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Full text of "Archivio glottologico italiano"

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HANDBOUND 
AT  THE 


UNUERSITY  OF 
TORONTO  PRESS 


ARCHIVIO 

GLOTTOLOGICO  ITALIANO. 


DIRETTO 


DA 


Gr.  I.  ASCOLiI. 


VOLUME  NONO. 


ROMA,  TORINO,  FIRENZE, 
ERMANNO    LO  ESCHER. 


ISSO. 


Riservato  ogni  clirltto  eli  proprietà 
e  eli  traduzione. 


re 
R7 


MILANO,  TIP.  BERNAEDONI  DI  C.  REBESCHINI  E  C. 


SOMMARIO. 


La  Passione  e  altre  antiche  scritture  lombarde,  edite  da  C.  Sal- 

VIONI Pag.       1 

D'OvmiO,  Ricerche  sui  pronomi  personali  e  possessivi  neolatini  »  23 

Ascoli,  retia,  retiare,  retiaculum »  102 

Ulrich,   Annotazioni  alla  Susanna,   testo  ladino,  varietà  di 

Bravugn »  107 

IVB,  L'antico  dialetto  di  Veglia »  US 

Salvioni,  Saggi  intorno  ai  dialetti  di  alcune  vallate  all'estremità 

settentrionale  del  Lago  Maggiore »  188 

GUAENERIO,  li  dialetto  catalano  d'Alghero »  261 

Bianchi,  La  declinazione  nella  toponimia  toscana »  365 

Morosi,  Emendazioni  e  complementi  alle  sue  'Osservazioni  e  ag- 
giunte', concernenti  la  'Fonetica  dei  dialetti  gallo-italici 

di  Sicilia  di  6.  de  Gregorio' »  437 

Salvioni,  Indici  del  volume »  441 


LA  PASSIONE 

E    ALTRE    SCRITTUnE    JLOMBA.n,DE, 

che  si  coutengono  in  un  codice  della  Bibliot.  comun.  di  Como; 


EDITE    DA 


C.    SALVIONI. 


Avvertenza  dell'  editore. 

Un  codice  membranaceo  della  Biblioteca  comunale  di  Como  contiene: 
a)  una  meditazione  sulla  Passione  di  N.  S.;  b)  una  esposizione  del  Decalogo; 
e)  una  Canzone  d'argomento  sacro,  in  nove  quartine.  Si  compone  il  codice 
di  34  fogli  scritti,  più  alcuni  in  bianco;  il  formato  s'accosta  a  quello  di  un 
moderno  dodicesimo;  il  carattere  è  il  romano  tondo,  e  la  lezione  non  delle 
più  scorrette.  Tutto  mostra  che  non  andassero  errati  il  Mocchetti,  il  Monti 
e  il  competentissimo  bibliotecario  della  Comense,  il  dott.  Francesco  Fossati, 
facendo  risalire  il  nostro  codice  al  XV  secolo.  —  La  Passione  va  per  46  fo- 
sti, adorni  di  trentuna  vignette.  La  facciata  anteriore  del  46»  è  tutta  occu- 
pata dalla  vignetta  di  chiusa;  la  posteriore  è  bianca.  L'esposizione  del  Decalogo 
prende  sette  fogli  intieri,  più  la  facciata  anteriore  e  parte  della  posteriore 
del  foglio  successivo.  Non  v'ha  nessuna  indicazione  di  tempo  o  di  luogo,  o 
d'autore  o  copista.  Solo  nella  Passione  [81,  90]  vediamo  alludere  a  sé  stessi 
e  chi  ha  ordinato  e  chi  ha  composto  l'operetta;  ma  il  fanno  per  modo  che 
non  se  ne  possa  cavare  alcun  criterio  circa  l'esser  loro.  Qualche  divergenza 
idiomatica,  tra  la  Pass,  e  il  Dee.,  permetterà  bensì  la  supposizione  che  si 
tratti  di  due  autori  diversi.  —  Nei  due  terzi  che  rimanevano  della  facciata 
in  cui  finisce  il  Decalogo,  e  nelle  due  facciate  susseguenti,  è  contenuta  la 
rozza  Canzone  ;  e  il  carattere  e  la  lingua  ne  dicono  con  tutta  evidenza  che 
sia  cosa  aggiunta  in  età  a  noi  più  vicina. 

Nel  1836,  Rosalinda  Mocchetti,  nata  Cioffio,  procurò,  con  intendimenti 
non  altro  che  religiosi,  un  ristretto  di  versione  italiana  della  Passione,  con 
l'aggiunta  di  un'  appendice,  nella  quale  è  detto  del  codice,  e  sono  riprodotti 
dei  saggi  del  Decalogo  e  della  Canzone,  portati  però  a  forma  italiana*.  Della 


*  Sì  la  traduzione,  non  sempre  letterale  e  fedele,  e  sì  l'appendice,  son 
Archivio  glottol.  ital.,  IX.  1 


2  •  Salvioni, 

Passione  parla  più  tardi  anche  Pietro  Monti,  nel  suo  Vocabolario  a  pag.  xxxu- 
xxxiii,  e  ne  offre  una  mostra,  ih.  xli. 

Qui  inlaulo  si  riproducono,  con  esattezza  diplomatica*,  le  anzidette  tre 
scritture.  Le  annofnzioni  o  illnstraz4oni,  concernenti  il  loro  dialetto,  si  com- 
prenderanno poi,  con  le  debite  distinzioni,  tra  quelle  à-eW Antica  parafrasi 
lombarda  del  ^ Neminem  laedi  nisi  a  se  ipso'  (VII  1-120),  che  avrò  io  me- 
desimo l'onore  di  aramannire  ai  lettori  dell'Archivio.  Subentrerò  così  al  pro- 
fessore FoERSTER,  che  ne  è  stato  distolto  da  altre  sue  cure  e  mi  ha  voluto 
proporre  egli  medesimo  a  codesto  officio. 

G.  S. 


veramente  opera  del  marito  della  GiolBo,  Francesco  Mocchetti,  dalla  cui  li- 
breria il  ms.  è  poi  passato  nella  Comunale  di  Como.  Il  libricciuolo,  dedicato 
alle  monache  salesiane  di  Como,  presso  le  quali  la  Cioffio  era  stata  educata, 
è  divenuto  oggi  alquanto  raro,  tirato  come  fu  a  soli  100  esemplari  e  forse 
non  mandato  in  commercio.  S'intitola:  Meditazioni  sulla  Passione  di  JS.  S. 
Gesù  Cristo,  tolte  da  un  ms.  del  Mcccc,  in  pergamena,  e  dal  dialetto  co- 
masco recate  in  volgare  italiano. 

*  Si  sono  però  sciolte  le  ^  legature  ',  sempre  quando  sicuramente  si  poteva; 
e  così:  ede  e  de,  elnaueua  el  n  aueua,  chella  che-Ila  (che  la),  eo  e  o  (io 
ho);  ecc. 


Anlichi  testi  lombardi. 


[Tua  Passione.] 

[1]  Questa  e  una  meditation  de  In  passione  del  nostro  segnar  Jesu  Criste 
in  uulgare  segondo  le  sete  hore  del  di.  In  prima  a  matutin  se  de  di.  Anima 
ke  [2]  uore  uegni  a  perfition  se  reduga  al  confanon  zoe  ala  croxe  in  la 
quale  morite  lo  nostro  segnor  per  nu  miseri  pecaduri.  In  prima  di  andar 
con  lo  spirito  ala  cena  amara  e  dolorosa  a  cena  cum  Juda  traditore  a  date  ^ 
amaystramento  ke  tu  di  perdona  a  zascnna  persona.  Or  passa  lo  torrente 
Cedron  in  1  orto  consego  ala  oratione.  E  uedere  lo  to  segnore  sta  in  zenu- 
gion  suspirando  e  tremando  expectando  responsione.  L  angelo  donzello  a 
•corto  lo  consola  digando  che  el  e  de  uolenta  de  deo  padre  cliel  debia  portare  e 
sofrire  pena  e  tormento  per  li  miseri  peccadu.  Allora  considera  anima  sancta  ^^ 
spoxa  de  ybesu  criste  lo  angososo  sudore.  [3]  Possa  cbel  mondo  fo  mondo  no 
lo  ni  mai  sera  cossi  amaro  sudor  ke  luto  se  conuerti  in  sangue  ni  fo  may  oyuo 
dir  ni  trouao  scripto  ke  la  persona  sudando  lo  sudor  se  conuertisse  in  sangue 
seno  al  nostro  segnore.  Ma  zo  no  fo  altro  seno  [4]  ke  uedando  la  pena  e 
lo  dolore  e  la  derrexion  chel  deueua  portare  su  la  soa  bella  persona  ke  15 
lo  sudor  se  conuertisse  in  sangue.  0  anima  sancta  spoxa  de  lo  segnor  uà 
apresso  de  lo  to  segnor  e  domanda  sego  pianzando  e  suspirando.  0  creator 
meo  padre  me  allegreza  mia.  Quente  pagura  quente  stremimento  e  questo? 
que[n]te  sudore  doloroso  e  questo.  El  te  respondera  filia  mia  pìanze  comego 
insema  li  toy  peccai  che  per  ti  debio  sofri  la  più  obscrura  [obscura]  morte  la  20 
più  soza  la  più  dolorosa  morte  che  may  auesse  nessun  mal  fatore  ni  nesun 
malendrin.  E  se  tu  planzare  comego  insema  in  questo  orto  tu  te  porre  alegra 
comego  insema  in  paradixo.  Ueni  sponsa  christi  lacrymis  tuis  lana  faciem 
domini  porrige  [5]  sudarium.  Anima  sancta  lana  de  lagreme  lo  uixo  del  to 
6[e]gnor  .  suga  la  fagia  soa  con  un  pano  e  di  con  gran  fiduxia.  0  padre  25 
meo  no  abi  pagura  che  uu  uenzeri  ben  questa  dura  batalia.  No  si  uu  ben 
che  lo  padre  porta  fadìga  e  pena  per  li  soi  filioli  in  questo  mondo.  E  uu 
segnor  ani  metudo  nu  peccaduri  in  questo  mundo  .  et  imperzo  no  uè  spa- 
uente  tosto  passara  questa  lesnada  tosto  passara  questa  tronada  no  si  uo 
ben  uegando  a  impij  la  scriptura  de  profetie.  Tuta  la  scriptura  dixe  ke  aui  30 
uogluo  nasse  de  la  uergene  maria  per  portar  pena  e  doUor  per  nu.  0  se- 
gnor  no  uè  faza  male  questo  tormento  pensando  lo  guadagno  che  uu  fé  per 
nu.  Aregordeue  segnor  ke  uu  si  digio  che  uu  [6]  si  uegnuo  a  cercha  quello 
ke  periua  che  uu  uè  compare  ala  dona  ke  aueua  pcrdu  la  dragma  soa.  La 
pegora  perdua  uu  la  si  uegua  [uegnua]  a  troua  .  e  mo  ke  uu  1  aui  quaxe  35 
frouada  uu   uè   stremi    uu   treme  de  pagura.    [7]   Ti    spoxa   pianzando   no 


4  Salvioni, 

dorme  coni  fé  li  apostoli  ni  1  alìandoiia  fin  cliel  sia  uiuo.  Tu  uedere  li 
apostoli  adormcntai  pcrzo  ke  podio  de  amor  erano  intiaraadi  ed  imperzo 
tngi  sen  t'ugiu  de  pagura.  Tu  uedere  ci-isto  uegia  e  con  tremor  saspira.  Or  no 
abandona  lo  to  segnor  se  tu  uo  esser  consego  crucificada  domanda  quen  gratia 

5  fu  uo  e  tuto  lo  aure  dal  to  segnor.  Or  uà  *  prega  deo  per  li  toy  morti  e 
per  li  toy  uiui  coni  te  piaxe.  Stando  con  lo  to  spoxo  e  sego  pianzando  te  dira 
dorme  un  poclio  filia  mia  sposa  mia  clie  no  me  uo  abandonare  in  questa 
grande  angustia.  Bormio  un  pocho  a  li  so  pey  el  te  domanda  con  la  uose 
tremando.  0  spo.xa  tu  dormi  cosi  forte  lo  tractore  [traitore]  iuda  no  [8]  dorme 

10  miga  .  ma  inanze  sa  niaza  de  lueteme  in  man  de  li  zudei  maluaxij  e  cani 
inigi.  Or  basta  no  dorme  più  ma  sta  in  oratione  a  zo  ke  tu  non  intre 
in  teraptation.  [9]  Parlando  criste  contego  insema  el  fu  uegnuo  una  grande 
compagn[i]a  de  malandrini  con  grande  uoxe  cridaudo  e  biastemando  con 
lanze  e  eoa  lanterne  e  altre  arme   asse  .  ma  ti  anima  e  sposa  di  al  to  se- 

15  gnor.  0  meser  me  bon  que  uà  cercando  questa  compagnia  elo  te  respon- 
dera  digando  tu  lo  saure  ben  tosto  incontanente.  E  cossi  digando  el  ariua 
iuda  spixor  de  cristo  e  ze  a  dire  paxe  al  so  maystro  con  saludo  doloroxo 
e  falzo  digando.  De  te  salue  maystro.  Oye  quello  respose.  Amigo  aqu  etu 
uenudo  a  far  da  questa   ora   cossi  tarde.    0   iuda  tu  pinsi  ke  no   sapia   zo 

20  ke  tu  uè  fazendo  el  so  ben.  In  questa  paxe  ke  tu  me  de  tu  me  traysi  in 
man  de  [10]  peccaduri  Qoe  dri  gudei.  0  sposa  sancta  attende  le  parole  .  el 
dixe  a  iuda  amigo  com  elio  amigo  cliel  ordena  la  soa  angossosa  morte  doncba 
eralo  inimigo  no  amigo.  0  segnore  amoroxo  inamorao  de  li  peccaduri  .  e 
che  lo  giama  amigo  che  tosto  robara  lo  limbo  .  unde  erano  li  soy  amixi  . 

25  e  lo  giama  amigo  pero  chel  mena  la  molta  de  la  nostra  saluatiune.  Adon- 
cha  anima  sancta  di.  0  iuda  traditore  tu  no  dixe  nero  ke  tu  no  uè  per  ben 
nesuno  ma  uu  pomo  ben  dir  .  che  tu  ey  ben  nostro  amigo  .  no  miga  de 
cristo  .  ma  nostro  si.  Che  tu  procuri  la  nostra  redemptione  no  sapiando  ti 
zo  ke  ti  fazi  .  donde  no  ten  samo  grao  nesun  a  ti.  Or  ascolta  cristo  par- 
so landò  a  questa  mala  compagnia  digando.  [11]  Segnuri  que  andeuu  zerchando 
da  questa  bora  con  tanto  remore  e  tanto  furore?  Respo[n]den  quilli  mal- 
uaxi  gudei.  Nu  uamo  cercando  un  ladro  un  gioton  uu  cristo  yhesu  nazare[u]o 
ke  se  fa  filio  de  deo  nu  gè  uoremo  dar  la  mara  pasqua.  Dixe  cristo  e  sonto 
quello  ke  uu  ande  zercando  .  e  in   contanente   cazeii  per  terra   de  grande 

35  tremor  e  pagura  .  dixe  anchora  meser  yhesu  cristo.  Segnuri  que  andeuu 
cercando  responden  yhesu  nazareno  .  dixe  cristo  .  e  u  o  za  digio  ke  sonto 
quello  que  ne  piaxe.  Allora  lo  ligano  per  le  mane  e  un  sogeto  gè  meteno 
in  la  soa  sancta   gola  .  e   desprexiadamente   lo    menen   uia   uerso  la   cita. 


1  Nel  ms.  si  leggerebbe  piuttosto  mi  o  ni/.  Ma  uè  l'una  né  l'altra  di  queste 
lezioni  conviene  al  contesto.  Confesso,  d'altronde,  che  il  supporre  un  errore 
del  copista  e  legger  uà,  la  è  cosa  alquanto  forzata. 


Antichi  testi  lombardi.  8 

Meser  san  petro  Io  uosse   un   podio  ayar  .  el  segnor  no  uosse  ma  gè  [12] 
comando  digando  gouerna  lo  gladio  to  .  ke  sem  uouesse  [uoresse]  defende 
senza  ti.  No  e  tu  ueduo  com   eli  cazen   porista  per  terra  no  cri  tu  ke  me 
padre  me  daraue   gente  per  defensione  ma  e  no  uolio  ke  uolio   mori  per 
saluar  la  liumana  generation.   Or  intende  la  proheza  de  san  pedro  e  de  li     5 
apostoli  .  euau  za  prometuo  de  no  abandonarlo  e  a[n]dar  sego  ala  morte  e 
im  preson  s  el  feua  bexogno  ma  sen  fuzin  com  prodomni  [?].  0  spoxa  fedele 
guarda  mo  se  tu  e  caxon  de  piauze  a  ueder  lo  lo  amor  cosi  abandonao  da 
li  soy  compagnon  e  fi  menao  con  tanto  derrexion  com  el  fosse  un  can  e  con 
tanfo  dexnor  fo  menao  denanze  a   auna.    Gorre   poxo  e  no  1  abandona  e  si    10 
oyre  *  ^  anna  domandalo  de  la  soa  do[13]ctrina  e  de  li  so  discipuli.  No  gè  uare 
respoude  sauia  mente  ke  quello  malandrino  e  sasin  gè  de  una  grande  mas- 
selada  digando.  Gioton   e  ladro   comò  respondi  tu  a  meser   lo   uesco.  Dixe 
criste  [14]  per  que  m  e  tu  dao  ke  digo  ke  sempre  o  predicao  in  manifesto 
e  no  may  in  occulto  .  la  zente  san    quello   ke  o  maystrao  domanda  loro  e    15 
tu  m  e  dao  senza  caxon  e  senza  rexon.  0  sponxa  dolce  guai'da  lo  to  spoxo 
com  el  sta  ligao  denanze  da  anna  in  mezo  de  tanta  mala  zente  ke  cridano 
ala  [alta]  uoxe  rao  e  tu  criste  in  onde  uoremo.  Nu  te  dararao  la  mara  pasqua  e 
ti  examinao  com  el  fosse  uno  robao  de  strada.  0  sapientìa  de  deo  padre  in 
chi  mane  e  tu  ligao.  0  sapientia  de  deo  padre   da  chi  fi  tu  examinao.  Con    20 
tanta  uergo[n]za  sleua  in  mezo  de  loro  e  no  parlaua  guardando  se  al  fosse 
che  per  lu  parlasse  .  no  era  nesun  che  la  cognosse.  Alora  li  zudei  lo  batano 
corno  uno  ladro  .  la  fazia   piaseure  [15]  e  gratiosa  fi  spuazada   e  dexorada 
de  omicha  spuda  e  dexnor.  Li  ogij  e  la  faza  infiada  le  forte  i)ugnade  quello 
uassello  de  la  diuinita  fi  cossi  martellao  e  no  dexeua  negota  ma  suspirando  lo-   25 
meutando  torzandesse  dexeua.  Circondado  son  da  li  dolori  de  la  morte  .  li  doluri 
da  1  inferno  m  an  circumdao.  0  deo  ascoso  per  què  no  fé  tu  aurir  la  terra  ke 
sosten  costoro  ke  t  a[n]  la  toa  bocha  bella  sanguanada.  Le  zenziue  e  li  dingij 
con  li  ogij  son  endegi  e  infiadi.  E  cosi  desprexiado  uergonzado  uituperado 
lo  menen  a  caxa  de  cayfax  digando.  Lena  suxo  yliesu  cristo  .  susu  .  el  te   30 
fa  bexogno  uegni  in  altra  parte  ke  tu  aure  la  mala  pascha.  Alora  spoxa  sancta 
leuate  e  di.  0  anna  e  te  prego  chel   [16]   te  piaza  de  lassa  andare  lo  meo 
spoxo  .  e  que  tal  fagio.  Fa  kel   no   moria  ke  se  tu  fé  kel  scampa  al  ta 
sana  ominca  infirraita  de   caxa  toa.   No  fo   may  medego  cotanto  perfeto  a 
sanar  ^ascuna  persona  .  uo  tu  kel  moyra  senz  remissione.  Lu  no  de  morire    35 
kel  no  a  fato  1  iraperque  .  mi   si   et  imperzo   uize  mi  [lu]  fa  mori  mi  che 
sonto  grande  peccaor  mi  sonto  degno  de  morte  cento  fiada.  linde  te  prego 


^  Va  da  questo  asterisco  a  quello  che  è  sul  principio  della  seguente  pa- 
gina, lo  squarcio  pubblicato  dal  Monti;  cfr.  p.  2. 


6  Salvioni, 

Ice  tu  lassi  scampar  lu  e  tor  mi  a  cruxificar  e  a  dexorarc  ke  no  [ne]  son  bene 
degno  .  e  lassa  scampare  lo  meo  spoxo  .  e  lo  meo  amor.  No  stan  per  le  toe 
parole  ma   lo  mcneno    con   grande   dexnor   dcna[n]ze   a  cayfax.   [17]   E  tu 
pianze  amaramente  uedando   lo   menare   per  quella  maynera  .  e  che  tu  no 
5    e  posuo  uiar  ne  scampar  lo  to  segnor.  Gorre  poso  e  ncdere  cayfax  *  confor- 
toso  e  ateo  de  la  presa  .  e  uà  incontra  la  soa  famelia.  di[18]gando  mo  i  no 
fagio  bene  .  ben  uegne  fangi.  E  pò  dixe  a  cristo  o  criste  tu  sere  pur  lo  male 
ariuado  .  che  te  darò  pur  la  mala   pascua.   E   unde   son  li  toy  apostoli  .  e 
onde  son  li  toi  miraculi.  Unde  son  li  toi  amixi.  Mo  e  tu  unde  e  uolio  .  ne 
10   te  partire  quando  tu  uorre.   Ueni   testimoni  falsi  e  cayfax  dixe.  E  te  scon- 
zuro  da  padre  [parte]  de  deo  omnipoteute  che  tu  me  dige  se  tu  e  criste  fi- 
liolo  de  deo  uiuo    e   benedegio.  Respose    criste    al  uescho  .  se  tei  digo  tu 
noi  credere  .  ni  me  lassare  scampare  perzo  che  tu  m  e  zurao  per  la  nome 
de  deo.  E  te  digo  ke  son  flliolo  de  deo  omuipotente  .  e  se  me  uedere  ue- 
15   nire  a  zudigare   li   uiui   e  li  morti  .  de   mi  fa  zo  che  tu  uo  .  e  sonto  deo 
ueraxe  .  uenudo  a  saluare  li  peccatori.  Oiando  lo  uesco  el  fende  le  ue[19]- 
stimente  digando  con  criore.  Blasfemauit .  i  uo  ouido  segnori  zo  kel  dixe  . 
que  uen  pare  .  tugi  clamano  alta  uoxe  el  e  degno  de  morte  dolorosa  .  se- 
gondo  la  leze  de  moyses.  lUora  se  leuano  in  contra  lu  gè  dan  per  la  boca 
20    quando  [quanto]   eli   pon  .  1  altro  per  li  ogij  .  altri  per  la  testa  .  altri  per 
le  spalle  .  zascaun  s  e  satio  de  darge  segondo  ke  1  aueueno   desidrao.  0  a- 
nima  sancta  quente  strepito  e  rumor  e  questo  che  tu  sinti  e  ui  che  fi  fagio 
su  la  persona  del  to  amor.  Qui  pò  tu  pianze  suspirare  con  lo  to  spoxo  .  fi 
metuo  in  la  prexone  in  fondo.   Uà  tosto  spoxa  e  fate  sera  dentro  .  e  sede 
25    a  prono  de  lu  consolando  e  digando.  0  padre  meo  .  o  segnor  meo  .  o  spe- 
ranza mia  que  e  tu  portao  [20]  per  mi.  0   belleza   senza   raesura  .  come  e 
tu  deturbata.  0   alegreza  deli  angeli  come  e  tu  abassada.  0  faza  più  bella 
kal  sole  corno  e  tu  spudazada.  Lì  ogij  più  belli  ka  zafiri  come  in-li  infiadi. 
0  spoxo  meo  tu  m  e  tropo  tosto  cambiao.  Tu  e  tanto  i[n]riado  che  poco  de 
30   men  che  no  ta  cognosco.   0  creator   meo    que  te  dibie  far  a  ti  che  tu  le  e 
tanto  e  fagio  e  portao  per  mi.  In  hora  matuUna  .  parla  criste  a  l  anima. 
Responde  criste.  0  spoxa  mia  dolze  compagnessa  mia  fin  che  nasci  e  sena 
che  era  nao  per  mori  per  li  peccatori  .  e  sempre   ei-o  abiudo  questa  pena 
e  questo  tormento  denanze  a  li  ogij  mei  .  e  tanto  femore  u  o  abiudo  e  pa- 
33    gura  che  mai  no  fu  ueduo  ridere  .  pianze  si  .  no  mai  rire.  Ei-o  [21]  quasi 
treatatri  anni  e  de  grande  dolore  che  ho  abiudo  de  la  mia  passion  el  pare 
che  nbia  ben  zinquanta  .  e  pairo  uegio  pur  pensando  questo  dolor  che  porto. 
E  tanto  e   amo  li  peccatori  che  per  loro  do  la  mia  ulta  .  e  do  la  mia  eda 
florida  .  do  la  mia  sustantia  do  lo  meo  iugenio  .  do  la  mia  uolunta  a  portar 
40    e  sustenire  omincha  pena  .  omincha  dolore  omincha  angoxa  per  redemer  li 
peccatori.  Me  uolio  domenfegare  lo  dolor  de  la  mia  madre  dolze.  Me  uolio 


Antichi  testi  lombardi.  7 

domentegare  lo  honor  del  mondo  e  li  mei  apostoli  .  e  tuto  lo  mondo  sola- 
mente per  saluare   lo   mondo.  0  dolze  mia  spoxa  que  t  o  e  possuo  far  ke 
no  t  abia  fagio.  Oyudo  lo  to  segnor  responde  e  se  di  tu  se  dixe  la  uerita 
che  tu  e  fagio  tropo  e  tanto  [22]  che  n  o  confusion  .  portata  tanta  uergonza 
per  una   stercora   marza  .  per  uno  uasello  de   puza  .  adonclia   amaramente    5 
suspira  e  pianze  .  e  crida  digando.  Segnor  dolze  per  que  di  tu  porta  cotanta 
angoxa  .  tu   no   pechesi  may  .  donde   tu  no   di   fi   punido.  Mi  si  0  peccao 
omicha  die  .  omicha  nocte  .  donde  mi  son  degno  de  mori  e  de  li  crucificao. 
E  me  sonto  ornado  de  uestimente  belle  .  e  tu  fi  despoliado.  Emo  lauado 
la  faza  e  tu   fi  spuazado.  Ei-o  dicto  male  de  la  mia  boca  .  e  la  toa  boca  fi    10 
batuda.  Eio  dormo  in  lo  bon  lecto  .  e  tu  in  la  prexone  si  e  ligao.  Ei-o  cercao 
honor  e  tu   sia   cossi  despresiao.  Eio  0  cercao  ben  da  mangar  [mangiar]  e 
ben  da  beuere  .  e  tu  de  felle  et  aseo  sie  abeuerao.  Unde  te   prego   che  tu 
me  lassi  [23]  mori   ke  ne  son  ben  degna  .  esse  tu  no  uu  ke  moria  per  ti 
lassarne  mori   contego  insema   che  senta  le  to  angoxe  più  forte  cha  ti.  Or   15 
domanda  perdonanza  de  li  toi  peccai  pianzando  .  lomentando  te  e  suspirando. 
El  dolze  segnor  omicha  peccao  te  perdonara.  Ode  criste   digando.  Golumba 
mia  spoxa  mia  dolze.  Uà  tosto  alla  [allo]  albergo  de  la  mia  madre  esse  narra 
la  conditione  mia  come  sto.  Esse  la  consora  quanto  tu  porre  e  male  la  porre 
consola.  La  spoxa  corre  e  fo  alla  porta  de  lo   cenaculo  e  busta  angososa-    20 
mente  con  grande  remore.  Como  l  anima  narra  ala  nergene  de  lo  so  fiUo. 
[24]  La  uergene  maria   aurite   la  porta   e   quando   ella   ulte  la   spoxa  tuta 
stremi.  Lo  core   gè  pica   e  dixe  ben  si   tu  uenuda  filia  mia  .  quente  none 
me  se  tu  di  .  tu  m  e  fata  tuta  stremi  .  a  odi   picar  cossi  anxiamente.  [2S] 
Respoxe.  0  madre   del  meo   spoxo  .  madre  de  yhesu  criste  .  e  u  0  portao    25 
rea  nouella  e  amara  .  corno  dixe  la  uergene  maria  .  und  e  lo  meo  caro  litio 
e-lo  san.  Und  eio  anco  predicare  questa  sancta  pasca.  Und  al  dormio  questa 
nocte  .  filia  mia  tu  ra   e  fata   tuta  stremi  .  no  pianze   di   quello  ke  tu  uo 
anche  dime  tute   cosse.  Respoxe  la  spoxa.  0  madre  mia  e  sonto  ben  grama 
de  questa  imbaxada  ke  uè  debio  fa  el  me  1  a  cometuo  e  pregao  .  e  possa   30 
kel  gè  piaxe  e  che-Ilo  iiori  e  uel  diro.  Lo  nostro  fiolo  benedeto  beri  da  sira 
si  fo  traido  da  inda  so  spendor  per  dane  che  l  a  abiiido  .  e  fo  ligao  e  menao 
a  casa  de  anna  ,  con  maior  uergonza  e  deresione   e   uilania  che  mai  fosse 
menao  nesun  peccator.    Inlo   fo   uituperao   [26]   desorrao    spuzao    [spuazao]. 
ha  negro  li  soi  ogij  belli  .  la  faza  infiada  de  le  pugnade  .  li  dinti  sanguanai   35 
delle  percussione.   Madona  mia  .  madre   mia   el  no  pare  quello  .  uu  no  1  i 
a  cognosce  tanto  elio  disflgnrao.  Come   criste  fi  menao  a  cai/fax.  [27].  Po 
fo  menao  a  caxa  de  cayfax  e  inlo  sì   g   e   fagio  pezo.  Madre  mia   el  pare 
Icuroxo  .  tuto  sangnanento  .  tuto   mal    conzo.    E  rao    elio  in   la  prexon  in- 
bogao  e  ligao   com  uno   ladro.    Madona   mia   mi   no   1   0   abandonao  .  ni  lo    10 
uolio  abandona  cossi  comò  a[n]  fagio  li  soi  apostoli  .  ese  mandao  a  uu  a  di 


8  Salvioiii, 

che  domau  da  niatin  el  de  fi  morto.  Uè  uoraiie  uede  iuaiize  che)  morisse. 
Unde  se  uu  lo  uori  uede  da  matin  sie  apparegiada  cou  quella  compagnia 
che  gè  piaxe.  Quando  la  uergene  odi  questa  nona  tu  pò  pensa  se  1  aue  do- 
lore .  caze  quasi  morta  in  terra  tute  le  interiore  se  reuerson  in  lo  corpo  . 
5  perde  la  loquella  .  la  memoria  li  [lo]  intelleto  zoe  la  fauella  e  steua  corno 
morta  in  terra.  La  magdaleua  comenza  [28]  a  suspirare  e  cridare  alta  uoxe. 
0  maystro  meo  que  oie  dir  de  ti  speranza  mia  onde  e  tu ,  per  certo  tu  e  a 
re  oste  albregao.  Te  uedere  inanze  che  tu  mori.  Te  porto  [potrò]  eio  parla 
in  qual  parte  sere  ta  cruciticao  .  me  lassara  li  zudei  che  te  parla  uno  poco 

10  inanze  che  tu  mori.  0  deo  padre  omnipoente  .  e  tu  deo  e  lasse  tu  mori 
lo  to  tiolo  a  cotal  morte.  Dame  gratia  chel  ueza  che  gè  parla  inanze  la 
morte.  E  que  ha  l'agio  lo  meo  maystro  :  chel  de  porta  tanto  tormento  in 
questo  doloroso  mondo.  La  madre  sta  in  terra  strangossa  in  cosso  [scosso] 
de  la  magdaleua  .  e-lle  altre  marie  son  in  cercbo  a  fregar  le  man  suspirando 

15  e  digando.  Ho  deo  que  e  questo  che  ne  ti  dito  del  uosti'o  hou  maystro.  La 
madre  no  pò  parla  e  le  altre  doue  [29]  tuta  nocte  no  fen  oltro  che  piauze 
e  suspirare.  0  spoxa  retorna  a  la  prexone  e  no  abandona  lo  to  caro  amore 
yhesLi  criste  che  sta  in  tanta  aflictione  e  narra  zo  che  tu  e  fagio  a  criste 
E   comò    la   madre   sta   in   tanta    afflictio[n]   e   sta    strangoxata   oiando   tal 

20  imbasata.  Or  ha  yhesu  criste  dobio  dolore  quello  de  la  madre  el  so. 
Parla  criste  e  dixe.  0  spoxa  mia  fedelle  dorme  uu  poco  e  mi  se  to  im  paxe 
guarda  ,  che  per  mi  tu  e  molto  afadigada  in  questa  nocte.  Mi  no  poreue 
dormi  che  tantor  eyo  e  più  naspeto  che  no  poreue  dormi.  E  poy  t  o  do- 
manda quando  e  firo  meuao  a  crucitìcare  in  lo  monte  de  caluaria  a  grande 

25  torto  e  pecao  senza  raxon.  Dixe  criste.  [30]  0  spoxa  dilccta  leua  suxo  che 
li  familij  de  cayfax  s  armano  con  grande  furore  e  uenano  ala  prexon  con 
grande  remo  digando.  Und  e  tu  yhesu  criste.  Ueni  ueni  che  nu  te  uore[31]mo 
a  prona  se  tu  e  deo  come  tu  e  dito.  Or  pensa  corno  el  poeua  sta  cossi  nizao 
tuta  nocte  no   eua   dormio   negota.    Comenza   a   trema   comò  una  folla  .  lo 

30  meuo[n]  ancora  denauze  a  cayfax  ligao  comò  un  ladro.  Deo  omnipoente 
da  chi  fi  tu  examinao  .  da  chi  fi  tu  accusao  da  du  ribaldi  zugau  da  day. 
Da  chi  fi  tu  zudigao.  Renouaueno  iuiurie  e  uilanie  .  e  pò  cosi  ligao  lo  man- 
dano a  pillato  cosi  nizao.  0  spoxa  corre  ala  mia  madre  e  dige  a-lle  e  tuti 
che  ben   me   uoreuo  zo  eh  e  determinao   de  fa  de  mi.  In  ìiora  prima.  [32] 

35  Or  sta  criste  nizao  li  ogij  mascarai  .  la  boca  e  la  faza  tuto  spuazao  .  e  in- 
tìado  denauze  a  pillato.  La  madre  se  leua  con  le  altre  marie  e  si  dixe  ala 
spoxa.  0  fìlia  mia  dime  melior  [33]  none  ke  no  me  fissi  heri  da  sira  .  qu 
e  fagio  da  lo  meo  caro  amore  to  spoxo  e-llo  scampao.  Respoxe  a  .  .  a  . 
.  a  .  .  madre  mia  dolze  no  e  miga  scampao  .  Ma  g  an  fagio  pezo  che  de- 

40  nanze  .  e  mo  1  an  meuao  a  caxa  de  pillato  a  fa  morire.  E  si  may  uu  lo 
uori   uedere   lo    nostro    filio   uegni    in    contanente.   Inlora    quela   dolorosa 


Antichi  testi  lombardi.  9 

madre  cria  un  crio  uua  uoxe  cotanto  amara  .  ke  zascauu  che  1  odi  comea- 
zauo  a  piauze  fortemente.  E  perzo  che  la  no  se  poeua  de  dolore  sostenire 
per  man  de  mese  san  zoaune  e  de  la  magdalena  eia  fiua  adiunada  .  e  ue- 
niando  disseua  per  la  uia.  0  filio  meo.  0  speranza  mia.  0  anima  mia.  0 
conforto  meo  te  uedero  mai  inanze  ciie  tu  tizi  morto.  0  filio  meo  chi  t  a  5 
uenduo  chi  t  a  tradio  .  chi  t  a  in  balia  0  anima  [84]  mia.  Unde  e  tu  ale- 
greza  mia  .  quando  te  porro  uede  core  del  corpo  meo.  0  terra  no  m  asconde 
la  mia  ulta  .  lasseme  uede  lo  meo  desiderio  .  ke  senza  lui  no  poreue  uiue. 
0  trista  la  ulta  mia  que  debie  f a  .  0  .  dolorosa  1  anima  mia  onde  debie 
mo  anda.  E  zascun  che  la  odiua  un  che  la  uedeuauo  plorare,  più  pianze-  10 
ueno  lo  dolore  de  la  madre  cha  del  tìlio  yhesu  criste.  No  era  peccaor  che 
ogisse  che  consego  no  pianzesse  .  zascauu  se  prouocaua  a  pianze.  E  crezo 
che  lengua  no  poraue  di  .  ni  la  mane  porraue  scribere  lo  dolore  che  por- 
tana  questa  orphana  madre.  El  pariua  che  1  anima  e  1  corpo  se  conuertisse 
in  lagreme  e  cossi  peruene.  Unde  era  lo  so  dolze  tìlio.  Flanctus.  [33]  Quando  15 
elio  uite  cossi  squarsao  .  cossi  intìado  .  negro  e  spuazado  eridando  eia  disse. 
0  filio  meo  dolze  più  cha  melle  .  que  e  questo  che  uezo  eh  e  fagio  de  la 
toa  pecsona  [36]  bella.  E  chi  t  a  ligao  tu  no  offendissi  mai  a  persona.  0 
filio  meo  che  e  tu  fagio  a  queste  persone  .  e  a  questa  zente  maledeta  .  ehi 
t  a  sanguata  eossi  la  faza  che  la  no  pare  quella  .  chi  t  a  battuo  cossi  dura  20 
mente.  No  t  an  mìa  alagiado  ni  in  lo  so  neutre  portao  .  ni  nudrigao  coloro 
che  t  an  eossi  desfagio.  0  filio  meo  chi  me  de  mo  consolar  a  chi  me  lassi  tu  in 
guarda.  Tu  me  scuxeui  filio  .  tu  me  scuxeni  spoxo  .  tu  me  scuxeui  padre  .  tu 
me  scuxeui  tuto.  Tu  eri  lo  meo  conselio  .  tu  eri  lo  meo  solatio  tu  eri  tute 
cosse.  A  chi  debie  mo  anda  .  a  ehi  me  debie  mo  torna.  0  filio  meo  tu  sivi  ben  05 
tute  cosse  .  perque  t  e  tu  lassao  auilla  cotanto  .  e  desprexia  per  li  pecca- 
turi.  Lame[n]tamento  de  la  uergene,  [37]  E  chi  me  dira  da  mo  indre  lo  to 
filio  uà  su  per  lo  juare  .  a  coma[n]dao  anco  a  li  uenti.  Lo  to  filio  a  con- 
uertio  1  aqua  in  nino  .  a  resuscitao  li  morti  .  sanao  li  leprosi  .  illuminao 
[38]  li  cegi.  Ista  no  me  fira  più  annunziao  questa  alegreza.  E  queste  alegreze  30 
me  son  conuertì  in  grande  grameza.  Digando  zo  la  madre  e  torzandose  .  criste 
alza  la  uoxe  a  deo  padre  e  dixe  suspirando.  Oration  de  yhcsu  criste.  [39]  0  deo 
padre  omnipoente  el  pare  che  m  abie  abandonao  .  zaschaun  pensa  che  no  sia 
to  fiolo  uedando  la  penna  che  tu  me  lassi  porta  e  che  debio  anchora  porta.  No 
uedi  uo  lo  uetuperio  e  lo  desuor  che  me  fi  fato  .  che  expecto  la  uergonza  de  la  35 
croxe  .  zascun  fa  beffe  de  mi .  e  de  le  iuiurie  e  falsi  testimoni]  che  ma  acusauo. 
Mi  no  uolio  parla  se  no  a  ti  che  no  m  abandoni.  0  deo  padre  onde  eri  tu 
quando  e  fu  prexo  ligao  batuo  e  desorao  più  ka  homo  che  mai  fosse  .  ni  sera 
mai  in  questo  mondo.  Ampo  deo  padre  e  te  prego  che  tu  gè  perdoni  che  li  no 
san  quello  ke  se  fazano  .  e  pò  questa  pena  e  uolio  portare  per  aguadegua  li  40 
peccatori]  [-ri]  perdui.  Tu  spoxa  dorme  se  tu  uo.  licspoxc  la  spoxa.  A  scgnor 


10  Salvioiii, 

[40]  come  porrciie  dormi  a  odi  lo  suspiro  de  la  mia  madre  .  corno  debie 
dormi  a  uege  tuta  la  mia  speranza  cotanto  araazao  de  aniroxa  e  de  ama- 
ritudene  de  core.  Se  uoresse  dormi  tu  me  deuisse  desuegia  corno  tu  desue- 
gisse  san  petro  chi  donnina.  [41]  Qui  pò  tu  uede  comò  criste  fo  apresentao 
5  a  pillato  .  e  conio  sta  im  pe  la  coliimpna  del  mondo  .  e  fi  accusao  chel  scia 
[scia?]  morto.  La  madre  gè  uosse  intra  in  caxa  poxo  lo  filio  No  fa  lassaa 
dal  portane.  Or  sta  de  fora  la  madre  dolorosa  expectando  ke  la  possa  parla. 
Un  almen  che  la  lo  possa  uede.  Tu  spoxa  intra  in  caxa  e  guarda  tuto  quello 
ke  se  fa  co[n]tra  criste  saluator  de  mondo.  El  acusao  kel  contradixe  a  ces- 
io sarò  imperator.  Chel  se  fa  re  de  li  zudei  .  chel  se  fa  filio  de  deo  che  tato 
lo  mondo  fin  de  galilea  a  conuertio  molte  zente.  Pillato  uedando  che  per 
inuidia  1  acusauano  lo  uosse  scampa  .  etiam  per  la  uision  de  la  dona  de  pillato 
che  la  eua  abiado  la  nocte  perzo  lo  uoreua  scampa.  E  per  una  scuxa  lo 
mando  [42]  ad   hcrodex    eh  era   uegnuo  a  la  festa  de  pascha.   Or  fi  menao 

15  yhesu  criste  con  grande  romor.  La  madre  guarda  che  lo  possa  uege  un 
parla  .  no  g  e  remission  zascun  crida  moria  lo  ladro  moria  1  inimigo  no- 
stro .  moria  lo  gioton  .  Como  cristo  parla  ali  zudei.  [43]  Ilora  criste  parla 
alo  pouoro  de  li  zudei.  0  pouero  meo  que  t  o  e  fagio  per  que  tu  eri  che 
moria.  E  te  mene  de  la   seruitudene  de  faraon  .  e  tu  m  e  ligao  qui  senza 

?o  caxon  .  e  te  illuminaua  de  nocte  .  e  de  di  te  refrcgaua  [refregiaua]  .  e  tu 
tuta  nocte  in  obscurita  e  in  dolore  tu  m  e  tenuo  anxiao.  E  te  passi  qua- 
ranta anni  in  lo  deserto  de  omnina  delitie  .  e  tu  m  e  aparegao  [aparegiao] 
felle  e  aseo.  E  flagelle  faraon  per  ti  .  e  tu  m  e  flagella  mi.  E  t  o  sempre 
seruio  e  honorao  e  tu  m  e  più  desprexiao  che  mai  fosse  nesun  tristo  e  cat- 

25  iuo.  0  deo  padre  aida  me  de  man  da  herodex  und  e  fizo  menao  con  tanto 
remor.  E  de  man  de  pillato  tractor  [traitor]  perzo  kell-a  ben  achomenzao 
ma  all-a  mal  compio  zascun  se  fa  beffe  de  mi  e  derision.  [44]  0  madre  mia 
perque  m  e  tu  inzcnerao  a  porta  tanta  uergonza  e  despiase  .  tuto  lo  mondo 
e  centra  mi   e  nesun   parla   per  mi.   Come   al   /?  menao  a  herodex.  [45]  El 

30  presentao  a  hererodex  [re  herodex]  e  ueda[n]dolo  cosi  infìado  e  sanguaneuto, 
nizao  scarpao  li  capilli  e  la  faza  spuazada  e  chel  fiaa  duramente  acasonao. 
Lo  domanda  de  alcune  cosse.  Uoiiandu  chel  faza  alcun  miraculo.  No  re- 
spondeua  a  herodex  negota  .  perque  no  respox  elio  .  a  herodex  .  che  1  au- 
raue  scampao  de   la   morte  .  e  .  alora  no   era   tempo    de   scampare  ma  de 

35  morire  perzo  chel  piaxeua  a  deo  padre.  Etiamde  herodes  no  era  degno  de 
odirlo  parla  .  e  uedando  chel  no  respondeua  penso  questo  e  un  mato  .  e 
segondo  le  usanze  de  li  mati  lo  fen  despresia  e  bate  .  azonze  delo  ferro 
ala  caza  .  dolore  soura  dolore  .  e  pò  lo  mando  a  pillato  digando  chel  no 
se  irapaga  chel  ne  fesse  quello  chel  uoreua.  Como  criste  fi  menao  jìer  la  cita 

40  dc.rprexiadamente  [46]  a  pillato.  0  spoxa  amada  guarda  con  quanta  uer- 
go[n]za  el  fina  menao  per  la  cita.  Un  gè  tra  prede.  El  oltro  gè  tra  baston  . 


Antichi  testi  lombardi.  11 

oltri  spua  e  pantan  e  dere[47]xion  .  e  eoa  la  faza  uà  inginao  e  no  dixe  ne- 
gota.  0  spoxa  irate  a  pc  de  Ja  madre  e  ascolta  quelo  chela  dixe  .  che  co- 
luro  ke  choloro  che  la  odiueno  gè  passaua  lo  core  de  compassion  .  e  dixeua 
la  madre.  0  fìlio  me  dolce  per  que  fi  tu  cossi  desprexiao.  Tu  e  sanao  co- 
storo e  li  so  filio  e  guarido  esse  te  dan  cotal  pagamento  .  perque  fi  spuzao  5 
[spuazao]  la  toa  amantissima  e  gratiosa  faza  .  fìlio  meo  questa  e  soza  ias- 
siua  da  laua  la  faza  toa  bella.  Per  que  fi  tu  tanto  desprexiado  etiarade  da 
li  fantin.  0  uu  madre  refreue  li  nostri  fìlio  abie  compassion  a  questa  pouera 
pelegriua  e  forestera.  Pur  1  oltre  di  che  [ghe]  ziui  incontra  con  rame  de 
oline  laudando  lu  e  cantando.  Benedeto  sia  costu  che  uene  e  fi  raandao  da  io 
deo  padre  [48]  nostro  segnor  .  e  mo  lo  desprexiano  cossi  e  co[n]  tanfo  roraor 
el  no  a  miga  caxon  de  fa  questo  imperzo  ke  pianzeua  questa  e  grande  com- 
pasion.  E  a  uede  pianze  questa  dona  cossi  amaramente  e  cossi  angossosa- 
mente.  0  fìlio  me  bello  per  li  peccaor  tu  fussi  bandezao  e  metuo  in  confine 
sete  anni  tu  e  sostenuo  nudila  .  fregio  fame  sede  .  persecution  .  uelanie  15 
senza  nomerò  .  e  ancora  no  e  satio  de  porta  pena  per  nu  e  uo  per  nu  mori. 
E  cossi  suspirando  e  pianzando  peruene  yhesu  criste  a  caxa  de  pillato.  La 
madre  uosse  intra  in  caxa  lo  portane  no  lasso.  Ad  terHain.  [49]  Or  sta  donclia 
a  pe  dela  pianctorenta  madre  e  dige.  0  madona  mia.  0  alegreza  mia  tome 
a  caxa  azo  che  uu  no  fìze  morta  con  lo  nostro  filio  e  che  perdamo  la  luxe  20 
no  solamente  [30]  del  sole  ma  etiarade  de  la  luna.  Se  uu  ste  qui  madre 
mia  el  uè  faran  desnor  madre  mia  e  uelania.  Donde  ell-e  per  lo  melio  che 
uu  ande  a  caxa  con  queste  done  che  son  qui  a  compagnaue.  Respoxe  la 
madre  tu  dixe  de  bon  amor  fìlia  mia  quelo  che  tu  dixe.  Ma  sapij  ben  che 
no  me  poreue  parti  da  cholui  che  amo  più  che  mi  instessa  .  cha  lei  anima  25 
che  porto  in  del  corpo  meo  .  ell-e  la  mia  ulta.  Or  fosselo  nero  che  fisse 
morta  sego  insema  .  questo  e  quello  che  desidero  e  che  certo  [cerco].  0 
fìlia  mia  uà  di  a  pillato  chel  me  faza  mori  mi  inanz  cha  lo  meo  filio  ke  sei 
more  lu  inanze  e  morirò  uedando  la  morire.  0  se[g]nur  zudei  uu  no  per- 
done  al  filio  meo  .  no  perdone  etiamde  ala  trista  madre  toy  me  tosto  la  [31]  30 
uita  azo  che  no  ueda  la  mia  ulta  a  peaare.  0  deo  padre  omnipoeute  feme 
questa  gratia  uu  .  che  me  done  le  meo  filio  san  e  saluo  .  on  che  un  me 
lasse  sego  insema  morire  .  perzo  che  senza  lu  no  poreue  uiue  .  e  digando 
queste  parole  con  tanto  sgiexo  pertusaua  lo  core  de  quanti  la  odiua  .  za- 
scaun  che  la  uedeua  .  on  che  la  odiua  pianze  dexeuano  .  per  certo  questa  35 
dona  a  mori  ancho  de  grameza  e  de  dolor.  Dixeua  alcun  oitri  tu  dixi  nero 
per  certo  ella  consuma  inanze  che  lo  filio  .  e  0  ben  ueduo  jnadre  ase  pianze 
la  morte  de  filio  .  e  de  mario  .  e  padre  e  fradilli  .  mi  no  uili  may  pianze  cossi 
dolorosa  mente  .  el  pare  che  lo  corpo  cou  lo  spirito  se  dcbia  conuerti  in 
lagreme.  Tute  le  membro  de  [32]  questa  doua  orfana  pariueno  che  pianzes-  40 
seno.  E  zascun  eua  compassione   più   a  le  cha  al  so  filio  yhesu  criste.  Fo 


12  Salvioni, 

alcun  che  disse  al  serauc  l)on  che  questa  donna  fisse  mcnada  in  qualche 
cha  azo  che  la  no  moria  ucdando  lo  filio  a  penare.  Ma  no  se  uosse  parti 
da  inlo  fin  chat  no  io  inandado  fora  da  caxa  de  pillato.  Tu  spoxa  prega  Io 
portane  che  te  lassa  intra  in  caxa  e  uedere  yhesu  criste  inanze  da  pillato 
5  con  grande  uergouza.  E  quamuix  de  que  pillato  sauesse  che  criste  no  era 
degnao  de  morte  anpo  per  tenior  mondana  el  lasso  baraban  ladro  e  criste 
comando  che  fisse  flagellao  .  cossi  era  usanza  de  li  romani  .  che  colu  che 
deuiua  fi  crucificao  impruraeramente  inanze  fiua  flagellao.  0  pil[53]lato  de 
chi  e  tu  pagura  ,  la  mosca  te  fa  maior  pagura  ka  lo  throne  ,  e  tu  pagura 

IO  d  uno  homo  terreno  più  cha  de  deo  creatore  segnore  de  tute  creature. 
Quando  criste  fo  despoliao  haue  grande  uergonza  che  quella  carne  uergene 
fo  descoperta  al  mondo  .  che  may  fo  uedua  seno  alora.  Or  ne  .  comò  forte 
el  fo  ligao  e  più  fortente  el  fiua  flagellao.  Le  rene  ghe  pioueueuo  sangue 
incerco  incerco  .  la    terra  se   sanguanaua.   Lo   corpo   roto  si  infiaua  .   dal 

15  cho  fin  in  til  pei  fo  roto  e  scauezao.  Cinque  milia  cinque  cento  scuriade 
che  [ghe]  fo  dao  in  quella  domauada  per  disnarello  in  caxa  delo  biastemao 
pillato.  El  n  aliena  ben  abiudo  dele  oltre  in  caxa  de  ana  e  de  cayfax  la 
note  pasada.  [34]  0  carne  sanctissima  corno  poeua  esse  nizada  .  negra  e 
mascarada.  Illora  criste  alza   la  soa  uoxe   tremando   e  dixe.   Or  deo  padre 

20  glorioso  que  [5S]  me  lassi  tu  fa  a  quisti  peccaor  .  da  tuti  e  sonto  aban- 
donao  .  e  corno  lion  afamai  illi  criano  contra  mi  ,  e  ancora  no  son  satij 
de  fame  apena.  Lo  spinao  m  an  roto  che  no  me  posso  driza  a  questa 
columpna  .  asse  posso  guarda  .  asse  posso  suspira  che  no  trono  chi  m  abia 
compassion.  Tu   spoxa   uà  de  fora  poxo  la  compasion   de  lo  to  segnon  [se- 

25  gnor]  e  uedere  la  madre  de  fora  pianzando  e  mi  ogiande  la  uoxe  de  criste 
dixe.  In  hora  de  tertia  parla  la  uergene.  [S6]  0  spoxa  filia  mia  lo  me 
core  passa  de  dolore  dime  nero  .  e  quella  la  uoxe  che  trema  cossi  forte 
angossosa  del  meo  dolze  filio.  0  filia  mia  dime-Ilo  se-ll-e  quella.  Responde 
la  spo[o7]xa.  Madona  mia  madre  mia  si  e  ben  quella  la  soa  trista  uoxe .  perzo 

30  chel  fi  tanto  tormentao  el  tra  quello  doloroso  crio.  Dixe  la  madre.  Ho  spoxa 
de  la  mia  alegreza  cerca  mo  se  tu  me  pò  fa  anda  dentro  da  la  porta  a 
nedc  lo  meo  filio  inanze  chel  sia  consumao  e  morto.  0  ladron  zudei  uu  lo 
fari  ben  mori  inanze  chel  ueda  ni  che  gè  parla.  Coni  criste  fi  flagellao. 
[58]  Tu  spoxa  prega  lo  portane  digando.  0  piazate  de  fa  una  grafia  a  questa 

35  dona  pouera  peicgrina  de  lassara  anda  dentro  da  questa  porta  .  che  questo 
segnor  che  fi  batuo  si  e  so  filio  esse  lo  uoraue  ueder  inanze  kel  [o9]  fiza 
sententiao.  E  si  gè  di  e  te  promcto  se  1u  gè  auri  la  porta  eia  t  a  auri  la 
porta  delo  sancto  paradixo  .  ke  questa  dona  che  te  pare  cossi  pouera  pele- 
grina  si  a  le  giaue  de  lo  paradixo.  [60]    lUora  intra  dentro   la  madre.  San 

40  zoane  euangelista  e  la  maldarena  e  u edando  criste  cossi  tormentao  cossi 
squarzao   dele  scuriate  e   la   carne   smenuzada   ala    columpna   ella  dixe.  0 


Antichi  testi  lombardi.  13 

ilolze  ine  filio,  0  dolze  anima  mia.   0   dolze   uita  e  spera[n]za  mia  .  no  me 
credeua  miga  che  tu  fussi  cossi  desfagio  comò  e  uezo.  0  tilio  meo  caro  comò 
tu  m  e   cambiao  tosto   inanze.  E  chi  t  a  cossi  forte  ligao  e  batuo  .  queste 
legame  no  son  someliaute   a  quilli    che   te   fassaua    quando  tu  eri  pizini[n]. 
Tu  fussi  ligao  heri  da  sira  in  1  orto.   Possa   fussi   ligao  in  caxa  de  anna  .    5 
possa  In  caxa  da  cayfax  .  possa  in  la  prexon.  Ista  e  ligao  pezo  che  sia  an- 
cora fagio.  E  ancora  tu  uo  fi  ligao  su  la  croxe.  Lamento  de  la  uergene.  [61] 
0  anima  mia  e  te  prego   che   tu  no   abij   tanta   compassion  d  oltru  che  tu 
uogli  abandona  mi  trista  madre  .  que  debie  fa  speranza  mia  se  tu  [62]  me 
abandoni  a  chi  me  debie  pò   torna.   0   maldarena   sero   mia  chi  me  de  mo    io 
più  consola.  La  mia  anima  me  fi  tolegia  .  la  mia  uita  se  more  .  la  mia  spe- 
ranza se  profunda.  0  segnuri  uu  uori  fa  mori  lo  dolze  me  tllio  fé  mori  sego 
la  madre.  Uu  no  uori  perdona  a  lu  do  no  perdone  ni  ancha  mi.  0  filio  meo 
caro  no  me  distu  qualche  cossa  .  no  parli  tu  ala  toa  madre  .  criste  no  re- 
spondeua  che  lo  core  de  la  uergene  maria  seraue  delenguao.  Zaschun  che    15 
la  uedeua  .  che  la  odiua  pianzeua   consego   insema   digando   loro  .  questa 
dona  cazera  morta  de  dolore  in   contanente.  Com  el  fi  incoronao  de  spine. 
[63]  Qui  no  se  pò  fa  oltro  seno  pianze  .  con  la  madre  .  e  con  lo  filio  .  e  to 
del  so  sangue  e  rubricare  1  anima  e  lauarte  in  quella  fontana  uiua.  Stando 
cossi  tu  odire  [64]  uenire  la  zente  a  desligarlo  .  e  uestirlo  de  una  uestimenta    20 
rosa  con  un  bastone  in  man.  E  una  corona  de  spine   in  testa  infica  iin  alo 
celebro  con  tuta  conuerta  de   sangue  la  faza  .  e  la  barba  e  li  capilli  sonar 
la  rengo  e  criste  innocente  fi  coudempnao  ala  morte  sodissima  de  la  croxe  . 
con  du  ladrone  corno  s  el  fosse  uno  ladro  da  fi  apicao  per  Ja  gora  che  auesse 
robao  e  scakao  e  morto   luto   lo  mondo.   Como  e  data   la   sententia.  [60]  0    25 
deo  padre  unde  e  tu  ascoxo  que  lassi  tu  far  al  to  filio  carissimo  .  que  la- 
sare  tu  far  a  mi  trista  catiua  piena  de  tanti  peccai  chel  pare  a  zascun  che 
tu  1  abij  abandonao  [66].  ^ascun  criaua  tolle  tolie  moria  moria  lo  ladro  sia 
tosto  crucificao  .  oltrì  gè   da   masselae   digando.    0    criste   tu   e  un  grande 
profeta  .  profetiza   chi  e  quello  che  t  a  dao  questa  squanzaua   [sguanzaua]    30 
e  cossi  fen  un  grande  tempo  .   che  no    sen  poreueno  satiare   de  dage  cossi 
netamente.  0  terra  maledeta  comò  pò  tu  sostenire  quilli  peccaor  che  tanto 
an  franzelao  .  despresiao  e  uergonzao  lo  to  creator  .  lo  to  segnor.  0  angeli 
e  donzeli  quente  amor  porte  uo  al  nostro  segnor  .  si  uo  contenti  de  questo 
dolore  che  porta  lo  nostro  creator  .  perzo  chel  piaxe  allo  padre  nostro  deo    35 
e  segnore  .  tute  le  creatore  [creature]  seraueno  contro  li  peccaturi.  0  madre 
senza  fiado  e  senza  spirito  chi  poraue  dire  ni  [67]  scribere  lo  to  dolore  ni 
la  toa  pena.  La  madre  dixe   ne  pò   dire   ni   pò   parla    ni   pò  taxe.  0  dolze 
meo  filio  li   no   oifendisse   mai  a  nessun  e  a  ti  fi   offenduo    da   tuti.  Mo  de 
pugne  .  mo  de  spua.  Mo  de  huraicha   deresion   se  tu  fussi  de  ferro  tu  de-   40 
uissi  esse  roto  e   speza   tutu.  E   me  do   marauelia  comò  tu  pò  tanto  porta. 


14  Salvioni, 

Tuta  nocle  tu  no  e  dorniio  .  ni  heri  ni  ancho  tu  no  e  maugiao  .  e  tu  e 
tanto  debile  e  catiuo  che  tu  no  e  tuto  desfagio.  E  ino  fi  lucnao  alo  maior 
tormento  de  la  croxe.  Ad  sestam.  0  apostolo  de  criste  chi  deuera  consola 
la  dolorosa  madre.  0  tilio  quente  trauo  e  cossi  crosso  [grosso]  e  tu  in 
5  spalla.  Tuto  lo  feua  de  rene  perzo  che  le  spale  e  le  rene  erano  rote  da  le 
scuriade.  [68J  La  zente  secoreuano  .  diuano  [odiuano]  la  madre  pian- 
zando  .  e  consego  pianzeueno.  0  iìlio  .  hlio  iìlio  lassami  il  cruciticada  per 
ti  .  un  fa  che  moria  inanze  che  ti  che  no  te  ueda  mori  ti.  0  creator  o  se- 
gnor  que  debie  fa  che  la  mia  ulta  me  fi  toleta  .  la  mia  anima  me  fi  inuo- 

10  rada  .  la  mia  luxe  me  fi  asmorsada.  0  trista.  0  trista  .  trista  unde  debie 
più  anda.  Unde  debie  più  sta  .  que  debie  fa  .  la  maio  alegreza  che  poreue 
aue  seraue  che  moi'isse.  Planze  la  madre.  0  filio  .  lilio  filio  meo  no  me 
abandona.  Respoxe  criste.  0  maria  madre  e  dolorosa  pezo  me  fa  de  ti  cha 
de  mi  .  più  me  torze  lo  to  dolore  cha  del  meo.  Mo  certamente  ere  in  deo 

15  padre  e  in  mi  che  domenega  ho  rescuscita  glorifi[69]cao  esse  n  auri  grande 
conforto  e  alegreza.  Como  criste  fa  menao  ala  itistitia.  Or  lì  menao  fora  da 
la  porta  alo  logo  de  la  iustitia.  E  ogiando  criste  lo  pianzio  de  le  done 
che  [70]  zeueno  posso  la  zente  se  uolze  digando.  0  done  no  pianzi  soura 
mi  lo  meo  dolor.  Ma  pianzi  soura   uu  e   soura   li  nostri   fìlio    che    me   fan 

20  mori  a  questa  morte  a  torto  e  a  peccao  .  fon  .  a  monte  de  caluaria.  0 
spoxa  qui  ta  strenze  e  ne  comò  la  uestimenta  gè  fo  strepada  de  dosso 
la  se  teueua  con  la  carne  rota  tuto  lo  corpo  incrostao  comenza  a  pione  sangue. 
Le  osse  poreueno  ti  anomerade.  Ancora  gè  den  bene  felle  e  asedo  azo  che 
più  tosto  el  morisse.  Fo  destexo  sur   la  croxe   e  ingodao  [iugiodao]  e  suxo 

25  leuado.  Le  man  rote  .  li  pei  squarzai.  La  testa  inspiuada  tuto  lo  corpo  pio- 
ueua  sangue  .  qual  marauelia  che  tute  le  uene  del  corpo  erano  rote  donde 
lo  sangue  ensiua.  Ad  sestam  .  come  el  e  in  croxe.  [71]  Or  mo  sta  crucificao 
lo  nostro  segno  yhesu  criste  de  mezo  de  du  ladron.  Per  lo  corpo  che  pe- 
xaua  le  mane  se  rompano  più.  La  testa  tor[72]zeua  mo  in  una  parte  mo  in 

so  una  oltra  .  no  troua  logo  kel  se  possa  un  pocho  repossa.  0  deo  padre  e 
questo  lo  to  fìlio  che  pende  sur  la  croxe.  E  questo  quello  iìlio  tanto  amao 
da  lo  padre  con  tanto  dilecto.  Ueraxraente  no  pare  miga  kel  sia  amado  mare 
[pare]  cliel  te  sia  in  desgratia.  T  al  fagio  cossa  che  te  despiaza  che  tanta 
angossa  al  porta  .  etiamde  crio  credando   quello   che   pare   a  mi    digando. 

35  Deo  deo  meo  padre  meo  m  e  tu  abandonao.  Segnor  no  odi  tu  quante  beffe 
e  squergue  [sguergue]  el  fan  al  to  caro  filio.  Or  spoxa  to  una  scara  e  uà 
suxo  la  croxe  e  odi  quello  che  te  dixe  yhesu  criste.  0  spoxa  fedelle  pensa 
se  tu  pò  pensa  e  comprende  quanti  [quanto]  e  lo  meo  dolor  che  porto  per  ti  e 
[73]  per  tuli  li  oltri  peccaor.  Bixe  criste  a  l  anima.  0  filia  mia  te  digo  nero 

40  e  0  fato  tuto  quanto  e  o  sapindo  e  possudo  fa  per  saluar  ti  e  li  oltri  peccaor. 
Lo  meo  sangue  ho  dato  im  prexio   de  trenta  dane  .  le  spalle  ali  fanti  che 


Anticlii  testi  lombardi.  15 

m  au  cossi  guastao  comò  tu  pò  uedere.  Ali  zugaur  da  day  la  uestimeuta 
che  me  de  la  mia  madre.  Lo  sudor  delo  sangue  ali  infirmi.  Lo  lado  aperto 
a  amar  zascun  e  pregar  per  coUor  che  m  an  cossi  couzio.  L  anima  a  lo 
limbo  .  la  ulta  a  li  morti.  La  madre  alo  discipulo  .  a  simon  la  croxe  .  tuto 
me  son  dao  a  sanare  li  peccaor.  Allora  la  spoxa  pianzando  to  de  lo  sangue  a 
e  te  lana  digando.  Una  gota  de  questo  sangue  [74]  si  e  suffitiente  a  pur- 
gare 1  anima  da  ominca  peccao  .  e  questa  confession  t  a  laua  tuta  da  li 
toi  peccai  e  di.  Com  criste  a  amado  l  anima  spoxa  soa.  Reminiscens  beati 
sanguinis  quem  profundit  amator  hominis  fonde  lacrimas.  Hec  est  locus  in- 
gratitudinis  ,  nisi  torrens  tante  dulcedinis.  Atlingit  anima,  yhesu  dulcis  cur  io 
tanta  pateris  .  cum  peccati  uihil  commiseris.  Flos  innocentie.  Eo  latro  tu 
cruce  moreris  .  ego  reus  tu  pena  plecteris.  Nostre  nequitie.  Pro  re  uilli  cur 
tantum  pretium  .  quid  lacrimas  per  hoc  supplitium.  Uiuis  in  gloria.  Ante 
fecit  amor  sic  obrium  .  nec  penam  crucis  non  putes.  Obprobrium  amoris  gratta.^ 
[73]  0  segnor  raxon  se  uore  che  chi  pecca  sia  punido.  Mi  o  peccao  e  in  perzo  15 
e  debio  porta  pena  .  donde  e  te  prego  che  tu  me  die  le  to  piage  che  le 
porta  per  to  amor  .  e  perzo  l  anima  spoxa  de  yhesu  criste.  Esse  n  o  la  purità 
de  la  toa  madre  che  senza  quello  gladio  in  lo  meo  core  corno  ella  sen- 
tina. E  che  0  li  peccai  de  lo  ladro  che  te  domando  penitentia.  E  se  no  sonto 
tempio  che  fenda  de  dolor  e  sonto  sepultura  de  humincha  peccao  e  de  desnor,  50 
Ko  son  sole  che  me  debia  obscura  .  ma  inferno  che  tu  uo  spolia.  E  se  no  son 
san  tliomaxe  che  te  meta  la  man  in  lo  costao  .  e  sonto  peccatrix  corno 
la  malda[76]rena  a  chi  fo  per  ti  yhesu  criste  perdonao.  0  segnor  meo  no 
te  domando  honore  .  ma  te  domando  lo  to  dolore.  No  te  domando  le  delltie 
del  mondo  ni  le  to  richeze.  Ma  e  te  domando  per  misericordia  le  to  angoxe  25 
e  le  to  dolore.  Inanze  uolio  esse  sur  la  croxe  ingioado  di  e  nocte  .  cha  com 
peti'o  .  iacomo  zohanne  esse  tego  a  uederte  in  la  .montagna  tranfìgurao.  0 
speranza  da  me  questa  toa  grameza  .  qualche  cossa  lassa  lo  spoxo  ala  spoxa. 
lo  padre  alo  Alio  .  no  te  domando  oltro  se  uo  che  tu  me  dai  le  to  piage  e  lo 
to  dolore  .  azo  che  sempre  sia  crucificao  ingiouado  tego  insema.  Odi  che  30 
te  responde  lo  to  amor.  Bixe  criste  a  l  anima.  0  spoxa  mia  columba  mia 
se  tu  [77]  desidre  de  esse  cruciiìcada  continuamente  e  t  0  abraza  comò  e 
abrazao  la  croxe.  Se  tu  desidri  de  infregiate  e  t  0  scalda  del  meo  amor. 
Se  tu  uo  laua  la  mia  faza  cosi  spuaza  .  e  t  0  baxa  con  la  mia  boca  in 
segno  de  paxe.  Se  tu  uo  porta  le  me  piage  che  tu  domandi  e  t  0  dotare  35 
in  meo  lilio.  Se  tu  desidri  de  porta  pena  e  grameza  e  t  0  impi  de  humicha 


1  Infine  d'ognuno  dei  precedenti  versetti,  si  viene  a  capo;  e  negli  spazj 
che  così  restan  liberi,  si  leggono  le  seguenti  parole:  pero  che  l  a  spanduo. 
Lo  so  sangue  preiioso  per  li  miseri  peccaduri. 


16  Salvioni, 

honor  e  alegreza.  Se  tu  pianzi  de  omicha  peccao  .  e  t  o  absolue.  Se  tu  no 
esse  n\cg;o  des|)[r]exiao  .  e  te  faro  honorare  da  li  angeli  de  ulta  eterna.  Se 
tu  desidri  bene  felle  e  aseo  e  te  faro  inebria  de  lo  nino  de  paradixo.  Se  tu 
uo  portar  tego  la  mia  croxe  e  o  habitare  in  mezo  del  to  core.  Se  tu  no  esse 

5  coronada  de  spine  e  t  o  incoronar  de  gloria  et  [78]  honor  perpetuo.  Se  tu 
uo  ruminar  e  pensar  de  la  mìa  passion  e  pena  .  e  t  o  tranforraa  in  mi.  Com 
el  dixe  a  l  anima  ha  la  togla  la  croxe  e  seguir  lu.  Adoncha  to  la  croxe 
seguerni  .  corno  fa  questo  ladro  che  no  guarda  .  ni  angonza  ni  a  despiaxe 
che  me  sia  dicto  ni  facto  ma  con  speranza  pianze  li  soi  peccai  .  e  expecta 

10  la  morte  donde  el  sera  mego  im  paradixo  ancho.  E  cossi  faro  fare  a  ti  spoxa 
mia  se  tu  no  me  abandoni  sur  la  croxe.  Dicto  zo.  0  de  criste  crida  ad  dee  padre. 
0  deo  padre  e  segnor  in  le  to  man  e  me  meto  e  que  i  uo  padre  glorioso  pensao 
de  fa  de  mi.  Fé  zo  che  uè  pare  tuto  son  ala  nostra  obedientia  in  luto.  E 
ho  criao  e  de  di  e  de  nocte  e  sonto  infregia [7 9]to  no  e  che  me  daga  un  poco 

15  d  aqua  da  bene  e  da  lauarme  la  faza  e  la  boca  conuerta  da  scarculi.  E  o 
domandao  da  bene  el  m  a  dao  felle  e  aseo  questa  e  rea  beuanda  e  amara. 
Zascun  cria  zascun  me  blasfema.  U»  prego  padre  meo  gè  [che]  un  gè  per- 
done  che!  no  san  quello  chel  se  fazauo  .  e  che  in  le  nostre  benedete  man 
uu  receue  lo  spirito  meo.   Lo   sol  se   obscura   la    terra  trema  .  le  prede  se 

20  rompano  .  lo  terremoto  e  grande  per  tuto  lo  mondo  .  tute  le  creature  an 
compassione  al  so  creatore  seno  li  zudei  che  seran  ben  pagai  de  le  so  oui*e 
tosto.  In  liora  de  uesporo.  [80]  Or  quando  tu  uedere  chel  e  morto  desmonta 
zo  e  uà  und  e  la  madre  straugosada  facta  quaxe  morta  .  quando  ella  ulte 
mori  la  [81]  soa  uita  cara  .  e  iulo  pianze  lo  to  spoxo  lo  to  p.idre  lo  to  se- 

25  gnor  e  di  seguramente.  0  apostoli  .  o  Cristian  .  o  anime  saucte  uo  fuzi.  No 
a[n]demo  a  mori  con  lo  nostro  segnor.  No  uedeno  la  madre  quassi  abando- 
nada  .  e  crezo  certamente  che  zascun  che  la  compagna  ell-a  odi  quello  che 
fo  dicto  a  san  zohanne  euangelista.  Questo  e  lo  to  fìlio  .  e  questa  e  la  toa 
madre.   Tu   uedere   che  longin  pertusa  lo   costao   e  insi   sangue   e   aqua  . 

30  tu  di  corre  a  bene  de  questa  beuanda  .  e  sentire  tanta  dolzeza  quanto 
te  uora  dare  lo  to  amor  yhesu  criste.  E  allora  tu  anima  sancta  l'rega 
deo  per  quello  peccaor  che  ha  ordinao  questo  libreto  in  questo  passo  prega 
per  lui.  To  la  scalla  e  ascende  suxo  alo  lado  aperto  chel  gè  pa[8^]riua 
lo  core  e  di.  Questa  oratione  de  dire  l  anima  al  segnor  in  croxe.  Pie  pel- 

35  licane  domine  jesu  criste.  Me  infirmum  sana  tuo  sanguine.  Cuius  una  stilla 
saluum  facere  potest.  Totum  mundum  ab  orani  scelere.  Plagas  tuas  quasi 
Thomas  intueor.  Te  uerum  deum  et  hominem  confìteoi'.  Ambo  nere  cre- 
dens  et  confi  teus  Peto  quod  petiit  latro  penitens  Como  l  anima  fi  ornada 
del  sangue  de  criste.  Et  insi  orna  la  toa   anima   in  lo  sangue  de  1  angelo 

40  yhesu  criste  .  e  qui  seutire  tanto  de  dolzeza  e  de  consolation  corno  sa  co- 
loro che  1  an  proado  souenzo.   In  fiora  completorij.  [83]  La  madre  ste  fin 


10 


Antichi  testi  lombardi.  17 

compieta  quasi  com  morta  strangossada  in  le  man  de  la  maldarena  e  de 
le  altre  marie  che  pianzeueno  amaramente  e  dolorosamente.  Ali-ora.  de  com- 
pieta [84]  uene  la  compagnia  de  criste.  losopo  sancto  e  nicodemo  e  meten 
Tina  scala  ala  croxe.  E  comenzano  a  desgioua  lo  corpo  desfagio  e  desformao. 
Tu  spoxa  corre  alar  quisti  segnuri  e  uà  per  zascuna  piaga  digando.  Pater 
noster  .  et  una  aue  maria  et  una  nenia  azonzando.  Adoramus  te  christe  et 
hymnum  dicimus  tibi  quia  per  crucem  luam  redemisti  mundum  jesu  fili 
dauid  miserere  mei.  Tuam  crucem  adoramus  domine  .  tuam  gloriosam  reco- 
limus  passionem  qui  passus  es  prò  nobis  miserere  nobis  .  amen.  Aida  porta 
lo  corpo  cruentao  suxo  lo  lecto  o  uedere  la  madre  lena  suxo  da  terra  andar 
con  un  lomento  che  passaua  lo  core  a  quanti  la  uedeua  ni  odiua  .  a  modo 
de  la  leone  quando  ell-a  perduo  lo  Alio  rugiua  [85]  digando.  0  filio  meo. 
0  Alio  meo.  0  fìlio  meo  que  he  questo  che  uedo  de  ti.  0  anima  mia  com 
tosto  tu  m  e  inuorao  e  no  so  corno.  E  queute  piage  son  queste  in  mezo 
delle  to  man.  Speranza  mia  'guarda  la  madre  andar  per  tute  le  piage  ha-  !•> 
xando  e  sanguan  la  soa  faza  baxando  quella  de  criste  sanguanada.  Alla  faza 
dixeua.  0  boca  mia  infiada  e  deturbada  tu  no  e  possudo  aue  un  poco  de  aqua 
da  beue  e  da  lauarte  la  toa  faza  e  la  toa  sanctissima  boca  conuerta  de  tanto 
desnor.  Or  beue  Alio  meo  de  le  lagreme  de  la  toa  trista  madre.  E  no  te 
poi  da  miga  d  aqua  poristu  or  to  de  questa  da  li  mei  ogij  quanto  ten  piaze.  20 
0  cor  meo  corno  e  tu  cossi  fortemente  aperto  senza  colpa.  0  man  me  [86] 
com  si  uo  squarzae.  0  testa  mia  comò  e  tu  pertusada.  0  pei  mei  comò  si 
un  ruti  e  infiadi.  0  terra  piaaze  o  celo  lomentate  .  o  aqua  fa  la  toa  que- 
rimonia contra  li  zudei  de  zo  eh  e  facto  al  uostro  creator.  0  apostoli  .  o 
Cristian  acompagne  la  madre  in  questa  soa  grameza  che  uè  imprometo  che  25 
color  che  1  au  acompagna  in  la  soa  grameza  .  ei  r  an  accompagna  in  la 
alegreza.  Adoncha  most[r]e  corapassiou  a  questa  .orfana  abandonada.  Lo 
tempo  passaua  e  ioseph  uoleua  sepeli  lo  corpo  e  la  madre  no  lassaua  di- 
gando. 0  Joseph  amigo  meo  e  te  domando  una  gratia  che  tu  me  lassi  sta 
un  poco  con  lo  meo  iilio  e  uo  1  o  possuo  uede  ni  aue  uiuo  .  almen  lasse-  ^^ 
melo  uede  [87]  morto.  Respondcua  yoscph  e-lle  oltre  done.  Madona  la  note 
uene  uu  no  ste  ben  qui  uoriuo  romagni  qui  morta  aliuen  se  nu  amo  perduo 
lo  filio  .  nu  no  uorauemo  perde  la  madre.  Madona  giiarde  quello  eh  e  de 
uostro  honor,  0  yoseph  perque  me  uo  tu  separa  da  colu  che  amo  più  cha 
tuto  lo  mondo.  Almen  se  tu  uo  sepelli  lo  meo  filio  .  do  lasseme  lo  abraza  e  35 
strenze  un  poco  lassame  to  comiado  da  si  oltramente  seterra  me  sego  in- 
sema senza  lu  no  posso  uiue.  Da  1  una  parte  yoseph  lo  couriua  e  lo  legaua 
da  1  oltra  parte  la  madre  lo  desugaua  con  tanto  pianzo  che  no  crezo  che 
lengua  al  mondo  no  lo  poraue  pensa  ni  dire  .  el  pariua  che  1  anima  con 
lo  corpo  se  deuesse  conuerti  in  lacreme.  [88]  Qascuu  che  la  uedeua  si  pian- 
Archivio  glottol.  hai.,  IX.  2 


40 


18  Salvioni, 

zeua  .  e  iiiaior  conipassiou  euano  de  le  clia  de  lu  che  era  morto.  Criste 
sepeìlido.  Sepelin  criste  a  grande  pena  fo  nienada  la  madre  a  caxa.  E  do- 
manda [89]  la  angelo  gabriello.  0  donzello  tu  me  dixisse  salutando  che  era 
piena  de  gratia  .  crezo  chel  no  fosse  me  .  ni  mai  sera  madre  cotanto  de- 
5  sgratiada.  Tu  dixisse  che  serene  benedicta  soura  tute  le  done  .  e  son  la  più 
biastemada.  Tu  dixisse  che  lo  me  lìtio  fructu  del  me  neutre  seraue  bene- 
dicto  .  or  quarda  [guarda]  corno  el  sta  in  la  sepultura  roto  e  scauezado.  L 
angelo  respoxe  aregordando  le  profezie  corno  el  deua  mori  e  resuscita  .  e 
cossi  digando  si  fé  taxe  la  dona.  Le  marie  no   se   incallauo   de  pianze  azo 

10  che  la  dona  no  consuma  pianzando.  Tu  spoxa  uà  de  fora  alla  sepultura 
pianze  con  la  maldelena  fin  che  in  forma  de  ortoran  tu  lo  uedere.  Se  tu 
troui  angeli  che  te  consola  no  sta  perzo  de  pianze  fin  che  [90]  yhesu  criste 
uedere  glorioso  e  resuscitao.  Gorre  ala  madi-e  e  di.  Madona  mia  alegreue 
che  so  di  per  certo   che  yhesu   criste   e   resuscitao  più  bello  e  più  lucente 

15  che  mai  lo  uedesse.  E  digande  zo  criste  uene  digando.  Pax  uobis.  E  consola 
li  sol  apostoli  e  tuti  li  oltri.  Ma  im  prima  la  madre.  Or  in  quisti  passi  pò  sta 
tanto  quanto  uu  pori.  E  domanda  a  criste  sopra  maystre  che  te  redriza  e 
informa  corno  el  che  [gè]  piaxe.  E  quando  tu  e  ben  e  consolation  arecordate 
de  lo  tristo  peccaor  che  questo  libreto  ha  componudo  per  duca  tego  a  sal- 

20  uation.  Prestante  domino  nostro  Jesu  Cristo  qui  uiuit  et  regnat  in  secula 
seculorum.  Amen. 


ì 


Antichi  testi  lombardi.  19 


[Esposizione  del  Decalogo,] 

[93]  Fides  slne  operibus  mortua  est  .  Et  sicut  corpus  sine  spiritn  mortuum 
est  .  Ita  fides  sine  operibus  mortua  est  in  semetipsa. 

Meser  sancto   iacob   si  dixe  ke  la  fé  e  morta  senza  1  cura.  Et  si   comò  Io 
corpo  e  morto  senza  lo  spirito.  Cosi  la  fé  senza  1  oura  e  morta  in  si  medesma- 
E  cossi  corno  lo  corpo  senza  spirito  e  morto  e  no  può  auere  nesuno  deleto     5 
carnale.  Cossi  la  fé  senza  1  oura  e  morta  e  no  pò  auer  nesun  deleto  spirituale. 
Et  si  corno  lo  corpo   quando   lo  spirito   e  morto    e  no   pò   auer  la  ulta  di 
questo  mundo.  Cosi  la  fé  senza  1  opra  no  pò  auer  ulta  eterna.  Et  si  corno  lo 
corpo  senza  lo  spirito  e  morto  corporalmente.  Cosi  1  anima  con  la  fé  senza 
1  oura  e  morta  spiritualmente.  Et  quilo  si  da  ad  intendere  ke  in  dui  modi    io 
uiue  1  anima  spi[94]ritualmeute  e  uaturalme[n]te.  Do  spiritualmente  lo  uiue 
de  1  anima  si  e  a  cognoscerc  deo  dritamente  senza  erore  .  e  .  amarlo  feruen- 
temente  senz  simulatione.  E-llo   naturai  uiue   de    1  anima  si  e  ke  deo  1  a 
creada  immortale  duncha  uiuerala  in  eterno.  E   tuti  quili  ke  seran  degnai 
in  inferno    si   au[r]an   eterna  nita  e   eternai   morte.  Eternai  ulta  ke    eter-    15 
ualmente  illi  uiueran  per  natura.  Eternai  morte  ke  li  sentiran  in  merauele 
e  terribele  penne.  Doncha  si  e  neccesseure  cossa  de  sauere  quelle  cosse  per 
li  que  1  anima  possa  scliiuare  le  eternai  penne  e  euenire  ala  eternai  gloria. 
E  queste  cosse  si  e  li  comandaminti  de  deo.  Cossi  comò  dixe  criste  in  tello 
cuangelio  ki  uore  auere  ulta  eterna  si  obserua  li  comandaminti.  E  li  coman-    20 
daminti   de  deo  si  in  dexe  .  de  li  que  dexe  li  tri  perteueno  a  deo  e  li  sete 
perte[95]neno  alo  proximo.  E  de  quili  tri  ke  perteneno  a  deo.  Lo  prume  se 
perten  al  padre.  Lo  segondo  alo  fìlio.  Lo  terzo  allo  spiritu  sancto.  E  lo  prume 
comandamento  ke  perten  spiritualmente  al  padi*e  si  dixe  no  dora  seno  uno 
deo.  Dominimi  deum  tuurn   adorabis  et  UH  solli  seruies.  Zo  si  e  a  dire  ke   25 
nu  demo  ere  kell-e  pur  un  deo  soUo.  Lo   qua  no  a  abiudo   comcnzamento 
ne  no  aura  fin.  Et  e  posscente  e  sauio  .  et  e  bon  et  e  creator  e  guberuator 
de  lo  ce  e  de  la  terra.  E  de  quelle  cosse   ke  se  pò  uedere  e  de  quelle  ke 
no  se  pò  uedere.  Et  per  questo  deo  se  demo  afadigare  a  cogiiosce  e  amarlo 
e  delectasse  in  lu  medesmo.  E  questo    comandamento    se  rompe   in  cinque    30 
modi.  Lo  prume  si  e  a  ere  kcl  no  sia  pur  uno  deo.  Lo  segondo  si  e  a  far  di- 
[96]uixion  de  la  trinità  cum  zo  sie  cossa  ke  lo  dixe  intro  quicumque.  Talis 
pater  talis  filìus  talis  spiritus  sanctus.  Lo  terzo  si  e  a  da  fé  a  indiuin  .  ne 
a  preganti .  ne  .  arlie.  Lo  quarto  e  a  dexidra  segnoria  sur  li  homini  del  mundo 
senza  raxon.  Lo  cinquene  si  e  seguire  la  uaritia  la  qual  e  radixe  di  tuti  li   35 
mali.  E  in  questo  comandamento  si  e  uedada  la  superbia  la  qua  no  e  oltro 


20  Salvioni, 

seno  a  dexidra  scgiioria  sur  li  oUri.  E  qailo  si  bexognia  domandare  un 
don  .  zoe  lo  teinore  de  deo  a  la  qua  e  ligao  una  uirtue  zoe  la  pouerta  e  la 
humilita  .  la  qual  merita  una  beatitudene  zoe  lo  reguamo  del  celo  .  donde 
dixe  crisle  in   tei  uangelio.   Beati  pauperes   spiritu  quonlatn   ipsorum   est 

5  regnum  celorum.  Lo  segondo  comandamento  ke  perten  spiritalmente  alo  filio 
si  dixe  no  prende  lo  nome  de  deo  in[97]uan.  Non  assummes  nomem  dei  in- 
uamim.  Zo  si  e  a  dire  ke  nu  no  demo  zura  per  la  nome  de  deo  senza  oltrita  . 
doncha  quando  e  oltrita  ke  nu  zuramo  possemo  ben  zurare  senza  peccao  . 
deo  non  a  uedao  corno  no  possa  ben  zurare  quando  e  oltrita  com  zura  per 

10  lo  so  nome  tanto  .  lo  n  a  uedao  comò  dcbia  zurare  per  Io  nome  de  nesuna 
persona.  E  quando  tu  zuri  per  alcuna  creatura  e  ke  tu  zuri  boxia  illora  e 
tu  la  nome  de  deo  in  uan.  E  in  quatro  cosse  zoe  modi  se  prende  lo  nome 
de  deo  in  uan.  Lo  prume  si  e  a  zurare  per  male  usanza  e  per  descorra- 
mento  de  parole.  Lo  segondo  si  e   quando  1  omo  si  zura  da  far  alcun  ben 

15  lo  qua  ben  e  bon  e  discreto  e  tu  desprexi  lo  znramento  ke  tu  no  uo  fare 
zo  ke  tu  e  zurao.  Illora  si  no  pecchel  miga  quando  al  zura  aze  peccha 
quando  el  [98]  no  uore  fa  zo  kell-a  zurao.  Lo  terzo  si  e  quando  tu  zuri 
de  fa  alcun  male  illora  no  pecchi  tu  miga  quando  tu  no  fé  zo  ke  tu  e 
zurao  .  anzi  pecchi  pur  quando  tu  zuri.  Lo  quarto  si  e  a  ere  ke-llo  fìlio  de 

20  deo  segondo  diuinita  sia  creatura.  E  quitto  si  e  da  ueder  ke  quatro  si  e 
quelle  cosse  .  ke  fa  omicha  promissione  e  omicha  zuramento  fermo  Lo 
prumer  si  e  ke  1  abia  suffitiente  cognoscimento.  Lo  segondo  kel  sia  libero. 
Lo  terzo  ke  quello  kell  inpromete  sia  ben  e  discreto  e  bello.  Lo  quarto  kel 
imprometa  con  1  anima  deliberamente.   Lo    terzo   comandamento  ke  perten 

25  spetialmente  allo  spirito  saucto  si  dixe.  Memento  ut  diem  sabbati  sanctifices  ^ 
sex  diebus  operaberis  et  faties  in  eos  omnia  opera  tua  .  septimo  aiifem  die 
sabbati  est  domini  dei  tui.  Regordeue  [99]  de  sanctificare  lo  di  del  sabbato. 
E  da  la  resurrectione  de  criste  in  za  si  e  da  fi  sanctifìcao  lo  di  de  la  do- 
menega.  E  questo  comandamento  si  dixe  tre  cosse.  La  prima  si  dixe  ke  nui 

30  demo  cessa  da  tugi  li  peccai.  La  segonda  da  tugi  li  lauor  tempore  .  tolendo 
fora  tri  caxi.  E  prume  si  e  caxone  de  necessita.  Lo  segondo  e  la  miseri- 
cordia. Lo  terzo  per  fuzi  alla  accidia  la  qua  no  e  altro  seno  auer  in  fastidio 
le  parole  de  deo.  E  da  un  don  zo  si  e  la  forteza  .  a  la  qua  e  ligao  una 
uirtu  zoe  auer  fame  e  sede  de  la  iustisia  .  la   qua  merita  una  beatitudine 

85  zoe  une  sauor  [fauor]  eterno  donde  dixe  criste  in  tei  uangelo.  Beati  qui 
exuriunt  et  sitiunt  iustitiam  qiioniam  ipsi  saturabuntur.  La  terza  cossa 
ke  dixe  lo  comandamento  si  dixe  ke  nui  se  demo  adourare  in  lauori  spi- 
ritue  li  que  [100]  si  intende  in  sex  modi.  Lo  prime  si  e  orare.  Lo  segondo 
parla  de  deo  on  odi  parla.   Lo   terzo   aministra  li   sacraminti   de  la   sancta 

40  ecclesia  e  questo  pentene  [pertene]  ali  prcuidi.  Lo  quarto  e  a  uisitar  e  a 
confortare  li  infirmi   .   e   quitti  ke  fosseno    tributai.   Lo  cinquen  e  me  pax 


Antichi  testi  lombardi.  21 

intre  quilli  ke   fosseno   tribolai   e  in  descordia.  E  lo   sexen  uisitare  li   loxi 
sancti.  E  in  questo  comandamento  si  e  uedada  la  insidia.  Lo  primer  coman- 
damento de  li  sete  ke  perten  alo  nomen  del  proximo  si  dixe.  Eonora  patrem 
tuum  et  matrem  tuam  ut  sis  longeims  super  terram  quam  dominus  deus  dahit 
tibi.  Honora  lo  to  padre  e  la  toa  madre.  E  quillo  si  se  intende  1  ono  eli-amor   ^ 
d  amare  lo  padre  e  la  madre.  Per  lo  padre  e  per  la  madre  se  si  intende  omica 
omo.  [101]  E  donca  no  e  oltro  a  dire  honora  lo  padre  to  e  la  madre  toa  seno 
amar  lo  proximo  to  si  corno  ti  medexmo.  E  quatro  si  e  quelle  cosse  per  le  que 
nu  demo  amar  lo  proximo.   Dilectio   dei  amor  proximi  comtemptlo  sui  et 
comtemptio  sui.  La  primera  cossa  dexidra  che  [ghe]   uita  eterna  si  comò  a    ^^ 
si  .  e  pregar  deo  per  lu  si  com  per  si.   Lo  segondo  si  e  perdonage  tute  le 
iniurie  ke  auessemo  receuude  da  si  .  si  comò  nu  uorauemo  ke  deo  perdo- 
nasse a  nu.  Lo  terzo  amaistrarlo  in  tella  leze  de  deo  azo  kel  sia  saluo.  Lo 
quarto  soruenillo  in  tute  le  necessile   sicomo  nu  uorauemo  ke  fisse  fagio  a 
nui.  E  in  questo  comandamento  si  e  uedada  la  inuidia  la  quale  no  e  oltro    '^ 
seno  auer  dolore  del  ben  del  proximo.   Et  in  do  parte  sta  1  amor  del  pro- 
ximo. [102]  Lo  primer  si  e  in  zouarge  .  lo  segondo  in  no  noxere.  El  zoua- 
uiento  ke  nu  demo  da  al  proximo  si  a  mo  dicto  in   questo  prumer  coman- 
damento. Et  no  nocimento  si  e  deuedao   in   quisti  sex  ke  segueno  comò  el 
dixe  in  questo  no  fa  omicidio.  Non  oecides.  Non  loqiieris  contra  proximum   -^ 
tuum  falsum  testimonium.  Non  concupisces  domiim  proximi  tui  .  nec  desi- 
derabis  uxorem  eius    Non  seruum  non  ancillam.   Non  bouem  non  asiniim 
nec   omnia  que  in  ilUus  sunt.  Et  omicidio   se  fa  per  dexe  modi.  Lo  prime 
si  e  per  odio.  Lo  segondo  per  da  rea  fama.  Lo  terzo   de  dage  reo  conselio 
alo  proximo  per  lo  quale  al  se  parte  da  le  oure  de  deo.  Lo  quarto  a  torge   25 
quelle  cosse  donde  al  de  uiue  e  omia   aitorio  per  lo  qua  la  soa  uita  [103] 
se  pò  couserua.  Lo  cinquen  si  e  a  no  gè  da  de  quelle   cosse  per  li  que  el 
possa  uiue  e  omicha   aitorio  per  lo   qua  lo  soa  uita  se  possa  conserua.  Lo 
sexeno  si  e  a  conselia  kel  sia  morto.  Lo  seteno  si  e  a  dage  aitorio  kel  sia 
morto.  Lo  nouen  si  dixe  olzilo  con  la  propria  uolunta.  Lo   dexeno  si  e  ol-    "^^ 
cirlo  segondo  k  e  ordenao  per  la  leze  de  deo.  E  questo  si  ap[er]tene  pui-  alli 
segnori  de  terre  .  e  se  ilio  fan  segondo  k  e  ordenao  per  la  leze  de  deo  illi  no 
peccano  miga  anzi  gè  meritano.  L  undexena  si  e  defendendo  si  segondo  k  e 
ordenao  per  la  leze  de  deo.  Lo  dodexen  per  auegnimento.  E  in  questo  co- 
mandamento si  e  deuedada  1  ira  la  qua  no  e  ortro  seno  a  desidrar  desue-    ^^ 
sigea  de  1  ingurie  [ingiurie]  ke  gli  in  fagie.  Lo  terzo  comandamento  ke  perten 
spetialmente  al  amor  del  proximo  se  [104]  dixe  no  fa  fornication.  E  in  questo 
comandamento  si  e  deueda  tugi  li  delecti  carne  ke  desce[n]deno  da  la  hu- 
mana  natura  li  que  descendono  per  zinque  modi.  Lo  primer  si  e  per  ueder. 
Lo  segondo  si  e  per  odire.   Lo   terzo  per   odorare.    Lo   quarto  per  gustare.   ^^ 
Lo  zinquene  per  locare.  Et  auegniake  naturalmente  1  umana  natura  se  de- 


22  ■  Salvioni, 

lecta  in  quisti  zinque  modi  spetialmente  ella  se  delecta  ilio  uitio  de  la  golia. 
Et  in  lo  peccao  dra  golia  e  in  lo  uitio  dra  luxuria.  E  lo  uitio  dra  gola  no 
e  oltro  seno  tropo  mangiar  e  tropo  bene.  E  lo  uitio  dra  luxuria  si  se  co- 
mete per  zinque  modi.  Lo  primer  si  e  fornication.  Lo  segondo  si  e  adul- 
5  terio.  Lo  terzo  si  e  stup[r]o.  Lo  quarto  incesto.  Lo  zinqucn  si  e  peccao  contra 
natura.  E  in  questo  comandamento  si  e  deuedao  [lOS]  lo  uitio  dra  gora  e 
lo  uitio  della  luxuria.  Lo  quarto  comandamento  ke  perten  al  proximo  si 
dixe  no  fa  furto.  Non  flirtimi  faties.  E  furto  non  e  oltro  seno  a  tor  cosse 
contro  lo  uolenta  de  quilli  ke   le   possedeno.  E  furto  se  fa  per  sexe  modi. 

10  Lo  prime  si  e  quello  deli  ladroni  .  ke  inuolano  al  proximo  occultamente. 
Lo  segondo  si  e  quello  de  li  robau  ke  robano  lo  proximo  paresraente.  Lo 
terzo  si  e  quello  delli  usurarij  ke  soto  spetia  de  pietà  toUeno  la  roba  al 
proximo.  Lo  quarto  si  e  quello  dri  falsi  mercadanti  li  que  soto  spetia  de 
mercantia  corapremo  [compreno]  e  uendeno  contra  raxon.  E-llo  zinqaene  si 

15  e  quello  delle  false  segnorie  li  que  no  stan  suso  lo  so  sciarlo  auze  tolleno 
la  roba  al  proximo.  E-llo  sexen  si  e  quello  deli  richi  auari  ke  uè  lo  pouero 
destregio  [106]  allo  uecesso  e  no  lo  uoreno  aidarlo  e  souenirlo.  Lo  cinquen 
comandamento  ke  perten  allo  nome  del  proximo  si  e  no  dir  falso  testemonio. 
Non  loqueris  contra  proximum  tuuni  falsum  testìmonium.  E  falzo  testimonio 
se  fa  per  quatro  modi.  Lo  prime  si  e  per  odio.  Lo  segon  per  amor  de  la 
contraria  parte.  Lo  terzo  per  peccunia.  Lo  quarto  per  temore.  Et  in  questo 
comandamento  si  fi  uedai  tugi  li  peccai  de  la  lengua  li  que  si  hin  sedexe. 
Lo  primer  si  e  pai'la  parolle  otiose.  Lo  segondo  si  e  lonxengare.  Lo  terzo 
si  e  simulare.  Lo  quarto  laudare.  Lo  cinquen  si  e  a  impremete  e  no  atende. 

25  Lo  sexen  menti.  Lo  sete[n]  zura.  Lo  seten  sperzura.  Lo  nouen  infama.  Lo 
dexen  maledir.  Lo  undexeu  seminar  discordia.  Lo  dodexen  me[107]uazare.  Lo 
tredexen  excussasse.  Le  quatordexen  mormora.  Lo  quindexen  biastema.  Lo 
sedexen  si  e  falso  testimonio  com  e  digio  denanze.  Lo  sexen  comandamento 
ke  perten  ala  nome  del  proximo  si  dixe  no  desidra  la  mulier  del  proximo. 
Nec  desideraberis  uxorem  proximi  tui.  E  lo  seten  si  dixe  no  desidra  le  sq 
cosse.  Non  concupisces  domum  proximi  tui  .  non  seruum  .  non  ancillam  . 
non  boues  .  non  asinun  .  nec  omnia  quae  illius  sunt.  La  sententia  de  quisti 
dui  comandamenti  se  pare  ke  sia  una  pur  una  con  quilli  dui  ke  no  fornica 
no  inuola.  Non  mechaberis  non  furtum  faties.  Ma  al  gè  quillo  tante  diuision 

35  ke  quilli  parleno  dra  oura  e  quisti  parleno  dra  uorenta.  E  no  soramente  a 
fornica  e  inuoUa  e  peccao  morta.  [108].  Ma  etiamde  a  uege  la  uolonta  de- 
sponuda  a  fornica  e  inuola  che  intro  peccao  morta  senza  1  oura.  E  cossi 
ben  e  da  intender  de  tugi  li  oltri  peccai  k  in  intri  li  comandarainti. 


Antichi  testi  lombardi.  23 


[C  anz  on  e,] 

Partete  core  e  vate  a  lo  amore 
Vate  a  icsu  che  in  croxe  si  more 
Piange  dolente  e  anima  predata 
Ke  stai  vedoata  de  christi  amore 

Io  volto  piangere  ke  ami  azo  invito 
Ke  ago  perduto  padre  e  marito 
Christo  piangendo  gilio  fiorito 
Essere  partito  per  lo  mio  gran  falore 

Pianze  dolente  e  zita  suspiri 
Ke  tu  hay  perduto  lo  dolze  tuo  sire 
Forse  per  piancto  lo  faray  venire 
Al  sconsolato  e  tristo  mio  core 

0  iesu  christo  unde  tu  may  lassato 
Infra  li  inimici  cossi  circundato 
Hano  mi  falito  li  molti  peccati 
0  e  resistenza  non  azo  valore. 

Ogi  mei  de  piangere  non  linate 

De  piangere  tanto  che  lume  perdate 

Perduto  havite  la  hereditate 

De  resguardare  alo  polito  splendore. 

0  oregie  mee  que  ve  delecta 

De  odire  piancto  de  cossi  amara  festa 

No  rexentite  la  voxe  delecta 

Ke  ve  ne  faza  cantare  iabilatione. 

0  core  mio  que  voristu  fare 

Suxo  la  croxe  voristu  montare 

De  no  te  incresca  salire  quelle  scalle 

Ke  le  salute  lo  nostro  grande  segnore. 


Sj4  Salvioni,  Antichi  testi  loiubardi. 


0  core  mo  che  sei  cossi  duro 
Più  che  non  e  la  petra  de  lo  muro 
Vane  a  la  croxe  e  vederay  cristo  nudo 
Li  si  fa  lo  pianto  de  la  tua  fallilion 

0  core  mio  che  sei  cossi  indurato 
Che  con  la  pesa  me  pare  sigillato 
Vate  a  iesu  e  mirali  el  costato 
Chi  gli  fo  fato  solo  per  tuo  amore. 


RICERCHE 

SUI 

PRONOMI  PERSONALI  E  POSSESSIVI  NEOLATINI, 


F.   r>'  o  V  I  r>  I  o. 


Sommario:  Esordio.  —  LI  riflessi  di  ego.  —  II.  Le  vocali  in  iato;  in  ispecie 
quelle  di  *eo,  raeus,  tuus  ecc.  —  IIL  I  riflessi  enfatici  di  me  e  mihi, 
te  e  tibi  ecc.  —  IV.  I  riflessi  atonici  di  me  e  mihi  ecc.  —  V.  egli  = 
ille. 


I  rapporti  tra  le  voci  pronominali  romanze  e  le  latine,  mentre 
sono,  all'ingrosso,  di  un'evidenza  tale,  da  non  parer  che  vi  sia 
neppure  il  bisogno  d'indicarli,  presentano  però,  chi  si  metta 
a  volerli  determinar  con  minuzia  e  precisione,  difficoltà  che  non 
son-tra  le  più  lievi  in  cui  un  romanista  si  possa  abbattere.  Ta- 
lora è  il  processo  fonetico  che  non  è  chiaro.  Come,  p.  es.,  da  ego 
siasi  venuto  a  io  anziché  a  "^jego  o  ad  *eggo',  se  il  dittongo  {ie  =  e) 
vi  sia  per  avventura  risonato  un  tempo  anche  in  quelle  lingue 
ove  ora  non  appare  (pg.  eu  ecc.);  e  se,  dove  appare  (prv.  ieu  ecc.), 
esso  sia  davvero  il  normal  continuatore  dell'  e  o  non  piuttosto 
la  semplice  resultanza  di  una  prostesi  di  7-,  ecc.  :  sono  questioni 
d'interesse,  se  si  vuole,  scarso,  specie  se  così  circoscritte,  ma 
pur  difficili  alquanto  a  risolvere.  E  la  certezza  stessa,  si  badi,  che 
p.  es.  io  d'  un  modo  o  d'  un  altro  debba  assolutamente  risalire 
ad  ego,  è,  in  questo  come  in  simili  casi,  la  maggior  croce  per  il 
fonologo  ;  il  quale  non  può  nemmeno,  come  per  le  'parole'  vere 
e  proprie  s'è  fatto  oramai  più  volte  giungendosi  p.  es.  a  seque- 
strare lupus  da  l'j/.o;  e  deus  da  S^£>:,  troncare  la  questione 
col  negare,   o  col  sospettarla  meramente    casuale   0   parziale,  la 


26  D'  Ovidio, 

rispondenza  fra  i  due  termini  che  non  si  riesce  a  equiparare 
mercè  le  solite  norme  fonologiche.  Tal  altra  volta  la  difficoltà  con- 
siste nel  rintracciare  a  quale  precisamente  de'  casi  obliqui  latini 
risalga  la  voce  obliqua  romanza.  Se  p.  es.  il  pg.  sp.  lomb.  ven.  mi 
{de  mi  ecc.)  sia  pur  esso,  come  l' it.  ine,  la  voce  d'accusativo  latino, 
con  r  è  fatta  «*,  cioè  con  una  alterazione  fonetica,  se  non  inaudita, 
certo  infrequente,  in  quegli  ambienti;  ovvero  se  s'abbia  a  ricon- 
nettere col  mi  0  col  mi  hi;  e  se  il  tose,  atonico  mi  sia  un  as- 
sottigliamento fonetico,  che  non  par  difficile  in  vocale  atona,  del 
me  latino  {uccidimi  =  oc  eia  e  me),  o  una  stretta  continuazione  di 
mi  {dammi  la  mano-àa.  mi  illam  manum)  o  mi  hi  (*mii), 
od  un  po'  di  tutt'  e  due  le  cose  ;  se  lo  sp.  pg.  lomb.  ven.  romanesco 
me  dativo  atonico  {dame  la  mano)  sia  un  incrassimento  vocalico 
del  lat.  mi,  od  una  estensione  analogica  del  lat.  me;  ecc.  ecc.: 
e'  son  tutti  dubbj  che  si  posson  fare,  essendovi  per  ogni  ipotesi 
il  prò  e  il  centra.  E  può,  tra  l' altro,  non  esser  nemmen  certo  che 
p.  es.  lo  sp.  me  e  il  roman.  me,  pur  essendo  materialmente  iden- 
tici, abbiano  la  stessa  origine;  e  in  tali  casi  può  nascer  dubbio 
se  sia  più  prudente  l'accondiscendere  ad  ammettere  qualche  al- 
terazion  fonetica  un  po'  insolita  per  qualcuno  de'  varj  ambienti, 
pur  di  ottenere  che  le  voci  romanze  d'identica  funzione  si  ripor- 
tino dappertutto  a  un  unico  prototipo  latino  ;  ovvero,  pur  d'evi- 
tare per  ogni  lingua  ogni  anomalia  fonetica,  persuadersi  che  le 
favelle  romanze  abbian  continuato  questa  un  caso  e  quella  un  altro, 
del  pronome  latino.  S'aggiunge  la  picciolezza,  per  lo  più,  di  queste 
paroline  pronominali,  che  non  dan  presa  ad  una  analisi  che  le  vo- 
lesse investir  da  più  parti;  onde  la  questione  che  le  concerne 
si  raccoglie  le  più  volte  in  un  punto  solo,  su  cui  lo  sguardo  s'af- 
fisa lungamente  invano  e  finisce  col  vacillare. 

Pure,  non  vogliamo  dire  che  le  difficoltà  sieno  addirittura  insor- 
montabili; ed  un  accurato  studio  comparativo  delle  forme  varie 
de'  varj  idiomi  romanzi,  e  uno  scrutinio  così  insistente  di  ogni 
singola  forma,  che  non  lasci  intentata  alcuna  delle  ipotesi  cui 
essa  può  dar  luogo,  possono  qui  condurre  in  parte  alla  chiara  per- 
cezione del  vero ,  in  parte  almeno  a  quella  netta  circoscrizione 
del  dubbio,  alla  quale  spesso  è  forza  acquetarsi  anche  per  sog- 
getti più  importanti  che  non  sia  questo  assai  modesto,  di  cui  mo- 


Pronomi  personali  e  possessivi.  27 

destamente  qui  tratteremo.  E  intorno  al  quale,  intanto,  voglio 
subito  avvertire  che  a  parer  mio  tre  sono  soprattutto  non  so  se 
dire  i  risultati  o  i  criterj  dello  studio  che  se  ne  faccia:  -  il  bi- 
sogno di  ricorrere  anche  qui  con  più  confidenza  alla  azione  delle 
spinte  analogiche;  -  la  convenienza  di  considerar  bene  gli  effetti 
della  funzione  spesso  atonica,  sì  proclitica  {io  so  e  sim.)  e  sì  enclitica 
(dammi  e  sim.),  dei  pronomi,  sopra  le  lor  vicende  fonetiche;  -  la 
ragionevolezza  del  convincersi  sempre  più  che  la  declinazion  pro- 
nominale romanza  è,  quanto  e  più  che  la  nominale,  lo  assetta- 
mento alla  buona,  e  un  po'  diverso  secondo  i  diversi  ambienti, 
delle  sparse  reliquie  del  naufragio  della  declinazion  latina.  A  me, 
ad  esse,  a  cui,  a  loro,  mostrano,  p.  es.  pareggiati  nella  funzione 
i  continuatori  di  un  accusativo,  di  un  nominativo,  di  un  dativo,  di 
un  genitivo:  ad  me,  ad  ipsae,  ad  cui,  ad  illorum;  a  quel 
modo  che  al  corpo,  alla  moglie,  al  fulmine,  ci  danno  il  pareggia- 
mento di  un  accusativo  (corpus),  di  un  nominativo  (mulier),  di  un 
ablativo  (fulmine)  \ 

Ed  ora,  chiedendo  scusa  dei  troppi  preamboli,  vengo  alle  mie 
poche  note.  E  incomincio  dalla  rassegna  delle  forme  latine  del 
singolare  di  prima  e  seconda  persona  e  del  riflessivo,  che  sono: 
ego,  mei,  mtht  mi,  me;  tii,  tui,  ttbt,  té;  sui,  stbì^,  sé  ^ 


1  A  proposito  della  seconda  delle  massime  or  ora  da  me  enunciate,  cioè 
del  doversi  considerar  la  parola  nella  sua  funzione  effettiva  nel  discorso 
per  bene  spiegarsene  le  vicende  fonetiche,  voglio  ricordare  alcune  acconce 
parole  di  uno  de'  più  ingegnosi  sostenitori  di  detta  massima,  il  prof.  Federico 
Neumann.  Il  quale,  or  son  già  alcuni  anni,  nel  '  Literaturblatt  fiir  germ. 
und  roman.  Philologie'  (ITI,  n."  12),  scriveva:  "  .  .  .  .  aus  dem  Princip  der 
sogenannten  Satzphonetik;  das  meiner  Meinung  nacli  in  der  romanischen 
Lautlehre  nodi  nicht  die  gebùhrende  Beriicksichtigung  erfahren  hat.  Wir 
miissen  stets  einen  Satz  ira  Auge  behalten  :  ein  Wort  entwickelt  sich  nie 
an  sich,  sondern  stets  nur  gemiiss  der  Stellung,  die  es  in  Satzzusammenhang 
einnihmt.  So  kann  ein  Wort  ...  in  verscliiedenem  Satzzusammenhange  oft 
ganz  verschiedene  Betonung  haben,  es  kann  einraal  den  Hochton,  ein  auder 
Mal  Nebenton  oder  gar  keinen  Acceut  liaben,  wodurch  naturgemàss  eine 
verschiedene  Lautentwicklung  bedingt  isl.  „  Ma  queste  savie  parole  rispon- 
devano, del  resto,  a  criterj  già  applicati  in  Italia  dai  nostri  migliori. 

-  L' -0  di  ego  e  V -i  di  mihi  ecc.  erano  originariamente  lunghi,  ma  di- 
vennero poi  nell'uso  interamente  brevi,  salvo  che,  per  la  solita  tradizione 
arcaica  che  la  poesia  conserva  e  usufruita,  si  trovano  non  di  rado  misurati 
ancora  come  lunghi  ne'  poeti. 


28  D' Ovidio, 

E  me,  ti,  se,  erano  accusativo  e  ablativo  insieme;  onde  il  neo- 
latino non  fece  qui  che  ereditare  quella  identità  estrinseca  tra  i 
due  casi  (ad  me,  de  me;  per  me,  si  ne  me;  in  me  conver- 
tite ferrum,  in  me  situm  est;  etc),  che  nei  nomi  imparisillabi 
invece  non  ebbe  se  non  per  livellamento  fonetico  popolare  (acc. 
amor e[m]  =  abl.  amore).  Una  differenza,  del  resto,  meramente 
cronologica,  in  fin  de'  conti;  se  è  vero  che  il  me  ecc.  accus.  e  abl. 
classico  era  risultato  dal  livellamento  dell'abl.  are.  me  d  téd  sid, 
quando  perde  il  -e?,  con  1' accus.  me  ti  si,  di  cui  la  lunga  ri- 
chiamerebbe quella  delle  forme  asiatiche  (sscr.  mam  tvàm,  zend. 
mam  thvam)  o,  forse  meglio,  delle  corrispondenti  enclitiche 
(sscr.  z.  ma;  sscr.  tvà,  z.  thvà)\  Comunque,  di  tutte  le  forme 
latine  testé  registrate,  bisogna  lasciar  cadere  solo  quelle  di  ge- 
nitivo, mei  tui  sui,  -  che  del  resto  scarsa  vitalità  aveano  nello 
stesso  latino,  per  via  de'  possessivi,  che  filius  meus  rendea  inu- 
tile e  stonato  un  filius  mei  T;aT;  aou,  e  al  più  il  genitivo  era 
opportuno  quand'era  objettivo  (raagnum  desiderium  tui  reliqui- 
sti,  etc.)  e  coi  verbi  (oblitus  mei,  etc.)  ^-  e  tutte  le  altre  (ego, 
me,  ecc.)  considerarle  come  continuatesi  tutte  in  favella  romanza: 
anche,  beninteso,  mihi  tibi  sibi,  se  non  altro  (ci  basti  questo 
per  ora)  in  grazia  del  rumeno.  Or  vediamo  d'ogni  forma  pronomi- 
nale latina  le  vicende  romanze. 

I.  ego.  —  Molti  testi  italiani  arcaici  %  e  anche  molte  va- 
rietà dialettali  odierne  ^,  e  il  logudorese,  e  il  còrso,  ci  danno  il 
riflesso  eo;  che  è  pure  nei   'Giuramenti  di  Strasburgo'.  Sembra 


^  Quest'ultima  ipotesi,  me  =  ma  ecc.,  che  metto  innanzi  con  la  debita  mo- 
destia, mi  pare  spiegherebbe  l'assenza  deli'  -m  flessionale  in  me  ecc.  e  forse 
la  stessa  abbreviazione  della  vocale  greca  (f^s  «ré  e).  —  Intanto,  que'  casi 
in  cui  il  latino  arcaico  ci  dà  med  ecc.  in  funzione  d'accusativo  s'avranno 
a  spiegare,  col  Corssen  {Ausspr.  II  456,  Znr  ital.  sprachk.  599-605),  come 
sporadici  straripamenti,  per  ragioni  eufoniche,  dello  ablativo  nello  accusativo, 
avvenuti  quando,  vacillando  il  -d  ablativale,  le  forme  de'  due  casi  eran  già 
quasi  livellate. 

■"  KiÌHNER,  Ausfuhrl.  gramm.  d.  lat.  spr.,  II  434-6. 

•''  Veggasi,  oltre  i  lessici,  il  Caix,  Origini  ecc.,  p.  S0-S3.  Per  l'ant.  venez., 
Ascoli,  Arch.  I  469-70,  IH  263. 

*  Per  dirne  una,  una  varietà  dell'avellinese. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  29 

la  più  prossima  continuazione  della  forma  latina,  dalla  quale  non 
differisce  se  non  pel  -g-  dileguato  *.  Il  qual  dileguo  è  così  fermo  nei 
riflessi  romanzi  di  ego  ^,  da  doversi  ritenere  già  seguito  nel  latino 
popolare;  dove  sarà  stato  agevolato,  o  addirittura  provocato,  dalla 
frequente  proclisia  del  vocabolo  ^ 

Ad  eo  si  riconnettono  subito,  da  un  lato,  la  forma  apocopata 
e'  *  ;  dall'altro,  la  epentetica  ejo  pur  dell'ant.  venez.,  eju  del  córso 
e  del  sd.  sett.  ^.  E  vi  si  riconnette  pur  subito  la  forma  eu^  che  è 
portoghese,  rumena,  provenzale,  bassoengadina  {eug^  eu)^  leccese, 
calabrese,  sicula '',  e  si  trova  anche  nel  'Poema  della  Passione'. 
Come  pur  vi  si  riconuettono  le  forme  prostetiche  deo^  deu,  di  al- 
cune varietà  sarde. 

Da  eo  nacque,  con  1'  é  in  i  come  in  Dio  mio  ecc.,  Vio  toscano, 
romano,  marchigiano,  umbro,  avellinese  \  ecc.  Da  io  s'  ebbe  la 
forma  apocopata  i\  che  è  toscana  e  piemontese  *  e  ancor  più  na- 


^  L'analogia  migliore  qui  all'Ascoli  par  quella  dei  casi  come  fo  =  *fàug  - 
fago-,  ecc. 

^  Non  dimentico  l'ego,  attribuito  a  qualche  varietà  logudorese,  né  V eiig 
basso-engadino. 

*  Un  po'  diversamente  considerava,  più  anni  sono,  la  mancanza  del  -g- 
ne'  riflessi  neolatini  1' Ascoli,  St.  Crit.  II  180  sg. 

*  Si  ha  in  dial.  merid.  (p.  es.  1'  ebolitano),  in  córso,  nell'  ant.  venez.  ecc. 
^  A  codesto  tipo  s'avrebber  par  a  ridurre  le  forme  che  il  Dizionario  del 

LiTTRÉ  registra  come  ijiccarde:  ege,  ej',  euj'.  In  massima  però,  i  ragguagli 
del  Littré  circa  forme  dialettali  moderne  pare  a  me,  e  ad  altri  più  esperto 
di  me,  che  sieno  da  accogliere  con  circospezione. 

"  S'intende  che  nominando  certe  regioni  accenniamo  solo  a  parti  di  esse,  a 
loro  varietà  dialettali;  onde  le  riavremo  poi,  le  stesse  regioni,  pur  per  altre 
forme.  Sarà  poi  inutile  avvertire,  e  lo  facciamo  a  ogni  modo  una  volta  per 
sempre,  come  noi  teniamo  sempre  presenti,  oltre  altri  libri  che  qua  e  là  ri- 
corderemo, per  il  siciliano  il  Pitrè  (Fiabe  ecc.,  I  ccx),  per  il  leccese  il  Morosi, 
pel  prov.  e  l'ant.  fr,  le  due  Crestomazie  del  Bartsch,  per  il  ladino  il  primo 
volume  dell'Archivio. 

'  Negli  altri  dialetti  meridionali,  la  finale  è  annebbiata,  al  solito  :  te,  ije. 
Ed  io,  in,  si  hanno  anche  in  varietà  sicule.  V  è  1'  io  anche  nei  *  Giura- 
menti' e  nel  'Giona',  e  V  iou  in  una  prosa  provenzale;  ma  non  mi  risultano 
sicuri  quanto  alla  sede  dell'  accento,  onde  non  oso  ascriverli  troppo  risolu- 
tamente a  questa  categoria  anziché  alla  successiva. 

*  In  piemontese  si  fa  poi  j'  avanti  a  vocale  {f  avia  e  slm.,  accanto  a  * 
fasia   e  sim.).   Ma  ò  poi  sottinteso   che   nella  posizione  enfatica  il  piemon- 


so  D' Ovidio, 

poletana,  e  anche,  pare,  di  qualche  dialetto  francese  (nivernese; 
V.  Littré  diz.),  e  di  qualche  luogo  della  Sicilia,  la  quale  poi  in 
altri  suoi  territorj  ha  svolta  codesta  forma  con  la  epitesi  di  un 
-a  (la).  Da  io,  con  una  inversione  d'accento  assai  facile  a  com- 
prendersi tra  vocali  attij^ue,  e  tanto  più  in  voce  frequentemente 
quasi  proclitica,  s'ebbe  *èo  *  e  quindi  jo,  ed  è  la  fase  rappresen- 
tata da  qualche  /o  siciliano,  dal  ladino-centrale  e  friulano,  dal 
i/o  spagnuolo,  dal  valsoanino  jo,  go  ^  dal  jo  del  'S.  Alexis',  e  dal 
je  comune  francese  ^.  Circa  1'  e  muta  da  -0  in  quest'  ultimo,  po- 
trebbe veramente  nascere  qualche  perplessità.  Certo,  1'  e  v'è  sorto 
nella  funzione  atonica  (e  il  francese  moderno  non  ne  conosce 
altra!),  e  s'è  poi  diffuso  anche,  in  antico,  alla  enfatica.  Ma  se  Ve 
muta  =  0  è  normale  in  francese  all'uscita,  onde  parrebbe  regolare 
nel  caso  nel  pronome  affisso  {ai-je  e  sim.),  in  sillaba  protonica 
invece  l'O  si  suol  riflettere  in  francese  per  u  (ou),  come  si  vede  p. 
es.  in  pouvoir  jouer  ecc.,  onde  non  parrebbe  poi  naturale  1'  e  nel 
caso  del  pronome  che  anteceda  il  verbo  {je  fais  ecc.).  Sennonché 
je  appartiene  a  quel  piccol  drappello  di  voci  'sui  generis',  in  cui 
entrano  pure  la  negazione  wg  =  no[n]  (cfr.  nenil)  e  ce  =  ciò  *, 
le  -  ilio-,  Us  =  illos  ecc.  ! 

La  stessa  fase  jo,  di  cui  stiamo  raccogliendo  ì  rappresentanti, 
è  da  riconoscere,  salvo  1'  o  assottigliato  in  m,  nel  Ju  jou  d'antichi 


tese  dice  mi  come  tutta  1'  Alta  Italia  ;  ed  il  toscano  dice  io  senz'  apocope. 
E  per  ciò  io  dico  nel  testo  che  ^'  è  ancora  più  napoletano;  perchè  in  na- 
poletano può  usarsi  anche  enfaticamente  {songh'  i',  oltre  songh'  ije).  '  Na- 
poletano '  qui  poi  ha  il  senso  lato  che  gli  danno  i  Toscani,  e  v'  includo  il 
pugliese,  il  saunitico,  1'  abruzzese  ecc. 

^  Potrebbe  anche,  però,  la  permutazione  dell'accento  essere  seguita  nella 
fase  con  l' e,  cioè  da  éo  essersi  fatto  eó  e  quindi  io  ;  o  potrebbe  essersi 
verificato  ciò  solamente  in  certi  ambienti  (p.  es.  il  francese),  e  in  altri 
essersi  avuto  éo  io  io. 

^  NiGRA,  Arch.  Ili  9.  Ivi  si  registra  anche  una  terza  forma  gè,  che  non 
so  se  sia  un  alleggerimento  di  go,  ovvero  un  je[o],  oppure  un  francesismo 
(converrebbe  saper  qualche  cosa  di  più  circa  i  suoi  limiti  funzionali)  ;  e  due 
altre  foraie  enfatiche  ghigo  ghjó,  che  soa  desunte  da  'eccum-ille-ego'  ib.  44. 

*  E  j/e  è  anche  la  forma  ladino-centrale:  Arch,  I  364. 

*  L'  ant.  fr.  accanto  a  ce  che  ci  dà  ancora  ezo  ceo  qou  chou  iceo  ìqo.  Come 
acc.  a  je  ci  dà  jo.  Il  parallelismo  è  perfetto,  e  toglie  ogni  dubbio  circa  la 
possibilità  di  je  =  jo. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  3t 

testi  francesi  e  iou  di  provenzali,  nel  neoprov,  you  del  bassoliino- 
sino',  nel  _/?<  veglioto^  e  ne\  ju  di  alcune  parlate  leccesi  e  sicule^; 
e  negli  ulteriori  sviluppi  che  di  questa  forma  troviamo,  nel  jua  di 
alcune  altre  parlate  siciliane  (cfr.  più  sopra  io)  e  nel  jéi  di  qualche 
favella  del  leccese  (Brindisi),  cui  sta  accanto  tùl  (che  ha  riscontro 
nel  sardo  meridionale  !). 

E  qui  forse  dovremmo  ascrivere  lo  forme  enclitiche  fossili  del 
verbo  interrogativo  veneziano,  cdntio,  canterógìo,  gógio,  sóngio  ecc.  *, 
e  del  romagnolo-emiliano,  hója^  cardénja  (=  crediam  noi?),  e  del 
milanese,  fussia,  pòssia,  sóntia  ecc.  *,  che  pajono  essere  un  cànt-jò, 
fùss-jà  ecc.  Dove  però  si  può  dubitare  se  la  voce  pronominale , 
quando  si  addossò  al  verbo,  fosse  già^ó,  o  fosse  ancora  io\  poiché, 
anche  dato  quest'ultimo,  il  risultato  enclitico  sarebbe  sempre  stato 
lo  stesso.  E  il  dubbio,  del  resto,  si  può  estendere  anche  ad  altre 
delle  voci  più  sopra  enumerate,  quando  sono  di  ambienti  ove  poco 
0  nulla  la  voce  nominativale  è  usata  in  funzione  enfatica,  e  dove 
quindi  anziché  di  un  vero  e  proprio  scambio  d'  accento  pari  a 
quello  di  filiólo-,  e  qual  di  certo  v' è  nello  spagnuolo,  3/0,  e' 
potrebbe  invece  trattarsi  di  una  semplice  sparizion  d'accento  da 
tutta  la  voce  {io)  per  assoluta  proclisia  0  enclisia.  Ma  così  siamo 
venuti  in  faccia  a  questioni  sottilissime,  di  quasi  impossibile  so- 
luzione, e  forse  anche  un  po'  'di  lana  caprina'.  Contentiamoci 
di  concludere  ora,  che,  se  anche  sotto  a  identiche  voci  romanze 
si  nascondano  forse  talvolta  processi  fonetici  lievemente  diversi , 
i  tipi  sostanziali  però,  a  cui  si  riportano  più"  0  meno  tutte  le  va- 
rietà viste  finora,  sono  quattro  :  éo,  lo,  jó,  jo  (atono). 

Ora,  rifacendoci  al  primo  di  codesti  tipi,  che  si  può  dire  il  tipo 


'  Ghabaneau,  Gramm.  lemous.,  174. 
^  Ascoli,  Ardi.  I  438. 

^  Per  queste  due  ultime  zone  si  può  far  questione  cronologica  circa  il 
momento  in  cui  sia  sorto  V  w,  cioè  se  si  tratti  di  jo  in  Jii  0  di  iu  in  ju. 

*  Ascoli,  St.  Crit.  II  151  n.  S'estende  1' -io  anche  alla  1.»  pi.,  gavémjo  ecc. 
(il  bellun.  più  esattamente:  cantóne  noi?  con  OTe=noi);  per  cui  cfr.  lo 
scambio  inverso  nel  voi  avevi  de'  Toscani  e  nel  /'  avons,  io  ho,  del  francese 
plebeo,  e  lo  identico  scambio  nel  leudd-lu  =  lodaste,  di  varielà  rumene  (Mi- 

KLOSlCn). 

*  Cfr.  Salvioni,  Fonetica  del  dial.  moderno  di  Milano,  Torino,  Loscher, 
1884,  p.  142. 


S2  ])'  Ovidio, 

deWe  conservato  e  mantenuto  tonico,  vi  aggiungiamo  infine  il  tipo 
ampliato  ;ew,  che  occorre  per  larghe  zone  nel  leccese,  nel  calabrese, 
in  più  luoghi  di  Sicilia*,  nel  provenzale  moderno  {yeou)  e  nel- 
r  antico  {ieu  iieii  yen  Jiieii  liyeu)  e  nel  rumeno  "' .  E  allo  stesso  tipo 
metteran  capo  di  certo  i  geo^  zeo^  zeo,  di  diverse  località  di  Sar- 
degna (Spano),  col  j-  variamente  modulato.  Non  v'abbiamo  im- 
brancate anche  le  forme  ladine  ieu  jou  jau,  perchè  non  sono,  pare, 
se  non  pronunziazioni  crasse  del  semplice  tipo  io,  tostochè  nello 
stesso  ambiente  si  ha  marieu  =  marito  e  sim.  ;  come  pure  a  io  si  ri- 
duce il  sottosilvano  ja,  tostochè  gli  sta  accanto  da  un  lato  Dia, 
dall'altro  a r dia  =  sly dito  e  sim.  ^.  Del  gié,  poi,  che  nell' a.  fr.  si 
trova  talora,  in  rima  p.  es.  con  jugié  e  con  changié  *,  è  naturale 
si  debba  crederlo  un  jéo  apocopato,  da  metter  quindi  in  riga  colle 
voci  prov.  cai.  sic.  etc. ,  anziché  supporre  che  deva  considerarsi 
come  il  solito  je  con  Ve  muta  affinata  in  é  (cfr.  puissé-Je  e  sim.) 
per  via  della  rima.  Certo  che,  ad  ogni  modo,  nell'  a.  fr,  v'è  anche 
Jeo  addirittura,  che  assuona  per  es.  con  bien  (Diez).  E  potrebbe 
anche  sorgere  l' ipotesi  che  lo  stesso  comune  je  sia  una  riduzione 
di  jeo,  anziché  essere  un  jo  con  1'  o  annebbiato  ;  il  che  però  per 
me  resta  sempre  la  cosa  più  plausibile. 

Comunque,  d'un  modo  o  d'un  altro,  ci  troviamo  ormai  d'avere 
messo  in  isquadra  tutti,  quasi,  i  molteplici  riflessi  romanzi  di  ego. 
Tutti,  beninteso,  quelli  presenti  alla  mia  mente;  de'  quali  pure 
ho  negletti  alcuni ,  perchè  mere  pronunzie  locali  di  qualcun  dei 
tipi  studiati  ".  Sarò  grato  a  chi  mi  volesse  fornir  notizie,  così  di 
riflessi  locali  sfuggitimi,  come  di  più  precisa  delimi tazion  geogra- 
fica de'  riflessi  che  ho  registrati,  e  mi  desse  così  modo  di  riuscir 
più  completo  altra  volta. 


'  Dove  si  ha  anche  apocopato:  je'. 

^  Il  Diez,  gr.  Il  pronominalbiidg.,  cita  anche  ieu  da  testi  ant.  pg. 

3  Ascoli,  Arch.  I  16  21  126  130  171. 

*  V.  il  Bartsch. 

^  Il  dialetto,  p.  es.,  di  Agnone  (Molise)  dice  JeJJe,  anzi  quasi  JoJJe;  ma 
un  orecchio  esperto  vi  riconosce  il  semplice  io,  prollerito  in  quel  modo  crasso 
che  in  quell'  ambiente  era  da  aspettare.  Ma  non  saprei  che  dire,  invece,  di 
aia,  che  da  fonte  altoengadinese  dà  il  Gartner,  nella  'Ràtoroman.  Gramm.' 
(p.  92),  che  ora  mi  soprarriva.  Si  ridurrà  a  un  ejo? 


Pronomi  personali  e  possessivi,  33 

IL  Ma  il  tipo  ultimo  considerato,  jeu,  dà  luogo  a  dubbj  fo- 
nistorici  non  lievi,  ed  apre  la  niente  ad  altri  dubbj  circa  gli  altri 
tipi  tutti.  Già  se  n'è  toccato  nell'esordio  di  questo  scritto.  S'ha 
egli  a  vedere  in  jeu  un  semplice  eii  con  prostesi  eufonica  di  y-, 
come  fu  asserito  del  jeu  leccese^  e  del  rumeno^?  o  vi  si  ha  a 
riconoscere  il  genuino  dittongamento  {ie)  dell'  è  latino  di  ego? 
Che  se  davvero  fosse  così,  non  sarebbe  questo  un  bell'indizio  che 
r  iato  non  impedisce  all'  e  di  correre  le  sue  vicende  solite  ?  E 
non  verrebbe  da  pensare  che  le  forme  eo,  eu,  nonostante  pajano 
così  immediatamente  collegate  al  tipo  latino ,  sian  passate  pur 
esse  per  la  trafila  del  dittongo  ?  di  cui  l' i  sia  stato,  col  tempo, 
'  riassorbito  '  ?  E  dello  stesso  io  non  viene  il  sospetto  che  sia 
passato  per  la  trafila  d'un  '^ieol  Non  so  se  quest'ultima  ipotesi 
l'abbia  sinora  accampata  pubblicamente  alcuno,  ma  di  certo  me 
l'ha  accennata  più  volte  il  collega  Monaci,  il  quale,  condottovi 
da  forme  di  quell'  Italia  centrale  di  cui  egli  è  così  solerte  esplo- 
ratore, opinava  appunto  che  anche  mio  Dio  risalgano  a  meus 
Deus  pel  tramite  di  un  mieo  Dieo  ecc.  ecc. 

Ed  appunto  lo  studio  va  esteso  a  tutte  le  voci  romanze  che 
riflettano  in  un  modo  qualunque  un  e  latino  in  iato ,  anzi  a 
tutti  i  riflessi  di  una  qualsiasi  vocale  tonica  in  iato.  Io  non  ho 
qui  l'agio,  però,  di  fare  compiutamente  un  così  largo  studio,  e 
mi  devo  contentare  di  un  po'  d'inventario  e  di  ricerca,  che  mi 
conducano  a  formulare  un'  opinione  probabile.  Sarei  ben  lieto 
che  uno  studioso  di  buon  volere  trattasse  in  un  apposito  lavoro, 
in  maniera,  come  gl'Inglesi  direbbero,  'exhausting',  questo  sog- 
getto dell'iato  ^. 

Formuliamo  prima,  intanto,  i  fenomeni,  senza  pensare  per  ora 
al  procedimento  storico  onde  risultino.  L' effetto  dell'  iato  pare 
si  senta,  dove  si  sente,  in  tre  modi:  o  in  ciò,  die  tira  eoa  chiu- 


^  Morosi,  Arch.  IV  124. 

-  MiKLOsicH,  Beitràge  z.  lautlelire  d.  ruraun.  Dial.,  II  41-2. 

*  Che  esso  non  sia  stato  considerato  abbastanza  fiuquì,  n'  è  prova  anche 
il  trovarsi  tuttora,  negli  spogli  fonetici  di  testi  o  nelle  descrizioni  di  dialetti, 
considerate  le  voci  ove  la  vocale  tonica  è  in  iato  promiscuamente  a  tutte 
le  altre.  L'Archivio  però  le  ha  sempre  accuratamente  sceverate. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  3 


84  D' Ovidio, 

dersi  in  i  u:  o  in  ciò,  che  impedisce  il  dittongamento  d' e  o;  o 
in  ciò,  che  impedisce  a  z  u  di  farsi  e  o^ . 

Veniamo  ora  agli  esempj  veri  o  apparenti  di  ciò. 

C'è  -«a  = -iè  [bj  a  m  ecc.  in  sp.,  pg.,  prov.,  piera.  %  sardo,  ca- 
labro-siculo-leccese.  Ma,  a  prescinder  che  per  quest'  ultima  zona 
(cai.  ecc.)  r  /  è  il  normal  continuatore  d' è  anche  fuori  iato  (aviri, 
mnnita.  ecc.),  per  tutti  gli  altri  territorj  (sp.  ecc.)  è  una  giusta 
presunzione  quella  già  accennata  colla  solita  rapidità  dal  Diez , 
che  1'  -ia  sia  effetto  di  conformazione  analogica  della  2.*  e  3.* 
conjugazione  alla  4."  {vedla  tenia  ecc.  fatti  su  udia  venia  ecc.). 
Dunque  questo  primo  esemplare  è  meramente  apparente  '. 

Ve  poi  il  condizionale  in  -ia  \  Dove  esso,  come  avviene  in  sp.  pg. 
prov.  cai.  sic.  lece,  trovasi  accanto  agi'  imperfetti  in  -m,  dove  in- 
somma si  dice  avia  anche  quando  questa  voce  non  è  agglutinata 
coli'  infinito,    lì  esso  non  presenta  nulla  di  notevole:  non  è  che 


1  Parlando  così  all'  italiana,  si  intendono  inclusi  anche  i  fatti  simmetrici 
delle  altre  favelle.  L'  u  che  non  si  fa  o,  per  la  Francia  vuol  dire,  natural- 
mente, che  suona  il  anziché  u  (ou),  e  via  discorrendo  —  Assieme  all'  iato 
originario,  consideriamo  anche  l' iato  secondario,  nato  da  dileguo  di  con- 
sonante. 

2  Non  nel  genovese,  che  dice  vedeivo  ecc.  ;  ne  nel  valsoanino,  Arch.  ITI  9. 
^  Al  pretto  toscano,  che  dice  vedeva  veden  ecc.  le  dette  forme  analogiche 

vedia  ecc.  sono  estranee.  Non-  pare  però  che  fossero  in  tutto  estranee  al 
senese-aretino.  Pure,  se  anche  i  poeti  del  toscano  settentrionale  le  usarono, 
fu  principalmente  per, imitazione  del  siculo  insieme  e  del  provenzale.  Dante, 
infatti,  che  le  usò  nelle  Rime,  le  escluse  affatto  dalla  Comedia  (salvo  mo- 
vléno,  condoliémi,  forme  su  cui  c'è  da  far  poco  fondamento:  cfr.  Caix,  Ori- 
gini ecc.  226).  Il  Petrarca  ha  solia  nella  canz.  <  S' il  dissi  mai',  e  nei  son. 
^  Amor,  natura  ',  e  '  Sennuncio,  io  vo  '.  Non  in  tutto  rettamente  considerai 
io  codeste  forme  (in  quanto  occorron  nei  toscani)  ne'  miei  Saggi  Critici, 
p.  525-6,  S27-8  n,  e  neppur,  forse,  il  Gaspary,  Sicil.  dichtersch.  p.  184-o. 
Ma  affatto  fuor  di  strada  era  il  rimpianto  Cauello,  quando  poneva  così  sicu- 
ramente 1'  -ia  pel  toscano  pretto,  da  farne  persin  prender  le  mosse  a  fi  or  ere 
e  sim,  pel  loro  passaggio  alla  quarta  (Ztschr.  f.  rom,  phil.  I  512-3):  spie- 
gazione, ad  ogni  modo,  troppo  generale,  d'un  fatto  circoscritto  a  pochi  verbi. 
*  Anch'  esso  estraneo  al  toscano  pretto,  e  solo  affacciantesi  sul  confine 
meridionale  di  Toscana.  L'  uso  che  ne  fecero  i  poeti  toscani,  rimasto  ben 
saldo  anche  nella  lingua  poetica  posteriore,  metteva  capo  alla  solita  imita- 
zione meridionale  e  provenzale,  oltreché  a  contagio  dell'  Italia  centrale.  Cfr. 
Caix,  op.  cit.  234. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  35 

un'applicazione  particolare  di  una  nonna  costante.  Dove  poi  l'im- 
perfetto suona  invece  -éa  o  un  suo  nornial  succedaneo  (bellun.  mi 
temèe,  fi",  je  faisais  ecc.),  ma  insieme  il  condizionale  gli  è  omofono 
(bellun.  mi  temarèe,  ime.  je  fairais;  ant.  aretino /area  ecc.,  v.  Caix, 
op.  cit.  2o5,  ove  son  ricordate  anche  altre  favelle),  colà  per  un 
altro  verso  neppur  v'  è  luogo  a  notar  nulla.  Ma  vi  sono  alcune 
zone,  come  già  osservai  altrove  (o.  e,  526-7),  in  cui  l'imperfetto 
suona  -em  -ea  -eja,  ed  il  condizionale,  invece,  -la.  Accenno  par- 
ticolarmente al  lombardo,  e  più  ancora  (giacché  il  lombardo  usa, 
anche  di  più,  certe  altre  forme  di  condizionale),  al  napoletano  e 
ai  dialetti  che  vanno  con  esso.  In  napoletano  si  dice  poniamo:  ie 
diceva  ecc.  e  ie  dicarrìa  ecc.  —  Orbene  costì  e'  sarebbe  assurdo  il 
supporre  che  solo  Vavea  in  quanto  fu  agglutinato  con  l'infinito  se- 
guisse un'analogia,  quella  della  4.^  conjugazione  !  E  Tunica  inter- 
pretazione possibile  del  fatto  mi  par  sempre  quella  che  già  nel 
citato  libro  diedi,  che  cioè  V  aveva  in  quanto  divenne  Voce  ser- 
vile' potè  soggiacere  a  un'alterazione  fonetica  da  cui  restò  immune 
esso  stesso  in  quanto  era  verbo  a  sé  {aveva)  con  tutti  gl'imperfetti 
suoi  pari  {faceva  vedeva  ecc.),  al  qual  proposito  già  confrontai 
V ehhi  con  V-ei  ài  farei  e  sim.  Come,  agglutinandosi  aveva  coll'in- 
finito,  vi  perde  V av-  iniziale,  e  perde  presto  e  difiniti vamente  il 
secondo  -v-  (rimasto  invece  vivo,  se  non  altro  nella  coscienza, 
negT  imperfetti  liberi  ) ,  così  questo  servile  -ea  potè  per  eufonia 
farsi  -ia,  nel  mentre  aveva  vedeva  ecc.  conservavano  1'  e,  sia  per  la 
maggii^r  tenacità  del  loro  -^-,  sia  anche  per  la  simmetria  colle  altre 
voci  del  verbo  {avere  ecc.).  Neil'  -ia  condizionale,  dunque,  del  na- 
poletano, e  forse  del  milanese  e  d'altri  idiomi  ancora,  potremmo 
proprio  risolverci  a  riconoscere  un'  e  chiusasi  in  i  per  causa  del- 
l' iato. 

E  lo  stesso  s'avrebbe  di  certo  a  vedere  nel  die  {  =  dee  =  deve  ) 
di  un  antico  testo  forse  fiorentino  \  e  nel  dia  per  de(v)a  di  testi 
sanesi-aretini  ^ 

L'importanza  di  questi  due  esemplari  {-ia  e  die  dia)  non  può 
sfuggire  ad  alcuno.  Si  tratta  di  tali  e  che  non  risalgono  a  e,  e  di 


1  V.  i  miei  '  Saggi  ',  526  n. 

»  Caix,  o.  c.  219-20;  Gaspahy,  Sicilian.  dichtersch.,  18S-6. 


36  D' Ovidio, 

cui  quindi  non  è  lecito  imaginare  che  si  riducessero  a  i  per  la 
trafila  di  un  ié\  i  quali  dunque  pajon  provare  che  l' iato  possa 
essere  diretta  causa  di  chiusura  di  un  suono  più  crasso  in  uno 
più  sottile. 

Pure,  si  tratta  di  due  casi  sporadici,  e  proprj  sol  di  speciali 
zone  idiomatiche  ;  e  son  poi  casi  di  iato  non  latino  \  ma  romanzo. 
E  v'è  di  peggio  ancora.  Che  è  ben  legittimo  il  sospetto  che,  poiché 
il  verbo  'dovere'  e  le  voci  dei  condizionali  si  usano  molto  più 
come  ausiliari,  e  quasi  in  proclisia,  che  come  voci  indipendenti, 
il  loro  i  per  e  si  riduca  iu  fondo  suppergiù  a  quello  usualissimo 
che  ha  luogo  nella  atonia,  come  in  commeatus  commiato  e 
sim.  M  Anzi  se  ben  si  guarda,  codesto  è  meglio  che  un  sospetto! 

Ma  volgiamoci  altrove,  in  cerca  di  altri  i  in  iato  da  e,  sia  pur 
da  e  romanzo  e  seriore. 

Ci  son  due  termini  navali:  galia  per  galèa  galera,  e  saettia  da 
sagittea sagittaria^ .  Il  Canello,  come  avea  felicemente  riconosciuto  in 
prua  un.  genovesismo  * ,  così  ne  scorse  giustamente  due  altri  in 
galèa  ^saettèa,  pel  dileguo  dell'  -r-.  Ma  non  vide  né  potea  vedere 
impronta  ligure  nelle   forme  ulteriori   saettia  galla  ^    Se  mai  un 


^  Ed  è  ben  difficile,  stante  la  norma  latina  '  breve  è  sempre  la  vocale 
innanzi  altra',  trovar  molti  esempj  di  e  latino  in  iato  !  Ci  sarebbe  qualche 
grecismo  ostinato,  p.  es.  Aeneas  Medea  ecc.,  ma  i  riflessi  italiani  con  e 
sono  evidentemente  letterarj  :  cfr.  platèa.  Sarei  ben  grato  a  chi  m'  inse- 
gnasse se  occorra  in  qualche  testo  romanzo  un  *Enia  e  sim. 

2  vorria  fare  da  *vorrea,fàre  ecc.  Alti'a  volta  ('  Altro  contrasto  sul  Con- 
trasto di  C.  d'A.'  nel  Giorn.  Napoletano,  sett.  1879,  p.  98  n)  ho  richia- 
mata l'attenzione  sui  condizionali  di  alcune  varietà  sicule,  darra,  farra, 
vurra  ecc.,  e  le  ho  spiegate  appunto  con  la  proclisia  (vurra  fari  da  viir- 
riafàri  e  sim.).  Né  allora  avrei  pensato  di  guardar  piiì  in  là  Ora  dico  che, 
come  la  proclisia  spiegava  la  soppressione  deli'  -i-  in  iato,  così  può  spiegare 
anche  il  fatto  antecedente  dell'  e  in  i.  Quanto  al  die  =  deve,  sarà  utile  eh'  io 
ricordi  la  proclisia,  e  la  conseguente  sincope,  del  tose,  vernacolo  bigna  e 
'gna  per  bisogna,  di  cui  già  il  Canello  toccò  (Aich.  Ili  841)  ed  io  ho  ra- 
gionato in  correlazione  con  altri  fatti  simili  (Zeitschr.  f.  rom.  phil..  Vili  105). 

8  Camello,  Arch.  Ul  301. 

*  Arch.  Ili  360.  L'  u  da  o  iu  genov.  è  affatto  normale,  né  l' iato  v'  entra 
per  nulla. 

^  Cfr.  p.  es.  genov.  ónéa  fioraja,  Ascoli,  li  US  116.  —  Giova  per  altro 
avvertire  che  le  forme  normali  italiane  sono  galèa  e  saettia. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  37 

dialetto  marinaresco  dovesse  venirci  in  soccorso  per  1'  i,  sarebbe 
piuttosto  il  siciliano;  sebbene  in  questo  caso  neanche  il  siciliano 
vorrebbe  i.  Ma  il  Canello  vedeva  nell'  -ia  per  -ea  un  fatto  che 
non  uscisse  dall'ambito  della  fonetica  toscana.  Il  che  però  è  per 
noi  appunto  quello  di  cui  andiamo  indagando;  onde  non  vi  ci  po- 
tremmo acquetare  senza  cadere  in  una  petizion  di  principio.  E 
dovremo  invece  far  luogo  all'  ipotesi,  che  molto  spontaneamente 
ci  si  presenta,  che  -ea  sia  stato  semplicemente  attratto  dalla  ana- 
logia dell'altro  suffisso  -ia  (nel  quale  eran  già  confluiti  -iva  e 
-1  a).  La  quale  ipotesi  ci  dovrà  parere  tanto  più  inevitabile  per 
abetia,  che  proprio  non  ci  sentiamo  di  ricondurre  col  Canello  ad 
abetaja,  e  per  macia,  la  quale  non  derivò  da  macèria  se  non  in 
quanto  1'  -cria  di  questo  fu  percepito  come  un  suffisso  unico  e 
primario  e  quindi  asportato  tutto  e  surrogato.  E  certamente  dif- 
ferenza di  suffisso  v'  è  tra  il  toscano  corsia ,  che  giustamente  il 
Canello  (III  362)  radduceva  a  corsiva,  ed  il  napol.  corséa,  che  è 
0  un  ^corsera  col  secondo  -r-  soppresso  per  dissimilazione  (cfr. 
sp.  correo),  o  un  francesismo  de'  soliti  in  -ea  =  -aia  {limonèa  ecc.  : 
cfr.  Canello,  III  312  segg.). 

Le  voci  verbali  dia  stia,  arcaicam.  dea  sfea,  parrebbero  darci 
un' e  romanza,  chiusa,  tardivamente,  in  i,  per  l'iato.  Le  voci, 
intanto,  con  1'  -e-,  a  me  pajono,  come  ne  balenò  già  il  sospetto 
al  Neumann  (1.  cit.  ),  le  forme  latine  de[m]  de[s]  de[t]  ecc. 
con  sovrappóstavi  V -a  congiuntivale  che  risultava  dai  congiuntivi 
di  2.*  3.*  e  4.*  conjugazione.  Ora,  che  dea  stea  (le  sole,  si  badi, 
usate  nella  Div.  Cora.)  si  facessero  dia  stia  per  un  processo,  come 
ora  s' è  detto,  fonetico,  è  cosa  che  è,  o  pare,  possibile.  Ma  è  stato 
però  già  notato  (e  non  da  un  neogrammatico,  bensì  dal  Diez),  che 
possa  trattarsi  di  un  processo  puramente  analogico  :  dia  stia  mo- 
dellati su  sia. 

Nessun  certo  esempio,  adunque,  ci  occorre  di  e  da  é  lat.,  o 
di  e  romanza  qualunque,  che  si  chiuda  in  i  per  l'iato. 

Piuttosto  pajono  innegabili  gli  esempj  d'  ^  in  iato  che  non  si 
fa  e,  in  più  voci  e  lingue.  Accenno  p.  es.  a  dies,  che  in  tutta 
la  romanità  dà  tutti  riflessi  che  serban  1'  i:  sp.  pg.  prov.  leccese 
ant.  ital.  dia,  ital.  e  ant.  frc.  die,  ital.  lomb.  friul.  ladino  centr. 


38  D'  Ovidio, 

altoengad,  ant.  frc.  di  e  mocl.  frc.  -dl\  ant.  frc.  e  pr.  dis^  soprasilv. 
gi,  rum.  zi  zio.  Dove  credo  che  a  ognuno  ripugnerebbe  il  sospet- 
tare che  si  tratti  di  un  ritorno  dell'  i  dopo  una  fase  transitoria 
'^dea  ^  !  E  così  del  via  ital.  sp.  pg.  prov.  soprasilv.  altoeng. ,  vi 
valsoan.,  ecc  *,  nessun  oserebbe  asseverare  che  sia  passato  dap- 
pertutto per  la  trafila  di  un  "^vea,  nonostante  che  qui  una  tal 
fase  sia  realmente  rappresentata  dal  frane,  voie  (oi=x).  E  del 
pari,  sia  ital.  e  prov.,  che  è  sT(m)  sl(t)  con  aggiuntovi  V -a  con- 
giuntivale (e  non  senza  forse  influsso  dì  Jìa  fìam  fiat),  avrà 
conservato  l' i  latino  e  niente  più  *,  malgrado  il  frane,  seie  soie 
(ant.)  sois  '".  E  così  pure,  -  lasciando  da  parte  pio  it.  sp.  pg.,  pius 
^vov.^  plus  piz  pix  ant.  fr.,  e  l'architettonico  stria  it.,  estrìa  sp. 
pg.,  strìes  (plur.)  fr. ,  da  stria,  della  popolarità  dei  quali  due 
vocaboli  è  lecito  dubitare,  -  a  me  parrebbe  troppo  duro  imagi- 
nare  che  pna  prius  sia  passato  per  la  'crisi'  di  un  *prea  ^\  Né 
di  tutta  la  serie  degli  astratti  in  -ia  {poesia  gelosia  ecc.  poesie 
jalousie  ecc.  ecc.)  ci  vorremo  interamente  dimenticare ,  sebbene 
sien  certo  di  tradizione  non  affatto  popolare  ;  come  forse,  del  resto, 
sarà  anche  prìa. 

E  così,  se  guardiamo  all'  ù,  lo  troveremo  mantenuto,  per  l'iato. 


ecc.,  midi;  e  cfr.  valsoau.  di-ge   dies  Jovis  (ib.  e  =  ovum),  di- 
merclo  ecc.,  Ardi.  HI  13  23. 

^  La  quale  non  è  poi  punto  attestata  dal  de  sottosilvano  (plur.  deis,  cfr. 
altoengad.  dijs)  il  quale  appartiene  ad  un  ambiente  dove  si  dice  reiva  amei 
fadeia  ecc.  da  ripa  amlcus  fa  ti  g  a-  ecc.  (Arch.  1  130),  né  dal  bolognese 
de,  cui  sta  accanto  sé  sic,  amég  ecc.! 

*  Ne  è  diverso,  per  la  ragione  stessa  or  ora  detta,  il  sottosilv.  veja. 

*  Nella  Divina  Gomedia  si  ha  sempre  sia,  e  per  contrario  sempre,  come 
ho  già  detto,  dea  e  steo.]  il  che  conferma  e  quanto  s'è  già  detto  sull'ori- 
gine seriore  delle  forme  dia  stia,  e  l'anzianità  dell'  i  di  sia. 

^  Il  sea  di  testi  sanesi  (Caix,  o.  c.  226)  sarà  puramente  analogico  su  dea 
stea,  e  il  sea  di  testi  veronesi  (Nannucci  295)  potrebbe  anche  essere  da 
sedere,  come  son  di  certissimo  il  sea  sp.,  seja  pg. 

*  Nell'altro  stria  lomb.  per  'strega'  striga,  l'è,  se  però  non  è  dovuto 
a  es-tensione  analogica  dell'  i  atono  di  striar  striozz  ecc.,  sarà  dovuto  an- 
ch' esso  all'  iato,  determinatosi  per  la  precoce  caduta  del  -g-,  e  ci  darà  un 
nuovo  esemplare  del  tipo  che  andiam  rintracciando.  Occorre  anche  tra  i 
Ladini,  Arch.  I  22  n. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  39 

col  suono  di  u,  nell'ital.  cui;  nell'ital.  rum.  a.  fi\  ftd  \  mod.  fr. 
fus:  nell'ital.  rum.  a.  fr.  /;/-  fiitt",  mod.  h.  fui;  e  così  in  tutte 
le  persone  francesi  ant.  e  mod.  e  rumene  di  codesto  perfetto,  e 
in  tutte  le  persone  francesi  ant.  e  mod.  di  fuissem^  habuis- 
sem  ecc.;  nell' it.  gru,  pg.  prov.  a.  sp.  gnia,  fr.  grue^\  nell'it. 
due  " ,  nel  duos  sardo  e  obliquo  ant.  fr.  ^^  nel  duas  pg.  ant.  sp. 


'  Gfr.  Arch.  VII  450  sg.  Anche  lo  sp.  fui  è  passato,  naturalmente,  per  co- 
desta fase. 

'  Fase  anteriore  italiana:  fue;  per  cui  passò  anche  lo  sp.  fué. 

'  Il  tose,  fiissi  accanto  a  fossi,  lo  credo  analogico  su  fui  ecc.  Ma  di  vera 
tradizione  fonetica,  salvochè  più  effetto  di  'umlaut'  che  di  semplice  iato, 
sarà  invece  il  fussi  dell'Alta  e  della  Bassa  Italia.  Tra  furono  e  forono  poi, 
io  non  saprei  ben  dire  qual  sia  la  forma  analogica  (forse  la  seconda),  o  se 
non  si  tratti  di  differenze,  in  origine,  dialettali  del  toscano. 

*  Strana  l'altra  forma  portoghese:  grou\  Vou  non  solendo  mai  aversi,  in 
queir  ambiente,  per  diltongamento  di  o  od  m  latini  Che  il  pg.  dous  (donde 
l'attuale  dois)  non  riflette  punto  un  lat.  dós  con  1' «  soppresso  (il  quale  è 
invece  riflesso  dallo  sp.  e  dall'  antico  obliquo  fr.  e  prov.  dos,  dal  soprasilv. 
t/ws,  e  dal  fr  deux),  come  neppure  contiene  un  ó  =  u  e  un  -iis  =  os,  giusta 
parve  al  Forster  e  al  Paris;  bensì  è  un  semplice  invertimento  di  di'ios,  na- 
turale in  un  ambiente  dove  eran  tanti  óu  e  nessuno  ttó,  e  dove  del  resto 
gl'invertimenti  abondano  (eh:  Jnrlho  :=  geólhOj  doestar  =  a.rc.  deostar  deho- 
nestare  ecc.).  E  dei  sei  esemplari  poi  che  il  Diez  manda  assieme  a  grou^  le 
voci  verbali  dou  estou  sou  saranno  state  in  fase  anteriore  *doi  ecc.  (cfr,  sp. 
day  estny  so;/),  cioè  d  o  con  -»  paragogico,  e  F  oi  poi  vi  si  sarà  fatto,  al  so- 
lito, ou  (V.  Diez  gr.,  voc.  pg.,  e  la  mia  Gr.  pg.,  11-12);  e  soli  touca  cuffia 
(sp,  loca),  poupa  upupa,  chouvo  populus,  mi  restano,  assieme  a  grou, 
come  altrettanti  problemi  fonologici.  0  anche  per  choiipo  sospetteremo 
una  f.  a.  con  -oi-,  un  *pioipo^  e  per  grou  un  *groi,  con  -i  =  -e  come  in  boi 
bove  ? 

*  Il  quale,  in  quanto  feminile,  risalirà  a  dune,  ma,  in  quanto  maschile, 
che  sarà?  In  parte  credo  una  estensione  indebita  della  voce  feminile,  in 
parte  un  agguagliamento    alla  finale   di   cinque   sette  nove  e  perfm  di  tre. 

^Esistono  pure  duo,  e  l'analogico  dui,  e  un  dua,  che  è  malagevole  dire  se 
sia  mera  varietà  fonetica,  con  un  -a  di  cui  piìi  giù  toccheremo,  o  confor- 
mazione analogica  a  mia  ecc.  per  'miei  mie'  ecc.,  o  se  continui  il  neutrale 
latino  dua,  che  Quintiliano  biasimava  (salvo  nella  locuzione  duapondo) 
come  un  barbarismo.  [Gfr.  ora  Arch.  VII  o23.] 

'■'  In  francese  l'accento  era  già  spostato,  s'intende,  sull'  o  (assuoua,  p.  es., 
con  honors),  com'  è  anche  nel  corrispondente  riflesso  ital.  duoi  (cfr.  per  V-i, 
oltre  i  tanti  esempj  ovvj ,   l'italo-rumcno  irei  trcs).  La  sinizesi,  del  resto^. 


40  T)'  Ovidio, 

prov.  ;  uei  riflessi  di  -struere^;  nell' ital.  tuo  tua  tue,  suo  ecc.", 
e  nello  sp.  tuj/o  tuija  tuyos  tmjas,  suyo  ecc.,  tu  tus,  su  sus,  nel  pg. 
tua  sua  -as,  nel  logud.  tua  sua,  nel  rum.  teu  seu  ^ 

D'altra  parte  però,  è  di  una  evidenza  innegabile  che  codesti 
effetti  dell'  iato  non  si  fanno  sentire  egualmente  in  ogni  lingua, 
né  in  tutte  le  voci  di  ciascuna  lingua,  e  anche  appariscono  con- 
dizionati, variamente  bensì  secondo  le  varie  lingue,  dalla  natura 
della  vocale  atona  che  è  cagion  dell'iato.  S'è  visto  già  in  fr.  voie 
e  sois,  ove  Vie  trattato  come  fosse  seguito  da  consonante.  E 
fuit  si  riflette,  in  prov.,  ant.  sp.,  ant.  sicil. ,  ant.  ven.,  ant.  nap., 
ant.  ital.,  per /o,  in  pg.  per/o/*;  mentre  in  prov.  e  pg.  la  prima 
persona  suona,  fui,  ove  Vu  fu  salvato  dalla  metafonesi  (fuT).  Nulla 
poi  dico    àeW ìt.  fosti ,   pg.  foste,  pvov.  fost,  né  àeìVìt.  foste  pg. 


in  simili  voci,  era  facilmente  usata  anche  nel  latino;  v.  Corssen,  Ausspr.  II 
760-1. 

^  In  struggere  (cfr.  nap.  stru-d-ere)  V  ii  è  dovuto  all'  iato  e  il  -gg-  al- 
l'influsso  del  perfetto  e  del  partic.  passivo  (strussi  -strutto  :  struggere  :  : 
lessi  letto  :  leggere). 

^  In  tui  sui,  acc.  a  tuoi  suoi  =  tu ós  suós,  non  so  se  s'abbiano  a  vedere 
degli  assottigliamenti  fonetici,  o  delle  continuazioni  popolari  delle  forme  no- 
minativali  latine,  o  meri  latinismi,  o  mere  formazioni  fatte  sul  sing.  tuo  ecc. 
com'  è  mii. 

^  lì  MiKLOsicH  (Beitràge  z.  lautlehre  d.  rum.  dial.  :  voc.  Ili,  6,  8)  scrive 
che  teu  seu  devono  essere  plasmati  sull'analogia  di  mieti  e  non  possano  de- 
rivare da  tuus  ecc.  Ma  sia  lecito  obiettare,  che  se  davvero  il  possessivo  di 
seconda  e  terza  persona  si  fosse  riconiato  in  rumeno  sopra  quello  di  prima, 
esso  sarebbesi  fatto  tieu  sieu,  cioè  si  sarebbe  pienamente  conformato  al  pos- 
sessivo di  prima,  com'  è  seguito  dappertutto  dove  simili  riconiazioni  analo- 
giche sono  avvenute  (cfr.  pg.  nieu  teu  seu,  prov.  meus  teus  ecc.  o  mieus 
tieus  ecc.;  a.  fr.  fem.  meie  teie  seie,  moie  toie  soie,  mine  tiue  siue,  campob. 
m.  mie  tié  sié,  f.  mejja  tcjja;  e  Arch.  VII  S49).  E  poiché  vedo  che  invece 
l'onorandissimo  glottologo  non  tiene  speciale  conto  dell'iato,  io  ho  osato 
mettere  innanzi  l'ipotesi  che  l'insolito  e-u  sia  qui  un  semplice  effetto  del- 
l' iato  appunto.  —  Ognuno  poi  capisce  perchè  tra  le  voci  francesi  io  non  mi 
son  curato  di  suis  sum,  di  fuis  fugio,  Ai  pluie,  puits  e  sim.  :  vi  si  può 
trattare  d'un  o  (=  anter.  m)  che  siasi  poi  fatto  u,  come  Va  s'è  fatto  u  in 
huit  nuit  huile  ecc.  Del  resto,  questa  doppia  serie  appunto  va  pur  essa  no- 
tata tra  gli  effetti  dell'  iato,  bensì  però  di  queir  iato  specialissimo,  fatto  dal- 
l' i,  che  è  stretto  parente  dell'  '  umlaut  '. 

*  Di  cui  r  -i  =  -e  =  rt,  è  secondario,  come  in  boi  bove. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  41 

fostes  prov./ofe,  né  dell' ital. /oss/  ecc.  pg.  fosse  ecc.  prov. /os  ecc., 
né  del  pg.  e  prov.  fora  ecc.  (fueram  ecc.);  in  tutte  le  quali  voci 
trattasi  di  iato  anticamente  spento  (fùisti  quindi  fù[i]sti  e 
sim.)  \  E  piuttosto  avvertiremo  come  duae  si  riflette  per  cloje 
nel  napoletano,  per  dò  nel  milanese,  che  fu  doe  in  Bonvesin '. 
Che  se  il  maschile  "^diil  si  riflette  invece  per  duje  in  napoletano, 
per  dil  in  lombardo,  ciò  é  dovuto  alla  metafonesi,  cui  entrambe 
codeste  favelle  son  sensibilissime  ^  E  il  rumeno  ci  dà  doi  al 
maschile  e  doao  al  feminile;  la  qual  ultima  forma  mette  capo 
a  un  (7oye  =  duae,  così  come  ploao  risponde  al  nostro  piove,  e 
noao  al  nostro  nove*.  E  così  il  lombardo  dice  to  so  tuus  siius^; 
e  al  fem.  tQva  sQva,  eh'  é  anche  romagnolo.  Il  bologn.  ha  to  sing. 
ambigenere,  e  pi.  msch.  tu  (l'ù  per  metaf.),  fem.  tou,  eoe,  come 
dou  duae®.  II  sardo  sett.  ha  toju  foja;  che  ben  risponde  al  nap. 
ttfje  tgja  (dove  nel  masch.  1'  -n-  è  dovuto  a  pura  metaf.  dell'-w  : 
cfr.  pile  pilus  ecc.)  ;  il  piera.  e  il  córso  han  to  so,  e  l'aut.  fr.  il 


1  Vedasi,  se  piace,  ciò  che  ne  tocco  nella  'Ztsclir.  f.  r.  ph. ',  Vili  100. 
In  fummo  e  furono,  ove  l'iato  potè  durare  più  lungamente,  è  sempre  V  u. 
Non  mancano  però  fommo  e  foi,  e  tanto  meno  forono  {foro,  fonno),  né  per 
converso  fussi  ecc.;  dove  però  si  tratterà  di  perturbazioni  analogiche.  Cfr. 
Blanc,  Ital.  gramm.  381. 

-  Cfr.  Salvioni,  o.  e.  81. 

^  Alla  metafonesi  o  'umlaut'  son  pur  dovuti  i  nuje  vuje  del  napoletano 
(cfr.  ditìure  pi.  di  diilpre,  picciune  pi.  di  piccione  ecc.),  i  nùn  vii  di  Lom- 
bardia, 1  nù  vù  di  Bologna  (cfr.  boi.  lù  di  contro  al  lomb.  Hi),  che  metton 
capo  alle  basi  italorumene  noi  voi,  di  iato  romanzo.  I  ?iui  vui  del  siculo- 
-calabro-leccese  s'  avrebbero  ad  ogni  modo,  ove  occorresse,  per  metafonesi; 
ma  quest'ultima  non  v'ha  avuto  campo  d'esercitar  l'azione  sua,  per  ciò 
che  in  queir  ambiente  o  si  fa  per  norma  u.  —  Quanto  a  nni  vui  dell'  are. 
poesia,  non  posson  esser  che  meridionalesimi,  sebbene  Dante  gli  usi  anche, 
nella  Comedia,  ove  fu  più  restio  che  nelle  liriche  ad  usare  forme  meridio- 
nali, come  se  n'  è  avuto  più  su  una  prova.  Eran  promosse  queste  dalla  rima, 
che  facea  usar  perfm  j9?«i  per  poi  (Frescobaldi)  se  pur  pui  non  suppone  puoi-= 
post.  Cfr.  Gaspary,  161. 

*  MiKLOSicH,  op.  cit.,  voc.  II  39,  cfr.  32  33. 

^  Sulla  voce  del  singolare  fu  plasmato  il  pi.  tó  so,  che  poi  funge  anche  da 
pi.  feminile.  Se  continuasse  direttamente  il  lat.  lui  ecc.,  direbbe  tii  ecc., 
come  da  =*dui. 

®  Cfr.  piem.  doni,  fem.  doue  (Diez). 


42  D' Ovidio, 

fera,  toe  soe  (|)rov.  toa  soa),  toue  soue  (cfr.  campob.  tomia  ecc.)  \ 
E  tou  soli  abbiam  dal  loguJorese,  e  dall'are,  sicil.  ',  e  da  antichi 
testi  forse  del  Mezzogiorno  continentale'.  E  toi  soi  abbiamo,  e 
da  quest'identica  fonte  ^,  e  dal  prov.,  e  dall' ant.  venez.  ^;  e  dal- 
l'ant.  Venezia,  come  da  quasi  ogni  regione,  s' ha  pur  toa  toe'^. 
Dice  toH^  toa,  toi  (che  è  'tuoi*  e  'tue'),  anche  il  leccese,  che  ha  pur 
doi  due,  roi  gru,  fot  (e  perfino,  terziariamente,  fnei)^  ma,  poiché 
dice  anche  zei  =  z\\  e  sim.  (Arch.  IV  128  134),  può  trattarvisi  di 
una  alterazione  dissimilativa  affatto  seriore. 

Da  questa  che  è  un'esemplificazione  piuttostochè  un  inven- 
tario che  aspiri  alla  compiutezza,  degli  u  in  iato  che  si  fanno  a 
come  se  fosser  seguiti  da  consonante,  abbiamo  dovuto,  ognun 
l'intende,  escludere  le  così  dette  forme  'congiuntive'  o  atoniche 
de'  possessivi,  to,  so  (cui  sta  accanto  mo),  semplicemente  perchè 
non  fanno  al  caso  nostro  ^  Poiché  han  radice  nella  soppressione 
della  vocale    originariamente   tonica,    la  quale,    in  quella  mezza 


^  Non  ci  han  che  vedere  toie  soie,  analogici  su  moie  per  meie  (col  solito 
oi  da  ei).  Pel  feui.  possess.  a.  fr.  ricordisi  il  buon  lavoro  di  Forster,  nella 
'  Ztschr.  f  r.  ph. ',  II  91  segg.  Egli  poi  considera  le  forme  tene  sene  come 
pure  varianti  di  toe  ecc.  con  eu  =  o.  E  così  il  Paris  ,  Rom.  X  40,  che  con- 
sidera teu-e  tua  come  gueu-le  gùla. 

^  Vedasi  il  diligente  studio  del  dott.  Hììllen,  Vokal.  des  alt-  und  neu- 
sicil.,  Bonna  1884,  p.  35.  11  sicil.  mod.  ha  to  so. 

^  lo  ventre  tou  si  legge  nel  De  Regimine  Sanitatis,  che  da  un  antico  ms. 
di  questa  Nazionale  di  Napoli  ha  pubblicato  testé  il  prof.  Mussafia  (Mit- 
theill.  aus  rom,  handschrr.,  Vienna  1884),  al  v.  627;  accanto  a  lo  so  corpo 
del  V.  93. 

*  De  Rcg.  San.,  v.  89,  136. 

5  Arch.  Ili  265;  Tobler,  Calo  23,  Ugu^on  24. 

«  Ibid. 

'  S'accenna  al  fraielmo,  sipnorso ,  dell'ani,  ital.  (Blanc,  gramm.  278-9), 
e  ai  fraterne  ecc.  del  meridionale  ant.  e  mod.  (Arch.  IV,  419ft:  in  certi 
luoghi  e  casi  la  vocale  si  fa  perfino  -a:  lece,  fraima,  basii,  ta  sira  tuo  padre), 
e  ai  mo  ecc.  dello  sp.  ant.;  e  ai  prov.  e  fr.  mon  ion  son  =  m(e)ùm  t(u)ùm  ecc., 
coi  relativi  plur. ,  prov.  ìiios  tos  sos  =  m(e)òs  ecc.  e  fr.  mes  tes  ses ,  con 
-es  =  os  come  in  /es  =  illos  (e  cfr.  gli  alti-i  e  =  o  addotti  più  sopra).  I  fem. 
ital.  frane,  sicil.  ecc.  di  codesta  categoria  sono  ma  ta  sa.  Il  pi.  fem.  fr.  mes 
tes  ses  non  lo  credo  derivato  da  m(e)às  ecc.  come  il  pron.  e  artic,  fem. 
pi.  Ics  non  lo  deriverei  da  illas:  sono  i  les  mes  ecc.  del  masch.  estesi  al 
feminile.  Che  me  le  ecc.  per  ma  la  ecc.,  sono  specialità  piccarda,  di  cui  v. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  45 

atonia  della  proclisi  e  dell'  enclisi,  lasciò  sdrucciolare  il  suo  mezzo- 
-accento  sulla  vocale  seguente,  e  quindi,  indebolita,  andò  tra- 
volta. Già  vi  preludevano  le  forme  are.  lat.  sam  sos  sis  di 
Ennio  \  e  il  frequente  uso  della  sinizesi  in  tuos  e  sim.  presso 
i  poeti  arcaici  e  talora  anche  nei  classici  ". 

Ora,  ritornando  ai  tipi  toiù  tooa  ecc.,  si  potrebbe  fare  un'os- 
servazione. Ricordandoci  di  vedova  vidua  e  sim.,  potremmo  pen- 
sare che  anche  sotto  l'accento  Vù  in  iato  si  risolvesse  in  -uv-  -ov-, 
e  che  così  sian  sorti  *tuva  tuvus,  quindi  tova  e  to(v}H.  ecc., 
cioè  dire  che  l'iato  in  tanto  non  abbia  operato  sulla  tonica  il 
suo  effetto,  per  dir  cosi,  astringente,  in  quanto  è  stato  ben  presto 
estinto  mercè  il  -v-  '\  Né  io  nego  ricisamente  ciò.  Solamente,  voglio 
avvertire  che  io  escludo  che  codesto  *tiivo-  ecc.  s'abbia  a  confondere 
col  tovo-  ecc.  del  lat.  are.  \  né  con  questo  stesso  tipo  in  quanto 
è  italico  (osco-umbro),  e  avrebbe  quindi  dovuto  sopraffare  il  tuo- 
del  vero  latino.  Quanto  a  me,  non  piglio  le  mosse  che  dalla  forma 
prettamente  latina  classica*,  e  sol  da  questa  ammetto  si  cavi,  se  mai, 
il  tìivo-  ecc.  Ma,  si  dovrà  poi  stabilire  questa  base  per  ogni  o  da 
u  in  iato?  Anche  il  foi  pg.  starà  per  *fuvi(t)?  Anche  il  soi  prov. 


Neumann,  Zur  laut-  und  flexionslelire  des  altfranzos.,  Heilbronn  1878,  p.  118; 
e  Feilitzen,  Li  ver  dei  Juise,  en  fornfransk  predikan,  Upsala  1883,  p.  lxv; 
e  soprattutto  Paris,  Rem.  VI  617  segg.  —  In  rumeno,  ta  e  sa  enfatici  non 
sono  che  una  estensione  della  voce  atonica  all'  uso  enfatico.  Al  Miklosich, 
il  quale  (1.  cit.)  li  crede  plasmati  su  mea,  oso  objettare,  come  dianzi,  che 
allora  tra  il  pronome  di  seconda  e  terza  e  quel  di  prima  persona  vi  sarebbe 
piena  conformità:  s'avrebbe  tea,  sea.  Del  resto,  anche  l'italiano  ci  dà  qualche 
esempio,  sporadico  bensì,  di  mo  ecc.  enfaticamente  usato  (p.  es.  Lorenzo  de' 
Medici:  'Faccia  il  ciel  il  corso  so:  Però  pensa  al  stato  to';  presso  Blanc, 
gramm.  279). 

1  CoRSSKN,  Ausspr.,  I  777,  II  847;  Kììhner,  o.  c.  383. 

-  CoRSSEN,  II  760  seg.  ;  Kììhner,  94  sgg. 

*  Non  si  può  mettere  al  pari  codesta  epentesi  con  l' altra  del  J  nel  nap. 
tuje,  sp.  tiiyo,  sd.  toju  ecc.,  che  evidentemente  è  più  tardiva  e  meno  orga- 
nica. 

*  CoRSSEN,  Ausspr.,  I  368  668  670. 

*  Lo  farei  qui,  poi,  ad  ogni  modo,  anche  per  proposito  deliberato,  per  dif- 
ferire ad  altra  occasione  di  trattare  distesamente  delle  tracce  italiche  nel 
neolatino.  Per  ciò  anche  neppur  cito  più  giù  il  bue  eugubino,  nò  il  mehe 
te  fé  umbro,  sìfeì  osco. 


44  D' Ovidio, 

starà  per  ''•su vi?  Anclie  il  tou  siculo  e  meridionale  sarà  passato 
per  In  trafila  di  un  *-tìivu-?  E  il  lombardo  io  non  sarà  che 
^tofiOo'?  Certo,  perchè  no?  Pure,  non  sarà  male  sospendere  il 
giudizio  \  e  aspettar  maggior  lume  da  più  minuta  indagine.  Io, 
intanto,  mi  contento  di  tirare  una  seconda  somma  parziale,  e  for- 
mulare i  fatti  che  pajono  risultarci.  Vi  sono  degl'  i  in  iato  che 
serbano  il  suono  i  (dies  ecc.),  e  ve  n'  è  qualche  altro  che  ha 
il  normale  sviluppo  (fr.  voie  ecc.).  Vi  sono  degli  u  in  iato  che 
serbano  il  suono  u  (ital.  cui  ecc.,  frc,  fusse  ecc.),  e  ve  n'è  molti 
altri  che  lo  svolgono  regolarmente  (chi  doe ,  soi  soe  ecc.),  forse 
per  avere  collo  sviluppo  d'un  -v-  spento  l' iato  ^  Spesso,  vera- 
mente, è  la  metafonesi  che  viene  a  intrecciarsi  coU'iato,  e  spiega 
certe  discrepanze  (lomb.  dii  m.,  di  e.  a  dò  f.  ecc.),  talora  anche  le 
perturbazioni  analogiche  producono  altre  deviazioni  {ìt.fussi  ecc.); 
s'intravvedono  anche  tendenze  locali  delle  singole  lingue  (sp.  tm/a, 
nap.  toja  ecc.).  Ma,  alla  fin  fine,  un'oscillazione,  di  cui  non  in 
tutto  siam  riusciti  a  darci  ben  conto,  la  c'è,  bene  spesso  anche 
nell'ambito  d'un' identica  lingua  (rum.  cui  e  doi;  frc.  -di  e  voie, 
forse  per  la  diversa  finale?)  ^  E  bisogna  anche  usare  altre  cau- 
tele nello  studio  di  questo  soggetto.  Giacché  in  primo  luogo,  può 
sotto  una  materiale  uniformità  esservi  una  vera  disparità.  Il  so- 
prasilvano dice  cui  come  l'italiano,  ma  l'Ascoli  (ibid.)  ci  ricorda 
che,  li  sopras.  rispondendo  al  nostro  p,  il  cui  di  Sopraselva  equi- 
varebbe  solo  a  un  *coi  italiano,  e  al  nostro  cui  sarebbe  pari  solo 
un  sopras.  ciii  cii  *.  E,  in  secondo  luogo,  la  più  perfetta  rispon- 


^  Altre  cautele,  pure,  bisogna  avere  ;  altre  riserve  fare.  P.  es.  il  tot  soi. 
in  quanto  si  trovi  in  lesti  italiani,  di  qualunque  regione,  è  proprio  certo 
che  metta  capo  a  tui,  o  non  piuttosto  a  tuoi  tuos?  È  certo  che  si  debban 
mettere  alla  pari  il  tot  provenzale  e  il  toi  di  Venezia  ?  ! 

