogramma,  forse  col  significalo  di  Kcrolus  impera- 
tor  augustus         (b)  B  dece!''         (i)  B  felit 

(i)  Segue  l'autenticazione:  v  )~i  Ego  Johannes  scriniarius  san- 
«  ctae  Romanae  Ecclesiae  sicut  inveni  in  thomo  carticineo  imperiali 
«  sigillo  ballato  scripto  ab  Alguino  cancellarlo  bonae  memoriae  supra- 
"  scripti  domni  caroli  piissimi  imperatoris  (/i  impatoris")  ita  diligenter 
«  exemplavi  et  scripsi  ».  Sul  significato  di  «  thomus  »  c(.  Bresslau, 
Op.   cit.  I,    124,   nota   9;  SCHEFFER-BOICHORST,   op.   cit.   p.   86. 

(2)  Cf.  p.  400. 


Ccif'Lìì'io  di  S.  Tietro  in    Valicano  433 


Petri  Mali.1I  Descriplio  has.  i'alicanae  (ed.  De  Rossi,  hiscriptiones  chri- 
stianae,  II,  p.irs  i»,  202),  reg.  Maffki  Vegii  De  rebus  antiquis  memorabilibus 
bas.  Sancii  Petri  Romaej  in  Bollano.  Ada  sauctorum,  Ititiii,  VII,  71,  reg.  Bosio, 
Roma  solterraiien  (1652),  p.  115,  estr.  da  B.  Bullario  Vaticano,  I,  15,  da  B. 
G.  Marin'i,  Ipapiri  diplomatici,  p.  14,  n.  xiii,  da  B  =  Marino  Marini,  Nuovo 
esame  dell'  autenticità  dei  diplomi  di  Lodovico  Pio,  Ottone  I  e  Arrigo  J  sul 
dominio   temporale  dei  romani  pontejici  (Roma,    1822),  p.  45,  cit. 

Regesto:  Jaffé-E.  n.   26)3. 

La  copia  dello  scriniario  Giovanni,  colle  numerose  lacune,  ci  dà  un'  idea 
del  cattivo  stato  di  conservazione  nel  1141  dell'originale  in  papiro.  La  tra- 
scrizione, come  attestano  le  varietà  d'  inchiostro,  venne  eseguita  in  più  volte, 
con  aggiunte  e  correzioni,  ma  il  tutto  da  prima  mano.  Una  prova  della  fe- 
deltà e  precisione  del  trascrittore,  e  che  realmente  attinse  all'originale,  si  ha 
nella  forma  caratteristica,  corsiva,  di  datum,  propria  delle  bolle  dei  secoli  ix 
e  X  ;  si  cf.  il  frammento  della  bolla  di  Leone  IV  riprodotto  in  facsimile  da 
O.  Marucchi  (i).  Q.uesto  importante  documento  viene  spesso  citato  e  ricon- 
fermato nelle  bolle  successive. 

[Leo  ep'scopus  servus  servorum  Dei monasterii]  i^) 

Sancti  Martini  qui  situm  (b)  [est  post  absidam  in  introitu  ecclesie  beati 
apostolorum  principis]  (•-")  in  perpetuum.  [Convenit  apostolico  mode- 
ramini  pia  religione  pollentibus  benivola  compassione  succurrere  ac 
pojscentium  i^)  animu  alacri  devo[tione  impertiri  assensum  ;  ex  hoc 
enim  lucri  potissimum  premium  apud  conditorem  omnium  Deum 
promeremur  si  venjerabilia  i<^)  loca  oportune  ad  melio[rem  iuerint 
statum  sine  dubio  perducta]  {^)   ***************** 

*  *  pontiftcalem  sacratissimam  et  fìnetenus   *********** 

*  *  [ecclesia]  (a)  Sancti («)  Salvatoris  Domini  nostri  ad  sepeliendos 
omnes  (f)  [peregrinos,  ecc]lesia(g)'»  .Sanctae  Dei  genitricis  [virginis 
Marie  que  vocatur  scola  Saxonum]  (h)  *  *  *,  ecclesia  (')  Sancti  Mi- 
chaelis  q[ue  vocatur]  W  scola  Frisonorum,  [ecclesia  Sancti  lustiniJC^) 
qui  appellatur  (0  [scola  Langobardorum]  (l')  una  cum  ecclesia  Sancti 
Zenonis  cum  casis,  criptis,  vineis,  putijis,  arboribus  fructi[feris  et  infru- 


(a)  Lacuna  segnata  in  B.  (b)  B   sancti   martini   avi   situm  (c)  Lacuna  in  B; 

sostituzione  incerta;  la  località  è  cosi  icitrniinata  nella  bolla  di  Leone  IX  io;;  ixrtr^o  21,  J,-L. 
».  421)2.  (d)   Lacuna  in  B;  si  completa  col  nolo  formulario,  quali    ricorre    nelle   bolle  sue- 

cessixie.  (e)  s  su    rasura.  (f)  -endos     omnes  su    rasura;  segue  rasura   di  una   o   due 

parole  e  si  potrebbe  completare  co»  peregrinos  oif  anche   ultra  montanos  (g)   -\i  su  rasura. 

sancti  -  omneD  . .  .   ta  ngaiitnto  dopo.  (li)  Lacuna  in  B  ;  completo  secondo  J.-L.  n.  42<)2. 

(i)  ecclesia  aggiunto  dopo;  la  a   su  rasura  di  et  {\)  B  aa.  aggiunto  dopo;  segue  rasura  di 

una  parola. 

(i)  HoR.\Tius  Marucchi,  Momiweiila  papyracea  Ae^yptica  hiblio- 
Ihecae  Faticaiiae  (Romae,   1891).  Additameiitiim. 


454  ^-    Schiaparelli 


ctiferis  cum  omnibus  pertinentiis,  posile]  («)  infra  liane  nostrani  nova 
civitatei,''^  Leoniana  et  inter  atTìnes:  a  primo  latere  incipiente  («)  •  ♦  • 
.   *   [nup]er(«)edificavimus  [   •   •   ♦]('<)  e[t](«)  de[ind]e  («)  •  ♦  •  um 
mur[um]  («)♦•••••  «m,  et  a  secundo  latere  terra  de  venerabili 
monastcrio  Sanctorum  lohannis  et  P|auli  et  ortum  Sancte  Marie  in 
OratojrioC")  qui  est  in  capo  de  portico  (g),  et  a  tertio  latere  ipso  por- 
tico usque  in  silice  qui  est  ad  arco  maiore  et  per  ipsa  silice  et  via 
usque  in  (h)  fluvio(')   [Tiberis  prejdicto  (*)  loco  qui  dicitur  Spellari, 
et  a  quarto  latere  iani  dicto  tìuvio  Tiberis.   Pariter  c[oncedimus  et 
confirmamus  fundora  in  integro]  (0  qui  vocanturC)    [Taliano  maiore 
et  aliud  quod  vocatur  Ta]liano(0  minore,  ùindum  Fasciola,  fundum 
Casanillo  et  fundum  Casapindula,  [fundum  Rotula]  (O,  fundum  Cu- 
cumelli,  fundum  [Protelaris,  onines  invicem]  (O  q[u]oerentes  (»)  cum 
diversis  fundis  et  vocabulis  eorum,  campis,  pratis,  pascuis,  silvis,  cum 
casis  et   vineis  et  cum  omnibus  ad  eosdem  fundos  gener[a]l(iter  et 
in  integro  pert]inentibus(f),  positos("i)  foris  porta  Sancii  Petri  apostoli 
via  Claudia  miliario  ab  urbe  Roma  plus  minus  quarto  vel  q[uin]to  (f  ) 
et  inter  affines:  a  primo  latere  inci[piente  a  cava  maiore  recte]  (f)  per 
silice  quae  dividit    inter  suprascriptae    fundora  et    casale  qui   [voca- 
tur Pratane]ll[a  iuris  monasterii  Sancii  Stephani  maioris  et  ducente 
usque  in  rivo  qui  pergit  a](f)  ponte  (")  SofBari,  a  secundo  latere  ipsius 
rivo   qui   dividit    inter    iam  dictae  fu[ndora  et  casa]l[e    qui    vocatur 
Menjori  (O  iuris  supradicio   monasterio    Sancii  S[tephani  maioris,  a 
tertio  latere]  C)  casale  qui  vocatur  Bretti  et  (°)  Subereta  iuris  monasteri 
Sancii  Laurentii  qui  appellalur  (p)  Pallatini  (q),  et  a  quarto  latere  forma 
[vocat]a  (a)  Sapatina,  quae  mittit  usque  in  via  C[ornelia  que  ducil  in 
ba]silica(0  Sanctae  Rufinae  et  Secundae  et  casale  qui  vocatur  (')  Ca- 
sagurdi  iuris  eiusdem  monasteri  Sancii  Stefani  maioris  et  deinde  du- 
cente per  valle  usque  in[fra  Balnearia  et  rect]eO)  ascendente  per  alia 
valle  qui  dividit  inter  prenominata  fundora  et  colle  [Sancii]  (O  Stefani 
et  [ex]inde(i)pergen[ie  in  va]lle  (O  Caunara  [et  veniente  usque  in](0 
predictaC'')  silice  seu  caba  qui  est  primus  («)  finis.  Immo  etiam  et  fundum 
unum  in  integro  (*)  qui  appellalur  <^")  Cleandris  cum  ecclesia  Sancte 
martiris  Christi  Agathe.  Insuper  casam  qui  dicitur  Lardarla,  nec  non 


ss 
(a)  Lacuna  segnala   in  B.  (h)  B    ciu  (e)  piente    vttint  espunlo    da    prima    mano. 

(J)  Rasura  in  B.  (e)  O  fors' anche  dt[sc]e[ndh  ((  )   Si  completa  secondo  J.-L.  n,  13^3. 

(g)  capo  de  portico  su  rasura  e  scrino  dopo.         (h)  in  scrino  inlerlineanncnle.         (i)  usque 

in  fluuio  aggiunto  dopo.        (1)  B  c|u        (m)  B  pos         (n)  B  . .  .]o  est  ponte  (o)  et 

ai;giuHla  inlerlintart ;  prima  ài  Subereta    espunto  da    prima    mano:  et  casale  (p)  B  ap 

(q)  B  pallani .  sopra  la  parola  vi  i  corrosione  della  piegatura  e  non  si  scorge  se  vi  sia  aggiunta 

inietlineare.         (r)  B  pradicta         (s)  B  primis         (t)   B  in   in         (u)  B  qa 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Valicano  455 


et  fundum  ad  l'alianum  cum  casis,  vineis,  seu  terris,  campis,  pascuis, 
cultum  vel  incultum  si[cuti  Jesijgnato  (^)  esse  vidctur  cum  thermis, 
criptis  et  monumentis,  positum  (b)  fori[s  porta]  (»)  Sanc[ti]  (»)  Pe[tri]  (») 
apostoli  via  Au[relia.  Po]rro(»)  et  fundum  unum  i[n  integro](a)  qui 
[Olivetuni  v]ocabulo('=)  nuncupatur  cum  ecclesia  Sancii  Cosmae  et  Da- 
miani. Immo  etiam  et  fundora  in  in[tegro  que  vocantur  Attici]ano  (>) 
et  Colle  et  Pauli  vel  siquis   ali[is  nominibus  appell|antur  («).  Veruni 
etiam   et  fundum  unum  in  integro  qui  vocatur  Buccegc  cum  ecclesia 
Sanctorum  marti[rum]  (»)  Marii  et  Marthae  fìliorumque  eius  cum  [casis, 
terris,   vineis]  (»),  pratis,  pascuis,  silvis,   salectis,  arboribus  pomiferis, 
vel  incultura  diversis  generis,  rivis,  aquae  perhennis  et  cum  omnibus 
finibus  limitibus*   *    -  dorum.    Sive  etiam    concedo   vobis  monaste- 
rium  Sancti  Sebastiani  cum  massis,  fund[i]s(^),  seu  casalibus  atque  ap- 
pendicibus,  aquimolis  et  olib[etisJ  (O  et  vineis,  vel  omnia  et  in  omnibus 
ad  eundem  venerabile  monasterium  generaliter  et  in  integro  pertinen- 
tibus,constitutum  infra  civitate  Centumcellensi   *  ♦   *  *  massa  que  ap- 
pellatur  Liciniana  qui  et  Genufluvio  nuncupatur,  in  quo  est  oratorium 
Sancti  Laurentii  cura  fundum  qui  vocatur  Casaria  cum  omnibus  ad  eun- 
dem W  generaliter  [et  in  integro  pertijnentibus  (a),  positum  (b)  territorio 
Centucellensis.  Immo  et  fundos  duos  qui  appellantur(e)  Arap   ♦  *  um 
et  Scurianum   *   ♦   »  [cjampi  (»)  ibi  ipso  constilut[iJ  (»)  S   •   ♦   ♦  a  Sil- 
viniano  et  priscis   constitutos   via    Appia   territorio    Billeternensi  (f), 
Porro  et  fundos  q[ui  vocantur  ♦   *]iliariolum,  Nobulam  (»),  Palmis  et 
Vivariu[m]  (*)•'*  vineis    cum    omnibus   ad  eos  generaliter  et  in 
integro    perthientibus,  positos  Cj)  via  Clodia    miliario  ab  urbe  Roma 
plus  minus  quinto  ex  corpore  suburbani (g)  patri [moniij'^a)  «   «   una  cum 
etiam  fundum  unum  in  integro  qui  appellatur  (e)   *    .    »   *  cum  eccle- 
sia Sanctae  Dei  genitricis  Mariae,  ibi  ipso  [constituto  una  cura  pratis, 
campis,  pascuis]  (*),  silvis,  salectis,  arboribus  pomiferis  vel  infructiferis 
et  cum  omnibus  ad  eum  pertinentibus,  positum  (b)  territorio  CoUinensi 
miliario   ab   urbe   Roma  plus  minus    .   ♦   *   *.    Denique    fundum  qui 
vocatur    Barianum    in  quo    est    ecclesia  Sanctorum  Martini  et  Lau- 
rentii, seu  et  alio  fundum  C^)  qui  vocatur  Varianum  minore  atque  fun- 
dum Terrella  •    *   *   [AJgellum  (»),  Tibulianum,  Casambri,  Mediana 
sivi  invicem  coherentes.  Pariter  et  fundum  01ianu[m  in  quo]  (»)  est 
oratorio  (')  Sancti  Valentini  in  integro,  p[ositos  Urbe]  W  Vetere  mi- 


(a)  Lacuna  segnala  in  B.  (b)  B  pos  (e)  Soslilu^ione  incerta,  per  quanto  si  tratti 

sicuramente  ilei  fondo  Oliveta  ;    cf.  Adriano    IV,  J.-L.   n.   iO)S-.  (d)  nd  corretto  da  m 

(e)  B  qa         (f)  billeternen  colla  b  corretta  su  u  (g)  B  suburb         (h)  B  fundvra  colla 

V  corretta  su  o  (i)  Tra  est  ed  oratorio  venne  espunto  da  prima  mano  cecia 


43 6  L"   Scìiiaparelli 


liario  ;ib  urbe  Roma  plus  niinus  viccbimo  quinto  ex  corporc  niassae 
Vurianae.  Simulque  et  con[cedo  vobis]  ('^)  ospitales  duos  sivi  inviccm 
colier[cntes]  ("),  venerabile  monasterium  0>)  qui  coniuncto  esse  vidctur 
cum  ecclesia  Sancti  Petri  apostoli  cum  oratorio  Sancti  Sisti  qui  est 
[iujxta  (")  ferrata  atque  Leoni  pape  et  Sancti  Adriani  una  cuni  i  ♦  * 

♦  «  no  («)  qui  exit  in  ecclesia  Sancti  Petri  inter  oratoria  Sancti  Leonis 
et  Sancti  Adriani  qui  sunt  iuxta  oratorio  donipnico.  Item  et  concedo 
vobis  ecclesiam  •  •  »  •  cum  terris  et  vincis  et  piscaria  iuxta  se  et 
cum  omnibus  ad  eam  pertinentibus.  A  presenti  secunda  indictione  tibi 
et  per  te  hec  omnia  •  ♦  quae  superius  as[cripta  lejguntur  (•'»)  et  ea 
quae  usque  nunc  per  quovis  modis  in  prelato  venerabili  monasterio 
fuerunt  vel  cuncta  quae  tu    ipse   •   •  etiam    postea   ibidem  acquirere 

•  *•«••*«••  per  liane  nostrani  apostolicam  preceptionem 
seriem  confirmamus  prò  mercede  animae  [nostre]  (•'»)  in  iam  dicto  vene- 
rabili monasterio  Sancti  MArtini  •  •  ♦  »  ♦  .  atque  presentis  et  futura 
perhemnisW  temporibus,  id  est  usque  in  fineni  seculi  secura(e)  integri- 
tate  «  •  •  sancinius  detinendum  ac  possidendum  •  ♦  •  a  te  tuisque 
successoribus  singulis  quibusque  indictionibus  pensionis  nomine  ratio- 
nibus  supra[dicto]rum  (a)  locorum  ecclesiasticis  f  TRES -j- auri  [uncias 
sine  omni]  (=>)  diflìcultate  in  perpetuum  persolvantur.  Si  quis  autem, 
quod  non  credimus,  temerario  ausus(f)  contra  huius  nostrae  aposto- 
licae  auctoritati  (f)  privilegi[um  donajtionis  seriem  pie  a  nobis  pro- 
mulgatum  agere  vel  temptaverit,  sciad  se  Domini  nostri  apostolorum 
prin[ci]pis  (a)  P[etriJ  (»)  anathematis  vinculo  innoda[tum  et  a  regno]  (») 
Dei  alienus  et  cum  diabolo  et  eius  atrocissiniis  pompis  atque  cum 
Inda  traditore  Domini  Dei  et  salvatoris  nostri  lesu  Christi  in  eternum 
igne  concreniatum,  si[mulque  in  vo]ragine  (*)  tartareosque  chaos  de- 
mersus  cum  inpiis  deficiant  (f).  Qui  vero  pio  intuitum  custodes  et 
observatorcs  huius  nostri  apostolici  privilegiis  extiterit  (0,  benedi- 
ctionis  gratia  et  celestis  retributionis  in  (0  eterna  gaudia  [a  domino 
nostro  lesu  Christo]  («)  consequi  mereatur(f). 

Scriptum  p[er  manum]  («)  Theodori  notarli  regionarii  et  scriniarii 
sanctae  Romanae  Ecclesiae  in  mense  [et  indictione]  C»)  suprascripta 
secunda. 

>-Ih  bene  valete. 


>^  Datum  .1111.  idus  agustus  per  manuni  Theophi[l]acti(«)  secun- 
dicerii  sancte  Sedis  apostolicae,  inperante  donino  nostro  piissimo  per- 


(«)     Lacuna    segnala     in    B.  (b)  B  uen   monu  (e)   /i    •    •    •    no  colla  n  su 

raivra.         (d)  Cornilo  da  percriiemnis         (e)  B  recura         (f)   Culi  B. 


Cartario  di  S.  Tictro  in    Valicano  437 


petuo  augusto  Lothario  a  Deo  coronatus  magno  inperatore  anno  trice- 
simo  et  septimo,  et  post  con[sulat]us  (=>)  anno  tricesimo  et  septimo, 
indictione  secunda  (i). 

in. 

936  gennaio-luglio. 

Teodora  figlia  di  Leone  duca  e  di  Cristidula  detta 
Antiochia,  col  consenso  del  marito  Giovanni,  concede  a 
Giorgio  un  casale  detto  Fluminale,  altro  detto  di  S.  Natòlia 
nel  territorio  Portuense,  ed  un  terzo  casale  nel  medesimo 
territorio  presso  la  città  maggiore  per  il  prezzo  di  due 
libbre  d'oro. 

Copia  del  sec.  xii,  caps.  LXXIII,  fase.  158  [B],  Ms.  cart.  sec.  xvi,  bibl. 
Barberini,  XXXIII,   29,  e.    19,  estr. 

Bethmann,  Archiv,  XII,  408,  cit.  da  B,  coU'a.  9^';. 

La  data  può  oscillare  tra  il  gennaio  ed  il  luglio  936,  cioè  tra  la  consa- 
crazione di  Leone  VII  (nel  gennaio,  ma  prima  del  giorno  9,  cf.  Jaffé-L.  I, 
455)  e  la  morte  di  Enrico  I  (2  luglio).  Nel  956  però  correva  1'  indizione  IX  e 
non  la  vii  come  erroneamente  ha  la  presente  copia. 

Quoniam  certuni  est  Theodora  nobilissima  femina  filia  quon- 
dam (a)  Leo  dux  seu  Christiduli  ('')  qui  Antiochia  vocatur  olim  iu- 
galibus,  presentem  et  consentientem  in  hoc  miiii  Johannes  nobili 
viro  meo  viro,  hac  die  cessissem  et  cessi  atque  tradidi  nec  non 
et  venundavi,  nullus  michi  cogente  neque  contradicente  aut  vim 
faciente,  set  propria  spontaneaque  mea  voluntate  vobis  [dom]no  (0 
Georgio   nobili  viro  tuisque    heredibus    vel    cui   tibi    largire   et  con- 

(a)  Lacuna  stanata  in  B. 

(a)  B  quidem  (b)   B  xpiduli  (e)   Lacuna  in  B. 

(i)  Segue  l'autenticazione:  «  >5<  Ego  Johannes  scriniarius  san- 
a  ctae  Romanae  Ecclesiae  sicut  inveni  in  thomo  carticineo  iam  ex 
«  magna  parte  vetustate  consumpto,  scripto  a  predicto  Theodoro  scri- 
«  niario  sancte  Romane  Ecclesie  ita  non  tenore  deviato  diligenter 
«  esemplavi  et  scripsi  atque  a  tenebris  ad  lucetn  perJuxi,  anno  un- 
«  decimo  pontificatus  domni  Innocentii  secundi  pape,  indictione 
«  quarta  ». 


43 S  L.   Scliiaparelli 


cedere  placiierit,  [id  est]  (»)  casale  uno  in  integro  qui  vocatur  Flu- 
min[ale]  («")  cuni  terris,  cum  duo[bus]  (")  mo[lendinis]  (»)•*•♦♦ 
•  ♦  •  •  cum  aquiniolo  molentem  et  cum  omnibus  ad  supra- 
scripto  casale  qui  vocatur  Fluminale  cum  vineis  et  aquimolo  mo- 
lentem [in]  (b)  integro  [perti]nentem  (»),  posito  ('=)  territorio  Por- 
tuensi  in  Insula  inter  duo  tìumina(<i),  nec  non  et  casale  qui  vocatur 
Sancta  Natòlia  cum  ipsa  ecclesia  et  piscaria  cum  manicis  et  viginti 
pedis  in  Traiano  familiis  ibidem  residentibus  atque  in  civitate  malori 
et  minori  cum  sua  porta  et  terre  super  se  et  terris  ante  se  usque* 
in  tiumicello,  criptis,  parietinis.  ortuis,  po[m]atis  ("),  posito  (=)  supra- 
scripto  territorio  Portuensi  et  inter  affines  a  flumicello  et  Sancto  Vito 
per  stilli  in  terra  Sancti  Stefani  [usque]  (»)  a  Sancto  Petro  apostolo, 
atque  alio  casale  in  integro,  posito  (■-")  supradicto  territorio  Portuensi 
iuxia  civitatem  [m]aiorem  et  terra  Sancta  Natòlia  iuris  monasterii 
Sancti  Stefani,  et  sicut  in  meas  cartulas  contincntur  et  affinantur, 
sive  usque  nunc  meis  tenui  manibus  cum  omnibus  eorum  pertinentiis, 
omnia  iuris  cui  existens.  Unde  et  predicte  cartule  in  nomine  meo 
facte  iam  dieta  mea  genitris  michi  reservandum  et  salvas  faciendum 
abere  videtur<^e\  nunc  vero  abssens  est,  tibi  una  cum  hanc  cessionem 
[ven]ditionis  (=>"'  cartula  minime  tradere  potuit,  set  cum  presens  fuerit, 
statini  et  absque(f)  omni  [maliti]a(a''  tibi  reddere  constituo  gratis,  hanc 
cessionem  venditionis  cartula  tibi  contradidi.  Pro  quam  etiam  supra- 
scripto  casale  ♦  •  ♦  qui  vocatur  Fluminale  in  Insula  inter  duo  flu- 
mina  cum  aquimolo  molentem  in  flumicello  cum  terris,  (posito  ter- 
ritorio] (a)  Portuensi,  nec  non  et  casale  de  Sancta  Natòlia  cum  ipsa 
ecclesia  et  piscaria  cum  manicis  et  .xx.  pedes  in  Traiano  familiis 
masculis  et  feminis  [ibidem]  (»)  colentibus  atque  in  civitate  maiore 
et  minore  cum  porta  et  terre  super  se  et  terris  ante  se,  criptis,  pa- 
rietinis, ortuis,  poma[tis,  atque]  (*)  casale  uno  in  integro  iuxta  civi- 
tatem maiorem  cum  introitu  et  exitu  suo  et  cum  omnibus  eorum  •  *  ♦ 
generaliter  et  in  integro  pertinentibus  (g),  sicquc  in  integro  sicuti  in 
prefate  mee  cartule  continetur,  ut  superius  legitur,  accepi  ego  su- 
prascripta  venditrice  a  te  supradicto  emptore  in  presentiam  subscri- 
ptorum  testium  videlicet  in  auro  libras  duas  bonos  optimos  mihique 
placabilem  in  omnem  veram  decisionem,  utC')  ab  odierna  die  licen- 
tiam  habeas  in  supradicta  omnia,  ut  superius  legitur,  de  presenti 
introeundi,  utendi,  fruendi,  possidendi,  vi^ndcndi,  donandi,  commu- 
tandi,  vel  quicquid  exinde  facere  sive  peragerc  volueris  in  tuam  tuisque 


(a)  Lacuna   in   H.  (b)  B  omtlle  in  (e)  B  pos  (d)  La  i  aggiunta  interlintar- 

menlt.  (e)  videtur  in  rasura.  (f)  et  ab  carrello  su  altre  lettere.  (g)  B  pertin 

e  h)  B  et;   e  corretta  in  u 


Cartario  di  S.  'Tietro  in    Valicano  439 


heredibus  sit  potestateni,  et  numquani  a  me  neque  ab  lieredibus  sive 
consanguineis  meis  et  parentibus  neque  a  me  summissa  magna  par- 
vaque  persona  aliquam  aliquando  habebis  questionem  aut  calum- 
pniam,  set  etiam,  si  quale  vis  persona  questionem  aut  calumpnia  tibi 
tuisque  heredibus  exinde  fecerint,  stare  me  una  cuni  heredibus  meis 
et  defendere  promitto  tibi  tuisque  heredibus  ab  omni  homine  in  omni 
tempore  in  omni  loco  tibi  tuisque  heredibus  [si]  (»)  necesse  fuerit.  In 
qua  et  iuratus  dico  per  Deum  omnipotcntem  sancteque  Sedis  apo- 
stolice  seu  salutem  viri  beatissimi  et  apostolici  donini  Leoni  sanctis- 
simi  septimi  pape  et  principe  a  Deo  coronato  magno  inperatore 
Henrico,  omnia  que  huius  cessionis  venditionis  cartule  seriem  testus 
eloquitur  inviolabiliter  conservare  atque  adinplere  promitto.  Si  enim, 
quod  absit,  et  quoquo  tempore  ego  vel  heredibus  et  consaguineis  (b)  meis 
contra  tibi  tuisque  (^)  heredibus  aut  centra  liane  cessionis  C»^)  venditionis 
cartula  («),  quam  sponte  fieri  rogavi,  agere  aut  causare  presumpsero 
per  quolibet  modum  ingenii  '^)  quod  sensum  umanum  intellegere  et 
capere  potest,  et  minime  defendere  voluero  aut  non  potuero  vel  am- 
plius  pretium  tibi  tuisque  heredibus  quesiero,  tunc  daturam  me  pro- 
mitto una  cum  heredibus  meis  tibi  tuisque  heredibus  ante  omnem 
litis  initium  poene  nomine  suprascriptum  pretium  in  dupplum,  et 
post  poene  absolutionis  mnneatem  huius  cessionis  venditionis  cartule 
seriem  in  suam  nichilominus  maneat  firmitatem.  Quam  scribendam 
rogavi  Leonem  scriniario  et  tabellionario  urbis  Rome,  in  qua  et  ego 
supradictus  subter  manu  propria  signum  sancte  crucis  feci,  et  testes 
[ut]  (g)  (s)ibi  (h)  subscriberent  rogavi,  et  tibi  suprascripto  contradidi, 
in  mense  et  indictione  suprascripta  (')    septima. 

Signum  >J<  manus(k)  suprascripta  Theodora  nobilis  (0  femina  et 
venditrice. 

>5<  Johannes  de  Damabilis. 

^  Johannes  in  Dei  nomine  (™). 
(")    nobile  viro. 

^  Manno  nobili  viro. 

>J<  lohanni  in  Dei  nomine  ("i). 

Ego  Leo  scriniarius  et  tabellio  urbis  Rome  [qui]  (°)  supra  scriptor 
huius  cartule  post  testium  subscriptiones  et  traditiones  scripsi  cum- 
plevi  (p)  et  absolvi. 


(a)  si  omesso  in  B.  (b)   Cosi  B.  (e)   B  tusque  (d)  B  cess  (e)  B  carLi 

(f)  Prima  di  ingenti  venne  espunto  sensum  (g)  ut  omesso  in  B.         (h)  La  s  pare  espusila. 

(i)  B  suprascriptu  (k)  B  man  (1)  B  nobit  (m)  In  B  non  si  segna  lacuna,  ma  la 
formala  è  cerio  incompleta.  (n)  In  B  monogramma  con  lettere  di  lettura  incerta.  (o)  qui 
omesso  in  B ;  l'originale  doveva  avere  qs         (p)   B  cvmpivi 


440  L.   Schiaparelli 


>5<  ("^  Ego  Filippus  scriniarius  sancte  Romane  Ecclesie,  sicut  inveni 
in  tomo  carticinco  iam  fere  consumpto  scripto  per  maniim  Lconis 
quondam  scriniarii,  ita  in  hac  cartula  lìdeliter  exemplavi. 


IV. 

966  agosto  23. 

Il  siibdi.icono  Abbone,  figlio  di  Aimone  e  di  Siuflea, 
vende  a  Martino  e  alla  di  lui  moglie  una  terra  nel  terri- 
torio di  Selva  Candida  nel  luogo  dotto  Oliveto,  per  il 
prezzo  di  tre  soldi  d'  argento  e  . .  .  denari,  e  coli'  annua 
pensione  di  un  sestario  di  grano. 

Originale,  caps,  LXI,  fase.  225  [A].  È  autografa  la  croce  nella  sottoscri- 
zione di  .\bbone. 

>^  In  nomine  Domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Cliristi,  impe- 
rante domno  nostro  in  perpetuo  imperatore  agusto  Ottone  a  Deo 
coronato  magno  imperatore  anno  quin |to,  indictione  nona,  mense 
agusto,  die  vivisima  tertia.  Quoniam  |  certuni  est  me  Abbo  subdia- 
conus  et  filius  quondam  Aimo  seu  (»)  Siufle'a  iugalibus  ac  die  ces- 
sisse  et  cessi  atque  tradidi  nec  non  et  ve|nundavi  nullus  mihi  penitus 
cogentem  neque  contradicentcm  |  invadentem  aut  vini  facientem  sepCb) 
propria  et  spontaneaque  [m]ea  voluntate  vovis  donno  (>=)  Martinus  vir 
magnificus  (^)  seu  [L]ea  (e)  unesta  femina  (f)  |  iugalibus  vovis  vestris- 
que(g)  iheredibus  (h),  id  (')  est  petius  de  terra  |  vacante  (g)  quod  est 
abfb)  niodiorum  plus  minus  (>*)  duobus,  positus  (0  territorio  Silve 
Candide  in  loco  (">)  qui  vocaturC")  Olibito  et  interr  (b)  afine  (b),  a  pri- 
mo '  latere  Constantio  clerico,  seucundo  latere  Johannes  (o)  vir  magni- 
ficus (<*)  Tos'canise,  et  a  tertio  et  a  quarto  latere  limire  (p)  iuris  ve- 
nerabilis  monasterii  (q)  |  Sancti  Stefani  (•>)  unu  cum  introito  etixoitoC"") 


(a)  Quesla  ^  i  mollo  slaccala  in  B  da  ego  t  forse  poirehhe  apparUnere  a  so'.loscri- 
\iotte  non  Iftia  dallo  scriniario   Filippo  per  guasti  della  per^ramena  originale. 

(a)  A  scu  (b)  Cosi  A.  (e)  A  dnn,  segue  una  lellera  che  leggerti  h  od  in;  prima 
di  Martinus  vi  e  spazio  corroso  che  poteva  contenere  una  0  due  lettere.  (d)  A  um  (e)  Forse 
[L]ea;  della  prima  lettera  scorgesi  l'estremità  superiore.  (f)   Parola  guasta  da  corrosione  ; 

leggerei    u  fem  (g)  La  e  termina  con  un  tratto  corsivo  come  nelle  finali  cm  (h)   A 

illdbus  (i)  A  i.!  (k)  A  pt  inii  (I)  A  pos  (m)  A  loq  (n)  A  ..ju  (o)  A 
ioli         (p)  Cosi  A,  p^r  limite         (q)  A  umoas         (r)  A  ixoitoto 


Cartario  di  S.  dietro  in    Vaticano  441 


suo  et  coni  omnibus  (»)  a;d  cas  pertincntibus.  Undc  rcccpi  et  ego  qui 
^upra(b)  comparatore  (<:)  ad  |  [te]  emtore  in  argento  soiidos  in  argentos 
tres  et  dunarios  |  [.  .]  bonos  miliique  placavilem  in  omnem  veram 
iecisionem,  ;  [potestjatem  de  presentis  introeundi,  utendi,  fruendi,  pos- 
siden  [di,  vcn]dendi,  donandi,  commutandi  et  annua  pensione  sestario 
u|[no  d]e  grano  iusto  pensione  persulvendi,  vel  quitquit  si |ie(J)  facere 
slve  perragere  volueritis,  in  tua  tuisque(e)  iheredibusCO  |  aliquam  nli- 
quando  movere  questionem  aut  calumnia  stare  et  |  dc[fenjdere  pro- 
mitto  ubi  ubi  (J)  tivi  tuisqueC'^)  beredibus  ('i)  necesse  vel  opo|r[tununi 
fuerit].  In  qua  et  iuratus  dico  (s)  per  Deum  omnipotems  sanctacque 
Se|dis  apostolice  domno  nostro  perpetuo  (h)  imperatore  agusto  (') 
Ottone  a  Deo  |  coronato  magnu  imperato,  ec  omnia  que  presem  W 
uius  ven|dit!onis  chartula  (k)  serles  testus  eloquitur  inviolaviliter  con- 
servare a|que('i)  adinplereC)  promitto.  Si  enim,  quod  absC''),  et  cocC'^) 
tempore  |  ego  vel  beredibus  ('^)  meis  contra  te  tuisque  («=)  beredibus  W, 
verum  etiam  datu'[ro]  me  promitto  ante  omnem  litis  initius  ipsub 
suprascriptum  pre  [tium]  in  dubplum,  et  post  penen  ('^)  apsolutionis 
manentem  (ti)  uius  ven  [dijtionis  chartula  (k)  seriens  C'^)  in  suam  pri- 
meam(™)  firmutatem.  Quam  j  [scrijbendam  rogavi  Petrus  scriniarius  et 
tavelluus  Rome(").  In  qua  et  ego  qui  supra(b)  supjter  manu(o)  propria 
signumCp)  >5<  sanctae  cruci  feci  et  tes  (<l)  que  subscrivere  rogaC-^),  vovis 
qui  supra  (b)  contradidi  in  mense  et  indictione  suprascripta  nona. 

>J<  Abo  subdiaconus  quam  venditionis  chartula  C^)  fiere  rogavi 
qui  supra  W  scribere  nescit  (q). 

Signum<^p)  >5<  manus  (°)  Ubo  vir  magnificus  (0  testes. 

Signura  (p)  ^  manus  (°)  Constantinus  vir  magnificus  (■■)  testes. 

Signum  (p)  >J<  manus  (°)  lohannes  vir  magnificus  (')  testes. 

Signum  (p)  >5<  manus  (°)  Urso  vir  magnificus  (0  testes. 

Signum  (p)  >J<  manus  (°)  Guinizo  vir  magnificus  (O   testes. 

Ego  Petrus  scriniarium  et  tavelli  urbis  Rome  in  qua  et  ego  qui  su- 
pra W  subter  manus  meas  (s)  proprias  (')  uius  chartula  C^)  facta  com- 
pievi et  absolvi. 

(a)  A  onibiis  (b)  A  qs         (e)   Cosi  A  invece  di  venJitore  (d)  Cosi  A.  (e)  A 


i  s 


tusque         (f)  A  ibus         (g)  A  die,         (b)  A  dn  n  pp  (i)  A  agsto  (k)  A  ella 

(1)  A  adinplere  (m)  La  a  corretta  su  altra  lettera  non  compiuta,  forse   p         (n)  A  rom 

(o)   A  man  (p)  A  sign  (q)  scribere  nescit  ■;  di  lettura  incerta  e  cosi  interpreto  al- 

cune noie  itiiislinle  che  seguono  a  qs         (r)  A  um  Cs)  A  m   ms  (t)  A  ;pp 


44-  ^-   Sc/iiaparclli 


V. 
989  settembre  5. 

Il  subdiacoiio  Franco,  figlio  di  Pietro  chierico  e  di 
Urs.i,  col  consenso  di  Cecilia  «  honesta  temina  »  vende 
ad  Everardo  figlio  di  Giovanni  la  metà  di  una  terra  «  se- 
«  mentaricia  »  colle  dipendenze  situata  fuori  portn  del  Beato 
Pietro  apostolo  nel  luogo  detto  Stainello,  per  il  prezzo  di 
sette  oncie  d'  argento. 

Originale,  caps.  LXi,  fase.  225  |AJ.  Copia  Galletti  nel  cod.  Val. 
lat.  8054,  partL-   i»,  e.  81,  n.  xlv,  da  A. 

A.  Coppi,  Documenti  storici  del  medioevo  relativi  a  Roma  ed  all'Agro  ro- 
mano, nelle  Dissertazioni  della  pontificia  Accademia  romana  d'  archeologia, 
XV,  199,  n.  8,  estr.  coli' a.  984,  «  ex  arch.  basii.  Vat.  et  cod.  Val.  8034,  e.  68, 
Galletti  »  =  Jordan,  Topographie  der  Stadt  Rom  in  Alterium,  Il  (Ber- 
lin, 187 1),  4?o  cit.  =  G.  ToMASSETTi,  Della  Campagna  romana,  nell'.^r- 
chivio  della  So:,  rom.   di  stor.  patr.   Ili,    131,  cit. 

Lo  scriniario  Leone  esegui  la  scrittura  del  documento  in  tre  tempi.  Dalle 
parole  "  litis  initiuni  »  (p.  444,  r.  7)  alla  fine  del  testo  le  linee  e  le  parole  sono 
più  avvicinate  per  lasciare  posto  alle  sottoscrizioni  e  adoperò  inchiostro  di- 
verso da  quello  usato  per  le  precedenti  linee;  con  questo  inchiostro  scrisse 
anche  «  «J*  ego  "  della  propria  sottoscrizione;  eoa  inchiostro  di  color  verda- 
stro esegui  poi  le  sottoscrizioni  di  Cecilia,  di  Romano,  di  Anastasio,  e  la 
propria  (eccetto  «4*  ego»).  La  sottoscrizione  autografa  di  Franco  e  la  croce, 
pure  autografa,  nella  sottoscrizione  di  Cecilia  sono  eseguite  con  tale  inchio- 
stro verdastro.  Sono  autografe  le  sottoscrizioni  di  Franco,  di  Pietro,  di  Fa- 
rolfo  e  di  Benedetto.  Nella  sottoscrizione  di  Romano  ritengo  autografa  la  «J», 
che  è  neir  inchiostro  di  colore  rossastro  usato  pare  per  la  sottoscrizione  di 
Pietro,  cosi  la  «;♦  in  quella  di  Anastasio,  nell'  inchiostro  pallido  adoperato  da 
Farolfo  e  da  Benedetto. 

Sul  verso  di  mano  del  secolo  X-xi,  e  probabilmente  dello  stesso  scriniario 
Leone,  si  legge:  "  idem  sex  in  integrum  uncias,  quod  est  medietas  de  terra 
•  vacante  cum  introitu  suo  et  cutn  omnibus  ad  eam  pertinentibus  .  idem  me- 
■'  dietas  de  terra  vacante  ». 

►-J-1  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  f»)  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  lohanni  summi  pon|tificis  et 

(a)  A  in  n  dni  di  salu  n   iliu 


Carlario  di  S.  'Vietro  in    Vaticano  445 


universalis  quinti  decimi  papae  in  sacratissima  sede  beati  Petti  apo- 
stoli quin|to,  indictione  tertia,  mense  septembrio,  die  quinta.  Q.uo- 
niam  certuni  est  me  Franco  |  virimi  venerabiiem  W  subdiaconusC^")  san- 
ctae  i'omanjc  Ecclesiae  (ìlio  quondam  Petri  clerici  (•=)  seu  Ursa  W 
quondam  iugalibus  (<-'),  |  presentem  et  consentienteni  in  hoc  mihi  Ce- 
cilia honesta  femina  CO  persona  (g),  hac  die  cessiss[em]  |  cessi  atque 
tradidi  nec  non  et  venundavi,  nullus  mihi  cogente  ncque  contradi|centc 
aut  vim  faciente  set  propria  spontanea  mea  vokintate,  vobis  |  donino 
Everardo  honestoCh)  puero  filio  lohannis  viri  maga'fici(')  tuisque  he- 
redibus  vel  cui  tibi  largire  et  con | cedere  piacuerit,  id  est  medietatem 
de  terra  sementaricia  cum  introitu  suo  |  et  cum  omnibus  ad  eam 
pertinentem.  Positam  (0  foris  porta  Beati  Petri  apostoli  intro  |  parietinas 
qui  appellantur  (™)  Centecellas,  locum  qui  vocatur  (")  Stainello  et  intra 
affines,  ab  uno  |  latere  terra  de  lohannes  (o)  vir  magnificus(p)  genitori 
tuo,  et  a  secando,  tertio  (q)  vel  quarto  latere  j  parietinas  antiquas  et  via 
qui  ducit  ad  prata  Neronis  et  ad  |  porla  Beati  Petri  apostoli,  iuris  cui 
existens.  Milli  evenit  per  ereditarie  |  parentorum  meorum,  unde  et 
anc  cessionis  venditionis  chartulaC"")  tibi  coii|tradidi.  Pro  quam  etiam 
suprascripta  (s)  medietatem  de  terra  sementarici|a  cum  introitu  suo  et 
cum  omnibus  ad  eam  pertinentem,  sicut  superius  legitur,  hacce|pi  ego 
qui  supra  (0  venditore  a  te  qui  supra  (0  emptores  in  presentiam  subscri- 
ptorum  te|stium,  videlicet  in  argento  ucias  (")  septem  bonos  optimos 
iustoque  pen|santes  miliique  placavilem  in  omni  vera  decisione,  et 
ab  odierna  |  die  licentiam  habeas  in  suprascripta  omnia,  ut  superius 
legitur,  de  presenti  introeundi  (v),  u|tendi,  fruendi,  possidendi,  ven- 
dendi,  donandi,  commutandi,  vel  quicquid  exin|de  facere  sive  pera- 
gere  volueris  in  tuam  tuisque  heredibus  sit  (y-')  potestatem  |  et  num- 
quam  a  me  neque  ab  heredibus  meis  neque  a  nula  magna  par|vaque 
persona  a  me  summissa  i'^)  aliquam  aliquando  abebis  (y)  questionem 
aut  I  kalumnia,  etiam  si  tibi  tuisque  heredibus  necesse  fuerint  centra 
omues  omines  sta|re  me  una  cum  heredibus  meie  et  defendere  pro- 
mitto  omni  (z)  in  tempore  gratis.  In  qua  et  iuratus  dico  (=>*)  per  Deum 
omnipotentem  sanctaeque  Sedis  apostolice  seu  salutem  domni  |  nostri 
lohannis  (bb)  sanctissimi  quinti  decimi  papae,  hec  omnia  que  anc  ces- 
sionis venditionis  chartula  (0  seriem  (")  textus  |  eloquitur  inviolaviliter 

(a)  A  uen  (b)    -en    subii-  su    rasura.  (e)  Petri    clerici    aggiunto    dopo    da 

prima  mano  nello  spazio  lascialo  in  bianco.  (d)  Ursa  pure    aggiunto    dopo   come   sopra. 

(e)  A  iuga  (f)  A  li  fera  (g)  A  pers  (h)  A  h  (i)  A  (ilio  iohs  um  aggiunto 
dopo  come  sopra.         (1)  A  pos  (m)  A  ^ja  (n)  A  qu  (o)  terra  de  I  su  rasura. 

(p)  A  um  (q)  tertio  su  rasura.  (r)  A  cha  (s)  A  ssta  (t)  A  qs  (u)  Così  A. 
(v)   -ntroeu-    su  rasura.  (w)  A  s  {il  segno  di  abbreviazione  taglia  la  s)         (x)  A  smiss 

(y)  A  abet  (z)  La  o  corretta  su  altra  lettera.  (aa)  A  diq  (bb)  A  loh  (co)  Tra 
seriem  e  textus  Ifggesi  una  p 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.         29 


444  ^-   ^c/iiaparcl/t 


conservare  atque  ndinplcre  proiiiitto.  |  Si  enlm,  quod  absit,  et  quoquo 
tempore  ego  voi  lieredibus  meis  centra  te  tu|isquc  heredibiis  aut 
contra  liane  cessionis  venditionis  chartula  (»),  qua  spontem  (ieri 
ro|gavi,  agere  aut  causare  presumsero,  et  minime  defende|re  potuero 
aut  noluero,  vel  amplium  prelium  tibi  tuisque  |  lieredibus  quesiero,  tunc 
daturo  me  promitto  una  cum  lieredibus  mcis  tijbi  tuisque  lieredibus 
ante  omne  litis  initium  pene  nomine  ('')  suprascriptum  pretiuni  |  in  dup- 
plum,  et  post  penani  absolutam  manentem  anc  cessionis  venditionis 
chartula  W  seriem  in  suam  nilhiloniinus  nianead  rirmitatcmCO.  Q.uani 
scribendam  rogavi  Leone  scriniarius  (d)  et  tabellio  (=)  urbis  Romae, 
in  mense  et  indictione  suprascripta  tertia  C). 

>~<  Franco  subdiaconus  sancte  Roman?  Ecclesie  (g). 

Signum  >J-<  manus  0>)  suprascripta  Cecilia  honesta  feniina(')  sivi 
consentiens  que  supra  (')   scribere  (>")  nescit  ("). 

>~<  Petrus  nobili  biro. 

>J<  Romanus  vir  magnificus  (o)  ncgotiens. 

>~i  Anastasius  vir  lionestus(p)  filio  Leo  de  Darà. 

)^  FaROLI-O  (q)    UUIDONE. 

^  >^i  Beniìdictus  mansionario. 

>~i  Ego  Leone  scriniarius  et  tabellio  urbis  Romae  qui  supra  0)  scriptor 
liuius  chartulae  post  testium  subscriptiones  et  traditiones  facta  com- 
pievi et  absolvi. 

VI. 

999  maggio  20. 

Stefano  arciprete,  Giovanni  secondo  e  Benedetto  terzo 
preti  del  monastero  di  S.  Stefano  maggiore  locano  «  a 
«  meliorem  faciendum  »  a  Leone  detto  Xhifo  e  suoi  eredi 
fino  alla  terza  generazione  una  terra  a  sementaricia  »  situata 
tra  la  forma  Ala,  la  porta  Auria  ed  il  lago  Terrione,  per 
la  pensione  annua  di  due  denari  da  pagarsi  nella  festività 
di  santo  Stefano. 

Originile,    caps.    LXl,    fase.  222    [A].    Copia    Galletti    nel    cod.  Vat. 
lat.  8054,   parte   i»,  e.  88,  11.  -Nlviii,  d.-i  A. 

(a)  A  ella  (b)  A  nom  (e)  tera  su  rasura.  (d)  A  scrin  (e)  A  tabetl' 

(f)   tertia   su   rasura.  (g)   A  eeccte  (h)  A  man  (i)  A   11    fem  (1)  A   qs 

(m)  la  noln  lironiana.         (n)  A  nt  (o)   A  um         (p)  A  uli         (q)  Priitta  di  Farolfo 

rasura  di  E 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  445 


Luigi  Martoreli.i,  Storia  del  clero  Valicatw,  pp.  44  e  105,  cit.  da  ms, 
di  Filippo  Dionip;i  (i).  A.  Coppi,  Dociimevti  storici  del  medioevo,  p.  200, 
II.  IX,  estr.  «  ex  ardi.  b.i'.  Vatic.  et  ex  cod.  Valle.  8054.  e.  74,  Galletti  »  = 
G.  ToMASSETTi,  Della  Campagna  romaiia,  ncW Arci),  della  Soc.  roin.  di  star, 
j'ntr.  Vn,  452,  estr. 

Le  sottcscrizioni  sono  di  mano  dello  scriniario  Giovanni.  Ritengo  per 
autografe  le  croci.  Sul  verso,  in  carattere  minuscolo  e  di  mano  de!  secolo  XI, 
sta  scritto:  «  Casale  qui  vocatur  Terrione  et  Galloruin  .1.  murus  civitatis  Leo- 
«  niane  .11.  montem  quem  tenere  videtur  scola  Frisonoruni  et  terra  Sergii  epi- 
ci scopi  .111.  fundum  qui  vocatur  Triclinuli  quem  detinet  Constantia  relieta 
«  a  Stephano  vestarario  .1111.  casale  Sauctorum  lohannis  et  Pauli  et  casale 
«  Sancte  Agathe  in  Lardarlo  ".  Q.ueste  parole  vennero  poi  espunte  da  mano 
non  anteriore  al  secolo  xvi.  Tale  notilia  servi  foise  di  minuta  per  documento 
non  pervenutoci  o  venne  estratta  da  carta  di  cui  l'archivio  non  conserva  ora 
altra  memoria? 

Il  Leone  detto  Xhifo  o  Schifo  di  questo  documento  ci  è  anche  noto  per  una 
notilia,  che  si  legge  nella  e.  i  del  cod.  C,  105  della  biblioteci  Capitolare,  dalla 
quale  apprendiamo  che  egli  fece  dono  del  codice  a  S.  Pietro.  Il  riscontro  è 
importante  per  la  datazione  del  codice.  Ecco  la  notitia,  forse  ancora  inedita  : 
<i  Omnibus  sit  notuin  tangentibus  istu[d]  (a)  librum  quod  prò  amore  beati  Retri 
«  apostoli  fccit  illu[d]  (b)  scribere  L'.o  indignus  et  negotiens  qui  Schifo  vo- 
ci catur,  et  perfectum  devota  mente  obtulit  sunimo  apostolorum  principi  Petro 
«  celestis  regni  clavigero,  ut  ante  (e)  eius  sacratissimum  corpus  semper  prò  le- 
«  gendis  diei  noctisque  inrefragabiliter  habeatur,  eo  videl'cet  ordine,  ut  nullus 
Il  umquam  pertemptet  illu[dj  (b)  subtrahere  vel  transmutare  aut  forte  cambiare 
«a  potestate  istius  sue  ecclesie  (<1).  Et  si,  quod  absit  et  non  optamus,  quis- 
«  cunique  homo  cuiuscamque  sit  ordini;  aliquando  temptaverit  illu[d]  (b)  aliquo 
11  modo  agere,  ab  ilio  claudatur  ei  regni  Dei  aeterni  ianua  et  ligetur  suorum  (e) 
Il  nexibu?  scelerum  cui  ligandi  solvendique  et  aperiendi  futuro  post  mortem 
Il  tortus  cum  demonibus  inferni  incendiis(f)  concremetur  a  Deo  patre  et  lesu 
«  Christo  fìlio  eius  eterni  anathematis  vinculis  innodatus.  Obsecro  te  (g)  LE- 
«  CTOR  SUPPLIciter  ut  digneris  orare  prò  me  peccatore  Leo  negotiens  qui 
«  Schifo  vocatur,  qui  hunc  librum  prò  reJemptione  anime  mee  scribere  feci 
«  et  scriptum  beato  Petro  apostolo  placida  voluntate  obtuli,  quatinus  apud  mi- 
ci sericordeni    iudicem    dominum    lesum    Cliristum    ipsum    sentiam  advocatum 

(a)  Mano  posteriore  corresse  istum  colia  rasura  di  J  e  aggiungendo  un  segno  di  abbre- 
viarjone    sopra  la  u  (b)   Corrello    come    sopra    in  illum  (e)    ante    ricalcalo  da  mano 

posteriore,  (d)  La  seconda  e  aggiunta    interlinearmente,  (e)  Dopo  suorum   rasura  di 

una  lettera,  forse  u  (f)  Dopo    incendiis    rasura  di  due  0  Ire  parole.  (g)  te  aggiunto 

interlinearmente. 

(i)  H  il  ms.  che  ricorda  a  p.  25  ce  il  dotto  Filippo  Dionigi  nel 
«  suo  opuscolo  ms.  sul  capitolo  Vaticano  ».  Ignoro  dove  si  conservi 
questo  ms.,  non  lo  vedo  registrato  nell'  elenco  delle  opere  edite  ed 
inedite  del  Dionigi,  di  cui  n^iW Auloìo^ia,  fase.  XLV,  anno  1797, 
P-  355  sgg. 


44^  L.   ScliiapafL'lli 


«  apsstolorum  priucipem  in  quo  est  fund.ituni  omnìs  caput  Ecclesie,  ut  venia 

•  acccpta  ipsius  prccibas  de  inlinitis  nieis  iniquitatibus  in  eterna    beatitudine 

•  culli  sanctis  n  D:o  valeain  coUocari,  amen  »    (i). 

y^  l  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  Iesu(»)  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontitkatus  liomni  Silvessiris  summi  pontifici  et  W  uni- 
vcrsalis  iuniori  pape  in  sac- ratissima(=)  seJe  beati  Petri  apostoli  primo, 
imperante  donino  nostro  Hocto[n]e  magno  et  pacifico  imperatore 
anno  eius  tertio,  invlictione  duad[ecima],  |  [mejnse  madio,  die  vice- 
sima.  Quisquis  hactionibns  veneravilinm  locorum  preesset('^)  inosci - 
turC-i),  incunctanter  eorum  liutilitatibus  ut  pro[ficij|ant  cum  summa 
diligentia  procurare  festine  («^X  Placuit  i[g]itur  cum  Christi  auxilio 
atque  [c]ombeni  ("i)  inter  Stephanus  rcligiosus  iarchipresbitero  |  de 
venerabili  monasterio  Sancii  Christi  protoniartiris  Stephanis  qui  ap- 
pcllatur(e)  ma[i]ore  a  Sancto  Petro  seu  lohannes  secundo  atque  Be- 
nedicto  tertio  rcligiosis  presbiteri  de  suprascrjpto  |  venerabili  mona- 
sterio, presentem  et  consentientem  in  oc  nobis  cuncta  congregationes 
presbiterorum  de  suprascripto  venerabili  monasterio  et  diverso  Leo 
novili  viro  qui  vocatur  (f)  Xh[ifo],  |  ut  cum  Domini  aiutorio  suscipere 
debeant  a  suprascripto  Stephanus  religiosus  presbitero  seu  lohannes 
secundo  atque  Benedicto  tertio  relig[iosi]  |  presbiteri  vel  a  cuncta  eius 
congregationes  presbiterorum  lia  maximo  usquc  a  minimo  de  supra- 
scripto venerabili  monasterio  sibi  consentient[e,  si]|cut  et  suscep[i] 
suprascripto  Leo  nobili  viro  qui  vocatur  Xhifo  conductionis  nomine  (k), 
id  est  ter[ra  scmentaricija  cuha  vel  inculca  et  quan[ta]'cumque(h) 
infra  subscripti  affines  con.lauduntur  cum  introitu  et  exoitu  suo  usque 
in  via  publica  et  cum  omnibus  a  suprascripta  |  sementaricia  genera- 
liicr  et  in  integrum  pcrtinentibus  vel  infra  se.  habentibus.  Posita  fo- 
ris  •••<•••*  I  [e]st  intcr  haffines,  hab  uno  latere  via  publica 
qui  vadit  ha  forma  Hala  et  pergi  a  porta  qui  vocatur  Auria,  et  a 
secundo  latere  |  monte  qui  vocatur  Pini  et  veniente  in  fossato  qui 
ducitur(d)  Silice,  et  a  tertio  latere  muro  rubto  hubi  lavatoro  est  de 
Ter[rio]i[ni]  (•),  et  a  quarto  latere  lacum  qui  vocatur  Terrioni  cum 
fossato  suo  siccomo  affinata  per  petre  ficte  esset  videtur,  iuris  supra- 
script[o]  1  venerabilis  monasterii,  ita  ut  tuo  studio  tuoquc  Livore  supra- 
scripto Leo  novili  viro  qui  vocatur  Xhifo  heredibus  successoresquc 

(a)  A   In  n  dni  di  salu  n  ihu         (b)  In  A  dui  piccoli  et  sovrapposti.         (e)  Dopo  sa; 
seguono  altre  lettere,  forse  ra,  molto  corrose.  (d)  Cosi  A.  (e)  A  qup  (f)  A  qu 

(g;  A  non         (h)  //  paiso  terra  -  quanta  -  i>io//i>  corroso.         (i)  Terrioni?  parola  assai  guasta 
da  corrosione;  parmi  certa  la  lettura  di  Ter 

(i)  Più  sotto:  «omnibus  sit  notuni  me  scribsisse  scilicct  Bc- 
«  rardus  ». 


Cartario  di  S.  T^ietro  in    Vaticano  447 


tuos  supra-ìcripta  terra  ipsa  |  sementaricia  cultam  vel  inculta  et  quanta- 
cumquc  infra  predicti  affines  conclaiiduntur,  et  cmn  omnibus  ad  eas  ge- 
nerali|ter  et  in  integrum  pertinentibus  vel  infra  se  abentibus,  in  omnibus 
tenere  et  possidere  debcant  et  a  meliorem  faciendum  |  Deo  iubantcm 
pcrducant  ipsi  heredes  nepotesque  tuis  profuturis  usque  in  tertium  gra- 
dum  tertiam  heredes  tertiam  personam  tertiam  ge|nerationes,  hoc  sunt 
ipsis  suprascripti  lìlii  nepotesque  eius  et  filii  legitimi  procreati.  Q.uod 
si  vero  filii  aut  |  nepotis  minime  fuerim,  hun(a)  etiam  extraneae  O) 
personae  cui  boiuerint  relinquendi  liabeant  licentiam(':)  excep|to  piis 
locis  vel  publicum  numero  militum  seu  banda  servata  dumtaxat  in 
omnibus  proprietatis  W  suprascripto  venerabili  monasterio.  |  Pro  quibus 
namque  suprascripta  terra  sementaricia  eulta  vel  inculta  et  quanta- 
cumque  infra  predicti  affines  conclaluduntur  cum  introita  et  exoitu 
suo  usque  in  via  publica  et  cum  omnibus  ad  eas  pertinentibus,  sicut 
ut  superius(e)  I  missum  est,  dare  atque  inferre  debeant  suprascripto 
Leo  novili  viro  qui  vocatur  Xhifo  heredes  successoresque  tuos  |  ratio- 
nibus  in  suprascripto  venerabili  monasterio,  singulisCO  quibusque  annis 
sine  aliquam  mora  vel  dilatio|nes  pensionis  homni  anno  in  festivitate 
sancti  Stephani  denarlos  numero  dui.  >^  Completa  vero  tertiam  |  gene- 
rationes,  ut  superius  W  legitur,  tunc  suprascripta  terrani  sementaricia 
eulta  vel  inculta  ha  ius  suprascripto  venerabili  monasterio  (g)  cuius 
et  I  est  proprietas  in  integrum  modis  homnibus  rebertatur,  hut  quisquis 
eius  curram  gesserint  |  iterum  locandi  quibus  maluerint  liberantC') 
habeant  hab  inquietate  licentiam.  De  qua  re  et  de  I  quibus  omnibus 
suprascripti  iurantes  dicunc  CO  hutrasque  partis  per  Deum  homnipo- 
tente  sanctaeque  Sedis  hapostoli|ce  domni  nostri  Silvestris  iuniori 
papae  hec  omnia  inviolaviliter  conservare  atque  adimple|re  promit- 
tunt.  Quod  si  quisquam  eorum  centra  huius  placitis  comventionis 
chartulae  in  toto  partem|ve  eius  quoslibet  modis  venire  temtaverint, 
tunc(')  daturo  heredes  successoresque  eorum  promittunt  pars  partis]  (ì- 
dem  servantem  hante  orane  litis  initium  pene  nominum  hauri  hobtimi 
huncias  sex  ebritie,  et  post  so|luta  pena  huius  placitis  combentionis 
chartula  seriem  in  suam  nihilhominus  manead  lìrmitate.  Has  hautem 
du|a  uniforme  uno  tenore  conscriptis  chartula  mihi  lohannes  scrinia- 
rius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  scribendum  pariter  dictaverunt,  |  eas- 
que  propria  manibus  roborantes  testibus  a  se  rogitis  hobtulerunt  sub 
stipulatione  et  superius  («)  solemniter  |  interposita. 


(a)   Cosi  A  colia  n  cornila  su  i           (b)  ex  su  cancellnlura  di  altre  leilere.           (e)  A 

liccntia  nt          (d)  ti  aagiun'.o  <iopo  salto  la  linea,  ila  prima  mano.  (e)  A  sp          (f)  n 

ajgiunta  interlinearmente.         (g)  A  ssto  vcn  mon         (h)  Cosi  A.  (i)  e  aggiunta  in'.er- 
liìienrmen'e. 


448  L.   Sr/iiaparelii 


Actuni  Roma,  die,  anno,  pomitìcatus,  in  mense  et  indictlonc 
suprascripia   duadecima. 

»5<  Stefaiius  arhiprcsbiters  (•)  de  venerabili  monasteri  eodemque 
Sancii  Stefani  maiori  a  Sancto  Pctro  subscripsit 

y^  lohannes  secudo  (»)  presbiters  Curcio  nomine  subscripsit  et  se- 
cudo  presbitero. 

)^  Benedicius  presbiters  tertio  de  Sancti  Stefanus  maiore  qui  po- 
nitur  a  Sancto  Petro. 

>J<  IJhRNARDO  de  Mactuccia  tìlius  tcstes  rogatus  subscripsit. 

y^  .\/.7.o  Macliisano  nomine  testes  rogatus  subscripsit. 

>^  Stefanus  opifes  rogatus  testes. 

\^  Ego  lohannes  scriniurius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  qui  supraCb) 
scriptor  liuius  chartula  (0  facta  compievi  et  absolvi. 


VII. 

1004  aprile  18. 

Giovanni  prete  del  monastero  di  S.  Stefano  maggiore 
dona  a  Pietro,  a  Benedetto,  a  Franco  ed  a  Pietro  detto 
Sellaro  arcipreti  rispettivamente  dei  monasteri  dei  Ss.  Gio- 
vanni e  Paolo,  di  S.  Stefano  maggiore,  di  S.  Martino  e 
di  S.  Stefano  minore  una  vigna  con  dipendenza  nel  ter- 
ritorio di  Selva  Candida  nel  luogo  detto  MurcapuUo. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  590  [A].  Copia  Galletti  nel  coJ.  Vat. 
lat.  8054,  parte  i-i,  e.  97,  n.  l,  da  A. 

Luigi  Martorelli,  Storia  del  clero  Vaticano,  pp.  44  e  104,  cit.  da  ins. 
di  Filippo  Dionigi.  A.  Coppi,  op.  cit.  p.  20J,  n.  12  («  ex  cod.  Vatic.  n.  805^, 
«  p.  8}.  Dall'archivio  della  basilica  Vaticana»)  coli' a.   1005. 

Unica  sottoscrizione  autografa  è  quella  di  lionizo;  le  altre  sono  di  mano 
dello  scriiiiario  Pietro. 

y^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontificatus  domni  nostri  lohanni  summi  pontifici  et 
universalis  |  octavi  decimi  papac  in  sacratissima  sede  beati  Petri  apo- 
stoli anno  primo,  per  indictione  secunda,  |  mense  aprelis,  diae  octava 

(a)  Q.SÌA.         (b)  A  qs         (e)  A  dia 


Cartario  di  S.  T^ielro  in    Vaticano  449 


decima.  SaUibris  est  sine  dubitationem  ita  consilii  ("),  ita  ut  ]  ununi- 
quemque  suis  utilitatibus  illa  potius  debet  lucra  sectari  que  ad  saluteni 
hanime  pertine|re  videtur,  ut  cum  ab  hac  luce  subtractus  fuerit,  per- 
petuo (b)  munere  gratular!;  et  |  ideo  quoninm  constamt  (•'•)  me  lo- 
hanncs  presbitcr  de  Sancto  Stephano  inaiore  ha  presenti  diae  do, 
do|no,  cedo,  irado,  atque  offero  de  claro  animo,  de  vona  mente,  pro- 
pria et  spontanea  mea  vo|luntate  vobis  donino  Petrus  archipresbiter 
de  venerabili  monasterio  Sanctorum  Ioannis  et  Paul!  atque  |  Benedi- 
ctus  archipresbiter  de  venerabili  monasterio  Sancti  Stcphani  atque 
Franco  archipresbiter  de  venerabili  |  monasterio  Sancti  Martini  atque 
Petrus  archipresbiter  qui  vocatur  Sellaro  de  venerabili  monasterio 
Sancti  Stephani  qui  apellaturC'-")  mi|nore  similiter  a  magni  usque  ad 
parbi  in  omnibus  quatuor  monasteriis  vestris  successoribus  in  per- 
petuura,  (  id  est  vinea  quod  sunt  petiole  quatuor  cum  rasularia  W  et 
versulariis  suis  et  locum  ad  |  calcatorio  suo  et  cum  introito  et  exoito 
suo  et  cum  omnibus  aJ  eas  gcneraliter  |  et  in  integra  pertinentibus. 
Posita  (*)  territorio  Silve  Candidae  in  Galeria  et  in  |  locum  qui  vo- 
catur Murcapullo  et  Inter  affines,  ab  uno  latere  vinea  de  heredes  de 
Ser|gius,  et  a  secundo  latere  vinea  de  heredes  de  Pulcro,  et  a  tertio 
latere  terra  et  vinea  de  |  heredes  de  Sergius,  et  a  quarto  latere  vi- 
nea de  Subbolis  de  Martinus  presbiter.  |  Hec  omnia  que  ut  superius 
legitur  a  presenti  diae  in  suprascripti  monasterii  in  (O  perpetuum 
abeatis,  teneatis,  |  frugeatis  semper  fìrmitis  possideatis,  et  numquam  a 
mme  neque  ab  heredibus  meis  neque  etiam  |  a  nulla  magna  parbaque 
persona  a  me  summissa  contra  vobis  vestrisque  in  perpetuum  ali|- 
quam  movere  questionem  aut  calumnia,  set  et  etiam  stare  me  una 
cum  heredibus  me]is  et  defendere  promitto  vobis  contra  omnes  ho- 
mines  et  in  omnì  tempore  gratis  in  perpetuum.  In  qua  et  iuratus 
dico(g)  per  Deum  omnipoteutem  sanctaeque  Sedis  apostolice  (M)  domni 
nostri  lohanni  octavi  decimi  |  papae,  hec  omnia  que  hanc  donationis 
chartula(')  perpetualiter  seriem  testus  eloquitur  inviolajviliter  conser- 
vare adque  adimplere  promitto.  Nam,  quod  absit,  et  quoquo  tem|pore 
ego  vel  ab  heredibus  meis  contra  vos,  cunctas  congregationem,  aut 
contra  han  W  donationis  chartulaf^'),  perpetualiter  (')  qua  sponte  fieri 
rogavi  (i),    veruni    etiam   daturo  me    promitto    una    cum    heredibus 

;  

(a)   Così  A.  (b)  A  perpetuo  (e)  A  ap  (d)  A  rarasularia  (e)  A  pos 

(f)  La  n  è  niaiicanle  dilla  seconda  asta.  (g)  A  diq  (h)   A  a  aptice  (i)  A  cha 

(1)  A  pp 

(i)  La  formola  non  è  completa,  si  aggiunga:  «  agere  aut  causare 
«  presumsero  et  minime  defendere  potuero  aut  noluero  vel  amplium 
n  pretium  vob's  vestrisque  heredibus  quesiero  ». 


450  L.   Schiapaì'elli 


mcis  nntc  onineni  litis  initiiiiii  pciicin  nomine  C^)  auri  uncias(b)  ties 
ebriti.is,  et  post  penam  absolutam  manen|tem  liane  chartula  (.<^)  ào- 
natioii's  perpetualiter  (<*)  serieni  in  suam  niliilliominus  manead  firmi- 
tatem.  |  QuaniCO  scribendam  rogavi  Petrus  in  Dei  nomine  scriniarius  (0 
urbis  Rome  manum  propria  feci,  |  [i]n  mense  et  in^iictione  suprascripta 
secunda. 

>5<  loliannes  presbiter  de  Sancto  Stephano   maiore  et  rogatorc. 

Ì^A    BON'I/.O    NEGOTIKNS. 

y^A  Stefanus  negotiens. 

>Xi  loliannes  Gailerano  testes. 

)^  Atriano  genero  de  Barosco  vir  magnificus  (g)  teste. 

y~i  Landolfo  negotiens  rilgacero  de  lohannes  Rusco  teste. 

Ego  Petrus  in  Dei  nomine  scriniarius  urbis  Rome  qui  supra  CO  scri- 
ptor  huius  chartula  (*=)  donationis  post  testium  subscriptionis  facte 
conpiaevi  et  absolvi. 

Vili. 

1018  febbraio   18. 

Giovanni  abbate,  Leone  e  Crescenzio  preti  del  mona- 
stero dei  Santi  Vittore  e  Pancrazio  locano  «  ad  meliorem 
«  facienduin  »  ai  fratelli  Pietro  e  Maio  e  successori  fino  alla 
terza  generazione  una  vigna  colle  dipendenze  posta  nel 
territorio  di  Selva  Candida  nel  luogo  detto  Valle  de  Ori- 
sinJa,  per  l'annua  pensione  di  un  denaro  d'argento. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  22;  [Aj.  G.  Grimaldi,  Opiuculuin  de  sacro- 
sanrtae  Veronicae  sudario  ac  laiicea  qua  Siilvatoris  vostri  lesu  Christi  ìaliis 
paliiit  in  Falicaiia  hasilica  maxima  veneraiione  asservatis,  1618  (i),  nis.  H,  5, 
bibl.  Cip.  e.  22,  cit.  d.i  A.  G.  Gri.maloi,  Instrumenta  auihentica,  1619,  ms. 
G,  15,  bibl.  Gap.  e.  65  a,  cit.  da  A.  Copia  Galletti  nel  cod.  Vat.  lat.  8054, 
parte  2",  e.   j,  n.  lui,  da  A. 

Giovanni  Severano,  Memorie  sacre  delie  sette  chiese  di  Roma,  p.  72, 
cit.  L.   MARroRnLLi,  Storia   dei  riero    Vaticano,   p.   '■^2,   cit.  da  A. 

(•)  A  nom         (b)  A  unq         (e)  dia         (d)  A  pj'';  sciolgo  l' altbrevia^iom  come  sopra 
in  perpeiUtflitcr,  ifotv  è  scritto  per   disteso.         (e)  A  quam  (f)  .1  scrin  (g)  A  lim 

(h)  A  q. 

(:)  Cf.  Muntz,  op.  cit.  p.  236. 


Cartario  di  S.  T^ieiro  in   Vaticano  451 


È  autografa  la  sottoscrizione  di  «  lolianiies  »  ;  delle  altre  sottoscrizioni  pare 
autografa  la  4*-  Dopo  la  sottoscrizione  di  Crescenzio  si  notano,  nella  distanza 
ordinaria  delle  linee  del  testo,  tre  punti  1'  uno  sotto  all'  altro,  i  quali  indi- 
cano probabilmente  il  posto  segnato  dallo  scriniario  per  altre  tre  sottoscrizioni, 
che  poi  non  vennero  eseguite. 

[>x<  I  1]'^  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesti  W  Christi. 
Anno  Dco  (b)  propitio  pontificatus  domni  nostri  Benedicti  siini  ♦  mi 
pontifici  et  universalis  octavi  papae  in  sacratissima  sede  bacati  Pe- 
tri  apostoli  sexto,  et  inperante  domno  nostro  piissi[mo  |  ajugus- 
sto  Heinrico  a  Deo  coronato  magno  et  pacifico  inperatore  anno 
quinto,  indictione  («)  p[rima,  menjjse  februario,  die  octava  decima. 
Quisquis  actionibus  veneravilium  iocorum  presct  ignosci[tur  C»^)  in]  j- 
cuctanter  eorum  utilitatibus  ut  proficiant  cum  summa  diligentia 
procurare  fesstinct.  Placuit  igitur  cum  Ch[risti]  |  auxilio  atquc  con- 
venit  inter  loliannes  Domini  gralia  religioso  presbitero  et  tnonalio 
atque  coaielìco  per  apostoli[ca]  |  preceptione  abpate  de  venerabili 
monasterio  Sancii  (e)  Christi  mattiris  Victores  atque  Pancratii  seu 
Leo  et  Cresentio  [presbi]|teri  et  monalii,  consentientem  in  oc  ab 
eis  cuctas  congregatìones  monaliorum  Dei  de  suprascripto  vene- 
rabili monafsterio  et  |  divjersis  Petro  et  Maio  iermanis  fratribus,  ut 
cum  Domini  (0  atiutorio  (g)  susscipere  debeant  a  suprascripto  lohan- 
r.es  mona[ho  et  presbiter  00  |  d]e  suprascripto  monasterio  seu  Leo  et 
Crescentio  religiosi  presbiteri  et  monahi  vel  cum  cucta  congre- 
gatione  monahor[um]  |  de  suprascripto  inonasterio  sicut  susceperunt 
suprascrlpti  Petrus  et  Maio  iermanis,  id  est  petio  de  vinca  manarica 
uno  in  integro,  quot  [sunt]  |  ordines  duodecim  quantacumque  infra 
supscripti  affines  conclauduntur,  et  locum  at  calcatorio  po[nen]|dum 
et  resi  Jendum  cum  introitu  suo  et  exoitu  et  cum  omnibus  (')  ad  eum 
ieneraiiter  et  in  integro  pertinentem  vel  infra  |abentem.  Posito  (')  ter- 
ritorio Silbe  Candide  in  fundum  qui  vocatur  balle  de  Orisinda,  quot 
est  inter  af[fi]|nes,  ab  uno  latere  teniente  Crescentio  de  Balerino, 
a  secundo  vel  a  tertio  latere  ri.'a,  et  a  quarto  latere  vinca  |  domnica, 
ita  ut  suorum  studio  suorumque  labore  de  suprascripti  Petrus  et  Maio 
de  suprascripta  vinca  in  integro  cum  locum  a[t]  |  calcatorio  ponen- 
dum  introitu  (^m)  suo  et  exoitu,  et  cum  omnia,  ut  superius  legitur,  in 
omnibus  tenere  et  possiJere  debeant  [et]  a[t]  |  meliorem  faciendum 
Dco    iubante    quitum     perducant    ipsis    heredesque    suis   profuturum 


(a)  A  [i]n  n  dni  d!  salv  n  ihu  (b)  A  ano  do  (e)  indictione  colla  e   espunta 

forse  ita  mano  posteriore.  (i)  Si  intend.i  :   preesse  dignoscitur         (e)  A  sci         (f)  A  c'ni 

(f^)  -t  cum  dni  at-  su  rasuta.  (h)  Soslitu^ione  incerla,  (i)  A  omib  (1)  A  pos 

(m)   Si  sollìiileiiiìa  cum   introitu 


45-  L.   Scili aparel li 


usque  [in]  |  tertium  graduili  tertiatii  heredes  tertiani  persona  tenia 
generaiione,  hoc  sunt  ipsis  suprascripti  filiis  nepo[tesJ  que  eoruni  et 
filiis  legitini'S  procreati.  Quot  si  vero  filiis  at  («)  nepotcs  minime  fuc- 
rint,  uni  eti[a]ni  estranea  persona  cui  voluerint  relinquendi  abeant 
licentiam  exscepto  piis  locis  plubicis  |  numerum  militum  rcscrvando 
dumtamxat  in  omnibus  proprictaicni  de  suprascripto  venerabili  mo- 
nasterio.  Pro  |  quam  etiani  suprascripta  vinca  in  integro  cuni  calca- 
torio  ponendum  cum  introita  suo  et  exoitu  [vel]  cum  [omni]|bus 
ad  eam  ieneraliter  et  in  integro  pertinenteni  vel  infra  se  abenteni  dare 
atquc  inferre  debet  |  Petrus  et  Maio  sucessoresqueC')  suis  rationibus 
singulis  quibusque  aiinis  sine  aliquam  mo|ra  vel  dilatione  pensione 
denarios  (*=)  argenteos  numero  (J)  uno  («).  Completa  vero  tcrtiam 
[gene]|ratione,  que  ut  superius  legitur,  tue  suprascripta  vinea  sicuti 
fuerint  cultas  et  melioraias  [at]  uiulsC")  suprascripto  monasterio  cuius 
est  propietas  in  integro (O  a  modis  omnibus  revertatur,  ut  quisquis 
eius|dem  venerabili  (g)  monasterio  iterum  locandi  quibiis  maluerint 
liberam  abeant  sine  aliquam  am|biguitatem  ('','.  De  qua  re  et  de 
quibus  omnibus  iurantes  dicunt  per  Deuni  omnipotentem  sanctacque  | 
Sedis  apostolice  seu  salutem  viri  beatissimi  et  apostolici  domni  nostri 
Benedicii  octavi  papae.  Ec  omnia  que  (')  a  presenti  uius  placiti  con- 
ventionisque  chartula  seriem(0  in  toto  pattern  eius  quolivo  (')  |  modo 
venire  temtaverit,  tunc  non  soluni  periurii  reatum  incurram  ("0,  ve- 
runi etiam  dajri  se(")  heredes  successoresqueCo)  suis  promitunt  pars  (p) 
partìs  fidem  scrvantem  ante  omne  litis  inijiium  pene  r.ominum  auri 
optimi  uncia  una,  et  posst  soluta  pena  maneat  uius  |  placiti  conven- 
tionisque  chartula  seriem  in  suani  nihilominus  maneat  firmitatem.| 
Has  autem  duas  uniforn^e  (l)  conscripti  per  manus  Benedictus  scr[i- 
niari]o  sanctae  |  Romanae  Ecclesiae  scribendam  pariter  dlctaverunt, 
eiusque  propriis  nianibus  roboran|tes  tesstibus  ab  eis  rogiti  fuerunt, 
parteni  suprascripta  stipulatione  sollemniter  interposiia. 

ActumW  Rome,  die,  anno  pontificatus,  in  mense  et  indictione 
suprascripta  prima. 


e 


(n)   Così  A.        (b)  sucessq-  (e)  A  i^n         (J)  A  numct         (e)/"  mr.tlltre  piccvlo 

e  font  scrino  dopo,  ma  da  prima  mano,  (( )  A  in  in,  iifJÌii  Uri  casi  si  ha  seifprt  in  ino 
(g)  A  veii  (h)  amam  biguitatcm  ;  si  sollinlciiila  :  licentiam  (i)  La  \i  corretta  su  altra 
I elitra,  forse  a  principiala.  (I)  La  sfcoii.Li  o  correità  su  altra  letlera.  (m)   St  iuleuJ  i 

jncurrant  (n)  A  s  (o)  A  success^)!  (p)  Si  completi  e  si  corregga:  pars  infiJelis 
parli  fidem  servanti         (q)  A  uniforme  uniforme         (r)  A  ctum 

(i)  Si  completi  la  formula:  "  textus  eloquitur,  inviolabiliter  con- 
«  servare  atque  adimplerc  promiitunt.  Q.10.Ì  si  quisquam  eorum  contra 
«huius  placiti  co  ive  itionisque  cliartuli  in  toto  partemve  ». 


Cartario  di  S.  Tictro  in  ralicaiio  453 


Signuni  hji  manusW  suprascripto   Peiro   qui   in   ac  appare  con- 

scripsi. 

Signum  yj^  manuum  suprascripto  Maio  rogatore  et  conscripsi. 

^  lohannes  vir  magnificus  (b)  clerico   et   mansionario  (0    San- 
ctae  Marie  in  Beronica. 

)^  Duranti  vir  honestusC^)  clerico  et  virgario. 

^Jh  Cresc?ntio  vir  magnificus  0>)  arhipresbiter. 
»J<  Ego  Benedictus  scriniario  sanctae  Romanae  Ecclesiae  qui  supra  (') 
scriptor  uius  chartula  facta  compievi  et  apsolvi. 


IX. 

10:7  ottobre  23. 

Itta  «  honesta  femina  »  dona,  riservandosi  l'  usufrutto, 
a  Stefano  arciprete  del  monastero  di  S.  Stefano  maggiore 
una  casa  «  terrinea  scandolicia  »  situata  in  Roma  nella  re- 
gione nona  in  Parione. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  222   [A]. 

Pero-amena  assai  danneggiata  dai  sorci  e  dall'  umidità.  Le  sottoscrizioni 
sono  dello  scriniario  Giovanni;  quella  di  Sergia  venne  scritta  dopo  le  altre 
e  con  inchiostro  diverso.  Le  parole  tra  [  ]  rappresentano  talora  solo  un  tenta- 
tivo per  colmare  il  testo. 

^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Cristi.  Anno  Deo 
propitio  pontiftcatus  domini  (a)  lolianni  summi  pontifici  et  universalis 
[noni  decimi  pape  in  sacra]|tissima  sede  beati  Petri  apostuli  quarto,  im- 
perante domino (b)  nostro  Clionrado  a  Deo  coronato  magno  et  pacifi[co 
imperatore  anno  eius  quarto,  indictione  undejjcima,  mense  octuber, 
die  vicesima   tertia.    Supplicandum    est    nobis,    piissime    patri,   quod 

r , ]  I  sistere,  quatenus 

illorum    orationibus    nobis    ad    salute    anime    proficiscere    sentiamus 

;r ]  I  offere  quod  cerni- 

mus  prò  nostra  salute  Deo  iugiter  supplicari;  et  ideo  quoniam  certuni 
est  me   [Itta  ohnesta  femina   et]  |  bonum  mihi  videtur  marcimonium 

adipisci  qui  de  terrena  emercatur  celestia    et    prò  rebu[s 

.  eter]|na,  hac  die  usufructum  diebus  vite  mee  do,  dono,  cedo, 
trado,  et  inrevocaviliter  largior  sim[ulque  concedo  ex  sub]|stantia 
propria  et  expontaneaque  mea  volumtatem  vobiscum  domino  W  Ste- 

(a)  A  man  (b)  A  um^        (e)  A  mans  (d)  ul;o  (e)  A  qs 

(a)  A  domili         (b)   domno 


4  54  ^-   Se  II  ìa farei  li 


phanus  religiosus  arc[hipresltitcro  vencrabilis  monasterii  Sancii  Cliristi 
proto]  iiiartiris  Stephani,  qui  appcllatur(n)  niaiore  a  Sanclo  Petro  apo- 
stolo, tuisque  successoribus  in  perpetuuni  ibidem  introeuntib[us  vel 
cui  vobis  largire  et  concedere  placuerit.]  |  prò  omnipotenti  Dei  amore 
mercedeque  anime  mee  et  de  Sergia  fiJeli  nica  et  veniani  delictorum 
[nostroruni  simulque  prò]  |  tuis  sanctis  sacris  horationibus  qui  die  no- 
ctuque  non  cessatis  prò  redemtione  lianime  nostre  facia[tis,  proinde 
remu]|nero  et  usufructum  diebus  vite  nostreC')  dono  vobis  suprascripio 
domino  (■:)  Stephaniis  religiosus  archipresbitero(J)  [venerabilis  mona- 
sterii Sancti  Christi  protoJ|martiris  Stcpliani,  qui  appellatur  (•>)  maiore 
a  Sancto  Petro  apostolo,  tuisque  successoribus  et  in  suprascripto  mona- 
sterio  in  perpetuum,  [id  est  una  domus  terrinej|a  scandolicia  cum  in- 
ferioribus  et  superioribus(e)  suis  a  solo  terre  et  usque  ad  summo  tecti 
cum  introito  et  [exoito  suo  per  via  in  co]mmune  usque  in  via  publica 
siculi  infra  subscripti  atììnis  conclauduntur  cum  omnibus  ad  e[am  ge- 
neraliter  et  in  integrum]  |  pertinentibus.  PositaCO  Rome(g)  regione  nono 
in  Parriones,  quod  est  Inter  affines,  a  primo  latere  terra  ubi  oIi[m 

]  I  presbitero  et  de  suis  consortis,  et  a  secundo  latere 

terra  de  lohannes  Barosu  et  a  tertio  latere  tcniente    credes  de  [  .  . 

]  I  longu  olim    Riolario,  et   a   quarto   latere  via  in  com- 

mune('>)  qui  pergit  usque  in  via  Sacra,  iuris  cui  existent.  Sicuti  mi[hi 
evenit]  |  que  supra(')  Itta  per  emtionis  chartula  (•)  da  Guinizzo  cognato 
meo  sic  eas  in  integrum  vobis  vestrisque  successoribus  et  in  supra- 
scripto monasterio  [a  presenti  die]  concedo  et  dono  prò  omnipotenti 
Dei  amore  mercedeque  anime  mee  et  de  Sergia  fideli  mea  et  prò 
[tuis  sanctis]  |  sacris  horationibus  qui  die  noctuque  non  cessatis  prò 
redemtione  anime  nostre  faciatis.  Itemque  [concedo]  et  dono  vobis 
vestrisque  successoribus  et  in  suprascripto  monasterio  de  mea  mo- 
vilia,  videlicet  colcitra  de  pinna  una,  [uno  capi]|tale  et  uno  lenzolu 
et  bellutu  unum  et  una  iraciora,  et  post  die  oviti  mei  cum  benedi- 
clion[e  Patris]  ]  et  Filli  et  Spiritus  Sancti  in  tua  tuisque  successo- 
ribus et  in  suprascripto  monasterio  sit  potestatem  tenendi,  utendi, 
fruenJi,  possidendi,  [venden]|di,  donandi,  commutandi  in  usum  et 
salarium  vestrum  in  perpetuum  faciatis,  vel  q[uicqu!d  in]  |  suprascripta 
dcmus  terrinea  scandolicia  sicuti  infra  nomi;iatos('")  affinis  conclau- 
duntur cum  infcriorib[us  et  superioribus  suis  a  so]|lo  terre  et  usque 
ad  summo  tecti  cum  introilu  et  exoito  suo  per  via  in  coniniuncCO 
usque  in  via  Sacra  et  cum  [omnibus  suis]  [  generaliter  et  in  integrum 
pertinentibus,  nec  non  et  do  suprascripta  movilia,  videlicet  colcitra  de 


(a)  A  kJ   «pt  (b)  A  nore  (e)  A  domilo         (J)  A  ar;b  (e)  A  sp 

({)  A  pos        (g)  A  Uom         (h)  A  com         (i)  A  qs        (I)  A  eh»        (m)  A  iiom 


Cartario  di  S.  'Pietro  iii    Vaticano  455 


p[inna  una,  unoj  \  capitale  et  Icnzolu  uno  et  uno  bellutu  et  iractora 
da  vino  optiina  una,  vel  qui[cquid  in  e]|a,  sicut  superius  legitur,  facere 
vel  agere  volueritis  in  vestra  vestrisque  successoribus  et  in  supra- 
scripto  vestro  venerabili  [monasterio  sit  pote]|statem,  quod  nullo  quo- 
quo  tempore  min[uere  audeat  n]eque  ab  heredibus  nieis  vobis  vel 
vestris   suc[cessoribus    et    in    suprascriptoj  |  monasterio   in  dom[ibus 

]  e  vobis  su[ In  qua  e]t  iuratum   dico    ptr 

Deum  omnipotentem  [sancteque  Sedis]  |  apostoli[ce 

Hec  omnia  que]  superius  missum  est  seriem  textus  eloquitur,  [invio- 
labi]|liter  [servare  atque  adimplere  promitto.  Na]m,  quod  absit,  si 
contra  ec,  que  superius  nota[ta  vel  abscripjta  legunt[ur,  centra  agere 
prejsumsero  et  cuncta  non  observab[cro  et  minijjme  defendere  po- 
tuero  aut  noluero,  tunc  datura  me  promitto  una  cum  heredibus  mei[s 
tibi  tuisque]  |  heredibus  ante  omnem  litis  initium  penam  nomine  (*)hauri 
ebritiis  uncias  tres,  et  post  pen[am  soiujtionis  manentem  hanc  usufru- 
ctuaria  donation[is]  chartula(b)  ser[iem]  in  sua  nihilhomin[us  majjneat 
firmitatem.  Quam  scribendum  rogavi  Johannes  nutu  Dei  sancte  Ro- 
mane Ecclesie  scriniarius.  |  Et  ego  qui  supra  subter  manus  meas  pro- 
prie signum  sancte  crucis  feci  et  testes  qui  subscriberen[t  ro]|gavi  et 
vobis  et  in  suprascripto  monasterio  qui  supra  contradidi,  in  mense 
et  indictione  suprascripta  undecima. 

Signum  ■f^  manus  («^l  suprascripta  Itta  ohnesta  femina  (d)  et  roga- 
trice  atque  donatrice  que  supra  (e)  scribere(f)  nescit(s). 

[Signum  >^  manus  suprascripta  SJergia  ohnesta  femina  W  que 
supra  («)  scribereC")  nescit  (g). 

[ ]fo  vir  magnifìcus(h)  rogatus  ab  eis    testes. 

^  Leo  vir  magnifìcusCO  de  Romano  atque  setario  rogat[us  ab  eis 
testes]. 

>J<  Beno  vir  honestus  0)  setario  rogatus  ab  eis  testes. 

>x<  Leo  vir  honestus(')  carbonario  rogatus  ab  eis  testes, 

y^  CRescentius  vir  honestus  (')  qui  vocatur  serbus  de  Franco 
de  Diacona  testes. 

^  Ego  Johannes  nutu  Dei  sancte  Romane  Ecclesie  scriniarius  scriptor 
huius  chartula  (b)  post  testi[um]  subscriptionis  traditionis  suprascripta 
facta  complevit  et  absolvit. 

(a)  A  nom"        (b)     A  ella         (e)  A  man         (d)  A  oh  fem         (e)  A  qs         (f)  In 
nota  tìroniaua.         (g)  A  nt         (h)  A  um         (i)  A  uho 


456  L.   Scliiapai-elli 


X. 

1030  marzo  i  j 

Leone  giudice  dativo,  figlio  di  Lupo  detto  Sprin- 
cone,  col  consenso  della  moglie  Matilde  concede  per  nove 
anni  a  Gregorio  detto  de  Gisi  l'uso  ed  il  reddito  di  una 
casa  «  solarata  scandolicia  »  colle  dipendenze  situata  nella 
città  nuova  detta  Leoniana  presso  la  cortina  maggiore  di 
S.  Pietro,  per  aver  ricevuto  in  imprestito  nove  libbre  d'ar- 
gento. 

Originale,  caps.  LIX,  fase.  217  [A]. 

ToRRiGiO,   Le  sacre  grolle  Vaticane  (1639),   p.   552,  da  A. 

La  sottoscrizione  di  Leone  è  autografa.  Le  altre  sottoscrizioni  furono  ese- 
guite dal  notaio  Romano;  ritengo  però  autografe  le  croci.  Un  taglio  a  forma 
di  croce  nel  mezzo  della  pergamena  ci  assicura  che  l'alto  venne  giuridicamente 
annullato. 

>~i  In  nomine  Domini.  Anno  sextum  domni  nostri  lohanni  nono 
decimi  pape  adqueet  Chhuonradi  inperatoris  lia  nno  terrtio,  indiciione 
lerrtia  decima,  mense  martio,  die  quintadecima.  Quoniam  cerrtum 
est  m?  Leo  Domini  [  gratias  datibo  index  et  filio  quoddam  Lupo  qui 
dicebatur  Sprincone,  presentem  et  con  sentientem  in  hoc  mihi  Mat- 
tilda  ohnesta  f?mina  coniugalis  mea,  hac  die  promitereC»)  et  repro- 
mitto  adque  specialiter  .spondeo  propria  et  spontaneaque  mea  bolunt- 
tatc[m]  !  vobiscuni  donno  (b)  Gregorio  (»)  qui  vocor  de  Gisi  tuisqu? 
heredibus  et  sucessoribus  vel  cui  tibi  secun[duni]  |  quod  inferihus  legi- 
tur  largire  et  [cjoncedere  pLicueris,  id  est  medietatem  in  it?  grani  de 
domo  solarata  scandolic[ia]  quantacumque  infra  supscripti  afTines 
conclauJun'tur  cum  medietatem  de  stabular'^  upsefO  et  de  preforulo 
suo  et  de  scalam  lignea  cum  medietatem  de  inferiora  et  supterriora  (») 
sua  a  solo  terre  et  usque  ad  summo  tecti  \  cum  inttroitum  et  exitu  suo 
et  cum  omnibus  ad  eam  pcrtinentibus(d;  in  in[te.^rum]  (e).  Positam  (0 
infra  civitatem  nob[amJ  qui  apelatur  (g)  Leoniana,  iussta  corttina 
maiore  Beati  Petri  apostoli,  quod  est  inter  affines  a  totani  bideiicet 
domumCi),  a  primo  latere  doni um  Cu  loco,  et  a  sccundo  latere  do- 

(a)  C»iì  A.       (b)  A  don         (e)  Coti  A;  iulendati  sub  se         (d)  A  pettinen        (e)  Pa- 
rola mollo  corrosa;  leggo:  in  in         (f)  A  fot         (15)  A   apl+         (li)  A  dom 


Cartario  di  S.  ''Pietro  in    Vaticano  457 


numi  (a)  Tembaldo,  et  a  terrtio  latere  j  domuni  f^"»)  loco,  et  a  quarto 
1  itere  cortina  predieta  maioris.  Inter  lios  berrunì  affines  medie  ta- 
tem  de  pretatam  domum  cum  omnibus,  ut  superius  missum  est,  tibi 
concedo  had  detinendum  a  mo  do  et  liusqiie  ad  expleti  annis  decem 
cum  omni  suo  renditum  et  datione  ('')  adque  pensione  («),  et  quic- 
quid  [  exinde  exierint.  Omnia  que  ut  superius  legitur  tibi  concedo  ad 
detinendum,  hud  dictum  est,  usque  ad  ex[pleti  annis  numero C*^)  dec?m, 
prro  co  quod  ego  iiaccepi  ego  a  te  in  prestitum  argenti  op'timi  libre 
numero (J)  nob9m(';),  et  li^c  placitum  inter  nos,  ud  si  domnum(f)  in- 
peratorem(g)  in  istam  civitatem  '  exiiam  et  in  ipsam  domum  stare  non 
potueris  (h),  aud  ipsam  domum  fregerint,  tam  per  inpe  rattor  quam- 
que  etiam  infra  issto  constituti  annis  de  ipsam  domum  lignamen(') 
fortiorem  fre  gerint,  omnia  conciare  et  de  ipso  pcrditum  restaurare 
promitto;  et  poest  (0  exepleli  fu|erint  predictis  annis,  tue  (')  ipsam 
medietatem  domui  in  meam  meisque  heredibus  debeniand  potes- 
stajtem.  H?c  omnia  que  inter  nobis  placuid  et  conbennid  eo  quod 
ex  utraque  partibus  placet,  h?c  omni|a(™)  que  ac  promissionis  char- 
tula  seriem  testum  eloquitur,  inbiolabiliter  conservari  adque  adim- 
plere  promitto.  Nam,  quod  apsi  0),  et  si  con  (')  h?c  que  ut  supe- 
rius notata  sunt  non  opservabero,  |  et  minime  defendere  noluero  aud 
no  (')  potuero,  tucG)  daturu  me  promitto  ante  omnenC)  li|tis  initium 
pene  nomine  (")  auri  optimi  libra  huna,  et  poest  (0  soluta  pena  maneat 
h^c  promissionis  chartula  seriem (o)  in  suam  permaneat(p)  firmitatem. 
Quam  scribendani  rogavi  Romanum  scriniarium  sancte  Romane  |  Ec- 
clesie, in  mense  et  ind[ictione  suprascripta  tertia]  decima. 

y^  Ego  Leo  Domini  [gratias  datibjus  iudex. 

Signum  ^J<  manus  (q)  Mattilda  ohnesta  f^mina  et  consensit. 

>J<  Ildibrando  Scafarea. 

>^  lohannem  Pagano. 

>5<  lohannem  qui  vocor  Rusco. 

)J<  Ego  Romanus   scriniarius   sancte  Romane    Ecclesie  qui   supra  (0 
scriptor  uius  (s)   chartula  (0  facta  (")  compievi  et  apsolvi. 

XI. 

1037  aprile   14. 

Rosa  vedova  di  Giovanni  dona  a  Stefano  arciprete,  a 
Giovanni    secondo  e  a    Pietro    terzo   preti    di    S.  Stefano 

(a)  A  dom         (b)  A  dation         (e)  A  peti  (d)  A  num         (e)  A  nobem         (f)  A 

domn         (g)  A  imperatorem         (h)  A  potueri  (i)  lignamen         (1)  Così  A.        (m)  A 

omia           (n)  A  nom           (o)  A  seriem           (p)  A  perman           (q)  A  man          (r)  A  qs 
(s)  A  ueius         (t)  A  cha         (u)  A  fatu 


438  L.   Scliiaparelli 


maggiore  una  vigna  colle  dipendenze  e  due  buoi  nel  ca- 
stello Bucceia,  territorio  di  Selva  Candida. 

Originale,  caps.  LXI,  l'.isc.   590  [A], 

ToRRiGio,  Le  sacre  grolle  ^liticane  (1659),  p.  527,  estr.  Martorulli, 
op.  cit.  p.    r?  e  p.   IO},  cit. 

Pergamena  guasta  nell'  escatocollo  da  rosicchiature  dei  sorci.  l\»re  au- 

O  ri 

tografa  la  ♦;*  nella  soitoscri/ione  di   Rosa. 

>^  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
Deo  propitio  pontiticatus  domni  nostri  Benedicti  sumnii  pontifici  et 
universalis  |  noni  papae  in  sacratissima  sede  beati  Petri  apostoli  quinto, 
imperante  domno  nostro  Chounrado  a  Dco  coronato  |  imperatore  anno 
eius  undecimo,  indictione  quinta,  mense  aprelis,  die  quarta  decima. 
Quoniam  certuni  est  |  me  Rosa  honesta  femina  relieta  a  Johannes 
honesto  («^  viro  meo,  hac  die  do,  dono,  cedo,  trado  et  inre|vocabi- 
liter  largior  simulque  concedo  ex  propria  mea  substantia,  propria  et 
spontalnea  mea  voluntate  tibi  autem  domno  Siephanus  religioso  ar- 
chipresbitero  de  venerabili  |  monasterio  Sancti  Christi  protomartir's 
Stephani  qui  appeilatur  ('')  maiore  post  abside  13eati  Petri  apostoli 
seu  lohanncs  secundo  et  Petrus  tertio  religiosi  presbiteri  eiusdem 
venerabilisW  monasterio  vestrisque  successoribus,  quem  |  in  ipsius  mo- 
nasterio nuncC'^)  sunt  et  in  antea  intraturi  sunt  ini  perpetuum,  vel  cui 
vobis  in  usum  et  salarium  vestrum  |  vestrisque  successoribus  largire 
et  concedere  placueritis,  prò  Dei  omnipotenti  amore  mercedeque  |  re- 
demptionc  anime  meae  et  anime  de  suprascripto  lohannes  viro  meo 
et  veniam  delictorum  nostrorum  |  simulque  prò  vestra  sacratissima 
hac  pias  horationes,  quas  prò  salute  anime  nostre  et  anime  omnium 
Crisiianorum  in  suprascripto  monasterio  facere  non  cessatis,  proinde 
remunero  et  a  die  presenti  |  dono  vobis,  id  est  vinea  mannarica  in 
iniegrum,  omnia  in  integrum,  ipsa  vinea  et  terra  que  infra  |  subscripti 
affincs  conclauduntur  cum  versulares  («)  et  rasulares  suos  atque  sedi- 
men  ad  calca|torio  suo  ponendum  et  residendum   *  •  *  et  introitu  et 

exoitu  suo  [  ■  •  ■]^^)  in  [ ]  (g)  |  et  cum  omnibus  ad  ipsa  vinea 

in  integrum  pertinentibus  vel  infra  se  et  super  se  abentibus;  atque 
dono  vobis  a  die  |  presenti  tenda  ('')  domui  una  in  integrum,  quas 
mihi  abere  videtur  intro  castello  qui  vocatur  (0  Buccegie  |  cum  clau- 
simen  suum  et  cum  omnibus  ad  ipsa  tenda  domui  in  integrum  pcr- 
tinentia,  seu  et  dono  vobis  prò  re  demptioiie  anime  meae  boves  nu- 

(a)  A  hom  (b)  A  ^]p  (e)  A  ven  (d)  A  nunc  (e)  A  vers  (0  •$/"><'<> 
di  Ire  0  quattro  Itllert  coperto  da  macihia.  (g)  Altro  spazio  di  circa  selle  lettere  coperto  da 
macchia.  (li)  t  su  rasura  di  altra   lettera,  che  pare  d         (i)  A  >.;u 


Cartario  di  S.  T^iclro  in    Vaticano  459 


mero  duobus  (")  et  cuiii  omnibus  ad  ipsa  vinca  et  tenda  domui  C»)  et 
bo|ves  in  integrum  pertinentibus.  Posita  ipsa  vinea  territorio  (')  Silve 
Candide  W  in  iam  («)  dicto  territorio  de  castello  |  qui  vocntur  ("O  Buc- 
cegiae,  quod  est  Inter  affines  ad  ipsa  vinea,  ab  uno  latere  teniente 
Fusco,  et  I  a  secundo  latere  qui  est  a  pede  ballae  qui  vocatur  (f  )  De- 
sinda,  et  a  tertio  vel  a  quarto  latere  ripae  de  ipsijus  vinea  (g),  iuris 
cui  existens.  Unde  et  hanc  a  (•>)  die  presenti  donationis  chartula  (>)  vobis 
feci  atque  |  contradidi.  Hec  omnia  qua  ut  superius  legitur  de  presenti  die 
abeatis,  teneatis,  possideatis,  |  utendi,  fruendi,  possidendi  et  in  usum 
et  salarium  vestrum  vendendi,  donandi,  commutandi,  vel  quic|quid  (0 
exide  (™)  facere  sive  '")  peragere  voiueritis  in  vestram  vestrisque 
successoribus  (°)  sit  potestatem,  |  et  numquam  a  me  ncque  ab  heredi- 
bus  meis  ncque  a  me  summissa  magna  parvaque  persona  |  aliquam 
aliquando  abeberitis  questione  aut  calumnia;  etiam  si  vobis  vestrisque 
successori|bus  necesse  fuerint  contra  omnes  ornine  stare  me  una  cum 
heredibus  meis  et  defendere  promitto  |  omni  in  tempore  gratis.  Hec 
omnia  que  hanc  a  die  presenti  donationis  chartula  (0  seriemtextus|  elo- 
quitur,  inviolabiliter  conservare  atque  adinplere  promitto.  Nam,  quod 
absit,  et  si  ccontra  hec,  que  ut  superius  notata  vel  adscripta  leguntur, 
contra  agere  presumpscro  (p),  |  et  cuncta  non  observavero,  et  minime 
defendere  potuero  aut  noluero,  tunc  |  datura  me  promitto  una  cum 
heredibus  meis  vobis  vestrisque  successoribus  ante  omnem  litis  ini- 
tium  pe|ne  nominum  auri  obtimi  unciae  duabus,  et  post  soluta  pena 
huius  chartula  (')  in  suam  perma|neat  firmitatem.  Quam  scribendam 
rogavi  Theofilactus  scriniario  sanctae  Romanae  1  Ecclesiae,  in  mense 
et  indictione  suprascripta  quinta. 

Signum  >~i  manus  (q)  suprascripta  Rosa  honesta  femina  et  do- 
natrice atque  rogatrice  que  supra  (O  scriberc  (=)  nescit  (0. 

[ ]  mansionario  Beati  (")  Retri  apostoli  scole  oratorio (v). 

[ Beati  Petrij  apostoli  (w)  scole  confessionis. 

[ mJansionarioC")  Beati  Retri  apostoli  scole  confessionis. 

[ Beajtl  Retri  apostoli  scole  confessionis. 

[ l'^or. 

[Ego  Theofilactus  scriniarius  sanctae]  Romanae  Ecclesiae  qui  supraCO 
[scriptor  huius  chartula  fajcta  compievi  et  ab[solvi]. 

(a)  A  dvobus  colla  v  corretta  su  o         (b)  m  corretta  su  u  (e)  La  seconda  o  aggiunta 

in'.crlinearmen'.e.  (d)  Silve  CandLl   su  rasura.  (e)  La  i  corretta  su  altra  lettera,  che 

fare  d   non  compiuta.  (f)  A  Qu  (g)  A  vin  (h)  a  agaiunta  inlerliueannenle, 

(i)  A  cha  (1)  A  que         (tn)   Così  A.  (n)  v  aggiunta  interlinearmente.  (o)  La 

prima  e  su  rasura  di  b  (p)  La  prima  s  corretta  su  p  (q)  A  man  (r)  A  qs 

(s)  In  nota  tironiana.         (t)  A  nt  (u)  A  beli         (v)  t  corretta  su  r         (w)  Di  apo- 

stoli sccrgesi  solo  ì,  ma  la  lettura   non  può  essere  dubbia.  (x)  .  .  ]ans 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  3^ 


4^0  L.   Schiaparelli 


XII. 

10-11  giugno. 

Giovanni  giudice  dativo  col  consenso  della  moglie  Te- 
derada  vende  a  Guglielmo  negoziante  ed  a'  suoi  eredi,  per 
il  prezzo  di  trenta  soldi  di  denari,  una  casa  con  due  magaz- 
zini per  deporre  mercanzie  nel  portico  maggiore,  situata 
nella  città  Leonina  nel  borgo  dei  Sassoni. 

Originale,  caps.  LX,  fase.  220  [AJ. 

Sono  autografe  le  sottoscrizioni  di  Giovanni  giudice,  di  Leone  suo  tìglio 
e  di  Tedirada.  Sul  verso  di  mano  del  secolo  xii  :  «  Sassononorum  (sic)  a 
«  Fontana  ».  Sono  dello  stesso  scriniario  Albino  i  nn.  xiv,  xv,   xxiv. 