^  Si  badi  bene  però  che,  se  anche  è  questa  la  causa,  la  discrepanza  tra 
r  it.  e  rum.  cui  e  il  rum.  doi  e  sim.  non  è  tolta,  ma  spinta  solo  un  passo 
indietro.  Poiché  resta  sempre  da  chiedersi:  perchè  anche  cui  non  s'è  fatto 
*c  il  V  i  *covi  *c  0  i  ? 

^  Vedo  con  molta  soddisfazione,  dall'Archivio,  VII,  punt.  3%  che  mi  so- 
praggiunge, come  l'Ascoli  si  pronunzii  in  un  modo  altrettanto  riservato  in- 
torno ad  un  caso  particolare  di  iato  (p.  450-51). 

^  Anche  il  cui  dell'  ant.  fr.  non  è  pari  all'  italiano.  Si  trova  difatto  scritto 
pure  coi,  quoi.  E  così  il  fr.  lui  equivale  a  un  nostro  *loi. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  45 

denza  fonologica  dei  due  suoni  di  due  diverse  lingue  può  pur 
nascondere  diversità  di  causa.  L'm  lomb.  avanti  alla  fonologia  è 
il  perfetto  equivalente  dell'  u  toscano,  onde  Iti  lomb.  e  lui  tose, 
si  posson  dire  fonologicamente  identici;  eppure,  V ii  di  lil  è  dovuta 
a  metafonesi  (gli  si  contrappone,  infatti,  to  tuus  ecc.),  e  Vu  di 
lui  a  semplice  iato  (gli  va  di  pari,  infatti,  tuo  ecc.),  che  la  me- 
tafonesi è  affatto  ignota  al  toscano,  salvo  quella  particolare  forma 
di  metafonesi  che  gli  fa  dir  famiglia  :  con  1'  ^,  per  influsso  di  llj\ 
non  fatto  e  o  rifatto  i. 

Affinato  così  il  nostro  criterio,  raccostiamoci  ora  alla  questione 
del  m/o  =  meus  ecc. 

I  riflessi  dell' ^  (e  s'intende,  anche  deWae)  in  iato,  sono  di  tre 
maniere  ;  ossia,  a  parlar  per  esempj,  suonano  :  mio,  meo,  mieo.  Pro- 
viamoci a  farne  un  po'  di  rasseajna. 

Tipo  ìnio.  —  Ita),  mio  mia  mie,  mi',  Dio\  rio  ria^,  cria  creat 
(are).  —  Sp.  7nio  mia  mios  mias,  mi  mis,  Diós,  cria  (per  'al- 
levo'}. —  Pg.  mia  (are),  crio.  —  Prov.  mia  ^  —  Corso  mio  ecc. 

—  Friul.  mio  ecc.,  go^^Dió  '.  —  Lad.  centr.  mie,  Die,  rie  ^ . 

—  Varietà  sicule  :  miu,  diu,  riu^.  —  Ant.  venez.  Ho  leone  (leo)  ^ 

—  Judaeus  dà  lo  sp.  judìo,  romanesco  giudlo,  sicil.  jiidiu,  so- 
prslv.  gedlu,  venez.  zudlo^  friul.  zugo,  neopr.  judiou,  ixc.  juif^. 

—  Hebraeus  in  sicil.  Arriu.  —  Aggiungiamo:  Mathius  ^  e  Ber- 
tremius  '^    del  piccardo.  Né  dimenticheremmo  genia,  se  non  du- 


1  Bea  è  letterario. 

2  Ora  non  è  d'  uso  che  il  letter.  reo  -a. 

*  Di  certe  forme  che  ci  son  date  da  testi  prov.  e  a,  frc.  (prov.  Bios,  fre. 
Bill)  ma  son  varianti  dialettali,  o  di  certe  forme  di  secondaria  derivazione 
come  1'  a.  fr.  mine  mia  ecc.,  non  e'  impacciamo  qui.  L'  a.  frc.  mis  meus  pare 
anche  al  Forster  (1.  e.)  analogicamente  formato  sul  plurale,  di  cui  più  sotto. 

*  Arch.  I  490;  cfr.  Si 2. 
5  Arch.  I  364. 

^  Pitrè,  ccviii;  Hiillen,  14.  Il  primo  di  questi  dice  che  in  qualche  parlata 
si  trova  la  forma  abbreviata  mi  per  tutti  i  generi  e  numeri. 

^  Arch.  Ili  239. 

®  Che  sia  da  ultimo  intervenuta  auclie  l'analogia  di  -Ivo-  a  ribadire  1'  «? 

^  Feilitzen,  op.  cit.  p.  XXX.  Quanto  al  nostro  Mattia,  ninno  ignora  eh'  è 
un  nome  diverso  da  Matteo;  cfr.  Atti  degli  Apostoli,  i  is,  23,  26. 

^°  Neumann,  0.  e.  42. 


46  D'Ovidio, 

bitassimo  troppo  ch'esso,  anziché  risalire  proprio  a  yzvzóf.^  sia  una 
formazione  analogica  col  suff.  -ìa.  D'altri  esemplari  si  parlerà  poi. 
Tipo  meo.  —  Pg.  meu  meos  meas,  Dèos.  —  Varietà  provenzali: 
meus  ecc.,  Deus,  Juzeus.  —  Varietà  leccesi  calabresi  e  sicule  : 
meu,  mei  i  =  miei  e  mie:  in  codesta  zona  -e  si  fa  sempre  -e)  '.  — 
Varietà  rumene:  m.eìb  ecc.".  Abruzzese:  me'.  —  E  anche  il  tose. 
pleb.  ha  me'  ambigenere ,  e  meo  è  frequentissimo  nella  poesia 
del  primo  secolo,  specie  in  Guittone  ;  e  ia  generale  nei  testi  an- 
tichi ^,  ed  è  del  bellunese  anc'oggi.  —  E  notevolissimo  è  il  lom- 
bardo, che  dice  m(i  al  singolare  maschile  (il  fem.  è  mia)  e  mee 
al  pi.  (masch.  e  per  estensione  anche  fem.),  i  quali  me  e  mee  * 
fanno  proprio  il  pajo  con  j^e  piede  e  pee  piedi  ^  —  Allo  stesso 
tipo  spetterà  il  m.eie  (donde  poi  ìnoie  col  solito  oi  -  el  d'ogni  pro- 


^  Il  fem.  sg.  però,  che  è  pur  mea  nel  lece,  rustico,  è  mia  in  cai.  sicil.  — 
Il  Pitrè  ricorda  anche  un  me'  ambigenere  di  certe  varietà  sicule.  Bisogne- 
rebbe sceverare  bene  però  la  qualità  funzionale  dì  tali  forme. 

^  E  fem.  mea;  ma  Miklosich  (li  38)  dice  doversi  partire,  per  questo,  non 
dal  semplice  mea,  sì  da  *m e-v-a. 

^  Caix  0.  e.  50  52.  Ivi  son  citate  molte  fonti,  che  sarebbe  inutile  richia- 
mare qui.  Giova  però  osservare,  che  nel  complesso  degli  esempj  che  i  testi 
ci  danno  vi  può  essere  un  certo  numero  di  casi,  i  quali,  più  che  vero  fon- 
damento dialettale,  non  abbiano  altra  ragione  che  il  latinismo.  Poteva,  p. 
es.,  Dante,  quando  scrisse  Beo  in  rima  (Purg.  xvi  tos),  pensare  che  una  tal 
forma  era  usuale,  normale,  in  più  parlate  d'  Italia  (cfr.  Vulg.  Eloq.  i  i*)  e 
che  s'era  scritta  tante  volte  da  poeti  d'  ogni  parte  della  penisola,  ed  avere 
anche  presente  il  Beit  di  molti  provenzali;  ma  insieme,  quel  che  più  lo  di- 
sponeva a  scrivere  la  forma  voluta  ddla  rima,  era  certo  il  pensiero  che 
questa  era  la  forma  latina.  Pensiero  che  sarebbe  anzi  bastato  da  solo  a  fargli 
scrivere,  occorrendo,  Beo,  anche  quando  nessun  idioma  o  testo  romanzo  gliel 
suggerisse.  Aggiungasi,  che  in  più  testi  meo  ecc.  può  essere  la  semplice  grafìa 
tradizionale  latineggiante,  che  mascherasse,  non  già  rappresentasse,  la  ef- 
fettiva pronunzia  degli  scrittori  e  de'  lettori.  Senza  questo  non  sarebbe  spie- 
gabile come  bene  spesso  lo  stesso  testo  metta  assieme  forme  diverse:  p.  es. 
neli'UguQon  già  cit.  :  Beu  e  Bie'  (p.  H),  e  così  in  infiniti  altri  testi. 

*  Il  primo  ha  Ve  aperta  e  breve,  quasi  direi  tronca;  il  secondo  ha  un'  e 
chiusa  e  strascicata,  che  le  grafie  comuni  rappresentano  con  ce,  e  il  Salvioui 
con  é. 

^  Il  suono  più  chiuso  del  plurale  è  dovuto  alla  metafonesi  prodotta  dalla 
finale  (mei,  *pèdr  per  pedes),  quando  c'era  ancora.  In  lomb.,  Bio  è  let- 
terario, come  mostra  anche  1'  -o. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  47 

venienza)  del  fem.  a.  frc. ,  ove  V -i-  sarà  epentetico.  Del  resto, 
varietà  a.  frc.  ci  danno  Deus  Dex  ecc.  ^  ;  né  ricordiamo  mes  = 
=  raeus  e  sim,  perchè  forme  proL-litiche. 

Tipo  mieo.  —  Frc.  prov.  Dieu:,  rum.  Dieu  Zieu  Zen  Zau~; 
^Yov .  juzieii^  \  frc.  Mathieu*;  prov.  mieu^,  rum.  mieii  neu^,  e  mieu 
pure  in  varietà  sicule  \  mie'  a  Cam[)obasso  *  e  in  varietà  mar- 
chigiane (GiANANDREA,  Canti  March,  p.  109).  E  ora  il  frc.  mien  si 
radduce  a  "niié-en  =  me-um  '  (il  -n  sarà  la  causa  che  non  vi  s'ab- 
bia 1'  -u-  che  resta  in  Dieu]  né  mi  garbano  le  sottigliezze,  che  mi 
soprarrivano,  del  Neumann ,  Ztschr.  Vili  248);  abbandonato 
l'etimo  dieziano  *meanus'",  contro  cui  il  Mussnfia  ha  aggiunto 
un'altra  poderosa  ragione  ^\  —  Bello  esempio  italiano,  poi,  del  tipo 
che  stiamo  esemplando,  è  7niei;  tal  quale  la  forma  piovenzale  e  la 
rumena  ^'. 


^  Gfr.  Cliges  von  Christian  von  Troyes,  z.  e.  ni.  herausg.  v.  W.  Forster, 
Halle  1884,  p.  lvi  lxviii.  Ivi  anche  Tobi.  De;  e  insieme  Greus  Graecus,  obi. 
Gre,  Pere  Petrum.  Mentre  altre  varietà  a.  frc.  ci  danno,  come  s'  è  avvertito, 
JDius,  e  insieme  Grius. 

"  Miklosicb,  III  S,  8.  È  ovvio  nel  rumeno,  che  l' i  del  dittougamento  mo- 
difichi anche  la  dentale  o  la  sibilante  che  gli  precede,  e  ne  resti,  anche, 
assorbito:  cfr.  tzare  terra,  zece  zatse  dieci,  sapfe  sette,  ecc. 

^  Il  z=:d  in  provenz.  non  è  dovuto  qui  all' ^■  che  seguiva  il  d:  ognun  sa 
che  è  normale  (azorar  e  sim.). 

*  S'  adduce  come  forma  secondaria  di  questo  il  pop.  Mdcé;  ma  mi  nasce 
il  dubbio  non  sia  questo  l'altro  nome  Matthìas  con  l'accento  spostato  suU'a, 
fatta  quindi  e.  Cfr.  sp.  Macias. 

*  Che  s'  è  poi  trascinato  appresso  tieu  ecc.  e  i  fera,  mieua  ecc.  L'  ant.  frc. 
fem.  mieue  tiene  ecc.  (donde  mine  tiue  ecc.)  suppone  pure  un  msch.  mieus 
su  cui  si  sia  plasmato,  come  già  fu  notato  da  altri;  di  mieus  però  non  v' è 
esempio. 

«  Miklosich,  II  6.  8,  38. 
'  Hullen,  p.  iS. 

*  Ivi  il  fem.,  come  si  è  visto,  è  mejja.  Il  napol.  dice  mie  msch.  sg.  e  pi., 
mia  fem.,  pi.  meje. 

'-•  Quindi  anai.  tien  ecc.,  primamente  ^?<ew  =  *^?/-e«  =  tu-um  ;  cfr.  Cornu, 
Romania  VII  393. 

"  Cfr.  nostrano,  e  in  un  certo  senso  ricorderei  anche  il  molisano  ziane 
per  'zio',  Arch.  IV  158. 

1'  Ztschr.  f.  r.  ph,.  III  267. 

'^  Questo  m-ie-i=m-Q-ì  niente  ha  che  fare  col  lat.  are.  m-i-eis  d'  un'  i- 
scrizioue  (che  il  Diez  dice  del  600  circa  U.  C,  e  la  traduz.  frauc.  rende,  per 
svista,  ffOO  aprcs  J.  C),  dove  -ei-  non  è  che  i  pingue;  cfr.  Schuchardt,  vok. 


48  D' Ovidio, 

Ed  ora,  fra  i  tre  tipi  da  noi  esemplificati,  che  son  mio  meo 
mieo,  che  rapporto  foiiistorico  dovremo  riconoscere?  Io  credo  che 
la  sola  enumerai^ione  d' esempj  paralleli,  che  abbiamo  fatta,  sia 
bastata  a  far  subito  brillare,  in  tutta  la  sua  verosimiglianza,  l' i- 
potesi:  che  la  base  comune  romanza  sia  stato  il  tipo  mlen^  con 
r  ie  da  è  svoltosi  nell'iato  né  più  né  meno  di  quel  che  si  svolge 
fuori  dell'  iato  ;  che  a  codesta  fase  primigenia  si  siano  poi  fermate 
certe  varietà  di  certe  favelle  (  prov.  frane,  rum.  cai.  sic.  ecc.); 
che  in  altre  varietà  delle  stesse  favelle,  ed  in  altre  favelle  (pg. 
lomb.  ecc.),  il  dittongo  si  sia  ridotto  novellamente  a  e  (meo),  come 
però  fa  anche  fuori  iato  (pg.  dez,  lomb.  dee  ecc.);  che  in  altre 
favelle  infine  1'  ie  per  effetto  dell'  iato  si  sia  invece  chiuso  in  i 
(mio),  salvochè  in  certe  specialissime  congiunture  in  cui  da  spe- 
ciali condizioni  era  favorita  la  preservazione  dell' /e  (it.  miei,  dove 
r  -i  per  azione  dissimilativa  ha  impedita  la  chiusura  d'  ie  in  i). 

Ma  non  sarebbe  invece  supponibile  che,  mentre  alcune  favelle 
fecero  mieo  senza  badare  all'  iato,  altre  dall'  iato  fossero  ab  ori- 
gine impedite  dal  fare  il  dittongo  {meo),  e  altre  perfino  ne  fos- 
sero indotte  a  affilar  Ve  in  i  {mio)?  e  che  questa  discrepanza 
originaria  avvenisse  anche  tra  voci  e  voci  di  una  singola  lingua 
{mio,  miei)?  Certo,  si  può  supporre.  Ma  quanto  questa  suppo- 
sizione disgregatrice  non  istà  al  di  sotto  dell'altra  ipotesi,  che  ci 
lascerebbe  bellamente  concordi  tra  loro,  nei  primi  passi,  sì  tutte 
le  favelle  romanze,  e  sì  tutte  le  e  in  iato  e  fuori  iato  !  Né  una 
tal  concordia  è  solamente  bella  :  è  addirittura  necessaria.  Se  la 
schiusa  del  dittongo  avvenne,  come  par  certo,  neW è  di  decem 
ecc.  ecc.,  prima  che  le  singole  lingue  si  determinassero,  se  essa 
é  un  fatto  preromanzo  insomma  o  del  periodo  unitario,  e  1'  iato 
l'avesse  allora  impedita  in  Deus  ecc.;  come  poi  sarebbe  avvenuta 


II  331-2.  Ed  è  singolare  che  il  Diez  credesse  stabilire  una  cotal  continuità 
tra  esso  e  la  voce  romanza  (voi.  II),  dopo  la  sua  cauta  nota  (del  voi.  I)  circa 
Dius  mius  arcaici.  Circa  il  qual  mius  sarà  anche  bene  avvertire,  che  ben 
s'induce  esso  dal  detto  ablativo  arcaico  e  dal  plautino  rais  e  dal  class, 
vocat.  mi,  ma  non  occorre  effettivamente  in  altre  forme;  e  il  raio  che  ab- 
biamo è  da  un'  epigrafe  del  s.  II  d.  C.  —  Quanto  agi'  ital.  Bel  rei,  e'  non 
son  che  latinismi;  come  Bii  rii  mii  non  son  che  formazioni  fatte  sopra  il 
singolare. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  49 

posteriormente    in  quelle  lingue  che  dicono    Dieu  ecc.?   Sarebbe 
stata  una  seconda  schiusa?! 

Certamente,  l'iato  è  sempre  insomma  la  causa  dell'  l  di  mio: 
la  questione  è  solo  del  modo  come  una  tal  causa  agisse.  Ora,  è 
molto  più  semplice  che  agisse  nel  senso  di  chiudere  posterior- 
mente, in  certi  idiomi,  e  date  certe  condizioni,  1'  ie  =  e,  sviluppa- 
tosi normalmente  dappertutto  (chiusura  evidentemente  motivata 
dal  troppo  iato  triftongico  del  tipo  mieo)  ;  anziché  agisse  nel  senso 
di  impedire  ad  alcuni  idiomi  quel  che  pure  in  altri  non  potè  im- 
pedire, 0  di  produrre  un  affilamento  dell'  e  in  i,  di  cui  niun  vero 
esempio,  come  abbiam  mostrato,  non  s'  è  trovato  nemmeno  per 
r  è,  che  v'avrebbe  dovuto  essere  tanto  più  vicino  !  Né  poi  il  pa- 
rallelo di  tuo  e  di  die  con  mio  e  con  Dio,  e  sim.,  basta  a  sedurci 
ad  ammettere  che,  come  tuo  die  non  passò  per  *too  *fZee  (il  che,  del 
resto,  non  si  può  dir  veramente  provato,  sebbene  io  lo  tenga  per 
probabile),  così  mio  Dio  venissero  immediatamente  da  meo-  ecc. 
Le  due  serie  di  fatti  non  si  possono  metter  perfettamente  alla 
pari,  altro  essendo  il  mantenimento  continuo  del  suono  sottile 
originario,  altro  l'assottigliamento  immediato  dell'  originario  suono 
crasso.  Eppoi,  un  tanto  di  conformità,  soltanto  però  ridotta  ai  limiti 
del  vero,  ci  resta  sempre  anche  nell'ipotesi  del  mio  da  mieo;  e 
consiste  in  ciò,  che  l' iato  affilò  qui  il  dittongo  ie  in  ^■,  come  in 
tuo  die  ecc.  operò  preservando  il  suono  sottile  m,  i. 

Ma  per  meglio  coonestare  l'equazione  «2/0  =  m?eo  =  me  us,  dob- 
biamo fare  qualche  speciale  avvertenza. 

In  primo  luogo,  abondano  gli  esempj  romanzi  di  ie  chiuso 
in  i  anche  fuori  iato,  ed  han  riscontro  neW u  da  no  pur  fuor 
d' iato.  Senza  punto  pretendere  di  accennarli  tutti,  ricorderò  la 
serie  friulana  candelir  ecc.  ',  intìr^  ind  piede,  die  ecc.  ",  cui  sta 
accanto  l'altra  nuv  nove,  vul  v\\o\e^  fazùl  ecc.'';  la  serie  a.  frc. 


^  Ascoli,  I  485. 

2  Id.  ibid.  489.  Il  cRq  fri.  non  va  confuso  col  diz  francese,  dove  1'  i  ha 
lina  peculiare  ragione  nella  conson.  successiva  [cfr.  Arch.  Ili  72  nj.  Questa 
serie  frane,  diz  cerise  ecc.  non  ajuta  se  non  debolmente  la  nostra  esemplifi- 
cazione, onde  la  sorvoliamo.  —  Nel  venez.  tivio  tiepido,  v'  è  metafonesi. 

»  Id.  ibid.  493. 

Archivio  glottol.  itdl.,  IX.  4 


80  J)'  Ovidio, 

tranchie  ^-  tranchiée  ^  ecc.  ;  la  serie  meridion.  fannie  fasulu  ecc.  '  ; 
le  serie  abruzzesi  pide  piedi,  pinze  tu  pensi  ecc.,  mure  muori, 
purte  porti,  ncchie  occhio^;  la  serie  spagnuola  siila  hehilla  ave- 
cilla  ecc.,  cuchillo  homhrecillo  ecc.,  le  voci  nispola  vispera  siglo  prisa 
Galicia  ecc.*.  Ma  anche  più  che  la  Castilla  (=  castella),  il  paese 
classico  dell'?  =  26  è  la  regione  emiliano-roraagnuola.  Ivi  è  affatto 
normale  dis,  dri,  intir,  livar  livra  lepre,  Pir^  pigura  (cfr.  ven. 
piégora) ,  prit,  zivul  cèfalo  (ven.  ziévoloì) ,  griv  greve,  ajir ,  zigh 
cieco,  siv  siepe,  zil  cielo,  candlir,  zug'lir  giocoliere,  manira,  vlun- 
iira  volontieri,  zrisa  ciliegia,  gnint  niente  ecc.  ^;  come  v'è  normale 
zug  giuoco,  fag  ecc.  Or  io  domando,  se  il  romg.  emil.  Tadi  Muti 
Thaddaeus  Mattbaeus  ecc.  si  potran  mai  sequestrare  da  zigh 
caecus,  Pir  Petrus  ecc.,  e  se  quindi  potrà  mai  dubitarsi  che  non 
sien  passati  per  la  trafila  di  un  *Tadieo  Mattieo  !  E  quello  che 
per  una  regione  è  provato,  come  mai  non  s'  avrebbe  a  supporre 
anche  pegli  altri  paesi?  E  bensì  vero  che  di  tanti  begli  esempj 
che  abbiam  potuto  addurre  di  i  =  ie^  nessuno  c'è  venuto,  p.  es., 
dalla  Toscana,  onde  pare  p.  es.  che  il  toscano  mio  =  mieo  non  abbia 
alcuno  indigeno  conforto.  Ma  questo  fatto  negativo  non  potrebbe 
mai  aver  valore  dimostrativo  in  contrario,  per  ciò  che  in  mieo  si 
trattava  della  condizione  specialissima  àeWie  seguito  da  altra  vocale. 
Spesso  avviene  che  un  fatto  fonetico,  che  in  una  lingua  è  generale, 
in  un'altra  si  verifichi  solo  in  modo  speciale  per  una  data  serie,  o 
anche  per  una  data  voce,  per  via  di  certe  date  condizioni  della 
serie  o  della  voce.  Vuol  dire  che  I'  ie^  che  a  Bologna  s'è  chiuso 
sempre  in  «,  a  Firenze  s'è  chiuso  solo  nel  caso  dell'iato.  0  forse 


1  Id.  Ili  71. 

2  Arch.  IV  405. 

^  Il  dittongo,  che  in  abruzzese  si  è  per  norma  richiuso  {peile  piede,  ecc., 
nove  nuovo  ecc.),  era  sopravvissuto  solo  dove  la  metafonesi  di  un  -i  finale 
0  d'  un  -i-  postonico  in  iato  lo  sorreggeva  (cfr.  napol.  campob.  piede  piedi 
di  e.  a  pede  pede  sg.,  tu  pienze  di  e.  a  i'  penze  ecc.),  e  poi  si  è  chiuso 
in  i,  u. 

■*  E  bello  è  che  s'  han  documentate  dallo  sp.  are.  le  fasi  anter.  stella  nie- 
spola  sieglo  priesa  ecc.  Nella  serie  -ili-  la  chiusura  dell'  -ie-  può  aver  una 
ragione,  metafonetica,  nella  natura  della  liquida  jotizzata,  com'  io  direi,  che 
succede.  Le  altre  voci  sono  da  studiare. 

^  MussAFiA,  Romagn.  8-9. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  51 

questo  iato,  dal  far  lui  tutto  (come  sarebbe  per  chi  lo  credesse 
atto  a  render  immediatamente  «  1'  e  di  m  e  u  s),  si  vuol  che  passi 
al  non  essere  più  buono  a  far  niente  ?  Esso  dunque  non  fu  che 
un  incentivo  a  far  succedere  in  poche  voci  anche  a  Firenze  quello 
assottigliamento  fonetico  a  cui  Firenze  non  avea  quella  propen- 
sione che  v'ha  Bologna. 

In  secondo  luogo ,  v'  ha  qualche  caso  di  i  da  ie,  alla  cui  na- 
scita, si  può  dire,  noi  assistiamo,  la  cui  evoluzione  possiamo  pram- 
maticamente dimostrare.  Il  venez.  indrio  suonava  ancora  alcuni  se- 
coli fa  indriedo  \  onde  la  fase  intermedia  'Hndrieo  noi  la  tocchiamo 
quasi  con  mano.  Nel  medesimo  testo  che  è  uno  dei  testimonj 
àUndriedo,  ad  un  rigo  da  piera  pietra,  coni'  anche  oggi  dicono  i 
Veneziani,  troviamo  una  variante  j?r?a^,  che  non  potè  certo  risultare 
se  non  da  una  forma  metatetica  "^priea".  Anche  V  arrla  dietro, 
di  una  varietà  siciliana,  risalirà  certo  ad  arrieri  \  attraverso  un 
^arnea-i  con  la  finale  (-/)  volta  ad  -a,  di  che  il  siciliano  è  vago  ^ 
e  il  -r-  per  dissimilazione  soppresso  (cfr.  dietro,  proprio  ^  merid. 
arrete  -tii^  sp.  correo  corriere).  E  bisogna  partire  da  arrieri  an- 
ziché dal  più  comune  arreri,  perchè  V  arria  l'abbiamo  da  una  di 
quelle  varietà  di  siciliano  che  hanno  il  dittongamento  ®. 

Ed  ora  riconfermiamo  il  nostro  mio  =  mieo  con  un  bel  parallelo. 
Alla  coppia  mio  miei  risponde,  pure  in  toscano,  mirabilmente, 
l'altra  coppia  lue  buoi.  Ora,  si  oserebbe  mai  pensare  che  bue 
sia  bo(v)e,  con  V  o  chiuso  in  u  per  l'iato?  Ma  così  facendo  si 
sequestrerebbe  la  voce  italiana  da  tutte  le  corrispondenti  neola- 
tine: sp.  buey,  pg.  boi,  prov.  buon,  valsoan.  he  (cfr.  gè  Jovis,  ^e 


1  Ascoli,  I  471-2  u,  III  270-71. 

2  Ardi.  Ili  248. 

'  Agolia  invece,  accanto  a  Acquilea  (Ardi.  Ili  276)  e  ad  Agulea  Aulea 
Oleja  (IV  334),  ci  dà  da  pensare  (lat.  Aquiléja);  che  parrebbe  darci  un' e 
direttamente  chiusa  in  L  0  fu  influsso  del  y? 

*  Hiillen,  14;  13.. 

^  Cfr.  ia,  jìia,  già  cit.  ;  pua  poi,  vua  vuoi  (ne'  quali  v'  è  stato  anche  chiu- 
sura, per  l'iato,  di  uo  in  n);  li  judia. 

^  In  arreri  (o  arrieri)  già  riconobbe  I'Avolio  (Introduzione  al  dial.  sicil., 
B3)  un  antico  gallicismo.  La  forma  indigena  è  solo  arretu;  che  non  faceva 
però  al  caso  nostro,  non  potendo  in  sicil.  dileguarsi  il  -t-. 


S2  D'Ovidio, 

puote),  a  frc.  buef\  Bisogna  dunque  proprio  dire  che  origina- 
riamente il  toscano  avesse  un  sing.  "^'buoe  in  piena  simmetria  col 
pi.  buoi,  e  solo  dopo,  per  colpa  dall'iato,  uo  si  chiudesse  in  n  nel 
sing.,  restando  però  intatto  nel  plurale,  sorrèttovi  dall'-/.  E  ciò  ri- 
badisce che  in  origine  s'ebbe  mieo  miei,  e  solo  dopo  mio  miei  ^ 
E  ritornando  ora  finalmente  a  jeu  ecc.,  noi  possiamo  stabilire 
oramai  sicuramente  questo:  -  anche  io  deriva  da  un  anteriore 
ieo,  anzi  questa  derivazione  ce  la  possiamo  spiegare  anche  più 
agevolmente  che  non  quella  di  mio,  Dio  ecc. ,  in  quanto  la  fre- 
quente proclisia  del  pronome  personale  ne  dovea  certo  promuo- 
vere vie  più  l'accorciamento  ;  —  la  forma  jeo  jeu,  dove  si  trova 
accanto  a  Dieu,  a  mieu  ecc.  ^,  è  certamente  una  bella  conserva- 
zione del  più  anziano  riflesso  di  e(g)o  :  1'  ie-  (je)  vi  è  il  vero 
dittongo  romanzo  dell'  e,  e  sarebbe  uno  strano  arbitrio  voler  ve- 
dere nel  J-  una  mera  prostesi  *  ;  —  la  forma  eu  non  è  che  ieu 
con  r  i  riassorbito,  sia  poi  che  nella  stessa  lingua  il  riassorbimento 
sia  avvenuto  solo  nella  serie  Deu  ecc.,  o  anche  in  altre  o  anche  in 
tutte  le  parole  aventi  e  (pg.  ecc.);  —  quando je?(  trovasi  accanto  a 
Deo  ecc.,  allora,  ma  allora  solo,  si  può  parlar  di  prostesi  ^  Si  può; 
ma  non  direi  che  si  debba.  Poiché,  se,  come  più  su  dicevamo,  par 
certo  che  la  fase  del  dittongam.  di  ogni  e  lat.  sia  stata  attraversata 
un  tempo  anche  da  quegl' idiomi  che  più  non  ci  mostrano  il  dit- 


^  Non  cito  il  mod.  hceuf,  perchè  da  sé  non  direbbe  nulla,  ne  il  rum.  bou 
clie  Miklosich  (II  39)  dice  dover  risalire  a  un  *bovum:  altrimenti  sonerebbe 
boao.  L'  -i  delle  forme  iberiche  è  dovuto  all'  iato  e  alla  dissimilazione  :  cfr. 
amdis  =  are.  amades  ecc. 

^  [Vedi  già  Flechia,  Arch.  VII  124  n;  e  l'esempio  fu  già  ripetutamente 
confrontato  col  ven.  rue  *ruo[d]e,  Arch.  I  4S4  n.  Pur  qualche  u  da  uo  per 
la  rima,  come  pui  nel  Cavalcanti,  furi  in  Dante,  non  è  in  tutto  da  dimen- 
ticare. Cfr.  p.  55,  n.*,J 

^  Così  è  p.  es.  nel  prov.  'Girardo  di  Rossiglione',  ecc.  ecc. 

■•  Difatto  il  Miklosich,  che  per  certe  varietà  rumene  afferma,  come  vedemmo, 
la  prostesi,  per  altre  (Vok.  II  9)  non  può  disconoscere  il  dittongo. 

*  Morosi,  Arch.  IV  124;  Miklosich,  Vok.  II  41-2.  Addurre  esempj  di  pro- 
stesi Ai  j  non  è  necessario;  ma  pur  sia  lecito  richiamarne  i  seguenti:  pugl. 
jacqiia,  basii.  Jedda  ella,  brianz.  jiin  uno  ;  e  dal  dial.  vegiioto  (Ascoli  I  438 
531),  dove  s' ha  a  serie  intere:  Jaqna,  Jamna  Hiiìma,  Jaura  ora,  Jtialb  albus, 
jonda  ecc.  Ivi  l'Ascoli  richiama  anche  lo  slavo  e  l'albanese. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  SS 

tongo  in  deus  (leccese  ecc.)  né  in  se  rum  pedes  ecc.  (pg.  pieni. 
gen.  mìlan.  abruzz.,  il  più  delle  parlate  sicil.,  ecc.),  il  jm  dunque 
potrebb'essere  ivi  una  pura  e  semplice  reliquia  di  quella  transi- 
toria fase  dei  dittonghi;  una  reliquia  salvatasi  sol  perchè  la  po- 
sizione iniziale  favorisce  il  ;.  Lo  favorisce  tanto  da  poterlo  far 
sorgere  anche  dove  non  era  né  dovea  essere  (jacqna  ecc.)  ;  tanto 
più  dovea  poterlo  sorreggere  dove  c'era  (jeu).  Allo  stesso  modo 
va  inteso  forse  anche  il  j-  del  milan.  jer  (accanto  a  l'altrer,  me 
mio,  pe  piede,  deg  ecc.),  dove  altri  ha  invece  risolutamente  vista 
la  prostesi  ^  Può  del  resto  esservi  anche  stata  differenza  di  pro- 
cedimento da  lingua  a  lingua,  cioè  in  taluna  il  jeu  originario  esser 
rimasto  intatto  mentre  gli  altri  dittonghi,  interni,  perdevan  1'  i, 
e  in  altra  essersi  fatto  eii  seguendo  la  perdita  generale  e  poi  esser 
tornato  jeu  per  prostesi  ^. 

Prima  di  lasciar  questo  argomento  dell'iato  dobbiamo  toccare 
ancora  delle  forme  ladine  Dieus  ecc.  L' Ascoli  le  fa  risalire  a 
DÌHS  ecc.  per  le  ragioni  già  accennate  più  su  {marieu  marito  ecc.). 
Ma  è  quasi  inutile  avvertire  che  ciò,  ad  ogni  modo,  non  turba 
punto  le  nostre  conclusioni ,  poiché  Dius  ecc.  alla  sua  volta  ri- 
salirà a  un  anteriore  Dieus  ecc.;  onde  il  Dieus  attuale  non  sarà 
che  un  ricorso  ^ 


'  Salvioni,  1.  e.  S3  169.  E  he  ri  è  una  delle  poche  voci  che  possan  far 
compagnia  a  ego:  altri  esempj  di  e-  ae-  non  ahondano. 

^  Fra  gli  esempj  di  forme  fonetiche  che,  tramontate  in  massima  da  una 
lingua,  vi  si  sian  serbate  solo  in  qualche  singola  'saldatura',  ricorderò  il  piem. 
arcéde  requaerere,  dove,  il  ce  piem.  genov.  supponendo  *chie,  troviamo  so- 
pravvivente ne'  suoi  effetti  il  dittongo  le  da  a  e,  che  del  resto  il  piem.  non 
ha  pili  (Ascoli,  II  116). 

^  Qualcosa  di  simile  ho  da  notare  per  certe  curiose  forme  che  trovo  in 
certi  madrigali  riferiti  dal  Carducci  negli  'Studj  Letterari'  :  nn  mie'  sparvier 
(p.  415  427),  '/  mie'  gentil  amore  (437),  'l  mie'  diffetto  (428),  la  mie'  donna 
<437),  'n  mie'  compagna  (408).  Potre])bero  esse  parere  una  preziosa  con- 
ferma del  mio-mieo;  eppure,  lo  attribuir  loro  una  vera  anzianità,  mentre 
già  Dante  non  aveva  usato  altro  che  mio  ecc.,  sarebbe  una  solenne  impru- 
denza. Vi  s'avranno  a  vedere  semplici  forme  analogiche  fatte  sopra  7niei  (pel 
feminile  ajutava  pur  la  tendenza  fonetica  che  determinò  fieno,  sie  =  sia  ecc.). 
Dalla  stessa  fonte  ho:  stio'  tana  (428),  di  tuo'  hiltate  (435),  ogni  suo'  pena 
(436),  suo'  penne  (425),  le  stw'  ali  (442)  ;  che  del  resto  s' hanno  anche  per 


S4  D'Ovidio, 

III.  La  voce  enfatica  dell'obliquo.  —  11  toscano, 
romano,  napoletano  me  te  se  con  e  stretta,  il  me  ecc.  romagnuolo 
con  e  aperta,  il  mei  mai  ina'  ecc.  di  dialetti  pugliesi,  molisani, 
abruzzesi,  il  me  mei  ecc.  del  prov.,  il  mei  mot  ecc.  del  frane,  riflettono 
così  correttamente  Ve  lungo  di  me  te  se,  da  non  potersi  dubi- 
tare che  questa  sia  la  base  latina  che  è  continuata  in  quelle  zone. 
Il  rumeno  invece  ha  un  dativo  mie  tzie  sic  e  un  accusativo  mine 
Une  sine.  E  se  quest'ultimo    riflette  evidentemente  me  ecc.,  con 


altre  vie:  le  suoi  in  testi  umbri  (v.  Tobler  ,  Ztschr.  f.  r.  ph.,  Il,  nella  Vita 
di  Jacopone),  le  soi  in  veneti  (id.,  UguQon  24);  e  di  tuo  suo  per  ttta  ecc.  si 
possono  vedere  esempj  toscani,  anche  nei  lessici  (p.  es.  in  'Bellini  e  Tom- 
maseo'). Il  punto  di  partenza  di  tutte  queste  strane  formazioni,  analogiche 
senz' alcun  dubbio,  è  stato  il  masch.  plur.  tuoi  suoi;  il  quale,  adoperato 
anche  pel  feminile,  è  stato  causa  che  vi  si  formasse  su  un  singolare  tuo' 
ambigenere,  e  magari  un  lem.  tuoa  toa.  Il  pi.  fem.  suoe  del  Da  Buti  (ad 
Inf.  XIX  1;  cit.  dal  Blanc,  gramm.  278)  rappresenta  il  primo  passo  di  questo 
procedimento.  —  Non  vo'  poi  chiudere  questa  nota  senza  toccare  d'un'altra 
importante  forma  pronominale.  Ognun  ricorda  i  plurali  ambigeneri  mia  tur^ 
sua  (p.  es.  :  i  figli  tnia,  i  fatti  sua,  le  tua  sorelle,  e  sim.)  del  toscano  an- 
tico e  moderno  :  forme  popolari,  comparse  solo  sporadicamente  e  timidamente, 
in  tutti  i  tempi,  nella  lingua  colta,  e  pur  di  vita  tenacissima  (anche  in  Sicilia: 
li  frati  mia  ecc.;  in  romanesco:  a  li  nipoti  sua,  in  Belli,  'Er  testamento'). 
Io  vi  ho  sempre  riconosciuto  una  bella  continuazione  del  neutro  plurale  la- 
tino (confortatovi  anche  dai  miei  merid.  tanta,  quanta,  per  '  tanti  -e  ecc.', 
Arch.  IV  172),  ed  ebbi  poi  il  piacere  di  sentire  dal  prof.  Flechia  come  an- 
ch' egli  li  tenesse  per  reliquie  del  neutro  e  li  confortasse  con  queir  ogna 
(=  omnia)  ambigenere,  che  non  è  estraneo  al  glossario  italiano  (cfr.  Arch. 
VII  126),  e  di  cui  ora  vedo  altri  cenni  dell'Ascoli  (Arch.  VII  441),  che 
tocca  anche  d'altre  reliquie  neutrali.  Piìi  su  vedemmo  dua;  e  anche  di  trea 
gli  esempj  son  ormai  da  tante  parti  che  mi  confermo  sempre  più  nel  vedervi 
il  lat.  tria  che  vidi  nel  trejja  campb.  (Arch.  IV  151),  salvochè  l'influsso 
del  riflesso  di  tres  avrà  contribuito  sulla  determinazione  della  vocale  tonica. 
Una  ipotesi,  fonetica,  potrebbe  sorgere  a  contrastare  la  nostra  spiegazione, 
morfologica,  dei  pi.  mia  ecc.  La  grammatica  neolatina,  e  la  dialettologia 
italiana  in  ispecie,  ci  dà  copiosa  messe  di  -a  epitetici  oppur  sostituentisi  ad 
altre  atone  finali.  Già  finora  ne  slam  venuti  dando,  a  piìi  riprese,  parecchi 
begli  esempj,  e  qui  possiam  aggiungere  il  milan.  indóva  (dove),  lad.  nua, 
abruzz.  donna  (donde),  leccese //•«»/««  (fratelmo),  &  jìla  (=pue  =  poi)  soprasL, 
datoci  or  ora  dall'Ascoli  (VII  542);  e  più  giù  ne  daremo  anche  altri  saggi. 
Or,  data  questa  tendenza  all' -a,  niente,  si  potrebbe  dire,  di  più  naturale  che 


Pronomi  personali  e  possessivi.  55 

un  -ne  epitetico  che  è  ovvio  (cfr.  tose,  mene^  il  rene.,  romanesco 
quine  quane,  e  il  turie  di  tanti  paesi,  e  il  córso  amdni  araa[re]  ecc.) 
e  che  il  Diez  confortava  anche  d'esempj  geograficamente  contigui 
(bulgaro,  serbo,  méne;  neogr.  sy.sva) ,  e  con  un  affilamento  di  é 
in  i  che  in  rumeno  è  affatto  ovvio  per  é  di  qualunque  provenienza 
che  si  trovi  avanti  n  o  m  (Miklosich,  II  13-4:  arine  arena,  bine 
bene,  clinte  dente,  minu  meno,  per  'muovo',  minte  mente,  pìinu,  vine 
vena,  vintu  vento,  vindu  vendo,  vinnira  venerdì,  tsine  cena,  pe- 
rinte  parente,  timp  tempo,  tsine  chi  =  quem,  ecc.);  il  dativo  in- 
vece {mie  tzie  ecc.)  continua  altrettanto  evidentemente  il  dativo 
latino.  E  il  Diez  infatti  riconobbe  subito  in  mie  il  mi  hi;  però, 
tzie  e  sie  gli  parvero  plasmati  su  mie.  Tuttavia  è  da  veder  bene 
se  questi  anche  non  possano  continuare  addirittura  tibi  e  sibi. 
La  caduta  di  -è-  -y-,  si  può  dire  che  a  nessun  territorio  romanzo,  o 
ad  un  altro  solo,  sia  tanto  usuale  quanto  lo  è  al  rumeno,  il  paese  dei 
cai  cavallo,  del  seu  sego,  del  soh  sabucus,  dello  scriu  scrivo  ecc., 
il  qual  paese  fu  anche  quasi  il  solo  a  osar  di  spingere  la  soppres- 
sione del  -h-  dell'imperfetto  sino  alla  prima  cónjugazione:  leudàm- 
=  laudabam,  laudabamus  ^  E  dato  dunque  che  codesta  caduta  av- 
venisse in  epoca  molto  antica  e  determinasse  cosi  un  antico  iato 
(*tT-i  ecc.),   quest'iato  potea  salvare  Vi  (cfr.  zi  dies);  e  cosi 


i  pi.  fem.  mie  tue  ecc.  direttamente,  e  i  msch.  miei  tuoi  ecc.  mercè  l'apo- 
cope dell' -i  e  la  ritrazion  dell'accento  fattisi  *mie' .tuo'  ecc.,  si  riducesser 
tutti  a  mia  tua  ecc.  *.  Sennonché,  appunto  la  tendenza  all'  -a  per  ogni  altro 
paese  è  stata  dimostrata  che  per  la  Toscana!  E  se  mie'  ecc.  si  fosse  per 
semplice  vezzo  fonetico  fatto  mia  ecc.,  non  si  capirebbe  come  questo  rezzo 
non  attaccasse  anche  le  voci  del  singolare!  L'essere  semplici  plurali  quelli, 
è  prova  che  l'origin  loro  è  schiettamente  morfologica. 

^  V.  Diez.  Gramm.  I,  s.  V,  e  meglio  assai  Miklosich,  Consonantismus,  II 
25-6  32.  Il  Mikl.  giunge  a  dichiarar  non  popolare  ìeudàver  laudabile,  per 
amor  del  -v-  :  e  cosi  via. 


*  Begli  esempj  di  accento  ritratto  nel  dittongo  ié  sono  i  venez.  s/e  =  manto v.  sié  = 
=  tosc.  s(i)ei  sex,  ine  piede;  il  venez.  are.  e  fri.  lie  =  iosz.  liei  lei;  e  insiem  d'accento 
ritratto  e  d'  -e  in  -a,  il  marchig.  e  aro.  venez.  lia,  il  venez.  culia,  ctistta,  il  valsoan. 
jna  piede,  lad.  centr.  sia  sei.  Cfr.  anche  venez.  ancwo  hanc  hodie,  amplio  (are.)  =  toso, 
in  p(u)oi,  ma  ruota  (cioè  *ruoa),  valsoan.  Uet  otto,  fùa  lila  fuoco  luogo;  sottosilv. 
Ita  luogo,  f/o,  già  giuoco.  Si  scorrano  soprattutto  il  I  e  il  III  voi.  dell' Arch. 


86  D' Ovidio, 

poteva  aversi  ti-e  ecc.  al  pari  di  mi-e  =  miT-i  '.  Però  il  dileguo  tanto 
antico  del  -b-  in  tibi  ecc.,  da  esser  anteriore  all'epoca  dell' 2 
in  e,  potrà  forse  parere  ipotesi  abbastanza  stentata,  e  rimaner 
quindi  preferita  la  dichiarazione  del  Diez  ^  Ad  ogni  modo,  al 
singolare  fa  bel  riscontro  in  rumeno  il  plurale  ;  che  accanto  all'ac- 
cusativo noi  voi=nos  vos,  ci  dà  il  dat.  noao,  vocio,  in  cui  il 
Miklosich   ha   ben  riconosciuto  nobis  vobis^. 

Anche  il  logudorese  poi  ci  dà  un  genitivo-ablativo  me  te  ecc. 
(de  me,  dai  me  ecc.)  che  è  la  voce  accusativale  latina,  ed  un  dati- 
vo-accusativo a  mie,  a  tie  ecc.  che  continua  ad  mi  hi,  ad  tibi  ecc.  *. 
Farei  torto  a  qualsivoglia  lettore  se  m'indugiassi  a  mostrargli  come 
codesta  combinazione  di  ad  con  mihi  ecc.  non  abbia  nulla  d'in- 
verosimile, e  non  sia  punto  più  strana  di  quella  che  giace  sotto  ad 
a  cui  e  sia  poi  meno  strana  di  quella  eh'  è  sotto  ad  a  loro.  E  piut- 
tosto avvertirò  come  anche  in  questo  ambiente  la  caduta  del  -b- 
o  -V-  sia  affatto  normale  {nue,  nenia,  fa  fava  ecc.,  e,  notevole  a 


^  Il  Miklosich  vede  nelF  -e  un'  epitesi,  a  guanto  pare,  seriore,  e  pone  che 
la  fase  anteriore  fosse  ti  ecc.  Se  anche  è  così,  per  noi  non  guasta.  L'  -e  al- 
lora sarebbe  come  un  ricorso:  Ue,  —  ti-\\Qa)\  ecc. 

^  La  quale  potrebbe  anche  ricevere  una  lieve  modificazione,  facendosi 
punto  di  partenza  il  mi  delle  Epistole  di  Cicerone,  dei  Sermoni  di  Orazio, 
delie  commedie  di  Plauto  e  di  Terenzio  ecc.  (cfr.  nll),  da  cui  regolarmente 
*mi,  e,  per  analogia,  *ti  si,  e  quindi,  con  1' epitesi  voluta  dal  Miklosich, 
mie  tie  sie. 

^  Vok.  II,  39  44  49.  Da  uobis  nove,  e  quindi  noao;  come  da  'Spiove,  ploao, 
da  nove[m]  noao,  da  duae  dove  doao.  Vuole  l'illustre  glottologo  che  si 
parta  da  un  ^nobis  anziché  nobls,  perchè  quest'ultimo,  dice,  avrebbe  dato 
un  *noi.  Né  alcuno,  credo,  vorrà  negargli  che  s'abbreviassero  i  due  soli  -bis 
che  la  flessione  latina  avesse,  e  che  ad  ogni  modo  soggiacevano  all'influsso 
del  -Vi  del  singolare. 

*  Il  sardo  seti,  ha  la  sola  voce  accus. ,  me;  il  sardo  merid.  pure,  ma 
la  pronunzia  mei,  come  dice  tui  tu.  Al  sardo  ccntr.  mie,  poi,  cfr.  il  pur 
centr.  tue  tu.  —  Di  una  variante  mimmi,  che  lo  Spano  (Ortogr.)  ci  dà  per 
qualche  luogo  di  Sardegna,  non  saprei  ben  che  mi  dire  in  questo  momento. 
Che  vi  si  abbia  una  forma  geminata?  di  cui  il  latino  stesso  avrebbe  dato 
la  fase  anteriore  o  almen  il  modello,  in  méme  tete  sese  (Kiihn.  o.  e. 
381)?  0  dovrem  pensare  a  mémet  mihimet  (ib.  383)?  Comunque,  co- 
desta voce  sarda  mi  fa  ripensare  al  pg.  mim,  che  da  alcuni  (v.  la  mia  Gr., 
pp.  28  S6)  fu  spiegato  come  un  vezzo  fonetico  (la  nasale  iniziale  potendo 
aver  promosso  la  nasalizzazion  dell' -«':  cfr.  pg.  nem  nec,  lomb.  niin  acc.  a 


Pronomi  personali  e  possessivi.  S7 

noi  anche  per  un  altro  rispetto,  nie  nYve-)\  ed  osi  attaccare 
l'imperfetto  di  prima  {cantaia  cantabam).  E  anche  qui  s'avrà  il 
bel  riscontro  del  plurale  col  singolare,  poiché  il  log.  nois,  bois, 
altro  non  è,  a  parer  mio,  se  non  il  continuatore  di  nobis  vobis, 
esteso  perfin  al  nominativo  ;  non  già  come  potrebbe  alla  prima 
sembrare,  un  *>?o''s=nos  ecc.  Si  han  pur  nos  Los  (=nos  ecc.), 
ma  sol  nella  funzione  atonica. 

Ma  non  dappertutto  le  cose  precedono  con  tanta  evidenza.  Ab- 
biamo, p.  es.,  mie  tie  sie  nel  leccese,  mia  Ha  sia  nel  calabrese  e 
nel  siculo  e  in  certe  varietà  còrse.  Costituiscono  essi  la  unica  voce 
dell'obliquo  in  codeste  favelle,  come  l'è  me  ecc.  pel  toscano  e 
pel  napoletano,  come  l' è  moi  ecc.  pel  francese,  e  via  dicendo  ;  e 
non  già  si  contrappongono  ad  un'altra  voce  obliqua,  come  fanno 
il  7nie  ecc.  del  rumeno  e  del  logudorese.  Inoltre,  nella  zona  si- 
culo-calabro-leccese  e  nel  còrso  1'  è  tonica  latina  si  continua  nor- 
malmente per  /.  Per  tutto  ciò,  la  spiegazione  che  subito  s'è  pre- 
sentata per  codeste  forme,  è  che  continuino  il  lat.  me  ecc.  E 
davvero  che  non  si  può  imaginar  niente  di  più  semplice:  anche 
quegli  -e  ed  -a  epitetici  sono  assolutamente  ovvj,  e  solo  per  un 
di  più  si  potran  ricordare  i  tose,  noe^  sie,  tree  (Dante,  Paradiso 
xxviii  119),  mee  (Inferno  xxyi  15),  tiscie  (Inferno  xxvii  78 ),  del 
quale  ultimo  però,  e  pei  simili,  si  dovrà  ammettere  pure  una 
concausa  analogica  (per  via  di  fue,  e  fece  e  sim. );  e  il  logud. 
quie  e  l'engad.  quia',  entrambi  per  'chi'  (e  questa  coppia  fa  un 
bel  parallelo  al  lece,  mie,  cai.  sic.  mia);  e  ^'ckia  'jè?^  si  dice  nel 
Molise  e  nell'  Abruzzo,  e  altri  -a  a  più  riprese  si  son  avuti  già 
in  questo  scritto.  Pure,  senza  voler  propriamente  infirmare  1'  e- 
quazione  mie  mia -me,  la  quale  ha  anche  appoggio  dalle  forme 
non  ancora  epitetiche  mi  ti  si  d'antichi  testi  siciliani  *,  a  noi  corre 
veramente  1'  obbligo  di  considerare  se  altra  voce  latina  non  si 
possa  anche  annidare  nelle  dette  forme  vernacole.  E  difatto,  mi  hi 


vii  ;  ma  però  in  pg.  auclie  sim  sic),  ma  ad  altri,  se  non  ricordo  male,  parve 
pure  una  figara  geminata  (certo  fu  detto  ciò  del  lomb.  niin,  e  come  d'una 
eredità  ideologica  dei  Celti:  Ardi.  Vili  107). 

^  Ascoli,  Arch.  II  145. 

2  Asc,  Arch.  VII  543  a. 

«  Cfr.  Ilullen,  1.  e.  19. 


58  D' Ovidio, 

tibi  ecc.  che  altro  sarebbero  divenuti  nell'ambiente  leccese  e  ca- 
labro-siculo  se  non  giusto  tnie  He  ecc.  come  in  sardo,  o  mia 
tia  ecc  *?.  Tutt'al  più,  siccome  son  paesi  ove  -ì  suol  farsi  i  {can- 
tati =  csintsiiXs,  e  sim.),  cosi  si  dovrebbe  supporre  una  fase  inter- 
media mivi  tivl  slol  o  mii  tii  sii,  o  mi  ti  si.  —  Bisognerà  dunque 
ammettere  che  in  codeste  forme,  per  così  dire,  meridionalissime, 
che  son  mie  mia  ecc.,  abbian  potuto  confluire  insieme  e  il  con- 
tinuatore di  me  ecc.  e  quello  di  raihi  ecc.  E  del  resto,  che  en- 
trambe le  voci  oblique  latine  persistessero,  come  potevano,  anche 
in  codesta  che  tornerò  a  chiamare  meridionalissima  parte  d' Italia, 
è  cosa,  a  ben  pensarci,  assai  conveniente  al  carattere  idiomatico 
di  essa.  Oramai  nessuno  ignora  come  e  per  la  tendenza  all'  i  e 
all'  H  ^  e  pel  del  da  ll,  e  per  altro,  una  strettissima  affinità  corra 
fra  le  tre  grandi  isole  italiane  (Corsica,  Sardegna,  Sicilia),  le  tre 
Calabrie,  e  la  penisola  sallentina.  Formano  esse,  come  forse  di- 
rebbe l'Ascoli,  una  zona  isotermica  ;  e  ogni  nuova  congruenza  che 
si  discuopra  tra  il  sardo  e  il  calabro-siculo-leccese,  come  sarebbe 
questa  della  non  perdita  del  dativo  pronominale  latino,  trova, 
per  così  dire,  il  suo  posto  già  preparato  nel  pensier  nostro. 

E  se  inoltre  noi  riuscissimo  a  additare  negli  antichi  testi  me- 
ridionali le  tracce  delle  forme  dativali? 

Son  note  le  forme  meve  teve  seve  che  occorrono  in  cotali  testi. 
Ve  ne  sono,  delle  due  prime,  esempj  nel  contrasto  di  Cielo  Dal- 
camo  (vv.  6  44  47  65  98  109  111),  pur  trovandosi  ivi,  senz'al- 
cuna  differenza  funzionale,  il  me  te  (4  26  37  40  60  76);  e  nei 
siculi  Trattati  di  Mascalcia  (ediz.  Romagnoli)  c'è  asseve  (p.  15); 
e  seve  è  nel  De  Regimine  Sanitatis  (v.  45),  pur  essendovi  insieme 
mene  tene  sene  (vv.  119  157  483  498);  e  mehe  tehe  sebe,  e  perfino 
l'analogico  vebe,  a  voi,  son  nel  Ritmo  Cassinese  (lin.  4  6  40  42)  ^, 
dove   pur  v' è  un   tia   (lin.  23);   e  nel  canzoniere  del  primo  se- 


^  E  v'è  qualche  varietà  rumena  che  dice  njìa  in  luogo  del  comune  mie: 
Mikl.  I  32.  Quanto  poi  al  dileguo  di  -b-  -v-,  se  non  è  tanto  normale  quanto 
pel  rumeno  e  pel  sardo,  è  pur  frequente,  specie  nel  leccese:  Arch.  II  148, 
IV  418  b.  Sono  questi  i  paesi  del  parila  partiva,  del  faidda  favilla,  caddu 
cavallo. 

^  Dove  però  non  dico  che  il  sardo  stia  proprio  alla  pari  del  siculo  ecc. 

'  Cfr.  Navone,  nella  'Rivista  di  lilol.  romanza',  II,  specialm.  p.  109. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  5^ 

colo  v'è  da  spigolare  altri  esempj  (D'Ancona  e  Campaeetti,  R. 
A.,  II  128  141;  e  Caix,  Origini  ecc.,  210).  I  copisti  toscani,  come 
quest'ultimo  avverte,  le  cambiano  volentieri  in  7nene  ecc. 

Ora,  sulla  precisa  provenienza  di  tutti  codesti  testi,  e  sul  ca- 
rattere di  quella  lingua  che  nella  stessa  Sicilia  scrivevasi,  non 
mancano  dubbj  e  dispute,  che  non  sarebbe  ora  il  momento  di 
ricordare.  Certo  però,  e'  son  testi  schiettamente  meridionali,  che, 
se  anche  vengou  in  parte  più  su  della  zona  sicula  ecc. ,  non  la 
escludono  però  menomamente. 

Comunque,  in  quanto  all'  etimologia,  per  dir  così,  di  codeste 
voci  pronominali,  io  non  ho  alcun  dubbio.  Tutti  quelli  che  hanno 
avuto  sin  ora  occasione  di  ricordarle,  compreso  l'ultimo  di  essi, 
il  rimpianto  Caix,  non  vi  han  fatta  alcuna  speciale  considerazione  ; 
e,  attirati,  senza  pur  bene  accorgersene,  dalle  forme  come  mene 
mee  ecc.,  hanno  creduto  di  poterle  mettere  in  un  fascio  con  queste, 
e  ritenere  quel  -ve  come  uno  strascico,  una  sillaba  epitetica,  del 
genere  di  -ne.  Senza  però  pensare  che  di  -ne  ed  -e  gli  esempj  abon- 
dano  da  ogni  banda,  e  anche  di  -je  (molis.  móje  mo,  faje.,  fa'  = 
fare  ecc.) ,  ma  di  -ve  epitetico  non  si  troverebbe  invece  alcun 
altro  esempio,  né  per  la  stessa  regione,  né,  eh'  io  sappia,  per  altre. 
Io  vedo  ora  molto  semplicemente  in  teve  seve  il  regolare  continua- 
tore di  i~i\n  SI  br  \  e  in  meve  una  formazione  su  di  essi! 

Volgiamoci  ora  ad  altre  regioni  cioè  ad  altri  problemi.  Il  por- 
toghese, lo  spagnuolo,  il  galloitalico,  ci  danno  mi  ti  si.  Donde 
queste  forme  derivano?  Ad  altri  e  a  me  stesso^  parve  molto  na- 
turale veder  riflessa  in  codest'  /  1'  è  della  voce  accusativale  la- 
tina. Sennonché,  è  egli  davvero  così  naturale  un  tal  riflesso  in 
quegli  ambienti  idiomatici? 

Gli  esempj  sporadici,  d'i  da  e  che  lo  spagnuolo  e  portoghese 
ed  anche  l' italiano  e  il  francese  e  il  provenzale  ci  offrono,  sono 
stati  in  gran  parte  dilucidati  ^  Mi  sia  lecito  qui  insisterci  un  po' 


^  La  Sicilia  avrebbe  in  vero  richiesto  tivi  ecc.,  come  avevamo  già  accen- 
nato; ma  i  testi  antichi  ci  danno  spesso  una  lingua  che,  quali  che  ne  siano 
le  ragioni,  prescinde  più  o  meno  frequentemente  dalle  ragioni  dello  stretto 
vocalismo  siculo.  Onde  teve  ecc.  si  collegano  a  intere  serie. 

^  Manualetto  spagnolo,  p.  26-7. 

*  Vedi  soprattutto  Ascoli,  Arch.  I  169-70,  II  116  n,  III  72;  e  Camello, 
Zeitschr.  f.  r.  ph.,  I  510-11. 


€0  TV  Ovidio, 

di  proposito.  Prima  di  tutto,  parecchi  son  comuni  a  più  lingue 
insieme.  Il  Saracino  itul.  ha  riscontro  noli'  ant.  sp.  sarracin  (ri- 
masto nel  sost.  sarracina  zuffa),  fr.  sarrasin^  pi'ov.  sarazi.  Pulcino 
ritrova  il  jpoussin  tre,  il  poiici  prov.  E  il  venino  are.  sp.  s'im- 
batte nel  venin  di  Francia  e  di  Genova  e  di  'Bonvesin'  e  del 
contado  milanese,  vinin  dell'Alta  Engadina,  veri  di  Provenza.  E 
al  nostro  pergamina  sta  acjcanto  lo  sp.  pergamino^  il  pg.  perga- 
minho,  il  frc.  parchemin.  il  prov.  pargami  pargamina.  E  al  no- 
stro racimolo  risponde  il  frc.  raisin,  prov.  rasim,  lo  sp.  pg.  racimo. 
E  il  frc.  p>ags  va  col  pais  di  Provenza  e  delle  due  lingue  iberiche' 
6  di  tanta  parte  della  zona  ladina  orientale  \  Ora  codeste  coin- 
cidenze, accennando  a  una  base  comune  preromanza  ci  partano 
fuori  del  campo  delle  lingue  singcle,  e  non  provan  più  nulla  per 
quest'  ultime  ^  E  s'aggiunge,  che  per  le  più  di  codeste  voci  l'o- 
scillazione ha  una  ragione  molto  evidente  nella  efficacia  attrattiva 
del  suffisso  -ino;  oltre,  s'intende,  altre  ragioni  peculiari  che  per 
alcune  di  esse  possan  valere  ^.  E  consimili  attrazioni  possono  spie- 
gare anche  deviazioni  di  singole  lingue,  come  il  frc.  hrebis,  prov. 
òerhitz  (Forster,  'Umlaut'  495),  e  il  napol.  alice]  i  cui  etimi  ver- 
ve e  e-  h  ale  ce-,  i  soli  che  in  latino  avessero  un  tal  finimento, 
erano  molto  naturalmente  attratti  nell'orbita  di  radice-  per- 
dio e-  cervice-  e  poi  felice-  ecc.*  Né  alcuno  vede  più  oggi  un 
fatto  fonetico  in  fiorire  pentire  ecc.,  fi  ore  re  ecc.  Per  Messina,  il 
soccorso  che  il  Diez  giustamente  credea  potersi  chiedere  alla  forma 
greca  itacistica  è  anche  superfluo,  per  ciò  che,  data  la  base  *Mes- 


^  Ascoli  ,  Ardi.  I  547  a.  Non  credo  che  tenga  il  sospetto  del  Diez  (less. 
I  s.  paese),  che  la  voce  iberica  sia  un  francesismo. 

^  pergamina  occorre  già  nelle  Note  Tironiane. 

'  Lo  sp.  che  oggi  dice  veneno,  usa  però  venino  come  aggettivo,  ed  è  questa 
come  una  conferma  della  facilità  con  cui  fu  visto  in  cotal  voce  il  suff.  -ino. 

*  E  colla  solita  influenza  di  -ino  avranno  spiegazione  il  frc.  cimine  ca- 
tena, la  cui  f.  a.  è  cha-ine,  e  1' a.  frc.  se'ine  grossa  rete  =  sagena  (purché 
non  v'influisse  anche  la  pronunzia  itacistica  di  aay^vyi),  e  l'a  frc.  seri,  e 
il  nap.  serine.  Ma  le  coppie  sp.  barrena,  it.  verrina  (trivella),  e  prov.  ver- 
mena, fr.  vermine,  che  il  Diez  ricorda  (suff.  -enus),  possono  darci  uno  scambio 
affatto  contrario.  —  E  non  voglio  dimenticare  l' it.  dozzina  (eniil.  duzeina), 
di  fronte  allo  sp.  docena  (e  lomb.  donzenna,  ven.  dozena,  neoprov.  dnugena); 
dove  è  tanto  piìi  evidente  lo  scambio  meramente  suffissale,  iu  quanto  v'  è 


Pronomi  personali  e  possessivi.  61 

sena  ',  la  fonetica  locale  non  ne  |)oteva  cavar  che  Messina,  come 
già  accennò  il  Canello.  Quanto  h  mantile,  il  latino  stesso  lo  ha,  ac- 
canto a  mantéle^  Del  frc.  tep/s,  mit.  frc.  sp.  pg.  tcqnz,  è  stato 
già  riconosciuto  che  risale  a  *tapetiuiu,  e  ha  Vi  per  metafonesi 
(Forster,  1.  e.  496);  e  larghi  tiloui  di  i  di  identica  ragione  s'hanno 
così,  presso  più  lingue,  nelle  forme  ver})ali  (je  fis,  pris  ecc.,  yo 
hize  ecc.,  ant.  frc.  criu  crévi  ecc.,  napol.  tu  pise  cride  ecc.)  e  in 
forme  nominali  {misi=  mesi  ecc.)  e  in  voci  singole  (frc.  ivre,  eglise^ 
sp.  vendimia,  it.  biscia,  Corniglia,  ecc.)  ^.  Di  un  altro  filone  fran- 
cese, merci  ciré  e  plaisir  e  verbi  are.  luisir  gesir  ecc.,  ci  ha  data 
ragione  l' Ascoli  con  l' lutlusso  della  attigua  consonante  palatile. 
Pel  popol.  tose,  nimo  uemo,  oltreché  v'è,  pare,  nimo  in  Donato  *, 
si  può  pensare  anche  agli  effetti  della  proclisia  in  cui  esso  talora 
si  trova  ^.  Ad  ogni  modo,  restano  bensì  talune  voci  inesplicate, 


anche  il  tipo  dozzana  (uapol.  ;  frc.  douzaine).  Vedasi  anche  Ascoli,  III  319  n. 
Quanto  ad  amoscino  damasceno-,  vi  può  avere  influito  anche  il  greco  (->?-); 
come  poi  solo  col  greco  mi  pare  spiegabile  la  forma  collaterale  proparossi- 
tona  amoscino  (di  cui  v.  Storm,  Ardi.  IV  387),  che  sarà  stato  prima  *amo~ 
scino  *amascinó  (oauaTzv/jóv),  con  pronunzia  itacitistica  (cfr.  accidia,  effimero} 
e  l'ossitonismo  serbato  come  nel  nap.  vasinicóla  (basilico-)  e  in  qualche  altra 
voce  (Arch.  IV  138;  Giorn.  di  fil.  rm.,  I  72  73),  e  quindi  ritratto  l'accento 
(cfr.  basilico,  Agapito  ^AyarrtìTÓQ).  —  Quanto  al  merid.  alice,  potrebbe  esso 
parere  normale  nella  fonetica  di  dialetti  che  dicon  sire  sebum  (napol.  cam- 
pob.  ecc.);  ma,  se  ben  si  guarda,  1'  i  da  é  nel  Mezzodì  (eccetto  la  zona  ca- 
iabro-leccese-sicula)  non  si  ha  se  non  con  antico  -u  od  -i  tinaie  (Arch.  IV 
148,  e  Indici  416  a);  e  anche  il  nap.  cummiche  ecc.  cum  mécum  ecc.,  entra 
in  questa  categoria  degl'  -i-  promossi  da  -u.  Eccezioni  apparenti  son  chileca 
clerica,  ove  Vi  è  dovuto  al  j  che  ha  sorrogato  l,  e  cita  acetum  ove  la  finale 
sarà  stata  solo  posteriormente  alterata.  E  col  campob.  chileca  manderemo  il 
romagn.  cisa  ecclesia,  sulla  scorta  del  Mussatìa  (p.  9). 

^  Che  è  jonizzante;  mentre  la  classica  Messana  era  dorizzante. 

^  Degli  intrecci  medioevali  di  questa  fortunosa  voce  latina  con  altra  con- 
simile greca  bizantina,  ho  già  toccato  altrove:  'Di  alcuni  docuineuti  greci  ecc.', 
p.  3  (estr.  dall'  Arch.  Stor.  Napol.,  a.  VII,  fase.  3.°).  Il  lomb.  mantin  ne  de- 
riverà pure,  con  suffisso  mutato. 

^  Forster  I.  e.  494  segg.  —  La  sola  forma  di  metafonesi  cui  il  toscano 
non  sia  estraneo,  è  codesta  di  i  per  influsso  dì  un  susseguente  -nnj-  -llj-  : 
cfr.  famifjlia  ecc. 

*  ScHucHARiiT,  vok.  I  308. 

^  Si  hanno  dizioni  come  in  nimo  loco  (Guitlone)  e  simili.  Quanto  al  nime 


62  IV  Ovidio, 

come  il  pg.  sìso  (sp.  seso)  sensus,  pg.  sp.  sisa  taglia,  imposta,  ri- 
taglio =  e  e  n  s  a,  dove  pure  però  sarebbe  ben  da  vedere  se  Vi  non 
sorgesse  prima  nella  posizione  protonica  (pg.  s/'sudo  sisudamente 
sisudeza  sisorio,  sp.  sesudo  sesudamente  ;  sp.  pg.  sisar  sp.  sisador 
sisero  pg.  sìseiro)  ;  e  come  i  frc.  pris  preso  (attratto  dal  per- 
fetto?), marqms\  il  roraagn.  si  sèbum  (Muss.  8)  di  fronte  al  boi. 
sei,  lomb.  sev.  ma  son  pochi  esempj  sperduti,  insomma,  e  son 
dei  problemi  da  risolvere,  non  dei  suffragi  da  invocare  !  Come 
dunque  si  potrà  dire  altro  che  inaspettato  e  anomalo  1'  i  del  mi 
ti  si  nello  spagnuolo,  nel  portoghese,  nel  veneziano,  se  veramente 
codeste  forme  risalgono  a  me  ecc.?  E  si  badi  anche  questo,  che 
di  tutti  gli  esempj  sporadici  d'  è  in  i  che  or  ora  si  son  passati 
a  rassegna  e  chiariti  più  o  meno  con  ragioni  speciali,  il  maggior 
numero,  dato  che  valesser  qualcosa,  tocca  alla  Francia,  che  poi 
dice  moi,  e  mi  non  dice  se  non  in  una  zona  speciale  ! 

Lo  sp.  e  pg.  hanno  veramente  un  esemplare  che  parrebbe  di 
grande  efficacia  dimostrativa,  e  la  cui  omissione  sarà  parsa  strana 
ai  lettori  che  ci  avessero  pensato:  voglio  dire  lo  sp.  coìimigo  contigo 
consigo,  pg.  comtigo  ecc.  =-mécum  ecc.,  che  trova  1'  i  pur  nelle 
corrispondenti  voci  degli  ant.  docum.  dialettali  dell'Alta  Italia.  Ma 
appunto  la  strettissima  loro  parentela  coi  tre  monosillabi  che  sono 
in  questione,  ci  rende  ben  esitanti  ad  appellarci  a  loro;  potendo 
la  identità  della  vocale  essere  effetto  di  semplice  accomodamento 
delle  tre  voci  composte  alle  tre  semplici.  Come  semplice  imitazione 
dell'  i  di  -migo  ecc.  sarà  1'  u  di  comisco,  nobiscum,  dell'ant.  sp., 
cui  risponde  il  pg.  con  comnósco,  e  l'ital.  con  un  nosco  (che  forse 
il  Canello  avrebbe  giudicato  come  un  are.  ngsco^  dimenticato  nel- 
l'uso e  poi  letterariara.  pronunziato  male). 

Nel  lombardo,  veramente,  parrebbe  che  il  mi  =  me  avesse  mag- 
gior conforto  da  paralleli  locali.  Ognun  sa  che  vi  si  dice  candita 
candela,  tila  tela,  ziìa  cera,  sira  sera.  Ninno  però,  ch'io  sappia, 
ha  osservato,  nemmeno  il  Salvioni  (o.  e.  56),  né  io  prima  d'oggi  \ 


rumeno,  esso  non  ci  riguarda,  per  ciò  che  l'-em-  in  rumeno  si  sarebbe  ad 
ogni  modo  fatto  -im-,  come  s'  è  visto  poco  fa. 

^  Cfr.  Manuale  Spagn.,  p.  26.  [Ma  il  bergam.  dice  sempre:  siila,  ailt,  slf 
sev^o,  ecc.l  —  G.  I.  A.] 


Pronomi  personali  e  possessivi.  63 

clie  codesti  esempj  si  riducon  tutti  (in  milanese)  alla  formula  e  +  cons. 
liquida  ;  o  addirittura  solo  a  e  +  r,  ove  si  consideri  che  le  forme  più 
prettamente  vernacole  metton  volentieri  un  r  anche  dove  era  l 
(^candirà,  tira;  oltre  shri  cera)  e  le  più  colte  estendono  il  l  più  in 
là  del  giusto  (zUa)^  che  è  segno  di  artificiale  ripristinamento  di 
esso  l.  A  conferma  di  ciò  va  addotto,  che  anche  altri  /  da  e  non 
risalente  a  é,  o  di  i  protonici  per  e  (cantir,  mestir,  bandir^  e  la 
serie  harchir'ó  barcaiuolo  ecc.),  hanno  un  -r-  '.  In  pidria  (ven. 
'pirla  ecc.)  è  stata  già  vista  la  ragione  speciale  dell'  i  {pi-  =pje-  - 
=  pie-,  cfr.  mil.  pitanza^  tose.  Chimenti  Clemente),  dal  primo  vero 
dichiaratore  di  codesto  vocabolo  (Ascoli,  Stud.  Crit.  II  96-7).  Di 
tri  trés,  il  Salvioni  stesso,  1.  e.  88,  ha  avvertita  la  ragione,  che 
è  la  metafonesi,  la  fase  anteriore  dovendo  essere  stata  *trei^; 
ed  è  inutile  aggiungere  che  la  stessa  causa  operò  anche  più  lar- 
gamente in  antico  (-ivri  = -èhì\i  per  -èbiles).  E  finalmente  in 
tanas'ia  tanaceto,  fr.  tanaisie,  l'etimo  è  incerto,  e  ad  ogni  modo 
v'è  l'iato.  E  in  botia,  che  si  riscontra  col  biitia  sopras.,  butt'ia  al- 
toengad.  (Arch.  I  170  n),  pur  d'iato  si  potrebbe  pensar  che  si 
trattasse,  se  non  s'avesse  1'  i  pure  nel  frc.  boutique^  prov.  botiga, 
sp.  pg.  botica,  romagn.  e  perugino  butiga  ^  ant.  senese  buftiga^, 
e  quindi  assai  probabilmente  la  pronunzia  itacistica  dell'  etimo 
greco  *. 


^  Cfr.  Salvioni,  60-61.  Il  pìs  che  egli  cita  potrebbe  risalire  a  un  *pe(u)s-i-o. 
Al  Salvioni  la  serie  barchiro  ecc.  par  contrariare. la  tendenza  milanese  al- 
l' a  atona  av.  r  (di  cui  tratta  a  pp.  104-6  123-4  134  144  148).  Pure,  biso- 
gnava avvertire  che  le  più  volte  si  tratta  di  a  av.  r  +  cons.,  come  in  par- 
nónzia  sparpósit  cardenza  marca  mercato  ecc.,  o  av.  -rr-  scempiato  secondo 
l'inclinazione  deli'  organo  norditaliano  (taramótt,  faravost  ferragosto,  fare 
ferrajo,  sarà  serrare,  dare  *darretro,  e  anche  Montarobbi,  che  sarà  come 
un  'Montarrobbio'.  E  a  fronte  di  codeste  due  serie,  lunghissime,  non  si  hanno 
che  ben  pochi  esempj  di  a  seguita  da  r  anche  originariamente  scempio:  qua- 
rella  querela,  masard  macerare,  saron  sierone,  sarizz  *silicio-,  arétig  (che 
è  a  iniziale).  La  serie  vedaró  vedrò  ecc.  sarà  anche  analogica  su  portare 
ecc.  nonostante  qualche  indizio  contrario. 

^  Cosi  in  tasi  (ibid.)  tacete,  e  sim.,  vi  sarà  pur  metafonesi,  da  una  f,  a. 
*taséi  per  *tasé(d)e.  Cfr.  canté  cantate  in  f.  a.  cantai  (p.  87),  e  de  sté  ecc. 
dai  stai  ecc.  (p.  1.S2). 

*  V.  il  dizion.  di  Tommaseo  e  Bellini. 

*  M'  accorgo  che,  ad  ogni  modo,  di  questa  voce  avrei  dovuto  parlare  prima; 


64  D'Ovidio, 

Concludo,  che  in  lombardo  non  meno  che  in  veneto,  in  ispa- 
gnuolo  ecc.,  l'equazione  ml  =  me  è  fonologicamente  poco  plausibile. 
L'ipotesi,  ora,  che  più  facilmente  ci  si  presenta  per  evitar  l'  /=  e, 
è,  che  in  codesto  mi  ti  si  si  continui  mihi  tibi  sibi.  Codesta 
ipotesi  però  non  è  senza  difficoltà.  Come  mai,  delle  fasi  che  a- 
vrebber  dovuto  essere  intermedie  tra  la  voce  latina  e  la  romanza, 
cioè  mie  Uè  sie,  non  sarebbe  rimasta  niuna  traccia  negli  antichi  testi 
lombardi,  spagnuoli  ecc.  '  ?  Come  poi  da  Lisbona  a  Venezia  s' a- 
vrebbe,  latitudinalmente,  il  solo  continuatore  di  mihi,  interrom- 
pendosi così  la  linea  longitudinale  dei  continuatori  di  me,  che 
sen/a  ciò  correrebbe  diritta  dalla  Normandia  insino  a  Bari  e  a 
Napoli?  E  che  n'è  poi  stato  del  me,  in  quella  zona  del  mi?  Giac- 
ché, quando  le  due  voci  latine  non  si  continuano,  come  in  rumeno 
in  sardo  e  forse  in  siculo  ecc.,  tutt'  e  due,  pare  allora  naturale 
che  l'unica  superstite  sia,  come  in  toscano,  in  francese,  ecc.,  la 
voce  accusati  vale  (de  me,  ad  me,  per  me  ecc.),  e  non  l'altra! 

Pure,  in  simili  cose  non  v'è  nulla  di  assoluto.  E  alla  fine,  come 
in  siciliano  il  pronome  interrogativo  non  è  che  il  già  dat.  cui 
(cu  esti?  chi  è?),  mentre  in  ispagnuolo  non  è  che  il  già  accus. 
quem  {rjuien  es?),  e'  si  può  ben  concepire  che  il  pronome  per- 
sonale sia  solo  mihi  in  Lombardia  mentre  è  solo  me  in  Toscana. 
E  fra  l'altro,  è  ben  possibile  anche  questo,  che  per  un  certo  tempo 
lo  spagnuolo,  il  lombardo  ecc.  seguissero  a  dire  e  mi  e  me  in  fun- 
zione enfatica^,  ma  infine,  fissatosi,  nel  modo  che  più  giù  diremo, 
per  la  funzione  atonica  una  forma  me,  delle  due  voci  enfatiche 
prevalesse  allora  quella  suonante  mi,  sol  per  antinomia  alla  non 
enfatica,    e  per  imitar  l'unicità  di  questa  ^. 


e  aggiungo  che  anche  il  romagu.  e  il  pieni,  hanno  un  eira  (Muss.  8)  sìra, 
che  non  mi  so  spiegare.  Che  sia  cerea? 

^  Nel  testo  antico  venez.  della  S.  Caterina,  pubbl.  dal  Mussafia,  si  trova 
mie  Uè,  ma  sempre,  com'egli  nota,  in  rima  con  voci  desinenti  in  e  {fé')', 
e  si  tratta  di  un  testo  ove  la  rima,  in  quanto  alla  vocale  tonica,  è  sempre 
perfetta. 

^  Neil'  ant.  testo  venez.  or  ora  citato  si  trova  difatli  continuamente  me 
mee  te,  in  rima;  oltre  il  mie  ecc.  che  pur  sembra  mascherare  un  me  ecc. 

*  Ho  escluso  fin  qui,  a  bella  posta,  dal  mio  ragionamento,  il  mi  ecc. 
di  certe  varietà  provenzali  e  di  certe  varietà  francesi  (piccardo),  sul  quale 


Pronomi  personali  e  possessivi.  65 

Se  per  ragioni  subiettive  ho  escluso  dal  mio  discorso  il  pie- 
cardo  ecc.,  come  dico  nella  nota,  ho  poi  per  ragioni  objettive  dif- 
ferito fin  qui  ogni  cenno  del  ladino;  del  quale  m'è  parso  bene 
parlare  a  parte  da  ultimo,  per  il  vantaggio  che  se  ne  può  trarre 
a  ribadire  l'ipotesi  che  abbiam  messa  in  campo  per  ispiegarci  le 
voci  pronominali  del  lombardo  e  del  veneto,  coi  quali  idiomi  esso 
è  in  istretta  affinità.  Il  ladino  adunque,  in  questa  come  in  altre 
cose  conservatore  di  forme  originarie,  ha  comune  col  rumeno  e 
col  sardo  la  netta  continuazione  di  entrambi  gli  obliqui  latini  : 
dice  mei  tei  sei  (soprasilvano),  mai  tai  sai  (bassoengadino),  me  te  se 
(sotti)S.,  altoeng.),  per  l'accusativo  '  ;  dice  a  mi,  a  ti  (sopraslv.  a 
ci:  cfr.  sparcir  spartire  ecc.),  a  si,  pel  dativo  ^.  Piglio  da  un  sil- 


non  osavo  pronunziarmi.  Gli  altri  esempj  piccardi  di  i  da  é,  come  yèir  sèir 
vedere  sedere,  e  sim.,  mi  parevano  inconcludenti,  perchè  evidentemente 
analogici,  onde  sospettavo  che  anche  pel  piccardo  si  dovesse  ricorrere  alla 
forma  latina  dativale;  ma  d'altra  parte  temevo  che  a  me  potessero  sfuggire 
altri  fatti  che  forse  coonestassero  un  picc.  mi  per  moi.  Avendone  chiesto  a 
persona  ben  più  esperta  di  me  quanto  ad  antico  francese,  al  Neumann,  egli  m'ha 
incorato  con  queste  parole:  «  Pik.  mi  halle  ich  schon  seit  lauger  Zeit  nicht 
"  mehr  fiir  einfach  lautgesetzlich  entwickelt.  Dann  musste  auch  sonst  franz. 

>  oi  ein  pik,  i  entsprechen.  Dies  ist  zwar  der  Fall  in  Infln.  wie  veir  u.  s. 
»  w.,  und  diese  Tnfìn.  werden  in  der  That  auch  von  den  meisten  Romanisten 
»  mit  mi  zusammen  als  Beispiele  eines  pik.  Uebergangs  von  lat.  e:  i  angefiigt. 
»  Allein,  Avie  ich  meine,  sehr  mit  Unrecht.  Dann  musste  auch  jeder  sonstige 
»  e  i  vor  einf.  Cons.  ergeben  liaben;  es  heisst  aber  pik.  espoir,  spero,  nicht 

>  espir ,  croi  credo,  nicht  cri  etc.  Veir  etc,  erkiàre  ich  als  ebenso  zar 
■>  lat.  4.  Conjug.  iibergetreten ,  Avie  tenir  etc,  nur  dass  sich  bei  den  zuerst 
T)  genannten  Infin.  dieser  Uebertritt  locai  auf  der  Pikardie  beschrankt.  "Was 
»  mi  anbetrifft,  so  freut  es  mich,  von  Thnen  zu  hòren,  dass  auch  Sie  diese 
»  Form  mit  mi  niihi  identifìcieren  wollen,  wie  ich  im  Colleg  und  Seminar 
»  seit  einiger  Zeit  thue.  »  Credo,  del  resto,  che  anche  un  terzo,  a  Upsala, 
ci  abbia  pensato:  il  Feilitzen  (op.  cit.  p.  xxvi  n);  se  son  riuscito  a  capir 
nulla  del  suo  svedese.  Quanto  poi  al  mi  del  provenzale,  credo  che  la  fone- 
tica di  questo  idioma  contrasti  ancor  più  risolutamente  un  i  da  é. 

*  Tutte  codeste  voci  rifletton  bene  l'è,  secondo  la  norma  del  proprio  am- 
biente. Cfr.  sopraslv.  reif  rete  ecc.,  basseng.  tazdir  ^tacere  ecc.,  altocng. 
fé  fides. 

2  Ascoli,  I  14  54  126  169  191  (dove  son  ricordati  altri  dativi  pronom.: 
agli- Sia  illT,  ad  um  =  aà  unì  ecc.),  230;  VII  454.  Cfr.  Gartner,  lliitor. 
Gramm.,  p.  92-.S.  Non  so  poi  se  l'Ascoli  mi  lascerà  applicare  all'/  lad.  le 
ragioni  che  ho  più  su  esposte  per  1'  i  rumeno. 

Arrhivio  i^lottol.  ital.,  IX.  5 


66  D' Ovidio, 

labario  '  questa  frase  che  esemplifica  entrambe  le  voci  :  Il  hien 
Dleit  dal  a  mi  la  scniadatj  lascila  mei  viver  e  guder  biars  plaschérs. 
Ora,  io  domando,  è  credibile  che,  quando  il  Veneziano  dice  a 
ini,  dica  altra  cosa  da  quel  che  suona  sulla  bocca  del  montanaro 
di  Disentis?  Non  sarà  anche  in  questo  il  ladino  come  il  mirag- 
gio del  vetustissimo  veneziano? 


IV.  La  voce  dell'obliquo  atona.  — Nel  latino  parlato 
si  dovè  di  necessità  avere  in  funzione  atonica,  sì  proclitica  e  si 
enclitica,  tanto  il  dativo  quanto  l'accusativo  del  pronome.  Quattro 
tipi  0  serie  di  formule  doveano  potersi  avere,  che,  per  via  di 
esempj,  enumereremo  così:    a)  pórta-me   adcasam;  b) 

pórta-mi   v.  pórta-mTh"i  unumlibrum;  e)  me-pórtet 

ad  casam;  d)  mi  -pò  rtet  v.  mt  ht-pór  tot  unum  librum. 
Ora,  questo  schema  di  forme  è  potuto  rimanere  tal  quale,  salvo  le 
alterazioni  fonetiche  locali,  in  qualche  fortunata  favella  neolatina  ; 
ed  è  appunto  il  caso  del  rumeno,  che  dice  me  te  se  per  l'accu- 
sativo, mi  tsi  si  pel  dativo  ;  e  cosi  può  distinguere  ancora  netta- 
mente porte  me  da  porte  mi,  me  porte  da  mi  porte,  che  noi  con- 
fondiamo nell'unico  ^por^mm,  lìti  porti'. 

Anche  nel  ladino  le  forme  atoniche  si  distinguono  in  due  serie, 
di  cui  l'una,  ma  ta  sa,  mette  capo  all'accus.  latino  ^,  l'altra,  mi  ti 
(sprslv.  ci;  cfr.  l'identico  fri.  ci,  Arch.  I  512)  e  si,  al  dativo.  E 
così  si  dirà  ci  dai  ti  dà,  accanto  a  ta  veza  ti  vede  *.  Che  se  nel- 


1  Emprim  cudisch  de  leger  per  scolas  ruralas  dil  Cantun  Grischuu;  Frau- 
enfeld  1860. 

2  Quanto  alla  genesi  fonetica  di  mi  ti  si,  si  riproduce  qui  la  questione 
che  s'  è  fatta  per  le  forme  enfatiche,  cioè  se  ti  si  sieno  analogici  su  mi,  o 
diretti  continuatori  di.  tibi  ecc.  Ad  ogni  modo,  data  pur  la  base  tibi  ecc., 
la  fase  intermedia  sarebbe  sempre  un  *ti-r  ecc.  Voglio  dire,  che  nn  tsi  da 
tr[bij  abbreviato  o  apocopato,  uno  si  da  sr[bi],  sono  inconcepibili,  perchè 
ti   si'  avrebber  dato  te  se,  e  lo  ts-  s-  non  si  sarebbero  punto  sviluppati. 

8  L' a  da  e  *  protonico  è  molto  usuale  in  queir  ambiente:  cfr.  soprasilv. 
sa'girs  se  e  uri,  dasiert,  taner,  banadeus  heneàetto,  fanestra,  masira  misura, 
o=et  (Ascoli,  I  42);  saniester  sinistro,  plaga  plicavit  ecc.  (44);  mademm 
medesimo. 

*  Ascoli,  VII  454. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  67 

l'uso  le  forme  pronominali  atoniche  si  son  rese  in  quest'ambiente 
alquanto  rare,  come  gli  esperti  e'  insegnano,  e  se  finalmente  anche 
qui  i  limiti  tra  l'accus.  e  il  dat.  si  sono  alquanto  perturbati,  specie 
per  la  prima  persona,  che  preferisce  volentieri  mi  in  ogni  funzione, 
non  è,  cosa  questa  che  qui  c'importi  molto;  o,  se  mai,  ci  serve 
anzi  a  farci  osservare  nel  suo  'divenire'  quella  unificazione  della 
voce  pronominale,  che  altrove  troviamo  già  consumata.  Consu- 
mata è,  p.  es.,  nel  sardo,  che  in  funzione  atonica  non  ha  se  n^n 
mi  ti  si.  Ivi,  del  resto,  si  capisce  perfettamente  come  l'unica  forma 
atona  sia  rimasta  quella  dativale.  Poiché  il  sardo,  come  lo  spa- 
gnuolo  e  il  portoghese,  come  il  napoletano  e  il  siciliano,  come  il 
marchigiano  e  l'umbro,  dice  'a  me'  anche  per  l'accusativo  ('hai 
visto  a  me?'  e  sim.):  è  naturale  quindi  che  mi,  che  è  l' atono 
di  a  mie,  valga  anche,  come  questo,  per  accusativo.  Che  già  il 
pronome  atono,  è  superfluo  ricordarlo,  dappertutto  non  è  che  o 
dativo  o  accusativo. 

Ma  mi  ti  si  è  la  forma  unica  del  pronome  atonico  anche  in  to- 
scano, dove  però  la  ragione  additata  pel  sardo  non  può  menoma- 
mente sussistere.  Sennonché,  anche  senza  quella  ragione  così  spe- 
ciale e  così  impellente,  la  generalizzazione  di  una  forma  dativale 
è  sempre  cosa  possibilissima,  e  basti  ricordare  che  cui  lui  ecc. 
hanno  in  toscano  stesso  anche  la  funzione  dell'accusativo  ^;  e  nulla 
insomma  vieta  di  supporre  che  in  toscano  si  limitasse  alla  formula 
atona  quella  usurpazione  del  dativo  sull'accusativo  che  in  ispa- 
gnuolo  e  in  napoletano  è  stata  generale  nel  pronome,  ed  è  andata 
anche  al  di  là  del  pronome  ^  Sicché  è  possibile,  ripeto,  ammettere 
quel  che  sembra  alla  prima,  che  cioè  mi  ecc.  sia  anche  in  toscano 
il  dativo  generalizzato^;  che,  a  parlar  per  esempj,  dammi,  mi 
pare,  sian  forme  originarie,  ed  ammazzami,  mi  chiamano,  siano 
estensioni,  per  dir  così,  analogiche,  abusi  inveterati. 

Si  noti  però  questo,  che  l'Italia  umbro-romanesca  dice  damme 
e  ammazzame,  me  pare  e  me  chiamano',  ed  in  questa  contrappo- 
sizione del  suo  unico  me  all'unico  mi  toscano  ha  il  romanesco  una 


'  'E  caddi  come  l'uom  cui  sonno  piglia',  luf.  iii  13G;  ecc. 

'^  Sp.  yo  he  veido  à  Francisco;  nap.  i'  agrje  viste  a  Ffrangische;  ecc. 

^  Cosi  dovè  intenderla,  p.  es.,  il  Blang,  gr.  244. 


86  D'Ovidio, 

delle  sue  più  spiccate  caratteristiche.  Or,  che  s'  ha  a  dire?  che 
viceversa  nel  romanesco  fosse  la  forma  accusativale  a  usurpare  il 
posto  anche  del  dativo?  Certo,  anche  quest'altra  usurpazione  è  da 
riconiiscer  come  cosa  in  sé  possibile,  e  basti  ricordare  il  donne- 
-moi  del  francese  e  il  s'il  vous  plait,  e  via  discorrendo.  Ma  è  egli 
poi  plausibile  che  le  due  belle  favelle  dell'Italia  centrale,  così 
strettamente  affini  tra  loro,  si  mettessero  in  una  così  aperta  an- 
tinomia morfologica,  da  serbare  l'  una  esclusivamente  i  dativi, 
l'altra  i  soli  accusativi?  Non  sarebbe  più  naturale  che  tutto  si  ri- 
ducesse invece  a  diverso  vezzo  di  pronunzia  ^  ?  Non  basta  il  solo 
confronto  del  segnacaso  tose,  di  col  romanesco  de  a  fare  indovi- 
nare la  diversa  tendenza  fonetica  dei  due  linguaggi,  e  a  far  rico- 
scere  in  me,  mi,  due  varianti  dialettali  d'un' identica  base  latina? 
Ho  spogliato  il  lessico  latino,  prendendo  nota  di  tutte  le  parole 
che  comiuciano  con  una  consonante  seguita  da  é,  ?,  y ,  oe,  od  e, 
ae,  alla  quale  non  segua  vero  gruppo  di  consonanti,  le  voci  in- 
somma come  temone-,  bituraen,  me  dui  la,  caepulla;  e  il 
toscano  ci  dà  Ve,  e,  quel  eh' è  più,  l'è,  sistematicamente  fatti  i: 
bisaccia,  biroccio,  bigoncia,  bilancia,  bitume,  bisaute,  cipolla,  cicala, 
cimentare,  ciliegia,  citrullo,  cicatrice,  cicerchia,  cipiglio  (superci- 
lium,  CaiX),  cicindello,  cicigna  (Diez  II  a),  cicogna,  cicoria,  ci- 
cuta, cilizio,  cilindro,  cimelio,  cinancia  (/.'jvàyyv),  cimitero,  cipresso, 
chitarra,  chimera,  diciassette  . .  .  diciannove  ^,  finestra,  finocchio,  fi,- 
gura,  Filippo,  ginocchio,  ginestra,  libidine,  mignano  m  a  e  n  i  a  n  u  m, 
mignatta  miniata,  migliore,  midolla,  misura,  minaccia,  minore, 
minestra,  Minerva,  minugia,  minuto,  pigione,  prigione,  pidocchio, 
pipistrello,  pitaffio,  picciuolo  petiolus,  ribelle,  ritroso,  Sicilia,  si- 
lenzio, signore,  sinistro,  timone,  timore,  vicenda,  ecc.  ^.   E  vi  sono 


^  Svi  questa  via  si  misero  già  lo  Storji  (Voyellcs  Atones,  p.  28)  e  il  Gatx 
(Vocalismo  italiano,  p.  18);  e  di  loro  mi  gioverò;  però,  non  esaurirono  essi 
r  indagine  sul  pronome,  anzi  accennarono  a  questo  solamente  di  volo. 

^  Ivi  però  r  i  poteva  anche  risultar  dalla  semplice  chiusura  del  dittongo, 
eh' è  in  dieciassetùe  ecc. 

^  Mi  son  limitato  quasi  interamente  alle  voci  di  fonte  diretta  latina,  omet- 
tendo le  latine  indirette  (scimunito  ecc.),  le  germaniche  (bidello  ecc.).  Che 
se  no  r  elenco  si  potea  far  ben  piìi  lungo.  Solo  per  eccezione  ho  citato 
qualche  pri-  e  sim. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  69 

forme  oscillanti,  come  dicembre,  dimonio,  hldollo  betulla,  nicistà, 
nimico,  nipote,  cilestre,  cirimonia,  cisoje,  disio,  limosina,  ligume,  mi- 
ticoloso,  sicuro,  Grigorio,  Girolamo,  Vinegia  eco  \  dove  non  ista- 
remo  a  scernere  le  voci  in  cui  è  più  saldo  1'  i  [nipote  ecc.)  e  quelle 
dove  più  i'e  {demonio  ecc.!.  Come  non  istaremo  a  sceverare  i  com- 
posti di  de-  e  re-  che  si  rifletton  per  di-  ri-  [divorare,  difendere, 
ricetto,  ricovero,  rinascere,  rimedio,  ripudio  ecc.),  da  quelli  che 
tengon  l'  e  [derivare,  religione  ecc.),  e  le  oscillazioni  continue  tra 
i  due  tipi,  anche,  spesso,  net^li  stessi  verbi;  né  ci  fermeremo  a  no- 
tare come  in  massima  1'  i  sia  nelle  lor  forme  più  popolari  (cfr. 
disegnare  a  fronte  di  designare  ecc.)  ^  Piuttosto  ci  affretteremo  a 
confessare  che  non  son  rarissime  le  parole,  in  genere,  ove  1'  -e- 
tien  solo  il  campo;  né  soltanto  tra  quelle  voci  ove  l'atona,  si  può 
dire,  si  con'bnua  alla  tonica,  quali  fedele,  pesare,  sedile,  hevone, 
benigno,  bevanda,  seguace,  p>eloso,  venerdì  ecc.,  che  seguon  fede, 
peso  ecc.  eco.  ;  ovvero  tra  le  voci  più  n  men  letterarie,  come  pe- 
nuria, fecondo,  mecenate,  melanconico,  metallo,  medaglia,  memoria  ^ 
penidtimo,  fenomeno,  senato,  secondo  \  severo,  decano,  denaro  ecc., 
0  cancelleresche,  come  sequestro,  relegare  ecc.,  o  ecclesiastiche, 
come  Gesù,  o  non  toscane  in  origine  come  Perugia,  Venosa,  Ve- 
suvio ^  ;  bensì  anche   tra  parole   di   cui    proprio    io   non    intendo 


1  PerfiQ  binigno  nella  'Tancia';  cfr.  Storni,  32. 

2  Cfr.  Canello,  Arcli.  Ili  332. 

8  Lo  mostra  non  popolare  anche  il  gruppo  -rj-  conservato.  Popolarmente 
sarebbesi  avuto  *ini>noJa.  L'uso  di  'mente'  nello  stesso  senso  ('non  l'ho  in 
mente',  e  sim.)  spiega  in  parte  come  potesse  esser  men  popolare  'memoria'. 

*  Può  parere  strana  la  non  popolarità  originaria  di  secondo,  ma  è  messa 
fuor  di  dubbio  da  nono  nonus,  da  ve.nieslmo  e  sim.  = -e  sim  us.  Di  qu  sto 
soggetto  toccammo  già  il  Canello  ed  io:  Ztschr.  f.  rom.  ph.,  I  .^13;  Giorn. 
di  fil.  rom.,  1  74.  Anche  i  superlativi  hanno  l'aria  d'essere  semilettcrarj, 
sebbene  ciò  pure  apparisca  alla  prima  strano.  L'Osthoff,  in  uno  scritto, 
forse  non  ancora  pubblicato,  sul  'ss-  e  -s-  in  latino',  di  cui  io  devo  la  co- 
noscenza al  prof.  Cocchia,  sostiene  che  debba  supporsi  -issimus,  non,  se- 
condo si  crede  generalmente,  -Issimus,  e  si  libera  della  difficoltà  che  par 
venire  dall' it.  -issinio  (che  vorrebbe  -i-),  appunto  col  dichiararlo  mm  po- 
polare. Io  mi  permetto  suggerirgli,  a  prò  della  sua  tesi,  il  confronto  dei 
suddetti  numerali  ordinativi. 

'•'  Ho  fatta  però  ogni  analoga  soppressione  nell'elenco  degi'-»-. 


70  D' Ovidio, 

perchè  mai  si  snttragfgano  alla  solita  les^e  dell'  e  prntonica  in  ^, 
cioè  (lire  befana,  felice,  Felice,  cesello,  ferire,  feroce,  letame,  mede- 
simo, negozio,  pericolo  periglio,  sereno,  segreto,  tesoro,  veleno,  veloce, 
veruno,  geloso  '.  Ma  queste  poche  vere  eccezioni,  che  restano  da 
studiare,  non  ci  toj^lieranuo  di  ripetere  con  piena  fiducia  che  pel 
toscano  è  norma  mettere  nella  prima  sillaba  protonica  1'  i  dove  a 
priori  s'  aspetterebbe  1'  e  (e,  ì,  e,  ecc.)  ;  e  norma,  si  badi,  tanto 
generale,  da  dileguare  interamente  il  sospetto  che  alla  determina- 
zione dell' ^  contribuisse  la  qualità  della  consonante  antecedente 
0  successiva  ^.  Onde  si  può  concludere  che  dalle  formule  me- 
-pùngit,  te-pù  Ugo  ecc.,  toscanamente  doveva  aversi  mi  punge, 
ti  pungo  ecc.  E  inutile  poi  dire  che  nelle  formule  come  il  virgi- 
liano si  me-àmas,  come  te-amo,  e  sim.,  se  non  s'andava  a  finir 
coU'elisione  {m'  ami  ecc.),  dovea  finirsi  pure,  secondo  un'  altra 
norma  generale  (commeatus  commiato  ecc.),  a.  mi-ami  ti-dmo  ecc. 
Posta  dunque  per  un  momento  l'ipotesi,  che  dalla  sola  voce  ac- 
cusativale  latina  dovessimo  cavare  la  voce  atona  toscana,  essa  ci 
basterebbe,  fonologicamente,  a  spiegarci  il  mi  ti  si;  in  quanto  è 
proclitico,  però.  In  quanto  enclitico,  siccome  in  tose.  Ve  finale 
normalmente  resta  immutato  (su  che  tra  poco  torneremo),  così 
da  a  ma- me,  crédit-se  e  sim.  non  si  sarebbe  dovuto  avere  amami, 
crédesi  ecc.  Nulla  però  ci  vieta  di  supporre  che,  sorti  nella  posi- 
zione proclitica,  mi  ecc.  passassero  quindi  anche  alla  enclitica  ^ 


^  Tanto  più  singolare  è  1'  e  di  cerusico,  leticare,  ove  risale  a  t. 

^  Le  consonanti  attigue  si  fan  piuttosto  sentire  in  quanto  frastornano  1'/, 
proraovendosi  dalle  labiali  1'  o,  u.  come  in  dovizie,  domani,  domattina,  do- 
mandare, diventare,  giumelle,  niofetn,  Mugnone,  popone,  rubello,  rovistare. 
La  tendenza  all' -«-  fu  tanta,  da  attirare  perfino  qualche  o,  w,  come  p.  es. 
in  bifolco  bubulcus.  ginepro,  nicciuola,  pricissione,  sirocchia  ecc. 

*  GII  aitarme,  parme  ecc.  poet.  (unico  es.  nella  D.  C.  è  il  d'altro  non  calme 
del  Purg.  vili  12),  non  so  se  possan  tenersi  strascichi  d'  una  fase  anteriore, 
0  non  piuttosto  si  riducano  a  semplici  applicazioni  della  forma  tonica  (cfr. 
dissi  lui,  lor  dissi),  agevolate  dall'esempio  del  me  ecc.  di  altri  dialetti  (roman., 
pugliese  ecc.)  ed  anche  dalle  frequenti  alternative  d'  -i  ed  -e  ne'  nomi  e 
verbi  {tu  gride  =  gridi  ecc.).  —  E  sarà  il  caso  di  ricordare  qui  le  forme 
composte  :  melo  mela,  telo  tela,  ecc.  Era  una  goffa  spiegazione  quella  dei  vecchi 
grammatici  che  dicevano  essersi  *milo  mila  ecc.  cambiati  per  eufonia  (?)  in 
melo  ecc.  (se  qualche  rarissimo  mito  ecc.  si  trova  in  aut.  testi  tose,  sarà  pura 


Pronomi  personali  e  possessivi.  71 

Ma,  se  la  sola  voce  accusativale  potrebbe  a  rigore  bastare,  a 
fortiori  sarà  ammissibile  la  confluenza  di  quella  e  della  voce  del 
dativo;  sicché  insomma,  mentre  mi 'punge,  amami,  risalgono  a  me 
p  u  n  g  i  t,  ama  m  e,  invece  mi  dai  la  mano,  dammi  la  mano  ecc. 
risalgano  a  mi  das  ecc.,    das  mi  ecc.  Il  dammi,  qui  pertetta- 


riformazione  sopra  mi  ecc.!).  Neanche  però  io  posso  ammettere,  che  s'abhia 
a  dividere  me  lo  ecc.  e  vedervi  il  me  originario  (lat,  me),  come  voleva  p.  es. 
il  Caix,  Vocal.  18-9.  Codesta  dissezione  si  trova  bensì  nell'  uso  letterario, 
specialmente  poetico,  ma  non  dà  indizio  d'altro  se  non  del  concetto  che  gli 
scriventi  si  fecero  di  codesti  pronomi  composti,  e  non  ha  più  valore  storico 
di  quel  che  n'abbia  il  nol-o  ecc.  del  portoghese,  nel  quale  gl'indigeni  rico- 
nobbero nos-o  con  s  in  l  (cfr.  la  mia  Graram.  p». ,  p.  28-9)!  To  tengo  fer- 
mamente, e  ho  sempre  tenuto,  che  in  codeste  crasi  pronominali  Ve  appartenga 
al  secondo  pronome,  e  la  vera  dissezione  sia  m'elo  m'ela  m'eli  m'ele,  t'elo  ecc., 
s'elo  ecc.,  m'ene  t'ene  s'ene,  c'elo  ecc.,  v'elo  ecc.,  glj'elo  ecc.  glj'ene.  Queste 
ultime  voci,  che  risalgono  a  illi-illum  ecc.  e  ili  i-inde,  e  che  non  avreb- 
bero come  cavar  l'è  dal  primo  membro  (il IT),  mi  son  la  più  chiara  conferma 
della  verità  di  ciò  che  io  dico.  Lo  scempiamento  di  -II-  -nn-  è  dovuto  alla 
proclisi  e  all'enclisi;  e  non  ha  avuto  luogo,  p.  es. ,  nei  merid.  portam-iUe 
portam-élla,  vatt-enne.  Se  poi  il  m  di  m'elo  ecc.  sia  mihi  o  me,  non  si  vede 
di  qua,  naturalmente.  —  Anche  nelle  preposiz.  articolate  dello  nello  ecc., 
io,  checché  ne  paresse  al  Caix  (Giorn.  di  fil.  rom.,  II  1  segg. ,  Origini  197 
segg.),  vedo  molto  semplicemente  d'elio  d'ella  d'egli  d'elle,  n'ello  ecc.  Se  gli 
scrittori  scrissero  facilmente  de  lo,  ne  lo  ecc.  (rimasti  ora  alla  poesia),  vuol 
dire  che  -II-  potè  sonare  anche  scempio,  per  via  della  proclisi,  e  delo  poi 
parve  da  suddividere  in  de  +  lo,  e  ìie  lo  gli  andò  appresso.  Ma  la  suddivi- 
sione era  falsa  (la  fonetica  toscana,  se  no,  avrebbe  dato  di  lo;  in  ispagnuolo 
sì,  può  a  iimettersi  che  il  neutrale  de  lo  couteng-a  de  tutto  intero!);  come 
è  falso  che  dello  sia  da  delo  per  reduplicazione  della  consonante  ex-iniziale, 
come  in  dappoi  ecc.,  che  il  da  e  V  a  1'  hanno  il  valore  re  luplicante,  ma  il 
de  (di)  no:  cfr.  difatto  acc.  ad  affitto  ecc.  E  la  vecchia  questione  se  del 
sia  tronco  di  dello,  o  un  composto  d'el,  è  una  questione  che  non  ha  luogo, 
trattandosi  di  due  evoluzioni  fonetiche,  parallele,  della  identica  voce  latina, 
dovute  alle  due  diverse  situ  ;zioni  di  essa  nel  discorso.  Vale  a  dire  che  d(e)- 
-illo-stùdio  e  d(e)-illo-pàtre,  p.  e.,  si  trovarono  ridotti,  ognun  per  conto 
suo,  a  delio-stùdio  e  del-pddre ,  essendo  nel  secondo  caso  favorita,  dalla 
struttura  sillabica  del  complesso  arlic. -t-nome,  la  sincope  della  seconda  vo- 
cale protonica,  non  favorita  invece  punto  nel  primo  caso.  Ma  d(e)-i]l  a-m  atre 
e  d(e)  il  la-stàtua  ecc.  davano  estrambi  della-  perchè,  come  ha  già  no- 
tato il  Caix,  né  il  peso  fonico  del !'-«-,  né  la  sua  importanza  morfologica  qui, 
ne  potean  permettere  la  sincope.  Quanto  poi  all'aversi  e  in  dello  del  ecc. 
mentre  l'articolo  sciolto  è  il,  il  Caix  stesso  ha  già  benissimo  osservato  che 


72  D' Ovidio, 

mente  regolare  anche  sotto  il  rispetto  fonetico,  avrebbe  agevolato 
l'anormale  amami  da  ama  me\  Anche  l'antitesi  al  me  enfatico 
potè  ribadire,  ajutare,  se  ce  ne  fu  bisogno,  la  fissazione  del  solo 
mi  per  voce  atonica.  Già  la  stessa  azione  antitetica,  benché  in 
senso  inverso,  c'è  venuto  fatto  più  su  di  supporla  esercitata  sulla 
fissazione  dell'enfatico  mi  iberico,  galloitalico,  piccardo,  dall'ato- 
nico me  delle  stesse  favelle. 

Ora,  tornando  agl'idiomi  dell'Italia  centrale  umbro-romanesca, 
marchigiana,  e  anche  toscana  meridionale  (Arezzo),  è  cosa  ora- 
mai notissima  a  tutti  come  essi  tendano,  sì  a  conservare  1"  e  pro- 
tonico, e  sì  a  mutare  in  e  perfino,  si  badi,  1'/  risalente  ad  z,  tanto 
in  protonica  quanto  in  fin  di  parola.  Non  mi  estenderò  in  esempj 
come  ho  fatto  per  il  toscano.  Fo  bensì  voti  che  un  qualche  stu- 
dioso ben  disposto  si  metta  allo  spoglio  grammaticale  dei  testi  e 
alla  ricerca  delle  parlate  di  quella  importantissima  regione,  e  ci 
dia  un  compiuto  inventano,  cronologicamente  e  geograficamente 
ordinato,  dei  suoni  e  delle  forme  di  essa.  Qui  rimando  ai  beagli  ac- 
cenni dell'Ascoli  ^  del  Caix  ^,  e  solo  ne  traggo  megliore^  segnare, 
pregioni,  nepocchi  nipoti,  ecc.,  e  capeglie  capelli,  vilegne  villani,  dei 


in  il  V  i  è  determinato,  nel  fiorentino,  dalla  sua  protonia  e  iuizialità  insieme, 
e  La  ribadito  il  perfetto  confronto  di  il  con  la  prepos.  in.  Se  poi  de-illo 
ha  dato  d'elio,  e  *da-illo  ha  dato  da' Ilo,  la  differenza  nasce  dalla  diversa 
natura  della  vocale  del  segnacaso,  cedevole  in  de,  prepotente  in  *da.  Quel 
mezz'accento  che  pur  nella  proclisi  restava  all'  i  di  ilio  si  spostò  sulla  vo- 
cale antecedente  quando  questa  era  nientemeno  che  a.  Allo  stesso  modo  ho 
spiegato  altrove  (Ztschr.  f.  rm.  phil.  YIII,  p.  103)  il  dilferente  trattamento 
della  penultima  vocale  delle  voci  numerali  delle  decine:  v(ig)rnti  venti, 
quadra(g-i)ii  ta  quaranta.  Per  allo  al,  poi,  ci  s'aggiungeva,  oltre  la  ragione 
detta  per  dallo,  anche  quest'atra,  che  *aéllo  avrebbe  fatto  troppo  iato,  e 
volendosi  sacrificare  Va,  anziché  l'è,  il  segnacaso  sarebbe  stato  tutto  travolto. 
Si  deve  però  avvertire,  che  il  punto  di  partenza  di  dallo  allo  potrebbe  anche 
essere  dad-lo  ad-lo  (cfr.  «^^é  =  ad  te).  Ad  ogni  modo,  la  differenza  tra  da-'llo 
e  d-ello  resta  sempre  spiegata.  Di  degli  ecc.,  e  dei  ecc.,  si  toccherà  più  giù. 

^  Invece  di  mi  potrebbe  aversi  a  porre  *mii.  Quanto  a  tibi  sibi,  non 
so  se  si  avrebbe  a  supporli  apocopati,  *tr  si,  o  rifatti  analogicamente  su 
mio  sn  *m  i  i. 

2  Arch.  Il  449-50. 

8  Vocalismo,  19;  Orig  ni,  56-63.  Cfr.  anche  Storm,  Voy.  At.,  33,  che  ri- 
corda nn  fenito  flnitus,  da  fonte  senese. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  73 

pagne  vecchie,  dei  pesce,  puoie  poi  ;  e  v'aggiungo,  da  numerosi  miei 
vecchi  spogli  d'  una  preziosi  raccolta  di  antichi  testi  perugini  \ 
questi  pochi  esempy.  scegiirtade,  nier olla,  g enocchio,  revello  ribelle, 
deiettare,  desonesfo,  recevere,  cepolle,  cetà  cetade  cetadino  lei  vi- 
tate-), e  peifin  Pedestà  [e  =  o),  li  principi  adunate.  Ricordo  anche 
il  notissimo  cerasa  di  Roma  ecc.,  fenestra,  menestra,  e  cecdla,  sce- 
munita;  e  ce,  ve,  je  =  g\ì  (il  11):  i  quali  tre  ulumi  esempj,  a  dir 
vero,  parrebbero  da  soli  bastare  a  coonestare  il  me  ecc.,  se  contro 
di  loro  non  valesse  il  sospetto  che  potessero  essersi  appunto  con- 
formati su  me  ecc.  ^  !  Ad  ogni  modo,  il  lettore,  ne  son  certo,  non 
esigerà  da  me  altre  prove  per  lasciarmi  conchiudere  che  la  tendenza 
dell'Italia  centrale  all'  e  protonico  e  all'  -e  finale  è  così  evidente, 
che,  anche  se  la  voce  pronominale  atona  superstite  fosse  stata 
unicamente  la  dativale,  mi  ecc.,  si  capirebbe  benissimo  come  si 
fosse  ridotta  a  suonare  unicamente  me  ecc.  Tanto  piiì,  dunque,  sarà 
facile  ammettere  che  il  me  ecc.  vi  risultasse  dal  livellamento  del 
dat.  mi  ecc.  e  dell'acc.  me  ecc.;  e,  all'occorrenza,  questo  tne  ben 
conservato  potè  pur  contribuire  a  consolidare  il  ine  da  mi. 


^  'Quattordici  Scritture  Italiane  ecc.',  edite  da  Adamo  Rossi,  Perugia  d859; 
un  voi.  di  458  pp.  in  8.°  Colgo  questa  occasione  per  render  pubbliche  grazie 
all'operoso  erudito  umbro  degh  ajuti  onde  mi  fu  largo  negli  studj  che  potei 
fare,  il  luglio  del  1880,  nella  Comunale  di  Perugia;  specialmente  sul  bel 
co  lice  intitolato  Specchio  dell'ordene  menore  (altri  esempj  di  e!). 

'^  Qui  non  posso  omettere  un'avvertenza.  Chi,  guardando  ai  dialetto  odierno 
di  Roma,  e  spogliando  p.  es.  i  Sonetti  del  Belli,  s'argomentasse  di  far  gran 
messe  d'  e,  si  troverebbe  stranamente  deluso.  Salvochè  in  pochi  casi,  quasi 
lutti  or  ora  da  me  citati  (recala  ecc.),  vi  troverebbe  1'  i  come  in  toscano, 
anzi  di  più  (dilitto,  pricissione.  fiUce,  Filice,  Grigorio,  binidizzioìie;  e  così 
gì'-/  (amichi,  Giudii  ecc.).  Quasi  quasi  i  soli  monosillabi  de,  me,  te,  ecc., 
ce  ecc.  restano,  come  sporgenze  non  potute  livellare,  ad  attestare  il  vecchio 
fondo  del  vocalismo  dell'Italia  centrale!  Ma  gli  è  che  appunto  le  'città'  di 
tal  regione,  p.  es.,  la  stessa  Perugia,  e  tanto  piìi  Roma,  hanno,  per  la  loro 
stessa  attiuità  idiomatica  col  toscano,  così  potentemente  risentito  l'influsso 
letterario  di  questo,  da  non  aver  più  se  non  una  'lingua  provinciale',  carat- 
terizzata da  certe  pronunzie,  da  un  certo  'accento'  o  cantilena,  da  certe 
parole  o  frasi  o  costrutti;  ma  non  più  veri  dialetti.  Questi  si  trovano  solo 
nel  contado.  Per  Roma  poi,  mi  fa  osservare  il  Monaci,  come  il  gran  con- 
corso di  Toscani  venuti  appresso  ai  papi  toscani  (Leone  X  ecc.),  e  1'  esiguità 
numerica  a  cui  si  trovava  d'esser  discesa  la  popolazione  indigena,  produces- 


74  D' Ovidio, 

E  quel  che  s'è  detto  del  me  te  se  dell'Italia  centrale  si  applica 
egiialineute,  e  perfino  a  fortiori,  alle  stesse  forme  in  quanto  son 
venete.  Che  il  veneto  in  un  modo  ancor  più  tenace  (sebbene  an- 
ch'esso qua  e  là  abbia  pur  ceduto  all'influsso  toscano),  ama  Ve 
in  protonica  anc'ojTjri.  To'go  allo  Storm,  1.  e.  38-9,  questi  esenipj 
veneziani:  deventar,  remedio,  recordo,  rezever,  desegnar,  zenochio, 
preson,  segare,  nevódo,  de.  V'aerai  un  grò  :  hereckin,  desanemar,  desàsio 
(cfr.  desmentegar  ecc.),  dezim,fenestra,fenócio,  ledine,  méoìa  séola^, 
peócio  pidocchio,  rebombo,  reciamo,  refredo  ecc.;  e  cfr.  regasso  re- 
mengo  ragazzo  ramingo.  E  in  antico  ancora  dicevasi:  mesura,  beso- 
gnar,  ves'm  vicinus,  fegurarse,fenir,  fi  ni  re  ^.  In  una  tal  favella 
era  naturale  che  le  formule  me-portas  ecc.  e  anche  me-amas  ecc. 
serbassero  l'è;  che  mT  das  ecc.  so  lo  procacciassero.  Solo,  sic- 
come r  -i  v'  è  normale  come  in  toscano  (cfr.  ameni  ecc.),  così  da 
da-nu  ecc.  non  s'  aspetterebbe  dame  ecc.  Ma  in  questa  unica  serie 
Ve  potè  esservi  insinuato  diH' influsso  delle  serie  proclitiche,  e 
dell'altra  serie  enclitica  a  ma-m  e  ecc. 

Ancor  più  spicce  corrono  le  cose  per  il  lombardo,  che  encliti- 
camente non  usa  se  non  forme  apocopate  {damm,  fegilret,  f^g^' 
rass  ecc.),  e  le  forme  proclitiche  me  ecc.  le  giustifica  ampiamente 
Col  mostrarci  e  protonico  da  quiilunque  e  ■•  i.  anche  da  z.  Tolgo 
allo  Storni,  1.  e.  49-50:  besogna,  denanz,  deventj,  ^Y\^•ev\ii^,fenestra, 
genòcc,  mesura,  presoìi,  regordass,  resegà,  rezév,  segilra,  segli  scure, 
feni,  ves'm.  Al  Salviotn  ^  \<t:^o:  Tesin,  trebi'dà,  trebimal,  pedrio, 
mezidi  omicidio,  melltar,  vegilia,  beliett  ecc.,  Jg  =  li  (acc.  pi.),  se  =  ci. 
E  l'è  è  tanto  usuale  in  prima  protonica,  o,  che  è  lo  stesso,  in 
proclit  ca,  che  s'introduce  anche  al  posto  di  o,  il,  a:  el  le  sa=ei 
lo  sa,  setil-sutil,  serór  tare.)  sor  ore-,  meneman  di  mano  in  mano, 
negotta  una-gutta,  mereSall,  secrista  sacrestano,  reson;  e  perfia 
le  talora  per  la,  e  quasi  sempre  de  per  da^.  Cfr.  anche  cose  fa?  = 


sero  alriiiii  secoli  fa  ima  vera  mistura  di  linguaggi.  Cfr.  anche  Ascoli,  nel 
Proemio  all'Archivio,  I  xvi. 

^  Naturalmente  la  f.  ant.  fu  *meóla  ecc. 

2  Storm,  39-40.  E  nelle   pp.   successive  dà  esempj    anche  d'  altri  dialetti 
veneti:  p    es.  padov.  deiubio  diluvio. 

3  0.  e.  126.  Gfr.  144  137  93  96. 

■*  A  proposito  del  lomb.  el  le  clama  egli  lo  chiama,  voglio  avvertire,  che 


Pronomi  personali  e  possessivi.  75 

=  cosa  fa?  —  In  tale  ambiente,  era  naturale  che  a  me  dovessero 
riuscire  *me  o  mi,  e  restarci  me  ecc.  S 

E  abbiamo  me  ecc.  anche  nel  leccese,  mentre  anche  lì  è  co- 
mune Ve  protonico:  telarti,  semigghiu  simiglio,  cepiidda,  dec'ia  di- 
ceva, ecinu  vicino,  cetà  città  ecc.;  ed  è  normale  che  l'antico  -e 
atono  resti  intatto  ( piggklare  ecc.,  cride  crede  ecc.).  Anche  ivi 
dunque  è  naturale  che  in  proclisia  mi  e  me  ecc.  si  confondessero 
nell'unico  me^  e  per  l'enclisia  il  dat.  niT  che  avrebbe  dovuto  ser- 
bare il  sunno  i  ha  dovuto  parificarsi  alla  forma  prevalente  in  ogni 
altra  situazione,  me  ecc.  Lo  stesso  pareggiamento  supponevamo 
più  su  del  -me  tose,  accus.;  in  senso  inverso  bensì,  quanto  alla 
vocale  ^. 

Eppure  v'  è  un  paese,  ove  il  me  ecc.  da  m  e  e  da  mi  o  *ni~it  ecc. 
quadra  ancora  più  squisitamente  che  in  ogni  altro:  la  penisola  ibe- 
rica. Ivi  pure  la  norma  della  vocale  protonica  è  rappresentatn  dallo 
sp.  betun,  cebolla,  ceniza,  ceresa,  cetrino,  de,  decir  di  e  ere.  defender 
(cfr.  desmentir  Q co,.,  desordenar  ecc.),  derecho,  AeJ«7/«  =  *fl  he  1 1  a, 


nello  sp.  él  le  llama,  che  par  così  perfettamente  rispondergli,  il  le  è  mate- 
rialmente ma  non  storicamente  identico.  Poiché  in  lombardo  è  pnra  a]te- 
razion  fonetica  per  lo,  ma  in  spagnuolo  egli  è  il  dativo  atonico  (/e  =  illT, 
col  solito  -t  finale  in  -e)  che  funge  pure  da  accusativo,  conformemente  alla 
voce  tonica,  à  él,  che  è  insieme  dativo  e  accusativo.  Dalla  stessa  causa  pro- 
cede il  fatfo  inverso  che  ha  luogo  nel  feminile,  che  In  si  trovi  abusivamente 
anche  per  dativo.  Poiché  a  yo  la  llnmo  è  equivalente  yn  llamo  a  ellir ,  è 
potuto  parer  naturale  che  a  yo  day  mi  mnno  à  ella  equivalga  yn  la  dny  mi 
mano  invece  di  yo  le  doy  ecc.  (fem.  ?e  =  fem.  il  lì).  "Così,  se  in  francese  les 
è  foneticamente  derivato  da  illos,  in  sp.  invece  l'abusivo  Ufi  accus.  {yn  les 
llamé  =  yo  los  llamé)  è  semplicemente  il  dat.  les  (=ilirs)  fungente  com'ac- 
cusativo  al  pari  del  tonico  à  ellos. 

1  Una  percezione  simile,  in  fondo,  alla  mia,  pare  essere  balenata  anche 
al  Salvioni,  p.  127.  Quanto  ai  casi  come  ti  ha  per  'te  li  ha',  cioè  in  f.  a. 
te  J(e)  ha  (p.  108  127),  è  evidente  che  si  tratta  d'un'evoiuzione  affatto  par- 
ziale: ti=  tej  e  sini. 

-  Notevole  che  il  Morosi,  IV  1.S8-9,  già  accennasse  a  questa  confluenza. 

'  Sui  dialetti  affini  al  leccese,  i  calabri  cioè  e  i  siculi,  non  ho  agio  di  fer- 
marmi. Basti  questo,  che  i  più  di  loro  hanno  mi  ti  si,  d'accordo  con  la 
tendenza  generale,  che  loro  è  propria,  ai  suoni  sottili.  Ma  non  vi  mancano 
dialetti  che  han  me  ecc.:  p.  es.,  il  cosentino;  senza  però  che  sieno,  come 
in  leccese,  suffragale  codeste  voci  da  molte  altre  voci  con  e.  In  un  certo 
Benso,  il  cosentino  fa  l' impressione  d(5l  romanesco. 


76  D' Ovidio, 

mejo);  nienor,  meoUo,  mesura,  nepofe,  senor,  temor,  vecino  ecc.  ^  ; 
dal  pg.  betmne,  ceòóla,  cerèja,  de,  senhor  ecc.  ;  e  insieme  v'  è  in- 
fallibile la  nonna  ^  die  ogni  -i  finale  (e  -is)  preceduto  da  conso- 
nante vi  si  fa  e^  Ond'  è  che  tutte  le  formule  da  noi  più  su  esem- 
plificate conducevano  all' -e  ;  da  nn  non  meno  di  ama  me;  mi 
dicis  non  meno  di  me  portat.  La  formula  me  amat  non  la 
computo,  perchè,  se  non  altro  per  conformità  agli  altri  casi.  Ve 
vi  dovea  pur  restare  incolume:  cfr.  ad  ogni  modo  de  amor  ecc. 

Del  genovese,  perfettamente  conforme  al  lombardo-veneto  nelle 
forme  pronominali  atone  e  nelle  loro  ragioni,  non  era  necessario 
si  parlasse.  Dell'  emiliano  e  del  romagnuolo,  dove  tutto  è  ridotto 
alla  consonante,  m,  t,  s,  puntellata  poi,  se  altro  manca,  dalle  vo- 
cali epentetiche  o  dal  famoso  a  risalente  a  'ille',  come  si  vede 
in  la  m  da  la  mi  dà,  a  n  am  par  brisa  e'  non  mi  par  mica,  ecc., 
nulla  è  da  indagare,  mancandovi  la  'materia  prima'  dell'indagine, 
la  vocale*.  Come  il  me  te  se  del  gruppo  napoletano-campano-a- 
bruzzese-sannitico-pugliese,  ove  in  e  s'annebbia  del  pari  e  V  e  e  V  i 
atono,  neppur  si  presta  a  ninna  analisi.  In  francese  pur  s'  ha  me 
ecc.  con  e,  nella  sola  proclisia  (in  enclisia  funge  l'enfatico  :  donne- 
-moi  ecc.),  e  pur  questo  non  è  disforme  dalle  tendenze  di  quel- 
r  idioma,  che  così  tratta,  p.  es.,  la  vocale  della  preposizione  de. 
Né  è  inutile  ricordare  anche  i  tipi  come  menu  nnnutus,  melon 
melone-,  mesure\  e  come  moelle  miflolla,  evidente  invertimento 
d'un  *meolle  (quale  il  pg.  joelho=jeoIho  ginocchio),  e  come  voisin, 
ìli  fase  anter.  veisin,  anch'esso  dun(iue  con  e  da  i.  Del  proven- 
zale non  saprei  parlare  con  precisione,  e  me  ne  passo;  ma  non 
mi  pare  che  ne  venga  turbamento  al  mio  discorso. 


'  Intanto  m'accorgo  di  non  essere  stato  troppo  bene  ispirato,  in  un  mio 
recente  scritto  (Zeitschr.  f.  roin.  pli.,  Vili  87),  riaccampando  l'ipotesi  dieziana, 
che  dove  la  tonica  è  -i-  come  in  vecino  ecc.,  1'  e  protonico  sia  promosso  da 
spinta  dissimilativa.  La  tendenza  all'  e  è  tanto  generale  e  risoluta  da  non 
aver  bisogno  di  un  simile  ajulo,  che,  al  più,  può  aver  portata  una  certa  con- 
ferma. 

■^  Ne  ho  discorso  nello  scritto  cit.  nella  n.  auteced. 

*  Esempj  se  ne  son  già  citati  in  queste  pagine.  Soprattutto  richiamerò,  per 
la  sua  particolare  convenienza,  lo  sp.  le  les  pg.  Ihe  Ihes,  da  illl  illls.  Cfr. 
sp.  pg.  amaste  =  -asti,  sp.  veinte,  pg.  viiite,z=  viginìl  ecc. 

*  Il  piemontese  tramezza  in  certo  modo  tra  le  condizioni  emiliane  e  le 
genovesi. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  77 

Toccando  poi  anohe  delle  forme  atoniche  del  plurale,  noi  per- 
sisteremo risolutamente  a  credere,  che  l' it.  ne  per  'noi,  a  noi', 
o  vi  per  Voi,  a  voi',  sieno  semplicemente  gli  avverbj  (inde,  ibi); 
malgrado  che  il  rumeno,  il  qual  dice  ni  vi  pel  dativo,  ne  ve  per 
l'accusativo,  che  sono  riformazioni  analogiche  di  nos  ecc.  sopra 
mi  ecc.  me  ecc.  ^,  inviterebbe  ad  aggradire  la  supposizione  del 
Caix  che  faceva  discendere  ne  vi  da  no'  vo'  atonicamente  usati,  e 
ricordava  il  noi  piace,  vo'  piace  e  piace  vo  ecc.  di  Guittone  e  d'altri 
antichi  '\  Sennonché,  è  già  troppo  tardiva  l'età  di  codesti  vo'  ecc., 
perchè  si  possa  vedervi  attestata  la  fase  anteriore  di  vi  ecc.  Negli 
stessi  testi  che  hanno  vo'  ecc.,  c'è  insieme  vi  ecc.;  cosicché  vo'  non 
rappresenta  che  l'uso  momentaneo  della  forma  pesante  al  posto 
della  leggiera;  come  Dante  dice  io  dissi  lui  oltreché  io  gli  dissi 
e  sim.,  senza  che  per  questo  se  ne  possa  trarre  che  gli  sia  deri- 
vato da  luil  Le  forme  gnittoniane ,  dunque,  possono  al  più  dar 
una  nuova  prova,  che  il  riflesso  dell'  accus.  plur.  latino  può  essere 
adibito  qual  forma  atonica  di  dativo-accusativo,  come  già  si  sa- 
peva dallo  sp.  {nos,  os),  dal  pg.  (^nos,  vos),  dal  sardo  (nos,  bos),  dal 
frane,  {nous,  vous\  dal  prov.  {ns,  ns),  e  come  anche  a  priori  s'a- 
vrebbe a  tener  per  possibile;  ma  altro  non  posson  provare. 

Ma  ciò  che  assolutamente  mostra  falsa  la  spiegazione  non  av- 
verbiale è  la  differenza  di  vocale  tra  ne  e  vi.  Non  avrebbero  po- 
tuto codeste  voci  suonare  altro  che  ni  vi,  quando  davvero  fossero 
plasmate  analogicamente  su  mi  ti  si  gli.  Questa  difficoltà  non  potè 
non  balenare  alla  mente  del  Caix,  ma  egli  credette  disfarsene  con 
supporre  che  il  primo  grado  di  formazione  fosse  stato  ne  ve.,  e 
che  dal  fare  il  secondo  passo ,  quel  dell'  i,  il  ne  fosse  impedito 
dalla  somiglianza  sua  col  ne  avverbio.  Supposizione  quanto  mai 
arbitraria  e  inverosimile;  poiché  questo  è  un  di  quei  casi  in  cui 
è  più  facile  ammettere  il  più  che  il  meno:  è  più  facile  che  esso 


'  Il  Miklosicli  (li  62)  dice  che  non  sa  risolversi  a  dedurre  ne  ve  diret- 
tamente da  nos  vos:  io  credo  sia  anzi  il  caso  di  negare  risolutamente  una 
tal  deduzione.  Nos  vos  non  han  fornito,  all'azione  plastica  della  lingua,  se 
non  la  cons.  iniziale. 

^  Giorn.  di  fil.  rom.,  1  43.  Già  il  Diez  gli  avea  aperta  malamente  la  via 
coll'esitare  a  vedere  l'avverbio  in  ne  e  col  rammentare  il  nis  =  nol)ls  del 
lat.  ax'c.  cit.  da  Feste. 


78  D' Ovidio, 

l'avverbio  diventasse  pronome,  anziché  venisse  tardivamente  a  di- 
sturbare il  concorde  procedimento  di  tutta  una  schiera  di  pro- 
nomi \  D'altro  lato,  negando  1'  origine  pronominale  a  ne  e  vi,  si 
renderebber  discordi  questi  da  ci,  con  cui  fan  sistema,  e  del  quale 
ninno  dubita  che  sia  un  avverbio  (eco'  hi  e),  e  dallo  stesso  ne 
in  quanto  ha  valor  di  genitivo  pronominale  (^'ne  dirò  il  nome', 
'non  ne  so  nulla'  e  sim.),  nel  qual  caso  non  vi  sarebbe  pronome 
a  cui  collegarlo.  Né  bisogna  poi  fermarsi  ti'oppo  alla  difficoltà  che 
il  Diez  metteva  innanzi:  non  essere  in  inde  espressa  l'idea  di 
S'erso  qui',  così  da  potervi  vedere  il  'verso  noi'.  Non  v'é  espressa 
esplicitamente,  ma  vi  è  ammessa,  implicitamente,  e  quasi  sottin- 
tesa: 'movendo  da  codesta  parte  (e  venendo  verso  questa)'.  Non 
è  la  prima  volta  che  nelle  lingue  il  meglio  d'un  concetto  é  ap- 
punto quello  che  resta  semplicemente  sottinteso.  E  di  spostamenti 
ideologici  de'  pronomi,  poi,  la  grammatica  neolatina  ci  dà  quanti 
esempj  vogliamo.  Il  riflesso  di  ipse  nel  Mezzogiorno  d'Italia  e 
neiriberia  ha  assunto  perfettamente  il  senso  di  iste;  e  l'iste 
ha  dappertutto  preso  il  senso  di  hi  e,  che  é  disparito.  E  l'avverbio 
ci  or  ora  citato,  che  in  tutta  Italia  vale  'noi,  a  noi'  (roman.  ce, 
nap.  ce,  nordital.  se;  sardo  settentr.  zi,  cfr.  zelu  cielo;  emil.  rmg. 
z),  insieme  nel  Mezzogiorno  stesso,  e  nella  'lingua  provinciale' 
dell'  Alta  Italia  (non  nel  dialetto),  vale  altresì  come  terza  per- 
sona, in  cambio  di  gli  le  loro  (p.  es.  'ce  l'ho  detto'  per  'gliel  ho 
detto'  ecc.).  Tanto  elastica  è  dunque  stata  l'idea  di  'qui'  che  è 
in  ci,  da  prestarsi  a  far  germogliare  dalla  stessa  frase,  nello  stesso 
linguaggio,  due  così  diversi  significati  come  p.  es.  'dillo  a  noi'  e 
'dillo  a  lui',  che  entrambi  sono  normalmente  espressi,  in  napole- 
tano, con  dingelle  ^ 


1  Del  resto  anche  ne  avvb.  dovrebbe,  iu  quanto  proclitico,  farsi  ni,  in 
fonetica  toscana!  Ma  è  pur  certo  che  resta  ne.  0  perchè  forse  più  usato 
encliticauieute,  e,  come  enclitico  non  avendo  ragione  di  farsi  ni,  restasse 
così  anche  nella  proclisi  :  l' inverso  insomma  di  ciò  che  abbiam  supposto  per 
l'enclitico  me.  0  perchè  per  gran  tempo  seguitasse  a  suonar  ende,  e  così  non 
cadesse  sotto  la  solita  norma  di  cons.  iniz.  +  e  in  coas. +  i  Ad  ogni  modo, 
è  bene  avvertire  che  questo  piccolo  problema  fonologico  non  ha  nulla  che 
fare  col  problema  se  ne  pronome  sia  l'avverbio  o  no. 

-  Del  resto,  in  Toscana  stessa  non  solo  c'è  forse  chi,  parlando  trasandato, 


Pronomi  personali  e  possessivi.  79 

Aggiungo,  in  fine,  che  se  ne  fosse  un  derivato  di  noi,  avrebbe 
avuta  ben  altra  vitalità,  e  sarebbe  rimasto  sempre  in  pieno  vigore; 
non  avrebbe  tanto  ceduto  al  ci,  che  oramai  è  il  solo  atouo  popolare 
di  prima  persona,  in  gran  parte  d'Italia.  E  concludo,  che  come 
l'avv.  ci  assunse  certamente  il  senso  pronominale  di  prima  plu- 
rale e  insiem  di  terza  sing.  e  plur.,  cosi  l'avv.  ne  assunse  quello 
di  prima  plur.  e  insiem  di  genitivo  d'ogni  persona,  e  vi  quello 
di  seconda  plur,  ed  anche,  in  qualche  dialetto,  di  terza  sing.  e 
plur.  '.  La  casuale  identità  della  iniziale  tra  ne  e  noi,  e  tra  vi  e 
voi,  agevolò  la  fissazione  del  ne  per  la  prima  e  del  vi  per  la  se- 
conda :  solo  di  tanto  e'  entrarono  i  pronomi  noi  e  voi.  Al  più, 
l'estremo  della  concessione  che  si  potrebbe  fare  ai  fautori  del- 
l'origine pronominale,  ma  che  neppur  voglio  fare,  è  d'ammetterla 
solo  per  vi;  che  questo  cioè  si  formasse  su  voi  per  anal.  di  mi  ecc., 
mentre  per  la  prima  persona  si  usavano  invece  gli  avverbj  ne  e  ci. 


usa  ci  per  la  tei'za.  ma  normale  v'è  il  ci  in  certi  usi  quasi  pronominali  (7o 
hai  visto?  -  ci  Ilo  parlato!'  ecc.).  Riscontri  ideologici  molto  estesi  si  possono 
vedere  presso  Ascoli,  Studj  ariosem.,  §§  11  e  12. 

1  II  glie  del  lombardo-veneto,  che  vale  insieme  1'  avv.  vi  o  ci  tose.  (mil. 
mi  glie  voo  io  ci  vo),  e  gli,  le,  lor  (mi  g'  oo  dit,  dagliel  daglielo  ecc.),  è 
notoriamente  il  'j;e  =  ibi  (e  go  habeo,  p.  e.,  è  veramente  'vi  ho',  'ci  ho'): 
il  cui  V  tanto  più  facilmente  passava  in  g-  (cfr.  gómet  vomito,  golzd  osare, 
Asc.  St.  Cr.  I  29  n),  in  quanto  si  trovava,  per  la  giustaposizione  con  altre 
parole,  ad  avere  spesso  il  v  tra  vocali  (cfr.  lomb,  -uga,  pagilra,  regolza 
rialza,  ecc.)  Una  splendida  conferma  a  codesta  dichiarazione  del  Flechia  e 
dell'Ascoli,  a  me  par  che  ce  la  dia  il  sardo,  il  quale  dice  dahilu  per 
'daglielo',  biV  hap  a  nan'er  gliel  ho  a  dire,  gliel  dirò  (Spano).  È  uno  di 
quei  casi  di  cui  direbbe  l'Ascoli  che  la  Sardegna  anticipa  il  tipo  dell'Alta 
Italia  (li  154  segg.).  Né  è  poi  a  dire,  che  la  ipotesi  del  glie  — ve  sia  mo- 
strata vana  dal  fatto  die  gli  stessi  idiomi  dicono  ve  per  'voi,  a  voi'  col  v- 
inlatto.  Che  a  mantenere  incolume  questo  ve  di  seconda  piar,  contribuì  ap- 
punto l'influsso  di  '2;oi'.  Mentre  niun  freno  ebbe  il  ve  in  quanto  avverbio 
0  terza  persona.  Sono  due  veri  allotropi  insomma,  e  danno  una  nuova  prova 
della  elasticità  del  concetto  avverbiale  a  lasciarsi  tirare  ai  più  varj  usi  pro- 
nominali. 


80  D' Ovidio, 

V.  Egli^.  —  Che  il  sing.  nominativo  egli  debba,  d'un  modo 
0  d'un  altro,  metter  per  forza  capo  ad  i  11  e,  per  me  è  cosa  che  non 
ammette  dubbio.  Contro  l'illic,  che  fu  messo  innanzi,  sta,  oltre 
ragioni  peculiari  che  più  giù  toccheremo,  una  ragione  sommaria, 
la  quale  in  lintrua  molto  alla  buona  si  può  formular  così  :  e  di 
iUe  che  cosa  n' è  stato?  dove  s'è  andato  a  cacciare?  come  una 
voce  ciisì  vegeta,  così  salda  nell'uso,  cedette  il  campo  a  una  po- 
vera voce  di  cui  appena  qualche  timido  esempio  fa  capolino  nei 
poeti  comici? 

Eppure  €gìi  =  \\\Q  fonologicamente  è  strano!  Sarebbe  come  se 
il  pi.  fem.  bellae  {-ae=-e)  si  volesse  farlo  divenir  ^beglil  Certo, 
il  pi.  fem.  il  la  e,  che  si  può  considerar  come  omofono  a  il  le, 
non  ha  dato  altro  che  elle.  Che  dal  nora.  plur.  il  li  sia  venuto 
egli,  si  capisce:  fa  il  pajo  con  capegli  =  ca,pi\\1.  Ma  il  le!  Al 
massimo,  dovea  fare  ^ eglie,  come  togliere  =  to\\ e  re. 

Ma  neppure,  a  guardar  bene!  Il  Diez,  è  vero,  dà  togliere  ed 
alcuni  altri  casi  toscani  di  //=LL  avanti  a,  o,  e;  sicché  parrebbe 
potersi  proprio  formulare  questo  teorema:  "  quel  rammollimento 
(io  soglio  dir  '  jotizzamento ')  di  LL,  che  in  ispagnuolo  è  normale 
e  costante,  a  segno  che  il  nesso  //  è  potuto    lì   diventar  l' espe- 


^  Questo  capitolo  era  già  scritto,  quando  ho  scoperto  che  le  conclusioni  a 
cui  giungo  in  esso  sono  conformi  a  quelle  d'un  articolo  del  Gròber,  Gli 
egli  oijni,  inserito  nella  'Zeitschrift'  da  lui  diretta,  II  494  segg.  ;  articolo 
che  m'era,  lo  confesso,  sfuggito.  È  facile  oggi,  nella  grande  conformità  dei 
metodi,  incontrarsi  senza  saperlo;  come  è  facile,  nel  gran  numero  delle  pub- 
blicazioni quotidiane,  che  ci  sfugga  giusto  quella  che  meno  si  vorrebbe. 
Ed  è  curioso  che  al  Gròber  stesso  sia  capitato  per  l'appunto  in  questi  giorni 
il  caso  inverso,  di  scrivei'e  cioè  intorno  al  ('Donato  Provenzale',  ib.  Vili 
112  segg.,  senza  venir  a  sapere,  se  non  troppo  tardi,  d'un  mio  studio  sul 
medesimo  argomento  (Gior.  Stor.  d.  Leti  Ital.,  II  1  segg.),  in  parte  conforme 
al  suo.  Egli  è  dunque  più  che  mai  il  caso  di  dire  'hanc  veniam  damus  vi- 
cissim'.  Intanto,  io  non  lascio  di  stampare  questo  mio  capitolo,  per  ciò  che 
la  disformità  di  condotta  tra  i  nostri  due  ragionamenti  è  tanta,  che,  non 
dico  fa  fede  com'  io  alle  stesse  conclusioni  sia  giunto  davvero  per  conto 
mio,  che  questa  è  cosa  di  nessun  interesse,  ma  è  una  non  dispregevole  ri- 
prova della  verità  di  esse.  Senza  poi  dire,  che  alcune  digressioni  eh'  io  fo 
dal  soggetto  principale,  mancano  affatto  nel  bell'articolo  del  mio  egregio 
collega,  dove  s'insiste  invece  molto  su  un  punto  sul  quale  io  sorvolo. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  81 

diente  grafico  per  rappresentare  lo  llj  d'  ogni  altra  provenienza 
{hatalla  ecc.),  si  verifica  talvolta  anche  in  toscano;  solo  spora- 
dicamente e  molto  di  rado,  ma  si  verifica:  l'ital.  vaglio  =  \ a.Wvi's, 
per  nulla  diff'erisce  dallo  sp.  mòa^^  =  caballus,  ossia  ne  diffe- 
risce solo  in  quanto  il  primo  è  un  individuo  isolato,  mentre  il 
secondo  rappresenta  una  specie.  „ 

Pure,  non  è  così.  Basta  confrontare  caperjU,  begli,  degli,  agli  ecc. 
co'  rispettivi  singolari,  capello,  hello,  ecc.,  e  co'  rispettivi  feminili, 
Iella,  belle  ecc.,  per  intendere  come  la  condizione  che  rende  possibile 
in  tose,  lo  llj  debba  essere  che  a  LL  succeda  un  -i.  Gli  altri  casi, 
dove  non  vi  sia  i,  devono  essere  illusorj.  Dilatto,  togliere  toglieva  ecc. 
non  sarà  spontanea  continuazione  di  tollero  tollebam  ecc., 
bensì  sarà  modellato  su  togli  togliamo,  vale  a  dire  sopra  quelle 
voci  del  verbo  che  contengono  un  -i  {togli  =  folli)  o,  che  è  anche 
meglio,  un  -/-  in  iato  (J'tolliamo).  E  così  dicasi  di  scegliere  =  svel- 
lere^. E  vaglio  testé  ricordato  non  continua  regolarmente  val- 
lus  ',  bensì  ha  risentito  l'influsso  del  verbo,  vagliare  (*vall-i-are: 
cfr.  ingliare,  rovesciare,  ammorzare,  afforzare,  ecc.).  E  argiglia  per 
argilla,  il  solo  che  ormai  ci  resti  degli  esempj  del  Diez,  e  che  non 
occorre,  secondo  pare  dai  lessici,  altroché  in  Palladio  (con  argi- 
glioso  in  Crescenzio),  si  eliminerà  pur  esso  facilmente  conside- 
randolo come  una  delle  tante  formazioni  aggettivali  ('argillea, 
se.  terra),  e  sarà  tanto  buon  attestato  di  llja  da  LLA,  quanto 
'pigna  (pine a)  lo  è  di  na  da  NA  (pinus,  pina),  o  il  nap.  funge 
0  il  tose,  faggio  lo  sono  di  -go  da  GO,  o  il  dantesco  Inmaccia  per 
lumaca  lo  è  di  éa  da  ka  in  toscano!  Il  Caix,  st.  et.  17,  adduceva, 
però  senza  citar  la  fonte,  una  forma  aferetica  'giglia.  Ed  aggiunse 
all'elenco  un  suo  cmc^y/Zo^  cingi llum:  etimologia  molto  felice, 
al  parer  mio,  ma  che  vuol  essere  spicciolata  appunto  con  la  sup- 
posizione d'un  intermediario  aggettivale  (*-illeum)  senza  di  che 
anche  Vi  da  i  resterebbe  inesplicato.  In  sostanza,  lo  llj,  quando 


^  Le  forme  proprio  spontanee  sembran  esser  le  sincopate  e  assimilate: 
tórre,  svérre. 

"  Cke  si  continua  invece  bene  nell'  emil.  vali,  come  già  notava  il  Dicz, 
less.  II  a.  E  il  verbo  li  è  vallar.  Anche  il  ìomh.  vali,  oltre  vauìì,  vannus: 
Salvioni  204  206. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  6 


sa  -U'  Ovidio, 

non  nasce  da  -llj-  addirittura,  non  lo  vediam  nascere  se  non  da 
-Ili  {begli  ecc.). 

Dunque,  per  avere  il  sing.  egli^  bisogna  prima  di  tutto  crearsi 
r -«;  bisogna  porre  che  il  le  cominciasse  dal  diventar  illi  elli. 
Né  quest'  elli^  del  resto,  è  un  mero  supposto  *  ;  ed  ha  poi,  si  badi, 
accanto  a  sé,  non  che  quelli  quegli,  anche  esli  questi  codesti  =iste, 
ess/s^ess*  =  ipse,  e  altri  (cfr.  Flechia,  II  5-6  n).  Di  quest'ultimo,  ve- 
ramente, s'ha  forse  a  dire  che  fu  foggiato  analogicamente  sopra  gli 
altri  (cfr.  ib,).  Ed  il  simile  poi  si  potrebbe  sospettare  pur  di  questi, 
stessi  ecc.,  cioè  imaginare  che  dal  solo  egli  movesse  la  corrente 
dell' -^  e  quindi  si  propagasse  agli  altri  pronomi;  ma  il  sospetto 
può  esser  fallace,  specie  per  questi.  Ad  ogni  modo,  il  certo  é  che 
quest'  -i  da  -e  si  trova  poi  anche  fuori  d' Italia.  L'ant.  sp.  ci  dà 
elli  esti  essi  (oltre  otri),  e  l'ant.  pg.  eli  (oltre  outri),  come  già  no- 
tava il  Diez.  Anzi,  a  ben  considerare  il  frc.  il  egli  (prov.  el),  e 
gli  ant.  frc.  cil  icil,  cist  icist,  nomin.  singolari,  omofoni  ai  rispettivi 
nomin.  plur.,  si  vede  che  anch'essi  suppongon  de'  nomin.  singol. 
*illi  isti,  fattisi  identici  ai  plurali;  perchè  solo  Y -i  finale  può 
spiegare,  così  nel  singolare  come  nel  plurale,  l'  i  tonico  in  luogo 
dell'  e,  per  metafonesi  ^  S'aggiunge,  che  e  in  frane,  e  in  prov.  il 
nom.  sing.  dell'articolo  è  li  come  al  nom.  plurale.  In  conclusione, 
la  serie  ital.  elli  questi  ecc.,  la  ant.  sp.  elli  esti  ecc.,  ci  mostrano 
un  generale  tralignamento  dell'  -è  del  nom.  sing.  pronom.  in  -/,  e 
la  serie  frane,  il  cil  ecc.  ci  mostra  codest'  -i  già  tramontato  sì,  ma 
pur  sopravvivente,  come  al  plurale,  nei  suoi  effetti. 

Ma  donde  codest' -e? 

V'è  la  spiegazione  del  Forster  (1.  cit).  Il  sing.  si  sarebbe  pa- 
reggiato al  plurale;  cioè  l'-i,  segno  della  noniinatività  nel  plurale, 
avrebbe  finito  coll'essere  concepito  come  il  contrapposto  dell'o- 
bliquo, in  genere,  e  così  applicato  anche  al  nominativo  singolare. 
Ognun  vede,  senz'altro,  lo  stento  di  questa  ipotesi. 

Né  sarebbe  migliore  quella  che  ponesse  l'  -è  fattosi  -/  per  dif- 
ferenziare  il  sing.  masch.  dal  plur.  fem.,  terminante  pur  esso  in 


*  Blanc  gr.  246,  Gaix  orig.  211. 

2  Cfr.  Forster,  'Umlaut'  493.  E  si  pensi  all'obl.  frc.  ant.  sg.  cel,  pi.  ces 
(mod.  ceiix),  ecc.  Il  mod.  ils  è  analog.  plasmato  suU'  il  del  sing.  :  altrimenti 
non  avrebbe  1'  i-. 


Prouoiui  personali  e  possessivi.  83 

-ae,  che  è  come  dire  in  -è.  Sarebbe  davvero  curioso,  che  per  at- 
tenuare la  sua  conformità  estrinseca  con  una  voce  di  senso  diverso 
per  numero  e  per  genere,  il  sing.  masch.  si  facesse  identico  con 
un'altra  voce  diversa  solamente  di  numero,  con  la  quale  quindi 
la  possibilità  della  confusione  era  vie  più  grande!  Né  è  a  dire  che 
V-e  potesse  riuscire  una  stonatura  nel  sing.  raasch.;  ognun  ricorda 
il  forte,  il  ponte,  il  cavaliere  ecc.  ecc.  Ad  ogni  modo,  l'ipotesi  della 
differenziazione  di  iUe  iste  da  illae  istae  non  potrebbe  poi 
riferirsi 'che  al  solo  italiano,  lo  spagn.  e  il  frane,  avendo  al  nom. 
pi.  fem.  la  voce  in  -s,  d'origine  accusativale  :  ellas^  elles  ecc. 

V  è  poi  la  spiegazione,  già  accennata,  del  Diez,  rinfrescata  dal 
Cornu,  che  cioè  riprevalessero  illic  isti  e  arcaici. 'Ma  oltre  la 
ragion  di  massima  già  da  noi  allegatale  contro,  ed  oltre  le  buone 
objezioni  del  Forster  (1.  cit.),  e'  v'  è  a  ridire  che  codeste  voci 
arcaiche,  dovendo  essere  il  IT  e  ecc.,  non  ci  darebbero  punto  V  -i 
che  andiamo  cercando,  ossia  lo  fornirebbero  solo  all'occhio!  Poiché 
ì  finale,  come  or  ora  ridiremo,  o  quasi  finale,  viene  ad  essere, 
romanzamente  parlando,  né  più  né  meno  che  -e. 

V'è  infine  la  spiegazione  del  Flechia  ^  ;  il  quale,  ricordando  il 
fiorentino  domani,  stamani,  lungi  ecc.,  Ateni,  Fiesoli,  calendi  ecc., 
argomentò  che  in  elli  questi  ecc.  potesse  essersi  esercitata  la  ten- 
denza fiorentinesca  a  mutare  1'  -e  in  -i.  Ma  questa  spiegazione, 
prima  di  tutto  darebbe  ragione  delle  forme  elli  ecc.,  solo  in  quanto 
son  fiorentine,  negligendo  afi"atto  le  forme  congeneri  di  tant'altra 
parte  della  romanità;  ed  in  secondo  luogo,  si  fonda  sopra  un 
fatto,  a  parer  mio,  vero  soltanto  in  apparenza.  Nego,  cioè,  che 
vi  sia  nel  fiorentino  una  tendenza  'fonetica'  a  cambiar  -e  in  -i, 
ed  oso  affermare  che  egli  stesso,  l'onorando  Nestore  della  glotto- 
logia italiana,  il  quale  ha  l'animo  sempre  aperto  a  ogni  progresso 
ragionevole,  non  parlerebbe  oggi  così  facilmente,  come  dieci  anni 
fa,  di  quella  cotal  tendenza;  dopo  che  la  grammatica  storica  s'è 
venuta  persuadendo  sempre  più  della  rigorosità  delle  norme  ve- 
ramente fonetiche,  e  sempre  più  alienando  dall'  ammetter  mere 
tendenze  nel  modo  di  alterarsi  de'  suoni. 

Enuncio  qui  tre  affermazioni,  che  potrebber  anche  esser  rite- 
nute come  a  priori,  ma  pur  si  fondano  sulla  esperienza  diretta, 


1  Ai-cli.  Il  o-G  u.;  e  cfr.  lliv.  di  iil.  cl:i:^s.,  1  2Co  u. 


84  ir  Ovidio, 

Prima:  le  vocali  atone  i,  è,  quand'  eran  finali,  o  quando  lo  son 
divenute  per  l'apocope  della  consonante  final  {-t[sj  ecc.),  hanno, 
di  regola,  quella  stessa  continuazione,  in  toscano,  che  v'hanno  le 
medesime  «,  é,  in  quanto  sono  toniche:  finiscono  cioè  a  -e  stretta. 
E  così  -ù^  -0  ritoni  finiscono  a  -o.  Cose,  queste,  da  nessuno  mai 
propriamente  negate  ;  pure,  non  riconosciute  esplicitamente  se  non 
da  pochi  \  e  non  sempre  sottinte^re  da  tutti  all'occorrenza:  non 
inutile  quindi  l'insistervi  ^ 

Seconda:  le  atone  -e  -ae,  ed  -o,  si  continuano  pur  esse  per 
r,  o,  vale  a  dire  che  discendono  d' un  grado,  mostran  un  grado 
di  assottigliamento,  rispetto  a  quel  che  sono  le  stesse  vocali  in 
quanto  toniche  (che  sono  f,  o).  Ma  restano,  ad  ogni  modo,  nel- 
l'ambito del  suono  e  o. 

Terza  :  l' atono  -t  finale  resta  -/,  come  l' i  tonico.  Cosicché  in- 
somma i  riflessi  di  z,  -z,  sono  equidistanti  da  quelli  à't,  -i. 

Veniamo  agli  esempj,  pel  solo  suono  p,  i.  L'  -ìs  della  2.*  plur. 
dei  verbi  dà  sempre  -e:  amate  vedete  leggete  udite  ecc.  da  ama- 
tTs  videt'ìs  ecc.;  amavate  vedevate  ecc.  da  amabatls  ecc.;  ve- 
diate udiate  facciate  ecc.  da  vi  dea  ti  s  ecc.;  ed  amaste  vedeste  ecc. 
da  a  mas  US  vidistts  ecc.,  che  sta  in  bel  contrapposto  ad  amasti 
vedesti  ecc.  da  amasti   vidistì  ecc. 

h'-ìt  della  3."'  sing.  (dove  non  va  travolta  come  in  amau  amò  ecc.) 
si  continua  sempre  per  -e:  legge  da  legtt;  vide  fece  scrisse  ecc. 
da  vidtt  ecc.,  e  l'arc./ne  da  fui  t;  bei  contrapposti  tutti  a  vidi  feci 
scrissi  fui  uscii  amai  &0Ù.  da  vidi  feci  .  .  exi(v)i  ama(v)ì  ecc.; 
ode  dorme  ecc.  da  audìt  ecc.,  pur  questo  un  bel  contrapposto 
a  tu  odi  dormi  ecc.  da  a  u  di  s  d  o  r  mT  s  ecc. 

E  siccome  j9ff«e  e  sim.  risultano  dal  livellamento  fonetico  dell'acc. 
panem,  abl.  pane,  nom.  panTs,  così  i  nominativi  de'  parisil- 
labi di  3.*  declin.  costituiscono  un  altro  cospicuo  filone  di  -e-  -is. 
Vi  s'intende,  naturalmente,  inclusa  anche  la  categoria  aggettivale 
/arfe=fortts  fortera  ecc.  neut.  forte,  e  sim.  Ma  se  ancor  v'è 
chi  seguita  a  cavar  jìane  ecc.  dal  solo  panem  (tutti  i  gusti  son 


1  Gfr.  la  mia  'Unica  forma  flessionale'  25  segg.;  e  Ascoli,  Arch.  Il  418. 
^  Tanto  più  che  fra  quelli  che  piìi  confusamente  ne  han  toccato  v'è  nien- 
temeno che  il  Dicz:  'Yoc.  atone  fuori  iato',  ultimo  alinea. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  85 

gusti!),  ci  abbiamo  in  riserva  altri  -e  =  -?s  nominali,  che  sono  in- 
negabili anche  dai  più  coraggiosi  negatori.  Son  le  voci  d'origine 
nominativale  j;o/ò;e  =  p u  1  vt s,  sangue  sanguis^;  o  i  genitivi  fos- 
sili come  Monselice  Mons  silicis,  Monte  Vergine  Monte- Virgi- 
nls,  Porto  Venere  Portus  Veneris.  acquavite'^  e  sira.  Cfr.  mar- 
te-di giove-di  Mart'Ts  dies,  ^/^/re-coy^s^^/^o  juri  sconsul  t  us  ecc. 
E  fan  tutte  codeste  forme  un  bel  contrapposto  all'immensa  serie 
dei  plurali  nominali,  aggett.,  pronom.  lujpi,  'peli,  muricce  :  buoni  ecc. 
esse  ecc.  da  lupi  ecc.  boni  ecc.,  ipsi  ecc.,  e  al  pron.  cui=c\x\.  Cfr. 
anche  Forlimpojmli  =  F .  Popiliì  (mercoledì  =ìtler curii  d.,  è  anal.). 

Di  -e  =  -é,  -és  abbiam  j9H7*e  =  purè,  e  la  corta  serie  fede,  die 
(are.)  ecc.  dal  nom.  fidés,  abl.  fide;  confluitovi  però  Taccus., 
fidem  ecc.;  e  la  serie  lunga,  non  molto  popolare  però,  dei  gre- 
cismi, Achille   Ulisse  Anchise  Oreste  Pelide  Demostene  ecc. 

Numerosi  gli  esemplari  e  le  serie  di  -e  da  -e,  -m,  -er ,  -en, 
talora  confluenti  {-è  ed  -èm  ne'  nomi)  :  male  bene  repente,  chiunque 
qualunque  ecc.  %  amare  vedere  ecc.,  certamente  ecc.,  mille  cinque, 
mare,  fulmine  genere  ecc.,  sette  nove,  morte  notte  amore  felice 
amante  ecc.,  pepe  cece  frate,  lume  nome  ecc. 

Ci  troviamo  dunque,  né  abbiamo  ancora  riferito  tutto,  alla  pre- 
senza di  numerose  voci  o  coppie  di  voci,  e  di  sterminati  filoni 
di  forme  grammaticali,  ove  esattamente  si  verificano  tutte  e  tre 
le  norme  che  abbiamo  più  sopra  formulate  ;  e  senza  mai,  si  badi, 
alcun  segno  di  ribellione  neppur  momentanea  :  che  mai  non  si 
trova,  poniamo,  un  beni  per  be)ie,  un  amaii,  un  chiunqui,  o  che 
altro  so  io.  È  giusto  dunque  a  priori  presumere,  che  quelle  altre 
voci  poi  0  forme,  che  abbiano  -i  dove  noi  aspetteremmo  V-e,  sieno 
state  divelte  alla  regola  generale  da  perturbazioni  speciali,  so- 
prattutto analogiche.  Esaminiamo  una  per  una  tutte  le  eccezioni. 


^  Escludo  affatto  ormai  la  forma  are.  ueut.  sanguen  ('Unica  forma  fless'. 
54  ;  Ascoli,  II  429),  perchè  per  massima  lascio  da  parte  gli  arcaismi,  e  parlo 
sempre  dal  'solito  Ialino'.  Sarebbe  da  aggiungere  per  -t  affatto  finale  il  bel- 
l'es.  senape  sinapi,  se  non  valesse  il  dubbio  che  discenda  dalle  forme  si- 
napis  sinapim. 

^  Se  è  aqua  vitis,  e  non  a.  vitae,  com'è  egualmente  plausibile. 

^  Il  Diez  vedeva  neW  -unque  l'unquam.  Io  ci  vedo  un'estrazione,  alla 
buona,  di  -unque  da  quicunquc  ecc.  Al  più  potrei  consentire  la  conta- 
minazione delle  due  voci,  che  parrebbe  favorita  dall'  e  di  ìinquemai. 


Sf)  '  D' Ovidio, 

Abbiamo,  in  prima,  vedi,  da  vides,  leggi  da  legts  ecc.  Ma 
r -/  in  codeste  due  conjug.  v'è  stato  portato  dall'analogia  della 
4.*:  f/orm/=  dormi  s;  a  quel  modo  che  analogico  è  ineluttabil- 
mente ami  da  a  mas.  Senza  questa  riconiazione  di  tutte  e  tre  le 
altre  conjug.  sul  tipo  della  4.*,  le  seconde  persone  continuanti 
direttamente  le  voci  latine  sarebbero  riuscite  *ama  vede  legge^  cioè 
si  sarebbero  confuse  con  le  terze.  Le  lingue  occidentali,  che  non 
perdono  il  -s,  avendo  dunque  in  esso  un  così  sicuro  distintivo  della 
seconda  persona,  han  potuto  continuare  senza  pericolo  le  forme 
latine  (sp.  pg.  prov.  sardo  cantas^iv.  chantes;  sp.  pg.  prov.  vendes^ 
fr.  vends ^  sd.  times  ecc.).  D'altro  canto,  la  invasione  della  4." 
sulle  altre  conjug.  è  cosa  tutt'altro  che  strana.  La  si  vede  altrove 
in  limiti  ben  altrimenti  indiscreti!  In  abruzzese,  p.  es.,  il  perfetto 
tutto,  anche  di  L*,  si  è  modellato  su  quel  di  4.*,  coinè  se  in  ital. 
si  dicesse  'io  parili  tu  parlisti  ecc.',  e  verbi  di  L*  son  caduti  af- 
fatto nella  4.*:  teram.  suspiri,  cucini  ecc.!  Cfr.  merid.  vedite  ecc. 
su  audìtis  (non  per  Umlaut  dell' z  di  videtYs!!). 

In  secondo  luogo,  si  hanno  gl'imper.  vedi,  leggi  ecc.  da  vide, 
le  gè  ecc.  Anche  qui  è  la  4."  che  ha  straripato  {dormi  =  dor  mi  ecc.) 
e  invaso  la  2.^  e  la  B."";  tanto  più  che  con  1'-/  si  veniva  a  con- 
formare l'imperativo  con  l'indicativo.  Al  qual  proposito  ricorderò 
gl'imperativi  dell'odierno  toscano:  fai  dai  sfai,  in  cambio  dei  più 
antichi,  letterariamente  stabiliti,  fa  da  sta  =  f ac  ecc. 

Inoltre,  si  ha  fu  amassi  vedessi  leggessi  dormissi  ecc.  da  amas- 
sès  ecc.,  mentre  poi  egli  amasse  vedesse  ecc.  continua  regolar- 
mente amasse  t  ecc.  Ma  ognun  ricorda  che  anche  l'impf.  indie, 
dice  tu  amavi  vedevi  ecc.  che  nessuno  mxai  penserebbe  a  dedurre 
foneticamente  da  amabàs  ecc.,  e  ognun  riconosce  analogico.  E 
analogico  è  pur  amassi  ecc.  Ma  donde  venne  a  entrambi  la  spinta 
analogica?  Dal  perfetto,  certamente  (amasti  ecc.).  Di  vedi  leggi 
dormi  non  direi  che  c'entrassero,  o  al  più  come  un  piccolo  ajuto. 
Ognuno  poi  sa  che  la  tendenza  di  ta  amassi  ecc.  verso  tu  ama- 
sti ecc.  è  tanta,  che  v'è  chi  dice  addirittura  nel  congiuntivo:  che 
tu  amasti  ^  !  È  bensì  vero  che  a  questa  confusione  fu  certo  d' in- 
centivo anche  la   identità  delle  seconde  plurali  :    amaste  ecc.  da 


1  E  (li  questo  spro])osit,o  v'è  esompj  anplie  nnlichì:  Elanp,  .Sfin, 


Pronomi  personali  e  possessivi.  87 

amastts  ecc.  e  amaste  ecc.  da  amàss(e)tì's  ecc.  Ma  anche 
questa  conformità  stessa  è  forse  segno  dell'influsso  del  perf.  ind. 
snll'irapf.  cong.  ;  che,  abbandonato  a  sé,  amàssetTs  sarebbe  forse 
divenuto  *amàssìte.  Ad  ogni  modo,  l' identità  delle  seconde  plu- 
rali era,  comunque  determinatasi,  un  incentivo  ad  agguagliare, 
se  non  altro  per  la  vocal  finale,  le  seconde  singolari. 

E  dal  perf.  indie,  certamente  partì  pur  la  spinta  che  cambiò  il 
regolare  io  amasse  vedesse  ecc.,  continuatore  di  amassem  ecc.,  in 
io  amassi  ecc.  Il  cambiamento  è  qui  avvenuto,  per  dir  così,  sotto 
gli  occhi  della  storia  ;  che  i  nostri  toscani  antichi  dicevano  tut- 
tora io  amasse  ecc.,  e  anche,  si  badi,  in  prosa  (Caix,  orig.  G2). 
Oli  esempj  danteschi  son  celebri  \ 

Ma  1'  'i  ha  invaso  poi  anche  un  po'  la  terza  persona.  Ce  n'  è 
qualche  raro  esempio  antico  ^  e  e'  è  1'  uso  vernacolare  odierno 
toscano  (Caix  or.  217).  Certo,  l'esservi  più  voci  oscillanti  tra  -i 
ed  -e,  e  la  uniformità  della  finale  anche  in  altri  tempi  affini  (ch'io 
ami,  che  tu  arai,  ch'egH  ami;  ch'io  faccia,  che  tu  faccia,  ch'egli 
faccia  ecc.)  poterono  promuovere  codest'  -i  esteso  anche  alla  terza 
persona.  Ma  il  modello  più  diretto  dell'impf.  cong.  è  sempre  il 
perf.  indie,  cosicché  l'uso  fermo,  normale,  di  tutta  l'Italia  colta, 
è:  io  vedessi,  tu  vedessi,  egli  vedesse,  ecc.,  proprio  come:  io  vidi, 
tu  vedesti,  egli  vide,  ecc. 

Un'  altra  sola  forma  verbale  ci  resta  da  considerare,  il  cong. 
pres.  di  1.'  conj.  Da  amem  amés  amet  non  poteva  venir  se 
non  ame  per  tutt'  e  tre  le  persone;  e  si  trova  così  difatto  in  an- 
tico (Blanc  366-7;  Caix  217).  Ma  infine  s'è  venuto  all'unico  ami, 
evidentemente  per  influssi  analogici.  Sennonché,  quale  delle  tre 
persone  avrà  risentita  per  prima  la  infezione  analogica?  Ce  lo  di- 
ranno le  altre  conjugazioni.  Queste  hanno,  di  regola,  veggia-vì- 
dea[m]  videa[s]  videa[t],  %^a  =  lega[m]  lega[s]  lega[t], 
^orma  =  dorm[i]a[m]  dorm[i]a[s]  ecc.  Però,  la  sec.  pers. 
mostra  anche  una  forma  secondaria  in  -/  (anal.  sul  pres.  ind.)  ;  se- 


*  '.  .  .  così  coni' io  morisse^  Inf.  v  141.  Cfr.  Piirg.  ii  85,  vni  40.  Già 
presso  Blanc  368. 

^  Dante,  Inf.  iv  64:  .  .  .  per  eh'  ei  dicessi;  ix  60:  Cì>c  con  le  site  ancor  non 
mi  chiudessi  (egli).  Cfr.  Blanc  gr.  368. 


88  ])■  Ovidio, 

coiido  i  verbi  or  più  uguale  [che  tu  abbi)  or  meno  (che  tu  facci). 
Anche  la  terza  veramente  si  trova  con  1'  -i,  in  testi  anche  clas- 
sici ';  ma  l'infezione  qui  non  ha  attaccato  bene:  la  lingua  colta 
non  l'ha  ammessa,  e  dice  insomma:  io  faccia,  tu  faccia  o  facci, 
egli  faccia,  e  sim.  È  dunque  naturale,  che  la  seconda  persona 
fosse,  per  dir  così,  la  breccia,  per  la  quale  V-i  penetrò  nel  cong. 
pres.  di  1.'  conj.  Si  sarà  preso  a  dire  io  cime,  tu  ami,  egli  ame,  e 
sim.;  si  sarà  finito  con  dire  io,  tu,  egli  ami,  modellato  sopra  io, 
tu,  egli  ficaca. 

E  l'avremmo  finita  coi  verbi,  se  non  ci  rimanesse  un'altra  av- 
vertenza. Dante,  Inf.  i  94,  adopera  tu  gride  per  tu  gridi  indie, 
pres.  ;  e  anche  diche  lunghe  attinghe  vegne  nel  senso  di  Ui  dica  ecc. 
(Blanc  367).  E  V  uso  di  Dante  vuol  dire,  a  fortiori,  l'uso  di  altri 
(Caix  217).  Orbene,  e'  bisogna  ben  rappresentarsi  alla  mente 
l'impasto  eterogeneo  e  screziato  di  quella  lingua  poetica  arcaica, 
dove  il  confluire  di  diversi  usi  dialettali,  il  dissidio  tra  le  grafie 
latineggianti  e  la  pronunzia  effettiva  volgare,  la  consuetudine 
di  avvalersi  di  tutto  ciò  per  appagar  comecchessia  le  esigenze 
della  rima,  le  incertezze  nella  grammatica  non  ancora  discipli- 
nata rigidamente  e  non  ancora  registrata  in  trattati,  davano  allo 
scrittore  una  libertà  grandissima;  bisogna,  dico,  considerar  tutto 
questo,  per  comprendere  quanto  dovea  riuscir  facile,  al  poeta  so- 
prattutto, di  scambiare  un  -i  con  un'  -e.  Senza  dire  che  in  questo 
caso  l'oscillazione  tra  «me  e  ami  nel  pres.  congiuut.,  di  amasse 
e  amassi  nell'  imperf.  ecc.  poteva  indurre  una  certa  perplessità 
anche  nella  determinazione  delle  voci  d'altri  tempi:  che  tu  diche 
e  sim.  poteano  parer  analoghi  a  che  tu  cime  ecc.  Insomma,  io 
credo  che  quando  Dante  scrivea  i^erchè  gride?,  facesse  semplice- 
mente una  variazione  tollerabile  del  gridi,  che  era  ed  è  la  forma 
normale  ;  non  già  che  venisse  così  ad  usare  una  forma  che  fosse 
stata  veramente  intermedia  tra  l'-as  latino  e  1'-/  moderno  ita- 
liano. Se  è  vero  che  alle  volte  certe  rade  forme,  che  appariscon 
solo  qua  e  là  nei  testi,  rappresentano  come  le  reliquie  di  una  fase 
anteriore  tramontata,  e  son  perciò  preziose  per  ispiegarci  le  forme 
usuali  posteriori,  non  è  però  a  credere  che  ogni  rarità  che  si  trovi 


'  0"s\  l'usano  costantemente  gli  Emiliani,  parlando  italiano:  ch'el  radi  ecc. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  89 

nei  testi  abbia  sempre  un  valore,  per  così  dire,  preistorico,  po- 
tendosi trattar  bene  spesso  di  momentanei  tentativi  analogici, 
di  provvisorj  espedienti,  e  che  so  io.  Le  forme  che  sono  divenute 
normali  e  definitive  possono  sì  essere  niente  più  che  abusi  inve- 
terati e  sanzionati  dal  tempo,  ma  in  massima  hanno  per  sé  la  pre- 
sunzione che  fossero  esse  le  forme  più  vitali,  e  le  più  corrette,  sia 
foneticamente,  sia  ideologicamente.  Le  esplorazioni  grammaticali, 
quindi,  nei  testi  antichi,  saranno  sempre  una  bella  e  buona  cosa, 
ma  a  patto  che  una  curiosa  illusione  ottica  non  c'induca  a  per- 
cepire come  'vere'  forme  quelle  che  si  scovano  in  essi,  e  sprezzare 
invece  come  una  artificiosa  futilità  nientemeno  che  la  secolare 
grammatica  italiana! 

Passando  alle  forme  nominali  oramai,  s' hanno  i  plurali  in  -i 
dei  nomi  e  aggettivi  di  3.%  cioè  la  serie  cani  azioni  ecc.  forti  fe- 
lici ecc.  Raddurre  codeste  forme  direttamente  alle  latine  canes 
fortés  ecc.  non  avrei  mai  osato;  riannodarle  alle  latine  arcaiche 
in  -1  s  (hi  fon  ti  s  ecc.),  come  altra  volta  feci  \  mi  pare  oramai 
un  assurdo:  ed  è  fuor  di  dubbio  che  cani  ecc.  sono  formati  ana- 
logicamente su  mulT,  boni  ecc.  ^  La  appartenenza  di  molti  ag- 
gettivi, di  tutti  i  partic.  pass,  e  dell'articolo,  ai  temi  in  -o,  con- 
tribuiva a  render  più  potente  l'attrazione.  Il  lì  boni  canés  o 
illi  fortés  muli  o  illi  canes  sunt  boni  erano  dei  'trinomj' 
che  dovean  naturalmente  tendere  a  livellarsi,  estendendo  V-i  dap- 
pertutto. Ai  feminili  di  3.',  per  verità,  come  pars  ecc.,  non  può 
dirsi  fosse  altrettanto  naturale  l'accessione  dell'  -2,  cui  era  dive- 
nuta quasi  inerente  la  mascolinità  ^;  né  mancano  anzi  tentativi  del- 
l'-e,  cui  pareva,  dalla  1."  declin.,  inerente  la  feminilità,  per  in- 
sinuarsi nei  plurali  femm.  di  3.",  onde  p.  es.  si  trova  nel  Cellini 
e  in  altri  :  le  parte,  grande  opere  ecc.  come  il  Flechia  c'insegna  *. 


1  Unica  forma  fless.,  4S-G.  Ero  stato  precorso   dal   Nannucci,   Teorica  dei 
Nomi  238,  e  forse  da  altri  ;  ma  non  ricordai  alcuno,  perchè  non  sapevo. 
^  Ascoli,  Lingue  e  Naz.,  p.  95. 

*  Difatto,  p.  es.,  1'-/  s'insinuò  nei  soli  masch.  di  1.-  declinaz.  (poeti  ecc.); 
nonostante  qualche  rimasuglio  dell' e  tradizionale:  eresia l'che  (latevno  ix 
127)  ecc.;  se  pur  questi  non  son  meri  latinismi  artificiali. 