[^-<]  In  nomine  Domini.  Anno  nono  domni  Benedicti  noni  pa- 
pae,  indictione  nona,  mense  iuneo  |  •  •  •  •  (a).  Quoniam  certuni 
est  me  lohannem  dativum  iudicem,  consentientem  |  [in]  hoc  milii 
Tederadam  coniiigem  meam,  hac  die  cessissem  et  cessi  atque  tra- 
didi  I  [ne]c  non  publice  et  inrevocabiliter  venundabi  propria  sponta- 
neaque  voluntate  tibi  |  [VJuilielmus  negotiens  tuisque  heredibus  et  cui 
tibi  largiti  et  concedere  placuerit,  |  [ìd]  est  domum  unam  in  integrum 

terrinea  scandoliciam  cum  inferiora  et  superiora  sua  |  [ ]  p[ost]  se 

et  ergasteriis  duobus  ad  preponenda  negotia  (*>)  in  portico  malore  | 
[cum]  pergula  et  curte  ante  se  et  pila  aperta  cum  introitu  et  exitu  suo 
et  I  omnibus  eius  pertinentibus.  Positam(')  intro  civitatem  nobam  quo 
vocaturW  Leoniana  in  burgo  Saxo|norum  inter  affines,  a  primo  latere 
teniente(«)  lohannem  presbiterum  venerabilis  monasteri  Sanctorum  lo- 
hannis  et  Pauli,  |  a  secundo  Maura  de  Grazzo,  a  tertio  heredcs  Duranti, 
a  quarto  via  per  porticum  maiore,  iuris  cui  cxistit.  Veluti  mihi  evcnit 
per  chartulam  meae  acquisitionis  |  [ti]bi  tuisque  heredibus  cedo,  trado 
et  venundo.  Unde  et  hanc  chartulam  vindicionis  |  [cont]radidi,  prò  qua 
etiam  recepì  a  te  in  pretio  solidos(^0  denariorum  triginta  in  prescntia 
supscriptorum  testium,  ut  ab  odierna  die  licentiam  et  potestà  |  habeas 
in  suprascripta  (%)  domum  et  terram,  ut  superius  legitur,  de  presenti 
introeundi,  utendi,  ]  fruendi,    possidendi,  vindendi,  donandi,  commu- 


(«)  Spn-io  coperto  da  macchia,  ma  non  ti  scorge  traccia  alcuna  di  scrittura,  sicché  venne 
■  laiciato  in  bianco  per  ti  giorno  del  mese.         (b)  A  preponen.I  neg         (e)  .-t  pos         (J)  .4  qu 
(e)  W  t:n         (0  ^  »ot         (g)  A  siti 


Cartario  di  S.  ''Pietro  in    Vaticano  ^6i 


tandi,  et  quicquid  exinde  |  facere  volueris  in  tua  tuorumque  heredum 
sit  potestate,  et  nunquam  a  me  neque  |  ab  heredibus  meis  neque  a 
me  summissa  persona  aliquam  aliquando  habebis  |  [qu]estioncm  aut 
calumniam  (»),  set  etiam  stare  me  una  cum  heredibus  meis  et  |  defen- 
derc  promitto  tibi  tuisque  heredibus  ab  omni  homine  in  omni  loco 
in  tempore  omnis.  |  Et  hec  omnia  inviolabiliter  conserbare  et  adim- 
plere  promitto.  Si  enim,  quod  absit,  |  contra  hanc  chartulam  vindi- 
cionis  agere  (*>)  aut  causari  vel  litigari  presumsero  et  |  cunta,  ut  su- 
perius  legitur,  adimpleri  noluero  aut  non  potuero,  tunc  compositurum 
me  esse  |  promitto  una  cum  heredibus  meis  tibi  tuisque  heredibus 
ante  omne  litis  initium  pene  nomine('=)|suprascriptum  pretium  duplum, 
et  soluta  pena  hec  chartula  vindicionis  in  sua  maneat  nihilominus 
firmitate.  Q.uam  scribendam  rogavi  Albinum  scriniarium,  in  mense  et 
indictione  suprascripta  nona. 

>^  Signun  (J)  lohannes  (e)  iudice  benditore  et  rogatore. 

y^  Leo  filius  (f)  lohannes  (0  iudice  consensit. 

>^  Signum  Tedirada  qui  hac  chartula  consensit. 

>^  Bcrnus  Ciracoculus. 

>J<  lohannes  Albanese. 

>J<  Leo   Guala. 

>^  lohannes  Buccalaccia. 

>5<  Melius  negotiens  (g). 

Ego  Albinus  scriniarius  sanctaeRomanae  Ecclesiae  compievi  et  absolvi, 

xiir. 

1043   "larzo. 

Crescenzio  arciprete,  Benedetto  detto  Galla,  Giovanni 
secondo  e  Benedetto  terzo  preti  dei  monastero  di  S.  Mar- 
tino danno  in  livello,  da  rinnovarsi  ogni  diciannove  anni, 
a  Pietro  detto  «de  Rapizzo»  due  case,  di  cui  una  congiunta 
col  portico  di  S.  Pietro  e  con  magazzino  entro  il  portico 
per  deporvi  mercanzie,  situate  nella  città  Leonina  nel  borgo 
dei  Frisoni,  per  il  prezzo  di  quattordici  oncie  d'argento 
e  coli' annua  pensione  di  undici  denari.  Inoltre  ad  ogni 
rinnovazione  Pietro  «  de  Rapizzo  »  dovrà  pagare  dodici 
soldi  d'argento  e  dieci  denari. 

(a)  A  cai       (b)  A  agre       (e)  A  nomi        (d)  A  sigun        (e)  A  iolis       (f)  A  silius 
(g)  -^  neg 


4^2  L.   Schiaparelli 


Originale,  caps.  LXI,  fase.  222  [A]. 

Nelle  sottoscrizioni  pare  autografo  il  tratto  orizzontale  delle  croci. 

>5«  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  C^)  lesu  Christi.  ^ 
[Eg]o  vobìs  peto  domnus  Cresscentius  Domini  gratias  religioso  ar- 
chipresbitero  de  venerabili  monasterio  Sancii  Christi  confessoris  Mar- 
tini, qui  poniturC»)  post  absidas  Beati  Pctri  apostoli,  seu  Benedicto 
qui  vocatur  Galla,  |  [seu  loliannes  secundo]  et  alio  Benedicto  tertio 
religiosis  presbiteris,  consentientem  in  hoc  a  nobis  cunctas  congre- 
gationes  presbiteroruni  a  magno  usque  ad  parbo  eiusdem  venerabili 
monasterio  (-),  uti  mih[i]  |  Petrus  vir  magni fic us  (<^)  et  qui  vocor(e) 
de  Rapizzo  heredesque  meos  habeam  liccntiam  ad  supplendum  et 
detinendum  inferius  conscriptos  (*^)  annos,  quatinus  cum  Christi  auxi- 
l[io  lo]|care  committereque  iubeas  libellario  nomine,  id  est  duabus 
in  integrum  domora  solarate  scandoliciae,  una  quidem  domora  qui 
est  coniucta  cum  porti|co  Sancti  Petri  cum  argasteria  in  integrum 
intus  portico  ad  negotia  repreponendum  <s)  atque  inferiora  et  superiora 
sua  a  solo  terre  et  usque  ad  summo  tecti,  |  nec  non  et  alia  domora 
maiorCi)  item  solarata  scandolicia  cum  preforulo  et  scala  lignea  omnia 
ante  se  et  terra  vacante  |  post  se,  omnia  in  integrum  cum  inferiora  et 
superiora  sua  a  solo  terre  et  usque  ad  summo  tecti  una  cura  introita  et 
exoita  earum  et  cum  omnibus  ad  s[uprascriptis]  |  duabus  in  integrum 
domoras  pertinentibus.  Positas(')  intus  civitate  noba  qui  appellatur  (') 
Leoniana  in  burgo  qui  vocatur  (e)  Frisonorum,  affines  eius  ab  una 
domora  qui  est  |  coniucta  cum  suprascripto  portico,  ab  uno  latere  de- 
tinet  Petrus  lanista  et  qui  vocatur  Longo,  et  a  secundo  latere  retro  via 
communae,  et  a  tertio  latere  detinet  Cresscen  tio  de  Bonizza,  et  a 
quarto  latere  via  qui  pergit  per  suprascripto  portico;  ab  alia  domora 
qui  est  iuxta  eius  domora  in  ipso  suprascripto  burgo,  affines  eius,  ab 
uno  I  latere  detinet  Romanus  nepto  tuo,  et  a  secundo  latere  detinet 
Theodora  de  presbiter  Stephano,  et  a  tertio  latere  viculum  com- 
munae et  detinet  Cenci]o,  et  a  quarto  latere  via  communae  qui  pergit 
usque  in  via  publica,  infra  os  vero  affines  duabus  in  integrum  domora 
solarata  scandolici|ae  cum  argasteria  ante  se  et  terra  vacante  post 
se  pertinentibus  iuris  suprascripti  dominii,  ad  tenendum,  colendum, 
fruendum,  conciandum,  f[ines]  |  eius  rezzelandum  melioraiidumque 
in  omnibus  a  die  kalendarum  martiarum  presenti  undecima  indictionc 
et  usque  in  pridias  kalenJasC")  ejasdem  vices  (")  in  annos  continui- 
mus  decem   et  nobem    complendum  et  renobandum  in  alios  tantos 

(«)  ^  In  n  dni  di  salu  n         (b)  A  qp  (e)  A  uen  mono         (d)  A  um        (e)  A  o,u 

(0  ij ricriptot      {^)  Cosi  A,      (h)  W  maio     (i)  ^  pos       (\)A<\a      {m)  A  \\ì      {a)A\iUti 


Cartario  di  S.  T^ietro  in    Vaticano  463 


decem  et  nobcm  annos.  Unde  mine  prò  li'bellatico  reccpistis  vobis 
qui  supra  («)  domnus  a  me  qui  supra  (»)  libcllarius  C')  prò  hunc  libellum 
argenti  uncias  (<=)  numero(d)quatuiordecim  (e),  et  prò  renovandoCO  vero 
eo  tempore  quo  |  renovare  (f)  debeo,  vobis  tribuere  debeo  argenti 
solidos  duodecim  et  denarios  decem  (g),  ita  sanet  CO  ut  prestet  exinde 
rationibus  pars  (>)  meam  vestrisque  partis  suprascripti  do|minii  sin- 
gulis  quibusque  anniss  (0,  ne  aliquam  mora  ve!  dilatione  pensionis 
nomine (™)  denarios  in  capo(")  ierit  numero  undecim  in  mense  marlio, 
et  si  in  ipso  mense  |  data  et  persoluta  non  fuerit,  in  mense  aprelis 
duppla  cius  vobis  dare  promitto,  eo  vero  tenore  et  placito  ut  non 
habeam  licentiam  ego  qui  supra  (a)  |  libellarius  hunc  libellum  vel 
annos  quod  in  eum  contlnet  ad  nullam  extraneam  personam  magna 
vel  parba  vendere  vel  per  quolibet  modo(o)  cedere,  |  set  si  fortasset  CO 
mihi  necesse  est  ad  vos  qui  supra  (»)  domnus  iustum  pretium  quantum 
iustae  apretiatum  fuerit  minus  solidos  quinque,  et  si  autem  emere 
[no]|lueritis,  tunc  licentiam  habeam  venumdare  cui  voluero  ad  talem 
hominem  que  suprascripta  pensione  (p)  vobis  annuatim  persolvat,  ea 
videlicet  ratione  et  |  statutum  inter  nobis,  ut  si  autem  ego  qui  supra  W 
libellarius  prò  animae  meae  (q)  relinquere  voluero  (0,  non  abeam 
licentiam  nec  potestatem  relinquendi  nisi  suprascripto  |  venerabili  ve- 
stro  (•)  monasterio  prò  meaeque  animae  (0.  Si  qua  vero  pars  (0  cen- 
tra fidem  eorum  libellorum  venire  temptaverit,  det  pars  (0  infidelis 
pars  (')  partis  fidem  servan  te  ante  omne  litis  initium  pene  nomine  (") 
auri  cocto  uncias  decem,  et  post  penam  absolutam  manentem  huius 
libelli  (v)  chartulae  in  suam  manead  firmitatem.  Unde  |  peto,  ut  unum 
ex  duabus  libellis(v)  uno  tenore  conscriptosO^')  per  manum  (»)  lohanni 
scriniarii  sanctae  Romanae  Ecclesiaeuna  cum  vestra  roboratione  mihi 
contradere  dignetis,  ut  dum  consecutus  [  fuero,  agam  Deo  et  vobis 
maximas  gracias.  Tempore  domni  nostri  Benedicti  noni  pape  anno 
udecimo  Q^),  in  mense  et  indictione  suprascripta  undecitna. 

Signum  >5h  manusW   suprascripto   Petrus   vir   magnificus  (y)  de 
Rapizzo  et  libellarius  (b)  qui  supra  (=>)  scribere  W  nescit  (^a). 

>J<   Bobo  vir  magnificus  (y)  de  Petrus  Guazzo. 

y^  Dominico  vir  magnificus  (y)  Marone  vocatus  C'''). 

t5<  Crescentio  vir  magnificus  (y)  de  presbiter  Teuzo  vocatus  (bb). 


(a)  A  qs  (b)  A  libetta  (e)  A  une  (d)  A  num  (e)  quattuordecim 

scrino  dopo  Ja  prima  mano  nello  spazio  lascialo  in  bianco.  (f)   A  ren  (g)   duodecim 

et  den  decem  s:rillo  dopo  da  prima  mano  vello  spa^^io  lascialo  in  bianco,  (h)  Cosi  A. 
(i)  A  pars  (1)  A  anniss  (m)  A  nomn  (n)  A  cap  (o)  A  quoh  movì  (p)  A 
ssta  pens  (q)   A   anim  meae         (r)  uo  su  cancellatura  di  de  (s)  A  vestr  (t)  A 

aniin         (u)  A  nom         (v)  A  libett         (w)  A  cscriptos  (x)  A  man  (y)  A  um 

»  »  — ~ 

(z)  In  itola   tirouiaiia.  (aa)   A  nt  (bb)  A  uoc 


4<54  ^'   Schiaparelli 


Kp  Ego  lolianncs  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  facta  coni- 
plaevi  et  absolvi. 

XIV. 

1045   giugno  6. 

Crescenzio  prete  del  monastero  di  S.  Martino  «  de 
«  Sassa  »  col  consenso  di  Sassa  «  honesta  femina  »  e  dei 
preti  di  S.  Martino  vende  al  prete  Benedetto  la  metA  di 
una  vigna  colle  dipendenze  posta  fuori  porta  Aurea  nel 
fondo  Talliano,  per  il  prezzo  di  cinquanta  soldi  di  denari. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  222. 

Martorelli,  op.  cit  p.  104,  cit. 

Sono  autografe  le  sottoscrizioni  di  Crescenzio  arciprete  e  dei  preti  Bene- 
detto e  Pietro;  pare  autografa  la  «J»  dopo  signum.  Nelle  altre  sottoscrizioni  è 
autografo  il  solo  tratto  orizzontale  delle  croci. 

^  In  nomine  (*)  Domini.  Anno  undecimo  domni  Benedicti  noni 
papae,  indictione  undecima,  '  mense  iuneo,  die  sexta.  Quoniam  certum 
est  me  Crescentium  religiosum  presbiterum  [  venerabilis  monasteri 
Sancti  Martini  qui  vocatur  W  de  Sassa,  consensientem  (=)  in  hoc  mihi 
Sassam  \  honesta  femina  W  et  per  consensum  et  voluntatem  (e)  pre- 
sbiterorum  Sancti  Martini,  hac  die  cessisseni  I  et  cessi  atque  tradidi 
nec  non  publice  et  inrevocabilaer  venundabi  |  propria  spontaneaque 
voluntate  tibi  Benedicto  religioso  presbitero  qui  vocatur ('')  de  presbi- 
tero 1  Constantio  tuisque  heredibus  et  sucessoribus  et  cui  tibi  largiri 
et  concedere  |  placuerit,  id  est  integram  medietatem  que  est  mesor- 
tione  de  j  petium  unum  bineae  magnaricc  quantacumque  infra  sub- 
scriptos  affines  |  conclauduntur  cum  versularibus  et  rasularibus  suis 
atque  vasca  lapidea  una  cum  introitu  et  exitu  suo  et  omnibus  eius  ] 
pertinentibus.  Posila C)  foris  portam  Auream  in  fundoTaliano(g)  ■  inter 
affines  tota  ipsa  binea,  a  primo  latere  teniente  (•>)  tu  qui  superius  (') 
emtorem  et  Bezzo  presbiterum  simulque  lohannem  presbiterum  de 
Zatro,  a  secundo  formam  |  Sapbatina  et  lohannem  presbiterum  simul- 
que Nitto  presbiterum,  a  tertio  (')  locum  I  commune  (m)  ad  calcato- 
rium  (n)   ponendum,  a   quarto   viam    publicam    iuris  Sancti]  Martini. 

(»)  A  n         (h)  A  qu  (e)  A  con»         (d)  A  li  fem  (e)  A  uot        (0  ^  P"* 

(%)  La  i  cornila  sn  allra  (filerà  principiala,  forse  a         (h)  A  ten         (i)  A  qsp         (I)  A 
leni         (m)  A  comm         (n)  A  ad  catoriura 


Cari  aria  di  S.  '^Pietro  in    Vaticano  4^5 


Veluti  mihi  evenit  per  chartuhim  nicae  acquisitionis  ita  tibi  |  luisque 
heredibus  et  sucessoribus  cedo,  trado  et  venundo,  ea  ratione  ut,  ;  si 
tibi  necesse  fuerit  venundari  et  dominatores  emere  nolu|erint,  non 
au.ieas  eam  alieni  venundari  nisi  milii  tantu  pretium  |  quantu  tu 
mihi  exinde  iribuisti,  et  si  emere  noluero,  licentiam  |  habeas  ve- 
nundari (»)  cui  volueris.  Unde  et  liane  chartulam  vindicionis  |  ad  de- 
cima in  suprascripto  monasterio  reddenda  0)  tibi  contradidi.  Pro  qua 
etiam  recepi  I  a  te  in  pretio  solidos  denariorum  (<:)  quinquaginta  in  pre- 
sentia  subscriptorum  testi  um,  ut  de  presenti  introeundi,  utendi, 
fruendi,  possidendi,  vindendi,  [  donandi,  conimutandi  et  quicquid 
exinde  facere  volueris  |  in  tua  tuorumque  heredum  et  successorum 
sit  potestate,  et  numquam  a  me  |  [njeque  ab  heredibus  et  succes- 
soribus  meis  neque  a  me  summissa  persona  |  [aliquam  a]liquando 
habebis  questionem  aut  calumniam  i'^),  set  etiam  |  [stare  me]  una 
cum  heredibus  et  successoribus  meis  et  defendere  promitto  tibi  tuis- 
sque  ]  hferedibus  et]  successoribus  ante  omne  litis  initium  ab  omni 
homine  in  omni  |  [loco]  in  tempore  omnis.  Et  hec  omnia  inviolabi- 
liter  conserbare  et  |  [a]dimpleri  promitto.  Si  enim,  quod  absit,  contra 
hanc  chartula  (0  litigari  [  presumsero,  et  cunta,  ut  superius  legltur, 
adimpleri  noluero  aut  non  |  potuero,  tunc  compositurum  me  esse 
promitto  una  cum  heredibus  et  sucessoribus  [  meis  tibi  luisque  heredi- 
bus et  successoribus  pene  nomine  (f)  suprascriptum  pretium  duplum,  | 
et  soluta  pena  hec  chartula  in  sua  maneat  nihilominus(g)  firmitate. 
Quam  scribendam  rogavi  Albmum  scriniarium,  in  mense  et  indictione 
suprascripta  undecima. 

Signum   >J<   manus  (h)  Crescentii  presbiteri  rogatoris. 

Signum  ^  manus  W  Sasse  honesta  femina  (>)   confirmatricis. 

>J<  Crescentius  archipresbiter  Sancti  Martini  a  Sancto  Petro. 

)^  Benedictus  presbiter  secundus. 

y^  Petrus  presbiter. 

>J<  Crescentius  de  Bonizzo  qui  vocatur  de  Petro  sarto  testes. 

>^  Zoncius  mansionario  W  fìlius  Uvonis  testes. 

>J<  lohannes  de  lubene  testes. 

)^  lohannes  mansionario  (k)  Sanct?  Petornill?  testes. 

\^  Petrus  de  lohanne  portarario  testes. 

Ego  Albinus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  compievi  et  ab- 
solvi. 


(a)  -s  V-  corretto  su  m  (b)  A  re.fd  (e)  A  den         (d)  A  cai  (e)  A  chla 

(f)  A  nomi  (g)  A  nihlo  (li)  A  man  (i)  A    h  fem  (k)  A  mans 


466  L.    Schiaparclli 


XV. 

1055  (gennaio-settembre). 

Costiinza  figlia  di  Bellizone  e  di  Roccia  dona  i  suoi 
averi,  riservandosi  V  usufrutto,  a  Benedetto  arciprete,  a  Be- 
nedetto ed  a  Pietro  preti  di  S.  Martino. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  222  [AJ. 

Pergamena  assai  danneggiata  dai  sorci,  che  asportarono  tutta  una  striscia 
a  sinistra.  Le  sottoscrizioni  sono  dello  scriniario  Albino.  Dall'  indizione  vi, 
se  costantinopolitana,  si  argomenta  che  la  data  sia  anteriore  al   1»  settembre. 

[>J<  In  nomine  Domini.  Anno  .  .  .  domni  Leojni  noni  papae 
atque  Enrici  imperatoris  anno  septimo,  indictione  sexta,  mense  |  [  .  .  . 

]  Quoniam  (»)  certum    est   me    Constantiam   diaconam 

filiam  domni  Beilizzoni  et  Roccia  pie  re[co]rdationis  |  [ ] 

sub  usufructu  dierum  vite  nieae  dono,  cedo,  trado  et  inrevocabiliter 
offero  ex  (>>)  |  propria  spontaneaque  voluntate  vobis  Benedicto  relioso 

arcliipresbitero  venerabilis  monasteri  Sancii  Mar|[tini eccjle- 

siam  Sancti  Petri  apostoli  atque  Benedicto  presbitero  et  secundo  si- 

mulque  Petro  religioso  presbitero  et  tertio  |  [ ordinjatis    vel 

ordinaturis  predicti  («)  monasteri  in  perpetuum  prò  Dei  nanque  omni- 
potentis  amore  mercedeque  |  [redemptione  anime  mee]  genetricisque 
mei  omniumque  Christianorum  vestrisque  sanctis  atque  sacris  orationi- 

bus,  d[o]natumque  |  [ ]  sex  in  integrum  principales  uncias  ex 

omnibus  ercditatibus  meis  immobilibus,  bineis  e[t  tejrris  |  [ ] 

vel  de  qualecumque  hereditate  mihi  pertinere  videtur  ex  paterna  seu 
materna  avi  avieque  ]  [hereditate],  exscepto  quod  non  vobis  dono,  terra 
ab  Apriniana;  de  cuntis  aliis  meis  hereditatibus  |  [ ]  sex  princi- 
pales uncias  vobis  dono  usufruendi  vite  meae  detineam  ;  in  tempore 
obiti  mei  in  |  [suprascripto  monasterio  o]mnia  deveniat  potestate  ad 
utilitatem  predicti  monasteri  Sanctorum  Martini  et  Blasii  iaciend|[um 
quicquid  exinde  volueritis,  et  nunjquam  a  me  neque  ab  heredibus 
meis  neque  a  me  summissa  persona  aliquam  aliquando  habebitis  quc- 
stii[onem  aut  calumniam,  sed  stare  m]e  una  cum  lieredibus  meis  et  de- 
fenJere  promitto  vobis  vestrisque  successoribus  ab  homine  omni  in 

(aj  A  <J..  (b_)  ijiii  {■robabilmtnie  l'originale  prestiilava  un  largo  sjm^io  in  bianco  i 

il  vocabolo  propria  e  slaccalo  dal  guaslo  della  pergamena,  ni  ti  scorge  Iraecia  ili  lillera,  inoltre 
la  formula  e  compiila.  (e)  Segue  rasura  di  s 


Cartario  di  S.  T^ietro  in    Vaticano  ^6j 


omni  I  [tempore  in  onini  loco.  Et  hec  o]mni;i,  ut  superiusC»)  legitur, 
inviolabiliter  conserbare  et  adimplere  promitto.  Si  quis  aiitem  cen- 
tra I  [hanc  chartulani  venire  teniptav]erit,  aut  esinanire  et  disruinpere 
voluerit,  divino  iudicio  reus  se  existere  congnoscat,  |  [scilicet  cum  luda 
Schariota  traditore  domini  njostri  lesu  Christi  et  cum  (b)  omnibus 
sacrilegis  et  impiis  in  inferno  sit  sociatus  et  a  regno  Dei  extra- 
neus  I  [existat;  insuper  componajt  vobis  vestrisque  sucessoribus  sex 
purissimi  auri  libras  et  sex  alias  libras  in    sacro    Lateranensi   pala- 

tio  I  [ ]  vindicare  non  valeat,  set  hec  chartula  firma  et  sta- 

bilis  semper  (<:)  sit.  Scripta  per  manum  W  \  [Albini  scriniarii,  in  mense 
et  injdiclione  suprascripta  sexta. 

[Signum  ì^  manus  suprascriptae  CJonstantiae  diaconae  roga- 
tricis. 

[ ]ata. 

ì^  Falcone  filius  eius. 

>J<  Sasso  mansionario  (e)  Sancte  Crucis.  ^ 

Ego  Albinus  scriniarius  Sanctae  Romanae  Eclesiae  compievi  et  absolvi. 


XVI. 

10)3   marzo  21. 

Leone  IX  conferma  ai  canonici  di  S.  Pietro  stabiliti  nel 
monastero  di  S.  Martino  i  privilegi  e  le  donazioni  di 
Leone  IV,  di  Carlo  Magno,  di  Giovanni  X  e  di  Gio- 
vanni XIX  e  segnatamente  il  possesso  della  chiesa  di  S.  Sal- 
vatore detta   «  schola  Francorum  w. 

Copia  notarile  membr.  1562,  novembre  8  (i),  caps.  IV,  fase.  9  [B].  Estratto 
notarile  1289  maggio  14  (2),  caps.  LXXIII,  fase.  138  [C].  Copia  1522,  B, 
Transumpta  authentica  &e.  e.  70  b,  da  B  =  Copia  see.  xvi,  I,  Exemplaria 
lullarum  Scc.  e.  177.  Estratto  see.  xvi,  C,  Transumpta  authentica  &c.  e.  222, 
da  C.  G.  Grimaldi,  Catalogus  omnium  archipresbyterorum  sacrosanctae  Vati- 
canoe  lasilicae,  1620.  Ms.  H,  I,  bibl.  Gap.  e.  15  b,  rag.  Copia  cart.  see.  xvii, 
ms.  G,  94,  e.  115,  da  B  (bibl.  Vallicelliana).  Informatio  abbreviata  (L,  Exem- 

(a)  A  sp  (b)  cum  aggiunto  inlerlinearmenie.  (e)  era  corretto  iu  altre  lettere. 

(d)  A  man         (e)  A  mani 

(i)  L'autenticazione  è  riprodotta  per  intiero  nel  BnUario  Vati- 
cano, I,  28. 

(2)  Per  l'autenticazione  vedasi  p.  ^01. 


4^8  L.    Scìiiaparelli 


pìaria  huìlaruin ...  ardi.  Gap.  S.  Pietro),  1655,  dicembre  17,  reg.,  da  processo 
del  1554.  Estratto  del  sec.  xvii,  nel  ms.  H,  61,  e.  100  (bibl.  Gap.).  Copia  sec.  xvii 
nel  ms.  Gasanatense  2098  (X,  $,  25),  e.  55,  da  B,  con  note.  Gopia  sec.  xvii 
nel  ms.   1104  (41,  F,  25),  e.  108,  da   B  (bibl.  Gorsiniana). 

Bosio,  Roma  sotterranea,  p.  115,  estr.  lUiìhirio  raticaiio,  I,  22,  da  B  =  Van 
DEN  Bekgh,  Oorkondeubock  van  Holland  en  Zeeìand  {1866),  I,  i,  52  =  Migne, 
145,  p.  704. 

Regesto:  Jaffé  -  L.  n.  4292, 

La  copia  B  e  l'estratto  G  dipendono  senza  dubbio  dall'originale.  B  ripro- 
duce con  precisione  caratteri  estrinseci  dell' es  cat  ocol  lo  ,  come  la  «rota», 
il  a  bene  valete  »  ed  il  «comma».  Delle  bolle  di  Giovanni  X  e  XIX,  confer- 
mate col  presente  privilegio,  non  ci  pervenne  il  testo.  Nella  presente  stampa 
sono  in  carattere  corsivo  i  passi  e  le  parole  che  dipendono,  sia  direttamente, 
sia  pel  tramite  delle  due  bolle  citate  e  oggi  perdute,  da  Leone  IV,  J.-E.  n.  265  j 
(n.  II  della  presente  edizione).  Per  la  topografia  si  cf.  le  note  nell'edizione  del 
Bullario  Fatte,  e  Tomassetti,  op.  cit.  Ili,  14}  sg.  per  i  fondi  di  via  Aurelia, 
e  III,   165   sg.  per  quelli  di  via  Gornelia. 

Leo  episcopus  servus  servorum  Dei.  lohanni  archipresbitero  vc- 
nerabilis  ecclesie  Beati  Petri  apostoli  et  eiusdem  ecclesie  canonicis  in 
nionasterio  Sancti  Martini  nunc  ordinatis  et  ordinandis  ut  in  choro 
Beati  Petri  die  noctuque  divina  officia  decaiitent  in  perpetuum.  Con- 
venit  apostolico  moderamini  pia  religione  pollcnlibus  benivola  com- 
passione succurrere,  ac  poscentium  animis  alacri  devotione  impertiri 
assensum  ;  ex  hoc  enim  lucri  (»)  potissimum  premium  apud  condito- 
rem  omnium  Deum  promeremur  si  venerabilia  loca  ordinata  ad  me- 
liorem  fuerint  statuni  sine  dubio  perducta.  Igitur  quia  postulastis  a 
nobis  quatinus  confirmaremus  que  (*>)  a  sanctissimo  Leone  quarto  papa 
et  a  quibusdani  pontificibus  Romanis  vobis  sunt  concessa  et  per  pri- 
vilegia confirmata,  ob  amorem  Dei  omnipotentis  et  beati  Petri  apo- 
stolorum  principis  et  auree  Rome  defensoris  et  beati  Martini  confes- 
soris,  cuius  ecclesia  est  sita  post  absidam  in  introitu  ipsius  ecclesie 
iuxta  ferrata  {■:),  vestris  precibus  inclinati,  que  iuste  po.stulastis  ad 
esemplar  predecessoris  nostri  Leonis  quarti  et  Karoli  imperatoris  et 
aliorum  pontificum  Romanorum  loliannis  decimi  et  lohannis  noni 
decimi  presentis  scripti  privilegio  conlìrmamus,  statuentcs  [ut]('i)  quas- 
cumque  possessiones  quecumque  bona  eidem  venerabili  nionasterio 
iuste  perlinent  et  in  futurum  concessione  pontificum,  oblatione  fide- 
lium  seu  aliis  iustis  modis,  annuente  Domino,  poterit  acquircre,  firma 
vobis  vestrisque  successoribus  et  illibata  (=)  permaneant.  In  quibus  hec 

(a)  C  lucro         (b)   C  qol  (sic)  (e)   C  serrata         (d)  ut  onitsso   in  B  C         (e)   C 

inlìbita 


Cartario  di  S.  Tielro  in    Vaticano  469 


propriis  duxinius  exprimcnda  vocabulis,  videlicet  ecclesiam  Domini 
nostri  Salvatoris  que  vocatur  scola  Francorum  una  cum  suis  posses- 
sionibus  et  usibus  et  utilitatibus,  quas  Karolus  imperator  ecclesie 
Sancti  Salvatoris  donavit  et  per  privilegium  confìrmavit  et  Leo 
quartus  privilegio  concessit,  et  censiis  quos  de  ultramontanis  partibus 
annuatim  statuerunt  mieti  et  recipi  per  manus  mìnistrorum  concedimus 
eidem  monasterio  permanendos  ad  utilitatem  eorum  qui  in  choro 
Beati  Pctri  Deo  alacri  animo  serviunt,  positam  iuxta  murum  civitatis 
nobie  que  vocatur  Leoniana  super  Terrionem,  constitutam  ad  sepul- 
turam  omnium  hominum  de  qualibet  parte  (*>)  mundi  Romani  vc- 
nientium  qualicumque  ex  causa,  siculi  a  Leone  IIIL'°  concessum 
est  diete  ecclesie  Sancti  Salvatoris.  Set  si  de  ultramontanis  partibus 
fuerint  peregrini  et  advene,  divites  et  pauperes,  nobilcs  vel  ignobiles, 
quoscumque  mori  contingerit  in  hac  alma  urbe  Roma  vel  in  circuitu 
eius,  sicuti  ab  Alba  usque  Sutrium,  omnes  in  iam  dieta  ecclesia  Sal- 
vatoris sepelliantur,  nobiles  et  ignobiles,  divites  et  pauperes,  advene 
et  peregrini,  aut  ubi  vos  iusseriti?,  si  necessitas  compulerit.  NuUus  pre- 
suma! aliquem  illorum  aut  bona  eius  occultare  aut  centra  voluntatem 
vestram  retinere,  preter  Anglos  venientes  de  Anglia.  qui,  si  in  scola 
Saxie  infirmantur  et  ibi  moriuntur,  ibi  sepelliantur  secundum  cartulas 
locationum,  quas  presbiteri  et  hospites  qui  vocantur  scolenses  ipsius 
scole  Saxie  susceperunt  ab  ecclesia  Sancti  Salvatoris  de  ecclesia  cum 
camminatis  et  scola  Saxie  et  omnibus  eius  pertinentiis,  nec  non  de 
sepultura  Anglorum  qui  in  ipsa  infirmantur  atque  moriuntur  scola  ; 
set  si  preter  ipsam  infirmantur,  ubicumque  moriuntur,  in  ecclesia 
Sancti  Salvatoris  sepelliantur  secundum  proprium  ius.  Imperator  au- 
tem  et  Leo  papa  quod  ecclesia  Salvatoris  habuerat  non  abstulerunt, 
set  ilii  de  gratia  multa  dederunt,  et  privilegiis  concesserunt.  Ideo  nos 
concedimus  pensiones  in  monasterio  Sancti  Martini  bis  in  anno  dari 
a  presbiteris  Sancte  Marie  et  locationes  ab  utraque  parte  teneri.  Frises 
etiam  qui  infirmantur  extra  scolam  Frisonum,  que  vocatur  ecclesia 
Sancti  Michaelis,  in  ecclesia  Sancti  Salvatoris  sepelliantur  secundum 
tenorem  locatlonis  (t>)  quam  presbiteri  Sancti  Michaelis  susceperunt 
a  presbiteris  Salvatoris.  Exceptamus  etiam  omnes  peregrinos  et  ad- 
venas  Latinos  quotquot  moriuntur  in  civitate  Leoniana  et  extra 
ad  tria  miliaria,  quos  sepelliri  concedimus  in  ecclesia  Sancti  lustiiii, 
que  vocatur  scola  Longobardo  rum,  et  secundum  tenorem  locationis 
eisdem  munitur  rationibus  in  Latinis  quibus  ecclesia  Salvatoris  in 
alìis  gentibus.  Omnes  alii  peregrini  et  advene  qui  in  civitate  Leo- 
niana et  in  circuitu  eius  per  tria  miliaria  obierint,  ultramontani  quoque 

([a)   In   B  parte  aaaiunlo  iiilerìineiìrmtnte.  (b)   La  s  su  rasura. 


470  L.   Schiaparelli 


ab  Alba  usque  Sutriuni,  sicut  superius  Jictum  est,  in  predicta  ecclesia 
Sancii  Salvatoris  cum  obseqiiio  sacerdotuni  sepeliantur.  Niilliis  oc- 
cultet  infirmuni  ut  intestatus  decedat,  set  prcsbiteris  ipsius  ecclesie 
aut  procuratori  vostro  antcquain  mente  alienetur  nunctiare  festinet; 
si  defunctus  fuerit,  ipsum  et  bona  eius  non  celet,  set  cito  presbitcris 
propalare  pergat  ;  similiter  nullus  audcat  infirmuni  de  alterius  domo 
malitiose  aut  furtim  abstrahere  vel  suadere  de  domo  seu  de  civitate 
exire,  ne  forte  deceptus  suis  bonis  expolietur  et  in  via  derelictus  male 
moriatur  et  a  canibus  seu  a  lupis  devoretur,  set  cum  vestra  volun- 
tate  et  iudicio  mutentur  ubi  competentius  eis  serviatur  atque  prò 
substentatione  et  sanitate  corporis  ex  suis  rebus  fideliter  ministretur, 
ne  per  incuriam  ipsi  pereant,  et  bona  eorum  dilapidcntur  ;  set  si  tante 
valitudinis  fuerit  intìrnius  ut  aJ  patriam  suam  reddire  possìt,  suis 
omnibus  receptis,  cum  vestra  providentia  ire  permictatur,  nulla  res 
exinde  prò  licentia  retineatur,  etiamsi  promissa  fuerit,  nichil  accipiatur, 
et  secundum  locationem  quam  omni  populo  civitatis  Leonianc  fecit 
ecclesia  Sancti  Salvatoris  de  hospitandis  oratoribus  et  vendendis  ne- 
cessariis,  sicut  ipsi  ad  recompensationem  utilitatis  locationis  in  pre- 
sentia  Leonis  quarti  concesserunt  monasterio  Sancti  Martini  et  ec- 
clesie Salvatoris,  quod  nos  concedimus  et  confirmamuì,  ut  quicumque 
de  habitatoribus  civitatis  Leoniane  et  extra  ad  unum  miliarium  sine 
filio  vel  filia  de  legitimo  coniugio  decesserit,  omnes  res  mobiles  et 
immobiles,  quas  tunc  liabuerit  in  dicto  monasterio,  ad  utilitatem  fra- 
trum  vadant,  et  nulli  audeat  aliquid  de  bonis  suis  relinquere  nisi 
expensas  prò  sepultura  et  si  quid  alieni  debuerit.  Simili  modo  qui- 
cumque de  servientibus  aut  de  tabernariis  cuiuscumquc  conditionis, 
si  absque  herede  obierit,  omnia  eius  bona  iuri  vestro  cedant,  et  si 
heredem  liabuerit,  in  predictis  cimiteriis  Sancti  Salvatoris  vel  Sancti  lu- 
stini  ut  advena  sepeliatur.  Habitatores  sunt  viri  et  mulieres  quicumque 
habitant  in  domibus  propriis  aut  in  domibus  quas  tcnent  non  per 
unum  diem  nec  per  unum  annum,  set  longo  usu  per  cartulas  loca- 
tionum.  Item  concedimus  et  confirmamus  unum  fundum  quod  vocatur 
Palatiolum  et  duo  burgura,  unum  qui  vocatur  Frisonorum  et  Saxo- 
norum  cum  terminis  limitibusque  eorum  et  omnibus  eorum  pertinen- 
tiis  una  cum  ecclesia  Sancti  (^^enonis  et  ecclesia  Sancti  Nicolai  et 
ecclesia  Sancii  Michaelis  que  vocatur  scoia  Frisonornui  atque  ecclesia 
Sancte  Dei  genitricis  virginis  Marie  et  ecclesia  Sancti  Salvatoris  de 
Hordonia,  nec  non  ecclesia  Sancte  Dei  '^eniiricis  vivi^inis  Marie  que  vo- 
catur scola  Saxonum.  In  hac  tamen  ecclesia  ordinatio  archipresbiteri 
cons'lio  nostro  fiat;  aiiorum  vero  presbiterorum  atque  scolensium  per 
vos  fiat  absque  omni  venalitate.  Et  quanta  in  subscriptos  afiìnes  conti- 
nere  vidcntur,  inter  affines:  a  primo  latere  incipiente  a  flumine  a  loco 


Cartario  di  S.  T^ielro  in    Vaticano  ^ji 


qui  vocatur  Spellar!  et  euntc  per  nuiriim  civitatis  Leoniane  usqiie  in 
porta  que  vocatur  Sassonum,  deinde  per  viam  in  Formale  manu  dextra 
et  ascendente  per  ipsuni  Formale  usquc  duin  rccte  aspicit  tertiam 
turrem  que  est  proprietas  iani  dicti  moiiasterii  et  eunte  per  muruni 
in  cilium  mentis  et  inde  per  scmitam  descendentem  in  viam  iuxta 
lacum  iuris  monasterii  Sancti  Stephani  maioris  et  inde  in  fossato 
ortui  Salvatoris,  deinde  usque  in  tbssato  qui  emictit  aquam  per  murum 
civitatis  Leoniane  ;  a  secundo  Urrà  Sanclorum  lohatmis  ci  PatiU  et 
ortum  SancU  Marie  in  Oratorio  et  via  que  vadit  ad  aguliam  ;  a  tertio 
alia  via  venit  ab  agulia  que  vocatur  Sepulcrum  lulii  Cesaris  et  vadit 
per  porticum  Sancti  Petri  usque  in  arcnm  maiorem.  qui  stat  in  caput 
portici  et  deinde  usque  in  //«men  Tyberis,  excepto  tres  domos  scole 
Cantorum,  duas  in  portico  et  altera  iuxta  domum  vestram  maiorem 
que  habet  ortum  post  se  usque  in  viam  que  descendit  a  Sancto  Georgio 
et  usque  in  fossatum  Terrionis,  et  est  iuxta  viam  que  venit  a  terra 
Sanctorum  lohannis  et  Pauli  in  viam  que  vadit  in  porticum  ;  a  quarto 
dictum  Jìumen  Tvberis  locum  qui  vocatur  Spellar!.  Pariter  concedimus 
et  coiifirmamus  fundora  in  inte^^ro  que  vocautur  Taliaiio  malore  et  allud 
quod  vocatur  Tallatmm  minore,  fundum  F\_a'\sciola,  fundum  Casanlllo  et 
funduin  Casaplndula,  fundum  Rotula(^),  Ju[n]duin  Cncuìiielll,  Junduin  Pro- 
telar is,  omnes  invicem  coh&rentes  cmn  diversis  fundis  et  vocabulis  eoruin, 
campis,  pratis,  pascuis,  silvis,  cmn  casis  et  vineis  et  ciiin  omnibus  ad 
eosdem  fuiidos  generali  ter  et  in  integro  pertinentibus,  positos  via  Claudia  foris 
p[or]tam  Sancii  Petri  miliario  ab  urbe  Roma  plus  minus  quarto  vel 
quinto,  iuler  affines:  a  primo  latere  incipiente  a  cava  malore  recte  per 
silice  que  vadit  inter  prenominata  fundora  et  casale  qiiod  vocatur  Prala- 
nella  iuris  monasterii  Sancti  Stephani  maioris  et  ducente  usque  in  rivo 
qui  pergit  a  ponte  Sofflari,  a  secundo  ipsius  rivo  qui  dividit  ipsa  fundora 
et  casale  quod  vocatur  Menori  iuris  monasterii  Sancti  Stephani  maioris, 
a  tertio  casale  Suberetn  iuris  Sancii  Laurentii  Pallatini  a.  Sancto  Petro, 
a  quarto  forma  que  vocatur  Sabatina,  que  mictit  in  via  Cornelia  que 
ducit  in  (b)  basilica  Sanclaruvn  Rnfine  et  Secunde  et  casale  quod  vo- 
catur Casagurdi  iuris  eiusdem  monasterii  Sancti  Stephani  et  deinde 
ducente  per  valle  usque  infra  Balnearia  et  recte  ascendente  per  aliam 
vallem  que  dividit  inter  iam  dieta  fundora  et  colle  Sancti  Stephani 
et  recte  pergente  in  valle  Caunara  et  veniente  usque  in  predicta  silice 
seu  caba  que  est  primus  finis.  Concedimus  etiam  fundum  unum  in  in- 
tegro quod  vocatur  Cletandris  cuni  ecclesia  Sancte  martiris  Agathe  posita 
in  colle  Pino.  Insuper  casata  Lardariam  miliario  ab  urbe  Roma  se- 
cundo, et  fundum  at  Talianum  cum  casis,  vineis,  terris  siculi  designatum 

(a)  B  Fotula         (b)  Iti  B  ira  in  e  basilica  vi  è  rasura  Ji  due  o  Ire  lettere. 


472  L.   Scliìaparclli 


essi  viditiir,  cum  thirmis,  criptis,  iiicntimetttìs,  positiim  («)  foris  porla  Beali 
Pdri  apostoli  via  Aitrelia.  Item  concedimus  ecclesiam  Sancie  Anatholie 
cimi  casis,  vineis,  terris,  in  Insula  et  iuxta  se,  criptis,  parietìnis,  piscaria 
cum  manìcis  et  viginti  passus  infra  Traianum,  ut  cum  navicula  large 
possit  ire  ad  manicas  (*>)  et  reddire  (■^),  et  cum  omnibus  ad  eam  ge- 
ncraliter  et  in  integro  pertinentibus.  Nec  non  confirmamus  ecclesiam 
Sancti  Bcnedicti  positam  .ui  murum  civitatis    nostre    Leoniane   cum 
camminatis  et  ('^^  ortuo  post  se  et  post  camminatas  et  terra  cum  casis 
et  cum  omnibus  eorum  pertinentiis,  siculi  vie  extenduntur,  una  iuxta 
murum  et  altera  iuxta  porticum,  usque  in  meta  que  vocatur  Memoria 
Romuli.  Similiter  concedimus  ecclesiam   Sanctc  Marie  Virgariorum 
cum  camminatis  et  casis  et  argasteriis  et  omnibus  eius  pertinentiis, 
inter   aflìnes:  a  primo    latere  viculum  a  cortina  in    porticum,    a  se- 
cundo  via   per  porticum,  a  tertio  via  que    exit  per  arcum,  a  quarto 
silice  usque  in    cortina.  Et  quia    pium    gaudere    Martinum  scribitur, 
gaudeant  commanentes  in  eius  monastcrio  ut  in    Dei    onmipotentis 
servitio  et  beati  Petri  apostolorum  principis  devoti  studiosius  semper 
existant,  nulla  hora  tardet  eos;  et  quia  pium  Aere  Martinum,  fleant 
et  illi  qui  se  ostendunt  tanto  munere  indignos,  qui  mundana  querunt 
non  que  Dei  sunt;  set  pie  viventes    in    Christo   remuneramus.  Pro- 
pterea  apostolica  censura  statuimus,  ut  nuUus  nostrorum  successorum 
pontificum,   nullus   imperator,    nuilus    cpiscopus,   nulla  alia   potestas, 
nulla  persona  hominum  centra  hoc  nostre  confirmationis  et  conces- 
sionis  privilegium  in  parte  agere  presumat,  et  si  suprascripta  omnia, 
que  in  eorum  alimonia  et  substentatione  confirmata  sunt  ut  Deo  sine 
murmurc  serviant  et   in  iam    dicto  monasterio  sunt   concessa,  con- 
tempnere  («)  voluerit  et  in  eorum  potestate  et  ordinatione  conservare 
noluerit,  sciat  se  nostro  sacro  Lateranensi  palatio  compositurum  duo- 
decim  auri  purissimi  libras,  et  insupet  anathematis  vinculo  innodetur 
et  cum  impiis  et  sceleratis  eterno  igne  cremctur,  et   cum    luda  do- 
mini nostri  Icsu  Christi  traditore  in  inferno  crucietur.  Qui  vero  pio 
iniuitu  curator  et  observator  huius  (0  nostri  privilegii  extiterit  (g),  be- 
ncdictionisC')  gratiam  a  domino  nostro  lesu  Christo  et  gaudia  sem- 
piterna consequi  mereatur. 

Scriptum  per  manum(')  Albini  scriniarii  sacri  palatii,  anno  quinto 
domni  Leonis  noni  pape,  indictione  .VLaCk),  niartio  mense,  .xx."  dieC). 

R.  BV.,. 


(a)  B  posit  (h)  B  masiicas  (e)  C  reiire  (d)  et  a^r^iunto  inlerVmeanntnle  in  B. 
(e)  C  contendere  (0  <-"  uius  (g)  C  estiterit  (h)  In  li  tra  bcnedìctionis  e  gratiam 
rajura  di  due  ìeltere.         (i)  B  man  (k)  C  sexta  (I)  C  uices  die 


Cartario  di  S.  'Pietro   in    Vaticano  473 


Dat.  .XII.  kal.  aprilis  per  manunU^)  Fredcrici  dyaconi  (^b)  s.nncte  Ro- 
mane Ecclesie  bibliothecarii  et  cancellarli  vice  (Joiiiiii  Herimanni 
archicancellarii  et  Coloniensis  archiepiscopi,  anno  dompni  (^)  Leonis 
noni  pape  .v.,  indictionc  .vi.»  (<'). 


XVIL 

1053,  marzo  24. 

Leone  IX  conferma  all'arciprete  di  S.  Pietro  ed  ai  cano- 
nici della  stessa  chiesa  stabiliti  nel  monastero  di  S.  Stefano 
maggiore  i  possessi  ed  i  privilegi  largiti  da  Pasquale  I,  da 
Leone  IV,  da  Giovanni  X  e  da  Giovanni  XIX. 

Copia  not.  membr.  1^50  giugno  5  (i),  caps.  IV,  fase.  9  [B].  Estratto  net.  1289 
maggio  14  (2),  caps.  LXXIH,  fase.  138  [C].  O.  Panvinii  De  rebus  vieinoraln- 
libus  et  praeslantia  bus.  S.  Petri  ap.,  ms.  G,  io,  e.  152,  da  B  (bibl.  Gap.)  [D]. 
Copia  autenticata  da  Lodovico  Geci,  1522  settembre  18,  B,  Transumpta  aii- 
thentica  &c.  e.  142,  da  B  [E]  =  Copia  sec.  xvi,  I,  Exemplaria  buUarum  &c. 
e.  183  B.  Copia  sec.  xvi,  G,  Transumpta  authentica  Sic.  e.  221  b,  da  G.  Copia 
sec.  xvn,  ms.  G,  94,  e.  124  b  (bibl.  Valliceiliana),  da  B  [F].  Copia  sec.  xvii, 
ms.  2098  (X,  5,  25),  e.  59  (bibl.  Casanatense),  da  B,  con  note  [G].  God.  Vatic. 
lat.  6438,  sec.  XVII,  datum.  Copia  sec.  xvn,  ms.  1104  (41  F  25),  e.  102  (bibl. 
Corsiniana),  da  B  [H].  Ms.  H,  6r,  sec.  xvn,  e.  100  b,  reg.  (bibl.  Gap.). 

ToRRiGio,  Le  sacre  grotte  Vaticane  (1659),  p.  402,  cit.  Bullario  Vaticano, 
I,  29,  da  B  =  MiGNE,   143,  p.  717. 
Regesto:  Jaffé-L.  n.  4293. 

L'estratto  del  1289  e  la  copia  B  dipendono  dall'originale,  di  cui  riprodu- 
cono i  caratteri  estrinseci  dell'escat  ocollo .  Il  primo  descrive  il  sigillo  colle 
seguenti  parole  :  «  quod  quidem  privilegium  erat  bullatum  bulla  plumbea  ap- 
«  pensa  in  eo  cum  quodam  cingalo  de  filis  et  sirico  rubeo  et  iallo.  Ex  una 
«  parte  cuius  bulle  erat  sculpta  rosa  et  in  giro  ipsius  rose  hee  lictere  lege- 
«  bantur  .papae.  ;  et  ex  alia  parte  ipsius  bulle  intus  interiorem  circulum  erant 

«  hee  lictere  .V.  et  in  giro  hee  lictere  legebantur  .leokis.  ».  Delle  bolle 
confermate  ci  pervenne  solo  quella  di  Leone  IV,  J.-E.  n.  2655;  per  il  testo 
si  utilizzarono  questa  bolla  e  specialmente  quella  di  Leone  IX,  J.-L.  n.  4292. 
Si  cf.  per  la  topografia  le  note  nell'edizione  del  Bullario  Vatic.  e  Tomassetti, 
op,  cit,  III,  143  sg.  via  Aurelia;  IH,  163  sg.  via  Cornelia;  V,  75  sg.  via  Clodia. 

(a)  B  man         (b)  C  diaconi         (e)  C  donni         (d)   C  sexta 

(i)  Cf.  per  l'autenticazione  Bullario   Vaticano,  I,  32. 
(2)  Cf.  p.  401,  nota  2. 


474  ^'   Scliìaparelli 


Leo  episcopus  servus  servorum  Dei.  lohanni  archiprcsbitero  ve- 
nerabilis  ecclesie  Beati  Petri  apostoli  et  ipsius  ecclesie  canonicis  in 
monasterio  Sancii  Stephani  niaiore  nunc  ordinatis  et  ordinandis  ini 
perpetuuin.  Convenit  apostolico  moderamini  pia  religione  pollentibus 
benivola  compassione  succurrere,ac  poscentiiini  animis  alacri  devo- 
tione  impertiri  (")  assensum;  ex  hoc  enim  lucri  C»)  potissimum  pre- 
mium apud  conditorem  (<=)  omnium  Dominum  promercmur  W  si 
venerabilia  loca  ordinata  ad  meliorem  fuerint  statum  sine  dubio  per- 
ducta.  Igitur  quia  postulastis  a  nobis  quatinus  confirmaremus  que  a 
sanctissimo  Pascale  primo  papa,  Leone  quarto  et  a  quibusdam  pon- 
tilìcibus  Romanis  vobis  sunt  concessa  et  per  privilegia  cnnlìrmata, 
oh  amorem  Dei  omnipotentis  et  beati  Petri  apostoloruni  principis 
et  sancti  Stephani  prothomartiris  (e)  vestris  precibus  inclinati,  que 
iuste  postulastis  ad  exeniplar  predecessoruni  nostrorum  Pascalis, 
lohannis  decimi  et  loliannis  noni  decimi  Romanorum  (O  pontitìcuni 
presenti  privilegio  confirmamus,  statuentes  [ut]  (g)  quascumque  pos- 
sessiones  quecumque  bona  eidem  venerabili  monasterio  Sancti  Ste- 
phani maiori(h)  iuste  pertinent  et  in  futurum  concessione  pontificum, 
oblatione  fidelium  seu  aliis  iustìs  moJis  CO,  annuente  Domino,  potc- 
rit  {^)  acquirere,  firma  vobis  et  illibata  permancant.  In  quibus  hec 
propriis  duximus  exprimenda  (0  vocabulis:  ccclesiam  Sancti  Pere- 
grini (m)  una  cum  hospitale  e[t  terjra  vacante  iuxta  se  et  (")  Dal- 
machia  usque  in  Centumcellis  et  rivum  qui  descendit  per  valle 
Arnecto  per  tempora  et  vadit  in  Dalmacliia  sive  Galano  et  terra 
sgirante  in  via  iuxta  murum  et  cum  omnibus  possessionibus  et  per- 
tinentiis  eius.  Con[c]edimus  etiam  et  corrpboramus  fuiuium  qui  vo- 
catur(o)  Terrione  cum  lacu  et  cum  omnibus  ad  eum  in  integro  per- 
tinentibus,  et  fundum  Casagurdi  positum  (p)x;/a  Cornelia,  que  mictit 
in  basilicam  Sanctarum  Rufine  et  Secunde  et  iuxta  formam.  Sabbatinam. 
Concedimus  etiam  casale  qui  (q)  vocatur  Suereta  iuris  Sancti  Laurcntii 
Palatina  a  Sancto  Petro,  et  fundum  qui  vocatur  Zaganocum  (>■),  et 
fundum  Bialum  et  casale  qui  vocatur  Brecti  cum  omnibus  ad  eosdem 
in  integro  pertinentibus.  Concedimus  et  confìrmamus  fundum  qui 
vocatur  Sancti  Cassiani,  et  fundum  qui  vocatur  Meiiorc,  et  fundum 
qui  vocatur  Scuppla  anelila  Dei,  et  fundum  qui  vocatur  Palombarolu, 
omnes  invicem  coherentes  usque  in  silice  qui  dicitur  Strata  cum 
terminis  et  appendicibus  eius  et  cum  omnibus  ad  eos  generaliter  et 

(a)  C  inpereiri  (b)  C  lucro  (e)  C  creaiorem  (d)  C  promiremur  (e)  C  pro- 
tomartiris  (f)  C  roranorum  (g)  ut  manca  in  B  C.  (h)  Coti  B  C.  (i)  niodis  iii 
rasura.  (k)  B  poterunt  CI)  B  explicanJa  (m)  B  Pergrini  (n)  ex  su  rasu  ra  in  B. 
(o)  B  qu  (p)  B  posit  (q)  B  que  fr)  Pamla  guasta  da  corrosione,  D  ZogauJum 
E  F  G  li  Zaganovum 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  475 


integre  pertinentibus  ;  omnia  iuris  predicti  monastei'n  Suiicti  Siepìiani 
inaioris,  posila  via  Clodia  miliario  plus  miniis  quarto  vel  quinto,  Nec 
non  concedimus  fundum  qui  vocatur  Casamala,  sicuti  infra  suos  con- 
tinetur(^)  lìnes.  Isti  sunt  antiqui  confines:  a  primo  latere  est  p[orta](b), 
et  a  secundo  fundum  Menori  et  Palombarolu,  a  duobus  lateribus 
■silvaC':)  vestri  monasteri!.  Similiter  confìrmamus  fundum  qui  vocatur 
Pritanella,  positum  via  Cornelia  ad  pontem  Softlari  iuxta  Talianum 
et  Menori  et  terra  tituli  Sancti  Angeli.  Item  concedimus  et  corrobo- 
ramus  fundum  Camelianum  et  Olibula,  Ageilum,  Pinum,  Camara- 
num,  Lauretum  et  quotquot  infra  subscriptos  (ìncs  continentur  :  a 
primo  latere  territorium  de  Buccege  iuris  monasterii  Sancti  Martini, 
a  secundo  casale  Celisanum  iuris  monasterii  Sancti  Sabe  et  terra 
iuris  monasterii  Sancti  Stephani  maioris,  a  tertio  rivum  qui  vocatur 
Galero  ('!),  a  quarto  rivum  qui  vocatur  Arrone,  positum  in  territorio 
Galerie.  Similiter  concedimus  in  diete  monasterio  alios  casales  qui 
vocantur  Gualdo,  manse  ('^)  Palumbe,  valle  de  Paulo,  Ortianum, 
Spinableta,  Barbulanum,  positos  iuxta  casale  Ceisanum.  Nec  non 
concedimus  fundum  Acticianum  et  fundum  Villarustica  ex  corpore 
vallis  Prej'te  (0.  Sic  concedimus  et  confìrmamus  alios  fundos  ibi  [in]  (g) 
ipso  territo[rio]  Galerie,  fundum  qui  vocatur  Deci[m]um,  fundum  So- 
larium, Collisanum  (h)  [C R ]  (0  et  quanta  conti- 
nentur infra  subscriptos  fines  una  cum  ecclesiis  et  pertinentiis  eius: 
a  primo  latere  silex  qui  vocatur  Strata  et  fundum  Octavianum  usque 
in  forma  que  (')  vocatur  Artiones,  deinde  in  massa  Torani,  a  secundo 
tenet  monasterium  Sancti  Sabe  et  terra  predicti  monasterii  San- 
cti Stephani,  a  tertio  fundum  qui  vocatur  Decimum  et  Forotianum, 
a  quarto  fundum  Actitianum  et  Villarustica  ex  corpore  vallis  Preyte 
usque  ad  rivum  qui  vocatur  Galera.  Simulque  concedimus  fundum 
qui  vocatur  Cosarianum  et  fundum  Agolli,  in  quo  est  insula  AgoUi, 
Sulianum,  Calcitam  et  Margaritarum,  positos  ex  alia  parte  Strate. 
Similiter  concedimus  et  confìrmamus  fundum  Octavianum  et  fundum 
Cesanum  cum  toto  territorio  suo  absque  massa  Trani  cum  criptis, 
mansionibus  et  familiis,  et  fundum  Pisinianum  cum  monte  Sancti  An- 
geli. Et  concedimus  massam  Clodianam  cum  lacu  Paparano,  et  sicut 
ipsa  massa  extenditur  usque  in  Soratam  cum  lacu  Baccanis  et  omni- 
bus   suis    pertinentiis.    Et  confìrmamus    ecclesiam  Sancti    Alexandri 


(a)  B  continentur         (b)  porta?  cosi  leggerei.     D  porta     EF  G  H  para         (e)  si  su 
raiura.  (d)   Cosi  B.  (e)  C  mandre  (f)  y  carrello  da  i         (g)  in  omesso  in  B. 

(h)  Questi  ultimi  tre  rocaboli  sono  di  lettura  incerta  per  corrosione  della  piegatura.  F  ha  : 
Aureum,  fundum  Silvanum,  Collisanum  ....  G  H  leggono  solo  Frictili.  invece  di  Deci- 
mum; il  passo  è  lacunoso  nelle  altre  copie.  (!)  Forte  corrosione  della  piegatura;  possono 
mancare  circa  trenta  lettere.          (1)  e  corretta   su  i 

Archivio  .iella  R.  Società  romaìia  di  storia  fn Ina.  \'o).  X.\!\'.  3  ' 


47^  L.   Schìaparelli 


que  est  in  Baccanis,  et  fiiriiium  Visanum  et  Pcrpinianum.  Et  contìr- 
niamus  funduni  Germ.nicllum,  positum  via  Flaminea  territorio  Ne- 
pesino  miliario  plus  minus  vicesimo  secando.  Pariterque  concedimus 
et  confìrmamus  fundos  qui  vocantur  Tracquata,  Cornelianuni,  Viva- 
riolum.  positos  (^>  in  Macorano    iuxt.i    Capracorum    et  iuxta    rivum 
Graili  et  prozie  curtem    de  Macerano.  Item  concedimus  fundum  qui 
vocatur  Balneolas,  Faticlas,  alias  Montelupis  supra  Sanctum  Alexan- 
drum  in  Baccanis,  et   fundum  qui  vocatur  Fisa  ('')  cum  burgo  San- 
cii Alexandri.  Insupcr  etiam  concedimus  et  corroboramus  insulam  Mar- 
tanam  una  cum  ecclesiis  Sancii  Stepliani  et  Sancti  Valeniini  [cum]  (•:) 
domibus,  familiis.  piscariis  et  cum  omnibus  ad  eam  pertinentìbus  aJ 
usum  et  sustentationem  in  monasterio  Sancti  Stephani  existentium, 
sicut  predecessor  nostcr  Pascalis,  qui  fuerat  rector  ipsius  monasteri!, 
dcdit  hoc  patiimonium  suum  ad  sustentationem    monachorum  San- 
cti Stephani  maioris  in  choro  Beati  Petri  servìentium  et  sub  anathc- 
mate  interdixit,  ut  nulkis  posset  ecclesiast'ca  aut  privata  [auctoritate](J> 
inquietare  eos,  sed  semper  ordinassent    abbatem  in  ipso  monasterio 
S.mcti  Stephani  de  Insula.  Hit  ipse  Pascalis  pontifex  nominavit  mo- 
nasterium  de  Insula  Sanctum  Stephanum  a  monaster  o  Sancti  Stephani 
maioris  cuius  iuris  est.  Concedimus  et  confirmamus  ecclesiam  Sar- 
ete Marie  que  vocatur  in  Turre,  quam  predictus  Pascalis  in  iam  dicto 
monasterio  per  privilegium  concessit  cum  libris  et  paramentis,  cru- 
cibus  et  turribulis  de  argento,  cum  domibus  et  cellis  iuxta  .se,  cum 
paradiso  et  porticalibus  usque  ad  portam  Argenteam,  ita  quod  fores, 
que  sunt  ante  portam  Argenteam,  vos  claudatis  et  aperiatis,  et  cum 
omnibus  que  continent  infra  se,  cum  cloaca  et  gradibus  maioribus  et 
niinoribus  usque   in   platea  que  vocatur  Cortina  ;  que  onmia  conce- 
dimus in  iam  dicto  monasterio  et    cum    omnibus   posscssionibus  e: 
pertinentiis  eius.  Et  duo  presbiteri  inibì  ordinentur  de   collegio  pre- 
dicti  monasteri!,  qui  die  noctuque  officium  laudis  Domino  reddant  et 
populo   necessaria    ministrent.    Insuper   concedimus   ecclesiam  Sancii 
Iiistiui  constructam  ad  sepulturam  omnium  Latinorum,  ita  ut  omrtc's 
peregrini   et   advcne  (0   divites   et  pauperes,    nobiìes  et   innobiles,    quot- 
quot  moriuntur  in  hac  civitate    Leoniana  et  extra    ad    tria   tniliaria, 
sefìeliantur  in  ecclesia   Sancti  lustini.  Kullus  celet  iiiftrmuin  nec  mor- 
tuum  occultet,  set  cito  presbitero  aut  procuratori  vestro  nuntiare  festiiiet, 
et  nuUus  bona  illius  celet,  set  cito  ea  vobis  reddat.  Nulhis  suadeat  iii- 
firmum  eie  domo  vel   civitate   exire.  Set   nos    concedimus   omnia    hec 
perempnis  ''0  temporibus   inconcussa  (s>  permanere   vobis  vestrisque 


(i)  B  positas         (b)  Fori' anche  Fisci         (e)  cum  ameno.         (d)  auctoritate  omeiio. 
(e)  l'I  B  legui  rasura  ili  una  o  due  lettere.         (f)   C  percnnis         (g)   C  inconcursa 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  ^■j'j 


succcssoribus,  qui  animosi  et  voluntarii  honestc(»»  Deo  et  beato  Petro 
die  noctuque  serviunt  a  fructitius  eorum  cognoscetis  [eos]  '^K  Propte- 
rea  apostolica  censura  statniinus,  ut  uullus  noslronini  iuccessoruiii  ponti- 
fcuni,  nullus  imperator,  iiulìus  cpiscopus,  nulla  alia  polcslas,  nulla  per- 
sona hominum  cantra  hoc  nostre  confirnialionis  et  concessionis  privile^^iuin 
aoere  presuniat  ;  et  si  suprascripta  omnia,  que  in  (^)  [eorumlW  alimonia 
et  sustenlationei^)  confirmata  sunt,  ut  Deo  sine  tnurniure  serviant,  et  in 
iam  dicto  monasterio  sunt  concessa,  minuere  volueriti^)  et  in  eorum  po- 
testate  et  ordinationc  cons.i  vare  noluerit  (g),  sciat  se  nostro  W  sacro  (') 
Lateranensi  palatio  O  composituruin  duodecim  auri  purissimi  libras,  et 
insuper  anathematis  vinculo  innodelur,  et  cum  impiis  et  scekratis  eterno 
igne  cremetur  (ni),  et  cum  Inda  domini  nostri  lesu  Cbristi  traditore  in 
inferno  C^)  crucietur.  Qui  vero  pio  iutuitu  curalor  et  ohservator  hnius(°) 
nostri  privilegii  extiteril,  benedictionis  gratiam  a  domino  nostro  lesa  Cljristo 
et  gaudia  sempiterna  conseqni  viereatur. 

Scriptum  per  manum  Albini  scriniarii  sacri  palati!,  anno  quinto 
domni  Leonis  noni  pape,  indictlone  .vi.  (p),  mense  martio,  die  .xxiiii.  (q) 

R.  B.  V. -,• 

Dat.  (■■)  A'iiii.  1: al.  aprilis  (s)  per  manum  (0  Frederici  diaconi 
sancte  Romane  Ecclesie  bibliothecarii  et  cancellarii  vi[c]e  domni 
Herimanni  archicancellarii  et  Coloniensis  archiepiscopi,  anno  domni 
Leonis  noni  pape  .'  .,  indictlone  .vi.  ("). 

XVIIL 

1053,  aprile   i. 

Leone  IX  conferma  alla  chiesa  di  S.  Pietro  i  pos- 
sessi e  i  privilegi  elargiti  ai  quattro  monasteri  dei  Ss.  Gio- 
vanni e  Paolo,  di  S.  Martino,  di  S.  Stefano  maggiore  e 
di  S.  Stefimo  minore,  nei  quali  erano  stabiliti  i  canonici 
della  basilica. 

Copia  membr.  not.  1540  febbraio  14,  caps.  IV,  fase.  9  [B].  Copia  membr. 
noi.   1550  giugno  5,  ibidem  (r)  \i\\.  (^opia  membr.  sec.  xiv,  ibidem  [D],  Due 

(a)  C  oneste  (bj  eos  manca  in  B.  (e)  B  inter  (d)  eorum  omaso  in  B. 

(e)  C  substentatione  {i )  Cuoluerint  (g)  B  iioluerint  (h)  C  nie  (i)  B  sco  = 
sancto  (1)  In  B  corretto  da  sco  palatio  Lateranensi  (m)  B  crementur  (n)  C  in- 
terno (o)  B  huiusmodi  (p)  C  indie  sexta  (q)  C  vicesima  quarta  (r)  C  datai 
(s)   C  aprelis         (t)  C  man         (u  )   C  sexta 

(i)  Per  l'autenticazione  cf.  Bullario   Vatic.  I,    34. 


47 


78  L.    Schiaparclli 


copie  \'^22,  B,  Transumpta  autbeiitica  ii.c.  e.  65  b  e  e.  84,  da  C  ;  copia  au- 
tenticata da  Lodovico  Ceci,  1522  sette.nbre  8,  B,  Transumpta  ite.  e.  76,  da  D  ; 
copia  1522,  B,  Transumpta  &c.  e.  141,  da  B  =^  Copie  sec.  xvi,  I,  lixtmpìaria 
hulìarum  Si.c.  e.  175  B  e  e.  181,  da  C,  e.  180,  da  D,  e.  182  a,  da  B.  Copia 
sec.  XVI  in  E,  Liber  visìtalioiiuni ...  e.  82  h.  Memoria  di  alcuni  arcipreti  anli- 
cki  (lohannis  Nardoni?),  ms.  cart.  sec.  \vi,  H,  5,  bibl.  Gap.  p.  5,  reg.  Copia 
sec.  XVII,  ms.  G,  94,  e.   153,  da   B  (bibl.  N'allicelliana). 

Bullario   Vatic.  I,   53,  da  C  =  Migne,   J43,  p.  725. 
Regesto:  Jaifé-L.,  n.  4294. 

Le  copie  B,  C,  D  dipendono  dall'originale  e  ne  riproducono  i  caratteri 
estrinseci  dell'escatocol  lo.  Più  corietta  é  ('.,  che  pongo  a  base  della  pre- 
sente edizione.  È  perduta  la  bolla  riconfermata  di  Sergio  II.  La  bolla  ricor- 
data di  Leone  IV  è  j.-E.  n.   2653. 

Leo  episcopus  servus  servorum  Dei.  lohanni  archipresbitero  ec- 
clesie Beati  (*)  Petri  et  ('')  eiusdem  ecclesie  (<=)  servitoribus  perpetuam 
in  Domino  salutem  (<>).  Convenir  apostolico  moderamini  (e)  pia  re- 
ligione pollentibus  benivola  compassione  (  )  succurrere,  ac  poscen- 
tium  animis  alacri  devotione  impertiri  (g)  assensum  ;  ex  hoc  cnim 
lucri  potissimum  premium  apud  conditorem  omnium  Dominum  pro- 
meremur,  si  venerabilia  sanctorum  CO  loca  ordinata  ad  meliorem  fue- 
rint  statum  sine  dubio  perducta.  Ea  propter  vestris  petitionibus  inclinati, 
sacrosanctas  ecclesias  Sanctorum  lohannis  et  Pauli,  Sancti  Martini, 
Sancii  Stephani  maioris  et  Sancti  StepJiani  minoris  vestris  usibus 
destinatas,  ad  exemplar  predecessorum  nostroriim  Sergii  secundi,  Leo- 
nis  quarti  Romanorum  pontificum  presentis  (')  scripti  privilegio  con- 
tìrmamusC),  statucntes  utC")  quascunque  posses.siones  quecunquc 
bona  eisdem  venerabilibus  locis  iuste  pertinent  et  in  futurum  con- 
cessione pontificum,  oblatione  fidelium  seu  aliis  iustis  modis,  annuente 
Domino,  poterit  acquirere,  firma  vobis  vestrisque  successoribus  et  il- 
libata permaneant.  In  quibus  hec  propriis  duximus  exprimcnda  vo- 
cabulis:  massam  Luterni  cum  ecclesia  Sanctorum  lohannis  et  Pauli 
cum  funJis  et  casalibus  suis,  positam  territorio  (")  Cerense  iuxta  mas- 
sam Pretoriolam  (°)  miliario  ab  urbe  Roma  plus  minus  tricesimo, 
eccles'am  Sancti  .Andree  cum  omnibus  suis  pertinentiis,  positam  in 
eadem  (p)  massa  Luterni,  fundum  Sessani  maioris  et  Sessani  minoris 
cum  ecclesia  Sancti  Stephani  cum  terris,  vineis,  silvis  et  cum  omnibus 
suis  pertinentiis,  castrum  Capracorum  cum  terris,  vineis,  fundis,  ca- 

(«)  beati  manca  in  D.         (b)  et  manca  in  B  C  (e)  ecclesie  manca  in  D.         (à)  H 

cm  su  raiura.  (e)  C  moderampni  (f)  C  cumpassione  (g)  C  ìnpertiri  (li)  Z)  lo- 
conim  (!)  D  presenti  (!)  B  confirmamus  carrello  Ja  communimus  (m)  ut  manca 
in  BC  (n)  /^  in  territorio         (o)  BC  Precoriolam  (p)  In  B  la  prima  e  agginnla 

dopo  da  prima  mano. 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaiicatio  479 


salibus,  montibus,  collibus,  plagis  (»),  phinitiis,  molcntiiiiis  et  molar'a 
sua  Clini  ecclesia  Sancii  loliannis  que  dicitur  de  Latregia  cum  cellisCb), 
terris,  vineis  et  cum  omnibus  ad  eandem  ecciesiam  pertinentibus,  po- 
sitam  territorio  (■:)  Vegetano  miliario  ab  urbe  Roma  plus  minus  vi- 
cesimo  septimo,  immo  etiam  fundum  qui  vocatur  Agellum,  positum 
in  suprascripto  territorio  (J)  Vegetano.  Sive  etiam  concedimus  et  con- 
lìrmamus  vobis  funduni  et  vallem  que  appellatur  Frictilli  (=)  cum  or- 
tuis  (0,  molcndinis  et  cum  omnibus  suis  pertinentiis,  positis  (g)  territo- 
rio (e)  Sutrino  iu.Kta  ipsam  Sutrinam  civitatem,  denique  et  mokim  de 
cava  in  eodcm  territorio  Sutrino  positam  (h).  Veruni  etiam  concedi- 
mus et  confirmamus  vobis  ecciesiam  Sancti  Silvestri  (';  in  ia[m]dicta 
Sutrina  civitate  positam  cum  domibus,  cellis,  terris,  vineis  et  cum 
omnibus  ad  eandem  ecciesiam  pertinentibus.  Pariter  confirmamus  vobis 
tres  domos  positas  in  foro  Sutrino.  Simulque  concedimus  et  confir- 
mamus vobis  ut  liceat  in  vestris  fundis  ecclesias  construere,  ita  ta- 
men  (it)  ut  in  v[icinia]  illa  abbatia  vel  religiosorum  virorum  collegio 
non  existat  que  ob  hoc  multum  valeantC)  perturbari.  Crisma  autem, 
oleum  sanctum,  consecrationes  ecclesiarum,  ordinationes  clericorum 
in  vestris  ecclesiis  existentium  (m)  a  diocesanis  suscipietis  episcopis,  si- 
quidem  catholici  fuerint  et  gratis  voluerint  exhibere.  alioquin  catho- 
licumC"),  quem  malueritis(o),  adeatis  antistitem,  qui  nimirum  in  gratia 
Sedis  apostolice  permanens  quod  postulatur  indulgeat.  Preterea  apo- 
stolica censura  statuimus,  ut  nuUus  nostrorum  successorum  (p)  pon- 
tilìcum,  nullus  imperator  Cq),  nulla  alia  potestas,  nullus  episcopus,  nulla 
persona  hominum  contra  hanc  nostre  confirmationis  et  concessionis 
cartulam  agereCO  presumat  (s),  sed(0  supradicta  omnia  in  eorum 
sustentatione  (")  prò  quibus  in  suprascripta  ecclesia  concessa  sunt 
in  dispositione  et  ordinatione  conservare  studeat;  quod  si  fecerit,  com- 
ponat  nostro  sacro  Laterauensi  palatio  sex  auri  purissimi  libras,  et 
insuper  anathematis  vinculo  innodetur.  Qui  vero  pio  intuitu  curator 
et  observator  huius  nostre  confirmationis  et  concessionis  extiterit, 
benedictionis  (V  gratiam  a  domino  nostro  lesu  Christo  vitamque  eter- 
nam  consequi  mereatur  in  secula  seculorum.  Amen. 

R.  B.  V..., 

Dat.  (w)  kal.  aprilis  per  manus  Frederici  (t)  diaconi   sancle   Romane 
Ecclesie  bibliothecarii  (y)  et  cancellarli  vice  domni  (z)  Hermanni  ar- 

(a)  D  plagiis  (h)  C  O  coUis  (e)  D  in  territorio  (d)  C  teritorio  (e)  /) 
l-ructilli  (f)  D  Ortis  (g)  Cosi  D.  B  C  posit  (li)  B  a  correlili  su  u  (i)  D  syl- 
uestri  (k)  B  etiara  (1)  B  '.nleat  (m)   C  existentiism  (n)   C  cactliolicum 

(o)  D  iiolueritis  (p)  In   E  ci     .ilo  da  successorum  nostrorum  (q)   D  inperator 

(r)  agere  t>:aiua  in  C.  (s)  C  pi.,  .umani  (t)   CD  set  (u)   CD  substentatione 

(v)  benedictionis  n:aiica  in   C.  (\v)   C  datura  (x)  B  C  Friderici  (v)  D  blibio- 

tliecarii         (z)   C  dopni 


480  L.  Scliiapavelli 


chicancellarii  (*)  et  Coloniensis  (*>)  archiepiscopi,  anno   domai   Leo- 
nis  noni  pape  .v.  ('),  indictione  .vi.  (J). 


XIX. 

i049-iO)4- 

Leone  IX  dona  a  san  Pietro  la  decima  parte  delle  obla- 
zioni dei  fedeli  fatte  suU'  altare  della  confessione,  perchè 
si  ricostruisca  il  tetto  della  basilica,  si  ornino  le  pareti  e 
si  provveda  alla  luminaria. 

Copia  niembr.  not.  15  jo  maggio  10(1),  caps.  H,  fase.  5  [BJ.  Memoria  di 
alcuni  arcipreti  anlichi,  ms.  cart.  sec.  xvi,  H  },  bibl.  Gap.  e.  5,  da  B.  I.  Gri- 
maldi, l'.alalogus  omnium  arcbipresbyteroruiii .. .  1620,  ms.  H,  i,bibl.  Gap.  e.  ij, 
da  B.  Gopia  cart.  sec.  xvii  nel  ms.  bibl.  Cip.  H,  61:  Manuscripta  basilicae 
ì'aticanae,c.  195,  da  B.  Regesto  del  1655  dicembre  17,  da  processo  1554  in: 
1-,  Exemplaria  hullarum  eie.  [Informatio  abbreviata...)  (2). 

GiovAN'Ni  Se\  ERANO,  Memorie  sacre  delie  sette  chiese  di  Roma,  p.  117, 
estr.  "  ex  ms.  Vat.  ».  Baronio,  Annalcs  ecclesiastici,  a.  1049,  da  B  =  Cocque- 
LiNES,  Bullarum  privileoiorum  eie.  collectio,  I,  367  =  Hunkler,  Leo  der  Neunte 
und  scine  Zeit  (Mainz,  1851),  p.  295.  Bullario  Vaticano,  I,  35,  da  B  =^  Migne, 
14J,  p.  756.  Mansi,  Concil.  amplissima  collectio,  XIX,  671,  da  B. 

Regesto:  Jaffé-L.  n.  4509. 

Beate  Petre  apostole.  Ego  Leo  episcopus  servus  tuus  et  omnium 
servorum  Dei  de  tuis  donis  aliquam  tibi  offero  particulam,  quam  michi 
dignum  fuit  visum,  dignum  et  iustum  curis,  quibus  circumdor,  auferre 
et  tibi  ofFerre  quasi  meam,  cum  sit  tua(»).  Quicquid  enim  est  quod 
in  nostris  iuribus  sit,  licet  sit  parum  ad  conferentiani  preteritorum 
que  nostri  antecessores  habuerunt;  id  tamen,  quan[t]ulumcumque  sit, 
digne(b)  tecum  iudicavi  sortiendum.  Ecce  enim  de  oblationibus  ffij- 
delium  que  tibi  offeruntur  in  altari  tuo.  sub  quo  sacrum  et  venera- 
bile corpus  tu'jm  requiescit,  et  etiam  in  confessione  ipsius  altaris  de- 
cimam  partem  tibi,  quamvis  tuuni  totum  sit,  humili  devotione  et  tota 

(a)  /)  archicancdarii         (b)  B  C  Colonensis         (e)  D  quinto         (d)  D  sexta 
(a)  B  tuo         (\>ì  t  su  rasura  e  forse  di  um 

(i)  Cf.  per  Tautcnticazione  Buìlaiio  Valic.  I,  56. 
(2)  Nell'altra  copia    di    questa  Jiifonnatio   nel    ms.  H,  61   il  re- 
gesto della  presente  bolla  si  trova  a  e.  254. 


Cartario  di  S.  'Pietro  in    Vaticano  481 


cordis  prosternatione  offerimus,  do[n]amus,  concedinius  et  et[i]am 
corroboramus  atque  conlìrmamus  ad  constructioncm  et  rcsartionem 
ipsius  tui  sacri  templi  in  edificiis,  parietibus,  picturis,  tignis,  tectis, 
imbricibus,  et  preterea  luminarium  concinnationibus  assiduis,  olei 
ac  W  cere  neo  non  lampadibus  vitreis  et  cicindelis  atque  thimiamate 
ceterisque  omnibus  utensilibus  que  ad  usum  et  necessitatem  atque 
decoreni  totius  ipsius  ecclesie  pertinent.  Decimam  vero  ipsam  semper 
volumus  esse  decimam  diem,  ut  obiatio  que  tibi  debetur  separata  sit 
a  ceteris  oblationibus,  et  nuUum  aliqua  confusione  (b)  patiatur  erro- 
rem.  Super  hoc  etiam  si  qua  vasa,  si  qua  ornamenta  vel  indumenta 
ecclesiastica  super  ipsum  sacrum  et  venerabile  altare  tuum  oblata 
fuerint  ad  cultura  Dei,  divinis  otficiis  et  misteriis  necessaria  conte- 
rimus,  ea  omnia  ipsi  tue  ecclesie  ibi  perpetim  perraansura  in  usum 
et  salariuni  Deo  et  tibi  illic  servientium  et  serviturorum.  Addendum 
quoque  credimus  illud  oblationis  munus,  ut  q[u]icquid  silicet  per 
fideles  ad  ipsum  tuum  altare  et  ad  ipsam  contessioneni  oftertur  in 
vigiliis  natalis  tui  et  in  ipsa  t[uij  natalis  die,  beate  Petre  apostole, 
totum  sit  speciale  tuum  prò  luminaribus  et  ceteris  diversis  necessi- 
tatibus  ad  ipsa  tua  solennia(0  agenda  pertinentibus.  Nec  illud  pre- 
termictendum  censuimus,  ut  quotienscumque  de  quibuscumque  re- 
gnis  ('^)  vel  terris  tributa,  sive  ad  altare  tuum  offeruntur,  sive  ad 
apostolicos  W  pedes  ponuntur,  sive  quocumque  modo  tue  apostolica 
Sedi,  cui  Deo  auctore  presidemus,  persolvuntur,  decima  par[s]  eorum 
semper  tibi,  beate  Petre  apostole,  debeatur  ad  reformationem  ecclesie 
tue  e[t  cejtera  que  superius  diximus.  Ut  vero  hec  omnia  observentur 
illibata  tam  [a]  (0  successoribus  nostris  in  sede  tua,  o  beate  Petre  apo- 
stole, usque  in  tìneni  seculi  sessuris,  quam  etiam  [a](0  cunc[t]is  homi- 
nibus  tam  magnis  quam  parvis,  tam  divitibus  quam  pauperibus  et  me- 
diocr[ib]us  diversi  sexus  et  etatis,  statuimus  apostolica  censura,  qua 
licet  indigni  fungimur  v[ic]e  tua,  sub  divini  iudic[i]i  obtestatione  et 
terribilis  anathematis  interpositione,  ut  silicet  quicumque  centra  hoc 
nostre  humilitatis  donum  tibi  de  tuo,  beate  [Petjre  apostole,  fideliter 
ac  pure  collatura  venire  teraptaverit,  et  intemeratum  non  cus[todie- 
ri]t,  non  solum  segregatus  sit  a  communione  fidelium  in  hac  tem- 
porali vita,  sed  in  illa  quoque  eterna  dampnatus  sit  perpeiuis  penis 
et  gehennalibus  to[r]mentis.  A  contrario,  etiam  quicumque  devotus 
custos  et  cautus  observator  nostre  oblationis  extiterit,  divinis  benedi- 
ctionibus  augeatur,  et  hic  per  te,  beate  Petre  apostole,  a  peccatorum 
vinculis  absolvatur,  et  illic  quoque  per  te  intra  ianuam  regni  celestis 


(a)  ei  ac  ricalcalo  da  mano  posteriore.         (b)  Jì  consusione         (e)   Cosi  B.         (d)  B 
regni         (e)  B  aphci  (f)  a  omesso  in  B. 


482  /--.   Scliiaparelli 


admictaiur.  Hoc  itaque  nostre  devotionis  privilegium  ut  verius  cre- 
datiir  et  certius  liabeatur,  subscrìptione  nostra  roboravimus  et  robo- 
ratum  nostro  signirica[r]i  sigillo  iussimus  ad  laudem  et  gloriam  do- 
mini nostri  lesu  Christi,  apud  quem,  beate  Petre  apostole,  senipcr 
esto  memor  nostri  et  omnium  oviuni,  quas  suas  ipsc  pascendas  tibi 
commisit,  et  per  nos  miseratus  pascit,  et  pascet  adhuc  per  alios  in 
secula  seculorum. 

>^  Ego  Leo  episcopus  scrvus  tuus,  beate  Petre  apostole,  donum 
qiiod  tibi  de  tuo  feci  manu  propria  roboravi. 


XX. 

1049- 1054  aprile. 

Donazione  usufruttuaria  fatta  da  certa  Bena  ad  un  mo- 
nastero. 

Frammento  di  pergamena  originale   nell'  uliima  carta,   di    risguardo,   de! 
coJ.  41  B  dulia  bibl.  Capitolare  di  S.  Pietro. 

usufructuaria  donationis  chartula  ibidem  contradidi.  Qu[am- 

verosuprascriptam u]sufruario(»)  ordine  vite  mee  diebus  fruoCJ) 

et  possideoCO;  post  ver[o]  hobitum  meum  prò  salvatione  animv; 
me  (»)  perveniat  in  predicto  monfasterio  potestate  fruendi  et  pos- 
sid]endi,  et  numquam  a  me  ncque  hab  heredibus  meis  aut  a  me 
submissa  persona  contra  suprascripto  monasterio  et  suorumque  suc- 
cessoribus  ('!)  aliquam  aliquando  [iiabebitis  questionem  aut  calum- 
ni]a.  Etiam  stare  me  una  cum  heredibus  meis  et  detendere  promitto 
predicta  omnia  in  (<=)  predicto  monasterio  ab  omni  persona  hominum 
[in  tempore  gratis.  Unde  et  iuratus  dico  per]  Deum  omnipotentem 
sanctaeque  Sedis  apostolice  domni  nostri  I  coni  noni  papae,  haec 
omn^a  que  uius  usufructuaria  don[ationis  chartula  seriem  textus]  elo- 
quitur,  inviolaviliter  conserbare  et  adimplere  promitto.  Si  quis  vero 
qui  contra  anc  chartula  (0  ven[ditionis  serie]m  corrumpere  vel  fran- 
gere maluerint  («),  divina  ultio  subsequatur  et  cum  luda  Scariotha 
tradit[ore  domini  nostri  lesu  Christi  ajccipiad  ponionem,  et  insu- 
per (g-*    compositurus    existat    in    prefato    Dei    monasterio  auri    ob- 

(a)   Coii  A.  (b)   -ru-  ui  rjtvra.  (e)   Tra  i  ed  i  rasura  di   mia   vocaU,  ec'^i 

Uì  d  tJ  e         (d)  A  success  (e)  -a  i-  aggiunte  dopo  da  prima  mano.  (f)  A  chli 

(g)  n    su  rasura. 


Cartario  di  S.  Pietro  in    Faticano  483 


t[imi ],  et  post  soluta  pena  liane  usufructuaria  donationis  char- 

tulaW  in  suam  nihilhominus  m[aneat  firniitatem.]  Q.uam  scribcndam 
rogavi  Romanu  scriniarium  (h)  sanctae  Romanae  Ecclesiae,  in  mense 
et  indictione  suprascripta  septima. 

[Signum  >J(  ma]nus  suprascripta  Bena  que  anc  chartula  (»)  fieri 
rogavi. 

[Crescjeniius  qui  vocatur  de  Beno  de  Maria  ceka. 

[  ]s  ohnestoCO  viro. 

[  ]um  de  Ferruccio. 

[y^  E^o]  Romanu  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  scriptor 
uius  chartula  (a)  compievi  et  absolvy. 

XXI. 

io5cS  maggio  8. 

Benedetto  X  riserva  al  monastero  di  S.  Stefano  minore 
il  diritto  di  ospizio  e  di  sepoltura  dei  pellegrini  ungheresi. 

Informatio  abbreviata  in  facto  capituli  S.  Petri,  copia  1655  dicembre  17, 
di  Felice  Contelori,  da  processo  del  1554  in  :  L,  Exeinplaria  bullarum  etc.  [B]  = 
ToRKiGio,  Memorie  diverse  di  Roma,  e.  108  a  («  ex  ms.  Felicis  Contelorii  »), 
archivio  Vatic,  segreteria  di  Stato,  Miscellanea,  arni.  Ili,  tomo  121.  Copia 
sec.  XVII  dello  stesso  processo  nel  ms.  H,  61,  e.  257  b  della  bibl.  Gap.  [B>]. 
Regesto  sec.  xvii  nel  medesimo  ms.  H,  61,  e.   100  e  [C]. 

Maffei  Yegii  Hist.  has.  Val.  (Ada  Ss.  lunii,  VII,  80)  :  «  Benedictus  au- 
«  tem  X  in  quodam  privilegio  Catagalla  Patricia  appellai  »  ;  cf.  G.  Severano, 
Memorie  sacre  delle  sette  chiese  di  Roma,  p.  86,  e  Cancellieri,  Dì-  secre- 
tariis  hasilicae  Vaticanae,  1535.  P.  Kehr,  Papslurkunden  in  Rom.  Erster  Be- 
richt,  nelle  Kachrichten  der  Gesellschaft  der  Wissenschaften  ^u  Gótlingen. 
Philolo^isch-historiscbe  Klasse,   1900,  Heft  2,  p.   146,  da  B. 

L'atto  originale  del  processo  1554  non  mi  fu  dato  di  rinvenirlo  né  presso 
l'archivio  Capitolare  né  presso  l'archivio  Vaticano.  B'  pare  copia  di  B  ;  C  non 
è  copia  del  sunto  inserto  nel  processo  dell' a.  1554,  ma,  se  non  ne  dipende, 
ripete  una  fonte  comune  con  quello. 

.  . .  Benedictus  X  per  aliud  suum  privilegium  dat.  die  .\iii.  maii, 
indictione  .xi.,  in  quo  tamen  non  est  locus  nec  annus  Domini  nec 
pontitìcatus,  Aldeberto  archipresbitero  Sancti  Stephani  ac  R.  et  P. 
cunctaeque  congregationi   eorumque    successoribus  auctoritate  apo- 

(a)  A  chta         (b)  A  scrin  (e)  A  olio 


484  .   L.   Schiapavelli 


.Ntolica  statuii  et  corroborai,  ut  Hungari  onines  causa  orationis  aut 
legationis  Roniam  venientesnon  habeant  licentiam  hospitanJi  in  aliquo 
loco  intra  muros  urbis  Romae,  nisi  ad  Sanctum  Stephanuni  protho- 
martyrem  qui  appellatur  minor,  cuius  ecclesiam  Stephanus  («)  rcx 
Hungaroruni  (b)  construxit,  ut  esset  eoruni  liospitiuni,  et  quod  qui- 
cunque  ex  bis  (<=)  Romae  morerotur  (J),  non  auderet  eum  aliquis 
sepelire  aut  eius  bona  quavis  occasione  vel  prò  aliquo  debito  acci- 
pere  (*^\  nisi  («)  dicti  clerici  Sancii  Siephani  («)  qui  eos  ex  more  sepe- 
liunl.  et  corum  bona  ad  utilitatem  diciae  ecclesiae  accipiant  et  paci- 
fice  habeant. 

XXII. 

IO) 8  giugno   I. 

Benedetto  X  concede  una  metà  delhi  rendita  dell'al- 
tare e  della  confessione  di  S.  Pietro  ai  mansionari  della 
scuola  di  detta  confessione  e  1'  altra  metà  ai  preti  dei 
quattro  monasteri  presso  la  basilica. 

Informano  abbreviata  ^tc.  [B]  =  Torrigio,  Mcviorie  divene  di  Roma, 
e.  108.  Copia  sec.  xvii  nel  ms.  H,  6r,  e  256  b  [Bì[.  Sunto  del  sec.  xvii  nel 
ms.  H,  61,  e.   100  A  [C]. 

P.  Keiir,   Papsturìiiinden  in   Rom.   Erster  Uericht,   p.   14-,   da  B. 

Vedansi  le  osservazioni  intorno  alla  bolla  di  Benedetto  X,  1058  maggio  8, 

r-  485. 

Iteni  Benedicius  X  (»)  qui  fuii  quartus  papa  post  Leonem  prae- 
dictum  por  privilegium  dai.  prima  die  iunii,  indictione  .xi.,  in  quo 
tamen  non  est  locus  nec  annus  Domini  nec  pontilìcatus,  concessi! 
auctoritale  apostolica  tribus  prioribus  tamen  mansionum  (b)  scholae 
confessionis  beati  Petri  Bo..  Sergiu.  et  Bo.  («:)  et  per  eos  cunctis 
mansionariis  diclae  scholae  in  perpetuum  ad  corum  pciitionem  me- 
dietatcm  integram  omnium  (•^)  utilitatum  et  ministcriorum,  quas  re- 
troactis  temporibus  habere  consueverant  inconvenienter  <«)  integre  (f) 
de  altari  dominico  (g)  sancii   Petri  siye   in  circuitu  eius  et  de  illius 

(a)  B  B'  S.  e  Stephanus  (b)  B  B'  Hungarus  C  Viigaronim  (e)  C  iis  (d)  B  B' 
moraretur  C  morirentur,  la  i  pare  corrtlla  su  a  (d)  C  arripere  (e)  B  B'  nec  C  nisi 
(e)  Dopo  sancti  Stephaiii  il  regesto  <-',  che  principia  con:  Benedictus  X  statuii  ut  Vngari 
ha  :  ut  in  littcris  Aldeberto  arcbipresbitero  Sancti  Stephani  et  K.  et  P.  cunctaeqae  con- 
gregaiioni.   Datis  die  S  maii,  indictione   .xi. 

(a;  B  B'  IX  C  \  (b)  B'  mansionariorum  carrello  ila  mansionum  (e)  In  C  si 
omttlono  i  tre  nomi.  (d)  B  omni     B'    omnium  corretto  da  omni     C  omnium  (e)  B' 

convenienter  corrette  da  inconvenìenter  f  f)  inconvenientcr  ìntegre  omesso  in  C.  (g)  do- 
minico ometto  in   C 


Cartario  di  S.  'Tielro  in   Vaticano  485 

—      ^ 

yf^  confessione  atque  de  arcella  et  altare  quao  sunt  in  corpus  sancti  Petri 
et  alio  altare  in  honorc  apostolorum  Petri  et  Pauli  consecrato  sive 
de  aliis  consuetudinibus  et  beneficiis  quac  per  sanctum  Petrum  te- 
nuerant,  a  praesenti  tunc  .xi  indictione  detinendam  perpetuo  (»).  et 
haec  fecit  ut  cum  presbyteris  quatuor  monasteriorum  Sancti  Petri 
t^  omne  obsequium  et  vigilantiam  exhiberent  ipsi  ecclesiae  et  custodiae 
ipsius  et  thesauri  eiusdem  ;  nam  et  placuit  sibi,  ut  dixit(b),  alterani 
medietatem  ex  omnibus  similiter  donare  presbileris  quatuor  mona- 
steriorum qui  assidue  exorant  Deum  et  sanctum  Petrum  ante  con- 
fessionem  suam  (<:)   prò  omnibus    fidelibus;  et  voluit    quod  si  aliqua 

/^4y  privilegia  vel  scripturas  haberent  ex  integris  praefatis  monasteriis 
omnia  essent  cassa,  et  imponit  poenas  spirituales  et  temporales  suis 
successoribus  et  aliis (•!).  —  Et  lioc  continet  quartum  privilegium  in 
effectu,  et  est  singulare  in  sua  materia,  quia  nullum  aliud  tractat  de 
ipsa,  et  attende,  quod  iste  papa  fuit  factus  per  violentiam  et  postea 
^  cessit  secundum  chronicas  et  sedit  iste  secundum  chronicas  anno 
Domini  millesimo  quinquagesimo,  licet  in  privilegio  non  sit  annus(«) 
Domini. 

xxiir. 

1066  giugno    15. 

Cencio  figlio  di  Giovanni  «  de  Imperato  »  vende  ad 
Atto  figlio  di  Pietro  «  de  Diacona  »  una  pezza  di  terra 
posta  in  Roma  nella  regione  Scortecclari,  per  il  prezzo  di 
ventiquattro  soldi  d'argento. 

Originale,  caps.    LXI,  fase.  225   [A]. 

Nelle  sottoscrizioni  è  autografo  il  tratto  orizzontale  delle  croci.  Sono  scritti 
dallo  stesso  scriniario  anche  i  documenti  nn.  xxv,  xxvi. 

>5<  In  nomine  domini  Dei  salvatoris  nostri  lesu  Christi.  Anno 
quinto  pontificatus  donini  nostri  Alexandri  secun|[di  pajpae,  indi- 
ctione quarta,  mense  iunio,  die  quinta  decima.  Quoniam  certuni  est 
me  Cen;[cio]  vir  magnificus  (»)  filio  quondam  lohannes  C»)  de  [Im- 
peratjo  (*:),  hac  die  cessissem  et  cessi  atque  tradidi  nec  non  |  et  pu- 
blice  venundavi  propria  et  spontanea  mea  voluntate  vobis   dorano 

(a)  detinendam  perpetuo  omesso  in   C.  (b)  ut  dixit  omesio  in   C.  (e)   C  a|iud 

suam  confessionem  (d)  et  voluit  -  et  aliis   manca   in   C  :   in  questo  transunto,   che  prin- 

cipia con  :  Benedictus  X  concessit  etc.  la  data^io'ie  viene  colìocaSa  ilopo  et  aliis.  Dat.  prima 
die  iunii,  indictione  .xi.         (e)  B  anno 

(a)  A  um         (1>)  A  iolis         (e)  Rasura. 


486  L.   Schiafai'clli 


Atto  viro  magnifico  (»)  (ìlio  quondam  Petrus  de  Diacona  tuisquc 
liercdibus  vel  cui  tibi  largire  et  concedere  placueris,  id  est  totam 
vel  integram  meam  portionem  de  terra  vacante,  omnia  quanjtacumque 
infra  subscripti  affines  conclauduntur  cuni  introita  et  exoitu  suo  usque 
in  via  publi|ca  et  cum  omnibus  ad  ipsam  totam  meam  portionem 
de  terra  vacante  in  integrum  pertinentibus.  Positam  (b)  Roma  regione 

nona   in    Scorticclari   inter    atìì[nes,  a    primo  latere   teniente 

iejrmana  niea,  et  a  secun  do  latere  teniente  ('^)  heredes  de  Fusco  de 
Fraco  de  Gizzomicino,  et  a  tertio(<l)  latere  teniente  (')  Beno  de  Atria, 
et  a  quar|to  latere  via  publica,  iuris  cui  existens.  Sic  in  integrum 
quomodo  mihi  evenit  exs  parte  quondam  meo  genitore  |  et  sic  eas 
tibi  in  integrum  cedo,  trado  atque  venundo.  Unde  et  liane  cessionis 
venditionis  chartula  (.e)  tibi  feci  at|[que  corp]oraliter  tradidi.  Hec  omnia, 
sicut  superius  legitur,  haccepi  ego  qui  supra  (f  )  venditore  a  te  qui  supra  C  ) 
emptore  in  |  presentiam  subscriptorum  testium,  videlicet  in  argentos 
solidos  numero(g)  viginti  quattuor  ]  bonos  obtimos  mihique  placabilem 
in  omni  vera  decisionem,  et  a  uodiernam  di|em  licentiam  abeas  in 
sjprascripta  omnia,  que  ut  superius  legitur,  de  presenti  introeundi, 
utendi,  fruendi,  pos|sidendi,  vendendi,  donandi,  commutandi,  vel 
qu'cquit  exinde  facere  sive  peragere  volue|ris  in  tuam  tuisque  here- 
dibus  sit  potestatem,  et  numquam  a  me  neque  ab  heredibus  meis 
ncque  a  me  summissa  mag'na  parvaque  persona  aliquam  aliquando 
abebis(h)  questionem  aut  calumnia;  etiam  si  tibi'tuisquc  lieredibus  | 
n[ece]sse  fuerint  contra  omnes  ornine  stare  me  una  cum  here- 
dibus meis  et  defendere  promitto  omni  i[n  tem]  pore  gratis.  Hec 
omnia  que  liane  cessionis  venditionis  chartula  «)  seriem  tcxtus  elo- 
quitur,  inviola  viliter  conservare  atque  adimplere  promitto.  Nani,  quod 
absit,  et  si  ccontra  hec,  que  ut  superius  notata  vcl  abscripta  le- 
guntur,  contra  agere  presumsero,  et  cuncta  que  ut  superius  legitur 
non  obserjvavero  et  minime  defendere  potuero  aut  noluero,  tun(') 
dature  me  promitto  una  cum  heredibus  meis  tibi  tuisque  heredibus 
ante  omnem  iitis  initium  pene  nominum  suprascriptum  pretium  in 
duplum,  i  et  post  soluta  pena  liane  venditionis  (')  chartola  (e)  in  suam 
pernianead  firniitatem.  Quam  scribendam  reggavi  Romanuni  scri- 
niario  sanctae  Ronianae  Ecclesiae,  in  mense  et  indictione  suprascripta 
quarta. 

Signum  tx<  manus  suprascripto  Cencio  de  Johannes  (">)  de  Im- 
perato et  rogatore  atque  venditore  qui  supra  (f>  scriberef")  nescit  (o). 


(a)  A  um  (b)  A  pos  (e)  J  leni  (d;  i  cornila  su  o  (e)  A  dia 

({)  A  q%         (g;  A  num         (li)  A  abel'         (i)  Coti  A.         (1)  A  han  us  (m)  A  iolis 

(n)  scribere  in  noia  lirotiiaiia.         (o)  A  nt 


Cariarlo  ^ii  S.  -Pietro  in    Vaticano  48; 


ij<  Petrus  cabatore. 

)x<  Raino  sartore. 

i-i  Albìzo. 

>J<  Carvone  pecoraro. 

)J<  Alverico   artifex. 

y^  Ego  Romaiius  scriniario  sanctac  Romanae  Ecclesiae  qui  supra  (») 
scriptor  luiius  chartula  (b)  facta  compievi  et  absolvi. 

XXIV. 

io6(-i  luglio  7. 

Benone  detto  «  de  Atria  »  col  consenso  della  moglie 
Purpura  cede  a  Cerino  prete  di  S.  Stefcino  minore  una  terra 
«  vacante  »  posta  in  Roma  nella  regione  nona  in  Scortec- 
clari,  per  il  prezzo  di  due  libbre  grosse  di  denari  pavesi. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  225    [A]. 

Non  distinguo  nelle  sottoscrizioni  alcun  tratto  autografo.  Sul  verso  di 
mano  del  sec.  xiii-xiv  :  «  de  domo  iu  ponte  ad  Sanctum  Celsum  iuxta  arcum 
«  triumphalem  ». 

[tj<  In  nomjine  Domini.  Anno  quinto  domni  AlexanJri  secundi 
papae,  indictione  quarta,  mense  iuleo,  die  septima.  Quoniam  certum  , 
[est  me  Benonejm  qui  vocor  (*)  de  Atria,  consentiente  (b)  in  hoc  mihi 
Purpura  mea,  hac  die  cessissem  et  cesi  atque  tradidi  |  nec  non  pu- 
biice  et  inrevocabiliter  venundabi  propria  spontaneaque  voluntate 
tibi  Cerino  presbitero  '  monasteri  Sancti  Stephani  minoris  tuisque 
heredibus  et  successoribus  et  cui  tibi  largire  et  concedere  placuerit, 
id  est  i  terram  vacantem  cum  parietinis  circumdata,  sicuri  per  petras 
tìctas  terminata  esse  videtur,  cum  intro[it]u  et  ;  exitu  suo  et  omnibus 
eius  generaliter  et  in  integrum  pertinentibus.  Positam  (0  Roma  regio 
nona  in  Scortecclari  inter  affines,  a  primo  latere  teniente  (J)  ego  qui 
super  (e)  venditorem,  a  secundo  heredes  Luciae,  a  tertio  viam  com- 
mune(0,  a  quarto  viam  malore  ;  [pujblica,  iuris  cui  existit.  Veluti  mihi 
evenit  per  chartulam  mei  acquisitionis  et  meis  detinui  manibus,  ita  tibi  | 
[contradidij  et  i[am  ven]undo.  Pro  qua  etiam  recepì  a  te  libras  grossas 
papiensium  denariorum  duas  in  pre;sentia  subscriptorum  testium  no- 
bisque  placentium  in  omnem  veram  decessionem,  ut  ab  odierna 
die(g)  ;  introeundi,  utendi,  fruendi,  possidendi,  vendendi,  donandi,  com- 

(a)  A  qs        (b)  A  cha 

(a)  A  qu  (b)  A  cons  (e)  A  pos  (J)  A  ten  (e)  A  .;  sp  (f  )  A  comm 
(S)  ^'  ^o'"p!'l'  licentiam  habeas 


488  L.   Scliiaparulli 


mutandi,  et  quicquid  exinde  facere  sive  \  peragere  volucris  in  tua 
tuorumque  heredum  et  successorum  sit  potestate,  et  numquam  a  me 
ncque  ab  heredibus  |  nieis  ncque  a  me  summissa  persona  aliquam 
aliquando  habebis  questionem  aut  calumniamC"),  set  etiani  stare  me 
una  cura  liereJibus  meis  et  defendere  promitto  tibi  tuisque  here- 
dibus et  successoribus  ab  omni  homi[ne]  |  in  omni  loco  in  tempore 
omnis.  Et  suprascripta  omnia  inviolabiliter  conservare  et  adimplere 
proni[ittoJ.  i  Si  enim,  quod  absit,  centra  hanc  chartulam  venditionis 
agere  aut  causare  vel  litigare  presumsero  et  cunta,  ut  superius 
legitur,  adimplere  noluero  aut  non  potuero,  tunc  daturum  atque 
compositurum  |  me  esse  promitto  una  cum  heredibus  meis  tibi  tuisque 
heredibus  et  successoribus  ante  omne  litis  initium  pene  |  nomine  (b) 
suprascriptum  preiium  duplum,  et  soluta  pena  hec  chartula  vendi- 
tionis firma  sit.  Scripta  per  manum  i^)  Albini  scriniari,  in  mense  et 
indictione  suprascripta  quarta. 

[Signum]  »J<  manus  (<=)  suprascripti  Benonis  rogatoris.  ►x^  Pi^""' 
pura  consentiens  (<*). 

[tj<]   Anastasius  Caputasinu. 

>5<  Atto  de  Petro  de  Diacopa. 

)J<  lohannes  Cecus. 

i^  Fusco  de  Petro  fabro. 

►x<  Petrus  Calzamira. 

Ego  Albinus  scriniarius  sanctae  Romanae  Ecclesiae  compievi  e; 
absolvi. 

XXV. 

107J   giugno   19. 

Leone  «  de  Belconte  »  col  consenso  della  moglie  Ste- 
fania vende  a  Farolfo  prete  del  monastero  di  S.  Stefano 
una  casa  «  terrinea  carticinea  «  situata  nella  regione 


Ponte    nel  luogo    detto   «  Castaelione  »,  per    il    prezzo  di 
ventidue  soldi  d'  argento. 