*  Riv.  di  lìl.  class.,  I  91.  Io  altrove  (Unica  ecc,  47)  avvertii  anche  un  pi. 
prece  in.Purg.  xx  100  (in  rima),  ma  in  Dante,  piii  che  una  concessione  al- 
l'analogia, come  in  Cellini.  sarà  un  latinismo  (preces),  almeno  in  parte. 


no  W  Ovidio, 

Pure,  alla  fin  fine,  la  piena  conformità  del  singolare  tra  i  masch. 
e  i  fem.,  tra  padre  e  madre  ecc.,  dovea  di  necessità  portare  l'u- 
guaglianza anche  al  plur.  (padri,  madri  ecc.).  Nei  nomi  di  5.*  più 
tenace  fu  la  tradizione  dell' -e  s  latino,  e  s'ebbe  le  specie  ecc.  Pure, 
le  speci  ecc.  si  trova,  e  i  Toscani  ora  non  dicono  che  le  superfici  ecc. 

Né  fa  poi  specie  che  1'  -?,  una  volta  fattosi  proprio  di  tanti 
plurali  feminili  di  3.*,  invadesse  sporadicamente  anche  qualche 
plurale  di  1.*,  le  porti,  le  spalli,  le  veni,  le  ondi,  le  calendi  Purg. 
XVI  26,  le  valigi  ecc.  \  Di  tutta  codesta  corrente  analogica  son 
rimasti  poi  consolidati  le  armi,  le  ali,  le  redini,  oscillanti  però 
anche  nel  singolare;  e  v'è  chi  dice  volentieri  le  pagini  (forse  per 
anal.  dei  tanti  nomi  in  -agine).  Ma,  lo  ripeto,  il  dare  a  codeste 
aberrazioncelle  analogiche,  in  gran  parte  non  riuscite  nemmeno 
ad  attecchire,  il  valore  di  schiette  manifestazioni  della  fonetica 
toscana  (che  avrebbe,  si  dice,  voluto  veni  da  *vene=:venae,  e 
sim.),  e  tener  per  foneticamente  anormale  l'infinita  serie  rose  = 
rosae,  ò?<one  =  bonae  ecc.,  e'  sarebbe  un  invertire  le  propor- 
zioni reali  delle  cose. 

Quanto  poi  ai  nomi  di  città  notati  dal  Diez,  Acqui  Aquae, 
Al'ìfi  A 1  n  f  a  e  '^ ,  Capri  C  a  p  r  e  a  e ,  VeUetri  V  e  1  i  t  r  a  e ,  Vercelli 
Vercellae,  Veroli  (locat.  )  Verulae,  Chieti  Teate,  Rieti 
Re  a  te,  non  sono  che  assimilazioni  ai  tanti  nomi  locali  dei  tipi 
di  Chiusi,  Bari,  Assisi,  Bimini,  Ascoli  ecc.  Quanto  poco  1'-/  di  Acqui 
e  d'altri  nomi,  non  toscani  del  resto,  sia  prova  di  tendenza  fio- 
rentinesca all'  -i  da  -e,  lo  prova  Firenze,  che  il  Diez  stesso  radduce 
al  locativo  Florentiae'. 

Le  forme  vernacolari  Aleni,  Fiesoli,  Figghini  =  Figline  Figu- 
linae,    ricordati   dal    Flechia,   e   il   dantesco    Creti^  Creta,  e 


^  Vedi,  oltre  i  già  cit.  luoghi  del  Flechia,  il  Nannucci,  Teor.  dei  Nomi, 
259-76. 

*  Veramente,  io  non  ho  mai  sentito  altro  che  Alife. 

^  E  a  locativi,  Arimi  ni,  AusculT  ecc.,  radduce  il  Flechia  i  nomi 
Ascoli  ecc.,  Riv.  di  fil.  ci.,  IV  348.  Assai  felicemente,  a  parer  mio;  giacche 
le  ragioni  peculiari  che  spiegherebbero  singoli  nomi  (Bari,  Assisi  ecc.  po- 
trebbero avere  l'assottigliamento  à'  -io  in  i  che  è  in  Dionigi  ecc.;  Rimini  ecc. 
assimilazione  della  finale  alle  altre  vocali  della  parola),  non  varrebbero  mai 
a  dar  ragione  di  tutta  le  serie. 


Pfonoiui  personali  e  possessivi.  91 

Aquisgrani  Cipri  ecc.,  pr.  Nannucci,  Teor.  87-8,  altro  sono  certo 
che  tentativi  non  ben  riusciti  della  stessa  assimilazione  analogica 
dei  nomi  in  -e  (da  -ae  locat.  o  da  -ae  nom.  plur.)  o  in  f/,  o,  ai  nomi 
in  -i  (da  -l  locat.).  Creti,  il  Salviati  lo  spiegava  con  1'  -x. 

Di  Napoli,  Costantinopoli  ecc.  nessuno  ha  parlato;  ma  saranno 
grecismi  studiosamente  rispettati  (cfr.  sintassi,  diocesi  ecc.),  e  il 
solito  esempio  del  filone  Ascoli  ecc.  può  essere  stato,  forse,  d'ajuto. 
In  C'a^//on  =  Calari  s  questo  ajuto  è  ancor  più  incerto,  che  1'-/ 
era  strettamente  voluto  dalia  fonetica  sarda,  Asc.  II  134  137. 

Quanto  ai  due  begli  esempj  di  nomi  proprj  Chimenti  Clemente, 
Cresci  Crescens,  insegnatici  dal  Fiechia  (cfr.  invece  serpe),  devon 
aver  ceduto  anch'essi,  soprattutto  per  aver  smarrito  ogni  sentore 
del  loro  pristino  valore  radicale  e  morfologico,  all'analogia  di  altri 
nomi  in  -i  come  sono  Luigi  Gigi,  Dionigi,  Giovanni  Nanni  Vanni, 
Zanohi  Bobi,  Benci  Benghi,  Buggeri  Geri,  Guarnieri  Nieri,  Ranieri 
Neri,  Diotisalvi  Salvi,  Santi  ecc.  \  La  ragione  di  codesti  -i  (o  per 
assottigliamento  di  -io  come  in  Luigi  ecc.  ;  o  per  troncamenti 
gergali,  Benci  =  BencivengJii  ecc.)  non  ci  riguarda  qui;  fuor  che 
quella  dell'  -i  di  Giovanni  Ioannès,  che  o  ripercuote  la  pro- 
nunzia itacistica  dell'  -f,;  greco,  o,  piuttosto  che  tra  gli  esemplari 
attrattori,  sarà  da  collocar  tra  gli  attratti,  con  Chimenti  ecc.,  e 
con  Céseri  Marti  che  pur  si  trovano.  Né  più  vale  il  Siri  =  Sire; 
dove  concorsero  l'origine  straniera,  la  proclisia  frequente,  l'assi- 
milazione tra  le  due  sillabe,  l'influsso  de'  nomi  come  Neri  ecc. 

Tirando  una  prima  somma  :*tra  le  voci  verbali  e  nominali  non 
v'  è  alcuno  -i  da  -e  che  non  trovi  la  sua  ragion  sufficiente,  e  spesso 
anche  abondante,  nella  attrazione  analogica  esercitata  da  altre 
voci  ove  r  -i  è  normale.  Resterebbero  soli  ogni,  di  cui  mi  si  per- 
metta che  ragioni  dopo  che  sarò  tornato  a  il  le,  e  pari.  Quanto 
a  quest'ultimo,  che  ebbe  però  accanto  l'altra  forma  meno  usuale 
ptare,  si  può  credere  che  la  voce  ablativale  pari  avesse  una  così 
forte  consistenza  da  dar  luogo  a  un  suo  proprio  succedaneo,  pari, 
alternantesi  col  succedaneo  dell' accus.  parem,  ^«r^.  Anche  la 
situazione  in  cui  spesso  trovasi  nel  discorso  (pari-a-me,  e  sim.) 
poteva  ajutare  la  preservazione  del  succedaneo  ablativale  e  pro- 
curargli la  prevalenza  definitivii;  e  potrebbe  anche  essere  bastata, 


1  CIV.  FLKcrriA,  Hiv,  di  111.  VII  1-20.  passim. 


02  IT  Ovidio, 

del  resto,  a  trasformare  il  ^are,  dato  pure  die  fosse  stata  questa 
l'unica  prima  forma  romanza,  in  pari,  nelle  formule  come  quella 
testé  esemplificata,  dalle  quali  poi  facilmente  potea  passarsi  alle 
altre. 

E  or  veniamo  agl'invariabili;  parte  addotti  da  altri  più  volte, 
parte  omessi.  Sono:  parimenti  altrimenti,  oggi  domani  stamani, 
tardi  lungi,  volontieri,  dieci  undici  dodici  ecc..  quinci  costinci  linci, 
quid  costici  liei,  indi  quindi  ivi  quivi,  avanti  innanzi  anzi,  quasi 
rsfoi. 

Ora  in  parimenti,  per  jjan'mm^e  =  p  a  ri  mente,  v'è  assimila- 
zione della  finale  del  secondo  elemento  a  quella  del  primo.  E  su 
di  esso  si  plasmò  il  suo  antitetico  altrimenti  per  altramente  \  — 
0^^^=  ho  die  si  plasmò  sul  suo  correlativo  jm  herT;  e  su  en- 
trambi si  modellò,  in  epoca  più  recente,  domani  per  domane  de 
mane,  e,  ancor  più  di  recente,  su  tutte  e  tre,  stamani  per  sta- 
mane ista  mane^  E  tardi  tarde  e  lungi  (oltre  lunge)  longé, 
possono  bene  essersi  conformati  a  codesta  serie  di  avverbj  tem- 
porali, di  cui  jeri è  il  tipo  e  oggiìl  primo  ectipo.  Ma  forse  insieme,  a 
promuovere,  o  a  ribadire  almeno,  V-i,  poteron  contribuire  certe  date 
formule  ove  il  concetto  avverbiale  trovavasi  latinamente  espresso 
con  l'aggettivo  al  plurale;  formule  sul  gusto  del  virgiliano  'tardi 
venere  bubulci'.  Che  pare  fosse  in  parte  il  concetto  del  Diez  (gr. 
advrb.-bld.),  il  quale  vi  ricollegava  anche  il  -s  avverbiale  francese. 
E  così,  volontieri  metterà  capo  a  voi  untarli,  come  il  fr.  volon- 
tiers  a  voi  unta  rio  s.  Il  che  del  resto  non  vuol  dire  che  voi  un- 
tarle non  potesse  foneticamente  produr  volontieri  (eh.  leggieri  = 
leggiero  ecc.),  o  che  non  abbia  confluito  effettivamente  a  produrlo- 
—  L'  are.  it.  avea  diece  regolarmente  da  decem  (sono  notorj  gli 
esempi  danteschi),  in  perfetto  accordo  con  cinque  sette  nove;  ma, 
mentre  questi  sono  rimasti  incrollabili,  esso  solo  s'è  fatto  dieci'. 
Don,  certo,  quindi,  per  una  generica  tendenza  rW-ì,  bensì  per  ragioni 
sue  speciali.  Le  quali  potrebbero  consistere  nella  natura  della 
consonante  attigua  (e),  e  allora  dieci  anderebbe  con  oggi  e  hmgi, 


1  [V.  ora  Arch.  VII  583-6.] 

*  Con  un  lat.  are.  mani  faccio  quel  che  coi  morti  si  deve  fare:  lo  lascio 
in  pace. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  93 

come  fu  sospettato  anche  per  IV  di  cilestre  ginocchio  ecc.  Ma,  come 
vedemmo  invece  normale  1'/  protonico  dopo  qualsivoglia  consonante, 
così  ora  vediamo  V-i,  sebbene  sporadico,  tanto  frequentemente  pro- 
mosso da  ragioni  d'analogia,  che  più  supponibile  ci  pare  una  ra- 
gione di  tal  fatta.  E  consisterà  qui  nella  attrazione  dei  numeri 
successivi,  undici  dodici  tredici  ecc.  e  fors'anche  venti,  sopra  diece. 
Del  resto,  undici  stesso  ecc.,  da  undect  m  ecc.,  è  pure  un  problema 
fonetico.  Poiché  1'  -hn  dovea  esso  pure  dar  -e,  e  lo  dà  difatto  in 
mentre,  are.  domentre,  da  dum  intertm*;  e  nel  tose,  merid.  e 
neir  umbro  ecc.  si  ha  appunto  undece  dodece  ecc. ,  nel  venez. 
ìindeze  ecc.  Ma  1'  -èc-  non  potea  non  volgere  toscanamente  ad 
-ic-  (cfr.  Adige,  e  v.  Caix,  voc.  16-7;  dove  però  non  ogni  esem- 
pio è  a  posto;  cfr.  anche  giovine  ecc.),  onde  si  dovè  aver  prima 
subito  ^nndice  ecc.,  dal  quale  poi,  per  uniformazione  della  finale 
alla  prima  postonica,  undici  ecc.  ^  Se  ciò  non  piacesse,  potrebbe 
anche  supporsi  il  fatto  inverso  a  quel  che  pili  su  abbiamo  ima- 
ginato,  che  cioè  undici  ecc.  si  conformassero  a  dieci,  al  loro  sem- 
plice, e  dieci  si  fosse  già  conformato  a  solo  venti  vi  gin  ti.  Contro 
di  che  però  sta  il  fatto  che  si  trova  detto  imdici  ecc.,  e  non  al- 
trimenti, in  un'epoca  in  cui  ancora  si  diceva  diecel  Comunque, 
il  dieci  e  le  sue  annesse  unità  costituiscono  un  gruppo  'sui  ge- 
neris', che  ha  certo  ragioni  sue  particolari,  come  pur  le  si  vo- 
gliano intendere. 

Anche  negli  avverbj  quinci^  costinci  ecc.,  da  ^eccum-hincce 


^  Anche  parte  nel  senso  pronom.  e  avverb.,  non  so  se  non  rivenga  più  o 
meno  a  partim.  Del  rimanente,  non  è  facile  sperimentare  largamente  le 
vicende  dell'-tm,  perchè  questo  o  resta  evitato  per  la  soppressione  di  certe 
voci  (velim  ecc.),  o  è  messo  in  questione  dalla  possibilità  delle  unifoi'mazioui 
analogiche,  potendo  nave  p.  es.  venir  piuttosto  da  navèm  che  da  navim. 
Pure,  di  sete  da  sitis  si  tira,  p.  es.,  non  dubiterei. 

^  Nessuno,  credo,  ci  obietterà  giudice  podice  codice  ecc.  ove  V-e  è  intatta. 
Bisogna  considerar  la  natura  morfologica  di  quest'  -e,  che  V  ha  guarentita. 
Tutt' altro  è  il  caso  di  una  voce  amorfa  come  *iindice  ecc.  Curiosa  intanfo  che 
anche  le  basi  stesse  latine  undecim  ecc.  sono  un  problema  per  la  fono- 
logia latina,  AI  Corssen,  Ital.  sprachk.  439,  che  li  confrontava  con  enira 
(nempe)  e  con  specimen  ecc.,  era  il  caso  di  domandare  perchè  allora 
non  si  ha  anche  *decira,  e  coni'  ei  non  facesse  distinzione  tra  la  prima  po- 
stonica in  regimen  e  la  seconda  quasi  finale  di  undecim,  e  così  via, 

'  Pare  occorra  in  qualche  testo  anche  qnince, 


94  D'Ovidio, 

-istincce  ecc.  \  credo  che  la  finale  si  sia  conformata  alla  tonica; 
la  quale  alla  sua  volta  doveva  essere  -i-  in  tutti  i  modi,  sia  cioè 
che  in  lat.  fosse  hi  ne,  sia  che  fosse  htnc  (cfr.  vùico  lingua  ecc.), 
e  anche  aveva  un  forte  appoggio  nel  normale  i  =  l  di  qui  ecc  um 
hi  e  ecc.  Chi  poi  credesse  all'efficacia  anche  in  toscano  del  e  ecc. 
nella  determinazione  dell' atona  seguente,  potrebbe  riconoscerla 
anche  in  quinci  ecc.  —  I  danteschi  quid  e  liei  '  danno  un  po'  di 
briga,  poiché  ripugna  riconnetterli  a  forme  arcaiche  *hr-ce  ecc. 
non  ancora  apocopate,  e  da  un  *hic-ce  non  si  capirebbe  il  -c- 
scempio.  Credo  che  il  meglio  sia,  per  la  eccessiva  rarità  di  co- 
deste due  voci,  ritenerle  fatte  da  qui  U,  col  -ci  estratto  dal  co- 
munissimo quinci.  —  E  la  estrema  vitalità  che  appunto  quinci 
ebbe  in  antico,  quale  non  s'  argomenterebbe  certo  dal  languido 
uso  che  se  ne  >fa  oggi,  potrà  render  forse  persuasiva  un'altra  mia 
ipotesi,  che  appena  enunciata  parrà  un  po'  strana:  che  cioè  quindi 
si  sia  più  o  meno  fatto  su  quinci.  L'  -l-  che  in  quinci  è  pienamente 
normale  anche  se  risale  a  -i-,  come  s'è  testé  detto,  è  invece  af- 
fatto strano  in  quindi  =  e  e  cu.  m.  tnde,  giacché  in  toscano  il  suono 
i  è  guarentito  all'  t  dal  gruppo  n  +  guttur.,  non  già  da  n  -t-  dent. 
Proprio,  non  si  sarebbe  dovuto  aver  se  non  *quendel  Peggio  è  il 
caso  di  indi=^nàe,  perchè  il  regolare  ende  si  può  dire  che  ad- 
dirittura esista,  sebbene  ormai  nella  sola  forma  accorciata  ene 
(vatt-ene  ecc.).  Il  nostro  rimpianto  Canello,  di  cui  nessuno  è  stato 
mai  più  fino  nella  indagine  del  vocalismo  toscano,  già  s'era  accorto 
della  anomalia  dell' -i-,  e  nel  registrare  quindi  indi  non  potea 
trattenersi  dall'aggiungervi  la  risèrva:  *se  pur  sono  voci  fatte  dal 
popolo'  ^  E  chi  badi    all'  uso  stilistico,  sempre  molto   letterario, 


'■  La  presenza  del  -ce  è  spiegata  da  ciò,  che  se  uo  hiuc  ecc.  neolatina- 
mente avrebbero  perduta,  non  potendo  reggersi  lo  -ne  finale,  ogn' indivi- 
dualità. L'enclitica  puntellò  il  gruppo  consonantico  e  gì' impedì  di  'franare'- 
[Cfr.  Arch.  VII  S27-8.] 

^  Il  secondo  occorre  anche,  una  sol  volta,  in  rima,  presso  il  dantofilo 
Boccaccio;  ma  il  primo  si  trova  una  volta  anche  in  un  testo  popolare,  la 
Vita  di  S.  M.  Madd.  —  Il  costici,  poi,  si  trova  registrato  nel  lessico,  ma  ca- 
vato  solo  da  un  luogo  di  grammatici  (Deputati  al  Decam.),  dove  mi  par 
proprio  foggiato  per  simmetria  agli  altri  due, 

■'  L' i,  p.  14  =  Riv.  di  fil.  rom.,  I  220, 


Pronomi  personali  e  possessivi.  95 

di  indi,  non  tarderà  a  riconoscere  che  veramente  dev'  esser  di 
provenienza  non  popolare.  Ma  la  popolarità  di  quindi  mi  pare, 
guardando  all'uso  che  se  ne  fa  anche  nella  più  familiare  con- 
versazione, men  soggetta  a  dubbio  ;  onde  le  difficoltà  fonetiche  che 
esso  presenta  le  eluderei  piuttosto,  come  dicevo,  col  supporlo 
coniato  0  riconiato  su  quiìici,  e  influito  anche  da  qui\  o,  se  ad- 
dirittura si  volesse  postulare  una  base  latina,  penserei  a  sostituire 
a  quella  solitamente  accettata  l'altra  eccum  hi  e  inde  [cfr. 
Arch.  VII  553  GOO].  Certo  poi,  che,  dato  in  qualunque  modo  un 
quindi,  V  indi  ne  fu  agevolato.  E  di  quivi  =ecc\im  ^\n  e  ivi=^\n, 
neanche  si  può  dir  che  corran  lisci,  che  se  ne  vorrebbe  ""queve  ^eve. 
L' ipotesi  del  Forster  (Uml.  496),  che  si  parta  da  ibi,  e  si  spieghi 
r  ^-  mercè  la  metafonesi  dell'  -t,  sconviene  affatto  all'  ambiente 
toscano,  e  si  fonda  sopra  una  base  in  sé  stessa  inverosimile,  un 
ibi  che  stonasse  con  -\x\n  ecc.  Mi  pare  invece  più  che  mai  che 
desse  nel  segno  il  Canello,  1.  e.  9,  postulando  per  quivi  un  ec- 
cum hT  e  ibi,  e  dichiarando  Vivi  non  popolare,  come  del  resto 
anche  il  suo  uso  molto  scelto  lo  mostra.  Né  dimenticheremo  an- 
cora l'ajuto  che  ivi  potè  aver  da  quivi.  In  conclusione,  in  quindi 
quivi  indi  ivi  V-i-  tonico  d'un  modo  o  d'un  altro  si  spiega,  ed  è  poi 
da  esso  che  si  spiega,  per  la  solita  assimilazione,  1'-/  finale  per 
-e.  E  quanto  inverosimile  sia  l'ipotesi  di  un  -e  fattosi  spontanea- 
mente -/,  lo  mostra  il  confronto  con  ove  dove,  onde  donde,  ove  il 
regolare  -e  =  -^  od  -è,  vive  d' una  vita  così  rigogliosa  e  così  im- 
perturbata. 

Arriviamo  a  ante  e  suoi  composti  abante  (già  in  epigr.  lat.), 
*inante,  *d eante;  di  cui  son  noti  gli  oscillanti  riflessi  cinti 
anzi,  avante  avanti,  innante  innanti  innanzi,  dianzi,  lo  lascio  anche 
di  cercare  quanto  d'ajuto  codeste  voci,  che  hanno  senso  non  men 
temporale  che  locale,  possano  aver  pure  avuto  dal  filone  degli 
avverbj  temporali  jeri  oggi  ecc.  studiato  più  sopra.  Mi  fermo  piut- 
tosto a  considerare  che  spesso  oltre  1'  -/  per  -e  noi  troviamo  anche 
l'assibilazione  del  t:  anzi  ecc.  Ora,  il  toscano  non  è  di  quei  lin- 
guaggi, in  cui,  data  l'asciutta  formula  cons.  -t-  /,  facilmente  dall'-e  si 
sviluppi  un  -j-  parassitico  che  infetti  la  consonante.  Niente  di  più 
assurdo  che  attribuire  al  toscano  una  tale  elaborazione  p.  es.  del 
lat.  totì,  da  uscirne  in  fine  un  "^'tuzzi  alla  rumena,  o  un  '^'tucci 


96  D' Ovidio, 

alla  ladina  o  alla  lombarda!  0  attribuirgli  un  *gice  =  dice^  alla 
ladina,  o  un  zice  alla  rumena  \  o  un  ^megi  per  mesi  alla  campo- 
bassana ^  Quando  l'infezione  della  consonante  e'  è,  vuol  dire  che 
si  è  passati  per  la  formula  consonante  +  i  atono  +  vocale  (-//"-,  -tj-, 
-sj-  ecc  )  ;  e  così  p.  es.  alzare  =  ^ Si\t-ì-a,re,  di  contro  al  pi.  alti. 
Se  dunque  troviamo  innanzi,  bisogna  supporre  si  sia  passati  per  la 
trafila  di  formule  come  innanti-a-me  e  simili  (cfr.  avanzare  *abant. 
-i-are).  Insomma,  è  qui  uno  dei  tanti  fenomeni  di  'fonologia  sintat- 
tica' (avvertito  tra  noi,  come  ora  sento,  da  un  pezzo),  e  cioè  -te-Aì 
che  dà  normalmente  -tj-ai,  onde  -zj-ai.  Per  estensione,  s'usò  poi 
il  -i/',  -zi,  anche  avanti  consonante  ;  come  d'altro  lato  il  -te,  man- 
tenutosi intatto  nei  luoghi  ove  era  avanti  consonante,  restò  per 
gran  tempo  vivo,  e  non  lasciò  se  non  lentamente  generalizzarsi 
il  -ti  -zh  E  anche  il  -zi  non  si  sostituì  interamente  alla  f,  ant- 
-ti,  perchè  alla  fin  fine  non  era  un  z,  per  così  dire,  interamente 
tranquillo,  nato  cioè  nell'ambito  di  un'unica  parola  (come  in 
puzziamo  puteamus  p.  es.),  bensì  i  parlanti  dovevano  avere 
un  certo  ritegno  verso  un  vezzo  che  in  fondo  nasceva  dal  mano- 
mettere l'autonomia  della  parola:  la  tendenza  fisiologica  dei  suoni 
trovava  qualche  ostacolo  nella  coscienza  psicologica  della  funzione 
ideale. 

Più  duro  scoglio  è  quasi,  che  dovrebbe  invece  esser  *quase 
(quasi;  padov.  squase,  Storm),  e  di  cui  non  so  ben  che  mi  dire. 
Ripescare  l'are,  quasei,  non  è  prudente,  e  in  me  sarebbe  in- 
coerenza; credere  non  popolare  la  voce,  mi  ripugna  alquanto.  Ad 
ogni  modo  però,  se  c'è  voce  la  qual  non  provi  nulla  per  il  vo- 
luto -i  tose,  da  -e,  è  giusto  questa  che  più  siamo  imbarazzati  a 
spiegare!  Poiché,  si  badi,  il  problema  fonologico  che  la  concerne 
è  un  problema  romanzo-comune  ;  che  dappertutto  questo  avverbio 
devia  dalle  norme  fonetiche  dell'ambiente;  e  altrove  anzi  stride 


*  In  testuggine  uon  è  *testudjlne,  ma  1'  assimilazione  sporadica  di  -ucUne 
al  suff.  -uggirle  (cfr.  il  pg.  -agem  da  -aticum,  rifatto  sopra  -agine);  e  così 
verzura,  per  verdura,  è  fatto  su  verza  verziere  (vir'dia  vir'diarium); 
arzente,  per  ardente,  è  *ardiente  (cfr.  pezzente  =  *pet-i-ente).  Né  penzolo 
è  sol  pendulus,  bensì  pure  pensilis  (donde  pesalo).  I  casi  poi  come  zio 
(sp.  tio),  profezia  ecc.  sono  un  po'  diversi,  perchè  all'-j-  segue  altra  vocale. 

2  camp,  m/c'e  =  *mesji  :  Arch.  IV  160.  Il  sing.  meise  =  mese. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  97 

molto  più  che  non  in  Toscana.  Lo  sp.  e  pg.  casi  è  qualcosa  di 
pressoché  incredibile  in  un  clima  idiomatico  ove  1'  -i  finale  dopo 
consonante  non  esiste  in  nessuna  voce  popolare  M  E  se  il  gallego 
dice  caixe,  rientrando,  per  1'  -e,  nella  norma  iberica,  non  è  men 
certo  che  quell' -/ì;-  suppone  un'infezione  dell' -s-  latina,  che  solo 
dal  contagio  d'  un  -/  può  essere  stata  prodotta  ^  Lo  stesso  dicasi 
dell'ant.  catal.  quaix,  del  prov.  cais  quaish.  Forse  1'  -i  fu  salvato 
dalla  quasi  costante  proclisia  del  vocabolo.  L'Ascoli  ha  l'ipotesi, 
che  nel  popolo  fosse  un  quà-sTc  (cfr.  eccu-slc  ecc.),  a  far  le 
veci  di  quasi. 

Quanto  a  /orsi,  che  il  Bembo  (Prose,  2,  220)  biasimava  come 
un  cattivo  neologismo,  e  che  non  è  mai  riuscito  a  spodestare  il 
regolare  forse  =  (orsi  t,  l'esempio  appunto  di  quasi  può  averlo  ge- 
nerato. —  E,  finalmente,  assai  ad  satls  (ven.  assae),  mai  magts, 
sono  esempj  'sui  generis',  e  citarli  a  mostrar  1'  -i  =  -e  sarebbe  come 
giudicare  da  assai  che  il  toscano  possa  far  cadere  il  -T-,  o  argomen- 
tare il  simile  del  leccese  dal  snofraima  =  fraterno.  Sono  forse  assai 
mai  forme,  apocopate  dapprima  (^"assd'  ecc.).  poi  ampliate  con 
un  -i  epitetico?  o  forme  sincopate  {^assàs,  mas),  per  via  della 
loro  frequente  proclisia,  e  finite  poi  col  solito  -i  =  -s,  che  è  in 
crai,  poi,  noi,  set  (*sess  sex),  ei=  est^  ecc.?  Credo  proprio  in  questo 
secondo  modo  ^  —  Comunque,  ripeto  quel  che  altrove  già  dissi, 
e  che  del  resto  ognuno  sa:  povere,  sparse  voci,  bisognose  esse  di 
chiarimento,  non  son  quelle  che  possano  essere  consultate  sulle 
questioni  generali  !  Né  mancano  poi  casi  interamente  contrarj. 
Accanto  a  fiiora  f o  r  a  s,  e  fuori  f o  ri  s,  e'  è  un  fuore,  a  cui  dav- 
vero non  si  sa  che  ragione  trovare;  se  non  fosse  una  cotal  ten- 
denza del  r  all' -e,  come  in  oltre  ultra. 

Concludo,  che  elU  es^/ da  il  le  iste  non  possono  essere  spiegati 


^  Intanto  m'accorgo  d'avverlo  omesso  dove  ho  trattato  di  codesto  soggetto: 
Zeitschr.  f.  r.  ph.,  Vili  87. 

-  0  un  i  prettamente  romanzo,  cioè  ;  o,  ed  è  la  massima,  un  antico  -l-. 
JliTcrebbe  p.  es.  chi  credesse  che  V -t  di  credis  fecit  potesse  in  nessuna 
linij;ua  produr  nietafonesi  come  V  -l  di  feci. 

'■^  L'  ci  occorre  pure  nel  De  Regim.  Sanit.,  vv.  255  327  383  388;  oltre 
esli,  330. 

*  V^  ora  Arch.  VII  598. 

Archivio  glottol,  ital.,  IX.  7 


i)3  D' Ovidio, 

con  una  generale  tendenza  del  toscano  all'  -i,  che  non  esiste,  bensì 
con  ragioni  affatto  speciali,  del  genere   di   quelle   che   ci  hanno 
spiegati  i  parecchi  casi  d'  -i  per  -e.  E,  per  dirla  finalmente,  come 
s'è  visto  per  innanzi  ecc.,   1'/  risulterà   anche  nei  due  pronomi 
dalla  frequente  loro  postura  avanti  a  parole  incipienti  per  vocale. 
Date  queste  formule:  ille-àmat,  iste-hàbet,  e  così  via,  V-e-  non 
doveva  egli  far  visi  -i-  come  in  valeamus  valiamo  ecc.?  Così  s'ebbe 
eUi-dma,  esti-ha  ecc.,  anche  in  ant.  sp.  e  pg.  e  in  frc.  ;  e  in  ita- 
liano s'arrivò  fino  a  egU-dma,  cioè  eUJ-dma.  Da  tali  formule  Vegli 
poi  si  estese  alle  altre;  e  cosi  1'-/  di  questi  ama  e  sim.  passò  a 
questi  fa  ecc.  ^  Che  anche  iste  non  arrivasse  alla  estrema  evolu- 
zione, qual  sarebbe  stata  esci-ama  e  sim.  a  mo'  di  posc?«  =  postea, 
non  fa  meraviglia,  poiché  la  coscienza  che  alla  fin  fine  iste  era 
una  parola  a  sé  potè  ben  essere  di  freno  in   un   caso,  se  anche 
non  lo  era  stato  in  un  altro  ^  S'aggiunge  poi  la  minor  frequenza 
di  s  =  stj,  nella  lingua  ;  e  si  osservi  che  questi  ecc.  è  rimasto  sempre 
men  saldo  di   egli^  poiché  presto  è  stato   sopraffatto  dal  riflesso 
dell'obliquo,  questo.  —  E  altri  seguì  gli  altri  pronomi;  salvochè 
non  facesse  anch'esso  alter  habet  ^ altre  ha  (cfr.  sempre)  altri  ha. 
Ed  ora  è  il  tempo  di  risalire  un  poco  anche  alle  voci  ove  -gli 
risulta  da  -LLI  originario,  come  hegli^  e  egli  plur,  ecc.  Noi  ci  af- 
faticammo a  mostrare  come  di  lìj  da  LL  avanti  altra  vocale  che 
i  non  ve  ne  siano  effettivamente,  e  così  vaglio  non  continui  di- 
rettamente vallus  ecc.,  e   stabilimmo   essere  veramente  sincera 
solo  la  serie  rappresentata  da  begli.  Ma  ora  possiamo  chiederci, 
perchè  -LLI  può   finire  a  gWì  forse  perchè  da  -/  (-^)  si  sviluppi 
un  -j-  parassitico,   come  nello  glimma  =  \ima.  dei  Ladini?  e  così 
l'are,  e  merid.  saglire  sarebbe  *saljire?  No  di  certo.  In  toscano, 
intanto,  llj  suppone  un  -i-  che  si  consonantizzava  per  l' iato  :  egli 
amano,  begli  uomini,  degli  amici  ecc.,  sono  illj-àmant  ecc.  Una 
volta  nato  V egli  in  simili  congiunture  s'è  poi  esteso  naturalmente 
alle  formule  come  egli  sanno  e  sim.  Indagare  minutamente  le  grafie 


1  Mi  sopraggiunge,  mentre  rivedo  le  bozze,  un  lavoro  del  Neumann  (Ztschr. 
f.  r.  ph.,  Vili  243  sgg.),  che  s'iucontra  con  me  in  ])m  cose. 

2  Perciò  slesso  non  fa  maraviglia  clie  riinauesse  incontaminato  e//e  =  illae, 
ove  suir  -e  puntava  tutta  la  distinzione  del  numero  e  del  genere.  Senza  dire 
che  codcst'  elle  naturalmente  era  d'uso  men  frequente. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  99 

dei  codici  anticlii  *  e  le  pronuncie  odierne  dei  Toscani,   sarebbe 
una  bella  cosa,  ma  non  ne  abbiamo  il  tempo  ;  e  solo  vogliamo  av- 
vertire, che  nonostante  gl'inevitabili  abusi  e  straripamenti  di  una 
forma  fonetica  anche  nella  funzione  in  cui  non   è   nata,  la  vera 
norma  però  che  l'uso  toscano  c'insegnerebbe  pei  riflessi  di  belli 
è  quella  che  risulta  da  questi  esempj  :  begli  iiomini,  bei  figli,  uomini 
belli^.  Che  conferma  perfettamente  la  derivazione  da  me  tracciata; 
ma  insieme  non  toglie  che  si  trovi  scritto  anche  belli  uomini  ecc. 
Quanto  a  bei  e  così  ei  dei  ecc.,  che  si  usano  av.  consonante,  non 
ne  so  parlare  senza   qualche   perplessità.  Certo,  son  forme   emi- 
nentemente proclitiche  (niun  direbbe  ^^/  uomini  son  bei  e  sim.),  come 
le  corrispondenti  tronche  del  singolare  (bel figlio,  del  cane  ecc.);  e 
son  nate,  dunque,  da  una  profferenza  affoltata,  precipitata,  della 
proclitica;  ma  di  qual  forma  di  questa?  di  belli,  elli,   delli  ecc.? 
0  di  begli,  egli  ecc.  ?  In  tutti   i   modi   non   si  tratta   certo  d' un 
fatto    fonetico   normale,   che  si    possa   verificare    al  di   fuori   di 
questo  caso  specialissimo  ;  e  tanto  è  strano  ei  da  elli,  quanto  ei 
da  egli,  nonostante  però  questo  abbia  un  addentellato  estratoscano 
almeno,  poiché  tanta  parte  d'Italia  dice  fio  fiÒlo  T^er  figlio  ecc. 
Onde  io  inclinerei  più   all'  ei  da  egli  ^  Ma  non  bisogna  dimenti- 
care clie  il  quesito  si  complica  per  via  di  animai  =  animali,  figlimi, 
lacciuoi,  tai,  quai,  ecc.  Anche  a  questi  plurali  rispondono  i  singolari 
tronchi  animai,  figUnol,  tal  ecc.;  i  quali,  si  badi,  riescono  perfet- 
tamente identici  ai  tronchi  da  -Ilo,  come  cavai  stornei  ecc.  Cre- 
dere dunque  che  si  tratti  di  -ali  sincopato  senz'altro  in  -a^?  o  di 
'''animagli  ecc.  ridotti  al  modo  solito?  o  di  pura   conformazione 


^  Veggo  ora  che  il  Gròber  l'avea  tentato,  e  in  parte,  eseguito,  da  un  pezzo. 

^  Se  si  bada,  llj  non  è  normale  se  non  in  voci  possibilmente  proclitiche,  come 
son  appunto  l'articolo,  il  pronome,  e  l'aggettivo.  Se  si  trova  anche  qualche 
sostantivo,  come  frategli  ecc.,  è  affar  d'estensione  analogica.  Del  resto  anche 
il  sostantivo  può  aver  del  proclitico  pure:  cfr.  capegli  mirati  e  capei  d'oro, 
e  sim.  E  anche  il  verbo.  P.  es.  togli  =  tolti  si  può  spiegare  anche  solo  col- 
r  influsso  di  togliamo;  ma  pure  nel  tolti  esto  cottel  novo  di  Ciclo  Dalcamo, 
e  in  simili  altre  dizioni,  ognun  sente  com'  era  facile  sdrucciolare  in  togli 
C'ito  ecc. 

^  V^edo  che  allrimcuti  vuole  il  Grober,  che  molto  si  ferma  su  questo  punto. 
Ma  egli  non  mi  persuade  interamente. 


100  D'Ovidio, 

analogica  del  plurale  di  animai  al  plur.  {cavai)  di  cavai?  Differisco 
qui  ogni  risoluzione*. 

Certo,  intanto,  che  il  toscano  moderno  come  l'antico  dice  e 
per  articolo  plurale  (e  libri,  e  lumi  ecc.).  Quest'  e  sarà  certo  e'  ei,  il 
nominativo  insomma  di  dei  de'  {d'ei)  ;  il  gemello  di  ei fanno,  e'  fanno  ; 
il  semplice  sincopato  insomma,  av.  cons.,  del  solito  egli,  o  elli  che 
debba  dirsi,  nato  av.  vocale.  L'  /,  che  ha  trionfato  nell'uso  letterario, 
è  il  plurale  fatto  su  il,  come  abbiam  visto  1'  ils  pron.  frc.  (non  els) 
fatto  sul  sing.  //.  Il  quale  il  è  nato  (e  vi  resta  difatti  circoscritto 
nell'uso,  nonostante  straripamenti  parziali,  sporadici)  nella  com- 
binazione col  sostantivo  incipiente  per  consonante  (illecànis 
ilcàne  ecc.).  Il  plur.  dell'art.,  gli,  è  nato  pur  esso  nelle  congiun- 
ture come  ili  i-ami  ci  ecc.  donde  s'è  poi  esteso  ai  casi  come  gli 
spiriti  ecc.,  per  eufonia  ^  e  per  parallelismo  al  singolare,  lo  spirito 
ecc.  E  anche  lo  gli  per  'a  lui,  a  lei'  è  della  stessa  origine,  a  cosi 
dire,  paratattica  :  gli  ornano  il  crine  =  llf  ornano  ecc.  =  i  1 11  o  r- 
nant  ecc.  E  anche  gli  accusativo  plur.  {io  gli  amo -io  li  amo 
ecc.)  è  della  stessa  origine.  Ed  è  notevole,  che,  mentre  la  sele- 
zione grammaticale  ha  in  certo  modo  fissato  che  gli  sia  il  dat. 
sing.  e  li  l'accusativo  plur.,  dimodoché  a  scrivere  io  gli  amo  c'è 
del  vezzo,  e  a  scrivere  p.  es.  //  dico  il  vero  e'  è  del  bizzarro,  la 
pronunzia  toscana  nel  fatto  resta  molto  più  fedele  alla  ragion 
fisiologica,  e  pel  dativo  dice  gli  ho  detto  e  li  dissi,  e  per  l'accus. 
io  li  nomino  e  io  gli  amo. 

E  ora  ritornando  a  ogni,  che  in  un  momento  di  fretta  abbiam 
dovuto  tenere  a  bada  ;  che  altro  sarà  egli  pure,  se  non  onni  onne 
addossato  a  vocale  iniziale  :  onneamico,  onniamico  ognianiico  ^  ? 
Poi  è  passato  di  lì  ad  altre  formule,  come  o(/ni  cosa  ecc.  Che  del 
resto  uno  n  da  NN,  MN,  non  ha  luogo  mai  in  toscano,  ma  solo, 


^  Anche  questo  tratta  in  modo  notevole  il  Grober,  ma  non  facendomi  in 
tutto  persuaso.  —  Ricordo  qui,  per  quel  clic  può  servire,  che  il  mil.  dice 
tal,  pópoi  popoli  ecc.  come  cavai  ecc.:  Salvioni,  130-31. 

2  II  Grober  suppone  illj -ispiriti,  colla  prostesi  originaria,  comune  romanza 
secondo  lui,  e  quindi  riadduce  anche  questa  alla  formula  fondamentale.  È  un 
bel  tentativo,  degno  di  molta  considerazione. 

^  N'  avea  un  certo  sentore  vago  il  Diez,  less.  II  a,  quando  pensava  che 
ogni  fosse  primamente  sorto  in  ognuno  ■::  oniìxìnno. 


Pronomi  personali  e  possessivi.  lOl 

appunto,  da  -NNI-,  -MNI-  avanti  vocale,  cioè  con  un  j  non  pa- 
rassiticamente sviluppato,  ma  nato  da  risoluzione  di  i  vocale.  Cosi 
si  ha  sogno  somnium,  acc.  a  sonno  somnus\  Ben  altrimenti 
dallo  spagnuolo,  che  come  fa  ìlj  d'ogni  LL,  così  fa  n  d'ogni  -nn- 
e  dice  sueno  sonno,  ano  anno  ecc.  Il  lombardo  non  è  a  codesto 
punto,  di  cavare  lo  j  dal  nn  stesso,  ma  almeno  lo  cava  facilmente 
dall'  -/  successivo,  e  dice  pan  =  panni,  di  contro  al  sing.  j;«ww  '  ; 
come,  per  citare  un  parallelo,  gajinna  da  galUna.  Ma  il  toscano 
neanche  questo;  e  dice  panni,  anni,  vanni,  sonni,  autunni,  inni, 
scanni  ecc.  Solo  dunque  il  contatto  con  vocale  iniziale  della 
voce  seguente  potea  dare  all'  -/  di  onni  il  valor  di  j,  e  così  allo 
-nn-  valor  di  u',  e,  risalendo  più  dietro,  all'  -e  di  onne  il  suono 
di  -i.  Poiché  è  vero  che  si  può  pensare  che  onni  continuasse  la 
voce  ablativale  omnl  {con  onni  c?<rrt  =  cum  omni  cura),  e  s'al- 
ternasse così  ab  origine  con  onne  da  omnis  omnem,  neut. 
omne,  sicché  in  ultimo  confluissero  entrambi  noiV  ogni  che  si 
determinava  avanti  vocale;  ma  é  vero  pure  che  basta  V onne  a 
dare,  av.  vocale,  1'  onni  medesimo,  come  primo  passo  all'  ogni.  E 
forse  infine,  come  la  proclisia  ci  spiega  lo  n  di  questo  pronome, 
così  ce  ne  spiegerà  l'o  stretto  nel  toscano  (in  pisano  perfino  w«m; 
ma  ital.  merid.  ogni)  anziché  l'o  aperto  che  forse  sarebbe  richiesto 
dalla  voce  latina,  che  però  non  é  di  certa  origine. 


*  stagno^  acqua,  non  è  continuazione  di  stannum,  ma  o  di  stagnum 
che  occorre  come  forma  collaterale,  o  di  stanne us,  che  è  già  classico. 

^  IS^on  ignoro  clagn  danno,  scagn  scanno,  cologna;  ma  pur  non  li  metterei, 
corno  par  faccia  il  Salvioni  (p.  16o),  alla  pari  delle  voci  spagnuole.  In  scagn 
vedo  facilmente  uno  *scamniam,  tanto  più  che  scagno  si  ha  pur  in  testi 
toscani;  e  anche  negli  altri  due  vedrei  una  formazione  ulteriore  con  -«-.  In 
sogli  sonno,  poi,  e'  era  proprio  la  via  fatta,  grazie  a  sogn  sogno. 


EETIA  RETIAEE  RETIACULUM. 


Alcune  voci  francesi,  in  cui  si  contiene  rete  o  retis,  o  sono  tuttora 
non  scevre  di  difficoltà,  o  non  si  rallegrano  peranco  di  una  dichiarazione  ben 
ferma.  Il  Diez,  IP  7,  vedeva  senz'altro  in  rets  un  antico  nominativo,  e  l'a- 
veva per  esempio  di  S  intatta,  P  ISO.  Dell'antica  forma  rois,  non  so  che  il 
Diez  mai  toccasse;  e  il  Littré  volea  trovarci  reti  a,  cosa  affatto  impossibile, 
come  ognuno  vede,  poiché  il  riflesso  francese  di  re  ti  a  non  potrebbe  non 
uscire  per  -se.  Non  meno  strano  resulterebbe  1'  errore  pel  quale  lo  stesso 
Littré  portava  il  frc.  réseau  a  retiolum;  dove  però  egli  s'è  forse  confuso 
tra  l'etimo  di  réseau  e  quello  di  rèsemi,  voce  quest'ultima  ch'egli  cita  come 
adoperata  da  Cartesio  e  che  il  Diez  appunto  riportava,  com'è  giusto,  a  re- 
tiolum, IP  322.  Il  Diez,  dal  suo  canto,  poneva  réseau ■=*retic elio,  come 
uno  degli  esempj  in  cui  -cello  succedesse  all'antico  -ciò  (reticulum);  IP 
368,  less.  IP  s.  V.  Di  résille  (espèce  de  filet  qui  enveloppe  les  cheveux), 
diceva  il  Littré  che  fosse  'autre  forme  de  réseau'.  Il  Diez  non  sa  di  questa 
voce;  ma  il  Brachet,  che  nel  suo  dizionario  riproduce  l'equazione  réseau  = 
reti  cello,  viene  poi  a  dirci  anch'  egli  che  réseuil  réseau  e  résille  altro 
non  sono  tutt'insieme  se  non  allotropi  di  retiolo  (Mém.  d.  1.  Soc.  d.  Lin- 
guist.,  I  3S9). 

L'ant.  frc.  roi-s  altro  non  dev'essere  se  non  l'obliquo  (mroi  =  rete-),  no- 
rainativato  al  solito  (cfr,  II  420);  e  circa  rets  si  può  sempre  chiedere,  se  non 
vi  si  continui  direttamente,  come  pensava  il  Diez,  l' antico  nominativo,  per 
guisa  che  nell'ordine  fonetico  s'abbia  un  caso  da  mandare  con  quello  (non 
abbastanza  conclusivo,  per  vero)  di  aues  =  habetis  e  nel  morf>.logico  uno 
analogo  in  qualche  modo  a  quello  del  prov.  serps  allato  a  serpents,  II  438. 
Taluno  potrebbe  pensare  a  retio-  (retiu-m),  cui  stesse  rets  come  ptiits  a 
puteo-;   ma  si  oppone  la  ragion  della  vocale,  poiché  da  retio  vorremmo 


retia  retiare  retiaculum.  103 

reÌQ  0  anzi  rig  '.  Guglielmo  Meyer  (Schicksale  des  lat.  neutrums,  98)  vuole 
senz'  altro  che  il  fre.  rets  sia  voce  accattata,  e  intenderà  dal  provenzale. 
Dovrebbe  però  essere  un  accatto  bene  antico,  e  io  non  sentenzierei  intorno 
a  rets  senza  prima  esser  ben  chiaro  intorno  a  réseau  (e  résillé).  Il  ricon- 
durre senz'altro  la  qual  voce,  col  Diez,  a  Veti  e  elio,  equivale  ad  am- 
mettere tal  cosa  che  nessuno  dovrebbe  ammetter  di  leggieri:  che  cioè  il  t 
vi  tacesse  quando  ancora  vi  risonava  1'  i;  poiché,  altrimenti,  t-c  o  d-c  dovea 
dare  f  e  non  i;  cfr.  racine  radicina,  allato  a  voislne  vicina^.  Chi  invocasse 
un'influenza  del  sinonimo  resemi  =  retiolo,  proporrebbe  uno  spediente  an- 
ziché una  dichiarazione  effettiva.  E  chi  poi  ricorresse  a  un  supposto  *re- 
tiello,  da  contrapporsi  a  retiolo  così  a  un  dispresso  come  vitello  a 
vitulo,  si  darebbe  a  un'ipotesi  molto  infida,  poiché  l'accentuazione  re- 
tiolo è  antica,  e  antica  perciò  la  riduzione  del  t  j  ;  e  nessuno  così,  io  credo, 
vorrebbe  porre  un  *lintello  per  succedaneo  di  linteolo  lintiólo.  Vero 
è  che  il  Meyer,  nel  luogo  citato,  riconduce  il  rumeno  refzea  a  *reti-ella; 
ma  questa  è  una  ricostruzione  affatto  arbitraria,  alla  quale  pare  trascorso, 


^  Cfr.  FoERSTER  in  Groeber's  Zeitschr.,  Ili  496.  Il  t  di  puits  è  un'aggiunta 
dei  grammatici  che  etimologizzavano;  la  resultanza  effettiva  era  pulQ=pozzo 
(cfr.  puiser).  Analoga  intrusione  in  mets,  cfr.  Diez  less.  IP  s.  v.;  e  sono 
csempj  da  aggiungersi  a  gr.  P  444,  Nessuno  inviclierà,  io  credo,  l'ardimento 
del  Brachet,  che  manda  puits  tra  le  forme  nominativali,  gr.^  183,  contrap- 
ponendogli un  obliquo  puit.  Gfi\,  p.  es.,  Biirguy  nel  gloss.  s.  v.  e  i  suoi 
esempj. 

^  Anche  lo  Joret,  nell'utile  suo  studio  Du  C  dmis  les  langues  romanes, 
pone  senz'altro  réseau,  ant.  ro/se/,  =  r eticello,  p.  Ì23  (cfr.  Nedmann,  Zur 
laut-  u.  flexionsl.,  83  89).  Sarebbe  tra  gli  esempj  in  cui  e  si  continua  per 
sibilante  sonora.  Ma  quali  sono  le  analogie  che  rendau  lecito  affermare  i  = 
cons. +c,  ponendo  cioè  resel  =  *retcel,  quando  *radcina  Ak  racine,  come  *nav- 
cella  dà  nacelle,  e  così  via?  Il  caso  del  e  nell'ultima  dei  proparossitoni  che 
si  rappresenta  per  onze  -  *uìidce,  non  vale  per  il  nostro  tipo.  Superfluo  dire 
che  affatto  non  vale  il  caso  di  demoiselle  =  *donimiceUa  dominicella,  dove 
l'ingombro  delle  consonanti  (mn-c)  salvava  il  secondo  degli  i  protonici  (v. 
Dakmesteter,  Roman.  V  149),  o  quello  di  oiseau  =  *ai(cell(),  it.  augello.  Può 
all'incontro  sedurre  cousiii,  zanzara,  ricondotto  che  sia,  col  Diez,  a  cu  liei  no. 
Ma  cui  e  ino,  che  e  del  resto  una  forma  ipotetica  e  senz' altri  riflessi  neo- 
latini, avrebbe  dato  alla  Francia:  kulgin  ecc.,  come  pulceno  le  dava  j3m/- 
Qin  ecc.  In  cousin  non  avremo  già  il  diretto  continuatore  di  un  lat.  culi- 
cino,  ma  bensì  una  derivazione  francese  da  *cons  (couz)  =  culs  =  cui  e \. 
cioè  da  una  figura  nominativale  fossilizzata  (v.  il  testo  più  in  là),  la  quaU- 
avrebbe  i  suoi  paralleli  nello  sp.  e  pori,  cai  calx,  rum.  mde  judcx.  —  L' Ilon- 


104  Ascoli, 

nella  fretta,  il  molto  valoroso  alemanno,  poiché  basta  rotella  per  darci  il 
rum.  rctzca;  cfr.  Mikl.  rum.  lauti.:  t.  Resterebbe  di  ricorrere  alla  ipotesi, 
che  il  francese  si  formasse  egli  medesimo  nn  nuovo  diminutivo,  sul  tipo 
di  bandeau  da  bande,  dal  nominativo  antico  e  come  fossilizzato  {reQ),  dove 
sarebbe  specialmente  da  confrontare,  ncU'  ordine  morfologico,  poussière  II 
423  n,  e  nel  fonetico:  puiser  allato  ti  puits  (*puic).  Questa  soluzione  tanto 
più  quadrerebbe,  in  quanto  ne  andrebbe  insieme  risolto  il  problema  di  résille 
(rcs-ille,  cfr.  chenille),  per  la  qual  voce  non  so  vedere  qual  altra  dichia- 
razione organica  si  potrebbe  escogitare. 

Ma  lasciando,  per  ora,  la  vena  francese,  si  può  chiedere  inollre  se  l' it. 
rezzuola  rifletta  direttamente  l'ant.  retiolum  -la,  o  non  sia  piuttosto  una 
derivazione  italiana  da  rez-zff  =  r etia,  che  ricorre  pur  negli  antichi  scrittori 
toscani.  Lo  z  (non  g)  protonico  in  rezzuola  non  sarebbe  valido  argomento 
contro  la  diretta  corrispondenza  rezzuola ^v&ìiola.,  poiché  coesisteva  il 
termine  in  cui  lo  tj  era  postonico  (cfr.  tizzone,  allato  al  sin.  Uzzo  e  alle 
voci  verbali  attizzo  ecc.)^  In  favor  della  molta  antichità  del  vocabolo  par- 


NiNG  {Zur  gesch.  des  lat.  C  vor  E  wid  I,  Halle  1883)  non  era  condotto  dal 
suo  ragionamento  alla  considerazione  del  quesito  e  degli  esempj  che  più 
particolarmente  son  qui  toccati. 

^  Si  veggano  intanto  :  Neumann  1.  e.  81-98,  Schuchardt  nella  '  Zeitschr.  ' 
di  Gròber,  IV  143  n,  W.  Meyer  ib.  Vili  302.  E  si  tolleri,  in  questa  occa- 
sione, che  io  segni  qui  brevemente  alcune  cose,  che  non  m'è  dato  per  ora 
di  sviluppar  per  le  stampe  con  quell'ampiezza  che  ci  vorrebbe.  Siccome, 
dunque,  per  ^  =  tj  pi'otonico  non  si  tratta  mai  di  formola  iniziale,  così  in 
effetto  siamo  sempre  a  quella  disposizione  tonica  delle  antiche  basi  che  s'è 
detta  4o  sdrucciolo  rovescio',  cioè  con  due  protoniche  (ratióne-)j  disposizione 
che  produce  sulla  seconda  protonica  effetti  analoghi  a  quelli  che  sulla  prima 
postonica  produce  la  disposizione  dello  schietto  sdrucciolo  o  proparossitono. 
Nel  tipo  ratio  ne  s'ebbe  anticamente  il  t  della  seconda  protonica  volgente 
a  (Z,  e  da  radjóne  si  ripetono  ragione  raison  ecc.  Un  avvouimenlo  analogo 
per  la  prima  postonica  è  quello  per  cui  da  placito  si  arriva  a  plaid 
piato  ecc.,  circa  il  quale  avvenimento  non  mi  può  piacere  quanto  viene 
imaginando  o  ripetendo  lo  stesso  Meyer,  ib.  217.  La  mia  teoria  è,  in  poche 
parole,  questa  che  segue.  Nel  proparossitono,  il  -g-  (schietta  esplosiva  pa- 
latina!), passa  con  particolare  facilità  in  /  (fricativa  palatina),  onde  i;  p.  e. 
fragile  jrajile  frdile  (cfr.  piangere  planjere  ecc.);  e  il  -c'^  (schietta 
esplosiva  palatina!)  passa  alla  sua  volta  in  -g-,  e  coincide  poi  con  le 
fasi  del  g  primario;  p.  e.  placito  plagito  plajito  ecc.  Questo  fenomeno  di 
-e-  in  -g-  doveva  più  facilmente  avvenire   se  la  esplosiva  era  preceduta  e 


retia  retiare  rcllaculnin.  lOo 

lerebbe  anche  la  sua  diffusione:  p.  e,  nap.  rezzòla  allato  a  rezza  ^^  e  più 
genuinamente,  nel  sardo  logudorese  :  rezzólu  allato  a  rezza;  senza  più  dire 
del  fr.  réseuil.  Lo  stesso  retiolum  va,  del  resto,  pressoché  sicuramente 
derivato  da  retia  (o  retio-),  anziché  da  reti-  o  rete,  tanto  più  che 
esiste,  e  ben  viva,  la  forma  diminutiva  che  normalmente  spettava  a  rete 
0  reti-,  come  a  tema  in  i,  e  cioè  reti  culo.  Il  sardo  cagliaritano  ha  pure 
il  verbo  rezzài  in-rezzdi,  di  cui  si  può  similmente  chiedere  se  sia  deriva- 
zione sarda  da  rezza,  che  è  comune  a  tutta  l' isola,  o  non  piuttosto  la  diretta 
continuazione  dell'antico  retia  re. 

Questo  antico  verbo  era  giustamente  resuscitato  dallo  Schmitz,  come  base 
del  retiaculum  della  'Vulgata',  rete  e  fig.  inganno,  e  gli  era  poi  confor- 
tato dalla  fenestra  retiata  che  il  Rònsch  ancora  pescava  nel  latino  bi- 
blico ^  Ma  è  da  aggiungere,  che  retiaculo  vive  sempre.  Occorre  così  nei 
dialetti  liguri:  genov.  regàggu,  giacchio,  rete  tonda,  onde  l'astratto:  re- 
QUffgd,  quasi  retiaculata,  'tutta  la  quantità  di  preda  che  si  piglia  cac- 
ciando, uccellando,  o  pescando  (Olivieri)';  sanrem.  :  reQÙju^.  Ed  è  pari- 
menti nel  sinonimo  siciliano  rizzdgghiu.  Con  1'  -aggu  di  Genova,  -dju  di 
Sanremo,  si  risale  normalmente  ad  -a  e  lo,  II  123  n.  Il  riflesso  siciliano  {riz- 


seguita  da  i,  cioè  andava  circondata  da  due  elementi  acutamente  palatini  e 
sonori;  e  s'è  compiuto,  in  tali  coudizioni,  sin  da  molto  antiche  età;  così 
in  digito-,  allato  a  in-dex  in-dicis,  e  in  vigiliti  etx.a-t  allato  a  v  i- 
c esimo-;  poi  man  mano  s'è  venuto  estendendo  anche  ai  tipi  gràcile 
fràcido-  cócere  ecc.  L'italiano,  dal  suo  canto,  mal  tollera  gli  ài  ói  che 
per  tal  via  egli  aveva  conseguito,  essendo  questi,  e  pochi  altri  congeneri,  i 
soli  casi  per  cui  gli  venissero,  nell'interno  o  al  principio  della  parola,  sif- 
fatte combinazioni  di  vocali,  e  perciò  egli  riuscendone  alieno.  Se  ne  libera 
egli  dunque  col  venirne  espellendo  il  secondo  elemento:  e  pardo  plaito  piato, 
fraile  frale,  ecc.  È  lo  stesso  fenomeno,  quanto  alla  riduzione  d'  di  ecc.,  pel 
quale  1'  italiano  ebbe  ajutare  aitare  atare,  e  venne  da  meietd  (medietas) 
a  meitd  metd-  o  anche  a  ma  da  mai  =  magis,  quando  si  trattava  di  'magis' 
proclitico  e  perciò  di  un  ai  come  interno. 

1  L'  i  fermo  nel  sic.  rizza  (che,  del  resto,  nel  Mortillaro  non  ritrovo)  e 
riapparente  nel  pi.  nap.  rizze,  è  altro  bell'esempio  per  il  nitido  riflesso  delle 
pure  in  antica  posizione  romanza;  cfr.  II  14S-6. 

^  Schmitz,  Beitr.  z.  lat.  sprachk.,  143  sgg.  ;  dove  si  relega  nel  mondo  delle 
favole  il  rete-jaculum  dei  dizionari  latini. 

^  Pongo  f,  e  non  i,  così  nel  termine  genovese,  come  nel  sanremano  (seb- 
bene il  vocab.  gcn.  paja  col  suo  resaggiu  accennare  a  i),  confortato  come 


106  Ascoli,  rclia  retiarc  retiaculuin. 

zàgghiu,  non  -dcchiu)  accenna  però  a  quella  risoluzione  di  -aclo,  per  la 
quale  italianamenle  si  sarebbe  avuto  rezzaglio  anziché  rezzacchio;  cfr.  te- 
li a  cu  la,  it.  tanaglia,  sic.  tindgghia,  it.  pendaglio,  sic.  pinndgghiu^.  Quasi 
superfluo  avvertire,  che  un  *retiatico,  il  quale  mal  converrebbe  anche  nel 
rispetto  della  signiiicazione,  è  affatto  escluso  dalla  fonologia,  poiché  ci  con- 
durrebbe a  un  sicil.  rizzaggiu  (cfr.  viaggili  ecc.),  o  a  un  sanrem.  reqaggn. 

Così,  dunque,  come  il  lat.  jaculo-,  in  quanto  diceva  'rete',  vive  sempre 
nel  giacchio  jacchio  dell' Italia  mezzana  e  dell'australe,  vive  pur  sempre  il 
lat.  retiaculo  nel  vocabolario  dei  pescatori  liguri  e  dei  siciliani;  e  son 
testimonianze  sempre  notevoli  anche  in  ordine  all'assoluto  impero  del  les- 
sico latino  tra  tutti  i  volghi  romanizzati. 

G.  I.  A. 


sono  dalla  seguente  letterina  del  bravo  Lagomaggiore  :  «  I  riflessi  di  re- 
«  tjàculo-,  da  me  uditi,  hanno  f  :  sanrem.  regdju,  chiavar,  rigdggu.  E  tengo 
«  che  l'abbia  anche  il  genovese  ;  poiché  F  editore  della  *  Qittara  zeneize  ' 
«  (1745)  scrive  resaggi  (rime  marinaresche,  canz.  tu,  str.  8),  resaggio  (Ballin 
«  ambasciou,  str.  lu),  e,  secondo  le  sue  regole  d'  ortografia,  s  si  pronuncia 
«'sempre  aspro  alla  toscana',  laddove  z  si  pronunzia  dolce,  'ovvero  come 
«  la  s  dolce  dei  Francesi'.  Parimenti  nella  edizione  del  1663:  ruoeze  rose, 
«  o^ffeiza,  amoroza  ecc.,  ma  felise,  desperase,  ecc.  » 

^  Nei  dim.  di  nn.  d'animali,  l'italiano  è  fermo  al  tipo  -acchio;  il  siciliano 
oscilla  ti-a  questo  e  -agghiu  {=-aljo):  lupacchiùni,  gurpagghimi. 


ANNOTAZIONI 

di    G!^.    XILK^ICH 

alla 

SUSANNA',  TESTO  LADINO,  VARIETÀ  DI  BRAYUGN 
(Vili,  263-303). 


I.  Auszer  der  Susanna,  die  icli  Arch.  VITI  263  ff.  herausgegeben  habe, 
findet  sich  in  der  biindnerladinisclieu  Litteratur  uoch  eiue  andere,  die  aber 
mit  der  uuserigen  gar  nichts  zu  thun  hat.  Ueber  dieselbe  vergleiche  man 
Fldgi,  Zi'itschr.  f.  rom.  Pbil.,  II  517. 

II.  Uusere  Susanna  bildet  niit  dem  Opfer  Abrahams  unter  den  engadi- 
nìscheu  J^i'amcn  cine  besondere  Grappe,  iudem  sie  nàmlich  Singdramen  siud. 
Man  vergleiche  dariiber  Flugi,  Zeitschr.  fiir  rom.  Pbil.,  IV  5. 

III.  Das  Singdrama  Susanna  ist  uns,  so  viel  icb  weisz,  in  zwei  Mss. 
ùberliefert: 

a)  Das  Ms.  Egerton  2101  des  Britischen  Museums  (L)  ist  von  Varnhagen 
in  Bòhmers  Rom.  Studien  IV  478  besclirieben  Avorden  (vgl.  dazu  Sturzinger 
Roman.  X  246).  Am  Titel  unseres  Dramas  ist  Arch.  VIII  263  die  S.  Augusti 
in  die  5  Augusti  zu  besscrn.  De  ist  vor  Juventilnna  zu  stellen  und  gewiss  in 
dediehiceda  aufzulòsen.  Auf  dera  Verso  des  Titelblattes  steht  ein  fragmeuta- 
l'ischer  Prolog  in  Prosa: 

lìg  S.  Apoastel  Paulus  als  Rom:  cap:  lo.  v.  4  tschauntscha  davard  ilg 
fritz,  et  iìttel  chi  s'  tira  dalla  Scritziira  S.  uschea:  Tuottas  chiossas  chi 
sun  vivaunt  scrittas,  sun  scritias  in  nossa  dottrina,  per  chia  nus  trces  la 
patientzchia,  et  ilg  confilert  della  scritziira  hadzen  la  sprauntza,  onr  dal- 
l'histoargia  da  Susanna  contgnida  in  ilg  13.  cap:  miss  vi  tiers  alg  Propihst 
Daniel  (srja  ch'nschea  seja  dvantó,  ù  eh' e  vegnia  miss  inguml  per  Un  exeim- 
pel  <&c.)  pann  bimameintz  tutts  stcedis  dilg  muond prender  bgliers  bials  avi' 
sameints. 

Generielmeintz  s'pò  londar  aura  veir  et  amprender 


lOS  Ulrich, 

i,"  ehia  tmair  Dieu  seimper  riuschescha,  et  butta  oura  an  bein. 

2.0  E  belli  dna  ila  fidels  haun  co  irces  sur  terra  lìoUxra  cruscli,  e 
JaiUa. 

3."  Amparò  cJiia  Dicu  nun  lascha  mie  angiun  gnir  tento  sur  ilg  seis 
pudeir,  ma  ansemmal  cu'  Ig  tentameint  detta  el  eir  la  riuschida  chi  s'possa 
sustegner.  1.  Cor.  cap.  10.  v.  13. 

à."  E  pertaunt  ch'amilnchia  fidél  s'  dess  an  tutta  erusch  . . . 

Es  fehleu  am  Anfang  die  Strophen  1-39  und  ira  Verlaufe  3S7-398. 

b)  Das  Ms.  K.  10.  8  dei*  Kantonsschulbibliothek  von  Gliur  (C)  euthiilt  un- 
ger Stùck  auf  pp.  52-148.  Auf  pag.  52  steht  der  Titel:  Ulstoargla  da  Susanna, 
plgllceda  our  dllg  cap.  13  miss  vi  fiers  alg  prophet  Daniel  e  fatta  a  chlari- 
icer  in  la  notta  dllg  Psalin  100  dllg  Lobrasser.  Item  eau  bunas  notivas 
voelg  chiantcer.  E  descritta  trces  me  Ana  de  Raspar i  In  ilg  ami  dllg  segner 
1764  die  S  Martlus.  Von  Strophe  381  an  beginnt  eine  spàterc  Hand,  die 
aneli  gewisse  spracliliclie  Eigentiimliclikeiten  hat:  suffrlgr  428-'',  dlgr  442% 
vigs  454%  vugs  483=»  (vgl.  Arch.  I  158  £f.,  225  f.).  Ich  tlieile  nacli  dieser  Hs, 
die  in  L  fehlenden  Strophen  mit,  die  zu  gleiclier  Zeit  ein  Blkl  der  Ortho- 
graphie  von  C  geben  werden: 


Actus  1.  lls  duos  vilgs  anflammos  de  amur  vers  Susanna 
s'scovran  Ig'un  Ig  oter. 

i.  vilg. 

Susanna  an  senn  eu  salmper  he,  —  L'amur  cli'eu  Ig  pori  nu  s'  perda 
me;  —  Quaist  sto  bain  easser  un  grand  fatz  —  Ch'eu  d'  Jantascliia  metz 
m'  amatz. 

Scha  ditz  Susann'  an  sen  m'  valn,  —  D'amur  m'  saint  eu  piglio  aint, 

—  Ne  sun  plr  bun  me  da  pudalr  — •  Tranquillitcet  e  pós  giudair. 

Dalungla  ch'eu  a  chiessa  iuorn,  —  Schi  sun  eu  mlatz  fantaschk  e 
stuorn;  —  Daletz  nun  he  d'anguot  sii  'Ig  muond  —  D'que  ch'els  an  chimsa 
mia  zuond. 

litro  els  ilg  més  senn  e  cor,  —  Ilg  chierp  dadelntz,  Ig  imelnt  dadour. 

—  Sun  huossa  bi  gnl  dilg  marchiò  —  E  sto  turncer  allò  darchió. 

Susanna  a  tscherchicer  eu  veng  —  Scha  gnlr  pudess  alg  mels  deseng, 

—  Sch'as  praschanlass  foarza  sur  hura  —  Saschun  d'havalr  la  sia  amure. 

0  ti  meis  schiazzi  e  thesór,  —  A  liuntsch  sur  tuot  ardzlent  et  ór,  — 
Exodame  e  ven  dastrusch,  —  M'  azikla  larg  da  qualsia  erusch. 

Ma  j^erche  vezz  eu  qulst  vlgluord  —  Turnond  darchlo  usche  ancuort, 

—  Ch'  zleva  m'  vein  da  pè  an  pè,  —  Ch'  ais  huossa  jeu  davend  da  me  ? 


Annotazioni  alla  'Susanna'.  109 

El  zainza  fall  la  voul  eir  bain,  —  El  à  tscTierchier  Susanna  vain;  — 
Perche  vain  eu  qui  bod  ù  tard,  —  Sch'  eis  ér  preschaint  co  qiiist  vigluord. 

Eu  vi  beiti  gnir  our  da  quist  buonder,  —  Elg  dumandér  ch'el  fatsch, 
ù  nuonder  —  El  vegnia,  chie  el'  quia  viglia,  —  Ch'el  dzeia  fadschand  ù 
à  maun  piglia. 

TU  més  Amich  e  chiér  cumpuoing,  —  Parduna,  sch'  eu  t'  dumand  in 
puoinch.  —  Siond  anguél  sto  qui  cun  me  —  Perche  est  til  darchio  aqui? 

Nuli  hauns  miss  sii  d'  ir  à  dzanter?  —  Di  gratzchia  dzi  :  co  pò  'Ig 
dvanter,  —  Ghia  ti  darchio  tuornast  schi  bot  —  E  vainst  currond  qui  tuott 
a  sots? 

2.  vilg. 

Mu,  chier,  ti  dzi,  che  fest  mei  viers  —  Da  que  chia  ti  min  odza  tiers. 

—  Clile  prendasi  ti  pisier  d'  mes  fatz,  —  Siond  eh'  eu  dils   tés  anguot 
m'  ampatz  ? 

Ti  est  ér  qui  schi  bain  sco  eu  —  Ne  he  ampro  buonder  da  que.  — 
Dzi  chi  V  ho  qui  schi  speri  mano  —  U  che  est  ti  lische  chianó? 

Schi  à  mi  plescha  da  esser  qui,  —  Schi  che  vo  que  pò  tiers  à  ti?  — 
Sun  eau  culpaunt  bi  da  zir  our  —  A  ti  eh'  eau  he  eint  ilg  cour  ? 

i.  vilg. 

Nun  easser  gritt,  o  chier  Amich  !  —  Donn  tschert  min  t'  poaria  que 
chia  f  dzich,  —  Eis  e  a  ti  sto  schi  dalced  —  Ch'  eu  sul  t'  he  dumandó 
in  pla'd? 

Amichs  nus  eran  traunter  pcer,  —  Anguotta  nus  sulaiven  fer  —  Lg' 
un  saintz  lg'  oter,  tutt  cummin  —  Traimter  nus  era  alla  fin, 

2.  vilg. 

Chia  eu  ilg  plced  an  buochia  maschk  —  Dvainta  parque  chia  eu  min 
nschk  —  A  ti  la  mia  nardét  scuvrir  —  El's  més  pissiers,  que  craja  piir. 

0  chier  Amich,  eu  nun  sun  brich  —  Irò  sun  te  niaunch  un  zick.  — 
Sch'  ti  voul,  schi  ns  leins  dzir  saintza  dzia,  —  Perche  nus  vegnian  an 
quist  He. 

d.  vilg. 

Cun  buna  viglia  eu  ilg  patz  —  Pilg  sii  chia  ti  hest  huossa  fatz.  — 
Ampro  cun  que  our  da  nun  dzir  —  E  cun  angin  que  da  scuvrir. 

Scha  la  vardet  nus  ns  cunfessain,  —  Schi  eschans  qui  bi  per  in  esser. 

—  Pertaunt  bain  anandretz  f  ampeintza   —   Et  a  quintér  dilg  fatz  scu- 
ìueintza. 

2.  vilg. 
Que  fatsch  eu  bricch,  che  vi  udzir  —  Da  te  ilg prim,  che  ti  srest  dzir. 

—  Alhura  vi  ér  eu  dzir  our  —  Que  chi  da  fair  dat  gli  més  cour. 


no  Ulrich, 

?:.'  Ti  In  partzhla  hést  bitta  Ig  prlin  —  Da  leir  dzir  our,  perque  eu  stiin, 

—  Ti  sajast  er  pai'tel  ciilpant  —  A  radschuncr  dilfj  Jatz  avaunt. 

-3  Schi  sto  pir  esser,  sdii  via  sii  !  —  Eu  à  Susanna  fitz  bain  vi   —   Ch' 

eis  dilg  honest  prus  Joachim  —  lUufjteir  chiarischma  sco  eu  stini. 
21  El  ais  dilg  sés  travsch  e  mastier  —  Quists  ons  passùs  sto  ilg  nos  hu- 

stier  —  Annua  nus  sco  ti  sest  tegnen   —   Bretz,  e  suventz  ansemmel  ve- 

gnen. 
25  Sés  Bab  Chialchia  hot  sés  noni,  —   Un  inavaunt  fitz  da  bein  hum  — 

Chi  tartza  l'ho  einten  la  flur  —  Ba  sia  cetét  an  tuott'  hunur. 
23  La  sia  bellezz'  ais  chiaschun  —  Da  que  chia  eu  a  ti  radschun,  —  Ch' 

eau  sun  d'  amur  fitz  anflamo  —  Et  he  lung  temp  Susann'  amo. 
•27  Mu  nulg  aschiond  mner  adimieint  —  Quaist  fatz  ch'eu  metz  cngniuosch 

e  Saint  —  Trid  esser,  stun  eu  qui,  els  vilgs  —  B'sprauntza  pascheint  bnna 

Is  més  ilgs. 

28  Perche  Susanna  silg  metzdi  —  Adiuina  vo  a  spas  aquì;  —  Enten  quist 
hiert  s'  leva  suventz,  —  Ctor  nus  d'  sia  chiesa  vaun  duvend: 

29  Partaci  schi  stun  eu  qui  e  guard  —  Sche  gniss  sur  hura  boi  u  tard, 

—  Sch'aun[c]  elg  adatt,  da  pudeir  —  Desideri  d'amur  giudeir. 

i.  vilg. 

30  Per  dzir  a  ti  ilg  fatz  trés  or  —  Mcdem  piser  ho  ilg  mais  cor  ;  —  Ilg 
més  cor  arda  sco  d'in  fie,  —  Per  que  schi  sj^ess  veng  an  quist  He. 

2.  vilg. 

31  Schi  dzi  dimena  chic  lains  fer,  —  Ch'  nus  possen  alg  nos  deseng  river. 

—  Ti  est  pli  vilg  et  ér  pli  scoart  —  Schi  do  in  bim  cusseilg  bein  spert. 

i.  vilg. 

32  Chia  ti  a  mi  et  eu  a  ti  —  Dett'  iin  cusseilg,  schi  tedia  me.  —  Amln- 
chia  dzi  Susanna  vo  —  Qui  an  quist  hilert,  lo  [l.  e]  biiong  lo  fo. 

33  Schi  leins  iin  dze  qui  liadzér  —  E  qui  la  schantza  vuidzér,  —  La  der 
huns  pleds  e  la  ruver  —  U  alla  mela  er  pruvér. 

gj  Qui  hauns  dilg  muond  ilg  pli  bel  dzie ;  —  Sula  resta  qui  in  quest  Uè; 

—  Lg'hom  eir  davent,  ilg  He  d'in  marni,  —  Angin  min  vezza  chic  nus  faun. 

2.  vilg. 

35  Ilg  tés  cnssailg  eis  beli  e  bìin  ;   —  Ampro  an  temm'  e  pisser  stun  — 
Chia  cura  nus  pruvo  haun  tuot,  —  Nun  hadzan  ne  condzist  'n  anguot. 

36  Perche  Susanna  temma  Dieu  —   E  porta  fé  gli  ses  marieu;  —  Tuot 
la  citét  Susanna  tein  —  Per  in  exeimpel  da  tuot  bein. 

37  Sch'  nus  nu  pudessen  que  gurbir  —  E  eh'  ilg  fatz  vess  a  glisch  da. 
gnir,  —  Gnissen  nussez  ans  svergugnicer,  —  An  tuotta  tuorp  à  rumagnier. 


Annotazioni  alla  'Susanna'.  Ili 

i.  vilg, 
^^  Ti  narr,   sch'  ti  temasi,   schi  drè  a  itti   (tré    aint?)  —   Bein  speri  à 

ti  'na  giirgimainia  ;   —   Ilg  vilg  proverbi  aunch'  nun  smst:  —  Chi  min 

vucedza  min  fò  cessas. 
39  Lascila  fer  me,  eii  vi  bain  veir  —  Si  'Ig  temp  e  quel  fer  à  saveir;  — 

Scha  f  dun  Un  cloni,  schi  ve  bain  speri,  —  Ghia  niis  saschiin  e  temp  min 

perdan. 

Actus  2.  Nun  vuliand  Susanna  sg under  ils  2.  vilgs,  sch'lg 
tlran  els   oura  ina  mela  tschontscha. 


357  Ilgs  Soinchs  chi  sun  stos  qui  davauni  —  Haun  eir  udzi  per  [tur]  in- 
faunts  —  Pissier,  cuntuerbel  et  ditliir  —  Ed'  Una  pari  eir  mand'  htmur. 

358  Adam  haveiva  sul  duas  fiìgs  ;  —  El  ho  stil  vair  sez  ciin  seis  mlgs  — 
Hg  pitschen  gnir  mazzo  dilg  grand,  —  Kg  saiing  da  Abel  prus  gnir  spons. 

359  Er  Abraham  quel  inavaunt —  E  'l  gni  cun  Isaac  seis  infaiint,  —  Cun 
chiè  dulur  pisso  da  steir  —  Isaac  schianer  et  ujferir. 

390  lacob  da  dudesch  fiìgs  eh'  el  veiva  —   Et  il  lìlil  bein  a  Joseph  leiva, 

—  Et  ampro  sòl  (=  s'  hòl)  lascho  der  sii  —  Ch'  el  d'  un  meli  bieschz  seia 
purto  vi. 

391  Amram  nun  ho'l  Mosem  sies  filg  —  Selz  stuvi  metter  an  un  bùìg  — 
Elg  avier  per  ouva  oura  ?  —  Ditz  cuschidrè  eir  cun  chic  coure  ! 

392  Sumgliaiiìit  er  da  oiars  Uzains  —  Et  our  dal  pled  da  Die  ancUzains. 

—  Cuntuot  nun  esches  vus,  o  bap,   —  Ilg  prini  chi  stapch'  {-stopcWì)  ir 
an  que  zap. 

393  Cuntuot  an  mnnn  da  Bieu  s'  rendè,  —  Patziainiamaing  eir  sii  prende, 

—  E  'l  Bieu  nun  vain  a  's  metter  sii  —  Plii  co  chi  possas  purter  vi. 

394  Con  que  a  Bieu  stez ,  chiera  mamma,  —  Tuchie  maun  a  vossa  Su- 
sanna. —  Eu  less  dzìr  plii,  ampro  min  poass,  —  Ch'  a  mi  da  dzir  vain 
il  cor  gross. 

Mamma. 

395  Susanna  dutscha,  chiera,  ameda,  —  Susanna  prusa,  costiimeda,  — 
JS^ìin  pò  'Ig  esser  per  atra  via  —  Co  der  la  viltà,  filgia  mia  ? 

396  Schi  lascila,  ansemel  lejn  mis  igr  —  Ba  compagnia  a  murir ;  —  Meilg 
eis  e  chia  cun  te  eu  moura,   —  Che  schiappa  uschiglo  il  meis  cor. 

397  JSiin  aveir  otar  eh'  iinna  filgia  —  E  stair  veir  huossa  chia  sun  viglia 

—  La  gliedt  zieva  ella  a  curir,  —  Cun  crappa  per  la  fer  murir  ! 

298  Avaiint  tu  sciasi  steda  sii,  —  Schi  he  eu  taunt  e  tanni  mito  vi  —  Pis- 
ser,  dolur,  fadia,  breja,  —  Ghia  chi  nu  prova,  tschert  nu  crtja. 


112  Ulrich, 


IV.  Bei  der  Herausgabe  der  Susanna  biu  idi  dea  von  Foeuster,  Cliges 
XLix,  aiisgesprochcneii  Principien  gefolgt,  die  noch  vici  nielir  auf  biindner- 
ladin.  Texic  als  auf  altfranzusisclie  anzuwcndcn  sind:  raòglichst  geuaue  Wie- 
dergabe  der  àltesten  handschriftlichen  Niederschrift.  «  Gestattet,  sagt  Forster, 
«  ist  cine  Eineudation  der  sinnverdorbeuen  Stellen,  nicht  aber  cine  Regu- 
«  larisicrung  der  grammatisclien  Formen  oder  eiuzelner  Laute,  am  allerwe- 
«  uigsten  etwa  eine  Uniformierung  blosz  der  im  Reime  beflndlichen  Wòrter 
«  oder  Silben.  »  Ich  habe  also  das  Ms.  Egerton  (L)  tale  quale  abgcdruckt 
und  gebe  hier  zunachst  die  Variauten  von  C,  die  entscLiedeu  Besseres  als 
L  bieten: 

lOS."  C  d'  mis  =  L  nus  d'. 

186.»  C  chialun  =  L  chirlun. 

347.''  C  saschimo  =  L  guvernó. 

423.*  C  vcf/nia  =  L  vegnis. 

453.d  C  eZs  =  L  Ig. 

465.*  G  sparzirs  =  L  spardùtzs. 

S18.*  G  ampelan  =  L  anscelan. 

Orthographische  Yarianten  von  G  und  solche,  die  den  Tcxt  von  L  nicht 
bessern,  fuhre  ich  nicht  an;  es  sei  nur  erwàhnt,  dasz  i^l^-'^  in  G  felilcn. 

V.  Eigentliche  Drnckfehler  dùrften  sich  nicht  viele  vorfiuden.  Als  solche 
erwiihne  ich  72"=  nietza  fiir  metz  a,  93*  hoel  fùr  ho  el,  94'^  vilj  fiir  vilgs, 
dio*  d'  chiappo  fiir  dchiappó^  IH''  ett'  tur  et  f,  127''  'n  zachi  fùr  'nzachi, 
137^  trauschó  fur  travschó,  lo7*  el  fiir  els ,  227'=  qui  (?)  un  fùr  qui  an, 
241*=  vaisameint  fùr  avisameint,  299*  sumglió  fùr  siunglió,  329''  vers  fùr 
vess,  334''  crekca  fùr  creich,  377'=  pertschert  fùr  per  tschert,  428''  clamar 
fùr  clamcer,  471"=  de  fùr  des,  508''  haueir  fùr  haveir,  509<=  (ett  fùr  eau, 
513''  spraunitra  fùr  sprauntza  *. 

Anstatt  des  (e  der  Hs.  ist  m  gesetzt  worden,  weil  sich  jener  Buchstabe 
nicht  in  der  Druckerei  befand. 

Niclit  ganz  consequent,  doch  consequenter  als  in  der  Hs.,  ist  der  Ge- 
brauch  des  Apostrophs  durchgefùhrt  worden**. 

Die  Interpunction  stammt  von  mir  und  lasst  noch  vielerorts  zu  Avùn- 
schen  ùhrig.  So  setze  man  zb.  62"=  nach  sdrir,  117*  nach  adachmr,  2ìb^  nach 


*  4Uo'=  ist  Schei  wahrscheinlich  in  Sch'er  zu  bessern;  ebenso  438.'=  Aucli 
485''  dùrfte  ei  fùr  er  stehen. 
**  Gegen  die  Hs.  ist  oft  che  stati  ch'e  zu  lesen,  so  116'',  139*,  163''. 


Annotazioni  alla  'Susanna' 


113 


scoduH,  298"  nach  amprescha,  339»  nach  mmin,  421^  nach  andiira,  437«  nach 
Vilffs  cin  Komma;  iM^  nach  vizzis,  201'^  nach  maun,  cin  Fragezeichen  ; 
441'^  nach  schiarpaun  eincn  Piinkt.  -  238''  ist  das  eingeldanimcrte  Frage- 
zeichen zu  tilgen,  da  sbirlós  sicher  ist. 


VI.  Glossar. 


ampatz  =  oberi.  anu)ai:j  198"=  verle- 
geuheit. 

anfandsclmria  288"^  verslelleng. 

anguertz  199''  vorwurf. 

arditz  =  ardili  209^ 

artezza  79"^  kiihnheit. 

oscriang  278'^  unreinlichkeit. 

azever    124''   eiuholen,    erreichen, 
vgl.  Arch.  I  210. 

ir//a  105'^  geschwatz. 

baschlér  211"=  blòcken. 
■  &^^/»^  101''  501''  gut,  vgl.  Archivio 
VII  556. 

hrcja  298'^   anstrengung. 

clecch  409'  zartlich. 

dotar  269^'  falle. 

cnntezza  134''  kenntnisz. 

chialun  186'  hiifte. 

cMaveìg,  à  -  137''  307"'  sorgfaltig. 

dchiappér,  s'-  110*  sich  creigucn. 

draschiun  103"^  qual,  elend. 

<^set;«r    367'^  =  f/iemr   Ulr.   II    80, 
Ulr.  Texte  II  14. 

etta  177<=  lage,  Ulr.  II  33. 

fichió  103''  eigensinnig. 

filrlér,  s'-  238"  zornig  werdcn. 

gratidzér  457''  geraten,   gelingcn, 
vgl.  Arch.  VII  563. 

Archivio  glottol.  ita!.,  IX. 


guchal  166"  weibcl. 

giattinér  343^   zanken. 

giatz  205''? 

ierr  161*=  irrtiini,  vgl.  Arch.  VII 
492  528. 

inaspir  231'=? 

iss,  der  -   150*  hculen,  weinen. 

Jet  za  =  eng.  Ietta,  auswahl  115% 
vgl.  Arch.  VII  533. 

liadzér  =  lagegicr  41''  lauern,  vgl. 
Arch.  VII  567. 

lucch  146'^  los,  lottcrig. 

malviertz  110*^,  viers  =  geheul. 

mlout  466"^  p.  p.  von  moie)'  nialen. 

7nocJi  122''  =  schwzd.  vìocke,  stiick, 
klunipen? 

ììiìiossa  473'^  bewegung. 

oblig  512%  verbaladj.  von  ohligiér. 

partscheivel  284*  niòglich. 

patacliiér  99''  befleckcn. 

^jet5,  metter  our  d'-,  159'^  auf  die 
scile  schaffen,  vgl.  Arch.  VII  542. 

puozza  374"=  stùtze. 

rappló  57"=  ninzelig. 

raseina  493''   streichholz. 

rldzaleint  439"=  schrcier. 

sfls//«T  224'=? 

saschun,  ciin-  95'  zur  rechlen  zeit. 


114 


Ulrich,  Annotazioni  alla  'Susanna'. 


sbirlcr  SSS**  schmeiszen. 

scrizzl  141"  unreinlichkeit. 

scurniglicr  211''  mit  dea  borncrn 
stoszen. 

seurzér  122»  scliurzen. 

s-chiasér  344",  trennen?,  vgl.  der 
forni  nach,  it.  scasare. 

s-chiertz  115",  s-chiears  152»,  spàr- 
lich,  wenig,  sehlecht. 

sdesclmdzius  493'^  jiimmerlich, 
schmaclivoll. 

sdiesch  130*  374''  verachtung,  un- 
gebiihr. 

sdrapper  111°  zerreiszen. 

sfio  102''  115''  treulos? 

sguardin  43''  unordnuug,  vgl.  Ar- 
chivio I  61. 

sgiout  98''? 

snaridziér  473''  zum  narren  halten. 

srang  22 1«  (sra)ig)  schranke. 

starschinér  400»  quàlen. 

starsching  399»  qual. 

stip  42"  schwùl. 

stosch  222»  stosz. 


strunchier  71''  vcrsturameln. 

.90?»,  o?<r  a  -  148''  ganz  drauszeu. 

surasen,  fer  -  80''  (ibersicht  halten, 

schinadziér  479»  schoneu,  vgl.  Ar- 
chivio VII  497  n. 

schurér  138'^  verduften,  sich  davon 
machen,  vgl.  Arch.  I  328  854,  Muss. 
beitr.  108. 

travsclier  137''  unigang  haben. 

tildi  108'=  berùiirt,  verbaladj.  za  tii- 
cliiér. 

turschér  261"=  trùbeu,  vgl.  Arch. 
VII  582  n. 

iscJiarplus  57''  triefend. 

tscliunc  206''  abgeschlagen,  verba- 
ladj. za  tscliunchiér. 

vearcla  234''  ausflucht,  *ciivercla  = 
coopercula. 

veissas,  à  -  211»  mit  miihe,  cf.  vess; 
Arch.  VII  601. 

voi  102''. 

vsein  167»  grusz  (=Deus  vos  si- 
gnet?). 

vungia  379''  ekel. 


VII.  Grammatische  Berne rk un g.  Zu  antretz  intravi  249»,  allem 
Perfect  (Arch.  VII  473),  vergi.  Bifrun  Marc.  8,  19  arumpich  fregi;  untereng. 
und  nidwald.  Beispiele  bei  Asc.  a.  a.  0. 


L'ANTICO  DIALETTO  DI  VEGLIA. 


^..    I  ^  E. 


Sommario:  —  I.  Cenno  preliminare.  —  II.  Raccolte  del  Cubich.  —  III-V. 
Raccolte  del  Petris,  dell'  Adelmann  e  del  Celebrini.  —  VI.  Raccolte 
mie  proprie.  —  VII.  Spoglio  fonetico.  —  Vili.  'Varia'. 


I.  In  questo  medesimo  Archivio,  l  435-446  n,  il  prof.  Ascoli  ha  par- 
lato «d'un  dialetto  'morente'  dell'isola  di  Veglia»,  richiamando  per  il 
primo  sopra  di  esso  l'attenzione  dei  dotti.  Il  lavoro  presente,  che  muove 
dalle  indagini  preziose,  istituite  dal  Maestro,  si  propone  di  portare,  col  sus- 
sidio di  materiali  nuovamente  raccolti,  qualche  ulteriore  conferma  alle  re- 
sultanze  ch'eran  da  lui  presagite. 

Per  'veglioto',  o  'antico  dialetto  di  Veglia',  s'intende  il  dialetto  che  mi 
giorno  era  proprio  della  città  di  Veglia  e  contado,  e  spiccatamente  si  di- 
stingue da  quella  varietà  di  rumeno  la  quale  si  parlava  a  Poìjica  (Poglizza) 
e  a  JDobasnica  (Dobasnizza),  contrade  della  stessa  isola  di  Veglia,  e  sempre 
ancora  si  parla  in  Val  d'Arsa  nell' Istria  ^  Sono  però  ben  intime  le  atte- 
nenze che  corrono  tra  il  veglialo  e  codesta  parlata  rumena. 

Il  primo  a  dar  dei  saggi  del  vegliato  fu  il  dottore  Giambattista  CcBicn, 
che  a  Veglia  ebbe  a  passare  molti  anni  della  sua  vita.  Li  pubblicava  egli 
nel  giornale  L' Istriano,  num.  13,  14,  16,  17,  dell'  anno  1861,  e  nelle  No- 
tizie naturali  ecc.,  già  qui  in  nota  citate.  Altri  saggi  furon  poi  raccolti  da 
me,  che  in  varie  escursioni  a  Veglia  venivo  cercando  nuove  fonti,  orali  o 
scritte,  di  questo  prezioso  parlare. 


'  Di  questa  varietà  rumena,  in  quanto  si  parlava  nelle  dette  due  contrade 
dell'isola  di  Veglia,  ho  io  dato  qualche  sagginolo  nella  Romania  IX  32G  sg. 
Sopravvive  ancora  1'  Orazion  Dominicale,  riferita  dal  Cubich,  nel  giornal 
L'Istriano,  num.  16  del  1861,  e  nelle  Notizie  naturali  e  storiche  sull'isola 
di  Veglia,  Trieste  1874,  p.  118.  Cfr.  Asc.  Studj  crit.,  I  SO  =  328.  —  E  vedine 
ancora  al  §  VIII  del  presente  lavoro. 


Ii6  Ivo, 

Le  mie  iiidai^iui  cnui  coronate  da  buon  successo,  secondo  che  ora  io  de- 
scriverò. Quanto  a  fonti  orali,  oltre  a  qualche  sagginolo  modesto  e  talora 
non  abbastanza  sicuro,  che  potei  raccogliere  qua  e  colà,  una  di  assai  abon- 
daute  me  n'era  schiusa  in  Antonio  Udina,  detto  Burbur,  d'anni  59,  l'ultimo, 
se  cosi  ò  lecito  esprimersi ,  di  una  generazione  ormai  spenta,  V  ultimo  dei 
Vcglioti.  L'  Udina  mi  raccontava,  come  da  fanciullo  sentisse  i  proprj  geni- 
tori usar  di  quella  parlata  singoiare,  che  egli  chiamava  veclisùn,  quasi  di 
una  lingua  sussidiaria  al  veneto,  che,  più  o  meno  puro,  fu  per  lo  addietro, 
come  è  oggidì,  il  parlare  di  tutto  il  paese.  Serviva  il  vecUsiin  ai  genitori 
dell'Udina  come  di  linguaggio  secreto,  ^jer  non  farsi  intendere  (egli  diceva) 
dai  filinoli.  A  forza  di  attenzione  e  di  pazienza,  egli  era  riuscito  a  ren- 
derselo famigliare  e  stava  ora  pronto  a  mettermi  a  parte  del  tesoro  dei  suoi 
ricordi.  Devo  a  lui,  e  qui  gliene  rendo  amplissime  grazie,  oltre  alla  curiosa 
sua  biografia,  anche  gli  altri  principali  saggi  che  più  innanzi  qui  oft'ro  tra 
le  raccolte  mie  proprie.  Allato  al  nome  suo,  mi  sia  però  lecito  ricordare 
pur  quello  di  altri  due  più  modesti  miei  ausiliari  :  Antonio  Yassìlich  fu  Fran- 
cesco, d'anni  79,  e  Antonio  Rimbaldo  fu  Giovanni,  d'anni  69,  pescatori,  più 
sicuro  nelle  sue  riminiscenze  il  secondo,  che  non  fosse  il  primo. 

Passando  alle  fonti  scritte,  qui  tengono  il  primo  luogo  le  raccolte  del 
dott.  Gubich.  Un  fortunato  accidente  jui  fece  capitare  tra  mani  e  il  ms.  di 
quella  porzione  che  il  Gubich  aveva  pubblicato,  e  insieme  quello  delle  raccolte 
da  lai  posteriormente  istituite  e  ancora  inedite.  Del  primo  mi  son  valso  per 
collazionare  quanto  c'era  d'edito,  e  questa  parte  ora  così  ricompare,  riveduta 
sull'originale.  La  porzione  inedita  la  stampo  pur  tutta  (II),  con  piena  fedeltà, 
coordinandola,  nel  vocabolarietto,  con  l'altra,  ma  sempre  distinguendo  le  due 
diverse  parti  con  carattere  diverso,  che  è  il  corsivo  per  le  cose  inedite  e  il 
tondo  spazicgrjiato  per  le  edite. 

Alle  raccolte  del  Gubich  s'aggiunsero:  alcuni  brevi  saggi  fornitimi  dal 
canonico  Pietro  Petris  (III);  un  elenco  di  voci  'schiettamente  vegliote' 
che  m'era  favorito  dal  sign.  Antonio  Adeljiann  (IV),  e  uno  di  nomi  locali, 
che  mons.  Mattia  Gelebrixi  (V),  ora  decano  di  Veglia,  ha  avuto  la  bontà 
di  spigolare  per  me  da  un  libro  catastale,  incomincialo  il  19  settembre  1677. 

Quanto  alla  trascrizione,  nulla  dovevo  io  naturalmente  alterare  nelle  rac- 
colte altrui.  Per  quelle  che  direttamente  a  me  provengono  da  fonti  orali,  ho 
adottato  un  modo  di  trascrivere,  che,  pur  riuscendo  nella  sostanza  secondo 
le  norme  generali  ù.q\V Archivio ^  si  conciliasse  il  più  possibile  con  quello  delle 
fonti  scritte. 

Del  metodo,  finalmente,  che  ho  seguito  nello  spor/lio  fonetico,  tocco  a  suo 
luogo  (VII);  e  qui  più  non  mi  rimane  se  non  di  tributare  particolari  rin- 
graziamenti ai  signori  Marcantonio  Tmpastari  e  Adolfo  Pacifico  Della  Zoxca, 
Che  si  compiacquero  di  ajutarmi,  con  viva  cortesia,  nella  non  facile  impresa 
della  raccolta  di  questi  cimclj. 

A.  L 


Il  dial.  vedioto:  Raccolte  del  Gubich. 


Ili 


II.  Raccolte  del  Cubicii. 


a.  Vocabolario. 


a  lics  vicino. 

a  la  luórga  alla  larga,  lontano. 

acàid  aceto. 

advidnt,  el,  l'avvento. 

agóst  agosto. 

alai  te  f.  pi.,  budella. 

altra  m  i  a  n  t  e  altri men ti 

altùr  altare. 

alzudrse  alzarsi. 

alzfir  còle  ixilàiire^  leggere. 

amàur  amore. 

amudr  amare. 

ancésene  incudine. 

andiìar  andare. 

ancluàr  sòis  per  el  plóiv  in  sóis 
salire,  lett.  '  andare  su  per  il 
piovere  in  su  '. 

anidl  anello. 

anincs  innanti. 

ajjidr  aprér  aprire. 

aprdil  aprile. 

ardàre  ardere. 

ària  aria. 

arzidnt  argento. 

ascdun  chiodo. 

as-cidnts  assenzio. 

ascóndro  ascondere. 

avaràus  avaro. 


aura  ora. 
bacco  cavalletta. 
halluàr  ballare. 
har  bere. 

barbussi,  el,  mascella. 
basfoìutdrmese  bastonare. 
batdr  bàter  battere. 
bdud  voce. 
beccaréja  beccheria. 
becliir  beccajo. 
bescudr  beccare, 
biss,  pi.  hiss,  bacio. 
bisudgn  bisogno. 

blàire,  volere,  blàja  vo- 
leva, blàite  volete;  blare  vo- 
lere, che  bìiàj  che  voglio,  se  te 
bude  se  tu  vuoi. 

blasmur  blasmudre  bestem- 
miare. 

bondudnza  abondanza. 

basca  bugia. 

boss,  el,  coscia. 

botdun  bottone. 

brdhia  briglia. 

braz,  pi.  i  braz,  braccio. 

buàì'ba,  el,  zio. 

budrca  barca. 

budsc  bosco. 


118  Ivo 

biiàssa  boccia. 
bìu'a  bora. 
buso  buco,  caverna. 
caddi'  cadere. 
cadriàl  quadriàl  mattone, 
e  a  i  p  t  a  r  e    guardare,    càipta 
guarda;  v.  caup-. 
càira  cera, 
cai  f.,  calle. 
calcàin  calcagno. 
caldira  caldaja. 
caliyhlr  calzolajo. 
calzéte  calzoni. 
camdin  camino. 
camdissa  camicia. 
cdmha  cantina. 
camisót  gonnella. 
campandid  campanile, 
cami'istre  catene  del  focolajo. 
canàissa  cinigia, 
canapiàl  fune. 
cand  quando  quando. 
canidstro  canestro. 
cantudr  cantare. 
cdnuDO  canape. 
caplzzola  cappa  di  mare. 
caprdina  capra, 
carbàun  carbone. 
carcstéja  caristia. 
carnassudl  carnasciale. 
carnóid  vipera, 
carviale  f.  pi.,  cervella, 
castial,  \A.i castiàl,  castello. 
caldina  catena, 
catriéda  sedia. 


catudr  cafór  trovare. 

cafrdm  catrame. 

cauc  qui,  qua. 

(iauda  coda. 

caiiptòte  guardate;  v.  caip-. 

céja  f.  sng.,  ciglio. 

cem/'fiér  cimitero. 

certàin  certuni 

certjóin  certuno. 

cJienur  cenare. 

chiamiidr  chiamare. 

eIndro  chiaro. 

cJu'ól  culo. 

ciàirt  certo. 

eie  n  e  cinque. 

etneo  cimice. 

ciócs,  pi.  i  cióes,  cittadino. 

clóne  cinque. 

ciónco  quindici. 

cionquànta  cinquanta. 

clstlénia  cisterna. 

coJHOììdìri  burla. 

col  quello,  col  te  ddls,  cosa 
ti  dice. 

comandiidr  comandare. 

conilo  gomito. 

comparére  comparire. 

compertlànde  da  mal,  proteg- 
gere. 

compudr  compare. 

con  conno. 

contrudt  contratto. 

conzudrme  condire. 

còpia  cappello. 

coprér  coprire. 


Il  dial,  veglioto: 

corésma  quaresima. 
corsalo  corsetto. 
cóssa  pialla. 
cossér  cucire, 
e  est  questo, 
cràsero  crescere. 
cratóire  creature, 
crédro  credito, 
criss,  pi.  i  cn'ss,  ciliegio, 
cróit  crudo. 
cuàdì'o  quadro. 
cuóntra  contro. 
cttcidina  cucina. 
cicero  cuocere. 
cùma  comare.    - 
cumprudr  comperare. 
cuómp  campo, 
cuón  caini,  cane  -i. 
CHÓj)  capo. 

ciiómacHotta,  carne  cotta,  les- 
sa, cuómo  carne. 
cuórta  carta. 
dir  cuore, 
da  càuc,  di  qua. 
da  dì'l  da  dietro. 
da  lich  davanti. 
da  Ucs  lontano. 
da  Ime  di  là. 
dapù  dopo. 
dai  di. 
Dal  Dio. 
dàmno  danno, 
de  pie,  troppo, 
de  bèta  f.  sng.,  debito, 
decedere  la  càusa,  decidere. 


Raccolte  del  Cabich.  119 

defenddr  difendersi. 

depentduy  dipintore. 

depiàndro  dipingere. 

depidndrete  dipingerti. 

desmùn  m.  e  f.,  dimane. 

desóì'den  disordine. 

despondr  disporre. 

desprezidja  disprezzare. 

détco,  pi.  ddcli,  dito. 

dezùn  digiuno. 

diànt,  pi.  didncs,  dente. 

didul  diavolo. 

die  dieci. 

dichisdpto  diciassette. 

dichiddpfo  diciotto. 

dichiné  diciannove. 

distengudja  distinguere. 

dói  due. 

dolc  dolce 

dormér  dormire. 

dótco  dodici. 

dramudre  macellare,  dramudt 
macellato,  ammazzato. 

drànte  dentro. 

dui  duole. 

duói  doiòi ,  diiónne  ,  dare  , 
duót  dato. 

duóteme  datemi. 

dupllr  doppiere. 

el  il. 

entruanne  entnidr  entrare. 

espojàrmese  spogliare. 

faddiglie  faticbe. 

fàica,  la,  fico. 

fàid  fede. 


120 

falla  fila. 
fàin  fine. 
fastdide  fastidio. 
fdvro  fabbro. 
féssa  fascia. 
fassiU  fagiuolo. 
fanldr  favellare. 
febniàì'  febbrajo. 
fecudt  fegato, 
féil  figlio. 
fidr  ferro. 

fi  asta  (coli.)  festa,  qualsias 
passatempo. 
jìcliiéra  l'albero  del  fico. 
fièri  fieno, 
flóim  fiume. 
fòlss  fuso. 
fond  fondo. 
fonddcce  f.  pi.,  feccia. 
fórno  forno. 
fosc  nero. 

fahricudr  fabbricare, 
fruatru  fratello. 
fuàja  foglia. 
fuàrfa  f.  sng.,  forbici. 
fuòrma  forma. 
faòrme  faremo, 
fu  re  fuori. 
fusdina  fucina, 
ganére? 
gaudàre  godere. 
gdula  gola. 
generàus  generoso. 
genir  gendro  gennajo. 
glas  ghiaccio. 


Ive, 


gola  US   goloso. 

gótta  goccia. 

(jì'dbla,  la,  rastrello. 

grass  grasso,  sego. 

gril  grillo. 

grun  grano. 

fjuadagmidre  guadagnare. 

guadàigìi  guadagno. 

impendr  implére,  empire. 

imperafdur  imperatore. 

imprdndro  el  fuc  accendere 
fuoco. 

ì)i  collant  sdite,  odiare,  lett. 
'essere  in  collera'. 

incidnts  incenso. 

inciodudr  inchiodare. 

infidnio  inferno. 

ingannar  ingannare. 

ingkidstro  inchiostro. 

intràrghe  co  i  che  te  hlaj,  sce- 
gliere quello  che  vuoi. 

isiidrse  istruire. 

istdlla  stalla. 

jdcqiia  àqua,  acqua. 

jàrba  (coli.)  erba,  fieno. 

jdsca  tavola. 

jduca  oca. 

jdiir,  el,  oro. 

jaura,  la,  ora. 

jédma  settimana. 

jéin  anni. 

jól  uno. 

jóin  jóina,  uno  -a. 

jóiva  uva. 

jómnoyómm,  uomo  -ini. 


jónco  undici. 

jónda  del  muàr,  onda  del 
mare. 

jongàrine  ungere. 
jóngla  -e,  unghia  -e. 
jòrden  ordine. 
jost  giusto, 
juàc  f.,  ago. 

juàrbul  albero. 

]n],jalju,  egli,  gU. 

juIfrO;  jUtri,  Jultre,  altre  -i  -e. 

juncòra  ancora, 

jùnda  càuc,  vieni  qua. 

juòlb  bianco. 

jnv,  r,  uovo. 

juópa  ape. 

lac  lago. 

lacidrch  sgomberi. 

la  in  lino. 

lambéc  lambicco. 

lamentuàr  lamentarsi. 

lapuàr  lampeggiare. 

laudare  lodare. 

lavudr  lavare. 

lébra  lira. 

léhro  libro. 

lenziU  lenzuolo. 

UH  letto. 

lìyuàr  legare. 

lipro  lepre. 

lóin,  la,  lume. 

lóine  lunedì. 

lóur  loro. 

hi  lui. 

luàng  lungo. 


Il  dial.  veglioto:  Raccolte  del  Giibich. 

Imnga  lingua. 
Inànza  lancia. 
liiòc  là. 


121 


làgio  luglio. 

lumièra  luminaria. 
macnuàr  macinare. 

mail  miglio. 

nidiss  messo. 

mdisscc  tavola,   mensa. 

mani  nonno. 

manciùr    mangiare,    mandica 
mangia. 

ra  a  r  a  i  t  marito. 

marangàuìi  marangone. 

mardun  marrone. 

marcus  amaro. 

inaridnda  merenda. 

martidl  martello. 

mdssa  miidssa,  messa. 

massirco  sorgo. 

ìnat  metto,  mdis  misi. 

matrimuni  matrimonio. 

màur    màuro    -«,     maturo, 
grande. 

me  mi. 

médco  medico. 

medcuàr  medicare. 

medésem  medesimo. 

mejatóiva  urina;  cfr.  miùr. 

mei  mille. 

mesdira  miseria. 

tnescudr  mescolare. 

mcssHÓre  misurare. 

mezùl  bicchiere. 

mi,  me,  miei. 


122 

miniàstra  minestra. 
moie  martedì. 
missédìna  mercoledì, 
miùr    'mingere',    cfr.    mejt 
tóira. 

móffa  muffa. 

mah'  muro. 

moletuine  moUettine. 

moluàr  lasciare,  ven.  'molur 

monàita  moneta. 

moràus  amoroso. 

tnost  mosto. 

muànt  monte. 

muàrt  morte. 

onuàrz  marzo. 

mùi  mai. 

mul  male. 

m  ù  1  i  e  r  moglie. 

muón  mano. 

m  u  ó  s  t  r  0  maestro. 

micói  maggio. 

mùver  muovere. 

ìidi  neve. 

nascóit  nato. 

nàuri  lillà  ìiiidn,  non. 

ne  né. 

nencjóin  nessuno. 

néolo  nuvolo. 

nepàu t  nipote. 

ìiidr  nervo. 

ìiólia,  nója,  niente. 

nonuanta  novanta. 

novèmbre  novembre. 

nu  noi. 

nu  nove. 


Ive, 


una,  v.  nàan. 

n  u  a  s  t  r  0  nucister  nostro. 

mc'Jt  notte. 

71UÓS  naso. 

ohbedér  ubbidire. 

obligiiàrse  obbligare. 

occiài  occhiali. 

ócto  otto. 

octóhre  ottobre. 

octuanta  ottanta. 

offenddre  offendere,  no  me  of- 
fiàndro  non  mi  offendere. 

oléja  uliva. 

0  n  i'i  u  r  onore. 

orfjàin  aratro,  'organo'. 

imcùr  pagare,  te  imcuóra  ti 
P'gheió. 

Inaila  pila. 

pàina  penna. 

pàira  pera. 

Ijol-da  palletta. 

paradàis  paradiso. 

lìarturér  parto,  sost.  verb. 

passeràin  (coli.)  uccello. 

pasìiùr  jóin  juóì'bul,  piantare 
un  albero. 

pcdrinin  padrone. 

pàuc  poco. 

pàuper  povero. 

pécla  pece. 

yedòdo  pidocchio. 

péltro  peltro. 

imisuàrme  pensare. 

pentaur  pittore. 

l)entisu'drse  confessione. 


Il  dial. 

pépyo  pepe. 
peràun  forchetta, 
per  co  perchè, 
pernàica  peruice. 
jjesuàre  pesare. 
inàcno  pettine. 
2nàl  pelle. 
inàt  piatto. 
2nàrder  perdere. 
inch  {-e?)  piedi. 
2)tre  pecore, 
p  i  t  r  a  pietra. 
Ijlacàro  piacere. 
flanóira  pianura. 
liìant  pianto. 
plàssa  piazza. 
pie  più. 
2)lòlv  piovere, 
pìomb  piombo. 
pliiuja  pioggia. 
plmHena  scodella. 
pUickia  polmone. 
Ijlàìigre  piangere. 
I)óin  pugno. 
■polfrdim  poltrone. 
polluastro  pollastro. 
2)om  pomo, 
pò  pio  popolo. 
potare  potere,  point 
pranclàr  pranzare. 
premàre  premere,  te 
ti  preme. 

lirendàr  prendere. 
prezàim  prigione. 
imnsep  principe. 


vcglioto:  Raccolte  del  Culjich.  123 

puàrc,  pi.  puàrcs,  porco. 

imàrta  porta. 

Ionico  pulce. 

piUvro  polvere. 

puóscro  pascere. 

puósta  pasta. 

pùpola  polpaccio. 

purgatòri  purgatorio. 

pitta  potta. 

qualunque    jóin,    qualun- 
que. 

q  u  a  r  a  n  t  a  quaranta. 

quciter  quattro,  quattro. 

quattudrco  quattordici. 

racle  orecchie. 

rad  ài  e  a  radice. 

racuordàr  ricordarsi. 

ràid  rete. 

ràipa  riva. 

rampegàim  arpagone. 

ras  sa  un  ragione. 

ree  ricco. 

recidila  orecchino, 

rédre,  riso  e  ridere. 

regiàina  regina. 

re  ligia  un  religione. 

respuàndre  rispondere, 

restitnàrme  restituire, 
potuto.  riànder  conto  render  conto, 

rlngràdme  ringraziare. 
premjja  robuAr  rubare. 

r ostar  rostire,  co  rostàid?  che 
cosa  arrostite? 

rovàina  rovina. 

ruàm  rame. 


Ive, 


ruass  rosso. 

mòsse  rose,  ogni  sorta  di  fiori. 

sajéta  saetta. 

salhàuìi  sabbia. 

salili'  salare. 

saluta  salata. 

samhàun  saviezza,  savio. 

samlì'  somaro. 

sàmno  sonno. 

sante  contiànt ,  contentezza  , 
'esser  contento'. 

sapàun  sapone. 

sapàre  sapere. 

sàpto  sette. 

satudr  saltare. 

sdul  sole. 

schm  zampogna. 

sberlót  schiaffo. 

scàina  schiena. 

scalda  el  lidt,  scaldaletto. 

schiopét  schioppo. 

s-cióì'  f.  pi.,  'scuri',  imposte. 

scliiri)  scarpe. 

scluàv  de  tóich,  servo  di  tutti. 

scader  riscuotere. 

scoliro  scolaro  scolare. 

scomùter  scomettere ,  scome- 
tàirme  scometteremo. 

scomensìidr  cominciare. 

scótta  ricotta. 

scrlóra  scrivere. 

scuòle  scale. 

sculiéra  cucchiajo. 

sedarùl  fazzoletto. 

sèdia  secchia. 


séga  sega. 

sentemidnt  sentimento. 

sentóre  sentire. 

sentérme  colle  racle,  u- 
dire  colle  orecchie. 

sepoltóira  sepoltura. 

septuanta  settanta. 

sermiànt,  sermidìitu,  ser- 
mento. 

scruàr  chiudere. 

sessuànta  sessanta. 

sétco  sedici. 

setémbro  settembre. 

si  sei  (num.). 

sidla  sella. 

siàmpro  sempre. 

signmr  -a,  signore  -a. 

sóo  suo. 

sòglo  collo. 

soldildt  soldato. 

sonudr  sonare. 

sot  asciutto. 

spacudrme  spaccare. 

spdina  spina. 

spdisa  spesa. 

spartér  spartire. 

spidch,  el,  lo  specchio. 

spidnder  spendere ,  spiànf 
spende,  spanddi  spendéi. 

spidnza  milza. 

splóima  spuma. 

spóit  sputo. 

sposudr  (sost.  verb.)  sposalizio. 

sptidg  spago. 

spiidla  spalla. 


Il  dial.  vegliolo: 

spudta  spada. 

squadrhàr  squartare. 

stàign  stagno. 

stassdun  bottega. 

statàira  stadera. 

stàura  stuoja. 

stentuàr  stentare,  lavorare. 

stlcll  stivali. 

stopàiìi  stoppino. 

stopdir  stupire. 

stuàfa  staffa. 

studrme  stare. 

studiiwe  'studiare',  affrettarsi. 

stKÓpa  stoppa. 

stiitudrme  el  fuc,  spegnere  il 
fuoco. 

sudi  sale. 

sudng  sangue. 

siihatu  sabato. 

sùbito  subito. 

suòldr  zuffolare. 

suhlót  zuffolo. 

sìirco  sorcio. 

sussdne  susino. 

tacàre  tacere,  imperat.  tics 
taci. 

fq/Hf,  tajitàrme,  tagliare. 

tate  mammelle. 

tditn  tonno. 

faviàrna  taverna. 

temindsta  tempesta. 

iendja  tenaglia. 

tendre  tenere. 

tervldla  trivello. 

tidmi)  tempo. 


Raccolte  del  CuLich.  125 

tidta  zia. 
tiérch  tardi, 
to  tuo. 
tocs  tutti. 
fotiìh'o  tonare. 

se  fonnentiidrme   tormentare. 
tornudr  tornare. 
tos  tosse, 
tra  tre. 

traviérsa  grembiule,  vec.  'tra- 
vèrsa'. 

trécico  tredici, 
triànta   trenta. 
tì'oc  -a,  ragazzo  -a. 
tnub'  gettare,  trich  gitta. 
tu  al  tale. 
tuóta  padre, 
uàclo  -i,  occhio  -i. 
uà  il  tiàl,  olio. 
ultra  oltre. 
iiófto  otto. 
vdida  vite. 
vaila  vela. 
vdin  vino, 
vàina  vena. 
I       vàita  vita. 
vai  valle. 

va  levudr,  va  prendere. 
valdro  valere. 
vdnder  vendere, 
vencs  venti  (num.). 
venchjóin  ventuno. 
venchidój  ventidue. 
venero  venire,  vendjo  vengo, 
vestemiànt  vestimento. 


126  Ive, 

vestér^  .se,  vestire, 
vet,  el,  biadfi. 
viànt  vento. 

vidntì'O  {mcduT)  pancia,  ventre. 
viard  verde. 
viàrm  verme. 
vicidiìi  cugino. 
Vida  città. 
villa  villaggio. 
v'indre  venerdì. 
vóita  sentinella. 


VU    VOI. 

vuàstro  vuàster  vostro. 

zdime  andare,  zdime  a  spassa 
andare  a  passeggio,  zdime  in 
sóte  scendere. 

zérme  andare  (gire). 

ziànt  gente. 

zocudr  giocare. 

zùa  giovedì. 

zùgno  giugno. 


avàr  avere.  -  ju  jài  io  ho,  te  jii  tu  hai,  jal  jàit  egli  ha^ 
nu  jiltri  jàime  noi  abbiamo,  vo  jàite  voi  avete,  j-àju  lora 
hanno;  jàime  l'avóit  (lo?)  abbiamo  avuto;  jù  l'avara  io 
l'avrò. 

sàite  essere.-  ju  sài  io  sono,  te  sante  tu  sei,  jal  sant 
egli  è,  nu  jiltri  sàime,  vu  sàite  voi  siete,  jài  sant  loro 
sono;  ju  ga  fóit  io  sono  stato;  ju  fera  io  sarò. 


h.  Nomi  locali  *. 

Avàinch  Verbenico,  Basalchiàla  (Bassalciàla  ad.),  Basca  Bésca, 
Baziil,  Boìi  de  la  Pitra,  Bon  de  Negrità  Bottezzine,  Brusca!,  Can- 
zolài  (Calzolàit  gel.,  ad.),  Camhòn,  Ccmàit,  Cancul  (Cancóul  ad., 
Canchùl  gel.),  Cccrtéz,  Cassión,  Castelmiisclo,  Checheràine ,  Co- 
coréccie,  Dobrin,  Dróscolo,  Fontagndne  (Fontagnàle  ad.),  Gherbezàin 
(Gherbezàit  ad.),  Gherbine  (Garbine  gel.,  ad.),  Golubdz,  Gramazùl, 
lariagùl,  Lac  de  mur,  Lac  de  la  Pissàica,  Lac  Martin,  Lónghe 
(Luànghe  ad.),  Loquetàine,  Lènta,   Macarón,  Magnakis,  Mando- 


*  Sono  aggiunte,  ira  parentesi,  le  varianti  che  ho  potuto  desumere  dalle 
raccolte  Celebrini  e  Adeliuanu. 


Il  dial.  veglioto:  Raccolte  del  Ciibich.  127 

liéra,  Manganèllo,  Monchidl  (Monciàl  ad.),  Nerezine,  Orlachét,  Pa- 
radàis,  Plzzigó  (Pizzigóle  ad.),  PizziU,  Polltin,  Pomibo,  Pòrto  Imne, 
Pi'mta  Negrito,  Rabazàl  (Rabezài  gel.  ,  Rabassài  ad.)  ,  Radagàra 
(Redagàra  gel.,  ad.),  Remàur,  Sadóre,  Sansài,  Saracàit,  Torcine 
(Turchine  gel.),  Tórcolo,  Tràina,  Val  Bisca,  Val  de  CopHa,  Vcd 
de  dèca,  Val  de  Mordi  (Valdemóur  ad.),  Val  de  son,  Val  de  vàit, 
VaMnta,   Vignale,  Zàine  (Zàini  ad.). 


e.  Testi. 


El  anduàr  fo  bun  en  pàuc;  sàint  (sàin)  tot  strac. 
Il  camminare  un  poco  fa  bene  ;  sono  tutto  stracco. 

Me  ferrauàr  (fermuóra)  a  càuc  jóin  momiànt.  Mi  fer- 
merò qui  un  momento. 

Potàite  zer   anincs,  se  blàite.   Potete  andar   avanti,  se    5 
volete. 

En  cai  basàlca  (bassàlca)  zérme?  In  qual  chiesa  andremo? 

Va  siàmpre  (siàmpro)  drat  per  non  fallar  la  cai.  Va 
sempre  dritto  per  non  fallare  la  strada. 

Fenalmiant  jàime  arivuat.  Finalmente  siamo  giunti.  10 

Blàji  (òlàjo)  lane  de  boss.  Voglio  legna  di  quercia. 

Dàiteme  lane  [e  lana;  ms.  :  lane]  debuàrca  vetruó- 
na,  que  ciimpra  i  pàuper.  Datemi  legna  di  barca  vecchia,  che 
comperano  i  poveri. 

Blàj  me  scùtro   jóin  diant.  Voglio  levarmi  un  dente.         15 

Blàj  dormér  tota  la  desmùn.  Voglio  dormire  tutta  la 
mattina. 

Decàite  al  mi  jómno,  que  me  venàja  destruàr  a 
bon  aura.  Dite  al  mio  uomo  che  mi  venga  a  svegliare  a  buon'ora. 

No  jài  potàit  dormér,  que  jéra  el  liàt  mal  fat.  Non  20 
ho  potuto  dormire,  perchè  il  letto  era  mal  fatto. 

Sant  crepuàta  la  peslatória.  È  rotta  la  serratura. 


*  Le  varianti  del  ms.  son  fra  parentesi. 


128  Ivc, 

Metàrme  jóin  carassuun  en  téla  puarta.  Metteremo 
un  catenaccio  nella  porta. 

La  cuórne,   que  se  manàica,  sant  gbelaùta  {fjheluàta).  25 
La  carne,  che  si  mangia,  è  fredda. 

La  jàrba  sóint  {sant)  moiciàrno.    La  erba  è  bagnata. 

El  cuón  blàja  me  moscuàr,  Il  cane  voleva  mordermi. 

El  priénz  sant  en  màissa:  saime  prandàr.  Il  pranzo 
è  in  tavola,  andiamo  a  pranzare.  oq 

Domuànda  cont  que  te  bùie.  Domanda  quanto  vuoi. 

Co  facassàite  in  viàssa  maja?  Che  fareste  in  vece  mia? 

El  tiamp  se  moitùro.  Il  tempo  si  cangierà. 

Infloràja  i  juàrbul.  Fioriscono  gli  alberi.  , 

La  sudàur  pézla  dal  fruant.  Il  sudore  goccia  dalla  fronte.  35 

Nàun  fero  da  baila.  Non  sarà  assai. 

Sai  resolùto  a  stuàr  néla  vicla  l'inviamo.  Sono  so- 
lito (?)  di  star  l'inverno  in  città. 

Dàime  {dame)  el  sedariil,  quel  el  sant  en  scarsella 
nùva.  Dammi  il  fazzoletto,  che  è  nella  saccoccia  nuova.  40 

Capta,   que  el  fièro  en  tiara.  Guarda  che  sarà  in  terra. 

El  jéra  spuàrc  e  fosc.  Egli  era  sporco  e  nero. 

Nàun  sant  {è)  tiàmp  de  stuàr  en  liàt;  jùlzete;  no  te 
siànte  que  tonàja  e  fulminàja?  Non  è  tempo  da  stare  a 
letto;  alzati;  [non  senti]  che  tuona  e  fulmina?  45 

Sta  nuàt  el  fóit  en  màur  gheluàt,  que  tòta  la  jà- 
cqua  jói  glazàit.  Questa  notte  fece  un  gran  freddo  che  tutta 
l'acqua  s'è  (ha?)  ghiacciata. 

Mi  credàja   che   te   sante  muàrt,   tot  tiàmp  que  no 
te  à  ve  dai  t.    Io    credevo   che   fossi  morto,   tutto  il  tempo  che  5) 
non  t'ho  veduto. 

La  cai  sant  segàura  de  dai  e  de  nuàt;  nàun  se 
siànt  no  de  làder  {ladre)  ne  sassàin.  La  strada  è  sicura  di 
giorno  e  di  notte;  non  si  sente  né  di  ladri  né  di  assassini. 

Da    pessùnt   quo    te    catàure    {catuàre)    la    cai    en    tei  •''^ 
dermùu.  Difficile  troverai  la  strada  nel  bosco. 

làime  de  vàin  vetrùn,  juàlb,  fosc,  ruàss,  dolc,  garb. 
Abbiamo  vino  vecchio,  bianco,  nero,  rosso,  dolce,  garbo. 

làmna  raàja,  jùnda  càuc.  Anima  mia,  vieni  qui. 


Il  dial.  veglioto:  Raccolte  del  Cubich.  129 

Jùnda  con  màic;  sàime  vedàr  co  que  i  fói  i  nuàstri.  eu 
Vieni  con  me;  andiamo  a  vedere  cosa  fanno  i  nostri. 

Jére  jài  sàit  tiércs  dormér.  Ieri  sono  andato  tardi  a  dor- 
mire. 

E  per  cost  ne  jài  potàit  alzùr  se  nincs.  E  per  questo 
non  ho  potuto  alzarmi  prima.  65 

Dapù  la  càina  co  i  jù  (y/)  fait  (fiiàt)'?  Dopo  la  cena  cosa 
hai  fatto? 

Jàime  se  piàrs  in  palàure;  jàime  faulàt  de  nuàstri 
affuàr.  Ci  siamo  (abbiamo)  perduti  in  parole;  abbiamo  parlato 
dei  nostri  affari.  70 

Jóina  mùlier  màura.  Una  donna  grande. 

El  féil  pie  màuro.  Il  figlio  maggiore. 

El  grun  sant  màur.  II  grano  è  maturo. 

Che  jò  lo  màis  pur  médco.  Che  io  lo  misi  per  medico. 

Che  jó  spandài  drénte.  Che  io  spendei  dentro.  75 

Che  miniàstra  blàite?  Che  minestra  volete? 

Ciiànt  blàite  de  salàrio?  Quanto  volete  di  salario? 

Duóteme  de  rize.  Datemi  dei  risi. 

Domuànda  cent  che  te  bóle.  Domanda  quanto  che  tu  vuoi. 

Duórte  el  cup  en  tei  móir.  Dare  il  capo  nel  muro.  sa 

El  cil  sant  tot  copiàrt.  Il  cielo  è  tutto  coperto. 

El  tiàmp  que  sant  pesàint  a  la  vàita.  Il  tempo  è  pesante  alla 
vita. 

El  tiàmp  se  desponàja  a  la  pluvàja.  Il  tempo  si  dispone  alla 
pioggia.  85 

El  viànt  caluóro.  Il  vento  calerà. 

Fói  la  Ulna  fiàa.  Fa  la  luna  nuova. 

Insiàra  el  balcàun;  Vària  que  passa  per  le  s-ciopatóire  sant  pe- 
ricolàussa  da  baila.  Chiudi  la  finestra;  l'aria  che  passa  per  le 
fessure  è  pericolosa  assai.  90 

Jài  bisuàgn  d'ima  còpia.  Ho  bisogno  d'un  cappello. 

Jài  stuàt  en  pàuc  al  fuc  e  blàja  zer  a  cuóssa.  |Sono  stato  un 
po'  al  fuoco  e  voglio  (o  voleva?)  andar  a  casa. 

Javàime  avòit  vài  desmùn  jóina  màura  bressàina.  Abbiamo  avuto 
questa  mattina  una  grande  brina.  95 

Jàime  la  lòina  plàina.  Abbiamo  la  luna  piena. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  9 


130  Ive, 

L'aria  de  niiàt  no  stài  bun.  L'aria  di  notte  non  sta  bene. 

La  lòina  vói  calànd.  La  luna  va  calando. 

La  pluvàja  jòit  duót  la  póulver.  La  pioggia  ha  bagnato  la  pol- 
vere. 100 

Le  stalle  que  le  lòie.  Le  stelle  che  (le)  brillano. 

Non  fuor  ne  cuóld  ne  gheluàt.  Non  fare  né  caldo  né  freddo. 

Non  m' intréguo  in  cóist  affuór  ;  non  vói  sapàr  de  nólia.  Non 
m' immischio  in  questo  affare  ;  non  voglio  saper  di  nulla. 

Sài  {sàin)  jóit  (jóint)  fénta  le  uàsse.  Sono  bagnato  fino  alle  ossa.  105 

Saline  al  préin  cuórt.  Siamo  al  primo  quarto. 

Sàinie  en  tei  cur  de  la  instiiàt.  Siamo  nel  cuore  della  state. 

Ve  sài  ohliguàt.  Vi  sono  obbligato. 

Vis  a  còsa  {ciióssa)  màja,  catór  le  màj  cratóire.  Vo  a  casa 
mia  (a)  trovar  le  mie  creature.  110 

Zàime  copuàr  en  végna.  Andiamo  (a)  lavorare  in  vigna. 

Zàime  a  spuàss  a  Puànt.  Andiamo  a  passeggio  a  Ponte. 


In  ciély  Signàur  mi,  i  liàt  mi  cóissa  in  gràja  màja,  se  mi  catéte 
véi.  Ve  recumàn  la  jàmna  màja.  Sèi  mónda  me  la  jàite  duót,  sèi 
mónda  ve  la  putàt  restituàr.  Amen,  Seignàur.  —  In  cielo,  signore  115 
mio,  in  letto  mio  come  in  sepoltura  mia,  se  mi  trovate  vivo.  Vi 
raccomando  l'anima  mia.  Sì  pura  me  l'avete  data,  così  pura  ve 
la  potete  restituire.  Così  sia,  Signore. 

3. 

In  cast  munchiàl,  che  fói  éna  bassalciàla,  missa  copiarla  e  missa 
discopiàrta,  chi  jéra  drànte  la  nièna  di   Dio;  a  denócli  nóide  la  120 
priegua  Dio. 

Chi  u  passuàt  da  liióc  (?)...   el  su  fuiél  santàusso;  —  «  On 
niéna  màja,  còrno  fòite  chiàicu  ?»  — 

—  «  0  féil  mèi,  ne  duàrmu  ne  vegliàju,  che  sólo  de  vói  na  ràja 


*  Di  questo   saggio   e   del  seguente  ebbi  io   stesso  altra  lezione,  che  più 
innanzi  riproduco. 


Il  dial.  veglioto:  Raccolte  del  Petris.  131 

revisión  che  (de  ?)  vói  jà  fato.  Chi  quini  de  Jodéi  che  vi  ju  pràisso,  125 
i  vi  minéa  da  Ru  e  da  Pilato,  e  da  Pilato   féina   li   colàune,  a 
làin  de  Sunta  Cràuc  (e  luóc  ?)  chi  v'  inchiodila.  E  -la  vàstra  senta 
baca  da  bar  la  vi  dimandùa,  col  fiél  e  col  acàid  ve  la  intoscn'ia. 


(Frammento.)  Cóissa  se  le  mat  tot  a  cónto  co  l'ai  spiànt  in  tei 
giardin  le  spàise;  e  sei  computa  a  tot  che  se  spiànt  drénte  de  iso 
Mlenoriéra,  i  ómni  i  gnidi,  e  s'el  vién  fura  còlle  spàise  (drant  in 
col  jardin)  ....  Così  se  le  mette  tutte  a  conto  (ciò)  che  egli 
spende  (?)  nel  giardino  le  spese;  e  se  lo  computa  a  tutto  (ciò) 
che  si  spende  dentro  di  Mlenoriéra  gli  uomini,  gli  agnelli  ;  e  s'egli 
viene  fuori  colle  -spese  (dentro  in  quel  giardino)  ....  135 


.  Raccolta  del  Petris  *. 


a. 


agniàl  agnello. 

arùr  arare. 

balcàun  balcone. 

bu  bue. 

cai  strada,  via. 

càvul  cavolo. 

cuórne  carne. 

cuósa  casa. 

fazMji  fagiuoli. 

formentàun  frumentone. 

fràtre  fratello. 


grun  grano,  frumento. 

kis  cacio. 

lavoratàur  lavoratore. 

màigl  miglio. 

màuro  -i,  grande  -i. 

niàpta  nipote. 

niéna  madre. 

yàre  padre. 

pask  pesce. 

pélo  -i,  piccolo  -i. 

pira  pecora. 


*  Mous.  Petris  mi  riferiva  di  aver  raccolto  questi  saggi  dalla  viva  voce  di 
Francesca  Vassilich,  vedova  Marassich. 


132  Ive, 

puàrta  porta.  1  seder  falciare. 

IMÓn  pane.  seràur  sorella. 

sapùr  zappare.  |  nàrz  orzo. 

sarazàiìi  grano  saraceno.         |  vart  orto. 

sarg  sorgo.  |  vacca  vacca. 


Commìta  màja,  ve  domùnz  perdonànz;  vói  jàite  fàits  mal  a  me  e 
JH  mi  a  vói.  Cognata  mia,  vi  domando  perdono;  voi  m'avete  fatto 
male  ed  io  a  voi  no. 

Còsta  cuósa  sani  pie  Mala  de  cóla  jàltra.  Questa  casa  è  più 
bella  di  quell'altra.  no 

Scuntùte,  scìintute,  cumàre:  la  me  féja  min  manch'ir  e  mm  pis- 
si'ir  .  .  .  Co  hlàime  fur?  Sentite,  sentite,  comare:  la  mia  figlia 
non  mangiare,  non  pi-  . . .  Che  vogliam  fare? 

Tik,  samùr  d'Avàink.  Taci,  asino  da  Verbenico. 

Zàime  pri  jàqtia.  Andiamo  per  acqua.  145 


e. 


Suónta  niéna,   móna  Eloisa,  niéna,  avòita  plaghe  da  scuòla  (?), 
che  el  Signàur  il  mandàssa  jóina  màura  plovdja  *.  Santa  madre, 

madonna   Elisabetta,    madre ,    che    il    Signore  gli 

mandasse  una  grande  pioggia. 


*  IJue  altri  frammenti  del  Petris  sono  varianti  dei  due  testi  che  nel  ma- 
teriale del  Gubicli  portano  i  num.  2  e  3.  Le  più  importanti  differenze  sa- 
ranno annotate  alla  lezione  che  offro  come  udita  da  me  (Raccolte  mie  pro- 
prie: e.  1.  2;  p.  136). 


Il  dial.  vcglioto:  Raccolta  dell'  Adelmann. 


IV.  Raccolta  dell'ADELMANN. 


a. 


abastràin  sorta  d'uva  nera. 

biscaciól,  pi.  -iólj  bacca  del 
rosaio  selvativo. 

cacàcie  cavalcioni  (portar  a 
cacécie). 

camàrda  capanna. 

camhàlla  galla  del  rovere. 

camistro  tritume  di  paglia. 

cidàl  uovo  di  gallina,  ciottolo 
ovale. 

dermóne  -i,  bosco  -chi. 

drécno  uva  duracina. 

glàiha  -e,  gleba  -e. 

gòmbro  vomere. 

manzélla  manipolo  di  spiche. 

mazón  ovile. 

nàfo  nappo,  scodella  di  legno. 

nàid  nido. 


pezéniga  pezéghma,  lucertola. 

pezenighér  pezeghinér,  lucer- 
tolone. 

piciéta  sorta  d'uva. 

pignàlla  sorta  d'uva. 

pilli  strada  in  declivio. 

s-ciàla  erba  mangereccia  in 
genere. 

specola  specole,  pallottoline 
di  marmo  da  giuoco. 

stàhia  -e,  stoppia. 

S'ama  soma,  fascio  d'arbusti, 
viti  ecc. 

viàla  donnola. 

zuma  zumar,  fischiare  (detto 
di  pietra  lanciata,  di  vento  e  del 
fruscio  delle  vesti). 


b.  Nomi  locali*. 

Bozàite  (n.  di  bosco),  Bruscàit  (id.),  Castelliér,    Cornicia,  Drò- 
scio  **,  Ghérnof,  Moscatàour,  Posnùk,  Penta  Chiàz. 


*  Sono  riportati  quelli  solamente  che  non  figurano    nella   raccolta  del 
Cubieh.  Cosi  per  l'elenco  del  Celebrini. 
"'*  drosclo,  oltre  esser  nome  di  regione,  vale  'acero'  e  pur  'gianduia'. 


134 


Ivo, 


V.  Raccolta  del  Celebrini. 

Nomi  locali:  Alle  Zuéche,  Blodóbra  (?),  Bàbula,  Buchiél,  Ca- 
racorizza,  CarcanUla,  Cherzina,  Cherz  Sbiégovf^  Chiérnoga  Bénza, 
Chiérnoga  Stènta^  Chiublinca,  Chiurlin,  Chiana,  Comardizza,  Cràsa, 
Fmitére,  Gal  delle  mérque,  Gher  de  làchi,  Grdbbia,  Lila  màura, 
Lucacini,  Lucherini,  Merchocichéni,  Murlachét,  Plsàica,  Polina, 
Passe,  Bùnca,  Renzi,  Taliàn,  léne.  Turchine,  Vàros,  Zóli  dólci, 
Zumàngie. 


VI.  Raccolte  mie  proprie. 


a.  Singole  parole. 


agàiin  cheppia. 

àil  aglio. 

argùst  aragosta. 

bardilo  laveggio,  barattolo. 

barbami  grossa  triglia. 

bocuàla  f.,  boccale. 

bosàun  boccione. 

bransàin  branzino. 

bras  braccio. 

buàlp  volpe. 

buàt  botte. 

buca  bocca. 

cagnàis  pesce  cane. 

calamiér  calamajo. 

capàun  cappone. 

capuót  cappotto. 

cosubràina  vicina. 

cràid  -e,  credo  -e. 

cuàr  corre. 


cuarp  corpo. 
cuàste  coste. 
cucér  cucchiajo. 
ctduànb  colombo. 
cuólsa  calza. 
curtiàl  coltello. 
dentis  dentice. 
destinuàt  destinato. 
destinar  destinare. 
dik  dieci. 
dikcink  quindici. 
dikdà  dodici. 
dikduàt  diciotto. 
dikjónco  undici. 
dikmà  diciannove. 
dikquàter  quattordici. 
diksàpto  dieciasette. 
diksis  sedici. 
diktrà  tredici. 


Il  dial.  v^eglioto:  Proprie  raccolte. 


135 


domiénca  domenica. 

farsàura  padella. 

fiàiir  fiore. 

fikir  m.,  fico  (albero). 

fuàlp  polipo. 

fiik  fuoco. 

funtuóna  fontana. 

fuós  faccia. 

fur  fare. 

fur  fuori. 

galdina  gallina. 

garuàf  gherofano. 

griiàng  grongo. 

gruns  granchio. 

giiàt  bicchiere. 

leviir  levare,  prendere. 

liànt  lente. 

lóik  luce. 

miàrla  f.,  merlo. 

milàun  mellone. 

wmes«:^Z,il  pesce'sparusMoena'. 

mid  nasello. 

muore  mare. 

nàuca  noce. 

piér  pajo. 

piersiguót  pesco. 

plàin  pieno. 

pudls  polso. 

puàyn  pomo. 

quider  quadro. 


ravaniàl  ravanello. 
rez  razza. 
róca  conocchia. 
róca  che  i  fàila,  conocchia  che 
essi  filano. 

salvatdur  salvatore. 
sardidla  sardella. 
scarpis  scorpena. 
seda  falcetto. 
semidnsa  semenza. 
siàjJ  seppia. 
sielgdjo  scelgo. 
stimàjo  stimo. 
studàjo  studio. 
suddjo  sudo. 
sufldjo  soffio. 
suspirdjo  sospiro. 
tacàjo  taccio. 
tidk  tegghia. 
tidsta  testa. 
tocdjo  tocco. 
tossàjo  tossisco. 
tot  tólc,  tutto  -i. 
tremdjo  tremo. 
viàrz  verza. 
vidula  viola. 
viéclo  vecchio. 
viu  vivo. 
vuàrb  orbo. 
vuàt  otto. 


b.  Nomi  locali. 


Carnassiól,  n.  di  1.  dove  c'è  approdo;  Carnàussa,  n.  d'una  secca; 
€iàly  n.  di  bosco;  Mattane,  n.  della  spiaggia  di  Veglia  (città); 
Murai. 


136  Ivo, 

e.  Testi. 

1.  Signàur  mi,  jà  vis  còsta  sarà  in  (Petr.  :  i)  lidi  mi;  jii  zàivoO 
durmér  cóisa  in  gréja   (Petr.  :  griiha)  màja.  Ji'i  min  sài  se  còsta 
nuàt  me  catara  vi.   Vói,  Signàur,   che   sapàite,  ve   recomuónd    la 
jàmna  màja,  percó  desmiìn  min  sài  se  me  levava.  M  ve  prik  e  ve 
recomuónd  (Petr.  :  ricomùnz)  la  Jàmna  màja. 

2.  In  col  muncàl  eljéra  una  basàlca,  missa  copiarla  e  missa  ir,5. 
discopiàrta.  Che  el  Jéra  drànte  ?  La  niéna  de  Di;  a  denòcle 
(Petr.;  zenòcle)  nòide  (Petr.:  dótte),  che  la priegua  (Petr,:  prieguó) 
Di.  Passe  (Petr.  :  passilo)  de  luòk  el  su  féil  (Petr.  :  vu  sunte 
contésse)  santàico:  —  «Ma,  niéna  màja,  co  vo  fòite  calco  (Petr.  : 
chiàicu)  ?  »  —  «  Ah  !  féil  (Petr.  :  fuiél)  me,  ne  duàrmo,  ne  velgàjo,  i6o 

che  éna  ràja  rivisión  de  vói  jài  fato  (  Petr.  :  on  juónziuol 
de  Di  ga  gassa  piarlo);  Qui  cu'ini  di  Judài  ve  àju  pràiso;  j  ve 
minila  (Petr.  :  ména)  da  Rude  e  da  Pilato,  e  da  Pilato  fégna  le 
hilàune;  da  le  kilàune  (Petr.:  chelàuna)  fégna  le  perjàune  (Petr.  : 
la  prigiàuna) ;  da  le  perjàune  a  làtik  (Petr.  :  a  làin)  de  la  sùnta  los 
cràuk.  J  ve  inkiodiìa.  La  viistra  stinta  Mica  da  bar  la  doman- 
dila,     e  col  fiàl  e  col  acàid  j  ve  la  intosct'ia. 

3.  Bibliografia  dell'  Udina,  dettata  da  lui  stesso. 

M  sài  Ttiòne  Udàina,  de  saupranàum  Bàrhur,  de  Jéin  sincuònta 
siàpto,  féilg  de  Frane  Udàina,  che,  cun  che  el  sant  miiàrt  el  tuòta, 
el  avàja  setuònta  siàpto  Jéin.  no 

Jé  Jài  nascòit  in  téla  ciiósa  del  nuòmer  triànta,  de  la  cai  che  se 
venàja  a  la  basàlca,  e  nàun  fòit  tuòni  a  luntiin  la  màja  cuòsa. 
Fòit  dik  piiàs  a  limtim.  Cun  che  Jà  jéra  jàiin  de  dikduàt  jéin, 
jà  jài  diiòt  el  prinsiàp  de  zar  fure  de  la  màja  cuòsa,  a  spuàs  con 
certjàn  tróki  e  tróke;  nu  stujàime  in  cunpanàja  alegdr  e  Juciir-  ns 
me  luòk  co  le  buóle. 

Dapii  Jà  jài  lassuòt  cost  jiìk  e  jà  jài  diiót  el  prinsiàp  de  zar 
in  ustaràja  a  bar  el  meziìl  de  vàin,  e  a  Juciire  a  la  màiira;  e 
féinta  la  missa  nuàt  e  calco  cai  féinta  el  dai,  tòta  la  nuàt  stu- 
jàime in  cunpanàja  féinta  dik  e  dikdii  tróki.  iso 


Il  dial,  veglioto:  Proprie  raccolte.  137 

Dapé  zajàime  fere  de  la  ustaràja;  zajàime  catitiir  séte  le  finià- 
stre  de  la  màja  muràuca.  Jiì  cantàja  in  cunpanàja  de  i  tròhi  còsta 
cansàun : 

Jiì  jài  venóit  de  nuàt  in  còsta  cai, 
Jù  viàd  le  moire  e  la  puàrta  inseruòta:  is» 

E  Di  la  méndi  su  la  halcunuòta, 
Nu  viàd  cóla  che  me  a  pràiso  el  cur. 
Amàur,  amàur,  ji'i  hlàj  che  se  culàime, 
Se  nàmi  avràime  ràuha,  stantariàime. 
Se  nàun  avràime  cuòsa  andéa  stw%  i9o 

Jòina  de  pàja  nói  la  férme  fur; 
Se  nàun  avràime  cuòsa  ne  cusàta, 
Nói  dui  fàrme  la  vàita  benedàta. 

Dapiì  i  dikduàt  jéin  jiì  jài  gudòit  quàter  jéin  féinta  i  vene  dòi; 
dapé  se  jài  spusuót;  ma  ju  nu  jài  baduót  che  sài  spusuót.  Jii  jài  i95 
zàit  /l'ire  de  la  màja  cuòsa  tòce  le  sàre  e  tòce  le  niiàte. 

La  màja  muliér  me  decàja:  —  «  Percó  zàite  fare  de  la  cuòsa  tòce 
le  sàre?  Duóteme  de  sapàr  percó  zàite  fare  tòce  le  sàre?  Vói  cre- 
dassàite  che  sàite  cun  pràima  e  percó  me  ajàite  leviiót  per  muliér 
vuàstra  e  me  lassàite  sàngla  a  cuòsa?  Vói  nu  conossàite  pie  la  200 
vuàstra  muliér,  che  vói  zàite  tòce  le  sàre  fure  a  spiiàs;  vói  ajàite 
de  nòsco  calco  jMtra  muliér.  »  — 

M  li  decàja:  —  «  Sapàite,  cara  la  me  midiér,jiì  vis  f  Are  de  la  cuòsa 
tòce  le  sàre,  percó  venàro  el  traghiàt  e  jà  purtàra  el  cuntrabuànd; 
e  tu  creda)  che  ju  vis  tòce  le  sàre  e  nuàt  per  nòlia  in  ustaràja?  ^^^ 
Jé  vis  in  ustaràja,  pere)  luók  me  truvassài  el  patràun  del  tra- 
ghiàt, che  venàro  còsta  sarà  e  me  décro  :  —  «  Tuóne,  ju  jài  de  la 
ràuba  lassuòt  fure  in  cóla  puònta  de  Pornàib;  e  fero  còsta  ràuba, 
che  jé  jài  màis  in  còla  camuòrda,  dik  fuós  de  ràuba.  Zàite  cun 
che  blàite,  levùte  còsta  ràuba,  vói  sànglo  0  in  cunpanàja  de  calco  ^^^ 
trok.  »  — 

Jii  alàura  li  decàja  :  —  «  Sapàite,  mi  patràun,  con  me  blàite  vói 
duór  de  biéc  per  còsta  ràuba  per  levùrla?  yercò  ju  nu  vis  pràima, 
se  no  se  justuóm,  siànsa  vedàr.  »  — 

—  «  Zàite,  zàite,  vói  purtàr;  se  justàrme  nojiltri  dói.  »  —  M  ghe  21^ 
dumandéa  siàpto  fioràin,  per  levilr  còsta  ràuba.  Cand  jé  venàja,  el 


J38  Ive, 

desmùìij  a  cuòsa,  me  dumandùa  la  màja  muliér:  —  «  Andàa  fóite 
vói  tòta  la  niiàt ?»  —  «  Nu  credassàite  che  ju  jéra  a  spuàs  còsta 
nuàt;  ju  jài  capiiH  siàpto  fioràin  còsta  nuàt.  »  —  «  Miitju  nu  li 
viàd  intéle  vuàstre  niuóne  cóist  biéó,  che  vói  decàite  che  jàite  ca-  220 
piiót  in  cóla  nuàt;  cand  li  vedàra  in  cóla  cai  crederà.  »  — 

Dapi'i  qnàter,  cink  jéin,  jà  jài  lassuót  cost  affuòr  de  nuàt;  jA 
stua  a  cuòsa  co   la   màja  patràuna,  co  i  me  féilgi  e  féilge  :  cink 
féilge  e  dói  féilgi.  El  féilg  pie  màuro  jàit  triànta  quàter  jéin,  e 
mut  el  sant  a  le  manàure  a  Pisàin;  la  féilga  vetruòna  sant  spu-  225 
suòta  sant  dik  jéin;  vas  avàr  quàter  féilgi. 

Dapà  jà  se  jài  màis  lavorar  a  jurnuóta  in  jòina  cuòsa  che  i 
frabicàa;  jà  stua  luók  a  jurnuóta  siàpto  miàs  lavoriir.  Dapi'i  jà 
jài  fuòt  tra  jéin  per  muore;  jà  jài  purtuót  la  piiàsta  de  Vida 
féinta  a  Smuàrg.  Dapà  se  jài  stufuót,  percó  el  muore  el  me  facàja  230 
tàima.  Jà  jài  stuót  pescuór  jòina  stajàun,  co  la  truóta  di  lacàrts 
e  capuàime  tóic  i  squàrts  de  la  lóina  tuónta  ràuba  in  jòina  cai  che 
mut  no  se  vedàja  ìiólia  nànca  jóin.  Fero  dói  jéin  che  min  li  ve- 
dàime. 

Dapà  che  nojUtri  avàime  capiiòt  li  lacàrts,  zajàime  dal  patràun  233 
a  cuòsa^  e  luók  avàime  fuót  jòina  màura  mariànda  che  sturme  tóic 
aléger. 

Venàro  le  biàle  fiàste   de  la  suònta  Puósk.  La  màja  muliér  me 
décro:  —  «  Tane,  cojàime  da  cósser  còste  fiàste?  »  —  «  Fùrme  un 
pàuk  de  pun  juàlb  e  un  pàuk  de  niàr:  el  juàlb  per  mancar  nói;  210 
e  col  niàr  che  venàro  calco  pàuper  a  la  puàrta  a  precàr,   e  ghe 
dàrme  calco  biscàun  de  pun.  »  — 

Venàja  jóin  pàuper  e  jàit  comensuòt  precàr  Jdi.  Jà  li  jài  duòt 
jòin  biscàun  de  pun  e  li  jài  duòt  jóin  mezàl  de  vàin  de  bar.  Jài 
me  dumandùa  jóin  biscàun  de   cuórno,  che  el  jéra  fiàsta  màura.  245 
Jà  me  la  jài  levuót  de  la  màja  baca  e  ghe  la  dàa  al  pàuper. 

Dapà  jà  jài  fuòt  jòin  lavàur  su  la  cai,  fare  a  Sun  Dunuót; 
e  jà  jài  inpieguót  quàter  miàs  de  lavàur.  Tóic  i  dai  me  jàju  ve- 
nóit  quàter  lébre. 

Dapà  che  jà  jài  fuòt  cost  lavàur  su  la  cai  jà  jài  zàit  a  sapùr  250 
le  vàite,  el  tràunk  a  muànt;  e  dapà  nói  le  jetànie  de  sóle.  E  dapà 
che  le  jàime  jetàt  de  sòie,   vedajàime  tuónta  jòiva  che   nu  el  jéra 
dapu  muli  jéin. 


Il  dial.  veglioto  :  Proprie  raccolte.  139 

Còsta  càusa  jéra  nascóìta  intél  jàn  mei  vuàt  sidnt  e  sincuònta 
cink.  Dapii  de  cost  jàn  jàit  venóit  la  malatàja  intéle  vàite:  se  Jdit  215 
vedóit  dapu  panca  jóiva.  Dapu  de  cost  jàn  ajdime  siànpro  le  in- 
truàde  péle.  El  dai  de  Siiónt  Piar  del  Jan  mei  vuàt  siànt  setuónta 
quàter  jàit  venóit  la  tenpiàsta  cóisa  màura,  che  purtila  vàja  el 
formiànt,  el  vuàrz,  el  formentàun,  la  jóiva,  le  fàike;  se  jàit  secuót 
le  fiklre;  per  féinta  le  lane  del  dermuón  fóit  maltratuót.  26O 

In  cóist  jóiltimi  jéin,  fero  tra  quàter  jéin  che  ju  tiràjo  le  can- 
puónCf  e  sài  un  pàuk  suàrd,  percó  le  canpuóne  me  levita  le  ràde. 
Nu  potàjo  capar  tot  co  favlàja  i  jómni.  Ju  vis  in  basàlca  tóce  le 
fiàste  e  le  domiànke  ;  jù  tiràjo  i  fui  de  V  urgano  e  ju  guadagnàju 
tra  fìoràin  al  màis.  263 

4  *.  Jntél  jàn  mei  vuàt  siànt  e  triànta  tra,  jù  avàja  jónko 
jéin  e  ju  zàja  mentir  le  pire  a  fare  a  pascolar.  In  col  desmùn, 
cun  jé  jéra  fiire  de  le  moire  de  Vicla  jù  jài  vedóit  jóin  pélo,  che 
avàja  cink  jéin,  tot  vestiàt  de  blank.  Ju  me  jài  custuót  a  Uè  dik 
puàs,  e  mut  nu  jài  vedóit  pie  nólia;  càusa  che  jài  jàit  satuót  en  270 
sóis,  per  cóla  cai  nu  lu  jài  vedóit  pie. 

Jù  jài  stuót  un  pàuk  farm ;  me  jàit  venóit  tàima  dapu  che  nàun 
lu  vedàja.  Ai  dai  del  miàs  de  muàrz  fero  cost  che  ju  jài  vedóit. 
Cost  pélo  jéra  vestiàt  de  blank:  el  avàja  la  baréta  ruàssa  atuàrn 
el  bragàun;  la  baréta  jéra  ruàssa,  el  bragàun  blank.  275 

Ju  nun  sapàja  co  che  el  jéra  col.  La  ziànt  me  jàit  dàit  dapu,  che 
el  jéra  per  siàrt  el  Mamallc.  Se  jil  avàs  pruntuót  i  macaràun, 
che  potàja  purtiir  luók,  jài  me  purtiia  i  biéc,  dapu  che  el  man'óùa 
cóist  macaràun. 

5  **.  Sfàuria  che  jàit   tocuót  intél   tiànp  vetrùn  a  jóin   siàrt  -^o 
trok  Frane  Lusàina   de   Vida,   e  che  ju  jài  sentàit  de  la   su  pa- 
rentuót. 

Jóina  cai  jéra  jóin  trok,  e  cost  trok  jàit  zàit  a  fure  a  Val- 
demàur;  e,  venàndo  vàja  de  la  s,óa  canpàgna ,  jàit  vedóit  jóina 
tróka  vestiàt  de  blank  col  copio  viàrd  in  tidsta,  che  la  durmàja  2S5 


*  La  seguente  avventura  ci  narrava  1'  Udina  come  toccata  a  lui  stesso. 
**  Narrate  dallo  stesso  Udina. 


140  Ive, 

sdupra  jòina  macera  al  semi.  Cost  trok,  vedàndo  che  la  dicrmdja, 
jàl  taljila  de  le  sìàp  e  glie  le  metàj'a  atuàni  che  el  sàul  nu  la  bru- 
sàja.  Dapiì  che  el  vendja  vdja,  el  vedàja  che  ghe  vis  da  dri  jóin 
pélo  cuón  hlank  e  còsta  tróka  lo  clamila  per  ndum:  —  «  Frane, 
Frane,  spiata  jóin  momidnt,  che  ju  hldj  favlur  cim  te.  >  —  290 

Jàl  el  se  ferniAa  tot  spasimiiót  de  la  tàima,  e  ghe  dumandùa 
càusa  che  la  biile.  Jdla  ghe  decàja  se  el  jéra  jàl  col  che  jàit  co- 
puót  le  sidp.  Jàl  ghe  respóndro  de  sdì,  chejdl  le  avàja  muds  atuàrn 
le  sidp,  che  el  sàul  nu  la  hrusdssa.  Alàura  jàla  ghe  décro:  —  «  Cun 
che  el  buie  'capar  per  cost  che  el  le  jàit  fuót  còsta  fadàiga  ?  »  —  Jàl  295 
ghe  respóndro  che  el  nu  buie  nólia,  per  cost  affuór  che  lu  jàit  fuót. 
—  «  Co)  fero  còsta  càusa?»  —  E  cóisa  Jàla  jàit  tornuàt  in  dri 
andéa  che  la  jéra  prdima  intél  buàsTc;  el  trok  jàit  tornuót  a  cuósa 
e  el  jdit  mudrt  anca  de  la  tdima. 

6.  Stduria  che  jdit  nascóit  intél  tidnp  vetriln,  co  jóin  pel  pa-  3, 0 
stdur  pascolila  un  pduk  de  pire. 

Jóina  cai  el  jéra  jóin  pastdur  intél  budsk  de  Basca,  e  jdl  pa- 
scolila un  pduk  de  pire.  Cost  pélo,  jóina  jurnuóta,  se  jdit  muds 
a  dormér.  Co  j'il  se  jdit  desmissiuót,  el  vidd  de  la  rduba  bianca; 
jdl  la  jdit  pràisa,  el  la  jdit  inpieguóta  e  la  jdit  cuólta  vdja.  Alàura  305 
ghe  jdit  venóit  jóina  tróka  :  la  ghe  conpardis  e  ghe  domùnda  se  el 
jdit  vedóit  còsta  rduba  che  fòit  luók  distiruóta.  Jdl  ghe  respóndro 
che  la  rduba  fero  pruònta;  el  la  jdit  ^capuót  el  ghe  la  jdit  ntdisa 
intéle  mime.  Alàura  la  tróka  ghe  domùnda  càusa  che  el  fói  luók. 
Jdl  ghe  respóndro  :  —  «  Jù  pascolàjo  le  pire  càuk.  »  —  La  jàuna  ghe  310 
decàja  :  —  «  Cùnte  che  el  ne  avds  ?»  —  Jdl,  cóle  pduke  ghe  le  jdit 
ìmistruót.  Cóla  ghe  respóndro:  —  «  Zdj  a  cuósa  cun  còste  pduke  che 
jii  e  clam  :  Jóina  biàla,  jóina  'càrna  »  —  e  jàla  jdit  zàit  vdja. 

El  pélo  jdit  zàit  a  cuósa  e  jàit  clemut  cóisa  che  jàlqt  j  jdit  dàit. 
Siànpro  jdl  jdit  sentàit  che,  cun  che  el  clamim,  ghe  vendja  tot  315 
pie  pire.  Cun  che  el  jéra  sul  muànt  Triscavàts,  el  se  jàit  vultuót 
in  dri,  e  vedàja  tùnte  tiàste  de  pire  blànke  e  niàre,  che  le  venàja 
fùre  del  muore.  Cun  che  jàl  se  jàit  vultuót,  in  col  momiànt  jàle 
se  jàju  fermuòt  de  venàr;  mài  istiàs  j  jàit  restuót  jóina  sàuma 
màura;  e  jàl  se  jàit  fuót  un  signàur  màuro,  e  mut,  in  cost  tiànp,  3:0 
fero  al  muònd  de  la  sóa  dessendiànsa,  persàune  e  biàste. 


Il  dial.  veglioto  :  Proprie  raccolte.  141 

7.  Proverbj,  modi  di  dire,  ecc. 

Biàla  la  vàigna  e  panca  la  jóiva.  Bella  la  vigna  e  poca  la  uva. 

Biàle  fiàste,  hiàl  vestér.  Belle  feste,  bel  vestire. 

Biàle  fiàste,  hiàl  maìiciir.  Belle  feste,  bel  mangiare. 

Biàle  fiàste,  biàl  durmér.  Belle  feste,  bel  dormire.  325 

Chi  fo  mul,  miil  piàns.  Chi  fa  male,  mal  pensa. 

Cuón  nu  manàica  de  cuòri.  Cane  non  mangia  di  cane. 

Cuósa  néa,  chi  nàun  puàrta,   nàun  catàja   nólia.   Casa  nuova, 
obi  non  porta  non  trova  nulla. 

Dapù  la  plovàj'a  venàro  el   bun  tiànp.    Dopo  la   pioggia   verrà  330 
il  buon  tempo. 

Dòir  cim  dóir  nu  facàja  bun  mòir.  Duro  con  duro  non  fa  buon 
muro. 

El  fróit  nu  potàja  casciir  che  a  Uè  del  jàrbul.  Il  frutto  non  può 
cadere  che  accanto  dell'  albero.  335 

El  prat  jàit  faluòt  calco  cai  su  l'altùr  la   màissa.  Il  prete  ha 
fallato  qualche  volta  sull'altare  la  messa. 

La  lig  veclisùna  duràja  jóina  setemùna.    La   legge  vegliesana 
dura  una  settimana. 

La  lig  kersàina  duràja  da  la  sarà  a  la  desmùn.  La  legge  cher-  340 
sina  dura  dalla  sera  alla  mattina. 

Le  fiàste  de  Naduàl  al  fuk,  cóle  de  Puósk  in  plas.  Le  feste  di 
Natale  al  fuoco,  quelle  di  Pasqua  in  piazza. 

Lóina  plàina  el  gruns   sani  svdud.  Luna   piena   il   granchio  è 

vuoto.  315 

Lóina  svàuda   el  gruns  sani  plàin.   Luna  vuota  il  granchio  è 
pieno. 

Mul  nàun  fere  e  tàima  nàun  avràs.  Male  non  fare  e  tema  non 
avrai. 

Nencjóin  sùbatu  siànsa  sdul  e   nenójóina  tróka   siànsa   amàur.  350 
Nessun  sabato  senza  sole  e  nessuna  ragazza  senza  amore. 

Pràima  cuàr  el  lévuar  e  dapù  el  cuón.  Prima  corre  il  lepre  e 
dopo  il  cane. 

Ruàs  de  la  sarà,  biàl  tiànp  se  speràja;  ruàs   de  la  desmùn  ri 
tiànp  e  plovàja.  Rosso  della  sera,  bel  tempo  si  spera;  rosso  della  355 
mattina  brutto  (reo)  tempo  e  pioggia. 


142  Ive, 

Siànt  pinsamidnt  nàun  pacua  jòin  debetiàn.  Cento  pensieri  non 
pagano  un  debito. 

8.  Singole  frasi  e  testi  minori. 

BàitBj  bàite  cosi  mezùl  de  vàin.  Bevete,  bevete  questo  bicchiere 
di  vino.  36» 

Che  Hànp  furo  còsta  desmùn?  Che  tempo  farà  questa  mattina? 

Cóst  dai  jù  jài  bun  apetiàt,  perca  còsta  desmùn  nàun  jài  man- 
cùt  nólia.  Oggi  (questo  dì)  io  ho  buon  appetito,  perchè  questa 
mattina  non  ho  mangiato  nulla. 

Cosi  Jan,  se  fuàs  de  la  biàla  jòiva,  jù  fura  vene  botàile   de  36s 
vàin.  Quest'anno,  se  fosse  della  bella  uva,  io  farò  venti  bottiglie 
di  vino. 

Cost  vàin  sani  bun  che  zàit  sòte  che  sant  un  piasir.  Questo  vino 
è  buono  che  va  giù  che  è  un  piacere. 

Còsta  desmùn  furo  biàl  tiànp.  Questa  mattina  farà  bel  tempo.  370 

Còsta  jùltra  setemùna  jù  speràjo  de  zar  a  fùre  levùr  un  pàuk 
de  jòiva,  par  fur  un  pàuk  de  bar.  Quest'altra  settimana  spero 
d' andar  fuori  (in  campagna)  a  levare  un  poco  d' uva,  per  fare 
un  po'  di  bere. 

Còsta  nuàt  sant  cascùta  la  ruzùda.   Questa  notte  è  caduta  la  37S 
rugiada. 

Còsta  nuàt  vedàrme:  se  levùrme;  se  el  tiànp  fero  bun,  capùrme 
i  laéàrts.  Questa  notte  vedremo:  ci  leveremo;  se  il  tempo  sarà 
buono,  piglieremo  gli  sgomberi. 

Còsta  sarà,  de  co  jù  jài  de  càina  ?  Questa  sera,  cosa  ho  da  sso 
cena? 

Cùnte  jàure  jàime?  Quante  ore  abbiamo? 

Dapù  che  vu  jàite  zàit  fùre  de  la  cuòsa,  jù  jài  henùt:  jù  jài 
manéùt  jòin  biscàun  de  pun  e  jòin  pàuk  de  pask  ruàst,  e  dapù 
le  nuf  jàure  jài  zàit  vedàr  d  tiànp,  se  el  sant  bun.  Dopo  che  voi  385 
siete  andato  fuori  della  casa,  io  ho  cenato:  ho  mangiato  un  boc- 
cone di  pane  e  un  poco  di  pesce  roste,  e  dopo  le  nove  ore  sono 
andato  a  vedere  il  tempo,  s'egli  è  buono. 

De  co  la  parecùa  per  còsta  sarà?  Cosa  apparecchiava  ella  per 
questa  sera  ?  39» 


Il  dial.  veglioto:  Proprie  raccolte.  143 

El  jàt  che  sani  in  cuósa  sani  pélo.  Il  gatto  che  è  in  casa  è 
piccolo. 

El  me  cunpér  el  me  jàit  tenóit  a  batàiz  el  me  féilg  pràùno.  Il 
mio  compare  egli  mi  ha  tenuto  a  battesimo  il  mio  primo  figlio. 

El  sàul  sant  cuóld,  perca  i  miàs  sani  ri.  Il  sole  è  caldo,  perchè  395. 
i  mesi  son  tristi  (rei). 

El  viànt  vcìiàro  de  Mira  còsta  sarà.  Il  vento  verrà  di  borea 
questa  sera. 

Favlùme  en  veclisùn  nojiltri.  Favelliamo  in  vegliesano  (veglioto) 
noi  altri.  400 

Fero  a  fùre  siànt  'piànte  de  ulàiv.  Saranno  fuori  (in  campagna) 
cento  piante  di  ulivi. 

In  liàt  sant  el  stramuàs,  el  cussàin,  el  linzàul,  le  copiarle.  Nel 
letto  sono  il  materasso,  il  cuscino,  il  lenzuolo,  le  coperte. 

Jàl  nàun  ghe  pluk  mancùr  còste  Male  viàrze.  [Egli]  non  gli  40& 
piace  mangiare  queste  belle  verze. 

Jù  jài  bevòit  el  café;  jù  jài  fuòt  mariànda  jòin  biscàun  de  cuòrno. 
Io  ho  bevuto  il  caffè;  ho  fatto  merenda  (di)  un  boccone  di  carne. 

Jù  jài  catuòt  de  picùrke  intél  dermùn.  Io  ho  trovato  dei  funghi 
nel  bosco.  410 

Ju  jài  dot  al  me  féilg  che  el  se  fàrme  a  fùre  còsta  sàra^  per 
vedàr  el  tiànp  co  che  el  piàns.  Io  ho  detto  a  mio  figlio  eh'  egli  si 
fermi  fuori  questa  sera,  per  vedere  cosa  pensa  il  tempo. 

Jù  jài  zàit  recòlgro  cost  dai  dapù  el  prinz  dòi  caniàstri  de 
fàike,  e  jù  le  jài  jetùt  su  le  macere  al  sàul,'  percò  le  se  sak;  dapù  4i& 
jù  jài  vedóit  el  sii  che  el  sant  saràn,  e  jù  ,ài  zàit  dormér.  Io  sono 
andato  a  raccogliere  oggi  dopo  pranzo  due  canestri  di  fichi,  e  li 
ho  gettati  sulle  macerie  al  sole,  perchè  si  secchino;  dopo  ho  ve- 
duto il  cielo  che  è  sereno,  e  sono  andato  a  dormire. 

Jù  me  metàra  sentùr  càuk  a  lic  de  vu.  Io  mi  metterò  a  sedere  420 
qui  allato  a  voi. 

Jù  nu  manàico  nòlia,  percò  nàun  jài  vóli.  Io  non  mangio  nulla, 
perchè  non  (ne)  ho  voglia. 

Jù  min  sapàjo   mut   cuntkr   nòlia  féinta  sùhatu;  sùhatii  ju  ve 
cuntùra  jóina  bidla  stàuria.    i<    non    so    ora  contar  nulla  fino  a  425 
sabato;  sabato  vi   conterò  una  bella  storia. 

Jù  vis  in  canpanàid  tòte  i  dai.  Io  vo  nel  campanile  tutti  i  dì. 


144  /  Ive, 

La  muliér  jàit  meióit  el  hragàun.   La  donna  ha  messo  i  calzoni. 

La  scafa  sant  fiióta  par  lavar  i  plàc,    le  moletàine  che  no  se 
scuót  le  muóne,  la  palata  par  levur  el  fuk,  le  péle  lìuàrte  che  zàime  43» 
fur  a  la  maràln.  L'acquajo  (ven.  scafa)  è  fatto  per  lavare  i  piatti, 
le  mollettine  per  non  sbottarsi  le  mani,  la  paletta  per  levare  il 
l'uoco.  le  piccole  porte  perchè  andiamo  fuori  alla  marina. 

La  tenpiàsta  sant  tiànp  ri,  perca  ne  faro  stiiór  miil.  La  tem- 
pesta è  tempo  rio,  perchè  ne  farà  star  male.  435 

Nàim  fero  mut  siàpto  jàure  e  m'issa.  Non  saranno  ora  sette 
ore  e  mezzo. 

Perca  par  cost  jàn  nàiin  avaràime  nólia  de  formentàun  ?  Perchè 
per  quest'anno  non  avremo  niente  di  frumentone? 

Perca  el  semi  lo  jàit  pràis  tot,  perca  el  jéra  de  pie  ciióld.  Perchè  440 
il  sole  r  ha  preso  tutto,  perchè  ej<li  era  troppo  caldo. 

Pruntàja  el  caldér  che  furme  la  ptulidnta  drénte,  la  farsàura 
che  frizùrme  un  pàuk  de  pask.  Appronta  la  caldaja  che  faremo 
la  polenta  dentro,  la  padella  (ven.  fersóra)  che  friggeremo  un 
poco  di  pesce.  445 

Puàrta  càuk  un  pàuk  de  bràud,  perca  còsta  sarà  jù  jài  di  scale 
de  mancùr,  e  jù  jài  tàima  che  le  me  facàja  mul  còsta  nuàt.  Porta 
qui  un  poco  di  brodo,  perchè  questa  sera  ho  dell'erbe  mange- 
recce  da  mangiare,  e  ho  tema  che  elle  mi  facciano  male  questa 
notte.  45 

Restuòte  un  pàuk  juncàura  càuk.   Restate  un  poco  ancora  qui. 

Sant  miiàrt  el  véski  a  Vida,  e  col  jùltro  jàn  jàju  fuòt  jòin  nuf 
véski.  È  morto  il  vescovo  a  Veglia,  e  quell'altro  anno  hanno  fatto 
un  nuovo  vescovo. 

Signàur  mi,  de  co  jàite  pruntuót  de  prinz  ?  Se  fero  de  hun,  jù  455 
venàra  in  cunpanàja  sòa.  Signor   mio,    cosa  avete  approntato  di 
pranzo?  Se  sarà  del  buono,  io  verrò  in  sua  compagnia. 

Sima  la  canpuòna  màura;  sùna  el  viàspro.  Suona  la  campana 
maggiore;  suona  il  vespero. 

Tacàite,  signàur  mi,  jù  bàjo  la  màja  puórt,  ma  jù  nu  viàd  che  46o 
^ojiltri  bàite  la  vuéstra.  Tacete,  signor  mio,  io  bevo  la  mia  parte, 
ma  10  non  vedo  che  voi  altri  bevete  la  vostra. 

Zàime  al  fuk  in  camàin.  Andiamo  al  fuoco  in  camino. 

Zàime  càuk  a  cuòsa  nói  tra  in  cunpanàja,  che  bàrme  jòin  mezùl 


Il  dial.  veglioto:  Proprie  raccolte.  145 

de  vàin   e  fero    bun.  Andiamo  qui  a  casa  noi  tre  in  compagnia,  465 
che  beremo  un  bicchier  di  vino  e  sarà  buono. 

Zàime  drénte  in  camuórda,  perca  Denaro   la  plovàja.  Andiamo 
dentro  nella  capanna,  perchè  verrà  la  pioggia. 

Zàime  copudr  (potùre)  le  lane  intél  dermùn^  perca  la  lóina  del 
miàs  de  genir   la  inpenàja   el  Unir.  Andiamo  a  tagliar    la  legna  4-0 
nel  bosco,  perchè  la  luna  del  mese  di  gennajo  empie  il  tino. 

Zàime  levùr  jóin  fiiós  de  suma.    Andiamo    levare   un  fascio  di 
frasche. 

Zàime  levùr  un  pduk  de  ràuba  in  sfassdim:  dóje  lébre  de  r'ize. 
Andiamo  (a)  levar  un  poco  di  roba  in  bottega  :  due  libbre  di  riso.  475 

Zàite  de  còsta  puórt,  a  mun  dràta,  par  ndim  falùr  la  cai.  An- 
date da  questa  parte,  a  mano  dritta,  per  non  fallare  la  strada. 

Zdite  in  cunvidnt  kenùr  eòi  frats.  Andate  in  convento  (a)  cenare 
coi  frati. 

Zdite  levùr   del  vàin  in  cdnba.  Andate  (a)  levare  del  vino  in  48o 
cantina. 

Pélo  mdjuy  zàj  a  fare,  legàja  le  biàste  che  le  zàja  mancùr 
féinta  còsta  sarà.  Càuta  el  bu,  le  pire,  la  capràina.  Se  tiàun  jH  le 
cuòlse,  màtele,  per  co  miit  le  scale  fero  màure,  e  jù  jài  tàima;  càia 
per  te,  che  calco  biàsta  nàun  te  furo  del  mul  a  te,  spisialmiànta  485 
el  carnòid.  Piccolo  mio,  va  fuori  (in  campagna),  lega  le  bestie 
che  vadano  a  mangiare  fino  a  questa  sera.  Guarda  il  bue,  le 
pecore,  la  capra.  Se  non  hai  le  calze,  mettile,  perchè  ora  l'erbe  sa- 
ranno grandi,  e  io  ho  tema;  guardati,  che  qualche  bestia  non 
ti  farà  (faccia)  del  male,  specialmente  la  vipera.  490 

Muàssa  sùna.  —  Chi  la  sùna?  —  El  Signàur  la  sùna.  — 
Chi  l'adoràj?  —  La  dona  l'adoràj?  —  Chi  passa  (passù)?  — 
Còla  jàtma  Maria  lassù.  —  Chi  la  custodi?  —  //  gninedi  (igneldl, 
gilgnidi).  —  Nòstro  Signàur  in  cràuk  a  ine.  Messa  suona.  — 
Chi  la  suona?  —  11  Signor  la  suona?  —  Chi  l'adora?  —  La  495 
Donna  l'adora.  —  Chi  passa  (passò)?  —  Quella  giovane  Maria 
lassù  (?). — Chi  la  custodì?  —  L'agnel  di  Dio.  —  Nostro  Signore 
in  croce  a  me. 

Sendur  mi,  jù  ve  rlngràdme.  Jù  vis  in  cur  màj  ;  e  se  venésse  da 

Archivio  {jlottol.  it.,  IX.  10 


146  Ive, 

dessér^   ve  rìcomuànd  la  santùt   màja,   el   misero   cur  e  la  misera  500 
jàmna  màja.  Signor  mio,  io  vi  ringrazio.  Io  vedo  (vo?)  nel  cuor 
mio  ;  e  se  venissi  a  mancare,  vi  raccomando  la  salute  mia,  il  mi- 
sero cuore  e  la  misera  anima  mia. 

Sant  Antùne  del  quartùn, 
Sante,  sante,  spiritu  tun;  50s 

Ne  de  lik,  ne  de  àqua  curiànta, 
Disputa  Taliànta, 
De  féilgi  de  Rude. 

9.  Orazioni. 

Padre  nostro.  —  Tuòta  niiéster  che  te  sante  intél  sii,  sdii  san- 
tificuót  el  ìiàum  to,  vigna  el  ràigno  to,  sdii  fiiót  la  volmituót  tóa,  ^^^ 
còisa  in  sii,  cóisa  in  tiara.  Duóte  cost  dai  el  pim  nuésfer  cotidiùn, 
e  remetidj  le  nuéstre  debéte,  còisa  nojiltri  remetiàime  a  i  nuéstri 
debetudr,  e  ndun  ne  menùr  in  tentatidun,  miii  deliberidjne  dal  mul. 
Cóisa  sdii. 

Ave  Maria.  —  Di  te  salvés,   0   Mardja,  pldina  de  grets,  el  Si-  515 
gndiir  sant  con  tdik;  te  sdnte  beneddta  infra  le  muliér,  sdit  beneddt 
elfròit  del  vidntro  to  Jesù.  Suónta  Mardja,  niéna  de  Di,  precute 
per  nojiltri  pecatdur,  mut  e  intéla  jdura   de   la   nuéstra   mudrt 
Cóisa  sdit. 

Salve  Eegina.  —  Di  te  salvé%  0  regidina,  niéna  de  misericudr-  020 
dia,  vdita,  dulsdssa  e  speridnsa  nuéstra.  Di  te  salvés.  A  te  recuridime 
nói  sbandditi  féilgi  de  Ava-  a  te  susperidime,  jemànd  e  plan'gànd 
in  còsta  lacrimdusa  vai.  Orsóis  dudnk,  avucuòta  nuéstra,  i  tòi  udcli 
misericurdidusi  revid'gdj  a  nói,  e  dapii  cost  esdilg  muéstra  a  nói 
Jesù,  f'ut  beneddt  del  vidntro  to,  0  clemidnt,  0  pdja,  0  dólsa  vir-  525 
gina  Mardja,  predite  per  nojiltri  pecatdur,  suónta  niéna  de  Di, 
che  sdime  fuót  dignuót  de  le  inpromissidun  de  Crasi.    Cóisa  sdit. 

Credo.  —  Jù  cràid  in  Di  tuóta  onipotidnt,  cratdur  del  sii  e  de 
la  tidra,  e  in  Jesù  Crast  su  féiìg,  sdnglo  signàur  nuéstro,  el  col  fóit 
consepóit  da  lu  spiritu  suónt;  jdit  nascóit  da  Mardja  virgina,  jàit  530 
patiàt  di  sóte  Pónsio  Pilato,  fóit  crocefdis,  mudrt  e  sepudlt,  jdit 


Il  dial.  veglioto:  Proprie  raccolte.  147 

dessendóit  intél  infiàrn,  el  irato  dai  jàit  resussituóf  da  mudrf,  jàit 
zàit  sóis  intél  sii,  sidd  a  la  diàstra  de  Di  tuóta  onipotiànt,  da  luók 
venero  judicùr  i  vi  e  i  muàrts.   Jù  cràid  intél  spiritu  suónt,  intéla 
stianta  basàlca  católica,  la  comuniàun  de  i  sudnts,  la  remissiàim  de  i  535 
pecàts,  la  resuressiàun  de  la  cnórno,  la  vàita  etèrna.  Còisa  sàit. 

I  dieci  comandamenti.  —  Pràimo:  Jii  sài  jóin  Di  sànglo, 
nàun  avaràs  jùUro  dai  an'mcs  de  me.  —  Secuàndo  :  Nàun  numinur 
el  nàum  de  Di  pur  nólia.  —  Tràto  :  Recùrdete  de  satitificùr  le 
fiàste.  —  Cuórto  :  Onuraràs  el  tuóta  e  la  niéna,  si  te  bùie  vivar  540 
luàng  tiànp  e  avàr  bun  sàupra  la  tiara.  —  Cincto:  Nàun  massùre. 
—  Sisto  :  Nàun  furnicùre.  —  Siàptimo  :  Nàun  rubùre.  —  Vuàtvo  : 
Nàun  decdj  fuóls  testimùni  incuóntra  el  tu  vicàin.  —  Nvfto: 
Nàun  desideràj  la  muliér  de  i  jlltri.  —  Dicto:  Nàun  desiderdj 
calco  jùUra  càusa  del  io  vicàin.  545 

10.  Canto. 

Jóina;  —  La  me  muràuca  sant  vestiàt  de  bróina.  —  Percó  de 
sàta  nu  la  potàja  andùre.  —  Ire,  ùre.  —  Cur  mi  bun,  nu  me 
bandunùre. 

Dot;  —  La  me  murduca  la  me  jdt  dat  de  nói.  —  E  jù  per 
cost  la  jdi  lassuóta  sture.  —  Ire,  ùre.  —   Cur   mi  bun,   nu   me  ^so 
bandunùre. 

Tra;  —  La  me  muràuca  fo  el  amàur  cu-  un  ra.  —  E  jù  de 
cujàun  la  jài  lassuóta  fùre.  —  Ire,  ùre.  — •  Cur  mi  bun,  nu  me 
bandunùre. 

Quàter  ;  —  La  me  murduca  me  jàit  tratuót  de  muàt.  —  E  jù  555 
de  mudi  me  jài  lassuót  tratùre.  —  Ire,  ùre.  —    Cur  mi  bun,  nu 
me  bandunùre. 

Cink;  —  La  me  muràuca  fo  el  amàur  cu  un  prinz.  —  E  jù 
de  muàt  la  jài  lassuóta  fùre.  —  Ire,  tire.  —  Cur  mi  bun,  nu  me 
bandunùre.  56o 

Sis;  —  La  me  muràuca  jàit  miuàt  in  pi.  —  E  jù  de  muàt 
la  jdi  lassuót  miùre.  —  Ire,  'are.  —  Cur  mi  bun,  nu  me  bandu- 
nùre. 

Siàpto;  —  La  me  muràuca  fo  el   amàur  cu  un  prat.  —  E  jù 
da  muàt  la  jài  lassuóta  fùre.  —  tre,  ure.  —  Cur  mi  bun,  mi  me  565 
bandunùre. 


148  Ive, 

Vuàt;  —  Sant  màj  amuàr  la  tróka  che  no  el  gwH.  —  Percó 
del  guài  nu  sapàjo  càusa  fare.  —  Ire,  ùre.  —  Ciir  mi  bun,  nu  me 
bandunùre. 

Niif;  —  Dismim  fero  hiàl  tiànp,  se  nu  pluf.  —  Percó  se  pluf 
nu  se  potàja  andùre.  —  tre,  ùre.  —    Cur  mi  bun,  nu  me  bandu-  570 
niire. 

Dik;  —  La  me  muràuca  jàit  un  caniàstro  de  sariz.  —  E  spiasse 
cai  jù  ghe  le  zàj  man'cùre.  —  Ire,  ùre.  —  Cur  mi  bun,  nu  me 
bandunùre. 

Dikjónco;  —  Venero  la  stajdun  del  pedòclo.  —  E  spiasse  cai  jù  575 
ghe  le  zàj  massùre.  —  Ire,   ùre.   —    Cur  mi  bun,  nu  me  bandu- 
nùre. 

Dikdój;  —  I  miàs  del  jàn  sant  dikdój.  —  Cusài  de  la  cansàun 
jù  sài  fùre  ?  —  Ire,  ùre.  —   Cur  mi  bun,  nu  me  bandunùre. 


Il  dial.  vegiioto:  Voc.  toniche;  a.  149 


VII.  Spoglio  fonetico. 

Avvertenza  preliminare.  —  Questo  spoglio  è  regolato,  generalmente  par- 
lando, per  maniera,  che  nei  diversi  riflessi  dei  singoli  elementi  si  muova 
da  quelli  che  piìi  sono  caratteristici  del  vegiioto,  e  resultino  perspicue,  man 
mano,  le  particolari  congruenze  col  dial.  rovignese  e  il  dignanese.  È  sempre 
da  aver  occhio  al  capitolo  'Istria  veneta  e  Quarnero'  del  I  voi.  dell' Archivio. 
Dalle  considerazioni  che  ivi  si  leggono,  si  fa  chiaro  il  perchè  in  questo 
spoglio,  per  tutto  quanto  è  delle  vocali,  si  parta  solitamente  dalla  base  ita- 
liana 0  veneta,  anziché  dalla  latina.  —  La  provenienza  delle  singole  voci, 
seconde  le  raccolte  diverse,  è  distinta  per  la  diversa  foggia  della  stampa, 
il  tondo  spazieggiato  indicando  le  cose  edite  del  Cubich,  il  semplice 
corsivo  le  inedite  del  Cubich  stesso,  e  il  corsivo  spazieggiato  la 
messe  mia  propria.  La  traduzione  delle  voci  vegliote  diventava,  a  rigor  di 
termine,  sempre  superflua  nello  spoglio,  poiché  s'ha  di  continuo  nell'Indice 
lessicale,  al  §  Vili.  Ho  creduto  tuttavolta  di  agevolar  l'uso  del  presente 
studio,  largheggiando,  qua  e  colà,  con  la  traduzione.  —  Lo  spoglio  fonetico 
non  segna  i  luoghi  dove  si  trovan  nelle  diverse  raccolte  le  voci  o  forme 
vegliote  che  vi  sono  studiate;  ma  le  citazioni  sono  all'incontro  costanti  nel- 
V  Indice  lessicale  (§  Vili)  e  nelle  Note  morfologiche  (ib.),  indicandosi  con 
la  semplice  numerazione  arabica  la  riga  dei  'testi',  e  all'incontro  la  pagina 
del  volume  col  numero  arabico  preceduto  dalla  sigla  'p'. 


Vocali  toniche. 


A. 
1.  In  ud,  uó,  u  (I  438-9  n)  :  scuòle  scale,  tuàl,  sudi,  carnassudl 
carnesciale,  Nadudl  Natale,  ho  cu  di  a  f.  boccale,  mul  male,  fuor 
fùre  fare,  duór  duórme  dare,  muàr  muore  mare,  messuóre  misu- 
rare, pescuór,  catudr  'cattare'  trovare,  affilar,  pi.  affuàr,  affare, 
compudr  compare,  stuàr  studrme  stuór  stur  stare,  sposudr,  amudr, 
chiamudr  (cfr.  clemùt),  sonudr,  cantudr  cantar,  anduàr  andùre, 
comandudr,  ligudr,  tornudr,  scomensudr,  robudr  rubùre,  bescudr 
beccare  less.,  zocudr  giocare,  moscuàr  morsicare,  destruàr  destare, 
lavudr,  lapudr  lampeggiare,  alzudrse  alzùr,  satudr  saltare,  macnudr 
macinare,  medcudr  medicare,  squadrudr,  dramudre  macellare,  stu- 
fttarme   'stutare' ,  conzudrme  'conciare',   bastonudr,   blasmudre  bla- 


dSO  Ive, 

smiìr  bestemmiare,  pentisudrse  pentirsi  'confessione'  S  salùr,  kenùr 
cenare,  menùr,  destinùr,  sentur  sedere  (vnt.  sentdr-se),  man'éùr 
mangiare,  miur  urinare  (prtc.  miudt;  cfr.  Diez  gr.  P  20  e  less.  s. 
sp.  mear),  levùr,  sapur  zappare,  ^acwr  pagare,  seclùr  falciare 
[seda  falce),  studiure,  alter  altare,  salterio,  cuóssa  còsa  casa,  nuòs 
naso,  cuón  cane,  puón  pun  pane,  muón  mun,  pi.  muóne  méne, 
mano,  vetruón  -a  (vetrùn  I  438)  vecchio  -a,  funtuòna,  grun 
grano  (I  ib.),  quartun  stajo,  luntùn,  cotidiùn,  veclisùn  *ve- 
gligiano',  di  Veglia,  veglioto,  desmùn  domani,  canpùna,  pi.  can- 
puón  e,  rudm  rame,  fu  dm,  luóc  là,  juàc  f.,  ago,  spudg  spago, 
mùi  mai,  duòt  dato  [duòteme  datemi),  secuót  seccato,  tratuót, 
spusuót,  haduót  badato,  lassuót  lasciato,  vultuót,  Dunuótf 
tuóta  padre  (rum.  tata),  voluntuót  volontà,  instudt  estate,  fecudt 
fegato,  soldudt,  destinudt,  arivuàt,  gheluàt  gheludta  I  439, 
e  Zemwi chiamato  (rum. istr. cZ/ema),  k e nut  censito,  crepuàta,  saluta, 
spudta,  cascata,  ruzùta  rugiada,  jurnuóta  giornata,  precute 
precamini,  catùte  captate  trovate,  s  cu  n  tu  te  ascoltate,  intrudde 
entrate  sost.,  juópa  ape,  intoscùa  attossicava,  pascolua,  frabi- 
cùa;  — juólb  juàlb  bianco,  cuólsa  calza,  fuòls,  cuóld,  jùlzete 
alzati,  jùltro,  f.  jultra,  altro,  trudr  trarre,  cuor  ne  cuórno  carne, 
cuórta,  a  la  luórga,  hudrha  zio  (vnt.  barba),  buàrca,  camuórda 
camdrda  capanna,  juàrbul  a\hevo,  puósta  pasta,  muóstro  mae- 
stro, puóscro  pascere,  fuós  fascio,  faccia,  stramuds  materasso  (vnt. 
stramdgo),  polludstro,  ludnza,  sessuànta,  septuànta,  suòni  -a, 
stinta,  pi.  sudnts,  santo,  juònziuol  (!)  angelo,  domudnda,  do- 
mùnz  domando,  recomuónd  -tnudnd  -mùnz  raccomando,  sudng 
sangue,  ^rttns  granchio  {yoi.  grdngo), plùngre  piangere,  tùnte  tante, 
da  pessùnt  'da  pesante'  difficile  (cfr.  ted.  schwer),  j u n d a  *anda  vieni, 
mundi,  cuòmp  campo,  sùbatu  sabato,  ir  nòta  rete,  'tratta',  fruàtru 
fruire  fratello,  muòi  maggio. 

2.  In  o:  col  quale  (cfr.  cai  n.  5),  vòita  guardia,  'guaita',  cfr.  n.  51; 
stòi  stat,  vói  vadit,  jói  jàit  ha,  fói  fo  facit,  dòi  duói  dat,  fòite 
fate. 

3.  In  i,  iè,  e  (I  438  n):  prinz  priénz  pranzo,  ani'ncs  innanzi, 
da  lics  lontano  ('-lati  late?);  j litri  altri  v.  less.;  lik  latte,  tik,  iuf. 
tacàre,  taci  (cfr.  trik,  inf.  trudr,  getta),  schirp  scarpe,  mìrie  martedì 
(vnt.  marti),  tiércs  tardi,  grets  grazia,  rez  razza,  biss,  pi.  biss, 
bacio,  kis  cacio,  Magnakis  ni.,  criss  ciliegio;  ai  quali  uniremo  la 


^  copudr  lavorare,  srb.  Jcopati  scavare. 


Il  dial.  veglioto  :  Vocali  toniche  ;  e.  181 

serie  dell' -arto:  piér  pajo  (rov.  dign.  piér),  calamièr  calamajo, 
sculiéra  f.,  cucchiajo  (vnt.  scw^ieV),  fikir  e  fichiéra,  albero,  'ficaja', 
Mandolièra  ni.,  caldira  e  m,  caldér  (vnt.  caldiéra  caldiér  caldér), 
scoliro  'scolajo'  scolare,  samir  [samur]  somiero,  calighir^  bechir. 
Qui  ancora  stivil  stivale  (-alio?).  E  resta:  cunpér  compare  ;  cfr.  n.  5. 

4.  -ANJo  -din  (I  444  n):  calcdin,  guaddign,  stdign,  orgdin  aratro 
(cfr.  vnt.  argano  macchina);  e  ancora:  certàin  allato  a  certjdn 
certjóin  certuni,  dove  par  che  si  tocchino:  'certa ni  e  'certuni 
num.  19. 

5.  Intatto:  odia  guarda  I  357  372,  laudare,  fauldr  (prtc.  faulàt), 
subldr  zuffolare  (vnt.  suhidr),  caipt  are  cdipta  capta  edotta  num.  64, 
zuma  zumar  fischiare,  cara,  chidro,  clam.  chiama;-  vai  valle, 
cai,  camhdlla  galla  del  rovere  (rov.  diga,  ganbdla),  lacidrch  pesci 
sgomberi  (vnz.  langardi),  pdre  padre  (cfr.  n.  1,  e  3  in  f.),  cumdre, 

Jdn  anno,  glas,  braz,  grass ,  fdssa  fascia  cfr.  n.  1,  pidt,  strac, 
dàmno,  cdnuvo  canape  (vnt.  cdnevo),  cdmba  less.,  jàmna  anima, 
plani  pianto,  fdvro,  vdcca,  bdcco  cavalletta,  dil  aglio,  cand. 

E. 

6.  In  di  (I  443  n):  vdila  vela,  càira  cera,  pàira  pera,  siatdira, 
mesdira,  ndi  neve,  prdiso  -a,  spdisa,  màissa  mensa  (vnt.  mésa), 
va  in  a  vena,  catdina,  brdina  freno  (vnt.  bréna),  càina,  tdima  tema, 
acàid  aceto,  monàita,  crdid  credo,  fàid  fede,  ràid  rete.  Si  ag- 
giungono gli  esempj  flessionali  dei  num.  76,  77,  80,  82;  facassàite 
fareste,  credassdite  credereste;  ciàirt  certo. 

7.  In  a:  sdra  sera.  Ava  Eva,  sardn,  sdta,  prat  prete,  ra  re, 
tra  tre,  valdro  valere,  Rotóre,  sapdre ,  tacàre,  gaudàre,  bldre 
blàire  volere,  avàr,  vedàr,  caddr,  bar  bere,  veddro  vedrà;  e  con 
l'accento  risospinto:  ardàre  it.  àrdere,  premdre  premere,  prenddr, 
venddre,  offenddre  (cfr.  offidndro),  defenddr,  batdr  ali.  a  bdter, 
metdr  [metdra  metterò),  jongàrme  ungere;  creddra  crederò;  - 
stalle,  etdrna,  fdrme,  egli  fermi,  pask  pesce,  dulsdssa,  lane 
legna,  vdnder  vendere,  drànte  dentro,  sak  secco,  racle  orecchie, 
mat  meite, paldta  paletta,  cusdta  casetta,  tdte  mammelle,  beneddt 
benedetto  (cfr.  ddit  s.  i). 

8.  In  i,  ié  (cfr.  rov.  dign.,  I  442):  cil  cielo,  piasir  piacere,  prik 
prego,  lig  legge,  pira  pecora  (cfr.  rum.  ìsiv.  pire),  dik  dieci,  pz,  pi. 
pich,  piede  I  443;  virgina,  missa  mezza,  sisto  num,  71,  vigna 
venga,  Vida  Veglia,  si  num.  71,  vindre  venerdì,  da  dri  di  dietro, 
pitra,  li  prò  lepre  (cfr.  lévuar),  catriéda,  cemitiér;  niéna  madre 
,(vnt.  néna  balia). 


152  Ive, 

9.  In  id:  nidr  nero,  mids  mese,  vidd  vedo;  viàssa  vece,  hid- 
stia,  infìdrno,  vìdrz  verza,  viàrd  verde;  -  fidi  fiele,  midi  miele, 
sidd  siede,  sidp  siepe;  bidl,  anidl,  agnidl,  cadridl  quadrello  (mat- 
tone), mun'cdl  num.  57  n,  castiàl,  car viale,  tervidla,  sardidla, 
hassalcidla  num.  57  n,  sidla,  pidl,  fldr,  tiara,  insidra  serra,  chiudi, 
midrla  merlo,  nidr  nervo,  inviamo,  tavidma^,  vidrm,  pidrder 
(prtc.  piàrs),  jdrba,  tidsta,  fiàsta,  tempidsta,  didstra,  minid- 
stra,  canidstro,  vidspro,  incidnts  incenso,  as-cidnts  assenzio,  des- 
sendidnsa,  vestemiànt,  sermiànt  sarmento,  momiànt,  al- 
tramiànte,  fenalmiànt,  spisialmidnta,  diànt  (pi.  diàncs), 
ziànt  gente,  lidnt,  vidnt,  ciinvidnt,  arzidnt,  spidnt  spende, 
sidnt,  se  siànt,  iTÌAnia,  pulidnta,  spidnder,  ridnder,  offidndro, 
maridnda,  vidntro,  tidmp,  siàmpre,  spidch  specchio,  tzdk  tegghia 
(vnt.  teca),  liàt  il  letto,  spidta  aspetta,  pidcno  n.  58,  sidp  seppia, 
sidpto,  sidptimo  nn.  64,  71,  nidpta  n.  64. 

10.  Intatto:  muliér  mùlier,  me,  séga,  macera  (pi.  macere) 
maceria  I  489,  el  egli,  il,  péltro,  véskì  vescovo,  setémbro,  crédro, 
sèdia  situla,  jédma  hebdomas  cfr.  VII  531-2,  médco,  trédco,  sétco  n. 
71,  pépro  pepe,  [deb  et  a]. 

I. 

11.  In  di:  fdila  ella  fila,  essi  filano,  campandid  campanile,  aprdil, 
pdila  orciuolo  (vnt.  pila),  stopdir  stupire,  paraddis,  uldiv  {oléja 
uliva,  cfr.  rov.  uleia),  làin,  vàin,  fdin  fine,  sassàin  assassino,  7na- 
rdin  marina,  passera  in  'passerino',  ogni  sorta  uccelli  (così  il  rum. 
pdsere),  regidina,  rovàina,  cucidlna,  fusdina,  spdina,  hressdina 
brina  (rov.  briseina),  caprdina  capra,  cosubrdina  'consobrina',  vi- 
cina (fri.  consovrin  vicino),  moletdine  mollettine,  prdimo  prèin 
primo,  ddic  dico,  radàica,  pernàica,  faddighe ,  vàita  vita, 
vdida  vite  (ni.  Val-de-vdit),  zdit  'gito',  andato,  sbandditi,  maràit, 
ndid  nido,  dai  di  Dio,  mdj  màja  mie  -a,  vdja  via,  rdja  rea, 
Mardja  Maria,  cunpandja;  mdil  mdigl  miglio,  esdilg  esilio, 
botdile,  croce fdis,  conpardis  comparisce,  cagndis  pesce  cane 
(cfr.  vnt.  cagnizzo  cagnesco),  vdigna  véglia  vigna,  scdina  schiena 
(vnt.  schina),  camdìssa,  e  a  nà  issa  cinigia,  ddit  detto  (vnt.  dito), 
fastdide  fastidio.  Con  solo  a,  anziché  di:  apidr  ali,  a  aprèr,  aprire, 
zdrme  ali.  a  zérme,  gire,  rostdr  arrostire,  impendr  empire  (vnt.  im- 
penire). 


e  ama  nera,  si.  —  Caso  sui  generis  è  in  spidnza  milza,  I  510. 


Il  dial.  veglioto  :  Voc.  toniche;  i,  o.  15$ 

12.  In  éi,  e  (cfr.  rov,  dign.,  I  442):  sèi  così,  sì,  carestéja,  hecca- 
réja;  féil,  f.  féilga,  pi.  m.  féilgi,  figlio,  famèilg a ,  féina 
fé  iuta  fénta  fino  a  (rov.  dign.  féina  féinta);-  dormér,  spartér, 
coprér ,  ohbedér,  venero,  comparére,  sentérme  sentire,  vestérse, 
cossér  cucire,  aprér  (cfr.  apidr  n.  11),  zérme  (cfr.  zdrme  n.  11);  mei 
mille,  lambéc,  ree,  rédre,  lébra  lira,  lébro  libro. 

13.  Intatto:  rechina  orecchino,  viu  (rum.  id.)  vivo;  villa,  gril, 
etneo  cimice,  camistro  tritume  di  paglia,  quasi  'calmistro'. 

0. 

14.  In  àu  (I  445):  gdula  gola,  jdun,  f.  jduna,  giovine,  che- 
Iduna  colonna;  trdunk  tronco,  tdun  tonno,  sdiipra  sopra;  àura 
ora,  jàura  (la)  l'ora,  al  dura,  fidur,  sudàur,  onàur,  amàur, 
signdur,  salvatdur,  pentàur  pittore,  pecatdur,  pastdur,  se- 
rdur  (e  sàur  I  445  n),  stduria  storia,  far  sdura  padella  (vnt. 
fersòra),  golàus,  genera us,  avaràus  *avaroso,  pericoldnssa , 
nàun  (acc.  a  nud)  non,  patrdun  padrone,  rassàun  ragione,  stassdun 
bottega  'stazione',  mila  un  mellone,  bosdun  boccione,  religiàun, 
agdun  cheppia  (vnt.  agón),  prezdun,  ^\.  p  erj dune,  prigione,  sal- 
bdun  sabbione,  sa.'pàu.n,  poltrdun,  persa  una;  ndum  nome;  crduk, 
nàtica;  nepàut;  linzdul  lenzùl  lenzuolo,  ut àw  ?«,  stóttra  stuoja, 
sdun  zampogna  (rov.  sona).  Solo  a  in  sarg  sorgo,  vari  (dign,  vdrto 
I  443)  orto,  sdmno,  inghidstro. 

15.  In  ud  (I  496):  budlp  volpe,  fuórma,  spuàrc,  sudrd,  ruàss,. 
budsc,  secudndo,  culudnb,  pludja,  fudja,  budj  blàjo  voglio 
(cfr.  rum.  voiu  e  vreu),  fud  Ip,  pudls,  cudr  corre,  atudrn,  dudrmu 
dormo,  puàrc,  quattudrco  num.  71,  mudrt  sost.,  puàrta,  miseri- 
cudrdia,  udrz,  cudrp,  vudrb,  garudf  gherofano,  udsse  ossa, 
cudste  coste,  nuàstro  vuàstro  (accanto  a  nuéstro  vuéstro), 
bisudgn,  ludng  (vnt.  longo),  fruànt,  mudnt,   Pudnt  ni. 

16.  In  uó:  pruònta,  cuótta  cotta,  scuòt  scuòta  scotta,  capuót 
cappotto,  piersiguót  persico.  Si  aggiunge,  fuor  di  posizione,  mòsse 
fiori,  'rose'. 

17.  In  w:  pùlvro,viìira,  and  uve  dove,  argùst  aragosta,  buca; 
bu  bue,  buie  bóle  vuoi,  dui,  cur  cuore,  fùre,  bùra  'borea'  (vnt. 
bòra),  nuf  nu  n.  71,  bun  bùna,  fuc,  inut  adesso,  'modo',  meziil 
bicchiere,  'mediolo',  sedar ùl  fazzoletto,  'sudariolo',  fassùl,  pi.  fa- 
ziilij,  fagiuolo,  matrimùni,  testimùni,  Anticne,  Tùne,  fui 
folle  (mantice),  ùrgano,  sùrco  sorcio,  recùrdete,  dapù  di  poi, 
ciimpra  cóinpera[no],  cùcro  (ali.  a  còsser)  cuocere,  zùa  'jovia'  gio- 
vedì, j  linda  *anda,  vieni. 


154  Ive, 

18.  Intatto:  fórno,  most,  agóst,  fosc  nero,  'fosco\  jungla  unghia, 
jónda,  mónda,  fond,  plomb,  cómio  gomito,  róca,  denócle  ginocchio, 
pedóclo ,  dolc  dólsa  dolce,  sóglo  collo,  'soggolo',  so  te  sotto,  flótta 
goccia  ;  purgatòri,  jórden  ordine,  desórden,  còsser  cuocere,  ascóndro 
nascondere,  jómno  uomo,  ócto  n.  71,  octóbre,  scótta  ricotta  (trent. 
scótta). 

U. 

19.  In  ói:  chiói  culo,  móir,  planóira,  sepoUóira,  mejatóira  urina, 
cratóire,  s-ciopatóire  fessure  (vnt.  scopadùre),  fóiss  fuso,  sóis  suso, 
jóin  jói  jóina  uno  -a,  certjóin,  pi.  certàin,  certuno,  nencjóin 
nessuno,  lóina  luna,  lóine  lunedì,  bróina,  lo  in  f.  lume,  pò  in  pugno, 
flóim,  spio  ima  spuma  I  547  e,  lòie  luc[ono],  spóit  sputo,  avóit, 
nascóit  nSito,  23otóit  (accanto  a  potàit),  vedóit  vedàit,  carnóid 
V.  less.,  cróit  crudo,  nóide  nude,  fróit  frui  ivniio ;  jóint  jóit  ba- 
gnato, 'unto'  (cfr.  rum.  unt  uns);  -  nói  no  mi,  non  no  (cfr.  uàun). 

20.  In  o:  móffa  muf£-à,  jóst,  sot  asciutto,  jónco  n.  71. 

21.  Intatto:  dezun  digiuno,  \_medùl  ventre,  cfr.  rum.  medular 
membro],  pulco,  buso  buco,  hlgio  luglio  \ 

Vocali  atone. 

22-23.  A.  Intatto:  arur  arare,  arzidnt,  avàr,  affuór,  amudr, 
aprdil,  ecc.;  a  làura,  palàure  parole,  ìnaridnda,  dimandua  do- 
mandava, ecc.  Assimilato  alla  labiale  in  cdnuvo  (vnt.  cdnevo)  canape. 
—  24.  Dilegui,  a  formola  iniziale,  in  conformità  del  vnt.  e  del  rov. 
dign.:  spiata  aspetta,  murduca  amorosa,  massure  ammazzare, 
bandunure,  scuntùte  ascoltate.  Ancora  custuót  accostato, 
gnidi  (ali.  a  agnidl)  agnello,  bondudnza. 

25.  E.  Intatta  ordinariamente,  massime  se  in  prima  sillaba:  etèrna, 
pernàica,  serudr  serrare,  nencjóin  nessuno,  sentemidnt ,  penti- 
sudrse ,  pecdts,  regidina,  septuànta,  ecc.  —  26.  Passata  in  a: 
carvi  àie,  racuorddr  (ali.  a  re  curde  te);  e  pochi  altri.  —  27.  Assot- 
tigliata in  i,  davanti  a  nasale  e  palatina:  pinsamidnt  (cfr.  dalm. 
rag.  pinsaminto  I  434  n,  e  vnt.  rust.  2^i^siéro  pisiéro),  spisial- 
midnta,  ricomùnz  (ali.  a  recomuónd  recumdn),  mildun 
mellone  ^   Lo  spoglio   è  negativo  per  la  riduzione  ad  i  «  nella  antica 


^  pie  ùrie  e  funghi  (serbo  peciirka),  plùchia  polmone  (slov.  pitica)]  sùma 
fascio  di  frasche  (serbo  suma  selva). 


Il  dial.  veglioto:  Yoc.  ton.  ;  u.  Yoc.  atone.  ISS 

penultima  dell'infinito  »  ;  cfr.  rov.  dign.  e  piran.,  I  437.  —  28.  Ridotta 
ad  0  all'uscita  (cfr.  rov.  dign,,  I  440).  Negli  infiniti:  venero  venire, 
placàro,  valdro,  e  raserò  crescere,  crédro  ecc.  Meno  frequentemente 
nelle  altre  forme:  vidntro,  setémbro,  sidmpro  sàpto.  Cfr.  I  307 
424.  —  Va  poi  qui  insieme  considerato  l'importante  fenomeno  della 
sincope  di  e  atona  interna  (I  441  424-5):  plungre,  rédre,  crédro, 
cùcro  cuocere  (ant.  ver.  cógro),  puóscro  pascere,  ascòndro  (ant.  ver. 
ascóndro),  imprdndro,  depidndro ,  offìdndro,  respudndre  ecc.;  e 
nei  sost.  e  num.  :  pulvro,  pépro,  cinco  cimice,  pidcno  n.  58,  dot  co 
irédco  sétco  n.  71.  —  29.  Costante  il  dileguo  all'uscita  singolare  del 
nome  (I  444):  mudrt,  ndi  neve,  fàid,  ràid,  nuàt,  hudt  botte,  btidlp^ 
n  epa  ut,  vidrm,  mudut,  pudnt,  fruànt,  sudng,  rudm  fu  dm,  vai, 
cai,  ecc.  Nel  verbo,  le  forme  apocopate  si  alternan  colle  piene.  — 
30.  Raramente  V  i  lat.:  ligudr  legare,  veglidju  io  veglio;  cui  si  ag- 
giunga: miiir  mingere. 

31.  I.  Alterato  in  e:  fecudt  [xni.  flgd)  fegato,  lenzùl  (vnt.  linziòlo)^ 
perduri  [vni.  piròn)  forchetta  II  316,  finidstre  (vnt.  fen-),  denócli 
ginocchi  (ven.  zen-),  dezùn,  desórden,  despondr  (vnt.  rust.  desjjo- 
ndre)  disporre,  ecc.;  medésem;  fiire  fuori,  fastdide  fastidio  (rov. 
fasteidio),  ecc.;  e  nella  seconda  sing. :  no  te  siànte  non  senti  (cfr. 
cador.  no  te  siente?  I  405).  —  32.  Alterato  in  a:  ancùsene  (vnt.  an- 
cùzene)  incudine,  andica  (vnt.  indóve  andòve,  cfr.  I  67),  anincs 
(rum.  indinte)  innanzi,  canàissa,  e  alcuni  altri.  Qui  s'abbia  ancora: 
cóissa  così.  —  33.  Dilegui  d'i  at.  lat.:  Talidn  n.  1.,  nincs  (rum. 
ndinte)  innanzi;  jàmna  anima,  pidcno  n.  58,  drùcno,  médco,  cinco 
cimice,  domiénca,  pùlco,  surco  sorcio,  ecc.  E  nei  verbi:  macnudr, 
medcudr,  bescudr  less. 

34.  0.  Intatto:  obbedér,  comjìarére,  copidrta,  rovàina,  mnrdus 
(vnt.  moróso),  f.  murduca.  —  35.  Solitamente  riflesso  per  u  (cfr. 
rov.  dign.,  I  445):  ustardja  (rov.  ustareld),  uldiv  ulivo,  ali.  a 
oléja  uliva  (rov.  uleìa,  dign.  oléja),  curtidl,  cucidina^  funtuóna, 
curidnta  corrente,  numinur,  durmér;  cdvul  cavolo;  ecc.  — 
36.  Dilegui:  racle  (vnt.  réce)  orecchie,  rechina  (vnt.  rechi)  ovq- 
c\iino^  ;  jédma  hebdomas,  missédma  mezzedima,  bardilo,  ecc.;  senza 
dir  della  uscita,  per  la  quale  pajon  quasi  superflui  gli  esempj  :  muòn 
mano,  poìn,  priénz  pranzo,  budsc,  dil,  cudrp,  cuòmp ,  ecc.  ecc.; 
nella  1.  persona  singolare  pres. :  crdid,  vidd  vedo,  mai  maiio;  cfr, 
nn.  75,  76. 


*  ^ro A  ragazzo  (slov.  otrok),  vet  biada,  avena  (slov.  oves). 


156  Ive, 

37.  U.  Di  regola  intatto;  sudàiir,  stutudrme  (vnt.  studdre  stuàre) 
spegnere  ;  ^ar^ttrÉiV ,  muliér.  sculiéra  (vnt.  sculiér)  cucchiajo,  ecc. 
—  38.  iy\h'^m\  jungla  ungula,  pò  pio,  só(jlo  collo,  pécla  (rov.  pi^wte) 
picula,  senza  dir  di  pedóclo,  denócli,  uà  eli  oculi. 

39.  Dittonghi  in  laudare,  gaudàre  godere;  au  seriore  in  fauldr, 
cfr.  fri.  feveld,  sp.  hablar. 

Continue. 

40.  J  talora  intatto  a  formula  iniziale:  jóst  giusto,  jduna  gio- 
vine^; ma  è  pure  riflesso  per  è,  come  nei  parlari  veneti:  jucàre 
ali.  a  zocudr;  zugno  giugno,  zua  'jovia',  Zuéche  ni.  (cfr.  vnz.  Zuèca 
Giudecca)  dezun. 

41.  J  complicato.  —  LJ  (-LLJ):  miìlier,  vóli  voglia,  nòlia  ali. 
a  nója,  nulla,  VII  609  e  ;  esdilg,  faméilg a,  féilgi  pi.,  ali.  al 
sng.  féil;  dil  aglio,  uàil  ali.  a  udì,  ìnóil  e  mdigl,  botdile;  riflesso 
semplicemente  per  j,  come  nel  rov.  dign.  ecc.:  fudja,  céja,  ecc.  — 
RJ:  attrazione  in  mesdira  miseria;  dileguo  in  macere  macerie  I  489. 
Cfr.  -ARIO  s.  num.  3.  —  VJ:  dileguo  in  zùa  jovia.  —  SJ:  ridotto  a 
k,  -Q'.  rez  razza,  mazón,  ruzùda,  fazùlji  ali.  a  fassul, prezdun 
ali.  a. prigidiina  e  per j dune  pi.;  biss  bacio,  kis  cacio,  Magnakis 
ni.  —  NJ  :  spidnza  milza.  E  vanno  suddistinti:  1.°  njo  ecc.  di  an- 
tica base:  calcdin,  stdign  I  13,  [orgdin  aratro],  guaddign,  v  dign  a; 
signdur  ali.  a  sendur;  2°  nj  da.  n  +  i  di  pi.:  certàin  certuni,  jéin 
anni;  3."  nj  da  n  che  preceda  l'i  del  dittongo:  anidl  anello,  finid- 
stre,  minidstra,  nidpta,  ecc.  —  DJ:  [mis ericudrdia,  miseri- 
ciirdidusil;  riflesso  per  z  -z  in  mezùl  I  511,  udrz,  vidrz^ 
priénz.  Viene  poi  il  fenomeno  seriore  di  e  (cfr.  TJ)  ^  per  c?+i  all'u- 
scita, per  lo  più  di  pi.,  I  439  n,  512:  tiércs  tardi,  pick  (e)  piedi, 
lacidrch  sgombri  (vnz.  lanzdrdo).  —  TJ.  Superfluo  fermarsi  alle 
riduzioni  come  s'hanno  in  lenzùl,  alzùr,  rassàun;  e  passiamo  sen- 
z'altro a  t  +  i  all'uscita  (cfr.  DJ  e  I  512):  vencs  venti,  anincs  in- 
anti  ;  diàncs  denti  (rum.  dinzi),  tocs  e  tóió  tutti,  da  lics  "da 
latj  (?);  alla  qual  serie  non  si  possono  ascrivere,  né  grets  grazia, 
né  as-cidnts  assenzio. 

42.  L.  Generalmente  intatto:    lac,   lèvuar  lepre,  juàlb,   dolc, 


^  Jane  Giovanni,  è  lo  si.  Jànez. 

^  Il  Cubich  scrive  -cs  (e  talvolta  -eh),  per  -e,  -g;   e  io  ho  mantenuto  le 
sue  grafìe. 


Il  diul.  veglioto  :  Gonsou,  couliiiue.  157 

fuóls,  sii,  ecc.;  LL  :  vai,  cai,  piai,  gril,  medul,  ecc.  La  solita  dis- 
similazione in  curii  al.  Strano  il  d  in  campandid.  Sarà  analogico  in 
se  te  bude  'se  vuoli',  benché  non  ci  sia  dato  un  *pùde  puoi.  Taciuto 
in  satudr  saltare. 

43.  CL.  A  formola  iniziale  é  spesso  conservato,  clemidnt,  da- 
mica  ecc.,  cfr,  scludv;  ma  la  resoluzione  ven.  e  it.  è  in  chiaro,  chia- 
■mudr  [cfr.  capiir,  capurme  chiappare].  A  formola  interna,  per  lo 
più  intatto:  uàclo,  racle  I  323,  pi^*^^^  pece,  denócli,  pedóclo  (ma: 
spidch  specchio);  Castelmusclo  n.  loc.  Ridotto  a  semplice  e  in  mescudr 
mescolare;  cfr.  ascduìi  saliscendi,  chiodo,  se  è  *ascolone  =  astulone 
(tl),  cfr.  bologn.  stlon  asse.  —  44.  TL.  Segue  generalmente  le  norme 
di  CL:  vie  e  lo,  dàcli  diti  I  438  n,  e  Vida  Veglia,  'la  città  di  Veglia' 
e  anche  genericamente  'città'  ^  (onde  veclisùn  vegliesano,  'veglioto'), 
sebbene  altri  abbia  presunto  che  rivenga  a  Vigilia^,  presunzione 
alla  quale  contrasta  anche  la  ragione  dell'accento;  e  di  varia  età: 
^édla  situla;  hard  tic  —  45.  GL:  glas,  gldiha  gleba,  ecc.;  jóngla 
unghia  I  323,  sdnglo  singolo  [sòglo  'collo'].  Parrebbe  riflesso  per  -e 
in  tidk  (cfr.  n.  58)  tegghia  (anche  tid'éa,  cfr.  vnz.  teca).  —  46.  PL: 
jpldssa,  pldina,  plomh,  plùngre,  plani,  pludtena  (vnt.  piddena), 
pluk  piace,  pfói'u  piove,  p /Maja,  pie  più,  dupllr,  implére.  Di  ragion 
veneta:  spidnza.  —  47.  BL:  blasmudre  I  514,  blank;  subldr,  su- 
hlòi.  Metatesi  in  salbdun  sabulone-  I  57.  —  48.  FL:  flóim,  inflo- 
ràja  fioriscono,  sufldjo  io  soffio.  Con  la  riduzione:  fidur,  fiordin, 
e  altri. 

49.  R.  Resiste  pur  nell'uscita  degli  infiniti,  così  determinandosi 
un'antitesi  tra  veglioto  e  rov.  dign.,  I  436.  Dileguato  in  apidr,  ali. 
ad  aprér.  Di  lieve  momento  i  fenomeni  che  sono  in  perj dune  pri- 
gioni, frabicudr,  catriéda;  palàure  parole,  juàrbul  (fri.  drbul), 

50.  V.-  Si  mantiene,  al  solito.  È  b,  come  nel  rov.  dign.,  in  budlp 
volpe,  oltre  che  in  bldre  volere  nn.  7,  15.  11  ^  ài  g ombro  vomere, 
ha  il  suo  riscontro  nell'ant.  it.  gémere,  vnt  rust.  gomiéro.  All'uscita, 
passa  facilmente  in  f:  nuf  (e  nu)  nove,  muf,  plóif  (Udina)  piove. 
Assorbito  o  dileguato  in  zùa  'jovia',  bu  bove,  nua  (e  nùva)  nuovo  -a, 
véi  viu  vivo;  ndi  neve,  nidr  n^irvo.  —  51.  Quanto  a  to  iniziale,  gli 
stessi  riflessi  che  nell'ital.  o  nel  vnt.,  ma  con  l'eccezione  di  vóita  guar- 
dia, 'guaita'. 


*  Nelle  Memoriae  Veglenses,  dal  1382  al  S7,  anche  Véglia. 
^  G.  Vassilich,  Appunti  stor.-etnogr.  ■  suW  isola   di  Veglia,  Trieste  1882, 
p.  5  n. 


158  Ive, 

52.  S.  Nulla  di  notevole,  tranne  i  resti  del  -s  di  sec.  pers.  sgn,,  di 
che  vedi  il  num.  76.  Illusorio  il  -s  che  vediamo  nei  plurali  puàrcs 
{^pudrc),  mudrts  squdrts  e  simili,  nei  quali  in  realtà  si  continuano 
i  tipi  di  plural  rumeno  in  -ci  e  -zi  (cfr.  TJ  e  DJ  al  n.  41).  —  53. 
SCE  allo  stato  di  -sk  apparirebbe  m  pask  pesce;  cfr.  I  64  e  il  num.  57. 

54.  N.  Nulla  di  notevole,  se  forse  non  sia  il  caso  che  taccia  finale 
in  nu  no  nùa  non  (rum.  nu,  vnt.  no)  ali.  a  nàun.  —  N'M:  jàmna, 
cfr.  I  544  b.  —  NR:  vindre  venerdì,  'venere'  (ant.  ver.  e  rover.  mod.: 
véndro).  —  NS:  notevole  pensudr  ali.  a  pesudre. 

55.  MN  M'N:  sdmno  sonno,  dàmno,  jómno  uomo  hom'ne-. 

Esplosive. 

56.  C  intatto  nelle  formole  ex  e  co:  cauptòte  num.  64,  cuóp,  kis 
cacio,  schirp,  zocudr,  ddic  dico,  fàica,  fuc;  vacca,  buca,  budsc, 
fosc,  ecc.  La  sonora  dell'italiano  ritorna  in  séga,  segàura,  p riedita, 
ali.  2l  precùte.  Singolare  è  lo  e  dinanzi  airoi  =  u,  in  sciòr  imposte 
delle  finestre  (vnt.  scuri),  e  n  e  n  e  j  ó  i  n  nec  unus  ;  e  cimelio  impor- 
tante apparirebbe  odia  guarda  (friul.  'odia),  v.  n.  5,  cui  s'appajerà, 
per  G-  (*c-),  g  j:  jdt  gatto. 

57.  Ma  la  gran  caratteristica  del  consonantismo  veglioto  è  nella 
gutturale  che  risuoni  pur  nelle  formole  CE  CI  (e  conseguentemente 
in  quelle  di  sonora  GÈ  Gì  num.  61):  càina  chenùr,  carvi  ài  e  I  437, 
canàissa,  acàid,  placdro,  tacàre,  cùcro;  macnudr;  drùcno;  dik 
dieci  ecc.  num.  71;  crduk,  nduca,  lòik;  pècla  pece;  tik  taci, 
pluk  piace;  ciuco  cimice,  pùlco.  —  Occorre  la  palatina  o  la  sibilante, 
secondo  il  tipo  italiano  o  il  veneto,  in  cistiérna,  certjóin,  vicidin; 
sii  ali.  a  cil  ciél,  sidri  ali.  a  cidrt  ciàirt,  prinsidp,  dò  Isa, 
fusdina,  e  altri  ^ 

58.  CT.  11  riflesso  alla  rumena  è  neìV -apio  (-uapto)  di  dikiddpto 
num.  71  (cfr.  Asc.  I  437  n,  St.  Cr.  1  61  =  339),  allato  ad  ócto  octóbre. 
Resta  il  e  e  tace  il  t,  susseguito  che  questo  fosse  da  altra  consonante, 
o  venuto  all'uscita:  pidcno  pectine-,  lik  lacte-.  Del  resto:  liàt,  nuàt, 
beneddt  ecc. 

59.  QV:  que  che;  qudter,  quider,  [cotidiùn],  allato  a  ca- 
dridl,  cand  ali.  a  qudndo,  e  dico,  cont. 

60.  G.  Analogamente  al  num.  56:  g aldina,  inganudr,  [faddighe], 
ludng,  sarg,  juàc  ago;  cui  s'aggiungono  per  GV:   ludnga;  sudtig. 


^  Entra  sicuramente  la  ragion  del  dittongo  (t-ià  t-ja;  h-id  k-ja)  nel  e  di 
muncdl  munchiàl  monticello,  e  bassalciàla  chiesa  e  n.  loc. 


Il  dial.  veglioto:  Cons.  esplosive.  Accid.  generali.  1159- 

61.  GÈ  Gì.  In  analogia  al  nam.  57:  gheluàt  ghelàuta,  jón- 
gàrme,  recólgro,  plùngre.  Riflesso  italiano  o  semi-italiano  nei  non 
popolari  generàus,  regidina,  j emdnd;  riflesso  veneto  in  ziànt, 
arzidnt,  zérme  ecc.  Col  d  [=  ir)  ven.-istr.  (cfr.  I  439  ecc.):  denócle 
ali.  a  zenócle,  e  depidndro. 

62.  T.  Senza  dir  di  t  iniziale,  notevole  che  la  sorda  perduri  in  ca- 
tdina,  patrdun,  fruàtru,  scutro,  vedóit  ecc.,  ali.  a  vdida,  vite, 
acàid,  ràid.  Di  -#,  v.  il  num.  76. 

63.  D.  Nulla  di  notevole,  poiché  non  c'è  nulla  di  singolare  nel  com- 
parir che  fa  la  sorda,  nelle  sue  veci,  all'uscita  (cróit  ali.  a  fàid)  o  nel 
nesso  D'C:  dótco,  sètco,  ali.  a  trèdco,  mèdco.  D'R  in  rédre,  ascón- 
dro,  respudndre,  imprdndro  ecc.  Mal  si  crederà  che  dessér,  morire, 
sia  veramente  il  lat.  decedere,  ostando,  per  non  dire  del  resto,  il  di- 
leguo, che  andrebbe  così  presunto,  del  d  di  d'r. 

64.  P:  pàuper  ecc.  Notevole  che  si  regga,  come  nel  rumeno,  il 
p  di  PT:  sàpto,  nidpta;  cui  s'aggiunge,  per  pt  da  vt:  caiptàre^ 
capta  cdipta  càuta  (rum.  caut-,  cfr.  Asc.  St.  Cr.  I  69  =  347).  Non 
fa  specie  la  mancanza  del  p  in  cónto,  p mónta. 

Accidenti  generali.  —  65.  Parecchi  esempj  di  accento  che  si 
RisosPiNGE  in  verso  alla  fine  della  parola,  erano  ai  num.  8,  14,  ed 
altri.  Singolare  è  vii  divo  ottavo  num.  71;  ma  ancora  più  singolare 
alegdr  allegri.  —  66.  Prostesi.  Di  v;  scarsi  esemplari  e  non  specifici 
(vudt  e  ócto,  vari,  vtcdrb,  vudrz  e  udrz).  Ned  è  mera  pro- 
stesi quella  di  s  in  squdrts  quarti,  svdud  vuoto,  ecc.  Ma  è  fre- 
quente il  caso  di  j  prostetico  (cfr.  1  438):  jàmna,  jduca,  jàura, 
jdur,  j  acqua  ali.  ad  dqua,  jdn  pi.  jéin,  jóin  jóina  [certjóin], 
jédma,  jóiva  uva,  juàc,  jàl,  juàrbul,  juàlb,  jùnda  vieni  (*ànda),. 
jùltrn,  jiilzete,  juónziuol,  juópa,  juv,  ^ómno,  jórden,  jónda, 
jóngla,  jónco,  jóst,  jongàrme.  \n  jdrba  erba  (rum.  jarhà,  rov, 
gièrba)  si  tratterà  del  dittongo. 


IGO  Ivo, 


Vm.   Varia. 


a.  Note  morfologiche.  —  6.  Indice  lessicale.   —  e.  Cimelj  ru- 
meni dei  territorj  di  Poglizza  e  Dobasnizza  nell'  isola  di  Veglia 


a.  Note   morfologiche. 

Nome.  —  67.  Di  ragione  nomitiativale,  oltre  ladre  53,  il  solito 
tìserapio  sàur  sóror,  ali.  a  serdur  p.  132,  soróre.  —  Per  la  dilfu- 
sione  analogica  delle  desinenze  caratteristiche  dei  generi,  si  notino: 
ciuco,  pulco,  nduca,  pernàica,  radàica;  màuro  72  (ali.  a  màur 
73,  rum.  mare)  màura  71,  dólsa.  —  Il  fem.  alla  latina  in  la  j  uàc, 
I  439;  col  quale  esempio  può  starsene  per  avventura  la  falca  p.  119. 
—  Un  collettivo  abbastanza  notevole  (cfr.  VII  439-40):  la  debéta 
p.  119.  Ma  la  céja  p.  118,  col  sentimento  di  uno  schietto  singolare,  è 
di  dialetto  veneto.  —  68.  Molto  notevoli,  per  la  ripercussione  interna 
dell' -i  di  plurale,  gli  esempj  seguenti:  jdn,  pi.  jèin  p.  \2{}\  jùltro  ^ 
^l.  jiltri  (cfr.  jùltre)  p.  121;  tot,  pi.  tóió  tòich  p.  124''*';  certàin 
p.  118,  plur.  di  certjóin;  cost,  pi.  edisi  220;  cuón,  pi.  cuini 
p.  119;  de  ciò  e  détco,  pi.  dà  eli  *daicli;  cfr.  1  438.  Del  rimanente, 
i  pi.  d'ambo  i  generi,  alla  foggia  it.  e  vnt,,  quando  si  eccettui  una 
breve  serie  che  non  fa  il  pi.  diverso  dal  sng.,  o,  meglio,  non  ci  lascia 
più  discernere  la  differenza  tra  i  due  numeri:  criss  p.  119,  biss  p.  117, 
braz  ib.,  puds  173,  castiài  p.  118,  curtidl  p.  134  (cfr.  ancora: 
canapiàl  p.  118,  juàrbul  34;  affuàr  69,  pàuper  13,  alegàr 
175  e  alèger  237;  sassàin  53,  pinsamidnt). 

Articolo  e  pronome.  —  69.  L'articolo  determ.  non  differisce  dal 
venez.:  el  1,  20,  39,  72,  73  ecc.,  del  ecc.,  en  tei  55,  80,  107;  i, 
de  i  ecc.;  la,  de  la  ecc.,  en  téla  23  e  nel  a  3/;  le,  de  le  ecc.  — 
Indetermin.:  jóin  Ib,  jói  p.  120\  jóina  (cfr.  §  VII  19,  6t>).  —  70. 
Pronomi  personali:  ju  p  126,  j'd  74,  75,  tne,  a  ine  136,  con  màio 
60;  tu  205,  te  31,  a  te,  per  te,  con  tdik;  jàl  p.  126  e  jiil 
p.  121,  fein.  jdla;-  pi.   uujiltri  p.   126;  vu  allato  a  vo  vói;   lu 


Il  dial.  veglioto:  Note  morfologiche.  J61 

p,  121;  jài  p.  126;  j,  i,  eglino,  lóur  p.  121,  f.  jdle.  Per  le  forme 
congiuntive:  me  3,  15,  18,  28,  mi  p.  121,  te  50,  se  33,  ve  108,  el, 
l',  il,  ju  p.  121.  j,  ga  162.  —  Pronomi  possessivi:  me  mèi  124  e 
mi  18,  mdju  mio,  me  e  màja  59,  mia,  mi  miei  p.  121,  mdj  [mdj 
cratóire  109)  mie;  to  p.  125,  pi.  tói;  sóo  p.  124,  su,  so  a  284,  sua; 
nudster  e  nuàstro  p.  122,  vudster  p.  126,  vu astro  I  146.  —  Di- 
mostrativi: cost  p.  119,  pi.  cóist  n.  68;  còsta  139,  sta  46;  col 
p.  118,  cóla,  cóle-,  qui  162,  chi  125,  quei.  Interrogativi  e  relativi: 
que  [che),  cai,  co  (che  cosa,  come),  32.  Indefiniti:  certjóin,  pi. 
certàin  p.  118,  nencjóin  -a-,  qualunque  jóin  p.  123,  tot  49,  pi. 
tocs  tóich  tóic  n.  68,  cont  e  cùnte;  el  tuàl. 

71.  Numeri.  —  Cardinali:  jóin,  f.  jóin  a,  1;  dói  (p.  119)  dóje  (474) 
2;  tra  (p.  125)  3;  qudter  quattro  4;  cink  ciénc  5;  si  sis  6; 
sapto  sidpto  7;  ócto  vudt  8;  nu  nuf  9;  die  10;  jónco  (e 
dikjónco  p.  134)  11;  dótco  (e  dikdù  ib.)  12;  trédco  (e  diktrd) 
13;  quattudrco  (e  dikqudter)  14;  ciónco  (e  dikcink)  15;  dik- 
si[sj  16;  dichisdpto  17;  dichiddpto  18;  dichinù  19;  vencs  20,  ven- 
chjóin  venchidój,  ecc.;  triànta  30;  quaranta;  cionquànta;  ses* 
suànta;  septuànta  setuónta  170;  octuànta;  nonuànta;  ciani 
sidnt;  mei  (p.  121).  Ordinali:  prdimo  préin  106;  secudndo; 
trdto;  cuórto;  cincto;  sisto;  sidjotimo;  viidtvo;  nùfto; 
dicto  ecc.;  jó  il  timi. 

Verbo  ^.  —  72.  Quanto  ai  tre  tipi  della  conjugazione  neolatina, 
qui  abbiamo  i  turbamenti  già  da  noi  riconosciuti  nello  spoglio  fonetico. 
Ripassiamoli  rapidamente;  I  conjug.:  fauldr,  subldr,  blasmudre,  chia- 
mudr,  catór  109,  massùre;  II  conjug.:  ridnder,  spidnder  p.  124, 
vdnder,  rédre  p.  123,  plùngre,  respudndre  p..  123,  ascóndro  p.  117, 
depidndro  p.  119,  imprdndro  p.  120,  crédro  p.  119,  cùcro,  puóscro 
p.  123,  recólgro,  scùtro  15,  offidndro  p.  122,  cràsero  p.  119, 
mùver  p.  122;  [tacàre  Rotóre];  III  conjug.:  stopdir^  venero  p.  125, 
comparére,  aprér,  coprèr  p.  118,  vestér  p,  126,  zér-me  e  zdr-me 
p.  126. 

73.  L'infinito,  specie  della  prima  conjugazione,  si  trova  di  spesso 
accompagnato  da  un  -me  enclitico,  senza  che  ne  venga  alcuna  modi- 
ficazione del  significato;  e  al  -me  talvolta  s'aggiunge,  come  per  seconda 
enclisi,  -se,  ancora  senz'alterazione  del  significato.  Notiamo:  conzudrme 


*  Il  Cubich  avvertiva  {Istr.,  n.  16,  p.  J21,  Notizie  ecc.,  p.  113),  che  i 
verbi  veglioti  'sono  in  gran  parte  diffettivi  e  irregolari,  spinosissimo  labirinto 
'per  chi  osasse  percorrere  e  notare  le  singolarità  di  stato,  di  tempo',  ecc. 

Archivio  glottol.  it.,  IX.  11 


162  Ive, 

p.  118,  entrudrme  ali.  a  entruàr  p.  119,  pensudrme  p.  122,  resti- 
tudrme  p.  123,  ali.  a  restitudr  115,  spacudrme  p.  124,  stutudrme 
p.  125,  jongarme  p.  121,  sentérme^;  bastomidrmese  p.  117,  espo- 
jàrmese,  cfr.  se  tormentudrme  p.  125.  Circa  il  -me,  s'  è  pensato  al- 
l'albanese (Asc.  I  440), 

74.  Nell'uso  dell'infinito  in  funzione  di  sostantivo,  traluce  l'abitudine 
rumena:  pentisuàrse  p.  122,  confessione,  sposudr  p.  124,  sposalizio, 
debetudr  debito,  crédro  'credito',  rédre  p.  123,  riso. 

75.  Tema  del  presente.  Frequente,  specie  nella  prima  conjugazione, 
quell'accrescimento  nelle  quattro  persone  critiche,  che  pel  rovignese  si 
determina  nel  tipo  -i-o  1^  ps.  sng,  (p.  e.  harufio,  carighio),  -i-i  2^  ps. 
sng.,  -i-a  3^  ps.  sng.  e  pi.  ;  e  conseguentemente  pel  veglioto  in  -di-o, 
'àj  {-idj),  -di-a  ^  Ecco  i  miei  esempj  : 

1*^  ps.  sng.  guadagndju  264,  pascoldjo  310,  sperdjo  371, 
stimdjo  p.  135,  studdjo  ib.,  suddjo  ib. ,  sufldjo  ib,,  suspi- 
ràjo  ib,,  tirdjo  261,  tocdjo  p.  135,  tremdjo  ib.,  velgdjo  160; 
sapdjo,  potdjo  263,  sielgdjo  p.  135,  tacdjo  ib,,  tossdjo  ib., 
vendjo  p.  125. 

2^  ps.  sng,  desiderdj;  -  revulgdj.  Dove  potranno  stare  an- 
che gli  es.  di  2*  ps.  sng,  imperat. :  adordj ,  de  liberidj;  creddj 
205,  decdj,  remetidj. 

3*  ps.  sing.  catdja  328,  desprezidja  p,  119,  durdja,  338,  ful- 
minàja  44,  sp e rdj a  354,  tonàja  44;  -  despondja  84,  distengudja 
p.  119,  facdja  332,  potdja  334,  premdja  p.  123;  inpendja. 

3^^  ps.  plur.  favldja  263,  infloràja  34;-  facdja. 

76.  Desinenze  personali  del  presente.  L'-o  della  1^  pers,  sng, 
può  anche  mancare:  blàjo  e  blàj;  cfr.  n.  36,  Del  -s  di  seconda  sono 
avanzi,  in  parte  tralignati  (cfr.  Asc.  1  461-3,  518),  al  num,  82,  in  vas 
'vai'  e  'va'  (?),  vis  'vado'  (?),  oltre  che  al  n.  78.  Del  salvés,  che  è  nelle 
preghiere  (p.  146),  non  saprei  bene  qual  giudizio  portare.  Il  -t  di  3^^ 
sng,  è  forse  in  jàit  habet,  fóit  fuit.  Quanto  alla  l'^  e  alla  2'^  plur., 
come  nel  rovignese  s'introducono  V -émo  e  V -ide  pur  nella  1  conjug.. 


^  Più  che  mal  notevole,  e  forse  un  vero  cimelio  morfologico:  ringràdme 
ringraziare. 

2  V.  per  questo  fenomeno:  Asc.  I  440,  II  151  u,  VII  60S  a,  Vili  112-13; 
Muss.,  Zur  pràsensbild.  ini  roman.,  Vienna  1883;  Schuch.,  Literaturbl.  f. 
gemi.  u.  rora.  philol.,  1884,  num,  2.  La  differenza,  che  sarebbe  nel  rovignese, 
tra  il  congiuntivo  {-i-o  anche  per  la  3*  sng.  e  pi.)  e  T  indicativo,  cessa  di 
apparire  nel  veglioto,  che  non  ha  mai  alcuna  differenza  tra  i  due  modi  del 
presente.  —  Esempj  senza  l'accrescimento,  sono  al  num.  36. 


Il  dial.  veglioto  :  Note  morfologiche.  163 

così  nel  veglioto  le  desinenze  corrispondenti  -dime  -dite  (cfr.  I  439):  cw- 
Idime  188,  togliamo,  las  sdite  200,  ali.  a  de  cài  te  18.  S'aggiunge, 
per  la  1^  ps.  pi.,  anche  -i<dm  =  *-AM:  justuóm  214;  e  per  la  2^  ps. 
pi.,  -wd<e  =  *-ATE:  duo  te-ine  198. 

77.  Imperfetto.  Allato  all' -wa  t=  *- ava  di  I  conjug,,  è  V-dja'=* -eia 
di  altra  conjugazione  (cfr.  I  440),  che  finisce  per  apprendersi  anche 
alla  prima:  stùa  228,  claynùa  315,  priegiia  121,  frabicùa  228, 
inchiodùa  127,  minùa  126,  dimandila  128,  intoscùa  ib.,  pasco  lùa 
301,  purtùa  278,  mancùa  ib.,  fermùa  291,  parecùa  389,  #a- 
0"m«  287,  ?evim  262;  -  mctdja  287,  decdja  197,  facdja  230, 
credàja  49,  veddja  288,  potdja  278,  blàja  28,  sapdja  276; 
avdja,  vendja  288,  durmdja  285;  -  eantdja  182,  brusdja 
287-88.  Prime  plur.:  vedajdime  252,  zajdime  181;  stujdime 
175,  179,  V'hanno  coincidenze  fortuite  col  presente  accresciuto  (num. 
75;  cfr.  I  440). 

78.  Futuro.  Con  l'accento  sull'infinito  (I  440-41):  we  fermuóra'ò, 
fura  365,  pacuóra  p.  122,  purtùra  204,  catùra  152,  veddra 
221,  creddra  ib.,  catudre  55,  vendro  207,  se  moituro  33,  caluóro 
86,  andurme  andremo,  s^tirme  236,  ^ev^rme,  (^e)  justùrme 
215,  furine  191,  veddrme,  metàrme  23,  frizùrme,  zérme 
zar  me.  Col  -5,  come  nel  vnt.  ant.  alla  2^  sng.:  onur  ards,  avrds. 

79.  Perfetto.  Forte:  fóit  fuit,  waw  74,  misi.  Debole:  prieguó 
^^pregà  (cfr.  Asc.  II  268)  157,  passuó  158,  passu  ib.;  spanddi 
75.  Perifrastico,  che  è  il  solito,  e  sempre  'habere'  per  ausiliare:  j ai 
purtuói,  jài  potàit  20,  jai  c/a^;  jài  sàit  62,  a  vedàit  50, 
jàime  arivuàt  10,  Jm  prdisso  125,  u  passudt  122. 

80.  Congiuntivo.  Circa  il  presente,  già  è  detto,  in  nota  al  num.  75, 
che  non  difierisca  dall'indicativo.  Il  congiuntivo  latino  di  piuccheperf., 
in  funzione  di  condizionale  (I  442):  facassàite  32,  credassdite 
198-99,  truvassdi  troverei  (?)  206.  Esempj  diversi:  fuds  365,  gdssa 
162,  avesse,  manddssa  147,  mandasse,  brusdssa  294. 

81.  Imperativo.  Son  da  notare  alcune  alterazioni  della  tonica: 
j  linda  num.  82,  3;  tics  ib.,  9;  e  trich  getta!,  che  ricorda  fonetica- 
mente il  rum.  trece,  ma  non  bene  si  appaja  con  questo  nella  signifi- 
cazione, né  ben  s' appaja  nei  suoni  col  proprio  infinito,  che  sarebbe 
trudr,  =  trarre. 

82.  Singoli  verbi: 

1.  sdite  essere  (v.  Asc.  1  442)  cfr.  p.  126;  pres.  ju  sài  o  sdin, 
te  sante,  jal  sant,  nu  jiltri  sàime,  vu  sàite,  jài  sant;  imprt. 
sdii;  imperf.  jéra  20,  42;  imperf.  cong.  fuds  365;  fut.  ju  fera, 
jal  fero  36  o  fièro  41;  perf.  fóit  172;  partic.  fóit:  ga  foito.>«i 
fóit  sono  stato. 


164  Ive, 

2.  avàr  avere  (v.  ib.  441)  cfr.  p.  126;  pres,  jài,  jii  o  j  u,  jàit 
jói  (41)  jóit,.(99)  0  w;  jài  me,  j  a  ite  o  aj  dite,  ^à^u;  imprf.  avdja, 
avdime-,  imprf.  cong,  gdssa;  fut.  ju  avara,  te  avrds  348  e 
avards,  j al  avaro,  avardime  43S  o  avrdime  189;  ptc.  avóit, 
j  à im  e  r  a  v  ó  i  t,  j avdime  avóit  94. 

3.  anduàr  1,  andùre  andare,  zdrme  zérme  p.  126,  zar  174, 
zar  5;  pres.  ju  vis  109,  vas  'vai'  e  'va',  cfr.  num.  76,  vói  97,  va; 
imprt.  va  7;  zdime  sa  ime  29,  60,  zdite  209;  j  linda  59-60,  zdj; 
cong.  prs,  zdj  a;  imperf.  Jm  zdj  a  267,  zajdime  181;  fut.  zérme 
7;  ptc.  zdit  sàit;  jài  sàit  62. 

4.  studrme  stuàr  37,  43,  sture  stur  stuór  434,  stare;  pres. 
3^  sng.  stài  97;  imperf.  3^^  sng.  stùa,  1^  pi.  stujdime;  fut.  1^  pi. 
s  tur  me  236;  prtc.  stuót  231;  jdi  studi  92. 

5.  bldre  e  blàire  volere  (v,  I  444);  pres.  budj  (cfr.  §  VII  15) 
o  blàjo  11,  blàj  15-16,  blàji  11,  o  bldju;  [se  te)  bude  (cfr.  §  VII 
42),  bùie  31,  bóte  79,  bldime,  blàite  5;  imprf.  blàja  28,92. 

6.  duórme  p.  119,  duór  duórte  80,  doiói  e  duói  p.  119,  dare; 
prs.  3'^  -ps.  jdl  dòi  o  duói',  imprt.  dàime  ddme  39,  dàiteme  12, 
duòteme  198;  imprf.  dùa  246;  fut.  dùrme  242;  prtc.   duót  114. 

7.  fuor  102,  fur  p.  135,  fare;  prs.  3*  sng,  fo  1,  fói  87;  2^  pi. 
fóite  123;  imperf.  facdja  230;  imperf.  cong.  facassàite  32;  fut. 
fura,  jdl  /uro,  fuórme  p.  120,  furine  191;  perf.  fóit  46  (?),  ji 
fudtm,  jdi  fuót  229,  247;  prtc.  fàit  e  fudt  66,  fat  20,  fdits  136. 

8.  potare  potere;  T^res.  potdjo  263,  jdl  pò tdj a,  potàite  5, 
putdt  115;  imprf.  pò  tdj  a-  prf.  jài  potàit  20,  64;  prtc.  potóit. 

9.  tacàre  tacere;  prs.  tacdjo  p.  135;  imper.  tics  e  tik  144, 
tacdite  460. 

10.  venero  p.  125,  venire;  pres.  ju  vendjo  p.  125;  cong.  prs.  jdl 
yenàja  18,  vigna;  imperf.  jdl  vendja  288,  315,  317;  fut.  e  perf. 
jdl  vendro  204,  238;  prtc.  venóit  306,  ger.  vendndo  284. 

83.  AvvERBJ  in  -a:  ultra  p.  125,  spisialmidnta;  cóisa  cóissa 
113,  così,  and  ti  a  dove,  da  baila  36,  assai. 


Il  dial.  veglioto  :   Indice  lessicale. 


16S 


h.  Indice  lessicale. 

[NB.  I  numeri  tondi  rimandano  ai  numeri  dei  §§  VII  e  Vllf, 
quando  non  sieno  preceduti  dalla  sigla  p.  (spagina);  i  cor- 
sivi, al  numero  progressivo  delle  righe  dei  testi.] 


ahastràin  p.  1.33,  sorta  d'uva 
nera. 

acàid  6,  57,  62,  aceto. 

adoràj,  75. 

advidnt  m.,  p.  117,  avvento. 

affuór,  pi.  affuàr,  1,  22-23  e 
68,  affari, 

agàun  14,  'cheppia';  cfr.  vnt. 
agón. 

ag  n ià  l,  ^]. gnidi,  9, 24,  agnello. 

agóst  18,  agosto. 

dil  5,  36,  41,  aglio. 

a  Idin  126-127. 

a  lai  te  pi.  f.,  p,  117,  budella. 

a  la  luòrga  1,  alla  larga,  lon- 
tano. 

a  Iduk  165. 

al  dura  14,  22-23,  allora. 

aléger  alegdr  pi.  na.,  65, 
68,  allegri. 

a  lic  a  lics,  cfr.  3,  a  lato, 
vicino. 

al  trami  ante  9,  altrimenti. 

altùr  1,  altare. 

a  luntun  172. 

alzuàrse  alzur  se  1,  41,  al- 
zarsi. 

dlzur  còle  paldure  p.  117,  leg- 
gere. 

amànr  14,  amore. 

amudr  1,  22-23,  amare. 

anca  299,  anche. 


anelisene  32,  incudine;  cfr.  vnt. 
ancuzene. 

andùa  32,  83,  andùve  17, 
dove. 

anduàr  andùre  1,  82,  andare. 

anidl  9,  41,  anello, 

anincs  3,  32,  41,  innanti. 

Aniline  Tiene  Tuòne  17, 
Antonio;  cfr.  srb,  Antùn,  Tune. 

apetidt  362,  appetito. 

apidr  aprèr  (prtc.  pidrto)  11, 
12,  49,  aprire. 

aprdil  11,  22-23,  aprile. 

dqua  p.  120,  v.  jàcqua. 

ardàre  7,  ardere. 

argùst  17,  aragosta. 

dria  88,  aria, 

arivuàt  1,  arrivati. 

arùr  22-23,  arare. 

arzidnt  9,  22-23,  61,  argento. 

ascdun  43,  chiodo  ;  *asclone  = 
astlone?,  cfr.  boi.  stlon  asse. 

ascidnts  9.  41,  assenzio. 

ascóndro  18,  28,  63,  72,  ascon- 
dere. 

a  tic  dm  15,  attorno. 

àura,  pi,  dure,  14,  ora;  vedi 
jàura. 

Ava  7,  Eva. 

Avdinch  p.  126,  n.l.,  Verbenico. 

avàr  7,  22-23,  82,  avere. 

a  vara  US  14,  avaro. 


186 


Ive, 


avucuóta  522,  'advocata'. 

bacco  5,  cavalletta. 

haduót  1,  badato. 

halcàun  88,  balcone. 

halludr  p.  117,  ballare. 

bandtinùre  24,  abbandonare. 

bar  (1*  sng.  prs.  bdjo,  2*  pi. 
bàite;  1*  pi.  fut.  barine;  ptrc. 
bevóit)  7,  bere. 

bardilo  36,  44,  barattolo. 

barbdun^A^A,  pesce  barbone. 

barbùssi  sng.  m.,  p.  117,  ma- 
scella; cfr.  vnt.  barbùzzo  mento. 

basa  le  a  bassdlca  bassalcidla; 
Basalchidla  Bassalcidla  ni., 
9,  chiesa,  'basilica,  -cella'. 

Bdsca  p.  126,  ni.,  Besca. 

bastonudr  bastonudrmese  1, 
73,  bastonare. 

baiar  bdter  7,  battere. 

bdud  p.  117,  voce. 

beccar èj a  12,  beccheria. 

bechir  3,  beccajo. 

heneddt  -a  7,  58,  benedetto. 

bescudr  1,  33,  beccare  'bezzi- 
care'. 

bidl  biél,{.  bidla,]^\.  bidle, 
9,  bello. 

bid  la  f.,  313,  bianca;  srb.  biela. 

bidstia,  pi.  bidsie,  9,  bestia. 

biéc  213,  denari;  cfr.  veneto 
bezzi. 

biscaciól,  plurale  biscaciòi, 
p.  133,  bacca  del  rosajo  selvatico 
e  bacca  in  gen. 

biscdun  242,  244,  245,  384, 
boccone. 

biss,  pi.  biss,  41,  68,  bacio. 

bisudgn  15,  bisogno. 

blàire  bldre  7,  15,  17,  42,  50, 
82,  volere. 


blank,  f.  b  lanca,  pi.  bldnKe, 
47,  bianco. 

blasmudre  blasmùr  1,  47,  72, 
bestemmiare. 

bocudla  f.,  1,  boccale. 

bondudnza  24,  abbondanza. 

bosdun  14,  boccione. 

basca  p.  117,  bugia. 

boss  11,  quercia. 

boss  m.,  p.  117,  coscia;  cfr. 
srb.  bok  fianco. 

botdile  11,  41,  bottiglie. 

botdun  p.  117,  bottone. 

bragdun  sng.  m.,275,  calzoni. 

brdina  6,  briglia. 

bransdin  p.  134,  branzino. 

brdud  446,  brodo. 

braz,  pi.  braz,  5,  68,  braccio. 

bressdina  11,  brina;  cfr.  rov. 
briselna. 

bróina  19,  bruna. 

Bruscdit  p.  133,  ni. 

brusdja  brusdssa  77,  80, 
bruciava,  bruciasse, 

ìm  17,  53,  bue. 

budlp  15,  29,  50^  volpe. 

budrba  m. ,  1,  zio;  cfr.  ven. 
barba. 

buàrca  1,  barca. 

bicdsc  15,  36,  56,  bosco. 

budssa  p.  118,  boccia. 

budt  29,  botte. 

buca  17,  56,  bocca. 

bun  17,  bene;  hun  bùna  ib., 
buono  -a. 

buòle  176,  palle. 

bùra  17,  bora. 

Bùrbur  soprann.,  168. 

buso  21,  buco,  caverna. 

cacti  eie  (a)  p.  133,  (a)  caval- 
cioni; cfr   srb.  na  krhace. 


Il  dial.  veglioto:  Indice  lessicale. 


167 


cadàr  3,  cadere. 

cadridl  quadridl  9,  59,  mat- 
tone; efr.  rover.  quadrél. 

cagndis  11,  pesce  cane. 

e  din  a  6,  57,  cena. 

caiptàre  (2^sng.  imper.  cdipta 
p.  118,  capta  41,  cauta  483, 
2'"^  pi.  cauptóte  p.  118)  5,  56,  Q4, 
guardare . 

e  air  a  6,  cera. 

cai  pr.  interr.,  70,  quale, 

cai  sost.  f.,  5,  29,  42,  strada. 

cai  179,  volta;  calco  cai 
179,  336,  qualche  volta;  cóla  cai 
221,  quella  volta,  ^Xìovo.;  jóina 
cai  283,  302,  una  volta. 

calamiér  3,  calamajo. 

calcdin  4,  31,  calcagno. 

e  dico  59,  qualche. 

Calder  caldira  3,  caldaja. 

calighir  3,  calzolajo. 

calzéte  p.  118,  calzoni. 

caluóro  (ger.  caldnd  98)  78, 
calerà. 

camdin  p.  118,  camino. 

camdissa  11,  camicia. 

camdrda  camuórda  1,  ca- 
panna. 

cdmha  5,  cantina;  cf.  vnt.  cd- 
neva. 

camhdllah,  bacca  della  quer- 
cia, rov.  ganhdla. 

camisòt  p.  118,  gonnella. 

camistro  13,  tritume  di  paglia 
rimasto  sulUaja  dopo  la  trebbia- 
tura; cfr.  rov.  dign.  cdìna  pula; 
e  per  la  formazione:  rov.  hulei- 
stro,  brage  e  cenere  commiste. 

campandid  11,  42,  campanile. 

camùstre  p.  118,  catene  del  fo- 
colajo. 


canàissa  11,  32,  57,  cinigia. 

canapiàl  68,  fune, 

cand  qudndo  5,  59,  quando, 

canidstro  9,  canestro. 

canpdgnù  284,  campagna. 

canpùna  canpuóna,  plur. 
canpuòne,  1,  campana, 

cantudr  cantùr  (1*  sng.  imprf. 
canta j a)  1,  77,  cantare. 

cdnuvo  5,  22-23,  canape. 

capdr  263,  capire. 

capdun  p.  134,  cappone, 

capizzola  p.  118,  cappa  di  mare. 

caprdina  11,  capra. 

e  a  può  t  16,  cappotto. 

cara  5,  cara. 

carassàun  23,  catenaccio. 

carbàun  p.  118,  carbone. 

carestèja  12,  carestia. 

carnassudl  1,  carnasciale. 

Carndussa  p.  135,  ni. 

carnóid  m.,  19,  vipera  am- 
modytes,  'cornuta'. 

e ar  viale  pi.  f.,  9,  26,  57,  cer- 
vella; I  437. 

cascùr  (prtc.  e  ascèta)  1,  ca- 
scare. 

Castellièr  p.  133,  ni. 

Castelmùsclo  43,  ni. 

castiàl,  pi.  castiàl,  9,  (S^, 
castello. 

caldina  6,  62,  catena. 

catrdm  p.  118,  catrame. 

catriéda  8,  49,  sedia,  'cà- 
treda*. 

catudr  catór  (3*  sng.  prs.  ca- 
tdja,  2*  pi.  catùte;  1*  sng.  fut. 
calura,  2*  catdure  catudre; 
prtc.  catuót)  1,  75,  78,  trovare, 
'cattare'. 

e  due    59,  e  di  co  139,   chidicu 


168 


Ive, 


123,  qui  (v.   da  cduc  p.  119,  di 
qua);  I  439  n. 

càuda  p.  118,  coda. 
càusa  p.  119,  causa,  cosa. 
cavici  35,  cavolo. 
cala  5,  56,  guarda;  I  357,  372. 
capùr  (1^  plurale  presente  ca- 
p udirne;  P  pi.  fut.  capùrme; 
1*  sng.  T^vf.  jù  j di  capuót)  43, 
chiappare. 

è  dm  a  9  n,  nera;  srb.   cèrna. 
céja  sng.  f.,  41,  67,  ciglio. 
cemitiér  8,  cimitero, 
certjóin,    pi.    certàin   cer- 
tjdn,  4,  19,  41,  57,   66,   68,  70, 
certuno. 

che  che   79,  pron.  rei.  interr. 
e  congiunz,,  che;  cfr.  que. 

chelduna,   plur.  coldune  ki- 
Idune,  14,  colonna. 

chenùr  kenùr  (prtc.  kenùt) 
1,  57,  cenare. 

chi  interr.,  122,  chi. 
chi  125,  quei  ;  cfr.  s.  qui. 
chiamudr  (3*  sng.  prs.  clam; 
3*  sng,  imperf,  elamica;  partic. 
clemùt)   1,  5,  43,  77,  chiamare. 
chiaro  5,  43,  chiaro, 
chiói  19,  culo. 

ciàirt  cidrt   sidri   6,    57, 
certo. 

ciànt  sidnt  71,  cento. 
cidàl  p.   133,    uovo,    ciottolo 
ovale. 

cièl  cil  sii  8,  42,  57,  cielo, 
ciénc  cink  ciane  71,  cinque. 
ciuco  13,  28,  33,  57,  67,  cimice. 
cincto  71,  quinto, 
ciócs,  pi.  ciócs,  p.  118,  citta- 
dino; cfr.  srb,  coek  uomo. 
ciónco  71,  quindici. 


cionquànta  sincuònta  71, 
cinquanta. 

cistièrna  57,  cisterna, 
culdime  (partic.  cuólta)  76. 
togliamo;  1  499. 

clemidnt  43,  clemente, 
co   interrog.,  32,  70,  che  cosa, 
quando;  co  que  60,   cosa  che, 
co  304,  come. 
co  con;  cfr.  s.  con, 
coi  p.  120,  quello,  che  cosa? 
còissa    còisa    e  usai    32   83, 
così;  cóisa  sdii  cosi  sia. 
cojuondra  p.  118,  burla. 
col  128,  col. 
col  [et]  2,  il  quale, 
col,  f.  cóla,  plurale  cóle,  70, 
quello. 

comandudr  1,  comandare. 
comensuót  243,  cominciato. 
cómio  18,  gomito. 
comnùta  136,  cognata. 
cóyno  123,  come  (?). 
com^jarére  (3^  sng.  pres.  e o  ri- 
par  di  s)  11,   12,  34,  72,  compa- 
rire. 

compertzdnde   da  mdi  p.   118, 
proteggere. 

compudr  1,  compare. 
compìutd  130,  computa. 
comunidtm  534,  comunione. 
con  p.  118,  conno, 
con  cun  60,  con;  cfr.  s.  co, 
con  cont  cuónt  cudnt  e  uni, 
f.  pi.  e  lini  e,  59,  70,  quanto. 
conossdite  200,  conoscete. 
cosepóit  529,  concepito, 
contésse  159,  contessa  (?}. 
contidnt  p.  124,  contento. 
cónto  64,  conto. 
contrudt  p.  118,  contratto. 


Il  dial.  veglioto  : 

conzuàrme  1,  73,  condire. 

còpia  copio  p.  118,  cappello. 

coprér  (prtc.  copidrt,  copìdrta, 
in  funzione  di  sost.  pi.  copiar  te) 
12,  34,  72,  coprire. 

copudr  (prtc.  copuót)  1;  cfr. 
srb.  kopati  zappare. 

corèsma  p.  119,  quaresima;  cfr. 
srb.  korizma. 

corsdto  p.  119,  corsetto. 

cassa  p.  119,  pialla;  cfr.  srb. 
kosa  falce. 

còsser  18,  cuocere;  v.  s.  citerò, 

cossér  12,  cucire. 

cost  -a  còist  i03,  pi.  m.  cóist, 
68,  70,  questo. 

co  suor  din  a  11,  vicina. 

cotidiùn  1,  59,  quotidiano. 

e  ras  ero  28,  72,  crescere. 

Crasi  526,  Cristo. 

Cratdur  527,  creatore. 

cratóire  19,  creature. 

crduk  crduc  14,  57,  croce. 

crédro  (1*  s'mg.  pres.  crdid, 
2^  creddj;  1^  sng.  imperf.  cre- 
dàja;  l'^  sng.  fut.  creddra;  2^ 
pi.  imprf.  cong.  credassdite)  6, 
7,  10,  28,  36,  72,  74,  75,  77,  80, 
credere,  'credito'. 

crepuàta  1,  rotta,  'crepata'. 

cri  ss,  pi.  criss,  3,  68,  cilie- 
gio; cfr.  srb.  krihija  e  I  437,  e 
sariz. 

croce fdis  11,  crocefisso. 

cróit  19,  63,  crudo. 

cuddro  p.  119,  quadro;  v.  s. 
quider. 

cudnt  77,  quanto;  v.  s.  con 
cont. 

cudr  15,  corre. 

cudrp  15,  36,  corpo. 


Indice  lessicale. 


169 


cu  aste  15,  coste. 

cucér  p.  134,  cucchiajo;  cfr. 
sculiera. 

cucidina  11,  35,  cucina. 

citerò  17,  28,  57,  72,  cuocere. 

cujdun,  coglione. 

culudnh  m,,  15,  colombo. 

cùma  cumdre  5,  comare;  cfr. 
srb.  kuma,  rov.  cumdre. 

cumprudr  (3^^  pers.  cùmpra) 
17,  comperare. 

citw  i69,  173,  i99,  come, 
quando. 

cicn,  V.  s.  con. 

cunpandj a  11,  compagnia. 

cu  il  per  3,  compare. 

cùnte  quante;  v.  s.  con. 

cuntrabudnd  204,  contrab- 
bando. 

cuntùr  (1*  sing.  futuro  cun- 
tùrà)  424-25,  contare. 

cunvidnt  9,  convento. 

cuóld  1,  caldo. 

cuó Isa  1,  calza. 

cuòmp  1,  36,  campo. 

cuón,  pi.  e  nini  quini,  1,  Q^, 
cane. 

cuóntra,  v.  s.  incuóntra. 

cuóp  cup  56,  capo. 

cuórna  e  u  ó  r  n  e  cuórno  1 ,  carne. 

ctiórt  106,  quarto. 

cuòrta  1,  carta. 

cuóssa  cuó  sa  còsa  1,  casa. 

cuótta  16,  cotta. 

cur  cure  17,  cuore. 

curidnia  35,  corrente, 

curi  idi  35,  42,  68,  coltello. 

cusdta  7,  casetta. 

cussdin  403,  cuscino. 

custodi  493,  custodì. 

ciistuót  24,  accostato. 


170 


Ive, 


d  a  36,  55  ecc.,  da. 

da  baila  30,  83,  assai;  cfr. 
srb.  vele. 

da  càuc  p.  119,  di  qua. 

da  dri  8,  di  dietro. 

dai  11,  di. 

Dai  11  e  p.  119,  Dio. 

ddic  (3*  sing,  pres.  ddis;  2^ 
sng.  imper.  decdj,  pi.  de  cài  te; 
3*  sng.  imprf.  decdj  a;  3*  fut.  e 
perf.  décro;  prie,  ddit  dat)  11, 
56,  75,  77,  dico. 

da  lich,  da  lics,  3,  41,  lontano. 

da  luóc  p.  119,  di  là. 

dàmno  5,  55,  danno. 

da  pessunt  1,  difficile;  cfr, 
*schwer'. 

dapù  17,  dopo. 

de  il,  43,  52,  53,  57,  ecc., 
di,  da. 

de  bèta  f.  sng.,  pi.  debéte, 
10,  67,  debito. 

dehetidn,  357. 

debetudr  74,  debiti. 

decedere  [la  causa]  p.  119, 
decadere. 

defenddr  7,  difendersi. 

del,  de  la,  pi.  de  i,  de  le,  69, 
del,  della,  dei,  delle. 

deliberidj[ne]  7^,  libera[ci]. 

denòc  le  denócli  zenóc  le  18, 
31,  38,  43,  61,  ginocchio. 

dentis  p.  134,  dentice. 

depentdur  p.  119,  dipintore. 

depidndro  depidndrete  28,  61, 
72,  dipinger[ti]. 

de  pie  p.  119,  troppo. 

dermùn  50,  devinone  pag. 
133,  dermuón  200,  bosco;  srb. 
drmun  pascolo  boschivo. 

desidera]  75,  desideri. 


desmissiuót  304,  svegliato; 
cfr.  rov.  dismissid. 

desmiin  m.  e  f.,  1,  dimane. 

desórden  18,  31,  disordine. 

despondr  [2,^  sng,  pres.  despo- 
ndja)  31,  75,  disporre. 

desprezidja  75,  disprezza. 

dessendidnsa  9, discendenza. 

desse ndóit  531,  disceso. 

d  esser  63,  mancare,   morire. 

destinùr  (prtc.  destinndt) 
1,  destinare. 

destruàr  1,  destare. 

détco,  pi.  dàcli,  44,  68,  dito; 
I  438. 

dezùn    21,  31,  40,  digiuno. 

Di  Dio  120-121,  Dio. 

d  i  à  n  t ,  pi.  d  i  à  n  e  s,  9,  41,  dente. 

di  astra  9,  destra. 

didul  p.  119,  diavolo. 

die  dik  8,  57,  71,  dieci. 

dicto  71,  decimo. 

dikcink  71,  quindici. 

dikdu  71,  dodici. 

dikdudt  dichiddpto  58,  71, 
diciotto. 

dil-jónco  jónco  71,  undici. 

diknù  dichinù  71,  diciannove. 

dikqudter  71,  quattordici. 

diksdpto  dichisdpto   71,    di- 
ciassette. 

diksis  71,  sedici. 

dik  tra  72,  tredici. 

discopidrta  120,  156,  scoperta. 

distengudja  75,  distingue[re]. 

distiruòta  307,  distesa. 

dói  dóje  71,  due. 

dò  ir  332,  duro. 

dò  ite  157,  nudi. 

do  le,  f.  dólsa,  18,  42,  57,  67, 
dolce. 


è 


Il  dial.  vcgliolo:  Indice  lessicale. 


471 


domiénca,  pi.  domidnke, 
33,  domenica. 

domùnz  (3'*^  siug.  pres.  do- 
muànda  domùnda]  3*  sing. 
imperf.  dimandua  dumandùa 
domandua)  1,  22-23,  77,  do- 
mando. 

Dona,  donna. 

dormér  durmér  (P  sing, 
prs.  dudrmo  dudrmu;  3^  sing. 
imperf.  durmàja)  12,  15,  35, 
77,  dormire. 

dot  co  28,  63,  71,  dodici. 

dramudre  (prtc.  dramudt)  1, 
macellare;  cfr.  srb.  drmnuti,  scuo- 
tere, squassare, 

drànte  drant  {in)  7,  dentro. 

drat  8,  f.  drdta  476,  drit- 
to -a. 

dròsclo  p.  133,  'glandule', 
acero  e  ni. 

drùcno  33,  57,  uva  duracina. 

dudnk  522,  dunque. 

dui  17,  duole. 

dulsdssa  7,  dolcezza. 

Dunuót  1,  Donato, 

duór  duórme  duórte  duói  doiói 
1,  2,  82,  dare. 

duòt  99,  bagnato. 

duplir  46,  doppiere. 

durdja  75,  essa  dura. 

e  42,  e. 

el  art.  e  pron.  10,  69,  il,  egli  ; 
el  tu  ài  70,  il  tale. 

Eloisa  146,  Elisabetta. 

en  i,  46,  92,  un. 

entrudr  entrudrme  73 ,  en- 
trare. 

esdilff  11,  41,  esigilo. 

espojdrmese  73,  spogliare. 

et  dm  a  7,  25,  eterna. 


faddiga,  pi.  faddighe,  11,  00, 
fatica. 

fai  e  a,  pi.  f.  fdike,  56,  67, 
fico  (frutto);  v.  fìchiera. 

fàid  6,  29,  63,  fede. 

fdila  11,  fila[no]. 

fdin  11,  fine. 

fall  li  r  (prtc.  faluót  336)  8, 
fallare. 

famèilga  12,  41,  famiglia. 

farm  272,  fermo. 

far  sdura  14,  padella;  vnt. 
fersóra. 

fdssa  5,  fascia. 

fassùl ,  pi.  fazùlji,  17,  41, 
fagiuolo. 

fastdide  11,  31,  fastidio. 

fauldr  (1^  pi.  prs.  favilline; 
3^  pi.  imperf.  flavdja;  partic. 
faulàt)  5,  39,  72,  75,  favellare. 

fàvro  5,  fabbro. 

fehrudr  p.  120,  febbrajo. 

fecudt  1,  31,  fegato. 

féil  féilg  fuièl,  fem.  féja 
fé  i  Ig  a,  pi.  m,  fé  i  Ig  i,  f.  fé  il  gè, 
12,  41,  figlio  -a, 

fèina  fégna  féinta  fénta  12, 
fin(i  a;  per  féinta  perfino. 

fenalmiànt  9,  finalmente. 

fermua  (3*   sing.   cong.  pres. 
fdrme;  1^  sng.  fut.  fermuàra 
fermuóra;    partic.   fermuót)   7, 
77,  78,  fermava. 
fidi  fiél  9,  fiele. 
fidr  9,  ferro. 

fiàsta  (coli.),  pi.  fi  aste  9,  fe- 
sta, passatempo. 

fidur  14,  48,  fiore. 
fìchiera,   m.    fikir,   pi.   f.   fi- 
kire,  3,  fico  (albero);  v.  falca. 
fìén  p.  120,  fieno. 


172  Ive, 

finidstre  31,  41,  finestre. 

fi  or  din  48,  fiorino. 

fi  óim  19,  48,  fiume. 

fòiss  19,  fuso. 

fond  18,  fondo. 

fonddcce  pi.  f,  p.  120,  feccia. 

formentdun  p.  131,  formen- 
tone. 

formidnt  259,  frumento. 

fórno  18,  forno. 

fosc  18,  56,  nero,  'fosco'. 

frabicudr   (3^  pi.  imperf.  fra- 
bicùa)  1,  49,  77,  fabbricare. 

Frane    169,   Francesco;   srb. 
Frane. 

frats  478,  frati. 

frizùrme  78,  friggeremo. 

fròit  frut  19,  frutto. 

fruànt  m.,  15,  29,  fronte. 

fruàtru    fruire    1,   62,   fra- 
tello. 

fudja  15,  41,  foglia. 

fudlp  15,  polipo;  vnt.  folpo. 

fu  dm  1,  29,  fame, 

fudrfa  sng.  f.,  p.  120,  forbici. 

fuc  fuli  17,  56,  fuoco. 

fui  pi.  m.,  17,  mantice. 

fulminàja  75,  fulmina. 

funtuóna  1,  35,  fontana. 

Funtùre  p.  134,  ni. 

fuóls  1,  42,  falso, 

fuor  fu  re  1,  2,  6,  80,  82,  fare. 

fuor  ma  15,  forma. 

fuós  1,  fascio  e  faccia. 

fur  fura  fure  17,  31,  fuori. 

far  ni  cu  re  541,  fornicare. 

fusdina  11,  57,  fucina. 

ga  ghe  70,  a  lei,  a  lui;  vnt.  ghe. 

g aldina  60,  gallina. 

ganere?,  voce  data  dal  Cubicli 
per  nitidamente  latina. 


garb  57,  acido;  vnt.  garbo. 

gariidf  15,  gherofano. 

gaudài'e  [^vic.  gudóit)  7,39, 
godere. 

gdula  14,  gola. 

generàus  14,  61,  generoso. 

genir  gendro  p.  120,  gennajo. 

gbeluàt  sost.,  gheludta  g be- 
la uta  agg.  f.,  1,  61,  freddo  -a. 

giardin  130,  jardin  132,  giar- 
dino. 

gldiba  -e,  45,  gleba. 

glas  5,  45,  gbiaccio. 

glazàit  47,  ghiacciata. 

gninedi   igneldi  gilgnidi 
493,  agnel  di  Dio. 

golàus  14,  goloso. 

g  ómbra  50,  vomere. 

gótta  18,  goccia. 

grdbia  f.,  p.  120,  rastrello;  srb. 
grablje. 

grass  5,  grasso,  sego. 

grets  3,  41,  grazia. 

gril  13,  42,  grillo. 

grudng  p.  135,  grongo. 

grùba  151,  grùja  113,  sepol- 
tura; srb.  grobje  grablje. 

grun  1,  grano;  I  438. 

gruns  1,  granchio. 

gicadagnudre  (1^  sng.  ^rs.  gu  a- 
dagndju)  75,  guadagnare. 

guaddign  A,  41,  guadagno. 

gudt  p.  135,  bicchiere,  gotto. 

i  art.  pi.  69,  i. 

Idi  243,  Iddio. 

il  70,  gli  =  a  lui. 

impendr  i  m  p  l  é  r  e  (3*  sng.  prs. 
impendja)  11,  4Q,  75,  empiere; 
cfr.  vnt.  impenir. 

imperatdur  p.  120 ,  impera- 
tore. 


Il  dial.  veglioto: 

imprdndro  [el  ftic)  28,  63,  72, 
accendere. 

in  en  7,  29,  39,  41,  in;  in 
cóllara  sdite  p.  120,  'essere  in 
collera',  odiare. 

incidnts  9,  incenso. 

inciodudr  (3^  pi.  imprf.  inchio- 
dùa  inhiodùà)  11,  inchiodare. 

incuóntra  542,  incontro. 

in  fi  dm  infìdmo  9,  inferno. 

infloràja  48,  75,  fiorisco[no]. 

infrd  515,  fra. 

inganudr  60,  ingannare. 

ingìiidstro  14,  inchiostro. 

injiieguót  248,  305,  impie- 
gato. 

insidra  (prtc.  inseruóta)  9, 
serra,  chiudi. 

instudt  1,  estate. 

intél  intéla  en  tei  eu  téla 
né! a  69,  nel,  nella. 

intoscua  1,  77,  attoscavano. 

intrdrghe  [co  i  che  te  hlaj)  p. 
120  scegliere  (quello  che  vuoi). 

intrèguo  103,  intrigo,  immischio. 

intrudde  1,  entrate. 

inviamo  9,  inverno. 

istalla  p.  120,  stalla. 

istids  319,  istessamente. 

isudrse  p.  120,  istruire;  cfr. 
srb.  izuciti  addottrinare. 

jàcqua  j dqua  dqua  66, 
acqua. 

j  al  j  ul,  pi.  j  ai  j  i,  i.jdla,  pi. 
jdle,  66,  70,  quello,  quelli  ecc. 

jàmna  5,  33,  54,  66,  anima. 

jdn,  pi.  jéin,  5,  41,  66,  68, 
anno. 

Jdne  40  n,  ni.;  cfr.  srb.  Janes. 

jàrba  9,  66,  collett. ,  erba, 
fieno. 


Indice  lessicale.  178 

jdsca  p.    120,  tavola;   cfr.  srb. 
daska  assis. 
jdt  56,  gatto. 
jduca  66,  oca. 

jdun,  f.  jduna,    14,  40,  gio- 
vine. 
jdur  66  e  p.  120,  oro. 

j  àura  14,  66,  ora. 

jédma  10,  36,  66,  settimana. 

jemdnd  61,  gemendo. 

j  ère  62,  jeri. 

jetùme  (partic.  jetùt  252) 
251,  gettammo. 

Jodéi  125,  Juddi  162,  Giudei, 

jóiltimi  71,  ultimi. 

j  ó i n  jói  0 n  [161),  un,  f.  j  ó  i  n a 
l'ina,  19,  66,  69,  71,  uno. 

jóint  jòit  19,  bagnato,  'unto'. 

jóiva  66,  uva. 

jómno,  pi.  jómni,  18,  55,  66, 
uomo;  cfr.  omni. 

jónco  20,  66,  71,  undici. 

j  ónda  18,  66,  onda. 

jongàrme  7,  61,  66,  73,  ungere. 

jóngla  18,  38,  45,  66,  unghia. 

jorden  18,  66,  ordine. 

jòst  20,  40,  66,  giusto. 

j  u  jò  70:  io  ;  gli  =  a  lui. 

j  uàc  f.,  1,  60,  66,  67,  ago. 

juàlb  juòlb  1,  42,  65,  bianco. 

juàrbul,  sng.  juórbul,  1,  49, 
66,  68,  albero. 

juciire  (1^  pi.  impf.  [o  fut.  ?] 
jucùrme  175)  40,  giocare;  cfr. 
zocuar. 

jùk  17 7 y  giuoco. 

jultro,  f.  j  ili  tra,  pi.  jiltri, 
f.  jùltre,   1,   3,  66,  68,  altro  ecc. 

jiilzete  1,  66,  alzati. 

juncdura  451,  juncora  p. 
121,  ancora. 


174 


Ive, 


j linda,  V.  s.  anduar. 

juónziiiol  1,  QQ,  angelo. 

juópa  1,  66,  ape, 

jur nuota  1,  giornata. 

justuóm  (l*  pi.  flit,  jus tur- 
ine) 76,  78,  giustiamo. 

jùv  V  p.  120,  l'uovo. 

kersdina  340,  chersina  (di 
Cherso). 

kis  3,  41,  56,  cacio. 

la  art.  69,  la. 

lac  42,  lago. 

lacidrch  lacdrts  5,  41,  sgom- 
beri; vnt.  langardi. 

lacrimdusa  522,  lagrimosa. 

ladre  làder  67,  ladri. 

làin  11,  lino, 

lamhéc  12,  lambicco. 

lamentudr  p.  121,  lamentarsi. 

lana  lane  7,  legna. 

lapudr  1,  lampeggiare. 

lassdite  (prtc.  lassuót)  1, 
lasciate. 

laudare  5,  39,  lodare. 

lavdur  247,  lavoro. 

lavoratdur  p.  131,  lavora- 
tore. 

lavorùr  227,  lavorare, 

lavudr  1,  lavare. 

le  69,  le. 

lébra  12,  lira  (moneta). 

lébre  474,  libbre. 

lébro  12,  libro. 

lenzùl  Un z dui  Un  z  i  du  l 
14,  31,  41,  lenzuolo. 

levur  (2^  pi.  prs.  levùte;  l^ 
e  3^^  imprf.  levùa;  1*  sing.  fut, 
levùra,  P  pi.  levurme;  prtc. 
levuót)  1,  77. 

li  203,  244,  le  =  a  lei,  gli  =  a  lui. 

lidnt  9,  lente. 


liàt  9,  58,  letto. 

lig  8,  legge. 

ligudr  (2^  sng.  imper.  legdja) 
1,  30,  legare. 

lik  3,  58,  latte. 

li  prò  lèvuar  8,  42,  lepre. 

lóik  f.,  57,  luce. 

lòie  19,  brilla[no]. 

lóin  f,,  19,  lume. 

lóina  19,  luna. 

lóine  19,  lunedi. 

lóur  70,  loro. 

lu  70,  lui. 

ludng  15,  60,  lungo. 

ludnga  60,  lingua. 

ludnza  1,  lancia. 

lùgio  21,  luglio. 

lumièra  p.  121,  luminaria. 

luntiln,  V.  s.  'a  luntun'. 

luóc  1,  là. 

luórga,  v.  s.  'a  la  luorga'. 

macardun  m.  pi.,  277,  mac- 
cheroni. 

Macaròn  p.  126,  ni. 

macera,  pi.  macere,  10,  41, 
maceria;  I  489. 

macnudr  1,  33,  57,  macinare. 

Magnakis  3,  41,  ni, 

mdi  319,  ma. 

mài  e  70,  meco. 

mdil  mdigl  11,  41,  miglio. 

màissa  6,  mensa. 

màja,  pi.  f.  mdj,  11,  70,  mia. 

mdju  70,  mio. 

mal  mul  1,  male. 

malatdja  255,  malattia. 

maltratuót 260,  maltrattata. 

mam  p.  121,  nonno. 

Mamalic  cogn.  277  (=  ven. 
Massariól). 

man  dure  225,  manovre. 


II  dial.  veglioto  :  Indice  lessicale. 


17S 


manciur  mancur  mancure 
(1^  sng.  prs.  man  dico,  3^  ma- 
il àie  a;  3^  sng.  imprf.  man  cu  a; 
prte.  m,ancùt)  1,  77,  mangiare. 

manddssa  80,  mandasse. 

Mando liéra  3,  ni, 

manzùlla  p,  133,  manipolo 
di  spighe, 

Mardja  11,  Maria. 

mardin  11,  marina, 

maràit  11,  marito. 

marangdun  p.  121,  marangone, 

mardun  p.  121,  marrone. 

marcùs  p.  121,  amaro;  cfr.  rov. 

maridnda  9,  22-23,  merenda. 

martidl  p.  121,  martello. 

mdssa  mudssa  p.  121,  mdissa 
336,  messa;  cfr.  metàr. 

massirco  p,  121,  sorgo. 

mas  sur  e  24,  72,  ammazzare. 

matrimuni  17,  matrimonio. 

màur  màuro,  f.  màura,  pi. 
mduri,  67,  maturo,  grande. 

mdura  178,  mora  (gioco). 

ma^oJi  41,  ovile. 

me  mi  mèi,  pi.  me,  70,  mio, 
miei. 

me  70,  me. 

ine  70,  mia,  mi  (acc). 

médco  10,  33,  63,  medico. 

medcudr  1,  33,  medicare. 

medésem  31,  medesimo. 

medùl  21,  42,  ventre;  cfr.  rum. 
modular  membro. 

mejatóira  19,  urina;  cfr.  miur. 

mei  12,  71,  mille. 

menùr  (3*  pi,  pres.  ména; 
3^  pi.  imprf.  minùa)  1,  77,  me- 
nare. 

mesdira  6,  41,  miseria. 


mescudr  43,  mescolare. 

messuóre  1,  misurare, 

m etdr  (3^  sng.  prs.  mat-,  imper. 
mate  le;  3*  sng.  imprf.  metdja; 
1^  sng.  fut.  metàra,  1^  pi.  me- 
tàr me;  partic.  màis  muds  [f. 
mdssa  mudssa]  metòif)  7,  36, 
77,  78,  mettere, 

mezùl  17,  41,  bicchiere. 

mi  70,  mi,  me,  mi. 

mi  2i2f  mio. 

midi  9,  miele. 

mi d ria  f.,  9,  merlo. 

mids  9,  mese, 

mildun  14,  27,  mellone. 

ìnine  su  l  p.  135  ,  '  sparus 
Moena';  cfr.  ven.  ménola. 

minidstra  9,  41,  minestra. 

mirte  3,  martedì. 

misericudrdia  15,  41,  mi- 
sericordia. 

tnisericurdidusi  41,  mise- 
ricordiosi. 

ìnissa  8,  mezza. 

missédma  36,  mezzedima,  mer- 
coledì. 

miùr  miùre  (prte.  miudt) 
1,  30,  'mingere';  cfr.  Diez  gr,  P 
20  e  less.  s.  sp.  mear. 

móffa  20,  muffa. 

moiciàrno  27,  bagnata;  cfr. 
srb.  moóaran  -ma  umido. 

móir,  pi,  f.  in  air  e,  19,  muro. 

moitùro  33,  78,  muterà. 

moletdine  11,  moUettine. 

moludr  p.  122,  lasciare;  vnt. 
molar. 

momiànt  9,  momento. 

móna  146,  madonna. 

monàita  0,  moneta. 

mónda  18,  monda. 


176  Iv 

mordus,  f.  murditca,  24,  34, 
amoroso. 

moscuàr  1,  morsicare. 

most  18,  mosto. 

mudnt  15,  29,  monte. 

muàr  muore  1,  mare. 

mudrt  15,  29,  la  morte. 

muàrt,  pi.  mudrts,  52,  morto. 

mudrz  p.  122,  marzo. 

muds,  V.  s.  metàr. 

mudi  554,  matto, 

miii  1,  mai,  ma. 

mul  p.  135,  nasello,  'galus  Mor- 
langus';  vnt.  molo. 

mùlier  muliér  10,  37,  41, 
moglie. 

muli  253,  molti. 

mun'cdl  munchidl;  Monchidl 
Mone  idi  ni.,  9,  57  n,  monti- 
cello. 

mundi  1,  mandi. 

muói  1,  maggio. 

muòn  tnun,  pi.  muòne  mime, 
1,  36,  mano. 

muònd  321,  mondo. 

murdtica,  v.  moraus. 

mu astra  523,  (partic.  mu- 
struót  312)  egli  mostra. 

muóstro  1,  maestro. 

mut  17,  ora  'modo'. 

mùver  (3^  sng,  prs.  muf)  50, 
72,  muovere. 

Nadudl  1,  Natale. 

ndfo  p.  133,  scodella  di  legno; 
cfr.  rum.  nap  ecc. 

ndi  6,  29,  50,  nove. 

ndid  11,  nido. 

ndnca  233,  neanche. 

nascùit,  f.  nascòita,  19,  nato. 

natica  14,  57,  noce. 

ndum  14,  nome. 


nàun  nu  min;  nua  nnd 
nudn;  non  no  nói  ne  {64);  14, 
19,  54,  non,  no. 

ne,  V.  naun. 

ne  p.  122,  né. 

nel  a  70;  cfr.  Intel. 

nencjóin  19,  25,  56,  70,  nes- 
suno. 

néolo  p.  122,  nuvolo. 

n  epa  ut  14,  29,  il  nipote. 

nidpta  9,  41,  64,  la  nipote. 

nidr  9,  50,  nervo, 

nidr,  f.  pi.  nidr  e,  9,  nero. 

niéna  nidna  8,  madre;  cfr. 
slav.  bosn.  nena  madre,  vnt.  nena 
balia. 

nincs  33,  innanzi;  cfr.  rum. 
ndinte. 

nóide  19,  nudi. 

no j litri  nujiltri  70,  noialtri, 

nòlia  nója  41,  nulla. 

nonuànta  71,  novanta. 

novèmbre  p.  122,  novembre. 

nu  70,  noi. 

nu  nuf  17,  50,  71,  nove. 

mia  nuva,  m.nuf,  50,  nuovo. 

nudster  n  nastro  nuéstro, 
pi.  nuàstri  nuéstri,  f.  maè- 
stre, 15,  70,  nostro. 

nuàt,  pi.  nudte,  29,  58,  notte, 

mi  fio  71,  nono, 

numinùr  35,  nominare. 

miòmer  171,  numero. 

nuós  1,  naso, 

obbedér  12,  34,  obbedire. 

obligudrse  (prtc.  obligudt  108) 
p.  122,  obligare. 

occiài  p.  122,  occhiali. 

ócto  18,  58,  71,  otto. 

octùbre  18,  58,  ottobre. 

octuànta  71,  ottanta. 


11  dial.  veglioto 

offenddre  cffidndro  7,  9,  28, 
72,  offendere. 

oìéja  11,  35,  uliva;  cfr,  rov. 
uleia,  dign.  oléja. 

òmni  pi.,  131,  uomini;  cfr,  jomno. 

onàur  14,  onore. 

onipotidnt,  527,  onnipotente. 

onurards  78,  onorerai. 

orgdin  4,  aratro  ;  cfr.  vnt.  or- 
(jdno. 

orsòis  522,  orsù. 

pacùr  (3*  pi.  pres.  paczra;  ì^ 
sng-,  fut.  pacuora)   1,  78,  pagare. 

palla  11,  orciuolo;  vnt.  pi7a, 

pdina  p.  122,  penna. 

pàira  6,  pera. 

pdja  524,  pia. 

paldla  7,  paletta. 

p  a  làure  22-23,  49,  parole. 

par  pur  per  5,  74,  per. 

paraddis  11,  paradiso. 

pare  5,  padre;  v.  tuota. 

parehua  11,  apparecchiava. 

parentnót28 1-82,  parentado. 

parlurér  37,  il  partorire. 

pask  1,  53,  pesce. 

pascoliir  (P  sìv^.  pasco  là- 
jo;  3*  sing.  imperf.  pascolna) 
1,  75,  77,  pascolare. 

^as?iwr  (Jdi/i  juórbul)  p,  112, 
piantare.  Ne  è  troppo  rimoto  il 
srb.  posaditi  piantare  *. 

pdssa  (3^  sng.  T^rf.passii  pas- 


Indice  lessicale. 


177 


swd;  prf.  perifr.  u  passudt)  79, 
passa. 

passeràin  11,  collett.,  uccello; 
così  il  rum.  pdsere. 

p  a  stali  r  14,  pastore. 

2)atidt  530,  patito. 

patrdun,  f,  patrduna,  14, 
62,  padrone. 

]}ò.\xc,i.  pduca,  p.  122,  poco. 

pàuper,  pi.  pan  per,  64,  68, 
povero. 

pecatdtir  14,  peccatori. 

jìecdts  25,  peccati. 

pécla  38,  43,  57,  pece. 

pedóclo  18,  38,  43,  pidocchio. 

pélo,  pi.  -i,  p.  131,  f.  pi.  péle, 
430,  piccolo. 

péltro  10,  peltro. 

pensudrme  (3^ sng.  prs.  pian s) 
73,  pensare. 

pentisudrse  1,  25,  74,  confes- 
sione, 'pentirsi'. 

pépro  10,  28,  pepe. 

perduti  31,  forchetta. 

percó  p.  123,  perchè. 

perdondnz  i36,  perdono. 

pericolà-ussa  14,  pericolosa. 

j)  e  rj  d  u  n  e,  \.  prezaun. 

pernàica  11,  25,  67,  pernice. 

persduna ,  pi.  persàune , 
14,  persona. 

pesdint  28,  pesante. 

pescuòr  1,  pescare. 


*  Questa  riniiniscenza  slava,  alla  quale  il  nostro  Ive  non  sa  rinun- 
ziare, era  veramente  respinta  da  me;  né  io  del  resto  vorrei  star  ra.d- 
levadore  per  qualche  altro  confronto  ch'egli  istituisce  tra  veglioto  e 
slavo.  Il  vegliato  pasnùr  (e  pastiiar)  è  un  bel  cimelio,  perchè  ci  dia 
anche  al  Quarnero  la  continuazione  veramente  popolare  del  lat.  class. 
e  medie v.   pastinare  fodere,   plantare,  conserere  (cfr.  Ducange;  e 


Archivio  glettol.  iUl.,  IX. 


12 


178  Ive, 

picil  9,  42,  pelle, 
piànte  401,  piante. 
Piar  257,  Piero, 
pidrder  (prtc.  p  i  a  r  s  ;  prf.  pei-if r. 
jàime  se  pi  ars)  9,  perdere. 
pi  a  s  ir  8,  piacere. 


peslatória  22,  serratura; 
cfr,  lat.  pessuhim. 

2)esuàre  p.  123,  pesare. 

pezéniga  p  e  z  è  g  li,  in  a  p. 
133,  lucertola. 

pezenighér  pezegfiinér 
p.  133,  lucertolone. 

pézla  35,  ei  goccia. 

2ìi,  pi.  pick  (e),  8,  41,  piede. 

pidcno  9,  28,  33,  58,  pettine. 


pidt,  pi.  pi  dà,  5,  piatto. 
picùrke    21  n,    funghi;    cfr. 
srb.  pecurha. 
piciuta  p.  133,  sorta  d'uva. 


aggiungi  Glossar,  lat,  ed.  Mai  Vili  473:  pastinare  colere  vel  palos  cir- 
cumfigere;  Glossae  ed.  Mai  VI  538  e  Lat.  gloss.  ed.  Thomas:  pastl- 
nantes  plantantes).  11  qual  verbo  si  riproduce,  oltre  che  nel  vocabolario 
italiano,  nel  fri.  pastand  im-pastand,  porre  dentro  terra  le  piante 
giovani  acciocché  vi  si  appicchino,  vegetino  e  fruttifichino  (unum  bear- 
zum  bene  fossalatum  et  pastanatum;  instr.  d.  1401,  ap.  Pirona),  nel 
piac.  pastand  rompere  o  lavorare  un  terreno  per  la  prima  volta,  genov. 
pastenà  rivoltar  la  terra  profondamente,  napol.  pastenare  piantare, 
trapiantare  [pastenature  piantatoio).  Mi  pare  anche  assai  probabile, 
che  una  riduzione  ben  consimile  a  quella  del  vegl.  pasnùr  («pastnàr) 
siasi  avuta  regolarmente,  per  la  medesima  sostanza  etimologica,  pure 
in  Francia,  e  stia  come  latente  nel  frane,  panais  pastinaca;  la  qual 
forma  risponde  bensì  materialmente  a  p anace-,  ma  secondo  il  signi- 
ficato riviene  piuttosto  a  *pasnaie  *j)anaie  =  pastinaca  (e  già  altri 
si  sono  senz'altro  provati  a  ricondurre  panais  a  un  *pastinaco-).  La 
pastinaca,  la  quale  ha  una  radice  principale  che  si  getta  perpendi- 
colarmente entro  terra,  ripete  di  certo  il  suo  nome  da  pastinum, 
onde  pur  viene  pastinare  fodere  ecc.  (cfr.  lingulaca;  suffissi  di- 
versi, nel  semifranc.  pastenade,  fri.  pastanale;  e  forme  più  estese, 
nel  T^ìs.  pastiìtaccini,  gì,  lat.  pastinacuU  Hld.  91,  neopr.  past3nailles\ 
Con  questo  antico  pastinare  viene  poi  a  coincidere  foneticamente 
un  pastinare  pascere,  donde  il  pastinatico,  che  per  la  stessa  via 
di  normal  riduzione  è  nel  frc.  panage.  E  se  è  ancor  lecito  qui  ritentare 
un'altra  voce  francese,  che  consuona,  cioè  panard  (il  se  dit  d'un  cheval 
dont  les  deux  pieds  de  devant  sont  tournés  en  dehor.s),  dirò  che  s'in- 
contrerebbe col  paniscus  qui  pedibus  in  diversis  tendentibus  ambulat, 
Glossar,  lat.  ed.  Mai  VIII  538,  al  quale  potrebbe  stare,  per  la  forma- 
zione, così  pressappoco  come  montagnard  all'it.  monianesco. 

G,  I.  A. 


Il  di;iJ.  veglioto: 

piér  3,  pajo. 

piersiguòt  16,  'pesco',  per- 
sico. 

pigna  Ila  p.  133,  sorta  d"uva. 

Pilato  126,  Pilato, 

pinsamiànt  27,  68,  pensieri. 

pira,  pi.  pire,  8,  pecora;  rum. 
istr.  pire. 

Pi s din  225,  n.  pr,,  Pisino. 

pi  tra  8,  pietra. 

piacérò  {3^  sng.  prs.  2J  luk)  28, 
46,  57,  piacere, 

pldin,  f.  2^làina,  46,  pieno. 

planóira  19,  pianura. 

ylant  5,  46,  pianto. 

plus  pldssa  46,  piazza. 

pie  46,  più. 

pie  màuro  72,  224,  maggio- 
re, anziano. 

p lóiv  jìlóifpluv  pilli  46, 
50,  piovere,  piove. 

plomh  18,  46,  piombo. 

plovdja  pluvdja  pludja  15, 
46,  pioggia. 

pludtena  46,  scodella;  vnt.  pùi- 
dena. 

plùchia  21  u,  polmone;  cfr.  slov. 
pljuza. 

plùghe  146,  preci. 

p  lui  p.  133,  strada  in  declivio, 
•piovere'. 

plùngre  (ger,  plangdnd'j  1, 
28,  46,  61,  piangere. 

pò  in  10,  pugno. 

pollùastro  1,  pollastro. 

poltrdun  14,  poltrone. 

pom  pudm  36,  pomo. 

pò  pio  38,  popolo. 

Pornibo  p.  127,  P  a  r  n-  d  i  b 
208,  ni. 

potare  7,  82,  potere. 


Indice  lessicale. 


17t> 


potare  460,  tagliare,  'potare'. 

póulver  pùlvro  28,  polvere. 

ptrdiìno  préin,  f.  prdima, 
11,  71,  primo. 

p  r  a  n  d  a  r  29,  p.  123,  pran- 
zare. 

prat  7,  prete. 

p recar  [l^  sing.  pres.  prik, 
2'^  pi.  precùte;  3^  sng.  imperf. 
2yriegùa;  2>^  sng.  prf.  prieguó) 
1,  8,  56,  77,  79  pregare, 

premure  (3^  sng.  prs.  te  pre- 
mdja)  7,  premere. 

prenddr  (prtc.  pjrdisso  prdis 
-0,  f.  prdisa)  6,  7,  prendere. 

prezdun  prigiduna,  '^ì.per- 
jdune,  14,  41,  prigione. 

pri  145,  per  (cfr.  rum.  pre 
apà). 

p  r  i  é  n  z  pr  in  z  3 ,  36 ,  41 , 
pranzo. 

prinsep  prinz  p.  123,  principe. 

2Jrinsidp  57,  principio. 

pr  ti  ónta  16,  64,  pronta. 

pruntdja  (prtc.  ptruntuòt) 
iraper.  -^^fP,  appronta! 

pudls  -15,  polso. 

Pliant  15,  29,  ponte. 

puàrc,  pi.  puiircs,  15,  52, 
porco. 

puàrta  15,  porta. 

puds  68,  passi. 

pudsta  229,  posta. 

2nUco  21,  33,  57,  67,  pulce. 

pulidnta  9,  polenta. 

jìuón  pun  1,  pane. 

jì  li  ónta  208,  Punta  ni.,  punta. 

2ìuórt  460,  parte. 

Può  sii  238,  342,  Pasqua. 

puóscro  1,  28,  pascere. 

■puósfa  1,  posta. 


180 


Ive, 


ptìpola p.  123,  polpaccio;  vnt.  id. 

purgatòri  18,  purgatorio. 

purtùr  [3^  sng.  itvs.  puórta; 
3^  sng.  ìmprf.  e  prf,  piirtita;  1^ 
sng.  fut.  pwrf?fra;  prtc.  pìir- 
tuót)  2 io,  278,  portare. 

pùta  p.  123,  potta. 

qualùnque  jóin  70,  qua- 
lunque, 

quaranta  71,  quaranta. 

quartùn  1,  quartano  (misura). 

qudter  quattro  59,  71, quattro. 

quaitudrco  15,  71,  quattordici. 

que  [che)  59,  70,  che  pron., 
le  quali. 

que  che,  cong. 

qui  chi  70,  quei. 

quid  e  r  59,  quadro;  cfr.  cuàdro. 

ra  7,  re. 

racle  7,  36,  43,  orecchie;  I 
323. 

racuordàr  (2^  pi.  imper.  re- 
curde  te)  17,  26,  ricordarsi. 

radàica  11,  07,  radice. 

rója,  m.  ri,  pi.  ri,  11,  'rea', 
brutta,  tri-te, 

ràid  6,  29,  62,  rete. 

rdigno  509,  r?gno. 

ràipa  p.  123,  riva. 

rampegdun  p.  123,  arpagone. 

rassàun  14,  41,  ragione. 

rduha  208,  roba. 

r  a  vani  di  p.  135,  ravanello. 

ree  12,  ricco. 

rechila  13,  36,  orecchino;  cfr. 
vnt.  recin. 

recólgro  61,  72.  raccogliere. 

recomuónd  r  ic  o  mudn  d 
ricomùnz  recumdn  1,  27,  rac- 
comando. 

recuridime  520,  ricorriamo. 


rédrc  (prtc.  ridz)  12.  28,  63, 
74,  ridere,  il  ri?o. 

regidina  11.  25.  61,  regina. 

religiàuii  14,  religione. 

remetidime,  'dimiltirans*. 

reme  ti  dj,  75,  'dimitte'. 

remissidun  534,  remissione. 

resoluto  37,  solito  (?]. 

respudndre  (3*  sing.  perf.  [?] 
respóndro  293  307)  28,  63, 
72,  risp  indere. 

restitudrme  restifudr  73,  resti- 
tuire. 

restuóte  (prtc.  restuót  319) 
451,  restate. 

resuressidun  535,  risurre- 
zione, 

resussifuùt  53L  risuscitato. 

revisióii  125,  rivisión  16i. 
visione  (?). 

r  e  Vili  g  di  75,  rivolgi. 

rez  3,  41,  razza. 

ridnder  9,  72,  rendi^re. 

ringràdme  (1*  sing,  pres.  rin- 
grddme)  73  n.,  ringraziare. 

rlze   78,  ri'^o. 

robudr  rubùre  1,  rubare. 

ròca  18,  cnnoccliia. 

rostdr  (2"  pi.  prs.  rostdid;  prtc. 
rudst)  11,  rostire. 

rovàina  11.  34,  rovina. 

ruàm  1,  29,  rame. 

riiAss,  f.  rzidssa.  15.  rosso. 

Rude  103,  Ru  126,  Erode. 

mòsse  16,  ogni  sorta  di  fiori; 
cfr.  fri.  rosis. 

ruzùda  1,  41,  rugiada. 

sdi  292,   sei  114,  12,  si,  così. 

sài  te  82,  essere, 

sojéla  p.  124,  saetta. 

sak  1,  secco. 


Il  dial.  veglioto: 

sak  (se)  415,  seccano. 

salhdun  14,  47,  sabbia. 

salùr  (prtc.  f.  saluta)  1,  salare. 

salùrio  1,  salario. 

salvatdur  14,  salvatore. 

salvès  76. 

sambàun  p,  124,  saviezza,  es- 
ser [']  savio. 

samir  samur  3,  somaro. 

sdmno  14,  55,  sonno. 

sdnglo  sdngla  4.o,  sola  'sin- 
gola. 

Sani'  a-  sante;  cfr.  suoni. 

santdico  159,  santdusso  122, 
santissimo. 

sante  contidnt  p.  124,  conten- 
tezza, 'essere  [sei]  contento'. 

santi ficùr  (prtc.  s anti fi- 
eno t)  53S,  s:\ntificare. 

san  tilt  499,  salute. 

sapdrc  snjuir  (1^  sng,  prs,  sa- 
pdjo  e  sdì,  o^  sapdja,  2^  pi. 
sapdite;3^  sng.  inoprf.  sapdja) 
7,  75,  77,  sapere. 

sapàun  14,  sapone. 

sàpto  sidpto  9,  28,  64,  71. 
sette, 

sapùr  1,  zappare. 

sdra  7,  sera. 

sarda  7,  sereno. 

sarazàin  p.  132,  saraceno 
(grano). 

sardidla  9,  sardella. 

sarg  14,  60,  sorgo. 

sariz  572,  ciliegie;  cfr.  criss. 

sassàin  11,  68,  assassini. 

sàia  1.  seta. 

satudr  (prtc.  satuót)  1,  42, 
saltare. 

sdul  p.  124,  sole. 

sdii  ina  319,  soma. 


Indice  lessicale. 


181 


sdicn  14,  zampogna,  rov.  sona. 

sdupra  14,  sopra. 

sauprandnm  168,  soprannome. 

sàur  ali.  a  serdur  14,  67, 
sorella;  I  446  n. 

sbandditi  11,  sbanditi. 

sberlòt  p.  124,  schiaifo,  rove- 
scione; vnt.  sherloto. 

scafa  429,  pila  dell'acquajo; 
vnt.  id. 

scdina  11,  schiena. 

scdlda  el  lidi  p.  124,  scalda- 
letto. 

scarpis  p.  135,  scorpena. 

scarsella  39,  saccoccia. 

schiopét  p.  124,  schioppo. 

s?.hirp  3,  56,  scarpe. 

shidla,  pi.  sedie,  p.  133, 
ogni  sorta  d'erbe  selvatiche  man- 
gerecce. 

sciopatùire  19,  fessure;  vnt. 
scopadilre. 

sciar  pi.  f.,  56,  imposte;  vnt. 
scuri. 

scludv  [de  tòich)  43,  servo  (di 
tutti). 

scader  p.  124,  riscuotere. 

scolaro  SCO  Uro  3,  scolaro. 

scomdter  (s.  pi.  fut.  scometdir- 
me)  p.  124,  scommettere. 

scomensudr  1,  cominciare. 

scótta  18,  ricotta;  cfr.  trentino 
scótta. 

scrióru  p.  124,  scrivere, 

sculiéra  3,  37,  cucchiajo;  cfr. 
vnt.  sculiér;  cfr.  cucér, 

scuntilte  1,  24,  ascoltate. 

scuòle  1,  scale, 

scuót  scuòta  16,  ei  scotta. 

scùtro  6?,  72,  levare,  *scu- 
tere,  I  441. 


182 


Ive, 


se  5,  se,  cong. 
se  25,  si. 

seda  1  e  p.  135,  falcetto. 
seclùr  1,  falciare. 
seca  anelo  15,  71,  secondo. 
secuót  1,  seccato, 
sedar  li  1   17,  fazzoletto,  'suda- 
riolo'. 

sèdia  10,  1 1,  secchia. 
séga  10,  56,  sega, 
sega  lira  56,  sicura. 
semidnsa  p,  135,  semenza. 
senteniidnt  25,  sentimento. 
sentóre  sentérme  (2'^  sng.  prs. 
te   siànte,    3*    se  siànt;    prtc. 
sentdit)  9,  12,  71,  sentire. 

sentùr  1,  sedere;  cfr.  vnt.  sen- 
tdr-se. 
sepoltòira  19,  sepoltura. 

sepudlt,  sepolto. 

septuànta  setuònta   1,  25. 
71,  settanta. 

sermiànt    sermiàntu   9,    ser- 
mento. 

serudr  25,  serrare,  chiudere. 

sessuànta  1,  71,  sessanta. 

sètco  10,  28,  63,  71,  sedici. 

setémbro  10,  28,  settembre. 

s  et  emù  n  a  338,  settimana. 

si  sis  8,  71,  sei  (num.). 

sidd  9,  siede. 

sidla  9,  sella. 

siàmpre    sìdmpro    sidnpro 
9,  28,  sempre. 

si  ansa  214,  350,  senza. 

sidnt  71,  cento;  cfr.  ciant. 

sidp  9,  siepi. 

5  i  dp  9,  seppia. 

sidp  timo  9,  71,  settimo. 

sidri  57,  certo;  v.  ciart. 

sielgdjo  75,  scelgo. 


signdxir    seigndur  sendiir.   f. 
signdura,  14,  41,  signore. 
sii  42,  57,  cielo;  cfr.  ciel. 
Sisto  8,  71,  sesto. 
sòglo  18,  38,  collo,  'soggolo'. 
sòis  su  19,  su. 
soldudt  1,  soldato. 
sólo  124,  solo. 

sonudr  [Z^  sng.    prs.  sùna)  1. 
sonare. 

sóo   p.    124,    su   122,    f.    so  a. 
70,  suo  -a. 

sot  20,  asciutto. 
so  te  18,  sotto. 
spacudrme  73,  spaccare. 
spdina  11,  spina. 
spdisa,  pi.  spdise,  6,  spesa. 
spartèr  12,  spartire. 
spasimuòt  291,  spasimato. 
specola  -e,  p.  133,  pallottolina 
di  marmo  con   cui   giocano  i   fan- 
ciulli. 

sperdjo    (3*   sng.    prs.    spe- 
rdja)  75,  spero. 

speridnza,  speranza. 
spidch  [k)  9,  43,  specchio. 
spidnder  (3*  sng.  prs.  se  spiani; 
1^  sng.  prf.  spanddi;  prtc.  spiani) 
9,  79,  spendere. 

spidnza  41,  40,  milza  ;    veneto 
spiénza. 

spiasse  cai  575,  spesse  volto. 
spidta  imper.,  9,  24,  aspetta. 
spiriiu  504,  spirito. 
spisiahnidnia   9,    27,    83, 
specialmente. 

spio  ima  19,  spuma;  I  547  e. 
spóit  19,  sputo. 
sposudr  (part.  spusuòt)  1.  7  1, 
sposalizio,  'sposare". 
spudij  1,  spago, 


Il  dial.  vcglioto: 

spudla  p.  124,  spalla, 

spuàrc  15,  sporco. 

spudss  112,  passeggio;  veneto 
spasso. 

spudta  1,  spada. 

squadrudr  1,  squartare. 

squdris  52,  QQ,  quarti. 

sta  70,  questa. 

stdÀfjn  4,  41,  stagno. 

stajdun  231,  stagione. 

stdlle  7,  stelle. 

stassdun  14,  bottega,  'stazione". 

statdira  6,  stadera. 

stdura  14,  stuoja. 

stduria  14,  storia. 

stentudr  (1'^  pi.  fut.  stenta- 
ri  dime)  p.  125,  stentare,  lavo- 
rare. 

stimdjo  75,  stimo. 

stivil  3,  stivale. 

stopdin  p.  125,  stoppino. 

stopdir  11,  72,  stupire. 

strac  5,  stracco. 

stramiids  1,  materasso. 

studfa  p.  125,  staffa. 

studrme  stuàr  stuór  stitre 
stur  1,  2,  82,  stare. 

stuòia  -e,  p.  133,  stoppia 

studiùre  (1^  sng.  prs.  studdjo) 
1,  75  e  p.  135,  studiare,  affret- 
tarsi. 

stufuòt  230,  stancato. 

stuópa  p.  125,  stoppa. 

stiUudrme  1,  37,  spegnere,  'sta- 
tare*; cfr.  vnt.  studi',  rov,  destudd. 

sudi  1,  sale. 

sudng  1,  29,  60,  sangue. 

sudrd  15,  sordo. 

siibatu  1,  sabato. 

subito  p.  125,  subito. 

suhìdr  5,  47,  zuffolarc. 


Indice  lessicale.  183 

suhlót  47,  zuffolo. 

suddjo  75  e  p.  135,  sudo. 

sudàur  f.,  14,  47,  sudore. 

sufldjo  48,  75  e  p.  135,  soffio. 

s urna  21  n  e  p.  183  fascio  d'ar- 
busti; cfr.  srb.  siuna  selva. 

suna,  ei  suona. 

suntificuòt,  santificato. 

suòni,  suónta  sùbita,  pi.  m. 
sudnts,  1,  santo  ecc. 

sùrco  17,  33,  sorcio. 

suspirdj o    [ì^    pi.    pres.    sic- 
speridime)  75  e  p.  135,  sospiro. 

sussdne  p.  125,  susino. 

svdud  -a  344,  346  e  66,  vuoto. 

tacàre   3,  7,  57,  82  e  p.  125. 
tacere. 

tdik  70,  teco. 

tajudrme  tajiir  (3^^  sng.  imprf. 
taljùa)  77  e  p.  125,  tagliare. 

tdima  6,  tema. 

Talidn  33,  ni. 

talidnta,  italiano  (?). 

tdte  7.  mammelle. 

tdun  14,  tonno. 

tavidrna  9,  taverna. 

te,  a  te,  te,  per  te,  70,  tu,  a 
te,  te,  per  te. 

temjìidsta  9,  tempesta. 

tenàja  p.  125,  tanaglia. 

tendre  (prtc.   tenóit)  p.    125, 
tenere. 

tentatidun,  tentazione. 

tervidla  9,  trivella. 

te stimùni  17,  testimonio. 

t  idk  tidca   9,  45,   tegghia  ; 
vnt.  teca. 

tidmp  9,  tempo. 

t tasta  9,  testa. 

tidta  p.  125,  zia. 

tiércs  tiérch  (cf)  3,  41,  tardi. 


184  Ive, 

finir,  470  tino. 

tirdjo  75,  tiro. 

to,  pi.  tói,  70,  tuo. 

to  cdj  o  ^  (prtc.  tocuòt]  75  e 
p.  135,  tocco. 

tonùro  (3^  sng.  pres.  tonàja) 
75  e  p.  125,  tuonare. 

tormentudrme  se  73,  tormentare. 

iornuàr  (partic.  tornuót)  1  e 
p.  125,  tornare. 

tos  p.  125,  tosse. 

tossdjo  75  e  p.  135,  tossico. 

tot,  f.  tòta,  pi.  m.  tocs  tóich 
tóic,  f.  tace,  68,  70,  tutto. 

tot  pie  315-16,  tanto  più. 

tra  7,  71,  tre. 

traghidt  204,  traghetto. 

trdto  71,  terzo. 

tratùre  (partic.  tratuót)  1, 
555,  trattare. 

trdunk  14,  tronco  (sost,). 

traviérsa  p.  125,  grembiule; 
vnt.  traversa. 

trédco  10,  28,  63,  71,  tredici. 

tremdjo  75  e  p.  135,   tremo. 

triànta  9,  71,  trenta. 

troc,  fem.  tróca,  pi.  tròki,  fem. 
tróke,  36  n,  ragazzo;  cfr.  slov. 
otrok, 

trudr  (2^  sng.  imper.  trich)  3, 
81  e  p.  125,  gettare,  'trarre'. 

truóta  1,  rete,  'tratta'. 

truvassdi  80,  troverei  (?). 

tu  70,  tu. 

tu  al  1,  tale. 

tuónt,  f.  tuónia,  pi.  f.  tùnte, 
1,  tanto. 

Tiene  ecc.,  v.  Antùne. 

tuóta  1,  padre;  cfr.  rum.   tafà. 

uàclo,  pi.  uàcli,  38,  43,  oc- 
chio; 1  437. 


uà  il  udì  41,  olio, 

udrz  1.5,  41,  66  e  p.  132,  orzo. 

udsse  105  e  15,  ossa. 

Uddina  168,  cogn.,  Udina. 

uldiv  11,  3"),  olivo. 

ultra  17.  83,  oltre. 

un,  f.  una,  91,  uno;  v.  jóin. 

uòtto  vudt  66,  71,  otto;  cfr. 
s.  octo. 

giurano  17,  organo. 

ustardja  35,  osteria. 

va  82,  imper.  va;  va  levitar 
p.  125,  va  a  prendere. 

vdcca  5,  56,  vacca. 

vai  94,  questa. 

vdja  11,  via. 

vdida,  pi.  vdite  e  vdit  (Val 
de),  li,  62,  vite. 

vdigna  végna  11,  41,  vigna. 

vdila  6,  vela. 

vàin  11,  vino. 

vàina  6,  vena. 

vàita  11,  vita. 

vai  5,  29,  42,  valle. 

valdro  7,  28,  valere. 

Valdemdur  282-83,  ni. 

vdnder  venddre  7,  72,  ven- 
dere. 

vart  14,  orto. 

vas  76,  82;  v.  s.  anduàr. 

ve  70,  a  voi,  vi. 

veclisùn,  f.  v eclisùna,  1, 
44,  vegliesano  'veglioto'. 

vedàr  (1^  sng.  prs.  vidd,  1* 
pi.  ve  daini  e;  l'^  sing.  imperf. 
veddja,  1*  t^\.  vedajdime;  1^ 
sng.  fut.  veddra,  1^  pi.  vedàr- 
me;  \^  sng.  perf.  tea  vedàit 
50;  prtc.  vedòit;  ger.  veddn- 
do)  7,  9,  19,  36,  62,  77,  78,  ve- 
dere. 


Il  dial.  veglioto: 

véi  50,  vivo;  v.  s.  viu. 

vegliai u  velgdjo  30,  75,  ve- 
glio. 

venero  8,    12,   28,   75,   77,  82, 
venire. 

venkdòj    venchidòj   71,   ven- 
tidue. 

V  e  n  Jij  ó  i  )i   venchjó vi  7 1 ,  ven- 
tuno. 

vencs  vene  41,  71,  venti. 

véski  10,  vescovo. 

vestemiànt  0,  vestimento. 

vesiéi-se   vestér   (partic.    ve- 
stidt)  12,  72,  vestire. 

vet  m.,  36  a,  biada;  cfr.  slov. 
oves. 

vetruón   vetrùn,    fera,    ve- 
truóna,  1,  vecchio;  I  438. 

vidla    p.  133,    donnola;    cfr. 
Arch.  II  49. 

viàat  9,  vento. 

vidntro  9,  28,  ventre. 

viàrd,  f.  v iarda,  9,  67,  verde. 

vidrm  9,  29,  verme. 

vidrz,    pi.    vidrze.  9,   41, 
verza. 

viàssa  9,  vece. 

vidspro  9,  vespro. 

vicidin  vie  din  57,  cugino,  pros- 
simo. 

Vida  8,  44,  "Veglia. 

viola,  pi.  vide.  p.  126,  città 
in  gen.;  I  437  n. 

v.iéclo  44,  vecchio. 

villa  13,  villaggio. 


Indice  lessicale.  Ì8S 

vìndre  8,  54,  venerdì. 

vlrgiiia  8,  vergine. 

vis  vado;  v.  s.  anduàr. 

viu,  véi,  vi,  pi.  vi,  13,  50, 
vi  vo. 

vivar  539^  vivere. 

vói  82,  va;  cfr.  s.  anduàr. 

vòlta  2,  51,  sentinella. 

vóli  41,  la  voglia. 

voluntuót  1,  volontà. 

vu  vo  vói    70,  voi. 

vudrh  66,  orbo. 

vudrz  66,  orzo;  cfr.  uarz. 

vudster  v nastro,  f.  vudstra 
vuéstra  vùstra,  pi.  f.  vudstre , 
15,  70,  vostro. 

vudt  66,  otto. 

vudtvo  65,  71,  ottavo. 

vultuót  1,  voltato. 

zdime  zanne  zar  zérme 
zer  11,  12,  61,  82,  andare. 

zenócle  61;  v.  denocle. 

ziànt  9,  61,  gente. 

zocudr  1,  40,  56,  giuocare. 

Zóli  dólci  p.  134,  ni. 

zùa  17,  40,  50,  giovedì. 

Zuéche  40  e  p.  134,  ni.;  cfr. 
venez.  Zuèca. 

zùgno  40,  giugno. 

zumd  zumar  5,  fischiare,  si- 
bilare ;  cfr.  slov.  siirnètì ,  esser 
ebbro;  e  per  le  varie  accezioni, 
il  ted.  'rauschen'. 

Ziimdngie  p.  134.  ni.;  cfr. 
srb.  zurnance.  * 


*  Per  l'ultimo  riordiuaracnto  di  tutto  il  presente  lavoro,  ma  in  ispecie  per 
la  compilazione  di  qaesV  Indice  lessicale,  io  devo  e  professo  volentieri  non 
poca  gratitudine  al  dottore  Luigi  Stoppato. 


186 


Ive. 


C.    ClMELJ    RUMENI    E   VOCI  DIVERSE, 
DEI   TERRITORJ   DI   POGLIZZA   E   DOBASNIZZA,   NELL'ISOLA    DI   VEGLIA. 


1.  Singole  parole. 


are  egli  ha;  rum.  istr.  [d]re. 

basilica  chiesa;  cfr.  rum.  bi- 
sericà,  e  Tlnd.  less.  s.  basàlca. 

bejùt  bevuto;   rum.   istr.  bejùt. 

bóu  bue;  rum.  istr.  bóu. 

caca  solco  ;  cfr.  slov.  kaza  serpe? 

cine  cinque;  cfr.  rum.  cinci  e 
r  Ind.  less.  s,  ciénc. 

coptóru  forno;  rum.  istr.  ho- 
ptùru. 

cuturdn  interjez.  (cfr.  srb.  cu- 
tura  bottiglia  di  legno  ?). 

dèvet  (srb.  id.)  e  nopt,  nove. 

fan  fa  pane. 

m  n  i  é  1  u  anjèle  agnello  ;  cfr. 
rum.  istr.  mljélu. 

olla  pecora;  cfr.  rum,  istr.  ója. 


opt  otto;  daco-rum.  opf. 

pàtru  quattro;  rum.  istr.  id. 

sdpte  sette;  rum.  istr.  sdpte. 

sase  sei;  rum.  istr.  sdse. 

tréi  tre;  rum.  istr.  id. 

ur  uno;  rum.  istr.  id. 

caca  vacca;  rum.  istr.  id. 

vifcl  vigèl  vitello  ;  rum.  istr. 
vltsèlu. 

zdce  dieci,  daco-rum.  zece,  rum. 
istr.  zótsi. 

zdci  wr  undici;  rum.  istr.  wr- 
prezetsi. 

zdci  dói  dodici;  rum.  istr.  dói- 
prezetsi. 

zdci  tréi  tredici  ;  rum.  istr.  tréi- 
prezetsi. 


2.  Singole   frasi. 


Caco  zutd?  Come  va  a  casa? 

C'è  face  ?  Che  cosa  fai  ? 

Da  càia  fare.  Da  quella  [cosa] 
fiìori. 

Data  ba.  Date  [da]  bere. 

Dégno  o  zutd.  Ancora  non  [sei] 
a  casa? 

Drdcu  te  via.  11  diavolo  ti  porta. 

Juvój?  [Che]  volete? 

Juvój  maruìicd?  Volete  man- 
giare? 

Juvój  cu  dómno?  Volete  [ve- 
nire] col  Signore? 


Juvói  puro?  Volete  [del]  puro 
[vino]? 

Mers  a  càza.  Va  a  casa  (cfr, 
rum.  istr.  merge  mere). 

Mers  cu  dómno.  Va  col  Si- 
gnore. 

Numan  cele.  Non  sa  quello  che 
parla  (?). 

Pak  cacdts  maruncd.  Va  [a] 
mangiar  e ...  ! 

Sorbdite  Idpte,  sparinjdte  pira. 
Sorbite  il  latte,  risparmiate  la  pe- 
cora. 


Cimelj  rumeni  di  Poglizza  e  Dobasnizza.  ^87 

3.  Frammento    dell'orazione    dominicale. 

C'dóe  nóstru  Mie  jdste  . . .  prepemint . . .  svètit  nùmele  tev ,  se 
(lane  hlibu  nóstric  de  svdha  zi...  dona  vede  (?)  ;  cfr.  Miklosich, 
Ueber  die  wanderungen  der  Rumunen  etc. ,  XXX  voi.  delle  Mem.  d. 
Ac.  di  Vienna,  p.  8-9. 

4.  Nomi  locali^. 

Baùha,  Bergùt,  Bigllna,  Bortlóvi,  Bresfdn,  Buina,  Camindle, 
Canti,  Cantili,  Ceresgnina,  Ceròcca,  Chitrici,  Cressevdn,  Cristonòf, 
Decorine,  Doglini,  Duordn,  Givancdla,  GUùtic,  Gomdgna,  Gorsini, 
Gorzigna,  Gtrlbiavi,  Grddina,  Gric ,  Jdno,  Kernétic ,  Legilgie , 
Mdmos,  Missérova,  Mogdnika,  Mudila,  yùncole,  Oblighi,  Pèzzo, 
Pogdnke,  Rébra,  Samaria,  Senliévi,  Stròclevi,  Stùblezi,  Ùbrig, 
Valla,   Valpèr,    Vércore,    Vldssic,  Zulicév. 


*  Questi  uomi  locali   son    tratti,   per  buona   parte,  da  un  libro  catastale, 
che  va  dall'anno  1679  al  1804. 


INTORNO    AI    DIALETTI 

DI  ALCUNE  VALLATE  ALL'ESTREMITÀ  SETTENTRIONALE 

DEL  LAGO  MAGGIORE. 


I.   Annotazioni  fonetiche  e  naorfologictie, 
IL  Effetti  dell'  -i  su-lla  tonica. 


DI 


Esordio. 


La  regione,  delle  cui  parlate  io  intendo  occuparmi  in  questi  Saggi,  pende 
verso  l'cstreniità  di  nord-est  del  f^ago  Maggiore.  Goniiircnde  essa  la  valle 
della  Vei-zasca,  a  nord  di  Locamo,  le  valli  del  bacino  delia  Maggia  ^  cioè 
la  Valmaggia  propriamente  detta,  la  Valle  Onsernoue,  le  Centovalli,  e  infine 
la  Valle.,yii£ezzo,  la  quale,  da  Re  fino  a  Uruojj;no,  forma  un  altipiano-  che 
può  considerarsi  come  una  diretta  continuazione  delle  Centovalli  ^ 


^  Questa  denominazione  potrebbe  per  avventura  spiacere  ad  un  geografo, 
poiché  in  realtà  le  acque  della  Melezza  e  dell' Isornio  non  confluiscon  prima 
tra  loro,  e  poi  più  in  giìi  con  quelle  della  Maggia,  che  nelle  cosi  dette  Terre 
di  Pedemonte,  un  antico  seno  del  lago,  riempito  dai  depositi  dei  ti'e  fiumi, 
e  non  prendono  unite  il  nome  di  '  Maggia  '  che  ad  un  pajo  di  chilometri 
dalla  foce. 

2  Cfr.  Cavalli,  Cenni  statistico-storici  della  Valle  Vigezzo  (S  voi.,  Torino, 
1845)  voi.  I,  20-21.  —  In  quest'altipiano  hanno  le  sorgenti,  e  quel  Melezzo 
che  lo  traversa  quasi  intiero,  come  attraversa  intiere  le  Centovalli  (dove 
tramuta  il  suo  nome  in  Melezza),  per  scaricarsi  nella  Maggia,  e  l'altro  Me- 
lezzo, che  ne  scaturisce  alla  estremità  meridionale,  e  bagnata  la  sezione  di 
Val  Vigezzo  (da  Druogno  in  avanti)  che  pende  verso  la  Toce,  si  scarica  in 
questa. 

'  Di  queste  valli,  solo  Val  Vigezzo  è  anche  politicamente  italiana  (prov. 

di  Novara);  le  altre,  con  l'intiero  Canton  Ticino,  di  cui  fanno  parte. 

aspettano  ancora. 


Dial,  a  settentr.  d.  Lago  Magg.  :  Esordio.  189 

Di  queste  valli,  la  più  importante,  sia  per  estensione,  sia  per  popolazione, 
è  la  Valmaggia  propriamente  detta;  per  noi  è  poi  la  più  importante  anche 
per  ciò,  che  in  essa,  principalmente  a  Ccvio  ed  a  Mcnzonio,  ci  fu  dato  di  rac- 
cojriiere  la  maggior  somma  di  materiale. 

Va  questa  Valle  dal  Ponte  Brolla  diritta  fino  a  Gevio,  donde  si  dirama  la 
valle  di  Campo  o  della  Rovan  i,  che  mette  da  un  lato  nell'Onsernone,  nella 
Formazza  dall'altro.  Continua  poi,  per  pochi  chilometri,  fino  a  Bignasco,  dove 
si  biforca,  formando  a  sinistra  di  ciii  risale  il  fiume  la  valle  Buvona,  a  destra 
la  valle  Lavizznra,  che  nella  mente  del  popolo  sarebbe  la  vera  continuazione 
della  Valmaggia,  poiché  le  sue  acque  portano,  e  forse  prevalentemente,  anche 
il  nome  di  'Maggia'.  E  la  Lavizzara  mette  da  una  parte  nella  Levcntina, 
dall'altra  nella  Vcrzasca. 

Delle  altre  valli,  non  importa  al  nostro  assunto  che  se  ne  dica  più  minu- 
tamente. Solo  importa,  che  nel  seguente  elenco  si  comprendano  anche  quei 
loro  villaggi,  che  a  me  (in  molto  varia  misura)  fu  dato  esplorare  '. 

Incominciamo  dunque  dalla  Vallemagj^la,  e  diamo  per  tutte,  tra  parentesi, 
le  sigle  per  cui  si  citano  i  rispettivi  luoghi  nel  e  irso  del  lavoro  ^  Avremo, 
dalla  Va  He  maggi  a  (vm.):  per  la  Lncizzarn  (lav.).  Feccia  (pc.)  e  Men- 
zonio  (mnz.);  per  la  Vaile  Bavona,  Cavergno  (cav.);  per  la  Rovana,  Campo 
(cmp.)  e  Cerentino  (cer.),  infine,  per  la  Valmaggia  in  senso  ristretto,  vale 


^  Devo  in  ispecie  alla  bella  e  preziosa  amicizia,  onde  m'  onorano  i  pro- 
fessori Giacomo  Bontempi  da  Menzonio  e  Antonio  Janner  da  Cevio,  se  mi 
riesce  ahondante  e  sicura  la  notizia  che  per  lunghi  e  frequenti  interrogatorj 
ho  potuto  conseguire  delle  varietà  di  ({uei  due  paesi.  Ma  dappertutto  io 
m'incontrai  in  cortesi  persone,  che  secondarono  con  molta  bon'à  le  mie  ri- 
cerche. Tra  i  nomi,  che  tutti  non  posso  dare,  come  la  viva  gratitudine  vor- 
rebbe, mi  sia  ancor  lecito  di  scegliere  i  seguenti:  la  signorina  Adel.ide 
Bagnovini,  maestra  a  Feccia;  la  signora  Celestina  Sonognini-Fratessa,  mae- 
stra a  Sonogno;  la  signora  Janner-C  isserini  da  Cerentino;  il  sijnor  Giacomo 
Pontoni,  maestro  a  Campo  ;  il  signor  ispettore  Michele  Fatocchi  da  Feccia; 
il  m.  r.  signor  G.  A.  Feretti,  parroco  alle  Villette;  il  prof.  G.  B.  Janner  da 
Cevio;  il  prof.  Giuseppe  Nizzola  dal  Loco;  il  signor  Manfrina,  maestro  a 
Borgnone;  i  quali  tutti  mi  procurarono  dei  saggi  scritti,  quali  più,  quali 
meno  copiosi;  finalmente  l'ispettore  L.ifranchi  da  Goglio  e  il  segrctyrio 
Luigi  Magetti  da  Intragna,  che  subiron  la  tortura  di  intei'cogatorj  i  on  brevi. 

*  Occorre  appena  avvci'tire,  che  la  sigla  coli' iniziale  minusc  ila  è  per  l'ag- 
gettivo tratto  dal  nome  locale,  e  quelli  con  la  majuscola  è  all'inconlro  per 
questo  stesso  nome.  Cjsì  cv.  dirà  'cevicsc',  e  Cv.  dirà  'Ccvio'.  —  In  gene- 
rale, la  sigla  s'inleule  valere  pel  solo  esempio  che  immediatamente  le  segue; 
e  accadendo  che  si  su-!se.j;u:ino  più  esemplari  d'uno  stesso  luo.j;o,  sarà  essa 
perciò  preposta  a  ciascun  esemplare,  ijuando  per  altra  maniera  ogni  dubbio 
non  sia  escluso.  La  sigla  s'omette,  o  perchè  la  evidenza  la  renda  superflua, 
0  perchè  la  particolare  provenienza  non  importi  all'assunto. 


l'jii  Salvlojii, 

a  (lii'c  da  Follie  Ei'olla  a  lìignasco,  Ccvio  (cv.)  e  Coglie  (cgl.),  quello  nella 
parte  alfa,  questo  uella  bassa  della  valle.  —  Ter  l'Onsernone  (oas.) 
avremo  notizia  della  varietà  di  Loco  (le.)  e  Mosogno  (mos.)  nella  Val  d' in 
fora;  di  Craua  (cr.)  e  Gomologno  (crai.)  nella  Val  d'in  ent.  Per  le  Cento- 
valli,  avremo  Intragua  (int.)  al  principio  e  Borgnone  (borgn.)  al  fondo 
della  valle;  per  il  territorio  di  confluenza  delle  tre  valli,  Losone  (Is.);  per 
Valle  Yigezzo,  Villette  (vi);  e  per  la  Verzasca  (verz.)  :  Sonogno  (son.), 
che  è  in  fondo  alla  valle,  Gerra  (g.)  Lavertezzo  (Iv.),  e  Vogorno  (vog.). 

I  documenti  dialettali,  che  per  questa  regione  sieno  in  poter  degli  studiosi, 
si  riducono  a  ben  poco.  Non  v'ha  nulla,  ch'io  mi  sappia,  per  Valle  Algezzo 
e  per  le  Ceutovalli.  Della  Valmaggia  e  della  Verzasca  s'ha  la  solita  parabola 
nelle  due  versioni  dello  Stalder  (St)  e  del  Monti  (Mt);  e  il  Monti  con- 
sidera le  due  valli  pur  nel  suo  'Vocabolario';  scarsa  però  e  malsicura  ma- 
teria, con  la  quale  l'Archivio  (I  2o7-o9)  ha  pur  saputo  egregiamente  edificare. 
Più  recenti  son  le  due  traduzioni,  onsernonese  (varietà  di  Loco)  e  verza- 
schese,  nell'opera  del  Papanti  (Pap.).  Alla  Valmaggia  è  poi  fatta  la  parte 
del  leone  in  un  lavoretto  pubblicato  dal  prof.  Antonio  Janner  (Alcune  noie 
intorno  ai  dialetti  ticinesi,  nell' 'Educatore  della  Svizzera  italiana',  voi. 
XXIV,  num.  4,  S,  1,  8);  il  quale  professore  io  debbo  nuovamente  qui  ringra- 
ziare, per  avermi  egli  gentilmente  ceduti  i  quaderni,  onde  quelle  sue  note 
erano  estratte. 


La  più  spiccata  caratteristica  di  questi  dialetti,  presi  iu  comune,  ò 
senza  dubbio  quella  a  cui  dedico  il  secondo  de'  presenti  'Saggi'.  L'in- 
fluenza dell' -i  sulla  tonica  si  manifesta  nelle  nostre  valli  con  una  lar- 
ghezza e  una  costanza  che  non  hanno  esempio  altrove.  Implica  poi 
questo  fenomeno  un  particolare  argomento  di  connessione  coi  dialetti 
della  valle  dei  Po. 

Dei  rapporti  che  corrono  tra  i  dialetti  della  nostra  regione  e  i  di;> 
letti  lombardi,  non  accade  qui  toccare.  Il  fondo  ne  appare  lombardo; 
e  perciò  vai  meglio  ricercar  le  affinità  con  altri  sistemi  dialettali. 

Di  caratteristiche  ladine  che  manifestamente  qui  si  protendano,  si 
hanno  le  seguenti:  a)  la  solita  alterazione  di  Ji  e  g,  num.  78  sgg., 
91  sgg.;  risultando  però  caratteristica  delia  nostra  zona  la  restrizione 
di  cui  si  tocca  a  num.  78,  91;  p)  il  dittongo  per  l'è  di  posizione. 
num.  14;  y)  il  dittongo  [ò  e]  per  Vó  di  posizione,  num.  25;  S) 
V d  che  s'altera  in  e,  preceduto  che  sia  da  suono  palatile,  num,  4;  e) 
r  ù  per  ù,  fenomeno  però  comune  anche  al  lombardo,  al  pedemontano 
e  al  ligure.  Meno  spiccate  sono  le  convenienze  col  ladino  che  si  con- 
siderano ai  num,  37,  23,  28,  Particolari  concordanze  lessicali  avremo 
in  spleca  num.  61  n,  méltra  num.  31,  nesela  ecc.  num.  32,  joio  mini. 
104,  cura  num.  90,  verz.  pus  p'ùsd  bacio  baciare. 


Dial.  a  settentr.  d.  Lago  Magg.  :  Esordio,  191 

Di  alcuni  fenomeni  può  esser  dubbio  se  sian  di  continuità  ladina  o 
non  piuttosto  pedemontana.  Tra  questi  V  i  per  u  num.  42,  che  è  di 
Sopraselva,  ma  che  è  anche  una  caratteristica  monferrina  ^;  il  dileguarsi 
del  g  delle  formolo  GO  GU  num.  99  (cfr.  i  monferrini  e  alessandrini 
privic  pericolo,  péjora  pecora,  arjordéssi  ricordarsi).  Ma  è  di  sicura 
continuazione  pedemontana,  e  particolarmente  monferrina,  il  num.  33, 
specie  per  la  prostesi  dell' a;  e  saranno  pure  di  continuazione  pedo- 
montana le  risoluzioni  di  AL  OL  a  Villette,  num.  9,  57;  il  j  per  -j- 
pure  a  Villette,  num.  93;  V -é  dell'infinito  a  Gerra,  num.  5,  e  l'-w  per 
-li'o,  num  59. 

Fenomeni  peculiari  alla  nostra  regione,  vale  a  dire  indipendenti  da 
ogni  diretta  connessione  con  altri  sistemi  dialettali,  pajonmi  poi  essere: 

a)  il  volgersi  di  è  in  i  -  nella  formola  e  +  nas.  +  cous.  ;  num.  15. 

p)  il  ridursi  di  i  ad  e,  seguito  che  sia  da  j,  g,  n;  uura.  20. 

v]  il  non  alterarsi  dell' w  a  Le.  e  Ls.  ^;  num.  27, 

S)  il  cadere  di  -a  in  parole  sdrucciole;  num.  44. 

e)  l'epitesi  di  -n;  num.  118. 

C)  il  passare  del  n  di  -ón  in  m\  num.  77;  cfr.  però  Arch.  1  165  u, 
202-3. 

7])  l'invertirsi  di  djr  in  arj;  num.  121. 
Ricordo  qui  inoltre  i  num.  105,  110"*;  e  per  le  caratteristiche  mor- 
fologiche, i  num.  129^  132,  133,  134,  135. 

Lessicalmente  notevoli  sono  i  riflessi  popolari  di  locusta  num.  97, 
di  sorore-  num.  33,  di  quterere  par,  VI,  di  rejicere  87;  le  voci 
hhePi  num.  33  n.  slavi  num,  104,  ed  altre. 


La  sigla  'num.',  seguita  da  cifra  arabica,  rimanda  al  primo  di  questi  Saggi; 
la  sigla  'par.',  o  §,  seguita  da  numero  romano,  al  secondo. 


^  Giova  però  notare,  che  Sopraselva  e  Monferrato  hanno  1'*'  anche  per  Vii 
tonico,  e  Intragna  all'incontro  solo  per  1' atono. 

^  Se  poi  r  i  qui  rappresenti  una  ulterior  riduzione  dell'  éi  che  è  p.  e.  nei 
riflessi  emiliani  di  EXT,  ENS,  EMP,  mal  si  potrebbe  decidere.  Rimarrebbe 
sempre  peculiare  alla  Valmaggia  il  fatto  della  riduzione. 

"  S'ha  anche,  per  dii-  di  una  varietà  non  lontana,  nella  Mesolcina. 

*  Il  fenomeno  dell'enti,  è  da  una  parte  anche  nel  contado  bellinzoncse 
e  nella  Mesolcina,  dall'altra  in  varietà  canavesane;  -  il  -Ti  per  in  è  di  tutta 
l'alta  valle  del  Ticino  e  di  parecchie  varietà  verbanesi;  -  gli  schietti  è  q  g, 
e  e-  if  come  al  num.  61,  testo  e  nota,  ricorrono  pure  largamente  in  varietà 
verbanesi  e  valsesianc;  -  '•  e  ìj  anche  a  Carasso  presso  Eollinzona. 


lOJÌ  Salvioni, 

X. 

ANNOTAZIONI  FONETICHE  E    MORFOLOGICHE. 


1.  Annotazioni  fonetiche. 

Vocali    tonich.e. 

A. 

1.  Per  effetto  fieli'  i  rli  iato  in  sillaba  postonica,  s'  ha  1'  alte- 
razione di  d  in  é  ^  nelle  seguenti  parole:  mnz.  ons.  speri  (cv. 
cgl.  spFvi)  ombroso  (del  cavallo),  'pavi[d]o-',  vm.  erbi  mangia- 
toia 'alveo-',  ninz.  alesi  ^  adagio,  quasi  'a-I-ngio',  cfr.  fr,  à 
Vaise,  vm.  le.  scea  (mnz.  s-'cen,  or.  s-cdn)  sgabello  ^  gesa  (e  gesa) 
ghiaccio,  esemplare  questo  comune  a  pressocliò  intera  la  zona. 
Per  r  identica  ragione ,  il  cv.  pare  *   abbia  alterato  in  e   Va  di 


^  Si  ('ice  e  si  dirà  ancora  altrove,  in  modo  alfatto  generale,  'e',  sebbene 
il  valor  qualilativo  di  questa  vocale  varii  nella  risposta  d'  una  slessa  base 
latina,  secondo  i  diversi  paesi.  L'indicazione  precisa  è  poi  data  nei  ^ingoli 
esempj.  Circa  l'aversi  nello  stesso  paese,  a  Cv.,  s.eà  accanto  ad  erbi,  che 
vuol  dire  due  diversi  effetti  d'una  stessa  causa,  si  consideri  la  diversa  natura 
dei  suoni  che  in  quelle  parole  seguono  all'è,  e  si  paragonino  tra  loro  i  pai'. 
I  e  H  (asmi  emn,  ma  z'jari  zberi). 

^  Per  questo  esemplare  potrabbc  forse  valer  l'analogia  del  n.  2. 

*  Taluno  forse  penserà  che  l'è  di  questi  tre  esemplari  vada  piuttosto  ri- 
petuto dall'influenza  dcll'-i,  che  non  da  quella  dell'i  di  iato:  ma,  a  tacer 
d'altri  argomenti,  la  mia  collocazione  si  legittima  pel  cr.  pevij  num.  63,  il 
quale  non  può  non  risalire  a  *pPvi-o. 

*  Mi  esprimo  in  modo  dubitativo,  perchè  accanto  a  questi  verbi  ve  ne 
sono  degli  altri,  che  in  sillaba  postonica  non  contengono  Vi  di  iato  e  nella 
cui  radicale  pur  occorre  questo  stesso  e  al  posto  di  d.  Così  fe'i  -a  salo  -a. 
imfe't  -a,  a  m'  n  eH  mi  ammalo,  le-i-a  (in  quest'esemplare  Ve  s' ha  anche 
ad  Int.,  leic  Ig-a  lavo  -a,  e  qui  deve  avere  una  ragione  sua  speciale),  je^sl 
-a,  ìe;si  -a  (e  Inssi  -a),  (jresil  -a  (e  guasli  a),  iveidl  -a  (e  mandi  -a), 
ye'll  -n,  :c'ci  -a  ecc.  Ora,  ben  potrebbe  darsi  the  i  molti  verbi,  in  cui  Ve 
del  tema  vien  legittimamente  da  à  secondo  il  num.  4,  sieiio  andati  asso- 
ciandosi gli  esemplari  come  ìq'ì  ecc  (la  spinta  associativa  poteva  qui  essere 
favorita  dalla  circostanza  che  uell' 'Umlaut'  verbale  la  2'  pers.  sing.  dell'indie, 
e  del  cong.  pres.   risponde  per  e  tanto  all'è  che  all' a  delle  altre  voci  rizo- 


Dialetti  a  seltentr.  d.  Lago  Maggiore  :  a.  193 

tutte  le  voci  rizotoniche  d'  un  certo  numero  di  verbi  :  tesi  tes  ^ 
taceo  tPvCet  tace,  veli  vel  (e  vedi  vai)  valeo  -t,  hesi  -a  (e  basi  -ci) 
bacio  -a,  stresi  -a  straccio  -a,  spezi  -a  spazzo  -a,  beni  -a,  cim- 
tefn  -a  multo  -a,  num.  106  ,  teji  -a  taglio  -a,  ed  altri  ;  ma  pari 
imr  pajo  pare,  vanzi  ecc. 

2.  Seguito  che  sia  da  /  (/),  e  (e)  o  n,  V  a  s'altera  in  e  :  nella 
risposta  di  -A[T]I  primario  o  secondario,  e  così  porte]  mandéj 
portati  ecc.,  2)rej  prati,  frej  frati  ^;  vi.  mangéj  voi  mangiate^; 
vm.  asséj,  pisséj  '  plus-satis  '  Arch.  VII  591  n  *;  -  in  Zec  latte,  e 


toniche  :  perdi  perdi  e  zòari  zberi),  e  che  tra  i  verbi  attrattori  si  aggiunges- 
sero pur  besi,  spezi  ecc.  ;  ma  anche  potrebbe  darsi,  che  questi,  anziché  con- 
tribuire ad  esercitarla,  abbiano  subita  1'  attrazione  come  gli  altri,  e  che  il 
loro  e,  come  foneticamente  così  storicamente,  per  nulla  differisca  dall' e 
di  lessi  guesti  ecc.  A  proposito  del  quale  e,  gioverà  ancora  non  perdere 
di  vista  r  -i  di  1*  pers.  sing.  indie,  pres.,  comunque  si  voglia  spiegarlo,  né 
r  -i  del  sing.  cong.  pres. 

1  Nella  risposta  di  tàceo  tacet  tace,  Ve  non  è  solo  di  Cv.,  ma  è  di 
gran  parte  della  regione;  e  perciò  lo  attribuirei  sicuramente  all'influenza 
dell'  /  di  iato.  Non  mi  dissimulo  però  le  obiezioni  che  questa  sentenza  può 
sollevare;  le  quali  non  si  elidono  se  non  ricorrendo  a  un  processo  di  livel- 
lamento, alquanto  complicato.  Ma  è  pur  tutt'altro  che  inverosimile,  e  si  de- 
scriverebbe così:  la  risposta  normale  di  -cj-  è  s  (raen  fregucnte  s),  come 
è  1  la  risposta  normale  di  e  fra  vocali;  perciò,  ammesso  Ve  per  a  nelle 
forme  rizonotiche  in  cui  entra  l' i  di  iato  e  prescindendosi  dalle  ultime  mo- 
dificazioni dell'uscita,  si  possono  teoricamente  stabilire  i  due  tipi  *teso  taceo, 
tesa  taceam  -s  -t  da  un  lato,  e  *taze  taces  tacet  tace  dall'  altro,  riuscendo 
a  quest'ultimo  anche  la  quasi  totalità  delle  voci  non  rizonotiche.  Ora  il  li- 
vellamento tra  i  due  tipi  si  sarebbe  compiuto  nel  senso,  che  le  forme  del 
secondo  tipo  avrebbero  imposto  a  quelle  del  primo  il  loro  i,  mentre  queste 
alla  lor  volta  avrebbero  esteso  alle  forme  del  secondo  tipo  il  loro  e.  — 
L'identico  ragionamento  può  farsi  anche  a  proposito  di  veli  vel  che  però, 
come  vedemmo,  è  solo  di  Gv.,  e  a  cui  perciò  si  attagliano  le  considerazioni 
della  nota  precedente.  I  due  tipi  concorrenti  sarebbero  qui  stati  *veio  e  *vale. 

*  int.  porte},  Is.  sfide  num.  118,  verz.  sete. 
'  Nel  resto  della  regione,  mandé  ecc. 

*  int.  pissén  num.  118;  comunemente,  del  resto:  plissé.  —  Altri  ci  da  ài: 
ons.  qiieic-  qualche,  mnz.  (jeida  (cv.  iieda]  pieni,  gajda,  v.  Diez  less.  s. 
ghiera).  Rimane  poi  dubbio,  se  ne'  plur.  della  specie  di  mos.  sej  sani,  int. 
massej  messali,  seossei  grembiali,  s'abbia  e  =  a  per  influenza  dello  j,  o  non 
piuttosto,  come  io  crederei,  per  1'  'Umlaut'.  Cfr.  nura.  S2  u. 

Archivio  glottol.  it.,  IX.  13 


494  Salvioni, 

nei  prtc.  fec  fatto,  trec  tratto  ^  cfr.  num.  133;  -  nei  vm.  cen 
cane,  pien  piano,  gren  grano  (mnz.  cen  ecc.)  ^,  ai  quali  va  forse 
aggiunto  scen,  cfr.  num.   1  ^ 

3.  -ARIO  -ARIA.  Per  la  più  gran  parte  della  regione,  ci  ri- 
duciamo al  semplice  -é  {e  e  e  secondo  i  luoghi)  pel  masc,  con 
-èra  {-era)  al  fera.  Ma  l'ons.  ha  -éi  (niulinéi,  lenaméi,  feréi^  soléi 
camera ,  pei  pajo)  ;  e  restiamo  incerti  se  1'  -éi  corrisponda  ad 
*-e7r,  se  vi  s'abbia,  cioè,  l'identico  dittongo  che  ivi  s'inferisce  pur 
dal  feminile  o  pi.  neutro  {stadéria,  muUnéria^  pèrla  paja  *  ;  -eria 
=  *-eira,  v.  num.  121),  o  non  piuttosto  una  special  risoluzione 
di  un  -è  secondario;  cfr.  Arch.  I  261.  Schietto  V  -èira  = -A'RIA 
nel  pc.  ^:  vigèira  alveare  '^api  cui  aria,  lavandèira,  manéira, 
caldéira,  Ucéira  lettiera,  stadéira,  intèira  volentieri  '^'ontéira^. 
Ugualmente:  peira  pajo,  vigeira,  anche  nei  paesi  dell' Ons.  che 
men  si  risentono  degli  effetti  del  citato  num.  121,  e  così  p.  es. 
dicono  anche  peira  =péria  pecora.  La  risoluzione  poi  di  un  -Amo 
(-^r)  di  antica  fase,  sarà,  nell' Osernone,  -ie  (i),  -iera  {-ira)^: 
candelie,  pi.  candeliér,  lavaìidiera,  caldlera,  voloncira  volentieri; 
cfr.  num.   14,  54,  55. 

Andrà  finalmente  considerato  a  parte  1'  -ARIO  delle  basi  bisil- 


^  cr.  fdc,  iut.  fao,  Idc;  e  parrebbe  aggiungersi  anche  vidj  viaggio,  se  non 
v'andasse  considerato  anche  1'  i  che  precede  alla  tonica. 

^  Is.  cheti  gren,  son.  cen,  cr.  cdìì  scdn;  ma  int.  scan,  can,  pian,  vi.  cnn 
pian  gran,  Iv.  e  g.  can  can,  pian,  gran,  scafi.  —  Sbaglierebbe  di  certo,  io 
credo,  chi  cercasse  la  ragion  del  fenomeno  nella  formola  AN. 

^  Non  parrà  superfluo  notare,  che  sia  sempre  finale  il  suono  onde  qui  si 
ripete  l'alterazione,  eccetto  in  qiieic  e  geida,  che  non  sono  limitati  a  queste 
valli.  S'aggiunge,  quanto  a  e  (e)  e  n,  che  si  tratta  di  soli  monosillabi. 

*  Ma  il  vuntéria  volontieri,  di  VI.  al  qual  paese  non  s'  estende  l' azione 
del  num.  121 ,  sarà  di  spettanza  del  num.  1  ;  e  così  il  pc.  filéria  la  veglia 
nelle  stalle  durante  l'inverno,  'filaria'  (cfr.  beli,  firóiia  e  il  ted.  'spiunstube'). 

^  A  Cer.  s'ha  vugeiròw  agorajo,  *acuculariólo-;  ma  si  tratta  di  -ario  atono, 
che  può  quindi  aver  ragioni  sue  proprie;  cfr.  verz.  simairo  stromento  con 
cui  si  colgono  le  castagne,  *cimariólo. 

®  Una  forma  di  pi.  neutro  sarebbe  stéira  stajo,  cioè  la  forma  di  pi.  este- 
sasi al  sing.  ;  cfr.  mil.  on  dida,  pi.  do  dida  ;  pn  brazza,  do  brazza. 

■^  È  in  tutto  parallela  a  questa  di  -ARIA  la  risoluzione  di  -A'SEA,  nel 
raos.  serisa  ciliegia;  quella  di  -A'NEA,  nel  le.  castina  castagna;  e  quella 
di  -A'BEA,  nel  cr.  ibia  habeam. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  ci.  195 

labe  *pario-  *clario-  '^rario-,  poiché,  in  generale,  si  svolga 
altrimenti  che  non  l'-ARIO  d'antica  e  schietta  ragione  etimolo- 
gica. L'  i  è  sempre  attratto,  e  si  hanno  le  tre  risposte  -dir  -éir 
ed  -ér:  pc.  ceir  pdim  (sing.),  rdir;  ons.  rdriit  num.  121;  int. 
peir  ceir  reir\  cgl.  ceir  peir;  vog.  ce//-,  pdjar,  ràjar  *pàjr  ràjr; 
vi.  plur.  réjar  (qui  l'è  forse  per  1' '  Umlaut  '  ;  sing.  rar)\  cmp. 
cer.,  per.  —  Qui  ancora  s'aggiunge  il  mnz.  geira  ghiaja, 

4.  Ma  la  più  estesa  e  più  costante  alterazione  dell'  à  è  nel 
dial.  di  Cv.  e  delle  sotto-varietà  di  Val  di  Campo  e  di  Cavergno. 
Vi  passa  egli  in  e  (a  Cer.  in  e),  preceduto  che  sia  da  e,  g,  d,  g, 
^7  ^1  jì  ^^  '  •  cenva  cantina,  '  canepa  ' ,  cena  canna,  cewra  capra, 
cenii  canape  (^cdngw,  cfr.  bellinz.  cànuf),  ceni,  ce,  certa,  pacew 
peccato,  marceio  mercato,  sace  seccare,  pasce  pescare,  mascè  mi- 
schiare, prtc.  -céiv  -cèda'",  get  gatto,  gel  gallo,  gemha,  gena  al- 
lato a  gana  frana,  zgef  schiaffo  (cfr.  mil.  zgaff),  zlarge  allar- 
gare, partic.  -géw,  -goda;  cew  chiave,  cepi  -a  acchiappo  -a  (cfr. 
mil.  càppi),  cerni  chiamo  (cer.  scew  seccato,  mascè  mischiare; 
cfr.  num.  61,  80  n);  genda  ghianda,  gè  cucchiajo  num.  33,  vagesa 
vecchiaccia,  spassageda,  range,  mange,  prtc.  -gèio  -géda;  set  =  m\\. 
satt  rospo,  sempa  zampa,  5e  =  lomb.  sci  qua  *ecce-hac,  marseiv 
merciadro,  num.  59,  x^aseda  =  \omh.  pesàda  calcio,  strase  strac- 
ciare, prtc.  -séw  -seda;  ze  già,  zeld  giallo,  nianaze  maneggiare, 
prtc.  -zéiv  -zéda\  Jecum  Giacomo,  pe^/a  piaga,  pieza,  hieva  biada, 
a  riena  a  rigagnoli  (della  pioggia)  *r Ivana,  fied  fiato,  dievuly 
vieg  viaggio,  fijestra  figliastra,  mi-enea  anch'io,  ali.  ad  anca  mi, 
prajè  pregare,  ziijè  giocare,  piajè  piegare,  carie  caricare,  rassie 
segare,  cajè  cacare,  Smaje  somigliare,  tajè  tagliare,  partic.  -jéw 
-jeda;  nenca  neanche,  znen  num.  33a,  raìieda  ragnatela,  ciineto 
-neda  cognato  -a,  banè,  guadane,  prtc.  -iléio  -néda^. 


*  Cmp.  manca  talvolta  all'appello,  avendosi  colà  gànda  piai,  diévn,  mira. 
59,  ed  altri  esempi  analoghi.  Ma  iu  gciUÌ,  gald,  cah,  dove  1'  a  appare  rein- 
tegrato, par.  Ili,  la  ragione  dell'anomalia  risulta  chiara  dalla  natura  del  nesso 
che  segue  air«.  —  Cav.  dà  ìjal  che  si  potrebbe  considerare  come  un  es.  da 
aggiungere  ai  precedenti,  ove  non  s'avessero,  d'altra  parte,  celd  e  eelz. 

2  Di  clienti  -a  ecc.,  v.  al  num.  78. 

8  Per  ulteriori  esempj,  v.  i  num.  78,  80,  91,  93,  e  il  par.  Y.  AH' infuori 
di  questo  territorio,  il  fenomeno  non  ritorna  se  non  sporadico.  Si  direbbe  in- 


ire  Salvioni, 

5.  Solo  a  Gerra  s'iia  -e  indistintamente  per  V -d  (-are)  del- 
l'infinito: aide  ajutare,  trove,  mande  ecc.  I\Ia,  col  pronome  encli- 
tico:    aiddl,  aidàg  ecc.  \  Cfr.  num.   10. 

(}.  Per  la  formoia  AN^,  citerò  brilsént  'bruciante',  rimandando 
ai  par.  II,  III.  Non  ho  poi  trovato,  per  quanto  n'abbia  chiesto, 
\\  fent  registrato  per  vm.  dal  Monti.  7.  Di  d  alterato  per  m 
che  gli  preceda,  non  ho  se  non  il  cer.  dimo  =  lomb.  dgmd  o  nQmd 
soltanto,  'non-magis'.  Ma  non  manca  il  solito  piihia  pialla. 