Originale,  caps.  LVI,  fase.   569  [A]. 

Nelle  prime  due  sottoscrizioni  è  autografo  il  tratto  orizzontale  delle  croci  ; 
nelle  altre  cinque  manca  la  «J»,  ma  un  punto  eseguito  dallo  scriniario  denota 
il  posto  dove  i  singoli  testi  dovevano  tracciare  quella. 

(a)  A  calli         (b)  A  nom         (e)  A  man         (J)  A  cons 


( Zirlar iu  di  S.   Pietro  in    Valicano  4<S9 


[^■^J  In  nomine  domini  Dei  silv.noris  nostri  lesu  (»)  Christi.  Anno 
primo  pontitìcatus  domni  nostri  Gregorii  septimi  papae,  [  [injdictione 
undecima,  mense  iunio,  die  nona  decini.i.  Quoniam  certum  est  me 
Leo  de  Bel'[concJe,  conseitientem  in  ohe  mihi  Stephania  iionesta 
feraina  (b»  coniuge  mea,  hac  die  [  [cessissem]  et  cessi  atque  tradidi 
nec  non  et  publice  venundavi  propria  et  spontanea  |  [mea]  voluntate 
vobis  domno  Fàrolfo   religioso    presbitero  de   venerabili   monasterio 

Sancto  Stepha|[no tuisque]  heredibus  et  successoribus  vel  cui 

tibi  largire  et  concedere  pla|[cuerit,  i]d  est  domum  terrinea  carti- 
cinea  una  in  integrum  cum  modica  terra  de  posse  cum  in  [ferioribus 
et]  superioribus  suis  a  solo  terre  et  usque  ad  summo  tecti  cum 
introita  et  exoiiu  suo  [ujsque  in  via  publica  et  cum  omnibus  ad 
ipsa  domum  et  modica  terra  de  posse  in  integrum  pertinen  [tijbus. 
Positam  (<:)  Roma  regione  de  Ponte  in  locum  ubi  dicitur  Castaelione 
quod  est  interi  [ajffines,  a  primo  latere  teniente  (<J)  Crescentius  Ceco 
et  a  secundo  latere  teniente  W  lohannes  de  Netto,  et  |  [a]  tertio 
latere  terra  de  Sancto  Celso,  et  a  quarto  latere  via  publica,  iuris  cui 
existens.  Sic  |  [in  integrum]  quomodo  mihi  evenit  per  quocumque 
modis  et  sic  eas  tibi  in  integrum  cedo,  trado,  atque  |  [venunjdo.  Unde 
hac  cessionis  venditionis  chartula  tibi  feci  atque  corporaliter  tradidi. 
[He]c  omnia,  sicut  superius  legitur,  haccepi  ego  qui  supra(e)  ven- 
ditore a  te  qui  supra  (>=)  emtore  in  presentiam  sub  scriptorum  te- 
stium,  videlicet  in  argentos  solidos  numero  (f)  viginti  duo  bonos 
obtimos  ;  mihique  placabilem  in  omni  vera  decisionem,  et  ab  odiernam 
diem  licen'tiam  abeas  in  suprascripta  omnia  que  ut  superius  legitur 
de  presenti  introeundi,  utendi,  fruendi,  ;  possidendi,  vendendi,  donandi, 
commutandi,  vel  quicquid  exinde  facere  sive  peragere  volueris  in 
tuam  tuisque  heredibus  sit  potestatem,  et  numquam  a  me  ncque  | 
[a]b  heredibus  meis  neque  a  me  summissa  magna  parvaque  persona 
ali(|uam  aliquando  aibebis  questionem  aut  calumnia  ;  etiam  si  tibi 
tuisque  heredibus  necesse  fuerint(g)  contra  omnes  j  ornine  stare  me 
una  cum  heredibus  meis  et  defendere  promitto,  omni  in  tempore 
gratis.  Hec  omnia  que  hac  cessionis  venditionis  chartula  seriem  textus 
eloquitur,  inviolavilijter  conservare  atque  adimplere  promitto.  Nam, 
quod  absit,  et  si  ccontra  |  hec  que  ut  superius  notata  vel  abscripta 
leguntur  contra  agere  presumsero,  et  !  cuncta,  que  ut  superius  legitur, 
non  observavero  et  minime  defendere  potuero  a  ut  noluero,  tunc 
daturo  me  promitto  una  cum  heredibus  meis  tibi  tuisque  heredibus 
ante  I  omnem  litis  initium  pene  nominum(b)  suprascriptum  pretium 


(a)  A  In  n  (ini   di   salu  n  ihu  (b)  A  h.   fera  ;    fera,    agciuiilo   interlimarmente. 

(e)  A  pos         (d,  A  :eni         (e)  A  qs         (Q  A  num         (g)  Cosi  A.         (h)  A  nonfin 


490  L.   Sc/iiaparclli 


in  Jupliiin  («),  et  post  soluta  pena  |  huius  cliartuhi  (b)  in  suani  permaneaJ 
firmitatem.  Quam  scribendam  rogavi  Rojmanus  scriniario  sanctac 
Romanae  Ecclesiac,  in  mense  et  indictione  suprascripta  undecima. 

Signum  yJ-<  manus    suprascripto  Leo  de  Hekonte    et  venditore 
aique  relatore  qui  supra  (<^)  scribcreW  nescit  (>•■). 

Signum  tj«  manus    suprascripta    Stepliania    honesta   femina    et 
consentiens  que  supra  (0  scribere  W  nescit  («). 

Cencio  nobili  viro  (ìlio  quondam  Stefani  de  Johannes  de  Atria 
ol[....]. 

Fusco  de  Romanus  de  Sassa. 

Medalia. 

Girardo  lanissta. 

Stefulo  de  Johannes  de  Lopipa. 

►J<  Ego  Romanus  scriniario  sanctae  Romanae  Ecclesiae  qui  supra  (>=) 
scriptor  huius  chartula  (b)  facta  comple-i  et  absolvi. 


XXVI. 

1075  settembre  i  -  1074  giugno  50. 

Benedetto,  arciprete  di  S.  Stefano  maggiore,  col  con- 
senso di  tutta  la  congregazione,  vende  a  Cencio  detto 
«  RofFo  »  e  alla  moglie  Cicia  tre  pezze  di  vigna  nel  luogo 
Canutuli,  per  il  prezzo  di  tre  libbre  e  mezzo  d'argento  e 
coll'obbligo  di  cedere  a  detto  monastero  la  quarta  parte 
del  vino. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.  222  [A]. 

Pergamena  guasta  da  rosicchiature  dei  sorci.  Tra  l'ultima  linea  del  testo 
e  X  signum  »  vi  è  spazio  in  bianco  con  tre  punti,  che  denotano  tre  sottoscri- 
zioni non  eseguite.  Nella  croce  dopo  "  signum  »  è  autografo  il  tratto  oriz- 
zontale. È  autografa  la  -^  dopo  la  sottoscrizione  di  la  Gulia.  Le  altre  cinque 
sottoscrizioni  hanno  della  «|*  solo  l'asta  verticale,  tracciata  dallo  scriniario  Ro- 
:nano  ;  sono  quindi  mancanti  della  firma  autografa,  consistente  nel  tratto  oriz- 
zontale (o  spacco)  della  croce. 

.Mancando  l' indicazione  del  mese  dobbiamo  datare  il  documento  secondo 
l'indizione  xn  e  l'anno  primo  del  pontificato  di  Gregorio  VII. 

S  I 

'*>  À  liuplum         (h)  A  ella         (e)  A  qs         (d)  In  nota  lironiana.         (e)  A  nt 


Cartario  di  S.  Tieiro  in   Vaticano  491 


[In  nomine  Domini  sajlvatoris  nostri  lesu  W  Christi.  Anno  primo 
pontificatus  domni  nostri  Grcgorii  septimi  papae,  indictione  duode- 
cima, [mense ]  C»),  die  nona.  Quoniam  certum  est  nos  Benedictus 

religioso  archipresbitero  de  venerabili  monasterio  Sancto  St[efa]  no 

maijore    qui    apellatur  (0  cata  Galla  [ presjbitero 

[se]cundo  [ relijgoso  (d)  [ ]  |  tertio,    consen- 

tientem  in  ohe  n[obis .]  con- 

se[n]tientem  in  ohe  nobis  Berta  nobil[issima  femina  conius  de  lohannes 
Paparone  . .  .J,  subscriptam  |  vineam  hac  die  cessissemus  et  cess[imus 
atque  tradidimus  nec  non]  publice  venundavimus  proprie  !  et  spontanea 
nostre  voluntatis  vobis  domno  Cencio  viro  magnitìco  («)  qui  vocaris  de 
Roffo  seu  Cicia  ,  honesta  femina (0  iugalis  vestrisque  heredibus  vel  cui 
vobis  secundum  quod  subtus  legitur  largire  et  concedere  placueritis,  | 
id  est  tribus  pecie  de  vineae  mannaricie  quod  sunt  ad  quarta  ren- 
dendum  de  vino  mundo  et  de  acquato  cum  versularis  (g)  et  rasulari 
suis  et  locum  ad  calcatorio  suo  ponendum  et  residendum  cum  in- 
troita et  ]  exoitu  suo  usque  in  via  publica,  et  cum  omnibus  ad  ipse 
tribus  pecie  de  vineae  in  integrum  pertinentibus.  Posite  (h)  ;  foris 
pertuso  Beati  Petri  apostoli  in  locum  ub[i]  d[icitur  Canujtuli  quod  est 
inter  affines,  a  primo  latere  '  teniente(')  Andrea  da  lo  Cretaceo, et  a  se- 

cundo  l[atere  teniente ],  a  tertio  latere  *****•]  et  a 

quarto  latere  terra  lavoratora,  iuris  cui  existens.  Sic  in  [integrum  quo 
m]odo  nobis  largiviW  per  chartula())  prò  redenjtione  anime  sue  presbi- 
ter  Cirino  in  nostro  monastaerio  sive  per  quocumque  modis  et  sic  eas 
vobis  in  integrum  cedimus,  trajdimus  atque  venundavimus.  Unde  et 
hac  cessionis  vendltionis  chartula  vobis  fecimus  atque  contradidimus. 
Hec  omnia,  [  sicut  superius  legitur,  haccepimus  nos  qui  supra(k)  vendi- 
toris  ad  vos  qui  supra  (k)  emptoris  in  presentiam  subscriptorum  testium, 
videlicet  in  ar  gentos  libras  numero  (')  tres  et  dimidiam  bonos  obtimos 
nobisque  placabilem  in  omni  vera  decisionem,  |  et  a  vodierna  diem 
licentiam  abeatis  in  suprascripta  omnia  que  ut  superius  legitur  de  pre- 
senti introeundi,  utendi,  fru;endi,  possidendi,  vendendi,  donandi,  com- 
mutandi  secundum  tenore  nosstre  chartula  (i)  vel  quicquid  exinde  | 
tacere  sive  peragere  volueritis  in  vestram  vestrisque  heredibus  sii 
potestatem,  et  numquam  a  nobis  ncque  ab  successoribus  nostris 
neque  a  nobis  summissa  mag[na]  parvaque  persona  aliquam  ali- 
quan|do  abebitis  questionem  aut  calumnia;  etiam  si  vobis  vestrisque 
heredibus  necesse  fuerint  contra  omnes  |  ornine  stare  nos  una  cum 
et  successoribus   nostris   et  defendere   promittimus  omni   in  tempore 

(a)  A  ]lu  n  ihe  (b)  Farmi  di  scorgere  una  r  finale  del  nome  abbreviato  del  mese. 

(e)  A  q  ap  (d)   Cosi  A.         (e)  A  Mm  (f  )  A  h  fem  (g)  A  uer         (h)  A  pos 

(i)  A  ten         (j)  A  dia         (k)  A  qs         (1)  A  num 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.        3^ 


492  L.   Sclìiaparelli 


gratis.  Hec  omnia  '  quc  liac  cessionis  vemiitionis  chartula  seriem 
textus  eloquitur,  inviolaviliter  conservare  atque  ai.iim|plere  promittimus 
Nam,  quod  abiit,  et  si  ccontra  hec  que  ut  superius  notata  vel  abscripta 
Icguntur  I  contra  agere  presuniserimus  et  cuncta  que  ut  superius  legitur 
non  observaverimus,  et  minime  de  fendere  potuerimus  aut  nolueri- 
mus,  lune  daturi  nos  promittimus  una  cum  et  successoribus  |  nostris 
vobis  vestrisque  heredibas  ante  omnem  litis  initium  pene  nominum  («) 
suprascriptum  pretium  in  duplum  (b),  |  et  post  soluta  pena  huius  char- 
tula (<:)  in  suam  permanead  hrmitatem.  Quam  scribcndam  rogavi  | 
Romanus  scriniario  sanctae  Romanae  Ecclesiae,  in  mense  et  indictionc 
suprascripta  duodecima. 

Signum  yji  manus  suprascripta  Berta  nobilissima  femina  conius  de 
Johannes  Paparone  et  consentiens  que  supra  (J)  scribere  (0  nescit  (0. 

I     Paulo  vir  magnificus  (g)  de  Petrus  da  la  Gulia  >J< 

I     lohannes  de  Episcopi  Orlando. 

I     lohannes  Gallopozzonaro. 

I     Benedictus. 

I     Romanus  de  Storio. 

>^  Ego  Romanus  scriniario  sanctae  Romanae  Ecclesiae  qui  supra  W 
scriptor  huius  chartula  («)  facta  compievi  et  absolvi. 

XXVII. 

1083  (10S4)  aprile  28. 

Bonoseniore,  cardinale  della  chiesa  di  S.  Pietro,  col  con 
senso  dei  preti  «  de  li  Fusci  »  e  Belizo  e  del  diacono  Teuzo,  dà 
in  pegno,  a  determinate  condizioni,  al  cambiatore  Paulo, 
dal  quale  aveva  avuto  in  imprestito  cento  soldi  di  denari, 
una  pezza  di  terra  fuori  porta  S.  Pietro  (<  ad  Memolim  ». 

Cop.  sec.  .\I,  caps.  XX.XIX,  fase.  154  [B|.  Memoria  di  alcuni  arcipreti 
antichi,  ms.  H,  },  bibl.  Gap.  e.  io,  cit.  I.  Grimaldi,  Catalogus  omnium  ar- 
ihipreshylerorum,  ms.  H,  i,  bibl.  Gap.  e.   17,  cit. 

Vi  è  errore  nella  datazione:  il  mese  di  aprile  coli' indizione  vi  risponde 
al  1085,  ma  coll'anno  xi  del  pontificato  di  Gregorio  VII  al  1084.  Sul  vi-rso 
della  pergamena  leggesi  di  mano  del  sec,  xil:   Benlincasa. 

In  (■)  nomine  Domini.  Anno  W  undecimo  ('^)  pontificatus  domni 
Gregorii  septimi  C"^)  pape,  indictione  sexsta,  mensis  abrelis,  die  .xxviii. 

(a)  A  nomin  (b)  A  Juplum  (e)  A  clu  (d)  A  qs  (e)  In  nota  tironiana. 
(f)  A  nt         (g)  ^  um  _ 

(1)  B  io         (b)  B  anno         (e)  E  unJecimo         (d)  B  septinii 


Cartario  di  S.  T^ietro  in    Vaticano  493 


Ego  quidem  Bonusscnior  cardinalis  venerabilis  ecclesie  Sancii  Petri 
apostoli  (»),  consentienteC')  miclii  lohannes  presbiter  de  li  Fusci  et  pre- 
sbiter  Belizo  et  Teuzo  diacono,  in  pignus  pone  tibi  Paule  cambialor, 
id  est  unam  pedicam  terre  foris  portam  Sancti  Petri  ad  Memolim,  una 
de  illis  quas  ego  vobis  in  pignus  posui  qualem  tu  tolere  (0  vis  prò 
centum  solidos  denariorum  (J)  quod  niichi  prestasti,  ut  ab  ac  ora 
jibeatis  onme  lucrum  quod  inde  exsierit  prò  lucro  uius  prestiti  usque 
ad  illut  tempus  quod  ego  vcK=)  meos  successores  (0  reddimus  tibi 
dictos  denarios,  et  si  reddinius  in  mense  ianuano(g)  abeanius  nos  future 
niessure  lucrum  de  redditu  et  exsitu  quod  exsit  inde,  et  si  in  dicto 
ianuario  non  reddinius  abeas  lucrum  (h)  futuri  anni,  et  si  quando 
reddimus  abcatis  et  frudiemini  cultum  et  maiesem  quod  ibi  abebitis 
et  detis  nobis  redditum  ut  mox  est,  et  postquani  dictos  denarios  red- 
dinius, tamen  postea  teneatis  tantum  et  frudiamini  quantum  (')  nunc 
usque  ad  illut  tempus  quo  exinde  fructum  abetis,  et  insuper  teneatis 
eam  postea  tres  annos,  quos  eam  debetis  tenere  prò  ilio  introitu  quod 
tu  inde  nobis  dedistis  ;  et  si  antequam  in  ea  terra  sccure  laborare 
potuerimus  dictos  denarios  tibi  reddimus,  dcmus  tibi  de  ilio  termino 
quod  eos  tenuimus  .xx.  denarios  (J)  lucrum  per  menscm,  pensionisCO 
prestitum  duplum. 

I  sunt    testes  uius  pignori:    Petrus  de  Baldino,    Petrus  de  Bo- 
nuccia,  Murellus,  lohannes  Cecus,  Goio  frater  tius. 

Ego  Sasso  scriniarius,  sicut  inveni  in  dictis  Angeli  scriniarii  patrui 
mei,  cui  Christus  indulgeat,  rogatis  ab  eo  de  quibus  cartule  scripte  (™) 
fuerunt  aput  Paulum  cambiatorem,  ita  exsemplavi  prò  utilitate  (") 
canonice  Sancti  Petri,  ut  sii  ini  memoria  canonicorum  suoruni. 


XXVIII. 

1088  novembre. 

Pietro,  arciprete  di  S.  Stefano  maggiore,  loca  a  Franco 
detto  «  de  Roma[no]  »  una  terra  situata  entro  la  città  Leo- 
nina, nei  borgo  dei  Frisoni,  con  libertà  di  coltivarla  e  di  fab- 
bricarvi a  proprie  spese  una  casa,  per  il  prezzo  di  due  soldi 
di  denari  pavesi  e  coli' annua   pensione,   da   pagarsi  nella 

(a)  B  apostoti  (b)  B  consentiente  (e)  B  tot  (d)  B  J  (e)  B  vet 

(f)  B  suseccsses         (g)  B  ian         (h)  Prima  di  lucrum  venne  espunto  frueiu         (i)  B  qua- 
tum         (I)  B  pen         (m)  B  scripte         (n)  B  m\ 


494  ■^-    ^chiapat'clli 

festività  di  santo  Stefano,  di  un  certo  numero  di  denari  d'ar- 
gento. La  rinnovazione  dovrà  farsi  ogni  diciannove  anni 
e  col  pagamento  di  un'  oncia  di  denari  pavesi. 

Originale,  caps.  LXI,  fase.    590  [A]. 

Martorelli,  Storia  del  clero   Vaticano,  p.   104,  cit.  da  A. 

Tra  la  sottoscrizione  preceduta    da   «  signum  »    e  quella    dello  scriniario 
sono  notate  con  tre  punti  tre  altre  sottoscrizioni  non  eseguite. 

y^  A  vobis  peto  donino  PETRO  archypresbitero  Bibiaquam  de 
venerabilis  §cclesiam  Sancti  Stcpliani  malori,  j  ut  per  consensuni  pre- 
sbiterorum  suorum  quatinus  michi  Franco  qui  dicor  de  Rom[ano 
hcredjibusque  meis  comittatis  atque  libelli  nomine  locetis,  id  est  terram 

vacantem  cum  p[ ]  |  Inter  me  et  lohannes  Botto,  ad 

domum  et  quicquid  ibidem  voluero  facicndu[m  cum(a)  omnibus]  | 
pertinentiis.  Positam  (b)  intro  civitate  Leoniana  in  burgo  Frisonorum 
secus  domum  mcam  iuris  vestri  dominii,  ad  tenendum,  colendum, 
fruenduiii,  possidcnduni,  et  domum  ibidem  ex  omni  meo  expendio  | 
faciendum,  et  in  omnibus  meliorandum,  et  a  die  octava  decima 
mensis  novembris  j  presentis  duodecima  indictione  et  usque  in  annos 
videlicet  decem  et  novem  complendum,  ]  et  renovandum  in  alios  tantos 
decem  et  novem  annos.  Pro  qua  denique  locatio  ne  dedi  vobis  duos 
sulidos  denarioium  papiensium,  et  quando  ad  renovare  venerimus  | 
damus  vobis  unam  unciam  denariorum  papiensium,  et  omni  anno  prò 
pensione  vobis  damus,  ]  scilicet  in  festivitatem  sancti  Stephani,  dena- 
rios  argenteos  •  •  »,  et  non  hnbenmus  '  licentiam  ipsam  terram  et 
hoc  placitum  alicui  primitus  vendendi  quam  vobis  :  vestrisque  succes- 
soribus  iusto  pretio  minus  dcnarios  ♦♦•••♦;  quod  si  emere 
nolueritis  W,  demus  vobis  |  denarios  ipsos,  et  licentiam  habeamus 
vendere  tali  persone,  ut  omnia  que  superius  legitur  sine  mole|stia 
vobis  persolvad.  Tu  autem  una  cum  successoribus  tuis  dcfendatis 
eam  nobis  ab  omni  |  homine,  si  opus  et  necesse  iuerit.  Si  qua  vero 
pars  contra  fidem  orum  libellorum  veni|re  temptaverit,  tunc  det  pars 
infidelis  fideli  parti  duas  boni  auri  uncias,  et  soluta  poenna  |  hii 
duo  libelli  firmi  persistant.  Anno  quinto  pontificatus  domni  Clementi 
summi  ponti|fici  et  universalis  tertii  papae.  Scriptum  per  manum  ('>) 
Petri  scriniarii,  in  mensj,  indictione  suprascripta  .xii. 

Signum  ì^  manus  (>!)  supra  .cripti  Franconi  rogatoris  huius  appare. 

^  Ego  Petrus  scriniarius  compievi  et  absolvi. 

(a)  Di  cum  scorgesi  il  trailo  iitftriort  dtl  nesio  q  (b)  A  pos  (e)  A  noli» 

(d)  A  man 


Cartaì'io  di  S.  Tietro  in   Vaticano  495 

XXIX. 

1092  giugno   IO. 

«  Obiit  Deusdedit  «,  arciprete  di  S.  Pietro,  «  Urbano  se- 
«  CLindo  regnante  anno  1098,  de  quo  unica  tantum  habetur 
«memoria  in  instrumento  locationis  domus  anno  1092, 
«  .X.  iunii,  domus  scandalicie  cum  porticu  ante  se  et  pre- 
«  forulo  suo  ad  faciendum  negotia  site  Rome  in  regione 
«  Scorteclari  ». 

Mss.  citati  H,  5,  e.   12  e  H,  i,  e.  20  b  della  bibl.  Capir. 

Il  regesto  del  Grimaldi  in  H,  i  è  quello  riferito  ed  il  più  completo. 
Finora  non  rinvenni  questo  documento,  che  non  trovo  neppure  registrato 
nell'indice  dello  stesso  Grimaldi. 

XXX. 

1098  agosto  2. 

Giovanni  de  Rosa  vende  a  Paolo  detto  «  de  Petromi- 
«  liolo  »,  secondo  il  tenore  della  carta  di  acquisto  coll'ob- 
bligo  della  quarta  parte  del  vino,  una  vigna  nel  luogo 
detto  Monte  dei  Longobardi  fuori  porta  S.  Pietro,  per  il 
prezzo  di  quattordici  soldi  di  denari  e  sei  denari. 

Originale,  caps.    LXI,    fase.   390  [A]. 

Nelle  sottoscrizioni  non  si  distinguono  caratteri  o  tratti  autografi. 

^  In  nomine  Domini.  Anno  quinto  (»)  decimo  pontificatus  domni 
Clementi  summi  pontifìcis  et  universalis  tertii  |  papae,  indictione  .vi., 
mense  augusto,  die  .11.  Q.uoniam  certuni  est  me  Johannes  de  Rosa 
viro  honesto  (b),  hac  die  nullo  michi  prohibente  ncque  contradi- 
cente,  propria  mea  voluntate  do,  dono,  cedo,  tra|do  et  inrevocabiliter 
vendo  secundum  tenore  chartulae  meae  acquisitionis  ad  quar|ta 
reddendum  de  vino  mundo  et  acquato,  quas  acquisivi  da  Johannes 
de  presbitero  Rocio,  |  id  est  tota  illa  vinea  quas  ipse  suis  manibus 
detinuit,  taliter  eam  vendo  et  |  trado  tibl   Paulo  qui  diceris  de  Petro- 

(a)  quinto  su  rasura.         (b)  A  uir  hon 


49^  ^-   Sc/iiapaìX'lli 


miliolo  tuisqiic  licrcdibusct  filiis  qui  exeis  nas[c]i|turi  siint  vita  eorum 
taliterC*)  modo,  prò  eo  qiicd  dedistìs  niichi  exinde  ante  presenta 
sub|scriptorum  testium,  videlicct  oblimi  denariorum  solidos  numero 
quattuordecim  et  |  denari  sex.  Predicta  namque  vinea  est  possita  extra 
porta  Sancii  Petri  apostoli  in  loco  qui  vocatur  ]  Monte  Longobardo- 
rum  in  elusa  Sanctorum  loliannis  et  Pauli  iuris  suprascripti  monasteri, 
inter  affines,  |  sicuti  coniuncta  et  coadunata  esse  ('')  cum  alia  vinca 
que  detinet  Tcuzo  Terrario  |  a  iam  dicto  monasteri  Sancti  lohannis  et 
Pauli,  et  sicut  nunc  nieis  detinet  manibus,  cum  vasca  |  et  vascario 
commune  et  puteum  aque  vivae  cum  introitu  et  exitu  suo  et  cum 
vcrjsulares  et  cum  omni  suo  usu  et  utilitatc  vcl  pertinentia  sua  usque 
in  via  publica;  et,  |  sicut  dictum  est,  qualiter  miciii  pcrtinet  taliter  eam 
tota  tibi  concedo,  trado  |  et  do,  ita  ut  ab  hodierna  die  licentiam  et 
potestaten  (<=)  habeas  tu  et  heredibus  tuis  |  de  presenti  ibidem  intro- 
eundi,  utendi,  fruendi,  possidendi,  vendendi,  et  secundum  teno|re 
chartulae  meae  quicquid  exinde  Tacere  volueriiis,  et  numquam  a  me 
neque  ab  1  heredibus  meis  sive  a  nulla  persona  a  nobis  summissa 
exinde  habeatis  aliquani  |  contrarietatem  nec  litis  calumniam  (<!);  sed, 
si  opus  et  necesse  tibi  tuisque  heredibus  fuerit,  stare  |  me  una  cum 
heredibus  meis  et  defendere  promitto  ab  omni  homine  et  in  omni  (=) 
loco  I  omnique  tempore  gratis.  Et  hec  omnia  observari  promittimus. 
Quod  si  non  fecerimus,  |  vel  si  contra  hec  aliquo  modo  venire  tem- 
ptaverimus(f),  componamus  vobis  prò  pena  |  quod  suprascriptum 
est  pretium  duplo,  et  post  soluta  pena(g)  chartula  hec  firma  perma- 
neat.  Q.uam  scribendam  (  rogavi  Romanum  scriniarium  sancte  Ro- 
mane Ecclesiae,  in  mense  et  indictione  suprascripta  .vi. 

Signum  ^^  manus  W  suprascripto  Johannes  (0  de  Rosa  qui  liane 
chartula  0)  fieri  rogavit. 

>^  Gregorio  de  Nitto  testis. 

ìr^  Rustico  frater  eius  testis. 

>J-<  Otto  de  lohanne  Zenca  testis. 

>x^  Bonoseniore  de  Gregorio  (m)  de  Georgi  testis. 

»5<  Glorioso  filius  de  Romano  (")  manssionario(o)  testis. 

►Jh  Ego  Romanus  scriniarius  sancte  Romane  Ecclesiae  scriptor  huius 
chartulae  compievi  et  absolvi. 


{Continua) 


ss 


(a)  A  tt  fb)  Si  soltinttnda  videtur  (e)  Così  A,  (d)  A  c«t         (e)   om  car- 

rello tu  ìc  (f)  A  tcmptaverimus  (g)  A  sol  pcn  (h)  A  man  (i)  A  iolis 

(1)  A  chla        (ni)  A  gg        (n)  A  rom         (o)  A  manss 


/  banchieri  toscani  e  la  S.  Sale 

SOTTO  BENEDETTO  XI 


I. 

_'ltrove    studiammo,  sui  documenti  Vaticani,  la 
^  storia  dei  rapporti  commerciali  fra  la  S.  Sede  e 

^^^  i  banchieri  italiani,  dagli  inizi  del  secolo  xiii  fino 
alla  morte  di  Bonifacio  VHI  (i). 

Intendiamo  ora  di  proseguire  codesto  studio  per  un 
breve  periodo  di  tempo,  cioè  sino  al  principio  del  periodo 
Avignonese.  E,  seguendo  il  metodo  che  nell'altro  nostro 
lavoro  giustificammo,  ricostruiremo  da  prima  i  fatti  sulle 
testimonianze  originali,  indi  ne  cercheremo  la  spiegazione 
più  ragionevole. 

Sotto  Benedetto  XI  la  prevalenza  nel  servizio  di  te- 
soreria pontificia,  spetta  alla  casa  fiorentina  dei  Cerchi. 
Qua  si  presenta  una  prima  questione  assai  importante, 
come  vedremo,  per  le  sue  conseguenze:  quando  han  prm- 
cipio  le  relazioni  bancarie  dei  Cerchi  con  la  Chiesa? 

In  una  lettera  di  Clemente  V,  dell' ii  luglio  1307, 
nella  quale  son  fatti  i  computi  del  dare  e  dell'avere  fra 
la  Chiesa  e  la  compagnia  Cerchiesca,  si  dice  espressa- 
mente che   codesta   società  fu    chiamata  al  servizio  della 


(i)  Studi  e  docununti  di  storia  del  diritto,  Firenze,  Le  Monnier,  1901. 


498  G.  Q^rias 


S.  Sede  rS  novembre  del  1303,  vale  a  dire  subito  dopo 
l'assunzione  al  pontificato  di  Benedetto  XI  (i).  Se  non 
che  da  certi  Iiistriinieiita  faticann,  già  da  noi  citati  (2), 
risulta  nel  modo  più  manifesto  che  anche  sotto  Bonifa- 
cio VIU  erano  stati  fatti  ai  Cerchi  alcuni  assegni,  taluni 
dei  quali  di  una  qualche  importanza. 

Il  porre  d'accordo  queste  testimonianze  contrarie  non 
ha,  in  tondo,  per  noi,  una  grandissima  importanza;  a  noi 
basta  che  si  possa  affermare  che,  /;/  fatto,  le  relazioni  dei 
Cerchi  con  la  Chiesa  precedono  il  pontificato  di  Bene- 
detto. Del  resto  la  conciliazione  non  mi  sembra  difficile  : 
Clemente  V  allude,  nella  sua  lettera,  all'entrata  dei  Cerchi 
nel  numero  dei  mercatorcs  Roiuanac  Ecclesiac,  all'acquisto  di 
questa  loro  qualità,  probabilmente  per  mezzo  di  conces- 
sione scritta  pontificia  (come  dice  forse  la  designazione 
precisa  del  giorno),  il  che  non  esclude  che  anche  prima 
la  Chiesa  si  servisse  di  costoro,  quasi  per  esperimento. 

Della  prevalenza  Cerchiesca  sotto  Benedetto  restano 
copiose  prove  nei  registri  pontifici  e  nei  documenti  \'a- 
ticani  (3).  Il  13  gennaio  1304  il  papa  dà  ordine  a  diversi 
collettori  della  decima  già  imposta  da  Bonifazio  «  prò  one- 
«  ribus  et  necessitatibus  Ecclesiae  Romanae  »  di  deporre 
presso  i  Cerchi  tutto  il  danaro  che  in  avvenire  raccoglies- 
sero  o  quello  che,  dopo  averlo  raccolto,  trattenessero  ancora 
presso  di  sé  (4):  ordini  simili  son  dati  in  una  lettera  di 
poco  posteriore  (5). 


(i)  Regeslnm  Ckmentis  papae  T,  ediz.  de' Benedettini,  Roma,  1886, 
I,  n.  2271. 

(2)  V.  Studi,  p.    112. 

(j)  Cf.  ScHNKiDER,  Die  finan^iilkn  Be\icìmngm  der  florentinischeii 
Banhicrs  ^iir  Kircìu  voti  128$  bis  IJ04,  Leipzig,   1899,  pp.  26-28, 

(4)  V.  Le  regislrc  d^  Eenoil  XI,  ed.  Grandjean,  n.  181.  V.  pure 
l'istruinento  di  deposito  della  decima  della  diocesi  Canieracense  del 
16  m.Tggio  IJ04.  Archivio  Valicano,  Miscellanea,  cass.  VI,  n.  48. 

(5)  Le  rc'^istrc  de  Benoit  XI,  n.   534. 


/  banchieri  toscani  e  la  S.  Sede  499 

Il  18  febbraio  dello  stesso  anno  il  pontefice  ordina  al 
collettore  «  in  partibus  Anglie,  Wallie,  Scotie  et  Ybernie  » 
di  deporre  presso  i  Cerchi  tutto  il  denaro  colà  raccolto  dalle 
decime,  censi  ed  altri  proventi,  ad  eccezione  della  decima 
già  ricordata  di  Bonifazio,  la  quale  deve  dividersi  in  parti 
uguali  fra  i  Cerchi,  i  Bardi  ed  i  Chiarenti  (i);  uguale  or- 
dine, per  le  terre  d'Ungheria,  Boemia  &c.,  emana  il  20  feb- 
braio, stavolta  senza  la  limitazione  per  la  decima  Bonifa- 
ziana  (2). 

Si  ha  poi  notizia  di  depositi  fatti,  nell'ottobre  1304, 
alquanto  dopo  la  morte  di  Benedetto,  ma,  credo,  in  con- 
seguenza di  un  precedente  incarico,  da  Rainaldo  vescovo 
di  Siena,  collettore  della  decima  «  in  Tuscia  imperiali  ac 
«  in  Pisana,  Massaria  et  Lunensi  civitatibus  ac  diocesibus  », 
presso  i  Cerchi,  i  Bardi  e  i  Chiarenti  (3). 

La  compagnia  fiorentina  degli  Spini,  che  già,  sotto 
Bonifiizio,  avea  ottenuto  il  monopolio  degli  affari  ponti- 
fici, ora  è  caduta  in  disgrazia.  Una  lettera  di  Clemente  V 
ci  attesta  che  costoro  furono  da  Benedetto  allontanati  dalla 
Curia  il  IO  gennaio  1304(4).  Sappiamo  però  che  anche 
dopo  questa  data  furono  fatti  presso  di  loro  dai  collettori 
vari  depositi,  certo  in  esecuzione  di  ordini  anteriormente 
ricevuti  (5). 

È  fenomeno  degno  di  nota  che,  sotto  Benedetto,  con 
l'aiuto  del  pontefice,  tenta  di  ricostituirsi  la  compagnia 
pistoiese  degli  Ammannati,  la  quale,  al  tempo  di  Boni- 
fazio, aveva  interrotto  le  sue  operazioni  in  modo  disono- 

(i)  Le  registri  ài  Beiioil  XI,  n.   1232. 

(2)  Li  ngislre  de  Beuoit  XI,  n.   1235. 

(3)  Arch.  Vat.  Miscellanea,  cass.  VI,  nn.  54,  56.  Cf.  Davidsohn, 
Forschungen  \iir  Geschichte  von  Floreii:^,  Dritter  Theil,  Berlin,  1901, 
pp.  91,  92.  V.  pure  altre  testimonianze  in  Regeslum  Clemeiitis  papae  V, 
nn.  1151,2271  (ScHNEiDER,  op.  e  loc.  cit.). 

(4)  Regestum  Clementis  papae  V,  n.    11 52. 

(5)  Arch.  Vat.  Miscellanea,  cass.  VI,  nn.  44,  49,   51. 


500  G.  <?Arias 

revole(i).  Il  papa  incarica  diversi  e.wciitorcs  in  Italia  e 
fuori  di  procedere  contro  i  debitori  della  compagnia,  non- 
ostante qualsiasi  precedente  dispensa,  e  di  depositare  il 
danaro  raccolto  in  tal  modo  presso  i  Cerchi  e  i  Chia- 
renti, acciò  paghino  i  creditori  degli  Ammannati  (2),  ai 
quali  intanto  concede  di  far  liberamente  ritorno  in  Roma, 
a  riprendervi  il  corso  interrotto  degli  affari.  Ma  il  tenta- 
tivo non  ebbe  buon  effetto,  almeno  immediatamente;  in- 
fatti assai  tempo  dopo,  il  18  maggio  1306,  Clemente  V 
diede  nuovi  ordini  uguali  ai  precedenti,  affidando  stavolta  la 
cura  del  pagamento  alle  due  compagnie  fiorentine  degli 
Scali  e  dei  Peruzzi,  le  quali  in  quel  momento  non  erano  al 
servizio  della  Chiesa  (3).  Forse  fu  proprio  questa  la  causa 
della  sostituzione,  che  probabilmente  i  Cerchi  e  i  Chia- 
renti non  si  erano  adoperati  con  troppo  zelo  a  richiamare 
in  vita  una  compagnia,  giA  un  tempo  floridissima,  la  quale, 
una  volta  ricostituita,  poteva  ben  togliere  loro  il  primato. 


II. 


Ai  fatti  esposti  va  data  un'  interpretazione  logica.  Da 
quali  cause  fu  originato  il  cambiamento  profondo  avve- 
nuto alla  morte  di  Bonif;icio  Vili  nei  rapporti  fra  i  ban- 
chieri toscani  e  la  S.  Sede,  e  che  cosa,  soprattutto,  deter- 
minò l'allontanamento  degli  Spini  e  il  fiivore  pei  Cerchi, 
i  quali,  Ì!i  così  rapida  maniera,  giungono  a  prevalere,  no- 
nostante che  ultimi  fossero  entrati  al  servizio  della  Chiesa  ? 

Lo  Schneider  offre  una  spiegazione  troppo  semplice.  Bo- 
nifacio, egli  scrive,  favorevole  ai  Neri  protegge  gli  Spini; 
Benedetto,  parteggiante    pei   Bianchi,    favorisce  i   capi  di 


(.1)  Cf.  Studi,  p.  115. 

(2)  Le  regislre  de  Binoil  XI,  un.  8.S2,  883,  8.S6. 

(3)  Rii^eitum  Chmcntis  papae   V,  n.  757. 


/  banchieri  toscani  e  la  S.  Sede  501 

questo  partito,  i  Cerchi  (i).  Per  prima  cosa  ò  bene  av- 
vertire che  una  parte  sohanto  deUa  famigh'a  Cerchiesca 
partecipa  ora  al  servizio  delhi  tesoreria  pontificia,  i  cosid- 
detti Cerchi  Bianchi,  i  quali,  come  è  noto,  si  erano  acco- 
stati alla  fazione  Nera  (2). 

Così  anzi  facihnente  si  spiega  quelhi  singolare  scissione 
che  avvenne,  nel  1303,  nel  seno  della  consorteria  fioren- 
tina capitanante  parte  Bianca.  Alcuni  de'  Cerchi,  i  Bian- 
chi (3),  i  quali  prima,  per  rivalità  contro  gli  Spini  e  contro 
gli  altri  banchieri  fiorentini  protetti  dal  pontefice,  ben  vo- 
lentieri avevano  aderito  alla  fazione  antipapale,  in  seguito 
stimarono  assai  più  utile  seguire  la  tattica  opposta,  ed  apri- 
rono trattative  col  pontefice,  ottenendo,  a  quanto  sembra, 
subito  qualche  piccola  somma  in  deposito  dalla  S.  Sede. 
Per  tal  modo  riuscirono  a  sottrarsi  dai  gravissimi  danni 
commerciali  che  loro  indubbiamente  provenivano  dall'  esilio 
e  dalla  persecuzione  papale  e  poterono,  per  di  più,  met- 
tersi a  lato  dei  loro  rivali,  gli  Spini,  i  quaU  però,  come 
s' intende,  mantennero  per  qualche  tempo  l' antica  pre- 
valenza. 

Poiché  i  Cerchi  ebbero  ottenuto  questo  primo  e  buon 
risultato,  la  loro  vittoria  era  economicamente  ed  anche 
politicamente  necessaria. 

Economicamente,  perchè  essi,  giungendo  ultimi  a  par- 
tecipare al  commercio  coi  pontefici  (meta  ambita  da  ogni 
compagnia  bancaria),  avean  modo  di  portare  a  codesto 
commercio  il  valido  contributo  di  nuovi  e  forti  capitali,  i 
quali  ben  dovevano  esser  desiderati  per  rimediare  -^Wcsaii- 
ritnento  da  cui  talvolta  eran  colpite,  a  lungo  andare,  le  ditte 

(1)  SCHNEIDER,   Op.    cit.    p.    26. 

(2)  V.  Studi,  pp.   127-128. 

(3)  I  documenti  di  recente  comunicati  dal  Davidsohn,  Foi- 
schun^en  cit.  nn.  239,  354  e  passim,  provano  l'esistenza  contempo- 
ranea di  due  società  commerciali  diverse,  de' Cerchi  Neri  e  de'  Cer- 
chi Bianchi. 


502  G.  oArias 

al  servizio  della  S.  Sede.  A  me  sembra  di  poter  dichiarare 
una  delle  cause  di  questo  fenomeno,  in  apparenza  strano, 
ma  comprovato  dal  fatto  che  tre  delle  maggiori  compagnie 
in  relazione  con  la  Chiesa,  i  Bonsignori,  i  Ricciardi  e  gli 
Ammannati,  dovettero  sottostare  ad  un  fallimento,  dal 
quale,  per  le  prime  due,  provenne  la  morte  (i).  L'appar- 
tenere alla  categoria  dei  mercatorcs  Roinanae  Eccìesiac  era, 
a  dire  così,  un  titolo  buonissimo  per  espandere,  in  più 
modi,  il  proprio  commercio  e  soprattutto  per  ottenere  la 
fiducia  degli  ecclesiastici,  i  quali  ai  banchieri  pontifici  spe- 
cialmente si  rivolgevano  per  i  prestiti  a  loro  necessari  : 
onde,  come  altrove  dimostrammo,  si  accresceva  nei  ban- 
chieri il  desiderio  di  esser  chiamati  a  far  parte  del  servizio 
di  tesoreria  pontificia. 

Se  non  che,  codesti  banchieri  privilegiati,  una  volta 
accresciuto  straordinariamente  il  loro  campo  d'azione,  erano 
esposti  a  grandissimi  pericoli,  soprattutto  perchè  gli  eccle- 
siastici, i  loro  principali  clienti,  erano  tutt'altro  che  solle- 
citi alla  restituzione  delle  somme  avute  in  prestito,  sicché 
una  gran  parte  di  capitale  veniva  ad  essere,  per  tal  modo, 
dispersa  e  resa  inoperosa.  Citiamo  alcuni  esempi.  Buon 
numero  di  ecclesiastici  sono  espressamente  ricordati  nei 
registri  pontifici  quali  debitori  degli  Ammannati  «  in  non- 
«  nuUis  pecuniarum  summis  »,  già  da  lungo  tempo  (2);  e 
sappiamo  anche  che  molti  «  prelati,  nobili  e  potenti  »  si 
erano  violentemente  procacciati  «  liberationes,  absolutio- 
«  nes,  quitationes  òvc.  »  a  dnnno  di  codesta  compagnia  (3), 
provocandone  la  rovina.  Cosi,  secondo  che  dice  una  let- 
tera di  Clemente  V,  buon  numero  di  prelati  e  di  altre 
persone  ecclesiastiche  delle  terre  soggette  al  re  d' Inghil- 
terra non  soddisfecero  alle  loro  molte  obbligazioni  verso 


(i)  Cf.  Studi,  p.  104  sgg. 

(2)  Le  registre  de  Deiioit  A7,  nn.  8<-2  cit.,  884,  887. 

(})  Le  regiitie  de  Beiioil  XI,  n.  885. 


/  bancliieri  toscani  e  la  S.  Sede  503 

le  compagnie  dei  Ricciardi  di  Lucca  e  dei  Bonsignori  di 
Siena,  tanto  che,  dopo  il  fallimento  di  costoro  con  forte 
disavanzo  verso  la  Chiesa,  il  pontefice  dovette  procedere 
contro  quei  morosi  (i);  certo  senza  nessun  esito  perchè, 
come  risulta  da  altri  documenti,  molti  anni  dopo,  nel  1344, 
il  debito  che  i  Bonsignori  avevano  con  la  S.  Sede  si  ritrova 
inalterato  (2). 

Ritornando  alla  nostra  questione,  lo  spodestamento  degli 
Spini  per  parte  dei  Cerchi,  dovette  esser  determinato  prin- 
cipalmente da  cagioni  economiche,  anzi  può  dirsi  che  rientri 
in  questa  legge  generale,  confermata,  per  quanto  mi  so, 
da  tutìa  la  storia  dei  rapporti  fra  la  Chiesa  e  i  banchieri, 
che  la  compagnia  ultima  giunta,  come  quella  che  risentirà 
più  tardi  delle  altre  le  conseguenze  tristi  del  nuovo  ufficio, 
per  goderne  da  prima  solo  i  notevolissimi  vantaggi,  ha  le 
maggiori  probabilità  di  vittoria  momentanea  sulle  altre 
ditte  bancarie. 

Con  ciò  non  escludo  che  la  sostituzione  dei  Cerchi 
agli  Spini  fosse  anche  determinata  da  causa  politica:  non, 
ad  ogni  modo,  quella  che  sembra  allo  Schneider.  Bene- 
detto XI,  desideroso  della  pacificazione  fiorentina,  favo- 
riva, sotto  un  certo  aspetto,  codesta  nobile  causa,  chia- 
mando al  suo  servizio  una  ditta,  legata  per  vincoli  di 
parentela  ai  capi  di  parte  Bianca  e  nello  stesso  tempo  non 
più  in  odio  ai  Neri. 

L'interesse  che  Benedetto  dimostra  per  la  ricostituzione 
della  società  degli  Ammannati  «  ex  cuius  lapsu  gravia 
«  dampna  et  incommoditates  plurimis  incumbebant  »  si 
spiega  non  solo  col  desiderio  di  riprendere  i  danari  da 
quella  compagnia  dovuti  alla  Chiesa  (3),  ma  anche  forse 
con  la  volontà  di  contrapporla,  una  volta  ricostituita,  alle 


(0  Rii^cstiiiìi  Cìemenlis  papae  V,  n.  2296. 

(2)  V.  Sliuìi,  p.   I   sgg. 

(3)  Le  rògislre.  di  Buioil  XI,  n.  664. 


504  G.  d'irias  -  I  baììchieri  ecc. 

società  fiorentine,  lira  sistema  dei  pontefici  di  cercare,  nei 
rapporti  coi  banciiicri  (purché,  s' intende,  senza  lor  danno 
economico)  l' equilibrio  (ielle  città,  cioè  una  certa  propor- 
zione negli  incarichi  affidati  alle  banche  di  città  differenti, 
ad  evitare  i  pericoli  delia  supremazia  di  una  fra  queste 
città.  Scomparsa,  per  Firenze,  la  concorrenza  senese  e 
lucchese,  col  fallimento  dei  Ricciardi  e  de'  Bonsignori,  si 
faceva  sempre  più  visibile,  pei  pontefici,  la  necessità  di 
contrapporre  alle  ditte  fiorentine  qualche  altra  società 
pistoiese,  oltre  quella  dei  Chiarenti:  era  naturale  perciò 
che  si  rivolgesse  il  pensiero  agli  Ammannati, 

Cosi  abbiamo  terminato  di  esporre,  in  modo  sintetico, 
e  di  interpretare  razionalmente  la  storia  delle  relazioni  fra 
i  banchieri  e  la  Chiesa  sotto  Benedetto  XI,  e  siamo  giunti, 
con  Clemente  V,  al  periodo  Avignonese,  il  quale  richiede, 
anche  sotto  questo  rispetto,  un  largo  studio.  - 

GiN'o  Arias. 


VARIETÀ 


IL  DIARIO  DI  GIOV.  BATTISTA  BELLUZZI 

DA     SA  N     M  A  RINO 

(1555-1541) 


Nella  biblioteca  Vittorio  Emanuele  di  Roma  (fondo  V.  E. 
n.  476)  esiste  un  codicetto  cartaceo  di  carte  164  (misura 
mm.  140  X  8o)>  '"  corsivo  italiano  del  secolo  xvi,  che  dal 
catalogo  è  attribuito  a  certo  Bonelli  da  S.  Marino.  Un 
esame  un  po'  attento  però  rende  certi  che  l'attribuzione  è 
erronea;  e  che  invece  nel  codice  è  da  riconoscersi  il  diario 
del  celebre  architetto  militare  Giovanni  Battista  Belluzzi 
(dal  Vasari  e  da  altri  detto  Bellucci),  nato  in  S.  Marino,  e 
per  questo  soprannominato  il  Sammarino.  Difluto  non  solo 
sarebbe  stato  facile  scoprire  il  suo  nome  per  mezzo  delle 
indicazioni  che  egli  dà  intorno  al  capitanato  sostenuto  nella 
repubblica  di  S.  Marino  da  suo  padre  nel  secondo  semestre 
del  1539  insieme  con  lacomo  de  li  Giannini  (i),  ovvero  per 
quelle  intorno  alla  moglie,  al  cognato  e  al  socero,  Giulia,  Bar- 
tolomeo e  Girolamo  Genga,  architetto  quest'  ultimo  tra  i 
primi  del  suo  tempo,  vissuto  quasi  sempre  alla  corte  dei  duchi 

(i)  C.  iigA.  Furono  capitani  in  quel  semestre  Giacomo  detto 
e  Bartolo  di  Simone  Belluzzi.  M.  Delfico,  Memorie  di  S.  Marino, 
Firenze,  Fabris,  1843.  Nel  terzo  volume,  che  è  di  aggiunzioni  fatte 
all'opera  del  Delfico,  pp.  lxi-cxxxvi,  v' è  una  Serie  cronologica  dei 
capitani  dal  1224-1S43:  a  p.  xci  è  la  notizia  del  1559.  Cito  la  edi- 
zione del  1845  non  essendomi  stato  possibile  avere  quella  del  1865. 


^o6  'P.  Egidi 


d'Urbino  (i);  ma  anche  più  falcile  sarebbe  stato  leggerlo  per 
esteso  a  e.  119,  dove  all'  ultimo  posto  tra  gli  oratori,  man- 
dati da  S.  Marino  ad  Urbino  il  25  novembre  1538  a 
rappresentare  la  repubblica  nei  funeri  di  Francesco  Maria  I 
della  Rovere,  sta  segnato:  «  io  Giovanni  Baptista  Belluzzi  ». 
Per  verità  i  caratteri  di  questa  nota  sono  così  minuti,  che 
non  fa  gran  meraviglia  se  siano  sfuggiti  a  chi  ebbe  il  codice 
per  le  mani. 

Che  un  diario  del  Belluzzi  esistesse,  lo  sapevamo  per 
notizia  datane  dal  Promis;  notizia  inesatta  e  incompleta, 
perchè  chi  lo  possedeva  (il  marchese  Antaldo  Antaldi) 
non  aveva  permesso  che  egli  lo  vedesse  (2).  Poi  se  ne 
era  perduta  ogni  traccia.  Pare  probabile  che  dalle  mani 
dell'  Antaldi  passasse  in  quelle  del  conte  Giacomo  Manzoni. 
Nella  dimora  presso  di  lui  il  codice  dovè  cambiare  di  pater- 
nità, poiché  nel  catalogo  di  vendita  della  biblioteca  Man- 
zoniana (3)  già  era  attribuito  al  Bonelli,  e  sotto  questo 
nome  venne  acquistato  nel  1 894  dalla  Vittorio  Emanuele  (4). 
Esso  è  autografo,  scritto  a  tratti  ogni  cinque,  ogni  dieci, 
ogni  quindici  giorni,  e  minutamente  e'  informa  della  vita 
del  futuro  grande  architetto  dal  15  gennaio  1535  alla 
metà  d'  aprile  del  1541.  Con  la  sua  testimonianza  cadono 
tutte  le  favole  intessute  per  quel  periodo  della  vita  del 
Belluzzi,  cui  si  fiiceva  servire  Francesco  I  e  viaggiare  per 
Francia,  Ungheria,  Scozia  (5),    mentre    in  realtà  mai    si 


(i)  \'asari,    Opere,   ediz.    Milanesi,    Firenze,    Letnonnier,    VI, 

315  sgg- 

(2)  Biografie  d' ingegneri  militari  italiani  dal  secolo  Xir  alla  metà 

del  xviii  in  Miscellanea  di  storia  italiana,  Torino,  Bocca,  1H75,  XIV, 

205-6. 

(j)  Catalogo  ragionato,  redatto  da  Annibale  Tenneroni,  IV  parte. 
Città  di  Castello,  Lapi,  I^'94,  p.   121,  n.   151. 

(4)  Libro  degli  acquisti,  a.  1894. 

())  Per  far  parola  solo  dei  maggiori,  diremo  clic  accolsero  come 
vere  queste  favole  il  De  Marchi,  il  Tiraboschi,  il  Ginguené,  gli  au- 
tori delle  addizioni  al  Delfico  e,  nel  principio  de'  suoi  studi,  il  D'  Ayala. 