8.  -A[TJO:  mnz.  cv.  cmp.  portdw  ecc.  (salvi  per  cv.  e  cmp. 
gli  effetti  di  cui  al  num.  4);  cgl.  vi.  porto;  mos.  portQiv\  le.  cr. 
cml.  poHctv;  son.  setó;     int.  portón,  Is.  cunò  cognato,  num.  118  ^ 

9.  AL^.  Solo  Vi.  riduce  1'  al  ad  au:  dut  altro,  dut  alto,  fduc 
falce,  mi  a  sdut  io  salto;     autor ^. 

10.  Lo  strascico  nasale  (num.  118)  porta  con  sé  che  il  Iv. 
intorbidi  in  e  V -d  (-are)  dell'infinito:  trovè^  porte  ^  zilghè , 
sircè,  ecc. 


cipiente  nell'ini,  sì  per  la  scarsezza  degli  esemplari,  e  sì  per  l'oscillar  della 
vocale  che  sottentra  adrf:  hdio  chiave,  cìiijdn  cucchiajo  (borgn.  cJùgée),  e 
forse  vidj  num.  2  n.  Dall' Ons.  ho  il  raos.  chlfje,  e  di  tutta  la  valle:  pienz 
piangere,  hjinl  bianco  (bienj,  num.  14).  Ma  qui  va  forse  considerata  la  spe- 
cial formoia  'AN-. 

1  Questo  fenomeno  è  anche  in  Levcntiua,  ma  con  la  differenza,  che  vi  di- 
penda dalla  qualità  della  consonante  iniziale  del  pronome.  Così:  laude,  lan- 
de] -  lomb.  lodàg  lodargli  (lodare  a  lui  q.  e),  laude f=  lomb.  lodaf  lodarvi  ; 
ma  laudani  lodarmi,  laudai  lodarlo,  laudàri  lodarne,  lauddj  lodarli.  S'ha 
dunque  Ve  in  quei  casi  nei  quali  il  lomb.  allunga  1'  -a,  cioè  quando  il  pron. 
cominci  per  una  media.  In  lauddj  =  lodaJ  si  tratta  di  lauda-Ili. 

^  Ritengo,  con  l'Ascoli,  erronea  l'asserzione  del  Mt.,  che  in  Verz.  s'abbia 
-ó  =  -à  (-are).  Non  ho  io  almeno  saputo  trovare  alcun  esempio  che  la  con- 
forti. 

^  Sia  qui  considerato  Veit  che  Ous.  ci  dà  per  plur.  maschile  di  alt  altro 
(pi.  fera.  àit).  È  una  forma,  che  si  ritrova  largamente  rappresentata  nella  re- 
gione verbanese,  da  questa  valle  ingiìi,  e  nell'ambiente  pedemontano,  nel 
quale  il  sing.  dà  normalmente  V da-.  Così  eil  a  Yì.,  dit  a  Varallo,  diti  a 
Rovello  (prov.  Cuneo),  et  (=*dit,  cfr.  tiiit  tutti)  e  etre  (=*ditre)  nel  cana- 
vese,  àitri  e  àitre  su  quel  di  Torino  ;  e  1' Ascoli,  Arch.  I  294  n,  ben  vide  che 
.si  trattava  dell'-/  ripercosso  dietro  alla  tonica.  Che  se  l'asserto  non  par  valere 
per  le  forme  di  plur.  fem.,  nelle  quali  1'  -e  ben  si  conserva,  è  facile  rispondere, 
che  un  aitr-,  dapprima  proprio  del  solo  plur.  masc,  debba  essersi  a  poco 
a  poco  esteso  anche  al  plur.  lem.;   e  dutre  di  contro  ad  et  s'  ha  ancora  p. 


Dialetti  a  setfcnti-.  d.  Lago  Maggiore:   é.  197 

E\ 

Breve.  11.  S'ba  in  pressoché  tutta  la  zona  il  dittongo,  mo- 
nottongizzato  in  /,  per  Ve  nella  risposta  di  tepido:  mnz.  vi. 
tivi  (femm.  tivia)  mos.  tit'ìd  ^ ,  cr.  cwi  ^   (ma  le.  cv.  tévi).  A  que- 


es.  a  Piveroue,  il  loco  natio  nel  nostro  venerando  professore  Flechia,  come 
pili  sotto  io  troviamo  anche  a  Morazzano.  Ora,  non  può  esser  dubbio  che 
V  eit  d'Ons.  sia  una  sola  e  stessa  cosa  coi  suoi  equivalenti  pedemontani; 
ed  è  quindi  necessario,  che  di  quello  e  di  questi  si  dia  un'identica  dichia- 
razione. La  quale  non  torna  possibile,  quando  si  parta  dal  tipo  di  singolare, 
che  neirOns.  dà  al-  e  nel  piera.  du-.  Ma  noi  dobbiamo  considerare:  1°  che 
la  zona  pedemontana,  attigua  alla  Liguria,  ha  comune  con  la  Liguria  Va  =  Ai,-; 
2°  che  l'esemplare  savia  =  s  a  1  v  i  a  è  largamente  rappresentato  pur  nel  resto 
dell'ambiente  pedemontano;  3"*  che  gli  antichi  documenti  dialettali  subalpini 
hanno  al  plur,  masc.  atre  (ed  aytre),  di  fronte  al  sing.  àutr  àotr,  e  anche 
danno  atresi  altresì  {Gallo -ita!  io  che  predigten,  ed.  Foerster,  49,  61);  4°  che 
il  casalese  ha  àt  o  dter  sing.  e  pi.  (rustico  pi.  ac)  di  contro  ai  normali  caud, 
diif  alto;  e  che  ac  altri,  di  contro  ad  dtttr  altro,  dtitre  altre,  s'ha  a  Moraz- 
zano (circ.  di  Mondovì),  il  quale  ac  non  si  distingue  da  dit  et  ecc.  se  non 
per  la  non  avvenuta  attrazione  dell'  -i.  Tutto  dunque  persuade,  che  si  risalga 
a  un  plurale  atri.  Saranno  senza  dubbio  coesistiti,  un  tempo,  il  tipo  con  V alt- 
0  aut-,  da  una  parte,  e  con  1'  at-  dall'  altra,  per  entrambi  i  numeri.  Per  alcun 
tempo  il  tipo  A'LTR  od  A'UTR  da  una  parte  e  il  tipo  A'TR  dall'altra  va- 
levano indifferentemente  tanto  per  il  plurale  che  pel  singolare.  Più  tardi, 
in  qualche  varietà  non  rimase  se  non  un  solo  tipo;  e  cosi  in  alcune  parti 
del  canav.:  sing.  dut,  plur.  due;  e  all' incontro  nel  casalese:  sng.  at,  pi.  àt 
od  oc.  Li  altre,  il  doppio  tipo  valse  a  ottenere  un  piìi  forte  distacco  tra  sing, 
e  plur.;  ed  è  la  condizione  dell' Ons.  e  di  gran  parte  delle  parlate  piemon- 
tesi, -Non  chiuderò  questa  nota,  senza  ricordare  V  ék  altri  {dk  altre)  d' In- 
tragna.  La  stranezza  del  fenomeno  non  deve,  io  credo,  interdirci  di  affermare, 
che  il  k  qui  provenga  da  o  (cfr.  num.  61  n.)  :  ek  =  6^  =  ''ai-tj.  Il  pi.  fem.  è 
poi  rifoggiato  di  pianta  sul  masc.  (come  l'ons.  dit  su  eit)  mantenendo  cioè 
la  sola  antitesi  della  tonica;  cfr.  se/ì  sani,  eit  alti,  saù  sane,  alt  alle. 

^  Per  l'è,  in  quanto  rimane,  cambiando  solo  di  colorito  secondo  i  diversi 
paesi,  rimando  ai  par.  IV,  V,  VI. 

^  Questa  forma,  col  d  conservato,  toglie  ogni  dubbio  circa  la  vera  natura 
del  dittongo;  poiché  esso  vi  risponde  manifestamente  ad  e  e  non  ad  un  e 
che  si  risenta  di  i  nell'iato  (tevi-o),  come  si  potrebbe  supporre  per  tivi  ecc. 

'  Non  va  certamente  considerato,  alla  stessa  stregua  del  nostro  civi,  il 
cìmepp  di  Valle  Anzasca,  Arch.  I  2S4,  che  si  trova  in  Piemonte  (Valduggia 
ce/),  Mondovì  cep)  e  che  tuttalpiù  potrebbe  essere  un  esempio,  sempre  anor- 


i98  •        Salvioni, 

st' esempio,  l'ons.  aggiunge:  mie  mio  miei,  sìp.  tu  sei  \  dies  dieci 
(e  cosi  sies  sei),  liez  leggere. 

Lungo.  13.  Oiis.  (là  éi  nei  pron.  enfatici  mèi  tèi  rciè  te  (mil. 
miti)'.  13.  È  i  per  e  (e  ecc.,  cfr.  nn.  15,  IG)  nei  soliti  sira^ 
sira  (però  or.  séra)\  pc.  butija  (cv.  cmp.  butej'a) ,  velia,  pah; 
maisiar  maestro,  maistra  siero  acido;  vm.  Falci  Falda  ni.  fre- 
quente, =  fageto  -a;  verz.  {Vk?.)  pianzind  (ma  viiiend,  sentend)', 
pc.  tari'i  terreno;  esempj  tutti,  meno  sira,  nei  quali  va  considerata 
la  consonante  o  il  nesso  che  segue  o  seguiva  all'  e.  Qui  pur  forse 
il  Iv.  son.  cadri'ga  (vog.  cadrega  e  insieme  intreg  intiero);  ma  turba 
alquanto  il  cadrlga  di  Gerra  ^ 

In  posizione.  14.  L'Ons.  ci  offre  il  dittongo  per  Ve  di  po- 
sizione*, come  già  ce   l'offriva  per   -£erio   e   per  e;   ed  è,  per 


male  però  d'  ìe  =  é  di  posizione  (nel  -jìp-  vorrei  io  vedere  la  risultanza  di 
uno  -vj-  seriore,  cfr.  mil.  fop2)a  =  {ov ea,  dove  l'iato  è  però  antico,  anziché 
il  ^  latino,  al  quale  l'Asc.  si  fermava).  Ho  detto  '  tuttalpiìi',  perchè  io  vera- 
mente preferisco  l'opinione  che  udii  dal  Flechia,  secondo  la  guale  in  crp  ecc. 
s'avrebbe  a  cercare  un  tepulo-  (cfr.  tepula  aqua  nei  diz.),  ridottosi  a 
quella  condizione  per  la  via  di  teplo  tlepo  clepo.  La  vera  risposta  di  tepido- 
s'avrebbe  poi  nel  tor.  t§M,  casal,  tiìbi,  valdugg.  tebi,  raondov.  tepi  (*tebio  o 
"^tepio  da  tevio;  cfr.  gabbia  e  capia  =  c?iv ea).  A  Vald.  e  a  Mond.  i  due  al- 
lotropi sono  messi  a  profitto  per  distinguere  due  differenti  gradi  di  tepore. 
^  Del  plur.  pi  piedi  (sing.  pe)  è  diffìcile  dire  se  rappresenti  un  piel.  S'ha 
però  piei  nella  versione  verz.  della  parab.  data  dal  Monti;  e  sarebbe,  se  è 
genuino,  l' unico  esempio  a  me  noto  d' un  ie  verz.  che  risponda  ad  é.  La 
ragione  ne  andrebbe  cercata,  come  per  l'ons.  U  =  *Ue  lei,  nell'i  che  imme- 
diatamente sussegue  o  susseguiva  all'  é. 

^  Di  éi  che  pigli  il  posto  dell'?,  s'hanno  due  altri  casi  nei  pc.  céira  ciera, 
primavéira.  Ma  per  céira  sarà  lecito  aver  ricorso  alla  base  cerea  resa  molto 
verosimile  dall'Ascor-i.  Arch.  IV  119-22  n,  e  ammettere  senz'altro  l'attrazione 
dell' *  (cfr.  vals.  féjra  fiera,  Arch.  ITI  8:  ma  pc.  ha  fera);  e  primavéira  ri- 
manendo così  del  tutto  auoi'male,  ci  vedrei  un  -èra  che  s' imbranca  tra  gli 
-èira-  -ària  nuin    3. 

'  Si  può  chiedere,  se  nel  vi.  pi  pieni,  e  simili  (cfr.  num.  52),  s'abbia  V-éi 
ridotto  ad  -i  per  mero  procedimento  fonetico  {-éj  -ij  -l)  o  non  c'entri  piut- 
.tosto  la  ragione  del  solito  avvicendarsi  di  é  al  sing.  ed  i  al  pi.  ;  come  già 
il  dubbio  analogo  si  sollevava  per  -§j  =  -oj  al  num.  2.  Ne  s'ha  maggior  si- 
curezza circa  l'-t  a  cui  riesce  l'-etis  -e  te  di  2.  plur.  {scrivi,  vandi),  dove 
si  chiede  se  l'i  sia  da  é,  da  é...i,  o  se  non  invalga  piuttosto  l'analogia 
biella  quarta. 

^  Unico  esempio  che  mi  sia  occorso  fuori  d'Ons.,  il  pc.  spiec  specchio. 


Dialetti  a  settcufr.  d.  Lago  Maggiore:  é.  d99 

quanto  si  sappia,  l'unico  territorio  nell'anfizona  lombarda  che 
offra  questa  considerevole  congruenza  con  la  zona  ladina.  Es.  : 
tiemj},  client,  vieni;  miedni  modano  'metro',  viedru  con  dittongo 
terziario  (/,  e,  ie),  Pletru  (il  dittongo  avrà  qui  promossa  1'  ado- 
zione della  piena  forma  letteraria);  avieri  aperto,  piersig  pesca; 
'vediel,  ferdiel  fratello,  comissiel  gomitolo,  martiel,  aniel,  cortiel 
(ma  vedela,  sorela,  borela  treccia  di  paglia,  ecc.)  '  ;  vieó  vecchio 
(fem.  vega),  spiec  specchio;  lieo  letto,  piec  le  mamme  delle  be- 
stie 'pectiis',  Sjjiec  io  aspetto  spieca  aspetta  ind.  e  imprt.,  piecen 
pettine";  niiez  (fem.  meza)\  miei  meglio  (e  conseguentemente ^j/e^: 
peggio;  cfr-.  Arch.  I  488  ecc.);  bedieja  betulla  %  cioè  *bet-ell-ia, 
cfr.  int.  bidéta,  cv.  audéja;  stierni  ?>\io\o  *sternio\  mestie,  monastie*. 

Il  clii.t>iigo  ie,  qual  pur  sia  la  sua  provenienza^,  può  ridursi  ad 
i^  o  addirittura  ad  i  in  proporzioni  che  variano  secondo  i  luoghi: 
cml.  vi^lru,  mi^dru;  le.  m  meglio,  li  lei,  castina;  mos.  serisa, 
stimi;  or.  cimp,  gint,  voloncira,  concini,  cfr.  num.  54-55,  ibia 
num    3,  vjint,  vidrii,  midru.  V.  ancora  par.  VI  n. 

15.  È  normale  a  Cgl.  Cv.  Cmp.  Cer.  Cav.  1'  alterazione  di  e  in 
i  nella  forinola  EN,  EM  +  cons.  (cfr.  num.  13):  dint,  vint  vento, 
zint  gente,  a  mini  a  mente,  contint  -inta,  frmnint,  spavint,  sinti 
sint  sento  sente,  pinsa  egli  pensa,   vind   vendere,    cildinda   chiu- 


^  La  diversa  determinazione  della  tonica,  secondo  l'uscita  diversa  (feno- 
meno già  tanto  studiato  pei  dial.  merid.  e  i  ladini,  e  riccorrente  pur  nei 
settentrionali,  come  p.  e.  nei  piem.  net  ma  neta^  verd  ma  v^rda,  Jìochet  ma 
fiocìieta),  ritorna,  nei  limiti  della  zona  che  stiamo  studiando,  anche  fuori 
dell' Ons.:  Isu,  verz.  véc  tega,  méz  meza,  vedél  vedela,  cr.  murné  inumerà; 
cfr.  num.  24,  2S. 

^  Ma  lec  stalla  (cfr.  anche  cgl.  tee  di  fronte  a  lec),  che  è  1'  esempio  per 
cui  non  siamo  nelle  condizioni  d'un  antico  e,  ma  in  quelle  d'un  antico  t 
(cfr.  ScHUCH.  I  333);  onde,  se  qui  mi  si  concede  un  po'  di  ripetizione:  fr. 
toit  (cfr.  étroit)  acc.  a  Ut;  it.  tetto  (cfr.  stretto)  acc.  a  letto  petto;  nap. 
tutu  (cfr.  strittu)  ali.  a  lietu;  piem.  teit  (cfr.  streit)  ali.  a  Jet. 

*  Sarebbe  questo  l'unico  esempio  per  il  dittongo  in  parola  uscente  per  -a; 
ma  dobbiain  considerare  1'/  (jj  nella  postonica  e  gli  csempj  paralleli  féja 
méja  ecc.,  num.  25. 

*  Per  veti  lèneo  tenet,  cenen  tenent  ecc.  vieù  veiiio  veait  vietìen  ve- 
niunt  ecc.,  non  so  se  invocare  questo  num.,  o  il  uuiii.  11,  o  entrambi.  Circa 
il  -ù,  cfr.  num.  77. 

*  Qui  pure  i  le.  pins,  bin";  cfi\  num.  4  n. 


200  Salvioni, 

denda,  marìnda,  sminza  semente,  cradinza\  timp,  stimòri settemhre, 
novinibri,  dasimbri.  \'i  risalterà  prodotto  terziario  nei  sef^.  es. : 
int  dentro  (innz.  ent) ,  strinz ,  tinz ,  strino  stretto  (mil.  strenó), 
simpi  semplice;  cfr.  par.  III.  Ui=e  in  posizione  seriore:  trindu 
tenero  nn.  IIP,  121,  zlndni  genero,  sindra  cenere.  Però:  seni 
(accanto  a  diliint  trazint)  '  e  sémpru. 

16.  ENS  (cfr.  num.  13):  verz.  téis  satollo  'tenso';  è  poi  da 
notarsi  IV  che  si  ragguaglia  all'è  da  ì:  cv.  cmp.  tes,  pes,  mes. 

17.  Cr.  òtand  distendere  (ma  stendeva  ecc.);  col  quale  man- 
deremo il  verz.  scmza  (a  =  e  =  i)  senza,  non  limitato  a  essa  valle 
(cfr.  ant.  lomb.  e  ant.  tose,  sanza,  frc.  sans). 

18.  A  Pc.  e  a  VI.  s'ha  o  per  é  (=  ^)  di  posiz.  nella  desinenza 
-éss  =  habuissem ,  del  condizionale":  pc.  var'óss  avrei  avrebbe, 
tazaross,  vi.  coregaròss  (però  vusaréss,  mandariss).  —  19.  E  nella 
stessa  desinenza,  s  lui  u  a  Ls.,  il  a  Mnz.  e  a  Son.  ;  Is.  cantarùss  (e 
cantaréss)  ;  son.  savrìlss  saprei,  avriis-ba  avrei,  mnz.  sarus-ba  sarei  *. 

I^ 

20.  E  legge   costante   del  dial.    di    Le,   che   un  i  vi  si  debba 


^  La  contraddizione  tra  seni  e  duzint  ecc.,  è  solo  apparente;  diizint  ecc.  ci 
rappresentano  in  realtà  delie  forme  di  plur.  :  *duceuti  *treceuti  e  stanno  a 
seni  come  il  plur.  timp  al  sing.  temp  ;  cfr.  par.  VI. 

'  Senza  entrare  a  discutere  se  il  fenomeno  di  e  in  6  abbia  sempre  la  me- 
desima storia,  e  ricordato  quanto  si  adduce  in  Arch.  1  364  n,  mi  farò  lecito 
qui  avvertire,  come  in  Arbedo,  che  è  del  contado  bellinzoneso,  e  perciò 
in  una  zona  molto  vicina  alla  nostra,  abondi  1'  6  per  1'  e  primario  o  secon- 
dario, in  posiz.  0  no,  quando  preceda  a  e  {g),  I,  n,  n,  m:  spòc  specchio,  viJc 
vecchio;  ìoc  letto,  jooc,  toc,  spòci  ecc.  io  aspetto;  vedliì,  restai,  por  sol  (pi. 
-6j;  feni.  sorela;  vedala  sarà  livellato  a  vedòl);  mòna  egli  mena,  piina  penna, 
sona  ceaa,  pecóna  =  mi\.  pecenna  egli  pettina;  ^òw/ peggio,  lavòìiz,  Ióììz  leg- 
gere; fòli  fieno,  sdii  seno  e  segno  (anche,  per  altra  via  'sonno'  e  'sogno'), 
tarda  terreno,  bòri  bene,  tòn  tiene,  vòù,  viene,  castòn  =  mi\.  casleà  castagne; 
tòma  timore;  -ò/»=-émo,  che  s'infiltra  pur  nella  città  di  Bellinzona;  fòm 
noi  facciamo,  som  siamo,  nòm  noi  andiamo,  mandòm  mandiamo,  imprt. 

'  [È  'sub  judice'  il  quesito  se  il  condiz.  in  -ess  contenga  il  piuccheperf. 
di  ha  bere,  cfr.  Muss.  beitr.  21  n,  Arch.  VII  474  n.  Ma  qui,  a  ogni  modo, 
le  vocali  ò  u  il,  e  specie  le  due  ultime,  altro  pur  non  saranno  se  non  echi 
fonetiche  di  forme  ausiliari  come  fuss  fiiss  ecc.  —  G.  l.  A.] 

*  Per  le  solite  e  normali  risoluzioni  di  i  in  e,  si  rimanda  ai  par.  IV,  V,  VI. 


Dialetti  a  scttentr.  d.  Lago  Maggiore:  ó.  201 

convertire  in  e,  ove  gli  seguano  y,  g  o  n:  véja  via,  méja  mia, 
Maréja,  chisesséja  chicliessia,  stréja  *stria  strega; /e^  fico,  deg 
dico,  panég  p-Mììco ,  fadéga ,  spega,  vességa;  ven  vino,  fefi  fino, 
vesefi  vicino,  galefi  pliir.  di  galina,  num.  77.  Una  bella  conferma 
di  questa  legge,  anziché  un'eccezione  alla  regola  del  par.  VI, 
s'ha  poi  nei  plur.  se>ì  leu  (di  fronte  a  sliì  Un  nel  rimanente  della 
regione).  Si  tratta  di  un  e,  che  identico  materialmente  a  quello 
del  singolare  (Ieri  sefi),  ne  è  però  storicamente  ben  diverso;  poiché 
questo  è  un  prodotto  secondario  (é=e),  e  quello  quaternario 
(é  =  i=  é  =  i),  surto  com'è  dall'?  specifico  del  plur.  liiì  sin. 

Breve.  21.  cv.  cmp.  iieiv  neve,  bew  bevere,  sed  sete,  neivra 
nube  ("nibula  Arch.  Il  440  ecc.);  ded  dito. 

In  posizione.  22.  verd,  net,  vescuf,  sep,  len  (ons.  leh)  ecc. 
S'hanno  pur  qui  i  soliti  esempj  di  i  conservato,  parecchi  fra  i 
quali  {urizi  temporale,  curizi  diarrea,  alnis  alno,  ecc.)  hanno  Vi 
incolume  per  effetto  della  susseguente  palatile  o  d' i  nell'  iato. 
Ma  non  sarà  esempio  per  i  intatto  il  cv.  cgl.  cavi  capii  lo  (cfr. 
badi  batillo),  che  è  veramente  il  legittiuio  plur.  d'un  sing. 
"^cavél,  e  n'  ha,  qui  come  altrove,  facilmente  usurpato  le  veci. 

0. 

23.  A  VI,  Cv.  Cav.  Cer.  Cmp.  s'ha  w  per  ó  negli  stessi  casi 
in  cui  a  Milano  e  nel  rimanente  della  nostra  regione  s'ha  o:  su 
sole,  vùs  voce;  bramus,  piengus  piagnolone  ;  spus;fiu,  lavù,  diduì\ 
cacadil^  cv.  sru  'sorore';  vi.  prasun,  cavalun,  biin\  mimt  punt\ 
ciirt,  stazione  alpina,  quasi  'corte'.  AU'infuori  di  Vi.  s'ha  però 
sempre  V o  nella  risposta  di  -óne  :  frgni  num.  99,  capalgm,  prasQm  ; 
e  va  con  questi  boni  buono. 

Breve.  24:.  S'ha  di  regola  il  dittongo,  cioè  l'esito  suo;  purché 
all'o  non  segua  nasale,  nel  qual  caso  s'ha  g  {bgm  bun,  sgh,  gnij 
mgni',  ma  verz.  trom  tuono);  e  l'esito  del  dittongo  è  dappertutto 
0,  meno  che  a  Le,  dove  s'ha  e.  Nella  risposta  di  -ólo,  la  Vra. 
ha  -010^.  Es.:  ndiv  nove,    nuovo,    da-prow   da   vicino,    cv.    sosar 


1  Non  va  confuso  con  \'-uw  da  -olo,  V-òio  del  cmp.  fow  fuoco.  Qui  è  piut- 
tosto l'-u  di  *fdfjìf,  che  si  ripercuote  dietro  la  tonica;  cfr.  fóiic  di  Giornico 
in  Valle  Leventina,  e  Arch.  I  27. 


202  Salvioiii, 

suocero,  mod  Diodo,  int.  /0/7,  log,  zug,  cmp.  ho,  pi.  bòi,  col  quale 
esempio  vanno,  primario  o  secondario  che  1'  ò  vi  sia:  t'ó  so,  pi. 
toi  sol;  -olo:  int.  chinó-h  num.  118;  cr.  pisol  pera,  vm.  inn'ów 
pino,  caiì'dw  tarlo,  jow  capretto  num.  104  '.  Le:  new,  feg,  leg, 
cher,  chinél,  fasél  ecc. 

Ripugnano  al  dittongo  ed  hanno  in  vece  sua  o,  le  parole  che 
escono  per  -a,  cfr.  num.  14  n,  e  le  forme  verbali:  nova,  roda,  mola, 
nisola  ([)lur.  now,  rod,  mot,  nisoj);  fora  fuori  ^  ;  -  mow  muovere, 
movi  muovo,  mgio  muove,  provi  provo,  co'z  cuocere,  cozi  cuoco; 
jpiow  {o^it)  piove,  piovere^. 

In  posizione.  25.  Abonda  il  dittongo,  nelle  stesse  condizioni 
del  numero  precedente  (0  e)  %  con  questo  però  di  diverso ,  che 
qui  meno  vi  ripugnano  le  fi)rme  verbali  o  pur  le  voci  uscenti  per 
-a,  sempie  però  che  queste  contengano  o  abbiano  contenuto  un 
i  in  iato  nella  sillaba  che  segue  alla  tonica.  Es.  :  pc.  c'òf  correre, 
dasc'ór,  cv.  dromi  dr'òm  dormo  -e  (^dòrmi),  còrt  corto  {scòrti  ac- 
corcio), ort,  mori  sost.,  smort,  cv.  j^ort  i)()rtico,  tori,  stori  {storti 
storta  nel  verbo),  orb,  pòro  (quindi  mnz.  Spòì'c  sporco),  corn,  òr 
'^orl,  ali.  ad  oriti  orlo  ^  ;  col  collo;  long;  oss,  gròss,  ad'óss,  int. 
tossig  (vm.  tossi),  poss  possura,  noss,  voss',  n'óst,  vóst,  poh  nella 
locuzione  dà  post  dar  ordine,  tòst  (ma  tosti  io  tosto),  p>^iostj 
m'óst  mosso,  cv.  culóstru  primo  latte  dopo  il  parto,  'colostro'®; 


^  Dal  saggio  di  Pc.  ricavo  cinéw  'cuneólo'  (ma  al  pi.  hiùòj),  e  sta,  molto 
verosimilmente,  per  un'intera  serie. 

^  Tiitlavolta:  cer.  cova  covone,  sòzra  suocera,  cv.  scòla  scuola.  Manca 
per  anomalia  il  dittongo  anche  al  vm.  cor  cuore  (1.  cher). 

^  Tuttavolta:  cv.  zoji  io  giuoco  ecc.,  dove  forse  influisce  il  sost.  zòj. 

*  Una  speciale  risoluzione  è  nei  seguenti  esempj,  in  cui  la  sillaba  seguente 
ha  \' i  di  iato  0  consonante  palatile:  cv.  cùns  ia.cì\e,  arrendevole,  liinz  lungi, 
mnz.  sciirpi  =he\Vmz.  scòrpi  scorpio,  coi  quali  manderemo,  pel  -n,  anche 
il  pc.  trun  tuono  ;  tutte  parole,  meno  sciirpi,  in  cui  si  parte  da  p  ;  ond'  è 
da  consultare  il  par.  XI.  Del  cmp.  tiié,  tolto,  è  incerta  la  ragione  (cfr.  iiiva 
toglieva,  tilss  togliessi,  tilró  toglierò),  come  sono  oscuri  tee  tic,  che  s'hanno, 
sempre  per  'tolto',  a  Mnz.  e  a  Pc.  Occorrerebbe  aver  sott' occhio  l'intera 
conjugaz.  del  verbo  to  togliere. 

*  verz.  revoeult  (Mt.)  svolta  di  via. 

"  La  posiz.  s  +  cons.  s'ha  di  certo  anche  nel  cv.  eosp,  termine  irriverente 
per  'genitore',  se  pur  l'etimo  ne  sia  incerto. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  ó.  203 

wo^  =  bellinz.  mot  mucchio,  bot  vuoto,  verz.  hagaròt  lombrico; 
toc  =  mil.  toc  pezzo,  eòe  =  mil.  cgc  ubbriaco,  òrde  (mnz.  bròc)  no- 
dosità delle  piante,  cfr.  Diez  less.  6S;  zop,  trop;  (job;  -  toro  ^ 
torchio;  dg,  piòg  (ma  dappertutto  zinog  [-ug]);  eoe  cotto,  scdca 
=  mil.  scoca  (v.  Arch.  VII  501)  scotta;  mnz.  flos  floscio;  porti"' 
(ons.  pòrtig)  portico,  cgl.  cv.  ordì  (mnz.  orz)  orzo ,  lònz  lungi, 
int,  còìis  manievole,  amorevole  (ma  cgns  sporco)  ;  mòja  le  molle, 
vòja  voglia  (int.  voi,  ma  cv.  voj  io  voglio),  fòja  (cgl.  int.  fola), 
verz.  bedóla  betulla  num.  60,  smòj  ranno,  BroJ  ni.,  Broglio,  to 
togliere  (int.  toi  io  tolgo)  ;  Cambi  Canobbio  ;  cv.  fav'ón  favonio, 
cv.  con  cuneo,  s'ón  sonno  e  sogno  (int.  m'inson  io  sogno),  bzon 
{zona  bisogna),  Sono'i,  Camulon,  Mosòn,  nuli,  (e  qui  forse  pure 
il  mnz.  trbn,  ma  cfr.  tròm  num.  24);  monz  *mòz  moggio,  incò) 
oggi;  bòz  scodella  (cfr.  ital.  boccia),  ròz  cavallaccio,  che  si  pone 
qui  pel  suo  -z,  nonostante  l' etimo  incerto,  cgl.  cr.  gòz  ramarro  ^ 
barbòz  mento,  verz.  baròz  truogolo;  tossi;  cer.  arvòira  ali.  ad 
arv'òra  rovereto  *robur-ja  cfr.  Arch.  I  255,  cv.  cul'òr  nocciuolo 
selvatico  *colur-jo*,  int.  mòr  io  muojo;  vòjd  vuoto,  verz.  bòjta 
ventre  (cfr.  mil.  botàs  ventre,  e  Diez  less.  s.  'botta'  'bozza').  — 
Le.  :  ert^  chern,  però,  erb,  zep  ecc.  ;  ed,  féja,  méja,  sen,  Comolen. 

Ma  in  voci  per  -a:  storta,  orba,  zopa,  mota  ali.  a  mot  ecc., 
Gong,  possa  ali.  all' indie,  pòss;  boza  ali.  a  boz,  roza  fem,  di  ròz, 
mnz.  baroza  mangiatoja. 

26.  S' ha  il  per  ó  di  posizione  spenta,  nel  pc.  ciisi  cucisco,  hus 
cucisce  ecc.;  forme  che  si  combinano  con  le  it.  cucio  cuce  ecc. 


^  Quest'esempio  e  tort,  che  prima  ci  occorreva,  mi  richiamano  il  cv.  tàrza 
■(torza)  fascio  di  covoni,  *torqaea  o  *torct-ia?,  clie  dà  V  u,  di  cui  v.  Arch. 
I  133  n. 

*  Qui  porti,  e  anche  tossi,  sebbene  il  dittongo  non  vi  dipenda  da  i  in 
iato  (cfr.  lìurt  portij  e  tòssig). 

*  Se  il  mil.  ghez  (mnz.  [ie:i),  ramarro,  è  voce  non  diversa  dall' it.  ghezzo, 
nero,  l'etimo  che  di  questo  si  dà  (aìyvTrm?)  avrebbe  ora  da  goz  una  par- 
ticolare conferma;  poiché  ghezzo  risponde  pur  sempre  in  modo  anormale 
a  una  base  che  dovrebbe  piuttosto  dar  *gozzo  o  *gezzo  (cfr.  num.  98  n.); 
laddove  il  nostro  goz  è  il  normale  continuatore  di  *gozzo. 

*  Avevo  pensato  di  tenermi  a  colurnus;  ma  ben  me  ne  distolse  il  Flechia, 
Nomi  locali  d'Italia  derivati  dal  nome  delle  piante,  p.  11.  Il  nostro  culòr 
si  ragguaglia  perfettamente  al  boi.  clur  'colurio'. 


204  Salvioni, 


u. 


27.  Le.  e  Ls.  non  conoscono  il  suono  ii,  e  rispondono  con  Vu 
siìVu  degli  altri  dialetti: /?^w,  nesun,  mur,  dur,  pun. 

28.  1  paesi  a  cui  si  riferiva  il  nuin.  23,  hanno  pur  u  in  ri- 
sposta dell' «  breve  (fuor  di  pos.  o  in  pos.),  che  altrove  si  con- 
tinua per  o:  niis,  crùs;  nmnd,  vulp  ^  iirs,  rut  rotto,  vi.  lavùsta 
cavaletta,  cv.  crusta,  mùsca,  ecc. 

Lungo.  29.  S'ha  il  solito  il  (od  u;  cfr.  num.  27)  \  30.  E  Vii 
anche  in  liif,  nella  solita  analogia  (piena,  liiv,  it.  lupo). 

In  posizione.  31.  Suppergiù  alle  condizioni  lombarde.  Re- 
golare r  g  nel  cgl.  lav.  voga  (=  cv.  vilga,  lomb.  gìlga),  trattandusi 
di  u\  com'è  legittimo  Vii  del  mnz.  criist  (iin  toc  de  criist  un  cro- 
stellino;  ma  crosta),  la  base  avendo  Vu,  cfr.  Vanicek^  63.  Ma 
fanno  maraviglia  :  brgz  sporco  *briit-io,  per  un  verso  ^,  e  cv.  saUla 
satolla,  cml.  Uglista  (altrove  con  l'o  o  Vu  normale),  per  l'altro^. 
—  Per  1';^  di  pos.  che  passi  in  o,  v.  il  num.  25;  per  wé^^ra  =  mulctra, 
vase  di  latte,  v.  Arch.  1  39  n,  e  sarà  voce  importata  (valsass.  id.). 

"Vocali  àtone. 

32.  L'aferesi  non  è  più  frequente  di  quello  che  nel  milanese. 
Es.  :  verz.  veri  aprile,  num.  115,  cv.  nel  agnello,  nesela  ali.  a 
aniela  capra  giovane,  anni  ce  Ha,  cfr.  Arch.  VII  515,  mnz.  va- 
riiss  avrei,  verz.  vì'óba  avrò  num.  134,  bii  avuto. 

33a.  Abonda  all'incontro  in  VM.  e  a  Vi.  l'elisione  di  prima 
protonica:  cv.  vde  vedere;  srén  sereno,  sru  'sorore',  sriida  siero 


^  Nel  crai,  firn,  fiume,  s'  avrà  una  special  risoluzione  di  jiì.  Ma  è  oscuro 
il  cgl.  cv.  cito  (cfr.  inùl).  culo,  e  per  1'/,  e  più  ancora  pel  -w;  non  offrendo 
alcun  probabile  riscontro  r-o«^  =  -olo  del  num.  24.  —  Del  sinonimo  cav.  co, 
V.  par.  XIII  n. 

^  broz  è  voce  affatto  diversa  da  brodi  che  pur  dice  'sporco';  cfr.  mil.  bor- 
degà  ecc.,  Ardi.  I  o45  a,  VII  503.  J^on  improbabile,  tuttavia,  che  brodi  abbia 
influito  sulla  tonica  di  broz. 

*  sailla  sta  certamente  per  saviila,  e  forse  il  v  ha  potuto  determinare  Vii. 
Quanto  a  ligiìsla,  varrebbe  l'it.  locusta,  se  fosse  voce  di  popolo.  Il  Vanicek 
vede  in  locusta  una  formazione  del  genere  di  venusta s  augustus  e 
vori'ebbe  dire  con  1'  u. 


Dialetti  a  setteutr.  d.  Lago  Maggiore:  Vocali  atone.  205 

'seruta',  smini  semente,  smaje  somigliare,  sméj  ni.  Someo,  scè 
seccare,  sti  (onde  il  fem.  stija)  sottile,  stlmhri  settembre  ;  zmind 
guardare  attentamente,  esaminare,  zné  gennajo,  cv.  znen  due 
*geminiànae  ^;  cv.  do -chilo  qui;  \\.  fnéstra,  fré  =feré  fabbro- 
ferrajo,  cv.  /ni  =  lomb.  /am,  castagne  lessate  col  guscio;  prìin  per 
uno,  i^laiv  calvo,  'pelato',  plisa  pellicola,  plandin  abitino;  mnz. 
Brinzóna  Bellinzona;  cv.  dmandà,  dnian  domani,  Dmindia  np. 
Domenica  num.  IIG;  mnz.  lovd  nn.  89,  90,  se  è  deliquari, 
come  io  credo,  piuttosto  che  liquari  (ma  cfr.  Arch.  I  546  e); 
zgt  di  sotto,  zgm  di  sopra;  bzdn  bisogno.  Qui  ancora:  cv.  sminzà 
^scminzà,  '  s-cominciare  '. 

33b.  L'elisione  importando  nessi  di  consonanti  mal  tollerati, 
vi  si  rimedia  per  una  di  queste  due  maniere:  V  col  lasciar  cadere 
la  consonante  iniziale:  ni  ^vni  venire;  cav.  mini  *cmint  come, 
ranz.  gà  *cgà  cucchiajo,  vi.  nussl  *cnussi  voi  conoscete;  cgl.  dola 
betulla  (cfr.  verz.  bedòla),  cer.  zona  *bzdna  bisogna;  cer.  ziéda 
■■pzijéda  pizzicotto,  'pizzicata';  —  2.''  con  Va  prostetico:  alvdw 
lievito  'levato',  alcéra  lettiera,  arvora  ^rohur-ja  num.  25,  vi.  ar- 
gordàss  ricordarsi,  arzadiw  accanto  a  rasadlw  guaime;  aude  ve- 
dere (vi.  alighe),  audél  vitello,  aule  volere,  vi.  avni  venire,  austi 
vestito  ^;  cmp.  admandd,  adman  ;  ad-siU  di  sotto,  ad-siìra  di  sopra; 
cv.  audéja  betulla  num.   14  ^. 

34.  Molto  men  frequente  l'ettlissi  di  seconda  protonica:  cimsél 
=  lomb.  comigell  gomitolo,  anzela  num.  32,  caldrin  pignattino; 
cusne  consegnare  num.  76,  airgél  stazione  alpina,  quasi  'corticello', 
znen  num.  33a  n,  baivrd  abbeverare,  intamnà  intaccare. 

35.  Circa  l'ettlissi    di   postonica,   siamo  suppergiù  alle  condi- 


1  La  corrispondenza  tra  znen  e  geminianae  risulta  fonologicamente 
perfetta,  secondo  i  num.  34,  4,  52,  77,  101.  Circa  il  pi.  masc.  ziìm,  si  cfr. 
il  par.  Y;  e  per  la  formazione,  il  np.  Gimignano. 

^  Cfr.  auréga  num.  43  n. 

»  Un  a-  dello  stesso  genere  è  nelle  proclitiche  vm.  ai  =  de,  aZ  =  le  (e 
anche  =  la;  cfr.  al  me  part  la  mia  parte,  St.),  in  comhinazioni  come  biicér 
nd  fin,  patì  ad  zejrt,  al  pelvi  le  pecore  al  me  srU  le  mie  sorelle.  Similmente 
iu  Verz.  pan  ed  biava,  pùjer  ed  calzai  (ed  =  ad,  num.  36);  e  va  così  spiegato 
pur  Ver  od  ar  che  ivi  risponde  a  la:  er  pianta  la  pianta,  e  passa  dai  tipi 
in  cui  era  legittimo,  ad  ogni  fem.:  er  agra  l'acero,  ecc.  Ma  Ver  masc.  sarà 
legittimo  continuatore  di  el;  num.  5G. 


206  •      Sai  V  ioni, 

zioni  milanesi  :  verz.  Idrza  larice,  sdrza  salice,  mnz.  màn^a  ma- 
nica, lujànya  (cfr.  mesolc.  mànga  lugànga)\fémma,  calizna,  màzna 
macina,  ^iiZi-'m,  newra  "nibula,  hedra  'betula',  lóp-a  accanto  a 
Igpola  lucertola,  sbzra  suocera,  Iv.  scùtra  scatola,  cv.  sespd  *cae- 
spite',  mnz.  zélt  gelato,  quasi  'gelito',  peira  'pej[o]ra',  cfr. 
num.  99  n. 

36.  In  alcune  varietà  della  Verz.  occorrono  alcuni  casi  di  e  da 
a  in  protonica  interna  :  chesiéna  castagna,  ferdél  fratello,  ne  =  una 
(art.  indet.):  nemota-una  mota  cioè  'un  mucchio',  passato  poi 
a  dir  'molto'  in  ogni  genere  e  numero  (jiemota  vin  molto  vino, 
nemota  fcmen  molte  donne,  nemofa  sess  molti  sassi),  ne  fesa  uno 
spicchio  ecc.  Cfr.  num.  33b  n,  e  er  =  ar  =  aì,  St.  29. 

37.  In  tutta  la  regione  son  casi  sporadici  di  e  od  i,  protonico 
interno  in  a  '  ;  ma  una  tendenza  ben  pronunciata  non  se  ne  av- 
verte se  non  a  VI.,  Int.,  e  in  Vm. ,  specialmente  a  Cmp.  e  Cv. 
In  Vm.,  la  tendenza  è  prossima  a  diventare  una  legge;  e  a  rat- 
tenerla  non  vale  l'altra  tendenza  a  livellar  tra  loro  le  forme 
flessionali,  né  l'attiguità  di  suoni  palatili;  o  anzi  si  direbbe  che 
questi  la  promuovano,  quasi  per  salvare  Ve  dai  danni  che  la 
palattile  gli  minacci  :  piaje  piegare,  praje  pregare,  snaje  anne- 
gare, raje  =  \omh.  regà,  smajè  somigliare,  sarcew  cercato,  sacè 
seccare ,  pacew  peccato ,  vagesa  vecchiaccia ,  paseda  calcio,  tani 
tenere,  spassageda,  manazè,  scapa  -  lomb.  séepà,  curagu  corretto, 
pascè  pescare,  mascè  mischiare,  vi.  lagi  leggete,  fragur  raffred- 
dore, onadiin  ognuno,  trasint  trecento;  savundà  cfr.  Arch.  I  89, 
tiaviid  nipote,  cer.  fawré  febbrajo,  bawrd,  havil  bevuto,  dawld  di- 
leguare num.  90,  lavenz,  davantàtv;  cmp.  kmzii',  taìizit,  langér 
leggiero,  smantijè  dimenticare,  indrumantàtv,  manéstra,  fanéstra, 
dastandu,  spandii',  vandi'i  (inf.  dastind  spimi  vind,  num.  15),  «/•- 
danàw,  vi.  pansé,  \evz.  pansècc  (Pap.),  tarén,  dasparàda;  ca- 
paìgm  capellone;  trama  tremare,  banadi  benedire,  sadela,  mas- 
sadàw  =  lomb.  messedd,  insad'i,  tasurdw   '  tensulato  ',    delle  poppe 


1  I  pochi  esempi  di  o,  u,  in  a,  si  ripetoii  forse  tutti  dalla  ragione  dissi- 
milativa  (cfr.  Ardi.  I  46  ecc.):  vi.  callo-  colore,  scarpiun  scorpione,  lavùsta, 
int.  saportàn  sopportare,  siyarqt=*slgurot  scure.  Il  cv.  prafunda  dipende 
assai  probabilmente  da  un  *prefimdà. 


Dialetli  a  setteutr.  d.  Lago  Maggiore:  Vocali  alone.  207 

di  bestia  che  stia  per  partorire;  dadà-h  ditale,  massà-n  messale, 
satass  sedersi,  inatti'  messo,  cradeva  credeva,  pvasQnij  crassii'  cre- 
sciuto, vi.  nagd  negare,  ecc.  ecc.  Qua  e  là  s'odono  nella  nostra 
regione  anche  al  =  il,  da  =  de.  Diffusissimo  vi  è  poi  1' a  da  e  od 
i  in  postonica  interna:  càlas,  pécan,  ténnan,  fràssan,  àsan,  féman 
femine,  Oman  uomini,  pillas  pulce,  pplas  arpione,  'pollice',  zévan 
giovine  \  borgn.  lilgdnag  pi.  (sng.  lìlgàniga),  g.  mànaga^,  notevoli 
gli  ultimi  esempi,  per  ciò  che  di  solito  Vi  delle  desinenze  -Ico  ed 
-telo  [-ito]  rimanga:  gumòid  gomito,  tivid,  Unipi  (ma  pc.  siibat); 
int.  tossig,  piersig,  vi.  cdrìg  ecc. 

38.  Sono  esempj  di  i  da  e,  per  effetto  di  consonante  palatile: 
cgl.  Itcà  leccare,  vi.  cind  cenare,  cmp.  spice  aspettare,  pc.  licéira 
lettiera;  int.  sircd-n  cercare,  cv.  zinàg  ginocchio,  Iv.  chisténa  (cfr. 
chest-  num.  36);  vi.  nijà  annegare,  cv.  disnie  negare,  sie  segare; 
pc.  linamé  {i  =  e  =  {),  verz.  (Pap.)  vinénd.  Nella  formola  EN  +  cons. 
(cfr.  num.  15):  int.  sinti-h  sentire,  ptinsé-n  pensiero,  pindént  orec- 
chini, cv.  dlsmintie,  linzu  letto.  E  s'aggiungono:  int.  bidéla,  si- 
garot  scure,  cv.  pidi't   pedule,  mnz.  Uvénz  laveggio. 

39.  Per  l'attiguità  di  consonante  labiale,  i,  e,  a  riduconsi  a 
vocal  labiale  nei  seguenti  esempj  :  vi.  puirùs  *puvirùs  pauroso, 
int.  cJiivil  capello,  cioè  *cuvil  num.  42,  verz.  (Pap.)  soporcro  se- 
polcro,  cmp.  somnà  seminare,  cv.  wnmo  =  ]omh.  animo  anc-nio 
ancora;  mnz.  lovd  dileguare  *dlevà  num.  33a,  coll'o  che  s'estende, 
come  per  somnà,  alle  forme  rizotoniche;  cgl.  mossQm  messe,  Is. 
bndéja  e  cml.  bildieja  betulla  num.  14.  S'aggiungono:  mnz.  Bron- 
zóna  Bellinzona,  verz.  silrésa  ciliegia,  Is.  sugiirot  scure;  ed  ol, 
or,  ul,  u  artic.  o  pronom.  proclitico  di  3.  pers.  sing.  in  molta 
parte  della  nostra  regione  ^  In  postonica:  verz.  GdspQr,  lélQr 
édera,  àgor  '"agr\  cv.  cenu  da  *cengw  canape;  e  principalmente 
V-um  di  1.  pers.  plur.  :  màngum,  véndimi,  sintum,  manddviim,  man- 


^  Ma  son.  pàmpen,  2)ì'§vet,  fràssen  ecc.,  g.  m^neg. 

^  Nell'epentesi:  alégar,  pajar,  ràjar;  ma  g.  pdjer,  son.  dj/er  *agr. 

^  Qui  ancora  l'int.  chiri-n,  'querire',  che  risponde  al  qtiér  di  par.  VI  n. 
Nelle  voci  rizotoniche  s'ha  Vii  (mi  a  ciir  ecc.).  Vii  delle  rizotoniche  prov- 
verrà  dalle  voci  a  desinenza  tonica:  *cilriva  *ciiri-n,  cfr.  num.  42.  —  Cgl. 
ha  co  col  egli,  'quello';  e  V  o  =  ue  andrà  ripetuto  dalla  condizione  di  pro- 
clitica, in  cui  è  spesso  quel  pronome. 


20S  Salvioni, 

dàssum;  e  Vu  {=Qw)  di  2.  plur.:  mnndhit  =  mW.  tnandàvef  man- 
davate, vandissH  =  m'ù.  vendesse/,  ibiu  =  mW.  àbief  abbiate,  ecc. 
Ancora  sia  ricordato  l' u  che  precede  alla  labiale  di  pronome 
enclitico  nei  tipi  seguenti:  màndiim  mandami,  sintum  sentimi, 
vhidiim  vendimi;  v'mdmn  vendermi,  c[uént  (=-uw)  pettinarvi, 
par.  VI  n  \ 

40.  Il  saggio  di  Cmp.  scrive  costantemente  ti  per  o  atono;  e 
di  II  si  tratta,  in  realtà,  per  gran  parte  della  regione,  sebbene 
da  noi  si  scriva  più  di  solito  o.  Es.  :  curdln  spago ,  furtiina, 
prumet,  cuntint,  ussà  osare  {ossi  io  oso),  tuHà  tostare,  ^^«/ri^a 
{porti  io  porto),  truvà,  spitsàss,  gudè  {godi  io  godo),  muveva  mo- 
veva (ìnovi  muovo),  ecc. 

4:1.  S'ha  i  per  o  nel  v\.  figdéa  (cv.  fesa)  focaccia,  ra\\.  fiìgàsa\ 
e  nel  cr.  Ugiista  (cmp.  livQstri),  cfr.  lue  usta  Schuch.  vok.  I  39; 
nel  le.  chingw  cognato,  cfr.  mil.  cima,  e  cer.  dimo  =  lomb.  doma. 

42.  L'«  per  il,  che  occorre,  dove  più  dove  meno,  pur  nel  resto 
della  regione  (cmp.  bitèr  burro,  liendia  luganiga  num.  116,  Is. 
lima'rja\  vi.  lisàrt  ramarro),  è  di  assoluta  regola  ad  Intragna  : 
sido-n  sudore,  rimQr  rumore,  ali.  a  r/(w  =  rumor  tuono',  miràs 
muraccio  ali.  a  milr,  biseca,  chigàn  cucchiajo,  chinoh  cuneo,  ecc.  ; 
e  Vi  si  mantiene  costante  anche  nella  flessione  verbale,  di  contro 
all' M  delle  voci  rizotoniche:  zghird-n,  zgJiiro-n,  zghiràva  {mi  a 
zgiir,  ecc.),  bità-n  (ini  a  bili),  chintà-h  {mi  a  cllnt),  zigà-h  giuo- 
care  (jni  a  zilg)  ;  ecc. 

43.  Dittonghi  atoni  e  contrazioni.  —  Dio?  =  AU  s'hanno 
traccie  in  idzél,  ussà  osare,  imssà  riposare.  Di  auréga  dico  in 
nota*;  e  del  mnz.  airdm,  al  num.  113.  —   Contrazioni;   a   for- 


^  Sta  di  contro  a  qucst' ?/,  Va,  quando  segua  f,  s,  l:  metat  mettiti  metterti 
metas  mettersi,  metal  metterlo  mettilo;  e  Vi,  quando  segnai  oj:  metig 
mettergli  (a  lui)  mettigli,  meli,  cioè  *méti-J,  metterli  mettili. 

-  Considerato  il  num.  27,  riescou  singolari  e  questo  esempio  e  il  chinpio 
di  num.  41. 

^  Onde  riimd  e  rùniadd  far  temporale,  riimdda  temporale,  segni  forieri 
del  temporale,  e  altre  consimili  derivazioni,  che  s'odono  frequente  nelle  Alpi 
lombarde.  Notevole  che  rilm  in  Yerz.  (Mt.)  si  riduca  a  dire  'acqueruggiola, 
pioggerella'. 

*  Nella  contermine  Leventina  s'hanno  per  au  incolume  i  sicurissimi  esempj 
aiirizi  bufera  (cv.  iirizi)  e  laude-,  ma   non  perciò   mi  fiderei  di  affermare 


Dialetti  a  setteatr.  d.  Lago  Maggiore:  Vocali  àìone.  209 

mola  atona:  verz.  pudè  e  pid'},  tetto  (cfr.  bellina,  pi'óda,  lastra  di 
pietra,  e  valraorobbiese  pcodè  \  tetto),  verz.  piimàs  guanciale,  pc. 
2nlet  scure,  di  contro  a  piolet  della  stessa  Vm.  (Mt.),  pióla  piolét 
pedemontani;  le.  qnichiàn  (Pap.),  verz.  queciin  e  quaciin='^K[usii- 
cliiùno,  mnz.  regoz,  cv.  ravoza  radice,  cfr.  cav.  raìoza  e  mira.  99  ; 
cmp.  hincéta,  giubbino  donnesco  di  color  bianco  ^  Di  atona  e  to- 
nica: cmp.  pc.  è/*  =  ons.  bià  avuto,  pc.  sii  "sjii'  *sijii  scure,  cer. 
co  *cjò  *cijd  qui,  cfr.  lajo  là,  cv.  piira  paura,  frgm  *fraom 
num.  99,  cara  quando,  'qua-hóra'. 

Atone  all'uscita.  41.  Di  regola,  incolume  Va  dappertutto^. 
Ma  Val  Lav.  avviene  che  lo  perda  nello  sdrucciolo:  to'm  luganiga, 
mani  manica,  àqtia  tivi,  rdbi,  sàbi  sabbia,  indivi,  alni  ali.  ad  alnia 
pioppo  '^alni[cja,  tic  stri  *locusti[c]a  num.  99;  ànim  anima;  Du- 
ménic  np.  Domenica.;  scrdtul  scatola,  lodili  allodola,  róndul  * 
*rondula. 


l'antico  dittougo  nel  vm.  auréga  orecchia.  Ci  vedrei  piuttosto  *v-oréga,  cfr. 
num.  114,  ridottosi  ad  auréga  per  la  via  di  *vrega  (cfr.  monf.  vronté  au- 
ronté),  0  l'adesione  dell'-ffl  dell'articolo:  la-oréga,  l'aorega. 

*  Questo  esempio  di  pc  da  pj,  mi  porta  a  confortare  di  ulteriori  prove  il 
fenomeno  già  toccato  dall' Ascoli,  per  la  Mesolciua  ecc.,  I  271,  II  157,  e  a 
assodare  in  ispecie  la  fase  con  la  labiale  persistente  anche  a  formola  iniziale. 
Il  fenomeno  è  circoscritto  a  parte  della  Mesolcina  (è  p.  es.  a  Soazza,  donde 
provengono  gli  esempj  da  me  raccolti,  e  non  è  più  a  Roveredo),  e  a  parte 
del  contado  bellinzonese.  Qui  lo  incontrai  sulla  riva  sinistra  del  Ticino,  a 
Arbedo,  che  giace  a  nord  di  Bellinzona,  al  confluente  del  Ticino  e  della 
Moesa,  e  in  Valle  Morobbia,  Moròbga,  le  cui  acque  motton  nel  Ticino  un 
pajo  di  chilometri  a  sud  di  Bellinzona;  e  sulla  riva  destra,  a  Montecarasso, 
che  pur  giace  a  sud  di  Bellinzona,  sulla  strada  che  mette  all'imboccatura 
della  Verzasca,  e  a  Locamo.  Valgano  dunque  come  saggi  d'intere  serie: 
pcii  (Soazza  jpc'«) ,  pcan,  pcat,  pcof  piovere,  pcomb  ;  càjjcci  =  lomb.  cdpia  ; 
bgpt  =:lom'}.  bint,  bgond,  bg'inc;  rdhga,  sdbga,  Ighga  =  ìomh.  lobia  balcone. 
E  V.  ancora  il  num.  129b  n. 

^  Ove  il  dittongo  dell'e  si  continui  nell' atona,  è  di  solito  nella  condi- 
zione d'i:  spicd,  vini,  ,  ^m  ali.  a  reiìi. 

*  Nella  versione  verz.  della  parabola  presso  Stalder,  trovansi  esempj  di 
-e  =  -a:  robe,  buseghe,  una  sgiache  (ma  campagna  corobia).  È  un  Saggio 
mal  fido;  ì  miei  danno  sempre  -a;  ma  è  pur  vero  che  io  mi  sovvengo  d'a- 
vere udito  uscite  consimili  da  contadine  verzaschesi.  Il  fenomeno  oltrepassa, 
del  resto,  quella  valle,  e  si  trova  ancora  a  Montecarasso  :  ter  a,  il'gd  ecc. 

*  Per  ciò  che  è  di  -ùla,  partecipa  del  fenomeno  anche  Cerentino  ;  cfr. 
num.  59. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  14 


210  Salvioni, 

45.  U-e  cade.  Dì -ce  s'avrebbe  una  continuazione,  forse  indiretta, 
in  forme  plurali  come  rdj  coro)  nisoj]  cioè  "rani  ^coroni,  *nuceóli, 
num.  50,  52.  Di  certo  poi  non  è  di  continuazione  istorica  1'  -i 
che  risuona  dopo  un  nesso  di  conson.  mal  proferibile,  come  in 
novimòri  càwri  capre,  pejri  pecore,  màjri  magre,  fanéstri,  verz. 
alni  plur.  di  dina  alno. 

46.  L'-/si  vede  o  rivede  all'uscita  di  nessi  difficili:  nigri,  mefri, 
tinti  quinti  ecc.  ;  nella  continuazione  di  -ATI  num.  2  \  e  in  alcune 
voci  or  monosillabe:  j;e/,  mej,  bdj\  t'ój,  soj,  fei  cioè  *fàji,  faggi 
num.  101,  no/',  vQj^  diij.  Ne  sono  poi  sicure  traccie  nei  plur.  come 
audéj  hgj  ecc.,  num.  50,  52  (ma  la  desinenza  ^li  di  frequente  lo 
smarrisce:  ranz.  cavel  cavalli,  int.  vedil  vitelli),  e  nei  soliti  tene 
quenc,  en,  eie  altri,  pors.  —  Del  resto,  non  suol  più  rimanerne 
di  quello  che  ne  rimanga  nel  milanese  ;  e  si  può  quindi  affermare, 
che  nel  secondo  di  questi  Saggi  si  studian  veramente  gli  effetti 
d'una  causa  obliterata  ^ 

47.  L'-o  pure  è  di  solito  perduto.  S'eccettuerà  il  caso  di  -ATO 
num.  8,  0  il  tipo  dove  è  nesso  di  cons.  mal  proferibile  :  ne/ru  Ideine 
cejru  ecc.  Ancora  sia  ricordato  :  pc.  cav.  lu^  artic,  e  stu  'isto-'  '. 

48.  Appena  vanno  addotti:  cv.  pos-ti  possa  tu,  int.  a  piirt-tii 
mija  'non  porti  tu?'  (qui  manifestamente  vive  1'/^  in  grazia  del 
tu  ben  conservato  nell'accento:  vi-tiin  vedi  tu?),  ecc. 

Consonanti    contin^iae. 

J.  49.  Iniziale:  -se  jam,  zné  gennajo,  zévan  giovane,  ziln  giugno, 
zòj  zilje  giuoco  giocare,  zivdìi  Giovanni;  giìnà  digiunare  {riìn-gilnd 
far  colazione),  ggva  strumento  di  legno,  biforcato  in  cima,  che 
serve  a  coglier  frutti,  *j  uga  ;  Jecum  Giacomo.  —  Interno  :  maistru\ 
penz  peggio,  manz  maggio,  cfr.  num.   116. 

J  complicato.  50.  LJ:  Si  continua  per  i  ad  Int.  Cgl.  Soo. 
Lv.  Vog.  :  tald-h  tagliare,  pdla^  vola,  liii,  grit,  ecc.  Altrove,  come 
in  Lombardia,  si  riduce  ay\  Nel  cr.  séla  (acc.  a  le.  séja)  sarà 


^  A  VI.  anche  di  -UTI:  godiij  ecc.;   e   si  può    credere   che   s'abbia  V -ili 
anche  nell'-w  di  Vm.  (audu). 

^  Per  l'-i  nella  conjugaz.,  cfr.  le  Annotazioni  morfologiche. 

^  Il  pc.  velénu  e  il  cinp.  alménu  sanno  di  letterario. 

*  Giova,  specie  pel  secondo  Saggio,  spender  qui  due  parole  intorno  a  -li 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  j.  211 

un  -IJ-  seriore,  cfr.  num.  102,  non  ancora  bene  assimilato.  — 
L' ons.  risponde  per  l  al  1/  in  cui  il  /  provenga  dal  primo  ele- 
mento del  dittongo  ie:  iez,  iec,  candeii^. 

51.  SJ.  Cfr.  num.*  86  n.  —  Notevole  nel  vog.,  l'esito  di  uno 
sj  d'incontro  sintattico:  zé  =  ^s'fé  'se  eglino  sono';  p.  e.  zé  hoj 
se  son  buoni.  Si  aspetterebbe  5,  anziché  z. 

52.  NJ.  Notiamo  imprima:  neuca,  znen  *geminianae  num. 
33,  ons.  anel  annello,  int.  en  anni;  e  vada  insieme  ngla  mi- 
dolla (mj  nj).  —  Indi  passiamo  a  ini;  la  quale  uscita  si  riduce 
a  semplice  -/,  per  essersi  trovato  il  -«-,  dopo  che  1'  -i  si  fu  pro- 
pagginato accanto  alla  tonica,  come  stretto  e  assorbito  dalle  due 
palatili  (cfr.  Arch.  I  378  n);  ed  è  vicenda  in  tutto  analoga  a  quella 
che  più  sopra  notavasi  per  -li  (num.  50  n).  Così  per  -ani:  mnz. 
caj  cani,  vi.  vildj ^  manàj  magnani,  piaj  piani;  maj  mani;  tusàj 
ragazze,  cv.  raj  rane  ^,  mos.  saj  sane  ^  ;         -éni  (primario  e  da 


(-LLi).  Se  ne  ottiene  -j,  non  solo  dove  un  altro  esito  farebbe  specie,  ma 
pur  dove  parrebbe  voluto  l  (int.  scosse j  grembiali,  cgl.  fradéj  ecc.,  ali.  a 
grii  grillo  ecc.).  S'aggiunge,  che  in  Yni.  il  plur.  di  -él  (=-ello)  non  è  mai 
-il  od  -?/,  come  vorrebbe  il  par.  VI,  ma  costantemente  -éj;  il  che  tanto  più 
fa  meraviglia,  quando  si  consideri  che  gli  antichi  documenti  lombardi  molto 
amino  1'*  appunto  nella  risposta  di  -elli,  e  il  milanese  lo  continui  fin  quasi 
ai  nostri  giorni.  Ma  la  doppia  stranezza  non  è  se  non  apparente,  e  si  ri- 
solve in  ciò,  che  1'-/,  ripercosso  accanto  alla  tonica  (-*éjlj),  anziché  pesar 
su  questa  e  ridurla,  come  di  solito  avviene,  si  stringa  invece  al  l,  che  ri- 
juane  spento  tra  i  due  J.  In  altri  termini  il  -f;  di  Int.  e  Cgl.  non  risponde 
già  a  ilj,  che  avrebbe  dovuto  darvi  ì,  ma  a  jlìIJ  (-jlj).  E  ad  lilj  risponderà 
ugualmente  il  -J  del  cv.  cmp.  mnz,  audéj,  mnz.  gej  cucchiaj,  sebbene  qui 
basti  -ìj  per  dare  j.  La  prova  che  pur  qui  si  tratti  di  J^ilJ  è  fornita,  se  io 
veggo  bene,  dall'  é  che  rimane  intatto  ;  poiché,  a  parlare  per  via  d'csempj,  se 
mis  mesi  è  da  *méj-s[i]  (cfr.  int.  vedil  da  *vitéj-l[i],  rail,  fradt=fradij  da 
*fratéj-lj),  audéJ,  all'incontro,  è  da  *vité-jlj.  L'evoluzione  è  in  tutto  analoga 
a  quella  che  avremo  per  -ni  al  num.  52.  Circa  Ve  di  massej  ecc.,  che  par- 
rebbe fuor  di  luogo  quando  si  partisse  da  *>nissd-jlj,  anziché  da  *missàj-lj, 
V.  num.  2  n,  52  n. 

^  In  qualche  varietà  ons.  occorrono  tuttavia  degli  esempj  come  u  Jec  il 
letto. 

^  Su  raJ  s'è  poi  foggiato  il  sng.  raja;  e  grì,  briciole,  che  si  cita  in  una 
delle  seguenti  note,  vieue  del  canto  suo  alla  funzione  di  singolare  ('briciola'), 
greii  rimanendo  nel  solo  significato  di  'grano'.  Siamo  così  al  caso  dì  fgnz, 
sparg,  denc,  cavi;  ed  è  sempre  il  prevalente  uso  del  plurale,  che  oblitera 
la  forma  del  singolare. 

*  B'-gJ  di  pi.  che  risponde  ad  -diì  od  -dn  di  sng.,  ho  i  seguenti  esempj: 


"212  Salvioni, 

-ani):  vi.  jyi  pieni;  lo.  cej  cani  \  grej  grani,  cmp.  pi  piani,  cmp. 
cgl.  sci  'scanni'^;  -óni  (la  cui  riluzione  è  immancabile  dap- 
pertutto): hgj^  vi.  buj  buoni,  vi.  suj  suoni,  cv. /ro/  uum,  99,  pitoj 
pitocchi,  hordcj  radici,  Iv.  mozój  talpe,  capaloj  cappelloni,  vi.  ba- 
sta) \  cgl.  mossoj  {temp  di  mossgj  tempo  delle  messi),  prasgj ^ 
resgj  ecc.,  ranz.  corgj  'corone',  detto  di  una  particolare  configu- 
razione del  suolo  (sng.  corona)^',  vi.  troj  tuoni,  coll'o  del  sng. 
tròn. 

53.  CJ.  Lo  s  è  qui  ancora  più  gradito  che  nello  stesso  mila- 
nese: sedds,  cadends,  gesa,  mil.  sedàz  cadenàz,  gaz  *  \  -cj  :  pòrs 
porci,  —  N\.:  fijoc  figlioccio,  ^^dc'a  focaccia. 

54.  TJ:  cr.  criscah  cristiano,  verz.  cer.  bésca;  e  la  serie  di 
c  =  TJ  s'aumenta  di  molto  nell'Ons.,  per  via  del  dittongo  ié  (Je): 
cr.  cimp  tempo,  concini,  voloncira,  civi  num.  11,  mesci  mestiere, 
monasci,  marcel  martello,  cascel  castello;  -tj:  Is.  verz.:  eie  altri. 

55.  DJ:  cr.  gint  dente,  fergel  fratello,  calgera,  hegeja  num,  14  ^ 
Ridotto  a  y,  oltre  che  in  incój,  nel  Jav.  piijàss  appoggiarsi  ®.  Ma 
la  normal  risoluzione  di  dj  lat.  è  pur  qui  i:  zìi,  Manza  Maggia, 
('Madia'  nelle  carte  latine),  ynonz  moggio,  marenzà  num,  116, 
vog.  sponzàss  appoggiarsi, 

L.  56.  L  in  r  è  meu  frequente  che  nel  milanese:  moUnéra,  pai, 
calimdh,  folaga  (rail.  mornéro.  par  canmà  fogorà).  Solo  Vog.  e 
quella  varietà  della  Verz,,  cui  spetta  la  traduzione  del  Pap., 
prediligono  grandemente  questa  riduzione:  vog.  «;mil  veleno,  co- 
róna colonna,  servàdi  selvatico,  vindru  num.  08,  niigru  num.  65  ; 


le.  p/g/ (sng,  pian),  vi.  int,  cJieJ  (sug,  :  hit.  cafi,  vi.  can),  vi.  yrej  (sng.  gran), 
mos.  sej  (sug.  saii  sano).  Circa  Ve,  cfr.  num.  2  in  u, 

^  A  Sonogno  si  conserva  il  prezioso  'ilélii.  La  fase  del  ^Jù  occorre  aboudante 
tra  le  varietà  dialettali  del  Verbano  e  della  Val  Sesia:  macioign  mangioni, 
poreacioiffìi,  nella  citata  scrittura  del  Rusconi  ;  testoign  cavaloign  nei  miei 
Saggi  di  \'arallo.  A  Valduggia  (Sesia):  mangòn  (sing.  manggn);  e  altrove 
il  tipo  tistóin.  Cfr.  Arch.  II  397. 

^  Per  V -t,  ultima  riduzione  di  -éni  (-ani),  cfr.  anclie  cmp.  cgl,  ci  cani, 
cv.  grl  granelli,  briciole.  Circa  questo  i  (=  y),  cfr.  num.  13  n. 

^  Cfr.  Menz(^j  Menzoni[o]. 

*  Sia  qui  notato,  sebbene  cstraueo  a  questo  numero,  1'  int,  tasa  tazza. 

^  Nella  risposta  di  tjé  djé,  Cml.  ha  un  suono  che  oscilla  tra  t/  dj  e  e  g. 

*  cv.  na  a  puina  andare  appoggiandosi. 


Dialetti  a  setteiitr.  d.  Lago  Maggiore  :  l.  213 

Pap.:  maiiiiconica,  jjortrom,  possihro,  consoraziom,  ortregiada,  vo- 
rontera.  Cfr.  er  per  la,  num.  33b  n.  ;  cui  s'aggiungono,  qua  e  colà, 
gr  =  *ol=el,  il,  e  ar  al  \  57.  OL  +  cons.  :  vi.  micg  *mòlg  'mul- 
gere',  voutà,  sovul*sOuld  num.  105-6;  ma  nel  mQss  della  Lav.  sarà 
piuttosto  Is  (uiulso-),  assimilato  in  ss.  58.  Quanto  a  zl,  siamo 
suppergiù  alle  condizioni  lombarde.  Tra  gli  esempj  in  cui  cade, 
sien  citati:  p,  pron.  di  3*  pers.,  e  cQ  'quello'.  Loco  conserva  il  -l  di 
-ÒLO  :fasél  chinél  ecc.  —  rl  :  òr  *òrl,  cfr.  Arch.  I  262.  59. 
Esempj  di  -u  da  -ULO  -olo  -ole  (= -ile)  nello  sdrucciolo:  mnz. 
diaw  '^diavu,  niiv  nuvolo,  cv.  marsew  *merciàvolo  merciadro,  cer. 
débii  debole  ■',  farti  fu  (cmp.  tartiful)  patata,  zgaràmpu  (cv.  zga- 
ràmpid).  A  Cer.  il  fenomeno  comprende  anche  sdruccioli  in  -ula, 
cfr.  num.  44:  la  cédii-Q,'^.  cedida  (circa  il  significato,  cfr.  Mi.  s. 
'càdora'),  la  médu  =  cy.  mediila  falce  da  mietere;  e  potrà  esser 
fem.  anche  il  débu  sopra  addotto.  00.  ll  in  Ij  ha  forse  nuovo 
esempio  nel  Iv.  bedòla  (g.  hedòja)  betulla,  se  pur  non  sia  *b  e- 
tuU-ia. 

61.  L  complicato.  Condizioni  lombarde  ^  Per  la  sua  im- 
portanza lessicale,  sia  citato  il  cer.  Spiena  milza  (splene-,  cfr. 
il  sardo  su  spreni)  \  notevole  anche  per  il  genere  mutato  (cfr. 
la  liim,  la  firn,  Bonv.  la  nom,  ed  altri).  —  La  risoluzione  di  cl 
GL  è  a  Intragna  e  g  :  camàn,  caw  ;  chi'gdn,  vega,  ganda,  gira  ^  ; 
come  è  sé  in  Ons.  Vin.  la  risoluzione  di  sol:  scop,  mascè  mi- 
schiare, masc  (cer.  scop  ecc.).   Di  GL  seriore,   v.  il  num.   102. 

R.  62.  All'uscita,  suol  cadere:  dolo,  pes  cado,  fio  ecc.,  ini.  fión^ 
dulpn,  ecc.;  verz.  Ig  loro;  ucù  num.  108;  senza  dire  degli  infiniti 
e  dei  sost.  in  -ARIO.  —  63.  LTR:  alt  altro.  —  STR:  nost  vòst, 
Is.  noss  voss,  verz.  mossa  mostrare;  int,  nos  vos. 


^  Los.:  aniìnari  animale;  cfr.  Arcli.  I  6o. 

*  Da  Cer.  anche  moréoi  amorevole,  che  piuttosto  andrà  con  miràbe  nobe 
di  Bouvesin. 

'  Il  cv.  blandiìra  blandizie  sa  di  letterato. 

*  Il  sinonimo  cv.  è  spiega,  che  si  combina  coli'  eng.  spleóa  Arch.  I  195, 
cfr.  VII  884.  Ma  sarà  importato;  e  spleu-ja,  a  ogni  modo,  qui  di  certo 
non  poteva  dare  spleca. 

^  lutr.  veramente,  risponde  sempre  per  é  ìj  ai  lomb.  e  g  :  làc  latte,  fàc; 
tene,  qnenc]  greHj;  viàj ,  furmàij;  manydn. 


2J4  Salvioni, 

V.  64.  Verz.  grp  volpe,  ó  vuole,  o  =  vos  proclitico,  cv.  gul'p, 
gumità  vomitare.  —  65,  Altri  dilegui:  pc.  ri  'rivo',  onde  cv. 
riena  num.  4,  mnz.  quenta  bisogna  *co[n]venitat  ',  e  dì  v  secon- 
dario: cv.  naùd  nipote,  traostà,  cambiar  di  posto  a  un  oggetto, 
'trapostare'.  Per  -v-  in  g:  verz.  nilgru  (int.  niivul)  nuvolo;  pevig 
num.  1  n,  cv.  uga  ugola,  notevole  altresì  per  apparirvi  il  positivo 
del  termine  italiano,  cfr.  Diez.  less.  s.  luette.  Qui  ancora  il  mnz. 
regoz  ecc.,  cfr.  nn.  43,  99  \  —  66.  Primario  o  secondario  fattosi 
finale,  dà  quasi  dappertutto  -w;  il  quale  iv,  ove  gli  preceda  u  (o), 
ne  rimane  assorbito:  ca^^  chiave,  catiw  cattivo,  ons.  mandiu 
*mandiv[i]  mandavi,  new,  hew,  now,  mow  muovere,  int.  prìlw 
ons.  prù  tu  provi;  cenu  ^cenQw  canape,  véscu  vescovo,  geru  (pel 
significato,  cfr.  Mt.  s.  gàrof)  ;  mand'wu  -  *mandivuw  (mil.  man- 
dàvef)  mandavate,  ibiu  (mil.  dbief)  abbiate,  ecc.  67.  Ons. 
véscul  vescovo,  cfr.  Arch.  I  520. 

W.  68.  G.  varde,  vadane,  vari  guarire,  v'mdru  bindolo;  cgl. 
z-vers  guercio;  coi  quali  stieno,  sebbene  di  base  latina:  g.  vaste 
guastare,  cv.  va  eguale,  nella  locuzione  in  va,  a  livello. 

S.  69.  Iniziale  davanti  a  vocale:  int.  sòl  suolo;  e  assimilazione 
nel  cv.  sarsela  sarchiello.  —  70.  Iniziale  o  interno  davanti  a 
consonante,  ogni  g  di  fase  anteriore  è  qui  s,  come  ogni  z  è  z: 
sta,  spada,  pasta,  pasce,  èren,  smint,  slavi  num.  1 04,  dasfà  zbrage, 
verz.  zgamel,  ecc.;  ma  davanti  a  m,  Cgl.  preferisce  s:  iismà  odo- 
rare, sminza  semente,  ecc.  71.  Non  infrequente  z  da.  s  che 
sussegua  a  liquida:  pérzi  pesca,  urz,  falz,  sconzà  num.   116,  ecc. 

72-3.  se  e  CS:  int  sigàn  asciugare,  j?e5  pesce;  cer.  silé  asciutto, 
sorà  'ex-aurare',  pc.  insadisi  io  innesto  (-i5/,  per  l'-isco  rifog- 
giato suU'-iscis  ecc.). 

M.  74.  Nulla  di  notevole.  Il  Saggio  di  Cv,  mi  dà  banéga  ac- 
canto a  manéga,  traducendoli  pel  fr.  'flandrin'.  MN  :  znen 
gem'nianae  num.  33  n;  verz.  zgamel  sgabello. 

N.  75.  Int.  fiisola  nocciuola.       76.  NS:  verz.  teis  satollo;  vm. 


*  Notevoli  per  sv-  in  sf-  e  *s:iv-  (onde  skv-):  mnz.  sfeta  civetta;  cmp. 
sfera,  cv.  squéra,  nei  quali  è  la  stessa  base  che  nel  fr.  civicre,  it.  civeo  ecc., 
e  per  la  stessa  nostra  regione  in  suera,  swera  (anche  masc.  swe),  siiéra;  cfr. 
cilvéra  a  Varallo. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  n.  215 

pes,  tes;  ma  nel  cv.  ctisne,  consegnare,  s'ha  riduzione  seriore  di 
-nsil,-.  77.  Di  N  che  venga  all'uscita,  preceduto  da  vocal  to- 
nica, si  posson  dare  ben  cinque  risoluzioni:  1.  rimane  inalterato: 
cg\.  ^son  tron^\-  2.  si  riduce,  dopo  vocal  labiale,  a  -m:  bgm, 
lìrasQm^  resQm,  padrgm,  pitgm  pitocco,  hordQm  rapa,  padroni, 
capcdgm,  ecc.,  vog.  viiìn;  trom;  -  3.  s'altera  costantemente  in  n 
dopo  vocal  palatile,  tavolta  anche  dopo  ii  ed  o,  e  più  di  frequente 
dopo  a  :  viii,,  più,  fin,  veslii.,  mnz.  cosiil  'cugino'  e  'cugine',  ladiH 
agile;  veriil,  tarili;  fefi  fieno,  ben,  sarefi,  taren,  pien.  tefi  tenet, 
ven  venit;  pien  piano,  greìi  grano,  cen  cane,  znen  num.  33  n; 
viln ,  nissiln\  mnz.  tròn\  man,  san,  can-,  pan,  pian,  va'i  molle 
Vano',  dman  domani^;  -  4.  passa  qua  e  là  in  -n:  cgl.  bordpn; 
crap.  curdin  spago;  vilan,  manan  ecc.,  e  in  Vi.  è  anzi  questa 
la  riduzione  costante:  bun,  prasuh,  pien,  vih,  gran  ecc.  ^;-  5. 
tace  nell'uso  pleonastico  di  bene:  sùii  be  Mo  so';  ma  sii  ben  la 
lezigm.         Di  NJ  v.  il  num  52;  di  NN,  il   112. 


1  Non  cito  feminili  pi.  come  vildn  ecc.,  nei  quali  si  continua  maniiesta- 
mente  il  n  del  sng.  vilana  ecc. 

'■'  Metto  a  parte:  galiiì  pi.  di  gaUna,  e  Is.  tusaù  pi.  di  tosa  ragazza. 

*  I  prodotti  che  si  consideravano  sotto  2  e  3,  dipendono  manifestamente 
dalla  qualità  della  vocale  che  precede.  L'a  così  vorrebbe  n,  che  certo  è  la 
nasale  che  più  gli  si  confaccia  ;  e  in  realtà  si  accompagnano  il  piìi  delle 
volle.  Gli  esempi  in  -àìì  son  quasi  tutti  monosillabi;  e  non  sarà  del  resto 
superfluo  notare,  che  n  propenda  a  n  pure  in  altre  parlate.  Così  tra  le  va- 
rietà pedemontane,  il  n,  che  in  quella  regione  è  costante  per  la  formola  m'^, 
tanto  volge  a  n,  che  l'orecchio  non  esperimentato  mal  sa  distinguere,  a  tutta 
prima,  se  si  tratti  di  questo  suono  o  deiraltro;  anzi  il  Rusconi,  o.  c,  dopo 
avere  addotto  bricogn  halossogn  pagn  della  Riviera  d'Orta,  soggiunge  'come 
avviene  dell'  n  intermedia  del  dialetto  di  Novara'  ;  e  firogn,  pirogn,  carogn, 
ne  sono  esempj  leventini,  Arch.  I  263.  Né  esiteremo  a  dichiarare  da  mina 
{n  =  nn  =  ng),  forma  che  sempre  occorre,  il  mina  di  Bellinzona.  —  Sia  an- 
cora aggiunto,  che  nel  Novarese  e  nella  Bassa  Valsesia  è  sempre  molto  ga- 
gliarda la  nasal  gutturale,  a  qualsiasi  vocale  essa  tenga  dietro,  sì  che  ad- 
dirittura può  passar  nella  corrispondente  esplosiva,  media  e  sonora.:  paecìc 
pane,  baeck  bene,  vick  vino,  snich  asino,  quasi  'asinino',  lubbioch  loggione, 
vuck  uno;  compagh  compagno  'compan[i]o',  vugh  uno,  instigli  nessuno. 


216  Salvioni, 

Con.sona.nti   esplosi^^e. 

C.  —  Presso  che  tutta  la  nostra  regione  ^  offre,  in  varia  misura,, 
le  solite  digradazioni  franco-ladine  di  o  nella  forraola  ca;  e  vuol 
dire  e  a  forinola  iniziale  ^  e  interna  dopo  consonante,  e  g  j  & 
formola  interna  precedendole  vocale. 

78.  CA  iniziale.  Qui  si  parla  della  sola  Val  Maggia  ^ ,  il  cui 
dialetto  presenta  un  fenomeno  costante  e  importantissimo,  estra- 
neo affatto,  per  quanto  io  sappia,  a  ogni  altro  idioma  che  in 
ordine  alla  formola  CA  siasi  finora  esplorato;  e  cioè,  che  l'al- 
terazione di  CA  iniziale  non  abbia  luogo  se  non  a  formola 
tonica.  Avremo  così:  mr  caro,  m  casa,  mnu  canape,  calca, 
Cam,  cawra,  camp,  cap  (verz.  cap)  calvo,  cenva,  certa,  cena  ecc. 
num.  4  e  §  V;  ma  cavai,  campana,  cadréja,  camisa,  cavan,  calizna, 
cadéna,  camin,  cair'òw  tarlo  del  formaggio,  'cariólo-'  capita  ecc.  *. 
A  cald,  calz,  camp,  mnz.  caa,  si  contrapporranno  nitidamente: 
caldrin,  calze  scarpe,  'calzari',  campana,  cand  mordere.  Che  se, 
nella  flessione  verbale,  le  più  numerose  forme  col  ca-  atono  hanno 
per  lo  più  attratte  a  sé  le  altre  men  numerose,  pur  non  vi  manca 
la  riprova  del  fenomeno;  e  in  tre  verbi  almeno  la  distinzione  è 
sempre  conservata:  mnz.  mjl  -ja  -jgm  ecc.,  ma  cajà,  cajava  ecc.; 
mrji  -ja  -jgm  ecc.,  ma  cairà  cairàva  ecc.;  cav.  centi  -ta  ecc.,  ma 
canta  ecc.  S' aggiunge  da  Cevio  una  prova  indiretta,  ma  non  meno 
sicura:  Ve  costante  nelle  voci  rizotoniche  di  questa  formola,  il 
quale  è  manifestamente  un  effetto  che  permane  dopo  obliterata 
la  causa  {ch.e-=^ce--ck-,  cfr.  num.  4).  Così:  chevi  -va,  cheli  -la, 


^  Le  Centovalli  sempre  serbano  intatte  le  gutturali,  e  VJ.  non  conosce 
alterazione  di  ca  iniziale  o  di  e  dopo  consonante. 

^  Non  ho  potuto  riscontrare  in  nessuna  parte:  ciènva  cielz,  registrati  dal 
Monti. 

*  Fuori  della  VM.,  l'alterazione  è  molto  circoscritta.  In  Ous.  e  Vérz.  non 
me  la  mostrarono  se  non  i  ritiessi  di  capra  casa  e  cane.  Certe  varietà  ver- 
zaschesi  devono  però  averla  più  frequente  e  risentirsene  anche  a  formola 
atona  ;  cfr.  chiopitó  nel  Pap. 

*  I  soli  esempj  di  «  atono  a  me  occorsi,  sono  i  mnz.  euri  capelli  (ma 
è  da  considerare  la  relasyone  antitetica  tra  cavi  e  eap  calvo),  e  oajaret  sterco 
di  capra  (cv.  carìet  num  121),  quasi  'caculetto'  (cfr.  cajaìet  di  V.  Vigezzo). 

*  Eccezioni:  mnz.  cor  carro,  copia,  cdnu,  cald,  caria,  cgl.  cai. a. 


Dialetti  a  settcntr.  d.  Lago  Maggiore:  e.  217 

cheti  -fa,  cheni  -na  ;  clienti  -ta  ;  cheji  -ja,  chemhi  -ia  ;  cherji  -ja  \ 
diesi  -sa,  diesi  -sa  *caseare,  ecc.;    ma  canta  caje  cambie  ecc.  '. 

79.  ^CA,  ^C^  Il  e  interno  tra  vocali  suol  passare  in  ^;  e  queste 
formole  perciò  confluiscono  con  quelle  di  media,  e  con  queste  le 
mandiamo. 

80.  -CA:  'pacew  peccato,  lied  leccare,  vaca,  biiséca,  harsaca 
valigia  ;  scala  (mnz.  scala),  Scarz  scarso,  scarp  (cmp.  scarp)  rot- 
tura d'abiti,  mn/5.  scapiis  discolo,  tasca,  mesca,  crilsca' ',  scen 
(ons.  sdieft):  incàri  ciirico,  spalanca,  strunce  (lomb.  struncà) , 
manca,  cgl.  manco  *-'càu,  banca,  [anca  anche,  cfr.  Ardi.  VII  528  n]; 
sercà,  marcdw,  forca,  calia  calca  ^. 

81.  -C  dà  pure  il  e  in  e:  sec,  sac,  strac  stracco,  bislac;  bgscy 
tudes'c:  porc,  cv.  spore;  bianc,  Jìenc*. 

82.  83.  81.  La  tenue  gutturale  passa  in  e  anche  per  moderno 
effetto  d'  e  od  i,  che  sussegua,  o  per  effetto  d'w;  e  va  con  Vii 
anche  il  dittongo  dell'  o  (o),  in  quanto  risale  a  *iie  (cfr.  Arch.  I 
75  182-3  ecc.):  parce  perchè;  scena  schiena  (mil.  schenna),  scerpa 
corredo  di  nozze  (mil.  sdierpa  schirpa),  cgl.  bacéta  bacchetta; 
sHvi  schifo;  Iv,  cilo  qui,  cer.  cò  =  ^cijò  id.  (cfr.  lajò);  -  scilr  oscuro, 
scilma  (mil.  scibnma),  scilsà,  incilzna  incudine;  cgl.  cv.  ciw  culus 
(cav.  co,  §  XIII  n),  mnz.  cìl,  ciina  cilnéta,  ciuiaio  cognato,  cilrd  cu- 
rare, cilnt  ciìntà,  pc.  ciisi,  Iv.  ciirt,  quacUn  qualcuno  (singolarmente 
anche  a  Intr.  :  queciim);  scola  (cmp.  scola)  scuola,  incoi  còl  còrt 
corn  cons  ade  scòca  nurn.  25  e  110;  i  riflessi  di  'cuneo-':  cv.  con, 
mnz.  cino  (cgl.  cilnò,  le.  chinel,  cfr.    chingiv  cognato);   cer.  cova". 


^  A  Campo,  la  livellazioae  per  ca  è  quasi  sempre  intieramente  consumata: 
canti  càji  càmbi  cdrji;  ma  chesi  diesi. 

2  Circa  lo  se  a-  è  notevole,  che  nel  verbo,  ove  se  ne  eccettuino  ì  lav. 
seaì'jà  e  scampa,  nei  quali  lo  ih  persiste  in  tutte  le  voci,  sempre  si  ritrovi 
se-,  non  sh-:  e  che  a  Cevio  s'abbia  qui  pure  costante  Ve  per  !'-«  {srhe-  = 
*sce-)  :  seTiepi  -pa,  scheni  -na,  schessi  -ssa,  schenzi  -za,  schempi  -pa,  scheldi 
-da,  scherpi  -pa.  A  Campo  s'ha  bensì  schevi  -va,  schempi,  scherpi;  ma  in- 
sieme: scassi  scànzi  srdlzi.  —  A  Corentino  poi,  la  riduzione  di  se  è  sic  (ctV. 
num.  61):  mùsca,  crirsca;  e  similmente  scéiv  seccato. 

'  Ons.:  rffca  crùscri  (schen),  incdrij;  verz. :  sircè.  Campo  reintegra  il  e 
in  spalancheu\  nmrchew  ed  altri. 

*  Ons.  seh,  finse,  bine  num.  4  n. 

'  Verz.:  quaeùiì.  Lv.  :  có7,  ma  corn.  Ls.  :  incó.  Ons.:  cher  cuore,  chern, 
chec.  Il  e  del  le.  cusina  cugina,  è  da  e,  e  questo  è  importato  da  altri  co- 
muni della  Ons.,  dove  s'ha  regolarmente  ciisina. 


21 S  Salvioiii, 

CE  CI.  85.  Iniziale:  seni,  ser,  sesp  cespuglio,  servis  mestolo, 
quasi  'cervice',  sircàn  cercare,  sinclra  cenere,  sira  cera,  sena 
cena,  ranz.  senca  cintura,  cmp,  sep  sgabello,  quasi,  'ceppo',  sinqu, 
sigàda  cicala,  svéra  e  sfeta  num,  G5  n,  sivgla\  per  dissimilazione 
di  s-c,  s'ha  a  Pecia  sercl  cerco  ;  come  per  assimilazione  di  5-i,  a 
Cerentino  sarvis.  —  Rimane  intatto  il  e-  a  VI.:  cinà,  cent, 
carco  ecc.  \  —  86.  Interno  fra  vocali,  il  e  di  queste  formolo  si 
riduce  generalmente  a  i,  né  occorrono  eserapj.  Solo  Pc.  m'  offre 
mazard  macerare  ^  —  87.  Interno  dopo  consonante:  cv.  falz 
falce,  mnz.  fals,  pc.  stors  (ptcp.  storsii')  torcere,  sarsela  num. 
69,  orsél;  mnz.  res  recere,  rejs  ^rejc-\  vi.  fauc,  vm.  olcél. 

88.  CT,  La  solita  risoluzione  lombarda,  cioè  e  (int.  e)  :  cv.  uéu 
ottobre  ^  ,  ucéna  '  mezza  quartina  ',  cioè  una  ottava  (cfr.  Bonv. 
ogìen),  frilcéja,  il  ricavo  d'una  bestia,  *fructilia,  dric,  fràca  riparo, 
'fracta',  stranéura  *strinctura,  senca  num.  85,  pi'inca  punta;  e 
s'aggiungano  mnz.  laréc,  n.  1.,  'lariceto'  (v.  Flechia,  Nomi  locali 
d' Italia  derivati  dal  nome  delle  piante,  p.  4),  e  feléc,  che  però  dice 
'felce'  non  'felceto'.  —  89.  CS:  lassa,  ass,  tass  ecc.;  v.  però  il 
num.  72-3.  —  Di  CR,  il   102. 

QV.  90.  Iniziale ,  che  si  riduca  a  k  :  verz.  cand  Pap.  ,  ons. 
calcossa  Pap.,  int.  chirln  num.  39  n;  cfr.  per  eccu-illo  ecc.:  chel 
chela,  chi  quelli,  cgl.  cg  colui,  Iv.  cilo,  cer.  co.  num.  82.  La  solita 
contrazione  di  qua-hora:  cv.  dira  quando,  incùra  quando?. 
Interno,  passato  in  -gu-,  e  quindi  in  -tv-:  cv.  dawlà  dileguare 
(déwla  dilegua),  mnz.  lovà  num.  33  a,  cfr.  num.  122,  e  Arch.  I 
47  210. 

91.  GA-.  Solo  la  VM.  altera  ga.  a  formola  iniziale;  e  vi  pro- 
cede con  quella  stessa  distinzione,  tra  formola  atona  e  formola 
tonica,  che  vedemmo  per  ca-.  Così  garb  immaturo  (beli,  garò), 
gat,  gamba,  gel  (mnz.  gal),  geru  num.  66,  gena  (beli,  gana  ;  pel 
signif.,  V,  Mt.  s.  gana);  ma  all'incontro:  gatéza  {nà  in  gateza 
dicesi  dell'  andare  in  amore  dei  gatti),  galina,  ganùs,  aggett.  da 
'gana'.  Non  m'è  occorso  nessun  verbo  con  ga-  radicale. 


*  Notevole:  vi.  cat  =  siit  sciatto,  dove  si  tratterebbe  di  s  =  x  (ex-aptus). 

*  Circa  taze  tacere,  coz  cuocere,  le  voci  col  -cj-  (iàzi  taceam)  ci  avver- 
tono di  proceder  cauti.  Cfr.  briizec  bruciato,  vozà  gridare  (mil.  vozà)  cazd  = 
casa  *caseare.  Ma  a  Po.  la  normal  risoluzione  di  cj  è  s. 

*  Il  verz.  dico  è  al  num.  119. 


Dialetti  a  setteutr.  d.  Lago  Maggiore:  g.  219 

*GA  e  -G  (*^G^)  ;  dove  insieme  confluiscono  pur  le  basi  di  tenue 
(v.  num.  79).  Del  a  di  queste  forinole  son  pur  nella  nostra  re- 
gione due  esiti  diversi  :  g,  j.  Il  primo  è  nell'Onsernone,  nella  Ver- 
zasca  ^  e  a  Losone;  il  secondo,  nella  Valmaggia  e  a  Villette.  A 
Villette  rimanendo  estranea  ogni  altra  riduzione  palatina  di  e, 
è  lecito  dubitare  se  il  fenomeno  non  sia,  piuttosto  che  di  conti- 
nuità ladina,  di  continuità  pedemontana;  senza  perciò  negare  che 
le  ragioni  del  fenomeno  siano  in  effetto  identiche  tra  Zona  ladina 
e  Piemonte  (cfr.  Arch.  II  128  n).  Delle  Centovalli  già  s'è  detto, 
che  ignorino  qualsiasi  alterazione  delle  gutturali  ^ 

92  ^.  Fase  di  g.  Ons.  :  fadfga,  vessiga,  spiga,  diga  dicam  -t  (le. 
vességa  ecc.,  num.  20);  verz.  :  riga,  cadriga,  cui  s'aggiungono 
tutti  i  congiuntivi  foggiati  secondo  il  num,  120b;  los.  :  miga  mica; 
—  ons.  :  màniga,  luyàniga,  duniéniga,  ijértiga',  —  ons.:  limàga, 
staga,  daga;  verz.  ilga.  Di  -ga-  tonico  sono  esempj  :  Iv.  Ul'gdniga, 
zilge,  nel  secondo  dei  quali  potrebbe  essere  influenza  di  zdg;  ma 
dall' Ons.  non  ho  nessun  esemplare  per  -gà-  in  ga  (biigàda,  lu- 
gàniga),  come  non  ne  ho  nessuno  per  essa  formola,  tonica  o  no, 
di  verbi  in  -care  -icare:  mastigà  rampigà,  prega,  mastigàva  ecc. 
{mastég  mastico,  ecc.).  Ora  a  ^G  riuscito  finale:  fig ,  pani'g ,  dig 
dico  {\c.  feg  ecc..  num.  20);  Iv.  intrég  '•"intrego  *  ;  spa'g  spago, 
lag  ;  verz.  fo'g,  log,  z'óg  (le.  feg  leg)  ;  pórtig,  piersig,  stòmig,  verz. 
monig  sagretano;  pevig  num.  G5. 

93.  Fase  di  /.  La  messe  è  più  larga,  non  solo  perchè  a  me 
fosse  dato  di  meglio  esplorare  la  parte  della  nostra  regione  cui 
è  proprio  quest'esito,  ma  anche  perchè  il  fenomeno  di  riduzione 
qui  risulta  molto  piiì  esteso.  Esempj    valmaggini:  rassid  segare, 


^  l>\el  bel  mezzo  della  Verzasca.  Gerra  mantiene  costante  il  g;  sì  Vogorno 
confluiscono  i  due  diversi  riflessi  di  -ico:  tossi  imrti  servddi  per  zi,  mgnig 


^  mia  mica  (ncgaz.)  mal  si  potrà  dire  un'eccezione. 

'  Questo  numero  e  il  susseguente  abbracciano  entrambi,  per  una  ngione 
di  opportunità,  due  foi-mole  essenzialmente  diverse  (gutturale  seguita  da  a 
e  gutturale  che  viene  all'uscita);  e  basti  questo  avvertimento  per  lasciar 
salva  ogni  distinzione  teorica.  Le  nostre  serie  vengono  del  resto  a  illustrare 
bellamente  il  quadro  che  è  in  Asc,  Leti,  glottol.,  I  36  sgg. 

*  Jomb,  intrég,  e  cfr.  Arch.  I  402  n. 


MO  Salvioui, 

cajd,  sofojd,  spantejd, prajè  pregare,  piaj'c  piegate,  2^aj7',  raje  (lomb. 
regà  '),  zbrissìje  sdrucciolare  (beli,  zònssigà),  mastijé,  hnantije  di- 
menticare, ecc.  ecc.;  fiàsa  focaccia,  cgl.  liijània  luganiga,  fojà 
focolare,  quasi  'focale';  cv.  rialdà  riscaldare,  'ricaldare';  fadija, 
vessija ,  furniija ,  clija  dicat  ;  cadréja  ;  lihnàja ,  staja ,  vaja ,  faja  ; 
lujània,  mania,  réssia  sega  (lomb.  réssega),  elidici  (looib.  codegcì), 
pértia  (mnz.  pérti  num.  44),  cv.  dmindia,  spàndici  num.  116.  Ora 
a  ^G:  /2  ^'fij  fico,  pam,  Sorni  Sornico;  intréj;  spcij ,  laj,  hraj 
brache,  vaj faj  *vago  vo  ecc.;  lòj,fòj.  Di  -CO  nel  proparossitono 
al  vai  maggese  altro  non  resta  se  non  la  saldezza  del  precedente 
i:  salvàdi,  companàdi,  ovi  '^ópico  (cfr.  Arch.  II  2-5),  settentrione, 
fidi  fegato  (lomb.  f'ideg^,  pèdi  (lomb.  pédeg) ,  moni  sagrestano 
'monico',  porti,  stomi,  pérzi  persico,  mani,  in'càn,  tossi,  brodi 
sporco  (rail.  hordéga  sporcare),  ecc.  Esempj  di  Villette  :  caria,  nià 
annegare; /ac?«a;  limàja,  vàja;  mania',  spai,  lai,  vai',  fói\  mani, 
pèrsi,  stùnii;  ma  liigàniga,  nagà  negare. 

94.  -GA  e  ^G.  Anche  per  la  prima  formola  e'  è  assai  poco: 
pc.  stanga  '  ;  dacché  i  mnz.  mànga  manica ,  liijànga  (jnanga  lu- 
ganga  in  Val  Mesolcina)  e  lo  stesso  cargà  di  Pc.  (mil.  cargo)  ra- 
sentano il  num.  91;  per  la  seconda:  larcj,  long,  liljéng  'lugliengo'. 

95-98.  Sono  i  paralleli  dei  num.  82-84:  mnz.  geida,  cv.  geda 
(mil.  gheda),  mnz.  gez  (verz.  ghez^)\  cfr.  Mojàn  ni.  Moghegno; 
ginà  (verz.  ghind)  ghignare;  -  giXz  acuto;  pc.  sii  num.  43,  cfr.  Iv. 
sigiret  scure;  zgilrd  (mil.  igiirà);  -  cv.  gòb  (cgl.  mnz.  gob)  gobbo, 
cgl.  cr.  goz  num  25  n. 

99.  GO  GU.  Frequenti  abbastanza  gli  esempj  in  cui  g,  primario 
0  secondario,  si  dilegui  :  cv.  frQtn  fragola  dragone'  (cfr.  bergam. 
fregii) ,  cgl.  avgst,  nota  niente,  Iv.  navgta,  v(»g.  agsi  naQt,  int. 
nostra,  mnz.  lióstri  locusta  (cr.  ligpsta),  vi.  laviista,  cv.  savundd 
assecondare,  cfr.  Arch.  I  89,  cgl.  lavordàss  ricordarsi,  ravoza  ra- 
dice, num.  104,  mnz.  manijold,  nome  d'un' erba  che  altrove  chia- 
masi   manigold;    cgl.    lav.    voga   ago,   cer.    vugeirow  agorajo,  cgl. 


^  Mt.  ;  cfr.  num.  104. 

^  Vrz.  stàiija,  zànija  zoccolo.  Campo  reintegra  qua  e  là  la  gutturale: 
slunghew,  slargne  nuiu.  116  n. 

^  Gnip.  gez,  forse  con  la  risposta  di  yu-  che  s'  ha  da  altra  base  nell'  it. 
gesso  ;  v.  num.  23  u. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  g,  t,  d.  2£d 

pewra  pecora,  *pégra  o  ^pévora^.  Esempj  'sui  generis':  mnz. /g 
faggio,  cm]}.  f'òiv  fuoco,  num.  24  n.  —  Nella  risposta  di  acutio- 
e  anche  di  acucula,  s'ha  frequente  il  dileguo  del  y  di  gii:  vi, 
iiz  aiiz,  vog.  vìiz;  g.  Iv.  aiiga,  cv.  vilga  (cfr.  lomb.  giiz^  gugci)- 

100,  GV.  dawlci  num.  90;  ggva  num.  49,  cioè  *jugva,  cfr.  Arcli. 
I  91   211-12. 

101,  GÈ  Gì.  Iniziali:  zent.  zindru,  zingg^  zel,  zeli  num.  35, 
zerbi  (mil.  zèrhìd,  cfr,  Cher.,  s.  sgèrb),  znen  num.  33a  n.  Ma  Vil- 
lette, come  ha  schietto  il  e,  così  il  g:  ginùg,  gent.  —  A  formola 
interna,  preceduta  da  consonante  :  strenz,  spgnz  pungere,  tenz, 
mglz;  cgl.  mglz;  cv.  curgél  'corticello'  {rg  da  rd,  come  s'ha  ng 
da  né  nel  mnz.  cangél)  ;  vi.  streng,  teng,  pung,  miig  num.  57  ;  - 
preceduta  da  vocale:  lefnjz,  re[n]z\  ciirég.  Assorbito  il  g  di  gi: 
mnz.  fej  *fagi,  cv.  cmp.  faìs  faggio  "fagitio-, 

102,  GR  (cfr.  Arch,  I  95  n),  GL,  Son.  màger  magro  ^mag'r 
(pi.  mégri),  àggr  agro,  àger  acero.  La  riduzione  jr  occorre  in  VM., 
Ons.  e  VI.:  vm.  àiru  agro  e  acero,  màiru,  néiru,  cv.  smairld  sma- 
grito, sairàw  cimitero,  'sagrato'  ;  vi.  àjar  acero,  néjar\  le.  màriu, 
nériu,  àriu  cfr.  num,  121.  Di  jl  da  G'L,  porrei  questi  esenipj  : 
cgl.  lav.  séjla  segale  (cr.  séta,  cv.  seja,  num.  50,  121)  '\  vi.  f'ójlà 
focolare  *foglare,  con  immistione  di  fói  nella  prima  sillaba. 

T.  103.  È  costante  la  riduzione  di  ^T*  in  d\  le  vicende  del 
quale  si  contessono  con  quelle  del  d  primario.  —  LT  NT,  n.  105. 

D.  104.  Primario  o  secondario  patisce  dileguo,  ma  in  misura 
limitata.  Lo  perde  la  terza  del  proparossitono:  tlvi,  Umpi,  spevi, 
zerbi  num.  101,  ril'vi  ruvido,  s-làvi  pallido.  Curioso  esemplare 
l'ultimo,  nel  quale  non  vorremo  vedere  quasi  un  ptc.  pass,  ar- 
caico di  'lavare',  *1  avito-,  onde  lauto-;  ma  piuttosto  uno  's-la- 


1  E  a  *péora  *péjora  (forma  questa  che  occorre  in  varietà  alessandrine) 
risaliranno  il  cv.  peira  e  il  le.  péria,  num.  3S.  Si  potrebbe  anche  pensare 
a  *pegva  (cfr.  num,  102)  ;  ma  il  tipo  pélru  tanto  è  diffuso  anche  in  paesi 
cui  non  conviene  -jì'-  da  -gr-  (p,  es,  in  Mesolcina),  che  certo  vai  meglio  la 
spiegazione  che  ne  è  qui  proposta. 

^  Potrebbe  se;7«  spiegarsi  da  *.«e/fflte  =  segala;  ma  l'Ons.  avrebbe  riflesso 
questa  base  per  séjjala.  Sono  bene  estesi  e  perciò  bene  antichi  i  tipi  sinco- 
pati scg'la  (cosi  a  Novara;  e  ne  proviene  anche  il  piem.  seU  =  *segl[e]) 
e  segra  (così  a  Milano,  e  ne  proviene  il  séira  di  Valle  Lev.). 


222  .  Scilvioni, 

vato'  (cv.  slavato  dilavato),  tirato  su  'pàvido'  'pallido'.  Ancora  : 
joiv  capretto,  se  è  'hsedólo',  j^idg,  noia  n.  52,  cgl.  m,  niàda  nidiata, 
regòza^  cav.  raìoza  radice,  'radicocea',  raje  =  *reje  n.  93,  Arcb. 
I  285  n  \  verz.  savQl.  cv.  salila,  pc.  squda  scodella,  mnz.  colore 
bosco  di  nocciuoli  selvatici.  Notevoli,  e  a  me  non  bene  cbiari: 
vi.  aughé  vedere,  int.  vey  creg,  ve';)  crei),  vej  crej,  cfr.  num.  92, 
93.  Del  prt.  pass,  de'  verbi  deboli,  v.  i  num.  2  e  8,  aggiungen- 
dosi pel  dileguo  i  riflessi  di  -àtae  {trend  tuoni  'tonate'),  di  -ut a 
a  VI.  (godila),  di  -ùti  (vi.  godili,  cv.  godìi),  di  -ùto  (godu). 
Permane  all'incontro  il  d  nei  riflessi  di  -àta,  -ùta  -ut  a  e,  -ito 
-i  -a  -ae. 

105  106.  LD  LT  ND  NT.  M'è  data  come  caratteristica  del 
dial.  di  Giumalio,  villaggio  cbe  poco  dista  da  Coglio,  il  profe- 
rirvisi  mQn  mondo  e  monte,  gran,  cai  caldo,  pQu  ponte,  tiUaqmn 
tutti  quanti  par.  Ili,  viel  voialtri.  Ma  non  confonderemo  con 
questi  esemplari  il  vi.  sQvul  soldo,  dove  si  risale  al  nesso  *-ivld, 
che  a  un  dato  momento  è  senza  dubbio  esistito  *.  — ■  Non  sarà 
un  caso  fonetico  quello  di  ND  in  nt  nel  cv.  contane  multare, 
condannare  a  una  multa;  ma  sarà  un  incrociamento  di  parole, 
per  via  di  'contare'  ecc. 

P.  107.  ^P^  si  riduce  a  y;  e  superfluo  dare  eserapj.  —  SP  : 
zbgnga  spugna,  zbard  sparare.  —  PR-  :  verz.  bardèla  (Mt.)  scan- 
nello, cioè  bradéla  (forma  che  occorre  nelle  poesie  del  Porta) 
'predella'.  PR,  num.   108. 

B.  108.  Cv.  vadi  badile.  —  Primario  o  secondario  che  sia,  ^b^ 
passa  in  v.  —  BR:  càwra,  léwra,  mnz.  awri  aprile;  ma  prece- 
dendogli vocal  labiale,  il  tv  ne  è  facilmente  assorbito  ^:  iicu  *ocgwr, 
sQra  sopra,  pora  povera;  e  vada  con  questi  anche  il  mnz.  rgl 
*rgwl  rovere.  —  BD:  cv.  audéj'a  *abdéja  betulla  num.  33b. 


^  Il  s-  di  *sra(Ugd  mancherà  piuttosto  per  essere  parso  superfluo,  che 
non  per  mero  dileguo. 

^  I  nessi  lìnienti  per  -t  mi  ricordano  il  cv.  sesp  cespuglio,  che  può  parere 
un  nominat.,  cfr.  Arch.  II  43S,  ma  allato  al  quale  altri  mi  assicura  che  an- 
cora s'oda  sespd  (sespt).  L'altra  risoluzione  di  caespite-  è  qui  rappresen- 
tata dal  cer.  sest. 

^  Il  mnz.  aro  avrò,  potrebbe  risalire  ad  afvjaró. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  Accidenti  generali.  22S 

Accicienti  g-enerali. 

109.  Accento.  In  ordine  alle  voci  proparossitone  del  verbo,  si  os- 
servano le  stesse  trasposizioni  d'accento  che  già  son  note  dal  milanese. 
Noteremo  ancora  l'ons.  fdis,  di  contro  al  /aìs  del  num.  101. —  110. 
Assimilazione  transultoria:  di  c-e  nel  vm.  eoe  num.  83;  ài  s-'z 
nel  cer.  sarvis  num.  85;  di  5-s  nel  cv.  sarsela  num.  69.  —  111.  Dis- 
similazione transultoria:  di  l-l\  vog.  voncél  *olcél  uccello;  - 
di  r-r:  vi.  rul  *rgvul  (pi.  ru' oul)  rovere,  cfr.  Arch.  II  428-9;  cgl. 
lavorddss  ricordarsi  ;  cgl.  lineo  rgas,  paragonato  al  rincórgas  che  qui 
svibito  segue ;- di  n-n :  cgl.  rincórgas  cioè  '^nincórgas,  forma  questa 
largamente  documentata  in  Lombardia;  -  di  n-m:  cv.  colomia  econo- 
mia; -  di  s-c:  sarcé;  -  di  s-c:  mnz.  sere  cerchio.  V.  inoltre  il  num.  74. 
—  112.  Dissimilazione  tra  consonanti  attigue:  i 
soliti  spanda  e  vand.  —  113.  Prostesi  di  vocale;  v.  num.  33b. 
È  molto  verosimilmente  anche  in  air  dm  (masc.)  rame  ^  —  114.  Pro- 
stesi di  consonante.  Occorrono  suppergiù  i  soliti  esempj  milanesi 
per  la  prostesi  di  v  (cfr.  però  il  cmp.  ussd  osare);  e  vi  s'aggiungono 
da  Vog.  varan  ragno,  vortlga  ortica,  e  dall' Ons.  vormdi  ormai.  Circa 
'^voréga,  v.  num.  43  n.  —  115.  Epentesi  di  vocale:  vog.  veri 
'^vri  aprile;  pc.  forgj  fragole,  cfr.  frgm  num.  99. —  116.  Epentesi 
di  consonante.  Precedono  gli  esempj,  nei  quali  la  ragione  dell'e- 
pentesi è  ben  chiara.  N'R  è  risolto  per  ndr  nei  diffusissimi  esemplari 
sindra,  zindru,  trindu  num.  121;  e  N'J  per  ndj  in  questi  quattro 
esemplari  di  Cv.  :  lijendia  ^  ,  spdndia  spanna  ^ ,  ìudndia  manica  e 
Dmindia  np.  Domenica  * ,  nei  quali  sempre  siamo  a  -nja  da  -nìja 
-nica.  Di  V  o  j,  con  cui  si  rimedii  all'iato,  superfluo  ogni  esempio, 
tranne  forse  il  vog.  avidd  (Iv.  aide)  ajutare.  Epentesi  di  r:  X-)C.  scrdtul 
scatola,  vog.  crapia  gabbia;  e  forse  nell'  int.  livgstra  (mos.  liggster 
m.),  cmp.  livgstri,  locusta.  Epentesi  di  n  è  nel  cr.  sconzà  grembiule 


1  II  Mt.  adduce  agé  cucchiajo  ;  confrontata  la  qual  forma  col  nostro  gè 
0  gd,  si  chiede  se  Va  vi  sia  prostetico,  secondo  il  num.  33b  {agé  *acgé), 
oppure  provenga  dall'artic.  la  (gè  è  di  gen.  fem.). 

2  Anche  lijenda,  come  per  dissimilazione. 

3  Che  spdndia  uou  derivi  da  spanda,  è  mostrato  dallo  spemja  d'Airolo 
(Giornico  spenga),  che  non  può  non  risalire  a  *spann[ìjga. 

*  La  dichiarazione,  che  di  questi  quattro  esemplari  è  data  nel  testo,  m'  ò 
stata  suggerita  dal  prof.  Flechia,  il  quale  similmente  spiega  il  canav.  àndia 
*anja  *dne[d]a  anitra. 


224  Salvioni, 

(lomb.  scossa];  ma  in  Mnz.  l'avremo  costante  davanti  a  z,  com'è  per 
frequenti  esempj  nel  milanese  urbano  e  più  nel  rustico.  Es.  mnz.,  oltre 
lenz  renz  ecc.,  sono  Manza  Maggia,  manz  maggio,  ganza  gaggia, 
miJnz  moggio,  penz  peggio,  livénz  laveggio,  bodéaz  subisso,  baccano 
(mil.  bodéz  boéz),  crusénza  [in  crusénza  incrocicchiato,  quasi  'in  cro- 
ceggia'),  marenzà  *ineridiare  (dicesi  preponderantemente  del  riposo 
che  prendon  le  bestie  sul  mezzogiorno;  e  siccome  la  bestia  riposando 
rumina,  anzi  rumina  solo  riposando,  così  s'ha  pure  inarenzà  nel  senso 
di  ruminare  ');  manénz  manenzà  maneggio  maneggiare;  ronzi,  che 
dicesi  del  mormorio  delle  acque,  e  in  cui  è  dubbio  se  si  debba  cercare 
rugire,  o  non  piuttosto  un  derivato  verbale  da  ronza  torrentello,  voce 
che  qui  spetta  a  ogni  modo  ('roggia')  '.  Nel  resto  della  zona  '  non  ri- 
corre se  non  la  minor  parte  di  cotesti  esemplari;  ai  quali  Cv.  aggiunge 
barinz  pezzami  (allato  a  bariz)  e  Vog.  sponzdss  appoggiarsi.  —  117. 
Epitesi  di  vocale.  A  Cavergno  si  sviluppa  im  a  dopo  V-ù  (p),  in 
esempj  come  casadùa  cacciatore,  la.vùa  lavoro.  —  118.  Epitesi  di 
consonante.  Intragna,  Losone  e  Lavertezzo  sogliono  aggiungere  un 
elemento  nasale  alla  tonica  uscente;  il  quale  ora  si  limita  a  un  lie- 
vissimo strascico,  come  a  Ls.  o  a  Lv.  (Is.  cuìig  cognato,  jì^y  prato, 
sudè  sudati,  casadg,  pisò  pero,  manda;  lv.  niande  num,  10,  mando), 
ora  è  un  ^  spiccatissimo,  come  a  Intragna  •*,  tanto  spiccato,  che,  p.  e., 
punto  non  si  distinguano  tra  loro:  taldn  italiano,  e  taìdh  tagliare. 
Di  là  s'abbiano  ancora:  chintdn  contare,  mandàn;  folagà-n  focolare 
num.  121,  calimd-n  calamajo,  dadd-n  ditale;  vidé-n  vedere,  podé-n; 
ste-n  tu  stai,  ste-n  voi  state,  mandé-n  voi  mandate;  vidaré-n  vedrai; 
pinsé-n  pensiero,  mulinè-h  raugnajo;  sintl-h  sentire,  chiri-k  num.  39  n; 
vi-h  tu  vedi,  cri-n  tu  credi,  vidi-n  voi  vedete;  taìd-n  tagliato,  cant^-n; 
duló-n  dolore,  fig-h  fiore,  casadó-n;  so-h  sole;  v6-n  tu  vuoi,  chiho-n 
cuneo,  fasò-n;  cu-h  culo,  -tu'-n  tu  [a  spir-tu'-h  speri  tu?,  a  zug-tu'n 
giuochi  tu?;  ma,  ove  il  -tu  più  non  sia  in  accento:  a  spir-tu  mija 
non  isperi  tu?  a  zù'g-tu  mija  non  giuochi  tu?).  Senonchè,  almeno  a 
Intragna,  la  cui  parlata  io  ho  potuto  scandagliare  con  maggiore  am- 


^  Non  si  pensi  a  merenda,  onde  marenda,  che  dicesi  pur  delle  bestie. 

^  Mi  sono  per  vero  dettati,  senza  epentesi:  miizà  muggire,  i}/?*e/ greggio 
ma  senza  escludere  che  da  altri  si  dica  miinza,  z'jrenz. 

^  Sarà  pure  elemento  epentetico  il  n  che  vediamo  seguire  a  rg  ng  nei 
cmp.  shrrjnè  allargare,  stàngna  stanga.  L'  -e  di  slargne  attesta  ancora  la 
fase  *slar'ie. 

*  Da  Brione  s.  M.,  che  giace  a  Nord  sopra  Locamo,  ho  similmente:  car- 
navà-n  carnovale. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  Accidenti  generali.  22a 

piezza  che  non  quelle  di  Ls.  e  di  Lv.,  il  fenomeno  non  interviene  se 
non  quando  la  parola,  atta  a  promuoverlo,  occupi  un  posto  ben  rilevato 
nella  proposizione,  e  specialmente  quando  chiuda  la  frase  '.  —  119. 
l'elementi  concresciuti.  Di  l-,  proveniente  dall'articolo,  sono  esempj  : 
cv.  landa  zia,  ali.  a  anda,  lata  padre,  ali.  a  ata  [la  me  landa,  lata 
lue  padre  mio),  int.  léler  ellera,  verz.  lo  *Viju  num.  104.  Di  n-,  resto 
dell'articolo  indeterminato:  Is.  nò  *n'ijo  n.  104;  e  di  d-,  resto  della 
preposizione  de:  verz.  dico  ottobre,  *cf'wcó  cfr.  num.  88^.  Qui  ancora 
il  emp.  sasmajé  assomifjliare,  il  cui  s-  dev'essere  reliquia  del  pron. 
se,  preposto  ad  ^asmaje  num.  33b.  —  All'uscita  concresce  -io,  spoglia 
del  pron.  enclitico,  nelle  2.®  pi.  dell' imperf.  indie,  e  cong.,  del  pres. 
eong.  e  del  condizion.:  mandivii  =  *mandtvino  (cfr.  bellinz.  manddvuf, 
mil.  manddvef)  ecc.,  num.  66.  —  120.  Dilegui:  di  atona  iniziale, 
V.  il  num.  32;  di  consonante  iniziale,  il  num.  33b;  di  l-,  per  l'illusione 
che  vi  s'avesse  l'articolo,  nel  mnz.  ingér  leggiero  (mil.  Unger).  — 
121.  Metatesi.  Costante  nell'Onsernone  l'invertimento  della  formola 
Jr+voc.  in  rj  +  voc. :  péria  num.  99  n,  mdriu,  drht,  nérm  num.  102; 
onde  accade  che  si  trovi  ricollocato  nel  suo  antico  posto  Vi  di  -àrie 
ecc.:  rdriu  raro,  péria  pi.  paja;  stadéria,  mulinéria  ecc.,  num,  3; 
cfr.  cv.  cariet  *cajret  num.  78  n.  Analogo  invertimento  per  la  for- 
mola j7+cons.  è  nel  cr.  séta,  le.  séja,  num.  102;  e  qui  Cv.  s'accom- 
pagna airOns.  —  Per  l'invertimento  di  r  nella  sillaba  stessa:  ons. 
verz.  ferdél  [-gel]  ecc.  fratello,  verz.  bardcla  n.  107;  da  una  sillaba 
all'altra:  ons.  carva  capra  ^,  parva  povera,  vm.  tréndu  num.  116.  — 
Di  consonanti  che  mutuamente  si  traspongano,  sono  esempj  l'int.  fo- 
lagd-h  focolare,  e  il  pure  int,  righildda  salamandra,  di  contro  al  Is. 
ligurdda,  cfr.  Arch.  Ili  161.  —  122.  Attrazione.  Sia  ricordato  il 
num.  3,  e  si  notino  ancora:  int.  scù'ir  oscuro  (la  forma  coli'  i,  che  è 
già  in  Bonv.  :    seteria,  e  in   Besc.  :    sciàra,  va   probabilmente  ripetuta 


^  L'antitesi  caratteristica  sarebbe:  u  casndp  Ve  rivo-n;  Ve  rivo  u  casa- 
dó-h.  Ma  d'altra  parte  son  da  confrontare:  Va  mija  ras  pira -n  seinpru  cheV 
aria;  g' o  pagar  a  a  na-n  da  per  mi  si^la;  ti  vidaré-h  che  u  mancarà  mija', 
la  s'è  mitiida  in  ment  da  mi  dal  re.  In  molti  casi  l'epitesi  non  occorre  affatto; 
cos'i  nella  1»  sng.  del  fui.  (vidaró),  nei  ptcp.  pass,  in  -ii  (vidii'),  in  Id,  chiió, 
su,  re,  ecc. 

*  Il  passare  d'  u  (-ucl)  in  «,  e  quindi  in  *,  non  fa  specie,  ove  si  consi- 
deri la  vicinanza  di  e.  Persuadono  il  concrescere  del  d-,  le  frequenti  locu- 
zioni 'd'ottobre'  'mese  d'ottobre';  v.  Arcb.  I  2S8  u,  264,  553,  II  130  u,  e 
cfr.  il  mil.  dacord  accordo. 

^  S'aggiunge  qui  pure,  attestato   principalmente  da   nomi  locali:  crava, 
che  va  da  un  capo  all'altro  d' Italia.  Così  Craveggia,  Cravairola  ecc. 
Archivio  glottol.  it.,  IX.  15 


226  Salvioui, 

dall'antitetico  clario),  cer.  arvòira  a.\\.  a.  arvòra,  verz.  s hnairò  num. 
3  n,   cor.   vugeiroic  ^,   int.   vairoj  vajuolo;   mnz.  caird   cedrava   ecc.^ 
di  contro   alle  voci  rizotoniche   caria   carica  ecc.   L'attrazione  di  to, 
analoga  a  quella  di  j,  è  nel  cv.  dawlà  da  '^dalioà  num.  90,  cfr.  lev 
cJiéuna  (Mt.)  *chénica  canova,  vénda,  Arch.  I  265. 


2.  Annotazioni  morfologiche. 

a.    Flessione    nom.in.a.le. 

123.  Ben  più  attiva,  che  non  nel  milanese,  la  predilezione  per 
V -a  di  feminile  in  nomi  di  3*  lat.,  che  già  fossero  feminili  o  il 
diventino:  verz.  la  pessa  pesce,  la  ngsa  il  noce  (ma  ngs  la  noce)', 
pc.  tossa  tosse,  mnz.  tQra  torre,  silva  ^sil-a  scure,  n.  43,  cgl.  la 
fela  fiele,  cx.fornàsa^  verz.  làrza  larice,  sàrza  salice,  cer.  spiena 
num.  GÌ;  e  analogamente  accade  dell'-o  per  V-e  dei  maschili  di 
3*  lat.,  specie  quando  abbiano  bisogno  di  rimediare  a  un  nesso 
di  consonanti  che  riusciva  finale:  verz.  brilséntii,  [omnono  omaccio 
'orninone'],  véntru,  setémbì'u,  novémbrw,  coi  quali  sia  mandato 
anche  sémpru. 

124.  Movimento  nella  tonica  dell'aggettivo.  Per  gli 
effetti  della  vocal  finale  di  cui  è  toccato  ai  num.  14  (testo  e 
nota),  24  e  25,  e  piiì  ancora  per  quelli  di  cui  discorre  il  secondo 
di  questi    Saggi,   posson  risultare   nella  flessione   dell'aggettivo 


'  Mi  sìa  qui  concessa  una  breve  digressione.  Nella  mia  Fonetica  milanese, 
[).  60-61  n,  s'adducono  numerosi  escmpj  dì -ir-  atouo,  =-ario,  dandosi  di 
quest'iV  una  spiegazione  che  nou  ha  mai  ben  soddisfatto  lo  stesso  suo  au- 
tore. Pure,  la  ragion  di  quel  p^rodotto  è  ben  evidente;  tanto  evidente,  che 
ora  non  intendo  come  io  non  l'abbia  sùbito  veduta.  E  V  ai  disaccentato  che 
si  riduce  ad  i,  passando  per  ei;  e  così  il  milan.  gwjiro  corrisponde  perfet- 
tamente al  vugeiroiv  che  si  cita  nel  testo,  e  F  ei  di  questo  dW'ai  del  verz. 
simairo.  Il  milanese  non  ha  poi  quella  riduzione,  se  è  bisillaba  la  base  clic 
porta  l'-ario;  onde:  pairu  pajuolo,  cairo  tarlo,  vairol,  niràda  ajata,  ed  altri. 

'^  Altri  nomi  di  alberi  passati  al  fcm.:  verz,  agra  acero,  alna  alno. 


Dialetti  a  setteutr.  d.  Lago  Maggiore:  Annotazioni  niorfologiclie.     22  7 

le  'gamme'  che  non  parrà  affatto  superfluo  vedere  qui  riassunte 
per  via  dei  seguenti  tre  esempj  : 

1.  msc.  sng.  véc,  pi.  vie;  fem.  sng.  vega,  pi.  veg\ 

2.  msc.  sng.  zej),  pi.  zip;  fem.  sng.  zopa^  pi.  zop; 
'à.  msc.  sng.  orò,  pi.  orb  ;  fem.  sng.  orba,  pi.  orb. 

t).    Flessione    ^«^^erbale. 

Osservazioni  generali.  125.  Il  normale  atteggiamento 
della  vocale  secondo  che  sia  tonica  od  atona,  è  ben  mantenuto 
per  tutta  la  flessione  del  verbo:  la  quale  così  resiste,  per  questo 
rispetto,  a  ogni  impulso  livellatore.  Notiamo,  per  l'alternarsi  di 
e  con  a:  cerni  camàva,  eressi  crasse  va;  di  é  con  e:  rèsti  restava; 
di  é  con  i:  vég  vidé-h ,  séni  sinti-n;  di  é  con  a:  pensi pansàva; 
di  i  con  a:  smija  (somiglia)  smajé,  vinci  vandéva;  di  ó  con  u: 
porti  purtà;  di  ò  con  u:  mnz.  spgnz  spunzìl;  di  i^  con  /:  bili 
bità-n.  Con  le  quali  alternazioni  potrà  stare  la  vicenda  che  si 
rappresenta  per  véj  vedo,  allato  a  aude  vedere;  d'is  dice,  ali.  a 
giva  diceva.  —  Fanno  eccezione  :  somnà,  lovà  num.  39,  e  pochi 
altri,  che  hanno  costante  l'o;  e  i  verbi  coH'i^",  num.  43  n. 

12G.  In  tutta  la  regione,  la  S''  pers.  sng.  ha  assunto  pur  la 
funzione  di  3*  plur.  ;  ma  alla  voce  verbale  s'accompagna  in  moda 
indissolubile  il  pronome  proclitico,  per  il  quale  si  discerne  il 
numero;  così:  u  eanta  (enfaticam.  lui  u  eanta),  i  canta  (enfaticam. 
lur  i  canta). 

127.  La  Verzasca  e  la  Lavizzara  posseggono  quella  particola- 
rità di  flessione,  alla  quale  il  Flechia  ha  consacrato  una  sua 
Memoria  '  ;  ed  è,  a  parlar  per  via  d'esempio  latino  :  'cantamus' 
espresso  per  'homo  cantat' ,  e  preceduto  'homo',  ove  occorra  la 
forma  enfatica,  dal  pronome  di  1*  pi.  Così:  gni  canta  (enfaticam. 
noi  om  canta),  Qm  cantava,  om  eantarà,  gm  canteréssa  ;  om  ci,  om 
se  siamo,  om  uba  avemmo,  ecc. 

128.  La  Verzasca  abonda  in  modo  assai  notevole  di  voci  ver- 
bali in  -a.  Senza  dire  dei  tempi,  le  cui  persone  escon  tutte  per 
-ba  (num.  132  134-5),  un  verbo  sulla  stampa  di  porta  ha  nella 


^  Intorno  ad  una  peculiarità  di  flessione  verbale  in  alcuni  dialetti  lom- 
lardi,  Rom-a  1876. 


228  Siilvioiii, 

Verzasca,  sommato  le  voci  dell' indicat.  e  cong.  presente,  delTin- 
dicat.  e  cong.  imperf.,  dell'  imperai.,  e  contata  per  tre  volte  la 
voce  che  risale  alla  base  'portat',  secondo  i  num.  126-7,  ben 
ventidue  voci  uscenti  per  -a,  e  sole  quattro  uscenti  per  altra 
vocale  0  per  consonante,  le  quali  sono:  la  2^  pi.  dell' imperat., 
dell' indicat.  pres.,  dell' indicat.  imperf.  e  del  cong.  imperf.  Che 
se  a  quelle  ventidue  voci  s'aggiungono  le  diciotto  dei  tempi  uscenti 
per  -ba,  si  otterranno  quaranta  voci  in  -a  \  È  manifesto,  che 
V-a  s'è  analogicamente  propagato  da  quelle  voci  abbastanza  nu- 
merose in  cui  organicamente  stava  (imprf.  indicat.  ;  imperat.  sing. 
della  V  conjugaz.;  cong.  pres.  di  tutte  le  conjugaz.,  eccetto  la 
l""),  concorrendo  anche  l'effetto  dei  num.  126-7.  La  propagazione 
era  agevolata  anche  per  ciò,  che  le  necessarie  distinzioni  si  man- 
tenevano, sia  per  l'inseparabile  pronome  proclitico,  sia  per  l'in- 
terna impronta  (2*  sng.  e  pi.). 

Singoli  tempi  e  modi.  129a.  Presente  indicativo.  Nella 
1*  e  2"  pers.  sng.,  l'Onsernone,  Intragna  e  Villette  son  prive  di 
vocal  d'uscita:  1"  mancl  seni  pQnz^  2"  mend  sint  pilnz\  la  Verzasca 
mostra  così  nudi  solo  i  verbi  forti,  e  negli  altri  ha  V-a:  V  scriv 
porta  senta,  2"  scriv  porta  sinta;  la  VM.  dà  -/  per  ambedue  le 
persone  ^  Nella  o"'  sng.,  rimane  dappertutto  V-a  dei  verbi  della 
1"  ;  e  le  altre  conjugaz.  perdono,  come  regola  vuole,  l'antica  vo- 
cale d'uscita.  —  La  1*  plur.  :  màndum  ecc.;  la  2"^:  vi.  niangéj, 
e  del  resto  :  mangé,  gudz,  tasi,  santi. 


1  A  Villette  si  riduce  ad  -a  pur  quell'-?*  d'uscita  di  2"  pi.  che  vederaiuo 
essere  ultima  risultanza  di  *-Qiv  (aum.  66  119):  cantiva  =  cantivu  cantavate, 
cantissa  {&  cantiss)=.cantissu  cantaste,  cantìa  =  *cantiu  cantiate.  Ma  del 
resto  non  ho  modo  di  vedere  come  ivi  suonino  la  3'^  sng.  (e  pi.)  e  la  1"  pi. 
dei  varj  tempi  e  modi;  e  la  1»  e  2»  sng.  pres.  ind.  mi  resulta  che  anzi  vi 
perdano  la  vocal  finale. 

'  Nel^-^  di  1*  pers.,  il  quale,  come  ognun  sa,  è  pur  del  milanese,  gioverà 
alla  fin  fine  che  tutti  riconoscano  (compreso  l' autor  di  queste  righe,  che 
nella  Fonetica  milanese  tentava  dichiarazione  diversa),  un  resto  dell'  -io 
enclitico,  parallelo  al  -t  nell'  2*  pers.  {pàrlet  parldvet)  o  al  -l  nella  voce 
interrogativa  di  3*  (màndel  mai}.da  egli?).  Il  pron.  è  più  che  mai  evidente, 
nella  forma  di  -ta,  in  voci  come  soja,  spntia,  fiissia,  limitate  alla  interro- 
gazione 0  all'esclamazione,  alle  quali  fanno  hel  riscontro,  per  l'-a,  gli  impe- 
rativi sista  sii  tu,  jìQsta  possa  tu.  Ck.  Ascoli,  St.  crit.  Il  150-51. 


])ja!ctti  a  scttentr.  d.  Lago  Maggiore:  Annotazioni  morfologiche.      229 

129b.  Presente  congiuntivo.  Nella  VM.  s'estende  a  tutti  i  verbi, 
per  3  persone  del  sng.,  V-i  proprio  della  V  conjiigaz.,  eccettuati 
solo,  qua  e  h\,  alcuni  verbi  come  ve  avere,  save,  di,  fa,  che  danno: 
ÓJa  óbia  abbia  \  fàja  ecc.  (ma  alla  3*  mi  occorre  anche  fàji). 
L' -a,  cioè  l'uscita  delle  altre  conjugazioni  che  prevale  suU'-/ 
della  V,  è  costante  a  Intragna  e  nell'Ons.,  ma  sempre  eccettuata 
la  2*  pers.,  che  esce  per  -u,  passatovi  dalla  2*  dell' imperf.  cong. 
0  dalla  2*  pi.  —  La  1*  pi.  è  in  tutte  uguale  alla  1*  dell' indicat. 
La  storia  della  2"^  plurale  rientra  in  quella  dell'intiero  congiun- 
tivo presente,  secondo  che  corre  a  Sonogno.  Il  quale  è  foggiato 
sul  tipo  che  latinamente  è  dicat,  e  in  Lombardia  già  si  vede 
esteso  a  'stare'  'fare'  'dare'  'andare'  'trarre'  e  anche  'togliere' 
{diga  faga  sfaga  daga  vaga  fraga  toga^.  Nella  nostra  regione,  altri 
se  n'uniscono;  e  così  da  Gerra  ho  s>ga  sia,  óga  (Iv.  óga,  cgl.  ója, 
num.  92  93)  abbia,  sóga  sappia  (Iv.  só'ga),  da  Lavertezzo  vóga 
voglia;  e  qui  forse  pur  créga  creda  e  vé'ga  (v.  però  il  n.  104).  L'uso 
tanto  frequente  della  maggior  parte  di  cotesti  verb',  avvalorato 
anche  dalla  coincidenza  che  seco  portavano  i  verbi  in  -care 
-icàre,  promosse  a  Sonogno  la  normale  flessione  di  cui  ora  segue 
un  esempio:  portlga,  porti'ga,  portfga',  noi  Qm portiga,  veli  Q  portiga, 
lo  i  porti'ga.  E  gli  stessi  verbi  che  pure  avevano  una  forma  di  con- 
giuntivo propria  e  spiccata,  anzi  quelli  stessi  da  cui  era  partita  la 
spinta  analogica,  quivi  s'assoggettano  alla  nuova  livellazione,  onde 
si  hanno:  voli'ga,  slega  (?),  o'gìga,  sog'iga,  vo'giga'.  —  Ora  sopra 


*  In  queste  due  forme  di  habeo,  come  in  sóga  sappia,  che  tosto  incon- 
triamo, s'è  intrusa  la  tonica  della  1»  pers.  sng.  dell' indicat.:  o,  so. 

^  Questo  congiuntivo  analogico  non  è  circoscritto  alla  Verzasca;  ma  oc- 
corre anche  in  Val  Mesolcina  e  in  buona  parte  del  contado  bellinzonese 
(dove  s'hanno  anche  tipi  di  1»  pers.  ind.  pres.  come  mdndig,  crédig,  portig, 
dislg  dico;  cfr.  dng  fag  dig  ecc.);  con  questa  differenza  però,  che  fatta  astra- 
zione dalla  2»  pi.,  la  quale  ha  ragioni  sue  proprie,  qui  permane  l'antico 
accento  dello  schietto  congiuntivo;  onde  si  viene  a  voci  proparossitone, 
come  resulta  dal  seguente  paradigma,  che  è  di  Soazza,  in  Valle  Mesolcina: 
che  mi  mdndiga,  che  ti  ti  màndiga,  che  lui  al  màndiga,  che  nei  gm  màndiga 
{che  nei  tdsigum,  che  nei  séntigum),  che  vpii  manddguf  (taségtif  scntigitf), 
che  lo  i  màndiga;  e  insieme  esemplari  come  dighiga  stdghiga  dòffiga,  ali. 
a  abga,  sdbglga  sappia,  ecc.  —  Per  la  differente  accentuazione  da  valle  a 
valle,  si  confrontino  il  mil.  rampéghi,  m'arrampico,  e  simili.  —  Resulterebbe 


230  •  Salvioiii, 

questo  tipo,  che  in  fondo  vuol  dire  sopra  ^dicatis  (mil,  dlghef)^ 
si  forma  in  tutta  la  regione  la  2*  pi.  del  cong.,  in  armonia  però, 
quanto  alla  tonica,  con  la  corrispondente  voce  dell'indicativo: 
g.  cantéga  {2*'  pi.  indicat.  canté),  cmp.  rangéjìi,  panséjii,  cantéju, 
luun.  94;  par'iju  (2"'  pi.  indicat.  pan)^  vidìju,  pudiju\  nijii  {ni 
venite),  giju  diciate,  quariju,  santlju\  ibiu  (cgl.  ijiì)  abbiate,  cmp. 
sipiii  sappiate  (2''  pi.  indicat.  :  f,  si)  \ 

130.  Imperfetto.  S'ba  nella  VM.,  ma  non  però  a  Mnz.,  la 
propagazione  analogica  di  -èbani  ecc.  ai  verbi  della  V\  canteva 
lasseva;  laddove  a  VI.  -ébam  cede  all'incontro  all'analogia  della 
4":  mativa  imngiva.  Tutta  la  regione,  eccetto  Ons.  Int.  e  in  parte 
VI.,  ha  p  )i  riformato  sopra  -éss  l'-àss  del  cong.  imperf.  della 
l":  cgl.  mandess  mandassi.  E  analogamente  a  quello  che  vede- 
vamo per  -ébam,  VI.  estende  l'-iss  della  4°'  ai  verbi  della  2* 
e  della  3":  lagissa  leggessi,  ecc.  —  Passando  ai  particolari,  e  a 
incominciare  dall'indicativo,  noteremo  circa  la  V  sng.,  che  in 
VM.  1'-/,  già  da  noi  riconosciuto  all'uscita  della  1"  indicat.  pres., 
s'estende  anche  a  questa  dell'imperf.  :  parlevi  gudevl\  -  circa  la 
2*  pers.,  che  1'-/  analogico,  ma  antichissimo,  vi  si  conserva  in 
VM.:  parlivi  scrivivi \  e  nelI'Ons.  e  a  Int.  rimane  nudo  all'uscita 
il  -V,  il  quale,  secondo  il  num.  67,  doveva  farsi  -w,  ed  è  allo 
stato  di  -u  :  int.  cantìu,  e  di  -vu  :  ons.  cantìvu,  esteso  per  ana- 
logia questo  -u  anche  a  sint  tu  eri.  La  l''  pi.:  -dvum  ecc.;  la 
2%  ha  il  solito  -ìi ,  e  nella  Verz.  e  a  VI.  il  solito  -a.  —  Nel 
congiuntivo,  la  P  sng.  è  senza  vocal  d'uscita,  tranne  a  VI.  e 
in  Verz.,  dove  assume  V-a:  lagissa\  la  2°'  esce  a  Cv.  Cmp.  Mnz., 
come  nell'indicativo,  per  -i:    lenzissi,  e  a  VI.  Pc.  Son.  per  -a: 


poi  fortuita  ogni  coiucideuza  col  coug.  soprasilv.,  di  cui  è  parlato  iu  Ardi. 
Yir  463-6,  489;  come  dovrebbe  esser  fortuita  ogni  coincidenza  particolare 
in  ordine  a  crei}  ecc.,  ib.  520. 

^  Che  veramente  si  tratti  della  vocale  della  2"  indicai.,  lo  provino  anche 
le  seguenti  serie  soazzesi  :  2*  pi.  indie,  mandà-n,  2»  cong.  mandàguf  ;  2* 
pi.  indie,  tasé-n,  2*  cong.  taséguf;  2*  pi.  indie,  senti-n,  2*  cong.  sentifjuf, 
e  lo  confermino  le  serie  belliuzonesi:  mande  mandégiif,  tasi  tasiguf,  senti 
sentigitf.  Tuttavolta,  in  non  piccola  parte  della  nostra  zona,  s'ha  Vi  per 
tutte  le  conjugazioni;  onde  guest' es.  di  1*:  int.  mandigu,  ons.  mandiju 
mnz.  portiju,  son.  ijortiìja,  vi.  cantia. 


Dialetti  a  settcntr.  d.  Lago  Maggiore:  Annotazioni  morfologiche.     231 

scrivissa,  laddove  Ons.  Int.  estendono  a  questa  voce  V -u  a  cui 
vedevamo  che  riuscissero  nella  corrispondente  voce  dell'indicai., 
e  hanno  perciò  cantissii]  altrove  finalmente  la  vocal  d'uscita  è 
caduta:  mangiss.  Nella  3%  sempre  del  sing.,  Pc.  VI.  Son.  costan- 
temente -a;  nella  2*  pi.,  il  solito  -n:  cantissu,  e  V-a  a  VI.  e  Son.  : 
cantissa.  —  Ancora  sia  notato ,  in  ordine  a  questo  tempo ,  che 
Sonogno  comunica  al  plur.  dell'  impei-f.  cong.  dei  due  ausiliarj 
Y -i'ga  del  cong.  pres.:  noi  gm  vessiija,  veli  Q  vissij/a^  iQ  i  vessiga; 
noi  gm  fiissiga,  veli  p  fUssiga,  Io  i  fiissiga  \ 

131.  Imperativo:  1"  pi.:  mangém,  sentimi  il  tipo  della  4.^  può 
valere  anche  per  la  2*  e  3":  scnvhn^. 

133.  Perfetto.  L'antico  perfetto  pare  intieramente  tramontato; 
e  non  m'è  neanche  riuscito  di  cogliere  le  due  voci  giess  disse,  e 
-giè  andò,  che  sono,  presso  lo  Stalder,  nella  versione  verzaschese 
della  solita  parabola.  Ma  Sonogno  s'è  creato  un  perfetto  nuovo, 
alquanto  curioso,  il  cui  esponente  consiste  in  un  -ba.  Eccone 
esenipj,  e  per  la  conjugazione  'anomala',  e  per  la  'regolare'  ;  dove 
al  perfetto,  per  maggiore  evidenza,  si  pone  allato  il  presente: 


PREDENTE. 

mi  a  f  6 
ti  ti  j'  é 
là  V  a. 


pi.     noi  gm  a 
velt  g  f  l 
Ig  f  d. 

sng.  mi  a  sgnt 
ti  ti  se 
Ih  V  e. 


l'I 


noi  gin  se 
velt  g  sì 
ig  f  2- 


PERFETTO, 

sng.  mi  a  j'  uba 
ti  ti  j'   óba 
là   V  ciba. 

pi.     noi  gm  ciba 
velt  g  iba 
Ig  f  ciba. 

sng.  mi  a  sgmba 
ti  ti  séba 
là   V  eba. 


P 


ngi  gm  se-ja 
velt  g  siba 
lo  f  qha. 


1  II  mio  Saggio  non  accentua  queste  forme;  ma  si  tratterà  di  -i'ja. 

2  La  1»  pers.  pi.  di  cotesti  imperativi  lombardi,  altro  non  è  realmente  se 
non  la  1*  pi.  dell'indie,  pres.,  differenziata  nell'accento.  Questa  1»  pi.  pro- 
veniva poi,  nei  verbi  della  1%  dalla  1"  pi.  del  cong.  pres.  :  é  m  us  {mniKjém), 
e  così  ne  è  provenuto  anche  sim  siamo,  indie,  che  ben  conliniia  simus. 


232 


Salvioiii, 


pi. 


pi. 


snc. 


pi. 


mi  a  so  (io  soj 

ti  te  se 

In  o  sci. 

noi  om  sa 

veli  g  sì 

lo  i  sa. 

mi  a  poss 

ti  ti  p6 

lu  p  pò. 

noi  gm  pò 

veli  g  podi 

Ig  i  pò 

mi  a  veg 

ti  ti  vi 

lù  o  ve. 


ngi  gm  ve 
velt  g  vedi 
Ig  i  ve. 

sng.  mi  a  canta 
ti  ti  chénta 
lù  g  canta 

pi.     ngi  gm  canta 
velt  g  canta 
Ig  i  càuta. 

sng.  mi  a  senta 
ti  ti  sinta 
lù  g  senta. 

\)\.     ngi  gm  senta 
velt  g  senti 
lo  i  senta. 


sng.  mi  a  sóla 

ti  ti  séba 

là  g  sàba. 
pi.     ngi  gm  sàba 

velt  g  siba 

Ig  i  sàba. 
sng.  vii  a  pòsseba  ' 

li  ti  póba 

la  g  póba. 
pi.     ngi  gm  pjoba 

velt  g  podiba 

Ig  i  póba. 
sng.  mi  a  vegoba  ^ 

ti  ti  viba 

là  g  véba. 
pi.     ngi  gm  véba 

velt  g  vidiba 

lo  i  veba. 

sng.  mi  a  cantóba 
ti  ti  chentóha 
là  g  cantóba. 

pi.  ngi  gm  cantóba 
velt  g  cantéba 
Ig  i  cantóba. 

sng.  mi  a  sentóba 
ti  ti  sintéba 
là  g  sentóba. 

pi.     ngi  gm  sentóba 
velt  g  sentiba 
lo  i  sentóba 


Quanto  alla  storia  di  questa  formazione,  potrebbe  taluno  per 
avventura  pensare  alla  propagazione  analogica  di  im  *óba  da 
*àub  =  ha  bui;  ma  vi  s'oppongono,  e  l'o  dove  s'aspetterebbe  o 
(=  du),  e  la  2*  pers.  sing.  e  pi.,  le  quali  troppo  chiaramente  mo- 


'  Di  p'ósseba  e  veìjoha,  non  ho  l'accento;   ma  il  secondo  di  questi  esem- 
plari sonerà  molto  probabilmente:  vegóba* 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  Annotazioni  niorfologiclio,     233^ 

strano  trattarsi  di  un  -ha  che  s'aggiunge  alle  voci  del  presente. 
Ed  ecco,  a  parer  mio,  qual  dev'essere  all'incontro  la  dichiara- 
zione che  cerchiamo.  Cosi  sont,  come  ó,  formavano  il  perfetta 
perifrastico  col  ptcp.  bil  avuto  (nel  Saggio  di  Pecia:  som  bit;  son. 
6  bil  serie,  f  é  bil  scric,  tradotti  per  'ebbi,  avesti  scritto'  ;  circa 
'avuto'  per  'stato',  che  ha  larga  diffusione,  cfr.  Arch.  I  271  n). 
Il  bil  di  spìn  bil,  ó  bil,  sarà  divenuto  enclitico:  ^sómbil  ^óbil;  e  V-il 
poteva  allora  volgere  ad  -a  (cfr.  mil.  j^Qsta  sitta,  'possa  tu'  ecc.), 
dov'è  anche  da  considerare  il  num.  128;  onde  samba  séba,  óba 
éba.  Ottenutosi  così  questo  perfetto  'univoce'  nei  due  ausiliari  e 
continuandovi  pur  sempre  perspicua  la  voce  del  presente  aumen- 
tata di  -ba,  il  tipo  si  sarà  prima  accomunato  a  certi  verbi,  che, 
come  savé,  già  coincidevano  in  alcune  voci  con  óba  o  con  sQmha 
(così:  saga  so  se,  analogo  in  tutto  ad  ó'ga  ó  è)  ,  e  indi  ad  ogni 
verbo,  con  particolari  adattamenti,  che  una  serie  d'esemplari,  più 
abondante  di  quella  che  non  sia  in  poter  nostro,  ci  permette- 
rebbe sicuramente  d'illustrare  con  miglior  sicurezza  che  oggi  non 
sia  dato.  Cfr.  i  num.   134-5. 

133.  Participio  passato  ;  cfr.  num.  2,  8,  104.  Una  nuova  forma 
di  ptcp.  proviene  ai  verbi  in  -are,  per  la  diffusione  analogica 
del  tipo  facto  dicto  ecc.,  num.  88,  2,  al  quale  tutto  indica  che 
già  di  buon'ora  si  fossero  adattati  i  verbi  stare  dare  'andare' 
e  qualche  altro;  cfr.  Arch.  I  394  ^  Onde  abbiamo,  p.  e.:  pc. 
mandec,  int.  portdc,  ecc. '^;  e  fiió  venuto,  allato  a  nec  andato. 

131-135.  Futuro.  Sonogno  ci  fa  nuovamente  sentire  il  -ba,  qui 
appiccicato  alla  forma  normale  del  futuro:  saróba  saréba  saràha^ 
Qm  saràba,  sariba,  lo  ì  saràba;  canteróba  cantercba  canterciha,  pm 
canteràba,   canteriba,    lo  i  canteràha.   —  Condizionale.  Sonogno 


*  Questo  tipo  (li  ptcp.  si  fa  esclusivo  a  Pc,  e  sta  a  Mnz.  accanto  al  tipo 
regolare  in  -àw.  Onsernone  e  lutragua  hanno  pure  i  due  tipi  ;  e  la  doppia 
forma  s'applica  a  una  distinzione  morfologica  affatto  superflua,  dandosi  il 
tipo  fonetico  ai  sng.,  e  l'analogico  ai  pi.;  p.  e.:  ons.  sont  rivpw,  sim  rivec; 
i  m'  a  mandpto  m'  hanno  mandato,  i  ni'  a  mandec  ci  hanno  mandati.  Dico 
affatto  superfluo  questo  scernimento,  poiché  il  pi.  ha  la  giusta  sua  forma, 
che  gli  viene  da  -a ti. 

*  Beilinzona,  oltre  ai  soliti  dare  ecc.,  non  dà  a  questa  serie  se  non  'la- 
sciare': lassù)  lasciato  (cfr.  faj  fatto),  nel  contado:  lassnc  (cfr.  Jac).  Co- 
munissimo è  in  tutta  la  Lombardia:  toé  tolto. 


234  Salvioni, 

ritorna  col  suo  -ha^  che  però,  in  questo  modo,  è  anche  di  Men- 
zonio.  Es.:  1"  pers.  sentirùsba,  2°'  sentirùsba,  2>^  sentiruba  (ma 
scriverùsba  vrùsha^  aUato  a  vrùba)\  V  pi.  om  sentiriisba  (ma 
canterilsseba),  2"  velt  p  sentiriisba  (ma  vrùsseba)^  'ò"  lo  i  sentirùsba 
(ma  ser'àha  sarebbero)  \  M'occorre  una  sol  volta  hi  forma  senza 
-ba  nel  sng.  del  condizion.  di  'sapere',  che  suona  savri'is  per  le  tre 
voci.  —  Quanto  alla  ragione  storica  del  -ba  di  condiz.  e  di  fut., 
ove  si  consideri  che  il  condizionale  va  sempre  accompagnato,  o 
quasi,  dal  riempitivo  be  bene  (mnz.  nariìss  be  'andrei  bene',  mil. 
ghe  l'avariss  be  da  'glie  l'avrei  [ben]  dato'),  sarà  egli  fuor  di  luogo 
il  supporre,  che  il  -ba  ascitizio  di  codesti  condizionali  altro  non 
sia  se  non  lo  stesso  elemento  pleonastico,  ridottosi  fuor  d'accento 
a  guisa  di  un'enclitica?  Vero  è  che  il  futuro,  il  cui  -ba  non  si 
può  di  certo  separare  da  quello  del  condizionale,  non  suole  ac- 
compagnarsi col  riempitivo  be;  ma  il  -ba  gli  sarebbe  provenuto 
dal  condizionale,  cui  lo  stringeva  il  vincolo  comune  della  base 
infinitiva,  estranea  a  tutte  le  altre  forme  del  verbo  {sar-ó  sar-ùss). 
Ma  non  sarà  poi  uno  stento  il  cercare  a  questo  -ba  un'origine 
diversa  da  quella  del  -ba  di  perfetto  (num.  1  32),  e  non  si  dovrà 
piuttosto  credere  che  dal  perfetto  egli  passasse  al  condizionale, 
e  da  questo  finalmente  al  futuro? 


^  Non  posso  io  vedere  se  si  tratti  di   z-ba  o  di  z-ba.  flia  credo  si  possa 
indurre,  clie  sia  z-ba. 


Dialetti  a  settcntr.  d.  Lago  Maggiore:  Ei'fetti  dell'-/.  233 

Ilo 

EFFETTI    DELL'-/  SULLA    TONICA. 


Avvertimento  piieliminaiie. 

Il  fenomeno  della  tonica  che  s'  alteri  per  effetto  deli'  *  finale,  è,  come  ognun 
sa,  largamente  esteso  nell'  Italia;  cfr.  Ardi.  Vili  125.  Sembra  egli  comune 
a  tutti  i  dialetti  della  terraferma  napolitana  ^:  e  quanto  all'Italia  settentrio- 
nale, ripeteremo  coli' Ascoli,  I  310,  che  "  con  varia  misura  e  efficacia  ne 
percorre  intiera  la  estensione  dal  Mediterraneo  all'Adriatico  „  *.  Nell'Italia 
insulare,  par  che  ne  sappia  la  Corsica,  Arch.  II  151. 

Il  presente  Saggio  non  offrirà  cosi  al  glottologo  alcuna  vera  novità.  Ma 
vi  sarà  mostrato,  come  nella  valle  dell'Eridano  sia  un'angolo  di  terra,  dove 
l'azione  dell'i  si  dispiega  con  molto  maggiore  intensità  che  non  in 
qualsivoglia  dei  territorj  finora  esplorati,  non  esclusi  il  napo- 
litano e  il  romagnuolo,  nei  quali  pur  cotesta  azione  s'  esercita  con  tanta  lar- 
ghezza e  coerenza.  Quest'angolo  di  terra  fa  però  parte  di  una  regione,  le 
cui  parlate  generalmente  ben  si  risentono  degli  effetti  dell'-».  Senza  dire 
che  sempre  ci  troviamo  in  Lombardia,  dove  son  numerosi  esempj  di  e  che 
nel  plurale  passi  in  i,  vediamo  la  mera  propagginazione  dell' -i  di  plurale 
esser  costante  in.  molte  valli  del  Lago  Maggiore  e  della  Sesia,  cioè  in  una 
regione  che  direttamente  continua  la  nostra  ^  Un  Saggio  di  Varallo-Sesia, 
procuratomi  dalla  molta  cortesia  di  due  indigeni,  gli  egregi  signori  Pietro 
Cristina  e  G.  G.  Massarotti,  mi  dà  le  seguenti  serie  d' esempj  :  'r?/ chiave, 
i.aif,  gat  gait,  i^iat  piati,  rat  rait,  grass  graiss,  sass  saiss,  cacìanàc  cada- 


^  Vedansi,  oltre  gli  'Indici'  AqW Archivio,  principalmente  quelli  del  voi. 
IV,  Wentrup,  Beitr.  z.  kenntniss  cler  neap.  mundart,  p.  7,  22,  20,  Diez  gr. 
II'  62  n,  Savini,  La  grammatica  e  il  lessico  del  dialetto  teramano,  pp.  57-8, 
64-65,  FiNAMORE,  Vocabolario  dell'uso  abruzzese,  pp.  2,  4-6,  Scerbo,  Sul  dia- 
letto Calabro,  pp.  16,  19-20,  21,  24. 

^  Una  compiuta  rassegna  bibliografica  dei  lavori  in  cui  si  tocca  del  nostro 
fenomeno,  è  data  dal  Forster,  nei  Beitr.  zur  roman.  laiitlehre  (Grobcr's 
Zeitschr.  III).  Vedansi  inoltre  gli  'Indici'  Aq.ìV  Arcliivio. 

'  Il  Canavese,  che  a  sua  volta  continua  la  regione  della  Sesia,  offre  egli 
pure  il  nostro  fenomeno,  v.  gli  'Indici'  del  II  voi.  à.Q\V Archivio,  e  aggiungi 
esempj,  pur  canavesi,  raccolti  da  me  a  Barbania  (prov.  e  circ.  di  Torino): 
traf  trave,  tief,  ca  chiave,  ce,  critvdc,  corvo,  cruver,  braQ  breQ,  rat  ret, 
piat  piet,  Liane  hieiic,  banc  bene;  -  Hit  liiil;  -  man g un  mangon,  ecc. 


236  Salvioni, 

naie  (ina  e,  non  di,  qnando  siamo  alle  formolo  an,  A  +  nas. +  con.:  con  chen, 
pian  pien,  camp  dump,  gran  grend,  tant  tent,  guant  quanto  [?],  guent);  - 
omet  omcit,  ticelet  uceleii,  net  neit,  tudosc  tudeisc  ;  -  poc  poic,  s]op  's'oip, 
gross  groiss,  pitoc  pitoic;  moé  matto,  moie,  bosc  buisc,  colp  coip  (*coilp?, 
cfr.  scuié  ascoltate,  voto  io  volto,  infuéi  =  mi].  infoici),  rabiós  robióis,  morós 
moróis,  fio  fioi  (*-ójr;  cfr.  ■uei  =  *vejr  vero),  colò  coloi,  cacadó  cacadói;  -  luf 
lupo,  hiif,  rut  rotto,  ruit;  ??ò/ nuovo,  noi/;  e  giusta  il  num.  S2  :  testón  te- 
stóin,  cnvalón  cavalóiìi  ^  Ma  verso  Nord,  passata  cioè  la  Verzasoa,  siamo 
suppcrgiìi  alle  condizioni  lombarde,  avendosi  tuttavolta  nel  contado  bellin- 
zonese,  nella  Leventina,  e  anche  in  Elenio,  la  propagginazione  ch'era  de- 
scritta sotto  il  num.  52.  La  Leventina  anzi  ci  porge,  per  -ani  (-a e)  maggior 
numero  d'esempj  che  non  la  stessa  nostra  regione;  e  così  ho  da  Giornico: 
cah  chei  {Ve,  e  in  questo  esemplare  e  nei  seguenti,  è  di  mera  evoluzione  fo- 
netica; cfr.  ej  aglio),  gran  grano,  grei  briciole,  san  sei,  an  anno,  el,  pan 
pei,  vilan  vUei,  manan  manei;  mah  mei;  t/isel,  rana  rei,  putana  piltei,  vi- 
lana  vilei,  sana  ^ei;  e  da  Airolo  :  fonlena  fontei,  satmena  settimana,  satmei. 


Nelle  serie  clie  seguono,  gli  esempj,  di  cui  non  sia  espressamente  indicala 
la  pi'ovenienza  o  di  cui  non  risulti  evidente  la  provenienza  diversa,  sono, 
nella  maggior  parte  de'  casi,  di  Menzonio.  S'intende  però,  che  potrebbero 
essere,  in  quanto  rappresentino  gli  effetti  dell'  -i,  di  tutta  la  regione.  —  A 
rendere  più  manifesta  l'attività  del  fenomeno,  s'è  sempre  fatta  precedere 
alla  voce  di  plurale  quella  di  singolare,  e  alla  voce  di  2»  pers.  quella  di  1^. 


§  I.  e  da  A  .  .  . . /.  Nella  declinazione,  è  proprio  que 
st'esito  a  presso  che  tutto  il  nostro  territorio,  ed  è  dappertutto 
costante.  Vedi  tuttavolta  il  §  II. 

Esempj:  sng.  làras,  pi.  leras,  vi.  càrie  cheric,  càlas  cJielas,  sdlas 
selas^  tcivul  fevul,  dijàw  clijew  num.  59,  marsàw  mar  se  io ,  memi 
meni,  saìvàdi  scdvedi,  capitani  capiteni,  sàvi  sevi,  àsan  esan,  cibat 
abito,  ehat;  mar  amaro,  mer,  vi.  car  cer,  car  caro,  cer,  alta  alte, 
animai  animel,  tal  tei,  pai  pel,  calimd  calimé,  scossò,  grembiule, 
scosse,  folagà-n  folaglie-h,   dadà-n  dade-n,  fraiv  trave,  tretv,  aio 


'  A  Valduggia  :   mangoh  manlòìi  ecc.  —   Per  ulteriori   esempj   da  tutta 
questa  regione,  v.  Ruscois'i,  /  parlari  del   Novarese   e  della  Lomellina,  pp. 

XVII,    XXXII-llI. 


Dialetti  a  sctteutr.  d.  Lago  Maggiore:  Effetti  dell'-/.  237 

nonno,  fìw,  vas  ves,  nas  nes,  capclz  cajjez,  paisàn  imiseh,  Cristian 
cristien.  ram  rem,  sail  se'i,  iut.  i)ia~i  pien,  laj  lej,  fra  frate,  fre, 
a  ocàt  avochet;  àrhul  erbul,  vi.  h.  àrbi  erbi,  màrtur  martora, 
mertur,  fràssan  fressan,  àngui  engul,  chigal  engal,  borgn,  pàmimn 
pempan\  car  carro,  cher,  garb  gerb  niiin.  91,  sart  seri,  tastàrd 
tasterà,  busard  buserd,  ràirii  reiri,  c/al  ghel,  vai  vnglio,  vel,  cavai 
cavel,  alt  alto,  elt,  alt  altro,  eli,  sali  self,  gald  geld,  falz  falso, 
felz,  alp  elp,  cald  cheld,  vi.  aut  alto,  eut,  bass  bess,  pass  pess,  ass 
ess,  grass  gress,  tass  tess,  sass  sess,  ons.  /«ss  fascina, /ess,  basi 
best,  an  anno,  en,  ran  ren,  borpjn.  scan  schen,  dan  den,  banc 
bene,  bianc  bienc,  sant  sent,  quant  quenc,  tant  tene,  grand  gren'g, 
Cam})  chemp,  sac  sacco,  sec,  vi.  faó  fec,  sfac  stec,  int.  magni  megri, 
afra  acero,  ejri,  mal  met,  rat  ret,  sat  rospo,  set,  gal  get,  fat 
insipido, /ei,  litràt  ritratto,  litret,  quadra  quedri,  ladra  ledri, 
cap  calvo,  hep,  cadanàs  cadanes,  pajàs  pajes  \ 

Di  feminili  che  vadano  nelle  ragioni  di  questo  paragrafo,  ho 
da  I\Ienzouio  i  seguenti  esemplari,  tutti  di  3""  declinaz.  latina": 
fornàsfornes,  da/"  chiave,  cef;  vai  valle,  vel,  fals  falce,  fels , 
carn  cern  *. 

Nella  conjugazione,  si  riproduce  costantemente  quest'esito 
per  la  2*  pers.  sng.  dell'indie,  e  cong.  pres.,  e  la  2"  pers,,  sng. 
e  pi.,  dell'indie,  imperfetto  dei  verbi  in  -are. 

a)  2"  pers.  sing.  indie,  pres.  Vanno  nelle  ragioni  di  questo  §, 
^Inz. ,  Cgl. ,  Int.,  rOns.  e  VI.  —  Esempj:  V  pers.  vali  valgo, 
2*  veli,  sai  sei,  am  mal  m'  aramalo,  ti  t'  mei,  pari  peri,  impari 
imperi,  law  lew,  scaw  schew,  cani  mordo,  cheni,  cam  cem,  pias 
■pies,  fìàdi  fìedi  ;  tali  teli,  salti  selli,  vérdi  verdi,  pari  peri,  scàrpi 
scerpi,   lass  less,   mangi  mengi,  piànti  pienti,  canta  cnenta,  pianz 


^  Nomi  di  famiglia  :  i  Grenrli  Grandi,  i  Chemes  Gamesi,  i  Sohleli  (ma  al 
sor  Soldati)  ;  e  dove  la  famiglia  chiamasi  del  nome  di  battesimo  del  suo  capo: 
i  Bernerd,  i  Miclieìengul,  i  Cherll,  i  zireii  (cfr.  la  parentela  Giovenni).  Av- 
viene poi,  che  la  caratteristica  s'estenda  analogicamente  anche  a  nomi  che 
non  hanno  V-i:  i  Meza  Mazza,  i  Chenva  Canova;  ipenza,  nomignolo,  'i  pancia'. 

-  Rimangono  costantemente  inalterati  i  fem.  della  1":  grassa  grass,  màjra 
mójri^  sana  san,  ecc. 

^  Occorre  questo  pi.  nella  locuzione  save  di  lem  '  saper  delle  carni  ',  e 
dicesi  del  latte  che  si  trovi  in  certe  condizioni. 


238  Salvioiii, 

pienz^  vàndl  io  vaglio,  vendi,  scampi  scempi,  bàli  heti\  màzni  ma- 
cino, mezìii.  —  Si  aggiungano  i  seguenti  esemplari,  in  cui  1'  d 
è  (la  e:  masàri  io  macero,  maseri,  mnz.  cràpi  crepi,  ons.  stand 
distendo,  sfend. 

,S)  2*  pers.  sing.  cong.  pres.  Vanno  nelle  ragioni  di  questo  §, 
le  stesse  parlate  che  si  citavano  per  a).  —  Esempj:  1"  vali,  2^ 
oeli,  scila  selu,  am  mala  ti  't  melii,  pari  peri,  impari  imperi,  lava 
levit,  scava  schevu,  cani  cheni,  cdma  cemu,  piàsa  piesu,  fiàdi  fiedi\ 
int.  stàga  stegu,  Is.  vaga  vecja,  int.  àhia,  ehiu,  mnz.  àja  eja,  sdpi 
sepi;  tati  teli,  sditi  selfi,  vdrdi  verdi,  scàrpi  scerpi,  parla  perla, 
lassa  lessu,  mangi  ìnengi,  pianti  pienti,  canta  chenta,  pidnza  pienzu, 
vàndi  vendi,  scampi  scempi,  hàti  heti,  màzni  mezni.  —  E  qui  pure, 
in  analogia  a  quanto  vedevamo  per  a)  :  masari  maseri,  cràpi  crepi, 
stènda  stenda. 

y)  2"  pers.  sing.  e  pi.  imperi',  indie.  Qui  sta  solo  Menzonio. 
Esempj  :  sng.  mandava  mandevi,  portava  portevi  ecc.  ;  pi.  portàvum 
portevi!,  lavàvnm  lavevu  ecc. 

§  II.  é  da  A  .  .  .  . /.  La  d  eclinazio  ne  dà  questa  figura 
a  Son.  e  Gerra,  che  altro  non  importa  se  non  una  differenza  nel 
colorito  dell' e;  es.  :  cisan  ésan,  sindl  segno,  sinél,  animai  anitnél; 
arai  ragno,  arai,  alt  élt,  gat  ghét,  rat  rét,  sat  set,  grass  gréss, 
màgru  mégri,  agur  ègri  ^  —  Ma  una  ragione  più  profonda  avrà 
a  Mnz.  e  Pc.  IV  che  occorre  al  posto  di  e  nella  formola  A  +  nas.  + 
cons.  ^  :  mnz.  tant  tenti,  quant  quénti,  grand  grandi',  pc.  hiancbiénc, 
camp  cémp;  mnz.  pempan  sng.  e  pi.,  cfr.  §  111  n.  Qui  stia  anche 
Iv.  can  chen  (ma  gat  ghet),  benché  vi  si  tratti  di  solo  -àn+^. 

Nella  conjugazione,  vale  questa  forma  per  le  solite  persone 


^  Dal  Saggio  di  Sonogno  si  aggiunge,  unico  esemplare  nel  suo  genere, 
ménig,  pi.  di  mànija. 

2  Va  qui  confrontato  il  §  III.  Il  fenomeno,  del  resto,  non  si  limita  alle 
nostre  valli;  anche  a  Varallo-Sesia  s'ottengono  da  una  parte  te7it  pien,  e 
(jait  ecc.  dall'altra;  uè  si  scompagnano  dalla  nostra  serie  gli  esempj  tene 
quenc  greng,  che  occorrono  per  ampia  distesa  nelle  Alpi  lombarde  e  pie- 
montesi, sng-.  tant  quant  grand.  —  Bisognerà  supporre,  o  che  l'alterazione 
dell'a,  per  gli  effetti  dell'-»,  sia  cronologicamente  diversa  in  questa  serie  da 
quello  che  è  in  tutte  le  altre,  oppure  che  vi  s'  abbia  una  speciale  altera- 
zione dell'»,  la  quale  però  perduri  solo  nel  caso  di  a i;  cfr.  Arch.  I  293-4. 


Dialetti  a  settentr.  d.  Lago  Maggiore:  Effetti  dell'-/.  239 

del  presente,  non  solo  a  Son.  e  G. ,  ma  anche  a  Cv.  Cmp.  Pc. 
VI.,  cioè  in  luoghi,  dove  in  ordine  alla  declinazione  si  seguon  le 
ragioni  del  §  I.  Cogli  esempj  del  pres.,  vanno  poi  a  Son.  quelli 
del  perfetto,  num.  132.  A  VI.  sta  nelle  ragioni  di  questo  §  anche 
l'imperf.  cong. 

y.)  2*  pers.  sing.  indie,  pres.:  zbarl  io  sparo,  zberì\  pari  peri, 
impari  imperi^  cali  cheli,  lava  levi,  cv.  sali  io  volo  (^salare  da  sa- 
lerei, seli,  cani  cheni,  caji  cheji,  tas  tes\  cargi  chergi,  vardi  verdi, 
parla  iberici,  scaldi  scheldi,  sdiit  scut,  lassi  lessi,  passi  pessi,  bani 
beni,  adinandi  admendi,  cambi  chembi,  pianz  pienz,  vand  io  va- 
glio, vend,  scamp,  scliemp,  smagi  io  macchio,  smegi,  scapa  schepa. 
Nel  perfetto  di  Son.  (num.  132):  cantóba  chentòba,  lavóba  levòba, 
parlóba  perlóba,  scapóba  schepóba,  invale  o  permane  la  vocal  ca- 
ratteristica di  2*  pers.,  pur  non  essendo  più  in  accento. 

(^)  2"  pers.  sng.  cong.  pres.  :  zbari  zberi,  pari  peri,  impari  im- 
peri, cali  cheli,  sali  seli,  cani  cheni,  caji  cheji,  tasa  tesa;  car'gi 
cher'gi,  vardi  verdi,  scaldi  scheldi,  scìnta  senta,  lassi  lessi,  passi 
pessi,  bani  beni,  admandi  admendi,  cambi  chembi,  scampa  schempa, 
smagi  smegi;  cui  si  aggiungono  i  seguenti  congiuntivi  di  verbi 
anomali:  cmp.  ahi  ehi,  vaja  veja,  staja  steja,  son.  faga  feìja,  e  i 
congiuntivi  secondo  il  num.  129,  i  quali,  come  i  perf.  or  ora  ad- 
dotti, offrono  disaccentata  la  vocal  caratteristica  di  2^"  persona: 
laviga  leviga,  vandi'ga  vendiga,  pianzi'ga  pienzi'ga,  scapila  sche- 
piga. 

Y)  2*  pers.  sng.  del  cong.  imperf.  ;  soli  due  esemplari  del  Saggio 
di  VI.:  1*  vusdss,  2*  vuséss,  pimddss,  pundéss  \ 

§  III.  2  da  A  ...  .  i.  Nella  declinazione,  le  ragioni  dell'/ 
sono  evidenti.  Per  gli  effetti  del  num.  15,  Ve  di  tenti  ecc.,  ond'è 
parola  in  principio  del  precedente  paragrafo,  deve  ridursi  ad  i  a 
Cgl.  Cv.  e  Cmp.:  tàntu  tinti,  qnàntu  quinti,  grand  grind,  cgl. 
hianc  bjinc,  camp  cimp  ^  —  Anche  ccdd  cild,  gald  gild,  di  Cmp., 
si  potranno    spiegare   dalla   furmola  speciale  in  cui  era  Va;  ma 


^  Per  e  da  «,  che  passi  in  e,  v.  il  §  IV. 

^  Strano  il  mnz.  limp,  dove  s'aspetterebbe  'emp  come  a  Pc.  —  Del  cv. 
pimpan  panipiuo  (sng.  e  pi.)  uon  esito  a  dire  che  vi  s'abbia  a  vedere  il  pi., 
diffusosi  al  sng.,  il  quale  doveva  suonare  *panipan  (efr.  anche  iut.  i^empan 
sng.  e  pi.;  ma  sng.  pdmpan,  pi.  jiempau  a  Borgn.). 


240  Salvioni, 

l'osservazione  concerne  piuttosto  il  singolare  che  non  il  plurale, 
poiché  cild  e  gild  valgono  a  inferire,  come  forme  di  sng.  oblite- 
rate :  *'celd  *gdd\  cfr.  n.  4  n. 

Per  la  conj  ugazione,  il  presente  a  me  non  dà  se  non  il  or. 
slpia  'che  tu  sappia'  (l"  pers.  sàpia)  ;  ma  l' imperf.  indie,  e  cong. 
stanno  nelle  ragioni  di  questo  paragrafo  a  Villette,  nell'  Onser- 
uone,  e  a  Intragna,  l'indie,  anche  a  Lavertezzo  \ 

a)  2"'  pers.  sng.  e  pi.  dell'indie,  imperf.  dei  verbi  in  -are; 
sng.  :  ons.  mandava  mandivu,  int.  cantava  cantiu,  vi.  vusava  vusiva, 
\w.  portava  portiva\  -  pi.:  mandivu,  cantiu,  portivu,  vusiva. 

[i)  2'^  pers.  sng.  e  pi.  del  cong.  imperf.  dei  verbi  in  -are;  sng.: 
ons.  portàss  portissu,  int.  cantàss  cantissu,  vi.  cinàss  ciniss  ;  - 
pi.  :  portissu,  cantissu,  ciniss  '\ 

E. 

§  IV.  6^  da  E  (e)  ...  .  i.  Il  fenomeno  è  nella  sola  conju- 
gazione,  e  occore  a  Cv.  Cmp.  Pc,  per  le  solite  persone  del 
presente,  cui  per  Cmp.  s'aggiunge  la  2^  sng.  dell'  imperf.  indie. 

a)  2°'  pers.  sing.  indie,  pres.  :  pleji  piego,  pieji,  crepi  crepi  ;  - 
^erni  scelgo,  semi,  perdi  perdi,  scherzi  scherzi,  eressi  eressi,  resti 
resti,  ani  seti  mi  seggo,  ti  t  seti;  -  bevi  bevi;  -  am  fermi  ti  t 
fermi,  mesci  mischio,  mesci,  pesti  pesti,  meti  meti,  prumeti  prumeti, 
neti  neti;  -  cherji  carico,  cherji,  cheli  cheli,  levi  levi,  cevi  cevi, 
cheni  cheni,  centi  cerni,  tesi  tesi,  peji  peji,  cheji  cheji,  fìedi  fiedi; 
scherpi  scherpi,  selvi  scivi,  teji  teji,  chenti  chenti,  rengi  rengi, 
schempi  schempi,  schessi  schessi,  spezi  spezi,  cheti  cheti,  cepi  cepi. 

p)  2"'  pers.  sng.  cung.  pres,  —  Nella  VJ\I.  la  2"  indie,  e  la  2* 
cong.  concorrendo  in  una  sol  forma,  gli  esempj  dianzi  addotti  per 
la  2"  indie,  possono  valere  anche  per  la  2"'  cong. 

Y)  2*  pers.  sing.  indie,  imperf.  :  feva  fevi,  pareva  parevi;  sera 
seri,  cotnune  l'ultimo  esempio  anche  a  Cevio. 

§  V.  i  da  E  (e)....i.  Nella  declinazione,  va  per  la 
zona  intiera. 


^  Quest'  i  si  deve  molto  probabilmente  alla  diffusione  analogica  dell'  i  fo- 
neticamente regolare  che  è  nelle  voci  corrispondenti  di  2»,  3»  e  4»  coujuga- 
zione;  e  così  esso  a  rigore  non  ispetterebbe  al  presente  §.  —  Cfx'.  i  §  V  e  VI. 

-  Per  e  da  a,  eli  e  passi  in  /,  v.  il  §  V. 


Dialetti  a  settcnlr.  d.  Lago  Maggiore:  ElTcUi  dcU'-i.  241 

Esempj:  cv.  prevat  prioat^  vi.  prev  prio^  cv.  red  rete,  rid, 
cv.  tare'i  tariil]  -  ?2e/-6  nervo,  nlrh^  leró  lire,  verz  grido,  virz^ 
ser  Cerro,  sir,  vi.  zerb  acerbo,  i^VZ»,  inaz.  sterili  bestia  cbe  non 
dà  latte  [cfr.  Arch.  VII  409  560],  stirli,  cv.-cinp.  mes  viis,  pes 
2ns,  tes  tis,  cv.  lavenz  lavinz,  tee  tic,  lec  lic,  soelt  svili,  sesp 
cespuglio,  sisp,  falcet  folcii,  pilet  pilit  num.  43,  verz.  panel  faz- 
zoletto, panii;  -  verd  vird,  stess  stiss,  chest  chist,  vesciif  viscuf, 
lefi  Uh,  sefi  siti,  vi.  sec  sic,  ded  dito,  did,  net  nit,  gez  giz  num. 
25  n,  cmp.  sep  sgabello  'ceppo',  sip\  -fare  fari,  cer  caro,  cir, 
cer  chiaro,  cir,  inceri  carico,  inciri,  pevi  pivi;  -  erbi  irhi  num. 
1,  gel  gii,  geld  gild,  celd  cild,  scen  scin,  cen  cane,  cin,  pien 
piano,  pjin,  znin  (feni.  znen),  cfr.  num.  33a  n,  bienc  bjinc,  fieno 
fjinc,  lemp  cimp  ^,  scerz  scarso,  scirz,  gerb  girb  num.  91,  fiesc 
fiasco,  fjisc,  gei  gii,  pici  pjii,  set  sii  ^ 

La  conjugazione  dà  quest'esito,  nelle  solite  persone  del 
pres.,  a  VI.,  Int.,  nell'Ons.  e  nella  Verz.;  e  Sou.  aggiunge  il  suo 
perfetto.  È  inoltre  nella  2^  pers.  sng.  e  pi.  dell'  imperf.  indie, 
e  cong.  dei  verbi  in  -ere  -ere;  e  pur  di  quelli  in  -are,  là  dove 
questi  hanno  modellato  il  loro  imperf.  su  quello  della  2*  e  3* 
conjugaz.  In  ordine  all' imperf.,  l'esito  è  comune  a  tutta  la  zona, 
eccetto  VI.  Int.  e  TOns. 

a)  2*  pers.  sng.  indie,  pres.  :  crep  crip  ;  perd  pird,  seni  sirn, 
vi.  spen  spiumo,  spin,  resi  risi,  ani  sei  ti  f  sii;  -  ani  ferma  ti 
t  firma,  pesi  pisi,  tnet  mit,  nei  nit',  -  ons.  tes  taccio,  tis;  -  pjenz 
pjinz'^.         Son.:  setóba  sitóba,  fermóba  frmóba. 

{i)  T  pers.  sng.  cong.  pres.:  crepa  cripu;  perda  pirdu,  sema 
sirnu,  spena  spina,  resta  ristu,  seta  siiti;  -  pesta  pista,  meta 
mitu,  neia  niiii  ;  -  tesa  tisii  ;  -  pjenza  pjinzu.  Son.  :  fermiga  fir- 
mi'ga,  meti'ga  mitiga,  p)erdiga  pirdi'ga. 

y)  T  pers.  sng.  e  pi.  dell'indie,  imperf.;  sing. :  cv.-cmp.-mnz. 
vandevi  vandivi,  evi  aveva,  ivi,  seri  siri  (per  Cmp.  è  però  da  ve- 
dere anche  il  §  prec);  cv.-cmp.  parlevi  parlivi,  steva  stivi;  cgl. 
sera  siru,  vindevi  vindivu;   mandevi  mandivu;  pc.-verz.  lenzeva 


*  Ifjiii',  fjin-  e  cimi)  potrebbero  auclic  dipeiulcrc  dal  §  III  priac. 
2  Fem.  :  èerha  zerb,  scelta  scelt,  bienca  bienc,  ecc. 

*  Ma  int.  tes  tes,  tesa  tesu,  e  così  leio  Jeir,  leva  leoìi;  cfr.  uum.  1  n. 

Archivio  glottol.  ita!.,  IX.  16 


2i2  Salvionl, 

lenziva,  sera  sira;  verz.  canteva  cantiva;  -  pi.  :  cv.-cmp.  vandevum 
vancUvH  (mnz.  -uf),  evum  ivu,  serum  siru,  parlevum  parlivu  ;  cgl. 
vindevum  vindivu,  loortevum  portivu\  pc.-verz,  scriv'wu,  verz.  ccm- 
tivu  (pc.  cantiva),  verz.  ini  eravate. 

())  2"  pers.  siiig.  e  pi.  del  cong.  imperf.  ;  sing.  :  cv.-ranz.  vmi- 
dessa  vandissi;  cantessa  cantissi\  cinp.  vandess  vandiss\  purtess 
purtiss,  fess  fiss  ;  cgl.  viride ^s  vindissit]  cantess  cantissic;  pc.  fa- 
zessa  tazissa  ;  verz.  scrwessa  scrivissa  ;  cantessa  cantissa  ;  -  pi.  : 
cmp.-cv.-cgl.  scrivessum  scrivissu;  cantessum  cantissu,  fessimi  fissu 
(mnz.  scrivissuf  ecc.);  pc.  verz.  scrivissu',  cantissil;  son.  vissiga 
num.   130. 

§  VI.         i  (la  E..../.         Vale  per  la  declinazione. 

Esempi':  morcvul  morivul,  déhid  dibul,  zéndru  zindri,  Is.  ^;/en 
2)Jiì^,  meste  mesti,  quei  quii  ;  bel  hil,  int,  vedcl  redil,  martél  martil, 
fradél  fradil,  hindél  nastro,  bindil;  zeli  gelato,  zilt  num.  35,  pèrsi 
pesca,  pirsi,  veri  aperto,  viri,  guers  guirs,  vi.  destar  distar,  cv. 
camédru  modano,  camidri,  vent  vint,  vi.  pandent  pandint,  cmp. 
nuvenf  nuovissimo,  nuvint,  temp  timp,  p>es  peso,  pis,  mes  mis,  veó 
vie;  -pel  pil;  int.  quel  quii  (verz.  chi,  ons.  qui),  chivil  nuui.  22, 
sere  cerchio,  sire,  cr.  pess  piss,  quest  quist,  majéstru  maistri,  sa- 
néstru  sanistri,  tene  tino,  sirene  strinò,  sec  secco,  sic,  négru  nigri, 
védru  vidri,  freg  frig,  feléó  i'elce,  felic  ;  -  grew  griw',  alégar  aligar, 
Unger  lingir,  moline  niolinl,  fare  fari,  sole  camera,  soli,  candele 
candell,  \evz.  piìdé  pildl  num.  43;  cmp.  brùsent  brùsint,  vi.  tajent 
tajint;  -  new  nuovo,  niiv,  cher  cuore,  chir,  feg  fìg',  ert  irt,  stert 
stirt,  meri  mirt,  erb  irb,  chern  chirn,  però  pire,  sen   sogno,  siil  '  • 

Di  feminili  di  3",  ho  parét  parit,  red  rid,  preséf  mangiatoja 
'presepe',  presi/  (verz.  praséiv  prasiw)  ~. 

Per  la  conjugazioae,  il  fenomeno  occorre  nelle  solite  forme 
del  pres.,  a  Vi.,  Int.,  nell'Ons.  e  a  Son.  (che  aggiunge,  al  solito, 
il  suo  perfetto);  e  ancora  è,  negli  stessi  luoghi,  eccetto  Son.,  della 
2*  sng.  e  pi.  dell' imperf.  cong. 


^  Non  mancano  esempj  analoghi  a  quelli  addotti  in  n.  al  §  I.  Così  i  Pon- 
cita  Poucetta,  i  Poìiiita  Pometta,  i  Zi/ita  Zenta;  cui  s'aggiunge  i  povUa  i 
poeti.  Cfr.  ancora  i  Mllcar  '  i  Melchiorre  ',  i  Zip,  i  Pidrì  ecc. 

^  Pur  qui  rimangono  estranei  al  fenomeno  i  fem.  di  1":  bela  bel,  rega 
veg,  alégra  alégar;  e  similmente:  nova  now  ecc. 


Dialetti  a  sctlcutr.  d.  Lago  Magi,nore  :  EiTctti  dell'-/.  243 

a.)  2''  pers.  sng.  indie,  pres.  :  spcr  splr ,  verz.  quer  qitir  ^ ,  lez 
liz,  seg  sig,  creg  cri-h,  vi.  lev  lii\  cen  cin,  pen  peno,  più,  ciirég 
curig^  treni  trini  ;  sfend  sfind,  vend  vind,  pens  pins,  son.  setita  sinta, 
ven  vin,  cress  criss,  he  lecco,  Ile,  spec  splc\  -  bew  biiv,  men  min, 
vi.  veg  vedo,  vig^  fen  tin,  tenz  tinz,  strenz  strinz  '\  Son.  :  spe- 
róba  spiróòa,  treniòba  trimóba,  sentóba  sintéba,  vegoba  viba. 

,S)  2*  pers.  sng.  cong.  pres.  :  spera  spiru,  leza  lizii,  sega  sigu, 
creda  cridu,  leva  Uva,  cena  dna,  pena  pina,  ciirega  curiga,  trema 
trinm;  stenda  stindu,  venda  vindu,  pensa  pinsu,  vena  vina,  cressa 
crissa,  leca  lica,  speca  spicii;  -  beva  bivu,  mena  mimi,  vega  viga, 
tena  Una,  tenza  tinzu,  strenza  strinzu.  Son.  :  vegtga  vi'gi'ga, 
queriga  quiriga,  beviga  biviga,  speriga  spiriga,  sentiga  sintiga, 
vendi'ga  v indiga. 

y)  2^  pers.  sing.  e  pi.  del  cong.  imperf.  ;  sng.  :  int.  vidéss  vi- 
dissu;  vi.  satéss  satiss,  stess  stiss  (ma  cfr.  il  §  II);  ons.  saréss  sa- 
rissu.  -  pi.:  vidéssum  vidissu;  satiss,  stiss;  saréssum  sarissu'^. 

ludi,  vocale  e,  sebbene  si  riduca  assai  frequentemente  ad  i,  secondo 
che  i  §§  V-VI  ci  hanno  mostrato ,  è  pur  quella  che  maggiormente 
si  sottrae  agli  effetti  dell'i  finale.  —  Cosi  la  VINI,  (in  parte  della  quale 
pur  si  regge  il    §   IV)    dà   inalterate  le   solite  persone   del   presente  : 


^  Quest'  esemplare,  che  è  anche  della  VM.,  è,  per  la  forma,  nobilmente 
latino  (quaerere),  ma  avvilito  nella  sua  funzione  lessicale,  significando  'cer- 
care pidocchi',  e  indi  'pettinare'. 

^  S'aggiunge,  con  e  da  e  at.  (e  questa  da  ?):  int.  saiuéii  io  semino,  somin, 
cong.  soména  sominu.  Ma  nell'Ons.  :  mi  ani  desmentéff  ti  ti  f  desmentég. 

^  Sia  qui  toccato  anche  del  modo  e  della  misura,  onde  il  dittongo  ie 
(num.  3,  11,  J4)  si  risente  alla  sua  volta  del^-^■;  e  sarà  fenomeno,  s'io  male 
non  m'appongo,  d'ordine  meramente  analogico.  Abbiamo  dunque  frequente 
r  i  di  contro  a  ie,  nella  solita  vicenda  di  sng.  e  pi.,  di  1*  e  2*  pers.  ;  dove 
si  può  tuttavolta  notare  che  la  tendenza  a  ridurre  Vie  ad  i,  della  quale  si 
parla  al  nura.  14,  sia  stata  messa  come  a  profitto  dall'istinto  grammaticale. 
Es.  :  pc.  spiec  spjic,  num.  14  n;  le.  viec  vie,  vediel  vedi  (qui  \!-i  è  forse, 
secondo  che  accenna  la  mancanza  del  -l,  il  prodotto  di  *-iéj),  accanto  a 
plurali  come  biel  martiel  ecc.;  cr.  volcel  volcì,- veìjel  ve!jl  (cml.  -djel  -dji) 
ali.  a  pi.  come  viec,  fergel,  anel  ecc.  ;  -  er.  vieti  io  vengo,  viii,  cml.  vjeria 
vji/ìa,  cr.  ceti  eiii,  cml.  fjena  tjitìa  (cr.  heiìa  heiìa),  cr.  ìez  liz  (cml.  ìes 
lez),  cr.  spjeé  spjic,  congiunt.  spjeca  spjicu.  Anche  il  dittongo  éi,  co- 

munque surto,  può  ridursi,  per  ij,  ad  i:  verz.  teis  tis,  vm.  nejru  nifi,  mnz. 
cejni.  chiaro,  etri. 


2J41  .  Salvioui, 

speri  speri,  maz.  nnti  nati  ecc.  Nella  declinazione  occorron  poi  fre- 
quenti le  anomalie,  ma  certo  di  sola  apparenza,  dipendenti  da  norme  che 
la  scarsità  della  materia  a  noi  non  lascia  scoprire;  ed  ecco  a  ogni  modo 
un  po'  di  rassegna.  Fa  quasi  eccezione  generale  la  formola  è  +  nas.  + 
eons.;  e  Mnz.  p,  e.  offre  bensì  i  pi.  timp,  vint,  ma  insieme  ha  detit,  raso- 
nament,  turment,  content,  scotent;  Int.,  Pc,  la  Verz.  v'hanno  costante 
Te;  Is.  m'offre  dine  denti,  ma  ha  d'altra  parte  temp  veni;  VI.  e  Cmp. 
(per  Cmp.  è  però  da  vedere  il  num.  15)  hanno  V -i-  solo  in  alcuni 
esemplari;  ma  è  comune  a  tutta  la  zona  sirene  strine.  Io  presumerei 
che  Ve  di  codesta  formola  si  sottraesse  in  origine  all'influenza  dell' -i 
(alla  qual  presunzione  pur  mi  conforta  qualche  antico  documento  dia- 
lettale dell'Alta  Italia),  e  che  solo  per  diffusione  analogica  qualche 
esemplare  or  ne  risulti  affetto.  Nella  Verz.  è  costantemente  inalterato 
l'è  di  -elio:  sng.  e  pi.  vedél  ferdél;  quanto  ad  -ty=-élli,  cfr.  però 
il  num.  50  n.  Sono  largamente  usati  i  pi.  leó  vec  spec,  ed  è  comune 
2ìécen  pettini.  Altri  plurali  anomali  :  ons.  nerb,  verz,  int.  pes,  pérsig, 
cmp.  merli,  scherz,  alégri,  bicér  (mnz.  bùci^),  langèr,  vi.  mez.  Circa 
i  le.  Uh  seiì,  V.  il  num.  20.  Quanto  all'è  secondaria  da  a,  cfr.  is.  chen, 
2')ieìi,  pc,  greh, pieh,  ons.  scàh,  cdn.  Solo  a  Pc.  è piu«  =  pavidi  num.  1. 
Se  finalmente,  all' infuori  di  Mnz.  e  della  Verz.,  non  s' ha  al  pi.  l'i 
per  Yé  del  sng.  che  è  l'ultimo  esito  d' -àrio,  ci  vedremo,  piuttosto 
che  la  mancanza  di  un  avvenimento  fonetico,  la  mancata  livellazione 
analogica. 

0 

§  VII.         6>'  da  o i\  In  ordine  alla  declinazione, 

l'esito  è  costante  nella  Lavizzara,  e  occorre  in  maggior  o  minor 
copia  per  tutta  la  regione. 

Esemp  i  :  garofnl  garòfid,  ccdolic  católic,  popid  2)opul,  mohil  mòbil, 
crovat  abete,  cròvat  ;  apostul  apòstul.,  int.  portig  pòrtig  ;  om  òmen  ^  ; 
soci  soci,  vi.  cor  cuore,  cor;  fortforf,  sold  sòld  (vi.  sovul  sòvid  num. 
105-6),  corp  còrp,  por  porro,  por,  mol  molle,  mòl,  foss  fòss,  baloss 
balóss,  noss  nòss,  voss  vòss,  post  post,  Qst  òst,  pravost  pravóst,  fioc 


^  Due  altre  fasi,  che  pajono  anteriori,  son  qui  rappresentate  da  un  pajo 
d'esempj  ciascuna:  la  fase  oi  nel  verz.  poic  pochi  (St.),  e  nel  mnz.  *  cois, 
nome  proprio  d'una  stazione  alpina  (cfr.  mi),  coz  riciuto)  ;  e  la  fase  oi,  nei 
pc.  coil  chiodo,  cóid,  piod  tetto,  piòid. 

^  Jyel  resto  della  regione:  om  oinan. 


Dialetti  a  setteiilr.  ci.  Lago  Maggiore:  Effetti  dell' -/.  24^» 

fiòc^  cv.  patòc  stracci,  cenci,  vi.  jìjoé  figlioccio,  fijuc,  pitoc  intòc^ 
zbioc  zbiòc,  eros  corvo,  eros,  int.  sigarot  scure,  sic/aròf,  Is.  salotru 
locusta,  quasi  'sal-ott-ulo'  [cfr.  Arch.  VII  500],  salotri,  regoz  ra- 
dice, regóz,  zop  zop,  scop  scòp,  trop  trdp\  -  povar  p6var\  cod  còcl; 
poc  póc^  co  ss  cóss  'chiuso'  \ 

In  ordine  alla  conjugazione,  il  fenomeno  s'avverte  per  le 
solite  voci  del  pres.,  in  tutta  la  regione,  eccetto  Le.  ed  Int.  '^ 

a)  2*  pers.  sing.  indie,  pres.  :  cr.  pì-Qw  prów,  cml.  ìnow  mòiv, 
vi.  eos  cuocio,  cos,  cmp.  rodi  ròdi;  pc.  nodi  nòdi;  trovi  trovi;  volti 
vòlti  (vi.  vOìit  vòut),  son.  porta  pòrta,  sforo  stòrc,  pc.  am  mncorzi 
ti  f  nlncòrzl,  vi.  argord  argòrd,  cgl.  mordi  mòrdi,  vi.  smorz  spengo. 
smòrz,  seot  scòt,  cgl.  tosti  tòsti,  cmp.  scopi  scopi;  -  pc.  scodi  scodi 
(ex-cutere);  -  godi  godi,  cmp.  lodi  lòdi,  ossi  oso,  òssi;  rohl  ròhi.- 
Son.:  portóha  portóha,  trovóba  tr'òvòha. 

p)  2''  i)ers.  sug.  cong.  pres.  :  mova  mòvii,  prova  pròvu,  cosa  còsa, 
rodi  rodi;  nodi  nòdi:  trovi  trovi;  volti  vòlti  (vi,  vouta  v'óuta',  am 
nincorzi  ti  t''  nlncorzi,  argorda  argòrda,  mordi  mòrdi,  smorza 
smorza,  scota  scòta,  tosti  tòsti,  scopi  scopi;  -  scodi  scodi;  -  godi 
godi,  lodi  lodi,  ossi  òssi;  robl  ròbl.  Sun.:  porti'ga  portiga,  stor- 
ciga  Stòrcl'ga,  volti'ga  vòltiga. 

§  Vili.  il  da  q....i.  Questa  risoluzione,  che  s'avverte 
a  Le.  e  nella  conjugazione  sola,  non  è  in  effetto  diversa  da 
quella  che  si  considera  nel  paragrafo  seguente  (v.  il  num.  27). 

a)  2"  pers.  sing.  indie,  pres.:  ìnow  mii,  cioè  ^muw  num.  66, 
2)roiv  pril,  troiv  tru;  regord  regiird,  port  puri,  mord  nmrd,  nin- 
corz  nlncurz,  storz  starz,  son  sim;  -  scod  scud;  -  god  giid; 
rob  rub. 

P)  2*  pers.  sng.  cong.  pres.  :  mova  miivii ,  prova  pruvu ,  trova 
truvu;  regorda  regiirdii,  porta  purtu,  morda  murdu,  nlncorza  nin- 
ciirzu,  storza  sturzu,  sona  simii;  -  scoda  sciidu;  -  goda  gudii; 
roba  rubli. 

§  IX.  il  da  o  .  .  . .  l.  Occorre  a  Intragna,  nella  conju- 
gazione (cfr.  il  §  Vili). 


^  Fem.:  viola  mg\  povava  pgvar,  ecc.  —  Qui  pure  i  soliti  nomi  di  fami- 
glia :  i  Lot  Lotti,  i  Zop  Zoppi  ecc. 

*  Da  Son.  un  esempio  della  propagazione  analogica  dell'  o  alla  2'  sng.  del 
touA'moìx.:- pórteru  s-ba  porteresti. 


240  ■  Salvioai, 

a)  2*  pers.  sng.  indie,  pres.  :  mnw  niiwu,  pww  pruvii  (-vu  -  -?<7); 
nod  nild  ;  volt  vùU,  regord  regùrd,  storz  stiirz,  sfort  stùrt,  moni 
mibrl,  incorz  incùrz,  scoi  sciit',  -  scod  scnd\  -  rob  ruh\  god  gud. 

p)  2'  pers.  sing.  cong.  pres.:  mova  mi'wu  ;  prova  ])rmu\  noda 
nìidu;  volta  vultu,  regorda  regilrdu,  storza  stllrzu,  storta  stiìrtu, 
morda  miirdu,  incorza  incilrzii,  scota  sciitu,  possa  pùssu  ;  -  scoda 
scudu\  -  roba  rilbu;  goda  gùdtt. 

§  X.  é=o  (p)  .  . .  .  i.  Questa  risoluzione  ò  in  fondo  la 
stessa  che  è  data  nel  §  seg.;  e  s'ha  nella  declinazione  a  Le. 
e  a  Ls.,  per  virtù  del  nura.  27. 

Esempj  :  fior  fiur,  sor  sur,  sarto  sartu,  Is.  lavo  lavu,  casado  ca- 
sadu,  bosios  bosius,  dispresips  dispresius',  spps  spus]  nps  nus',  ìn- 
gprd  ingurd,  rpt  riit,  rpss  russ. 

Ancora  è  a  Loco,  nella  conjug azione,  per  le  solite  voci  del 
presente. 

a)  2*  pers.  sng.  ind.  pres.:  lovpr  lavur;  vos  grido,  vus;  ppnd 
depongo,  p)wid,  risppnd  rispund,  spps  spus  ;  -  fpt  fut\  scplt  scult, 
mplg  mitlg;  spore  spurc,  cpr  cur,  discpr  cliscur. 

P)  2^  pers.  sng.  cong.  pres.:  lavpra  lavitnc;  vpsa  viisu;  ppnda 
pundu^  risppnda  rispundu,  sposa  spimi;  -  fpta  ftitu;  scplta  scultu, 
mplga  miilgu;  sporca  spurcu,  cpra  curii,  discpra  discuru. 

§  XL  u  da  0  (p) ....?.  Quest'  esito  risponde  da  una 
parte  a  quello  del  §  che  procede  e  dall'altra  a  quello  del  §  che 
segue.  Invale,  per  la  declinazione,  in  tutta  la  zona,  eccetto 
Le.  Ls.  VI.  Cv.  Cmp.  Cav. 

Esempj:  brodi  sporco,  briidi,  mpni  sacrestano,  mimi,  stpmi 
stìÀmi,  dampni  damimi,  int.  ròvul  riìviil;  navpd  naviid,  so  sole,  su 
{viin  de  qui  su!,  lett.  'uno  di  quei  soli');  — óre:  fio  fili,  sarto 
sartu,  casado  casaclu,  boscadp  boscadu,  dulpr  diilùr,  spr  siìri,  int. 
fìp-n  fiiì-h ,  sartó-n  sartii-n ,  casadp-n  casadiÀ-n  ;  — oso:  morps 
moriis,  daspresips  daspresiils,  pienzps  piagnolone,  pienzi^is,  bosips 
bosms;  -  polas  arpione,  ])iilas,  cplp  ciUp,  fQrn  f'àrn,  cprt,  la  por- 
zione di  prato  che  contorna  la  cascina  alpina,  ci^irt  (inasc),  mpnt 
mìÀnt,  ppnt  pilnt,  spps  spus,  mpstro  miistri.  Mot  bmt,  rgss  riìss,  bpsc 
buse;-  lipstri  liiistri,  gòvin  gi'win,  gómbad  gihiibad;  nps  iiiìs,  bolz 
biilz,  gprd  ahondante,  giird,  halprd  baliìrd,  prs  iirs,  sppfc  spilrc, 
fpnz  fiìnz,  ppnc  punto,  pane,  vpnó  unto,  viìnc,  tpnd  tiind,  zinpg 


Dialetti  a  setteutr.  d.  Lago  Maggiore:  Effetti  dell'-/.  247 

ziniig,  rpt  rilt,  int.  sangot  sangiit,  brpz  sporco,  briiz  num.  31,  ppz 
pùz  \ 

Di  fera,  della  3",  che  stieno  nelle  ragioni  del  presente  §,  ho 
7'p  rovere,  rii\  cod  cote,  ciìd,  eros  crùs;  -  volp  viìlp;  cui  aggiungo, 
benché  d'etimo  incerto,  cps  scojattolo,  ciÀs  '. 

Nella  conjugazione,  è  quest'esito,  per  le  solite  voci  del  pres., 
a  Int.  Cml.  Cr.  e  in  Verz.  ^ 

a)  2*  pers.  sind.  indie,  pres.:  lavor  lavar,  vos  vits',  cofipss  co- 
iìùss,  ppnd  piìnd,  risppnd  rispimd,  scpnd  scùnd,  am  cpns  m'acco- 
modo, ti  t'  ciins,  tpnd  io  rado,  tùnd,  èpos  s^iils;-  cpr  dir,  sopita 
scùlta,  spore  spilr'ó,  ppnz  pùnz,  rpmp  rlimp,  mpng  màng.  Son.  : 
vpsóba,  vùsóba,  scpltóba  scultóba. 

{i)  2*  pers.  sn».  indie,  pres.:  lavpra  lavùru,  vpsa  vusu\  conpssa 
conùssu,  ppnda  pùndu,  risppnda  rispùndu,  sepnda  scùndtc,  cpnsa 
cunsu,  ipnda  tihidu,  sppsa  spilsu;  -  epra  eilru,  sporca  spùrcu, 
ponza pihizti,  rompa  rilmpu,  int.  mplza  miìlzu.  Son.:  sepndi'ga 
seundi'ga,  pongiga  pungi'ga,  mpngi'ga  miìngija. 

§  XII.  u  da  U  .  .  .  .  /.  Considerati  i  num.  23  e  28,  questa 
resultanza  torna  identica  a  quella  del  §  XI.  Occorre  nella  de- 
clinazione, a  VI.,  Cv.-Cmp.,  Cav. 

Esempj:  stùml  stami,  rul  (^riivul)  riwiil;  culur  colore,  culiÀr, 
fragiir  raffreddore,  fragiìr,  cacadur  eacadùr,  siur  siiir,  bramus 
bramùs,  puiriis  puiriìs,  disprisiii'^  disprisiiìs;  biut  biiit,  punt  pi'mt, 
miint  mùnt,  spus  splìs;  -  giwin  g'ùvin;  spurc  spiìrc,  riitùnd  rutl'md, 
giniig  ginùg.  Feaiinili  della  o"':  cv.  sru  sorella,  sru;  crus  criis. 
Nella  conjugazione,  occorre  solo  a  VI. 
y.)  2""  pers.  sng.  indie,  pres.:  vus  vùs,  adnuss  conosco,  idniissi?)^ 
rispund  rispùnd,  scund  sciliid;  -  slang  sliìng,  mug  {*mpug)  miig, 
pung  piuig,  fiind  affondo,  fùnd,  rump  rlimp,  eur  ciir. 

fi)  2"  pers.  sng.  cohjlt.  pres.:  viisa  vilsa,  adnussa  idnùssa,  ri- 
spunda  rispibida,  sciinda  sc'ànda;  -  slunga  sliinga,  muga  m'ùga, 
punga  piinga,  funda  f àlida,  runipa  rampa,  eura  etìru. 

§  XIII.       o    da  0  (p  u) .  .  . .  i.        Scarsissimi,  nella  declina- 


1  Komi  di  famiglia:  i  Ciint  Conti,  i  Dalpilnt  Delpoiite,  i  Tunl''j,\ì  Antonio'. 

2  Del  resto  :  hroza  broz-,  g^oina  gpcin,  ecc. 

'  La  YM.  s'astiene,  nella  conjngazione,    da    qualsiasi   alterazione  di  p  od 
ti.  V.  tuttàvolta  il  §  Xlir. 


218  Sai  V  ioni, 

zioue,  gli  esempj  di  questa  figura:  mnz.  long  long,  cav.  ziwau 
zòvan;  cav.  cacadùa  cacado,  lavùa  lavo,  sebbene  gli  ultimi  due 
pajano  rappresentare  una  serie  intiera  '  ;  cfr,  vm.  servitoèu  (Mt. 
Parab.   17,  22). 

Più  numerosi  gli  esempj,  dalla  Lavizzara  e  da  Coglio,  per  la 
con jugaz ione,  nelle  solite  forme  del  presente. 

a)  2*  pers.  sng.  indie,  pres.  :  brodi  io  poto,  bròdi,  vpzi  vòzi, 
sposi  spòsi,  bpji  abbajo,  bòji,  dobi  piego,  dòbi,  brozi  sporco,  bròzi, 
mondi  mondi,  molzì  mòlU,  rompi  rompi  [ma  scondi  scondi,  torni 
torni,  cQnsi  consi,  e  così  molti  altri]. 

^)  2"  pers.  sng.  cong.  pres.  Siamo  in  VM.,  e  già  sappiamo  che 
2*  d'indie,  e  2"  di  cong.  qui  coincidono  in  una  forma  stessa. 

§  XIV.  li  da  ò....^^  Nella  declinazione,  occorre 
a  Menzonio  per  tròn  trùn,  eòe  clic,  spòre  spiìrc,  bròc  brille  num.  25. 
Per  la  conjugazione,  pochi  esempj  da  Intragna  :  2*  pers.  sng. 
pres.  ind.,  m'  insòn  ti  V  in  san,  tòt  tolgo,  tili,  mòr  muojo,  mitr\ 
2*  pers.  cong.,  insòna  insùnu,  tòla  tidu,  mòra  miÀru. 


^  L' -0  vi  è  forse  la  ridazione  dì  uii'-d  riuscito  finale;  cfr.  cav.  co  cnlus» 
^  Questa  formola  nou  la  direi  'organica'.  Nelle  voci  verbali,  potrebbe  l'ó 
esser  succeduto  ad  o  in  età  recente,  e  Vii  della  2*  pers.  così  rispondere 
ad  0,  secondo  il  §  IX.  Circa  i  quattro  esempj  nominali,  noto  che  a  Pc,  cioè 
poco  lungi  da  Mnz,  è  triin,  anche  sng.;  che  per  eòe  s'ha  in  Lombardia  eoe, 
non  eoe  come  richiederebbe  esso  eoe,  e  eoe  darebbe  un  pi.  ciìc;  che  spòre 
è  analogico,  foggiato,  forse  di  recente,  su  pòrc,  e  spùrc  sarebbe  il  pi.  re- 
golare di  *spore.  Rimane  hróc,  in  cui  è  legittimo  Vó,  poiché  risponde  ad  o. 


Appendice  ai  prccedcnlt  'Saggi'.  249" 


APPENDICE  AI  PRECEDENTI  'SAGGI'. 


Erano  già  state  licenziate  le  bozze  dei  Saggi,  quando  in  Torino  ini  fa 
dato  interro::are  il  signor  dott.  Giac.  Pollini  da  Malesco  (mal.),  e  il  signor 
prof.  Gius.  De  Magistris  da  Santa-Maria-Maggiore  (snim),  in  uno  con  la 
colta  e  gentile  sua  consorte,  la  signora  Bertolina  De  Magistris-Sotta,  da 
Malesco.  La  notizia  della  parlata  di  Valle  Vigezzo  s'  allarga  per  effetto  di 
questi  interrogatorj  e  si  fa  più  sicurn,  come  ora  si  vede  da  quest'Appendice; 
la  quale,  insieme  collo  studio  de'  nuovi  materiali,  darà  anche  i  risultati 
d'un  più  diligente  spoglio  del  Vocabolario  del  Monti,  e  qualclie  altra  ag- 
giunta e  correzione. 


/ 


I  numeri  naturalmente  si  corrispondono  tra  Saggi  e  Appendice,  e  stanno 
—in  carattere  nero  quando  se  ne  formano  particolari  citazioni  dei  Saggi. 

II  testo  dell'  Appendice  si  riferisce  così  al  testo  come  alle  note  dei  Saggi. 
"Quando  si  tratta  di  note  ai  Saggi,   le    quali  non   abbiano   col  testo  se  non 

una  relazione  incidentale,  il  rispettivo  passo  dell'Appendice  sta  tra  paren- 
tesi quadre;  e  così  sta  anche  ogni  nuova  aggiunta,  che  importi  solo  indi- 
rettamente al  relativo  passo  dei  Saggi. 


AL  'SAGGIO   I.  ' 


2n.  Aggiungasi  V'xwi.  panàga  zangola;  e  saremo  così  pienamente  ras- 
sicurati circa  Vii  di  vìàg  ^  —  Il  mal.  éjer^  agro,  riproduce  al  sing.  la 
vocale  del  pi.,  e  ciò  nell'intento  di  meglio  distinguere  djer  acero,  da 
^àjer  agro  ^.  Mal.  piirtej  '  portati  '  e  '  voi  portate  ',  prej  prati,  ej 
tu  hai. 

3.  Mal.:  fre  fabbro  ferrajo,    lihame,   miiliné  ecc.;   ma,   al   plurale. 


^  Cr.  ììeas  nascere. 

'  Nel  mal.  éjen,  abbiamo,  cong.,  accanto  alle  altre  voci  rizotoniche  con 
r  a-,  ravviseremo  un  *ùjen  foggiato  sull'uscita  -éjen,  alla  quale,  in  questo 
dialetto,  può  giungere  la  1*  pi.  del  cong.  pres.  della  1*  e  2»  conjugazione. 
Cfr.  anche  f^éjen  siamo  (ma  sia  ecc.),  e  v.  num.  129b. 


2j0  Salvioni, 

froj  ecc.  Si  tratta  qui  dello  stesso  -èi  dell'Ons.,  che  nel  sing.  s'è  ri- 
dotto ad  e,  ma  s'è  mantenuto  nel  plur,,  grazie  all'analogia  delle  serie 
in  cui  sono:  sing.  merté,  pi.  -ej,  siag.  fesè,  pi.  -ej.  —  Per  -A'RIA,  ha 
Mal.,  come  l'Ons.,  -éria  '=*-éira,  num.  121:  chewlèrie  caldaja,  num. 
105-6  n,  mulinérie,  p fèrie  gerla,  num.  65  n,  velerie  vallata,  ecc. 
Cr.  manjéra.  Per  le  basi  bisillaba:  mal.  parie  pajo,  rdjer  raro. 
3  n.  Cr.  casce  ha  castagna. 

8.  Mal.  ha  purtóv;  ^jro'u,  fióv  fiato;  ma  Smm.  ha  già  lo  schietto 
•li:  sidù  sudato- 

[8  n.  Oltre  bordigò,  nota  il  Mt.  un  altro  infinito,  dove  parrebbe 
aversi  -ó  =  -are,  ed  è  ghignò  ridere.  Nondimeno,  ciò  ancora  non  mi 
convince;  tanto  più  che  quella  confusione  nelle  risposte,  alla  quale 
accenna  l'Ascoli,  Arch.  I  268  n,  l' ho  potuta  io  stesso  e  con  molta 
frequenza  notare.] 

9.  Mal.:  aict  alto,  aict  altro  (pi.  eó),  cdwtse  calza,  faicp  (smm.  fduc) 
falce,  sdwti  io  salto,  caìol  caldo,  gdvul  giallo,  num.  105-6;  aictsd 
alzare,  chewpine  calce,  eionitse  alno  ^ 

11-16.  Mal.  fé yi  tiepido;  cr.  amiel  miele,  ]ìie  piedi;  cr.  ajèr  ieri; 
mal.  credije  sgabello;  cr.  intrig,  cadriga ;  mnz.  amil  m\e\e;  smm.  ci- 
spad,  cr.  sìst  (se  pur  non  è  "^sjesfj  cespuglio,  mnz.  strazil  allato  al  cv. 
trazél  gelicidio,  'tra-gelo",  mal.  chcjne  catena,  '^cajlna  (cfr.  cainna 
-e,  costante  nell' Ant.  Par.  lomb.)  e  péjle  padella,  '^pajllla^.  Esempj 
di  i  da  e,  cui  preceda  j,  son  poi  anche  le  voci  verbali  in.  'essi  sono', 


^  Curioso  ed  isolato  il  cr.  coidd  caldo. 

^Entrambi  gli  esemplari  (chejna ,  in  quanto  è  pedemontauo,  potrebbe 
tattavolta  rappresentarci  *ca[d]éina;  eh',  canav.  avéina  avena)  ricorrono  in 
Piemonte;  dove  però  il  fenomeno  di  el  da  ai  si  documenta  per  un  numero 
d'esempj  molto  maggiore;  e  cosi  s'avranno:  mejst  maestro,  rejs  radice,  vejl 
badile,  num.  108,  paréis  (nell'AlIione)  paradiso.  Esempj  mouferrini,  in  tutto 
analoghi,  sono  i  seguenti,  nei  quali  Vai  risale  ad  ail'  (cfr.  mil  mulo  ecc^): 
Mintéj,  ni.,  Montacuto,  -e7rffi  =  -atùr  a  :  rangéira  'arrangiatm'a',  sanguinéira 
sanguinai ui'a,  marméira  diminuzione,  'minimatura',  sguréira  feccia  del  vino, 
'sguratura'  (da  sguré;  cfr.  Arch.  Ili  137-8),  tnjéira  taglio,  ferita,  tagliatura' 
(per  tutti  i  quali  esemplari,  cfr.  Ferraro,  Glossario  monferrino),  casal,  la- 
véjra  rilavatura.  —  E,  poiché  ci  siamo,  mi  si  consenta  far  qui  notare,  che 
il  Piemonte,  come  in  ai,  può  invertire  l'accento  anche  nei  gruppi  vocalici 
nii'  (ridotto  pi-ima  ad  e'ì')  ed  aù  (fio);  di  che  valgano  i  seguenti  esempj, 
raccolti  in  diverse  parti  del  Piemonte:  àu  àur  àura  ora,  adesso  (cfr.  sp. 
ahóra),  pd'i  paura  paura,  -màur  -maggiore,  nei  nnll.  Vaìmùur  Valmaggiore, 
Cavalermdur  Cavallermaggiore;  -atóre:  mùràu  muratore,  pescali,  cagàu, 
predicàu,puàur  'potatore',  mziirdur  misuratore,  stràu  becchino,  'sotterratore'  ; 


Appendice  ai  precedenti  '  Saggi  '.  2S1 

che  è  anche  del  mil.  [Inn]  e  che  sta  per  eano  (cfr.  tose,  enno,  bellinz. 
en;  enno:  e::  hantio:  lui),  ed  iren  'essi  erano';  trattasi  cioè  del  pro- 
nome proclitico,/  (=i  =  illi;  cfr.  heWmz.  f  en  sto j  'sono  stali',  J' eVaw 
staj;  ma  i  disan,  perchè  la  voce  verbale  incomincia  per  consonante), 
abbarbicatosi  alla  voce  verbale  per  modo  da  alterarne  la  tonica  \  ENS: 
verz.  tis  (Mt.)  satollo,  'tenso-';  cfr.  bellinz.  fisa  (mil.  fesa)  spicchio, 
'  fensa  '. 

[11  n.  La  possibilità,  che  nel  x>P  di  clnaepp  s'avesse  la  fignra  -pp- 
'=  -vj-,  era  del  resto  già  avvertita  dall'Ascoli  stesso,  Arch.  I  553,  giunta 
a  p.  254.] 

14.  Cr.  ojèrman  termine,  vjérmin  verme,  fjérva  febbre;  fòìeó  felce, 
num.  88;  l'ó  si  spiega  dalla  immistione  di  fòja  foglia.  —  G'wc^  piez, 
cfr.  Forster,  Rhein.  Museum,  XXXllI  296,  e  Seelmann,  Aussprache 
des  Latein,  104. 

[18  n.  Tolgasi  toc.  —  Risulta  quindi  manifesto,  che  Y  6  per  é  s'ha 
solo  quando  questo  si  trovi  nella  vicinanza  di  labiale,  di  nasale  o  di  l.] 

20-22.  Ons.  meghia  (Pap.),  cioè  mega  mica,  fachen  ^.  Circa  il  mal. 
séjen,  cfr.  num.  2  n.  —  Pel  verz.  gèra  (Mt.)  ghiro,  che  si  ragguaglia 
al  berg.  ^?er,  fr.  ?o^>,  cfr.  Meyer,  Schicksal  des  lai.  neutrums  im  rom., 
p.  16.  —  Pel  vm.  issa,  mal.  iste  adesso,  cfr.  Arch.  VII  553,  s.  'ussa'; 
pel  verz.  pissa  (Mt.)  pesce,  il  num.  52  n.  Sarà  poi,  con  molta  pro- 
babiUtà,  terziario  Vi  del  cv.  cajls  cispa,  quasi  'cachiccio',  avendosi 
anche  la  forma  cajés. 

24-25.  Vm.  paltoeucc  (Mt.)  pozzanghera,  verz.  zagoeutt  (Mt.)  ca- 
stagna che  non  allignò  il  frutto  e  non  è  che  la  scorza,  verz.  liffioeutt 
(Mt.)  labbra,  esempio  questo  in  cui  potrebbe  anche  aversi  una  forma 
di  solo  plurale,  cfr.  par.  VII. 

L'  e,  qual  ultima  risultanza  del  dittongo  dell' e',  è  pure  di  Mal.  ^:  fej, 
dej  giuoco,  med,  nev  (f.  ìicfoe;  nov  novera),  piev  aratro,  ^-plu  vo-'',  fìé 


-atório:  seda  camera  dove  si  fanno  essiccare  i  grani,  'seccatojo,'  scnhiur 
colatojo;  -  casal,  làura  laborat,  dove  però  potrebbe  essere  il  lau-  (Imo-)  di 
voci  che  accentuano  la  desinenza,  propagatosi  a  quelle  che  accentuano  il 
tema;  -atùra:  ressiéiira  segatura,  gàsté'dra  'aggiustatura',  tajéiira  'ta- 
gliatura' ecc.;  méiiru  maturo. 

^  Incsplicato  il  cr.  canìjila  candela;  non  giova  l'analogia  di  -ella,  poiché 
V -a  suol  qui  appunto  impedire  il  dittongo. 

^  Il  le.  dei,  dì,  ci  avverte  che  anche  in  mei  tei  del  u.  12  si  tratti  di  mi  ti. 

*  Singolare  è  favéà  favonio,  a  Muz.,  dove  suolsi  avere  costante  V  ci.  Cfr. 
però  tee,  num.  2.5  n. 

*  Occorre  la  ba;-e  piovo-  in  più  dialetti  dell'Alta  Italia,  e  così  nel  berg., 


2B2  Salvioni, 

figliuolo  [t  fì^le],  fesé  fagiuolo;  ev;  se  suo,  te;  -meri,  ert,  ei''h,perCr 
chern,  ess,  gress,  tsep  zoppo,  trep,  nest,  vest;  bets  vaso  (cfr.  hoz), 
chea,  seTi,  biséTi,  eg  occhio,  pieg  pidoccliio,  smej  ranno,  méje  le  molle, 
véje,  féje,  dèbie.  —  In  voci  verbali:  mo'ves  muoversi,  mar  *mórere; 
piov  \ 

27-31.  Saldo  a  Mal.  il  n.  28  (e  cosi  pure  il  n.  23:  vus,  pr«5im).  Ma 
per  V  ìV,  comunque  surto,  v'è  costante  l'i;  onde  v'è  piena  quella  ca- 
ratteristica, di  cui  neir  Esordio  mal  sapevamo  decidere  se  fosse  di 
continuazione  monferrina  o  soprasilvana:  in,  indes  undici,  line,  din 
giugno,  brin  prugna,  chi  culo,  mil,  lì  '^lij  luglio,  dir,  sighire  sicura- 
mente, sjir  scure,  n.  43,  fìm,  brhne  autunno  ^  'bruma',  cliirt  corto, 
(lomb.  cùrt),  dì  *dij  io  giuoco  (lomb.  g'àghi),  frite  'frutta',  trite  trota, 
(lomb.  truta),  vits  acuto,  gist,  sic  asciutto,  rie  rutto,  fiss  fossi  ecc. 
(lomb.  fùss),  mit  xanio,  -id  =  -\\io:  eicgliid  veduto,  ^ey^V?  saputo,  gudid-, 
-  livì  lupo,  n.  30;  -  per  i='ii  di  pi.,  v.  par.  XII.  Il  mnz.  crust  del 
n.  31   è  forma  di  plurale. 

33.  Vm.  giva  dicebam  -t,  '^d'ziva  (per  g'=dz  cfr.  anche  ggra=d'kgra^ 
'di-sopra',  in  qualche  varietà  pedemontana),  mal.  tnàge,  recipiente  per 
l'acqua,  ^tinacicla,  vm.  pnau  (Mt.)  siero  del  burro  pannato,  vm.  dsóo 
forse,  '^nsòo^no  sòo  'non  so  '  ^,  vm.  cristla  (Mt.  Par.,  14)  carestia, 
mnz.  scravdg  scarafaggio,  mal.  fruséte  forbici  (mil.  foresetta);  -  mal. 
ewtsije  vescica,  ercérie  lettiera,  n.  36,  vm.  lamnagia  (Mt.)  zangola, 
'^avnagia  =  '^apnagia  (cfr.  audéja  °  '^abdeja),  con  vn  assimilato  par- 
zialmente in  mn,  come  nel  piem.  rimi  =  *yni  venire,  e  nel  berg.  zumna 
^'^zuvna  giovane;  cfr.  n.  119. 

34.  Verz.  gentà  (Mt.)  figliare,  'genitare',  cr.  sirvin  n.  121. 


nel  bresc,  nel  tridentino,  nel  mant.,  nel  parin,,  nel  boi.  ecc.,  e  occorre  dap- 
pertutto coll'o.  Vorrà  dire,  almeno  per  quei  dialetti  che  non  ricusano  il 
dittongo  dell' 0,  che  piev  si  contrappone  fi  pio,  come  Jo,  bue,  e  to  so  di  certi 
dialetti  si  coutrapjìougono  a  b'ó  to  so  di  certi  altri  (cosi  berg.  tg,  mal.  te). 
Per  l'etimo  della  nostra  parola,  cfr.  Diez  less.  s.  aratro,  e  Schmeller,  Rom. 
volJiSnmndnrten,  p.  163. 

1  A  Ronco  s.  Ascona,  villaggio  situato  sull'orlo  della  nostra  zona,  cioè  al 
versante  hicoano  della  catena  di  Centovalli,  la  risultanza  ultima  del  dittongo 
dell' 0  è  p:  fpg,  npf  (cfr.  nova),  pisrj  pero,  fas^;  pò  poi;  trop,  orb  (f.  orba), 
vpja.  Lo  stesso  fenomeno  è  nel  dialetto  di  Lodi,  dove  dicesi:  vul  vvlQÌq,  pul 
può  'puole',  bruci  (mil.  brbd),  mud,  fiala,  scala;  vui  voglio,  ecc. 

2  Curioso  rincontro  del  nostro  brlme,  che  è  di  schietta  evoluzione  popo- 
lare, col  brumaire,  dotta  elaborazione  dei  riformatori  francesi  del  calendario. 

^  Potrebbe  però  anche  essere  il  caso  di  'n  soo,  cioè  di  'n,  risultanza  elittica 
di  non. 


Appendice  ai  precedenti  *  Saggi  '.  253 

35.  Mal,  s(fzre  suocera,  vra.  mèdia  (Mt.)  falce  fìenaja,  vm.  porta- 
pisfri  (Mt.)  chiaccherone,  'porta-epistole'  (cfr.  lev,  jnstri  Mt,,  rap- 
porti), verz.  sosémbra  semente,  dov'è  di  certo,  comunque  s'interpreti 
il  so-,  -sémina  o  -sé mula;  cfr.  anche  i  soliti  sindra  ecc.,  n.  116. 
[Circa  il  vm.  zelt  zelta,  cfr.  geld  (Mt.)  di  Valtellina,  forma  questa 
che  risponde  bene  a  gelido.  Ora  da  gelido  si  potrebbe  forse  dichia- 
rare anche  la  forma  vm.,  ponendo  che  -Id,  ridottosi  all'uscita  a  -It, 
abbia  poi  portata  questa  riduzione  anche  nel  fem.;  cfr,  il  frc.  veri  verte.] 

36.  Cr,  segroio  sagrato,  redisa  radice.  Caratteristica  spiccata  di 
Mal.  mi  risulta  poi  questa  :  che  vi  si  riduca  ad  e  ogni  a  protonico, 
quando  la  vocale  tonica  sia  i  od  e  ^  :  credije  sgabello.  Merle,  fedije 
fatica,  vei  badile,  n.  108,  cJiewplne  calce,  eionitse  alno,  gheline,  chevi 
capelli,  redls,  ewri  aprile,  feits  faggio,  ebid  avuto,  sevid  saputo,  eictsije, 
n.  33,  33;  -  ercérie  lettiera  (ma  alvóv  lievito),  chmolèrie  caldaja, 
ewghé  vedere,  e'zéd  aceto,  merté  martello,  perpé  sarchiello,  eiodé  vi- 
tello, emU  miele  (cfr.  mnz.  amìl),  fesè  fagiuolo,  chesténe,  velerie 
vallata,  vele  valere,  seve  sapere,  mejésfer  maestro,  ebiéje  abbiate, 
evéd  abete;  -  colla  tonica  preceduta  da  due  a:  tsevetin  ciabattino, 
revenin  ravarino,  selemin  salamino  (ma  salamun);  -  chevelé  caval- 
lante (ma  cavalànt),  segrement;  e  qui  andranno  pure  registrati  bele- 
rine,  Cheteline,  Mergherlte,  cfr,  n.  37,  —  Giova  inoltre  riconoscere 
la  costanza  della  nostra  legge  anche  nella  flessione  nominale  e  verbale. 
È  la  norma  per  cui  s'  hanno  i  pi.  chetsedir,  peschedir,  pestir,  sunedir, 
cheredir,  -  bestérd,  meféts,  ghelSts,  selém,  meJévi,  pereclìer,  chevelets, 
ìneteréts,  di  contro  ai  sng,  catsadur,  pescadur,  pastur,  sunadùr,  ca- 
radur,  -  hastdrd,  matdts  ragazzo,  gatdts,  salàm,  malàvi  ammalato, 


*  I  materiali,  che  ho  in  pronto  per  Mal.,  non  mi  consentono  di  formulare 
la  legge  con  maggior  precisione;  non  posso,  cioè,  sapere  se  là  dove  due  o 
più  a  protonici  appajou  ridotti  ad  e,  si  tratti  sempre  della  sola  e  diretta  azione 
dell' ^'  0  dell' é,  o  non  piuttosto  dell' e  (=«)  che  immediatamente  precede 
alla  tonica,  il  quale,  assimilatosi  prima  esso  stesso,  si  sia  poi  assimilati  gli 
altri  a  che  gli  precedevano.  Di  a  che  riducesi  ad  e  anche  davanti  ad  e  od 
i  atoni  sono  esempj  cherimd  calaraajo,  revetin  strumento  che  serve  ad  af- 
fettare le  rape,  'rapettino',  federe  (cfr.  bellinz.  fiadlro)  queli'  apertura  che 
si  lascia  alla  botte  perdio  abbiano  sfogo  i  vapori  della  fermentazione  del 
vino,  'fiatajuolo';  d'altra  parte:  a  curin,  di  fronte  ad  e  perlerén,  parrebbe 
avvertirci  che  gli  effetti  della  tonica  non  sogliano  manifestarsi  quando  tra 
questa  o,  Va  interceda  un'altra  vocale  che  non  sia  e  od  /,  e  avvertirci  in- 
sieme che  in  esempj  come  HecremSnt  (per  il  primo  e,  s'intende)  ecc.  e 
quindi  anche  in  cherimd,  si  tratti  non  d'altro  che  dell'influenza  dell'*  o 
dell'  e  atoni  che  susseguono  ali'  a.  Ma,  ripeto,  gli  esempj  sono  troppo  scarsi 
per  concederci  una  conclusione  sicura. 


231  Salvioiii, 

paracdì\  cavaldts,  matardts;  e  nel  verbo:  mandóv  di  contro  a  mendej; 
parla  paridsseìt,  ma. per Uss  'voi  parlaste',  cong. ;  sfracassa,  ma  sfre- 
chesséj  voi  fracassate;  parlard  parlard  parlardn,  vaa,  per  Ieri  parle- 
rete, perlerén  parleremo.  Ancora  notinsi  e  perjerén,  dove  è  il  caso  di 
tre  a  protonici  [a  parlarèm),  e  zberén  spariamo;  ma,  col  pronome 
nella  solita  forma  ài  a:  a  manddve  io  mandava,  a  citrin  noi  corriamo. 

37.  Verz.  sairòt  (Mt.)  scure,  cr.  naséla  n.  32,  vm.  padagn  (Mt.) 
pedule,  calò  (Mt.)  qui,  iut.  panàga  n.  2  n,  mnz.  marlóta  merlo,  cmp. 
quari,  par.  VI  n,  vm.  santèi  (Mt.)  sentiero.  Il  fenomeno  occorre  in  larga 
misura  anche  a  Mal.:  parcóv  cercato,  mand,  satdss,  sedersi,  salvddi, 
prasiin,  saddts  staccio;  ma  qui  l'attività  sua  trovasi  apparentemente 
limitata  per  gli  effetti  di  cui  si  tocca  nel  precedente  numero;  e  dico 
'apparentemente',  perchè,  ove  si  considerino  esempj  come  seféj  allato 
a  satóv,  menéj  'voi  menate'  allato  a  mand,  parlard  allato  a.  per  Ieri, 
si  concederà  facilmente  che  joevide  pipita,  seredire  serratura  ecc.,  sien 
da  tenere  per  dirette  provenienza  da  '''pavide  '^saradire  ecc. 

38.  Mnz.  sirvéj  cervella. 

39.  Verz.  sgiumèla  (Mt.)  gemella,  sciovéra  (Mr,),  mnz,  luvina  lavina, 
mal.  sluvd  dileguare,  num.  33,  39,  100;  verz.  sugura  (Mt.)  scure. 

40.  Saldo  Y  it  anche  a  Malesco. 

41.  Verz.  shid  (Mt.)  allato  al  vm.  sbojd  (Mt.)  lavare  i  vasi  dal  latte 
nell'acque  fervente  (cfr.  cer.  zbiijé),  mal.  bildche  sterco  di  vacca,  pa- 
rola derivata  da  'bollo'  (cfr.  bellinz.  bojdca;  J=  II).  Qui  ancora  il  verz. 
diciÒQ  (Mt.)  ottobre  '^-'ùcó,  n.   119  \ 

41  b.  e^o  protonico:  mal.  cumedevire  'accomodatura',  verz.  sesé'i 
molto  (vm.  mil.  sosén\  cioè  a-so-sen  'a  suo  senno'  (cfr.  anche  il  verz. 
asasèn  Mt.)  -. 

42.  Verz.  brinèta  grillo  bruno,  smra.  sidù  sudato;  e  superfluo  soggiun- 
gere che  Vi  per  u  atono  è  saldo  anche  a  Mal.:  lisdrp  ramarro,  biravùrie 
zangola,  'burratoria',  limdje,  jidd  ajutare,  dijd  giuocare,  chigd,  ecc. 


1  Nel  sinonimo  verz.  inciò  (Mt.),  o  è  n  epcntetico,  o  la  diretta  sostituzione 
di  in-  ad  i-;  cfr.  tiran.  insét  (Mt.)  eccetto,  lomb.  instess,  insir,  Imbriug  ecc. 
Arch.  Ili  442  sgg.,  I  5S3. 

^  Spetta  a  questo  num.  anche  il  verz.  vetas  (Sx.,  20)  buttarsi,  lezione  confer- 
mata dal  Mt.,  che  registra  e  traduce  vetta  pel  com.  'volta  via'.  —  bete  mettere 
(cfr.  piem.  hiXté),  è  anche  dell'Alto  Monferrato,  ma  il  nostro  esemplare  ha  in 
proprio  il  V-,  che  forse  conferma  1'  etimologia  che  suol  darsi  di  buttare. 

^  Usàri  risponde  al  fr.  lézanl;  e  come  in  questa  forma  s'ammette  lo 
scambio  della  uscita  -erto  (Incerto)  col  suffisso  -ardo  (*lt(éarcIo),  così  ve- 
dremo nel  nostro  esemplare  un  ulteriore  scambio  di  -arci  (ridotto  forse  ad 
-ar ,  cfr.  num.  105-6)  con  -drio. 


Appendice  ai  precedenti  '  Saggi  '.  25S 

43.  Verz.  piron  (Mt.)  calderone  '^pairòne-,  sbniroéu  (Mr.)  n.  1  22  n, 
ma  minairola  mattarello  della  zangola;  mal.  frel  fratello,  treni  tri- 
dente, n.  103-4  (cfr.  mi),  triènza),  pùrie  paura  "^pavoria  \ 

[43  u.  Sulla  riva  destra  del  Ticino ,  a  mezzogiorno  del  ponte  di 
Bellinzona,  mi  venne  fatto  di  udire  anche  la  risoluzione  di  fj  in  s  c\\e 
suole  andare  parallela  a  quella  di  pj  bj  in  e  g  ^•.  su  fiore,  sur  Ida  fio- 
rita, sadd  fiatare,  sdma  fiamma,  ecc.] 

44-48.  Costante  a  Mal.  1'  -e  ^  per  -a  :  piante,  femne,  spine,  védue, 
hewle,  chessine,  sire,  pire  cera,  sozre ,  nore^  sede,  pene,  lavùste, 
urégge,  crée  creta,  vnunée  moneta,  cheiclérie  n.  105-6  n,  pùrie  n.  43, 
parie  pajo  n.  3;  mije  mica,  sighire  sicuramente,  iste  adesso;  trente, 
qtcarante;  quente  bisogna,  porte  portat  -a,  portdve  portabam  -t, 
purféje  num.  129  b,  tese  taceat,  ere  eram  -t,  sie  sia,  ecc. 

Al  posto  dell'  -o,  dopo  nesso  mal  pronunciabile,  s'  ha  -i  nel  verz. 
forni  (Mt.  s.  'rosti'),  cui  s'aggiunge  il  cer.  culostri  n.  25.  Il  vezzo 
è  anche  di  più  d'una  varietà  pedemontana;  e  sarà  1'  -it=>-e,  di  parole 
come  stlmbri  ecc.,  estesosi  a  parole  come  forno  ;  il  contrario  di  quello 
che  è  avvenuto  per  setémbru  ventru  ecc. 

Di  -a,  desinenza  di  parole  indeclinabili,  si  hanno  suppergiù  i  soliti 
esempi  lombardi;  ma  è  nuovo  il  vm.  minta,  n.  33b  *. 

49.  Mal.  :  dej  giuoco,  dije  ei  giuoca,  da  già,  dùven  giovane,  dina 
digiunare,  débie  giovedì,  din  giugno;  cfr.  n.  101. 

50  n.  Mal.:  cava  -aj,  gal  gaj,  pjal  paj ;  merté  -èj ;  fesè  -ej,  ecc. 

52.  Mnz.:  cabdn  -aj ,  funtdj,  ni.,  'fontane',  setmdna  -aj ,  susdna 
donna  civettuola,  sìisdj,  p'àtdna  -aj;  mal.  ìuatdj  ragazze;  mal.:  pah 
pane  paj,  gran  grej,  pian  piej,  cah  cJiej,  san  sej,  Cristian  -aj,  peisdh 
-aj  ;  -  mal.  pte;*  pieno,  pi.  Costante  poi  anche  a  Mal.  V  -ùj  =  -ónì: 
putlùn  piagnolone,  -ùj,  ecc. 

[52  n.  Agli  esempj  di  forme  di  pi.,  estesesi  al  sng.j  aggiungasi  il  mal. 
tnùnes  sagrestano,  esemplare  che  ci  rassicura  pienamente  anche  intorno 


^  purie  ci  avverte  che  nel  iniirùs  del  u.  39  sia  *pavot'ius,  non  *puvirùs. 

2  Mi  si  conceda  aggiungere,  a  proposito  di  g  da  bj,  che  ho  sentito  da 
gente  di  Roraagnano-Sesia:  genca  =  h\&nc^;  esemplare  non  indegno  di  nota, 
poiché  spetti  a  regione  intermedia  tra  le  Alpi  e  la  Liguria. 

^  E  un  -e  che  volge  assai  chiaramente  ad  -e. 

*  Registra  il  Mt.  anche  minte;  e  si  spiegherà,  come  si  spiegano  i  lombardi 
come  cose.,  per  mini,  più  la  3»  pers.  sng.  ind.  pres.  del  verbo  sostantivo.  Da 
modi  di  dire,  tuttora  in  uso,  come  cuse  eh'  el  g'  a  'cosa  è  che  egli  ha',  come 
eh'  el  sta  'come  è  che  egli  sta',  cuse  cume  minte  son  passati  a  far  le  veci 
di  come  cosa  mini  in  modi  come  ctisé  'l  r/'  a,  cnmé  'l  sfa  ecc.,  nei  quali 
l'-e  non  è  punto  legittimo.  —  Lo  stesso  ragionamento  valga  per  (Iure  dove. 


236  Salvioui, 

ad  aììils.  E  da  un  antico  plurale  '^piss  avrà  sua  ragione  il  verz. 
pissa  pesce,  regi.strato  dal  Mt.  —  Che  se  è  concesso  oltrepassare  d'al- 
quanto i  limiti  della  nostra  regione,  ricorderemo  anche  il  tor,  c'imu.j 
che  il  Sant'Albino  registra  come  plur.  di  óm  uomo,  ma  che  nel  contado 
tor.  odesi  indifferentemente  per  entrambi  i  numeri,  e  il  lomb.  pisèlli, 
parola  importata  certamente,  ma  che  pure  vale  come  es.  del  processo 
di  livellamento  che  è  qui  considerato.] 

53-55.  Quando  nel  rimanente  della  regione  s' abbiano  s  e  z,  z  e  z 
rispondenti  a  tj  dj  cj  gj,  Malesco  suol  offrirci  un  suono  ch'io  non 
so  meglio  esprimere  che  per  ts  ds  ':  ewnitse  alno  fcfr.  cr.  aniisa), 
matats  ragazzo,  gatats  gattaccio,  mustats  viso,  catse  tajza  (cfr.  il 
chaga  dell' Ant.  par.)  ^,  pitsd  accendere,  smurtsd  spegnere,  matsd,  cat- 
sadur;  curedse  correggia,  leveds  laveggio,  meds  mezzo,  ecc. 

56  n.  a  ni  mallo  occorre  nella  Mostra  del  Catechismo  offerta  dal 
Mt.,    Voc.  XXXV, 

57.  Mal.  :  sowl  n.  105-6,  vowt  svolta  [vnftd  voltare  n.  66),  mud 
mungere,  pure  polvere  ^,  dup  dolce.       Ma  culp,  vulp. 

58.  Mal.:  cavd  cavallo,  pé  cielo,  su  sole,  fé  fiele,  -elio:  merté, 
perpé  (ma  frel  fratello),  -ólo:  lentsé  lenzuolo,  fesè  ecc.;  mnz.  stl 
sottile,  porsi  porcile,  e  anche  '  sterco  umano  '. 

65  n.  Mal.  :  pfete,  pfèrie  ^. 

66.  Per  il  io  (v)  assorbito  da  precedente  vocal  labiale,  vedi  anche  il 
n.  1 08,  e  aggiungi  :  cr.  frosa  le  forbici  '"froivza  '^fróhice,  mal.  fru- 
sete  (cfr.  però  il  mil.  foresetta),  cr.  gùdi  n.  109,  mal,  dup  dolce, 
mii^d  molgere,  dune  f.,  giovane  (cer.  zona),  cr.  nu'ru  nuvolo,  dove  V-u 
ci  attesta  la  fase  -vru.  È  doppio  l'assorbimento  nel  mal.  pure  polvere, 
*pgio-vra.  Rimane  il  ■?(?,  perchè  preceduto  da  o,  in  soiol  soldo,  vowt', 
ma  vuftd  a  Mal.,  dove  l'analogia  àeW oio  delle  voci  rizotoniche  impedi 
r  assorbimento,  a  condizione  che  il  io  si  tramutasse  in  f. 

67.  Cr.  védula  vedova. 


'  Cioè  tQ  dz,  e  s' intende  che  ciascun  elemento  v'  è  pronunciato  distinto, 
onde  un  proferimento  diverso  che  non  pegli  schietti  z  z.  —  Mal.,  del  resto, 
risponde  cosi  a  tutti  gli  z  /  del  rimanente  della  regione,  che  non  risalgano 
a  e;  e  perciò:  tsep  zoppo,  tsat  rospo  {sat),  schitsd  schiacciare,  ts$vetin  cia- 
battino (savatin);  e  anche  ewtsije  vescica,  *avsija;  cfr.  n.  71. 

*  Int.  tosa,  forse  per  influenza  d'un  *casa. 

^  pora  polvere  pirica,  di  Grana,  sarà  forse  parola  importata.  La  giusta 
forma  pólvar  dice  'polvere'  nel  significato  più  generale. 

*  È  es.  in  tutto  analogo  il  monf.  pfta  pipita  (casal,  pwija).  A  Mnz.  il  / 
■di  sfeta  ha  un  suono  eh'  io  definil'ei,  per  non  saper  di  meglio,  la  tenue  di  w. 


Appeudicc  ai  preccdculi  '  Siiggi  '.  257 

70.  Manca  que.^to  num.  a  Mal.  e  a  Sram.;  e  perciò,  molto  verosi- 
milmente, anche  a  VI. 

71.  E  nella  combinazione  sintattica:  mnz,  a  savevi  'io  sapeva',  ma 
ol  zavevi  'lo  sapeva',  el  zg  'il  sole',  per  zdlit  ecc. 

72-73.  ]\Inz  :  sord,  suga,  sala  volare  'ex-alare'  (non  "^salare,  come 
mi  suggeriva  il  cv.  sala,  §  II);  sàmen  sciame. 

74.  A  Malesco  s'ha  costantemente  -k  per  -m  all'uscita  verbale,  tanto 
ossitona  che  parossitona  (cfr.  Ardi.  II  397)  :  purtén  '  noi  portiamo  ', 
seh  'noi  siamo',  eh  'noi  abbiamo';  purtdveìi  'noi  portavamo',  teséjen, 
cong.,  'noi  tacciamo'  n.  129b,  purtdssen  'noi  portassimo';  éjeHj  cong., 
'noi  abbiamo',  séjen,  cong.,  'noi  siamo',  éreh  'noi  eravamo*.  MN: 
verz.  sonno,  (Mt.)  seminare;  pel  or.  fé  (ma,  v.  il  n.  121. 

75.  A'erz.  nap  (Mt.)  scodella,  'nappo',   cr.  nìlza  milza  (rail.  nilza). 
11.  Mal.  riduce  a  -h  anche  il  -n  di  parole  sdrucciole:   dùveh   ^ìo- 

\a,iie,  "vérmen,  ònmen,  férnmen;  po'rt§n  i)ortsLno,  purtdveh,  purtdssehj 
ireh  erano,  ecc.  ;  e  diverge  dal  vezzo  generale  della  nostra  regione,  eh'  é 
anche  il  vezzo  lombardo,  pel  mantenere  che  fa  il  in  dei  pi.  fem.  di 
contro  al  m-  del  sng.:  ghelin  galline,  ran.  Ha  inoltre  in  per  di  in 
voci  verbali  sul  genere  di  in  sono,  an  hanno,  vezzo  questo  che  ricorre 
anche  in  varietà  pedemontane. 

78.  Ym.  cela  (mnz.  cala),  la  strada  tagliata  nella  neve,  'calle';  e 
con  'calle'  si  connette  certamente  card,  stradicciuola  selciata,  'callata'. 

78b.  Mal.  sgurddss  ricordarsi;  cr.  cgnga  (mnz.  conca),  vaso  del  latte, 
'conca'. 

82.  83.  84,  Cr.  c'ùsiri  cugino.  —  Ma  l'intr.  quectlm  rappresenterà 
"iiualkjùno  ^qualche-ùno  ;  altrimenti  non  s'avrebbe  il  le.  quichiim  (Pap.); 
cfr.  n.  27  e  i  le.  cJter  chern  chea,  *cuérn  ecc.,  -non  *cuern  ecc. 

85.  Mal.:  pé  cielo,  pire  cera,  parcóv  cercato,  pésped  cespuglio, 
pene,  peni,  pinq,  pentire  cintura,  peadra  cenere,  pfete,  pférie.  —  In- 
tatto il  6  a  Smm:  cispad,  cent  ecc. 

87.  Mal.:  chewpine  calce,  faicp  falce,  dup  dolce,  pe^pé  sarchiello, 
'sarcello'  n.  110.  —  Costante  il  e  a  Smm.  caucina,  fané  ecc. 

88.  Mnz.  zone  aggiunto,  cr.  fóìéó  n.  14. 

90.  Mal.  chelchevrin  qualcheduno  (vm.  quacavrìVn)  ^ 


'  Non  so  resistere  alla  tentazione  di  citare  il  cv.  sjidsè  schiacciare,  che  va 
coi  grig.  sqjiicctr  ecc.  e  col  lomb.  scliisd  (in  qualche  parte  scusa).  Si  tratta 
certamente  della  parola  gerra.  che  ancora  si  continua  nel  ted.  quetschen.  Il 
klahjan,  da  cui  l'it.  schiacciare,  avrebbe  dovuto  dare  in  Lombardia,  e  nella 
nostra  regione,  scisd,  e  più  regolarmente  ancora:  scasa.  Cfr.  Muss.  bcitr.  102. 

Archivio  glottol.  ital..  IX.  17 


2f)8  Salvioni, 

91.  Mnz.  ganivcl  sparviere  (lomb,  ganivél);  esemplare  anomalo,  e 
per  l'alterazione  di  ga-  atono,  e  per  la  fase  dell'alterazione. 

91b,  Mal.  calùn  coscia.  Il  c-°g-,  in  quest'esemplare,  ó  anche  nel 
lev.  e  tra  i  Ladini. 

92.  Cr. :  ficUg,  salvcidig,  campanddig  ecc. 

93.  Mnz.:  lajcta  palude,  haj  '^•bago  ^,  che  dice  rettile  in  genere  (cfr. 
valt.  verni  Mt.,  rettile,  biscia,  serpente),  hajarò't  lombrico,  pijà  ac- 
cendere *pic-are  (pic-s),  codi,  f.,  terreno  coltivato,  cfr.  bellinz,  cgdiga 
e  il  n.  44.  A  Mal.  il  -g-  ci  appare  nelle  stesse  condizioni  che  a  VI,  : 
pajd  pagare,  smantijd,  sijd  mietere,  dijd  giuocare,  fedìje,  credije, 
ewtsije,  limdje,  mije,  dej  giuoco,  fej,  laj,  spaj,  stdmmi,  persi,  salvddi, 
cumpanddi,  c^sti  'ostico',  nella  locuzione  meni  <^sti  vomitare,  'venir 
ostico';  cfr.  il  n.  129b. 

94.  Qui  due  esemplari  in  cui  s'ha  ne  da  ng,  e  pei  quali  varrà  la 
dichiarazione  che  di  zelta  si  dà  al  num.  35:  vm.  mazlnca  formaggic) 
che  si  fa  di  maggio,  'maggenga',  e  cr.  reménca,  capra  che  é  giunta 
al  terzo  anno  senza  figliare,  'raminga'. 

95-98.  Mal.  sjir  scure;  cr.  sigurtd,  spaguroio  pauroso  'spaurato'. 

100.  Mal.  sluvd  dileguare. 

101.  zenziva;  -  mal.:  dent  gente,  déner  genero,  dinùg  ginocchio; 
led  leggere;  piand  piangere,  strend  stringere,  tend  tingere,  miid 
mungere.  —  Intatto  il  ^  a  Smm. 

102.  Mal. :  mdjer,  néjer,  djer,  éjer  num.  2  n,  sariov  num.  121  ;  - 
séjle  segale. 

103-104.  Mnz.  madgm  mattone.  —  Molto  più  frequenti,  che  non  nel 
resto  della  regione,  i  casi  di  dileguo  a  Mal.:  cliejna,  pejla  n.  11-16, 
munée  moneta,  cree  creta,  quee  voglia  (cfr.  lev.  queda,  Arch.  I  266j, 
re  rete,  gudts  padrino,  cfr.  il  lomb.  g'ùddz,  frél  fratello  (quest'esem- 
plare registra  il  Mt.  anche  per  la  Vm.),  miùlle  midolla  (vm.  noia), 
prew  prete,  vei  n.  108,  treni  n.  43,  maldvi  ammalato,  cfr.  Arch.  VIII 
367,  héiole  betulla;  hiravùrie  n.  42.  cumedevire  n.  41b;  cr.  puvija 
pipita.  Di  quasi  intera  la  regione:  sdhu  sabato. 

105-106.  sQicl  è  pure  a  Mal.  e  a  Smm.,  e  s'aggiungono  cciìol  caldo 
e  gdvul  giallo  (lomb.  gald)  ^.  —  Cr.  gal. 

107.  PN:  vm.  lamnagia  (Mt.)  zangola;  cfr.  n.  33. 

108.  Mal.  vel,  cr.  vadil;  il  v-  =  b-  é,  in  questa  parola,  anche  per  gran 
parte  del  Piemonte  [véj  véjl  vejr;  ma  canav.  béjl,  cfr.  n.  11-16  n). 


^  Cfr.  Arch.  II  3o-6  ;  il  tipo  *h  a  e  o  sarebbe  così  provato  anche  per  la 
Lombardia;  e  il  verz.  bagarot  ecc.  ne  sarebbe  una  derivazione. 

^  Sono  poi  calcati  sul  mascolino  i  feminili  càwìe  gàicle  e  i  derivati  del 
genere  di  cheiolérie  caldaja. 


Appendice  ai  precedenti  'Saggi'.  2o0 

109.  Cfr.  il  n.  11-10.  —  Cr.  gùdi  giovedì  n.  06,  forse  per  infiuenza 
di  jovia.  110.  Mal.  Jìerjjè  n.  87.  IH.  Verz.  sencia  (Mt.)  cinta, 
n.  88;  cr.  sist  cespuglio,  cr.  lavarln,  mal.  remnln  ravarino.  11-1. 
Cr.  vuldc  allocco  (cfr.  mil.  orde].  116.  sosémbra  n.  35;  cr.  amhiéz 
abete  (cfr.  lomb.  ahiez).  119.  Vm.  lamnagia  n.  33,  verz.  lucena 
(Mt.)  n.  88.  120.  Cr.  npula  lucertola  ^  121.  Comune  anche  a 
Mal.  l'invertimento  di  Jr  +  voc.  in  rj  +  voc:  parie  pajo  ;  primevérie 
n.  12  n;  chewlérie  n.  105-6  n,  mulinérie,  pférie  n.  65  n;  e  saranno 
da  *pùire  ecc.:  pùrie  n.  43  (cfr.  vi.  pwi>?«s  =  mal.  pHr?«5\  biravùrie: 
sariòv  sagrato  (cfr.  cv.  sairdio)  ''.  —  Normale,  o  quasi,  a  Crana  il 
passare  alla  sillaba  iniziale  dei  r  di  seconda  sillaba,  il  quale  si  trovi 
dietro  ad  altra  consonante,  specie  a  v:  fjérva  febbre,  arvéga  orecchia  ^, 
fervéj  febbrajo,  slrvin  gerla,  ^civrìno  ^civermo  ;  mal.  credije  sga- 
bello (lomb.  cadréga);  -  frèsa  n.  QQ.  Qui  stia  ancora  il  cr.  /cima  fe- 
mina,  che  può  essere  o  '^femla  '^flema  (cfr.  fùmra  e  fruma  in  varietà 
pedemontane)  o  '^fcnma  •=  fèmna. 

123.  Aggiungi  cala  n.  78,  cr.  redlsa  radice,  frosa  n.  66. 

128.  La  desinenza  -a  [-e;  cfr.  n.  44-8)  è  gradita  anche  a  Mal.  nella  2"^ 
pi.:  jjurtìve  portavate,  sire  eravate,  inirteje  n.  129 b.  Ma  purtlss 
'che  voi  portaste'. 

129  a.  Anche  Mal.  perde  V  -o  della  l''^  sng.  indie,  pres.  r^^prf,  mand, 
seni;  per  la  1*^  pi.  s'ha  uniformemente  -émo  in  tutte  le  conjugazioni: 
purfén  tesén  senfén;  cfr.  n.  74. 

129  b.  Il  tipo  'dicatis',  esteso  analogicamente  a  tutta  la  conjugaz., 
ricorre  anche  a  Mal.:  purtéje  portiate  (2^  ìnA.  purtej\  tesije  (2*  ind. 
tesi),  sentlje;  e  a  Mal.  può  aversi  anche  l'estensione  di  'dicamus': 
teséjen  'che  noi  tacciamo',  dove,  per  la  tonica,  va  considerato  l' indie., 
oltre  le  forme   di  cong.  purfén  sentén;  cfr.  anche  éjen  séjen  n.  2n. 

132.  Cfr.  i  seguenti  esempj  dell'uso  di  hù:  dapós  che  l'aa  bù  consu- 
mèc  'poi  che  ebbe  consumato'  (Mt.  par.  verz.,  14),  l'è  bit  'fu',  cand 
re  buda  (Pap.)  'quando  fu'. 

133.  Cfr.  num.  2n,  8.  Per  via  dei  n.  27-31,  a  Mal.  coincidono  -ito  ed 
-lito:  sevid  saputo,  sentid  sentito. 


'  S'ha  cioè  nel  rimaueule  della  regione:  loppa  (Mt.),  lapida,  lopra,  mnz. 
làpul  (V.  Anz,  rapala,  mal.  tardpule).  Ma  l'etimo  è  incerto,  e  queste  forme 
forse  presentano  l'agglutinazione  dell'articolo. 

^  Ma  màjre,  rdjre,  ìic-jre,  certo  per  influenza  dei  masc.  majer  ecc.  — 
Mal.  f<ejle. 

'  Cioè  *acréga,  cfr.  n.  43  n.  La  provenienza  di  quest'esemplare  vieta  che 
si  pensi  a  *orega  secondo  die  in  quel  luogo  si  propone. 


2G0  Salvioni,  Appendice  ai  precedenti  '  Saggi  '. 


AL  'SAGGIO  ir  '. 

§  I.  Mal.:  car  cer,  ìuar  amaro,  oncr,  ram  rem,  rdjer  réjer;  dseh 
'sen;  rat  ret,  gat  ghet,  sass  sess ,  matdts  metéts  n.  36,  fac  feó; 
qicant  quenc,  tant  tene,  grand  greag,  camp  chemp\  y.  n.  36. 

§  Un.  Il  ranz.  zimp  è  uno  sbaglio  della  mia  fonte.  S' ha  in  realtà 
quello  che  s'aspetta,  cioè  cemp  ;  cfr.  anche  mnz.  pérapan  pampino, 
sng.  e  pi.,  cr.  grand  greng,  camp  chemp. 

§  ITI.  Mal:  1^  ^\.  purtdven  portavamo,  2''  ])\.  purtive;  l^'  pi.  pur- 
tdssen  'che  noi  portassimo',  2^  pi.  purtiss"^. 

§  V-VI.  Mal.:  muréoul  ìnurivul,  prev  priv  uum.  103-4,  iévi  tivi; 
pé^si  pirsi,  pecóen  pìccen;  ferm  firm,  verd  vìrd,  tene  tino,  strenc 
strine;  -  cr.  hrèvad  gelato,  intirizzito,  hrivad. 

\^  pi.:  teseven  tacevamo,  2^  tesive,  é^en  eravamo,  sire:  teséssen 
tacessimo,  tesiss  ^. 

§  VII.  Per  gli  effetti  del  n.  24-25,  la  formola  di  Mal.  sarebbe:  e  da 
O....Ì;  ma  ho  per  ora  il  solo  esempio:  sng.  scop,  pi.  sóep. 

§  XII.  Per  il  ridursi  che  fa  a  Mal.  1'  «  ad  i  (cfr.  n.  27-31),  la  for- 
mola di  questo  §  qui  suona:  t  da  v  . .  .  .  i.  Es.  :  cuhb\  pi.  culir,  dulùr 
duUr,  fiur  fjir,  murus  muris,  purius  purjls  num.  121;  spiis  spis; 
dàven  dlven,  stèmmi  stimmi,  mùnes  mines  num.  52  n;  culp  chilp, 
dup  dip,  russ  riss,  top  oscuro,  tip,  limg  ling,  punt  ^nnt,  punó  pine; 
cfr.  n.  36  ^ 


>  A  Mal.,  l'inlluenza  dell'-i  s'attenua;  la  declinazione  ancora  se  ne  risente 
in  larga  misura,  ma  la  conjugazione  vi  si  sottrae  pressoché  intieramente. 
■-'  Ma  l''  sng.  jncrtdve,  2''  purtàvet. 

^  Sng.:  1*  teìéoe,  2*  iesecet :  1"  ère,  2''  S>'§i',  !■*  teséss,  2^  tesésset. 
^  Ma  i  fem.,  pur  di  3%  rimangono  inallcrati:  sng.  e  pi.  vulp,  sril  sorella. 


IL  DIALETTO  CATALANO  D'ALGIIKRO. 

S  AGOIO 

DI 

I*.    E.    GXJAHlNEFtlO. 


Sommario.  —  Avvertenza  preliminare.  —  §  I.  Cenni  storici.  —  g  II.  Testi 
catalani  d'Alghero:  A.  Testi  provenienti  dall'Archivio  di  Algliero;  B. 
Testi  a  stampa;  C.  Testi  popohari.  —  §  lif.  Spogli  fonetici.  —  §  l\. 
Aiipnnti  jnorfologicl.  —  §  V.  Riassunto  comparativo. 


AV-VERTENZA   PRELIMINARE. 

Mentre  due  anni  or  sono  mi  trovava  a  Sassari  per  ragione  d'ufficio, 
mi  venne  a  notizia  che  neirArchivio  comunale  di  Alghero  esisteva  un 
abondante  raccolta  di  documenti  antichi;  ond'io,  che  già  m'era  posto 
a  qualche  ricerca  sui  dialetti  sardi,  reputavo  a  gran  fortuna  di  potere 
por  sopra  le  mani  a  un  tesoretto  inesplorato,  presumendo  che  mi  sa- 
rebbe dato  condurre  sopra  quelle  carte  uno  studio  critico  del  dialetto 
catalano  d'Alghero,  che  si  intromette  come  cuneo  tra  i  vernacoli  della 
Sardegna.  Fornito  di  una  commendatizia  per  le  Autorità  locali,  gen- 
tilmente concessami  dal  Ministero  dell'Istruzione  Pubblica,  mi  recai 
due  volte  in  Alghero,  passandovi  complessivamente  oltre  un  mese.  Le 
ricerche  nell'  Archivio  mi  furono  agevolate  dalla  squisita  cortesia  di 
queir  onor.  sindaco,  cav.  Michele  D'Arcayne,  al  quale  qui  rendo  vive 
grazie  ;  e  ben  presto  ebbi  penetrato  il  segreto  di  quelle  carte,  tanto 
([uanto  mi  occorreva  per  convincermi  che  esse  non  avevano  l'impor- 
tanza che  io  me  ne  ripromettevo  per  la  mia  modesta  indagine. 

Era  cioè  mio  scopo  determinare,  mercè  un'  analisi  metodica  dell'al- 
gherese,  come  e  quanto  il  catalano  vero  e  proprio  si  fosse  alterato 
nella  sua  nuova  sede,  a  contatto  dei  linguaggi  sardi.  Ma  quei  docu- 
menti, come  appare  dai   saggi   che  qui  ne  riporto  (§  II,  A),  non  sono 


2G2  t!  uanicrio, 

che  privilep:!,  decreti,  ordinamenti,  relazioni  ecc.  \  per  lo  più  redatti 
in  Catalogna  o  in  Ispagna,  e,  se  in  Alghero,  compilati  per  mano  di 
notaj  e  scribi  catalani;  e  perciò  non  potevano  rispondere  al  mio  desi- 
derio. Mi  davano  il  catalano  letterario  o  semi-letterario,  non  già  lo 
schietto  algherese,  ossia  la  parlata  catalana  del  popolo  d'Alghero. 

Compresi  allora,  che  V  unica  fonte,  a  cui  dovevo  attingere,  era  la 
parlata  viva,  e  che  quei  documenti  mi  avrebbero  giovato  solo  come 
termine  di  confronto.  Mi  diedi  pertanto  a  raccogliere,  con  la  miglior 
diligenza  che  sapessi,  dalla  bocca  dei  marinaj  e  dei  contadini,  più  te- 
nacemente attaccati  al  loro  volgare,  canzoni,  fiabe,  storielle,  proverbj 
(§  II,  C),  facendo  insieme  ricerca  di  quanto  si  fosse  stampato  in  quel 
dialetto.  Ma  di  cose  a  stampa,  Talgherese  si  può  dire  che  non  ne  pos- 
siede, se  ne  togli  il  catechismo  e  qualche  canzoncina  volante  '"'. 

Raccolto  questo  materiale,  non  mi  fu  difficile  tracciare  una  descri- 
zione del  catalano  d'Alghero,  alla  quale  sempre  s'accompagnava  il 
duplice  intento  di  spiar  le  influenze  dei  vernacoli  sardi  sulla  favella 
di  questi  coloni  e  d'indagare  da  qual  parte  della  Catalogna  essi  vera- 
mente provenissero  ^. 

Mi  furono  validi  sussidj,  rispetto  alla  comparazione  coi  dialetti  sardi, 
la  breve  ma  pur  sufficiente  descrizione  che  ne  dà  TAscoli  (Ardi.  Il), 


^  Dei  documenti  dell' Ai'chivio  d' Alghero,' do  qualche  notizia  generale 
in   nota  al  §  IT,  A. 

^  Breve  Compendi  de  la  doctrina  Christiana  imprimida per  ordra  dell' illfa.  y. 
revJ"  Monsenor  Don  Fra  Gioacqi  [sic]  Radicati,  bisba  de  Alguer  y  Unions,  ecc. 
ecc.,  Cagliar  MDCCXC,  An  la  empretita  reni  amba  permissiò.  È  nella  Biblio- 
teca del  R.  Ginnasio  d'Alghero.  —  Breve  Compendi  de  la  Doctrina  Cristiana 
reimprimit  amba  ahjunas  correcions  y  adjunctas  del  Catcchismu  Roma  ecc. 
ecc.,  Cagliar,  Ea  la  emprenta  Tiinon,  1850  ;  favoritomi  da  uno  scolaro.  —  Altro 
liln-o  a  stampa,  pure  della  Biblioteca  del  Ginnasio:  Quincti  Tyberii  Angelerii 
Ectypa  pestilentis  status  Algheriae  Sardiniae,  ad  illm.  D.  D.  Michaele^n 
A.  Moncada,  Regni  Proregem.  Accedunt  ejusmodi  materiae  Tucididis  historia, 
nec  non  Andreae  Lacunae  tractatus,  cum  diversorum  Authorum  additionibus 
ad  curationem  necessariis ;  nec  non  institutiones  regiminis  eo  ydiomate  quo 
fuere  receptae.  Catari,  typis  haeredum  Reverendissimi  quondam  D.  D.  Nicolai 
Ca,nelles  Episcopi  Bosanensis.  Excudebat  Franciscns  Guarneriiis,  1588;  in 
cui  sonvi  in  catalano  le  norme  da  seguirsi  in  occasione  della  peste,  una 
specie  di  regolamento  sanitario;  e  queste  riproduco,  insieme  con  un  saggio 
della  'Dottrina',  sotto  il  §  II,  B. 

*  Nella  Catalogna  si  distinguono  tre  grappi  di  dialetti:  1»  l'occiden- 
tale (Valenza  e  Catalogna  di  S.  0.);  2»  l'orientale  (Catalogna  d'Est  e 
Rossiglione),   cui  si   collegherehbc   l' algherese;   3"    il  balearico.  Cosi  il 


Il  Catalano  d'Alghero:  Esordio.  203 

e  insieme  le  proprie  mie  postille,  fatte  nell'isola,  alla  grammatica  e 
al  vocabolario  dello  Spano.  Rispetto  ai  confronti  col  catalano  antico, 
mi  giovarono,  oltre  che  la  grammatica  del  Diez  (nella  trad.  fr.),  i 
documenti  dell' Archivio  comunale,  i  testi  che  indico  in  nota,  e  principal- 
mente il  lavoro  del  Mussafia  sulla  versione  catalana  dei  Sette  Savj 
(Mem.  dell'Acad.  di  Vienna;  1876);  pel  catalano  moderno  poi,  la  rac- 
colta delle  novelle  popolari  e  in  particolar  modo  il  recente  dizionario 
del  Saura;  e  infine,  per  la  varietà  di  Barcellona,  il  prezioso,  per  quanto 
non  rigorosamente  metodico  opuscoletto  del  Mylà  y  Fontanals  ^. 

Non  devo  chiudere  quest'  'Avvertenza'  senza  rendere  pubbliche  grazie 
ai  professori  Camparetti  e  Rajna,  i  quali  mi  fornirono  di  libri,  che  al- 
trimenti non  mi  sarebbe  stato  agevole  procurarmi,  e  senza  ricordare 
con  schietta  riconoscenza  il  mio  egregio  scolare  Antonio  Andreone  di 
Alghero,  che  mi  ha  procacciato  la  maggior  parte  dei  materiali  e  mi 
fu  quasi  collaboratore,  di  tante  giudiziose  osservazioni  e  di  tante  notizie 
avendomi  egli  giovato  in  tutto  il  corso  della,  mia  indagine  intorno  al 
dialetto  della  sua  città  natale  *.  P.  E.  G. 


Mila  y  Fontan'als  a  pag.  436  del  volume  del  Papanti,  I  lìarlari  italiani  in 
Certaldo.  E  così  ripete  egli  nella  prima  pagina  del  fascicoletto  sul  catalano 
contemporaneo,  che  annovero  tra  i  libri  consultati. 

1  Omesse  quelle  che  già  il  testo  sufficientemente  indicava,  ecco  le  mie  fonti: 
PoRRU,  Bizionariu  sardu-italianu  (sardo  meridionale);  —  Meyer,  Traités 
catalans  de  grammaire  et  de  poétique  ecc.,  nei  voi.  Vili  e  IX  della  'Ro- 
mania'; —  Alart,  Bocwnents  sìir  la  langue  catalane  des  anciens  comtés  de 
Roussillon  et  de  Cerdane;  nella  'Revue  des  Langues  Romanes'  del  1872-3; 

—  ToRRA,  Bictionarium  seu  Thesaurus  Catalano-Latinus  verborum  ac  phra- 
sium  ecc.,  Rarcinone,  ex  typ.  R.  Figuerò,  1701;  —  Rallot,  Gramatica  y 
apologia  de  la  llengua  cathalana  ecc.,  Rarcelona  Ì814;  —  Rofarull  y  Rlanch, 
Gramatica  de  la  lengua  catalana,  Barcelona  1867;  —  Saura,  Novissim  Bic- 
cionari  manual  de  las  llenguas  catalana- castellana  ecc.,  con  una  copiosa 
raccolta  di  proverbj,  Barcelona  1883  ;  —  Maspons  y  Labròs,  Lo  Bondallaijre, 
quentos  pojìulars  catalans,  Rarcelona,  segona  serie  1872,  tercera  1873;  — 
Camboclin,  Essai  sur  l'histoire  de  la  littérature  catalane  ecc.,  Paris  1838; 

—  Pers  y  Ramona,  Hisforia  de  la  lengua  y  de  la  literatura  catalana  desde 
su  origen  hasta  nuestros  dias,  Rarcelona  1837  (privo  d'importanza  scientifica, 
ma  contenente  una  copiosa  raccolta  di  vocaboli,  disposti  fantasticamente, 
secondo  la  loro  origine)  ;  —  Mylà  y  Fontanals,  Be  los  trocadores  en  Espana, 
estudio  de  lengua  ij poesia provenzal,  Rarcelona  1861;  e  dello  stesso:  Estudios 
de  leìigua  catalana;  catalan  contemporaneo,  lenguage  de  Barcelona,  opu- 
scoletto di  16  pagine,  senza  frontispizio,  come  fosse  un  estratto,  con  la  sola 
indicazione:  Barcelona,  Enero,  1873. 

*  Stavo  riordinando  per  la  stampa  il  mio  lavoro,   quando  il  prof  JIorosi 


26  i  Ciinrncrio, 


§  T.  CENNI  STORICI. 

La  sarda  Alghero,  con  una  popolazione  di  circa  8030  abitanti,  ca- 
poluoy:o  di  circondario  nella  provincia  di  Sassari  e  sode  vescovile,  sorge 
sulla  costa  occidentale  dell'isola,  sopra  una  sporgenza  che  a  levante 
è  attaccata  alla  terra  per  un  largo  istmo  e  dalle  altre  parti  è  ba- 
gnata dal  mare.  In  causa  però  dei  bassi  fondi  e  degli  scogli,  la  città 
non  offre  accesso  alle  navi  che  da  nord-ovest,  dove,  tra  il  capo  del 
Giglio  [cajì  del  Lliri)  e  il  capo  Caccia,  è  la  bocca  del  famoso  Porto 
Conte,  uno  dei  più  vasti  e  sicuri  porti  naturali  d'Italia. 

La  posizione  è  allegra  e  pittoresca.  Dalla  parte  di  terra,  leggiere 
e  ridenti  colline;  e  tutto  attorno  al  golfo,  la  corona  delle  fosche  mon- 
tagne della  Nurra.  Alghero  un  tempo  era  fortezza  e  di  qualche  conto; 
ma  ora  è  del  tutto  disarmata,  e  i  bastioni  che  restano  son  ridotti 
a  passeggio.  Né  solo  come  piazza  forte,  ma  pur  come  città  di  mai^e 
ha  perduto  ogni  importanza,  poiché  il  commercio  col  continente  ita- 
liano si  fa  ora  presso  che  tutto  dalla  costa  orientale  dell'isola;  e  Al- 
ghero, rannicchiata  all'estremità  occidentale,  non  allacciata  ancora  dalla 
ferrovia  al  capoluogo  della  provincia,  rimane  come  abbandonata,  e  va 
immiserendo  ogni  giorno  più,  anche  per  lo  scadimento  del  mercato 
del  corallo,  la  cui  pesca  un  giorno  l'arricchiva. 

La  fondazione  d'Alghero  ò  dovuta  ai  D'Oria  di  Genova,  e  risale  al 
secolo  XII;  anzi,  gli  scrittori  più  riputati  di  cose  sarde,  come  il  La  Mar- 
mora  \  l'xVngius  ^  il  Manno  ^  per  citarne  alcuni,  con  mirabile  concordia 
riferiscono  tutti  la  data  precisa  del  1102,    che  desumono,  non  da  do- 


mi comnnieò  il  suo  stadio  snW Odierno  dialetto  catalano  d'Alghero,  estratto 
dalla  Miscellanea  di  Filologia  in  memoria  di  Caix  e  Canello.  Identico  il  di- 
seguo, identiche  le  conclusioni,  com'era  naturale  per  Ja  bontà  del  metodo 
dell'  ArcJiicio,  al  quale  entrambi  ci  attenevamo.  Va  però  notalo,  che  nel 
saggio  del  Morosi  è  assai  scarsa  la  comparazione  coi  dialetti  sardi,  e  vi 
manca  affatto  quella  con  la  varietà  catalana  di  Barcellona.  Comunque,  io  ne 
farò  tesoro,  segnando  quel  che  ora  mi  accada  di  aggiungere  e  in  quali 
punti  si  discordi. 

'■  La  Mar.mora,  Vogaje  en  Sardaigne,  Paris  18o9,  parte  I,  p.  31  segg.  : 
Itinéraire   de  V  ile  de  Sardaigne,  Torino  1860,  voi.  II,  p.  O.^?. 

2  AxGius,  nel  Dizionario  geogr.  storico  del  Casalis,  Torino  1833,  voi.  I, 
p.  232  scgg. 

^  3Ia.\xo,  Storia  della  Sardegna,  Torino  IS2'o,  voi.  If,  p.  2i2. 


Il  catalano  d'A'ghero:  Cenni  storici.  265 

cumenti,  ma  dal  Fara,  annalista  sardo  del  sec.  XVI  *.  Anche  questi 
però  afferma,  non  per  coscienza  propria,  ma  soltanto  sulla  autorità 
degli  scrittori  spagnuoli,  che  non  cita.  E  quali  siano  questi  scrittori 
e  da  quali  fonti  essi  attingano,  non  mi  venne  fatto  di  vedere  ^.  Se  si 
dovesse  prestar  fede  a  un  frammento  di  un  antico  cronista  pisano,  1 
D'Oria  avrebbero  posseduto  Alghero  fin  dal  sec.  XI  ^;  ma  della  divi- 
sione della  Sardegna,  di  cui  egli  tocca  tanto  esplicitamente,  tacciono 
tutti  gli  altri  annalisti,  e  pisani  e  genovesi,  pur  tutti  concordi  nell'am- 
raettere  che  nel  secolo  undecimo  la  Sardegna  fosse  più  volte  invasa 
dai  Saraceni,  guidati  da  un  Capo  di  nome  Museto  o  Musato;  che  più 
volte  fosse  liberata  dai  Pisani,  ora  soli,  ora  collegati  coi  Genovesi,  e 
che  varie  terre  cadessero  allora  in  dominio  delle  più  cospicue  famiglio 
pisane  e  genovesi,  le  quali  avevan  preso  parte  all'impresa  *.  Cilecche 


1  IOANNis  Francisci  Far^e,  l)e  Chorographia  Sardiniae  libri  duo;  De  rebus 
sardois  libri  qiiatuor;  Augastae  Taurinomm  1835.  IN'clla  Corografia  (p.  64) 
scrive:  Alfjherium,  insignis  civitas,  fuit  olini  oppidum  in  regione  diocesis 
Turritanae,  JSurrensi  coliaerente,  ab  Aurensibus,  ut  Hispani  referunt  Anc- 
tores,  anno  1102,  ad  liti/s  maris,  Inter  arenam  et  scopulos  conditiim,  ubi 
adfluit  Aìgha,  ex  qua  nomen  mutuasse  creditur  ;  e  poi  nel  De  rebus  sardois 
(p.  19o)  ripete  la  notizia  quasi  con  le  stesse  parole. 

^  In  ispccie  mi  duole  non  aver  potato  vedere  l'antica  cronaca  catalana 
del  MusTANER  (sec.  XIV),  né  quella  dello  slesso  re,  conquistatore  d'Alghero. 
D.  Pietro,  il  Cerimonioso,  ne  infine  gli  Annales  de  la  corona  d'Aragon 
del  C.UR1TA  (sec.  XVII),  che  da  quelle  trasse  la  sua  narazione. 

^  V.  lìerinn  ital.  script.,  t.  IH,  p.  40J,  note  di  Costantino  Cajetano  alla 
vita  di  papa  Gelasio  11,  dove  è  detto  (n.  30):  Laurentium  Bonincontrum  311- 
niatensem  Tuscum,  qui  ante  ducentos  et  amplius  annos  annales  suos  scripsit, 
ea  de  re  testem  habeo  (qnem  nos  in  seqq.  toni,  primitm  in  liiccm  emittemus) 
sub  anno  millesimo  quinquagesimo  primo,  quo  demum  eam  Sardiniae  Insiilani 
supradictorum  Nobilium  ope  et  opera,  in  Pisanorum  jjotestatem  devenisse, 
eorumque  juri  adjudicatam,  confirmatamque  fuisse,  dato  Diplomate  a  Leone 
LY,  Rom.  Pontifice  certum  est.  Verba  Bonineontri  snnt...  Qui  riferisce  tutto 
il  racconto  delle  spedizioni,  e  finisce:  Is  Insulae  civiiates  et  agros  ita  par - 
titur:  ut  Calaris,  uti  in  fide  perstiterat  Pisanorum,  ita  restaret  :  Comitibus 
vero  Gerardescae ....  agrum  Catari  adjaccntem,  et  quacdam  ignobilia  oppida 
illi  agro  finìtima;  Cajetanis  Orisetum;  Arborea  Regio  Sardorum  familiae 
nobili ....  ;  Petra  Auriae  Gemiensi  Algaria  civitas,  ecc.  Al  quale  proposito, 
vedi  le  osservazioni  del  Manno,  op.  cit ,  voi.  II,  p.  181  segg. 

*  Cfr.  Breviar.  pisanae  historiae  ad  ann.  1002  e  segg.,  nel  Rerum  ital. 
script.,  voi.  VI;  lo  stesso  Muratori  negli  Annali  all'anu.  lOoO;  il  Sismondi, 
Storia  delle  republ.  italiane,  cap.  5,  ad  id.  ann.  ;  e  principalmente  il  Foglietta, 
Historiae  Genuensium,  nel  Thesaurus  aiitiquit.  et  itisi.  Italiae  del  Crevio, 


2GG  Giianicrio, 

dunque  sia  del  preciso  terapo  della  l'onda/àone  d'Alghero,  sta  il  fatto 
che  essa  compare  nella  storia  come  feudo  dei  D'Oria  e  tale  rimane  fino 
al  sec.  XIV,  in  cui  cade  sotto  la  dominazione  aragonese. 

Fin  dal  1297,  Bonifacio  Vili  aveva  con  bolla  speciale  ^  concesso 
r  investitura  della  Sardegna  a  Giacomo  II  re  di  Aragona  ;  ma  la  bolla 
era  rimasta  senza  effetto  '\  perche  né  i  Pisani  né  i  Genovesi,  che  se 
ne  dividevano  il  dominio,  erano  disposti  ad  accondiscendere  al  desiderio 
del  Pontefice,  e  anzi  erano  pronti  a  difendere  con  le  armi  i  loro  diritti. 
Difatti,  soltanto  sotto  Pietro,  detto  il  Cerimonioso,  divenuto  re  d'Ara- 
gona nel  1336,  il  pericolo  per  la  Sardegna  si  fa  incalzante.  E  per  ciò 
che  riguarda  Alghero,  i  D'Oria,  signori  come  vedemmo  di  quella  con- 
trada, all'annuncio  dall'imminente  spedizione  cedono  nel  1353  al  comune 
di  Genova  il  pieno  dominio  della  città,  con  patto  di  lega  offensiva  e 
difensiva  contro  gli  Aragonesi  e  i  Catalani  ".  Genova  accetta,  e  nello 
stesso  anno  scoppiano  le  ostilità.  La  battaglia  decisiva  avviene  nel 
Porto  Conte,  tra  la  flotta  aragonese,  ajutata  dai  Veneziani,  e  la  ge- 
novese, condotta  da  Antonio  Grimaldi.  Questa  ha  la  peggio,  e  Alghero 
apre  le  porte  all'ammiraglio  aragonese  Bernardo  di  Cabrerà,  che  vi 
lascia  una  guarnigione  *.  Ma  appena  egli  è  partito,  scoppia  la  rivolta. 
Il  re  Don  Pietro  allestisce  una  nuova  spedizione,  e  nell'anno  appresso 
muove  in  persona  contro  Alghero;  l'assedia  egli  per  terra,  mentre  il 
Cabrerà  la  cinge  per  mare  ;  e  dopo  replicati  assalti,  si  viene  a  proposte 
di  accordi.  Le  dissensioni  tra  il  Giudice  d'Arborea,  alleato  degli  Al- 
gheresi,  e  il  re  Don  Pietro,  s'  erano  composte,  e  Alghero  deve  cedere 


tomo  I,  parte  I,  col.  23o,  dove  narra  le  spedizioni  dei  Pisani  e  dei  Genovesi 
contro  Musato  re  dei  Saraceni,  ma  non  tocca  della  divisione  della  Sardegna, 
né  della  fondazione  di  Alghero.  Anche  lo  Scioppio,  Boriarum  gemiensium 
genealogia  et  ex  iis  imjjeratonim  et  regum  origo,  Ausburgo  1631,  non  fa 
cenno  d'Alghero  in  particolare,  e  ricorda  solo  che  il  Qnrita,  ne'  suoi  annali 
aragonesi,  discorre  delle  guerre,  che  la  famiglia  D' Oi'ia  sostenne  per  cento 
e  pili  anni  coi  re  di  Spagna,  per  la  difesa  del  regno  di  Sardegna. 

^  V.  Codex  diplomaticiis  Sardinlae,  nei  3Ion.  Iilst.  patr.,  voi.  I,  p.  4o6. 

2  V.  la  lettera  del  Papa  Bonifacio  Vili,  ib.,  p.  503. 

8  Cfr.  i  Documenti  num.  37  58  87  88,  ib.,  pp.  723  724  750  753. 

*  Cfr.  La  Marmora,  nella  prima  delle  op.  cit.,  p.  53  segg.,  e  nell'altra,  p.  93 
segg  ;  Angius,  op.  cit.,  alla  voce  Logudoro;  Manno,  op.  cit.,  voi.  IH,  p.  75 
segg.;  ToLA,  Dizionario  biograf.,  voi.  TI,  p.  231  ;  Muratori,  Annali  d'Italia, 
ad  ann.  1353;  e  infine  il  Foglietta,  op.  cit.,  lib.  VII,  col.  450,  il  quale,  dopo 
aver  detto  del  numero  delle  navi  dei  confederati  catalani  e  veneti  e  delle 
genovesi,  conchiude  che  queste  erano  in  minor  numero  e  quindi  minores 
vires  majoribus  cedere  necesse  fuit.  Aggiunge  il  Foglietta  che  la  battaglia 


Il  catalauo  d'Algliero  :  Ceuui  storici.  267 

e  vedersi  definitivamente  aggregata  alla  corona  d'Aragona  \  Ad  as- 
sodarvi la  propria  signoria,  Don  Pietro  proibisce  che  altri  possa  cona- 
prare  e  vendere  a  minuto  in  Algliero,  tranne  Catalani  e  Aragonesi 
È  il  primo  passo  a  stabilirvi  la  nuova  colonia  catalana,  la  quale  vi  è 
definitivamente  fissata  nel  1372,  quando  Don  Pietro  ingiunge  ai  Sardi, 
abitanti  in  Alghero,  di  uscirne  e  vendere  le  loro  possessioni,  con  di 
vieto  perpetuo  di  più  abitare  in  essa  città  o  possedervi  beni  stabili  " 
Diventò  da  allora  xllghero  la  prediletta  dei  Catalani,  che  la  tennero 
come  importante  punto  d'appoggio  per  le  loro  relazioni  con  la  Sardegna 
e  col  regno  di  Napoli.  E  non  solo  il  linguaggio  sardo,  ma  anche  l'ita- 
liano vi  fu  interdetto*,  e  non  é  dunque  meraviglia  che  ess' abbia  fi- 
nora conservato  quasi  intatto  il  parlare  dei  nuovo  coloni  ^ 


fu  come  terrestre,  avendo  i  Catalani  attaccate  le  navi  con  catene;  confessa 
che  nunquam  majorem  plagam  Genuenses  acceperunt;  una  enim  et  guadra- 
(finta  triremes  amissae  siint ;  partìm  depressae,  partim  captae;  e  finisce: 
/anta  clfides  audita  nrhem  et  totani  ligusticam  oram  luctu  et  lamenta- 
tionihiis  implevit. 

^  V.  Codex  dipi.  Snrd.,  1.  e,  p.  763  (doc.  num.  97). 

2  V.  il  relativo  privilegio  nel  Codex  dipi,  ib.  p.  767  (doc.  iium.  99). 

^  Y.  il  reale  decreto,  ib,  p.  811  (doc.  num.  140). 

*  V.  Dexart,  Gapit.  di  Corte,  lib.  I,  tit.  IV,  cap.  XI,  in  La  Marmora,  Vo- 
yage  ecc.,  voi.  I,  p.  69. 

^  Circa  il  nome  di  Alghero,  è  opinione  comune  che  esso  derivi  da  aliga; 
0  sulla  spiaggia  del  suo  golfo  l'alga  veramente  si  accumula  in  grande  quan- 
tità. Non  sapremmo  badare  ad  altre  etimologie;  e  solo  noteremo,  che  nelle 
carte  latine  si  legge  Allagar ia,  Allegeria  o  Allaglieria  e  anche  Algaria, 
laddove  nelle  catalane  è  Lalguér,  e  Salighera  nel  sardo;  nelle  quali  due 
forme  è  notevole  la  fusioue  dell'articolo  col  sostantivo.  Saremmo  così  a  un 
nome  comune  s'aligliera,  luogo  dell'alga,  assunto  poi  a  funzione  di  proprio; 
•donde  vila  de  l'algué,  bidda  de  s'alighera,  e  poi  vila  de  Lalgué,  bidda  de 
Salighera.  La  concrezione  deve  essere  ben  antica  e  diffusa,  poiché  anche 
Jiel  Dittamoudo  di  Fazio  degli  liberti,  m  12  (ed.  di  Vicenza,  1474),  abbiamo 
Ligera  : 

Sassari  Buoxa  Callari  e  Stampace 
Arestan[o]  Vilanuova  et  la  Ligera 
Che  le  sue  parti  più  drente  al  mar  giace. 


2G8  .  (.Jiianierio, 

§  II.  TESTI    CATALANI    D'ALGHERO. 
A.  TESTI  ANTICHI  \ 

N.  1.  Deliberazione   dei   Consiglieri  d'Alghero,  di  far   trascrivere   un 
libro  di  copie  dei  Privilegi. 

Ann.  MCCCCLVI. 

[Dall' orirjiìiale,  nel  voi.  I  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

d' Alghero  ^.) 

[fol.  1,  r.]  In  nomine  de  nostve  senyor  deu  Jhesu  del  qual  totes  Ics  coscs 
be  fetes  proceeren  e  dela  gloriosa  verge  madona  santa  Maria  mara  sua  e  del 
beneyt  sant  Miqnel  Archangel  del  Gel  Capita  de  tots  los  non  ordens  dels 
angells  Gap  e  protector  dela  present  vila  del  Alguer  los  molt  honorables 
en  ffracensch  mayol  Anthoni  ierret  Johau  boil  Miquel  prats  e  Barthomeu 


'  Le  carte  antiche  dell'Archivio  comunale  d'Alghero,  raccolte  tutte  in  uno 
scaffale,  consistono  in  alcuni  pacchi  di  pergamene,  che  sono  gli  originali 
dei  Privilegi  largiti  dagli  Aragonesi,  in  tre  volumi  di  copie  dei  Privilegi 
stessi  e  in  codici  cartacei  di  tempi  diversi.  Non  sono  ordinate  secondo  un 
criterio  storico,  ma  soltanto  enumerate  e  sommariamente  descritte  in  un 
Inventario  di  tutto  l'Archivio  del  Comune.  Cominciano  dal  sec.  XIV  e  ven- 
gono fino  alla  caduta  della  dominazione  spagnuola. 

^  Questo  primo  volume  dei  Privilegi  è  così  classificato  a  pag.  103  del- 
l'Inventario sopradetto:  "Un  libro  di  copie  delle  Carli  reali  e  Privilegi, 
"  concessi  dai  Sovi'ani  d'Aragona  alla  città  d'Alghei'o,  i  di  cui  originali  sono 
"  le  pergamene  e  carte,  che  trovansi  in  vari  pieghi.  In  questo  libro  vi  esisle 
"la  relazione  della  venuta  in  Algliero  dell'imperatore  Carlo  V  nel  7  ot- 
"  tobre  1541.  „  —  È  un  grosso  volume,  rilegato  in  legno  e  cuoio,  molto  lo- 
goro e  scucito,  composto  di  fogli  cartacei  e  membranacei  mescolati  insieme. 
Apre  il  volume  un  fascicoletto  di  14  fogli,  non  numerati,  evidentemente 
aggiunto  più  tardi,  dei  quali  il  primo  e  l'ultimo  sono  di  pergamena  e  così 
pure  quello  di  mezzo,  gli  altri  di  carta;  il  primo  foglio  è  bianco,  il  secondo 
non  contiene  se  non  la  noticina:  Esent  Conseller  en  Crip.  Jaime  Bonfill  ha 
tret  una  copia  de  la  entrada  q  feii  lo  Einperador  Carlos  quinto.  -  en  lo 
an  i66i  Jaime  Bonfill.  I  fogli  3-10  sono  occupati  dall'indice  dei  Privilegi; 
e  i  fogli  11-14  son  bianchi.  Dopo  questo  fascicoletto,  incomincia  il  libro, 
con  una  grande  intestazione,  a  fregi  in  inchiostro  nero,  e  seguono  i  Privi- 
legi, ciascuno  dei  quali  ha  l'iniziale  grande,  a  fregi  pure  in  nero;  ogni  foglio 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  anliclii.  269 

astany  ^  Cousellers  1  anj'  MCCGCLYI  dela  dita  vita  coiisiderants  que  los  Illu- 
strissims  Reys  d'Arago  d' immortai  recordacio  e  lo  Illustrissim  senyor  don 
.Tolian  per  la  gracia  diuina  Rey  d'Arago  ara  felicissimament  reguant  lian 
atorgats  ala  uniuersitat  e  singiilars  dela  dita  vita  molts  iiriuilegis  gracies 
franqueses  e  libertats  dels  quals  la  uniuersitat  predita  e  los  singulars  d'a- 
quella  son  decorats  prosperats  e  insignits  e  per  aq?<ells  speren  hauer  molt 
niajor  prosperitat  e  beneffìci  veents  que  .los  regidors  dela  dita  uniuersitat 
continuament  han  soffcrt  grauds  [fol.  1,  v.]  traballs  en  cercar  en  la  cava 
0  arxiu  dela  uniuersitat  los  pr/uilegis  necessaris  segons  los  cassors  ^  raque- 
rien  e  encara  que  los  dits  prniilegis  lian  passai  periti  de  perdres  e  guastar 
se  e  ab  gran  diffìcultat  se  porien  recobrar  clarament  processar  e  releuar  los 
regidors  de  la  dita  uniuersitat  qui  deciauant  seran  de  traballs  e  de  periti  de 
perdre  dits  prùiilegis  e  la  uniuersitat  de  dans  que  hauria  a  sostenir  per 
cobrar  semblants  prmilegis  han  fet  fer  lo  present  libre  en  lo  qual  lian  fets 
scriure  los  dits  pr/uilegis  segons  per  los  dits  lUustrissims  Reys  de  Arago  son 
stats  atorgats  seguiut  1  orde  del  primer  al  derrer  e  aq?/ells  han  fets  auitenticar 
per  so  que  del  present  libre  puven  hauer  los  que  haura?^  mester  pus  facil- 
ment  e  pus  prest  los  quals  préuilegis  son  del  tenòr  seguent. 


è  numerato,  in  sino  al  CCXL.  Chiude  il  volume  la  relazione  della  venuta 
di  Carlo  V,  in  cinque  fogli  non  numerati.  —  Come  si  rileva  dal  primo  do- 
cumeuto.  il  volume  è  stato  incominciato  l'anno  1456,  allo  scopo  di  trascri- 
vervi i  Privilegi  originali  e  averli  alla  mano,  senza  pericolo  di  perdere  o 
guastar  gli  originali,  conservati  nelle  pergamene  ;  però  non  di  tutti  i  pri- 
vilegi, trascritti  nel  volume,  si  conservano  gli  originali,  che  sono  in  molto 
minor  numero.  —  Il  volume  non  è  scritto  da  una  mano  sola;  la  massima 
parte,  la  più  antica,  è  di  un  bel  gotico,  nitido  e  chiaro;  poi  segue  altro 
gotico,  posteriore  al  sec.  XV;  nell'ultima  parte  è  scrittura  corsiva  di  diverse 
mani  e  tempi.  —  Dei  privilegi,  altri  sono  scritti  in  latino  e  sono  i  più,  altri 
in  catalano;  io  pubblico  qualche  saggio  di  questi;  ed  è  superfluo  avvertire, 
che  ne  do  la  trascrizione  rigorosamente  diplomatica,  senza  pur  correggere 
l'ortografia  o  compire  la  punteggiatura.  Mi  limito  a  sciogliere  le  abbrevia- 
zioni, segnando  in  corsivo  le  lettere  aggiunte. 

*  non  ben  chiaro  questo  nome.     ^  così  dà  il  ms.,  ma  evidentemente  è  er- 
rore dcH'araanuensc  per  cusos. 


270  Giiarnerio, 


N.  2.  Privilei^ào  del  Re  Ferdinando,  per  l'elezione  di  un  Assessore  delle 
cause  civili  e  criminali  in  Alghero. 

Ann.  MCCCCXIV. 

[Dall'apografo,  nel  voi.  I  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

d' Alghero  ^.) 

[fol.  XXXIII,  V.]  Xos  en  ferrando  per  la  gracia  de  deu  Rey  d  arago  de 
Sicilia  de  Valencia  de  Manorq««es  de  Serdenia  et  de  Corsega,  Genite  de  Bar- 
climoua,  duch  de  Athenes  et  de  Neopata  e  encare  Comte  de  Rossello,  et 
de  Cerdanya.  Pergo  que  eu  la  vila  nostra  del  Algiier  sia  mils  daciaua»t 
obseruada  justicia,  e  los  liabitaus  e  habitadors  en  aquella  sien  p/-ese/-uats 
de  calunmies  e  opp?'essious  dels  nostres  officials,  volem  prouehim  e  ab  la 
present  carta  nostra,  la  qual  volem  que  hage  efeete  e  forga  de  prmilegi 
a  beniplacit  de  nostra  prelieminencia  Real  draador,  ordonam  que  deciauant 
sia  en  la  dita  vila  ^  (del  Alguer  un  assessor  elegidor  e  douador  per  nos  de 
ciuch  en  cinch  ayus  q«e  en  les  causes  ciuils  e  criminals  occurre?its  a  les 
corts  dels  aGguer  e  solsueguer  dela  dita  vila)  de  e  ministre  consell  als 
vaguer  e  sotsueguer  d  aquella  vila  preseuts  e  sdeuenidors  sens  lo  qual  los 
dits  veguer  e  sotsueguer  no  fa^en  ne  puxen  procehir  en  les  dites  causes 
0  altres  actes  jurisdiccionals  per  ells  fahedors.  E  que  los  dits  veguer  e  sots- 
ueguer sien  de  ciuch  en  cinch  anys  remoguts  dels  lurs  officis  e  altres  posats 
e  elegits  en  aquells  e  axi  ells  com  lo  dit  assessor  de  ciuch  en  ciuch  anys 
hagen  e  sien  tengo ts  lenir  taula  de  totes  les  causes  e  de  tots  los  actes  per 
ells  e  caseun  d  ells  fets  execM^ats  diflinits  espetxats,  eu  les  dictes  lurs  corts 
0  fora  aquelles,  en  qual  se  noi  manera,  e  per  la  forma  o  manera  que  s[e]  fa  o 
es  acustumat  fer  per  los  officials  assessors  del  castell  de  Caller,  exceptades 
enpero  les  coses  que  per  nos  ter  mauame«t  o  de  nostre  primogenit  o  del 
general  [fol.  XXXIIII,  r.J  Gouernador  o  Vis  rey  qui  per  nos  fos  posats  en 
la  dita  ysla  seran  fetes  .  manants  ab  seria  e  tener  d  aquesta  matexa 
carta  o  d  aq^est  nostre  priuilegi  durador  segons  dit  es  a  beniplacit  de 
nostra  Real  dignitat  al  Jnclit  don  Alfonso  prmcep  de  Gerona  e  pràuo- 
genit  nostre  molt  car  e  eu  tots  nostres  Regnes  e  terres  general  goueruador 
e  apres  nostres  beueueuturats  dies  legictim  succehedor  en  aquells  sois 
obteuiment  de  nostra  benedicio  paternal  e  als  Gouernador  veguer  e  sotue- 
guer  e  Consellers  dela  dita  vila  qui  ara  son  o  per  temps  seran  que  la 
present  nostra  ordìuacio  e  prouisio  o  pr/uilegi  tiuguen  e  obseruen  e  lenir 
e  obseruar  facen  juuiolablement  taut  com  sera  placent  a  nostra  dignitat 
Real  segons  dit  es  e  no  y  coutrauenguen  ni  permetew  esser  per  altres  cou- 


*  Lo  stesso  Privilegio  è  anche  trascritto  nel  voi.  II,  fol.  So  r. 
^  Le  parole  seguenti,  che  da  noi  si  chiudono  tra  parentesi,  sono  aggiunte 
tra  le  righe  da  altra  mano. 


I 


Il  catalano  d'Alghero:  a.  Testi  antichi.  271 

trafet  per  alguna  causa  manera  o  raho.  En  testimoni  dela  qual  cosa  manam 
la  present  esser  feta  e  ab  nostre  segell  pendent  segellada.  dada  en  ^aragoga 
a  vini  e  quatre  de  ffebrer  en  1  ayn  dela  nativitat  de  nostre  Seuyor  miJ 
quatrecents  qaatorze  e  del  nostre  Regne  terg.  —  Rex  Ferrandus  i  Sardin. 
j.  do.  rex.  ma.  m.  p.  margayl  et  uidit  eam  Michael  denaners.  p.  rsta. 


N.  3.  Regolamento  del  Re  Pietro,  intorno  agli  obblighi  e  agli  incarichi 
spettanti  al  Governatore  e  agli  altri  suoi  officiali  in  Sardegna. 
Ann.  MCCC. 
[Dall'apografo,  nel  voi.  I  dei  Privilegi,    Archivio   Comunale 

d' À  Igliero.) 

[fol.  GII,  r.]  Nos  Petrus  dei  gvàfia  Rcy  Aragonuw  Valencie  Maiorice  Sar- 
dinie  et  Gorsice  Gomesque  Bàrchinone  Rossillionis  et  Geritanie  actendcntes 
que  ubi  gubernaculuw  regule  mature  ac  digesto  ordinac«onis  deest  resfat  ut 
religio  naufragetur  ideo  gubernaculuwi  ips?/m  apponere  cupientes  in  Insula 
Sardinje  supinfrascripte  ne  valeat  naufragari  et  ne  aliquid  ex  nostrìs  juribus 
vel  al«s  enorme  fiat  seu  viciosum  per  officiales  nostros  in  eadem  sed  damnuM 
et  peruiciosum  actenus  obseruatum  in  ipsa  Insula  ad  metodum  et  justum 
reducatur  ac  in  segetem  ubere  terre  restet  ex  qita  flores  honores  boniq?<e 
status  diete  insule  in  ubertate  subcrescant  preuio  maturo  et  digesto  Consilio 
infrascripta  tenenda  inantea  et  obersuanda  in  eadem  cum  presenti  ducimus 
ordiuanda. 

Primerameut  ordonam  que  alguu  officiai  no  presumesca  tenìr  offici  per 
substituhit  mas  que  cascuJ^  baia  a  seruir  son  offici  personalment  empero 
volem  que  cascun  stant  en  la  illa  pugue  per  quatre  meses  substituhir 
qualqua  persona  aconeguda  del  gouernador. 

[fol.  GII,  V.]  Ite?»  ordenam  que  aìgan  officiai  no  pasque  peudra  seruey 
sino  segons  la  ordinacio  de  casa  nostra  sots  pena  de  cent  lliures  la  qual 
pena  si  alga»  hi  caura  volem  quo  sia  conuertida  en  las  torres  del  Orifany 
e  del  Icho  e  de  Sant  brancbas  aconeguda  del  administrador. 

Item  ordonam  que  algun  officiai  personalme/it  no  pusque  usar  de  meixa- 
deria  sots  pena  de  perdre  lo  oflici. 

Item  ordonam  que  algun  officiai  no  dega  esser  paguat  de  son  salari  sino  de 
quatre  en  quatre  meses  que  es  una  terga  apres  empero  qu  els  haiaw  seruits. 

Item  ordonam  que  1  Gouernador  no  dega  pendra  mi  fer  pendre  en  alguna 
manera  ne  tochar  o  alguns  diners  ne  altres  coses  delas  nostres  rendes  o  sde- 
uenime?tts  ^  Reyals  coni  nos  baia»»  ordonat  a  lo  nostre  administrador  que 
aquellas  rendes  drets  sdeuenimc?its  ^  vulla/»  que  cuUigua  et  pre«^ua  de  tot 
hom  de  qualseuol  condicio  sia. 

[fol.  Gin,  r.]  Item  ordonam  quo  1  Gouernador  en  alguna  manera  no  puscka 


272  .  Gnariicrio, 

ne  (lego  Inuiru  de  sou  ol'Iici  alcun  officiai  per  nos  fot  r.c  inelrc  allra  cu  lodi 
(1  aqucll  sino  en  cais  que  s.qneU  fos  niort  e  1  offici  vaguas.  En  aqiic.il  cas  fos 
legai,  a  elide  acomcnar  lo  dit  offici  fins  qae  nos  hi  aguessem  provehit  noti- 
ficant  a  nos  la  vaguacio  del'  offici. 

Ilein  ordonaui  que  1  Goucrnador  no  pascila  fer  doiis  de  nostre  patrimoni 
0  moneda  ne  drels  de  la  cort  si  donchs  special  nianainewt  no  hauia  nostre. 

Iteni  ordonaw  que  1  Gouernador  no  dega  entremetre  del  offici  del  admini- 
strador  en  res  et  que  aquell  no  dega  cnipatxar  en  alguna  cosa  ans  dega 
donar  al  admi^^/stradoi'  tota  i'anor  que  niestcr  li  fassa  per  cullir  o  fer  cullir 
Ics  rendes  e  drets  Reyals. 

Item  ordonani  e  volem  que  1  Gouernador -no  puscha  fer  alguna  coinposiclo 
sino  ab  lo  adrainistrador  ensemps  ^  present  lo  assessor  e  feta  la  composicio 
que  lo  dit  administrador  puxe  e  dega  pendre  los  diners  qnon  exira. 

[Ibi.  CHI,  V.]  Item  ordonam  que  lo  Gouernador  baia  cascun  any  son  qual 
salari  volem  que  li  sia  paguat  per  lo  administrador  dels  diners  dels  nostres 
rendes  per  terges  segons  que  damu)?t  es  dit. 

Item  ordona?»  que  lo  Goucrnador  haia  la  conoxe?i?a  dela  mar  axi  del' 
spetxamcnt  dels  navjlis  coni  d  altre?  coses  per  que  dag.o  nos  prenguem  alguns 
drets  de  segell  nj  de  albaraus  sino  tant  solament  Vii  alfonsi  axi  co/)i  anti- 
guame?^t  solia  esò^er  dat  per  que  si  daco  exìcn  emolumeHts  que  lo  adraini- 
strador dega  aquclls  pendra. 

Item  que  delas  questious  dels  cossaris  mentre  que  a  nos  plagia  que  y 
puxe»  armar  segons  lo  pr/uilegi  a  eli  dat  lo  qicdì  nos  recorde  que  es  a 
beniplacit  conegua  e  sfassa  couexer  lo  Gouernador  sumariamet  sens  negun 
jubi  ab  co?zsells  de  liomens  de  mar.  .E  ago  volem  que  dur  aytant  coni  a  nos 
plagia.  E  absent  lo  Gouernador  que  ago  sia  l'et  per  lo  veguer  e  en  tots  altres 
coses  sien  seguits  los  capitols. 

Item  ordonam  que  1  Gouernador  no  dega  empalxar  lo  veguer  en  lo  Regi- 
ment  de  son  offici  sino  segons  los  capitols  damu»t  ordouats. 

[fol.  Cini,  r.]  Item  que  1  assessor  del  Gouernador  per  nos  en  lo  dit  offici 
ordonat  no  dega  fer  comissions  alguns'dins  Castell  de  Caller  o  altre  seruej 
de  neguna  res  que  en  la  cort  del  dit  Goucrnador  [no]  se  baia  concxer  ne 
determenar. 


^  cat.  mod.  'avvenimenti';  qui  però  intenderemo  'proventi'. 
^  cat.  mod.  ensemble. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  auticlii.  273 

K.  4.  Lettera  del  Re  Pietro  a  Raimondo  Gay,  capo  della  Dogana  d'Al- 
ghero, intorno  alla  franchigia  dai  diritti  di  dogana,  concessa  alla 
città  d'Alghero. 

Ann.  MCCCLV. 
{Dall'apografo,  nel  voi.  II  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

d'Alghero  \) 

[fol.  XI,  r.]  Eu  Pere,  per  la  grada  de  Deu  Rey  D'Arago,  de  Valencia, 
de  Jlaliorqucs,  de  Sardenya,  et  de  Corsega,  et  Coni  te  de  Bargalona,  de 
Rosselo,  et  de  Sardanya.  Al  feel  nostre  Ramon  Gay  Duauer  de  la  Duana 
del  loch  del  Algiier,  salut  et  gracia.  A  liumil  et  denota  snpplicacio  per  part 
de  la  Uuiuersitat  del  dit  loch  à  uos  feta,  vos  diem  e  us  mauam,  que  no 
coutrestant,  que  la  data  de  la  letra  que  han  obtenguda  de  nos,  de  la  fran- 
quitat  del  dret  de  la  Duana,  sia  darrera  que  la  data  del  Priuilegi,  que  nos 
los  haueni  atoi'gat  de  les  altres  frauquctats,  la  dita  franquitat  de  dret  de 
Duana,  de  la  data  del  dit  Priuilegi  en  ga,  e  d  aqui  auant  coutinuaraent  1  us* 
obseruets,  segons  la  continentia  et  tenor  de  la  letra  d  aquells  obtenguda. 
ManffiWì  a  cautela  vostra  per  la  present  a  qualque  qual  de  vos  de  Ics  demunt 
dites  coses,  compie  oidor,  que  per  la  dita  rahon  centra  vos  ne  [centra]  vo- 
stres  beus  alcun  uotament  fer  no  deia:  Com   nos   sobre   ago   eu  fauor  dels 


'■  Questo  secondo  volume  dei  Privilegi  è  meno  antico  del  primo,  ch'era 
incominciato,  come  vedevamo,  nel  1436,  laddove  il  secondo  porta  la  data 
del  1613.  —  È  questo  un  grosso  volume,  dello  stesso  formato  dell'altro,  e 
pure  rilegato  in  legno  e  cuoio;  tutto  però  di  fogli  cartacei,  e  meglio  con- 
servato. Precedono  12  fogli  in  bianco  ;  sul  13°  leggesi  a  grandi  caratteri, 
e  fregi  in  nero,  questo  frontipizio  :  Privilegia  \  A  Serenissimis  Aragonum  \ 
Regibus  Celebris  memoriae.  \  Magnificae  Civitati  Alguerij  \  concessa,  denuo 
descripta,  existentib.  |  Consiliarijs,  Nobile,  et  ìlagnificis  \  Don  Francisco 
Amai.  1  Simone  Olivas.  \  Francisco  Sabba.  |  Joanne  luUano  et  Soler.  \  Sgl- 
vestro  Pistis  \  Anno  A  Nativitate  Domini  \  M.  DG.  XIII.  |  Antonio  latime 
Secret.°  |  .  Sul  f.  14»  è  lo  stemma  della  città,  disegnato  a  inchiostro  nero. 
Al  15°  comincia  l'indice:  Tania  \  o  repertori  \  dels  Privilegis,  gite  los  Se- 
reìiiss."'^  I  Regs  de  Arago  han  concedit,  à  la  Ma  |  gnifica  Ciutat  de  l'Alguere 
e  continua  per  sedici  fogli,  scritti  recto  e  verso.  Dopo  altri  quattro  fogli 
in  bianco,  incominciano  i  Privilegi;  i  fogli  allora  sono  numerati  per  cifr; 
romane  e  proseguono  in  sino  al  GGX,  quinterni  D  d  2.  I  Privilegi  sono  così 
distribuiti:  68  del  Rey  Pedro,  13  del  Rey  luan,  7  del  Rey  Marti  y  del  Pringip 
Marti  son  fili  Rey  de  Sicilia,  3  del  Rey  Ferdinando,  6S  del  Rey  Alfonso, 
19  del  Rey  luan,  S  del  Rey  Ferdinando  lo  Gatholich,  8  del  Emperador 
Carlos  Y  y  dela  Reyna  Juana  sa  Mare. 

^  per  vos  la. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  ^8 


274  Giiarnerio, 

habitants  en  lo  dit  locb,  liaiara  de  certa  sciencia  prouehit,  sots  la  inanera 
damont  dita.  Data,  en  Castel  de  Caller  a  xxlij  de  Juliol,  en  1  ayn  de  la  nati 
uitat  de  nostre  seuyor,  Mil  CCCL  ciuch. 


N.  5.  Lettera  del  Re  Pietro,  con  cui  proibisce  al  Vegiier  d'Alghero 
di  abbandonare  la  città,  quando  ne  escano  le  truppe  per  ragioni 
di  guerra  o  d'altro. 

Ann.  MCCCLXXXI. 
[Dall'apografo,  nel  voi.  II  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

cV  Alghero.) 

[fol.  Lini,  r.]  En  Pere  per  la  grada  de  Dea  Rey  D'Arago,  de  Valencia, 
de  Mallorques,  de  Serdeiìya  e  de  Corcega  e  Comle-  de  Bargelona,  de  Rossello, 
e  de  Cerdafiya.  Al  feel  nostre  En  Benigne  de  ruideperes  Veguer  de  la  Villa, 
vinents  vers  lo  terme  de  la  dita  vìla,  o  en  altra  manera,  come  a  les  vegades 
....  1  q?<e  nostres  gens  d  armes  han  exir  d  aquella  vila  per  contrastar  als  dits 
enemichs,  ò  aquells  offendre,  vos  exits  e  anats  ensemps  ab  lo  Gouernador 
lexant  sola  la  dita  vila  de  quens  marauillam  molt,  car  porla  sen  seguir, 
go  que  Deus  no  vulla  gran  periti  e  escandel.  Perque  us  dehim  et  mauam 
fort  expressanient,  e  sots  pena  de  la  fealtat  ala  qual  sois  tengut,  que  de 
aqui  auaut,  com  les  dites  nostres  gentz  d  armes  de  la  dita  vila  per  qual  se 
voi  raho  exiran,  Vos  per  res  no  lexets  sola  aquella,  ans  romanits  aqui,  e 
si  mester  sera  retenits  vos  alguns  homes  per  guardarla  de  tots  escandels  e 
perills,  com  a  vos  e  a  vostre  offici  pertanya  la  guardia  de  aquella,  manants 
per  les  presents  als  feels  nostres  Cousellers  e  prohomens  de  la  dita  vila,  que 
si  vos  asseiassets  de  l'er  lo  contrari,  go  que  no  creem  de  preseut  nos  en  cer- 
tifìquen  per  lurs  letres,  per  tal  que  y  puxam  prouehir  de  iusticia.  —  Dada 
sots  nostre  segell  secret,  En  Saragofa,  a  tres  dies  de  Ottubre  del  auy  Mil 
trecents  LXXXI.  —  Rex  P.  — 


N.  6.  Lettera  del  Tesoriere  del  Re  al  Governatore  della  Sardegna, 
con  cui  ordina  che  lascino  trasportare  grano  e  vettovaglie  da 
Cagliari  in  Alghero,  senza  pagare  diritti  di  dogana. 

Ann.  MCCCXCn. 

[DalVajìografo,  nel  voi.  II  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

d' Alghero.) 

[fol.  LXVII,  V.]  Al  Gouernador  et  Baile  general  del  Regne  de  SardeSya, 
e  al  Veguer,  Duaner,  e   als  altres   officials   del   Senor  Rey,  qui  ara  son,  o 

1  illeggibile. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  antichi.  273 

per  aaa?it  seran,  en  lo  Castell  de  Caller,  de  part  d  en  Julia  garrins,  Gonseller 
e  Tresorer  del  dit  sefiyor.  Com  lo  dit  sefiyor  Rey  ab  letra  sua  dada  en 
Barcelona  à  vini  dies  de  Decembre  de,  ayn  M.  GGG.  LXXXI.  liaga  atorgats 
als  officials  Gonsellers,  Rectors,  e  aucara  a  la  uniuersitat  de  la  vila  de  lal- 
guer  que  per  dos  ayùs  comengadors  del  dit  XX  dia  de  Decembre,  e  de  aqui 
auant  siguents,  puxeu  Iraure  del  dit  Castell  de  Caller,  e  a  la  dita  vila  de 
lalgner  aportar  sens  pagar  algun  dret  al  dit  seùor  pertanyeut  quals  se  vulla 
blats,  et  altres  vietualles,  que  ab  raonedes  lurs  en  lo  dit  Castell  de  Caller 
poran  comprar.  Et  ab  la  dita  letra,  lo  dit  seìiyor  man  a  vos  altres  que  no 
contrestants  qual  se  voi  inhibicions  per  lo  dit  seùyor  fetes,  lexets  als  dits 
officials,  Gonsellers,  Rectors,  e  a  la  uniuersitat  de  la  dita  villa  del  Alguer 
los  dits  blats,  et  vietualles,  del  dit  Castell  traure  segons  que  en  la  dita 
Carta  es  largament  contengut.  Pergo  de  part  del  seùor  Rey  vos  die,  e  us 
man,  e  de  la  mia  vos  prech.  que  1  manament  del  dit  senyor  conplistats  segons 
coutinenga  et  teuor  de  la  dita  letra  sua.  Scrita,  eu  Barcelona,  a  XXIX  dies 
del  mes  de  Marg,  anno  a  natiuitate  Domini  M.  GGG.  XG.  secundo. 


N.  7.  Carta  reale  del  Re  Ferdinando,  con  cui  slahilisce  che  le  opere 
militari  della  città  d'Alghei^o  siano  pagate  colle  rendite  dei  di- 
ritti reali. 

Ann.  MCCCCXIV. 
[Dall'apografo,  nel  voi.  II  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

d' Alghero.) 

[fol.  LXXXYT,  r.]  En  Ferrando  per  la  gracia  de  Deu  Rey  d'Arago,  de 
Sicilia,  de  Valencia,  de  Mailorques,  de  Serdeìiia,  e  de  Gorsega,  Gomte  de 
Barcelona,  Duch  de  Athenes,  e  de  Neopatria,  e  anoara  Gomte  de  Rossello, 
e  de  Cerdanya.  Al  feell  nostre  en  Guillem  catrilla  ^  procurador  general  en 
la  Isla  de  Serdenya,  salut  e  grafia.  Segons  hauem  entes  per  humil  exposicio 
a  nos  feta  per  N  anthoni  suny,  missatger  à  nos  tremes  per  la  vila  del  Alguer, 
acustumat  es  stat  en  temps  passat  per  nostres  predecessors,  que  les  obres 
del  murs,  e  dels  valls  de  la  dita  vila,  e  los  soldats  qui  y  eren  per  custodia 
d  aquella,  se  paguen  de  les  rendes,  emoluments,  e  drets  reyals  de  la  dita 
vila,  perque  a  nos  liumilraent  supplicai,  que  nos  sobre  les  despeses  fae- 
dores  per  raho  de  les  ditcs  obres,  e  dels  soldats  per  custodia  de  la  vila, 
deguessem  ^  segons  la  forma  e  mancra  del  temps  passat  dcgudament  pro- 
uehir.  Nos  la  dita  supplicacio  benignamcnt  admesa,  vos  deliira  e  us  monam 
expressament,  e  de  certa  scientia,  que  si  rebuda  per  vos  inforraacio  diligente 
trobarets  nos  esser  tengut  segons  lo  costum,  a  nos  del  temps  passat  per  lo 


*  per  Qatrilla.        ^  ripetuta  per  errore  questa  parola. 


276  GiiariH'ilo, 

dit  missatgei"  allegai,  e  pretes  a  pagar  les  dites  despcses  de  obres  de  miirs, 
e  valls,  e  dels  soldats  de  la  dita  villa,  pagaets  aquelles,  e  aquells  delesrendes, 
cmolmiients,  e  drets  reyals  a  nos  pertauyents  cn  la  Jsla  dessus  dita,  reduynt 
cnipcro,  temperali I,  e  moderaut  aquells  segoiis  que  la  qualitat  del  temps, 
CO  es  de  guerra,  o  de  pau  reguerra,  e  iiioiiestara  ^  e  a  vos  sera  be  vist  faedor, 
car  uos  remetem  les  dites  coses  a  discrecio  e  prouidencia  vostra,  la  qual 
eucarregam  estretaraeat  sobre  ago.  Pero  si  veurets  que  sia  faedor,  ab  vostres 
letres  de  les  coses  dessus  dites  nos  cousui tets,  per^o  que  nos  clararaent,  e 
distincta»ie«i  puxam  prouehir  sobre  aquelles,  e  a^os  enuiem  mauat  lo  que 
sobre  aco  deurets  fer.  Dada  ea  Qaragoga  a  XIX.  dies  d  abrii,  eu  1  ayù  de  la 
nat.«  de  nostce  seàyor  M.  GGCC.  XIIII.  —  Rex  Ferdiuaiulus . 


N,  8.  Carta  reale  del  Re  Alfonso,  con  cui  proibisce  al  Procuratore  Ge- 
nerale  del  Regno   di   Sardegna  di   esigere  dalla  città  d'Alghero 
più  dei  due  ventesimi  stabiliti  per  diritti  di  decima. 
Ann.  MCCCCXXII. 

[Dall'apografo,  nel  x-ìol.  II  dei  Privilegi,  Archivio  Comunale 

ci' Alghero  '^.) 

[fol.  CHI,  r.]  Nos  Alfonso  per  la  gracia  de  Deu  Rey  D'Arago,  de  Si- 
cilia, de  Valencia,  de  Mallorques,  de  serdenya  e  de  Gorsega,  Conile  de  Bar- 
celona, Duch  de  Atbenes,  e  de  Neopatria,  e  encara  Gomle  de  Rossello,  e 
de  Gerdania.  Al  feel  Procurador  nostre  en  lo  Regne  de  Serdeiìya,  eu  Jolian 
fìneller,  o,  a  son  l>oc}\Unent  salut  e  gracia.  Notificam  vos  que  lo  feel  nostre  en 
Jacme  de  font  de  Boreller  syndicli  de  la  vita  de  Lalguer,  ha  exposat  dauant 
nos  ab  clamor  que  vos  volets,  o  vos  sforgats  exhigir  dels  habitadors  de  la 
dita  vila  del  Alguer,  contra  dret  e  Justicia  per  raho  de  delme  un  vinte 
ultra  los  dos  vintens  que  paguen,  lo  un  a  nos,  o  a  vos,  en  nome  nostre,  e, 
1  altre  al  Rector  de  la  dita  vila,  la  qual  cosa  redunda  en  gran  dan[y]  e  preiuhi 
dels  habitadors  de  la  dita  vila.  Perque  supplicai  a  nos  per  lo  dit  syndich 
que  en  les  dites  coses,  deguessem  de  remey  de  Justicia  prouehir  vos  mauam 
expressaraent,  e  de  certa  scìeucia,  sots  incurriment  de  nostra  Jra  e  indi- 
gnacio  e  pena  de  dos  milia  florins  d  or  d' Ai-ago,  a  noslres  coffres  si  contra- 
farefs  applicadors,  que  si  los  habitadors  de  la  dita  vila  pagaran  un  vinte 
a  vos,  e  altre  al  Rector,  no  exegestats  altre  vinte  algu  dels  dits  habitadors 
cn  alguna  manera,  si  donchs  alcuna  causa  insta  e  honesta  no  s[e]  moslrara 
cn  contrari,  de  la  qual  nos  certifiquels   per  vostra  tetra  per  tal  que  infor- 


^  per  menestera,  sarà  necessario. 

2  È  trascritta  anche  nel  voi.  I  dei  Privilegi,  fol.  lxi,  v.  e  lxii,  r. 


Il  catalano  d'Algliero:  Testi  auticlii.  277 

mais,  vos  puxam  scriure  de  qo  que  ordenarem  esser  fahedor.  e  ac^o  no  mudets, 
ò  differats,  car  uos  volem  que  axi  s[e]  faga.  Dada  eu  lo  Gastell  non  Eeyal  de 
Napols,  sots  nostre  segell  secret  a  XXXI.  dies  de  Janer  del  ayu  de  la  na- 
tiuitat  de  nostre  senyor,  Mil  quatreceutz  XXII.  —  Rex  Alf. 


N.  9.  Relazione   della  venuta  in   Alghero   dell'  Imperatore   Carlo    V. 

Ann.  MDXLI. 

[Dall' originale j  nel  voi.  I  dei  Privilegi,  Archivio   Comunale 

d' Alghero  \) 

In  nomine  Illius  per  quem  omnia  gubernantur,  et  ejus  almae  Yirginis 
Mariae  Montisserrati.  Amen. 

Tenintse  noticia  que  lo  Invictissimo  y  Catolicli  Don  Carles  per  la  divina 
clementia  Emperador  de  Romans  sempre  august  y  Rey  nostre  Sefior  havia 
de  pasar  de  Italia  én  Barbarla  de  migjorn  per  ala  enprcsa  de  Alger  apres 
de  esser  arribat  de  Flandes  y  entes  en  les  coses  dels  lluferans  y  esserse 
vist  ab  sa  Santedat  en  Lucha  ab  gran  exercit  parti  de  la  Specia  ribera  de 
genova,  Nostre  Seiaor  Deu  fondi  servit,  que  a  tres  de  Octubre  mil  cincli 
cents  quaranthu  ab  quaranta  y  tres  galeres,  que  1  altra  armada  per  temps 
s  era  despartida,  arriba  en  lo  port  de  bonifassi  del  rtsyue  de  corsega  qual 
liavia  partii  com  cs  dit  de  la  specia  ribera  de  genova,  del  qual  loch  de  bo- 
nifassi escrigue  sa  ma*^  als  mag.=  Consellers  lo  present  any  de  la  Ciutat  del 
Alguer  huna  letra  fermada  de  sa  ma  dela  sua  junta  en  dit  loch  de  Bonifassi 
y  com  entenia  venir  en  està  present  Ciutat  de  lalguer,  la  qual  letra  a  dits  mag.® 
Consellers  fonch  trasmesa  per  lo  noble  don  diegx»  desseua  gouernador  y 
refTormador  del  cap  de  lugudor  de  Sasser  en  fora  migensant  lo  alguatzir  Joan 
denorra  dimecres  a  cinch  de  octubre  a  les  quatre  hores  apres  migjorn,  qual 
es  del  tenor  seguent:  "A  los  amados  y  fìeles  miestros  los  Jurados  de  ntiestra. 
"  Ciudad  del  Alguer.  —  Elrey.  =  Amados  y  Fieles  n?<es^ros  =  Nos  hemos  legados 
"  eu  està  hora  al  puerto  de  Bonifassi  y  pensamos  con  ayuda  de  n«e6/ro  Seùor 
"  ser  presto  en  està  Ciudad  del  alguer,  y  porque  despues  que  partimos  de 


^  Questa  l'elazione  occupa,  come  già  notammo,  cinque  fogli  non  numerati, 
e  aggiunti,  più  tardi,  in  fine  del  I  voi.  dei  Privilegi.  Sul  primo  foglio 
sta,  con  grandi  ghirigori  e  lettere  maiuscole,  1'  intestazione  :  La  memoria  . 
fela  .  de  .  tot  .  loq  .  sa  .  w'  .  ha  .  fet  .  en  .  lalguer  .  y  del  q  se  ha  fet  . 
per  sa  .  vifjuda.  —  Il  documento  è  già  pubblicato  dal  Tola,  nel  Codex  diplom. 
Sardi)?.,  voi.  II,  p.  198  segg. ;  ma  non  era  da  lui  trascritto  con  sufficiente 
esattezza^  e  non  è  inutile,  anche  per  ciò,  Che  qui  si  ripubblichi. 


278  Guarncrio, 

"  la  specia  uo  sahcmos  ci  viage  que  havran  celio  las  uaos  de  miestra.  armada 
"  quo  partieron  delaule  y  dcsearaos  scr  de  elio  avisados,  encargaiuos  vos  y 
"  mandamos  que'  luego  que  està  recibicredcs  nos  aviseys  de  los  navjos  que 
"  havran  aportado  eu  este  puerto  y  assi  de  la  miestra  armada,  corno  otros  qual- 
"  sequiera,  y  que  via  levavan.  y  de  lo  que  supiercdcs  de  ellos  :  y  assi  mismo 
"  darcjs  ordeu  que  eu  està  Ciudad  uo  falteu  las  vitoallas  que  fucren  me- 
"  nester  para  refresco  y  provehimiento  de  miestca  casa  y  corte,  liazieudo  eu 
"  elio  la  diligencia  que  de  vosotros  coufiaiuos.  =  Dat  eu  lo  puerto  de  Boui- 
"  fassi  a  tres  de  octubre  auo  MDXXXXC  =  Yo  EI  rey  Idaguès  secret."  =  „ 
E  subitament  rebuda  dita  letra  per  dits  magnifichs  consellers  ab  aquell 
lionor  y  reverenda  qu  es  perlanyent  entenguei'en  en  donar  orde  en  lo  que 
convenia,  y  en  la  matexia  nit  del  dimecres  arriba  en  Ciutat  dit  uoble  go- 
vernador,  qual  y  lo  Mag.  Veguer  luossen  Miguel  olives  menor  y  dits  consel- 
lers enlenguere^i  eu  fer  fer  hun  pont  de  lenyam  en  mar  molt  larcb  y  ampie, 
y  en  fer  pastar  molt  pa  blandi  per  prese?itar  a  sa  ma.*  y  fer  guè  per  la  terra, 
a  les  portes  de  les  cases  y  tendes  bi  hagues  abundancia  de  pa;  se  traguessen 
axibè  per  les  portes  gallines,  capons,  pollastres,  ogues,  anedes,  colomins, 
OLis,  rahims,  formatges,  fruytes,  y  altres  refreschs,  a  talqne  la  gent  pogucs 
comprar  sens  auar  cercant  prohibint  ab  crides  negu  no  venes  a  mes  preu 
del  solit:  manaren  fer  moltes  tavernes  de  vins  blanchs  y  negres:  p/-oveyren 
que  les  vagues  y  moltons  del  terme  entrassen  dins  Ciutat  y  que  Ics  car- 
nesaries  stiguessen  abnndants:  proueyren  que  lo?  pescadors  dels  caligues  ' 
y  altres  lochs  acudissen  ab  peix  y  que  tot  stigues  per  places  a  talq?fe  sa  ma.* 
y  sa  cort  rebessen  algun  refresdì  en  està  sua  pobre  Ciutat  y  conegues  la 
innata  fidelitat  de  sos  Yassalls  que  eu  ella  stan  y  habilan,  y  axi  mateix  dit 
noble  gouernador  y  veguer  y  raag.^  consellers  consertaren  per  sa  ma*  una 
caga  de  porcli  al  port  del  compte^;  coni  de  fet  eu  la  mateixa  nit  anaren 
los  mag.s  mossen  gueran  de  Cetrilla  y  mosseu  Perot  Amat  Cavallers  d  està 
Ciutat  y  lo  mag.  mossen  auge!  Torralba  conseller  segon  y  altros  Ciutadans 
y  proliomens  de  Ciutat  y  servidors  d  ells  ab  molt  aparell  de  cavalls,  cans, 
jagaradors  y  altres.  Y  en  dit  port  del  compte  speraren  a  sa  ma.*  per  cagar 
dos  uits  finsque  de  fet  arribaren  les  galeres  al  port  del  compte  lo  dijous 
circa  migianit  a  sis  de  dit  mes  de  octubre  :  y  lo  cndcraa  diveudres  ans  del  die 
lo  dit  noble  governador  acompanyat  de  quatre  cavallers  quals  eren  don  Johan 
Mancha,  don  angel  Manclia  gerraans,  don  Jaume  Manca  y  don  Johan  Cariga 
sassaresos,  que  s[e]  trobaren  aposta  cu  ciutat  per  la  vinguda  de  sa  mat.*  ab 
liiina  barca  armada  ana  al  port  del  compte  y  arriba  a  bora  que  sa  ma.*  no  era 
llevada,  y  apres  de  esser  Icvat  besa  Ics  mans  de  aq?<ella  tant  per  part  sua 


^  Caìicli  è  chiamato  anche  oggigiorno  uno  stagno  d'acqua  dolce,  formato 
da  torrenti  che  vi  si  scaricano,  e  avente  comunicazione  col  mare,  il  quale  vi 
si  introduce  dalle  arcate  del  Ponte  dello  Stagno.  Abonda  di  angnille,  muggini, 
orate  ecc.;  e  vi  tengono  continua  dimora  le  anatre  e  le  folaghe. 

2  L'attuale  Porto  Conti. 


Il  catalani  d'Alghero:  Testi  antichi.  279 

coni  de  la  Cintat,  y  dìgue  la  alcgria  qac,  tcuien  tots  de  la  jiinfa  de  sa  ma.* 
y  com  pesava  als  consellers  lo  podi  tenips  qiie  harien  agut  per  proveir  del 
necessari  ab  nies  abundancia  de  la  que  tenian,  y  la  que  mes  convingue,  y 
sa  ma*  lo  rebe  ab  molt  voluntat,  y  digue  qu'estava  certificat  de  la  voluntat 
de  tols.  Y  veyent  gent  de  cavali  y  a  pea  en  terra,  y  dientli  eran  casadors 
de  la  Giutat,  qui  staven  aparellats  peraque  si  sa  ma.*  volgues  casar,  lo  pogues 
i'er,  lo  stima  molt,  y  los  dits  Cavallcrs,  Consellers  y  lo  noble  Don  laumc 
ramon  cetrilla  qui  y  era  arribat  y  altres  casadors  ja  dit:^  muntaren  eu  galera 
y  besaren  la  ma  a  sa  ma.*  quals  rebe  ab  molta  voluntat,  y  de  fet  devalla 
ab  hun  squifet  cn  terra  sens  guardia  ne  altres,  sols  ab  tres  o  quatre  grans 
(le  sa  cort,  quals  eren  el  duch  de  camerino  net  del  papa  paulo  tercer  son 
gendre  el  princep  de  salinona  don  luys  davilla  comenador  mayor  d'alcan- 
lara,  lo  princep  de  macedonia,  y  lo  embaxador  de  Inglaterra,  y  metens  en 
mig  de  dits  Cavallers  casadors,  oyda  primer  missa,  qual  se  digue  al  locb 
que  s[e]  diu  la  dragonaya  *,  que  digue  hun  capella  de  sa  ma.*  apres  munta  a 
cavali,  y  los  altres  grans  de  sa  cort  tanbe,  y  casaren,  y  sa  ma.*  mata  hun 
porch  que  li  vingue  a  la  posta  ab  hun  gos  de  dit  mossen  gueran  de  ce- 
trilla: y  apres  volgue  sa  ma*,  que  los  dits  conseller  y  cavallers  mu?itassen 
ab  eli  en  la  sua  galera  propya,  y  ab  aquells  arriba  en  lo  port  de  la  dita 
present  ciutat  divendres  a  set  de  dit  mes  de  octubre,  quasi  a  bora  de  ve- 
spres  ;  y  mentres  sa  ma.*  casava  dit  noble  governador  sen  torna  eu  ciutat, 
y  reffery  als  dits  A^eguer  y  consellers  y  cintadans  lo  sobredit,  y  les  galeres 
per  lo  semblant  sen  vingueren  al  port  molta  part  d'ellas  ara  liuna  ara  altra, 
talnient  que  sa  ma.*  vingue  ab  molt  pogues,  no  curant  dites  galeres  de 
servar  guardia  a  sa  magestat,  e  ja  desdelmati  quatres  fregattes  havien  pres 
jjort,  no  curant  star  per  les  puntes  com  solen. 

Lo  pout  que  la  ciutat  feu  fer  per  devallar  sa  mag.*  era  de  bigues,  taules, 
y  cabirons  molt  larch  que  passava  des  sobre  de  les  segues  ^  dins  mar,  al 
cap  del  guai,  a  la  volta  del  mar  stavan  pinlades  les  arnies  de  sa  mag.*  molt 
snmptuosame«t,  quals  pinta  mestre  Jolianet  spert  ciutada.  Stava  cubert  dit 
pont  de  draps  lìns  de  Barcellona,  vermells,  grochs,  y  altres  colors  de  molta 
valor,  y  staven  sperant  a  sa  mag.*  dit  noble  governador  y  mag.^  veguer  y 
consellers  acompanyats  ab  molts  cavallers  ciutadans  y  prohomens  de  ciutat 
y  fora,  eutre  Is  quals  era  d"  Bernal  dessena  gerraa.  de  dit  noble  governador, 
el  alcayt  capata  ^  de  Caller,  d'^  Franco  rebolleda  conscller  en  cap  de  Sasser, 
d"  lohau  manca  y  altres  que  per  brevetat  se  dexen,  vcstits  honraderaent, 
y  lo  mag.  couseller  eu  cap  portava  les  claus  de  la  Ciutat  en  les  mans  ab 
SOS  cordons  y  llocbs  de  seda  fina  vermella  y  groga,  y  stant  axi  sperant  ja 
les  galeres  havien  pres  port,   y  la  gent  de  aquelles  sen  estava  passeyant  y 


^  Oggi  Tragonaja;  piccola  spiaggia  di  Porto  Conti,  alla  quale  ora  mette 
capo  la  strada  che  conduce  al  Faro  di  Capo  Caccia.  Prende  nome  da  una 
sorgente  sotterranea,  alla  quale  si  disccnle  con  molta  difficoltà. 

^  le  secche  del  porto.         "  l'Alcaide  Rapala. 


280  Guai-aerio, 

aposentatla  per  cases,  quo  neguiia  guardia  sperava  a  sa  iiiag.*  Y  la  Ciulat 
desquc  arribarcn  Ics  primeres  galere?,  fins  quo  sa  mag.'  fondi  eii  palacio 
no  cessa  de  tirar  senpre  artillaria,  carrecli  de  la  qual  tenia  mossen  laurae 
valldellas;  y  sa  ma.'  leu  posar  totes  les  banderes  y  standart  en  la  sua  ga- 
lera y  niaua  saludar  la  Ciutat  de  la  sua  "p/'opya  galera  ab  quatre  tirs  de 
bombarda,  quals  tirats  deseubarca  ab  sun  squifet  a  soles  ab  lo  princep  doria 
y  los  gai  vogaven  y  ans  de  venir  al  pont  per  desanbarcar  cu  terra  aua  ab 
dil  squifet  y  dit  princep  doria  arrodar  y  mirar  la  Ciutat  de  la  banda  de 
la  mar,  qo  es  des  de  sant  Elm  ^  fins  a  la  torre  del  spero  ^  o  adabayx  ;  y 
dubetant  los  dits  noble  governador  y  mag.^  veguer  y  consellers  que  sa  mag.* 
no  entras  per  lo  portai  real  sen  anaren  del  pont  y  no  foren  tant  prest  fora 
que  ja  dit  pont  fonch  sag^ejat,  y  donat  a  boutti  los  draps  de  aquell  per 
los  soldats  de  sa  mag.*  e  altres,  de  gue  sa  mag.*  pres  plaer  segons  mostra. 
Y  apres  de  haver  be  rairat  sa  magestat  torna  ab  dit  squifet  y  desanbarca 
al  dit  pont,  y  mana  a  la  guardia  ([ue  sen  anasse  gue  no  era  mestcr,  gue 
stava  en  sa  casa,  y  axi  la  guardia  no  serva  orde  negu,  come  se  sol  en  altres 
parts  en  palacio  dins  ni  de  fora,  sinoque  sen  anaren  a  passejar  abont  volien. 
En  lo  qual  pont  los  dits  governador,  veguer  y  consellers  y  ciutadans  ca- 
vallers  y  prohomens  engenollats  li  bcsareu  la  ma,  y  sa  mag.'  ab  raolt  amor 
los  rebe,  y  donantli  las  claus  dits  mag.^  consellers,  ut  decet,  sa  magestat 
les  accepta  y  apres  les  torna  ad  aquells,  dient  en  lengua  castellana:  "  lu- 
rados  teueldas  en  bonora  gue  d'esto  somos  contentos,  y  assi  hos  mandamos 
y  rogamos  que  tengais  acquellas  y  mireis  por  el  bieu  de  la  terra,  comò 
sois  obligados,  y  vuestra  fidelidad  requere  „.  *  Perloque  altra  volta  dits  Magni- 
fichs  Consellers  li  besaren  la  ma,  y  apres  ramina  fins  al  cap  del  pont,  aliont 
en  terra  staven  los  Reverendissims  Bisbe  de  Ampurias,  que  v'^[e]  troba  present 
en  Ciutat  vestit  de  Pontificai,  y  Don  Fedro  Yaguer  Bisbe  del  Alguer  y  del 
Consell  de  Sa  Magestat,  que  ja  ans  era  entrat  en  Ciutat,  y  lo  bavien  rebut 
segons  se  acosturaen  rebre  los  Prelats,  qual  no  stava  vistit  de  Pontificai,  y 
acompanyats  del  Vicari  M.  Francisco  Guio  y  Duran  Arcipreste  del  Alguer, 
Canongies,  Capellans,  y  Frares  ab  les  Creus,  segons  es  solit,  teniut  la  vera 


^  È  una  torre,  detta  di  Sant'  Elmo,  che  nei  tempi  passati  serviva  di  pol- 
veriera, posta  dirimpetto  all'Ospedale  Civile,  già  Monastero  di  Santa  Chiara, 
dove,  prima  dell'  erezione  del  monastero,  eravi  la  Porta  della  città  per  al 
mare. 

^  Questa  torre,  chiamata  ancora  dello  Sperone,  è  la  piiì  forte  ed  elevata 
nel  giro  dei  bastioni  della  città.  In  questa  torre,  il  6  maggio  del  1412,  fu- 
rono dagli  Algheresi,  coH'ajuto  delle  loro  donne,  rinchiusi  ed  arsi  i  Fran- 
cesi, capitanati  dal  Visconte  di  Narbona,  come  vedremo  nel  documento  che  a 
questo  sussegue. 

^  Fin  qui  ho  trascritto  io  stesso  dal  codice;  il  resto  è  trascritto  dal 
sign.  Celestino  Fiori,  del  Municipio  d'Alghero,  che  mi  fornì  anche  le  uoterelle 
storiche. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  antichi.  281 

Creu  en  la  ma  lo  dU  Revercndissini  Bisbe  de  Ampurias,  stant  ya  aparellats 
dos  cadires  (erau  de  Mossen  Francisco  Bosquets),  y  dos  coxins  de  seda  verda 
que  dexa  Donna  Isabel  Amat  y  Dessena,  y  lo  palli  de  brocat  forrat  de  tafetta 
girasol  de  la  Seu  K  Sa  Mag.*  se  engenoUa  sobre  dits  coxins,  y  besa  en  mans 
de  dit  Reverendissim  Bisbe  de  Ampurias  la  vera  Creu,  y  apres  cavalca  sobre 
un  cavali,  castany  molt  ben  guernit,  que  stava  aparellat,  que  era  del  Noble 
Don  .fohan  Manca;  y  estaut  sot  del  palli  digue  al  Bisbe  del  Algucr:  "  Obispo, 
passadme  „  y  anava  aquell  ab  los  que  portaven  lo  palli,  y  ab  solemuitat  y 
processio  entra  Sa  Mag.*  en  la  sua  Ciutat  del  Alguer  dit  die  divendres  a  set 
del  predit  mes  de  Octubre  mil  sinchcents  quarantahu  a  hora  quasi  de  vespres, 
y  portaut  lo  palli  los  Magni fìchs  Mossen  Perot  Castilla  Donzell  Conseller  eu 
cap,  Mossen  Angel  Torralba  Gonsellersegon,y  Mossen  TohanGaleasso  ConselJer 
quart,  los  nobles  Don  Fedro  de  Ferrera,  Don  lohan  Manca,  y  lo  Maguiflch 
Mossen  Gueran  de  Getrilla,  y  entrant  eu  Ciutat  ana  a  ter  oracio  en  la  Seu  Ca- 
tadral  de  dita  Ciutat,  y  apres  de  haver  fet  oracio  torna  a  cavalcar,  y  arribat 
a  la  posada  de  dit  noble  Don  Fedro  de  Ferrera  en  la  Plaga  qu  estava 
aparellada,  mana  Sa  Mag.'  que  no  fos  portat  mes  lo  palli,  perque  ans  de 
descavalcar  volia  que  anasseu  a  veure  lo  restant  de  la  Ciutat,  que  restava 
a  veure  de  la  part  de  terra,  puex  havia  vist  la  part  de  la  mar,  com  de 
fet  ana  Sa  Magestat,  y  seguiren  lo  noble  Governador,  Magnifichs  Veguer  y 
Consellers,  los  Gavallers  que  portaven  lo  palli,  Don  Bernart  Dessena,  Mossen 
Francisco  de  Busquets,  y  altres  Gavallers,  y  Ciutadans  de  Ciutat,  y  exint 
pel  Portai  Real  fora  de  Ciutat  digue  Sa  Mag.*  als  Consellers  "  lurados?  està 
es  la  Iglesia  ^  que  derribasteis  quando  venieron  los  Franceses  ?  „  y  dits 
Consellers  digueren  que  sy,  y  arribat  a  la  torre  del  Spero,  y  parentli  be 
la  fabrica  de  ella  munta  encara  fins  a  hun  pedraste  y  terra  cavallera  que 
y  ha  al  pou  de  la  Roque  ^  de  hont  se  veu  quasi  la  Ciutat,  y  sent  hally 
mira  be  Sa  Mag.*^  la  Ciutat  y  la  Torre  del  Spero  y  digue:  "  Bonita  por 
mi  fé  y  bien  assentada!,,  y  girantse  al  Governador  y  Consellers  digue 
"  Esto  es  de  poca  importangia,  alzat  el  llienzo  de  la  muralla  y  la  torre 
"  asta  la  altura  de  aquellos  dos  horabres,  y  fluid  la  obra.  „  dieut  ho  per  dos 
homes  que  cstavan  drets  sobre  la  muralla  velia  de  dita  torre  del  Spero.  Y 
toruantsen  Sa  Magestat  en  Ciutat,  essent  en  mig  del  trast  de  la  torre  del  Spero, 
y  de  la  torre  del  Portai  Real  que  respou  devaut  San  Miguel,  digue  Sa  Magestat 
"  lurados,  aqui  sera  bien  se  haga  una  casamatta,  que  del  resto  lodo  està  bien  „ 
y  retenent  son  carainar,  y  essent  entre  lo  Portai  nou  y  veli,  Sa  Mag.*  arresta 
lo  cavali  per  mirar  les  sues  armes  qu  estaveu  alli  pintadcs,  y  los  Consellers 
li  digueren  que  en  semblants  fabriques  se  despenevan  los  dines  que  Sa  Ma- 


^  sede,  cattedrale. 

2  Piccola  chiesa  della  Madonna  degli  Angioli,  fuori  delle  murn,  che  fu 
dagli  Algheresi  demolita  quando  i  Francesi  tentarono  l'invasione  d'Alghero, 
nel  1412. 

^  È  un  pozzo  sottostante  alla  strada  nazionale  che  da  Alghero  va  a  Rosa. 


282  .  Guarncrio, 

gcstat  feja  inerced  a  la  Ciutat,  qual  respongue  :  "  Bien  lo  veyo,  y  plasome  de 
elio  „  y  entra  en  Ciutat,  y  entrai  en  la  posada  de  dit  Don  Fedro,  descavalca 
y  sen  monta  en  la  Sala,  aliont  lo  Prlucep  Doria,  y  altres  grans  lo  esperaveu, 
y  Sa  Mag.t  parla  un  poch  en  peus  ab  dit  Princep  Doria  de  la  aruiada  de 
juar,  que  per  letra  que  tenia  dit  noble  Governador  se  sabia  aliont  havia 
aportat,  y  sen  entra  en  la  cambra,  y  tot  lioiu  sen  ana  en  ses  cases.  Y 
apres  de  ser  en  la  cambra  Sa  Mag.*  se  posa  a  la  finestra  ab  lo  Princep 
de  Macedonia,  lo  Princep  de  Salmona,  lo  Ducli  de  Camerino  net  del  Papa 
y  gendre  de  Sa  Mag.*  y  don  Luys  Davila  comeuador  mayor  de  Alcantara, 
stant  rient  ab  aquell?,  mirant  la  plaga  y  veyent  les  vagues  y  bous  que 
embarcaven,  los  soldats  com  corrien  per  la  plaga  y  les  mataven  a  coltellades. 
Y  essent  ja  quasi  nit  los  dits  mag.^  consellers  acompanyats  ut  supra  anaren 
a  palacio  y  verbo  suplicaren  a  Sa  Mag.'  fos  servit  de  arrecordarse  de  aquesta 
sua  Ciutat,  puex  nostre  Senyor  Deu  nos  havia  fet  mercet  que  Sa  Mag.*  era 
vinguda  en  ella  per  star  en  hun  scoli  de  rogues  luny  de  poblat,  y  en  con- 
tinua punya  de  enemichs,  que  sols  tenian  lo  noni  de  ser  vassals  fielissims  de 
Sa  Magt.^  al  que  aquella  respongue  dient:  "  lurados,  la  gana  que  teniamos  de 
"  velier  l'Alguer  iios  ha  hecbo  venir  en  Serdena,  que  otraniente  no  venjamos, 
"  y  pues  hemos  vista  la  Qiudad  y  la  importancia  de  ella,  al  presente  no  po- 
"  demos  proveher  nada,  por  estar  de  camino,  embiadnosle  a  quedar  en 
"  Espana,  que  de  alli  lo  provehiremos  y  niandaremos,  comò  mejor  faere 
"  nuestro  servigio,  y  la  importang.ia  de  la  Qiudad  requiere,  y  vuestra  fide- 
"  lidad  meresse,  y  quissa  antes  de  mucho  nos  vehereis  aqui  ottra  ves,  si 
"  Dios  faere  servido.  „  Del  que  dits  Consellers  besaren  la  ma  a  Sa  Mag.^ 
fent  gracies  ad  Aquella  de  la  bona  volontat  y  amor  [que]  los  mostrava,  y  sen 
anaren,  y  ancara  que  stigues  fet  lo  preparatori  en  palacio  de  sopar,  Sa 
Mag.*  no  sopa,  salvo  que  la  nit  mengia  certes  rosgucs  de  bescuit  blanch  y 
begue  aygua  canyellada,  y  axo  feu  per  trobarse  indispost  del  pit:  y  ans  de 
posarse  Sa  Mag.'  al  lit,  digue  al  Conseller  quart,  que  en  tot  era  stat  y  era 
presenti  "  lurado,  vayanse  todos,  no  hemos  menester  de  nada,  que  ya  esta- 
„  mos  en  casa  nuestra.  „  Al  que  respos  un  al.ibarder  de  Sa  Magestat  ano- 
menat  Rodrigo,  y  digue:  "  Seùor,  los  lurados  no  han  proveliido  de  colchones 
"  por  nosotros,  baeno  sera  que  descolguemos  estos  panyos  y  nos  echemos 
"  en  ellos  „  Y  Sa  Magestat  sen  rigue  y  digue  al  dit  Conseller  quart  :  "  lu- 
"rado,  mira  que  no  hagan  dafio  estos.,,  Y  dit  Conseller  respongue:  "No 
haran  Senor  „  Y  tot  hom  sen  ana  y  Sa  Magestat  se  posa  al  lit  que  la  Ciutat 
havia  aparellat  y  dit  alabarder  no  digue  per  falla  de  lits,  que  tothom  stava 
ben  aposentat,  sino  per  les  strenes  que  la  Cintai  lis  dona  axì  als  alabar- 
ders,  com  als  alecayos,  guardarobbas,  forncrs,  porters,  dispensers  y  coch,  que 
dit  Conseller  quart  per  pari  de  la  Ciutat  los  sirena  a  tots  en  circa  de  set- 
tanta ducats  segons  la  qualitat  del  offici  requeria  y  cobra  lo  palli  y  draps, 
de  lo  que  restaren  moli  conlents  de  la  Ciutat.  Y  lo  endema  levada  ya  Sa 
Mag.t  se  feu  preparatori  de  missa  en  la  sala  del  palacio,  ahont  Sa  Mag.*  y 
niolls  priuccps,  duchs,  marquesos,  comtes,  prelats  y  grans  Sefiors  de  la 
cori,  dit  noble   Governador,  y  mag.«  Yeguer,    Consellers,    Cavaliere,   cinta- 


I]  catalano  d'Alglicro  :  Testi  antichi.  '  283 

(ìans  y  altrcs  del  Alguer  oyren  missa,  qual  digue  hun  Capella  de  Sa  Mag.* 
Y  sent  hora  de  dinar,  tothom  sen  ana  eu  lurs  posades,  y  Sa  Mag.*  san 
toi-na  a  la  cambra,  abont  dina  ab  tot  aquell  aparell  y  provicio  que  Sa 
Mag.*  requeria  a  la  cambra  secreta,  per  trobarse  indispost  del  pit  com  es 
dit,  y  a  cap  de  un  pocb  Sa  Mag.*  raana  fer  crida  que  tothom  se  enbarcas, 
y  essent  ja  quasi  dos  hores.  Sa  Mag.*  mana  partir  y  exint  de  la  cambra  a 
la  sala  per  anarsen  a  enbarcar,  eu  dita  sala,  en  presencia  dels  sobredits 
Princeps,  Duchs,  Comtes,  Prelats  y  grans  senors  de  la  sua  cort  y  del  dit 
noble  Governador  don  Diego  Dessena,  y  de  molts  altres  cavallers  y  ciuta- 
dans  de  la  present  Ciutat,  Sa  Mag.*  arma  cavallers  als  mag.^  mossen  lohau 
Galeasso  conseller  quart  ya  dit  y  a  mossen  Duran  Guio  del  Alguer,  a  mossen 
Fedro  Pilo,  a  mossen  Cano,  y  a  mossen  Yirde  de  la  Ciutat  de  Sasser,  y  a 
mossen  lolian  Delsgrcxio  de  castell  aragones,  y  prengue  carta  de  la  milicia 
y  cancelleria  lo  secretar!  de  sa  mag.*  mossen  lohan  Peralongo,  y  devallant- 
scn  per  la  scala  del  dit  palacio,  dit  conseller  quart  fet  cavaller  com  es  dit 
demana  a  Sa  Mag.*  licencia  de  anar  a  servir  Sa  Mag.*  en  està  enpresa  de 
Alger,  y  Sa  Magcstat  respongue  :  "  lurado,  harejs  vuestro  ofTicio  por  ahora, 
y  assi  hos  los  mandamos.  „  Y  volent  exir  Sa  Magestat  de  la  porta  del  pa- 
lacio, lo  noble  don  Pedro  de  Ferrera  se  acosta  y  suplica  a  Sa  Magestat  que 
tingues  per  be  y  fos  servi t  de  aceptar  en  soa  lodi  a  son  germa  don  Miguel 
de  Ferrera,  qual  era  alli  present,  puix  eli  per  sa  indisposicio  no  podia  anar 
a  servir  a  Sa  Mag.*  eu  està  enpresa,  y  Sa  Mag.*  lo  acepta,  y  girantse  Sa 
Mag.*  al  dit  conseller  quart,  que  rapresentant  la  Ciutat  li  anava  al  costat 
squerre,  com  los  altres  companyons  no  se  trobareu  preseuts,  per  star  occu- 
pats  ab  los  hostes  y  gran  Senors  [que]  tenien  en  casa,  desde  la  porta  del  pa- 
lacio fìns  a  la  porta  del  mar  li  anava  parlant,  demanantii  Sa  Mag.*  del  assento 
y  trast  de  la  Ciulat,  y  dit  conseller  li  dona  complida  raho  de  tot.  Y  essent 
intrat  al  dit  portai  de  la  mar  Sa  Mag.*  mana  desenbarsassen  lo  pont  de  la 
gent  que  y  era,  y  munta  en  aquell  y  ya  estava  aparellat  lo  squifet  de  la 
sua  galera  y  besat  priraer  la  ma  de  Aquella  los  dits  Governador  y  Con- 
seller quart,  y  molts  altres  Cavallers,  Ciutadans  y  Prohomens  de  ciutat,  Sa 
Magestat  se  enbarca  y  touch  disapte  a  huit  del  uies  de  Octubre,  y  parti- 
rense  totes  Ics  galeres  segiiint  a  Sa  Magestat  y  anaren  al  port  del  compie, 
y  apres  en  lo  Ter  del  die  del  domengie  ab  molt  bonissim  temps  feren  lur 
via  per  ala  ciutat  de  Mallorqaes,  aliont  tota  l'armada  se  bavia  de  juntar,  segou 
Sa  Magestat  digue  y  de  alla  havien  de  partir  per  Alger.  Nostre  Senor  li 
doue  Victoria  peraque  reduesca  los  princeps  pagans  al  gremj  de  la  santa 
mare  Iglesia.  Amen. 

Ala  qual  Cesarea  Magestat  los  dils  mag.^  consellers  per  part  de  la  ciutat 
per  renfresch  de  la  sua  casa  y  cort  feren  present  de  moltes  vagues,  de  molts 
moltons,  de  moltes  gallines  y  capons,  y  de  molts  rasers  de  pa  blanch  fet  a 
cocorrois  *,  de  moltes  botes   de  vy  vermell,   y   de  malvasia,  de  moltes  do- 


*  È  un  panello  di  farina  di  semola   bianchissima,  fatto  a  guisa  di  serto, 
«he  usano  tuttora  nella  Pasqua  di  llisurrezioue. 