Varietà  507 

allontanò  dalla  patria  se  non  per  qualche  mese,  venendo 
fino  a  Roma,  o  per  qualche  giorno  spingendosi  sino  a 
Bologna  e  a  Venezia.  Del  resto  già  il  Promis  (i)  aveva 
tatto  giustizia  di  tah  fantasie,  scoprendone  la  fonte  in  una 
grossolana  contaminazione  del  Trattato  di  fortifica:^ionc  del 
BcUuzzi,  fatta  dall'editore  Tommaso  Baglioni  nel  1598  (2), 
per  la  quale  apparivano  opere  del  Sammarino  molte 
costruzioni  militari,  erette  in  quei  paesi  di  oltremonte  da 
Antonio  Melloni.  Le  conclusioni  del  Promis  ricevono  dal 
diario  la  più  completa  conferma,  e,  se  errata  nei  particolari 
e  specialmente  nelle  date,  resta  invece  assicurata  nelle 
linee  generali  la  biografia  del  Belluzzi  scritta  da  Giorgio 
Vasari  (3),  che  con  lui  e  col  cognato  Bartolomeo  ebbe 
grande  famigliarità.  Per  undici  mesi  (non  due  anni  come 
disse  il  Vasari),  dal  gennaio  al  dicembre  del  1535  egli 
vive  a  Roma  o  nei  pressi,  al  seguito  di  Ascanio  Colonna, 
poi  torna  in  patria,  sposa  la  Giulia  Genga  (i  i  maggio  1536), 
e  vive  tra  l'Imperiale  (la  villa  che,  coi  disegni  del  Genga, 
Francesco  Maria  d'  Urbino  erigeva  presso  Pesaro),  Urbino, 
San  Marino,  Pesaro,  Cagli,  occupato  sia  nell'  amministra- 
zione delle  fabbriche  dell'Imperiale  e  di  Pesaro, sia  in  un  attivo 


(i)  DAV  arte  detl''  ingegnère  e  detV  artigliere  in  llatia  dalia  sua  ori- 
gine sino  al  principio  del  XTI  secolo  e  degli  scrittori  di  essa  dal  12S)- 
i)6o,  appendice  al  Trattalo  di  arcìnlettura  civile  e  militare  di  Francesco 
di  Giorgio  Martini  pubblicato  da  Cesare  di  Saluzzo,  Torino,  Chisio 
e  Mina,   1841,  II,  78,   81. 

(2)  Nuova  iiiveiitioiie  di  fahricar  fortene  di  varie  forme  in  qua- 
lunque silo  di  piano,  di  montagna,  in  acqua  con  diversi  disegni,  et  uno 
trattalo  del  modo  che  si  ha  da  osservare  in  esse  con  le  sue  misure  et 
ordine  di  levar  le  piante  tanto  in  fortezze  reali,  quanto  non  reali  di 
Giovanni  Battista  Belici,  Venetia,  Meletti,  1598,  in-folio,  pp.  116, 
54  figure.  Cura  l'edizione  il  Baglioni:  il  nome  dell' autore  nel  testo 
è  scritto  anche  Belicci,  Bellicci,  Bellicci  da  San  Marino.  Dell'  edi- 
zione del  Baglioni  le  prime  34  pagine  (non  44  come  dice  il  Promis) 
sono  opera  del  Bellucci  e  le  altre  82  (non  72)  del  Melloni. 

(3)  Op.  cit.  VI,  330-334- 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  33 


5o8  T.  Egidi 


commercio  di  grani  per  suo  conto  e  talora  per  conto  della 
repubblica,  sia  in  frequenti  ambascerie  alììdategli  dalla  co- 
munità presso  i  duchi,  i  legati  pontifici,  i  signorotti  vicini. 
In  mezzo  a  si  svariate  bisogne  trovò  il  tempo  di  darsi 
agli  studi  del  disegno.  Li  cominciò  a  51  anno  nel  1557 
(era  nato  nel  1506)  più  per  uccidere  le  tediose  serate 
autunnali  che  per  altro.  Già  nell'aprile  del  1539  era  in 
grado  di  fare  il  piano  di  costruzione  di  un  palazzo,  e 
nel  1540  cominciava  a  ricevere  qualche  commissione. 
Nel  I53<3  gli  nacque  una  figliola,  Vittoria;  nel  1539  un 
figlio,  Belluzzo,  mortogli  prima  che  compisse  un  anno  d'età 
nel  dicembre  del  1540,  precedendo  di  poco  nella  tomba 
lo  zio  Annibale,  fratello  prediletto  del  Sammarino,  per 
piangere  il  quale  egli  sa  trovare  parole  di  commovente 
gentilezza  (r).  In  complesso  la  vita  del  Belluzzi  in  questi 
sei  anni  è  una  lotta  continua,  sostenuta  con  grande  energia, 
contro  le  difììcolcà  e  le  an2;ustie  in  mezzo  a  cui  si  tro- 
vava  pei  debiti  che  aveva  incontrati,  per  il  poco  profìtto  e 
i  pericoli  del  commercio  dei  grani,  per  le  calamità  pubbliche 
(nel  1540  il  Montefeltro  fu  straziato  da  orribile  carestia), 
per  le  colpe  o  le  leggerezze  dei  parenti,  per  le  malattie  e 
le  morti  dei  suoi  cari.  L'  ultima  notizia  del  diario  è  del- 
l'aprile  1541;  nel  novembre  del  1542  il  Sammarino  era 
già  ai  servigi  dei  Medici,  come  ha  provato  il  D'Ayala, 
che  di  lui  ha  scritto  la  migliore  bioo:ratìa,  a  cui  rimando 
chi  voglia  conoscere  il  resto  della  sua  vita  (2). 

Il  diario  ha  carattere  spiccatamente  personale,  pure 
non  di  rado  vi  si  incontrano  fatti,  che,  registrati  perchè 
con  l'autore  avevano  un  rapporto  più  o  meno  stretto, 
possono  servire  agli  studiosi  per  iscopo  più  ampio.  Cosi 
se  ne  potranno  cavare  buoni  materiali  per  lo  studio  dello 


(i)  Ce.  149  A-i  jo  n. 

(2)  Giovanni  Bultislu  Bcllu-:^^}  in  Archivio  storico  ilalia.no,  scr.  ni, 
XVIH,  295-303,  a.    1873. 


Varietà  509 

stato  interno  della  repubblichetta  del  Titano,  dilaniata, 
come  tutti  i  Comuni,  da  inimicizie  familiari  ed  agitata  da 
licenza  e  disordini  (i);  nò  mancano  (fors'anche  son  più 
copiose)  le  notizie  intorno  alle  relazioni  di  S.  Marino 
coi  duchi  d'  Urbino,  coi  legati  pontifici,  coi  signorotti  vi- 
cini (2).  Abbondanti  le  indicazioni  sul  commercio  delle 
granaglie  e  sulle  difficoltà  cui  si  andava  incontro  esercitan- 
dolo (3).  Superficiali,  ma  non  dispregevoli  del  tutto  le  no- 
tizie sulle  imprese  di  Tunisi  e  di  Corfù,  sulla  morte  di  Ales- 
sandro dei  Medici,  sul  tentativo  dei  fuorusciti  fiorentini  (4). 
Piene  d' interesse  invece  e  assai  particolareggiate  quelle 
intorno  alla  morte  e  ai  funerali  di  Francesco  Maria  I  della 
Rovere  (5)  e  intorno  alla  guerra  di  Camerino  (6). 

Per  Roma  interesse  speciale  hanno  le  priine  ventotto 
carte,  che  trattan  della  dimora  di  Giambattista  presso  Ascanio 
Colonna.  Fu  con  lui  come  cameriere  di  confidenza  ed  ebbe 
campo  di  veder  molto,  sapere  o  indovinare  di  più.  Ma,  da 
fedel  servitore,  non  racconta  chiaramente;  solo  avvicinando 
spesso  certi  nomi,  ci  mette  sulla  via  di  indovinare  (7).  Non 
dispiacerà  trovarvi  brevi  indicazioni  intorno  ad  alcuni  co- 
stumi della  curia  e  del  popolo,  alle  cavalcate  pontificie,  alle 
pratiche  di  penitenza  della  settimana  santa (8).  Ma  forse 
sarà  anche  più   gradito   leggervi   qualche  cosa  intorno  ai 

(i)  Ce.  41  B,  134A-135B,  15ÓB,  138B,  139A. 

(2)  Ce.    58  A,    43  A-45  B,   61  A,   65  B,  7OB-73  B,   74  B,    78  B,    I32  A- 

133  B,   138  B,  i42B-r43A  ed  altrove. 

(3)  Ce.    75  A,    120  B,    124  A,    129  B,    144    Sgg,    I)2A-B. 

(4)  Per  Tunisi  ce.  12  a,  19  b,  20  a,  21  a  ;  per  Cortù  ce.  65  b,  79  a; 
per  la  morte  di  Alessandro  e.  5 1  a  ;  pel  tentativo  dei  fuorusciti  (ago- 
sto 1337)  e.  64  B.  In  fine  delle  notizie  di  ogni  anno  (contato  secondo 
1'  usanza  delle  magistrature  sanmarincsi  da  aprile  ad  aprile)  vi  è  un 
riepilogo  spesso  interessante.  Cf.  ce.  35  a,  56  a,  75  B-76  a,  107. \-b, 
130  A,  1 52  B-i  53  b. 

(5)  Ce.  82  B-S9-A,  92  B-97  B. 

(6)  Ce.  91  B-105  B. 

(7)  Ce.   1 1  A,   13  B,  14  A,   15  A. 

(8)  Ce.  7  A  sgg.,  IO  A,   12  B. 


510  ^P.  Egidi 


primi  istanti  della  vita  di  Marcantonio  Colonna,  il  vin- 
citore di  Lepanto.  Chi  trattò  della  sua  vita  io  disse  nato 
a  di  26  febbraio  1555,  seguendo  il  Coppi (i)  che  tal  giorno 
fissava,  senza  mostrarne  alcun  espresso  documento.  Il  Bel- 
luzzi  racconta  invece  che  tornati  Ascanio  e  lui  da  Roma 
in  Marino  li  11  febbraio  1535,  stavano  aspettando  di 
giorno  in  giorno  che  la  signora  Giovanna,  la  quale  stava 
in  Civita  Lavinia,  si  sgravasse;  il  che  accadde  «  a  dì  25, 
«  che  fu  uno  venere  a  sera  »  (2).  Il  26  andarono  subito 
a  vedere  puerpera  e  neonato,  e  da  Civita  Lavinia  Ascanio 
scrisse  al  cardinal  Grimani  e  all'  ambasciatore  di  Porto- 
gallo, perchè  tenessero  il  fanciullo  al  fonte  battesimale. 
«  A  di  7  de  ditto  mese  vene  uno,  mandato  del  signor  car- 
«dinalle  Grimani,  et  uno,  mandato  de  lo  imbasciatore  de 
«  Portogallo,  qualli  tennero  a  batesmo  il  figlio  dello  si- 
«  gnore;  et  il  veschovo  de  Ischia  lo  batizò,  et  poselli  nome 
«  Marche  Antonio  et  con  «ran  festa  et  trionfo  et  ban- 
ce  chetto.  Se  li  trovò  il  signor  Camillo  Colonna  et  il  si- 
te gnor  Pirro  da  Stipiciano  »  (3). 

P.  Ecidi. 


(i)  Memorie  Coloniiesi,  Roma,  Salviucci,  1855,  p.  349;  Gugliel- 
motti, Marcantonio  Colonna,  Firenze,  Lemonnier,  1S62,  p.  1 1  ;  La  storia 
della  marina  pontificia,  VI,  14,  nota  5  ;  L.  ViccHi,  Marcantonio  Colonna, 
il  vincitore  di  Lepanto ,  appunti  biografici  su  documenti  rari,  Faenza, 
Conti,  1890,  p.  7. 

(2)  C.  4  B. 

C3)  C.  6  B.  Il  Bcliuzzi  parla  sempre  con  affetto  e  ammirazione 
dei  Colonnesi.  Ascanio  «era  il  primo  homo  del  regnio  et  di  Roma  », 
e.  )A;  di  Vittoria,  la  celebre  poetessa,  «a  li  tempi  soi  non  si  tro- 
«  vava  la  più  dotta  et  più  onesta  et  più  santa  di  lei  »,  e.  58:  «  et  per 
«  tutto  il  mondo  se  sapeva  la  fama  sua  »  ;  Giovanna  d'Aragona,  moglie 
d'Ascanio,  «a  li  tempi  soi  era  la  più  bella  signora  d'Italia»,  e.  4  a. 
Non  saremo  certo  noi  a  dargli  torto,  ripensando  lo  splendore  che 
irradia  dal  ritratto  che  ne  dipinse  Raffaello  da  Urbino. 


NOTA 

al  Diploma  purpureo  di  re  Roggero  II  per  la  casa  Pierleoui 
(Arcb.  della  R.  Soc.  rom.  di  st.  patria,  XXIV,  255  sgg.) 


La  lista  dei  diplomi  purpurei  tuttora  conservati  (^d. 
pp.  255-54)  '^^  completata  con  questi  altri  già  registrati 
dal  prof.  Bresslau  nel  Neues  Archiv,  XIX,  683  : 

i)  Corrado  II  perii  vescovo  di  Parma,  dell'anno  1035. 
Stumpf,  Reg.  n.  2064.  Originale  (?)  presso  l'archivio  Ve- 
scovile di  Parma  (cf.  Affò,  II,  310). 

2)  Enrico  IV  per  Pomposa,  dell'anno  1095  ottobre  7. 
Stumpf,  n.  2932.  Originale  presso  l'archivio  di  Stato  in 
Modena  (Muratori,  Antiq.  ItaL  \,  1055). 

P.  Kehr. 


BIBLIOGRAFIA 


P.  Brand,  liuwccnio  VII  e  il  delitto  dì  Ludovico  Mii^ìiorati 
in  Studi  e  dociiìuciiti  di  storia  e  diritto^  XXI^  179-215, 
a.  1900. 

Il  signor  I.  Giorgi  in  questo  stesso  Arcìjivio  (V,  ii-ni,  165-209) 
qualche  anno  fa,  con  la  scorta  di  una  relazione  di  testimonio  oculare 
da  lui  ritrovata,  scrisse  sul  delitto  del  Migliorati  una  monografia  che 
«  per  la  perfetta  conoscenza  delle  fonti  e  per  il  grande  apparato  critico, 
(f  fu  ed  è  rimasto  il  lavoro  più  largo  e  completo  . .  .  intorno  all'argo- 
«  mento»,  per  dirlo  con  le  parole  stesse  del  Brand.  Parve  però  a 
questi  che  il  Giorgi  peccasse  di  parzialità  ghibellina  contro  Innocenzo 
e  contro  la  corte  pontificia.  In  questo  scritto  ne  assume  le  difese. 
II  carattere  polemico  ed  apologetico  è  lealmente  confessato.  Fatta 
una  rapida  rassegna  degli  avvenimenti  immediatamente  precedenti 
all'avvento  di  Innocenzo,  il  Brand  conclude:  1°  chela  perdita  della 
libertà  dei  Romani  sotto  Bonifazio  IX,  fu  più  conseguenza  della  «  fibra 
«  del  popolo  romano  resa  fiacca  da  antichi  vizi  di  educazione  morale, 
«intellettuale  e  politicai,  che  della  tenace  fermezza  di  papa  Toma- 
celli;  2°  che  le  sollevazioni  seguite  anche  dopo  il  disgraziato  patto 
d'Assisi  (8  agosto  1393)  furono  opera  di  un'esigua  minoranza,  e 
dovute  alle  istigazioni  degli  ultimi  magistrati  popolari,  dolenti  per  il 
perduto  potere,  dei  nobili,  dell'antipapa.  Sia  anche  così;  ma  non 
bisogna  dimenticare  a  chi  in  gran  parte  risalga  la  responsabilità  di 
tali  vizi  di  educazione,  né  che  della  debolezza  e  dello  scompiglio,  loro 
naturale  conseguenza,  approfittò  sempre  con  premura  il  potere  ponti- 
fìcio; cosa  del  resto  naturale  e  necessaria.  Non  bisogna  dimenticare 
che  se  la  Curia  non  avesse  osteggiato  sempre  il  Comune  (solo  a 
metà  del  secolo  xii  esso  riusci  a  costituirsi,  e  non  ebbe  dai  papi  un 
istante  di  tregua),  quella  energia  che  questo  spese  per  difendersi,  im- 
piegata contro  i  nemici  interni,  gli  avrebbe  permesso  di  render  saldo 


514  'Bibliografui 


il  proprio  organismo,  e  dopo  quegli  oscillamenti  e  quelle  incertezze, 
pagali  assai  spesso  col  sangue,  che  accompagnano  l' inizio  di  ogni 
libertà,  avrebbe  trovato  lo  stato  di  equilibrio,  in  cui  fiorire  e  frutti- 
ficare tranquillo.  Non  bisogna  liimenticnre  che  qualunque  azione  col- 
lettiva è  costituita  da  una  miriade  di  alti  individuali,  tra  cui  è  diffi- 
cile scernere  quelli  detcrminati  da  rapporti  e  simpatie  personali,  da 
quelli  determinati  dall'interesse  generalo  o  da  impulso  ideale;  che 
infine  ogni  ribellione  (le  eccezioni  sono  rare  assai),  anche  quando  è 
accompagnata  dai  voti  della  gran  maggioranza,  materialmente  è  com- 
pita da  una  minoranza.  Perchè  sempre  e  nel  passato  e  nel  presente, 
e  nella  vita  pubblica  e  nella  privata,  pur  troppo,  se  son  mille  quelli 
che  per  un'idea  generosa  in  segreto  sospirano  e  fanno  auguri,  son 
dieci  quelli  che  a  viso  aperto  combattono  e  mettono  per  lei  a  re- 
pentaglio onori,  ricchezze  e  vita.  Qual  meraviglia  che  non  tutti  sa- 
pessero rinunciare  ai  facili  e  larghi  guadagni  ofi"erti  dalla  Curia;  che 
molti,  nel  disagio  materiale  che  susseguiva  tali  mutamenti,  perdessero 
la  coscienza  dei  vantaggi  morali  e  ad  alte  voci  chiedessero  il  ritorno  del 
papa  ?  Qual  meraviglia,  quando  a  tal  ragione  si  aggiungeva  il  prestigio 
del  capo  della  Chiesa  e  il  desiderio  di  conservar  nella  città  il  centro 
del  mondo  cristiano?  Certo  i  Romani  mostrarono  incertezza  e  insta- 
bilità di  carattere,  ma  dal  riconoscer  questo  al  chiamarli  assoluta- 
mente inetti  al  governo,  ci  corre  (i).  —  Ma  veniamo  all'argomento 
specifico.  Nella  narrazione  oggettiva  dei  fatti,  nessuna  differenza  col 
Giorgi.  Questi  li  aveva  cosi  saldamente  stabiliti,  che  al  Brand  non 
resta  che  ripeterli.  La  notte  dal  i"  al  2  agosto  del  1405  i  Romani 
assalgono  Ponte  Molle,  per  averlo  in  custodia,  mentre  secondo  i 
patti  doveva  guardarlo  il  papa;  respinti  dagli  aiuti  sopraggiunti  ai  di- 
fensori pontifici,  s'adunano  armati  in  Camp-doglio,  e  danno  l'assalto 
alla  città  Leonina.  Giunta  la  notte,  tacciono  le  armi  e  col  giorno 
nuovo  s'iniziano  le  trattative  di  pace,  in  cui  si  consumano  i  giorni  5, 
4,  ).  La  mattina  del  6  parecchi  cittadini,  ufficiali  del  Comune  e  pri- 
vati, vanno  in  Vaticano  per  concludere:  usciti  di  là,  con  o  senza  (è 
uno  dei  punti  in  questione)  effettivi  capitoli  di  concordia,  presso  il 
pozzo  di  S.  Spirito  sono  assaliti  dai  soldati  di  Ludovico  Migliorati, 
nipote  d'  Innocenzo.  Dodici  di  loro  son  presi  e  portati  dinanzi  a  costui, 
che  undici  ne  uccide  di  propria   mano,  scampandone  il  dodicesimo 

(i)  Il  Brand  dice:  uè  duopo  convenire  che  fu  giusto,  quanto  sanguinoso,  l'epiteto 
«di  idioti,  col  quale  un  antico  storico  caratterizzò  i  Rom.-ini  di  quest'epoca».  Che  sia 
proprio  da  intendere  cotti' egli  crede?  Giorgio  Stella  (suo  è  il  giudizio  e  si  trova  nel 
Mi-RATom,  Script.  W\\,i\-j6,  indicaziouc  che  manca  nel  Brand)  dice  che  della  citti  di 
Roma  <  priiis  idiotae  artiiices  dominium  obtinebant  •.  Più  che  nel  senso  moderno,  non 
sarà  da  intendere  <\at\\'  idiotae  nel  senso  latino  :  privali,  plebei  ì 


'Biblio<^- rafia  5^5 


per  intercessione    di  un  suo  parente  cardinale.    I  corpi   degli  estinti 
gettati  dalle  finestre  nella  via  a  ludibrio  e  ad  esempio  di  terrore.  — 
Alle  fonti  usate  dal  Giorgi  il  Brand  aggiunge  il  Coiueiitaritis  di  Leo- 
nardo   Bruni  (MuRA-roRi,  Script.  XIX,  922)  e  lo  Specimen  Hiitoriac 
del  Sozomeno  (ibid.  XVI,   1184V,  a  ragione  il  primo  che  completa 
e  corregge  le  lettere  scritte  dal  Bruni  a  Coluccio  Salutati  nei  giorni 
stessi  degli  avvenimenti,  a  torto  il  secondo  che  può  solo   conside- 
rarsi come  una  pedissequa  copia  del  Comentariiis  (i)-  Avrebbe  potuto 
forse  valersi  dei  diarii  del  Minerbetti  (2)  e  di   ser  Guerriero    di  ser 
Silvestro  (5),  sebbene    da    adoperarsi  con    molta  cautela,  perchè  né 
contemporanei,  ne  dei  luoghi  dove  gli  avvenimenti  si  svolsero.  Spe- 
cialmente il  racconto  del  Minerbetti  avrebbe  potuto  portare  qualche 
lume  sia  nella  ricerca  dei  precedenti  dell'assalto  dato  dai  Romani  a 
Ponte  Molle,  sia  in  quella  delle  trattative  che  corsero  dal  2  al  6  agosto. 
L'assalto  fu  di  sorpresa,  come  ritiene  il  Brand;  ma  che  qualche  cosa 
di  simile  si  aspettasse  la  Curia,  lo  confessa  Leonardo  Bruni,  il  quale 
ci  dice,  è  vero,  che  al  popolo  era  venuto  aiuto  da  Ladislao  di  Na- 
poli, ma  soggiunge   che  anche  il   papa  aveva   fatto  entrare  in  città 
pel  ponte  in  questione  nuove  schiere  di  assoldati  (4).  Il  Giorgi  pensò 
che  il  desiderio  di  possedere  il  ponte  sorgesse  nei  Romani  non  dal 
timore  che  ne  entrassero  truppe  napolitane,  come  dice  sant'Antonino, 
ma  invece  dal  sospetto  che  il  papa  volesse,  sia  di  propria  voglia  sia 
per  altrui  istigazione,  tentare  un  colpo  per  riacquistare  la  supremazia 
perduta,   e  che  a   tale  uopo  pel  ponte    Paolo   Orsini,    nonostante  la 
promessa  fatta,  potesse  congiungersi  con  Ciccolino  da  Perugia  e  col 
Mostarda,  capitani  pontifici  accampati  in  Borgo  e  in  piazza  S   Pietro. 
Oppone  il  Brand  che  1'  animo  mite  d'Innocenzo  non  poteva  nutrire  il 
pensiero  di  togliere  con  la  forza  quello  che  di  buona  volontà  aveva  con- 
cesso; né  la  Curia  poteva  nutrirne  pii;i  che  il  papa.  Sia  anche  vero, 
per  quanto  non  dimostrato;  ma  chi  impediva  ai  Romani  il  sospetto, 

(i)  In  appendice  il  Brand  riferisce  anche  due  altre  testimonianze  posteriori  tratte 
dal  cod.  Ottob.  828  e  dall' Urbin.  1638  della  bibl.  Vatic.  :  però  con  ragione  non  dà  loro 
alcun  valore  storico;  p.  214.,  docc.  263. 

(2)  Tartini,  Script.  II,   532-34.    Piero  di    Giovanni  Minerbetti  fiori    nella    seconda 

metà  del  secolo  xv. 

(3)  Arch.  slor.  delle  Marche  e  JelV  Umbria,  \,  40S,  ediz.  di  G.  .Maz^atinti.  Guerriero 
nel   1425  era  iscritto  nell'albo  dei  notai  Eugubini,  nel   1481  era  morto. 

(4)  Co,nenlarÌHS,  Mt;KATOBi,  Scriptores,  XIX,  922;  cf.  Saba  Giaffri,  p.  205.  Note- 
vole è  la  contradi.ione  in  cui  Leonardo  cade  con  se  stesso  e  con  le  altre  fonti  nella 
lettera  del  4  agosto.  Tutte  le  altre  fonti  concordi  danno  1*  assalto  avvenuto  nella  notte 
tra  il  i"  e  il  2"  agosto.  Leonardo  invece,  datata  la  lettera  «.in.  Nonas  »,  dice  :  «  heri 
«ante  lucem»;  però  poco  dopo  aggiunge  che  1' indomani  era  giorno  festivo.  Ora  i 
2  agosto   1405   fu  appunto  domenica.   Si  dovrà  quindi  facilmente   correggere  la  data. 


51^  ^iblio^rajìa 


anche  se  ingiustificato?  sarebbe  stata  la  prima  volta  che  un  timore 
senza  giusto  fondamento  avrebbe  condotto  all'azione?  II  fatto  ì:  che 
truppe  pontificie  (siano  anche  venute  per  bilanciare  le  napolitane) 
erano  entrate  per  Ponte  Molle,  e  che  il  popolo  temeva  (mettiamo 
anche  a  torto)  «  ne  per  dictum  dominum  papam  mitierentiir  gentcs 
<f  armorum  per  pontem  Milvium  »;  lo  dice  Saba  e  lo  conferma  Leo- 
nardo Bruni,  il  segretario  del  papa:  «ne  quando  inde  noceri  Latio 
«  posset  »  (i),  di  cui  il  Brand  ha  il  torto  di  non  tener  conto  in  questo 
punto.  Siasi  o  no  mosso  da  Bologna  Paolo  Orsini  (né  il  Giorgi  lo 
atTerma),  non  conta:  e  perchè  la  paura  non  ha  bisogno  di  fatti  ac- 
certati per  sorgere,  e  perchè  non  è  impossibile  che  i  Romani  temes- 
sero le  truppe  del  Patrimonio,  favorevole  tutto  ad  Innocenzo,  come 
fu  subito  manifesto,  quando  egli  vi  si  rifugiò.  Né  si  dica  strategica- 
mente inutile  l'occupazione  del  ponte.  Lo  scopo  non  era  solo  d'im- 
pedire la  congiunzione  delle  truppe  pontificie  esterne  con  le  interne, 
ma  anche,  ed  anzi  soprattutto,  di  mettere  tra  i  nemici  e  la  maggior 
parte  delle  mura  cittadine  la  naturale  difesa  del  Tevere.  Sbarrato 
Ponte  Molle,  se  per  la  via  Trionfale  le  truppe  provenienti  dal  setten- 
trione potevano  entrare  liberamente  nella  città  Leonina,  non  avevano 
però  altra  strada  per  assalire  Roma  che  i  ponti  interni,  dove  la  difesa 
era  immensamente  più  agevole.  È  per  questo  che  i  Romani,  non 
riusciti  a  guadagnarlo,  si  contentano' sia  tagliato  e  brucialo.  Cosi 
non  solo  non  rinunciano  «  alla  loro  pretesa  con  la  leggerezza  mede- 
«  sima  che  li  aveva  spinti  alle  ofiese  »,  ma  raggiungono  il  loro  scopo, 
se  non  nella  forma,  almeno  nella  sostanza.  Ha  torto  il  Brand,  se  non 
m' inganno,  di  scartare  questo  che  è  il  più  ovvio  e  naturale  movente 
e  di  ricercarlo  invece  nel  desiderio  dei  cittadini  di  aver  più  facile 
modo  di  assalire  il  Vaticano  e  farsi  padroni  del  papa,  o  di  distur- 
barne il  viaggio  nel  caso  che  questi  fuggisse  per  la  Cassia.  L' indu- 
zione è  dentro  i  limiti  del  possibile,  ma  temo  stia  per  valicarli. 
Lasciare  il  probabile  per  il  possibile  non  meriterà  i  rimproveri  che 
il  Brand  giustamente  rivolge  a  chi  abusi  dell'induzione?  —  I  giorni  3, 
4,  5  furono  spesi  in  trattative,  come  dalle  testimonianze  di  Saba  e 
dell' Infessura  argomentò  il  Giorgi,  e  come  espressamente  dice  il 
Comenturius  del  Bruni  :  «  Sequutis  inde  diebus  de  concordia  agitatum  ». 
La  mattina  del  6  allo  stesso  scopo  alcuni  cittadini  si  recano  in  Va- 
ticano et  «  firmatis  deinde  capitulis  que,  ut  dicitur,  die  sequenti  de  • 
«  bebant  sigillari  »  (2),  secondo  Saba,  ovvero  «  re  infecta  »  (5)  senza 

(i)  Mlratori,  Scriplorct,   XI.K,  922:    «  Laiium  0    evidentemente   è  intesi    nel    senso 
proprio;   sono  le  tei  re   alla  sinistra  del   Tevere,   Roma.  U  Campagna  e  la  Marittima. 
(2)  Gioici,  op.  cit    p.   ;o6. 
(})  Lio<ARD3,   Epiiloltu,  seconda  lettera  a  Coluccio  Salutati. 


TBibliografia  517 


elle  «  effcctivani  conclusionem  recepissent  »  (  r  ),  no  tornano  in  città. 
Eran  veramente  conclusi  gli  accordi  o  no?  Il  Giorgi  crede  a  Saba, 
il  Brand  ai  due  segretari.  Mi  pare  insolubile  la  questione,  per  quanto 
mi  sembri  più  sottile  che  vero  il  ragionamento  fatto  dal  Brand  per  to- 
glier valore  alla  esplicita  testimonianza  di  Saba.  Del  resto  la  questione 
ha  tanto  interesse  che  meriti  spendervi  intorno  gran  fatica?  Credo 
che  nulla  si  perda  a  lasciarla  indecisa  e  ad  affrontare  invece  con 
maggior  ponderazione  quella  più  grave  d'ogni  altra,  nella  quale  il 
Brand  crede  aver  raggiunto  una  dimostrazione  assoluta.  Innocenzo 
ebbe  alcuna  parte  nel  delitto?  Parte  diretta  no.  Sono  d'accordo  tutte 
le  fonti  (meno  1' Infessura,  che  è  sospetto);  sono  d'accordo  i  due 
contradittori.  Parte  indiretta?  Il  Giorgi,  seguendo  in  questo  Teode- 
rico,  che  dice  i  pubblici  rimproveri  volti  a  Ludovico  «  simulate  fe- 
«  cerat .  .  .  papa,  qui  saepe  de  austeritate  dicti  Ludovici  loquendo  ex 
«hoc  gratulabatur  in  immensum,  ascribens  fere  ei  lulii  Caesaris 
(faudaciam  et  virtutem  «  (^2),  concludeva  non  potersi  purg:ir  lo  zio 
di  ogni  responsabilità  degli  atti  del  nipote.  11  Brand  dal  silenzio  del- 
l'Infessura  e  del  Platina,  noti  per  la  parzialità  contro  il  pontefice,  e 
dalla  contraddizione  che,  ammessa  la  responsabilità,  sorgerebbe  tra 
la  condotta  di  Innocenzo  e  il  ritratto  morale  che  lo  stesso  Teoderico 
ne  fa  come  di  «  vir  pacificus,  mitis  tt  probus  »  (5),  respinge  1'  ac- 
cusa Ma  se  si  pensi  che  appunto  in  un  «  vir  mitis  »  più  facile  è  di 
trovare  condiscendenza  peccaminosa  verso  i  cari  ;  se  si  pensi  che 
queste  lodi  non  potevano  esser  fatte  in  pubblico,  ma  solo  in  «  camera 
(c  caritatis  »,  perchè  non  stridessero  troi)po  con  la  posizione  del  papa 
e  come  sacerdote  e  come  principe,  specialmente  di  fronte  ai  Romani, 
che  occorreva  riamicarsi;  se  si  pensi  che,  appunto  per  questo  loro 
carattere  intimo,  dovevano  esser  ignote  all'  Infessura  ed  al  Platina, 
mentre  agevolmente  potevano  esser  conosciute  da  Teoderico,  gli 
argomenti  in  contrario  perdono  la  maggior  parte  del  loro  valore. 
Lo  riacquisterebbero  intero,  se  risultasse  accertato  che  Innocenzo  in- 
flisse la  scomunica  al  crudele  nipote.  Niccola  della  Tuccia  lo  dice 
espressamente:  «Li  Romani  di  novo  volevano  la  libertà;  parevali 
«  molto  forte  essere  soggiogati.  Messere  Ludovico,  nipote  di  detto 
«papa,  mandò  a  domandare  .xiv.  cittadini  principali  di  Roma  e  a 
«  uno  a  uno  gli  tagliava  la  testa  con  una  accettella  e  li  faceva  gettar 
«  giù  da  una  fenestrella  direto  canto  il  fiume.  Di  che  accortosi  il 
«popolo  levò  rumore,  e  il  papa  e  detto  Ludovico  fuggi  da  Roma  e 


(i)  TuEODERico  DE  NvEM,   De  schisiiiale,  eJiz.  curata  dall' Brler,  II,  .x.\xvi,    jSj. 

(2)  Op.  cir.   II.  .\xxvn,    192. 

(3)  Op.  cit.   II,  xxxvi,   18S. 


5  I S  'Bibliografia 


«  venne  a  Viterbo,  e  io  lo  vidi  del  mese  di  settembre,  e  stetteci  sei 
«mesi,  e    scomunicò  detto  suo    n-pote))(0.  Non  c'è  che  dire;    il 
cronista  ò  ben  esplìcito.  Però   non   sarà  male  ricordare  col  Giorgi, 
che  efili  non  aveva  compito  ancora  il  sesto  anno  di  età  (2),  e  che 
pertanto  non  può    considerarsi  come  vero  testimonio  oculare.    Ve- 
diamo la  fonte   cui  attinge.    In    questo  stesso   volume   ^t\V Archivio 
ho  cercato  dimostrare  (e  nutro  speranza  d'esservi  riuscito^  che  sino 
all' a.   1424  Niccola  riproduce  fedelmente  l'altro  cronista,  suo   con- 
cittadino, Francesco   d'Andrea,  nato  con  probabilità  nell'ultimo  de- 
cennio del  secolo  xiv  (3).  Solo  a  volte,  e  sempre  più  spesso  via  via 
che  la    narrazione  procede,  egli  ha  modificato  o  ampliato   la  fonte. 
Ebbene  ecco  le  parole  del  frate  :  «  Nel  qual  tempo  li  Romani  vole- 
«  vano  la  loro  libertà,  che  havivano  perduta  per  loro  tristitia,  onde 
«  uno  nepote  del  dicto  papa  [InnocentioJ,  chiamato  messer  Ludovico 
«  da  Sermona,   uccise  .xni.  cittadini    de  Roma  a  Sancto  Spirito  de 
«  sua  propria  mano;  cioè  lui  li  dava  el  primo  colpo  con  una  accettella, 
«  et  uno  suo  ragazzo  li  forniva.    Per  la  qual  cosa  si  levò  gran  ro- 
«  more  in  Roma  ;  el  papa  fugì  ad  Viterbo,  et  io  lo  vidi  (1406)  ;  venne  di 
«  settembre  e  stetteci  sei  mesi  »  (4^).  Come  si  vede  Niccola  in  qualche 
cosa  si  è  allontanato  dalla  fonte  e  1'  ha  corretta.  Le  correzioni  non 
sono  gran  che  felici,  che  né  Ludovico  «  mandò  a  dimandare  »  le  sue 
vittime,  né  le  gettò  giù  da  una  finestra  «  direto,  canto  il  fiume»,  né 
fuggì  con  Io  zio  a  Viterbo.  Anche  la  notizia  della  scomunica  è  una 
sua  aggiunta.    Sarà  da  ritenersi  più  giustamente  fatta  che  le  corre- 
zioni? Dubitarne  non  sarebbe  ingiustificato.  —  Cadrebbe  ogni  dubbio 
5e  la  lettera  d'  Innocenzo,  pubblicata  dal  Brand,  parlasse  di  tal  pena 
canonica,  come  pare  a  quest'ultimo.  Il  io  di  ottobre  (non  il  9  come 
crede  il  Brand)  Innocenzo  scrive  a  Ludovico  ed  a  sua  moglie  :  Vi  per- 
metto, come  avete  richiesto,  che  vi  eleggiate  «  aiiquem  ydoneum  et 
«  discretum  presbyterum  secularem  sive  religiosum  in  . . .  confessorem, 
«qui,    confessionibus    vestris    diligcnter    auditis,    prò    conimissis 
«  debitam  vobis   semel   tantum   absolutionem    impendat,  et  iniungat 
«  penitentiam  salutarem,  etiam  si   talia   fuerint   propter  que 
«'Sedes  apostolica    sit    merito    consulenda,  vosque    nichi- 
«  lominus    ab    omnibus    excomunicationis,    suspensionis, 
"interdicti    sente ntiis,    si    quas     hactenus     incurristis, 

(1)  Ciampi,  Cronache  e  Slaluti  dilla  città  di  ViUrbo,  Firenze,  Cellliii,  1S72,  p  47. 
Il  cod.  Riccardiano  1941,  che  è  1'  unico  esemplare  di  N.  della  Tuccia  che  ris.ilga  .il 
XV  secolo,   dice  undici  ^li  uccisi;  e.   31. 

(j)  Nacque  l'ii   novembre   1400;  p.  46. 

(5)  ''r-  »>5  'gg- 

(4)  P.   36). 


'^Biblioi^rafia  519 


«  etiam  si  absolutio  earum  Sedi  prcdictc  fuerit  spe^ialiter  reser- 
«  vata  »  (i).  La  cosa  e  evidente,  dice  il  Brand:  Innocenzo  pel  delitto 
commesso,  «  prò  commissis  »,  aveva  inllitto  la  scomunica  al  nipote, 
ed  ora  concede  che  un  confessore  lo  assolva,  «  anche  nei  casi  riser- 
«  vati  alla  Santa  Sede  e  per  quei  delitti  che  avevano  dato  luogo  a 
«sentenza  di  scomunica,  di  sospensione  e  d'interdetto»;  ora  il 
delitto  non  può  essere  che  1'  eccidio  dei  Romani.  —  Ma  se  questa 
la  causa,  perchè  dovrà  essere  assolta  anche  la  moglie  di  Ludovico? 
Come  mai  anch'essa  per  quell'uccisione  potrà  essere  «  vinculis  ex- 
«  communicationis  innodata  »  ?  Si  potrebbe  pensare  che  ella  fosse 
stata  istigatrice  del  marito,  ne  la  cosa  è  impossibile,  ma  come  spie- 
gare il  completo  silenzio  di  tutte  le  fonti  intorno  alla  parte  che 
avrebbe  avuta  nella  strage  miseranda?  Sia  pure  che  una  sentenza 
di  scomunica  colpisse  i  coniugi  per  questa:  come  mai  nella  lettera 
del  papa  neppure  una  parola  di  ricordo?  Il  ricordo  e'  è,  dice  il  Brand. 
Il  papa  permette  che  si  dia  ai  nipoti  l'assoluzione  «prò  commis- 
«  sis  .  .  .  anche  per  quei  delitti  che  avevano  dato  luogo  a  sentenze  di 
«scomunica  ».  Temo  che  non  sia  felice  la  traduzione,  né  l'interpre- 
tazione sia  giusta.  Il  papa  dice:  Permetto  vi  assolvano  dalle  colpe 
«  etiam  si  talia  fuerint  »,  anche  se  [ossero  tuli  da  essere  riservate  al 
pontefice,  e  dai  legami  della  scomunica,  se  per  caso  fino  ad  oo^i  vi 
siate  incappati,  «  si  quas  hactenus  incurristis  ».  Sono  frasi  generali  e 
condizionate;  nessun  accenno  ad  un  fatto  particolare  e  positivo.  Ma 
il  «prò  commissis»?  L'assoluzione  è  sempre  «prò  commissis»,  né 
il  papa  poteva  concederla  per  colpa  che  non  fosse  commessa.  Solo 
Bonifazio  Vili  (secondo  Dante,  non  secondo  la  storia)  1'  avrebbe 
concessa  a  Guido  da  Montefeltro  «  prò  committendis».  Ora  se  real- 
mente Ludovico  fosse  stato  colpito  da  scomunica  «  lata  ab  homine  », 
e  cioè  formale  e  nominativa,  sia  nel  grado  maggiore  che  nel  mi- 
nore, la  lettera,  che  ne  delega  la  assoluzione  ad  un  confessore  scelto 
dal  reo,  avrebbe  dovuto  fare  esplicita  menzione  del  peccato  e  della 
pena,  poiché  altrimenti  il  confessore  non  avrebbe  potuto  pronunziare 

la  formula:   «  Auctoritate d.  n.  pp.  in  hac  parte  tibi  concessa 

«  et  mihi  commissa,  absolvo  te  a  vinculo  e.\communicationis  quod 
«  incurristi  propter  tale  ve  1  tale  crimen  ».  Insomma  la  delega  non 
doveva  essere  generica  e  generale,  ma  speciale  e  specifica.  Che  se 
si  voglia  pensare  (ed  è  la  sentenza  più  probabile  a'  miei  occhi)  ad 
una  scomunica  «  lata  a  iure  »,  in  cui  possa  essere  incorso  Ludovico 
sia  per  altre  cause,  sia  anche  e  soprattutto,  e  magari  solamente  per 
il  bestiale  macello  di  Santo  Spirito  (cosa  possibile  in  ispecie  se  tra 


(i)  Arch.  Vatic.   Regesla  Inn.    VII,   n.   35  |,   e.  ccxvii. 


520  'Biblio<>raJÌLT. 


f;li  undici  sacrificati  v'  era  qualche  ecclesiastico)  per  nulla  vien  dile- 
guata quella  fosca  ombra  che  avvolge  la  figura  d'  Innocenzo  pel  suo 
contegno  in  questa  disgraziata  faccenda.  I  canoni  avrebbero  colpito 
il  nipote,  non  egli,  che,  per  quanto  capo  della  Chiesa  universale,  non 
poteva  SI  che  i  canoni  non  fossero. 

Pietro  Eoi  ni. 


E.  Rodocanachi.  Lcs  iiistitiitioiis  comnìiuialcs  de  Rome  soiis 
la  Piipaiitc.  —  Paris,  Alphonse  Picard  et  fils,  1901, 
pp.  424. 

Lo  svolgimento  delle  ist'tuzioni  comunali  in  Roma  molto  si  dif- 
ferisce da  quello  di  altre  città  italiane,  poiché  qui  insieme  con  i  due 
fattori,  popolo  e  classi  aristocratiche,  che  si  riscontrano  quasi  uni- 
versalmente nella  formazione  del  Comune,  entra  in  gioco  un  terzo 
elemento  importantissimo,  cioè  a  dire,  il  potere  pontificale.  Perciò 
la  storia  del  Comune  in  Roma  è  più  difficile  a  seguire  che  altrove; 
ma,  nello  stesso  tempo,  per  un'andatura  ed  un  colorito  tutto  suo, 
desta  un  interesse  affatto  particolare.  La  difficoltà  nel  trattare  un  tal 
tema  è  accresciuta  dalla  scarsezza  di  ricerche  preparatorie  :  le  fonti 
non  sono  tutte  ben  note,  gli  stessi  statuti  richiederebbero  ancora 
l'opera  dotta  e  solerte  degli  studiosi.  E  se  ad  alcuni  potè  sembrare 
già  molto  quanto  sullo  svolgimento  del  Comune  dissero  il  Grego- 
rovius  ed  il  Villari,  alcune  particolari  ricerche,  come  quelle  del 
T ommasini,  e  la  pubblicazione  di  qualche  monografia,  come  quella 
del  Tomassetti  sulla  pace  del  11 88  e  dell' Egidi  sull'esercito  del 
Comune  di  Roma,  han  mostrato  quanto  vi  sia  ancora  da  mietere  in 
un  campo  ne  piccolo  né  sterile. 

11  Rodocanachi  si  propone  nel  suo  lavoro  di  disegnare  le  grandi 
linee  della  storia  comunale  di  Roma,  di  mostrarne,  per  dir  cosi,  l'os- 
satura: ed  ha  fatto  con  ciò  cosa  assai  utile.  Diviso  per  epoche  lo 
studio  dell'organizzazione  di  Roma,  egli  muove  dall'alto  medio  evo, 
studia  brevemente  l'anmiinistrazione  della  città  dal  ix  al  xii  secolo, 
s'indugia  sulla  rivoluzione  del  1145  e  sulle  conseguenze  che  ne  deri- 
varono, segue  lo  svolgimento  del  Comune  traverso  gli  statuti  del  1365 
e  del  1.^69,  esamina  le  costituzioni  di  Sisto  IV,  Alessandro  VI,  Leone  X, 
gli  statuti  1 519-25,  l'organamento  municipale  durante  il  secolo  xvi, 
gli  statuti  del  1580,  fino  al  tempo  che  le  libertà  comunali,  progres- 
sivamente attenuate,  si  spensero.  Nel  secolo  xviii  il  papa  era  ormai 
divenuto  signore  assoluto  di  Roma,  sebbene  l'abolizione  delie  libertà 


"Biblioi^rafìa  521 


comunali  non  giovasse  certo  a  render  migliori  le  conJizioni  della  città 
né  economicamente  ne  moralmente.  Benedetto  XIV  definì  assai  bene 
questa  situazione,  quando  argutamente  disse:  «Il  papa  comanda,  i 
cardinali  non  obbediscono,  ed  il  popolo  fa  quel  che  vuole». 

Non  essendo  qui  mia  intenz'one  di  far  un'analisi  particolareg- 
giata del  lavoro,  ma  solo  d'indicarlo  agli  studiosi,  mi  limito  a  no- 
tare che,  se  lo  studio  del  Rodocanachi  poco  interesse  può  destare 
nella  parte  che  egli  dedica  all'alto  medio  evo,  per  la  quale  spende 
poche  pagine  frettolose,  diventa  assai  più  ricco  ed  importante,  a  co- 
minciare dal  secolo  xiv.  Numerose  ricerche  fatte  negli  archivi  romani 
e  specialmente  nell'archivio  Capitolino,  han  permesso  all'autore  di 
meglio  lumeggiare  le  cose  già  note  agli  studiosi  e  di  offrire  loro 
molte  notizie  nuove.  Alle  quali,  senza  dubbio,  altre  se  ne  potranno 
aggiungere:  facil<}  inveiilis  addere;  ma  non  per  questo  dovremmo  es- 
serne meno  grati  al  Rodocanachi. 

In  appendice  dà  l'autore  un  regesto  di  più  che  duecento  bolle 
papali  che  si  riferiscono  all'organizzazione  del  Comune,  a  partire  da 
una  bolla  di  Clemente  III  dell'anno  i  i8(S  sino  ad  una  di  Clemente  Vili 
del  1595  :  un  materiale  veramente  ricco  e  prezioso!  Segue  una  tavola 
sinottica  degli  articoli  dei  quattro  statuti  del  1363,  1469,  1525,  i)8o, 
che  si  riferiscono  alla  costituzione  del  Comune.  Chiude  infine  il 
lavoro  un  utilissimo  indice  delle  cose  trattate  nel  testo,  il  quale  oftre 
di  ciascuna  magistratura  del  Comune  di  Roma  una  specie  di  mono- 
grafia. 

P.  F. 


Gaetano   Negri,   L' imperatore   Giiiìiano   V Apostata,    studio 
storico.  —  Milano,  U.  Hoepli,   1901. 

È  un  libro  profondo  questo  del  Negri,  nel  quale  egli  mostra 
una  padronanza  incontrastabile  delle  fonti  storiche  che  servono  ad 
illustrare  i  pochi  anni  della  vita  dello  sventurato  imperatore.  Padro- 
nanza delle  fonti  storiche  e  conoscenza  di  tutti  i  particolari  delle  op- 
poste dottrine  filosofiche  che  funestarono  in  sul  principio  della  sua 
vita  rigogliosa  la  nuova  e  dolce  dottrina  di  Cristo.  Sicché  il  libro 
del  Negri  oltre  che  essere  una  compiuta  illustrazione  della  vita  e 
delle  gesta  di  Giuliano  riesce  anche  una  pittura  vivissima  delle  lotte 
religiose  onde  era  affaticato  1'  impero  prima  che  apparisse  nel  mondo' 
politico  la  meteora  luminosa  dell'  eroe  di  Persia  e  durante  i  pochi 
anni  della  sua  vita. 


522  Tìiblioiirafìa 


Ai  tempi  di  Giuliano  il  Cristianesimo  aveva  debellate  le  classiclic 
divinità  coi  due  suoi   principi    novatori:    il    monoteismo   che  aveva 
tutte  le  attrattive  della  novità  in  un  mondo  dove  1'  antico  politeismo 
non  aveva  più' nessun  valore;  la  legge  morale  che  rinnegava  la  co- 
stituzione della  società  antica    basata  sulla  prepotenza  della  forza  e 
doveva  rinnovare  1'  organizzazione  civile  con  1'  amore  e  con  la   fra- 
tellanza fra  tutti  gli  uomini.  Ma  se  al  contatto  col  mondo  il  Cristia- 
nesimo, col  Dio  unico,  si  è  facilmente  sbarazzato  dei  decrepiti  fan- 
tocci della    religione  antica,  non  è  riuscito  a  bandire  la  prepotenza 
della  forza,  della  violenza,  del  sopruso;  si  che  quando  appariscenti 
teatro  dell'impero  Giuliano,  la  legge  divina  bandita  dalla  nuova  re- 
ligione rimaneva  ancora  un  ideale  luminoso  ma  senza  efficacia  diretta 
sulle  azioni  dell'  uomo.  Giuliano,  infatti,  trovava  nella  corte  il  vizio 
antico;   Chiesa    e  clero  in  lotta   fratricida,  il  popolo  o   inconscio  o 
fanatico  o  corrotto.   Egli,  Giuliano,  visionario  più   che   riformatore, 
filosofo  più  che  uomo  di  governo,  credette  di  poter  salvare  la  civiltà 
rianimando   le  desolate   immagini  degli   antichi  dei   e    dando    loro 
tutto  quello  che  per  lui  la  religione  e  la  morale  di  Cristo  aveva  di 
più  umano.  Presso  i  Latini  del  i  e  del  ii  secolo  il  Cristianesimo  si 
conservava  ancora  in  uno  stato  di  grande  semplicità  dogmatica;  nel 
mondo  ellenico,  invece,  imbevuto  di  speculazione  metafisica,  la  nuova 
religione  diventò  pascolo  delle  esercitazioni  filosofiche  dei  bizantini, 
si  trasformò  in  cosmologia,  dette  luogo  allo  gnosticismo  cristiano  e 
per  reazione  fece  sbocciare  la  teologia  ortodossa,  che  con  Clemente 
d'  Alessandria  e  con  Origene   raggiunse  le  più  aite  vette  della  me- 
tafisica cosmologica.  Tutte  cose  che  travolsero  il  mondo  in  numerose 
dispute  metafisiche,  in  mezzo  alle  quali  si  perdeva  ogni  sentimento 
religioso  ;  la  virtù  morale  cristiana  perdeva  di  efficacia  dinanzi  alla 
formula  dottrinaria  e  fra  le  formule  dogmatiche  dei   concilii    si  di- 
menticava troppo  spesso  il  discorso  della  montagna  che  aveva  edifi- 
cate le  turbe  di  Nazaret.  Alcuni,  quelli  che  guardavano  più  nel  fondo 
delle  cose  o  quelli  che  si   lasciavano  guidare  dal  sentimento,   affis- 
savano ancora  lo  sguardo  alla  divinità  della  dottrina  morale  di  Cristo, 
e  insofferenti  della  piega  tutta  formale  che  la  religione  aveva  preso 
nel  mondo  greco,  si  ritiravano  a  vita  privata,  dando   cosi   principio 
al  monachesimo.    Tolti   costoro  (gli    unici    depositari  della  diretta  e 
pura  parola  di  Gesù)  il  mondo  doveva  apparire  a  Giuliano  come  an- 
cora molto  lontano  dall'  influenza  degli   ideali   altissimi  del  Cristia- 
nesimo, anzi,  cosi  come  era  ridotta  ai  suoi  tempi,  la  nuova  religione 
non  appariva  che  come  una  forza  distruttiva  che  rovesciando  tutte 
le  tradizioni  di  patriottismo  e  di  coltura,  che  avevano  .fatto  risplen- 
dcre  l'antica  civiltà,  ne  rendeva  inevitabile  la  catastrofe. 


'\BibliograJia  ^2^ 


Giuliano  era  innamorato  della  civiltà  ellenica;  il  Cristianesimo 
si  serviva  di  essa  ma  la  dissolveva,  l'annientava;  Giuliano  era  un 
moralista  severo:  i  cristiani,  almeno  quelli  che  vedeva  Giuliano, 
menavano  una  vita  perfino  scandalosa.  Che  meraviglia,  se  egli  s'il- 
luse di  fermare  la  rovina  di  quello  che  era  la  più  grande  aspirazione 
dell'  anima  sua  innamorata  ?  E  cominciò  dal  riformare  il  politeismo 
intendendo  di  far  trionfare  con  ciò  un  alto  principio  di  morale  e  di 
virtù,  perchè  l'ellenismo,  moralizzato  come  egli  P  intendeva,  rappre- 
sentava per  lui  la  somma  della  sapienza,  della  bellezza,  della  bontà  ; 
erano  le  virtù  che  il  Cristianesimo  degenerato  lasciava  esulare  nei 
cenobi,  E  guardate  :  nella  sua  riforma  il  politeismo  di  Giuliano  aveva 
tanta  forza  moralizzatrice  che  doveva  rimanere  indipendente  dallo 
Stato,  come  cosa  a  se,  che  servisse  come  esempio  di  virtù  a  tutti.  Ma 
questo  strano  connubio  di  puritanismo  e  di  politeismo  non  poteva 
durare.  Il  mondo  in  mezzo  al  quale  Giuliano  voleva  diffondere  la 
sua  riforma  era  troppo  abituato  a  cercare  il  fine  della  vita  nella  sod- 
disfazione completa  di  tutte  le  aspirazioni  mondane.  Tranne  i  pochi 
fidati  amici  dell'  imperatore,  gli  altri  non  capivano  la  ragione  di  questa 
presunta  riforma  che  sprofondava  sempre  più  la  ragione  umana  nelle 
tenebre  dell'  irrazionale  e  sostituiva  al  fecondo  principio  religioso  del 
Cristianesimo  lo  sterile  formalismo  di  larve  senza  vita. 