2S4  .  Guaruerio, 

tzencs  ile  antorclics,  y  vclas  de  cera  gi'oga,  y  de  moltcs  friiitcs  y  ortallet:, 
y  alfres  refreschs,  de  quo  Sa  Mag.*  ne  resta  molt  coutentn,  no  obstant  que 
y  hagues  podi  iutervall  de  teinps,  que  sols  foreu  trenta  Jiores,  talmeut  que 
la  Giutat  no  pugue  fer  lo  que  haguera  volgut  ab  ines  compliment,  ultra 
que  tots  Ics  cortesans  en  general  y  en  particular  sen  sou  anats  molt  cou- 
tents,  tant  de  lo  aparell  de  les  posades,  peraque  tots  foren  molt  ben  aposentats 
per  cases,  com  encara  per  lo  compliment  de  las  vitualles  y  recapte  [que] 
havien  trobat  en  Giutat  ab  molt  amor  y  cortesia.  Y  Sa  Mag.*  mana  al  dit 
conscller  quart  que  tenia  carrech  de  dit  refresch,  que  lo  dispensas  en  la  sua 
casa  y  cort  a  orde  de  Francisco  Duarte  provisor  general  de  Sa  Magestat, 
com  de  fet  dit  conseller  et'fectua  y  compii,  segons  consta  en  les  polices  que 
aquell  li  feja,  una  de  les  quals  se  inserex  a  tenor  d  ella,  y  les  altres  per 
prolixitat  se  dexian  de  insertar,  qual  es  del  tenor  seguent:  "  Muy  magnifico 
"  Seìior  lohan  Galeasso  lurado  de  la  Giudad  del  Alguermande  vuestra  mer^ed 
"  que  se  consigne  para  la  galera  capitana,  en  que  viene  Sa  Magestad  seis 
"  vacas  y  veinte  carneros,  y  quatro  botas  de  vino  bianco,  y  dos  de  tinto, 
"  y  ciuquenta  aves,  y  seis  sacos  de  pan  fresco  para  provision  de  los  gen- 
"  tiles  hombres  y  criados  de  Sa  Mag.*^  que  van  en  ella,  demas  de  lo  que 
"  por  ofra  parte  se  da  ala  propria  galera,  y  que  sea  del  scogido.  Heclio  en 
"  Alguer  a  VII  de  octubre  MDXXXI.  Assi  mismo  se  den  por  està  galera  tres 
"  gestas  de  uvas,  y  una  de  naranjas.  Al  servigio  de  Vuestra  Merged,  Fran- 
"  cisco  Duarte.  „  Y  ultra  lo  sobredit  tots  los  grans  y  altres  no  dexiaren  do 
comprar  moltons  y  vagues,  pa,  vins  y  altres  vitualles  per  haverne  ab  abuu- 
dancia,  y  mes  saquejaren  y  donaren  a  boti  y  a  fìl  de  spasa  per  a  dosentes 
vagues  del  dit  noble  governador,  de  mossen  Galceran  Ferret,  de  niossen 
Bertbomeu  Castanier  y  de  altres  seQors  de  bestiar  de  Giutat,  de  que  Sa 
Magestat  preugue  plaier  y  mana  al  dit  Francisco  Duarte  les  pagas,  dient 
"  pagheuse,  pagheuse,  no  se  reciba  tanto  dauyo  „.  y  axo  mana  Sa  Magestat 
motu  proprio,  sens  que  ningu  tal  li  suplicas,  peraque  la  Giutat  entenia  tot 
pagarlo,  com  de  fet  ha  pagat,  y  pagara  y  farà  la  contenta  a  tothom.  Y 
peraque  es  raho  que  de  tant  gloriosa  venguda  y  visita  de  Sa  Magestat  sen 
fassa  espressa  memoria  en  los  registres  de  la  casa  del  Gonsell  de  aquella, 
peraque  tots  los  que  vindran  lo  veyeu,  de  manament  de  dit  noble  gover- 
nador y  raag.s  Veguer  y  Gonsellers  se  fa  la  present  y  se  recondex  en  lo 
archivi  de  dita  Giutat,  y  axo  per  haver  la  major  part  de  la  cosa  passada 
per  ells,  y  altx'a  refenda,  y  publicament  vista  per  tot  Giutat. 
•  Y  apres  de  la  partida  de  Sa  Mag.'  los  dits  mag.^  Gousellers  per  mes  me- 
moria y  bo/ira  de  la  Giutat,  y  dels  que  vindran  en  aquella,  manaren  affigir 
y  sculpir  les  armes  de  la  dita  Magestat  Cesarea,  y  sola  de  ellas  les  de  la 
Giutat,  y  de  dit  noble  governador,  y  a  sots  de  totes  un  retol  o  epigramma^ 
manifestant  dita  viuguda  tant  gloriosa,  lo  die,  mes  y  any  y  los  que  gover- 
navan  la  Giutat  en  lo  modo  y  forma  que  siguex. 

GAROLVS   QVIXTVS     |    Divina  favente   clementia    |    Imperator  Koma- 
norum  semper  Augustus    |    Hyspaniarum  Aragonum  Sardiniae  etc.   Rex    | 
Septima  die  Octobris  anni  'dDXXXXT    |    cum  quadraginta  tribus  triremibus 


Il  catalano  d'AIgliero:  Testi  antichi.  28^ 

I  Ad  portimi  hiijiis  Civitatis  Algarii  |  feliciter  pervenit  et  in  ea  duabus 
■iliebas  perznansit.  |  Nobili  D  '^  Didaco  Uessena  |  Praesens  Caput  Lugudori 
Gubernante  |  et  Maguifìcis  |  Petro  Castilla  Domicello  Angelo  Torralba| 
Augustine  Pont  et  loanne  Galeasso  Milite  |  Gonsiliariis  existentibus  |  ac 
Augusto  Torralba  Pro  |  clavario  |  in  cujus  rei  memoriam  hoc  epigramma 
scriptum  est.    |    MDXXXXI. 

Loco  ^  sigilli. 

Signum  nieuui  Ioannis  Galeassi  quarti  Consiliarii  hujus  Civitatis  Alguerii, 
Apostolica  et  Imperiali  per  totiim  orbem  auctoritatibus  Notarli  Public!  per 
omnes  teri-as  et  ditiones  Sacrae  Cesareae  et  Catolicae  Majestatis,  quia  prae- 
missis  omnibus  et  singulis,  dum  sic  ut  praemittuntur  fierent  et  agerentur 
praesens  interfui,  caque  omnia  et  singula  fieri  vidi  et  audivi  et  a  fidedignis 
testibus  relatum  fixit,  ideo  hoc  praesens  compendium  ac  memoriam  rei  ge- 
stae,  manu  mea  propria  scriptum,  exinde  confeci,  subscripsi,  publicavi,  et 
in  liane  publicam  l'ormara  redegi,  signo  et  nomine  meis  solitis  et  consuetis, 
una  cum  praelibatse  Civitatis  Alguerii  minoris  sigilli  in  fronte  signavi,  in 
fidem  et  testimonium  omnium  et  singulorum  praemissorum  rogatus  et  re- 
quisitus  mandatu  diclorum  nobilis  Domini  Gubernatoris  et  Magnificoruni 
Conciliarorum  Alguerii  qui  supra  die,  mense,  et  anno  jam  superins  adnotatis. 


N,  10.  Relazione  della  vittoria  che  gli  Alglieresi  riportarono  nel  1412 
contro  i  Francesi,  guidati  dal  Visconte  di  Narbona. 
[Da  un  codice  del  secolo  XVI;  Archivio  Comunale  d'Alghero  ^) 

En  noni  del  onipotent  Deu  deia  Gloriosa  Vergie  Maria  y  dels  Benaueu- 
turats  Arcangiel  s.*  Miquel,  y  Apostol  y  euangelista  S.*  luan  Patrons  d  està 
ciutat  de  Alguer. 

Memoria  sia  per  lo  cs  de  Venidor,  cora  en  lo  ayn  1412  en  semblant  die 
de  Aaii  essent  està  ciut.^  coni  vui  es,  dcls  serenissims  Rey  d'Aragó,  de  imortal 
recordassio,  y  gouernant  de  Gouernador  en  està  ciutat  y  eu  tot  lo  present  cap 
de  Logudor,  Mossen  Ramon  Satrillas;  vengueren  los  francesos,  enemichs  de 
la  Corona  de  Aragó,  y  per  llur  Caps  y  capitans,  lo  Bisconde  de  Narbona  y 


^  È  un  codice  cartaceo,  legato  in  pergamena,  composto  di  varj  fascicoli 
e  fogli  di  diversa  scrittura  e  di  varia  data  ed  argomento,  rilegati  più  tardi 
insieme.  È  registrato  nell'  Inventario  dell'Archivio,  a  pag.  79,  con  le  parole  : 
"  Libro  legato  in  pergamena  intitolato  Cerimonie  dei  Consiglieri.  „  Il  titolo 
del  libro  è  difatti  il  seguente:  Copia  auctentica  del  libre  deles  scrimonics 
dels  consellers  de  la  ciutat  de  Barcellona  en  lo  q  al  principi  stan  conti- 
niiades  algunes  cosses  q  son  necessaries  saber  ah  consellers  desta  ciutat 
de    lalg  q  fins  assi  se  son  Inuiolablement  obseruades  .  io86.  A  fol.  73  r.  di 


286  Gaarncrio, 

lo  Bastart  de  Saboya  ^,  los  quals  volentse  ensegnorir  d  està  ciutat,  en  tal  iiit 
coni  està  viuguerca  ab  taiit  sileusi,  y  secret  qae  escalaren  las  morallas, 
del  que  esscutse  aiiìsts  les  seutinelles  y  guardies,  tocareu  al  Anna,  y  coni 
los  Moradors  y  abitadors  estauau  apersebits,  per  teuir  coiu  teuiau  los  enc- 
michs  à  prop,  l'oren  eucontiueut  à  puut,  ab  sas  Arnias,  Ballestres,  y  vergucs, 
y  trobaren  ya  los  enemichs  que  Haiiian  entrada  la  terra,  y  resistiutlos  ab  gran 
valor  y  esfors,  daren  cu  eli  y,  apres  de  gran  pelea,  los  retirareu,  y  astri u- 
gieren  ^  en  la  torre  del  espero,  siguint  lo  esfors  y  A^alor  del  llur  capita,  y 
gouer««dor  lo  qual  axibe  estaua  nafrat,  no  per  50  afluxia,  ni  desamparà  la 
Batalla,  ni  dexià  de  fer  tot  go  y  quant  à  bou  capita  conuenia,  appellidaiit 
Aragó,  Aragó,  Muiren  Muiren  los  Francesos,  y  los  traydors  deh . . .  y  po- 
saren  foch  en  la  torre  del  espero  à  hont  se  eran  retiràt,  en  lo  qual  coufliet, 
les  dones  ab  gran  coragie  y  varonil  anim  del  que  merexien  per  tot  temps 
gran  ll«or,  agiudaren  ab  fexios  de  rama  y  brandons  en  las  mans,  acudiren 
per  a  posar  foch  en  dit  llocb,  y  al  ultiui  fonch  nostre  seàor  seruit,  dar  Vi- 
ctoria als  nostres  ab  gran  mortaldat  dels  enemichs,  entre  los  quals  resta 
presoner  lo  Bastart  de  Saboya  llur  capita,  al  qual  li  fondi  lleuàt  lo  cap, 
lo  endemà  dela  Assenció  del  Seiior,  de  dit  ayn,  en  la  Plassa  que  se  din 
de  sant  esteue  en  lo  carrer  de  sant  Antoni,  per  la  qual  viteria  hauentla 
coneguda  de  mans  del  ouipotent  Deu  y  seùor  nostre,  hauentli  fetes  grasies 
com  à  bons  cristians,  votareu  la  festa  del  Glorios  Apostol  y  euaugielista 
sant  luan  de  la  Porta  llatina,  essent  estada  en  son  die,  lo  qual  es  de  creure, 
fonch  Intercessor,  deuant  del  seiìor,  per  alcansarla,  y  de  festegiar  lo  tal  dia, 
y  cantar  en  versos  algunes  de  les  coses  memorables,  e  insignes,  susehides 
en  aquesta  giornada,  à  tal  reste  memoria  de  tal  vitoria,  y  per  que  reste 
fama  dela  asagna  y  valor  dels  nostres  antichs  moradors  d  està  Gin.*;  la  qual 
nos  sia  semper  per  espili,  de  volerlos  imitar,  en  ser  fiels  y  lleals  al  nostro 
Bey,  y  senor,  y  defensar  ab  lo  matex  valor  y  esfors,  la  nostra  Patria  y  ciutat 
contra  los  que  semblant  atreuime»^  voldràn  lenir,  fent  grassias,  y  dant  llaor 
al  seìior,  y  al  Apostol,  y  euaugielista  sant  Juan,  per  hauerla  lliurada  en  tal 
dia,  de  tal  Inuasió,  suplicantlo  humilment,  nos  vulga  ser  aduocat,  e,  In- 
tersesor  deuant  la  diurna  Magestad,  que  la  vulla  guardar  à  ella,  y  tots  sos 
ciutadans,  de  tot  perill,  y  sinistre.  Amen. 


questo  codicetto,  leggesi  la  relazione  della  vittoria  ottenuta  dagli  Alghe- 
rtesi  contro  i  Francesi,  essendo  loro  capo  il  Visconte  di  Narbona  e  il  Ba- 
stardo di  Savoja,  nel  giorno  dell'apostolo  S,  Giovanni,  il  1412.  Questa  re- 
lazione è  pure  pubblicata  dal  Tola,  insieme  con  la  canzone  che  segue,  nel 
Cedex  dipi.  Sard.,  voi.  Il  p.  46  seg. 

*  Figlio  naturale  di  Amedeo  VII,  il  Conte  Rosso. 

^  Così  nel  ms.,  per  -giieren. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  antichi.  2S7 

N.  1 1 .  Canzone  che  ricorda  la  stessa  vittoria  degli  Algheresi. 

Cobles  dela  conquista  del  fransesos. 

{Dallo  stesso  codice;  Archivio  Comunale  d'Alghero.) 

[l"ol.  79,  r.]  0  visconte  de  narbona 
Be  haueu  mala  Raho 
De  uos  escalar  la  terra 
Del  molt  alt  Rey  de  Arago. 

cohla 
Escalada  la  aueu  sens  falhx 

raes  lo  Alguer  be  hos  ha  costat 
los  millors  homes  de  armcs 
los  llurs  caps  y  han  dexiat 
ab  molta  balleslraria 
y  vergadas  ab  baldo 
dieut  Mairau  los  frangesos 
que  nos  han  fet  la  traigio 
del  molt  alt  Rey  de  Arago. 

colila 
Lo  monseùor  del  altura 
que  n  es  uouell  capita 
aquell  que  a  pres  la  eapresa 
ab  mossen  sissilia 
de  toklra  a  nos  la  terra 
falsament  à  traysio 
[fot.  79,  V.]        gran  fore  estada  la  mengua 
dela  casa  de  Arago 
Muiran  Muiran  los  francesos 
que  n  an  fet  la  tralcio 
al  nostre  Rey  de  Arago. 

dobla 
Defensada  nos  han  la  terra 
los  Albcrgans  ab  gran  vigor 
quant  veeren  lo  Mur  combatre 
Cetrillas  Goueruador 
aquell  que  nefrat  estaua 
mostra  gran  esfors  y  bo 
dient  muiran  los  francesos 
que  uos  han  fet  la  traicio 
al  nostre  Rey  de  Arago. 

coito 
La  bandera  haueu  dcxada 
visconte  mal  vostre  grat 


2SS  Guarnerio, 

Virgili  quc  la  poiiaiia 
de  bona  n  es  escapat 
ferit  fonch  de  un  colp  de  glati 
y  nefrat  de  un  virato 
ibi.  80,  r.]        prestament  salta  la  escala 
a  sercar  son  Compano 
ma  Ivan,  muiran 
cobla 

La  trompcta  que  aportaunn 
pocb  li  ualgae  son  sonar 
nel  asalt  que  atocauan 
ca  sert  1  no  hi  gosan  montar 
ans  fugi  ab  lo  visconte 
quan  eli  veti  la  destrugio 
que  faieau  dels  francesos 
en  la  torre  del  esparo 
muiran,  muiran 
cobla 

En  io  Bastart  de  Saboya 
no  hos  y  cai  pas  esperar 
que  già  mes  Castells  ni  uiias 
no  veureu  pas  escalar 
pulx  que  en  lo  Alguer  sens  falla 
pengiat  io  bau  com  un  lladro 
y  tolta  li  han  ia  testa 
lo  cndema  dela  a^ensio 
Muiran,  muiran 
cobla 
[ibi,  80,  v.J    De  ies  dones  vos  dire 

diiias  son  de  gran  llaor 
quals  tlngueren  gran  coragie 
defensant  al  liur  seùor 
aportaaan  totas  llena 
cascuna  ab  son  brando 
por  metre  foch  ala  torre 
que  se  apella  lo  esparo 
dient  muiran  ios  francesos 
que  han  fet  ia  traigio 
al  nostre  Rey  rie  Arago. 
cobla 

O  traidors  de  Sassaresos 
ara  no  hus  caldra  Itamar 


*  ca  di  negazione  :  no  certo. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  antichi.  2S9 

qua  Ics  vostres  amichs  frangesos 

sou  yinguts  a  uisitar 

franga  franga  haueu  cridada 

molts  francesos  baueu  vist 

y  per  tota  vostra  vida 

per  traidors  sereu  tenits 

muiran  muiran  los  francessos 

yls  traidors  de  Sassaresos 

que  han  fet  la  traycio 

al  niolt  alt  Rey  de  Arago. 
[fol.  81,  r.]  cobla 

0  Visconte  de  uarboua 
no  lios  y  cai  pus  a  tornar 

que  en  la  Isla  de  Sardella 

no  porreu  res  heretar 

mas  tornauen  en  malora 
en  narbona  a  fer  traigio 
si  no  voleu  que  hos  lleue  la  testa 
lo  molt  Alt  Rey  de  Arago 
Muiran,  muiran 
cobla 
Grans  llaors  li  sian  donadas 
al  Apostol  S.*  Joan 
lu  dela  porta  Ratina 
femli  festa  cascun  aiiy 
aquell  que  per  nos  pregaua 
tots  fasamli  oracio 
que  suplique  a  deu  lo  pare 
que  nos  guarda  de  traigio 
Muiran  muiran  los  frangesos 
yls  traidors  de  Sassaresos 

que  han  fet  la  tralcio  j 

al  molt  alt  Rey  de  Arago. 
finis. 


Archivio  glottol.  ita!.,  IX.  19 


290  Guarncrio, 

N.  1  2.  Ricevuta  di  un  tal  Nicolò  Canu,  per  aver  fatto  il  fantoccio, 
rappresentante  un  francese,  che  nel  giorno  di  S.  Giovanni  ante 
Portam  Latinam  abbruciavasi  nella  piazza  di  Alghero,  in  memoria 
della  vittoria  riportata  in  detto  giorno  dagli  Algheresi  contro  i 
Francesi. 

Ann.  MDCLXXVIII. 

[Dall'originale;  Archivio  Comunale  d' Alghero  \) 

He  rebut  yo  Nicolao  Cauo  pintor  de  Mr  Fran.'»  Saillas  Conseller  quint  - 
quatre  llures  treze  sous  diuse  4  11.  3  ss.  per  la  fatura  y  menester  per  lo  frances 
eseptuat  la  tella  que  la  te  dada  lo  ueg.'"  don  Gaui  Olives  y  perque  constìa  fas 
fer  lo  present  de  ma  de  altri  y  fermada  de  la  mia,  Algucr  a  2  de  Maig  1678. 
—  Nicolffiu  Canu. 


B.  TESTI  A  STAMPA. 

È  da  vedere  quel  che  se  ne  disse  nell' ' Avvertenza  preliminare'. 
Qui  stieno  due  saggiuoli  della  'Dottrina',  e,  a  titolo  di  curiosità  sto- 
rica piuttosto  che  filologica,  la  parte  catalana  del  libro  concernente 
la  peste. 

a.  Breve  Compendi  de  la  Doctrina  Christiana  ecc.,  ed.  del  1790. 

P.  Qai  cosa  es  obligat  a  saber  lu  Christià? 

R.  La  Doctrina  Christiana. 

P.  Que  deu  de  fer  hi  Christià? 

R.  Deu  servir  a  Deù  fent  obras  bonas,  exersitansa  en  lus  Actas  de  Fé, 
de  Esperanza,  y  de  Charitat. 

P.  Qui  cosa  es  obligat  a  creura  de  fé  lu  Christià? 

R.  Lu  que  creu  la  Santa  Mara  Iglesia  Gatolica  Apostolica  Romana. 

P.  Que  creu  la  Santa  Mara  Iglesia? 

R.  Principalment  lu  que  sa  cunten  [sic]  eu  lu  Credo  que  es  lu  Synbol  de  la 

P.  Digas  lu  Credo.  ||  Fé. 

R.  Creo  en  Deù  Para  Omnipotent,  Creador  del  Cel,  i  de  la  Terra;  y  en 
Gesuchrist  seu  Fili  Unic  Senor  nostra,  lu  qual  fonc  consebit  per  obra  del 
Espirit  Sant;  es  nat  de  Maria  Vergia,  patì  bax  lu  puder  de  Poncio  Pilato; 
fonc  crusificat,  mort,  y  sepultat,  devallà  a  l'Iufern:  lu  tercer  dia  resussità 


*  Registrata  a  pag.  85  dell'Inventario  dell'Archivio. 


II  catalano  d'Alghero  :  Testi  a  stampa.  291 

de  entra  lus  morts,  munta  al  Gel,  y  es  segut  a  la  ma  dreta  de  Deù  Para 
onnipotent  ;  de  analli  ha  de  venir  a  giudicar  lus  vius,  i  lus  morts.  Cree  en 
l'Espirit  Sant.  La  Santa  Iglesia  Gatolica.  La  communio  de  lus  Sants.  La 
remissiò  de  lus  peccats.  La  vida  eterna.  Axì  sigui. 

P.  Qual  es  la  mes  perfecta  de  totas  las  oracious? 

R.  Lu  Para  Nostru. 

P.  Digas  lu  Para  Nostru. 

R.  Para  Nostru,  que  ses  en  lu  Gel,  sia  santifìcat  lu  tcu  nom.  Venghi  a 
nusaltrus  lu  tou  regu.  Sia  feta  la  tua  voluntat,  com  en  lu  Gel  axì  en  la 
Terra.  Donanus  avui  lu  pa  nostru  de  cada  dia,  y  perdonanus  lus  nostrus 
peccats,  axì  com  nusaltrus  perdunem  a  lus  nostrus  enemics.  No  nus  dexis 
caura  en  la  tentaciò,  ma  llibranus  de  cada  mal.  Axì  sigui. 

P.  Perquè  lu  Para  Nostru  es  l'oraciò  mes  perfecta  de  totas? 

R.  Perquè  1'  ha  cumposta  Gesuchrist. 

P.  Que  cunten  [sic]  lu  Para  Nostru? 

R.  Tot  lu  que  pudem  demauar,  y  esperar  de  Deù. 

P.  Qui  oraciò  y  solan  aggiunir  lus  Ghristians  al  Para  nostru? 

R.  L'Ave  Maria. 

P.  Digas  L'Ave  Maria. 

R.  Deù  te  Salvi  Maria,  piena  de  gragia,  lu  Seiior  es  en  tu:  tu  ses  beneita 
entra  totas  las  donas,  y  beneit  es  lu  fruit  de  las  entranas  tuas  Gesus  :  Santa 
Maria,  Mara  de  Deù  prega  per  nusaltrus  peccadors  ara,  y  en  la  ora  de  la 
nostra  mort.  Axì  sia;ui. 


b.  Quindi  Tyherii  Angelerii  Ectypa  ecc.,  Calari,  1588  ^ 

Instrvctions  del  mates  avctor 

dades  axì  al  principi,  com  engot  lo  progres  dela  sobredita  Pesta:  als  Ma- 
gnitichs  Senors  lurats  del  regiment  dela  Giutat  de  Lalguer,  1  any  MDLXXXIl 
y  LXXXIIL 

I.  Primerament,  a  tal  que  nostre  Seiìor  Dev  sia  seruit  hauer  misericordia, 
y  a  placar  la  ira  de  sa  insta  indignacio  que  te  sobre  la  dita  Giudat;  procu- 
raran  los  habitadors  de  aquella  de  emplearse  en  fer  deiunis,  almoines, 
vols,  y  exercitarse  en  obres  pies. 

II.  Item,  que  se  fa^a  electio  de  deu  persones,  de  mes  respecte,  y  gouern 


^  Il  ToL.A.,  nel  suo  Dizionario  biografico  degli  uomini  illustri  di  Sardegna, 
alla  voce  Angelerio  Quinto  Tiberio,  parla  di  questo  medico,  fiorito  sul  de- 
clinare del  secolo  XVI,  ricordandone  la  descrizione  della  peste  d'Alghero, 
del  1382-83.  Ma  aggiunge  erroneamente,  che  non  fu  stampata  e  che  solo  se 
ne  conserva  un  testo  a  penna,  secondo  che  il  Manno  riferisce. 


292  Giiariicrio, 

de  dita  Ciudat,  y  aqnella  diuidir  en  allres  deu  trast,  perque  cascu  tinga  soli- 
citut,  y  cuidado  del  seu  trast,  y  de  lo  qae  occorrerà  eu  dita  Ciudat;  als  quais 
deputats  se  lis  done,  y  conferesca  pie,  y  bastant  poder,  y  facultat  que  pugan 
liberanient  castigar  las  persoues  desobedients,  sens  altra  consultacio:  axi  en 
cremar  las  robes  suspettoses,  tancar  cases,  posar  guardies,  y  fer  lo  demos 
que  lis  parerà  necessari,  per  rao  de  salut. 

HI.  Item,  que  se  notifique  ab  veu  de  grida  publica  a  qual  seuol  persona 
que  tindra  algu  malat  en  casa,  o  sabes  ahont  ni  agues  altre,  lo  baien  de 
reuelar,  y  denunciar  dius  termini  de  sis  hores,  als  dils  morbers,  o  als  Ma- 
a;nifichs  Gowsellers,  o  als  deputats  dela  Sanitat. 

IIII.  Item,  que  durajit  dit  suspecte,  per  non  succehir  dany  a  las  persones, 
que  ningu  dega  anar  a  visitar,  y  mesclarse  ab  algun  que  sia  amàlat,  si 
primer  no  sia  reuist  de  los  Doctors,  y  declarat,  per  aquells  si  tal  mal  fos 
de  sospita,  o  no,  y  a(;o  per  euitar  maior  dany. 

Y.  Item,  que  se  dega  tancar  l'Hospital,  y  posar  guardies  suffients,  a  tal 
que  las  persones  que  se  M  troben,  no  isquen,  y  mesclen  ab  los  altros, 
puix  que  es  lloch  de  suspita,  y  mala  salut,  y  ad  aquellas  ab  gran  mirament, 
y  saluedat  darlis  tot  lo  necessari,  tanl  del  A'iure,  com  de  las  medicines. 

TI.  Item,  que  los  morbers,  y  deputats  per  la  salut  se  degan  trobar  dos 
vegades  del  dia  en  la  casa  dela  Ciutat,  per  tractar  lo  que  occorrira,  y  farà 
menester  per  rao  de  lo  que  se  suspita  del  mal  contagios,  y  darne  rao  als 
magnifìcs  Consellers,  ab  Interuencio  de  los  Doctors. 

VII.  Item,  que  la  casa  liout  estan  los  matalas  fo??t  de  la  monicio  *,  ab  tot  lo 
que  dius  si  trobara  se  dega  cremar;  ja  que  de  alli  se  preten  che  sia  insurta 
tal  sospita,  y  mal  contagios,  y  que  se  faga  ab  tot  mirame?it,  y  saluedat 
deguda. 

YIII.  Itera,  que  si  algun  pobre  vingues  a  caure  malat,  y  hagues  meuester 
de  anar  en  l'Hospital,  que  no  essent  de  mal  de  tal  sospicio,  la  Ciutat  li 
faQa  dar  recapte  en  sa  casa  de  tot  lo  necessari,  com  farla  si  tal  persona 
estigues  en  l'Hospital,  y  ago  per  euitar  lo  periti  de  la  aumentacio  de  dit  mal. 

IX.  Item,  que  no  se  faga,  ni  se  baia  de  fer  ninguna  manera  de  aplechs, 
y  ajuntaments,  com  son  jochs,  balls,  ni  de  altro  modo,  perq?/e  non  ne  suc- 
celiesca  major  dany. 

X.  Item  per  lo  duple  que  se  te,  que  los  qui  al  present  moren,  no  moren 
de  pesta,  per  lleuar  tot  suspecte,  y  que  tot  bora  reste  desengaiiat,  se  fassa  de 
manera,  que  no  se  baia  de  sotterrar  ningu  mori  per  lo  entratant,  que  primer 
no  sia  reeonegut  dels  metges,  y  solurgians,  y  hauer  parer  de  aquells;  y  quanl 
se  reconesceran,  los  matexos  de  casa  los  degan  abaxar  al  corrai,  o  porta, 
per  manco  periti,  y  sospita. 

XI.  Itera,  que  se  elegescan  dos  llocbs  appartats  de  la  Ciutat,  per  que  lo  v 
seruersca  als  erapestats,  y  1  altre  per  los  couualescens,  y  entretant  que  dits 
llocbs  non  se  depuren,  las  tals  persones  suspitoses,  porran  estar  en  llurs 
cases  nb  guardies,  y  appartats  dels  altros  de  casa  quaut  fora  possible. 

XII.  Item,   que   se  faga  electio   de  sotterradors   per  sotterrar  los   cossos 


'i  materassi,  causa  del  bando'? 


Il  caìalauo  d'Algliero  :  Testi  a  stampa,  293 

morts,  y  que  los  dits  sotterradors  estiguew  apartats,  y  cjue  no  haien  de  ixir 
sens  la  assistencia  de  un  depiitat  que  los  guie;  y  si  se  podrau  hauer  per- 
soaes  que  sien  estades  coutagiades  en  altre  temps  y  lloch  de  pesta,  seria 
molt  millor,  y  mes  segur,  y  de  manco  perill. 

XIII.  Item,  perque  la  dita  Ciiidat,  y  habitadors  de  aquella  no  resten  ab 
tant  de  dany  per  causa  de  las  robes,  y  mobles  de  casa:  se  notifìque  que 
las  robas  las  quals  no  se  vseu,  abaHS  que  la  contagio  passe  auant,  que  las 
p.redeu,  perque  no  se  tracteu,  ni  se  puguen  contagiar;  y  alli  baien  de 
estar  fìns  que  la  Ciudat  sia  desospitada,  a  tal  que  no  se  cremen,  y  no  uè 
seguesca  magior  delriment,  y  dany  en  vniuersai,  y  en  particular. 

XIIII.  Item,  ia  que  per  mi  com  es  notori,  y  manifest  del  principi  dela 
dita  contagio  foren  auisats  los  Seiiors  Virey,  y  altres  persones  del  goucrn 
del  prtesent  Regne  dela  mala  salut  en  que  se  troba  aquesta  Ciutat,  per 
obuiar  encara  a  altro  dany  que  podria  succehir  yo  so  de  parer  que  puix 
està  de  prompta  partida  la  sagetia  per  San  Feliu,  que  de  aquesta  mala  salut 
se  deguesse^t  auisar  los  Seiìors  Consellers,  y  lurats  dela  magnifica  Ciutat  de 
Barcelloua,  de  manera  que  las  lletres  non  sien  defraudades,  a  tal  que  per 
lo  trafìcb  que  se  te  no  lis  susseliesca  desastre,  que  vltra  que  es  degut,  se 
sap  quanta  bona  correspondeucia  teneu,  y  sempre  ban  tingut  ab  aquesta 
magnifica  Ciutat. 

XV.  Item,  que  no  se  dega  vendre  budells,  ventres,  frexures  de  animais 
vells,  ni  carn  de  alguu  animai  que  fos  mort  de  alguna  enfermedat,  ni  tam- 
pocli  peix  de  stany,  ni  altres  males  carns. 

XVI.  Item,  que  los  Morbers,  degan  cada  dia  ab  los  Doctors  visilar  las 
cases  sospitoses  y  tener  compte  de  las  persones  de  aquellas;  a  tal  que  tro- 
bantse  persona  contagiada  se  puga  separar,  y  los  demes  resten  en  casa  ab 
gran  mirament,  eutretant,  que  no  se  done  lloch  apartat  per  aquells. 

XVII.  Itera,  se  mane,  que  niuguna  persona  de  casa  sospitosa  puga  ixir 
de  aquella,  y  anar  per  la  Ciutat  sots  graues  penes  :  per  no  ne  succehir  iu- 
conuenients,  y  danys;  y  que  las  guardies  le  haien  de  seruir,  y  dar  tot  lo 
recapte  necessari. 

XVIII.  Item,  sempre  y  quaut  se  contagiera  alguna  persona,  los  sotterra- 
dors  haien  de  portar  aquella  a  l'Hospital,  o  tancat,  iuntament  ab  lo  Hit 
ahout  haura  dormit.  Empero  si  tal  persona  sera  de  calitat,  y  podra  estar 
en  sa  casa  separat,  essent  aquella  ia  suspecte  hi  puga  estar;  pero  esseut 
encontrat  en  altre  lloch,  no  se  permitte,  si  no  que  vaia  ab  los  altros  con- 
tagiats  a  star  al  tancat. 

XIX.  Item,  que  en  la  casa  sospita,  y  contagiada  se  dega  fer  vna  cren 
vermella  ala  porta,  a  tal  qne  cascu  paga  saber  que  es  casa  coutagiada,  y 
suspitosa,  per  poderseu  guardar. 

XX.  Item,  que  los  solurgians  estigan  en  lo  tancat  y  l'Hospital,  axi  per 
curar  los  contagiats  com  encara  per  effectuar  lo  que  los  metges  ordenarau. 
y  que  no  pugan  ixir  de  dits  llochs,  que  per  curar  los  altres  co?itagiats,  y 
ago  ab  assistencia  de  los  morbers,  y  ab  guardia. 

XXI.  Item,  que  se  faga   electio    de    algunes   persones   de   confianc^'a,  pera 


294  Guarnerio, 

que  haien  de  estar  dius  '  lo  tancat,  y  dar  recapte  als  lualaLs,  y  en  lo  de 
mes  que  farà  mestener  ',  a  tal  que  las  persoiies  que  dins  seran,  tingan  go- 
uern  y  seniici,  com  cs  degut. 

XXII.  Item,  que  als  pobres  se  degan  dar  luedecines  per  preservarse  eu 
llurs  cascs,  teiient  los  apoticaris  compte  de  lo  que  se  pendra,  y  de  las 
persones,  a  effecte  que  si  los  tals  tindrau  bens  las  haien  de  pagar,  y  si  no 
tiudra«,  que  la  Ciutat  sia  obligada  de  pagar  tals  medecines  a  son  gasto. 

XXIIII.  Item,  que  cada  seinana  se  liaia  de  netteggiar  tota  la  Ciudat  de 
straccios,  y  coses  mortes,  y  fer  traure  los  cuiros  que  no  son  adobats,  y 
la  liana  eufardellada  que  està  pera  hi  traurese,  y  que  se  poseu  en  lloch 
appartai,  y  eucara  fer  matar  los  gossos,  y  gats,  y  ferlos  lleugar  en  la  mar. 

XXIII.  Item,  que  axi  bè  se  degan  netteggiar  los  pous  los  quals  se  vsan; 
y  ia  que  eu  lo  territori  de  la  present  Ciutat  se  hi  troba  cantitat  de  Bo- 
liarmini^,  que  de  mes  en  mes  seu  dega  posar  vn  sac  dius  cada  pou,  y  tambe 
posarne  vna  cantitat  dins  las  bottes  del  vi,  quant  voldran  posarles  a  ma 
per  beure;  y  a^o  per  preseruar  los  humors  dela  mala  calitat,  y  corruptio, 
a  effecte  dela  mala  salut,  y  contagio  en  que  se  està, 

XXV.  Itera,  quo  se  faga  provisio  de  molta  legna,  y  rama  pera  fer  molts 
fochs  per  la  Ciutat,  y  encara  de  las  cases  lo  demaiti,  y  axi  matex  ala  nit 
se  haien  de  fer  fochs,  y  profums,  y  profumarse  las  persones,  pera  lleuai',  y 
mitigar  la  mala  qualitat  de  alguu  desaire  que  se  pogues  pendre,  y  tambe 
per  magior  seguretat  de  las  persones. 

XXVI.  Item,  que  las  robes  de  vs  empestades  de  poch  valor,  se  degan  in- 
contiuent  cremar  y  las  altres  robes  de  respecte  se  degan  desospitar  ab  bu- 
gades,  y  xorinarles  al  uent,  o  encara  passarles  al  caliu  del  forn  que  sarà 
mes  segur. 

XXVII.  Item.  que  se  haien  de  reconoxcr  las  botigues  de  los  apoticaris,  y 
procurar  de  altres  lloclis  medecines  de  las  que  faltan,  y  ago  per  lo  gran 
menester  que  nos  menala  en  lo  deuenidor. 

XXVIII.  Item,  se  faga  grida  que  ninguna  persona  no  se  dega  mudar  de 
vna  casa  en  altra  sots  graues  penes  y  de  cremar  las  robes,  sens  hauer 
primer  licencia  dels  Morbers,  pera  que  no  ne  succehesca  algun  dany. 

XXIX.  Item,  que  se  degan  fer  tirar  alguus  tirs  de  artelleria,  y  mascles, 
y  arcabusos  per  dins  de  la  Ciutat,  y  fer  sonar  las  campanes,  y  tot  ago  se 
haia  de  fer  pera  purificar  1  ayre. 

XXX.  Item,  que  quant  los  Metges  visitaran  alguna  persona  nouament 
encontrada,  haien  de  darne  rao  als  Morbers,  peraque  puga»  prouehir  a  llur 
gouern,  y  menester. 

XXXI.  Item,  que  quant  se  porterà,  y  passera  alcun  malat  al  tancat,  y 
lazaret,  o  algun  cos  mort  pera  enterrar,  que  se  haien  de  tancar  las  portes, 
y  fineslres  delas  cases  per  ahont  passara,  y  que  se  fassan  profums  :  y  tambe 


^  per  menester.  ^  fossile  che  si  trova  principalmente  in  Armenia, 

donde  trasse  il  nome,  terroso,  grasso  al  tatto  e  rossastro;  cat,  mod,  bolar- 
meni,  -menich. 


11  catalano  d'Alghero:  Testi  a  stampa.  29S 

que  se  baia  de  portar  vna  carapaneta  que  sone,  perque  cadau  estiga  auisat, 
y  se  puga  guardar  del  disaire  per  no  contagiarse. 

XXXir.  Item,  que  los  cossos  que  serau  morts  de  mal  contagios,  se  haien 
de  enterrar  dins  termini  de  sis  hores,  en  los  cemiteris  appartats,  y  fora  de 
las  Yglesies,  per  duple  de  algun  disaire,  per  esser  llocli  frequentai,  y  que 
las  fosses  sien  molt  fondes,  a  tal  que  no  exhalen,  y  corrumpen  1  aire;  so- 
breposant  calcina  viua.  Y  las  persones  que  morra»  fora  de  la  Giutat  sien 
enterrades  fora  de  aquella  en  llocli  apartat. 

XXXIIT.  Item,  que  Inter  missarum  solemnia,  en  lo  dar  la  pau  que  se  faga 
de  manera  que  no  ne  suseliesca  magior  contagio. 

XXXIIIf.  Item,  que  las  persones  vagabundes,  y  traballadores  que  no  ban 
altre  trateniraent,  haian  de  estar  lo  die  fora  Giutat  per  obuiar  lo  coutractar, 
y  perque  non  ne  succehesca  mayor  dany  a  los  de  mes. 

XXXV.  Item,  que  totes  las  altres  persones  estiguen  retirades  en  llur  cases, 
y  que  de  aquelles  non  ne  degna  ixir  si  no  v  de  cada  casa  per  comprar,  y 
portar  rccapte,  qual  baia  da  portar  boUeti  del  Morber  de  son  trast. 

XXXVI.  Item,  que  cada  persona  que  baura  de  ixir,  aia  y  dega  portar 
vna  cagna  en  la  ma  de  sis  pams  llarga,  y  que  tant  com  es  llarga  la  cagna 
no  se  dega  acostar  1  u  ab  1  altre,  per  la  sobredita  rao. 

XXXVII.  Item,  que  los  Doetors,  y  solurgians  degan  curar  a  tots  los  que 
tindraM  menester  y  los  qui  no  tiudran  llauons  ^  bauent  possibilitat  per  pagar 
axi  las  visites,  com  las  medecines  tindran  compte  particular  dits  Metges,  y 
solurgians  y  apotecaris,  per  qo  que  coneguda  per  los  Magnificbs  Gonsellers 
la  possibilitat,  tengaw  cuydado  de  ferlos  pagar  ;  y  de  los  que  non  bauran  la 
possibilitat,  que  los  dit  Magnificbs  Gonsellers,  y  Giutat  haian  de  pagarlo?, 
a  tal  que  ningu  reste  seus  remei,  y  tambe  que  ningu  reste  fraudat  de  sos 
traballs. 

XXXVIII.  Item,  que  se  baia  de  tenir  deuant  de  las  carnasseries  vna  pa- 
rabauda  llarga,  a  tal  que  los  que  compreran  no  se  aiunten,  y  que  estiguen 
mes  desseparats,  y  axi  bè  a  las  botigues  abont  se  vent  pa,  y  vi,  y  altres 
robes,  y  que  donen,  y  cobren  los  dines  ab  vinagre.  o  aigua  ardent. 

XXXIX.  Item,  que  se  haien  de  fer  dos  forns  com  los  de  coure  raioles,  y 
qne  de  la  part  de  baix  se  faga  foch  tant  que  baste  a  scalentar  lo  demunt, 
fet  a  manera  de  vna  cambretta,  y  que  dins  de  aquelles  se  scalewtien  for- 
temewt  las  robes,  y  tancar  lo  porteli  ago  que  no  se  suente,  y  en  dits  forns 
posar  totes  las  robes  suspitoses  de  tota  la  Giutat  ab  orde,  y  mirament  dels 
Morbers,  y  millor  sera  fer  passar  primer  dites  robes  per  la  bugada,  per 
maior  segurtat,  y  per  leuar  tot  respecte. 

XL.  Item,  que  se  dega  fer  vn  co?ifessionari  portatil  que  hi  puga  estar  dins 
vn  Cappella  ab  tres  finestres,  vna  dauant,  y  vna  per  cade  costai,  y  en  a- 
quelles  posar  vidres  o  christalls,  de  que  no  puga  esve?itar,  y  perque  per  a- 
quells  puga  veure  lo  peniteli.  Y  quant  farà  menester  profumarlo,  y  posarse 
dins  lo  Gapclla,  y  taJicarse,  y  aquell  ab  dos  estangues  fersclo  portar  dels 
flotterradors  ahont  sera  lo  pacient,  per  ministrarli  los  Sacraments,  per  maior 

1  'biade,  grani'. 


296  Guarncrio, 

■«egurctat  del  Confessor;' y  dcsprcs  que  haura  fet  soa  offici,  lo  halen  de 
tornar  cn  lloch  scgnr,  hi  se  liaien  cadati  de  retirar  en  sas  cases  fius  a 
altre  mencstcr. 

XLI.  Itera,  que  lo  Morber  maior  dela  scmana,  baia,  y  dega  fer  dar  tot  lo 
necessari  a  las  pcrsones  del  tancat,  y  lazaret;  y  axi  be  los  altres  Morbers 
a  tots  los  altres  que  estan  contagiata,  y  enserrats  y  ab  guardies  eu  llur  cases. 

XLII.  Itera,  que  las  robes  entraraw  al  dit  tancat,  o  lazaret,  dlt  Morber 
raaior  baia  ab  tota  saluedat  fei'ne  inuentari,  axi  dels  llits,  coni  encara  de 
totes  las  demes  robès,  y  dexara  las  millors  per  vs,  y  raenester  dels  que 
son  diiis,  y  1  altra  feria  creraar,  perque  no  sia  defraudada,  y  cause  maior 
dany. 

XLIII.  Itera,  que  los  malalts  que  no  se  podran  guardar,  ne  sastentarse 
coniodament  en  Ihirs  cases,  se  haien  de  portar  al  tancat,  y  lazaret  ab  guar- 
dies peraque  la  gent  de  hont  passera  se  dega  apartar,  y  que  no  posen  dingu 
malat  en  Hit  ab  robes,  que  primeraraent  no  sia  feta  la  debita  diligetela,  y 
encara  profumar  la  cambra,  y  tarabe  ferlii  bon  fochs. 

XLIin.  Itera,  que  lag  robes  del  lazaret  de  ma,  en  ina  se  liaien  sempre 
de  passar  per  la  bugada,  y  apres  per  lo  caler  del  forn,  com  demuut  es  dit. 

XLV.  Itera,  iaque  sera  al  teraps  calent,  al  derredor,  y  appendici  de  nionts, 
y  lloch  eraboscats,  que  se  faga  posar  fochs  de  manera  que  no  faga  dany  a 
particulars,  y  a?o  per  mitigar,  y  lleuar  la  mala  qualitat  de  1  aire. 

XLVI.  Itera,  que  se  faga  prouisio  de  algunes  cabres  parides,  per  dar  a 
raainar  als  noys  contagiats  que  no  tindran  mare,  o  dida,  y  tenirles  en  lo 
tancat,  o  lazaret,  y  darlis  recapte,  y  gouern  coni  es  degut. 

XLVIT.  Itera,  que  las  personas  que  seran  encontrades  de  Bubons,  o  Antracs 
qui  tenen  necessitats  que  se  lis  obren,  o  que  se  lis  donen  cauteris  de  foch 
conforrae  lo  consell  dels  Doctors,  y  que  no  volguesscn,  que  las  tals  per- 
sones  se  degan  lligar,  y  que  los  sulurgians  esequescan  lo  consell  dels  Metges, 
per  la  salut  de  aquells. 

XLVIII.  Itera,  que  las  persones  sospitoses,  y  couualessents  no  degan  pra- 
ticar ab  ningu,  sens  que  priraer  haien  feta  la  quarantena,  coes  passat  lo 
pie,  y  l'altro  minuant  de  la  Lluna. 

XLIX.  Item,  que  per  desospittar  las  cases  de  dita  Giutat,  ia  que  la  furia 
del  mal  per  gracia  del  Sefior  Dev  va  minuant,  se  degan  portar  gran  can- 
titat  de  cabrons,  y  cabres,  y  aquelles  repartir  cada  nit  en  las  cases,  per 
algun  temps;  y  per  maior  seguretat  emblanquinarles  de  carcina,  ab  niestres 
que  sian  estats  contagiats,  y  las  que  no  seran  de  tanta  sospita,  bastara  xo- 
rinarles  ab  las  finestres  y  ventanes  obertes,  y  dcspres  rusciarles  ab  uinagre, 
y  profumarles  ab  molts  fochs. 

L.  Item,  que  las  persones  quals  estan  fora,  y  al  derredor  de  dita  Ciutat, 
ia  que  han  patit  de  mala  salut,  que  no  degan  entrar  dins  la  Giutat,  que 
priraer  no  conste  de  llur  salut,  y  constantne,  que  no  se  degan  posar  en 
casa  sens  consentiraent  del  Morber  del  trast,  per  no  entrar  dins  casa  que  no 
sia  desospittada  vt  supra;  y  tambe  que  no  degan  entrar  dins  la  Giutat,  se 
priraer  totes  las  llurs  robes  no  sien  passades  per  la  bugada,  y  per  lo  calor 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  a  stampa.  297 

del  forn,  ab  assistencia  de  un  Morber;  y  aposentats  qnc  sera?/,  estiguen  fe- 
tirats  per  alguns  dies  abans  que  pratiquen  ab  ningu. 

LI.  Itera,  que  los  amos  ',  y  seQors  de  las  casas,  axi  de  dins,  com  fora  de 
la  Ciutat  degSLìi  fer  desospitar  aquelles,  fentlas  emblanquinar,  y  de?cobrir, 
0  exorinar,  y  rusciar,  com  dalt  es  dit;  y  ea  desidi  de  aquells,  a  llurs  de- 
speses  ho  farà  fer  la  Miignifìca  CiutaL 

LII.  Item,  que  eu  niiiguna  mauera  ningu  baia  de  vendre  robes  de  Ili 
liana,  y  seda,  y  cote  sens  llicenga  del  Morber  de  son  traste  pcrque  no  sia 
contagiada,  y  no  ne  baia  de  succehir  mes  dany. 

Llir.  Item,  que  primer  los  morbers  ab  los  demes  deputats  haien  de  de- 
sospiltar  la  dita  Ciutat,  y  cadau  en  son  traste  casa  per  casa,  y  las  cases 
quals  son  oscures  y  sot'fegades  emblanquinar,  y  terbi  dins  molts  fochs  y 
perfuras:  las  altres  rusciar  ab  vinagre,  y  ferhi  fochs,  y  lo  matex  faran  als 
guadamaxilles  y  a  las  parets  ;  y  las  altres  robes,  goes  de  Ili,  liana,  coto,  y 
seda,  que  ultra  las  bugades  se  haien  de  passar  per  la  calentura  del  forn. 

Lini.  Item,  fcta  que  sera  la  sobredita  diligencia,  los  Magnifichs  conse- 
llers  deputats,  ab  los  enfermers,  y  Doctor,  ia  que  l'altre  es  mort,  haien 
de  fer  visita  geuex'al  de  casa,  en  casa  per  tota  la  Ciutat,  y  se  enforraeran, 
y  darà?»  iurament  al  Morber  de  aqucll  traste  si  haura  feta  la  deguda  dili- 
gencia, vt  snpra,  de  descontagiar  la  tal  casa,  y  robes  de  aquella,  y  si  li  pa- 
regues  que  faltas  alguna  diligencia  de  fer,  que  se  lis  done  sis  dies  de  temps 
per  effectuar  lo  predit  ordre. 

LV".  Item,  que  per  mes  seguretat,  que  cascu  baia  de  xorinar  las  robes  de 
sa  casa  per  deu  dies,  y  cn  Uoch  alt,  perque  puga  passar  lo  vent,  a  tal  que 
los  Magnifichs  Comissaris  que  hauran  de  esaminar  per  dar  la  pratica,  no 
troben  cosa  ninguna  de  sospicio  de  fer,  que  noìi  sia  feta;  y  encara  per  protit, 
y  seguretat  de  la  Ciutat,  y  habitadors  da  aquella. 

LVI.  Item,  que  se  faga  grida  publica,  que  aqual  se  vulla  persona  que 
sabra  ahont  hi  haura  robes  sospitoses  a  las  quals  no  se  haia  feta  la  de- 
guda diligencia  segows  1  orde  demunt  dit,  lo  haien  de  notificar  als  Magnifichs 
Consellers,  y  Morbers,  quo  ultra  que  tal  persona  sera  tinguda  secreta,  se 
lis  donara  sinch  lliures  de  strcncs. 

LVII.  Item,  que  axi  mateix  se  haia  de  desospitar  lo  tancat,  y  lazaret 
qual  es  fora  de  la  Ciutat,  ab  lo  raodo,  y  manera  sobredita,  y  demes  que  se 
cremen  totes  las  robes  las  quals  se  trobara»  dins  de  aquell.  Y  las  persones 
que  dins  seran,  feta  que  haien  la  quarantena  entren  ab  robes  noues,  y 
descojitagiades,  dins  la  Ciutat.  Y  encara  se  haia  de  tornar  a  reparar,  y  or- 
denar  l'Hospital  del  Benauenturat  Sant  Antoni  dins  la  Ciutat,  segon  estaua 
de  primerabans  de  la  pesta,  puix  que  nostre  Sefior  Deu  se  ha  a  piedat  do 
finir  tal  tribulacio,  y  dar  salut  als  habitadors  de  aquella. 

Finis. 


^  voce  spagn.  :  proprietario,  padrone  di  casa. 


29S  Guarnerio, 


C.   TESTI   POPOLARI  MODERNI  \ 

I.    FIABE. 

1.  Rnudalja  de  Belindn  In  mostra  2. 

Una  volta  i  eran  marit  i  muljé,  i  tanivan  tres  filjas  Mas  beljas  mino- 
nas.  Lu  para  era  maleant,  ma  avia  fet  bancaruta  i  sa  la  campava  proba 
assai.  La  patita  anava  a  culji  frols  i  feva  buclietucus  i  lus  vaneva.  Un  dia 
achesta  minona  anant  a  culji  frols,  avansant,  avansant,  sa  li  es  fet  nit. 
Alura  elja  veu  achèi  gran  parau  ;  s'  es  acustara  i  veu  che  lu  pultó  era 
uhelt  i  a  dit  :  "  Ma  rafugiré  art  anchi  fins  a  fé  dia,  „  palchi  s'  era  paldura. 
Dasprés  no  antanent  aschimugu,  es  muntara  adamùn,  i  troba  la  polla  ubelta, 
i  veu  achesa  belja  apusentu  antapasara  i  ben  amubiljara ;  entra  a  un'altra 
polla  i  na  veu  un'  altra  miljó  i  miljó  amubiljara  ;  entra  a  ìin' altra  i  veu 
una  belja  apusentu  ben  muntara  ama  un  belj  Ijit  i  osi  a  trubàt  doza  a- 
pusentus  ben  niuntaras.  Però  elja  era  cuntenta  de  irubà  un  bon  Ijit  de  sa 
rapusà,  ma  taniva  apatitu,  ch'era  tot  lu  dia  sensa  mangà.  Finalment  entra 
a  tm'  apusentu  i  veu  achesa  meza  ben  aparaljara ;  a  mie  de  la  meza  una 
supera  de  prata,  lus  prats  de  prata,  tassas  i  pusadas  tombe  de  prata.  Era 
propriìi  una  meza  principesca.  Elja  dastapa  la  supera  i  troba  achesa  belja 
minestra  ;  dasprés  i  avia  un  puljastra  i  prats  an  doQ.  Elja  a  mangat  che 
sa  n'es  cunsurara,  i  a  bagut  bon  vi  sensa  veura  mai  gent,  sempra  plurant 
la  famiria,  che  s' era  paldura.  Dasprés  astraca,  tot  lu  dia  caminant,  s' es 
culgara.  L'andamà  sa  n'  es  alsara  i  a  trubàt  la  vasia  ama  l'algua  per  sa 
rantà,  la  curazie  pronta  i  un  pane  ama  tanta  trabals  an  racdm  de  or  i 
de  prata  ancumangats.  A  vist  una  finestra,  V  obri  palchi  no  subiva  aón 
tucava,  i  veu  achés  belj  galdi:  "Ai!  chi  beljas  frols  ! „  elja  alura  a  dit: 
"  Si  pughessi  dabasd  a  na  culji/,,  Ma  com  a  dit  achés  galdi  es  d' achés 
parau,  es  manasté  de  calca  la  polla.  Finalment  dasprés  che  a  giràt  totas 
las  pusentus  a  trubàt  la  polla.  Alura  es  dabas'ira  al  galdi  i  s' a  fet  un 
gran  biichét.  Mentras  sa  n'  astava  fent  lu  buchét,  veu  achés  gran  mostru 
an  terra  tot  ancaranàt,  eh'  elja  n'  a  pres  un  gran  assustu.  Elj  li  a  dit: 
"No  t'assustis,  no  ta  mancarà  arrés. „  I  alura  elja  li  a  dit:  "Io  ma'n  vulj 
and  on  la  famiria  mia.,,   Elj  li  a  dit:   "  On  la  famiria  tua,   io  no  ta  può 


*  Sono  tutti  raccolti  dalla  viva  voce,  0  da  me  direttamente,  0  con  l'ajuto 
del  già  ricordato  mio  scolare,  Antonio  Andreone,  d'Alghero.  Indicherò  poi, 
volta  per  volta,  a  chi  dobbiamo  la  narrazione.  Riguardo  alla  trascrizione, 
superfluo  notare  che  seguo  le  norme  A&W Archivio. 

*  Raccontata  da  Maria  Grazia  Bardino,  contadina  d'Alghero;  luglio  1883, 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  r.iodenii.  299 

pultà  ;  io  ta  donc  achés  diamant,  che  tu  am'asó  veuràs  tot  aìjó  che  fan  an 
casa  de  la  famiria  tua.  „  Elja  a  pì'es  ìu  diamant  i  a  visi  lu  lìara  i  la  mara 
i  las  galmanas  plurant  la  mancanQia  d'elja.  Elja  cara  dia  truhava  lu  Ijit 
fet,  lu  pransu  prapardt ;  la  nit  la  gena  també  aparaljara  ;  i  al  inaiti  la 
GuraQìó  praparara  ;  a  elja  no  li  mancava  arrés,  che  astava  com  una  prin- 
cipesa.  Matti  i  talda  mirava  a  lu  che  feva  la  famiria,  i  s'  an  dahasava  al 
galdi  a  raiinà  ama  'l  mostru,  che  sa  dieva  Belindti.  Un  dia  sa  n'aseca,  va 
a  la  finestra  ama  lu  diamant  per  mira  la  famiria,  i  veu  an  casa  de  V  a- 
chesa  munta  i  dabasà  lu  dutó,  las  galmanas  plurant:  preti  ^  elja,  dabasa 
al  galdi  i  din  a  Belindu  che  an  casa  del  para  i  avia  geni  mararta,  che 
las  galmanas  eran  plurant  i  che  lu  dutó  muntava.  Alura  elja  li  din:  " Bé- 
sama  and.,,  3Ia  elj  li  a  rasposi:  "  Si  tu  vas,  no  i  vens  mes.  „  Basprés  de 
tanta  amprefjìis  d'elja,  alura  elj  li  a  dit:  "lo  ta  dungaré  nn  cavaljucu 
che  ta  pultard  fins  an  casa  tua  ;  però  passdt  lus  tres  dias,  tens  de  vani.  „ 
Elja  sa  praparava  per  and  an  casa  deipara,  i  elj  li  a  dunàt  una  scatura 
de  cunfilura  i  li  diu  :  "  Mira,  achesa  scatura  de  cunfitura,  es  per  duna  a 
mangà  al  cavaljucu,  che  ta  polla  an  achesus  tres  dias  che  ses  an  casa  de 
tun  para  ;  no  ta  n'  ulviris  de  li  duna  a  mangà.,,  A  elja  li  ha  dal  nna 
bassa  de  munera  per  da  a  la  famiria.  Cuant  es  dabasara  a  dabàs,  troba 
lu  cavdlj  proni  dret  ^  a  sa  scura,  che  V  a  pultara  an  casa  del  para.  Achés 
era  a  Ijit  muribundu,  ma  tota  la  famiria  apena  V  a  vista,  li  s'  es  gitara 
adamùn  de  V  alagria.  "  Ai  !  galmana  mia  !  Maria  mia  !  filja  mia  !  „  Tots, 
finsa  lu  piar  a  sa  Va  abragara.  Alura  lu  para  li  a  dit  :  "  Filja  mia,  mancu 
mal  che  prime  de  muri  e  tangùt  achesa  cuntentega  de  ta  veura,  palché  t'avia 
pluràt  per  molta.  „  Alura  elja  li  s'  a  racuntdt  tot  lu  fet  com  era  suggait' 
Basprés  che  li  a  dit  tot,  es  dabasara  dabàs  per  pusà  la  cunfitura  al  cavdlj. 
L'andamd  lu  para  dasprés  de  tanta  cuntentega  diu  a  la  flja  :  "  Vina,  filja 
mia,  doma  l'ultim  abrag  ch'io  so  anant  a  l'altru  man.  „  I  es  moli  an  bragus 
de  la  filja.  L'andamd  li  a  fet  un  belj  anterru,  li  n'a  dasàt  la  bossa  de  la 
mnnera,  i  a  dit:  "Marna  mia,  io  manasté  che  ma' n  vagì,  che  mes  de  tres 
dias  no  puc  asta.,,  La  mara:  "Filja  mia,  astata! „  Las  galmanas  plurant, 
ma  no  es  astàt  ramej  de  pughe'la  fe'la  asta.  Bona  a  mangà  la  cunfitura 
al  cavai j,  i  sa'n  tolna  a  palli  al  parau  de  Belindu  lu  mostru.  Era  de  nit; 
a  trubdt  la  gena  aparaljara,  lu  Ijit  fet.  L'  andamà  es  muntàt  Belindu  lu 
mostru,  i  elja  li  a  dit:  "A  veus,  Belindu,  a  lus  tres  dias  t'e  dit  che  vaniva, 
i  so  vangura.  „  I  Belindu  li  a  dit:  "  Achesn  volta  as  fet  de  bona  minona.  „ 
A  elja  no  li  mancava  arrés;  feva  una  vira  com  una  raina,  ma  era  anfa- 
rara  de  asta  sempre  sora.  Asi  sa  n'es  passai  mie  an,  che  elja  feva  achesta 
vira  de  asta  cara  dia  mirant  an  casa  de  la  mara.  Un  dia  veu  las  galma- 
nas plurant  i  lu  dutó  muntant.  Elja  sa  posa  a  plurd  i  va  on  Belindu  i  li 
diu:  " Bésama  and,  che  li  es  gent  mararta;  „   i  elj  a  dit:   "Si  vas,  no  i 


^  'prende',  intercalare,  come  se  dicesse  'allora'. 
^  'pronto,  diritto',  ripetizione  della  stessa  idea. 


300  Giianicrìo, 

vens  mes.  „  "  G'a  venràs  che  com  so  vangura  l'altra  volta  a  lus  tres  dias, 
asl  vene  achesa.  „  Basprés  che  Va  ampraffdt  tant,  li  a  cllt  che  si.  Li  a  dai 
un'altra  scatura  de  cimfitura  per  duna  a  mangà  al  cavalpicu  i  li  a  dat 
un'altra  bossa  de  munera.  Seu  a  cavdlj  i  va  on  la  mara,  che  troba  muri- 
hunda.  Elja  sa  gita  a  lus  bruQus  de  la  mara,  che  li  diu  :  "  Ma  resta  poca 
mumentus  de  vira,  riia  muir  cuntenta,  che  t'  e  tulnàt  a  veura.  „  Basprés 
de  poc  oras  es  molta  la  mara.  Elja  ama  las  galmanas  acumenQan  a  plurà: 
"Ai  galmana  mia!  no  ta  vajém  mes;  ara  no  tanim  mes  ni  para  ni  mara.  „ 
Las  galmanas  alnra  li  an  dit:  "No  fan  vagis  mes,  che  si  no  astém  totas 
duas  soras.f,  Eran  passats  lus  tres  dias  i  elja  no  s'era  arracurdara  de  da 
a  mangà  al  cavaljucu.  A  lus  tres  dias  de  bajuneta  ^  va  a  Vastalja  i  no 
troba  mes  tu  cavaljucn,  che  sa  n'  era  andt  on  Belindu  lu  mostru.  Alura 
elja  a  dit:  "  G'almanas  mlas,  dasàuma  and.  „  Sa  dispiri  i  sa  posa  an  carni 
a  peti.  Caminant,  caminant,  li  fa  nit;  dasprés  de  tanta  caminà  a  trubat  lu 
parati  de  Belindu  ;  però  lu  pultó  era  tancàt.  Cmnenga  alura  a  pica  achir- 
rant:  Belindu  meu,  óbrima! „  finsa  che  lu  pultó  s' es  ubelt.  Es  muntara 
adamùn  i  no  a  trubat  ni  la  Qcna  ni  lu  Ijit  aparaljdt.  Alura  elja  sa  posa 
a  plurd  dient :  "Belindu  meu,  tsi!„  Basprés  de  tanta  achirrd  elja  a  dit: 
"Basta  che  isis,  Belindu  meu,  io  t'aspós  f  „  Alura  antén  tot  achesas  ramols 
de  carenas,  i  era  elj  c'antrava  a  V apusentu  d'elja,  i  li  a  dit:  "Ara  ga 
es  acabara  la  mia  penifenga,  io  so  un  filj  de  rej,  i  achesa  casa  es  una 
Colt  ancantara,  che  finsamenta  che  una  mifiona  no  m'aghessi  dit  che  m'a- 
spusava,  lu  meu  ancantésimu  no  s'acabava.  Ara  tu,  ma  tens  de  treura  achesa 
pel)  che  io  polt,  la  tens  de  pultd  al  galdi  aljiln  i  la  bruzas  che  io  no  an- 
tenghi  l'  uro.  „  Basprés  che  elja  ni  li  a  tret  achesa  pelj ,  sa  n'  es  antrdt 
drins  de  una  funtana  eie  algua  i  es  islt  un  bclj  gova  com  una  goja.  Meirieo 
dasprés  che  a  brnzdt  la  pelj,  va  ont  es  Belinelu  lu  mostru,  i  veu  eichés  belj 
gova  che  li  diu:  "Tu  ses  ma  muljé.  „  Alura  achélj  parau  es  vangura  uneo 
colt  eimà  lus  pagas,  las  gualdias,  i  las  damas  eie  colt  beljas  com  lu  sol. 
Elja  legu  l'an  vistira  de  veljùt  com  una  raina,  i  lu  capaljd  de  la  colt  matés 
lus  a  ehspuiats.  Basprés  passats  lus  tres  dias  de  las  muvialjas,  san  anats 
an  carrossa  a  sa'n  prenela  las  galmanas,  che  sa  las  a  pultaras  a  la  colt 
eimà  elja.  Las  eluas  galmanas  sa  son  casaras  una  ama  un  conta,  l'altra 
ama  un  meilchés,  i  son  eisteireis  sempra  ansiema  alegras  i  cuntentas. 


^  modo  di  dire  popolare,  comune  ad  altri  dialetti,  che  significa  digiuno. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  i^opolari  modcrui.  301 


2.  Rundalja  de  ^ìniri  \ 

Una  volta  i  avia  un  vinate  che  taniva  una  grossa  famiria,  che  abitava 
sempra  a  la  vina.  Bons  iin  filj  sol  d'una  saiiora  anava  a  caga  als  bels 
dias  de  anveln  per  sa  aspassd,  che  sa  santiva  poc  he.  Asi  com  es  andt  a 
sa  aspassd,  s'es  girai  lu  dia  an  mal;  feva  trans  i  Ij'ans  ;  gran  burrasca. 
Cam  fé?  No  sabiva  com  ahigarsa.  Alura  son  antrats  an  casa  de  acliést 
vinate.  Da  che  eran  tots  banats,  sa  son  cambiats;  i  an  galcdt  che  munga. 
Alura  lu  vinate  a  molt  duas  galjinas  i  altras  cosas  che  taniva.  Basiìrés 
che  an  mangdt,  son  cumparits  tots  lus  mifions  i  las  minonas  patitas.  Ba- 
sprés  una  che  taniva  chini'  ans,  era  amagara,  palelle  era  mal  arramunira. 
Sa  n'es  abigdt  achés  gova  i  Va  vista  i  Va  feta  isi  per  folga.  Elja  li  a  dit: 
"No  i  vene,  no  i  vene! „  Ma  alura  na  V  a  tirara  ama  la  capa  per  folQa. 
Lu  para  i  la  mara  V  an  feta  isi  per  folga.  Ba  che  a  vist  asó,  lu  cap  de 
casa  a  fet  cap  de  meza  achesta  minona  i  li  a  dit  de  dividi  la  galjina.  Elja 
a  la  fi  s'es  pusara  a  taljd  la  galjina.  Lu  cap  Va  dat  al  para  com  cap  de 
casa,  i  lu  cos  a  la  mara,  i  las  aras  a  elja,  i  lus  peus  al  sano  che  Vania 
feta  vani,  quasi  vulghessi  diura  che  sa  pranghessi  la  polta,  eh' eljus  eran 
geni  ijroba,  i  ama  sanórs  no  i  puriva  asta.  Ba  que  a  fet  achesta  divisió, 
his  cunvirats  an  dit  cosa  vuria  diura  asó.  Alura  elja  a  asplicàt  com  lus 
peus  eran  dats  als  furistels  per  sa  n'  and,  i  lu  cap  al  babu  coni  cap  de 
casa,  i  las  aras  che  eran  per  elja,  ma  che  li  salvian  per  las  facendas  de 
casa,  che  tania  de  viird  de  un  Ijoc  a  V  altru.  Passai  asó,  vangura  la  nit, 
s'  es  astài  a  drumi  an  alji,  i  V  andamd  achés  gova  sanór  al  para  de  la 
minona  li  a  dit  sensa  cumpUmens,  che  elj  era  vangùt  per  damand  la  filja. 
Lu  para  alura  arrabidt,  s'es  tangut  per  befdt  i  pansant  che  an  casa  d'elj 
no  i  taniva  de  manca  Vtinó,  li  a  dit  che  si  no  sa  n'anava  legu,  lu  praniva 
a  bastò  o  a  rastdlj,  i  asi  era  asidt  un  bon  poc  ragheljant.  Alura  lu  gova 
a  dit:  "  Cunteni  ses,  si  io  fa  poli  an  anchi  lu  bisba'i  Valchibisha,  i  veurds 
clarament  com  io  so  fidi  al  gurament.  „  I  palché  la  minona  era  sensa  vi- 
stits,  li  a  dit  de  da'ti  un  vistit,  che  anava  al  pais  i  li  feva  fé  un  vistit 
per  pudé  cumpari;  i  asi  a  fet.  L' andamd  achest  gova  a  pultdt  tanta  vi- 
stits  de  sera  de  la  mara  per  masuralsas  i  duna'lus  a  la  gova.  Alura  Van 
vistira;  lus  vistils  li  son  anats  be,  i  dasprés  es  andt  lu  bisba  i  an  aspuzdt 
i  sa  r'  a  pultara  an  casa.  La  mara  del  gova  legu  che  V  a  vista,  li  a  cun- 
sandi  totas  las  eraus  i  V  a  feta  diiena  de  casa.  An  feta  una  gran  festa  a 
la  vora  de  la  marina  ama  tots  lus  cumpanons  i  amics.  An  poc  tens  elj  avia 
ampardi  la  muljé  a  sund  la  ghiterra  frauQesa  i  asi  la  muljé  sunava  an 
achelja  festa  la  ghiterra  franQesa.  An  achesa  festa  pali  de  la  cumitiva 
s'es  aspargira  per  lus  ascóls  a  sa  divalti  i  per  aculji  palgaridas,  da  che 
eran  ben  prezus  del  vi.  An  achélj  mentras  passa  una  balca  de  tulcs  Ija- 


Raccoiitata  dalla  stessa. 


302  Gaarncrio, 

dras  de  marina,  i  s' an  pres  tots  lus  govas  i  marits  i  an  dasdt  totas  la» 
donas.  Alura  da  che  an  visi  achesta  campanora  che  sa  n'astava  sunant  la 
ghiterra,  sensa  sa  prenda  tanta  fastiri  de  la  példita  del  marit,  palché  elja 
ga  l'ama  avaltit  a  no  sa  aljargà  assai  aljùn;  tota  la  gent  l'a  acusara  a 
la  sagra,  palché  no  s'avia  pres  santlment  aìgù  de  la  példita  del  marit,  che 
era  una  trairora  i  osi  li  an  fet  un  belj  prat  ^  Asi  la  sogra  na  Va  cacava 
de  casa.  Prime  de  na  la  caca,  elja  a  damandt  a  la  sagra  de  li  fé  una 
graQia,  i  la  sogra,  basta  che  sa  n'  anessi,  li  a  dit  de  si.  Elja  li  a  dit  che 
li  fiilnissi  un  bastiment  ama  V  equipagu  d'achèi}  matés  pais  a  prajé  sou. 
Elja  s' es  pusara  per  capita,  s' es  vis  tir  a  de  ama  ama  la  baìha  falsa.  Lu 
bastiment  es  paltit  per  Balbaria.  Arribara  an  Balbaria  da  che  a  pres  tarré, 
l'a  vista  lu  filj  del  rej  tuie  i  sa  li  es  fet  cumpam,  che  no  lu  crajeva  che 
fossi  ama;  ma  dieva  ch'era  dona.  Vulghent  fé  ima  prova,  sa  l'apultara  a 
las  butigas  de  pistoras,  fuQils,  per  veura  si  sa  praniva  almas  de  orna;  i 
elja  s' a  pres  una  piistureia  i  un  astirét.  L' a  pultara  a  una  biitiga  de  or, 
i  no  a  pres  arrés;  la  pultara  al  guidi  i  li  a  fet  un  mas  de  frols  com  una 
rora  de  carru;  ma  achés  amie  n'a  pres  una  sor  a  fror.  Achei  gova  tuie  sa 
n'era  anamurdt,  i  dieva  che  era  dona  i  a  dit  al  para  com  de  achestas 
provas  che  feva,  paraseva  orna,  ma  tantu  vuriva  sempra  diura  che  era  dona. 
Lu  para  d' achés  minò  li  dieva  che  era  orna  ;  a  V  ultim,  da  che  a  visi  che 
lu,  filj  n'anava  maccu  per  sabé  s'era  orna  o  dona,  li  a  dit:  "  Vols  fé  mia 
prova  ?  pollala  a  sa  band  a  ban  ubelt  i  vaurds  s'es  orna  o  dona.  „  Es  ma- 
nasté  a  diura  che  achés  gova  travistira  de  orna  s' avia  pusdt  lu  nani  de 
Capita  Qiruri,  i  asi  sa  feva  achirrd  de  caraù.  Alura  sa  l'a  pultara  a  band. 
Ma  achés  cumpanó  a  dit  che  era  tanta  tens  sensa  sabé  de  la  gent  d'elj,  i 
asi  ancumanQava  a  trubà  ascusas  per  no  and  a  sa  band.  Elja  prime  de 
and  a  sa  band,  era  anara  an  balca  i  avia  avaltit  a  un  orna  des  mes  vels, 
i  a  dit  asi:  ''Mira,  io  tene  de  and  a  ina  band,  ani'  al  filj  del  rej,  i  tu  amd- 
gata  andrera  de  un  ascólj,  i  cudn  veus  che  io  so  per  ma'n  treura  la  camiza, 
tichirria:-  Capita  Qiruri  !  Capita  Qiruri!  tun  para  mar  i  tu  an  anchi?-  „ 
Asi  s'es  fet;  lu  velj  amagdf  a  l'  ascólj  a  tichirriàt  per  tres  voltas  com 
tania  olda.  Alura  elja  a  dit  al  cumpanó  ch'era  olda  del  f;el  i  asi  s'es  sai- 
vara  de  sa  dosa  veura  s'  era  dona  o  orna.  Alura  a  dit  che  sa'n  tania  de 
and  a  trubà  la  famiria  i  l'andamd  li  a  dit  che  li  facessi  una  grafia,  che 
li  facessi  veura  lus  ascrdus,  che  an  mie  i  era  gent  d'elj  ;  i  lu  filj  del  rej 
l'a  cuntentara  i  li  a  dat  tot  lu  che  vuria.  Elja  sa  n'a  pres  tra  lus  ascrdus 
lu  marit  sensa  sa  fé  cunesar  i  també  tots  lus  altrus  omas,  ch'eran  astats 
prezus  lu  dia.  Alura  ama  tata  la  gent  s'es  cungedara  del  tuie  dienni  che 
tulnava  a  vani  legu  i  a  pultdt  tata  la  gent  i  es  tulnara  ont  era  la  sogra, 
che  na  Vania  cacara,  i  asi  caraù  rangraQiava  lu  capita  Qiruri;  ma  anca/ra 
no  s'era  fet  cunesar.  Caraù  rangraQiava  lu  capita  ;  ma  lu  gova  de  achesta 
Qttlcava  la  muljé  i  frastumava  a  la  mara,  palché  na  Vavia  cacara  de  casa, 


^  modo  di  dire,  clic  significa  ironicamente  '  un  bel  servizio  '. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  moderni.  303 

i  sa  pusava  a  pìurd  che  vurioa  a  la  muljé.  Alura  In  capita  Qiruri  a  da- 
manàt  lii  primis  de  sa  n'anà  sol  sol  a  im'apusentu,  i  dasprés  es  isit  vistit 
de  dona  a  mie  de  tots,  com  era  elja  la  guvaneta  campaùora.  Ara  lus  abragus, 
lus  elogis  l'afogan;  es  una  cunfusió.  Gran  astima  de  tots,  gran  ricunu- 
Qenga,  i  la  sogra  li  a  dunàt  mils  abragus  i  Va  feta  duena  de  tot,  i  sa  son 
vivits  an  pan  i  an  amor. 


3.  Rundalja  de  Gr'uuiyeldana  '. 

Una  volta  i  avia  marit  i  mulJé,  però  eran  de  basi  gsnt  i  la  muljé  era 
pranara,  i  vuria  mango,  sempra  gunivelt.  Eran  pobras  i  no  sa  puriva 
cumprd  achelja  cttantitàt  che  tania  prajé  de  mangà,  i  sa  n'anava  sempra 
per  lus  olts  i  per  las  campaiias  si  na  puriva  trnbà.  Un  dia  asi  caminant, 
veti  achés  oli  de  gunivelt;  a  elja  no  li  es  parasàl  ver,  i  sa  n'  es  antrara. 
AncumenQa  a  mangà  i  sa  n'a  fet  un'astitnpanara.  Cuant  era  per  sa  n'anà, 
li  isi  achés  Olcu,  che  li  a  dit:  "Chi  fa  dat  Volda  de  vani  a  manna  gu- 
nivelt a  Volt  meu?  „  Elja  a  dit  per  caritàt  no  ma  faQi  arrés  che  so  pra- 
nara, i  tene  dasic  de  mangà  sempra  gunivelt.  "  Ibé,  li  a  rasposi  VOlcu, 
basta  che  tu  ma  donghis  dasprés  che  tu'  paresjs  a  ta  filja,  orna  o  dona 
facis,  vina  cara  dia  i  mengas  tot  aljó  che  vols.  „  Achesa  dona  cara  dia 
anava  a  mangà  gunivelt  a  Volt  de  VOlcu.  Eccu  che  era  ga  pranara  grossa, 
i  un  dia  li  isi  V  Olcu  i  li  diu  :  "  Mira,  si  fas  dona  i  tens  de  pusà  G'uni- 
veldana,  si  fas  orna  G'univeldanu.  „  Eccu  che  pares  achesj,  biduina  ^  i  fa  una 
dona  i  li  posa  G'univeldana.  Achesa  minona  ve  graneta  i  Vanviava  a  custtira. 
Un  dia  li  isi  a  G'uniceldana,  cuant  anava  a  custura,  VOlcu  i  li  diu:  ''Di- 
ghiri a  ta  mara  che  sa  racoldi  d' achelja  cumissió  „  i  li  dona  una  bucaca 
de  cunfitiira.  Ta  on  la  mara  i  li  diu:  " M' es  isit  VOlcu  i  m'a  dit  che  sa 
ralordi  d'achelja  cumissió,  i  m'a  dat  una  bucaca  de  cunfitura.  „  La  mara 
li  a  dit:  "  Acahàt  es  de  mangà  gunivelt,  si  aspera  asó  ga  te  àsiu.  „  Da- 
sprés de  poca  dias  li  isi  a  G'univeldana  VOlcu  i  li  diu:  "Dighiri  a  te  mara 
che  sa  racoldi  de  achelja  cumissió,  che  si  no,  es  mal  per  elja  „  i  li  dona 
un'altra  bucaca  de  cunjìtura.  Achesa,  minona  va  an  casa  i  diu  a  la  mara  : 
"  M'es  isit  tolna  VOlcu,  i  m'a  dit  che  si  no  ta  racoldas,  es  pigó  per  a  tu.  „ 
Alura  li  a  rasposi  la  mara:  "  Tu  dighiri  che  no  ta  ses  raculdara  de  ma  'l 
diura.  „  Troba  VOlcu  che  li  din:  "Ibé,  dit  Vas  a  ta  mara?  „  "No  ma  so 
raculdara „  li  raspón  G'univeldana.  Alura  li  a  dit  VOlcu:  "Dighiri  a  ta 
mara  che  sa'n  racoldi,  si  no  es  mal  per  elja  „  i  li  dona  duas  bucacas  de 
cunfitura.  La  minona  va  an  casa  i  diu  a  la  mara  com  VOlcu  li  a  dit  de 
li  diura,  che  sa  raculdessi  de  achslja  cumissió.  La  mara  li  a  dit  che  on  la 


Raccontata  dalla  stessa,         ^  moglie  di  contadino^  che  dicon  biduinu. 


304  •  Guanicriu, 

troba  che  sa  la  prenghi,  i  li  gidi  la  filj'i  lìer  la  por  che  no  ìtialessi  a  clja, 
al  marii  i  a  la  filja.  La  mara  s'  a  fet  un  pror,  sa  V  a  hazura,  i  achesa 
miiìona  es  anara  a  ciistura;  la  troha  V  Olcu  i  li  a  dit:  "Cosa  fa  dit  ta 
mara? f,  "Che  on  la  troba,  che  sa  la  prenghi,,  li  a  rasposi  G'univeldana. 
"  Da  aliira  vina  ama  mi  „  lì  a  dit  V  Olcu.  Achelja  minona  plurant  no  li 
vurica  and.  Li  a  dal  dulgis  i  Va  pultara  an  casa  d'elj.  Acliesj,  pultara  da 
rOleu  an  achei  gran  parati,  no  li  mancava  arrés,  astava  be,  mangam  be 
i  vistiva  miljó  ;  i  dona  las  craus  de  totas  las  pusentus.  Elja  astava  cun- 
tenta  an  alji,  suUant  plurava  sempra,  palchi  no  vajeva  la  mara.  Girant 
totas  las  pusentus,  veu  un  aìmari  tancdt  i  elja  a  dit:  "Cosa  secreta  i  an 
anelli;  l'Olcit  m'a  dal  totas  las  craus  i  ahesa  no  ma  Va  darà.  „  Es  muntàt 
VOlcu  i  elja  li  a  dit:  "  Coni  m'as  dat  totas  las  craus  i  achesa  de  achei 
almari  no  ma  Vas  darà? „  Elj  li  a  dit:  "  An  anchi  es  un  secret,  i  la  crau 
no  ta  la  può  duna.  „  Alura  elja  V  a  pragdt  de  li  daid  veura  cosa  i  era,  i 
aii  VOlcu  Va  ubelt  i  li  a  mustrdt  tres  ampuljetas;  i  elja  li  a  dit:  "Cosa 
son  achei u  tres  ampuljetas?  per  ai}  tanivas  tanta  secretega?  cosa  i  es 
drint?  „  Elj  a  dit  :  "  Si  ta'l  die,  tu  ma  traeiis.  „  Alura  elja  a  dit:  "  Babai, 
Olcu  meu,  noi  traéi,  dijhimal.  „  L' Olcti,  aii  li  a  dit:  "Si  sa  gita  achesa 
an  terra,  iii  una  gran  pranitra  de  algua;  si  sa  gita  un'  altra  de  achei is, 
iii  una  gran  pranura  de  repas  i  de  rasóls;  jìnalment  si  sa  gita  acheia, 
iii  una  gran  pranura  de  foe.  „  Elja  a  dit:  "Per  aio  era?  che  cosa  na  fuQ 
io? „  Pren  VOlcu  i  li  deia  la  crau  de  achèi  almari.  Elja  feva  an  alji  una 
vira  isulara;  en  aahéi  tens  s'era  feta  gran,  taniva  gì  chinz'  aùs;  s'  era 
feta  una  beljissima  minona.  L' Olcu  cuàn  vuria  munta,  j^alohé  astava  tot 
lu  dia  a  Volt,  Vavisava;  "G'univeldana!  G'univeldana!  dabaia  las  tricas, 
che  m'an  vulj  muntd.  „  Un  dia  un  filj  de  rej  astava  anant  a  caga  i  ta  veu 
achei  1  belja  minona  a  la  finestra,  i  anté.i  VOlcu  che  Vachirra  coni  lu  sorit 
per  sa'n  muntd.  Alura  elj  s'es  irattés  cagant  an  acheia,  si  paria  veura 
and  acheia  minona.  G'univeldana  es  anara  com  lu  sorit  a  passagd  an  acheia 
campana,  cuant  eccu  veu  achei  gova,  che  li  dia:  "  On  vas,  hslja  miriona, 
an  acheia  campana  sora? „  1  elja  li  diu:  "Per  carildt  vàgisan  che  noi 
vegi  babai  Olcu.,,  I  elj  li  diu:  "No  ma'n  vac ,  tu  ma  tens  de  diura 
com  ta  trobas  an  acheia  campana.  Alura  G'univeldana  li  a  racuntdt  tot, 
i  elj  li  diu:  " Prenta  tu  acheias  tres  ampuljetas  i  cudn  VOlcu  es  drumit, 
tu  dabaia  che  vens  ama  mi  che  io  so  un  filj  de  rej,  che  del  prime  tnu- 
mentu  che  fé  vist,  ma  so  anamurdt  de  tu,  i  tu  sigards  ma  muljé,  che  io  so 
vuit  dias  an  acheia  campana  per  ta'n  prenda.  „  La  nit  elja  dasprés  che 
VOlcu  era  ben  drumit,  sa  pren  las  tres  ampuljetas,  dahaii  al  pultó;  lu 
filj  del  rej  ga  Vera  asparant  amd  un  belj  cavdlj ;  sa  la  seu  a  cavdìj  i 
sa'n  son  anats.  Dasprés  che  avian  fet  tanta  carni,  elja  va  a  mira  i  veu 
VOlcu  che  a  la  gran  culsa  lus  astava  sighint.  Lu  diu  legu  al  gova,  che  la 
cunselja  a  gltd  V  ampuljeta  de  V algua,  i  sa  fa  legu  una  gran  pranura  de 
algua,  i  VOlcu  a  poc  a  poc  sa  Va  bagura  tota.  Alura  tolna  a  curri  per 
cunsighi  a  eljus.  Acheljus  dasparats  an  gltdt  V ampuljeta  del  foc,  i  sa  folma 
acheia  gran  pranura  de  foc;   alura  VOlcu  ancumenga,  aii  com  curriva, 


Il  catalano  u'Àlgliero  :  Testi  popolari  moderni.  303 

gitava  adamùn  del  foc  tota  Valgua  che  avia  bagùf,  i  asi  lu  a  daspagàt  tot. 
L'Olcu  asi  era  a  prop  de  lus  fugitius,  i  alura  achestus  vist  lu  pcrilj  an 
dit.  "  No  i  a  mes  che  gita  l'ampuljeta  de  las  arepas,  craus  i  rasols  „  i  asi 
an  fet.  Alura  elj  va  a  camind  i  tot  la  cai  s'  asyarrava,  sa  fariva  an  mil 
modus,  i  asi  elj  vista  l'ampussibiritàt  de  sighi'  lus,  a  dit:  ''  G'a  m'as  trait; 
ga  so  che  achés  che  es  ama  tu  a  cavalj  es  tm  filj  de  rej,  ma  no  arribaràs 
a  spusa'lu,  che  lu  prime  bas  che  li  dungaràn,  no  sa  raculdarà  mes  de  tu.  „ 
Alura  Ili  filj  de  rej  Va  p)ultara  an  casa  de  la  panatera  del  rej,  finsa  a 
vistila  de  priuQipesa,  i  elj  es  anàt  an  casa  sua.  A  pena  la  mara  Va  vist, 
li  a  dit:  "  Ont  eras,  filj  meu,  che  i  mancavas  vuit  dias?,,  i  la  mara  sa'l 
vuria  baia,  i  elj  no  a  vulgut,  palché  s'es  raculdàt  de  la  maradigió  de 
VOlcu.  Elj  dasprés  s'es  rapusdt  un  poc  ch'era  astrae,  per  dasprés  anà  a 
prenda  Vaspoia.  Cudnt  era  drumit,  la  mara  es  anàt  i  sa  V  a  baiai.  Elj 
dasprés  che  s'es  daspaltàt,  com  era  la  maradÌQÌó  de  VOlcu,  no  s'es  raculdàt 
mes  de  la  gova.  Busém  lu  priuQip  alecr  i  cuntent,  che  no  sa  raculdava 
mes  de  la  gova  i  vanim  a.  G'univeldana.  G'univeldana  era,  com  s'es  dit,  an 
casa  de  la  panatera,  asparant  Vaspós  che  vanghessi  a  la  prenda.  Achesa 
minona  dasprés  che  avia  asparàt  tanta  dias,  astava  seria  per  Vaspós  che 
no  vaniva  i  a  dit:  " Ba,  ga  sa  Va  baiàt  la  mara,,  palché  elja  també  avia 
antés  la  maradÌQÌó  de  VOlcu.  La  panatera  feva  trabaljà  achesa  minona  i 
Vanviava  a  pultà  Valgua  del  pou.  Un  dia  mentras  era  umprinsa  la  gerra 
de  Valgua,  veu  achesa  dona  velja  che  li  diu:  "  Dius  tu,  belja  minona,  de 
chi  ses  filja  ?  „  Alura  G'univeldana  sa  posa  a  priirà  i  li  diu  :  "  Io  no  tene 
ni  para  ni  mara,  ma  te  una  dona  per  caritàt.  „  Achesa  dona  velja  era  una 
farà  i  Va  f arada,  i  li  a  dit:  "  Ves,  asta  alegra,  che  no  plurards  mes.  „  Pren 
achelja  minona  sa  n'es  anara  an  casa  de  la  ptanatera.  Astava  sempra  però 
seria.  Lu  para  del  prinQip  a  vulgut  che  lu  filj  sa  casessi  i  li  a  damanàt 
la  filja  del  rej  de  set  curonas.  Eccu  che  tanian  de  aspuià  i  an  dit  a  la 
panatera  che  fuQessi  ben  fet  lu  pa  de  Vaspuiori,  che  lu  filj  del  rej  taniva 
d'aspuid.  G'univeldana  a  damanàt  a  la  panatera  si.  li  dasava  fé  duas  cu- 
romas  per  pusd  a  la  meia  del  rej,  i  la  panatera  no  li  a  danagàt  achés 
prajé,  i  an  pusdt  las  duas  curomas  una  an  cara  cap  de  la  meia.  Lu 
mie  dia  an  fet  lu  pransu,  palché  la  nit  tanta  d'aspuid.  Eran  tots  sagùts  a 
la  meia  i  carati  racuntava  la  propria  astoria,  dasprés  che  avian  mangdt. 
Cuàn  tot  avian  dit  la  propria  astoria,  las  duas  curomas  sa  son  pusaras  a 
diura  :  "  Ara  caraù  a  dit  la  propria  astoria,  ara  toca  a  nus  altrus.  „  Alura 
ancumenga  a  parla  una  curoma  i  diu  a  l'altra  che  era  orna:  ^  A  ta  racoldas 
lu  dia  che  ses  anàt  a  caga  i  che  t'e  vist  passa  soia  la  finestra  ?„  I  lu  curóm 
li  raspón:  "No  ma  racolt.  „  I  la  curoma:  "A  ta  racoldas  cuàn  G'univel- 
dana dabasava  las  triéas  i  VOlcu  sa'n  muntava? „  Lu  curóm  a  raspóst: 
"Ma'n  racolt  i  no  ma'n  racolt.,,  La  curoma  li  a  dit:  "Ben  ta'n  fagi  ra- 
culdà,  „  Ala  meia  tots  ancantats  ascultant  achesa  curoma  i  achés  curóm. 
Al  filj  del  rej  ancumengava  a  vani'li  al  cap  carchi  cosa  de  aljó,  che  li  era 
suggait.  La  curoma  li  diu:  "A  ta'n  racoldas  cuàn  ses  munfdt  an  casa 
de  VOlcu  per  ta'n  prenda  a  G'univeldana  i  elja  no  li  vuria  vani,  i  tu  li  as 

Archivio  glottol.  it.,  IX.  20 


306  Gaar;ierio, 

dit  che  la  foras  aspnzara? „  Lu  curom  raspón:  "  ÀncumenQ  a  ma' n  ra- 
culdd.  „  La  curoma  siglava  :  "  A  fa  racoldas  ctidn  tu  eras  a  cavalj  ama 
G'nniveldana  i  che  l'Olcu  ta  sighiva,  i  tu  li  as  gitàt  las  amjmìjetas  de 
Valgila  i  del  foc  i  dasprés  achelja  de  las  arepas?,,  Raspón  lu  curóm: 
"0  altru  che  ma'n  racolt  ! „  La  curoma  a  dit  che  l'Olcu  alura  a  gitdt  la 
maradigió  che  la  primeva  volta  che  ta  bazavan,  no  ta  foras  raculddt  de 
G'univeldana,  i  a  dit:  "A  ta  racoldas  cudn  m'as  dat  l'anelj  an  par  aura 
de  matrimoni?  „  Lu  curóm  a  rasposi:  "Altru  che  ina'  n  racolt!,,  Alura 
lu  filj  del  rcj  s'  a  pagdt  un  cop  a  la  front  i  a  dit:  "A  che  venghi  legu 
chi  a  fet  achesas  curomas  „  i  a  achirrdt  legu  lu  paga  per  sabé  chi  avia 
fet  achesas  curomas.  Lu  paga  li  a  dit  che  las  avia  fetas  la  panatera,  i 
a  anvidt  a  achirrà  la  panatera.  Achesa  dona  es  vangura  tramuransa  com 
la  fulja  de  la  por  i  a  dit:  "  Sua  Attesa,  cosa  cumana?,,  Lu  pringip  a 
dit:  "Diurna  chi  a  fet  achesas  duas  curomas  ? „  "Las  e  fetas  io  „  raspón 
la  panatera.  Lu  pringip  però  li  a  dit:  "Tu,  no  las  as  fetas.,,  Alura  la 
panatera  li  a  dit  com  las  avia  fetas  una  minona  che  taniva  per  caritàt 
an  casa,  palelle  no  taniva  ni  para  i  ni  mar  a.  Alura  li  a  dit  a  la  pana- 
tera: "Dighiri  a  achesa  minona  che  sa  visti,  che  vangare  io  a  la  pirenda.  „ 
Alura  achelja  dona  es  anara  an  casa  i  li  diu  com  vaniva  lu  filj  del  rej  a 
la  prenda.  G'univeldana  s'  a  rantdt  la  foca,  palelle  astava  sempra  ama  la 
faca  tinira  per  no  fé  veura  la  sua  beljesa.  Era  branca  com  la  neu,  i 
culurira  com  lu  curàlj  ;  lus  uls  negras  com  duas  perlas.  Lu  pringip  a 
racuntdt  tot  a  V  aspoza,  che  era  la  fìlja  del  rej  de  set  curonas  i  li  a  dit 
com  no  la  puria  asjnizd,  palelle  avia  dat  paraura  de  matrimoni  a  G'univel- 
dana. La  pringipesa  alura  s' es  pitsara  monga ,  lu  pringip  a  aspuzdt  a 
G'univeldana  i  achesa  a  ratirdt  la  mara  i  lu  para  a  la  colt,  che  lus  ascults 
la  astavan  sempra  plurant  per  molta;  a  la  panatera  li  an  dat  una  bassa 
de  mimerà;  son  astdts  tots  a  la  colt  ama  lu  rej  i  amd  la  raina  sempra 
alets  i  cuntens. 


4.  Bnndalja  de  Don  Nicora*. 

Eran  marit  %  muljé  i  eran  negusiants  i  eran  tanta  rits  che  sa  son  fets 
cavaljers.  Tanivan  un  filj,  che  sa  dieva  don  Nicora,  un  beljissim  gova, 
che  anava  per  tots  lus  paizus  an  diveltiment.  Achesa  fama  de  achesta  ri- 
chesa  i  beljesa  de  achèi  gova  era  per  tot  lu  mon  aspargira.  La  fìlja  del 
rej  a  dit  che  vuria  cunesar  achés  don  Nicora,  numbrdt  tant  per  la  beljesa. 
Un  dia  la  pringipesa  es  anara  a  V  igresia,  cudn  veu  achés  beìj  gova  i  la 
gent  dieva  :  -  Es  don  Nicora  !  -  Elj  també  sa  n'  es  anamurdt  de  la  prin- 


Raccontata  dalla  stessa. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  moderui.  307 

fipesa,  che  era  una  belja  gova.  Totus  dos  sempra  miransa,  cuant  isiva  la 
pringipesa  elj  li  piisava  sempra  a  fatu.  Pren  don  Nicora  i  anvia  una  Ijetra 
a  la  pringipesa  dienni  com  elj  na  era  anamurdt  d'elja.  La  pringipesa  na 
li  fa  nn'altra,  i  li  ascriu   dienni   che  elja  tnmbé   na  era  anamurdt  d'elj. 
Aliira  elj  li  ascriu  de  galea  hi  mezu  de  sa'n  pudé  fugi,  eh'  elj  la  astimava 
palduramenf,  i  che  sabiva  che  Iti  rej  no  li  dunava,  che  elj  ga  era  rie  ha- 
stantament,   che   an  ciialsavól  Ijoc  vulcjhessi  and,  che  elj  la  pulfava,  che 
elj  ga  taniva  un  vapó  sempra  a  sou  olda.  Alura  elja  li  a  ascrit  che.  la  nit 
sa  trubessi  al  galdi,  che  elja  dabasava  de  la  polla  segreta.   Don  Nicora  a 
niiga  nit  es  a/nàt  al  galdi  de  la  coli  travistit,  palché  era  una  palsona  cu- 
nusiira  de  caraii  :   elja  es   dabnsara   amd  una  dama  de  coli.  Legu  sa  son 
prezus  an  brageta  i  son  muntats   al  vapó  che   lus  asparava  al  polt.  Son 
palUts  i  son  anats  an  un  pais  aljunt  assai  del  rej.  Lu  rej  l'anda,md  aspera 
las  non  crajent  che  la  filja  sa  n'alsessi;   aspera  las  deu  i  ni  mancii;  fi- 
nalment  a  dit  :   "  Ma  filja  te  carchi  cosa.  „  Legti  es  andt  a  V  apusentu  de 
la  filja  i  no  troba  a  ningù.   A  cumandt  legu  che  sa  fagessi  rigelca  de  la 
filja  i  s'a  pansdt  che  sa  n'era  fu  gira  amd  don  Nicora,  che   l'antaneva 
sempra  che  sa  n'era  anamurara;  i  fa  mird  si  al  polt  i  era  lu  vapó,  i  diun 
che  era  paltlt  la  nit.  Alura  lu  para  s'es  assagiirdt  che  sa  n'era  fugira  amd 
don  Nicora.  Alura  lu  rej  a  pres  dos  vapols  i  lis  a  pusats  tantas  vedutas 
i  cavals  i  paldals  i  altrus  animals ,   che  fevan  tots  lus  gots,  i  diu  che 
anighessi  an   tots   lus  paìzus  per  fé  veura  achesas  vedutas  de   bada  ,   i 
dona  lu  ritratu  de  la  filja  al  sou  ciinfident,   dienni  che  cudn  la  filja  ani- 
ghessi a  veura  acheljas  vedutas,  che  legu  paltissi  i  na  la  imltessi  an  casa 
del  para.  Achesus  dos  vapols  van  an  girti  per  tots  lus  paizus;  an  cara 
pais  che  sa  falmavan  tota  la  gent  s' aspupulava  per  veura  achesas  rari- 
tats.  Eccu  che  va  al  pais  ont  era  don  Nicora  i  tota  la  geni  anant  a  veura, 
i  la  pringipesa  a  dit  a  don  Nicora  :  "  Aném  nus  altrus  també  a  veura,  che 
e  antés  che  i  son  beljas  i  raras  vedutas.  „  Don  Nicora  li  a  rasposi  che  no 
li  vuria  and;  ma  elja  tant  Va  pragdt  che  son  anats,  i  elja  per  rassicura' lu 
a  dit  asi  :   "  Son  ga  sis  mezus  che   lu  babu  no  mus  a  trubdt,  ara  no  i  a 
mes  por.  „  Alura  eljus  son  anats  al  vapó  per  veura  achesas  beljas  vistas. 
Cuant  era  elja  mirant  achesas  raritats  i  che  lu  marit  no  era  mancu  antrdt, 
legti  fan  vela  i  sa'n  paltesan,  dasant  a  don  Nicora  sol  adamtin  de  la  balca. 
Arribats  on  lu  rej,  la  pringipesa  anctimenga  a  prurd  i  lu  rej  li  diu:  "Filja 
angrata  che  ses  astara;   t' as  vulgét  prenda  a  don  Nicora,  sane  redi  com 
ses  tu  ?  Tu  acabards  lus  dias  an  fondu  de  una  torra.  „  1  elja  li  diu  :  "  Si, 
don  Nicora  es  mun  marit,  avém  asptizdt  dal  prime  mamentu  che  so  paltira 
de  casa;  mancari  tu  ma  matis,  tantu  io  so  muljé  de  don  Nicora.  „  Alura 
Iti  para  li  diu;  "  ìsitan,  che  ma  fas  abrevid  Itis  dias  „  i  diti  al  sou  ctinfi- 
deni  che  la  pusessi  al  fondu  de  la  torra  per  acabd  an  alji  lus  dias.  Alura 
lu  cunfident  asi  a  fet.  An  alji  cara  dia  una  dama  de  colt  li  dabasava  lu 
mangd;  elja  astava  sempra  plurant,  asparant  lu  marit. 

Parlém  ara  de  don  Nicora.   Elj  cuant  es  andt  an  casa,  s'es  tancdt  an 
un'apusentu,  s'a  fet  una  gran  Ijibraria  i  astava  sempra  astudiant  de  mis- 


308  Guarnerio, 

siunista.  Basprés  de  dos  ans  de  astudi,  che  li  era  crisira  la  halha  fins'  a 
la  cintura,  s'es  visti f  de  missiunista  i  anava  per  tots  lus  paisus  a  praricd. 
La  geni  sa  aspupulava  per  antrcnda  achcs  sant  ama.  Caraù  sa  ctmfassava 
ama  elj.  Era  ga  un  ari  che  cìj  feva  acJicsa  vira  anant  de  un  pais  a  l'altru 
an  ciimpania  de  un  Ijet',.  Finalment  va  al  pais  ont  era  la  pringipesa,  i  In 
rej  che  a  antés  che  achés  era  un  sant  orna,  Va  achirrdt  per  veura  si  na 
pudessi  treura  a  la  filja  l'idea  de  don  Nicora.  Lu  para  fa  and  achèi  mis- 
siunista a  la  Colt  i  li  a  ractmtdt  tot  lu  conta  de  la  figlja,  i  li  a  dit  che 
miressi  si  na  pudessi  fé  treura  achesa  idea  de  don  Nicora;  i  elj  a  dit: 
"  Desi  fé  a  mi,  che  io  la  cunvaltiré.  „  Lu  reJ  anvia  a  diura  a  la  filja  che 
i  avia  tm  missiunista,  un  sant  om,a,  che  V  andamd  sa  sigaria  cunfassara. 
1/ andamd  va  lu  missiunista  amd  lu  Ijec  a  la  coìt,  i  es  dabasdt  ama  lu 
Ijec  a  la  torra  de  la  pringipesa.  Elj  cuanf  es  antrdf  a  la  terra,  l'an  dasdt 
sol,  palelle  tania  de  cunfassd;  alura  sa  Va  abragara  i  li  a  dit:  "  Cuant  e 
f et  per  ta  veura,  muljé  mia  !  „  Alura  elja  de  la  cuntentesa  s'es  dasmajara. 
Elj  li  a  dit  :  "  Feta  curaga,  che  no  i  a  tens  de  pelda.  „  Pren,  daspulja  lu 
Ijec  i  visti  elja  amd  la  roba  de  achelj,  i  visti  lu  Ijec  amd  lu  vistit  de  sera 
de  la  pringipesa.  Sa'n  son  isits  amd  lu  capucu  pusdt  i  sa'n  son  anats  al 
polt,  on  lus  asparava  lu  vapó  d'elj,  i  Icgu  son  paltits.  La  nit  achelj  Ijec 
moli  del  fret,  acustumdt  amd  la  roba  de  pannu,  amd  la  sera  tanta  fret, 
i  li  baljavan  las  deus  del  fret.  La  dama  de  colt  che  sempra  vigiliva  la 
raina  che  no  avisessi  per  carchi  manasté,  a  aseultdt  i  a  antés  achés  tun- 
chiu  che  isiva  de  la  terra;  legu  va  on  lu  rej  i  li  diu  com  la  raina  tania 
de  trenda  cosa  palché  tunchiava.  Alura  lu  rej  a  dit  :  "  Achés  es  cosa  che 
s'es  paìitira  de  aljó  che  a  fet,  ara  che  s' es  cunfassara.  amd  lu  missiuni- 
sta. „  A  uldandt  a  la  dama  de  colt  che  dabasessi  per  veura  si  vulghessi 
carchi  cosa.  Dabasa  la  dama  de  colt  i  sa  troba  amd  un  orna  vistit  de  dona. 
Munta  legu  on  lu  rej  tota  assustara  i  diu  :  "  Sua  Attesa,  altru  chi  panti- 
ment;  la  pringipesa  es  lu  Ijec  che  pultava  lu  missiunista  amd  lu  vistit  de 
sera,  che  pultava  la  raina  1  „  Lu  rej  a  rasposi  a  la  dama  :  '^  Ma  tu  as 
girdt  lu  galvelj  ;  no  es  pussibra.  „  Alura  a  anvidt  lu  cunfident  per  veura 
si  era  ver.  Lu  cttnfident  li  raspón  com  era  verissim,  i  lu  rej  a  vulgùt  che 
muntessi  legu  lu  Ijec,  che  munta  tramuransa  com  la  fulja  del  fret  i  li  diu 
che  elj  era  lu  salviró  Ijec  del  missiunista.  Alura  lu  rej  s'a  pansdt  la  trama 
i  che  lu  missiunista  era  don  Nicora.  "  Af  ga  ma  Va  feta  „  a  dit.  Li  munta 
la  sane  al  cap  de  la  rabia,  i  del  dasprajé  li  entra  achesa  carantura  che 
no  dava  mes  sanals  de  vira.  Alura  avisan  tots  lus  dutols,  an  fet  cunsultu 
i  an  guricdt  che  li  rastavan  pocas  oras  de  vira.  Lu  rej  a  dit  :  "  Lo  ma  na 
abic  die  so  murint  i  asi  vulj  veura  un'  altra  volta  ma  filja.  Sa  giti  un 
banda  che  an  cualunca  Ijoo  sa  trobi  che  venghi  che  io  la  paldón,  che  donc 
paraura  de  rej.  „  Legu  son  paltits  quatra  vapols  per  tots  lus  paizus  gi- 
tani achés  bandu.  Acdpita  che  son  anats  al  pais  de  don  Nicora,  i  antén 
la  filja  achés  bandu  del  para  che  sa  gitaca.  Alura  diu  al  marit  ch'elja 
vuria  veura  la  para,  che  anighessin,  che  lis  avia  dat  paraura  de  rej.  Son 
paltits  amd  lus  vapols  i  san  arribats  on  lu  rej.  Van  a  la  colt;  sa  san  gi- 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  luoderui.  309 

tats  totiis  dos  a  lus  peus  del  ìjit  del  rej  damananni  paldó.  Alura  lu  para 
sa  Ins  a  hazats  totus  dos  i  che  lus  pakhinava,  i  che  dasava  tots  Itis  bens 
a  la  fiìja  i  che  elja  era  la  areva  i  a  don  Nicora  II  a  dal  In  tltiil  de  duca. 
Sals'  a  abragdl.  Us  a  dunàt  la  banarigió,  i  a  aspirai  lu  rej.  Totus  dos  del 
dasprajé  i  an  fet  nu  gran  pror,  i  sa  son  astats  a  viura  a  la  coli  ;  i  soìi 
vlvits  asi  alets  i  cunlens,  no  mancanni  mai  arrés. 


5.  Bundalja  del  Magu  '. 


Una  volta  i  avia  dos  priuQips  galmans  i  u  de  achesus  pativa  la  picun- 
dria,  i  no  i  avia  mai  chi  fe'lu  ralagrd.  Sempra  sa  n'anava  a  las  passa- 
garas  mes  ramotas.  Un  dia  mentras  era  passagant  veu  achesta  pedra 
branca  i  a  tacas  valmeljas;  eìj  sa  la  cuntempla  i  diu:  "Sì  tanghessi  una 
muljé  asi  branca  i  asi  culurira  i  ama  lus  uls  neyras,  folsi  ma  passa- 
riva  achesta  pieundria  che  io  tene.,,  Sa  r atira  an  casa  i  diu  al  galmd  : 
"  Avuj  ga  e  vist  una  pedra  asi  belja,  branca  i  culurira.  che  si  io  tanghessi 
muljé  asi,  folsi  ma  jìassariva  la  pieundria.  „  Lu  galmd  a  dit :  "Si  es  per 
asó,  poca  mal;  io  m'anibalcaré  i  fare  de  tot  per  na  tnibd  una  asi  coni  tu 
la  vols.  „  Lu  galmd  legu  pren  lu  vapó  i  s'atnbalca  i  va  an  giru,  cnant 
mi  dia  antén  un  gran  chimentu  an  una  pruQa,  i  era  un  orna  che  pultava 
un  paldàl,  che  feva  tots  lus  gots,  i  carau  sa'l  vuria  ciimprd;  ma  ningù 
sa  'l  cumprava  palelle  era  car.  Pren  elj  i  sa  'l  compra,  i  dieva:  "Ara  e 
ti'ubdt  achesi  palddl,  ma  no  e  trubàt  ancara  la  gova,  che  mun  galmd  voi.  „ 
Un  dia  antéìi  achest  altru  chimentu  i  legu  es  andt  a  veura  cosa  era;  i  veu 
lu  matés  oma,  che  li  avia  vanit  hi  paldàl,  che  taniva  un  eavaljucu,  che 
feva  tots  lus  gots.  Pren  elj  i  sa  'l  compra.  Taniva  ga  lu  paldàl  i  lu  ca- 
vai) per  fé  divaiti  lu  galmà,  ara  li  vuria  la  aspoza.  Un  dia  lu  salviró 
antén  pica,  obri  i  era  una  pobra,  che  vuria  parla  lu  pringip  per  fe'li 
Ijimosina,  i  lu  salviró  li  diu:  "  Véstatan,  che  lu  pringip  es  de  mar  umó  i 
no  voi  parla  a  tu.  „  A  la  jì  Va  ampragat  tant  che  Va  dasara  antrd,  i 
parla  a  lu  pringip  i  li  diu:  "Pringip,  cosa  te  ch'es  asi  de  mara  umó  ? „ 
Ma  elj  li  raspón  :  "No  son  cosas  de  diiira  a  tu.,,  "  I  dighimal  ;  chi  sa  che 
io  lu  pugili  sulavà.  „  Alura  lu  pringip  li  a  dit  com  elj  era  vangùt  per  galea 
un'aspoza  al  galmà,  che  fossi  branca  i  culurira,  i  che  tanghessi  uls  negras. 
Alura  elja  li  diu  :  "  No  sa'n  prenghi  dasprajé  che  io  ni  fag  veura  una 
ch'es  branca  i  culurira,  i  es  una  beljissima  gova,  che  es  una  mia  bcnrfa- 
tora.  „  "  Ma  coni  fag  io  per  la  veura  ?  „  "  Desi  asta  che  cara  dia  ma  fa  la 
Ijimosina,  i  sa  fa  a  la  finestra  per  ma  gita  la  mimerà.  Lu  pringip  sa 
trobi  al  carré  a  las  nou  del  maiti,   cuant  io  pie  lu  pultó  i  asi  la  veu.  ,y 


^  Raccontata  dalla  stessa;  ottobre  ISS."}. 


310  Guarncrio, 

L'andamà  In  pringip  a  las  non  era  al  carré;  la  pohra  jìica  Ih  puìtò  i 
aehesa  gova  sa  fa  a  la  finestra.  Lu  pringip  ciidn  Va  vista,  es  astdt  mara- 
vil/àt  d'achesta  rada  beljesa.  Va  V  andamà  la  proba  an  casa  a  damana'U 
si  li  es  agradara,  i  lu  prinQìp  li  raspón  de  si;  ma  voi  sabé  coni  fé  per 
parla'la.  Alura  li  a  dit  la  pobra  :  "  Elja  es  gran  amanta  de  la  chincaljeria 
i  passi  al  carré,  tichirriant  -  o  las  beljas  chincalferias .' „  Passa  al  carré 
tichirriant,  i  elja  legu  Va  achirràt.  Elj  tot  danni  a  hon  preti  i  dienni  : 
"  Aehesa s  son  arrés  an  confronta  de  acheljas  che  son  al  vapó,  palché  na 
iene  de  tanta  géneres,  i  es  ampitssibra  a  las  piiltd  totas  a  la  casefa.  „ 
Alura  elja  li  a  dit;  "  Coni  fag  io  a  vani  al  vapor?,,  I  elj  li  a  dit:  "  Lu 
vapó  ga  es  al  polt,  sì  te  prajé  de  vani.,,  "Ma  sarà  no  pue  vani;  mar  a  no 
na  tene,  che  es  molta,  lu  babu  no  ma  desa  and  a  Ijoc  sensa  d'elj ;  si  no  es 
che  venghi  io  ama  la  mamatita  de  magdt  del  babu.  „  Alura  an  cumbindt 
de  and  l'andamd  mniti  a  las  deu,  che  asi  lu  babu  de  achelja  gova  no  i 
era.  L'andamà  la  gova  es  anara  amd  la  mamatita  al  vapó,  cWelj  ga  era 
asparanna.  Alura  elj  ancumenga  a  mustra'li  totas  achesas  chincaljerias 
che  n'avia  de  cara  manera.  Elja  era  tanta  dastraira  mirant  che  no  sa'n 
raculdava  mes  del  para.  Lu  pringip  però  amd  la  balcheta  a  fet  pultà  la 
mamatita  al  polt,  i  legu  fa  vela  i  hi  vapó  paltés.  Elja  era  tanta  dastraira 
mirant  las  chincaljerias,  che  no  sa  n'  abigava  d'arrés.  Citdn  s'alsa  achesta 
burrasca  i  alura  a  dit  :  "  La  mamatita  aont  es,  che  miis  aném,  palché  no 
sa  ratiri  lu  babu  an  casa,  che  ma  vulj  trubà  prime.  „  Alura  elj  li  diu  : 
"Miri,  la  mamatita  no  i  es,  che  io  na  Ve  anviara  an  casa  d'  elja. „  Alura 
elj  li  a  racuntàt  tot  lu  conta,  che  no  s'assustessi,  che  elj  Vavia  preza  per 
essar  aspoza  del  galmd,  che  no  craghessi  che  Vanganava,  che  no  era  un 
chincaljista,  ma  era  un  filj  de  pringip.  Alnra  li  a  dit  elja:  "Ai,  che  ses 
iirruindt,  che  lu  babu  es  un  magu  !  „  Alura  sa  veun  achest  magu  adaniùn 
del  vapó.  "Ai  lu  babu!,,  a  dit  elja.  Lu  magu  a  dit:  "Tu  as pres  lu  meu  cavai;'; 
la  primera  volta  che  tun  galmd  la  tucard,  niurird,  i  si  tu  lu  digards,  de 
mabra  deventards  !  Tu  as  cumprdt  lu  meu  jjalddl;  la  primera  volta  che  tun 
galmd  lu  tucarà,  murird,  i  si  tu  lu  digards,  de  mabra  deventards  !  Tu  as 
pres  la  mia  filj  a  per  aspoza  de  tun  galmd;  la  primera  volta  che  la  tucard, 
murird,  i  si  tu  lu  digards,  de  mabra  deventards!,,  Lu  pringip  sa  trubava 
an  un  brut  impicu.  Ascumparés  lu  magu;  eccu  che  arriban  aont  es  lu 
galmd.  Lu  galmd  pren  lu  palddl  i  li  fa  fé  tots  las  gots.  Mentras  fa  tanta 
gots,  pren  lu  pringip  i  lu  mata,  per  no  tuca'lu  V  altru  galmd.  Pren  lu 
cavalj,  li  fa  fé  tots  lus  gots,  i  dasprés  Va  molt.  Lu  pringip:  "Ai  chi 
Ijdstima!  i  palché  lus  as  niolts  ?  „  Lu  galmd  no  a  raspost.  La  nit  an  aspu- 
iàt.  Eccu  che  la  nit  lu  pringip  s'es  amagdt  a  sola  de  lu  Ijit  de  lus  aspozus 
amd  Vaspara.  Lu  galmd  astava  anant  a  sa  baSd  Vaspoòa  i  astava  isint  lu 
magu.  Alura  isi  lu  galmd  de  sota  del  Ijit  amd  Vaspara.  L'aspós  nel  veura 
lu  galmd  s'a  cragùt  che  era  per  matd  a  elj  i  per  sa'  n  prenda  V aspoza,  i 
li  a  dit:  "Ai  galmd  angrdt!  no  t'es  abastdt  che  m'as  molt  lu  palddl  i  lu 
cavaljìicu  ;  ara  vurias  matd  a  mi  per  fan  prenda  V  aspoza.  „  Alura  lu  pringip 
li  a  dit:  "Ai  galmd  meu,  no  era  per  fan  prenda  V asposa,  che  ara  ta  ra- 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  moderni.  311 

cimiaré  tot  In  conta,  lo  e  cumpràt  In  palddl  del  para  de  la  tua  aspoza  i 
es  magu  i  m'a  dit  che  si  tu  lu  tucards,  foras  moli.  Si  io  ta  'l  dieva,  fora 
deventàt  de  mabra.  Eccu  mirama  che  poli  lus  peus  de  mabra.  M'a  dit 
die  io  li  avia  cumpràt  lu  sou  cavaljucu,  che  si  tu  lus  foras  tucdt,  foras 
molt;  si  io  ta  l'avia  dit,  che  fora  deventàt  de  mabra,  Eccu  che  poli  ga 
las  cambas  de  mabra.  M' a  dit  che  io  li  avia  pres  la  filja  per  aspoza  de 
mun  galmà,  i  la  jyrimera  volta  che  tu  la  foras  tucara,  foras  moli.  Io  ma 
Ve  pansàt  che  citdn  foras  andt  a  tuca'la  elj  fora  isit  per  ta  mata,  i  io  ma 
so  amagàt  ama  V  aspara  per  mata'lu,  cuant  elj  isiva.  I  cudn  so  isit,  era 
per  mata  lu  magu,  che  ta  astava  matant.  Eccu  che  so  tot  de  mabra!...,, 
Lu  galmà  ancumenga  a  prurd:  ''Ai  galmà  meu,  che  io  so  astàt  un  angrdt; 
ma  tu  as  fet  de  veru  galmà  f  „  Alura  s'a  fet  un  gran  Ijicu  de  cristalj  i  an 
alji  posa  lu  galma.  Sa  'l  posa  a  l'apusentu  on  drumiva  elj.  Cara  dia  sa 
ianiva  de  fé  un  pror  ;  astava  sempra  seriu.  Un  dia  dasprés  de  quatra  ans, 
elj  era  seriu,  cuant  antén  pica  la  polta,  fa  ubri  i  li  diu  che  era  un  gran 
■  sanór.  Entra  i  sa  posa  a  raunà  ama  'l  pringip.  "Cosa  es  achesta  astatua 
asi  aspressiva? „  "Ai  per  caritàt  no  ma  'l  nombri,  che  ma  fa  massa  da- 
sprajé!,,  Alura  li  diu:  "  Racùntamal  che  tene  prajé  de  l'antrenda.  „  "A 
es  un  conta  che  si  V antén,  li  fa  dasprajé!  ma  ga  che  lu  voi  sabé,  li  die.  „ 
Alura  li  diu  tot  lu  conta  i  achelj  sano  li  diu  :  "  Miri,  a  mi  ma  basta  l'animu 
de  fé' li  tulnà  a  sun  galmà  com  era  prime;  no  i  voi  una  gran  suma,  i  voi 
la  sane  de  una  de  achestas  criaturas,  che  son  a  l'apusentu,,,  che  i  eran  duas 
criaturas  del  pringip.  Alura  li  raspón  :  "  M'es  dulurós  la  molt  de  una  filja 
mia,  però  per  tulnà  a  mun  galmà  de  un  sacrifigi  che  a  fet  per  a  mi,  man- 
cari  ma'n  daspraghi  tanta,  sacrifichés  a  ma  figlja.  „  "Vàgissan;  an  tens  de 
migora  te  a  sun  galmà.,,  Cosa  fa  achei}  orna?  Amaga  una  criatura  i  fa 
tulnà  lu  pringip.  Alura  fa  antrà  lu  galmà  ama  la  muljé  i  li  diu:  "Eccu 
sun  galmà!,,  Sa  son  bazats.  Alura  li  diu:  "  G'a  so  cuntenta,  però  ma'n 
dasprau  de  la- criatura  molta!,,  Eccu  lu  sanor  obri  la  polta,  i  treu  la  cria- 
tura  i  diu,:  "Io  so  tun  para;  de  mi  no  tangareu  mes  por,  die  sigareu 
trancJiiljus  ;  astau  an  lìau  tots  ansiema.  No  tangareu  mes  por,  che  Ve  fet 
per  la  dasubadiengia  de  mia  filja.  Des  de  fé  del  magu  i  ma  pos  an  un 
cunvent  per  fé  una  vira  santa.  „  Dasprés  son  astats  tots  aìets  i  cuntens. 


6.  Rundalja  de  un  rej  i  de  lus  sous  tres  flls  *. 

Una  volta  i  avia  un  rej  che  taniva  tres  fils  i  taniva  un  galdi  i  cara  nit 
ni  arrubavan  las  rosas.  Eccu  che  lu  para  cuant  era  a  la  mesa  diu  a  lus 
fils:  "Fils  meus,  viis  altrus  no  seu  bons  a  trenda  conta  lu  meu  galdi,  si 


^  Raccontata  da  Isabella  Manai,  d'Alghero;  ottobre  1883. 


312  Guarncrio, 

irubava  carchiù,  io  dava  la  curona  per  ma  trenda  conta  hi  galdi.,,  Alura 
ht  filj  gran  li  dm  :  "  0  babu,  al  galdi  ma  ga  astio  io,  i  tantaré  chi  sa'n 
prcn  las  frols.  „  Lu  para  li  diu:  "  Fils  meus,  no  seu  bons  per  asó  „  i  lu 
filj  gran  li  raspón:  "Asta  nit  ma  ga  astio  iò,„  Bavalja  lu  filj  gran  al 
gnidi  j}er  trenda  conta  las  frols.  Bavalja  la  farà  Carina  i  na  li  mega  las 
frols.  Alura  sa  daspelta  i  veu  las  frols  aculjiras;  chi  sa  matava  i  chi  sa 
finiva  era  elj.  Ascuìnenga  a  damand  asousa  al  para.  Lu  para  li  raspón: 
"  Fils  meus,  no  seu  bons  per  asó.  „  Raspón  lu  miga:  "Asta  nit  ma  ga 
astio  io,  si  a  mi  ma  la  fardn  oom  a  elj.  „  La  nit  davalja  lu  miga  :  i  a 
miga  nit  li  ve  una  gran  son.  Bavalja  la  farà  dir  ina  i  na  li  moQa  las 
rosas.  Eccii  che  sa  daspelta  elj  i  veu  las  rosas  magaras  i  ascumenQa  a 
damand  ascusa  al  para.  Raspón  lu  para:  " Fils  meus,  no  seu  bons  per 
asó.  „  Raspón  lu  patii:  "Asta  nit  ma  ga  astio  io  „  I  lu  para:  "L'an  feta 
a  itim  galmans  lus  grans,  che  sigard  a  tu  ohe  ses  lu  patit?  „  Rasjìón  lu 
filj:  "  0  babu,  si  l'an  feta  a  eljus,  no  la  fdnan  a  mi.,,  La  nit  davalja  al 
galdi  i  sa  posa  a  passagd.  A  miga  nit  s'amaga  i  veu  una  dona  davaljant 
de  la  parét,  i  maQanna  totas  las  rosas.  Ba  che  las  avia  ma^aras  sa  n'era 
muntant  de  la  parét;  isi  elj  i  li  aganca  la  gunelja,  i  li  diu  :  "  Si  l'as  feta 
a  mns  galmans,  no  la  fas  a  mi.,,  I  raspón  achelja  dona:  "  Bésama  and, 
Antoni,  ohe  carchi  dia  sigarà  biara  per  a  tu,  idamà  trubards  lu  galdi  mes 
pre  de  frols,  i  tu  an  ouara  neQessitdt  ohe  tu  tens,  avisa  la  farà  Curina, 
che  sards  agurdt.  „  Lu  maiti  sa  daspelta  i  veu  lu  galdi  pre  de  frols,  i  munta 
a  lu  para  i  li  diu:  "0  babu,  fàgisa  a  la  finestra  del  galdi  i  vatird  las  frols.,^ 
Li  raspón  lu  para:  "Filj  meu,  ta  Ve  dit  che  l'an  feta  a  tiim  galmans  lus 
grans  i  che  sigard  a  tu  che  ses  hi  patit.  „  "  0  babu,  si  l'an  feta  a  mus  gal- 
mans lus  grans,  no  l'an  feta  a  mi  che  so  lu  patit.  „  Sa  fa  lu  para  a  la 
finestra  del  galdi,  i  li  diu:  " Brau  Antoni,  la  curona  es  la  tua.,,  Lus  dos 
galmans  grans  da  che  an  vist  che  la  curona  era  de  Antoni,  an  dit  :  "  A  mun 
aném  a  curri  mon.  „  Muntan  on  lu  para,  i  li  diun:  "0  babu,  dónghimus  la 
santa  banarigió,  che  mun  aném  a  curri  mon.  „  Mentras  eran  ansaljansa 
lu  Qavalj,  ve  Antoni  i  lis  i  diu:  "  G'almans  meus,  aont  anau? „  I  acheljus 
li  diun  :  "  Ara  ohe  la  curona  es  la  tua,  mun  aném  a  curri  mon.  „  Raspón 
Antoni:  "  Ama  pultau  ami  també.  „  I  li  diun  lus  galmans:  "  Vina.  „  Munta 
aón  lu  para  e  li  diu  :  "  0  babu,  dónghima  la  banarigió  che  ma'n  vac  a  curri 
mon  paris  ama  mns  galmans.  „  Li  raspón  lu  para  :  "  Aón  vas  Antoni,  che 
la  curona  es  la  tua?  „  "No,  sanor,  raspón  Antoni,  che  ma'n  vao  a  curri 
mon  paris  ama  mus  galmans.  „  Lu  para  ama  gran  dasprajé  li  dona  la  ba- 
narigió i  lina  bona  bossa  de  munera.  Paltesan  de  la  Quitàt,  i  sa'n  vànan  an 
un  altru  renu,  i  sa  posan  pagas.  Aohelj  rej  chi  astimava  de  mes  de  lus  tres 
galmans,  era  Antoni.  Lu  dos  galmans  grans  prezus  de  anviria  diun:  "  A 
lu  aspaldasém!„  Lu  gran  diu  a  tots  che  Antoni  s'es  dami  de  diura  che 
ga  li  basta  l'animu  de  pultd  la  farà  Mulgana.  Lu  rej,  che  a  antés  achés  ar- 
raunament,  s'avisa  Antoni  i  li  diu  :  "  Antoni,  si  tu  ma  poltas  la  farà  Mul- 
gana, io  ta  fuQ  dunagiò  del  meu  remi.,,  Raspón  Antoni  i  diu:  "Altesa,  com 
mai  io  puc  prenda  achesa  farà  Mulgana  ?  „  "  0  Antoni,  raspón  lu  rej,  si 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  moderni.  318 

tu  no  ma  la  jyoltas,  i  sigarà  pena  de  la  vira.  „  Bavalja  Antoni  al  pultó 
prurant  i  achirra  a  la  farà  Curina  i  din  :  "  lèi  a  ma  ayurd  !  „  Ui  la  farà 
i  li  diu:  "  Che  tens,  Antoni,  che  ses  prurant?,,  "  Mus  galmans  li  an  dif 
al  rej  che  a  mi  ma  basta  Vanimu  de  pultd  la  farà  Mulgana.  „  Raspón  a- 
chelja  :  "Calja  i  munta  adamunt  i  li  dius  al  rej  che  ta  dowjhi  una  selja  de 
or  i  dos  asparons  de  or,  si  voi  la  farà  Mulgana,  i  da  che  ia  la  dona,  da- 
valja  an  anchi  i  achirra  a  la  farà  Curina.  „  Munta  Antoni  on  lu  rej  i  li 
diu:  "  Altesa,  si  voi  la  farà  Mulgana,  ma  te  de  fé  una  selja  de  or  ama  la 
brilja  i  lus  asparons  fambé  de  or.,,  Raspón  lu  rej:  "Legu,  Antoni,  es  feta.  „ 
Al  mamenfa  avisa  a  lus  pratels  i  li  diu:  " Féuma  una  selja  de  or  ama  la 
brilja  i  lus  asparons,  ma  che  sighi  prestu  feta.,,  L' andarne  lus  pratels  pol- 
tan  al  rej  lu  che  lis  si  avia  cumissiunàt.  Legu  s' achirra  Antoni  i  li  diu: 
"  Es  tot  proni.  „  Antoni  pren  aljó  i  davalja  al  pultó  i  achirra  a  la  farà 
Curina:  "  IH  a  ma  agurà!  „  lèi  achés  cavaljuéu  i  li  diu:  ''  Antoni,  ansé- 
Ijama  i  pósama  la  brilja  i  las  astafas  i  séuta  adamùn  meu  i  aném.  „  Pas- 
sant  a  la  vora  de  la  marina  i  veun  un  pes  acabant  de  muri,  i  li  diu  lu 
cavaljucu:  "Antoni,  davàljanta  i  pren  achés  pes  i  yital  ala  marina.,,  Ra- 
spón Antoni:  "Mirate,  si  no  ma'n  davaljava  per  elj  !  „  Li  raspón  lu  ca- 
valjucu :  "  Antoni,  davàljanta  che  carchi  dia  sigarà  Mara  per  a  tu.  „  Sa'n 
davalja  de  cavalj,  pren  achelj  pes  i  lu  gita  a  la  marina.  lèi  una  veu  :  "  An- 
toni, an  cuara  negcssitàt  che  tu  tenghis,  achirra  lu  rej  de  lus  pesus  che  sa- 
ràs  ragaidt.  „  Sa  seu  al  cavaljucu  i  ancumenQa  a  caminà,  i  troba  un  palddl 
che  no  puria  vurd  de  l'abra,  i  li  diu  lu  cavaljucu:  "  Antoni,  davàljanta,  das- 
ganca  achelj  palddl  i  felu  vurd.  „  Raspón  Antoni  :  "  Mirau,  si  no  ma'n  da- 
vagliava  per  elj  !  „  Li  diu  lu  cavaljucu:  "  Antoni,  davàljanta  che  carchi  dia 
sigarà  biara  per  a  tu.  „  Sa'n  davalja  Antoni  i  munta  a  Vabra  i  fa  vurd 
achelj  palddl.  lèi  una  veu  :  "  Antoni,  an  cuara  neQessitdt  che  tu  tenghis, 
achirra  lu  rej  de  lus  paldals  che  tu  saràs  sarvàt.  „  Sa  seu  al  cavaljucu  i 
auQumenQa  a  caminà,  i  troba  una  tana  de  frumiguras  baraljansa ,  che  no 
purivan  antro  a  la  tana.  Li  diu  lu  cavaljucu:  "Antoni,  davàljanta  i  da- 
sfurngàrisi  la  tana,  che  carchi  dia  sigarà  biara  per  atu.„  Raspón  Antoni: 
"Mirau,  si  no  ma'n  daoaJjava  I „  "Davàljanta,  li  diu  tolna  lu  cavaljucu, 
i  fes  lu  che  ta  die  io.  „  Sa'n  davalja  Antoni  i  dasfùruga  la  tana  de  las  fru- 
miguras i  las  fa  antrà  totas  adrins.  lèi  una  veu  i  li  diu  :  "  Antoni,  an  cuara 
neQessitdt  che  ta  trobis,  achirra  lu  rej  de  las  frumiguras  che  saràs  raga- 
tat. „  Sa  seu  al  cavaljucu  i  ascmnenga  a  caminà,  i  li  diu:  "Antoni,  sem 
arribats  al  parau  i  dona  atangió  a  lu  che  ta  die  io:  tu  amàgata  andrera 
del  galdi  ar arerà  de  una  mata  i  io  astigaré  anghiriànma  lu  g aldi  finga  che 
sa  seghi  elja,  i  tu  sighis  pront  a  ta  l'abragà  i  no  la  deèis  and.  „  Arriban 
al  parau  i  Antoni  s'amaga,  i  lu  cavaljucu  anctimenga  a  anghirid  lu  galdi 
i  sa  fa  una  dama  de  coli  i  diu  a  la  farà:  "Altesa,  che  belj  cavaljucu  che 
i  a  al  galdi!  altesa,  pringipesa  com  es,  no  na  te.,,  Sa  fa  la  farà  a  la  fi- 
nestra del  galdi  i  veu  achés  cavaljucu  ama  la  selja  de  or,  la  brilja  i  lus 
asparons,  i  entra  on  lu  para  i  li  diu:  "0  bahu,  io  davalj  al  galdi,  i  ma 
sec  al  cavaljucu  i  vac  passa gant  per  tot  lu  galdi.  „  Alura  lu  para  pren  una 


314  Guarnerio, 

trupa  de  snidar ia  i  la  jìosa  an  giru  per  lu  galdi,  fa  davaljà  la  filja  i  la  fa 
seura  al  cavaljucu,  che  la  polla  passagant  per  tot  lu  galdi.  Antoni  proni 
iU  i  sa  l'abraga.  Lu  cavaljucu  cara  pas  fava  ima  miria.  La  farà  Miilgana 
passant  a  mie  de  las  matas  sa'n  tira  hi  vel  de  la  faca  i  lu  gita  a  una  mata. 
Cuant  era  passant  a  custàt  de  la  marina  sa'n  tira  lu  diamant  del  dit  i  lu 
gita  a  la  marina.  Antoni  mancu  per  aèó  la  desa  and  finga  che  no  es  arri' 
bàt  aón  lu  rej.  Lega  che  lu  rej  Va  vista  :  "  Brau  Antoni,  li  din,  tu  invece 
de  paga  sigaràs  lu  hrassé  d'elja.  „  Lus  galmans  fan  alura  una  mancangia 
i  lu  rej  na  daspaca  a  totus  dos.  Lu  rej  entra  a  l'apusentu  de  la  farà  i  li 
diu:  "  JSo  aspuié?n?„  "No;  li  raspón ;  si  vois  che  io  asposi,  Antoni  ma  deu 
de  prenda  lu  diamant  che  es  a  mie  de  la  marina.  „  Lu  rej  s'achirra  An- 
toni, i  li  diu  :  "  Antoni,  ara  la  farà  no  voi  aspuzà,  si  tu  no  li  poltas  lu  diamant 
che  elja  agitai  a  la  marina  i  legu  asposa.  „  Raspón  Antoni  :  "  Attesa,  com  voi 
che  io  luprenghi  de  mie  de  la  marina?,,  Li  raspón  lurej  :  "  Si  tu  noi  prens  i  a 
pena  de  la  vira.,,  Bavalja  Antoni prurant  al  pultó  i  avisa  al  cavaljucu:  " Isi 
ama  agurà l„  lèi  lu  cavaljucu  i  raspón:  "Che  dius,  Antoni?  paìché ptroras? 
Anséljama  a  mi  i  séuta  adamùn  meu  i  aném  al  prenda.  „  Arriban  a  la  ma- 
rina i  li  diu:  "Antoni,  davàljanta  i  avisa  lu  rej  de  lus  pekis  i  damànali 
si  Va  trnbàt.,,  Sa'n  davalja  Antoni  ì  asQumenfa  a  tichirrià:  "  0  rej  de  lus 
pesus I „  Achés  isi  i  li  diu:  "  Cosa  vols,  Antoni?,,  I  Antoni  li  din  si  a  tru- 
bàt  un  diamant.  Elj  li  raspón  :  "  No,  ma  aspera  che  avisaré  tots  lus  pesus 
i  li  damanaré.,.  Fa  un  folt  siurét  i  aeurrin  tots  lus  pesus  i  diu:  "  Aveu 
trubàt  un  diamant?,,  i  acheljus  raspónan:  "No,  sanor.  „  Lus  conta  i  ni 
mancava  u  topu  i  li  diu:  "Falche  no  ses  vangùt  al  siurét  che  io  t'e  fet?„ 
"Attesa,  li  raspón,  cumpatésima,  che  era  acuì j ini  aché<  diamant.  „  "  I per 
asó  ta  viiria  „  li  diu  lu  rej.  Lu  rej  lu  pren  a  mans  i  lu  dona  a  Antoni  i  li 
diu:  "Te,  Antoni^  cudl  manasté  tu  tenghis,  gélcama!,,  Pren  Antoni  i  sa  seu 
al  cavaljucu  i  polta  lu  diamant  al  rej.  Presta  lu  rej  gran  cuntent  entra  on 
la  farà  Mulgana,  i  li  diu:  " Eecu  lu  diamant:  ara  no  aspuzém? „  "No,  ra- 
spón ;  si  vols  che  io  aspoii,  Antoni  ma  tangarà  de  pultà  lu  vel  che  io  e  gi- 
tàt  a  las  matas.,,  Lu  rej  s'achirra  Antoni  i  li  diu:  "Antoni,  ara  la  farà 
no  voi  aspuzà  finga  che  tu  no  li  poltis  lu  vel  che  a  gitdt  a  las  matas,  i 
legu  asposa.  „  Raspón  Antoni.  "  Coni  voi.  Attesa,  che  io  a  mie  de  las  matas 
trobi  lu  vel?,,  "Pena  de  la  vira,  li  din  lu  rej,  si  noi  trobas.  „  Antoni  legu 
davalja  al  pultó  i  achirra  al  cavaljucu  i  li  diu:  "Ara  la  farà  no  voi  aspuzà 
finga  che  no  tenghi  lu  vel  che  a  gitdt  a  las  matas.,,  Raspón  lu  cavaljucu: 
"Anséljama  i  séuta  adamùn  meu,  i  ta  pultaré  a  las  matas  che  Va  gitdt.  „ 
Antoni  sa  seu  al  cavaljucu  i  lu  polta  a  las  matas  i  li  diu:  "Antoni,  davà- 
ljanta i  achirra  lu  rej  de  lus  paldals  i  diuri  si  a  vist  un  vel.  „  Sa'n  davalja 
Antoni  i  ancumenga  a  tichirrià:  "0  rej  de  lus  paldnlsl,,  Achés  isi  i  li  diu: 
"Che  vols,  Antoni?,,  I  achés  li  diu  si  a  trubàt  un  vel.  Lu  rej  li  raspón: 
"  No  na  e  trubàt,  però  aspera  che  fuQ  lu  siurét.  „  Fa  lu  siurét  i  aeurrin 
tots  lus  paldals  i  diu  si  an  trubàt  un  vel.  Li  raspónan  che  no  Lus  conta 
i  ni  manca  u  a  un  ulj;  fa  lu  siurét  i  ve.  I  li  diu:  "  Tu  no  antens  mai  a 
la  primera.  „  "  Ascusi,  Attesa,  li  raspón,  che  era   aculjint   achés  vel.  „  "  I 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  luoderui.  315 

per  aso  ti  vuria,  li  din  In  rej,  donala  a  Antoni.,,  Antoni  pren  lu  vel,  sa 
seti  al  cavaljucu,  i  ancumenQa  a  caminà  i  arriba  on  lu  rej  ;  munta  ama  lu 
vel,  i  li  diu  :  "  Altesa,  eccu  lu  vel,  che  ga  Ve  truhàt.  „  "  Brau  Antoni,  li 
raspón  lu  rej,  ara  t'astim  de  mes  de  Ijó  che  f  astimava.  „  Pren  lu  rej  i  en- 
tra on  la  farà  Mulgana  ama  lu  vel  a  mans  i  li  diu:  "Eccu  lu  vel:  no  a- 
spuHm  ara?,,  "No,  li  raspón,  si  voi  che  io  aspozi  tu  tens  de  davaljà  al 
mazzéu  i  deus  de  mascrà  totas  las  Ijavons,  i  Antoni  an  una  nit  lu  deu  de 
pusà  tolna  coni  era,  i  io  lega  aspós.  „  Lu  rej  s'achirr  a  Antoni  ili  diu:  "Ara 
la  farà  no  voi  aspuid  finga  che  io  no  davaìji  al  mazzéu  i  mescri  totas  las 
Ijavons,  i  tu  an  una  nit  las  tens  de  trià  tolna  coni  eran. „  RasjJÓn  Antoni: 
*'  Altesa,  coni  voi  che  io  an  nna  nit  fagi  achés  trabalj? „  I  raspón  lu  rej: 
^  Pena  de  la  vira  si  tu  noi  fas.  „  Antoni  sa'n  davalja  al  pidtó  i  achirra  lu 
cavaljucu  che  isi  i  li  diu:  "Che  vols,  Antoni? „  Achés  li  diu:  "  La  farà  Mul- 
gana no  voi  aspiizà  finga  che  lu  rej  no  davalji  al  mazzéu  i  mescri  totas  las 
Ijavons,  alura  aspoia  ;  io  an  una  nit  tene  de  trià  cara  cosa  al  sou  postu.  „ 
Li  raspón  lu  cavaljucu:  "  Anséljama  i  senta  adamùn  meu  i  anéni  aón  lu 
o'ej  de  las  frumiguras.  „  Arriba  a  la  tana  de  las  frumiguras  i  hi  cavaljucu 
diu  a  Antoni:  "  Davdljntita  i  achirra  lu  rej  de  las  frumiguras,  i  diuri  lu 
conta  che  elj  ta  agurarà,  „  Sa'n  davalja  Antoni  i  ascumenQa  a  tichirrid: 
*'  0  rej  de  las  frumiguras,  isi  che  la  farà  Mulgana  novolaspuzàfingacheno 
davalji  lu  rej  al  mazzéu  i  mescri  totas  las  Ijavons  i  io  an  una  nit  tene  de 
trid  tot.,,  Raspón  lu  rej  de  las  frumiguras  i  diu:  "  Antoni,  asta  tranchilju, 
-ves  i  romita  che  dama  inaiti  trubaràs  tot  a  posfu.  „  Sa'n  munta  Antoni  al  ca- 
valjucu i  arriba  alparau.  La  nit  venan  totas  las  frumiguras;  chi praniva  un  gra 
de  frument,  chi  un  gra  de  Qiì(r6,  chi  un  gra  de  Ijantia,  anfi,  che  caraù  un  gra  de 
cara  cosa,  an  pusàt  an  la  nit  tot  a  postu  com  era  prime.  Munta  Antoni  i  diu  al 
rej:  "Altesa,  l'olda  che  m'a  dai  es  fet.  „  Entra  lu  rej  on  la  farà  i  diu: 
^'Antoni  ga  a  fet  tot;  ara  no  aspuzém?  „  Raspón  la  farà:  "No,  si  vols  che 
io  aspozi  tens  de  fé  un  gran  fol  de  duas  bocas  i  deu  de  asta  tres  dias  an- 
ganent  i  legu  aspós:  Antoni  però  deu  de  antrà  de  una  boca  e  na  deu  isi 
de  l'altra.  „  S' achirra  lu  rej  a  Antoni  i  li  diu  :  "  Antoni,  ara  la  jara  no 
voi  aspuSd  finga  che  no  fagi  un  fol  ama  duas  bocas  i  astighi  tres  dias  an- 
fanent,  i  tu  deus  de  antrà  de  una  boca  i  na  deus  de  isi  de  l'altra.  „  Ra- 
spón  Anioni  :  Altesa,  es  lu  matés  che  vusté  ma  donghi  la  molt.  „  Lu  rej 
li  raspón.  " Lu  tens  de  fé,  i  pena  le  la  vira  si  no'l  fas.  „  Davalja  Antoni 
al  pultó  i  achirra  lu  cavaljucu  i  li  diu:  "Ara  la  farà  Mulgana  no  voi  a- 
spuzà  finga  che  no  fagi  un  fol  che  astighi  tres  dias  anganeìit  i  che  io  en- 
tri demi  cap  i  na  isi  de  l'altru.  „  Raspón  lu  cavaljucu  :  "  Pren  a  mi,  ifemma 
fé  una  gran  currida,  da  che  cor  ma  gitards  an  terra,  tu  pre7is  lu  rasò  i 
óbrima  i  premma  tot  l'ori  che  tene,  i  ùntatan  tot  de  lus  peus  al  cap  i  en- 
tra sensa  por  al  fol,  che  antrards  de  una  boca  i  na  isirds  de  l'altra.  „  Ra' 
spón  Antoni:  "No,  per  muri  tu,  miljó  la  molt  la  prenc  io.  „  Diu  la  cava- 
ljucu: "Antoni,  jes  lu  che  ta  die,  che  an  fi  io  talj  Vancantament.  „  Pren 
Antoni  i  sa  seii  adamùn  del  cavaljucu,  li  ja  fé  una  gran  currida;  pren  lu 
cavaljucu  i  cauan  terra  molt.  Antoni  ama  gran  dasprajé  i  durò  de  cor  pren 


SI6  Guamerio, 

la  rasò  i  l'obri  i  ni  li  pren  tot  l'ori.  Lesa  lu  cavaljucu  an  alji  i  sa'n  va 
an  casa  i  troba  lu  fol  che  era  dos  dias  anQanent.  L'andamà  munta  aón  lu 
rej  i  li  diu  :  "  Altesa,  si  sa  voi  fé  a  la  finestra  ama  la  farà  che  a  las  deu 
io  entr  al  fol,  ma  fa  prajé.  „  Pren  Antoni  achelj  ori  i  ascumenQa  a  sa'n 
unta  he  com  li  avia  dit  lu  cavaljucu;  va  a  isi  i  troba  lu  rej  ama  la  farà 
a  la  finestra.  Antoni  pront  entra  de  una  boca  i  na  isi  de  l'altra  mes  belj 
de  com  era.  Legu  matés  ascumeuQnn  a  li  fé  las  manas-manetas,  i  tots  die- 
<o:in:  "  Brau  Antoni!,,  Lu  rej  alura  diu  a  la  farà:  "No  aspuiém? „  "  No,^ 
raspón,  si  vols  che  io  asjìozi  lu  che  a  fet  Antoni,  lu  deus  de  fé  tu  i  legu 
aspós.  „  Pren  lu  rej  i  s'avisa  Antoni  i  li  diu:  "Antoni,  ara  la  farà  no  voi 
aspuzà,  che  voi  che  com  ses  antrdt  tu  al  fol,  entri  io;  cosa  t'as  untàt,  che 
eras  asi  Ijuent?,,  Antoni  li  diu  :  "  Attesa,  so  antrdt  a  la  dispensa  i  m'e  taljdt 
una  fila  de  Ijardu  del  mes  gros  che  i  era.  „  Lu  fol  anganent  sempra,  cudn 
lu  rfj  fa  fé  la  farà  a  la  finestra  ama  Antoni  i  sa  unta  achèi  Ijardu,  i  en- 
tra al  fol.  No  era  tant  antrdt  lu  cap,  com  eran  brnzats  lus  peits.  La  farà 
legu  diu,  a  Antoni:  "  Vina,  Antoni,  che  chim'a  triburàt  ses  tu  i  no  elj,  che 
aspuzém.  „  Pren  alura  i  fa  isi  lu  Cardandl  i  lus  asposa.  Antoni  s'es  daclaràt 
che  no  era  paga,  che  era  filj  de  rej  com  elja,  i  asi  son  campats  alets  l 
cuntens. 


7.  Rundalja  de  Mestra  Fran^iscu^ 

Una  volta  i  avia  un  sabaté  i  taniva  tres  fiìjas,  i  era  viùt,  i  sa  la  pas- 
sava assai  de  pobra,  palché  era  un  capi;  astava  sempra  nit  i  dia  trabaljant 
i  cantant,  i  an  fata  d' elj  astava  un  duca.  Lu  duca  dteva  :  "  Com  inai  va 
che  io  ama  tanta  richesa  so  pre  de  afans,  i  elj  un  tinós  asta  sempra  can- 
tant.,, Avisa  un  salviró  i  li  diu:  "  Ves  aón  mestra  Frangiscu  i  dighiri  che 
venghi  che  lu  vulj  ió.„  "Ai  ascura  de  mi?,,  sa  posa  a  diura  mestra  F., 
cudn  veu  lu  salviró  del  duca;  "  eosavulgardmaidemi?  che  mavidgaràpusà 
an  praéó  palché  astic  sempra  barràni  ?  dighiri  che  no  cani  mes.„  Lu  sal- 
viró va  on  lu  duenu  i  li  diu:  "Buca,  mestra  F.  no  i  munta,  palché 
te  por  che  lu  posi  an  pra'só.,,  Lu  duca  anvia  lu  salviró  on  mestra  F. 
a  li  diura  che  munti  che  no  es  per  posa'  lu  an  prazó.  Mestra  F.  vajent 
che  no  puriva  fé  de  mancu,  sa  prasenta  tramuransa  com  la  fulja  on  lu 
duca  i  li  diu:  "Cosa  voi,  missanór  duca?,,  "Io  no  ta  vulj,  raspón  he 
duca,  per  ta  pusà  an  prazó,  ina  per  sabé  che  tu  puvaritu  ses  asi  alecr, 
io  rie  sempra  pre  de  anfarus.  „  Alura  li  diu  mestra  F.  :  "  Duca  meu,  tot 
aljó  che  guaran  gast ;  cudn  guaran  un  rial,  gast  tot  lu  rial;  cuàn  no,  astic  a 
miéventra  i  cant  lu  matés  tot  lu  dia.  „  "Ma  diurna,  mestra  F.,  li  diu  lu  duca. 


'  Raccontata  da  Maria  Grazia  Bardino;  ottobre  1883. 


11  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  moderni.  817 

palché gnaruTias  asi  poc?„  Lu  sabati  liraspón:  "Cosa  voi,  duca  meu,  che 
ningu  ma  cumana,palché  no  tene  cabdl.  „  Alura  lu  duca  treu  una  bassa  i  li 
din  :  "  Te,  mestra  F.,  an  anchi  i  a  Qens  ascuts,  pósat  cabdl,  no  ta  vuìj  intarés, 
ciiàn  tangaràs  cabdl  foli  i  guaran  assai,  ma  liis  dungai'às.  „  Mestra  F. 
legu  li  diu  :  "  Missafior  meu ,  cosa  fa  miste  che  io  no  lus  pitgaré  mai 
tulnà.  „  Diu  alura  lu  duca:  "  Préntatals  che  io  no  ta  lus  Qalcaré;  m'es  ba- 
sta che  cantis  sempra,  asi  ma  faràs  asta  de  bon  umó.„  Ilestra  F.  cuntent 
i  baljant  a  un'anca  li  diu:  "Buca  meu,  tanta  sariU  i  vira  tenghi; „  ipreSa 
la  bucaca  de  la  muhera  sa'n  va.  Arribàt  an  casa  mestra  F.  dasprés  de  ave 
astripifjàt  de  l'alagria,  sa  posa  a  sa  fé  tots  lus  contas  del  com  tania  de 
gastà  la  munera  i  sa  pusava:  "  Vini  ascuts  de  pelj,  vint  de  sora,  sis  ascuts 
de  aspau,  quatra  ascuts  de  pega....  Ma  no,  miljór  es  che  prenghi  demés  fol- 
mas  i  barrinas  i  suras,  tot  nou....  Ma  i  tantas,  ma  alura  no  ma  basta  la 
munera  ;  manasté  afe  de  nou  lus  contas,,  i  asi  astava  tot  lu  dia  fent  i  das- 
fent  i  s'a  passai  asi  tres  dias,  nit  i  dia  sensa  libri  barra.  Lu  duca  che  li 
avia  diinàt  la  munera  s'es  pusàt  a  pensa  :  "  Com  ara  che  li  e  dunàt  la 
munera  per  canta,  i  ara  che  te  de  asta  mes  cuntent,  te  de  asta  com  un 
mulmutoni? „  Achirra  lu  salviró  i  li  diu:  "  Ves  aón  mestra  F.  i  dighiri 
che  venglii.  „  Lu  salviró  va  legu  al  cumandu  uklanàt  i  achirra  mestra  F. 
Lu  proba  sabaté  pren  la  bucaca  de  la  munera  i  va  on  lu  duca  i  a  pena  lu 
duca  lu  veu  li  diu  :  "Com,  mestra  F.,  son  tres  dias  che  fé  dunàt  la  munera 
per  canta  i  tu  per  crepu  na  vols  libri  mai  boca?  „  "  Te,  raspón  mestra  F., 
prenghi  la  sua  munera,  che  astava  nit  i  dia  femma  lus  contas  i  no  gusava 
pau;  miljór  es  a  essar  proba  i  alecr  che  rio  an  pansam,ens.  „  Lu  duca  li 
diu:  " Achesa  munera  es  tua,  io  no  lavulj,  però  tens  de  canta.,,  "Ifo,  mu- 
nera no  na  vulj ,  duca  meu,  diu  mestra  F. ;  miljó ,  missanor ,  ma  don- 
ghi  casa  franca  an  una  apusentu  de  achelj  parau  che  te  vusté,  che  es  tot 
buit.  „  Lu  duca,  Vascùr  che  era  un  bon  orna,  li  diu:  " BasgraQiàt  de  tu! 
aón  vols  and  a  ta  mura  an  una  casa  on  caraù  che  i  entra  na  isi  molt  de 
lus  assustus,  palelle  i  son  duendus,  i  tu  para  de  famiria  vols  anà  an  alj'i 
a  muri.  „  "  No,  duca  meu,  sa  posa  a  diura  lu  sabaté;  io  de  lus  duendus 
no  i  tene  por;  per  lus  primels  dias  vac  sol,  i  asi  tanint  casa  franca,  tot 
aljó  che  ma  guaràtì  ma'l  mene,  i  asi  astic  barrai  tota  la  giilnara.  „  Lu  duca 
dasprés  che  la  pragàt  tant,  li  a  dit  che  anighessi.  Mestra  F.  cuntent  sa'n 
carra  legu  lu  banchét  i  la  sura  an  casa  del  duca  i  sa  posa  a  trabaìjà  i  a 
canta.  Ciiant  era  miganit  ta  antén  achesas  ramóls  de  carenas  alsostra,  che 
paraseva  un  anfél,  i  che  na  tanghessi  de  caura  la  casa.  Mestra  F.  sensa 
sa  duna  per  antés,  bativa  la  sora  i  cantava.  Dasprés  de  tanta  chimentu 
antén:  "  Mestra  FrauQiscu I  Mestra  Franqiscul,,  "  Chi  dimoni  vureu? „  ra- 
spón lu  sabaté.  "Mi  che  ma'n  giti „  raspón  la  matesa  veu.  " Mancara  che 
la  gitis  lus  peus  „  li  diu  mestra  F.  i  cdun  achesus  dos  peus.  Mestra  F.  ba- 
tiva sempra  la  sora  i  cantava,  cuant  antén  tolna  achesas  ramóls  de  care- 
nas i  la  veu  primera  sa  posa  a  diura:  "  Sii  che  ma'n  giti,,  "Mancara  che 
ta'n  gitis  las  ctisas  !  raspón  mestra  F.,  si  astàs  a  pitti  meu  ga  tens  àsiu  „; 
i  cdun  legu  las  duas  cusas  che  sa  unesan  ama  lus  dos  peus.  Eccu  che  ta 


318  Guaruerio, 

antén  un'altra  ramurara  de  carenas  i  elj  sempra  fissu  al  trabalj  i  can- 
tant.  "  Mestra  Frangiscu,  mi  che  ma'n  glt! „  s' antén  che  diu  la  veu.  "Man- 
cari  che  ta'n  gitis  lu  cos  „  sa  posa  a  raspondra  lu  pobra  sdbaté;  i  legu 
cau  achés  cos  de  orna  gros  coma  un  tronc  i  sa%mésamà  las  cusas.  Mestra  F. 
trabaljant  antén  tolna  acheia  gran  ramò  de  carenas  i  una  veu  che  diu  : 
"Mestra  Frangiseli,  mi  che  ma'n  giti  „  "  Mancari  che  ta'n  gitis  lu  capi,, 
li  raspón  lu  sabati;  i  eccu  che  cau  achés  cap  che  sa  unés  ama  lu  restu  i 
folma  un  gran  palsonaga.  Mestra  F.  che  a  visi  asó  era  ga  mie  assustàt,  cudn 
per  mes  dasgragia  lu  mostru  li  daspaga  la  candera  i  sa'l  pren  a  baljd. 
Mestra  F.  no  na  pudia  mes,  astrae  i  molt  de  las  pistaras,  i  muhit  de  la  suor, 
però  lu  duendu  Va  astracàt  de  mes,  alura  lu  mostru  li  diu:  "Mestra  F., 
ara  vec  che  ses  un  orna  varantiós,  che  no  tens  por  a  lus  duendus,  vina  ama 
mi  che  ta  fare  rie  „  i  sa  lu  tira,  l'ascùr,  an  un  sutarraneu.  Mestra  F.  tra- 
murant  com  la  fulja,  crajeva  che  lu  matessi,  i  l'assutar ressi  i  dieva  :  "  A- 
chesta  ga  es  l'ultima  mia!,,  Dasprés  che  lu  mostru,  l'entra  an  achés  su- 
terraneu  ascùr  ascùr,  li  a  dit:  "  Mira  achés  baùl,  aljó  che  i  es  adrinta  es 
roba  tua.  „  S' antén  achesa  ramò  de  carenas  i  ascumparés  lu  duendu.  Me- 
stra F.  com  a  pugùt  sa  carrega  lu  baùl  che  delpes  cuasi  l'aschicava  i  sa'l 
munta  a  V apusentu.  Angén  legu.  la  candera  i  obri  lu  baùl.  Mestra  F.  cau 
dasmajdt  al  veura  tanta  mimerà  de  or  che  umbriva  lu  baùl,  i  legu  pensa 
de  sa  l'amagà.  Eccu  che  era  ga  dia  i  lu  duca  achirra  lu  salviró  i  li  diu  : 
"  G'usép,  ves  aón  mestra  F.  a  veura  si  es  molt.  „  Lu  salviró  corri  legu  al 
parau  i  ta  troba  lu  sabaté  baljansa  sol  che  paraseva  un  maccu.  "  Mestra 
F.,  li  diu  G'usép,  m'a  anvidt  lu  duenu  per  veura  com  asta.  „  1  lu  sabaté  ra- 
spón rient  :  "  Dighiri  al  duca  che  io  so  viu.  „  Alura  lu  salviró  tolna  an  casa 
i  diu  al  duenu,  "  Buca  meu,  mestra  F.  es  alecr  asi  che  no  Ve  vist  mai.  „ 
Lu  duca  li  diu  :  "  G'usép,  ves  i  diu  a  mestra  F.  che  venghi  che  lu  vulj  parla.  „ 
Eccu  che  mestra  F.  che  lu  baùl  ga  sa  Vavia  amagdt,  sa  tanca  la  polla  i 
va  on  lu  duca,  che  li  diu:  "Com  es,  mestra  F.,  che  tots  son  molts,  i  tu  sol 
ses  viu  de  la  geni  che  es  antrara  an  achelja  casa  ?  „  Lu  sabaté  alecr  li  ra- 
conta  tot,  ma  no  li  diu  arrés  del  baùl  de  munera.  Lu  duca  de  Valagria  che 
mestra  F.  no  era  molt  i  asi  li  tolnava  la  fama,  che  tots  dievan  che  era  an- 
tragdt  ama  lu  dimoni,  palché  tots  murivan  si  li  antravan,  li  diu:  "Mira, 
mestra  F.,  prime  tots  ma  miravan  de  mar  ulj  per  achés  parau  ;  ara  tu  m'as 
tulndt  Vunór,  i  io  ta'l  ragàr.  „  Mestra  F.,  tot  alecr  va  an  casa  de  las  filjas 
i  diu  :  "  Filjas  meas,  ara  vus  allrus  seu  sanoras,  astati  cuntentas  che  la 
cutilja  no  la  passareu  mes.  „  Alura  sa  n'a  piiltdt  la  famiria  al  parau  del 
duca,  sa  Va  fet  ambrachind  i  banai  per  fé  fugi  lus  duendus  i  sa  Va  ben 
mubiridt;  a  pugàt  la  capeljina  i  vistits  de  sera  a  las  filjas  i  las  a  casaras 
totas  tres,  una  amd  un  malchés,  una  ama  un  conta,  i  una  ama  un  barò  i 
son  vivits  tots  cuntens. 


II  catalano  d'Alghero  :   Testi  popolari  moderni.  319 


8.  In  paldàl  yelt  ». 

Una  volta  achesa  filja  de  rej  era  a  un  daselt  i  taniva  un  galmà,  i  achest 
galmà  era  patii  i  anava  d  la  caga.  Mentra  cli'elj  cagava,  elja  es  astara  ar- 
riibara.  Lu  palit  no  trubant  la  galmana  an  casa  es  anàt  a  curri  mon.  La 
minona  era  astara  arrubara  de  un  filj  de  rej,  i  achés  sa  l'avia  asjmsara  ; 
i  dasprés  che  an  aspuzdt,  lu  marit  es  anàt  a  la  gherra,  i  a  dasàt  la  muljé 
pranara,  i  es  vangura  a  pari  i  a  fet  un  minò  i  una  minona.  La  mara  del 
pringip  che  non  astimava  la  nora,  ascriii  al  filj  dienni  che  avia  fet  dos 
cuciis  ;  i  lu  pringip  raspón  che  a  cucus  o  gatas  li  fossin  dasats  fin  tant 
che  vanghessi  elj.  La  mara  li  tolna  a  'scriura  che  era  una  gran  valgona 
de  trenda  dos  cucus  a  la  coli.  Ve  l'olda  del  marit  che  la  fossi  daspacara  i 
che  fossin  molts  los  dos  cucus,  che  vuriva  la  sane  i  'l  cor  de  totus  tres. 
Alura  la  raina  a  anviàt  un  calnigé  che  fossi  molt  a  elja  i  a  lus  fils,  i  che 
li  fossi  pultàt  la  sane  i  'l  cor.  Alura  son  anats  a  un  gran  bosc  per  las 
mata.  Lu  calnicé  pres  de  Ijàstima  i  cumpassió  vajent  achesa  dona  am'  a- 
cheljas  criaturas  al  pit,  no  lus  mata  i  lus  desa  an  una  cabana  danni  pru- 
vistas  per  tres  dias.  Altru  no  taniva  i  li  diu  :  "  Filja  mia,  aljàlgatan  de 
an  anchi  che  no  venghi  ascuviàt,  palché  la  raina  nia'n  prangariva  la  vira.,, 
I  elja  sa  n'es  anara  dienni:  "  No  tenghis  por,  che  io  caminaré  nit  i  dia  i 
tu  ves  a  la  colt  i  dighiri  che  ga  m'as  molt,  i  anigaràs  a  un  cuiri  i  pran- 
gards  tres  angones  i  pultards  tres  cos  ama  la  sane  i  lus  dungaràs  a  la 
raina  i  de  mi  no  sa'n  parlare  mes.  „  Ara  caminant  caminant  achesa  dona 
ama  las  duas  criaturas  al  pit,  sa  troba  an  un  daselt  i  feva  nit,  i  troba 
una  dona  velja  che  li  diu:  "Filja  mia,  on  vas?  i  cùntama  lu  fet  tou  che 
fes  suggait.,,  Dasprés  che  tot  lu  pas  li  a  cuntàt,  achesa  velja  ch'era  una 
farà,  i  folma  un  gran  parau,  i  lu,  dona  a  la  minona.  Dasprés  de  un  poca  de 
tens,  i  passa  tm' astrega  i  elja  era  a  la  finestra.  Achesa  astrega  era  anviara 
de  la  sogra  ch'era  la  muljé  del  rej,  per  daspaldasa'la,  i  li  diu  :  "  Belja  ga 
ses  tu  i  miljó  es  lu  castelj.;  si  i  era  Z'algua  rient,  mes  belja  eras  tu.  „  Lu 
galmà  che  dasparàt  sempra  cagant  girava  per  lus  boscus  si  pulia  trubd 
la  galmana,  un  dia  finalment  la  veu  a  la  finestra,  i  li  diu  :  "  Com  ses  van- 
gura  an  anchi?  Io  era  sempra  caminant  per  mons  i  per  vals,  Deu  m'a  da- 
stinàt  a  vani  ama  tu.  „  La  galmana  li  canta  tot  lu  fet  i  li  diu  :  "  1  no  sas 
tu,  galmà  meu,  cosa  es  suggait  P  una  dona  i  es  vangura  a  ina  pusà  an  pan- 
sament  i  achesa  cosa  m'a  dit,  che  belja  era  io  i  miljó  es  lu  castelj  ;  si  i 
era  Valgua  rient,  mes  belja  era  io.  „  Ara  ve  achesa  dona  velja,  che  li  a 
fet  lu  castelj,  i  li  diu  :  "  Cosa  ses  dient  a  ton  galmà  ?  lo  ga  Ve  pansàt  che 
es  vangura  un'astrega  per  ta  daspaldasd.  Ara  si  tu  ses  bon  galmà,  tens 
de  anà  a  galea  l'algua  rient;  ves  che  Irubaràs  una  funtana,  on  l'algua  gira, 
i  tu  tens  de  pansà  a  umpri  achesa  tasa,   che  am'una  volta  basta,  i  fan 


*  Raccontata  dal  marinajo  Raimondo  Pisu,  d'Alghero;  ottobre  1883. 


S20  Guaruerio, 

toìnas  a  vani.  1  da  che  V  as  puUara,  io  vene  an  anchi  a  la  banai.  „  Lii 
gaìmà  sa  posa  an  carni  an  gelca  de  achesta  funtana  i  fa  aJjó  che  avia  dit 
la  veJJa.  Basprés  tolna  l'asirega  i  troba  l'aìgua  rient  i  cambia  ■pansament, 
i  diu:  "  Belja  ga  ses  tu,  i  miljó  In  castelj  ;  ga  i  es  Valgila  rient,  ma  si  i 
era  la  poma  baljant,  7nes  belja  eras  tu.  „  Ara  la  minona  es  purrant,  che 
no  sa  com  fé,  i  li  dasprau  de  fé  pelda  lu  galmà.  La  velja,  che  era  nostra 
Saiiora,  s'anvia  i  va  a  la  casa  i  la  troba  tramurosa,  i  li  diu  :  "  Cara  asposa, 
cosa  tens  ama  mi  ?  diurna  com  va  che  tu  ses  daspragura  ?  „  Elja  raspón  : 
"  Es  vangura  achelja  ascura  de  la  bruta  astrega  un'altra  volta  an  anchi.  „ 
1  la  velja  li  din:  "Ara  es  manasté  che  tun  galmà  vagì  a  ta  pultà  la  poma 
baljant.  „  I  diu  al  galmà:  "  Tu  tens  d'anà  an  achelj  gran  cam  i  tens  de  fé 
com  un  Ijam  a  prenda  acheìja  poma,  si  no  restas  ancantàt  i  asó  es  una 
dasgragia  pe  tan  galmana;  tu  no  miris  com  es  l'abra  a  cult  o  Ijonc  ;  vista 
la  poma  baljant,  gitata  com  un  Ijam  a  l'aguantà.  „  L'orna  prestu  va  a  la 
vurara,  la  poma  Va  aguantaì-a  i  an  casa  s'an  tolna.  Basprés  ve  Vastrega 
per  olda  de  la  raina  che  vuriva  che  la  nora  a  tot  lus  costus  i  dasessi  la 
vira  i  sa  posa  a  canta:  " Filja  mia,  belja  ga  ses  tu  i  miljó  lu  castelj,  ga 
i  es  l'algua  rient  i  ancara  la  poma  baljant,  ma  sì  era  lu  paldàl  velt,  no  i 
avia  com  a  tu.  „  La  jìatita  sa  fa  a  la  finestra  i  Vastrega  li  diu  :  "  La  Viltùf 
sultant  te  achesus  cosas;  si  tu  las  tanghessis,  aìura  eras  com  una  raina 
del  gel  i  de  la  terra  i  pulivas  fé  gherra  ama  tots  lus  rejs  i  lus  ampera- 
dols.  „  La  belja  nostra  Sanora  tolna  al  castelj  i  diu  a  hi  galmà:  " Filj 
meu,  ara  ta  toca  de  anà  a  prenda  lu  paldàl  velt  che  a  dit  Vastrega;  asó 
es  mes  difigil  de  tot  lus  altrus  ancarits  che  fa  dunàt,  però  no  tenghis 
por  che  io  t'aguraré.  „  Ma  lus  fils  de  la  galmana  che  eran  vanguts  granets 
diun  al  ciu,  che  achesa  volta  tucava  a  eljus  a  anà  an  gelca  de  lu  paldàl 
velt,  i  asi  sarvd  la  mara.  La  mara  però  no  lus  desa  anà,  i  alura  la  velja 
diu  al  galmà  com  tanioa  de  fé  i  li  dona  una  gabia  i  una  veltigheta,  dienni 
che  hi  paldàl  velt  sa  trubava  culgàt  an  un  bosc  assai  aljunt.  "  Tu  a  pena 
ta  n'abigas,  li  prasentas  la  madalja  i  legu  lu  paldàl  antrarà  a  drinta  de 
la  gabia  ;  toca  achesta  ama  la  veltigheta  i  la  gabia  sa  tancarà.  „  Lu  galmà 
sa  posa  an  carni  i  posa  an  obra  lus  avaltimens  de  la  velja.  Ara  la  galmana 
es  cuntenta,  palchi  no  i  manca  arrés  ;  l'algua  asta  rient,  la  poma  asta 
baljant  i  la  paldàl  velt  es  cantant. 

Ma  tulném  al  filj  del  rej  che  era  tulndt  de  la  gherra.  Un  bel  dia  isi  a 
caga,  non  avia  trubàt  ni  una  Ijebra,  ni  una  paldiu,  ni  ancara  un  paldàl 
de  niu  nu  mi;  asi  s'era  avansdt  assai  aljun  del  pais  sensa  sa  n'abigà  che 
ascurigava  i  che  lu  tens  era  anuvoràt.  Basprés  de  un  poe  ascumenga  a  fé 
trons  i  Ijans  i  gran  algua  che  paraseva  un  infél.  Un  cagaró  a  la  vista 
d'un  Ijam,  a  visi  achelj  gran  castelj  i  diu  al  rej  :  "  Sacra  Curona,  venghi 
an  anchi  a  sa  alugd,  palchi  seni  tricci  tricci,  i  vusté  na  pugard  trenda 
mal.  Al  fi  no  sigardn  brigans  an  achés  gran  parau  che  mus  matardn  :  sa 
fagi  curaga  che  ga  tanim  tot  lus  pagas.  „  Tocan  lu  pultó  i  damànan  alogu 
per  ìjassà  la  nìt.  Lu  pultó  s'obri  i  véun  tota  achesta  Ijumanaria  che  de 
nit  paraseva  un'igresia  i  i  dabasa  tanta  gent  per  fé  lus  antrà.  "  Bona  nit, 


II  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  moderui.  321 

brava  geni  i  chi  seu?  Nus  aUrtis  no  crajém  che  sigheu  brigans;  a  la  ve- 
fìtmenta  vaj'ém  che  seu  de  la  coli  del  rej.  Muntali  tots  citàn  seu,  no  pansau 
a  lus  cavals  che  tangaràn  de  mangà  i  sigaràn  ben  arramunits.  Ara  vus 
nltrus  pansau  a  vus  mura  i  dasprés  anau  a  la  gran  sarà,  che  i  es  la  meza 
praparara  rei  per  mangà.  „  Lu  rej  cuntent  ama  tots  lus  cagarols  munta 
a  la  gran  sarà.  La  taura  es  arramunira,  i  Nostra  Sanoì-a  diu  a  lus  dos 
fls  :  "  Achelj  es  vóstrun  para  ;  u  sa  pusarà  a  la  reta,  i  l'altru  a  l'ascherra 
d'elj.  „  TiU  rej  vajent  acheljas  duas  criaturas,  no  mangava  del  daspraghé, 
pansant  che  elj  no  na  tatiiva;  i  vajent  l'algua  rient  i  la  poma  baljant  i  lu 
paldàl  velt  parlant,  astava  maraviljàt.  Ara  che  tots  an  mangat,  lu  rej  diu 
a  lusfils:  "Ont  es  vostra  mara?  „  I  lus  fils  :  "La  mania  es  culgara  i  no  pot 
iU,  che  vangare  dama  malti  a  li  pulid  lu  café:  ara  vagì  a  rumi.,,  Ma  lu 
rej  i  ripiti  che  la  vuria  veura  i  che  s' era  rumira,  sa  daspaltessi  che  la 
vuria  cunésar.  Alura  Nostra  Sailora  Va  pultara  a  la  sua  prasenQia  i  la 
minona  li  diu:  '' Eccu  io  so  an  anchi,  cosa  voi  vusté  de  mi,  che  ma  vuria 
cunésar  ?  Bamàni  al  paldàl  velt,  che  i  digard  chi  so  io  i  totas  las  mias 
dasgraQias.  „  Alura  lu  paldàl  veli  sa  posa  a  diura  an  un  cantu  tota  l'a- 
storia:  "Sua  Attesa  cuant  es  anàt  a  la  gherra,  a  dundt  massa  ascultu  a 
las  mantiras,  che  sa  mara  sempra  dascuntenta  d'achest  matrimoni  li  feva, 
palelle  vuria  daspaldasà  lU  nora,  che  no  era  de  sane  reàl.  No  era  mai  pus- 
sibra  che  ta  muljé  belja  com  un  poni  d'or  aghessi  parit  dos  cucus  ;  i  tu 
fics  astdt  massa  angandt,  palché  ta'n  tanias  de  cura  i  fé  rigelca  si  no  de 
lus  fils,  almancu  de  la  muljé,  che  ta  mara  avia  cunsanara  a  un  calnigé 
per  daspaìdasa'la,  i  achés  Va  dasara  an  vira  amd  Ics  dos  anugens.  Achesta 
rhe  ta  asta  adavant  es  ta  muljé,  che  dasprés  de  tanta  dasgragias  es  ascam- 
par a  per  Nostra  Sailora;  i  achesas  duas  criaturas  che  te  al  custdt  i  che 
vusté  anvidiega,  son  lus  fils  che  elja  dieva  cucus  i  lus  vuria  molts.  „  Lu 
rej  maraviljàt  che  aghessi  trubàt  la  muljé  i  lus  fils,  cuntent  sa  lus  a  abragdt 
i  li  damana  ]jfMó  del  mal  che  sensa  sabe'  lu  i  avia  jet.  Lega  son  anats  a 
la  coli;  Va  feta  racunésar  de  tots  com  era  la  muljé,  ila  mara,  del  daspraghé 
de  veura  anats  an  terra  tots  lus  altifigis  che  avia  pusdt  an  obra,  cau  de 
un  agident.  Lu  rej  uldéna  tres  dias  de  festas  an  tota  la  colt  i  son  vivits 
alets  i  cuntens. 