E  il  tentativo  di  Giuliano  cadde  con  lui,  e  cadde  insieme  col 
precipitare  del  mondo  antico  che,  appunto  nell'  apostasia  Giulianea, 
mostrò  quanto  fosse  debole  al  confronto  della  nuova  idea  cristiana 
che  allora  si  affermava  definitivamente  e  che  usci  dal  contrasto  più 
forte  e  trionfante. 

È  questo,  se  non  e'  inganniamo,  il  filo  del  pensiero  che  il  Negri 
svolge  magistralmente  nel  suo  libro,  del  quale  il  singolare  valore  sta 
soprattutto.  Io  abbiamo  già  av\-ertito,  nell'analisi  accurata  che  l'au- 
tore fa  di  tutte  le  fonti  :  Ammiano  Marcellino,  Libanio  e  Gregorio 
di  Nazianzo  anzitutto;  poi  gli  stessi  scritti  del  filosofo  visionario;  indi 
i  frammenti  delle  storie  di  Eunapio,  di  Zosimo,  Rufino  Filostorgio, 
Socrate  e  Sozomene,  dei  quali  tutti  lumeggia  le  ragioni  dei  loro 
giudizi,  dipingendo  così  del  tempo  e  del  pensiero  filosofico  delle  varie 
scuole  un  quadro  pieno  di  varietà  e  credo  anche,  in  complesso,  di 
verità.  Ma  questo,  che  è  pure  un  grande  pregio  dell' opera,  crediamo 
abbia  inconsapevolmente  trascinato  I'  autore  a  qualche  giudizio  non 
troppo  esatto. 

Egli  afferma  che  il  Cristianesimo  era  traviato  al  tempo  di  Giu- 
liano; e  forse  l'affermazione  sarebbe  stata  più  giusta  se  l'autore 
r  avesse  ristretta  a  quel  piccolo  mondo  di  filosofi  le  cui  opere  gli 
servono  per  tracciare  cosi  magistralmente  le  condizioni  delle  contro - 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  XXIV.  34 


j  2  4  "Bibliografia 


vcrsic  religioic  «.lei  tempo.  Crede  forse  l'autore  clie  la  gran  massa 
del  popolo  cristiano  s' interessasse  a  tutte  quelle  dispute  religiose  ?  o 
anche,  che  tutto  il  mondo  cristiano  sapesse  di  quelle  controversie  ? 
Noi  ne  dubitiamo  ;  e  nel  libro  del  Negri  mancano  le  ragioni  di 
fatto  per  giustificare  ne  IP  autore  l'affermazione  cosi  generale  intorno 
alle  condizioni  morali  del  mondo  cristiano  al  tempo  della  imniagi- 
n.ita  riforma  di   Giuliano. 

Certo,  il  mondo  "reco,  a  differenza  di  molte  regioni  del  mondo 
latino,  era  troppo  proclive  a  sillogizzare  anche  intorno  alla  dottrina 
di  Cristo  che  nei  versetti  dei  vangelii  è  di  una  semplicità  mirabile, 
fatta  più  per  il  cuore  che  per  il  cervello.  Ma  noi  crediamo  che  anche  in 
queir  imperversare  di  bella  philosophica  intorno  a  certi  punti  della  dot- 
trina di  Cristo  la  grande  maggioranza  dei  cristiani  continuò  a.  sentire  la 
religione,  a  seguirne  i  precetti  più  che  a  discuterla.  Giuliano  studiò 
la  gente  che  lo  circondava  prima  e  dopo  la  sua  elezione  ad  impera- 
tore, e  da  quell'impulsivo  che  era  credette  che  fossero  tutti  nella 
condizione  morale  di  quelli  che  aveva  conosciuti.  Il  suo  tentativo 
s'  intende  benissimo  e  si  spiega  senza  forzare  le  fonti  a  dare  dei 
mondo  bizantino  della  metà  del  i\  secolo  quel  quadro  cosi  scuro  che 
ha  disegnato  tanto  mirabilmente  il  Negri.  Anzi  ci  pare  che  una  com- 
prensione diversa  del  fondo  storico  su  cui  si  svolge  il  malinconico 
dramma  di  questo  giovane  eroe  ci  illumini  meglio  e  meglio  ci  faccia 
comprendere  un  lato  del  profilo  di  Giuliano,  e  il  suo  carattere  im- 
pressionabilissimo, che  crede  di  tutto  il  suo  impero  ciò  che  è  proprio 
di  un  numero  relativamente  piccolissimo.  Ciò  s'intende  in  una  mente 
come  quella  di  Giuliano:  fa  meraviglia  in  uno  studioso  dell'ingegno 

e  della  cultura  del  Negri  ! 

V.  F. 


E.  Steinmann,  Antonio  da  Viìcrho.  Hin  Beiti ag  -iir  Geschi- 
chtc  dcr  Hinbrischei!  Maìcrschulc  uni  die  f fende  des  xv Jahr- 
hunderts,  Mùnchen,  Bruckmann,  1901,  in-4,  pp.  59. 

Per  mezzo  di  sue  ricerche  e  di  documenti  comunicatigli  dal 
cav.  Cesare  Pinzi,  solerte  illustratore  delle  memorie  viterbesi.  Io 
Steinmann  giunse  a  stabilire  le  date  principali  della  vita  di  questo 
pittore,  da  non  confondere  con  T  altro  Antonio  da  Viterbo,  che  di- 
pinse, nel  XIV  secolo,  in  Leprignano  e  diede  la  vita  a  Francesco,  pure 
pittore,  più  noto  col  soprannome  di  BullcUa.  Il  nostro  invece  fu  della 
casa  dei  Massari  e  per  nomignolo  fu  detto  //  Pastura  ;  nel  1478  era  già 
socio  dell'Accademia  di  S.  Luca  in  Roma,  e  forse  in  quel  torno  dipinse 


'bibliografia  525 


in  S.  Agostino  e  in  S.  Spirito,  secondo  il  secentista  Giulio  Mancini 
(cod.  Barber.  XLVIII).  Dal  14S9  al  1491  lavorò  con  Giacomo  da  Bo- 
logna nel  coro  del  duomo  d'  Orvieto,  dove  si  trovava  ancora  nel  1492. 
Due  anni  dopo  era  a  Roma,  dove  non  pare  trovasse  gran  lavoro,  e 
di  là  tornò  ad  Orvieto,  dove  era  già  nel  maggio  del  1497  a  restaurare 
le  pitture  della  tribuna  dell'  altare  grande,  per  passare  poi  1'  anno 
seguente  a  terminare  le  pitture  incominciate  dal  Pinturicchio  nel  coro 
del  duomo  e  ad  aggiungervi  quattro  quadri  di  sua  composizione;  la- 
voro che  pare  1' occupns'^e  sino  ai  primi  mesi  del  1499.  Nel  1504 
dipingeva  una  Madonna  a  Viterbo;  nel  1509  aveva  terminato  di  de- 
corare la  chiesa  cattedrale  di  Corneto,  avendone,  per  arbitrato  dei 
pittori  viterbesi,  Costantino  di  Iacopo  de  Zello  e  Monaldo  Trofi,  detto 
Monaldo  Corso  o  anche  il  Truffclta,  e  di  Luca  Signorelli,  la  mercede 
di  450  ducati  d'oro.  Con  questi  affreschi,  secondo  lo  Steinmann,  il 
Viterbese  raggiunse  l'apice  della  sua  vita  e  della  sua  arte.  Ai  7  di 
febbraio  15 16  era  già  morto,  come  appare  da  un  documento  dell'ar- 
chivio Notarile  di  Viterbo.  Così  esposto  quanto  ne  rimane  della  vita, 
lo  Steinmann  rintraccia  quel  che  sopravvive  dell'  opera.  In  Orvieto 
nulla  resta  dei  lavori  fatti  nel  1489,  invece  son  conservati  quelli  del  1497, 
cioè  nel  coro  del  duomo,  tre  dei  quattro  quadri  da  lui  dipinti,  essen- 
dosi perduta  la  Fuga  in  Egitto,  e  rimanendo  la  Preseiìta^ìOìii  assai  rovi- 
nata, V Aniiuncia\ione  e  la  Visita  a  santa  Elisabetta  in  buono  stato. 
Lavori  assai  mediocri,  che  solo  ci  fan  conoscere  l' influenza  umbra 
subita  dal  pittore,  mentre  per  nulla  appare  nelle  pitture  di  S.  Spirito 
di  Roma,  da  porsi  certo  prima  del  1478  e  forse  dipinte  quando  An- 
tonio era  accademico  di  S.  Luca.  Se  poco  appare  V  influenza  del  Pin- 
turicchio nella  Madonna  del  palazzo  dei  papi,  perchè  più  volte  ritoc- 
cata, assai  intensa  ed  evidente  è  nel  San  Sebastiano,  già  collocato  in 
S.  Maria  della  Fonte  e  ora  nel  palazzo  comunale,  che  è  in  dipendenza 
diretta  da  quello  del  Pinturicchio  dell'  appartamento  Borgia:  anche 
maggiore  nei  dipinti  della  chiesa  della  Trinità  fuori  la  porta  Romana 
di  Orvieto,  specialmente  nella  Gloria  di  san  Bernardino  che  ricorda 
quella  del  Pinturicchio  in  Araceli.  In  Roma,  oltre  i  lavori  in  S.  Spirito, 
è  a  lui  attribuita  dal  Mancini,  giustamente,  una  Madonna  in  trono 
fiancheggiata  da  santa  Chiara  e  san  Francesco,  che  si  trova  nella 
chiesa  di  S.  Cosimato  ;  forse  è  dovuto  alla  sua  mano  il  San  Bernar- 
dino nella  solitudine  che  sta  nella  lunetta  sinistra  in  S.  Maria  d'Ara- 
celi. Anche  al  Viterbese  crede  lo  Steinmann  che  si  debba  attribuire 
un  trittico  datato  1497,  conservato  nella  collezione  della  biblioteca 
Vaticana.  È  sul  legno,  a  tempera,  rappresenta  VAssuniione  di  Maria 
seguendo  quella  del  Pinturicchio  nell'  appartamento  Borgia.  In  Vi- 
terbo poco  o  nulla  di  lui  :  con  certezza  è  da  attribuirgli  il  Presepio 


526  T^iblioiirafìa 


in  tavola,  conservato  nel  museo  Municipale  e  forse  1'  Oni\ionc  al 
Gelsemiiiii  nella  nave  traversa  della  chiesa  della  Verità.  Ma  il  lavoro 
più  grandioso  del  Viterbese,  di  cui  ci  resti  notizia  e  che  si  conservi 
almeno  in  parte,  sono  gli  affreschi  del  coro  nella  cattedrale  di  Cor- 
neto,  attribuiti  finora  a  Masolino,  ma  dai  documenti  ora  rivendicati 
ad  Antonio.  Se  ne  conservano  solo  le  vele  della  crociera,  le  due 
lunette  e  parte  della  parete  sinistra.  In  tre  delle  vele,  tre  Sibille  e  tre 
Profeti  accoppiati  due  a  due  :  nella  quarta  la  Coronu-:iione  della  Fer- 
itine, Nelle  lunette,  a  sinistra  la  Wiscitu,  a  destra  lo  Sposaliiio  di  Maria, 
che  è  quanto  di  meglio  abbia  dipinto  Antonio.  Assai  inferiori  i  quadri 
sulla  parete  sinistra.  Pietà,  Visita  a  santa  Elisabetta  e  Madonna  col  Bam- 
bino, danneggiati  dall'incendio  del  1642  e  dai  restauri;  molto  buono 
invece  V  Incontro  di  Gioacchino  ed  Elisabetta,  di  cui  però  gran  parte  è 
perduto.  Antonio  dipinse  anche  in  S.  Giovanni  Gerosolimitano  di 
Corneto  una  Madonna  col  Bambino  e  forse  in  S.  Bernardo  d'Assisi  una 
Presenla:^wne.  Lo  Steinmann  si  meraviglia  delle  misere  tracce  la- 
sciate dal  Pastura  nella  sua  patria.  L'incuria  che  da  secoli  s'è  mo- 
strata in  Viterbo  per  le  cose  d'  arte,  ha  fatto  andare  in  rovina  quanto 
di  meglio  ivi  si  possedeva  e  rende  diffìcile  ogni  ricerca  ;  pure  non 
sarebbero  da  riscontrare  alcune  delle  caratteristiche  dell'  opera  di  An- 
tonio nella  tela  conservata  in  S.  Clemente  (Madonna  in  trono  col 
putto  ritto  sul  ginocchio  sinistro,  due  angeli  ai  lati  in  basso  adoranti, 
campagna  in  sfondo)  e  nell'  affresco,  da  qualche  anno  trasportato  nel 
porticato  del  palazzo  Chigi  (Madonna  col  putto,  campagna  in  fondo)? 
In  complesso  Antonio  fu  un  buon  scolaro  del  Pinturicchio  ;  mancante 
di  originalità,  vi  supplì  spesso  con  una  certa  facilità  di  composizione. 
Forse  lo  Steinmann  lo  vede  sotto  una  luce  troppo  favorevole  ;  certo 
però  che  questo  Umbro -viterbese  meritava  d'  esser  tolto  dall'  oscurità 
cui  è  stato  condannato  sì  a  lungo.  Lo  scritto  dello  Steinmann,  cor- 
redato di  27  belle  riproduzioni,  è  un  passo  di  più  fatto  nella  via 
della  critica  conoscenza  della  copiosa  opera  della  Scuola  umbra,  clie 
da  tanto  tempo  desiderano  gli  studiosi. 


P.  Ecidi. 


G.  T.  Rivoira,  Le  origini  dell'  architettura  lombarda  e  delle 
me  principali  derivazioni  nei  paesi  d'  olir'  alpe.  —  Roma, 
Loescher,    1901. 

Questo  primo  volume  ora  pubblicato  dell'opera  del  Rivoira 
viene  ad  illustrare  il  periodo,  forse  il  più  oscuro  ed  incerto  nella 
storia  dell'  architettura,  che  va  dal  v  secolo  dell'  era  volgare  a  tutto 


Tìibliograjìa  527 


r  XI,  dalla  decadenza  completa  delle  forme  romane  al  sorgere  in 
Italia  ed  oltr'  alpe  delle  architetture  roman~e  (usiamo  la  parola  più 
lala)  ed  alla  loro  piena  fioritura  dopo  la  lenta  germinazione  inver- 
nale: periodo  pur  cosi  profondamente  interessante  per  chi  più  che 
dallo  splendore  dei  secoli  d'oro  si  senta  attratto  dallo  studio  della 
assidua  evoluzione  delle  forme  artistiche,  delle  grandi  leggi  che  le 
regolano,  dei  rapporti  che  le  collegano.  Nella  sua  breve  prefazione 
il  Rivoira  così  riassume  la  sua  opera:  «...  Mi  trovo  in  grado»,  egli 
dice,  «  di  offrire  agli  studiosi  la  prima  parte  dei  risultati  di  un  la- 
«  voro  veramente  coscienzioso...  In  essa  è  trattato  delle  origini  del- 
«  r  architettura  lombarda,  ossia  del  gran  tronco  di  cui  le  architet- 
«  ture  occidentali  dei  secoli  xi  e  xii  sono  rami  poderosi...  E  ne  è 
«  trattato  sulla  base  d'  indagini  affatto  nuove  donde  scaturiscono  non 
«meno  nuove  conclusioni...  Alcune  di  queste  conclusioni,  quelle  che 
«riguardano  le  origini  e  le  modificazioni  della  basilica  bizantina  a 
«  volte,  sebbene  non  si  colleghino  intimamente  al  mio  lavoro,  sono 
«  purnondimeno  destinate  ad  aprire  un  più  largo  campo  d' investi- 
«  gazioni  sull'architettura  religiosa  di  quei  popoli .. .  Altre  schiudono 
«  vie  inesplorate  agli  studiosi  dell'  arte  occidentale  nel  medioevo  ...». 

Tali  affermazioni  potranno  sembrare  audaci;  ma  è  appunto  alla 
secura  energia  che  da  esse  traspare  che  si  deve  uno  dei  pregi  massimi 
del  lavoro  :  quello  d'  essere  il  più  possibile  conjpleto.  L'  autore  ha 
compreso  che  per  gettare  le  basi  d'  un  lavoro  vitale  era  necessario 
affrontare  la  questione  in  tutta  la  sua  complessitcà,  studiandola  nei 
suoi  elementi  e  nel  suo  insieme  e  seguendo  con  unità  di  criterio 
tutto  l'intrecciarsi  delle  sue  cause  e  dei  suoi  rapporti;  laddove  il  li- 
mitare lo  studio  ad  un  periodo  ristretto  o  ad  una  sola  regione  avrebbe 
impedito  r  esame  comparato  delle  forme  ed  avrebbe  fatto  perdere  il 
filo,  spesso  molto  tenue,  che  le  collega.  Ma  a  tale  ampiezza  di  con- 
fini un  lavoro  enorme  dovea  corrispondere,  ed  a  questo  il  Rivoira 
si  è  accinto  non  soltanto  con  coraggio,  ma  con  una  serietà  di  pro- 
positi ed  una  ricchezza  di  mezzi  straordinarie;  e  questo  lavoro  di  rac- 
colta e  di  disamina  egli  ha  proseguito  per  lunghi  anni,  riunendo  una 
quantità  immensa  di  materiale  che  si  stipa  a  fatica  nel  libro,  il  quale 
pur  contiene,  come  1'  autore  dichiara,  solo  una  parte  minima  dei  mo- 
numenti esaminati.  Anche  se  non  vi  fosse  altro,  e  se  1'  opera  fosse 
soltanto,  per  così  dire,  un'  opera-museo,  basterebbe  questa  grande 
raccolta  di  elementi  di  fatto,  che  appaiono,  ciò  che  più  monta,  rile- 
vati coscienziosamente  e  direttamente  sopra  luogo,  per  dare  a  questo 
lavoro  un'  importanza  ecce/  onale. 

Il  non  aver  seguito  questa  che  è  veramente  la  via  maestra  della 
verità  fu  causa  che  delle  numerosissime  opere  apparse  finora,  la  mag- 


^2S  "'Bibliografia 


gior  parte  sono  scomparse,  affondate  in  quella  grande  lacuna  che  biso- 
gnava colmare,  e  soltanto  poche  sono  appena  riuscite, secondo  l'espres- 
sione del  Cattaneo,  a  trasformarla  in  arcipelago;  sì  che  nessuna  può 
certo  aspirare  ad  essere  una  storia  dell'  architettura  del  primo  me- 
dioevo in  Italia.  Brillantissimi,  ad  esempio,  gli  studi  del  Boito,  alcuni 
dei  quali  si  occupano  anche  delle  prime  forme  medievali  ;  prege- 
voli varie  tra  le  moltissime  monografie  locali  ;  ma  tutte  isolate  e 
senza,  o  quasi,  possibilità  di  collegamenti.  Importantissima  l'opera 
del  Cattaneo,  autore  veramente  moderno  per  coltura  e  per  metodo, 
che  apparve  1'  illustratore  delle  geniali  intuizioni  del  Corderò  di 
S.  Quintino;  ma  basata  più  che  altro  suU'  esame  della  decorazione  e 
della  scultura  più  che  su  quello  integrale  dei  monumenti,  e  quindi  in- 
completa. Di  grande  utilità  molte  delle  osservazioni  del  Dartein,  dello 
Choisv,  dei  Dehio  e  v.  Bezold,  del  Rohault  de  Fleury,  ma  tutte  limi- 
tate od  unilaterali.  E  insieme  a  queste  tutta  una  serie  di  opere  come 
quelle  del  Ricci,  dell'  Hùbsch,  del  Gally  Knigt,  del  Gailhabaud,  del 
Garru^ci,  del  Selvatico,  del  Mothes,  piene  di  preconcetti  e  d' inesat- 
tezze, studiate  in  gran  parte  non  sui  monumenti  ma  sui  disegni  e  sui 
libri  ;  opere  che  rappresentano  nel  secolo  xix  lo  stesso  stato  in  cui 
si  trovava  i'  archeologia  classica  prima  del  Winckelmann. 

Ed  è  pure  cosi  semplice  e  così  logico  per  1"  architettura  (di  cui 
appaiono  tanto  materiali  gli  elementi  costitutivi)  stabilire  il  criterio 
direttivo  che  deve  guidare  lo  studio  del  suo  sviluppo  !  Basarsi  su  quei 
monumenti  di  cui  è  possibile  mediante  le  iscrizioni  o  le  fonti  sto- 
riche ben  vagliate,  determinare  con  sicurezza  1'  età,  e  quelle  analiz- 
zare minuziosamente  in  ogni  elemento  costruttivo  e  decorativo  e 
studiare  in  modo  completo  per  determinarne  il  concetto  che  le  anima  : 
e  da  quelle  partire  come  da  capisaldi  per  i  raffronti  con  gli  elementi 
e  l'insieme,  stabiliti  con  ugual  cura,  delle  altre  opere  d'arte:  ed  an- 
nodare cosi  gli  anelli  della  grande  ininterrotta  catena. 

Questo  ha  appunto  fatto  il  Rivoira.  Il  suo  libro  ha  la  forma  di 
una  serie  di  monografie,  varie  delle  quali  lungiie  ed  esaurienti,  su 
di  alcuni  singoli  monumenti,  che  sarebbero  appunto  i  capisaldi  anzi- 
detti :  monografie  in  cui  trova  modo,  con  tutto  un  sistema  di  digres- 
sioni, d' intessere  la  rete  delle  influenze  e  dei  collegamenti  e  di  stu- 
diare la  derivazione  e  lo  sviluppo  (ed  è  questa  la  parte  più  importante 
del  lavoro)  di  tutto  1'  alfabeto  dell'  architettura,  di  quei  semplici  ele- 
menti, come  i  capitelli,  le  cornici,  la  disposizione  dei  mattoni,  lo 
sguincio  delle  finestre  che  appunto  per  la  loro  umiltà  sono  i  più 
spontanei.  Mille  ragioni  infatti  possono  determinare,  ad  esempio,  la 
forma  e  la  disposizione  di  una  chiesa;  nessuna,  altro  che  la  mente 
e  la  mano  dell'artista,  altro  cioè  delle  leggi  evolutive  di  cui  quelle 


Tiibliogìwfìa  529 


sono  il  mezzo,  inlluiscc  sull"  adozione  di  una  modanatura  o  di  una 
base.  Ed  è  così  che  1'  autore  può  di  molti  di  questi  elementi  trovare 
1'  origine  nelle  forme  romane  e  seguirne  la  trasformazione  nei  mo- 
numenti successivi  dell'  Oriente  e  dell'  Occidente  :  contributo  questo 
veramente  prezioso  alla  storia  dell'  arte  medievale. 

Se  tuttavia  il  principio  generale  di  uno  studio  positivamente 
scientifico  dell'  architettura,  quello  del  diretto  esame  degli  elementi 
di  fatto,  è  talmente  evidente  che  non  si  comprende  come  sia  stato 
sinora  così  poco  seguito,  si  vede  subito  quali  difficoltà  vi  siano  alla 
sua  attuazione  pratica.  Chi  riflette  quale  complessità  di  cause  abbia 
prodotto  r  ambiente  in  cui  1'  arte  delle  costruzioni  agisce  e  di  cui  è 
r  esplicazione  -  cause  permanenti  e  variabili  (secondo  la  divisione 
del  Taine),  cause  locali  o  generali,  ragioni  d'  indole  materiale  e  ra- 
gioni storiche  e  sociali  -  può  comprendere  come,  uscendo  dallo  studio 
elementare  di  cui  si  è  parlato  poc'  anzi,  una  tal  complessità  di  studio 
debba  corrispondervi  nel  raffronto  dei  monumenti,  che  ben  diffìcil- 
mente l'attuazione  del  metodo  può  riuscire  completa.  E  questo  ap- 
punto avviene  talora  anche  nell'opera  presente.  In  essa  sono  vera- 
mente splendide,  come  s'  è  accennato,  la  raccolta  e  1'  esposizione 
del  materiale;  l'acutezza  dell'osservazione,  la  quale  ha  saputo  ben 
sceverare  le  sovrapposizioni  e  la  compenetrazione  degli  edifici  ed  alla 
quale  diffìcilmente  saranno  sfuggiti  elementi  di  fatto  ;  1'  esame  minuto 
e  coscienzioso  della  tecnica  e  dei  particolari. 

Non  appaiono  invece  sempre  ugualmente  sicuri  gli  elementi  sto- 
rici. Sarebbe  certo  stato  desiderabile  che  vi  fossero  metodicamente 
ed  analiticamente  esposti  tutti  i  dati  giustificativi  di  essi  e  designate 
con  maggior  larghezza  le  fonti  da  cui  V  autore  ha  tratto  la  determi- 
nazione  di  fatti  e  di  epoche.  Apparirebbero  così  più  convincenti  le 
affermazioni  di  date  di  monumenti  che  pure,  come  la  pieve  di  Ar- 
liano  o  S.  Maria  in  Valle  a  Cividale,  rappresentano  appunto  alcuni 
dei  monumenti-tipo.  Un  po'  troppo  spinte  sembrano  anche  talune 
deduzioni,  .\nche  senza  ammettere,  ad  esempio,  1'  ipotesi  del  Venturi, 
che  il  nome  di  maestri  cotnaciiii  abbia  voluto  nei  decreti  dei  re  lon- 
gobardi Rotari  e  Liutprando  significare  soltanto  maestri  costruttori, 
ipotesi  genialissima  ma  certo  non  ancora  provata,  non  è  forse  esa- 
gerato d' altra  parte  attribu're  a  queste  colleganze  di  artefici  di  Como, 
di  cui  soltanto  i  due  documenti  suaccennati  fanno  testimonianza, 
quasi  tutto  lo  sviluppo  dell'  architettura  in  Italia  per  più  di  quattro 
secoli  ?  È  vero  che  il  Merzario  ed  altri  ci  hanno  scritto  su  dei  libri, 
ma  son  libri  in  cui  la  fantasia  supplisce  dove  manca  la  storia.  Perchè 
escludere  l'esistenza  di  artefici  locali  che  in  alcuni  momenti  abbiano 
potuto  lavorare  seguendo  le  tradizioni  locali  ?    E  pur   essendo    osse- 


530  'bibliografìa 


quenti  ai  principi  dell'evoluzione,  pur  trovando  giusto  1*  aforisma  del 
Courejols:  «nulla  si  crea  e  nulla  si  distrugge  nell'architettura  »,  non 
sembra  talvolta  troppo  assoluta  1'  applicazione  che  ne  fa  1'  autore,  che 
pel  fatto  di  trovare  un  qualunque  elemento  applicato  in  un  monu- 
mento prima  clie  in  un  altro,  ne  deduce  necessariamente  la  deriva- 
zione del  secondo  dal  primo  ? 

Se  anche  però  qualche  parte  del  grande  lavoro  del  Rivoira 
dovrà  ripiegare,  non  certo  avanti  a  questi  dubbi  subbietiivi,  ma 
avanti  ad  una  critica  scientifica,  resteranno  tuttavia  ben  salde  le  linee- 
generali  di  esso;  che  potranno  divenire  la  trama  su  cui  intessere  tutta 
una  seconda  categoria,  per  cosi  dire,  di  stu.ii,  sia  d'illustrazione  di 
monumenti  speciali,  sia  di  contributi  che  alla  cognizione  dello  svi- 
luppo delle  forme  architettoniche  potrà  portare  1'  esame  delle  forme 
secondarie  dell'arte,  come  avori,  pitture,  miniature  ì\:c.  Ed  è  per 
ciò  che  il  libro  del  Rivoira  sarà  veramente  utile  agli  studiosi;  mal- 
grado quei  difetti  che  si  possono  constatare  in  esso,  difetti  che  cor- 
rispondono appunto  al  suo  massimo  pregio:  quello  di  aver  trattati  i 
grandi  problemi  nella  loro  vastità,  condensando  in  un'  unica  opera  il 
materiale  che  avrebbe  potuto  essere  sufficiente  per  molte. 

Questo  primo  volume  del  libro  è  diviso  in  sei  capitoli.  Il  primo 
capitolo  tratta  àtWArchiteilura  romano-ravennati  e  biiantino-ravennate 
dai  tempi  di  Onorio  imperatore  alla  caduta  del  regno  longobardo. 
Sotto  questi  due  stili  1"  autore  classifica  i  monumenti  di  Ravenna, 
che  egli  ritiene  sia  stato  il  centro  della  grande  evoluzione  che  dalla 
costruzione  e  dalle  forme  romane  portò  alla  costruzione  ed  alle  forme 
bizantine,  poiché  quivi  prima  che  altrove  trova  di  queste  i  principali 
elementi.  L' importante  monografia  sulla  chiesa  di  S.  Giovanni  Evan- 
gelista (a.  \2))  gli  fornisce  1"  occasione  di  seguire  1'  origine  e  la  tra- 
sformazione di  molti  di  questi  elementi:  come  i  capitelli  pulvinati, 
le  cornici  ad  archetti,  le  cornici  a  mattoni  a  sega,  le  arcatelle  cieche, 
le  absidi  poligonali,  le  gallerie  di  colonne  chiuse  da  transenne  ;  e  lo 
studio  del  sepolcro  di  Galla  Placidia  (440)  ne  pone  in  rilievo  un 
altro  interessantissimo;  la  vòlta  a  vela  e  la  costruzione  dei  pennacchi. 
Dei  monumenti  del  secondo  periodo  esamina  specialmente  S.  Vitale 
e  S.  Apollinare  in  Classe  di  Ravenna,  S.  Lorenzo  di  Milano  e  il 
Duomo  di  Parenzo  Da  quella  grande  opera  che  è  il  S.  Vitale  di  Ra- 
venna parte  per  classificare  i  capitelli  bizantini  e  per  studiare,  con- 
tradicendo in  gran  parte  allo  Choisy,  la  formazione  della  basilica 
giustinianea  a  vòlte;  in  S  Vitale  egli  trova  appunto  un  anello  della 
catena  che  collega  S  Sofia  di  Costantinopoli  alle  sale  termali  ed 
ai  sepolcri  romani.  Dall'  esame  di  questi  monumenti  1'  autore  è  tratto 
ad  affermare  1'  esistenza   di   tutta    una   scuola   di  artefici    costruttori 


I^iblioi^rajìa  S3 


nazionali,  specialmente  ravennati,  a  cui  i  greci  si  sarebbero  uniti  con 
l'eseguire  lavori  di  scultura  o  di  musaico  e  più  spesso  con  l'inviare 
degli  elementi  decorativi  come  capitelli  o  plutei  dalle  officine  del- 
l' impero  d'  Oriente.  Questa  scuola  ravennate  sarebbe  andata  poi  de- 
clinando man  mano  col  declinare  di  Ravenna  e  col  sorgere  delle 
nuove  scuole  lombarde.  Ma  ancora  nel  secolo  \iii  sarebbero  dovuti 
ad  essa  monumenti  come  il  corpo  di  guardia  del  palazzo  di  Teodo- 
rico a  Ravenna  e  la  chiesa  di  S.  Maria  in  Valle  a  Cividale. 

Il  capitolo  secondo  parla  brevemente  dei  Muairi  coviacini,  e  il 
terzo  studia  V  Arcl.ntctliu-a  prdoiìiharda  dai  tempi  del  re  Autari  alla 
caduta  del  regno  longobardico,  dell'  architettura  cioè  in  cui  si  andò 
nel  resto  d' Italia  trasformando  la  ravennate,  preparando  gli  elementi 
all'  arte  lombarda.  E  così  nella  pieve  d'Arliano,  presso  Lucca,  uno 
dei  molti  monumenti  che  1'  autore  è  stato  il  primo  a  studiare,  trova 
in  embrione  il  tipo  del  portale  lombardo.  Xella  chiesa  di  S.  Pietro 
in  Toscanella,  la  cui  ossatura  1'  autore  ritiene  dell'  viii  secolo,  trova 
r  apparecchio  in  pietra  da  taglio  delia  costruzione,  il  capitello  cubico, 
il  motivo  decorativo  delle  lunghe  lesene  nell'  esterno  dell'  abside. 
Soffermandosi  quindi  sulla  scultura  decorativa,  rettifica  molte  idee 
del  Cattaneo  e  cerca  di  porre  dei  confini  netti  tra  la  tecnica  e  le 
composizioni  della  scuola  bizantina  e  quelli  delle  scuole  paesane.  Il 
capitolo  quarto  tratta  AqW Aicìiildtnva  dell'  impero  franco  ai  tempi  di 
Carìomagiw,  quell'  architettura  che  molti  ritengono  abbia  dato  i  germi 
dei  nuovi  stili,  nel  modo  istesso  che  a  nuove  vie  tendevano  le  arti 
delle  pitture  e  degli  intagli.  11  Rivoira  ne  studia  i  due  monumenti 
più  notevoli  :  la  cappella  palatina  d'  Aquisgrana  e  la  basilica  di  Ger- 
migny-des-Prés.  Egli  non  vede  in  esse  un  nuovo  stile,  ma  solo  la 
continuazione  di  uno  stile  che  aveva  già  fatto  le  sue  prove  in  Italia, 
a  Ravenna  e  a  Milano,  si  da  ritenere  che  maestri  lombardi  vi  ab- 
biano lavorato.  Elementi  nuovi  che  possono  aver  influito  sulle  co- 
struzioni posteriori  sono  soltanto  la  cupola  centrale  quadrata,  eretta 
su  sostegni  isolati,  e  la  doppia  abside.  Il  capitolo  quinto  studia  V Ar- 
chitettura  della  Dalma:^ia  ai  tempi  di  Carlomagno.  Il  capitolo  sesto 
tratta  deW Architettura  prelovibarda  dalla  conquista  di  Carlomagno 
all'  apparire  dello  stile  lombardo.  Sono  cosi  numerosi  e  complessi  i 
monumenti  che  1'  autore  riunisce  in  questo  capitolo,  che  è  impossi- 
bile seguirlo  in  un  breve  cenno.  Il  lavoro  di  formazione  delle  nuove 
espressioni  architettoniche  ferve  sotto  1'  impulso  di  una  maggiore  at- 
tività costruttrice.  Nella  basilica  d'Agliate,  in  quella  di  S.  Vincenzo 
in  Prato,  nella  pieve  di  S.  Leo,  in  S.  Pietro  al  Monte  di  Civate,  in 
S.  Eustorgio  di  Milano  appare  il  lavoro  di  trasformazione  di  elementi 
come  r  apertura  ad  archi  nell'abside,  1'  accentuazione  dell'  archivolto, 


532  Tìibìiografìa 


i  capitelli  cubici.  Ed  intanto  nei  battisteri,  come  in  quello  di  Biella  e 
in  quello  di  Galliano,  presso  Cantù  (U07),  sorge  la  cupola  impo- 
stala su  quattro  piccole  vòlte  coniche,  la  cupola  centrale  delle  chiese 
lombarde;  e  poco  dopo  in  S.  Flaviano  di  Montetìascone  (prima  metà 
dell' XI  secolo)  appare  per  la  prima  volta  (non  è  ancora  ben  cliiaro 
da  dove  derivataì  la  vòlta  a  crociera  rialzata,  con  gli  archi  diagonali 
apparenti  e  con  i  piloni  a  fascio,  la  quale  è  la  vera  caratteristica  delle 
costruzioni  lombarde.  A  breve  distanza  di  tempo  sorge  S.  Ambrogio 
di  Milano.  1:  cosi  formato  questo  stile  in  cui  le  forme  occidentali  si 
sono  finalmente  rincontrate  e  si  fondono  in  un  unico  ed  organico 
insieme  :  stile  che  posto  in  correlazione  con  le  altre  architetture  ro- 
mance costituisce  uno  dei  maggiori  periodi  della  storia  dell'  architet- 
tura. È  appunto  questo  studio  di  correlazioni  e  d"  influenze  reciproche 
con  le  architetture  dei  paesi  d'oltr'alpe  che  il  Rivoira  si  propone 
di  compiere  nel  secondo  volume  della  sua  opera. 

Concludendo,  dunque,  risulta  evidente  da  questo  primo  volume 
come  anche  nei  periodi  più  oscuri  del  medio  evo,  1"  Italia  abbia  avuto 
forme  architettoniche  sue  ed  artisti  suoi;  forme  ed  artisti  che  hanno 
influito  anche  sulle  costruzioni  degli  altri  paesi,  e  che  hanno  man- 
tenuto viva,  per  quanto  umile,  la  fiammella  della  tradizione  da  cui 
il  periodo  lombardo  ha  avuto  origine.  Di  contro  alle  esagerazioni 
di  molti  autori  esteri  ed  anche  di  molti  nostri,  per  i  quali  ogni  pro- 
duzione artistica  medievale  deve  esserci  giunta  dai  Bizantini  prima  e 
dai  Franchi  poi,  ben  vengono  questi  risultati:  dei  quali  dobbiamo 
esser  pur  lieti  non  solo  come  studiosi  ma  anche  come  Italiani. 


G.    GlOVANNONl. 


H.  Weber.  Dcr  Kampf  :::^LCÌschcn  Papst  Iiinocen::;^  IV  mici 
Kaiser  1-rieiirich  II  bis  ^ur  flucht  des  Papstes  nach  Lyon. 
Historiscìh'Stitdit'ìfveròf^QntWchi  von  lì.  Eberikg,  Heft  XX. 
Berlin,  Ebering,   1900,  pp.  93,  in-8. 

Comincia  il  racconto  dalia  elezione  di  papa  Innocenzo  IV,  o 
meglio  dalla  morte  di  Celestino  IV  (io  novembre  1241)5  e  dal  con- 
clave che  ne  segui,  della  cui  lunghezza  (più  che  un  anno  e  mezzo) 
i  guelfi  accusarono  Federico,  che  neppure  con  la  difesa  del  Weber 
ne  esce  interamente  purgato.  Senza  aiuto  di  fonti  inedite  e  di  ricerche 
speciali,  solo  sulla  scorta  dei  documenti,  delle  cronache  e  degli  studi 
già  a  stampa,  di  cui  mostra  possedere  una  profonda  conoscenza,  l'au- 
tore tesse  la  narrazione  della  lotta  tra  Federico,  allora  potentissimo, 


'Bibliografia  ^$^ 


ed  Innocenzo,  sino  al  momento  che  questi,  più  non  potendo  soste- 
nersi nei  propri  Stati  e  correndo  pericolo  perfino  della  personale 
libertà  (poco  convincente  è  infatti  VcMursus  del  Weber  per  mostrare 
che  di  togliergliela  Federico  II  non  avesse  alcuna  intenzione),  si 
rifugia  a  Lione  (2  dicembre  124  f).  Forse  è  dato  scorgere  un  poco 
di  tendenza  a  dare  maggior  fede  agli  scrittori  imperialisti  che  ai  pon- 
tifici, ma  nel  complesso  lo  scritto  è  serenamente  obbiettivo,  e  ci  fa 
vedere  in  Federico  II  1'  uomo  di  Stato,  ambizioso  certo,  ma  geniale 
e  profondo  nelle  vedute,  abilissimo  nel  cercare  i  mezzi  di  attuarle; 
in  Innocenzo,  il  capo  della  Chiesa,  convinto  della  santità  della  sua 
missione,  che  con  petto  saldo  sostiene  i  diritti  della  Sede  apostolica. 
Il  tentativo  fatto  da  Federico  di  alienare  il  sacro  collegio  dal  papa, 
le  ripetute  trattative  di  pace  più  o  meno  sincere,  la  proposta  dell'  im- 
peratore di  un  maritaggio  tra  Corrado  suo  figlio  e  una  parente  del  papa, 
lo  sdegnoso  rifiuto  di  questo,  la  sua  lealtà  nei  rapporti  con  le  città  lom- 
barde, tutto  concorre  a  rassodare  i  giudizi  dati  sui  due  contendenti. 
Seguono  al  racconto  tre  excursus.  Il  primo  intorno  all'ordine  di 
tempo  delle  ambascerie  imperiali  e  pontificie  nel  1243,  di  cui  le  fonti 
parlano  in  modo  contradittorio;  il  secondo  intorno  alla  sospensione 
che  subirono  le  trattative  dopo  la  missione  del  conte  di  Tolosa  nel 
dicembre  1245;  il  terzo  sull'intenzione  di  Federico  di  impadronirsi 
della  persona  del  papa  quando  era  in  Civita  Castellana.  Quest'  ultimo 
non  riesce  convincente  quanto  gli  altri  due.  Serietà  di  preparazione, 
metodo  e  acuto  discernimento  nell'  adoperare  le  fonti  (i),  doti  che 
spesso  si  riscontrano  nei  dotti  alemanni,  vanno  unite  nel  Weber  ad 
una  chiarezza  che  non  è  invece  troppo  facile  ritrovare  negli  scritti 
dei  suoi  connazionali. 

P.  Ecidi. 


(i)  Una  sola  osservazione.  Perchè  citare  la  Vita  di  Innocenzo  IV  nell'edizione  del 
Muratori  e  dirne  autore  yiicoUus  de  Curino,  quando  già  dal  1898  il  compianto  F.  Pa- 
GJiOTTi  ne  dnva  un'  altra  assai  migliore  e  riusciva  a  stabilire  che  il  vero  nome  dello 
srittore    era    Kic.  de  Carbio  ?  Cf.  questo  Archivio,  XXI,   1-120. 


NOTIZIE 


Con  vero  piacere  registriamo  la  ripresa  della  edizione  del  Libcr 
censuum  di  Cencio  canurario.  Il  primo  fascicolo,  uscito  nel  gennaio 
del  1889,  era  rimasto  senza  compagni,  che  prima  le  necessità,  le  cure 
e  i  dolori  della  vita,  poi  la  morte  immatura  avevano  impedito  e  tron- 
cato il  lavoro  cui  il  compianto  Paul  Fabre  si  era  dedicato  con  tutte 
le  forze.  Ne  raccoglie  1'  eredità  l' illustre  nostro  socio  L.  Duchesne, 
che  nel  luglio  scorso  ha  pubblicato  il  secondo  fascicolo.  Non  avendo 
egli  trovato  nelle  carte  del  Fabre  alcuna  indicazione  circa  il  piano 
generale  dell'opera,  si  propone  di  riprodurre  prima  per  intero  l'ori- 
ginale di  Cencio  (cod.  Vat  8486);  indicare  poi  la  disposizione  che 
la  materia  prese  nel  rimaneggiamento  del  secolo  xiii  (cod.  Rice.  226), 
mettendo  alla  luce  i  nuovi  documenti  che  vi  furono  inseriti,  meno 
però  le  Vite  dei  papi  già  edite  nel  Libcr  ponti fìcain;  aggiungere  da 
ultimo  in  appendice  la  descrizione  delle  compilazioni  analoghe  che 
per  età  precedettero  il  Liber,  e  cioè  quelle  di  Benedetto  canonico, 
di  Bosone,  di  Albino;  quando  occorra  dare  la  edizione  di  quelle  parti 
di  esse  che  non  entrarono  nella  compilazione  di  Cencio.  Della  ta- 
vola dei  censi  nelle  carte  del  Fabre  era  pronto  per  la  stampa  tutto  il 
testo,  ma  il  commento  era  perfetto,  o  quasi,  soltanto  per  le  provincie 
di  Croazia,  Serbia,  Ungheria,  Polonia,  Impero,  e  se  per  la  Francia 
v'  era  materiale  abbondante,  mancava  affatto  invece  per  la  Spagna, 
le  isole  Britanniche,  la  Scandinavia,  la  Sardegna  e  l'Oriente.  A  questo 
difetto  e  alla  preparazione  del  testo  per  quel  che  avanzava,  ha  do- 
vuto sopperire  il  nuovo  editore.  Nessuno  forse  avrebbe  potuto  cosi 
bene  sostituirsi  al  Fabre;  e  fors'  anche  il  lavoro  ci  ha  guadagnato, 
conservando  la  illustrazione  tutta  la  sohdità  e  perdendo  un  po'  della 
pesantezza  sotto  la  penna  di  L.  Duchesne.  Cura  speciale  egli  ha  por- 
tato intorno  ai  capp.  xxxi-XLiii  del  Liber,  i  quali  contengono  le  cosi 
dette  Mirahilid  Romae.  Senza  proporsi  di  dare  una  vera  edizione  cri- 
tica (e  sarebbe  tanto  gradita),  pure  ha  fissato  un  pregevole  testo  po- 
nendo a  confronto  l'originale  di  Cencio  con  le  compilazioni  di  Al- 
bino (cod.  Ottob.  3057),  di  Benedetto  canonico  (cod.  Cambrai  551, 
Valliceli.  F,  73)  e  con  la  copia  dei  Mirabilia  del  Vaticano  3973. 


y}6  o\j)ti-{ie 


In  quest'  anno  si  sono  compiute  in  Germania  due  pubblicazioni 
di  capitale  importanza.  Col  132°  fascicolo  è  terminato  il  Kirclun- 
lexicon  oJtr  Encyklopàdìe  der  Katlioìischen  Theologie  imd  ihrer  Huìsilìs- 
seuschiifkn,  la  cui  compilazione,  diretta  dal  Wetzel  e  dal  Welte,  è  co- 
stata vjnti  anni  di  lavoro.  Quanti  che  vi  prestarono  l'opera  loro  non 
ne  hanno  visto  il  compimento!  Tal  soddisfazione  è  mancata  anche 
ad  Ed.  Winkelmann,  la  cui  ristampa  dei  Rei;i'sici  ifupcrii,  V  (1198- 
1272),  ha  ricevuto  l'ultima  mano  da  F.  Wilhelm.  Il  fascicolo  4°  ed 
ultimo  contiene  una  larga  introduzione  e,  oltre  ai  soliti  copiosissimi 
indici  di  persone  e  di  luoghi,  uno  speciale  dei  ricevitori  e  dei  por- 
gitori, gli  itìner.iri  dei  principali  officiali  pontifici  ed  imperiali,  e  so- 
pratutto un  ingegnoso  ed  utilissimo  indice  degli  indici,  che  raggruppa 
topograficamente  tutti  i  nomi  registrati  negli  indici  stessi. 

Per  incarico  della  città  di  Magonza  il  professore  Otto  Hartwig, 
al  fine  di  festeggiare  il  quinto  centenario  della  nascita  di  Giovanni 
Gutenberg,  ha  raccolti  e  pubblicati  dodici  studi  intorno  agli  inizi  della 
stampa  (i),  dovuti  dieci  a  stud-osi  tedeschi,  uno  ad  un  francese,  l'ul- 
timo ad  un  italiano.  Questi  è  il  signor  Demetrio  Marzi,  che  ha  trat- 
tato dei  Tipografi  tedescììi  in  Italia  diiratiU  il  secolo  XV,  in  una  cin- 
quantina di  pagine  (407-455  del  Festschrifl  indicato^,  passando  in 
rapido  esame  l'  opera  degli  impressori  germani.  Lo  scritto,  disegnato 
più  ampiamente  di  quel  che  siasi  potuto  compire,  appunto  per  questo 
si  mostra  difettoso,  presentando  sproporzioni  nella  economia  delle 
varie  parti  :  ma  è  sempre  un  notevolissimo  saggio,  soprattutto  per  la 
ricchezza  ed  esattezza  delle  informazioni.  Auguriamo  che  1'  autore 
non  voglia  abbandonare  il  suo  tema;  anzi  si  accinga  a  trattarlo  con 
quella  compiutezza  che  gli  potrà  venire  soprattutto  con  la  calma  ispi- 
rata dalla  assenza  di  ogni  limile  di  tempo,  calma  che  egli  stesso 
confessa  essergli  mancata.  Prowederà  allora  anche  ad  una  migliore 
collaborazione  da  parte  del  tipografo,  ai  difetti  del  quale  non  pone 
che  insufficiente  rimedio  1'  errala  corride  aggiunto  nel!'  estratto. 

Tra  i  volumi  della  Biblioleca  del  Risori^inienlo  Italiano  il  signor  lir- 
manno  Loewinson  ha  pubblicato  uno  studio  molto  accurato  e  dili- 
gente intitolato:  Giuseppe  Garibaldi  e  la  ma  legione  nello  Stato  ro- 
mano 1848-41).  L'uso  largo  di  documenti  tratti  dal  R.  Archivio  di 
Stato  e  dall'archivio  Comunale  notarile  di  Roma,  e  il  metodo  tenuto 
in  usarne  crescono  pregio  e  novità  al  libro. 


(1)  Ftitichrift  ^um  fun/hunderliahrigen  Ceburlslage  voH  Johann  Gutenberg  im  Auftrage 
àer  Stadi  Main^,  herausg.  v.  Otto  Haktwic,  Mainz,  Zabern,   24  Juni    1900. 


'K.oti^ìe  537 


Il  signor  Clu  V.  Langlois  sta  curando  una  seconda  edizione  del 
suo  Manuel  ile  bibliographic  ìiisloriqiie.  È  venuto  alla  luce  il  primo  fa- 
scicolo nel  quale  si  parla  degli  istrumenti  bibliogra|ici.  Per  1'  Italia 
questa  ristampa  non  si  avvantaggia  molto  sulla  prima,  mentre  rile- 
vanti miglioramenti  vi  sono  introdotti  per  la  Germania  e  soprattutto 
per  la  Francia.  H  vero  però  che  in  questo  campo  da  noi  non  si  è 
fatto  gran  che  tino  ad  oggi.  Per  la  bibliografìa  storica  generale  siamo 
ancora  al  Fumagalli-Ottino,  e  per  la  corrente  solo  alle  ampie,  ma 
sempre  incomplete  indicazioni  della  Rivista  storica  del  Rinaudo.  Siamo 
lieti  di  annunciare  che  anche  in  Italia  sarà  provveduto  a  questo  biso- 
gno degli  studi.  Nell'anno  corrente,  per  iniziativa  del  professore  A.  Cri- 
vellucci,sarà  posto  mano  alla  pubblicazione  di  un  Annuario  bibliografico 
(.klle  pubblicazioni  riguardanti  la  storia  d'Italia  nel  largo  senso  della 
parola,  a  cominciare  dal  secolo  quarto  sino  ai  nostri  giorni.  Apparirà 
a  liberi  intervalli  come  supplemento  agli  Studi  storici  di  A.  Crivellucci, 
e  conterrà  lo  spoglio  di  circa  seicento  riviste  e  l'indicazione  del  mag- 
gior numero  possibile  di  pubblicazioni  indipendenti.  Il  lavoro  sarà  di- 
viso tra  vari  collaboratori  distribuiti  nei  principali  centri  di  Studio 
del  Regno,  perchè  sia  più  facile,  più  ampia  e  sicura  l'informazione. 

Nel  primo  fascicolo  di  quest'  anno  degli  Studi  e  documeuti  di  storia 
e  diritto,  P.  Tacchi  Venturi  ha  scritto  di  Vittoria  Colonna,  delle  re- 
lazioni che  ebbe  in  Ferrara  coi  gesuiti  Jaio  e  Rodriguez,  dell'aiuto 
dato  alla  Compagnia  nel  suo  sorgere,  della  protezione  concessa  ai 
cappuccini  nuovameute  germogliati  dal  gran  tronco  francescano.  Pub- 
blica inoltre  sei  lettere  inedite  di  Vittoria  e  una  di  Carlo  V.  Altre 
quattro  lettere  il  Tacchi  Venturi  ha  aggiunto  nel  secondo  fascicolo 
dello  stesso  periodico,  interessanti  perchè  chiaramente  ci  dicono  la  ra- 
gione del  ritiro  della  poetessa  in  S.  Caterina  di  Viterbo  e  lumeggiano 
le  sue  relazioni  con  Alfonso  de  Lagni  signore  d' Orte.  Q.ueste  pubblica- 
zioni e  quella  di  P.  D.  Pasolini  (Tre  lettere  inedite  di  l'ittoria  Colonna  per 
nozze  Rasponi-Corsini  che  riguardano  il  tempo  in  cui  Vittoria  perdette 
lo  sposo),  assai  interessanti  e  ben  condotte,  vengono  a  completare 
gli  studi  di  B.  Fontana  apparsi  nel  IX  e  X  voi.  di  questo  Archivio. 

Pei  tipi  del  Forzani  la  signora  Luisa  Atti  Astolfi  ha  pubblicato 
un  codicillo  testamentario  di  Ranieri  «onore  della  casa  di  Calboli  » 
(Purgatorio,  XIV,  88-90)  scritto  nel  1280,  in  cui  si  conferma  erede 
generale  la  moglie  Imilia  e  si  aggiunge  debba  questa,  se  muoia  prima 
di  dieci  anni  dall'  ultimo  giorno  di  lui,  scegliersi  un  erede  che  fino 
al  compimento  dei  dieci  anni  faccia  in  suffragio  dell'  anima  di  lui 
«  totani  fruam  suam  ».  Il  documento,  interessante  specialmente  dopo 


538  V^pti^ie 


il  tanto  che  si  è  scritto  su  Ranieri  e  anche  perchè  tra  1  testi  v'  è  un 
Irà  Guittone  d'  Arezzo,  serve  però  solo  di  pretesto  per  una  disserta- 
zione storica  e,  paleografica.  La  sproporzione  è  evidente  soprattutto 
quando  si  leggano  le  annotazioni  paleografiche  e  diplomatiche,  die 
sembrano  piuttosto  un'accurata  e  minuta  lezione  diretta  a  principianti 
(si  indica  perfino  che  /  è  usato  a  segnare  per]),  che  una  notizia  co- 
municata agli  studiosi.  Il  giorno  del  mese,  secondo  l'autrice,  è  cal- 
colato con  la  «  consuetudo  hononiensis  ».  È  vero  per  la  forniula: 
«  intrante  »;  m.i  por  la  sostanza  non  mi  pare,  essendo  indicati  un 
25   «intrante  apr.  »  e  un  29  «  intr.  marcio». 