9.  Lu  calbunaju 


Bons  sa  imbava  un  rej  com  diura  a  Pultugàl,  i  a  la  guitàt  d'achelj  rej 
dabasava  distant  un  miriu  fora  del  pais  iin  salpent  de  seti  cats,  i  cara  dia 
vuriva  una  gova  de  Vitdt  de  sez'  ans,  che  si  no  la  imbava,  an  guitàt  an- 


*  Anche  questa  mi  fu  raccontata  dal  marinajo  Raimondo  Pisu.  Egli  era 

Archivio  glottol.  it.,  IX.  21 


322  (juarucrio, 

trava  i  legu   la  divitrava.  No  cs  astàt  nigù  garrié  che  ojjl  Ijnvdt  aches 
salpent;  ma  pel  yragia  sa  troia  un  calbimaju  lu  dia,  che  incava  a  la  filja 
del  rej.  Achés  calbunafu  ve  a  passa  i  veu  la  cuUdé  de  luta  i  tucani  las 
campanas  de  moli,  i  alura  pragonta  a  una  dona:  "Cosa  i  a  an  anelli?,,  I 
elja  li  dm  che  i  a  un  salpent  de  seti  cats,  che  sa  te  de  mango,  la  filja  del 
rej.  I  li  din  lu  calbunaju  a  achesa   dona  a  veura  ont  es,  i  a  mustra'li  ho 
carni.  Basprés  sa  posa  a  camino,  ont' era  la  filja  del  rej  i  li  pragonta  da 
che  Va  trubara  :  "  I  cosa  fas   an  anchi  ?  „   Elja  li  din  ;  "  Véstatan  che  si 
no  ta'n  menga  a  tu  també  i  a  'l  cavai j.  „  I  li  diu:  "No  tene  por,  che  cuàn 
ve  'l  salpent  mus  arangerém.  „  I  li  diu:  " Fema  'Ipraghé,  mirama  'l  cap, 
che  pultaré  carchi  polj  „  i  asì  li  a  pusàf  lu  cap  a  la  farda  de  la  filja  del 
rej,  i  rumit  s'es.  Eccu  che  ve  'l  salpent  i  elja  sa  posa  a  purrà,  i  las  Ija- 
grimas  a  la  faca  del  calbimaju  li  an  bandt.  Alura  s'es  daspaltdt  i  li  diu: 
"Cosa  tens?,,  "  Mi'l  ch'asta  vanint  achelj  brut  salpent.  „  Elj  munf  a  cavalj 
i  li  diu:  "No  tenghis  por,  i  susségata  de  purrà.,,  Eccu  che  ve  'l  salpent  i 
diu:  "Chi  belja  molt  fare  avùj !  Che  ont  de  na  mangà  u  na  mangaré  tres. „ 
Alura  lu  calbunaju  li  diu:  "Si  na  mengas  tres,  ta  tens  de  cumbatra.,.  Ili 
raspón  lu  salpent:  "A  un  cop  eh'  io  ta  dono,  mangaré  a  tu  i  a  'l  cavalj.,, 
1  'l  calbunaju  li  diu:  " Avansa  an  anelli  al  duél!,,  i  sa  tira  la  sabuleta  i 
a  lu  prime  cop  cli'elj  li  a  dunàt,   cuatra  cats  al  salpent  li  a  taljdt.  Lu 
salpent  li  a  dit  che  vuriva  rapusà,  i  lu  calbunaju  li  a  dat  quqtra  manutus 
.  de  tens.  Alura  lu  salpent  s'a  apaéigdt  lus  cats,  i  lu  calbimaju  gran  mtil- 
tificdt  li  diu:  "Avansa  al  duél.,,  Lu  salpent  sa  ptosa  a  garrd,  i  al  cavalj 
una  gamba  li  a  truncàt.  Ma  la  calbunaju  al  cop  che  li  a  dat,  Qinc  cats  li 
a  taljdt,  i  a  l'altru  cop  che  li  a  dat,  tots  lus  altrus  li  a  taljdt.  Alura  la 
filja  del  rej  li  a  dit:  "Tu  ses  lu  meu  Ijibratór  i  tu  sards  mun  marit.  „  Lti 
calbunaju  li  a  damandt  un  mucaró,  i  la  filja  del  rej  li  a  dundt.  Elj  a  Ijcvdt 
al  salpent  las  vuit  Ijetigas  i  astogaras  sa  las  a.  Anant  a  rint  a  la  guitdt, 
a  trubdt  un  cavaljé  i  li  diu:  "Aón  vas  tu,  calbunaju,  amd  la  filja  del  rej?,, 
"A  putta'  la  al  para,  ch'io  'l  salpent  e  matdt.  „  Lu  cavaljé  li  diu:  "Tolna 
anrera  ch'io  vulj  veura  lu  salpent.  „  Ba  che  a  trtibàt  lu  salpent  sa  n'a 
preéus  vuit  cats  i  alura  li  a  dit:  "Tolna  anrera  che  lu  salpent  l'è  molt 
io  „  i  li  a  pnsdt  pe  la  vira  à  la  filja  del  rej  che  dighessi  com  die  io  i  si 
no  la  matava.  La  filja  del  rej  li  a  dit  che  gurava  pe  la  fé  de  Beu  che  'l 
salpent  l'avla  molt  lu  cavaljé.  Alura  lu  calbunaju  sa  n'es  andt  al  carni 


un  assai  cattivo  novellatore;  poiché,  oltre  il  non  saper  seguire  il  filo  del 
racconto,  aveva  le  pretensione  di  ridurre  in  versi  e  in  rima  le  sue  parole,  come 
si  vede  chiaro  dalla  precedente  storiella  e  da  questa,  che  è  delle  più  scon- 
clusionate tra  quante  egli  mi  recitasse  e  che  io  riferisco  nella  sua  scor- 
retta integrità.  Ciò  non  di  meno,  e  questa  e  la  precedente,  che  è  la  mi- 
gliore, e  così  parecchie  altre  che  conservo  manoscritte,  mi  riuscirono  preziose 
per  la  schietta  forma  del  vernacolo  che  egli  usava,  non  diverso  da  quello 
che  corre  tra  il  volgo  d'Alghero. 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  luotlerni.  323 

d'elj.  Als  tres  dias  es  anàt  a  la  Quitàt  i  a  trubàt  Vaspusori  de  la  filja 
del  rej  ama  'l  cavaljé.  Lu  calbunaju  es  anàt  a  la  coli,  i  la  santinelja  li 
diu:  " Aón  tu  vas,  calbunaju? „  "Tene  de  parla  a  sua  maistd. „  La  che  la 
ijova  lu  veu  antrà,  tot  lu  coi'  li  a  alegràt,  dienni:  "Avansa,  avansa  ! „  Lu 
rej  li  a  parlai  i  lu  calbunaju  li  raspón:  "Cosa  vus  a  cuntdi?  „  Sua  maistd 
li  diu:  "Io  vulj  veura  lus  vuit  cats  i  pranim  l'asperiment  che  bon  garrié 
ses  astàt.  „  I  lu  calbunaju,  :  "  Achés  nobil  cavaljé,  che  a  tangùt  gran  cu- 
ra f/u  de  mata  achei  salpent,  faqi  veura  las  vuitas  Ijengas  de  lus  vuit  cats.,, 
Alura  an  visitai  ch'era  una  grossa  mantira.  Lu  'cavaljé  sa'n  vuriva  and 
de  la  por  che  taniva,  ma  la  santinelja  Va  falmàt  che  no  sa  puriva  esi  fins 
a  l'ora  del  palament.  Alura  lu  calbunaju  diu:  " Achés  es  lu  mucaró  ama 
las  vuitas  Ijengas  „  i  al  cap  li  a  pusdt  una  per  una,  i  totas  anavan  be, 
che  'l  calbunaju  taniva  raó.  Lu  rej  li  a  dai  lu  do  de  s'asptisà  la  filja,  i 
lu  cavaljé  lu  sandedamd  l'an  bruzàt  a  mie  de  pra^a.  Lu  calbunaju  es  astdt 
tot  cuntent,  la  puporagió  sempra  dient:  "  Achelj  vurém  per  rej  che  mus  a 
daljibrdt  i  tota  la  Quitdt.,,  Da  che  an  aspusdt,  lu  rej  la  curona  li  a  dal;  i 
lu  calbunaju  da  che  rej  es  astdt  a  la  puporagió  un  an  de  paga  li  a  pai- 
dunàt  del  dagi  che  pagavan,  i  an  fetas  de  las  grans  festas  i  a  probas  i  a 
rits  an  cunviràt;  io  ch'era  sulddt  una  bastunara  m'an  dundt. 


10.  Maria  Antaurara  '. 


Una  volta  i  avia  un  rej,  com'era  achés  rej  eran  marit  i  muljé,  i  taniaii 
una  filja  che  sa  dieva  Maria,  ma  era  tanta  belja  che  no  sa  puria  amagind. 
Aehesa  minona  vivia  sempra  ratirara  a  un'apusentu  ama  la  mara,  an  moru 
che  ni  mancu  lus  de  la  colt  la  cunasevan.  falda  no  manca,  cau  mararta 
la  mara  ;  era  a  punt  de  muri  i  s'anvia  a  avisd  lu  marit  i  li  diu  :  "  Mira, 
aspós  meu,  ga  ma  veus  che  so  paltint  de  achés  mòn,  no  m'ampolta  però 
tant  de  muri  coma  de  Maria;  per  asò  ta  racumdn  a  la  trenda  conta,  a 
no  dasgusta'la  an  arrés,  a  daèa'li  fé  una  vira  ratirara  coni  acJieèa  ch'es 
fent,  i  prinQipalment  a  no  da>a'la  fé  cunfàlfara  ama  lus  de  la  colt.  „  "An 
asò  ses  pansant?  li  a  rasposi  lu  marit,  pensa  a  ta  sarvd  l' anima  tua,  i 
desa  a  Maria.,,  Mori  la  muljé  i  li  fan  tots  lus  funararis  che  i  paltucavan ; 
i  lu  rej  sa  tanca  a  un'apusentu  i  ì  astd  un  an.  Finii  l'an  es  anàt  a  visita 
la  filia,  che  a  pena  Va  visi,  s'es  pusara  a  prurd.  Lu  para  Va  cunfultara 
dienni:  "Cosa  vols  fé,  filia  mia,  sanai  che  aehesa  era  la  vttruntàt  de  Ben, 
i  manasté  a  trenda  puQenQia.  „  Eran  passai  un  parelj  de  ans  che  al  rej  i 
es  vangura  Videa  de  sa  casa,  i  palelle  la  muljé  prima  de  muri  i  avia  dat 
un  anelj,  dienni  che  sa  casessi  am'achelja  che  i  astava  he,  era  pansierós 


Comunicatami  dall'amico  e  collega  prof.  Felice  Cariola,  che  la  raccolse 
da  un  suo  scolare. 


324  (Iiiarncrio, 

vajent  che  achelj  anelj  no  vania  he  a  ningù.  Un  dia  de  dasasparàt  sa  n'es 
anài  a  passayà  a  l'astrarór.  Camina,  camina,  troba  un  sanò,  che  vajennu 
asi  trist  i  a  damanàt  cosa  tania:  "  I  cosa  vols  che  tenglii?  i  a  rasposi  hi 
rej ;  son  ga  dos  ans  ch'es  molta  ma  muìjé,  i  no  puc  truhà  una  gova  che 
i  vagì  be  achés  anelj,  palehé  ma  muljé  m'a  dit  :  -  Aspóza  acheija  che  i 
astava  be  achés  anelj.  -  „  "  Iper  asò  tu  ses  an  pansament  ?  li  raspón  achelj 
sanò,  che  no  Cì-a  altru  che  hi  dimoni  travistit,  tens  an  casa  la  dona  che 
^elcas  i  no  ta'n  sas  aprufità  ;  masura,  masura  achés  anelj  a  ta  Jilja  i  vauràs 
com  i  asta  be.  „  Al  rej  achesa  cosa  i  es  antrara  de  un'urelja  i  de  l'altra 
no  i  es  isira,  raìigragiega  achelj  sanar,  i  sa'n  tolna  an  casa.  Arrihàt  al 
parau  va  ret  aont  es  la  Jilja  i  li  din,:  "Filja  mÀa,  masùraf  achés  anelj, 
che  m'a  dasdt  ta  mara,  a  veura  si  ta  asta  be.  „  La  Jilja  sa  lu  masura  i 
astava  coma  pintara.  Alura  lu  rej  tot  cuntent  li  diti:  "  Tu  saràs  ma  muljé.,, 
Antanent  asó  acheija  minona  ascumenga  a  priirà  che  no  na  puria  mes, 
dient  al  para:  "Ma  cos'es  achesa  idea  che  s'a  pusàt  al  cap,  sua  Altesa? 
m'a  ganardt  i  voi  che  io  sighi  sa  muljé;  mes  prestu  muri  che  acitnsanti 
an  achesa  cosa;  tréghisan  achesa  idea  mara  del  cap  i  aspósina  carchi  altra.,, 
Lu  rkj  però  vuria  che  a  mara  gana  elja  V aspusessi  i  per  asó  li  a  dat  tres 
dias  de  tens  per  sa  pansé.  A  pena  sa  n'es  anàt  lu  para,  acheija  minona 
s'es  pusara  a  prurd  i  a  damanàt  cunselj  a  Nostra  SaFiora  de  las  gragias, 
che  tania  pangara  a  cazzai  del  Ijit.  Basprés  de  tanta  prurd.  Nostra  Sanora 
li  a  parlai  i  li  a  dit.:  " Ascóltama,  Maria,  da  che  ve  tun  para  mostrata 
alegra  i  cuntenta,  i  diuri  che  ga  l'aspoSas,  ma  però  che  vols  un  visti  de 
sera  an  curò  de  aria.  „  Passats  lus  tres  dias,  lu  rej  sempra  am' acheija 
idea  al  cap,  es  tulnàt  aont  es  la  Jilja  i  lì  a  dit:  "  Ibé,  Maria,  ta  ses  ptan- 
sara? „  "Si  sanar,  i  a  rasposi  la  Jilja  a  cuant  a  pugni,  però  vulj  un  visti 
de  sera  an  curo  de  aria.  „  Lu  rej  che  de  pringipiu  s'era  mustrùt  assai 
cuntent,  a  pena  che  a  antés  lu  visti  che  vuria,  s'es  ratristdf  i  li  a  dit: 
"  Ibé,  Qalcaré  de  iruhà  lu  visti  „  i  sa  n'es  anàt.  3Ia  per  cuant  agi  galcàt 
achelj  visti,  no  Va  pugùt  trubà  an  ninguna  pali  del  mon.  Arrabiàt  per 
asó  sa  n'es  anàt  a  passagà  a  l'astrarór,  aont  a  trubdt  lu  matéè  sanò,  che 
vajennu  arrabiàt  i  a  dit:  "  Pussibra,  a  rej,  che  no  sighis  mai  cuntent! 
Cosa  tens  ara  ?  diumal  a  mi.  „  "  1  cosa  vols  che  tenghi,  li  raspón  lu  rej; 
ma  Jilja  ga  ma  voi  aspuzd,  ma  voi  un  visti  de  sera  an  curò  de  aria;,  e 
galcdt  an  cara  Ijoc,  ma  no  Ve  pugùt  trubà.  „  "  Tot  achesa  es  la  causa 
che  ta  cuntristega?  i  a  rasposi  lu  dimoni;  vina  an  anchi  dama  a  la 
falda  i  trubards  lu  visti.  „  Lu  rej  tot  cuntent  sa'n  tolna  al  parau,  i  lu 
sandedamà  a  la  laida  va  a  l'astrarór  i  troba  achelj  sahór  ama  lu  visti. 
Lu  rangragiega  i  va  aont  es  la  Jilja  i  li  dia:  "Te  lu  visti;  ara  diuma 
cuant  aspusarém.  „  "Dama  inaiti  sabarà  la  rasposta,,  li  a  rasposi  Maria. 
A  pena  sa  n'es  anàt  lu  para,  s'es  pusara  a  prurd,  a  Jet  un'ascramengia 
adavant  del  cuadru  de  Nostra  Sanora:  "Mara  mia  astimar  a,  astimara, 
dieva  elja,  eccu  che  m'a  pultàt  lu  visti,  com  Jag  io  achesa  volta,  che  no  i 
a  manera  de  i  Je'li  antrà  al  cap  che  no  va  be  che  un  para  aspozi  la  Jilja; 
com  fag  io,  mara  mia  de   las  gragias,  aguràuma  vusaltus,   i  si  no  ma 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  moderni.  325 

mat.„  "Ascolta,  Maria,  li  raspón  N.  S.,  dighiri  a  tun  para  da  die  ve,  che 
vols  un  altru,  visti  de  sera,  an  curò  de  la  marina  ama  tots  lus  peè'us  ca- 
minans.  „  Asi  a  fet  aclielja  minona,  i  da  che  es  vangili  lu  para,  li  a  dit 
che  vuria  un  altru  visti  de  sera  an  curo  de  la  marina  ama  lus  pesus  ca- 
minans.  Lu  rej  s'es  arrabiàt  da  che  antén  achesa  rasposta,  ma  pansant 
che  falsi  achei j  sanò  lu  tangaria,  li  a  dit:  "  Ibé  ta  dungaré  achés  altru 
cuntentu.  „  Basprés  arrabiàt  sa  n'es  anàt  a  passayà  a  l' astrarór.  I  era 
sempfa  lu  mates  sanò,  che  vajennu  arrabiàt  li  a  damanàf  cosa  taniva. 
"  I  cosa  vols  che  tenghi,  li  a  rasposi  lu  rej  ;  ma  filja  voi  un  altru  visti 
de  sera  an  curò  de  marina  ama  lus  pesus  caminans.  „  "  La  cosa  es  un  poc 
diffÌQira,  a  dit  lu  dimoni,  però  vina  dama  a  la  talda,  i  tangards  lu  visti.,, 
Ve  lu  sandedamd  a  la  talda,  i  lu  rej  taniva  lu  visti.  Tot  alecr  va  aont  es  la 
filja,  i  li  dona  lu  visti,  damananni  a  veura  ctiant  aspuiava.  "A  dama  a  la 
talda  la  rasposta,  a  raspost  Maria.,,  A  pena  anàt  lu  rej,  s'es  pusara  a  prurà, 
damanant  cunselj  a  N.  S.  che  i  a  raspost:  "  Dighiri  che  ga  sa  che  las  nuvia- 
Ijas  duran  tres  dias,  i  che  però  vols  un  visti  de  sera  cara  dia,  che  ta'n 
compri  u  a  campanetas  de  or.  „  Ratulnàt  lu  rej.  Maria  a  dit  coma  l'avia 
cunsaljara  N.  S.  Lu  rej  sa  dava  als  diahras  antanent  cuals  vistits  i  da- 
manava,  i  vuria  sabé  chi  la  cunsaljava.  Finalment  i  a  prumés  che  li  pul- 
taria  l'altru  visti  ama  batas  i  cundagions  però  che  no  i  muntessi  al  cap 
altras  ideas.  Dasprés  sa  n'es  anàt  a  passagà  a  l' astrarór,  pansant  che 
trubaria  achelj  matés  sanò,  coma  infatti  l'a  triihàt,  palché  lu  dimoni  cuàn 
sa  posa  a  tanta  un'anima,  no  sa  n'astà  finsa  che  no  la  vegi  paldura  del 
tot.  Dons  a  pena  lu  dimoni  a  vist  al  rej  li  a  dit:  "  Ascumit  che  ta  filja 
fa  damandt  carchi  altru  visti.  „  "  Si,  i  a  raspost  lu  rej,  na  voi  un  altru 
a  campanetas  d'or,  i  si  no  ma  aguras  tu,  io  no  se  com  fe.„  Lii  sanò  ch'era 
lu  dimoni  a  pansàt  un  poc;  dasprés  i  a  dit  :  "Basta,  vina  dama  a  la  talda, 
i  tangards  lu  visti.  „  Lu  sandedamd  a  la  talda  lu  rej  va  al  postu  astabilit, 
i  li  dona  lu  visti.  Alecr,  alecr  va  aont  es  la  filja  dienni  che  lu  sandedamd 
al  malti  vuria  sabé  la  rasposta  de  cuant  aspuzavan.  Maria  no  li  a  raspost, 
ma  legu  che  sa  n'es  anàt  lu  rej,  s'a  dabasàt  lus  cabels  i  a  fet  tma  gran 
ascramenQia  adavant  del  cuadru  de  N.  S.  dient:  "Mara  mia  astimar  a, 
Vergina  santissima,  com  faQ  io  acheéà  volta?  ansanduma  vos  com  tene  de 
fé  ama  man  para,  ch'es  a.H  ancagàt  del  dimoni!  com  fag  io  che  dama 
maiti  voi  sabé  lu  dia  che  aspuzém?  Vergina  mia,  no  ma  parlau  vos  també? 
m'aveu  abandunara  ?  dàuma  carchi  cunselj,  i  si  no  ma  mat.  „  "  No,  Maria, 
raspòn  N.  S.  tu  no  ta  tens  de  mata,  palché  io  ta  donc  un  bon  cunselj  si 
'l  vols  pusd  an  obra;  i  si  no,  fes  com  vols.  Lu  cunselj  che  ta  donc  es  de 
tOi  fé  fé  un'astatua  de  Ijena  ama  un  caràs  che  i  astighin  lus  tres  vistits; 
éntratan  arins  i  fugitan  de  la  colt  ;  altru  mezu  de  ta  sarvà  no  i  a.  Per 
asó  tu  dighiri  a  tun  para  che  fra  vuit  dias  aspusau  ;  intant  ta  fas  fé  l'asta- 
tua  i  ta'n  fugis.  „  Maria  l'a  rangragiara  de  achelj  bo  cunselj,  dasprés  a 
aspardt  che  lu  sandedamd  maiti  tulnessi  lu  para.  A  pena  lu  rej  es  tulnàt. 
Maria  s'es  mustrara  tota  alegra,  i  li  a  dit  che  aspuzarian  dasprés  de  vuit 
dias.  Lu  rej  vuria  che  aspuSessin  rnes  legu,  ma  Maria  i  a  fet  cumprenda 


326  Guarnerio, 

che  sa  tanlva  de  cunfassà,  praparassa  al  matrimoni  i  altra  cosa,  che  fi 
nalment  a  cnnvinQit  lu  rej.  Legu  che  sa  n'es  anàt  lu  rej,  Maria  s'a  avisàt 
un  mestra  de  Ijena  i  U  a  racumanàt  de  li  fé,  tens  de  tres  dins,  iin'astatua 
de  Ijeha  ch'i  i  astessi  arins  eìja,  ama  un  cards  pe  tres  vistits,  pena  la  vira 
però  che  digitassi  arrés.  Lu  mestra  da  Ijena  tot  cuntent  de  salvi  la  filja 
del  rej,  sa  n'es  anàt  i  dasprés  de  tres  dias,  a  dasora  de  nit,  de  la  polla 
falsa,  Uapultàt  l'astatua.  Maria  Va  benpagàt  i  na  Va  daspacàt  raimmananni 
teina  pena  la  vira  che  di'jhessi  arrés  a  ningù.  Pasats  lus  tres  vistits  arins 
del  cardi,  a  amagàt  Vastatua,  asparant  la  nit  prima  del  dia  de  Vaspuia- 
rigi  pe  sa'n  pughé  fugi.  Finalmenta  es  vangura:  Maria  Antaurara  sa  posa 
arins  de  Vastatua  i  sa'n  fugi  de  la  polla  falsa.  Lu  dama  matti  lu  rej  sa 
n'aseca  an  tens  asparant  che  sa  n'asachessi  Maria.  Ma  Maria  no  sa  n'a- 
sacava  mai;  tocan  las  vnit,  i  no;  tocan  las  non,  i  no;  tocan  las  deu,  i  no; 
tocan  las  onza,  i  no.  Aliira  lu  rej  a  dat  l'ordra  che  sa'n  gitessi  la  polla 
i  sa  miressi  cosa  tanica  Maria.  Lus  salvirols  an  ubait,  ma  a  pena  iibelta 
Vapusentu,  sa  son  abigats  che  Maria  no  i  era.  Tot  arrabiàt  lu  rej  la  fa 
Qalcà  pe  tota  la  coli  i  no  la  trùbana;  per  asó  lu  rej  la  fa  galea  pe  tota 
la  gnitàt,  mani  mancu  Van  truhara;  per  asó  lu  rej  a  anviàt  una  curunna 
vnrant  a  galca'la  pe  la  campana,  ma  ni  mancu  Van  trubara  ;  per  asó  lu 
rej  s'es  tancàt  a  un'apusentu. 

Ara  dasém'a  elj  i  pranim  a  Maria  Antaurara.  Legu  ch'es  isira  de  la 
gnitàt,  s'es  pusara  a  curri  i  a  caminà  Ijestra  fins  a  na  isi  de  lu  renu 
del  para.  Canina,  camina  finsa  che  arriba  a  una  guitàt  de  un  altru  rej. 
Va  i  sa  posa  a  la  polla  del  parau;  la  gent  de  salvigi  a  pena  Van  vista  s'es 
pusara  a  ritira  i  Van  dit  a  la  raina,  che  a  cumanàt  che  la  fagessin  munta 
aont  es  elja.  A  pena  che  la  raina  a  visi  achelj  mostru,  ses  pusara  a  riura 
i  li  a  dit:  " I  cosa  vols? „  ''Si  ma  voi  a  salvirora,,  li  raspón  Maria.  "Si,, 
i  a  dit  la  raina,  i  Va  pusara  a  da  atangió  a  las  galjinas.  Maria  era  tanta 
tens  ap,  achelja  casa,  cuant  un  dia  lu  filj  del  rej  li  a  dit:  "Maria,  póltama 
las  astafas  che  tene  de  and  a  una  festa.  „  "  A  ma  polla  ?  „  li  diu  Maria, 
i  lu  filj  del  rej  li  ascuri  un  cop  de  astafas.  Sa'n  paltés  ;  isin  las  faras  i 
faran  a  Maria,  ch'es  vangura  mes  belja  i  mes  belja  de  lu  che  era.  Pusàt 
s'a  lu  prime  visti  de  sera  che  li  avia  dat  lu  para  i  arins  de  una  carrossa 
che  camaniva  de  parelj  d'elja,  es  anara  an  achelj  pais  aont  era  lu  filj  del 
rej.  A  pena  che  tots  an  vist  arriba  achelja  carrossa  am'achelja  belja  gova, 
son  rastats  a  baca  ubelta,  Lu  filj  del  rej  legu  che  Va  vista  es  anàt  a  i  fé 
lus  cumprimens,  si  che  an  fet  amigigia  i  an  baljàt  sempra  ansiema.  Vangura 
la  falda.  Maria  sa  n'es  anara,  dasprés  de  ave  dit  al  filj  del  rej  ch'era 
del  pais  de  Astafas.  Lu  filj  del  rej  tulnàt  an  casa,  a  trubàt  Maria  aspa- 
rannu  a  V astala,  i  li  a  dit:  "Ma  ga  i  avia  una  belja  gova  a  la  festa 
del  halj,  che  io  ascumit  si  sa  na  trobi  una  mes  belja,  „  "  Ma  no  sigarà 
mes  belja  de  mi,,  li  raspón  Maria,  i  lu  filj  del  rej  li  a  dat  un'ascavanara, 
i  s'es  ritirai  a  Vapusentu  a  galea  aón  sa  trubava  lu  pais  Astafas.  Ma  pe 
cuant  agi  pugùt  galea,  no  Va  trubàt.  Tot  arrabiàt  aspera  Vandamà  maiti, 
i  dahasàt  a  V astala  de  Maria  s'a  fet  pultà   la  brilja.   "A  ma  polla?,,  i 


Il  catalano  d'Alghero:  Testi  popolari  moderni.  327 

diu  Maria,  i  lu  filj  del  rej  li  dona  un  cop  de  hriìja  i  sa'n  paliés.  Legu 
isin  las  faras  i  feta  visti  Maria  ama  lu  sagons  visti  che  li  avia  dai  lu  para, 
la  fan  pusd  an  carni,  cunsaljanna  che  si  lu  filj  del  rej  li  anviava  a  fatu 
lus  salvirols,  lis  i  gitessi  una  farrancara  de  munera  i  legu  sa'n  fugissi. 
A  pena  arribara  al  Ijoc,  lu  filj  del  rej  li  a  dit  che  l'avia  bullat,  che  lu  pais 
de  Astafas  no  asistia.  Maria  sa  posa  a  ritira  i  li  diu  :  "  No  so  del  pais 
de  Astafas,  ma  del  pais  de  Brilja.  „  Lu  filj  del  rej  tot  nmltificàt  per  achelja 
rasposta,  a  baljàt  tot  lu  dia  de  mal  gust.  Yangura  la  talda.  Maria  sa  n'es 
anara,  i  lu  filj  del  rej  li  anvia  lus  salvirols  a  fatu  pe  veura  aonf  anava. 
Ma  Maria  lis  i  gita  una  farrancara  de  munera  i  l'ora  che  acheljus  son 
astats  aculjint,  sa  n'es  fugira.  Tulnats  aont  es  lu  rej  li  an  dit  lu  che  era 
suggait  i  lu  rej  lus  a  baraljats.  Marcutent  sa'n  tolna  an  casa,  i  dasprés 
de  ave  dat  un'ascavanara  a  Maria,  sa'n  va  a  l'aptisentu  a  galea  aon  sa 
trubava  lu  pais  de  Brilja  i  no  trubannu  s'es  arrabidt.  Vangùt  l'andamà 
malti  va  a  l'astata  i  s'a  fet  putta  de  Maria  la  selja,  i  a  la  dumana  de 
achesa  si  la  pultava,  ni  ascuri  un  cop  i  sa'n  va.  Maria  legu  sa  posa  an 
caini.  Lu  filj  del  rej  l'era  ga  asparant  i  a  pena  Va  vista,  li  a  dit  palelle 
lu  bullava  asi.  Maria  sa  posa  a  riura  i  li  diu  :  "  No  so  del  pais  de  Astafas, 
ni  del  pais  de  Brilja,  ma  del  pais  de  Selja.,,  Ln  rej  li  diu:  "Ma  achesus 
paisus  no  asistin.  „  "Si  sanór,  li  raspón  3Iaria,  damàni  al  para  i  vaiirà.,, 
Frimé  de  sa'n  palli  Maria  s'a  cambiai  ama  lu  filj  del  rej  lu  diamant.  A  pena 
paltira,  lu  filj  del  rej  li  anvia  lus  salvirols  a  fatu,  pena  la  vira  che  no 
miressin  aont  anava.  Ma  Maria  li  a  gitdt  un' ambosta  ,de  gendra  i  sa  n'es 
fugira.  Tulnàt  on  lu  duerni,  li  an  dit  com  era  astara  la  cosa.  Tot  arrabidt 
lu  filj  del  rej  va  an  casa  i  sa  posa  a  galea  lu  pais  de  Selja.  No  l'avent 
trubdt,  pres  de  dasprajé  sa  colga  a  Ijit  i  sa  dona  mai-art.  La  mara  sempra 
galcava  de  cunfulta'lu.  Finalmenta  un  dia  Maria  Antaurara  diu  a  la  raina: 
"  Bésima  fé  una  sopa  a  mi  pe  lu  filj.  „  La  raina  li  a  cunsantit  i  Maria  a 
feta  la  sopa  i  a  pusdt  a  mie  lu  diamant,  che  li  avia  ragardt  lu  filj  del 
rej.  La  mara  li  polta  la  sopa,  ma  a  pena  lu  filj  troba  lu  diamant  sa  posa 
a  tiehirrid  :  "0  mama,  chi  m'a  fet  achesa  sopa?,,  La  raina  crajent  che 
fossi  marcutent  li  diu:  "lo,  o  filj  meu.  „  Ma  lu  filj  li  raspón:  "No  es 
veru ;  o  dighima  la  verità t  o  ma  mat.  „  Alura  la  mara  li  diu:  " Ta  Va  feta 
Maria.  „  "  Fd^ira  antrd.,,  Maria  entra  vistira  com  Vultim  dia  che  era  anara 
al  balj.  Lufilj  del  rej  saltdnsan  dal  Ijit  diu:  "So  curàt ;  eccu  la  mia  asposa.,, 
La  raina  tota  maraviljara  s'a  fet  ditira  lu  fet  de  Maria,  i  elja  li  raconta 
tot.  Alura  lu  filj  del  rej  vtiria  aspuzà  legu;  ma  Maria  li  raspón:  "No, 
finsa  che  no  lu  sabi  lu  babu,  io  no  aspós.  „  Alttra  lu  filj  del  rej  a  ascrif 
al  para  de  Maria,  che  legu  es  anàt,  i  prurant  a  damandt  paldó  a  la  filja. 
Maria  a  aspuidt  ama  lu  filj  del  rej,  i  lu  para  sa  n'es  tulndt  a  la  coli. 
Eljus  son  vivits  tranchilus  i  ciintens,  i  a  mi  m'an  dat  un  barrai  de  vi,  i 
Ve  paldùt  an  cami. 


328  Guarnerio, 


II.     CANZONI 


1.  Chesas  del  caparó. 

Prime  de  antrà  an  Quitùt 
Ascutim  un  poc  lus  biilzaghins  ; 
Ama  tant  algua  che  i  a  dahasàt 
La  terra  es  tot  fané, 
Ni  travigd  sa  poran  lus  camins. 
Ga  a  l'Alghe  nostra  es  sempra  astdt  asi, 
Cuàn  s' espara  a  fé  sec,  s'angén  la  pedra; 
Si  las  asetas  Deu  ancumenga  a  ubri, 
De  las  tanca  no  s'arracolda  mes, 
I  tot  a  daìi  del  proba 
Che  vili  de  la  gurnara. 
Ai  chi  tens  !  ai  chi  vira  dasdicara  ! 

L'orna  es  ver  che  an  achest  mon 
Dias  de  be  mai  no  na  troba  ; 
Massim  si  es  taljàt  a  proba, 
Viurd  sempra  ama  la  tina. 
Ta  posas  a  prantd  vina, 
Ta  la  pren  la  marartia. 
Si  ta  munta  la  mania 
Be  sembra  un  poc  de  frument 
Si  no  'l  mata  l'algua  o  'l  veni, 
Isi  a  pigu  'l  tiribrichi, 
I  asó  an  terra  Verna  fichi 
I  'l  fa  prestu  dasparà. 

Mun  bisaju  sempra  dieva: 
No  era  asi  In  tens  antic, 
Mancari  u  no  fossi  rie, 
Proba  an  terra  no  era  mai; 
Be  arimens  sa  'n  feva  assai; 
Ln  frument  a  mie  ascùt 
Elj  no  avia  mai  cunasùt; 
Vi  mes  car  de  una  vuitina  ; 
Per  un  rial  una  galjina; 
1  la  cai  finsa  a  sisé. 
Ara  invece  i  voi  un  be 
Per  cumpra'ta  sol  In  pa. 

Ai  Beu  meul  no  i  aura  acabameni, 
Sempra,  sempra  achest  tens  durard  ? 


Il  catalano  d'Alghero  :  Testi  popolari  moderni. 

Ma  si  anguan  ma  va  he  lu  frument 
Vulj  pusa'ma  a  fé  carchi  asparan, 
I  as'i  anant  de  guaraii  an  guaran 
Dels  massajus  mes  rits  vangare; 
Vulj  cuinpra'ma  una  vina,  un  parati, 
La  vaìjesa  ma  vulj  ])(issà  he. 


2.  Cau^ó  de  amor. 


De  la  rosa  superiór 
Deu  fa  vulgùt  pinta. 
Jj'U  modu,  'l  tratn  i  'l  parici 
Ancantan  a  chicassia  ; 
I  no  hasta  a  VaspUcà 
Ljengua  i  mamoria  mia; 
Dunosa,  venghi  achelj  dia 
Tu  an  lu  mon  a  cumanà. 
De  la  rosa  superiór 
Deu  fa  vulgùt  pinta. 
Venghi  achelj  dia  anugent, 
Chi  no  voi  pughi  crepa. 
lo  ga  vulgaria  asta 
Arins  del  tou  antendiment, 
Sol  lu  ta  veura  al  inesent 
Lu  trist  lu  fas  alagrà. 

De  la  rosa  ecc.  ecc. 
Lu  moli  tu  fas  tulnd  an  vira, 
I  asó  ta  'l  die  perché  hi,  se. 
I  una  palma  ben  tisira  '■ 
I  a  carati  donas  prajé; 
lo  per  a  tu  tamhé 
La  vira  i  tene  de  ptisd. 
De  la  rosa  ecc.  ecc. 
Altrtf,  de  cuntd  no  tene  ; 
No  es  arrés  lu  che  io  e  dit, 
I  aljoghis  un  bon  partii 


Com  lu  che  tens  al  pensameni, 
Prenetant  contintiament 
Sensa  ma'n  pughé  iilvird. 

De  la  rosa  ecc.  ecc. 
Continuament  prenetant, 
Dumengas  i  dias  de  festa. 
La  tua  persona  es  unesta, 
Chensa  trenda  ningu  dan; 
I  asó  no  ta  'l  die  per  mal. 
Che  es  un  vantaga  a  ta  da. 

De  la  rosa  ecc.  ecc. 
Achesa  rosa  atangió 
Del  meu  cor  astitnara, 
Ta  tenghis  ben  raguardara ; 
1  ama  gran  atuasió 
De  Ijale  s'antén  l'uro, 
Che  caratai  fas  apra^id. 

De  la  rosa  ecc.  ecc. 
lo  faQ  l'acabament; 
I  tólnama  la  r asposta. 
Da  che  se  che  tu  ses  molta, 
Io  g<^  fd'ì'é  testament, 
1  alura  na  so  cuntent 
De  acJie's  mon  a  mun  and. 

De  la  rosa  superiór 

Deu  fa  vulgùt  pinta. 


^  'e  [sei]  palma  ben  tessuta',  per  dire  'donna  aita  e  ben  fatta',  alluden- 
dosi alle  candide  palme,  alte  quasi  due  metri,  che  qui  s'iutessono  con  or- 
namenti d'oro  e  d'argento  per  la  Domenica  delle  Palme. 


S30 


Guarnerlo, 


3.  Cau<2ó  de  Nostra  Sauora  de  Vaivelt  '. 


I  eccu  hi  miracra  evident 
Che  a  visi  lu  popid  de  l'Alghe; 
Cuàn  sa  prega  santament 
Semjìra  la  gragia  sa  te. 

De  brunzu  paraèeva  l'aria 
Cuàn  islva  lu  maiti, 
I  a  pena  arribava  an  alji 
Sa  mustrava  tota  varia; 
1  era  gusta  la  pregarla 
Che  achelj  ver  anava  a  fé. 

Cuàn  sa  prega  santament 

Sempra  la  gragia  sa  te. 
Muienna^  del  soìi  aitar 
I  ama  popul  present, 
Bascambiava  lu  sol  ardent; 
S'es  pusàt  lu  vent  de  mar. 
Lu  miracra  es  gust  i  dar 
Be  pultà  Maria  a  l'Alghe. 

Cuàn  sa  prega  ecc. 
J)e  pultà  a  l'Alghe  Ilaria 
Lu  cleru  a  fet  l'iinió, 
Le  pulta'la  an  jjulgagió 
I  lu  popul  an  cumpania; 
I  la  nit  matés  del  dia 
Lu  miracra  a  vulgùt  fé. 

Cuàn  sa  prega  ecc. 
Lti  popul  gran  afligit 
Tanint  por  de  anaras  maras 
Tens  asùt  i  gran  garara 
Che  mun  treu  cara  fruii; 
1  a  pena  che  a  fet  nit 
S'es  visi  lu  cambiament. 


Sempra  la  grafia  sa  te 

Cuàn  sa  prega  santament. 
Lu  vintisis  de  fabré 
S'es  feta  achesa  pregarla; 
Finga  an  tota  l'Itaria 
Era  un  gran  manasté. 
Virgen  de  Vaivelt  i  de  l'Alghe, 
Mara  de  l'Uniputent, 

Sempra  la  gragia  ecc. 
0  mara  de  Vaivelt, 
Be  las  campanas  sarùt, 
An  general  a  prugùt ; 
Caraù  lu  toca  i  lu  veu; 
Vos  la  prutatora  seu 
Per  Saldena  i  'l  cuntinent. 

Sempra  la  gragia  ecc. 
0  mara  de  un  veru  Ben, 
Bitul  nostrit  de  la  campana, 
Lu  popul  ve  i  VHS  aciimpana 
TJmiliàt  i  a  cor  iihelt: 
Lu  miracra  es  gust  i  gelt, 
Che  vivint  cuntentament 

Sempra  ecc.,  ecc. 
Lu  nostru  Vicari  de  l'Alghe 
Mus  fa  l'aspiegagió  ; 
Lu  popul,  grans  i  minóns, 
Tots  l'ascuUavan  be; 
Lus  sous  disipuls  també 
L'adoran  frequentament. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
Es  passai  lu  tragens  ans 
Che  an  pultàt  Maria  a  V Alghe, 


^  Composta  da  un  povero   cieco  per  la  siccità  del  1882,   e  recitatami  da 
Isabella  Manai.  —    Valverde,  santuario  presso  Alghero. 
2  per  muienla  movendola,  cioè  Nostra  Signora. 


11  catalano  d'Alghero  : 

Lu  cunaseif  tanta  be 
Che  lu  miracra  es  a  mans, 
I  a  cunsurà  lus  cristians 
Che  vivivan  de  prime. 

Ciidn  sa  prega  ecc. 
iVo  na  seu  ineresirols 
Del  gran  miracra  tangùt, 
De  Maria  aoém  rabùt 
Assai  gragias  i  favols  ; 
I  mis  altrus  pecarols 
De  ciintinuu  l'afaném. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
1  al  sou  filj  salvaró 
I  eìja  assai  rangragiava  : 
Dascambia  achesta  anara, 
Tenna  un  poc  cumpassió.  — 

0  marna,  sa  che  lu  pecaró 

De  continua  m'  es  iifanent.  — 

Sempra  ecc.,  ecc. 
Deu  es  gran  airdt 
Centra  tots  lus  pecarols  ; 
De  asutols  i  de  frarols 
Mus  avia  managat, 

1  elja  es  la  che  a  pregai 
A  sulevà  achéè  trument. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
I  es  culucdra  Maria 
1  an  lu  sacr  aitar  magò  ; 
La  missa  i  henedigió 
Sa  Qelebra  cara  dia, 
1  altras  laudas  de  Maria 
Sa  cantari  divotament. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
I  es  tota  la  chinsena, 
Finga  elja  a  sa'n  patti, 
La  missa  cara  malti 
I  la  talda  la  nuvena 


Testi  popolari  moderni. 

Lu  Vicari  sempra  diena  ^ 
I  In  popul  antanent. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
Lìi  dia  doza  de  malp 
1  acabara  es  la  chinzena 
Ane'm  tots  i  anumpanena  - 
A  l  sou  propriu  aitar, 
Ammusir emits  Ijiberals, 
Che  elja  sa  mostra  també. 

Cudn  sa  prega  ecc. 
Ln  dumcnga  al  maiti 
Una  sulena  fungió 
I  dasprés  la  pulgagió 
Finsa  a  sani  Agnsti; 
L' acumpanament  de  Iji 
Es  tulnàt  a  l'Alghe. 

Cudn  sa  jyrega  ecc. 
Sigili  an  pulgagió  Maria 
Del  carni  de  on  Van  pultara  ; 
Tres  canongas  Van  tulnara 
I  lu  popul  an  cumpania; 
I  cantant  l'ave  Maria 
S'anava  divutament. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
I  Maria  es  arribara 
De  l'aitar  de  on  sa  n'es  piresa, 
I  ama  tota  la-  cuntentesa 
Lu  popul  Va  acumpanara ; 
Lus  canongas  che  Van  pultara 
An  fet  un  veru  rangragiament. 

Sempra  ecc.,  ecc. 
Virgen  de  Vaivelt  Maria, 
Seu  lu  nostru  cunfolt; 
Finga  a  l'ora  de  la  moli, 
Tenimiis  an  cumpania; 
Finga  a  Vnltima  agunia 
Tenimus  semjrra  present. 


331 


^  per  dienna.        '  per  acumpanenna  accompagnandola,  cioè  N.  S. 


8S2  Guarnerio,  * 

Sempra  ecc.,  ecc.  I  pultamus  a  la  gloria 

Finis,  cuncluira  es  V astoria  I  a  gusa'la  eternament. 
L'an  mil  vuit  gens  i  vuitanta  dos;  Sempra  la  gragia  sa  te 

La  nostra  avucara  seu  vos,  Cudn  sa  prega  santament. 

Tanimus  sempra  an  mamoria 


III.    PROVERBI. 


1.  Palddl  a  ma  d'un  minò,  patita  a  ma  d'un  velj,  cavalj  a  ma  d'un  /rara, 

tota  roba  martratara. 

2.  Chi  va  a  poc,  va  sa  ;  i  chi  va  folt,  va  a  la  moli. 

3.  GaJjina  negra  fa  bon  brou. 

4.  Lu  manasté  fa  curri  la  velj  a. 

5.  Donas  i  gots,  cosas  chi  dasfdn  lus  Ijots. 

6.  Miljó  l'ou  avùj,  che  la  galjina  dama. 

7.  No  tangards  mai  be,  —  Si  de  altri  no  ta  ve. 

S.  Monga  de  sani  Agusti,  —  Bos  cats  an  un  cusi. 

9.  An  drinta  de  la  castana,  —  I  es  la  magana. 
10.  Las  negras  gragiosas,  dinas  de  las  parla,  —  Las  brancas  pivirinosas, 

la  foG  las  pugili  bruzà. 
il.  A  bon  antendiró,  —  Pocas  paranras. 
i2.  0  menga  aehesa  minestra,  —  0  salta  achesa  finestra. 
13.  Algua  i  sol,  —  Frument  a  bujól  ';  —  Algua  i  neu,  —  Frument  arreu. 
li.  Chi  te  vifia,  —  Te  la  tina  ;  —  Qui  te  parau,  —  Es  a  im  lau  ^ 
45.  Chi  trabaJja  una  saldina;  —  Chi  no  trabalja  una  galjina. 

16.  Lu  proba  che  no  es  attafu,  —  No  pof  pusd  mai  a  fatti  ^ 

17.  Lus  astracus  van  a  l'aria. 

18.  Sac  buit  no  asta  dret. 

19.  Chi  va  ambora  ambora  *,  —  Va  a  caiira  a  una  cora  \ 

20.  La  primera  algua  ta  bana. 

21.  Mi,  ch'es  passàt  lu  tens  de  Maria  Castana. 

22.  No  es  tot  or  aljó  che  Ijiiés. 

23.  Cavalj  dunàt  no  sa  m,ira  an  foca. 

24.  Si  no  i  es  foc,  no  isi  fum. 


^  'tinozze';  come  a  dire  'in  quantità'. 

^  è  a  un  lato,  cioè  appoggiato  e  non  teme. 

^  chi  non  è  sazio,  non  può  tener  dietro,  seguitare. 

•*  chi  va  a  zig-zag.        ^  gora,  rigagnolo  allato  alla  strada. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Spogli  fonetici.  333 


23.  CM  te  cor  pierós,  —  Sa  troia  dasprés  afanós. 

26.  Lu  cucu  ascaddt  de  l'aìgua  carenta,  fvgi  la  frera. 

27.  Dona  basara,  —  3Hga  casara. 

28.  A  l'orna  sabùt  no  i  manca  os  de  rusagd. 

29.  Ni  per  nas  ni  per  boca,  la  dona  sa  dnspregia. 

30.  Tot  es  carabassa,  tant  la  Ijonga,  la  rudona  i  l'aspanora. 

31.  Ljenga  mara,  —  Voi  afitara. 

32.  Vigi  de  natura,  —  Sa  desa  an  sapultura. 

33.  Pe  nasar  proba,  miljó  molt. 


§  III.  SPOGLI  FONETICI. 

AvvESTiMENTO.  —  I  Seguenti  spogli  sono  per  avventura  più  co- 
piosi di  quello  che  una  semplice  caratteristica  del  catalano  d'Alghero 
avrebbe  richiesto;  ma  gli  studj  intorno  al  catalano  non  essendo  gran 
fatto  copiosi,  né  tutti  facilmente  accessibili,  è  parso  non  inopportuno 
di  ammannire  in  questa  occasione  un  lavoro  descrittivo,  che  insieme 
potesse  valere  per  la  varietà  algherese  e  per  quella  del  linguaggio 
della  madre  patria.  Le  voci  del  'catalano  di  Catalogna',  quando  suo- 
nino comunque  diverse  da  quelle  del  'catalano  algherese',  sono,  di  re- 
gola, aggiunte  tra  parentesi;  p.  e.  ara  {ala). 

Vocali    toniche. 

A.  1.  Sempre  intatto:  ara  [ala),  aseara  [escala)  scala,  sai,  aspalja 
[espalja)  spalla,  vnar,  crau  [clau)  clave-,  has  basso,  ma  mano,  sa  sano, 
an  anno,  pau  pace,  hrag,  aspara  [espasa)  spada',  caie  cadit;  asta  [estar) 
stare,  ama  [amar),  and  [anar);  ptc.  amdt,  andt;  ecc.  —  2.  Qui  pure 
le  solite  apparenti  eccezioni:  alecr  [alegre),  greu  [grave,  ma  antic.  e 
sempre  nel  barcell.:  greu),  mela  malum.  Sono  poi  tanti  e  da  di  di  fase 
anteriore  {hes  basio;  ecc.),  ai  num.  44  72  73  93  94  100,  e  altrove. 


*  Risponde  aspara  veramente  al  sardo  ispada,  v.  num.  104  107. 


334  Giiarnerio, 

3.  -ARIO  -aria:  tare  (telér),  culjera,  iiljeras  occhiali,  Ijugèr  ìjugèl 
{ìjeiigér)  leggero  (col  -r  dissimilato),  rase  [rasèr]  *rasario,  dhiè  [dinér], 
tinte  [tintèr]  calaraajo,  ganò  fabré  o  frahé  {ganér  febrér^,  'prime  targèr 
(primér  terger),  calnigè  [carnigér)  macellajo,  panate  [panadér),  sabato 
[sabatèr)  Ardi.  Ili  169,  vìTiaté  {vinadér)  ^  —  4.  La  serie  col  j  in  g, 
proviene  dal  sardo:  crabalgu  [cabrér]  caprajo,  frairalgu  (ferrér)  *fa- 
brilario,  murinalgu  (molinér),  ecc.;  cfr.  sardo  mer. :  crabargu  frai- 
largu  ecc.  Escono  pure  dalla  ragione  catalana:  landàr  (glanér)  glan- 
dario,  urivàr  arivdr  (olivera)  olivete,  che  ritornano  a  landari  olivariic 
(sassar.  aribari)  del  sardo  mer.  Ancora  fuor  della  norma:  caìnpandr 
(id.)  campanile  (ali.  a  campane  campanaio)  e  nutari  [notari);  ma  il  primo 
si  foggia  sullo  spagn.  campanario,   e  il  secondo  è  voce  non  popolare. 

E.  5.  La  lunga  si  continua  per  e  piuttosto  chiusa:  tera  [tei]  tela, 
ave  agile  (aver),  arena,  carena  {cadena),  pena,  vena^  pre  [pie]  pieno, 
vare  [veri;  veneno,  sp.),  tarré  (terreno,  sp.),  sarenu  [serena  'serenità'), 
mimerà  (ononeda),  sera  (seda)  seta,  areu  [ereu)  erede,  creo  credo,  seti 
sebo-,  dee  debeo.  E  invece  e  piuttosto  aperta,  nell' -es  =  -ens:  meza 
mensa,  mes,  pes,  pres  ;  ma  pais,  cui  s'aggiunge,  per  ce  in  '"ci,  il  solito 
63.  raJiim  racemo,  prav.  razim  -.  —  6.  -Erio  -éria  :  fira  mercato, 
munasti  [ìnonastir).  —  7.  Breve,  non  rompe  mai  in  dittongo,  e  si 
continua  normalmente  per  e:  fel,  gel  [il  volgo  preferisce  garada  ge- 
lata], ni^l,  d_u  decem,  p'2u  pede-,  sni  sedit  (di  contro  a  seu  sego,  n.  5). 
Ma  se  finale,  per  dileguo  di  N,  suona  piuttosto  chiusa:  be  bene,  te 
tenet,  ve  veuit  ;  e  cosi  in  ansems  [sems  ensemble)  insieme,  deu  deo-, 
meu  meo-,  era  eram  -t,  nec  nego,  prec  precor.  —  Qui  pure  qualche 
caso  di  i'.  ahir  -beri,  Ijic  Ijigis  lego  -is,  sic  sequor,  carira  [cadira)  ca- 
thedra. —  ERIO:  masté  [menestér).  —  8.  In  posizione,  latina  o  re- 
manza, dà  e  piuttosto  aperta:  anelj^  belj,  pelj,  varema  (verema)  vin- 
demia  (-émia),  mega  [mege)  medico,  velj  vetulo-,  newra  nebula,  terra, 
inveln  (ivern),  pressa/ì  (pressec)  persico,  pelt  (peri)  perdit,  elba  [erb], 
festa,  sei  septem,  Ijebra  lepore-.  —  8'^.  Ma  se  il  primo  elemento  del 
nesso  è  una  nasale,  viene  ad  e:  geni,  meni,  punent  (ponent),  salpenta 
(serpent),  veni,  ventra  (ventre),  satembra  [setembre),  tems  tens  (temps), 
sempra  [sempre),  prenc  prehendo  (ali.  a  pres  n.  5),  vene  vendo,  tendra 


^  Notevoli,  tra  le  voci  che  aggiunge  il  Morosi,  1.  e,  n.  1:  guljé  agorajo, 
aqér  acciajo,  gutera  grondaja,  caqera  caccia,  tna&sera  messe,  pirera  pero, 
dona  finestrera  donna  che  sta  sempre  alla  lìnestra. 

*  L'  6  di  frasìijtu  frastuma  blaspherao  blasphemia  (sardo  frastima  frasti- 
mare)  dipenderà  da  qualche  forma  coli'  o  protonico  {* frastuma). 


Il  catalano  d'Alghero:  Spogli  fonelici.  335 

ufenclra  [tenir  oféndrer)  tenere  offendere  ;  ma  gmdra  {gendré)  genero. 
—  9.  Esempj  con  Vi,  per  manifesto  effetto  della  qualità  del  nesso  o  del 
suo  esito,  sono:  Une,  ma  anche  tenc^  teneo,  vino  venie,  mie  miga  medio 
-a;  cris  cresco,  is  [isc,  ma  nel  barcell.  iso  ises  is)  exeo,  tis  texo;  sis 
sex;  cfr.  n,  94. 

I.  10.  Lungo,  intatto:  vil^  carni  cammino,  vi  vino,  riu,  hisul  (pesol) 
pisulo-,  amie,  figa  fico,  nia  nido,  vira  [vida],  ascric  (eseric)  scribo.  — 
11.  Breve  dà  e  piuttosto  stretta:  pel,  pera  piro-,  neu  nive-,  fem  fimo, 
pega  pice-,  frec  frico,  plec  plico,  astrega  striga,  set  sete,  fé  fide,  veu 
videt.  Ma  anche  i,  per  effetto  del  suono  attiguo:  fe'm  iimés  (temo),  si 
sino,  IJic  ligo;  senza  dire  di  dit  digito-  e  astil  [estil)  stilo-.  —  12.  In 
posizione,  latina  o  romanza,  dà  e:  gelja,  maravelja,  anvega  [envega] 
invidia,  cabelj,  eìj  -a  ilio  -a,  parelj  coppia,  urelja,  uvelja  (ovelja)  ovic'la, 
fehn  fremu  (ferm),  velt  [veri),  verga  [verge)  virgine-,  pes  pesce, 
achest  -a  eccu'ist-,  achés  -a  eecu'ips-,  matès  -a  *met'ips-,  Ijetra,  preba 
[pehré)  pipere-,  beiira  [beurer)  bibere;  e  qui  porremo  anche  net  nitido- 
e  fret  frigide-.  —  1 Z''.  Ma  analogamente  al  n.  8'':  dumenga,  Ijengua 
e  più  e  mune  Ijenga  [Ijengua,  barcell.  Ijenga),  trenta,  entr  intro.;  ma 
gmdra  (".nere-.  —  13.  È  qui  pure  Vi  nei  seguenti  esempj  [l  ecc.):  /ilj 
fìlio-,  ìnil,  ginc,  cuint,  vint,  Ijibra  [Ijibre]  libro,  Ijiura  libra,  Ijiri  lilio-, 
batisma  [batisme),  bisba  [bisbe)  episcopo,  e  il  sardeggiante  izura  [isla) 
insula.  —  14.  Uu,  che  proviene  dalle  voci  non  accentate  sulla  prima 
è  pur  qui  in  umpr  impleo,  inf.  umpri  (barcell.  omple  implet),  unfr  inflo, 
inf.  unfrà  [inflar  unfiar],  cfr.  sardo  log.  umpire  unfiare,  mer.  umpriri 
unfldi. 

0.  15.  Lungo,  dà  o  schietto  nella  continuazione  di  -ORE;  aniór^, 
curar  [color),  duxàr  [dolor],  ramòr  {rumor  remòr),  unòr  [onòr  onra), 
pastòr,  cagaròr  [cassadòr),  miljór,  pigór;  e  similmente  in  quella  di 
-ONE  :  agio,  IJaó  (IJeó)  leone,  multò  [molto]  montone,  rahò  ratione-, 
tiò  titione-.  Ma  al  fem.  e  al  pi.,  o:  la  cagarora,  la  pastora,  magargra 
*messatora  mietitrice,  rantarora  [rentadora)  *recentatora  lavandaja, 
lus  ramQrs,  lus  tions.  —  16.  Piuttosto  chiuso  è  Vo  anche  in  sol  sole- 
e  solo-,  ora,  com  coma  quomodo,  poma,  nabót  nabora,  tot,  pi.  iQts; 
addirittura  u  in  nu  nodo,  cui  si  può  aggiungere  aia  coda.  Invece  è 
p,  in  fror  [fior],  pror  [plor)  ploro-.  —  17.  L'ó  di  -omo,  quando  Vi 
rimane,  si  continua  per  o:  aspuzQn  [espozaljas)  sponsorio-,  drumitgri 
[dormitori);  ma  se  cade  pur  Vi,  si  continua  per  o:  mucar^  [mocadòr]. 


^  Tace,  di  regola,  il  r  di  -or;  v.  n,  6S. 
^  Di  veu  vox,  V.  al  n.  92. 


336  Guarncrio, 

fr.  mouchoir,  ì^aso;  fem.  astizgra  tizQra  [estizora)  "-ex-tonsoria  forbice, 
mangargra  {meng adora).  —  18.  Breve,  si  continua  per  o  piuttosto 
aperto:  ascora  {escola),  voi  *volet,  cor,  mori  moritur  (ali.  a  muir  mo- 
rior,  muira  moriar),  foras  [fora;  cfr.  sardo  foras),  hou,  non  novo-  e 
novem,  moc  raoveo,  bo  bona,  so  suono,  orna  [om  ome),  foc,  IJoc,  goc 
il  giuoco,  groc  gloc  [groc)  croco-  giallo,  eoe  coura  {courer)  coquo  co- 
quere,  poi  potest,  rora  (roda),  popul,  prop;  e  qui  pure  passi  prou 
proura  (plou  plourer)  piove  -ere,  dove  è  d  volgare.  Schietto  o  nella 
serie  fdjól  (usato  solo  per  figlioccio),  guriól  {guliòl)  quasi  'juliólo' 
luglio,  Ijibeóol  leggero  libeccio,  IJangól  {IJengól),  pindl  nocciolo,  osso 
dei  frutti;  e  d'importazione  sarda  algora  areola,  v.  num.  41,  càbiról 
capriuolo.  —  19.  È  t^  nelle  voci  verbali  come  ^mc  jocor,  puc  possum; 
in  pruga  [plugo)  pioggia,  oltre  che  in  buit  [vuit)  *vocito  vuoto,  Arch. 
IV  370-71,  dove  non  porta  più  l'accento  (cfr.  muir  muira  al  n.  18). 

—  20.  In  posizione,  latina  o  romanza:  dohn  dromi  [dormo  dorm 
dormio  -it),  polo  [porc\  molt  (mort)  morte  e  morto,  polla  [porta),  colda 
{corda),  olda  [orde)  ordine,  oidi  [ordì)  hordeo-,  eos  corpo,  la  son  somno-, 
lu  somiu  [somni)  somnio-,  sogra  [sogre)  socer.  —  20''.  E  anche  qui: 
frgnt,  cgnt  [conte  compie)  computo,  cgntra,  raspgn  [respón)  respondet, 
aspgnga  [esponga)  spongia,  in  analogia  ai  num.  8^  IS'';  IJun  longe 
[volgarm.  più  usato  aljunt],  come  nell'it.;  e  si  aggiungono  adamuni 
*ad  montem'  sopra,  mussic  [ìnossec  morsico,  mossegar  morsicare),  idj 
oculo-,  culj  colgo,  vidj  volo  [vols  voi  n.  18),  fulj  foglio,  vuj  avùj  hodie. 

—  Cfr.  n.  94. 

II.  21.  Lungo,  inalterato:  ascùr  [escur)  scuro,  dur,  gur,  mur, 
pur,  fus  il  fuso,  ìjuna,  u  uno,  /km,  Ijum,  pruma  proma  [ploma),  asùc 
exuco,  m.ut,  ascùt  [escùt)  scudo,  nu  nudo.  —  22.  Bre^ve,  si  rende  per 
o  piuttosto  chiuso:  gora  [gola),  gova  [gove)  juvene-,  Ijop  lupo;  ma 
ngu  noce  [creu  croce  v.  92),  pou  puteo-.  —  gu  jugo-  è  dal  sardo  mer. 
(cat.  gou).  —  23.  Breve  in  posizione,  si  continua  di  solito  per  g: 
fanglj  [fenolj  fonolj),  pglj  peduclo-,  ganglj  [genolj),  sgfra  [sofre]  sul- 
phur,  pgls  polso  ^,  ali.  a  pois  pulvis,  dgg  dglg,  ascglt  (escolt),  sangrgt 
[singlot)  singulto,  sglt  [sort)  sordo,  tgs,  aggst,  valggna  {vergono),  gnga, 
sgnga  exsungia,  agni  gnt  ab-unde,  m,gn,  gna  unda  [volgarm.  unara], 
rudd  rudgna  [rodò  -ona)  rotondo,  prgm  [plgm)  piombo,  bgca,  rgt  rutto, 
ggia,  sgta,  dgbra  [dobla),  co  zar  [colse)  cubito  118''.  —  24.  Intatto  u 


^  Volgarm.  btdcu,_  donde  bulconi  pugno,  che  sono  del  sardo  mer.  Il  Morosi, 
].  e,  n.  25,  registra  so  fra  x>ols  e  parecchie  delle  voci  che  seguono,  con  o 
schietto;  ma  dalle  mie  note,  prese  alla  viva  parlata,  risultano  con  o. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Spogli  fonetici.  337 

nella  posizione,  oltre  che  negli  esempj  dove  u  è  'necessario',  perchè 
proveniente  da  u  [gust,  guga  [guge]  judice-,  guTi^  puga  pulce,  coi 
([uali  non  sarà  scorretto  mandare:  agulja,  cult  (curi)  e  fuc  fugio], 
anche  in  alcuni  altri,  dove  Vu  è  specifico:  curpa  {culpa),  culsa  (curs), 
punt,  ungra  (ungla). 

Y.  25.  In  quanto  si  continui  conae  I:  amella  mella  amygdala, 
pape  [papér),  gius  gesso;  -  in  quanto  si  continui  come  U:  tros  thyrso-, 
hgssa  byrsa,  gruta,  multa  (murtra;  sp.  e  srd.  murta)  myrto-. 

Dittonghi.  26.  JE.,  (E:  gel,  gena  (cat.  ant.  id.),  secul  [sede],  gegu, 
feu  foedo-  (cat.  ant.  id.);  cfr.  n.  2.  —  27.  Al:  Ijec  laico;  e  per  AI  se- 
condario, oltre  gli  es.  del  n.  2:  mestra  [mestre]  magistro-.  —  28.  AU: 
col  caule-,  or,  Ijor  lauro,  irasòr  [tresòr),  cosa,  poc,  o,  pobra  proba 
[póbre)  povero;  -  tran  (tor)  è  voce  del  sardo  log.  Per  AU  secondario: 
cQga  calcio  n.  55;  intatto  in  paraura  parabola  e  simili  del  118. 

Vocali   atone. 

A.  29.  È  la  sola  ben  salda;  e  piacerà  vedere  fasd  [fasar]  ali.  a 
fes,  hazd  [bazar)  ali.  a  bes  ecc.  -  In  u,  per  la  labiale  cui  sussegue: 
niusti  (masti). 

E.  30.  Protonica  diventa  a,  ed  è  fenomeno  caratteristico,  cfr. 
§  Y;  innumerevoli  gli  es.  già  veduti:  areu  5,  fabré  3,  ganglj  23,  IJaó 
nabòt  nabora  16,  rantargra  15,  rasp^n  20^,  salpenta,  trasór,  vare  5, 
varema  8,  ecc.;  e  così  nella  flessione,  per  il  tramutarsi  dell'accento: 
bec  beus  beu  bajòm  bajéu  bèun  bevo  bevi  ecc.  Così  nella  prostesi  : 
ascara  1,  ascric  10,  aspgnga  20'',  aspuzori  17,  ascùr  ascici  21  ecc. 
E  nelle  voci  pronominali,  proclitiche  e  pure  enclitiche:  com  ta  diu 
(com  te  diu)  come  ti  dice,  no  ma  dol  (me),  sa  cren  (se)  si  crede,  di- 
sama (désaìne)  lasciami.  Nei  prefissi:  dama  (demo)  dimane,  damano, 
(demanar)  domandare,  dasbuird  (desbotar),  cfr.  buit  19,  dascubri  (de- 
scobrir),  dasfé  (desfer),  dascuzi  (descuzir),  astizgra  17,  ecc.  —  31.  Al- 
l' uscita,  abbiamo  già  veduto:  mega  8,  gmdra  8^,  batisma  bisba  Ijibra 
13,  preba  12,  orna  18,  gova  22,  guga  24,  mestra  27,  ecc.,  cui  aggiun- 
giamo: para  (pare),  mara  (ìiiare),  frara  (frare).  Pera  (Pere)  Pietro, 
Ijadra  (IJadre);  nell'inf.  in  -ere:  essar  (esser),  cunésar  (coneser),  ndsar 
(naser);  beura  12,  coura  18,  caura  (caurer)  cadere,  creura  (creurer)  cre- 
dere, deura  (deurer)  debere,  proura  (plourer)  pluvere,  treura  (treurer) 
trahere;  antendra  vendra  ufendra  S''.  —  32.  In  i  dinanzi  a  vocali,  o 
per  particolari  ragioni  della  consonante  cui  segue  (g  =  e)  o  precede 
[Ij,  ng,  s,7i):  criatura,  istiu  aestivo-  estate  (cfr.  sassar.  istiu,  sp.  estio)'^ 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  22 


338  Guariierio, 

gilera  {girerà)  ciliegia;  miljór  pigór  15,  tinghé  vingliè  3®  pers.  perf. 
antiquate  di  trenda  vani  [tenir  venir),  di  cui  già  vedemmo  la  1^  pers. 
ind.  Une  vino  9,  esempj  questi  comuni  al  cat.;  ma  l'algh.  ha  inoltre: 
crisi  {creser),  isi  (esir),  tisi  [tesir)  cfr.  n.  9,  tisirò  [tesidòr)  tessitore, 
tiTii  (tenir)  tingere.  —  32^.  In  te  accanto  a  lab.  numuru  (numero); 
cfr.  il  cat.  fonolj  e  il  n.  5  n,  e  Muss.  p.  9,  n.  9. 

I.  33.  Intatto  o  ripristinato  dinanzi  a  vocale:  cristid,  chiét  (quiet), 
diàbra  (diable),  diacra  (diaca)  diacono,  niara  (niada)  nidiata,  siurét 
siuretd  (siular)  sibilare,  viaga  (viage),  viura  (viùda)  vidua;  dient  rijent 
dicendo  ridendo;  -  e  similmente  per  altra  vocale  o  cons.  pai.  attigue: 
calnigè  vinate  3,  Ijisiu  (IJesiii)  lisciva,  ecc.  *  —  34.  Per  la  via  di  e, 
viene  ad  a  (cfr.  n.  30)  :  anvéga  12,  angan  angand  (engaTi),  ansems  1, 
antér  (entér),  manasté  mas  té  (menestér)  ministeri  o-,  nel  modo  'far  di 
mestieri',  manut  (menùt),  vagada  (vegada)  fiata,  bagùt  (hegùt)  bevuto, 
sangròt  23,  IJanggl  18,  pressac  8  .^  —  35.  Isolati  i  casi  di  I  in  u:  unfrd 
unfr,  umpri  umpr,  e  già  se  ne  toccava  nelle  toniche,  n.  14.  In  bastu- 
naga  (pastinaga,  bare,  pastanaga)  è  influenza  di  bastone,  per  via  della 
forma  delle  'pastinaca',  come  nel  sardo  fustinaga  è  influsso  di  fuste, 
cfr.  Arch.  IX  178.    . 

0.  36.  Si  riflette  normalmente  per  u,  ed  è  pure  fenomeno  carat- 
teristico, cfr,  §  V  :  nutari  4,  mimerà  5,  mimasti  6,  punent  ufendra  8^, 
curòr  52,  multò  15,  drumitoH  17,  rudg  23,  cimésar  31,  ecc.  Ma  no- 
rania  nonaginta;  e  falnés  fornisco. 

U.  37.  Intatto.  Esempio  isolato  e  di  molto  larga  ragione:  ramar y 
pi.  ramóls,  n.  15. 

Dittonghi.  38.  AU:  ascglt,  agpst;  in  urelja  (oreìja)  è  la  digra- 
dazione au  o  u,  num.  28  e  36.  —  fiE.  in  i:  dim,oni,  istiu  32. 

Consonanti  continue. 

J.  39.  J-  e  -J  in  ^:  gané  3,  guTi,  gur,  guriol  18,  guga  24,  gust, 
gova  22;  digous  jovis  dies;  dagù  digiuno,  inagòr  (e  tnac  con  la  sorda, 
perchè  all'uscita),  pigòr.  —  40.  LJ:  taljà  (taljar),  muljé  (muljér),  mi- 


*  In  vinagra  (vinagre)  e  simili,  si  mantiene  l' i  delle  voci  iù  cui  è  tonico  ; 
e  in  quest'occasione  si  voglian  gai  tollerare  i  giorni  della  settimana:  di- 
Ijuns,  dimais  (dimars),  dimecras  (dimeeres),  digous,  divendra  (divendres), 
dissala  (dissapte). 

2  Qualche  es.  di  1  in  a  pur  nel  cat.  lett,  :  maraveJja  12,  garhelj  cribello> 
cfr.  it.  ant,  garhello,  Caix  st.  et.  106. 


Il  catalano  d'Alghero:  Spogli  fonetici.  339 

Ijór,  papaljó  papilione-,  alj,  palja,  gelja  12,  cunselj  (conselj),  maravelja, 
filj  fìlja  fìljól,  familja\  fulj  fulja  20^.  —  41.  RJ:  cfr.  n.  3  6  7  17.  - 
Alla  ragione  del  sardo  mer.  ci  riconducono  per  quanto  è  del  ^:  algora 
18,  Ijigarolga  ^ligatoria,  edera,  oltre  gli  es.  del  n.  4;  —  orri  horreum, 
granajo,  è  dal  sardo  mer.  orriu.  —  42.  NJ:  ban,  campana,  castana, 
cumpan  cwnpaTió,  guaran,  muntaTia  [montana],  vina  vinate,  gun, 
valgona  (ndj).  —  Anche  qui  la  serie  col  g  proviene  dal  sardo  mer.: 
astrangu  [estran]  extraneo-,  carcangu  [calcano],  angoni  [àhelj]  *agnone. 

—  43.  MJ:  frastuma  5  n,  varema  8.  —  44.  SJ  riesce  a  z'.  caìniza 
camisia,  caz  caseo-  [non  si  usa  se  non  in  caz  cavalj,  cacio  cavallo], 
bes  bazd  bacio  -are,  bas,  pi.  lus  bazus  {bes  bezos],  prazó  {prezó]  pre- 
liensione-;  -  non  popolare:  igresia  [iglesia]  ecclesia.  —  45.  TJ  ;  in 
protonica,  preceduta  la  formola  da  altra  cons.:  agio,  cangó,  IJangol; 
non  preceduta  da  altra  cons.:  rahó,  ito;  in  postonica:  folga  (forga), 
praga  [plaga],  m,alg  [mars],  vigi,  cagh  caga  cagavo  (ptj).  All'uscita: 
parau  [palau]  palatio-,  2'^ì^6'ì^  pretio-,  pou  puteo-,  dove  l'w  par  corri- 
spondere a  -g,  cfr,  92  (e  Arch.  X  101  sgg.).  —  46.  CJ:  fagi  faciat, 
carga  [calga],  cpga  55,  managa  [am^enaga],  vinaga  vinacea,  miga,  brag. 

—  47.  DJ  in  g,  e  e  all'uscita,  cfr.  123:  anvega  12,  vec  vegi  video 
-eam  (degli  analogici  vaé  vado,  ecc.,  v.  il  'verbo'),  abió  abigd  ad  video, 
clasió  dasigd  [desiò  desigar],  Diez  less.  s.  disio,  mie  miga  medio-  a, 
tramuga,  aguTii  [aguntar]  adj  ungere,  agùt  agurd  [aguda  -ar].  L'uscita 
fa  j,  in  raj  e  sardescamente  rajii  [rac]  radio-,  raméj  [remej],  vuj  avùj 
20''.  Circa  odi  e  oidi  [ordi],  v.  Arch.  I  359.  Non  assimilati:  diabra  e 
diacra  33.  —  48.  VJ,  BJ:  gabia,  rabia,  rgbia  [rubia  roga],  sarvia 
[salvia]  ;  ma  agi  habeam,  roc  roga  rubeo-  -a,  pruga  [plugo]  pluvia. 

—  49.  PJ  intatto:  apiu,  sipia;  -  pica  è  il  sardo  piccone. 

L.  50.  L-  costantemente  IJ:  Ijalc  [Ijarc],  Ijana,  IJec  27,  Ijet  lacte-, 
Ijatuga,  Ijadra,  Ijaò,  Ijit  letto,  Ijej  lege-,  Ijió  Ijigis  ^,  Ijebra  8,  Ijiri  13, 
Iji  lino,  Ijic  Ijigarolga  41,  Ijangcl  18,  Ijetra,  IJiura  13,  IJoc,  Ijop, 
Ijuna,  Ijum,  Ijor  28;  e  qui  pure  diljuns  dies  lunae.  Sono  d'importa- 
zione sarda  Idndel  laudar  [agld  glanér]  ghianda  -eto,  59'^.  —  51.  "L-, 
ridotto  finale  si  regge  bene:  dirdl,  nardi  [naddl],  sai,  gel,  fel,  gol,  md, 
pel,  asili,  vii,  col,  fdjcl,  guriól,  piTicl,  sol,  voi,  secicl,  bisul,  pópul  ecc. 
È  r  in  cuiri  (sardo  cuile)  covile  e  vagar  regalo.  —  52.  All'  incontro 


•  ^  Nel  testi  vivi:  famiria,  e  cosi  mina  miibiria\  cfr.  n.  S2. 
*  Morosi,  1.  e,  n.  46,  nota  che  Ij  davanti  ad  i  è  cosi  debole,  da  ridursi 
talvolta  a  j,  e  p.  e.  nel  riflesso  di  'lego  legis'  suona  propriamente  j'tó -jzV/i'*" 
piuttosto  che  Ijic  Ij'xjis. 


840  Guarnerio, 

-L-,  che  non  è  ridotto  finale,  passa  in  r:  vurd  [volar],  tare  (telér),  vuré 
ali.  a  vxilghò  (voler),  carantura  [caleniura]  febbre,  burét  boleto,  muri 
murinalgu  [moli  molinér),  curar  [color],  durar  (dolor],  ara  [ala],  ascara, 
tera,  vira  [vila]  villa,  vira  de  l'Alghe  città  d'Alghero,  flra  [fila],  firgsa 
[filosa)  connocchia,  ori  [oli],  Arch.  I  359,  Ijiri  lilio-,  sora  sola  e  suola, 
gora,  parau  45,  paraxira  28  ecc.  ;  e  i  sardismi  :  inèrura  [rnerlòt),  ^nurendu 
molente,  asino  da  mola,  izura.  Il  fenomeno  deve  dipendere  dall'attiguo 
sassarese,  dove  -L-,  e  anche  L-,  è  costantemente  r  in  bocca  del  volgo, 
e  in  ispecie  dei  'zappadori',  cioè  dei  contadini  di  Sassari,  che  dicono: 
ra  filjora  la  figliuola,  firn  filo,  laura  tavola,  ra  runa  e  ru  sori  la  luna 
e  il  sole,  ecc.  (cfr.  le  mie  'Novelle  pop.  sarde'  nell'Are/?,  trad.  pop. 
del  1883).  —  53.  LL  sempre  Ij:  capaljd  [capeljd]  cappellano,  galjina, 
ampolja,  cavalj,  galj,  trabalj,  valj,  anelj,  helj  ~a,  castelj,  cahelj,  elj 
-a,  acJielj  -a,  garbelj  Sin, polj a pulj astra,  ecc.  ^  —  54.  L  +  cons.:  aitar, 
sapultura  [sepultura]  alt,  ascglt,  pois  23,  ecc.;  i  pi.  lus  animals  cavals 
fils  uls  ecc..  —  54''.  Ma  è  r  nelle  formole  LC  LG  LP  LV:  carcangu 
[calcarlo),  carchiu  [qualcun),  carga  dascarg  [colga  descalg),  curpa  [culpa), 
arhra  abra  [arbre],  sarvia  [salvia);  cfr,  n.  52.  —  55.  Esempio  d'p  •= 
au[l]  =  AL-  è  in  cgga  calcio  ^;  col  quale  s'accompagnano  abbastanza 
facilmente:  cop  colpo,  pop  polipo,  sgfra  [sofre)  solfo,  dgg  dgga  (dolg), 
puga  [pussa]  pulce;  ma  non  così:  pam  palmo,  sam  [salm]^.  Per  sou 
soldo,  ci  complichiamo  col  n.  109;  e  resta  che  qui  si  raccolga:  vaivelt 
Valverde  (v.  p.  330).  —  56.  Casi  inversi  (Arch.  I  157),  e  cioè  di  l 
che  si  produce  da  u,  sono:  dehna  [delme]  decima,  cfr.  deu  decem  92; 
marart  [inalali]  *marauto  malato;  algua  [aigua]  ^augua  aqua,  cale 
[caie)  *cauc  cado  (cfr.  caus  cau,  cadis  -it). 

L  implicato.  57.  CL-  resiste,  tranne  che  riduce  l  a  r,  quando 
la  parola  non  contenga  un  altro  r:  dar,  crau  [clau]  clave  e  clave, 
ascrau  [esclau]  schiavo,  cloura  [clourer]  chiudere,  clos  luogo  chiuso; 
ma  IJoca  chioccia,  cfr.  sp.  clueca  llueca.  E  così  a  formola  interna, 
preceduta  da  cons.  :  amascrd  mescra  [tnesclar  mescla)  mescolare  -anza, 
masera  [mascle]  maschio.  —  58.  -CL-  si  riduce  a  IJ:  miralj  specchio, 
abelja  belja  apicula,  euljera,  parelj  12,  balmelj  vai.  [bermelj]  vermiglio, 
urelja,  uvelja,  parilj  [perilj],  umbrilj  e  Ijombrigul  umbiliculo,  astrilja 


^  mil,  pi.  mils,  è  pur  del  cat.  com.;  e  vira  {mia)  esce  dalle  ragioni  del 
LL  pur  nel  cat.  com. 

^  La  fase  dell'ai  è  in  paupera  taup  taupa  del  cat.  com.,  ali.  a  palpebra 
talp  talpa. 

'  Il  Morosi,  num.  50,  pone  senz'altro  *saum  ecc. 


Il  catalano  d'Alghero  :  Spogli  fonetici.  341 

[estrìgol  estrigoladora]  striglia,  fannlj^  ganolj^  PQlJy  'ì-^IJ  uljeras,  agulja\ 
e  qui  rivengono  (CL  da  tl)  ancora:  velj^  e  il  bellissimo  palpelja  =  pai  pa- 
lla, cfr.  hvesc. 'palpeéa  ecc.,  Asc.  St.  cr.  II  35-6;  ma  aspalla  (espatlla) 
spatula.  In  IJantia  [IJentilja]  lenticula,  è  dissimilazione.  —  58''.  Di  prove- 
nienza sarda:  cobu  *clopo  laccio  (sass.  gobu)  Arch.  II  5;  tolcii  {torcul) 
torchio  (sass.  tolcu);  cuce  cucca  succhio  -lare  (srd.  mar.  succu  sucódi), 
con  l'assimilaz.  di  s-  in  e-;  e  hijii  vitulo-  (log.  biju).  —  59.  "GL: 
gingra  {gingia)  cinghia,  ungra  [imgla)  unghia,  sangròt  23;  ma  -G'L-: 
velia  valla  [vetllar]  vigilia  -lare,  e  insieme  (gl  da  dl):  amella  mella 
*amigla  amygd'la.  —  59*^.  Sono  accattate  dal  sardo:  Idndel  landdr 
50  (srd.  mer.  Idndiri  laudari),  angùr  auguri  [englutir),  srd.  mer.  in- 
gurtiri.  —  60.  BL:  brano  [blanc),  brau  {blau)  bleu;  diabra  (diable), 
umbrilj  58;  e  colla  metatesi:  ulvird  [olvidar;  sp.  id.)  *oblitare.  Dal 
sardo:  frastóm  frastuma  5  n.  —  61.  PL-:  praga,  prand  (planegar) 
piallare,  pranta  {pianta),  prajé  [plalier  pler)  il  piacere,  praga  {plaga), 
prat  {plat),  pre  prend  pranara  plen-,  prec  precor  (ma  p/ec  plico),  prom 
{pioni),  pror  {plor),  prou  pruga,  proma  {ploma),  ecc.  Interno  dietro 
a  cons.:  raspraneva  risplendeva,  tiynpr  mnpri  14,  cumpri  {co?nplir); 
dietro  a  vocale:  ascolj  {escolj)  scopulo,  ma  dgbra  (doble)  doppio.  — 
62.  FL:  frama  {/lama),  froc  {fioc)  fiocco,  fror  {fior),  fros  [flus)  floscio 
[cutó  fros  bambagia]  ;  unfr  unfrd  14. 

R.  63.  'R"  intatto:  arena,  areu  5,  tnarit,  muri  {morir);  gilera 
{girerà)  32;  ma  R-  passa  in  l:  IJalc  {IJarc),  galdi  (gardi),  galt  {cari), 
malcdt  malcant  {mercdt  mercant),  malg  {v)iars),  inveln  {ivern),  galvelj 
(gervelj),  daselt  (desert) ,  colda  (corda),  dolm  (dormo)  ecc.';  asutols 
Hampi  di  siccità',  dal  sardo  asuttore.  S'aggiungerà  la  spinta  dissimi- 
lativa  in  frols,  pi.  di  fior,  urols  di  uro  (odor);  e  qui  ritornano:  algora 
18,  Ijigarolga  41,  crabalgu  frairalga  4.^  —  64.  Dilegua  in  abra  (arbre), 
m/xbra  (m.arbre),  dimecras  (diinecres)  mercoledì,  per  evitare  la  triplice 
consonanza,  in  cui  era  un  altro  r,  e  cosi  in  sastra  (sastre)  sarc'tor; 
senza  dire  di  gurigd  (girurgd;  e  nei  nostri  testi  a  stampa,  p.  293:  so- 
lurgians)  *cirurgiano.  —  65.  Suol  tacere  il  -E,  negli  inf.  in  -dr  -èr 
-ir:  amd  (amar),  sabé  (sabér),  isi  (esir);  nei  sostantivi  in  -ér  -ór: 
gané  (ganér),  prime  (primér),  manasté  (tnenestér),  cagare  (cagadòr)^ 
curò  (color),  durò  (dolor),  ecc.  ^   Più  saldo  é  in  altre  uscite:  urivdr 


^  Nei  testi  vivi  :  bulldt  burlai  ;  palament  parlament. 
'  Anche  tra  vocali:  midiva  per  muriva;   cui  sia  lecito   qui  aggiungere 
puliva  per  puriva  n.  104. 

*  Non  mi  risulta  esatta  l'affermazione  del  Morosi,  num.  58,  che  il  -r  non 


342  Guarnerio, 

aitar,  dar,  air,  ascùr,  gur,  mur  ecc.  Nell'inf.  può  tacere  pur  nella 
combinazioae  col  pron.  enclit.:  aspukalu  (aspuzarlu),  vistila  (vistirla) 
e  simili.  E  -R  in  l  per  dissimilazione:  Ijugél  {Ijeugér)  leggiero,  mere- 
siról  meritevole.  —  66.  RS  in  ss:  hgssa  25,  niussic  morsico,  coi  quali 
va  pur  cos  corpus.  Metatesi  in  pressac  persico,  tros  tyrso.  —  67.  RN, 
secondo  il  num.  63:  caln  (cairn),  foln  fulnera  {forn  fornér),  falnés  S6; 
Dal  sardo:  corni  (corn).  All'uscita  può  tacere  il  n:  cai  infél  inveì  fol. 

V.  68.  Iniziale,  di  solito  intatto:  vaca  vare  varema,  ecc.;  di  rado 
in  h:  halmelj  (bermelj)  vermiglio,  buit  {vuit)  vuoto.  Provengono  dal 
sardo:  biju  SS*",  abió  abigà  Al,  dasbuirà  30.  —  69.  ^V-:  paó  pavone, 
por  pavore.  —  70.  -V  si  vocalizza:  crau  ascrau  57,  nau,  greu,  istiu 
32,  ì'iu,  viu,  Ijis'm  33,  bou,  mou  movet,  nou,  ou. 

S.  71.  Nessuna  alterazione  da  notare  circa  S  iniz.  med.  e  fin. 
(cfr.  n.  134).  —  Della  prostesi  per  S  +  cons.,  v.  il  n.  30.  —  72.  -SS- 
in  /  (cfr.  96):  bas  adabàs  gres  ali.  a  gi^as,  come  essar  (esser),  tgs.  — 
73.  Lo  se  di  SCE  sci  dà  s:  nas  ndsar  (^naser),  pes,  fasa  fes  fasd, 
cunésar  (coneser),  cnsi  (creser).  — •  74.  ST  sempre  intatto:  achesi, 
festa,  aggst,  gust,  castelj,  castana,  postar  ecc.;  e  colla  nota  epentesi 
astrelja  {estrelja,  ma  estel),  cui  si  aggiunge  IJestr  (Ijest))  dal  sardo 
com.  lestru. 

N.  75.  Iniz.  e  med.  intatto:  nau  nec  net,  ecc.;  IJana  arena  ànara 
(anec  anac,  quasi  da  'anica')  anata,  ecc.  —  76.  N'M  e  N...M  di  fase 
anteriore  si  dissimilano  in  Im  e  r-m:  vilma  {yimen  vini)  *vinme  vi- 
mine, varéma  (verema)  *vinéma  vindemia.  Di  più  larga  ragion  dia- 
lettale son  le  dissimilazioni  di  noranta,  vare  {veri;  vertano  sp.,  barcell, 
Vereno).  E  qui  stia  ancora  diacra  (^diaea)  diacono,  ali.  a  cofa  cova  (cofre) 
cophino.  —  77.  Diventato  finale,  cade:  capaljd  (pi.  capaljans),  gurigà, 
galmà,  '>na,  pa,  sa,  be,  te,  ve,  carni,  bo,  paò,  asparó  [esperò]  sperone, 
agio,  tió  ecc.;  -INE,  -ENE  si  riducono  di  regola  ad  a:  marga  {marge), 
verga  (verge),  gova  (gove),  orna  (oìne),  olda  (orde).  Per  lendine- 
si  aspetterebbe  IJena,  ed  è  all'  incontro  IJema  {IJeìnana).  L'esito  di 
vimine  era  considerato  al  n.  76.  —  78.  NN:  a7i  aTiara  (aJiada) 
annata,  afaTi,  angan  inganno,  ratapiTiara  (ratapinada  o  penada)  ratto- 
pinnato,  caTiigu,  [caTiig]  graticcio,  con  la  desinenza  sarda  (mer.  can- 
nizzu).  —  79.  Similmente  da  -MN-:  daTi  damno;  ma  solito  però  lo  scem- 
piamento:  dona  domina,  son  sorano,  allato  a  somiu  sumid  somnio  -are. 
—  80.  NR :  gmdra,  divendra  die-veneris,  gmdra,  tendra  trenda  ecc. 


cada  se  non  'quando  non   sussegua   parola  incominciante  per  vocale'  ;  cfr. 
i  testi  rivi,  §  II,  C.  Non  cade  mai,  p.  e.,  in  amor,  unòr,  pastór  ecc. 


Il  catalano  d'Alghero:  Spogli  fonetici.  343 

—  81.  NS  dà  z,  e  all'uscita  s  (cfr.  123):  mes,  dos  mezus  due  mesi, 
tneza  mensa,  pes,  pres,  pais,  prazó,  aspuzori,  aatlzgra  *extonsoria; 
e  qui  stia  pure  cus  cuzi  cucire.  —  82.  ND  si  assimila  in  nn,  e  si 
scempia:  and  andare,  cumand  (comanar),  damand  [demanar),  varema 
cfr.  n.  76,  urinelja  {oreneta)  quasi  *hirundella  (cfr.  Muss.  p.  10,  n.  3),  gna 
unara  onda  -ata,  rudgna  rotonda,  valggna  (-ndj).  All'uscita  è  natural- 
mente più  saldo  il  N  daND,  che  non  lo  schietto  N  (num.  77):  gran  grande, 
raspgn  respondet,  mgn  mundo.  Nel  gerundio,  deve  essersi  avuto  -nt, 
ma  oggi  l'esplosiva  mal  si  sente:  antanen[t]  intendendo,  dienftj  dicendo, 
njenft]  ridendo,  ascrivùift]  scribendo;  e  col  pron.  enei.:  dienli  [dien- 
tli)  ecc.  ^  Similmente:  gn  agn  (ont  aont)  unde  ab-unde.  Non  assimilati: 
candera  {candela),  vandicd  {vendicar).  —  83.  NT  inalterato  a  formola 
interna:  ynuntaTia,  ma  pantéé  mi  pento,  antér,  Ijantia  58;  anterramols 
sepoltore,  ecc.  Ma  a  formola  uscente,  il  t  è  assai  debole  (cfr.  n.  82): 
anfan[t]  infante,  gen[t],  menft] ,  punenft] ,  adamunflj  20^;  e  i  pi.  suo- 
nano cuntens  dens  gens  ecc.  In  multò  {molto)  montone,  è  un  fenomeno 
che  va  molto  di  là  dai  confini  catalani. 

NI.  84.  Sola  alterazione  da  notare:  barena  harand  (id.)  merenda 
-are,  v.  Muss.  p.  14,  n.  5.  —  85.  MB  :  curgma  columba,  pargma  {pa- 
loma),  IJgm,  prgni  {ploìn);  ma  camba  {gamba);  MB'L:  umbrilj  58. 

Consonanti  esplosive. 

C.  86.  C-  av.  a  0  u:  cara  xapcc  cera,  caln  {carn),  cavalj,  ca  cane, 
carni,  cap,  cor,  curila  ecc.;  qualche  sonora:  galt  {cart),  gabia  cavea. 
—  87.  ~C-  in  g:  pagd,  bastunaga  35,  vagada  {vegada)  vicata,  fraga 
fricare,  asiigd  {esugar),  gegu,  sagùr  {segur),  aspiga  {espiga),  dighi 
dicam,  pega  pice-,  figa,  agulja,  liatuga  (cfr.  n.  90).  —  88.  All'uscita: 
IJec  prec  amie  die  frec  foc  IJoc  eoe  guc,  ecc.  —  89.  -TICO  -DICO 
-NICO  -Lieo  nello  sdrucciolo  :  viaga  {viage) ,  frumagu  {formagé), 
arega  {eregé)  eretico,  fega  {fege)  *fitico  fegato;  ìuega  {mege)  me- 
dico, guga  [guge)  judice^;  dumenga  {domenga),  canonga  {canonge) 


^  Poi  con  r  assimilaz.  progress.  :  dienni,  e  così  fenni  {fenili) ,  maganni 
■{magantli),  asparanna  (esperantla),  tnuienna  (muientla);  e  con  la  regress.: 
f emina  (fentma). 

*  Cfr.  Arch.  X  92  n.  —  Nella  grafia  del  cat.  coni.,  il  ^f  è  preceduto  da 
un  t,  che  forse  non  è  un  semplice  espediente  ortografico,  ma  6  legittima 
continuazione  della  esplosiva  dentale  che  era  nella  base.  L'algh.  ha  spiccata 
la  palatina,  come  fosse  doppia:  aregga  fegga  ecc. 


344  Guarnerio, 

canonico,  monga  {monr/o  -a)  monico  -a;  foga  fulica;  coi  quali  man- 
diamo anche  mango,  {mengar),  cfr.  Arch.  I  77  n.  -  Ma  si  discosta 
da  questa  ragione  :  asculgd  ascolga  {escorsar  escorsa),  it.  'scorzare, 
scorza';  jìolóii  (porso),  portico,  sarà  poi  di  ragione  francese-spagnuola 
pel  cat.,  aggiun.i^endosi  per  l'algh.  uno  spruzzo  di  sardo;  cfr.  prov. 
porge,  sp.  porche,  srd.  mer.  porcu.  —  90.  Ritornano,  per  contro, 
al  n.  87:  màniga  (manega),  pressac  {pressec)  persico;  senza  dire  di 
carga  cargo,  [carrega  -àr),  mastio  mastigà,  mussic  mussigd  [ìnossegar], 
ascultagà  scorticare,  amburicà  *involicare,  onde  amburicós  menzo- 
gnero (emboUcar  -cós);  ascurigd  {escurar;  logud.  iscwigare);  ma 
aspurigà  sbucciare,  non  so  bene  dove  collocarlo.  —  91.  C-  dà  g:  gel, 
gelja,  galvelj  (gervelj),  geli  (peri),  gena,  gmdra,  geni  dogens,  geba  caepa, 
gilera  (girerà);  guitdt  (giutdt)  ci  vitate,  gurigd  (girurgd)  64.  E  così 
interno,  dietro  l  r  n:  cargina  (calgina),  dgg  dglg,  puga  (pussa)  pulce, 
polga  [polgé)  pollice,  sastra  sarcitore,  angenc  angés  angendra  {engenc 
enges  engendrer),  cungapi  (congebrer)  concipere,  cungai  (congedir), 
ginga  cimice.  —  91''.  Ma  D'C  dà  z:  gnza  undecim,  doza,  treza,  ca- 
forzo, chinza  (quinze),  seza  ecc.  —  92.  Anche  all'uscita,  in  qualche 
proparossitono  che  serba  Yi  mediano,  é  g:  carig  {calig  cdlger)  calice, 
sarig  {salig  sdlger)  salice;  ma  la  serie  specifica  per  -C,  è  quella  in  cui 
-e,  o  un  suo  succedaneo,  cede  il  posto  ad  un  u  (cfr.  n,  45  e  Arch.  X  101 
sgg.):  pau  pace-,  c^jm  decem,  paldiu  (perdili)  per  dice-,  giuì'ó  cicerone- 
cece,  veu  voce-,  nou  nuce-  creu  cTxxce-;  —  prau  praura  [plau  plaurer) 
placet  ecc.,  diu  diura  (diurer)  dicit  ecc.,  cous  cou  coura  (courer) 
cuoci  ecc.  —  93.  C  tra  vocali  non  dà  g,  se  non  in  voci  male  assimilate: 
maragina  (medigina)  S  suggait  suggai  [suggeit  suggeir)  succedere,  r agita 
ragd  (regitar).  Ma  le  evoluzioni  caratteristiche  ci  portano,  dall'un  canto, 
a  J  i,  assorbito,  per  coalescenza  di  vocali,  e  dall'altro  a,  h  (t=  p  =  ir  frc.) 
in  protonica  (cfr.  n.  45):  fer  fevan  fent  facere  faciebant  faciendo,  plet 
placito,  rent  rantd  (rentar)  recento,  cfr.  vantar  or  a  15,  vep  rébra  (re- 
brer)  recipio;  -  pro/'é  praJié^  (plahér  pler)  il  piacere,  rohim  racemo, 
vahi  vicino.  —  94.  CT  dà  jt  it,  con  le  solite  coalescenze  dell'  i,  salvo 
il  caso  che  questo  si  attragga  l'accento:  Ijet  lacte-,  fet  facto-,  tret 
tracto-,  IJit  il  letto,  pit  petto,  suspita  {sospita)  sospetto,  nit  notte  ;  cuit 
cotto,  cuitd  cuidaru  [cuytar;  ant.  sp.  coitar,  onde  il  srd.  com.  eoittare) 
*coctare,  far  presto,  fretta,  cfr.  Diez  less.  s.  v.,  vuit  vuitanta  octo 
octoginta,  fruit  fructu-.  Senza  traccia  del  e  :  dret  directo,  rgt  ructo. 


^  maizino.  Morosi,  nura.  75.  , 

^  Ma  nella  parlala  bassa:  praghé,  daspraghé,  come  nell'infinito,  v.  n.  ISl. 


Il  catalano  d'Alghero:  Spogli  fonetici.  345 

asùt  exsucto.  Dal  sardo  è  trota  (tncita)  trucia.  —  95.  CR  intatto: 
crec  credo,  crisi  crescere,  cristid,  creu  croce,  crii  crudo  ecc.;  con  la 
sonora:  gras  grasso,  grida,  magra  [magre],  vinagra  (vinagre),  sogra 
(sogre)  socer;  col  r  in  l:  gloc  (groc)  croco.  Sciogliesi  la  formola,  per 
metatesi,  in  garbelj  cribello-;  s'ottiene  per  ettlissi  in  cravelj  {clavelj) 
caryophillo-;  per  epentesi  in  ancruza  [enclusa]  incudine,  cfr.  prov. 
encluget.  —  96.  CS  dà  /:  sisanta  (sesanta),  is  isi  exeo  -ire,  tis  tisi 
[tesir],  bus  (bos),  casa,  fros  [flus],  Ijisiu  (IJesiu);  ex-  dinanzi  a  s  o  voc: 
asuc  asùt  asutols  exsuco  ecc.,  asóc  *exacquo;  ma  all'incontro:  ascolga, 
{escorsà),  astizgra  (estizora),  astrangu  (estran),  asci'tt  batto  (mi  che 
t'ascùt  guarda  che  ti  batto,  srd.  log.  iscudere). 

Q.  97,  QVA :  cual,  cuant  quando  e  quanto,  cicart,  cuatra  (qicatre]; 
-  casi  (id.  e  quasi),  catorza  [catorze  e  qiiatorze),  carchiù  {qualcun). 
Di  algua  aqua,  v.  n.  56.  -  QVI  (QVE):  dcchira  (aliga  per  metatesi) 
aquila,  cliinza  (quinze),  cJiiét,  sighi  cunsighi  (segliir  conseghir).  Di 
coq[u]'jre,  v.  92.  -  kve  secondario:  achest  achés  12,  ananclii. 

6.  98.  Gir  av.  a  o  u:  galj,  gora  ecc.;  praga,  astrega,  aggst;  Ijigd  ecc.; 
dilegua  nei  due  sdruccioli  fraura  fragola  e  teura  [tenia)  tegola.  Circa 
l'uscita,  V.  123.  —  99.  GV:  anghira  ianghila)  anguilla,  ijenga  lingua, 
sane  sangue;  cfr.  per  gv  da  io:  gherra.  —  100.  G'-  si  riflette  per 
g:  gel,  gendra,  geni  ecc.;  e  così  mediano  dietro  r:  a^pargi  [espargir) 
spargere,  verga  (verge)  virgine-.  Tra  vocali:  fugint,  Ijigi  7,  cunfigi 
{confegir)  conflgere,  nel  senso  di  sillabare;  e  coi  soliti  assorbimenti:  dit, 
fret,  m£s  magis,  ecc.;  raina  (rehina).  —  101.  GR:  gran  grandis,  ecc.; 
magrana  melograno,  negra  (negre)  ^.  —  102.  GN:  IJeu  IJeTia,  pim, 
cundt.  EcosiNG':  IjuTi  longe,  astrini  [estrener)  stringere,  agim'ìy  niuTd; 
ma  angal  'angel),  aspgnga  (esponga),  oltre  i  sardeschi  angoni  songa^ 
log.  anzone  assunza.  Per  dissimilazione:  ganiva  (geniva)  gingiva. 

T.  103.  T-  che  è  sempre  intatto,  pur  si  dissimila  in  ditul  (titul). 
Appare  incolume  anche  se  viene  all'uscita  (cfr.  123);  e  angùr,  iuglutio, 
ripete  il  suo  r  dalle  voci  in  cui  t  era  interno.  —  1 04.  -T-  è  intatto 
in  voci  non  bene  assimilate,  come  panate  sabaté  vinate,  util  ecc.;  ma 
la  norma  è,  che  digradi  in  sonora:  breda  {bleda)  betula  v.  131,  pudéy 
rudg,  vagada  ecc.,  e  il  d,  nella  parlata  viva,  passi  in  r  (cfr.  107): 
anara  [aTiada],  farà  (fada),  niara  [niada),  piara  (peada),  ratapiTiara 


^  S'illuderebbe  chi  mandasse  rap  rapa,  graffio  -are,  col  raffìu  -are  del 
8iu:do  (dove  è  normale  gk  in  r:  ramen  gramine,  randine  grandine,  rattare 
grattare,  ràida  gravida;  v.  Arch.  II  143);  cfr.  cat.  rapar  radere  male  (ep, 
rapar). 


346  Cuariierio, 

(l'otapiTiada),  munera  (moneda),  nabora  {nehoda^,  sera  (seda),  farira 
(fenda),  dirai  (diddl),  nardi  (naddl),  sards  (gedds)  staccio,  carena  (ca- 
dena),  jiarelja  (patelja)  patella,  inarù  marura  (madur  -a)  ecc.;  amara 
anara  huira  ecc.  (amada  anada  buida  ecc.).  E  Hn  malassa  (madesa) 
metaxa,  che  ha  lo  -ss-  it.  o  sardo;  esempio  che  ricorda  quello  di  d 
in  l,  che  sarebbe  comune  alla  madrepatria  :  ealavra  cadavere  (calavéra 
carcame).  —  105.  TR-  intatto.  S'ottiene  per  epent.  o  metatesi  in  trasór 
{tresòr),  trenda  tendra  (lenir),  tros;  tran  (tor)  è  sardo.  Interno  è  dr: 
IJadra  (Ijadre),  pedra,  pedrigd  prendere  a  pietre,  vidra  (vidre)  ;  o  con 
l'assimilazione:  jìerra,  virra,  più  usati  che  non  i  precedenti,  e  insieme 
burroni  =  logud.  hudrone  botryone  ^  Finalmente  con  la  scempia  :  frara 
{frare)  frate,  para  (pare),  ìnara  (-mare)  ^,  araru  (arada  aradra)  aratro, 
Pera  (Pere)  Pietro.  —  1  06.  -T  +  -s,  nel  pi.  del  nome,  dà  z,  poiché  ve- 
ramente si  tratta  di  -d+-s;  e  così:  andz  paltiz,  ascuz  nabòz  ecc.,  pi. 
di  andt  paltit  ascùt  nabòt.  Lo  T'S,  all'incontro,  delle  2^  pers.  pi.  dei 
verbi  (-atis  -etis  -itis)  dà  -au  -eu  -iu  (cfr.  n.  45):  amau  amatis, 
òajeu  bibitis,  drumiu  dormitis,  ecc. 

D.  107.  D-  intatto.  Tra  vocali,  passa  in  r  (cfr.  104):  arins  (dins) 
ad-intu-!,  maragina  (medigina),  praricd  (predicar),  uro  (odor),  viùra 
(viùda)  vidua;  quando  non  cada:  sud  suor  suardt  sudare  ecc.,  niara 
{niada),  piava  (peada),  pglj  peduclo,  pruaga  (poagra)  podagra,  banai 
inarai  (benehir  malehir),  prui  (pruliir)  prudere  ^,  suggai  (suggeliir)  suc- 
cedere, ubai  (obeliir).  —  108.  Qui  si  collega  l'epentesi  ài  j  in  cajeva 
cajent  (cheja  calient)  cadebam  cadendo,  crajeva  crajenl  (creja  crehent) 
credebam  credendo,  sajeva  sajùl,  rijeva  rijent,  ecc.  —  109.  All'uscita 
è  M  al  suo  posto  (cfr.  92):  areu,  f.  ereva  (ereu),  pm,  feu  foedo-,  niw, 
e  s'aggiungono  a  forraola  interna  (cfr.  ih.)  :  caus  cau  cadis  -it,  clous 
clou  claudis  -it,  creus  cren  credis  -it,  S2us  sm  sedes  -et,  rius  riu  rides 
-et,  veiis  veu  vides  -et,  cogli  inf.  caura  (caurer),  cloura  (clourer),  creura 
(creurer),  seura  (seurer),  riura  (riurer),  veura  (veurer).  —  110.  Di- 
legua all'uscita  (ma  cfr.  Arch.  X  103)  in  fé  fide,  nu  nodo,  cru  crudo, 
nu  nudo,  tebiu  tepido;  e  in  -DR-:  carira  (cadira)  cathedra;  cfr.  nei  testi 
vivi:  ì-et  reta  per  dret  dreta,  e  romita  per  dròmita  dormiti. 

P.  111.  Sono  illusori,  si  può  dire,  i  casi  di  p-  in  b.  Di  bastunaga 
(pastinaga)  v.  il  n.  35,  bisul  (pesol)   è  esempio  di  larga  ragione,  e 


^  Morosi,  n.  88,  aggiunge  Ijarra  latro,  pujerru  puUitro. 
^  Non  può  pensarsi  alle  figure  nominativali  frate[r]  ecc.,  perchè,  a  tacer 
d'altro,  non  se  ne  otterrebbe  il  r  che  è  nelle  voci  della  madrepatria. 
^  È  esempio  di  -d-  neolatino;  v.  Arch.  X  83  n  ;  e  anche  dicesi  prurì. 


Il  catalano  d'Alghero:  Spogli  fonetici.  S47 

hisha  (bisbe),  vescovo,  è  aferetico.  —  112.  -P'  passa  in  b:  acabd  (acabar), 
arribd  (arribar),  cabdl  capitale,  sahé  (sabér),  regibi,  sabi  [ali.  a  saviu 
dal  srd,  sabiu],  cabelj,  ahelja,  nabòt,  geba,  tebiu.  Non  bene  assimilati: 
cajdaljd,  sapultura,  pape;  e  popul  {poble)  è  dal  sardo.  —  1 1 3.  Se  riesce 
finale,  pare  intatto,  v.  123;  ma  di  -MP  resta  solo  -m:  cani  {camp), 
IJam  (IJamp),  rgm  {romp)  da  rumpi  (^romprer);  e  qui  passi  pure 
tms  {temps)  tempus.  —  114.  -PR-  :  Ijebra,  rebra  93,  sgbra,  ubri  [obHr), 
ma  opr  V^  pars,  pres.,  dascubri  ecc.  Sono  metatesi  sarde:  craba  {cabra) 
crabit  crabalgu,  préba  [pebre]  pipere,  proba  {pobre)  paupere-;  e  sardo 
pure  polcavru  porco-apro,  cinghiale.  —  115.  PS  dà  /:  acliès  matés 
12,  casa,  ghis.  —  116.  PT  :  sef,  batisma,  grufa  ecc.  In  samana  setti- 
mana {setmdna  semdna),  è  il  solito  caso  di  un  PT  protonico,  del  quale 
più  nulla  rimanga.  Cfr.  sp.  semana,  piem.  smana  ecc. 

B.  117.  Per  B-  nulla  di  notevole.  Per  -B-  sono  esempj  'sui  ge- 
neris' sabota  sabotò  (sp.  zapata),  ubai  (frc.  obeir);  e  la  norma  è  che 
passi  in  v:  cavalj,  cuvd  {covar),  ave  {aver),  maravelja,  ascrivi  [escriu- 
rer),  Ijavó  [Ijavor)  semenza,  che  deve  pur  essere  labore  (cfr.  Arch. 
I  453),  nùvuro',  amava  rijeva  ecc.  È  assorbito  in  saùc  sabuco,  siurét 
Sluretd  33;  e  in  cuiri  cubile  e  triurd  tribulare,  entrambi  dal  sardo, 
cfr.  srd.  triulas  giugno,  mese  in  cui  si  trebbia  ^  118.  Vocalizzato  è  in 
seu  sebo;  deus  deu  debes  -et,  inf.  deura  (deurer),  irapf.  dajeva,  denta 
debito;  beus  beu  bibis  -it,  beura  {beurer),  bajeva;  Ijiura  libra  ali.  a 
Ijibre  libro;  coi  quali  si  possono  anche  mandare  IJaurd  {Ijaurar)  labo- 
rare  arare,  paraiira  {paroula)  parabola,  tauro  {iaulo),  neuro  {neiUa) 
nebula.  —  118^.  Esempio  non  facile  è  il  riflesso  di  cubito-.  Il  cat. 
com.  dice  colse,  e  il  Morosi,  num.  110,  argutamente  lo  riporta  a 
coud-  di  fase  anteriore,  con  d  in.  z  e  il  l  sviluppato  dall'w,  come  ve- 
devamo al  n.  56,  e  non  rimarrebbe  se  non  di  chiarire  il  -r  della  forma 
algherese,  che  è  co  zar,  il  quale  potrebbe  essere  la  stessa  epitesi  che 
nel  cat.  com.  ci  offrono  sdlgor  (salser)  salice,  cdlger  (calser)  calice. 
Senonchè,  non  è  facile  ammettere,  dall' un  canto,  il  fenomeno  del  d 
in  z  in  una  base  come  coud-,  o  per  il  catalano  o  per  lo  stesso  pro- 
venzale; e,  dall'altro,  l' algherese  non  'ha  altro  esempio  per  codesto 
fenomeno,  e  così  lo  ignora  pur  nel  caso  di  espasa  spatha  {d  sec.).  — 
119.  BR  intatto:  bt^ag,  breu,  fabré,  ecc.;  cfr.  abra  64.  —  120.  B'T 
assimilato:  dissata  [dissapte]  dies  sabati,  sgta. 


*  È  'sui  generis'  pur  cùnam  (canem,  sp.  capiamo)  cannabis. 


34S  Guarnerio, 


Accidenti   generali. 


121.  Rispetto  all'accento,  sono  da  notarsi:  viut  viura  vidua, 
vuit  ecc.  94,  io  ego  (Ardi.  IX  29),  carréc,  io  carico,  per  analogia  dei 
molti  pres.  in  -éc.  —  122.  Assai  rara  la  geminazione:  bgca,  gota^ 
frama,  vaca  ecc.,  e  cons.  scempia  pur  dopo  l'assimilazione,  v.  124; 
ma  però:  terra  tarré,  gherra,  arribà;  ferru,  ecc.  —  123.  Sempre 
sorda  la  consonante  finale;  e  cosi  bes  ali.  a  bazd,  mes  mezuSy 
frec  fraga,  ciis  cuzi,  ecc.  e  in  tutti  i  casi  accennati  ai  nn.  47  81  98  103 
110.  Qui  porrei  anche  opr  allato  a  ubri.  —  124.  Assimilazioni  ca- 
ratteristiche sono  ai  nn.  66  82  85  105  120.  Tra  parola  e  parola,  nella 
parlata  viva,  queste  assimil.  progr.:  caun  nus  peus'^caun  lus  peus^ 
con  nu  sol'^com  lu  sol.  Da  sillaba  a  sillaba:  sisanta  96,  cuce  cucca  58"^. 
—  125.  Dissimilazioni:  gilera  63,  noranta  varema  vare  76,  ditul  103, 
Ijantla  58,  ganiva  102.  —  126.  Dileguo  di  vocale  iniziale:  mello- 
25,  valjana  [aveljanà)  avellana;  di  mediana:  eravelj  95;  coalescenze: 
reni  vanta  roga  rep  rebra  93,  ecc.  —  127.  Dilegui  di  consonanti 
sono  avvertiti  ai  nn.  55  59  64  79  98  100  101  107  110  117.  —  128. 
Per  la  prostesi,  oltre  Va  costante  del  n.  71,  non  indegni  di  nota: 
amascrd  57;  ardm,  se  pure  Va  qui  non  riflette  V ae  di  aeramen.  Di 
cons.:  vuit  divuit  ecc.  94.  —  129.  Es.  di  epentesi  sono  ai  nn.  56 
74  80  95  108;  e  ora  aggiungiamo:  pindura  {pindola)  pilula  (cfr.  sp. 
pildora);  pant'in  pantind  paltind  {pentin)  pectin-,  ningù  nec-uno;  nombri 
numbrd,  numeri  cong.  ecc.,  sambrd  seminare,  cfr.  sp.  ;  ascombra  (escoìn- 
bra),  scopa,  se  veramente  è  'scopula';  moldra  (moldrer)  moìere ;  cu^ 
gombra  cugrombra  {cogombre)  cocomero.  —  130-131.  Metatesi  più 
notevoli:  ruaza  =  '^rudaza  [rosada);  brera  {bleda)  bet'la  betula;  guitdt 
{giutat)  ci  vitate-.  Nei  testi  vivi  pass.:  purrd  purrant  <=  prurd  pru~ 
rant  n.  61. 


Il  catalano  d'Alghero:  Appunti  morfologici.  349 


§  IV.  APPUNTI  MORFOLOGICI. 

Articolo.  132.  Deterra.:  lu  (lo),  el,  'l,  la;  Itts  (los),  'Is,  las; 
del,  al,  dela,  ala;  dels,  als,  de  las,  a  las.  —  Indeterm.:  un,  una; 
uns,  unas. 

Nome.  133.  Sieno  ricordati  gli  ant.  neutri  in  -s:  cos,  tens;  i 
fera,  in  -dì^a  dai  masc.  in  -ór  del  num.  15;  e  il  gen.  fera,  di  fri  gel 
mil,  mar,  fror  curar,  son  somno-,  sane,  dens,  Ijum.  —  1 34.  Normale 
il  -s  per  il  pi.  ^  ;  efr.  54  63  77  81  83  106.  Ora  notiamo  come  anche 
nei  nomi  in  -7i,  al  pari  di  quelli  in  -IJ,  il  s  di  pi.  spenga  quasi  affatto 
il  j:  ans  piuttosto  che  a7is.  Notevole  inoltre,  che  i  pi.  dei  nomi,  in 
gutt.  0  in  lab.,  entrano  nell'analogia  di  quelli  in  t  (v.  106),  e  così 
vengono  a  i :  goe  gots  go'z  {gocJis),  rie  'rits  riz  (ricìis),  aleer  alets 
alè'z  {alegresf),  cap  cats  caz  {eapsi).  —  135.  Oltre  il  solito  fruita, 
sono  reliquie  del  neutro  pi.  tanta,  cuanta,  poea;-  tanta  trahals  tanti 
lavori  ;  cfr.  Arch.  VII  412. 

Pronome.  136.  Personali:  io,  a  mi;  tu,  a  tu  [a  ti);  eìj,  elja,  a 
elj,  a  elja,  li;  nusaltrus  -as  {nosaltres,  bare,  nosaltros);  vusaltrus  -as 
{vosaltres,  bare,  vosaltros)  ;  eljus  [eljs],  eljas,  a  eljus,  lis,  lus,  ecc.  Forme 
in  elisi:  ma,  ta,  sa,  mus:  desama  lasciami,  ta  diu  ti  dice,  sa  creu  si  crede, 
dighimal  me  lo  dica,  dònghimus  ci  dia  ^,  vdgisan  se  ne  vada,  véstatan 
vattene,  ecc.  —  Possessivi  innanzi  al  sostantivo  e  senza  articolo; 
mun  (mon),  tun  (ton),  sun  (son),  ona,  ta,  sa;  niuns  tnus  (mos),  tuns 
(tos),  sunsì  (sos),  mas,  tas,  sas;  prima  o  dopo  il  sost.,  e  se  prima 
con  l'art.:  meu,  tgu  (teu),  spu  {seu),  mia  {meva-mia),  tga  {teva  tua), 
sna  (seva  sua);  meus,  tous  (teus),  soiisì  (seus),  mias  (mevas  mias), 
tuas  {tevas),  suas  {sevas);  nostru  -a  [nostre),  vostru  -a  (vostre),  Ijur. 
—  Dimostrativi:  aehest  -a  questo  -a,  aeliés  -a,  codesto  -a,  aehelj  -a 
quello  -a;  neutri:  asó  ciò,  aljó  Ijò  'quella  cosa'.  —  137.  Agettivi 
pronominali:  altru  -a,  altu  [altre  -a),  altrus  -as;  cara  [cada):  pe  cara 
die  per  ogni  giorno;  carau  carù  [cadati);  earcliiù  [qualcun)',  ningù 
(bare,  dingù),  cuant,  tant;  molt,  poe,  tot  -a.  Qui  stia  anche  arrés  niente 
(bare,  re  res;  no  hi  ha  res  que  di  non  v'è  niente  da  dire,  no  tinc  re 
non  ho  niente). 


*  Notevole  il  pi.  Ijavons  (§  IT,  B  e  C,  pp.  291)  315)  ;  cl'r.  barccll.  nljavons, 
Mylà  1.  e,  p.  6. 

*  mustfemus  mostriamoci;  e  ìnun  proclitico:  mun  treu,  ci  trae. 


350  Guaruerio, 

Verbo.  138.  Tipi  delle  tre  conjugazioni:  I.  puUd;  IL  sabè  (sabér); 
heura  (beiirer);  cunòsar  (conéser);  III*,  drumi  (dormir);  IIP.  agrai. 
—  139.  Frequente  il  passaggio  dei  verbi  in  -ere  alla  classe  in  -ere: 
riura  {riurer,  bare,  riuré)  ridere,  seura  {seurer,  bare,  seure)  sedére, 
veura  [veurer,  bare,  veure)  vidére,  trenda  tendra  [tenir]  tenére  ecc.; 
e  similmente  il  passaggio  dei  verbi  in  -ere,  e  qualche  volta  in  -ère, 
alla  classe  in  -ire:  suggai  [suggeliir]  succedere,  ascrivi  [escriurer]  seri- 
bere,  gidi  [gedir)  cedere,  mimi  {munir)  mungere,  regibi  [rebrer')  reci- 
pere,  pari  (parir)  parere,  timi  {temer)  temere,  tini  (tenir)  tingere,  ecc.  ^ 
Giova  poi  notare,  che  a  volte  il  passaggio  si  limita  solo  ad  alcune 
forme:  vivit  ptcp.  di  viura,  che  è  pure  antico,  v.  Muss.  p.  23.  —  140. 
Desinenze  pers.  Nella  2"'  pers.  sng.  è  ben  saldo  il  -s;  nella  2*  pi.  e 
-du  -éu  -ili  per  -ats  -ets  -its,  v.  106,  La  1'"^  sng.  ind.  pres.  va  priva 
sempre,  nell'-o. 

141.  Pres.  indie.  Caratteristica  del  catalano  è  la  molto  estesa 
propagazione  della  gutturale  del  perf.  debole  (143)  alla  1*  pers.  del 
pres.  :  bec  bibo,  cale  (caie)  cado,  scc  sedeo,  trec  traho,  tene  teneo,  vene 
venio,  ecc.  ^.  Anche  allato  a  vec  vac  mene,  ho  raccolto  vec  vac  m,ene. 
E  insieme  si  propaga  codesta  gutturale,  sempre  più  largamente,  anche 
ad  altre  forme  verbali:  bec,  bagut  [begut),  bagaré  [beurè),  beghi  [bega), 
baghessi  {bejés),  bagariva  (beuria).  —  142.  Per  la  conjug.  dei  verbi 
in  -SCO  di  ragion  latina,  si  considerino:  cunés  cunésar  (conéc  conéser^ 
bare,  coneso),  nas  ndsar  [nase  naser,  bare,  naso)  nasci  ecc.;  e  per 
lo  -sco  accessorio  di  ragione  neolatina:  cumparés  cumpari  {comparése, 
bare,  compareso),  agraès  agrai  [agrahesc,  bare,  agraheso),  timés  timi 
(temo  temer),  cubrés  cubri  (bare,  cubrés),  traés  trai  ^.  Ma  altri  danno 
piuttosto  -éó  -ic:  mantéc  mentisco,  ma  pantéó  mi  pentisco,  ma  van- 
dichéc  mi  vendico,  simic  somiglio^.  Rasentiamo  così  gl'impersonali  col 
■g-:  Ijampega,  grandinega  (granisar),  pruega  (plovisca). 


^  In  questo  frequente  passaggio  da  -ere  a  -ire,  è  evidente  l'influenza 
del  sassarese  (cfr.  iscribi,  ri'sibì,  timi,  zedì).  Le  forme  di  3*  si  avvicendana 
ancora  con  quelle  di  2*:  ascrivi  e  escriura,  regivi  e  rebra,  ecc. 

^  Nel  barcell.  arriva  persino  all'ausiliare  :  soc  sum. 

^  cunésar:  ind.  pres.  cunés  cunesas  cunés,  cunasém  cunaséu  cunésan, 
impf.  cunaseva,  perf.  e  cunasùt  {cuneglù,  e  cimegùt),  fut.  cunasaré',  cong. 
pres.  cunesi,  impf,  cunasessi;  cond.  cunasariva;  -  ndsar:  ind.  pres.  nas, 
nasìs,  ptcp.  nasùt  (nasciti) ;  -  agrai  (agrahir):  ind.  pres.  agraés  agraesas 
agraès,  agraim  agraiu  agraesan,  impf.  agraiva,  fut.  agrairé;  cong.  pres. 
agraesi. 

*  Il  Morosi  a  questa  serie  aggiunge  notevoli  es.:  sumw  o  sumiéc  somnio. 


Il  catalano  d'Alghero:  Appunti  morfologici.  3S1 

143.  Perfetto.  Di  forte,  a  stento  s'ottiene  l'unica  forma  fai 
feci;  e  a  stento  qualche  forma  debole:  aghè  ebbe,  tingile  tenne,  vinglié 
venne,  calghé  cadde,  astighé  stette.  Domina  il  perf.  composto  con  gli 
ausil.  essar  o  aghè'.  so  astàt,  e  pultdt;  e  il  perifrastico  con  and  (an- 
dare) e  r  infinito  :  vac  vas  va  anéìn  aìzdu  van  puUd  portai  ecc.  ;  dove 
anzi  il  volgo  sostituisce  var  vado,  varas,  va,  vardm  o  varém,  varéu, 
vdran;  e  cosi  :  io  var  a  cantd  io  cantai. 

144.  Pres,  cong.  L'  ^  caratteristico  del  modo,  comune,  per  la  1.* 
conj.,  e  al  barcellonese  e  al  majorchino,  qui  si  estende,  come  nel  bar- 
cellonese,  anche  alle  altre  conjugazioni,  ed  è  proprio  pur  della  1^  e 
2=^  ps.  pi.;  cfr.  148-9. 

145.  Condiz.  La  desinenza  -iva  (-ia)  è  ormai  la  prevalente:  sariva 
0  sigariva  sarei,  agariva  avrei  ;  però  non  del  tutto  spenta  l'altra  for- 
mazione [-era),  e  ho  raccolto,  tra  i  vecchi  in  ispecie:  agliera  avrei, 
pughera  potrei. 

146.  Imperat.  La  2'^  pi.  è  eguale  alla  stessa  pers.  dell' ind.  pres. 
Notevoli:  ves  va  tu,  véstan  vattene;  fes  fa  tu;  vina  vieni  tu. 

147.  Gerundio  e  participio.  Oltre  ciò  che  ne  vedemmo  al 
num.  82,  notisi  Vi  per  analogia  dell' inf.:  ascrivint  scribendo,  drumint 
dormiendo,  ecc.  Solo  es.  di  ptc.  pres.:  ati  viJienl  anno  vegnente. 

148.  Ausiliari.  —  L  'esse":  essar  [esser  ser);  ptc.  astdt  [sigut); 
ger.  essent  {seni);  ind.  pres.  so  (bare,  soc),  ses  [ets),  es,  sem  [som],  seu 
[sou),  son  o  so,  imperf.  era,  eras,  erdm,  erdu  e  più  usato  eru,  eran, 
perf.  so  astdt  o  vac  essar  ecc.  [fug  o  vac  ser,  fores  o  vas  ser,  fon 
o  va  ser  ecc.),  fut.  sarò  o  sigaro  [sere),  sards  o  sigards,  sard  o  sigard, 
sarém  o  sigarém,  saréii  o  sigaréu,  sardn  o  sigardn;  cong.  pres.  sia  e 
più  usato  sighi  [sia,  bare,  sigili),  sigliis,  sigili,  sigjiém,  sighéu,  sigliin, 
impf.  fos  o  fgssi  e  più  usato  sigliessi,  fgssis  o  sigliessis  ecc.;  cond. 
sariva  o  sigariva  [fora  o  seria),  sarivas  o  sigarivas  ecc.  —  II.  'habere*  : 
agile  o  ave  [aver);  ptc.  agùt;  ger.  aglient;  ind.  pres.  e,  as,  a,  avém^ 
avéu,  an,  impf.  aviva  avivas  ecc.,  e  pur  si  sente  talvolta  aveva  -as  ecc.^ 
perf.  e  agùt  [aghi,  ant.  ac),  fut.  avrò  o  agaré  [aure);  cong.  pres.  agi 
0  aghi  [aga,  bare,  aghi),  impf.  avessi  p  aghessi  [aghés);  cond.  auriva 
0  agariva  [auria  e  aghera).  —  III.  'tenere':  trenda  (tenir),  che  si 
sostituisce  comunemente  ad  aghé,  come  nello  spagn.  e  nel  napolit.  ; 
ptc.  tangùt  [tingùt);  ger.  tanint  [tenint);  ind.  pres.  tene  e  tino,  tens 
e  tins,  te,  tanim  e  tangliéni  (tenim),  taniic  e  tanghéu  [tenui),  ténan 


consuméc,  siuletéc  sibilo.  Ma  bade  batlezzo  ('battigie')  ha  ragiono  alquanta 
diversa. 


352  Guarnerio, 

[tènen],  impf.  taniva  e  tangheva  {tenia),  perf.  e  tanrjùt  {tùir/hi),  fot. 
tangaré  {tindre);  cong.  pres.  tenghi  [tinga),  impf.  tanghessi  [tinghés); 
cond.  tanganva  (tindria). 

149.  Paradigma  delle  tre  conjup:azioni.  —  I.  'portare': 
puUd  (portar);  ptc.  pultdt;  ger.  pultant;  ind.  pres.  poli  [amo),  poltas, 
piolta,  pultém  [amdm,  bare,  cantém),  pultdu  (bare,  cantéu),  póltan, 
imperf.  pidtava,  perf.  e  pultdt  [ami  o  e  amdt),  fut.  pultaré;  cong.  pres. 
polii,  jyoUis,  poìti,  pultìéìn,  pultiéu,  pòltiun  [ame  -es  ecc.,  bare,  canti 
-is  ecc.),  impf.  pultessi  [amds  -asses  ecc.,  bare,  cantés  -essis  ecc.); 
cond,  pultariva  [amama).  —  IL  Vedi  'tenere'  trenda  al  n.  148.  —  III.^ 
'dormire':  drumi  [dormir);  ptc.  drumit  [dormit);  ger.  drumint;  ind. 
pres.  drom  [dormo),  dromis  [donns),  droìni,  drumim,  drumiii,  dròmin 
{dòrmen),  impf.  drumiva,  perf.  e  drumit  [dormi,  e  dormit),  fut.  drumiré; 
cong.  pres.  dromi  [dorma),  impf.  drumissi  [dormis);  cond.  drumiriva 
[dormirla).  —  IIP.  Vedi  il  num.  141,  testo  e  note. 

150.  Verbi  notevoli,  la  cui  1^  pers.  pres.  ind.  non  as- 
sume il  -e  analogico,  o  almeno  non  fermamente  (v.  num.  141): 

'andare':  and  [anar);  ind.  pres.  vaé  e  vac,  vas,  va,  aném,  andu, 
van  o  vdnan,  impf,  anava,  perf.  so  andt,  fut.  anigaré  [aniré);  cong. 
pres.  vagi  o  vaghi  (vaga),  impf,  anighessi;  cond.   anig ariva  [aniria). 

-  'facere':  fé  (fer);  ind.  pres.  fag  [fac),  fas,  fa,  fem,  feu,  fan  o  fdnan, 
impf.  feva  [feja),  perf.  e  fet  [/tu),  fut.  fare;  cong.  pres,  fagi  {fassa), 
impf.  facessi  e  fessi  (fes);  cond.  f ariva. 

'sapere':  saJjé  (sabér);  ind.  pres.  se,  sas  (cat.  e  bare,  saps),  sa  o  sap 
(cat.  e  bare,  sap),  sàbém,  sahéu,  san  (sdòen),  impf.  sabeva  e  sahiva 
[sàbia),  perf.  e  sabùt  (sabi),  fut.  sabaré  [sabre);  cong,  pres.  sfl5^■  [sapia, 
bare,  sdpiga),  impf.  sabessi  [sabés);  cond.  sabariva  [sabria).  —  'volere': 
?;Mré  e  vulghé  (voler);  ind.  pres.  ■??m?;'  woZ^  ?;oZ,  vurém  vuréu  vòran, 
impf.  vuriva  (volia),  perf.  e  vulgùt  (volghi),  fut.  vulgaré  e  vugaré 
(voldre);  cong.  pres.  vulghi  (vulja),  impf,  vulghessi  (volghés);  cond. 
vulgarìva  (voldria). 

'vedere':  veura  (veurer);  ind.  pres.  vec  e  i?ec,  vews,  ?5eM,  vajèin  [vehèm, 
bare,  vejèm),  vajèu  [vehéu,  bare,  vejéu),  veun  (veuhen),  impf.  vajeva 
(veja),  perf.  e  uzsi  o  vagut  (vegi),  fut.  vauré  (veuré);  cong.  pres.  «jg^? 
o  ve^/it  (ve gei),  impf.  vagessi  o  vaghessi  (vejès);  cond.  vauriva  (veuria). 

—  'dire':  diura  (dir);  ind.  pres.  cZic  c?ìms  c?m,  (Ì2ém  (dihém),  diéu 
(dihéu),  diun  (diuhen),  impf,  c??e?;rt  (deja),  perf.  e  c?«f  (dighi),  fut.  digaré 
(diuré);  cong.  pres,  c?«V//«  (c??'^a,  bare,  dighi),  impf.  dighessi  (digliés); 
cond,  digariva  (diuria).  —  'vivere':  wmra  (viurer);  ind.  pres.  ij/c  (viso), 
vius,  viu,  vighém  (vivim),  vighéu  (viv'iu),  viun  (viuhen),  im]){.  viveva  (vivia), 
perf.  e  vivit  (antiq.  viscùt  e  vischit);  cong.  pres,  vighi  (visca,  bare,  vischi). 


Il  catalano  d' Alghero  :  Appunti  inorfologici.  353 

'leggere':  IJigi  {ìjegir)',  ind.  pres.  Ijió  {Ijig  o  ljegesc\  Ijigis,  impf. 
Ijigiva  [Ijegia),  perf.  e  Ijigit;  cong.  pres.  Ijigi  o  ìjighi  {Ijiga  o  Ije- 
gesca).  —  'ricevere':  regibi  e  vagivi  (rebrer);  ind.  pres.  rep,  rebas,  rep, 
ragivim,  ragiviu,  ragivin;  perf.  e  ragivit  o  rabùt.  —  'aprire':  ubri 
(obrir)  ;  ind.  pres.  opr  (obr),  obris,  obri,  ubrhn  ubriu  òbrin,  imperf. 
vòriva  {obria),  perf.  e  ubelt,  fut.  ubriré;  cong.  pres.  obri  (obra),  impf. 
ubrissi;  cond.  ubalg ariva  e  ubririva. 

151.  Verbi  notevoli,    la   cui    1.^   pers.  pres.   ind.   assume 
costantemente  il  e  analogico  (v.  n.  141): 

'stare':  asta  [estar);  ind.  pres.  astio  asids  asta,  astèm  astdu  astàn 
[esile  ecc.),  impf.  astava,  perf.  so  astdt  (estighi),  fut.  astaré  e  astigaré 
[estare);  cong.  pres.  astighi  e  astagln  (estighe),  impf.  astigliessi  e  astessi 
[estés  o  eslighés);  cond.  astigariva  (estaria).  —  'dare':  da  [dar);  al  più 
delle  forme  supplisce  duna;  ind.  pres.  dono  das  da,  duném  dundu 
dònan,  fut.  dungarè;  cong.  pres.  donghi  [donga). 

'potere':  purè  e  pughé  (poder);  ind.  pres.  può  pots  pot,  purèm  e 
pughém  [podém),  puréu  [podéu),  pòran  [poderi),  impf.  pureva  e  pu- 
gìieva,  puria  e  pulia  [podia),  perf.  e  pugut  [poghe],  fut.  pugaré  [padre); 
cong.  pres.  pughi  [puga),  impf.  pughessi  {poghés);  cond.  puganva  [po- 
dria).  —  'solere':  sulghè  [soler);  ind.  pres.  sole  sols  sol,  sitrém  surèu 
suren,  impf.  sur  èva  [solia). 

'cadere':  caura  (caurer);  ind.  pres.  cale  [caie),  caits,  cau,  cajkm 
[cahém,  bare,  cajém),  cajéu  [caliéu,  bare,  cajéu),  caun  [cauhen),  impf. 
cajeva  [cheja),  perf.  so  calgùi  [caighi,  so  caigùt),  fut.  cauré  [cauré); 
cong.  pres.  caighi  {caiga,  bare,  caighi),  impf.  calghessi  (caighés);  cond. 
calgariva  [cauria).  —  'piacere':  praura  prajé  e  praghé  (plaurer); 
ind.  pres.  prac  praus  prau  ecc.,  impf.  prajeva,,  perf.  e  pragut.  — 
'trarre'  :  treura  [treurer)  ;  ind.  pres.  trec,  travis  e  treus,  trau  e  treu,  ecc., 
fut.  trauré  e  tragaré;  cong.  pres.  treghi.  —  'bere':  beurà  [beurer); 
ind.  pres.  5ec  Jei<5  Jew,  bajèm  [bejém),  bajéu  {bejéu),  beun  [beuen), 
impf.  bajeva  [beja),  perf.  e  bagut  [begh't),  fut.  bagaré  [beure)  ;  cong.  pres, 
ie^rM  [bega),  impf.  baghessi  [bejés);  cond.  bauriva  e  bagariva  [beuria). 

—  'credere':  creura  [creurer);  ind.  pres.  crec  crew^  crew  ecc.,  impf. 
crajeva,  perf.  e  cragùt,  fut.  cragaré;  cong.  pres.  creghi.  —  'dovere': 
c^ewra  [deurer);  ind.  pres.  (iee  «iews  c?eM  ecc.,  impf.  dajeva,  perf.  e  dagùt. 

—  'sedere':  seura  [seurer);  ind.  pres.  «ee  seus  seu  ecc.,  impf.  sajeva, 
perf.  e  sagiit  e  sajùt.  —  'ridere':  rmra  (riurer);  ind.  pres.  ne  nw^ 
j'm,  ne/w  o  rijém  ecc.,  impf.  r?eua  o  rijeva.  —  '  cuocere  '  :  coura  [courer)  ; 
ind.  pres.  eoe  cous  couj  cujém  cujéu  coun;  cong.  pres.  coghi.  —  'chiu- 
dere': cloura  [clourer);  ind.  pres.  clouc  clous  clou  ecc.  —  'muovere'; 
moura  [mourer);  ind.  pres.  moc  mous  mou  ecc.,  impf.  mujeva,  perf.  e 

Archivio  gioito  1.  ital.,  IX.  '  23 


3o4  Guarnerio, 

mugùt.  —  'piovere':  proura  {plourer);  ind.  pres.  proc  prous  prou  ecc. 
flit,  prugarà,  perf.  a  prugni;  cong.  pres.  progìd.  —  'prendere'  :  prenda 
(pendrer);  ind.  pres.  prenc  prens  pren,  pranim  praniu  prénan  [pre- 
nen),  impf.  praniva,  perf.  e  pres,  fut.  pr angore;  cong.  pres.  prenghi 
(prengà),  impf.  pranghessi  (prenghés);  cond.  prangariva.  —  'inten- 
dere': antrenda  (entendrer);  ind.  pres.  ante  ne.  —  'incendere':  angendra 
(engendrer);  ind.  pres.  angénc.  —  'vendere':  vendra  (vendrer);  ind. 
pres.  vene,  ptcp.  vanùt.  —  'rispondere  '  :  raspgndra  {respondrer)  ;  ind. 
pres.  raspò  ne. 

'venire':  vani  {venir);  ind.  pres.  vine  vene,  vins  vens,  ve,  vanim  {ven.), 
vaniu  (ven.),  vénan  (vénen),  imperf.  vaniva,  perf.  so  vangut  (vinghi), 
fut.  vangare  (vindré);  cong.  pres.  venghi  [vinga),  impf.  vanghessi  (vin- 
ghés);  cond.  vangariva  [vindria).  —  'scrivere':  ascrivi  [eseriurer);  ind. 
pres.  ascric  ma  anche  ascrif,  ascrius,  ascriu,  perf,  e  aserivìt  [escrighi^ 
e  escrib)  ;  cong.  pres.  ascrighi. 

Preposizioni.  152:  a;  ama  (che  nell'ortografia  comune  scrivesi 
amba,  senza  però  che  il  b  sia  mai  sentito  nella  pronuncia),  per  1'  ab 
del  cat.  (bare,  am  o  amb);  cantra;  de;  an  (en);  fins  fìnsa,  e  sarde- 
scamente  finga  (fins)  fino;  per  o  pe;  sens  sensa;  sgbra  (sohre)  sopra; 
sgta  sotto. 

Congiunzioni.  153:  ^  [J]  e;  també  pure;  che;  o;  ni  ne;  ancara 
che,  mancar  a  -i  che,  quantunque;  si  se;  sino  se  non;  palchè;  per  asó 
(perso);  dons  (doncs)  dunque. 

AvvEEBJ.  154:  agnt  gnt  (ahoni)  dove;  de  gnt  donde;  an  anchi 
(en  achi)  qui  ;  an  aìji  [en  anlji)  lì  ;  an  aljà  (en  aljd)  là  ;  anrera  amma- 
rerà ararera  (enrera,  en  arerà)  dietro  ;  arins,  rins,  an  drinia  (adrins) 
dentro;  anvant  (endavant);  adamunt  (dam.)  sopra;  adabàs  (deb.)  sotto;: 
dasprés  (desp.)  dopo;  aljunt  (Ijun)  lungo;  'foras  (fora)  fuori;  alura 
allora;  ara  ora;  ancara  ancora;  ga;  air  (ahir)  ieri;  avùj  vuj  oggi; 
dama  (demd)  domani;  legu  (luego,  sp.)  sùbito;  sempra  (sempre);  mai;, 
cuant  quando;  asi  così;  casi  (quasi);  si;  no;  il  sardesco  fglsis;  assai; 
massa  soverchio;  poc;  mes  'magis';  mancu;  tant;  arrès  (res)  nulla; 
ansems  (sems,  ensemble)  e  an  paris,  insieme. 


li  catalano  d'Alghero:  Riassunto  comparativo.  3S5 


§  V.  RIASSUNTO  COMPARATIVO. 

Nei  seguenti  tre  numeri,  si  descrivono  o  riassumono  le  divergenze 

dell' ALGHERESE   DAL   CATALANO   COMUNE  ^ 

155.  Concordanze  speciali  dell' algherese  col  barcello- 
nese  (cfr.  Mylà,  opusc.  cit.  pp.  3  6  7  10-13  e  passim):  I.  «  da  E  pro- 
tonica, 30.  —  II.  a  da  e  atona  all'uscita,  31.  —  III.  «  da  i  atono, 


^  Le  concordanze  tra  il  cat.  com.  e  1'  algherese  son  così  numerose,  che 
s'estendono,  si  può  dire,  a  presso  che  intiero  l'organismo;  e  poiché  risaltano 
dagli  spogli  che  precedono  e  sono  per  altra  via  ribadite,  nel  presente  §, 
mercè  l'enumerazione  delle  divergenze,  sarebbe  affatto  superfluo  che  qui  si 
riassumessero.  Meno  superflua,  per  avventura,  o  più  facilmente  tollerata, 
potrà  riuscire  la  seguente  serie  di  voci  spiccatamente  'catalane',  comuni 
alla  madrepatria  e  a  questa  colonia,  nella  qual  serie  si  comprendono  e  se- 
gnano anche  voci  specificamente  spaguuole,  ma  entrate  a  far  parte  del  les- 
sico dei  Catalani  di  Spagna.  Noto  dunque:  alahà  (pur  del  srd.)  lodare; 
anfani  anf arara,  fastidio,  infastidita  (sp.  enfado  ecc.);  anguan  (enguan), 
cfr.  Diez  s.  unguanno  e  Arch.  VII  527;  arróp  rop  (sp.  arropé)  vino  o  mosto 
cotto;  apuscntu  (sp.,  onde  pur  srd.);  arreii  (sp.,  onde  pur  srd.)  di  séguito; 
aseherra  (eschér,  sp.  izquierdo)  sinistra;  aseta  cannella;  ascupinara  {escupina 
saliva,  sp.  escupir)  sputo;  assustd  (sp.  e  srd.)  spaventare;  àburòt  (avalót; 
cfr.  srd.  mer.  avolotdi  ecc.)  tumulto;  hardissa  siepe;  barrai  barile;  barrina 
(sp.  barretta')  trivella;  biga  bigarons  (sp.  viga)  trave  travicelli;  boti  ammac- 
catura; brassòl  (bressol)  culla;  brasssé  (brassér;  sp.  bracero)  ordinanza, 
giornaliero;  bre  (blé)  lucignolo;  bufeta  vescica;  bujól  tinozzo;  caljà.  (cfr.  sp. 
e  srd.)  tacere;  carabassa  (srd.  log.  id.,  sp.  calabaza)  zucca;  caràs  {calde;  cfr. 
Spano  s.  calasciu)  tiretto;  carré  (carrér;  cfr.  sp.  e  srd.  carrela)  strada;  casali 
(casal;  cfr.  srd.)  dente  molare;  diesa  querela;  cup  tino;  currdl  (corrdl,  sp.  id.) 
cortiletto;  custura  (costura,  la  casa  ahont  s'educa  à  las  noyas)  scoletta;  cutilja 
(cotilja,  sp.  e  srd.)  busto,  passa  la  cutilja  passare  le  strettezze;  dasdicara 
(desdica  infortunio,  disdetta,  sp.  srd.)  sfortunata;  daspacd  (anche  sp.)  mandare 
a  male;  daspaltd  (despertdr,  anche  sp. )  svegliare;  de  bada  (sp.  e  srd.) 
gratis;  dunosa  (sp.  e  srd.)  cara,  gentile;  frarols  (fredòr)  frigidori;  gerra 
vaso  di  terra,  giara;  gunivelt  (gulioert)  prezzemolo;  guSd  (gasar,  cfr.  sp. 
e  srd.)  ;  Ijdstima  (sp.  e  srd.  Idstimn)  compassione,  ai  che  Ijastima  che  pec- 
cato!; mata  (anche  sp.  e  srd.  mrd.)  arboscello,  macchia;  miiió  mifiona  ra- 
gazzo -a;  morru  (sp.  e  srd.)  muso,  ceffo;  pards  parassd  (padas  padassar, 
cfr.  sp.  pedazo)  rattoppo  -are;  patìt  -a  (petit  -a)  piccolo  -a;  pudl  (podi, 
cfr.  sass.  buàli;  podi  sta  a  pou  pozzo,  come  lo  sp.  pozal  a  pozo)  secchio; 


356  Giiarnerio, 

34.  —  IV.  ic  da  o  atono  ^  36.  —  V.  eliminazione  di  -r,  65;  cfr.  di 
-r-,  64.  —  VI.  -t  in  dileguo  nel  nesso  -nt  (-nts),  82,  83.  —  VII.  par- 
ticolar  frequenza  del  dileguo  dell'  u  di  qv,  97.  —  Vili,  j  epentetico 
in  voci  verbali,  108,  150-1.  —  IX.  assenza  del  r  epitetico  negli  inf. 
del  tipo  veurefr],  139.  —  X.  perifrasi  del  perfetto  con  'andare'  e  l'in- 
finito (ma  cfr.  n.  148,  e  Mor.  n.  123,  I).  —  XI,  L'  i  caratteristica  del 
cong.  pres.  in  tutte  e  tre  le  conj.,  148-51.  —  XII.  -/nella  1^  pers,  sng, 
pres.  ind.  in  -sco,  142  —  XIII,  singole  voci  nei  parad.  verbali,  148-51 
passim,  —  XIV.  singole  coincidenze  lessicali,  come  abì'a,  IJavons,  Ijenga, 
am  o  amò,  dgns. 

156.  Divergenze  speciali  all'alglierese,  —  I.  r  da  -d-  prira. 
e  second.,  104  107.  —  li.  a  per  1'  e  prostetica,  30,  e  per  1'  e  atona 
all'uscita  dei  verbi-,  31.  —  III.  -l  da  Zw  =  R]sr,*67;  -w  =  pm,  113;  r  =  DR, 
110.  —  IV.  qualche  caso  di  l  da  u  di  fase  anteriore,  56;  e  le  altera- 
zioni che  occorrono  in  CM?n,  ragàr  51,  angùr  103,  Ijugél  65.  —  V.  più 
facile  conservazione  dell'  i  atono  che  precede  s  n,  32.  —  VI.  i  casi  di 
t«  da  A  od  E  atone,  29  32"^  35,  e  di  «  da  o  atono,  36.  —  VII.  qualche 
caso  peculiare,  tra  gli  'accidenti  generali',  126-31,  58,  82,  103;  e  qui 
passino  ancora:  farralga  [farrage]  farragine,  orzo  fresco;  pulsaljana 


pragària  {i^regaria,  srd.  id.,  sp.  piegarla)  preghiera,  supplica;  prata  jìraté 
{piata  plater,  cfr.  sp.)  argento  -iere;  rabassa  ràbassó  ceppo,  radici  secche 
da  ardere;  rundalja  (rond-)  fiaba,  quasi  'racconto  fatto  in.  giro';  sago  crusca; 
sandamd,  lu  sandedamd  (al  sandemà),  l'indomani;  sisé,  un  sesto,  piccola 
moneta  d'argento;  smnbreru  (sp.)  cappello;  sostra  (sostre)  solajo;  taca  tacci 
macchia  -are;  tanca  (anche  srd.)  chiudere;  varò  varonil  (pure  sp.)  maschio, 
gran  personaggio,  virile,  nobile;  vora  (bora;  srd.  mrd.  vora)  orlo,  riva  [come 
prepos. :  vora  la  mar  lungo  il  mare;  e  ancora  1  derivati  vurelj  vuraljd 
orlo  -are];  nomi  d'animali:  ascarabàt  (escarabdt)  scarafaggio;  ghineu 
ghilja  volpe  [oramai  solo  dei  vecchi,  essendo  invalso  macconi,  srd.  sett. 
■inazzoni];  gas  gossa,  cane  cagna;  granata  rana;  palddl  (parddl  passero; 
sp.  id.)  uccello;  salgantana  (sargantana)  lucertola;  altri  verbi:  agafd  af- 
ferrare (pur  del  srd.)  ;  alcansd  conseguire  (pure  sp.  e  srd.)  ;  atuagd,  de 
amagdt,  nascondere,  di  nascosto;  amard  inaffiare;  asacd  levarsi;  ascramantd 
{escarmentar ;  sp.  id.,  onde  pur  nel  srd.)  esperimentare;  asmulsd  (esmorsar, 
sp.  almorzar;  cfr.  Sp.  s,  ismurzare)  far  colazione;  aspard  (esperar  sperare, 
^.spettare)  aspettare;  baraljd  rimproverare;  dasmajd  (desmajar,  sp,  e  srd.) 
svenire;  dispiri  (dispidir  e  srd.)  congeda,  imperai.;  gastd  spendere  (pure  sp., 
onde  pur  srd.);  matd  (sp.)  uccidere;  mird  (pur  srd.)  spidocchiare;  trid  sce- 
gliere. 

*  Le  alterazioni  dei  numeri  i  il  iv  hanno  anche  riscontro  nel  cat.  aut.; 
cfr.  Muss,  0.  e,  pp.  S  e  6.  ^  Pur  del  cat.  ant.,  ib.  ih. 


Il  catalano  d'Alghero:  Riassunto  comparativo.  357 

(pugeljana)  pozzolana;  falmelja  (femelja)  femella.  —  Vili,  z  al  pi. 
dei  temi  in  gutt.  e  lab.,  134.  —  IX,  le  reliquie  del  neutro  pi.  che  sono 
al  num.  135.  —  X.  trenda  (tenir)  nella  funzione  dell' ausil.  'avere', 
148.  —  XI.  molto  larga  diffusione  della  gutturale  accessoria,  nella  fles- 
sione verbale,  141,  148-51.  —  XII.  le  doppie  1®  pres.  ind.  e  cong.  del 
num.  141,  e  qualche  1^  pres.  speciale,   come  fag  (fac),  ascrif  {escric). 

—  XIII.  qualche  irapf.  ind.  con  la  desinenza  it.  -èva,  148-51.  —  XIV. 
voci  catalane  divariate  o  rifoggiate:  ambosta  (cat.  almosta)  manciata; 
dcchira  97,  astrilja  58,  hisul  111,  ìjema  76,  malassa  104,  palpelja  58, 
somiu  20,  umhriìj  58;  —  ascaruga  'ciò  che  è  dimenticato  dai  vendem- 
miatori', cfr.  cat.  asco,  cosa  vile,  da  sprezzarsi  (sp.),  srd.  mer.  ascu  e 
ascherosu;  astimpanara  scorpacciata,  cfr.  cat.  estimbarse  riempirsi; 
astogaras  involti  come  in  un  astuccio,  cfr.  cat.  estoc  astuccio,  estogdt 
nascosto;  cosar  118^;  daspdc  daspagd  [apagar,  sp.  id.)  spengo;  daspal- 
dasd  rovinare,  che  è  il  risultato  di  una  fusione  di  'disperdere'  con 
despachar;  gremii  società,  in  ispecie  religiosa,  di  cui  il  bre  o  ìnaggurdl 
è  il  capo,  cfr.  cat.  gremì  collegio;  mulgund  propagginare,  mulgwiera 
propaggine  (cat.  ant.  morgunar  morgó);  vilma  76.  —  Voci  spagnuole 
che  vedo  comuni  al  solo  algherese:  bubbina  rocchetto,  sp.  bobina', 
guria  fagiuolo,  sp.judia;  vazia  catino,  sp.  bacia  ^. 

157.  Influenze  del   sardo.  —  1.  g  dal  J  di  E.J,  4,  41;  cfr   89. 

—  IL  ng  da  NJ,  42,  ng'  gn,  102.  —  III.  r  da  L,  52  54^^  57  59  61  62. 

—  IV.  l  da  R-,  63  67.  —  V.  esiti  di  cl  ecc.,  58^  59''.  —  VI.  metatesi  di 
R,  114  e  pass.  —  VII.  numero  maggiore  di  verbi  in  -igare,  89  90,  e  fre- 
quenza di  quelli  in  -i  da  -ere  -ere,  139.  —  VIII.  impf.  cong,  in  -èssi 
148-51,  e  qualche  singola  forma  flessionale,  come  ses  tu  sei,  148.  —  IX. 
elementi  lessicali:  dnara  75;  arivdr  4;  asutols  63;  ascut  -ziti  96;  aspara 
1;  biju  58*^;  bulcu  bulconi  23  n;  burroni  105;  caTiigu  78;  corru  67; 
cuiri  51;  fìnga  152;  fglsis  154;  foras  154;  fremu  12;  gu  22;  istiu  32; 
izura  13;  Ijestr  74;  tnèrura  mureìidu  52;  orri  41;  picò  49;  popul  112; 


^  Si  tolleri  ancora  un  manipoletto  di  voci  algheresi,  che  non  m'è  venuto 
fatto  di  riscontrare  nel  catalano  o  nel  sardo:  afuljà  abortire;  halb'mgul  pas- 
sero, che  ricorda  curiosamente  il  bulbtil,  rosignuolo,  degli  Orientali;  bulddl 
ramoscello;  cunsighelja  solletico;  Ijicu  nicchia  (cfr.  sp.  leclio  letto?);  manas- 
-manetas  battimani;  mazzén  magazzino,  granajo  (cfr.  sp.  ahnacen,  srd.  sett. 
camasinu);  mureju  ginepro  (cfx'.  cat.  morella  morella;  srd.  mudeju  cistio); 
nuvialjas  feste  nuziali  (cfr.  sp.  novia  sposa);  palgarira  patelle;  ragheljant 
brigando;  rastalj  scure  (cfr.  cat.  rastelj  'linguetta',  frc.  curette;  log.  rusfalju 
rustralju  ronca).  E  ancora  si  vedano  quelle  che  registra  il  Morosi  alla  fine 
del  suo  Saverio. 


355  Guarnerio, 

polcavru  114;  ray'w  47;  savia  112;  trau  28;  triurà  117;  ^ro^a  94. 
A  cui  si  aggiungono  dai  nostri  testi:  accheta  cavallina;  achirrd  e  ti- 
clìirrid  gridare;  amhufà  (log.  imhiiffaré)  soffiare;  amhora  (mer,  im- 
bodcjidi  avvolgere  ?)  a  zig  zag  ;  ayighirià  (log.  inghiriare)  rigirare  ;  anterru 
(srd.  coin.  interni)  sepoltura  ;  arramunira  (log.  arremonire  conservare) 
vestita  ;  ascahassdt  (log.  iscahittare,  sett.  iscabizzd)  scapestrato  ;  asca- 
vanara  (log.  iscavanada,  cavana  guancia)  schiaffo;  asmultit  [%vdi.  com, 
ismurtiddu)  tordo  ;  azìu  affanno  ;  ascùr  -a  ascults  (log.  iscuru)  meschino 
-a  -i  ;  ascuvid  (log.  iscohiare)  scoprire  ;  asgarrava  (log.  isgarraré)  lace- 
rava; aspupulava  (log.  ispohularé)  far  ressa;  astrarór  (srd.  istradane); 
attatu  sazio  ;  barra  mascella,  barrd  smascellarsi,  gridare  ;  béltula  bi- 
saccia da  sella;  bic  (srd.  com.  biccu)  becco;  bistentu  -d  indugio  -are^; 
bruzd  bruciare;  bucaca  (mer.  id.);  bulzaghins  (srd,  com.  burzighinu) 
gambiere  di  cuojo,  ghette;  carra  trasporta,  imper.  (srd.  carrara);  ca- 
siddu  alveare;  chensa  senza;  capi  (srd.  com.  ciappinu)  ciabattino,  gua- 
stamestieri; chimentu  chiasso;  cota  (log.  cotta)  zeppa,  bietta;  crepu  (log. 
creoli)  crepacuore,  rabbia,  dispetto;  cucus  cagnolini;  cunfdlfara  (log. 
cunfdnfara,  sass.  cunfdfara)  chiacchiera;  dasfurugd  (log.  forrojare, 
mer.  forrogai)  frugare  foracchiando;  farrancdra  (mer.  fàrrancada 
manata,  farrunca  branca,  zampa)  brancata,  manata;  a  fata  (srd.  com. 
infata)  dopo,  dietro;  f risarà  frittura;  iscra  frutteto,  Arch.  Ili  458; 
jaju  -a  avolo  -a;  laniori  rugiada;  tnaccu  matto;  ìnamatita  balia; 
ìnassaju  contadino;  onubnutoni  (log.  mur mutane)  mutulone;  muninca 
scimia^;  paris  insieme;  pie  piccone;  pivirinosas  (sass.  pibirinosa)  len- 
tigginose; repas,  arepas  (srd.  com.  lepaV)  coltellaccio,  daga;  sacana 
(log.  e  sett.  siccaTia)  siccità;  sarà  (srd.  com.  sala)  ;  susségata  (log. 
sussegare)  quietati;  talda  (log.  bonos  tardis  buona  sera)  sera;  tiringoni 
verme;  tiribrichi  (sett.  tilibricu)  cavalletta;  topu  (log.  toppu)  zoppo; 
travigd  (srd.  com.  travigare)  frequentare,  trafficare;  triéci-tricci  (sass. 
trióóa-tricóa)  bagnato;  tadda  setola;  ianchiu  tunchid,  gemito  gemere; 
tupunela  (log.  tapponella,  mer.  tupponi,  turacciolo)  foro  per  ispillare 


^  burina  [budinà]  piovigginare;  cfr.  sass.  moddina  moddinà,  pioggerella 
piovigginare,  se  non  osta  il  porre  r  =  dd. 

^  È  dallo  sp.  mono,  ma  il  suffisso,  che  gli  s'aggiunge,  ha  aspetto  sardo, 
e  ritorna  anche  in  patronimici  sardi,  come  Bosincu  abitante  di  Bosa,  Sos- 
sincu  ab.  di  Sorso,  vicino  a  Sassari  (cfr.  nel  corso:  Curèinche  le  donne  di 
Cursica,  Tomm.  205-6).  Per  altro  nome  d'animale  coli' -INC,  mi  sia  lecito 
addurre  lo  sp.  podenco  (port.  podengo)  'chien  qui  cliasse  aux  lapins';  e  con 
-ONC:  corronca  *cornonca,  cornacchia,  da  me  sentito  nel  Nuorcse.  Cfr.  Diez 
IP  377,  Asc.  Arch.  VII  494-5. 


Il  Catalano  d'Alghero:  Riassunto  comparativo.  3o9 

il  vino;  veltigheta  (log.  bertigliitta,  gallur.  vèltica)  pertichetta;  -  e 
come  gruppo  d'esempj  in  cui  si  affermino  ulteriormente  le  equazioni  e 
algh.  =  z  srd.,  e  g  algli.  =  z  srd.  *  :  apacigdt  (log.  appizzigare)  appic- 
cicato; aschimugu  (log.  iscliimuzu)  rumore;  astripigat  (log.  istripiz- 
zare)  strepitare;  cantelgu  (log.  canterzu)  guancia;  cajìa  óaparó,  zappa 
zappatore;  isi  a  pigu  (log.  isi  a  pizu)  uscir  di  mezzo;  trica  (log. 
tipizza)  treccia;  valgia  (mer.  varzia  rondone)  rondine;  valmuóct  (log. 
jpahnuzza,  cfr.  gen.  varma)  malva.  Spagnolesimi,  finalmente,  che  pro- 
vengono dal  sardo:  duendus  spiriti  folletti;  frungit  (mer,  frunza  ruga, 
sp.  fruncir  corrugare)  rugoso;  ventana  finestra. 

158.  La  conclusione  è  facile  e  pressoché  superflua.  L'algherese 
differisce  di  poco  dal  cat.  com,;  e  le  divergenze  sono  tali,  che  da  una 
parte  mostrano  l'ognor  crescente  influenza  del  sardo  attiguo,  dall'altra 
offrono  una  bella  riprova  circa  l'origine  della  colonia.  Infatti,  se  le 
caratteristiche  algheresi,  come  V  a  e  V  u  per  e  e  o  fuori  d'accento, 
ricorron  sempre  nella  parlata  viva  di  Barcellona,  ciò  conferma  che 
da  Barcellona  provenissero  i  primi  coloni,  trapiantati  da  re  D.  Pietro 
il  Cerimonioso  nella  città  di  Alghero  (1354);  la  quale,  anche  per  questa 
ragione,  non  a  torto  fu  designata,  dagli  antichi,  col  nomignolo  di  *Bar- 
celoneta'. 


159.  Indice  lessicale  2.  —  abelja  58  112,  ab'ió  ahigd  47  68, 
ncabà  l\2,  achelj  53  136,  achés  12  97  115  136,  achest  12  74  97 
136,  àccMra  97,  agio  15  45  77,  adabds  TI  154,  adamunt  20"  83  154 
afan  78,  aguJd  47  102,  agùt  agurd  Al  104,  agost  23  38  74  98, 
agraés  agrai  142  e  n,  agulja  24  58  87,  air  7  65  154,  alecr  2,  algora 
18  41  63,  algua  56,  alj  40,  aljò  136,  aljunt  ìjvm  20"  83  102  154,  alt 
54,  altdr  54  65,  amd  154,  amd  amdt  1  65,  amascrd  mescila  57  128, 
amburicd  -còs  90,  amella  ìnella  25  59  126,  amie  10  88,  mwór  15, 
ampolja  53,  and  1  82  150,  analjd  154,  ananchi  97,  dnara  75,  angenc 
angendra  91  152,  ancruza  95,   anelj  8  53,  anfani  83,  angan  34  78, 


*  Qui  va  forse  pur  ciu  eia,  zio  -a. 

^  Non  si  comprendono  in  quest'Indice  le  voci  considerate  ai  uum.  15S-7. 


860  Guarnerio, 

anghira  99,  angal  102,  angoni  42  102^  angur  -uri  59  103,  a7i  dnara 
1  78  104,   ànima  33,  anrera  anrarera   154,   ansems  7  34  154,  antér 

34  83,  aritene  antrenda  151,  anlerramols  83,  anvega  12  34  47,  aowt 
ówt  23  82  154,  apm  49,  ara  1  52,  ara  ancara  154,  aram  128,  araru 
105,  arhra  abra  54**  64  119,  arega  89,  arena  5  63  75,  «rew  arava 
5  30  63  109,  arm5  c?nws  107  154,  arré^  137,  arribd  111  122,  ascara 
1  30  52,  aio  1M6,  a/pc  96,  asùc  asugà  21  87  96,  asùt  94,  asutols  63, 
ascolga  89  96,  ascnlt  23  38  54,  ascolj  61,  ascombra  129,  ascora  18, 
ascrau  57  70,  ascHc  ascrivi  10  30  82  117  139  151,  ascultagà  90, 
a5ci»'  21  30  65,  ascurigà  90,  ascwt  21  106,  ascwt  ascuri  96,  aspalla 
1  58,  aspara  1,  aspargi  100,  asparò  77,  aspiga  87,  asponga  2(S°  30 

102,  aspurìgà  90,  aspuzQri  17  30  81,  asiic  astó  1  143  151,  as^i'Z  11, 
astizora  17  30  81  96,  astrangu  42  96,  astrega  11  98,  astreìja  74, 
astriìja  58,  astriTii  102,  aué  af/7ié  5  48  117  143-5-8,  aw/J  viy  20^  47  154. 

bahnelj  58  68,    banai  107,    èarz.  42,   barena  barano,   84,   bastunaga 

35  87  111,  5a/  1  72,  ^»afema  13  31  116,  6e  7  77,  ie(y"  8  53,  èec  ^'ewm 
12  31  34  118  151,  &es  èaia  2  29  44  123,  èw^-a  13  31  111,  èm(^  10  51 
ili,  &i>  58"  68,  5o  18  77,  baca  23  122,  ^-ossa  25  66,  bou  18  70,  èrap 
1  46  119,  branc  60,  brau  60,  6rec?a  104  131,  breu  119,  èutf  19  68, 
hulóu  23  n,  J^réf  52,  burroni  105,  Jm/  96. 

ca  86,  cabdl  112,  cabelj  12  53  112,  caipa  cagaró  15  45  65,  calavra 
104,  cafc  caw  caura  1  31  56  108-9  151,  cal[n]  67  86,  calnigé  3 
35,  cam  113,  camba  85,  cam^  10  77  86,  camiza  44,  campanàr  4, 
campana  42,  cànam,  117  n,  cawpó  45,  candera  82,  canigu  78,  canonga 
89,  caj3  86,  capaljà  53  77  112,  cara  86,  cara  caraw  137,  carantura 
52,  carcangu  42  54'*,  carjja  46  54'',  cargina  91,  carcliiu  54"  97  137, 
careria  5  104,  can'p  92,  carira  7  110,  carréc  cargo,  90  121,  ca/a  115, 
case  97,  castana  42  74,  castelj  53  74,  catorza  91"  97,  caya^'  53  86 
117,  cai-  caua^'  44,  co5m  58",  cMce  58"  124,  c/itéf  33  97,  chinza  97,  cZar 
57  65,  cZoMC  cZowra  57  109  151,  eoe  eowra  18  31  88  92  151,  cofa  76, 
coZ  28  51,  colda  20  63,  eom  coma  16,  cgnt  20",  cgntra  20"  152,  eop 
55,  cor  18  86,  corru  67,  cos  20  66  133,  cosa  28,  cp5sa  cgga  28  46  55, 
cp'irar  23  118",  c7-aba  -U  cabirdl  18  114,  crabalgu  4  63,  craveìj  95  126, 
craw  1  57  70,  crec  creura  5  31  95  108-9  151,  cren  92  95,  criatura  32, 
cristià  33  95,  cris  crisi  9  32  73  95,  cru  95  110,  ewa  16,  cubrés  cubri 
142,  cm'n'  51  117,  cuit  94,  cwzfa  94,  culj  20",  cuìjera  3  58,  cwZsa  24, 
ewZt  24,  cugrgmba  129,  cumand  82,  ciimpaJi  42,  cumparés  14.2.  cumplert 

103,  cuynpri  61,  cungapi  91,  cwnpaz  91,  cunflgi  100,  cunés  cunèsar  31 
S6  73  142  e  n,  cM^at  102,  cunselj  40,  cunteni  83,  curgma  85,  curar 
15  36  52  65,  cwrpa  24  54"  86,   cm5  cmì-ì  81  123,  cw/a  96,  cwm  117. 

pafoe/J  63  91,  geba  91  112,  pe^w  26  87,  gel  26  51  91,  gelt  91,  feZ;a 


^ 


Il  catalano  d'Alghero:  Indice  lessicale.  361 

12  40  91,  gena  26  91,  p_w?m  12^^  80  91,  gmt  dogens  91,  gidi  139, 
gilera  32  63  91  125,  ginc  13,  ginga  91,  gingra  59,  giurò  92,  guitdt  91 
131,  fwn^a  64  77  91. 

<fa^w  39,  dama  30,  damanà  30  82,  <irtr«.  79,  dasbuird  30  68,  c?a- 
scuòri  30,  dascuzi  30,  daselt  63,  £Za5/"é  30,  <iasic  dasigà  Al ,  dee 
deura  5  31  118  151,  delma  56,  c?enf  83,  (Ì_m  decem  7  9:^,  (/ett  deo- 
7,  (deaera  33  47  60,  diacra  33  47  76,  die  diura  33  82  87  88  92  150, 
digous  39,  diijuns  33  n,  dimais  33  n,  dimecras  64,  dimoni  38,  c/mé 
3,  <iw'a^  33  51  104,  (imafa  120,  (^«f  11  100,  ditul  103  125,  dwmdra 
80,  dghra  23  61,  c?9p  c^pZ^  23  55  91,  cZona  79,  donc  duna  151,  c^ows 
153,  dos  22,  cfoira  91^*,  dret  reta  94  110,  cZro/?i  drumi  romita  20  63 
110  n  149,  drumitnri  17  36,  dummga  \2^  89,  c^^r  21,  c/«rór  15  52  65. 

eìba  S,  elj  -a  ecc.  12  53  136,  entr  \2^,  essar  ser  7  31  72  148. 

fabré  frabé  3  30  119,  fag  fagi  fet  fé  ecc.  46  82  93  94  150,  falnés 
36  67.  fals  54.  famiìja  40  e  n,  fanglj  23  58,  farà  104,  /"arù-a  104,  fé 

11  Ilo.  /e^a  89,  fd  7  51,  /eZm  12,  fem  11,  /e/'rw  122,  /^es  146,  festa 
8  74,  /ei'  fasd  29  73.  /e«<  26  109,  figa  10  87,  /?{;"  13  40,  filjol  18 
40  51,  fira  6,  ^ros«  52,  fìu  143,  /oc  18  88,  foga  89,  /bZ/"rt7  67,  /bZpa 
45,  folsis  154,  /or«5  18  154,  frairalgu  4  63,  franta  62  122,  /rara  31 
105,  frastdni  frastuma  5  n  43  60,  fraura  98,  frec  fraga  11  87-8  123, 
fret  12  100,  /"roc  62,  front  20^  />'(?r  16  62,  fros  62  96,  /rmY  94, 
fruita  135,  frumagu  89,  /'«e  /•ò<^t;ii  24  100,  /'w/;'  20^  40,  fulja  40, 
/wm  21,  fus  21. 

^rtJm  48  86,  galt  63  86,  ^a/J  53  98,  garbelj  34  n  53  95,  galdi  39 
63,  galmd  11,  gané  3  39  65,  ganiva  102  125,  ganolj  23  30  58,  ^f;Z 
7  51  100.  gmdra  8"  31  80  100,  gmt  8"^  83»^  100,  goe  18,  ^oy«  22  31 
39  77,  gu,  22,  gue  19  88,  guga2A  31  39  89,  ^^7^  24  39  42,  gur 
21  39  65,  guriól  18  39  51,  ^u^f  24  39  74,  gherra  99  122,  ghis  25 
115,  ^o?*a  22  52  98,  ggta  23  122,  gran  82  101,  grandinega  142,  ^res 
^ras  72  95,  greu  2  70,  ^roc  ^'toc  18  95,  gruta  25  95  116,  guaran  42. 

igresia  44,  infelfn]  67,  invelfn]  8  63  67,  io,  a  ?m',  ecc.  121  136, 
wiiM  32  38  70.  izura  13  52,  w  isi  9  32  65  96. 

laudar  làndel  4  50  59'',  legu  154. 

Ijadra  31  50  105,  Ijale  50,  /;'am  Ijampega  113  142,  /;'ana  50  75, 
Ijangcl  18  34  45,  Ijantia  58  83  125,  ^'oó  15  30  50,  Ijatuga  50  87,  ^zaw 
Ijavons  117  133  n,  ZJawra  118,  Ijebra  8  114,  ZJec  27  50  88,  Ijej  50, 
Ijema  77,  IJenga  12^^  99,   /y^r^  //erm  102,   Z/'e^fr  74,  IJet  50  94,  Z/'efra 

12  50,  Iji  5Ó,  Zj6ra  13  31,  IjibecQl  18,  Z;Vc  O'^^a  11  50  98,  IJic  Ijigi 
7  50  100  150,  Ijigarolga  41  50  63,  Ijiri  13  40  50  52,  Ijisiu  33  70 
96,  Ijit  50  94,  ZJkra  13  50  118,  Ijoc  18  50  88,  Ijoca  57,  //"om  85,  Ijop 

^  50,  Zjor  28,  Ijugér  Ijugél  3  65,    /y'wm  21,  Ijuna  21,  Z/wr^  20'^  102. 


862  Guarncrio, 

ma  1  77,  inahra  64,  maó  magar  39,  magargra  15,  ìnagra  95,  ma- 
grana  101,  malassa  104,  malcàt  malcant  63,  ma/p  45  63,  managa 
40  128,  nianasté  niasté  7  34  65,  manr/argra  17,  mdniga  33  90,  mantéé 
•  142,  mawMi  34,  ;nar  1,  mrtra  31  105,  maragina  93  107,  maral  107, 
marart  56,  maravelja  12  34  n  40  117,  marga  11,  marit  63,  wam  -ra 
104,  mascra  57,  massa  154,  mastio  mastigd  90,  matés  12  115,  tnega 
8  31  89,  mf^  7  51,  meZa  2,  mene  wewe  mangà  89  141,  mewf  8^  83^, 
meresiról  65,  mérura  52,  wes  mezus  5  81  123,  wzes  100,  meia  5  81, 
mestra  27  31,  weit  mww  ecc.  7  136,  wze  m/^a  9  47,  mz7  13,  miljór 
15  32  40,  TYiiracra  33,  miralj  33  58,  mma  40  n,  moc  moura  70  151, 
moldra  129,  woZ^  20,  /won  23  82,  m,onga  89,  m,orim.uri  18  63,  mw- 
carcC  17,  muljé  40,  tnidta  25,  multò  15  36  83,  onunasti  6  36,  munera 
5  36  104,  mw~w  102  139,  ìnuntaJia  42  83,  mwr  21,  tnurendu  52,  mMri 
murinalgu  4  52,  mussie  mussigd  20*^  66  90,  ww5fl  29,  mw^  21. 

wtóói  nabora  16  30  104  106  112,  wam^  51  104,  wa/ m/ar  31  73 
142,  w«t<  70  75,  wec  7  75,  negra  101,  wef  12  75,  wew  11,  neura  8 
118,  m«ra  33  104  107,  ningù  Ì29  137,  nil  94,  nm  10  109,  nombri 
129,  nora  22,  noranta  36  76  125,  wow  novo-  novena  18  70,  nou  nuce 
22  92,  nu  nodo  16  110,  nu  nudo  21  110,  numuru  32^^,  nusaltrus  noslru 
ecc.  136,  nutari  4  36,  tiiwura  117. 

oc^i  47,  oZc^a  20  77,  o^c^^  20  47,  orna  18  31  77,  gna  23  82,  gnga  23 
46,  oni-a  91\  opr  ubri  114  123  150,  or  28,  om  16,  on  40  52,  orri 
41,  ot(  70. 

prt  77,  pa^a  87,  pais  5  81,  pald'iu  92,  p«^'«  40,  palpelja  58,  pam 
55,  panate  3  104,  pantéc  83  142,  ijanthi  129,  paó  69  77,  papaljò  40, 
pope  25  112,  para  31  105,  parau  45  52,  paraura  28  52  118,  parelj 
12  58,  parelja  104,  parès  pari  139,  parilj  58,  pargma  85,  pastór  pa- 
stgra  15  74,  pau  1  92,  pedra  perra  105,  pe^ra  11  87,  peZ  11  51,  pe^' 
8,  pe^f  pelda  8,  pena  5,  pera  11,  Pera  31  105,  pes  5  81,  pe/  12  73^ 
jpew  7  109,  pfara  104  107,  picò  49,  p/^J-ór  15  32  39,  pvndura  129, 
innól  18  33,  pz^  94,  plec  11  61,  pfef  93,  i^obra  proba  28  114,  poc  28 
135,  polo  20,  polcavru  114,  po^pa  91,  po^5  23,  pgls  23  54,  polca  89, 
po^'a  puljastra  53,  ppZ;  23  58  107,  po^to  20,  poma  16,  pop  55,  por  69, 
popul  18  51  112,  poi^  22  45,  praga  45  61,  praga  98,  pro^e  praghé 
61  93,  pranà  61,  pranta  61,  praricà  107,  praf  61,  prazó  44  81,  praw 
^raura  92  151,  pre  pranara  5  61,  preba  12  31  114,  prec  pragd  7 
61  88,  prenc  prenda  8''  151,  pre^  5  81,  pressac  8  34  66  90,  prew  45, 
prime  3  33  65,  projn  23  61  85,  prop  18,  2Jror  16  61,  prow  proura 
18  31  151,  pruga  pruega  19  48  61  142,  prwi  107,  pruma  21  6], 
jpruaga  107,  prurd  purrd  61  131,  pwpa  24  55  91,  pi^c  pM(fé  pughé  ecc. 
18  19  104  140  151,  pujerru  105  n,  puZtó  149,  punt  24,  punent  8^ 
se  83",  piui  102,  pwr  21. 


i 


Il  catalano  d'Alghero:  Indice  lessicale.  363 

rabia  48,  rarità  ragd  93  126,  ragàr  51,  raUm  5  93,  raina  100,  raj 
raju  47,  raméj  47,  ì^amór  ramgls  15  37,  rantarora  15  30,  rahò  15  45, 
rap  101  n,  rase  3,  rasd'  17,  raspane  raspgndra  20^  30  82  151,  raspra- 
neva  61,  ratapiTiara  78  104,  rej  50,  reni  rantà  93  126,  rep  rehra  93 
112  126  139  150,  rie  riura  33  82  108-9  139  151,  riu  10  70,  rghia  48, 
roe  ro^«  48,  rgm  rumpi  113,  rora  18,  rgt  23  94,  rwaira  130,  ì^udo 
-gna  23  36  82  104. 

sa  1  77,  sabaté  3  104  117,  sai/  112,  sagùr  87,  saZ  1  51,  salpmta 
8^  30,  sam  55,  samana  116,  samòrdr  129,  sawc  99,  sangrgt  23  34  59, 
3apultura  54  112,  sams  104,  sarenu  5,  sar??  92,  sar?;ia  48  54^,  sasiz-a 
64  91,  satembra  8*^,  sawc  117,  se  sab  sabè  112  150,  sf e  seura  7 
108-9  139  151,  seeul  26  51,  xemiJm  8^  sera  5  104,  set  8  116,  set 
sitis  11,  5e«  sebum  5  118,  st  11,  sie  7,  s/^Ai  97,  smic?  142,  sipia  49, 
^25  9,  sisanta  96  124,  «Wéi  33  104  117,  so  18,  5o5m  114  152,  sgfra 
23  55,  sogra  20  95,  so?  16  51,  sole  side  151,  59?^  23,  somiu  20  79, 
^ow  20  79,  sgnga  23  102,  sora  52,  sofà  23  120  152,  sou  55,  soi^ 
^w/^  ecc.  136,  sua  suor  107,  suggai  93  107  139,  suspita  94. 

teré  3  52,  te/'pér  3,  tarré  5  122,  tewra  118,  tebiu  110  112,  tene 
trenda  7  S''  9  77  80  105-39-43-48,  tens  8^  113  133,  tera  5  52,  terra 
8  Ì22,  tewra  98,  timés  timi  11  139  Ì42,  tìTii  32  139,  fe'nfé  3,  tió  tigns 
15  45  77,  tis  tisi  9  32  96,  tisiró  32,  toZew  58\  fps  23  72,  tot  tgts  16, 
trabalj  53,  traés  irm  142,  tramuga  Al,  trasór  28  30  105,  trau  28 
105,  fo-ec  treura  31  151,  Trento  12'',  treza  91^",  trei  94,  irmm  117, 
tros  25  66  105,  trota  94,  fi*  fow  ecc.  136. 

u  21,  wèai  107  117,  ufendra  8"  31  36,  ulvird  60,  wZJ  20"  58,  uljeras 
3  58,  umbrilj  58  60  85,  wmjDr  umpri  14  35  61,  ww/r  mw/)'^  14  35  62, 
Mìigra  24  59,  wwór  15,  urelja  12  38  58,  urinelja  82,  urivdr  4  65,  wrór 
63  107,  Mfe7  104,  wveZ>  12  58. 

vaca  68  122,  vae  vec  141  150,  vagada  34  87  104,  va/ii  93,  Vaivelt 
65,  valggna  23  42  82,  ?;af/  53,  valjana  126,  vandichéc  vandicd  82 
142,  ?;aré  5  30  68  76  125,  mre?wa  8  30  43  68  76  82  125,  velt  12,  veZ/ 
8  58,  ■yeZto  t;a?tó  59,  vena  5,  vene  vendra  S'^  31  151,  t?ent  8'',  ventra 
S\  verga  12  77  100,  ves  146,  vew  ?;eMm  11  47  109  139  141  150,  veu 
voce  92,  vi  10,  viaga  33  89,  m/ra  uw-ra  105,  vigi  45,  ui'Z  10  51,  vilma 
76,  tjma  146,  vinaga  46,  vinagra  33  n  95,  um«  viJiaté  3  33  42  104,  rmc 
a;e  uam  ecc.  7  9  32  77  143  151,  vini  13,  to'«  villa  52,  vira  vita  10, 
viv  viura  150,  um  70,  viùt  viiira  33  107  121,  vuU  vuitanta  94  128,  uwZ/ 
^uré  vulghé  ecc.  18  20''  51  52  150,  vurd  52,  vusaltrus  vostra  ecc.  136. 


364  Guarnerio,  Il  catalano  d'Alghero:  Correzioni. 


CORREZIONI. 

Il  signor  Andreone  (v.  p.  263)  non  avendo  potuto  rivedere  in  tempo  i 
primi  fogli  di  stampa,  sfuggirono  parecchi  svarioni  nei  testi  vivi  ;  i  quali 
ora  correggo,  non  senza  chiederne  scusa  al  lettore,  e  insieme  aggiuugeuda 
qualche  altra  emendazione  e  avvertenza. 

p.  263,  11,  leggi:  Comparetti;  -  p.  266,  12,  1.  dell'imminente;  -  p.  270,  13, 
1.  durador;  -  p.  272,  1,  1.  altre;  ib.  4,  1.  del  offici;  ib.  17-18,  1.  del  spetxa- 
ment.  -  p.  218,  ?,  1.  sapieredes;  -  p.  292,  23,  1.  los  matalassos  de  la  monicio 
(cioè  *i  materassi  della  munizione,  del  casermaggio');  -  p.  296,  23,  1.  cichs 
contagiats  (cfr.  sp.  cicho);  -  p.  298,  12,  1.  apititu;  -  p.  299,  6,  1.  mirava  lu^ 
ib.  8,  1.  de  achesa;  ib.  14,  1.  passats;  ib.  18,  1.  li  a;  ib.  29,  1.  lis  a;  -  p.  300^ 
6,  1.  mamentus;  ib.  11,  1.  astala;  ib.  31,  1,  nuvialjas;  -  p.  301,  17,  1.  jjtenuan; 
ib.  26,  1.  son  astdt;  ib.  38,  1.  palgarira;  -  p.  302,  30,  1.  mori;  -  p.  303,  26, 
1.  racordi;  -  p.  304,  17,  1