Il  marchese  Matteo  Campori  ha  pubblicato  il  primo  volume  de\- 
V  Epistohirìo  Muratoriano  (Modena,  Società  tipogr.  Modenese,  in-8, 
pp.  Lxxv-jóy.con  ritratto).  Contiene  le  lettere  scritte  dal  sommo  sto- 
rico negli  anni  1691-1698,  precedute  da  una  utile  cronobiografia  nella 
quale  forse  si  desidera  talora  il  corredo  dei  documenti.  Le  lettere 
sono  disparatissime  fra  loro  e  pel  valore  e  per  la  estensione.  Si  va 
da  quelle  di  poche  parole  e  talora  insignificanti  o  quasi,  sino  a  delle 
vere  e  proprie  dissertazioni  di  straordinaria  importanza. 

Il  signor  F.Tonetti  nel  VII  volume  del  Boììetlino  della  R.Dep.  di 
'Aor.palr.  per  l'Umbria  ha  portato  un  notevole  contributo  agli  studi  sto- 
rici della  provincia  romana,  dando  una  notizia  abbastanza  ampia  in- 
torno agli  archivi  Comunali  di  Roccantica  e  di  Aspra.  Il  primo  ha 
un  documento  del  1060  e  sei  altri  del  secolo  xii,  il  secondo  ha  un 
documento  del  1055  e  altri  tredici  del  secolo  xii.  Interessanti  al- 
cuni documenti  (Roccantica  ann.  1159,  1398;  Aspra  ann.  1527,  I5)2, 
1576,  1^87,  1409),  che  si  riferiscono  alla  giurisdizione  del  comune  di 
Roma.  L'  esempio  del  Tonetti  sarebbe  da  imitare  da  tutti  gli  studiosi 
locali  e  da  tutti  gli  altri,  che  per  ricerche  speciali  hanno  occasione 
di  visitare  archivi,  che  restano  inaccessibili  alla   gran    maggioranza. 

Presso  il  Ministero  dell'  istruzione  pubblica  di  Francia  è  stato 
creato  un  «  Office  d'  informations  et  d'études  »  sotto  la  direzione 
di  Ch.  V.  Langlois  e  Victor-Hen.  Friedel.  Avrà  per  iscopo:  1°  I^- 
spondere  ai  quesiti  indirizzatigli  intorno  alla  scienza  o  all'  istruzione 
dai  professori  o  dai  capi  servizio  delle  Amministrazioni  francesi  e 
straniere;  2"  Presentare  ai  capi  servizio  relazioni  e  proposte  intorno 
alle  questioni  scientifiche  e  scolastiche;  ?°  Tenersi  in  relazione  colle 
Università  straniere  e  specialmente  di  Dresda,  di  Upsala  e  degli  Stati 
Uniti  che  domandano  frequentemente  indicazioni  di  giovani  per  scambi 
internazionali  di  allievi  o  di  insegnanti. 


ISioti^ie  ^y) 


Notevole  è  il  libro  di  A.  Doren,  Studicn  aus  der  Florentìner  Wirth- 
schaftsgeschicbte,  voi.  l.  Die  Florcntincr  IVclkiitiicbindustrie  vom  14-16  Jahr. 
(Stuttgart,  Cotta,  1901),  corredato  di  un  ricco  materiale  archivistico; 
né  meno  notevole  è  la  memoria  apparsa  nel  Boìetin  de  la  Reaì  Aca- 
demia  de  buenas  ìctras  de  Barcelona,  I,  24,  di  H.  Finkc,  BcrichUii  von 
der  ròmischeti  Curie,  di  speciale  interesse  pel  tempo  di  Bonifacio  Vili. 

Il  professore  Pflugk-Harttung  ha  pubblicato  la  seconda  parte  del 
suo  lavoro  Die  Btillen  der  Papste.  Il  prof.  Lud.  M.  Hartmann  la  se- 
conda parte  del  Tabnlariniìi  Sa>iclae  Mariae  in  via  Lata  e  il  secondo 
volume  della  sua  Gescììicbte.  Ne  diamo  solo  annunzio  proponendoci 
di  parlarne  altra  volta  ampiamente. 

Mentre  si  stava  rimettendo  in  luce  la  base  dell'arco  di  Tito  nel 
restituire  alla  Via  Sacra  1'  antico  livello,  s'  è  scoperta  tra  l'arco  e  il 
Palatino  una  larga  platea.  Secondo  le  induzioni  dell'  ingegnere  Boni 
essa  sarebbe  probabilmente  quella  del  tempio  di  Giove  Statore,  di 
cui  fino  ad  ora  era  desiderato  qualsiasi  vestigio. 

La  Società  Filologica  Romana,  di  cui  annunciammo  nel  prece- 
dente fascicolo  la  costituzione,  ha  pubblicato  in  tre  fascicoli  il  poema 
inedito  di  Bonvesin  da  Riva,  lì  libro  delle  tre  scripture  e  il  Volgare 
delle  Vanità.  L'edizione  si  raccomanda  e  pel  valore  intrinseco  del  poema, 
specialmente  come  precedente  della  Divina  Commedia,  e  per  la  bontà 
dello  studio  che  1'  editore  (V.  De  Bartholomaeis)  vi  ha  messo  in- 
nanzi, e  per  la  cura  posta  nel  produrre  il  testo  e  nel  corredarlo  di 
eccellenti  note  e  di  un  glossario  che  può  servire  di  modello,  e  da 
ultimo  per  la  eleganza  tipografica. 

Per  lodevole  iniziativa  di  alcuni  cittadini  si  è  costituita  in  Vi- 
terbo una  associazione  che  si  prefigge  lo  scopo  di  adoperarsi  con 
tutti  i  mezzi  per  la  conservazione  e  il  restauro  dei  monumenti  me- 
dioevali. Il  lavoro  non  sarà  poco  né  lieve,  perchè  se  poche  città  di 
provincia  possono  contendere  al  capoluogo  del  Patrimonio  il  vanto  di 
signorile  prodigalità  e  di  severo  gusto  nelle  costruzioni,  meno  sono 
quelle  che  possano  a  più  giusta  ragione  rimproverarsi  per  la  poca 
cura  che  se  n'  ebbe.  Di  un  certo  risveglio  fanno  però  fede  oggi  e 
la  iniziativa  di  cui  facciamo  parola  e  gli  studi,  ormai  pronti  ad  es- 
sere tradotti  in  atto,  d'  un  restauro  della  magnifica  loggia  papale 
del  1267,0  gli  scavi  fatti  nel  teatro  della  distrutta  Perento.  Sotto  le 
macerie  accumulate  dalla  rabbia  dei  Viterbesi  nel  11 70  e  nel  11 72,  e 
dai  sette  secoli  e  più  che  d'allora  sono  trascorsi,  si  è  rinvenuta  la 

Archivio  della  R.  Società  romana  di  storia  patria.  Voi.  X.XIV.  3  5 


540  V^oti^it 


pianta  del  teatro,  cos'i  conservata  da  poter  essere  rilevata  con  facilità. 
Sono  state  trovate  anche  alcune  statue  rappresentanti  Apollo  e  le 
Muse,  però  di  mediocre  valore.  Speriamo  che  gli  scavi  si  possano 
estendere  .id  altri  punti  della  sepolta  città. 

Nella  direzione  dell'  Istituto  Storico  Prussiano  al  prof.  W.  Prie- 
densburg  è  stato  sostituito  il  prof  Schulte,  ben  noto  agli  studiosi 
por  i  suoi  lavori  intorno  alle  relazioni  commerciali  ed  economiche 
tra  r  Italia  e  la  Germania.  Al  posto  del  prof.  Th.  Sickel,  che  giu- 
stamente riposa  dopo  tanti  anni  di  lavoro  così  indefesso  e  proficuo, 
è  venuto  a  dirigere  l'Istituto  Storico  Austriaco  il  prof.  Ludwig  l'astor, 
il  quale  ha  pubblicato  un'  altra  edizione  (5"  e  4=*  insieme)  del  primo 
volume  della  sua  Geschlchte  der  Papste.  Di  essa  sarà  parlato  nei  pros- 
simi fascicoli  più  ampiamente;  qui  basti  indicare  che  la  serie  dei 
documenti  si  avvantaggia  su  quella  delle  precedenti  per  la  inserzione 
di  una  lettera  scritta  da  Eugenio  IV  ad  Antonio  de  Rido  intorno  alla 
cattura  del  Vitelleschi  (1"  marzo  1441;  doc.  21  a),  di  una  relazione 
di  un  cortigiano  coevo  intorno  alla  rivolta  di  Stefano  Porcari  (n.  44  a), 
e  di  un'  altra  relazione  di  incognito  intorno  allo  stesso  argomento 
(n.  44  b).  Inoltre  al  documento  n.  17  è  stata  aggiunta  una  lunga  nota 
tendente  a  dimostrare  che  veramente  Martino  V  indisse  un  univer- 
sale giubileo,  la  cui  data  è  da  fissare  con  probabilità  all'  anno  1423. 

Della  Biblioteca  storica  Bolognese  sono  venuti  alla  luce  due  nuovi 
volumi,  il  4°  di  Vito  Vitali,  //  Comune  di  parte  guelfa  in  Bologna  (1286- 
1527);  il  5°  di  Albano  Sorbelli,  La  signoria  di  Giovanni  Visconti  a 
Bologna  e  le  sue  rela:{icni  con  la  Toscana.  La  Biblioteca  Villari  s'  è 
pure  arricchita  di  due  volumi  di  molto  pregio,  l'uno  di  G.  Negri  in- 
torno a  Giuliano  V  Apostata  di  cui  si  discorre  in  questo  fascicolo, 
r  altro  di  P.  Errerà,  suU'  Era  delle  grandi  scoperte  geografiche. 

Il  prof.  Otto  Richter  ha  pubblicato  una  ristampa  della  sua  pre- 
gevole Topographie  der  Stadi  Rom,  resa  ormai  necessaria  dalle  sco- 
perte topografiche  di  cui  sono  stati  fecondi  gli  ultimi  scavi. 

Per  la  storia  del  diritto  italiano  nel  medioevo  notiamo  due  assai 
importanti  contributi  per  quanto  di  natura  diversissima:  1°  il  terzo 
volume  della  Bibliolheca  iuridicu  medii  aeri,  cui  con  tanto  amore  e 
perseveranza  attende  il  prof  Augusto  Gaudenzi.  Contiene  gli  Scripta 
anecdota  glossatorum  vel  glossatorum  tempore  composita,  e  cioè  il  libro 
dello  pseudo  Bagarotto  o  meglio  di  Pillio  e  la  Summa  de  actionibus 
editi  a  cura  di  G.  B.  Palmieri,  le  glosse  del  Vaccella  a  cura  del 
Resta,  lo  Splendor  Venetorum  civitatis  di  Iacopo   di  Bertaldo,  curato 


r\o//7/e  541 


dallo  Schupfer,  le  Quaestiones  slatiitonan  di  Alberto  da  Gandino  per 
cura  del  Solmi,  il  Libcr  de  redimine  ciuitatum  di  Giovanni  da  Viterbo 
per  quella  del  Salvemini,  la  Stimma  nolani  Arelii  per  quella  del  Ci- 
cognari,  e  la  Summa  notarii  Belluni  per  quella  di  A.  Palmieri;  2°  la 
prima  parte  dell'  opera  :  Die  gcuiciiirecììlliche  Entiuickelun-^  des  interna- 
tionaìen  Privai-  ttnd  Strafrechls  bis  Bartolus  del  dott.  Karl  Neumeyer, 
la  quale  si  intitola:  Die  Geliung  der  Stammesrechle  in  Italicu.  In  due 
capitoli  vi  si  tratta  del  diritto  territoriale  e  di  quello  personale  lon- 
gobardo nell'alta  e  nel'.i  media  Italia;  nel  terzo  dello  stato  del  di- 
ritto longobardo  e  normanno  nell'  Italia  meridionale. 

Crediamo  opportuno  richiamare  l'attenzione  degli  studiosi  sul 
progetto  di  pubblicazione  che  si  propone  una  nuova  Società  di  dotti 
francesi  sotto  il  titolo  Archives  de  l'bisloire  religieuse  de  la  Fraiice.  Esso 
comprenderà  documenti  ecclesiastici,  amministrativi,  giudiziari,  acat- 
tolici, privati.  Tra  l'altro  sono  in  procinto  di  pubblicazione  le  nun- 
ciature  di  Francia  di  Leone  X,  di  Clemente  VIII,  di  Paolo  III,  di 
Gregorio  XIII,  e  la  corrispondenza  di  Giovanni  du  Bellay,  il  primo 
volume  della  quale  sarà  composto  delle  Ambassades  de  Londres  et  de 
Rome  (nov.  1527-febbr.  1556).  Editore  sarà  Alfonso  Picard  (Paris, 
rue  Bonaparte,  82). 

Sottoposte  a  minuziosa  disamina  due  notizie  date  da  Eusebio 
{Vita  Conslaiitini,  I,  cap.  40;  Historia  ecclesiastica,  IX,  cap.  8),  il  ca- 
valier  C,  iMacs  sostiene  che  nella  sesta  e  settima  delle  colonne  ono- 
rarie del  Foro  si  debba  riconoscere  11  primo  trofeo  della  croce  eretto 
da  Costantino  il  Grande  nel  Foro  romano.  Le  due  colonne,  sormontate 
una  dalla  statua  dell'  imperatore  che  nella  destra  teneva  un'alta  croce, 
r  altra  da  quella  di  Roma,  avrebbero  recata  1'  epigrafe  che  Eusebio 
riferisce  in  greco:  «  Hoc  salutari  signo,  vero  fortitudinis  indicio,  ci- 
«  vitatem  vestram  tirannidis  iugo  incolumem  servatam  liberavi.  Insu- 
«  per  senatum  populumque  romanum  in  libertatem  vindicans,  pristinae 
«  amplitudini  et  splendori  restituì  ».  L'erezione  dovrebbe  assegnarsi 
al  312,  subito  dopo  la  vittoria  ad  saxa  Rubra. 

La  Società  Editrice  Nazionale  ha  pubblicato  dopo  la  nuova  edi- 
zione della  Storia  di  Roma  nel  medio  evo  di  Ferdinando  Gregorovius 
(cf.  questo  Archivio,  XXIII,  520),  un'edizione  ddVAutobiografa  di 
Benvenuto  Cellini  (La  vita  di  Benvenuto  Cellini.  1  trattati  della  orefi- 
ceria e  della  scultura  e  gli  Scritti  sull'arte  con  196  illustrazioni  e  note 
di  Arturo  Jahn  Rusconi  e  A.  Valeri,  1901).  Il  testo  ò&W Autobiografia 
è  tratto  dall'edizione  del  Guasti  (Firenze,  Barbèra,  1890).  Gli  editori 
ebbero  cura  di  inserire  nel  testo  numerose  riproduzioni  e  documenti  ad 


542  ^oti-^ìe 


illustrazione  della  vita  e  delle  opere  del  Ccllini.  11  volume  è  un  vero 
repertorio  di  notizie  intorno  all'attività  artistica  del  grande  artefice  fio- 
rentino, ma  sarebbe  forse  riuscito  di  più  facile  uso  se  fosse  stato  condotto 
con  più  rigore  di  metodo  e  con  maggiore   sobrietà  di  esposizione. 

Notevolissima  è  la  relazione  che  R.  Lanciani  ha  fatto  nel  Bnl- 
Itttino  comunali  di  archeologia  intorno  alle  escavazioni  del  Foro.  A 
proposito  delle  quali  ci  vien  naturale  d' indicare,  non  sappiamo  se 
con  parole  di  lode,  i  lavori  fatti  per  difendere  i  dipinti  di  S.  Maria 
Antiqua.  Non  sapremmo  dire  se  le  vòlte  girate  sugli  antichi  muri 
siano  sufficienti  ad  impedire  la  perdita  dei  preziosi  cimelii,  e  se  siano 
intonati  ai  resti  delle  vecchie  costruzioni. 

L' Istituto  di  Francia  ha  decretato  di  porre  mano  alla  pubbli- 
cazione dei  Necrologi  del  territorio  gallico,  coordinando  e  comple- 
tando per  tal  modo  gli  sforzi  notevoli  fatti  in  vari  tempi  dalla  ini- 
ziativa privata. 

La  Sezione  romana  della  Gòrresgesellschaft  ha  pubblicato  il 
primo  volume  di  documenti  concernenti  il  concilio  di  Trento,  con- 
tenente la  prima  parte  dei  diarii  edita  a  cura  di  S.  Merkle.  Vi  sono 
accolti  il  comentario  del  Severoli  e  i  sei  diari  del  Massarelli,  due 
dei  quali  già  editi  dal  Dòllinger. 

Il  prof.  Giuseppe  Mazzatinti  ha  pubblicato,  nella  nuova  edizione 
dei  Rerum  Italicarum  intrapresa  dal  Lapi,  la  cronaca  di  ser  Guer- 
riero da  Gubbio. 

Con  molto  rammarico  apprendiamo  la  notizia  della  morte  del 
professore  Cesare  Paoli.  Era  nato  nel  1840,  e  consacratosi  per  tempo 
alla  carriera  archivistica  e  poi  all'  insegnamento,  salì  presto  in  grande 
considerazione  pei  lavori  notevoli  che  pubblicò,  e  per  1'  impulso  che 
diede  in  Toscana  allo  studio  metodico  della  paleografia  e  della  di- 
plomatica. Lascia  lavori  notevoli  di  storia  e  di  paleografia,  tra  cui 
ricordiamo  quelli  sulla  Signoria  in  Firen::^e  del  duca  d' Atene,  sulle  Ta- 
volelk  dipinte  della  Repubblica  di  Siena,  sulla  Battaglia  di  Montaperti 
di  cui  pubblicò  anche  il  Libro,  e  superiore  forse  ad  ogni  altro  l'ec- 
cellente Programma  di  paleografia  e  diplomatica,  titolo  modesto  di  un 
lavoro  assai  poderoso.  Ebbe  ingegno  pronto,  senso  di  critica  acuto, 
dottrina  profonda  e  geniale,  animo  modesto,  semplice,  buono.  La 
sua  mone,  che  è  una  perdita  per  gli  studi,  lascia  nei  numerosi  amici 
ch'egli  ebbe  un  senso  di  vivo  e  profondo  rimpianto. 


PERIODICI 

(Articoli  e  dociuiicnù  relativi  alla  storia  di  Roiiui) 


Archivio  storico  italiano.  Serie  V,  to.  XXVII,  a.  190:,  fasci- 
colo 2°.  —  N.  RoDOLico,  Genesi  e  svolgimento  delia  scrittura  lon- 
gobardo-cassinese.  -  D.  Marzi,  recensione  dei  Rerum  Italicarum  scri- 
ptores,  nuova  edizione,  primi  fascicoli  (Historia  miscella,  di  L.  Sagace; 
Le  Vite  dei  dogi,  di  M.  Sakudo).  -  G.  Lisio,  recensione  della  Vita 
di  Benvenuto  Cellini  edita  a  cura  di  O.  Bacci.  -  E.  Rostagko,  re- 
censione di  RosENMUKD  :  Die  Fortschritte  der  Diplomatik  seit  Mabillon 
vornehmlich  in  Deutschland-Oesterreicht.  —  Fase.  5°.  C.  Destefaki, 
La  signoria  di  Gregorio  IX  in  Garfagnana.  -  F.  Tocco,  Nuovi  do- 
cumenti sui  moti  ereticali  tra  la  fine  del  sec.  xiii  e  il  principio  del  xiv.  - 
O.  Bacci,  recensione  dell'opera  di  Monnier  :  Le   Quattrocento. 

Archivio  storico  Lombardo.  Serie  III,  XVI.  —  F.  Fossati, 
Milano  e  una  fallita  alleanza  contro  i  Turchi. 

Archivio  storico  per  le  provincie  Napoletane.  Anno  XXI, 
fase.  III.  —  G.  De  Petra,  Aufidena,  scavi  e  topografia. 

Archivio  Trentino.  Anno  XV  (1891),  fase.  II.  —  L.  Campi, 
Tombe  romane  presso  Cunevo  nella  Naunia. 

Bìbliothèque  de  l'École  des  Chartes.  To.  LXII,  fase.  3°.  — 
L.  Delisle,  Les  «  Litterae  tonsae  »  à  la  chancellerie  romaine  au 
xiii*'  siècle.  -  Labande,  recensione  dell'opera  di  De  Caix  e  A.  L.\- 
CROix:  La  Gaule  romaine.  -  Daumat,  recensione  dell'opera  di  Mirot: 
La  politique  pontificale  et  le  retour  du  Saint-Siège  à  Rome  en  1376.  — 
Fase.  4°.  Rastoul,  recensione  dell'opera  di  H.  Lea:  Histoire  de  l'In- 
quisition  au  moyen-àge. 

Bollettino  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  1'  Um- 
bria. Anno  VII,  fase.  2".  —  D.  Tordi,  La  stampa  in  Orvieto  nei  se- 


544  'T* Ci  iodici 


coli  XVI  e  XVI!.  -  L.  Fumi,  I  registri  del  ducato  di  Spoleto.  Ar- 
chivio Segreto  Vaticano.  Camera  apostolica.  -  A.  Bei  lucci,  Sulla 
storia  dell'antico  comune  di  Rieti.  -  L.  Fumi,  Cose  reatine  nell'ar- 
chivio Segreto  e  nella  biblioteca  del  Vaticano.  -  F.  Tonetti,  Gli  ar- 
cliivi  Comunali  di  Roccantica  ed  Aspra  in  Sabina. 

Bollettino  della  Società  Geografica  italiana.  Serie  IV,  voi.  II, 
gennaio  1901.  —  Le  pioggie  dello  scorso  novembre  a  Roma.  — 
Luglio  1901.  Risultati  sommari  del  4°  censimento  italiano.  —  Ago- 
sto 1901.  G.  Crocioni,  La  toponomastica  di  Velletri.  -  Un  nuovo 
Istituto  geografico  in  Roma.  —  Novembre  looi.  Il  vallo  romano 
delle  Giulie. 

Bollettino  storico  della  Svizzera  italiana.  Anno  XXIII, 
mi.  4-9.  —  Continuano  Le  lettere  da  Roma  ai  nunzi  pontifici  in  Sviz- 
zera negli  anni  1609-1615. 

Bollettino  storico-bibliografico  Subalpino.  Anno  VI,  nn.  III- 
IV.  —  A.  Taramelli,  Un  nuovo  miliario  della  via  romana  Ivrea- 
Aosta. 

Bullettino  della  Commissione  archeologica  comunale  di 
Roma.  .\nno  1901,  fase.  i^-j".  —  R.  Lanciasi,  Il  nuovo  frammento 
della  Forma  Urbis  e  le  Terme  di  Agrippa.  -  Io.,  Le  escavazioni  del 
Foro.  -  L.  Pernier,  A  proposito  di  alcuni  lavori  eseguiti  recente- 
mente neir  interno  del  teatro  di  Marcello.  -  L.  Mariani,  Di  un'altra 
statua  muliebre  vestita  di  peplo.  -  G.  Gatti.  Notizie  di  recenti  tro- 
vamenti  di  antichità  in  Roma  e  nel  suburbio.  -  L.  Mariani,  Scul- 
ture provenienti  dalla  galleria  sotto  il  Quirinale.  -  L.  Cantarelli, 
La  serie  dei  curatores  aquarum. 

Bullettino  dell'  Istituto  di  diritto  romano.  Anno  X  (1897), 
fase.  I-Vl.  —  C.  LoNGO,  Vocabolario  delle  costitu/.ioni  latine  di  Giu- 
stiniano. —  Anno  XI  (1898),  fase.  I.  Max  Conrat,  La  somma  delle 
Novelle  de  (f  ordine  ecclesiastico  ».  -  Io.,  Somme  latine  inedite  di  due 
Novelle  di  Giustiniano.  -  V.  Scialoja,  Sulla  garanzia  patrimoniale 
richiesta  ai  senatori  romani  durante  la  repubblica.  -  V.  Scialoja,  re- 
censione delle  CEuvres  eomplètes  de  Bartolomeo  Borghese,  to.  X.  — 
Fase.  IL  S.  Solazzi,  recensione  dell'opera  di  N.  Herzen  :  Origine  de 
l'hypothèque  romaine.  —  Fase.  III.  S.  Solazzi,  L'  iscrizione  arcaica 
del  Foro  rom.ino.  —  Fase.  VI.  E.  Costa,  Il  concubinato  romano.  - 
C.  Longo,  La  categoria  delle  «  servitutes  »  nel  diritto  romano  clas- 


"Ve  riodici  545 


sico.  —  Anno  XII  (1899).  Adnotationes  codicum  domini  lustiniani, 
edente  F.  Patetta. 

Bullettino  Senese  di  storia  patria.  Anno  VII,  fase.  i''-2°.  — 
R.  Davidsohn,  Un  orafo  senese  ai  servizi  di  papa  Giovanni  XXII,  nel- 
l'anno  1320.  -  A.  Hessel,  Le  bolle  pontificio  anteriori  al  ii98per 
san  Leonardo  de  Lacu  Verano. 

Giornale  storico  della  letteratura  italiana.  Supplemento  n.  4, 
a.  1901.  —  L.  Bhrtana,  Il  teatro  tragico  italiano  del  sec.  xviii  prima 
dell'Alfieri.  —  Fase.  ii2"-ii3°.  V.  Gian,  recensione  dell'opera  di 
E.  Muntz:  Le  musée  des  portraits  de  Paul  Jove. 

Historisches  Jahrbuch.  Anno  XXII  (1901),  fase.  2°-i°.  — 
H.  ScHRòRS,  Fine  vermeintliehe  Konzilsrede  des  Papstes  Hadrian  II 
(Un  supposto  discorso  conciliare  di  papa  Adriano  (II)  {fine).  -  B.  Sepp, 
Zar  Ghronologie  des  ersten  vier  frànkischen  Synode  des  8.  Jalirhun. 
derts  (Per  la  cronologia  delle  prime  4  sinodi  franche  del  sec.  vm).  - 
J.  V.  Pflugk-Harttuxg,  Die  Bezeichnung  Ludwigs  des  Bayern  in 
der  Kanzlei  des  Papstes  Johann  XXII  (Il  titolo  di  Lodovico  di  Ba- 
viera nella  cancelleria  di  Giovanni  XXII). 

Journal  (American)  of  Archaeology.  Voi.  V(i9oi),  fase.  1°.  — 
A.  Spaldikg  Jenkins.  The  «  Trajan  reliefs  »  in  the  Roman  Forum 
(I  bassorilievi  di  Traiano  nel  Foro  romano).  -  Fase.  2°.  H.  Crosby 
BuTLER,  The  Roman  Aqueduets  as  Monuments  of  Architecture  (Gli 
acquedotti  romani  come  monumenti  di  architettura).  —  Supplemento 
al  voi.  V.  Sixth  Annual  report  of  the  managing  Conimittee  of  the 
American  School  of  classieal  studies  in  Rome  (Sesta  relazione  annuale 
del  Comitato  dirigente  per  la  Scuola  americana  di  studi  classici  in 
Roma\ 

Mélanges  d'archeologie  et  d'histoire.  Anno  XXI,  fase.  i°- 
5°.  —  J.  LucHATRE,  Le  statut  des  neuf  gouverneurs  et  défenseurs  de 
la  commune  de  Sienne  (1420).  —  A.  Merlin,  A  propos  de  l'exten- 
sion  du  Pomerium  par  Vespasien.  -  R.  Poupardin,  Etude  sur  la  di- 
plomatique  des  princes  lombards  de  Bénévent,  de  Capoue  et  de  Sa- 
lerne.  -  A.  Lapótre,  Le  «  Souper  »  de  Jean  Diacre.  -  R.  Poupardin, 
Note  sur  la  chronologie  du  pontificat  de  Jean  XVII.  -  F.  Chasandox, 
L'état  politique  de  l'Italie  meridionale  .\  l'arrivée  des  Normands.  - 
T.  AsHBY  FiLS,  Un  panorama  de  Rome  par  A.  Van  den  Wynguerde.  - 
J.  Gay,  L'Etat  pontificai,  ies  Byzantins  et  les  Lombards  sur  le  litoral 
Campanien  (Hadrien  I-Jean  Vili). 


54^  'Periodici 


Mitteilungen  aus  der  historischen  Litteratur.  Anno  XXK 
(1902),  tnsc.  r-'.  —  ].OEWSios,  recensione  dell'opera  di  U.  Balzani: 
Le  cronache  italiane  nel  medioevo.  -  W.  Alimann,  recensione  del- 
l'opera diNiEMEiER  Alfred:  Untersuchungen  ùber  die  Reziehungen 
Albrechts  I  zu  Bonifaz  Vili  (Ricerche  sulle  relazioni  tra  Alberto  I  e 
Bonifacio  Vili).  —  Fase  2°.  H.  Hahn,  recensione  dell'opera  di 
F.  Dahn  :  Die  Kònige  der  Germanen,  Band  Vili.  Die  Franken  unter 
den  Karolingen  (I  re  dei  Germani,  voi.  Vili.  I  Franchi  sotto  i  Ca- 
rolingi). -  H.  Hahn,  recensione  dell'opera  di  W.  Guwdlach:  Die 
Entstehung  des  Kirchenstaates  und  der  curiale  Begriff  «  Respublica 
Romanorum  »  (L'origine  dello  Stato  della  Chiesa  e  il  significato 
curiale  della  «  Respublica  Romanorum  »).  -  G.  Woi.f,  recensione 
dell'opera  di  Th.  v.  Sickel  :  Ròmische  Berichte  I,  II,  III.  -  F.  Ilwof, 
recensione  dell'opera  di  S  Bischoffshausen  :  Papst  Alexander  VIII 
und  der  Wiener  Hof  (^1689-1691)  (Papa  Alessandro  Vili  e  la  corte 
di  Vienna,  1689-1691).  —  Fase.  3°.  Loevinson,  recensione  dell'opera 
di  P.  ViLLARi:  Le  invasioni  barbariche  in  Italia.  —  Fase.  4°.  Loe- 
viNSON,  recensione  dell'opera  di  P.  Orsi:  L'Italia  moderna,  storia 
degli  ultimi  150  anni,  fino  all'assunzione  al  trono  di  Vittorio  Ema- 
nuele  III. 

Neues  Archiv  der  Gesellschaft  fiir  altere  deutsche  Ge- 
schichtskunde.  Anno  1901,  XXVII,  fase.  i".  —  M.  Perlbach,  Zu 
den  àltesten  Lebensbeschreibungen  des  heiligen  Adalbert  (Sulle  più 
antiche  vite  di  sant'Adalberto)  [una  vita  venne  scritta  circa  il  1000 
da  Gio.  Canaparius  abbate  del  monastero  romano  di  S.  Alessio].  - 
P.  ScHEFFER-BoiCHORST,  Urkunden  und  Forschungen  zu  den  Rege- 
sten  der  staufischen  Periode.  Zweite  Folge  (pubblica  un  diploma  di 
Federico  II  del  1199  maggio  15  per  S.  Maria  Nuova  di  Roma). 

Nuovo  Archivio  Veneto.  Nuova  serie,  anno  I,  to.  I,  par.  IL  — 
Medin,  recensione  dell'opera  di  A  Venturi:  Storia  dell'arte  italiana. 
Voi  I.  Dai  primordi  dell'arte  cristiana  al  tempo  di  Giustiniano.  - 
Della  Santa,  recensione  dell'opera  di  Valensise:  Il  vescovo  di  Ni- 
castro  poi  papa  Innocenzo  IX  e  la  Lega  contro  il  Turco.  —  To.  II, 
par.  I.  E.  Piva,  Origine  e  conclusione  della  pace  e  dell'alleanza  fra 
i  Veneziani  e  Sisto  IV  (1479-1480).  -  G.  Monticolo,  recensione  del- 
l'opera di  PoMETTi:  Studi  sul  pontificato  di  Clemente  XI.-  C.  Ci- 
polla, Pubblicazioni  sulla  storia  medioevale  italiana  (a.  1898),  n.  VIII, 
Roma  e  il  Lazio. 

Review  (The  American  historical).  Anno  1902,  voi.  VII,  fa- 
scicolo 2°  —  S.  Platner,  The  credibility  of  early  Roman  history 


Periodici  547 


(La  credibilità  della  storia  romana  primitiva  ).  -  G.  W.  Botsforu, 
recensione  del  lavoro  del  Greenidge:  La  vita  pubblica  dei  Romani. 

Revue  historique.  Anno  XXVI  (1901),  voi.  LXXV,  fase.  1°. — 
P.  Sabatier,  De  l'authenticité  de  la  legende  de  Saint  Francois  dite 
des  Trois  Compagnons.  -  Saì.viìmini,  recensione  dell'opera  di  Del 
Lungo:  Da  Bonifacio  Vili  ad  Arrigo  VII. -Jullian,  rer^Hi/o/ig  del- 
l'opera di  Holmes:  Cacsar's  Conquest  of  Gaul.  -  Leroux,  j ^«Hi/oHe 
dell'opera  di  Pflugk-Harttung:  Der  Johanniter- un J  dcr  Deutsche 
Orden  im  Kampfe  Ludwigs  des  Bayern  mit  der  Curie.  —  Voi.  LXXVI, 
fase.  2°.  G.  Weill,  Philippe  Buonarroti  (1761-1857).  -  Lecrivain, 
recensioni  dell'opera  di  Burger  :  Der  Kampf  zwischen  Rom  und  Sam- 
nium,  e  dell'opera  di  Herzen  :  Origine  de  l'hypothéque  romaine. — 
Voi.  LXXVII,  fase.  2°.  T.  De  Navemne,  Pier  Luigi  Farnese.  -  Gui- 
RAUD,  recensione  dell'opera  di  Kirsch:  Die  Rùckkehr  der  Pàpste 
Urb.  V  u.  Greg.  XI  nach  Rom. 

Revue  d'histoire  ecclésiastique.  Anno  II,  fase.  5°.  —  Kauf- 
^.w-Hìi,  recensione  dell'opera  di  Strzygowski:  Orient  oderRom.  Bei- 
trage  zur  Geschichte  der  spàtantiken  und  frùhchristlichen  Kunst.  - 
De  Ridder,  recensione  dell'opera  di  BoLTON  King:  Histoire  de  l'unite 
italienne.  —  Fase.  4"^,  C.  Callewaert,  Las  premiers  ehrétiens  fu- 
rent-ils  persécutés  par  édits  généraux  ou  par  mesures  de  police?  - 
Alberdinck-Thij.m,  recensione  dell'opera  di  Molitor:  Die  Nach- 
Tridentinische  Choral-Reform  zu  Rom.  1  B,  Die  Choral-Reform 
unter  Gregor  XIII.  -  Kempeneer,  recensione  dell'opera  di  Im.mich: 
Papst  Innoeenz  XI.  Beitràge  zur  Geschichte  seiner  Politik  und  zur 
Charakteristik  seiner  Persònlichkeit. 

Revue  d'histoire  des  religions.  Anno  XXI,  fase.  5°.  —  Tou- 
TAIN,  recensione  dell'opera  di  Fowler:  The  roman  festivals  of  the 
period  of  the  Republic.  -  Reville,  recensione  dell'  opera  di  Wunsch  ; 
Sethianiiche  Verfluchungstafeln  aus  Rom.  —  Anno  XXII,  fase.  2°.  Re- 
ville, recensione  dell'opera  di  Sale.mbier:  Le  grand  schisme  d'Oc- 
cident. 

Revue  des  questions  historiques.  Anno  XXXVI  (1901),  ta- 
scieolo  139°.  —  Feret,  Le  Concordat  de  18 16.  Ambassade  à  Rome 
de  Cortois  de  Pressigny  et  du  comte  de  Blaeas. 

Rivista  italiana  di  numismatica  e  scienze  affini.  Anno  XIV, 
fase.  2".  —  F.  Gnecchi,  Appunti  di  numismatica  romana.  -  E.  M., 


54^  'Periodici 


recensioni  dell'opera  di  Flamarc:  Moules  de  nionnnies  romnines,  e 
dell'opera  di  Pensisi  di  Floristella:  I  papi  e  le  loro  monete.  — 
Fase.  5".  F.  GsT-CCHi,  Appunti  di  numismatica  romana. 

Rivista  di  storia  antica.  \  S.  anno  VI,  fase.  i". —  E.  Breccia, 
recensione  dello  scritto  di  E.  De  Ruggero:  Il  consolato  e  i  poteri 
pubblici  in  Roma. 

Rivista  storica  italiana.  Anno  XVIII,  fase.  5*-4''.  —  Bo- 
nino, recensione  dell'opera  di  Allain:  Pline  le  jeune  avoeat.  -  Ma- 
riani, recensione  dell'opera  di  Marucchi:  Ivlémcnts  d'archeologie  chré- 
tienne.  -  Rinaudo,  recensione  dell'opera  di  Dili.  :  Roman  Society  in 
the  last  Century.  -  Schiapauelli,  «aw/oz/i;  dell'opera  di  Tallone: 
Le  bolle  pontificie  degli  archivi  piemontesi.  -  Battistella,  recensione 
dell'opera  di  Pansa  :  Documenti  per  la  storia  degli  eretici  nelle  Mar- 
che. -  Roberti,  recensione  dell'opera  di  Bolton  King:  Histoire  de 
l'unite  italienne.  —  Fase  5°.  Spezi,  recensione  dell'opera  di  Cle.menti: 
Il  carnevale  romano.  -  Mariani,  recensione  dell'opera  di  Fowler: 
The  roman  festivals  of  the  perìod  of  the  Republic.  -  Galli,  recensione 
dell'opera  di  Cortellini:  Caligola.  -  Segre,  recensione  delle  opere  di 
Kehr:  Papsturkunden  in  Rom,  in  Salerno,  La  Cava,  Campanien,Turin 
Piemont.  Due  documenti  pontifici  del  sec.  xi.  -  Cipolla,  recensione 
dell'opera  di  Weber  :  Kampf  zwischen  Innocenz  IV  u.  Friedrich  II.  - 
Schiaparelli,  recensioni  dell'opera  di  Gay:  Les  registres  de  Nico- 
las III,  e  dell'opera  di  Daumet:  Les  registres  de  Benoit  XII.  -  Savio, 
recensione  dell'opera  di  SoRBELLi:  Ferrer.  De  moderno  Ecclesiae  schi- 
smate.  -  Battistella,  recensione  dell'opera  di  Gadaleta:  Paolo  V 
e  r  interdetto  di  Venezia.  -  Roberti,  recensione  dell'opera  di  Corri- 
dore :  Per  una  missione  segreta  a  Pio  VII.  -  Lombroso,  recensione 
dell'opera  di  Corridore:  Politica  della  S.  Sede  rispetto  al  Blocco  con- 
tinentale. —  Fase.  6".  Mariani,  recensione  dell'opera  di  Halgwitz:  Der 
Palatin.  -  Sangiorgio,  recensione  dell'opera  di  De  Angelis:  Forme 
primitive  della  proprietà  fondiaria  in  Roma.  -  Mariani,  recensione 
dell'opera  di  Grisar:  Geschichte  Roms  u.  der  Piipstc  im  Mitteialter.  - 
Capasso,  recensione  dell'opera  di  Coggiola:  I  Farnesi  e  il  conclave  di 
Paolo  IV. 

Roniische  Quartalschrift.  Anno  1901,  XV,  fase.  3".  —  E.  Wu- 
schì.r-Bec(,hi,  Der  Crucifixus  in  der  «tunica  manicata»  (Il  crocifisso 
con  la  «  tunica  manicata  »).  -  d.  W.,  Die  Daten  ijber  den  heil.  .'Xpostel 
Paulus  im  Martyrologium  Hieronymianum  (Le  date  su  san  Paolo 
apostolo  nel  martirologio  Geronimiano).  -  d.  W.  Aus  den  Katakom- 


'Periodici  549 


ben  in  Jahre  1112  (Delle  catacombe  nell' a.  1112). -A.  Baumstark, 
Die  Translation  der  Leiber  Petri  und  Pauli  bei  Michael  dem  Syrer 
(La  traslazione  dei  corpi  dei  santi  Pietro  e  Paolo  secondo  Michele 
Siriaco).  -A.  Baumstark,  recensione  dell'opera  di  H.  Lisco:  Roma 
Peregrina.  Ein  Uebeblick  ùber  die  Entwickelung  des  Christentums  in 
den  ersten  Jahrhunderten  (Roma  Peregrina.  Uno  sguardo  sullo  svi- 
luppo del  cristianesimo  nei  primi  secoli)  -  J.  P.  Kirsch,  Ròmische 
Conferenzen  fiir  christliche  Archàologie  (Confer.  romane  di  arch. 
cristiana);  Ausgrabungen  und  Funde.  Rom.  (Scavi  e  ritrovamenti. 
Roma).  -  E.MiL  Gohller,  Zur  Geschichte  der  papstlichen  Finanz- 
verwaltung  unter  Johann  XXII  (Per  la  storia  della  finanza  pontificia 
sotto  Giovanni  XXII).  -  L.  M.  Mathaus-Voltolini,  Die  Beteili- 
gung  des  Papstes  Clemeiis  Vili  an  der  Bekampfung  der  Tiirken  in 
den  Jahren  1592- 1595  (La  partecipazione  di  Clemente  Vili  nella 
]otta  contro  i  Turchi  negli  anni  1 592- 1 595).  —  Fase.  4°.  J.  P.  Kirsch, 
Die  altchristlichen  Kirchen  S.  Maria  Antiqua,  S.  Caecilia  und  S.  Saba 
in  Rom  (Le  antiche  chiese  cristiane  S.  Maria  Antiqua,  S.  Cecilia  e 
S.  Saba  in  Roma);  Ausgrabungen  und  Funde.  Rom  (Scavi  e  ritro- 
vamenti. Roma).  -  Stephan  Ehses,  Kirchliche  Reformarbeiten  unter 
Papst  Paul  III  vor  dem  Trienter  Konzil.  Il  (I  lavori  di  riforma  ec- 
clesiastica sotto  Paolo  III  prima  del  concilio  di  Trento,  II).  -  L.  F- 
Mathaus-Voltolini,  Die  Beteiligung  des  Papstes  Clemens  Vili  an 
der  Bekampfung  der  Tùrken  in  den  Jahren  1 592-1 595.  II.  -  E.  Goel- 
LER,   Aus  der  Camera  apostolica  (Della  Camera  apostolica). 

Stimmen  aus  Maria  Laach.  Anno  1901,  fase.  5".  —  Kneller, 
recensione  dell'opera  di  H.  Grisar:  Geschichte  Roms  und  der  Piipste 
ini  Mittelalter.  I  (Storia  di  Roma  e  dei  papi  nel  medioevo.  I)  —  Fa- 
scicolo 6".  J.  HiLGERS,  Die  Vaticana  unter  Nikolaus  V.  Neue  Biicher- 
schàtze  (La  Vaticana  sotto  Nicolò  V.  Nuovi  tesori  di  libri).  —  Fa- 
scicolo 8".  J.  HiLGERS,  Ausstattung  und  Einrichtung  der  Bibliothek 
Nicolaus"  V  (Dotazione  e  disposizione  della  biblioteca  di  Nicolò  V). 

Studi  e  documeuti  di  storia  e  di  diritto.  Anno  XXII,  fasci- 
coli i°-2''.  -  P.  Tacchi-Venturi,  Vittoria  Colonna,  fautrice  della 
riforma  cattolica,  secondo  alcune  sue  lettere.  -  A.  Pellegrini,  Re- 
lazioni inedite  di  ambasciatori  lucchesi  alla  corte  di  Roma  (se- 
coli xvi-xvii). 

Studien  und  Mitteilungen  aus  dem  Benedictiner-  und  Ci- 
stercienser-  Orden.  Anno  190I:  XXII,  fase.  i"-3''. —  Bruno  Al- 
bers,  Aus  Vaticanischen  Archiven.  Zur  Reformgeschichte  des  Bene- 


SSO  "'Periodici 


dictiner-Ordcns  ini  xvi  Jahrli.  (Dall' arci. ivio  Vaticano.  Sulla  storia 
della  riforma  dell'Ordine  Benedettino  nel  secolo  xvi). 

Theologische  Quartalschrift.  Anno  190 1,  LXXXIII,  fase.  2°. — 
Flnk.  Die  Benifung  der  alli^cmcinen  Svnoden  des  Altertums  (La 
convocazione  delle  antiche  sinodi  generali).  -  Fase.  5".  Fun'k,  recen- 
sioue  dell'opera  di  H.  Grisar:  Geschichte  Roms  und  Papste  im  Mit- 
telalter.  I  (Storia  di  Roma  e  del  papi  nel  medioevo.  I).  -  Kirsch, 
Papst  Benedict  XIV  und  scine  BuUen  bezùglich  der  chinesiscben  und 
malabarische  Gebrauche  (Papa  Benedetto  XIV  e  le  sue  bolle  relative 
a  costumanze  cinesi  e  malabariche).  —  Fase.  4°.  A.  Kocn,  recen- 
sione del  lavoro  di  G.  RtETsCHEL:  Lehrbuch  der  Liturgik  (Manuale 
della  liturgia).  -  S.Kg.muller,  recensione  dell'opera  di  B.  Wolf  Edlen 
voN  Glauveli. :  Die  Kanonessammlung  des  Cod.  Vatican.  lat.  1348 
(La  raccolta  di  canoni  del  cod.  Vat.  lat  134S).  -  Fuxk,  recensione 
dell'opera  di  A.  Michiels:  Étude  sur  la  fondation  de  l'Église,  l'oeuvre 
des  apòtres  et  le  dcveloppement  de  l'épiscopat  aux  deux  premiers 
siècies. 

Transactions  of  the  Royal  Historical  Society.  Voi.  XV, 
1901.  —  O.  Jensen,  The  e  Denarius  Sancti  Petri  »  in  England  (Il 
«  Denarius  Sancti  Petri  <>  in  Inghilterra). 

Zeitschrift  fiir  Katholische  Theologie.  Anno  1901,  fasci- 
colo 2'^.  —  V..  Gl'tberlet,  ycceusioiìc  dell'opera  di  A.  Weber:  Die 
ròmischen  Katakomben  (Le  catacombe  romane).  -  A.  Kròss,  recen- 
sione dell'opera  di  H.  Grisar:  Geschichte  Roms  und  der  Papste  im 
Mittelalter.  I  (Storia  di  Roma  e  dei  papi  nel  medioevo.  I).  -  N.  Paulus, 
Bonifacius  IX  und  der  Ablass  von  Schuld  und  Strafe  (Bonifacio  IX 
e  r  e  indulgentia  a  pena  et  a  culpa  j>).  -  N.  Paulus,  Aufhebung  der 
Ablasse  im  Jubeljahre  (La  sospensione  delle  indulgenze  nell'anno 
di  giubileo).  —  Fase.  5°.  N.  Nilles,  Alexander  VI  und  der  Prii- 
monstratenserorden  (.Alessandro  VI  e  l'Ordine  Premonstr.^.tense). — 
Fase  4°.  E.  MiCHAEr,,  Gregor  VII,  «der  Vater  des  Bibelverbots  »  ? 
(Gregorio  VII,  «il  padre  del  divieto  di  usare  la  Bibbia»?). 

Zeitschrift  fiir  Kirchengeschichte.  Anno  1901,  XXII,  fasci- 
colo 2".  —  C.  Erhes,  Petrus  nieht  in  Roni,  sondern  in  Jerusalem 
gcstorben.  II  (Pietro  mori  a  Gerusalemme  e  non  in  Roma.  II).  Coii- 
tinvaiioue  e  fine. —  Fase.  3".  Gerhard  Ficker,  Bemerkungen  zu  einer 
Inschrift  des  Papstes  Damasus  (Osservazioni  su  una  iscrizione  di  papa 
Damaso).  —  Fase.  4°.  ]ulius  v.  Pflugk-Harttung,  Die  Wahl  des 


'Periodici  5  S  ^ 

letzten  kaiserlichen  Gegenpapstes  (L'elezione  dell' ultimo  antipapa  im- 
periale, Nicolò  V,  1328). 

Zeitschrift  fur  wissenschaftliche  Theologie.  Anno  1900, 
XLIII,  fase.  1°.  —  Franz.  Gorres,  recensione  dell'opera  di  Felix 
Dahn:  Urgeschichte  der  germanischen  und  romanischen  Vòlker  (Ori- 
gine dei  popoli  germanici  e  romani).  —  Fase.  3°.  Franz.  Gorres, 
recensione  dell'opera  di  Felix  Dahn  :  Die  Kònige  der  Germanen. 
Bd.  Vili.  Die  Franken  unter  den  Karolingern  (I  re  dei  Germani. 
Voi.  Vili.  I  Franchi  sotto  i  Carolingi).  —  Fase.  4".  Frakz  Gorres, 
Papst  Gregor  der  Grosse  und  Kaiser  Phokas  (Il  pontefice  Gregorio 
Magno  e  l' imperatore  Foca). 


INDICE  GENERALE 

delle  materie  contenute  nel  volume  XXIV 


M.  ROSI.     Nuovi  documenti  relativi  alla  liberazione  dv-i  prin- 
cipali prigionieri  turchi  presi  a  Lepanto     .     .     .    pag.  5 

A.  BUCHELLIUS.     Iter  Italicum  {Conlinua) 49 

C.  CARASSAI.     La  politica  religiosa  di  Costantino  il  Grande 

e  la  proprietà  della  Chiesa 95 

P.  FEDELE.     Tabularium   S.  Mariae   Novae    ab  an.  982  ad 

an.   1200  {Contimiaiioìie) i)9 

P.  HGIDI.     Le  croniche  di  Viterbo    scritte  da  frate  France- 
sco d'Andrea  (Continua) I97 

Id.  (Continuazione  e  fine) -99 

G.  S.  RAMUNDO.     Quando  visse   Commodiano     ....       373 

L.  SCHIAPARELLL     Le  carte   antiche    dell'archivio  Capi- 
tolare di  S.  Pietro  in  Vaticano 593 

G.  ARIAS.     I   banchieri  toscani  e    la    S.  Sede   sotto    Bene- 
detto XI 497 

Varietà  : 

P.  KEHR.     Diploma  purpureo  di  re   Roggero   II  per  la 

Casa  Pierleoni 253 

P.  TACCHI-VENTURI.     Un   ruolo   inedito  dell'  archi- 
ginnasio romano  sotto  Paolo  III 260 

P.  ECIDI.     Il  diario  di  Giov.  Battista  Belluzzi  da  San  Ma- 
rino (i)35-i)4i)       50S 

P.    KEHR.     Nota  al  diploma  purpureo  di  re  Roggero  lì.       511 


554  Indice  generale  del  rolunie  XXIV 

Atti  liella  Società: 

Seduta  del  21   marzo   1901 267 

Seduta  del  26  aprile  1901 271 

Bibliografia  : 

R.  Poupardia.  '  EtuJe  sur  la  Jiplomatique  des  princes  lombards 
de  Bénèvent,  de  Capoue  et  de  Salerne  »  in  «  Mélanges  d'archeologie  et 
d'histoire  »,  toni.  XXI.  —  Rome,  I90i,pp.  I  i7-r8o  (V.  FtoiRici)  ....  275 

Prof.  Francesco  Ruffini.  ■•  La  libertà  religiosa  »,  voi.  I,  «  Storia 
dell'idea»    — Torino,   1901,  pp.  xi-542.  in-i6(M.   Rosi) 201 

V.  La  Mantia.  «  Statuti  di  Olevano  Romano  del  i  j  genn.iio  1364  ». 
—  Roma.   Bocca,  1900  (O.  T.) 204 

Henry  Charles  Lea.  "  The  Moriscos  of  Spain;  Their  conver- 
Sion  anJ  expulsion  ».  —  Philadel6a,  1901,  pp.  Mi-463,  in-16  (M.  Rosi)  .         2o6 

P.  Brand.  «  Innocenzo  VII  e  il  delitto  di  Ludovico  Migliorati  » 
in  «Studi  e  documenti  di  storia  e  diritto»,  XXI,  173-213,  a.  1900 
(Pietro  Eoi  ni) 5  '  3 

E.  Rodocanactai.  "  Les  instltutions  -ommunales  de  Rome  sous 
la  Papautt  ».  —  Paris,  Alphonse  Picard  et  fils,   1901,  pp.  414  (P.   F.)         5^^ 

Gaetano  Ne^i.  «  L' imperatore  Giuliano  l'Apostata,  studio  sto- 
rico... —  .Milano,   U.  Hoepli,   1901   (V.   F.; 5^^ 

E.  Steinmann.  «  Antonio  da  Viterbo.  Ein  Beitrag  zur  Geschichle 
der  umbrischen  M.ilerschule  um  die  Wende  des  xv  Jahrhunderts  ».  — 
Mùnchen,  Bruckmann,    1901,  pp     59,  in-4  (P.  Ecidi) 5-4 

G.  T.  Rivoira.  "  Le  origini  dell'  architettura  lombarda  e  delle 
sue  principali  derivazioni  nei  paesi  d'oltr'alpe  » .  —  Roma,  Loescher,  1901  . 

(G.    GlOVANNONl) 5^" 

H.  Weber.  «  Dcr  Kampf  zwischen  Papst  Iniiocenz  IV  uiid  Kaiser 
Friedricli  li  bis  zur  flucht  des  Papstes  nach  Lyon.  Historische  Studien 
veròffentlicht  von  E.  Ebering,  Heft  XX».  — '  Berlin,  F.bering,  1900, 
pp.  93,  in-8(P.  Ecidi) 55- 

Notizie 289 

Id 5.^5 

Periodici  (Articoli  e  documenti  relativi  alla  storia  di  Roma)  295 

Id.  543 


rì)}7 


DG 

bocie&à  romana  di  storia 

^02 

patria 

S6 

Archivio 

v.2it 

PLEASE  DO  NOT  REMOVE 
CARDS  OR  SLIPS  FROM  THIS  POCKET 


UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY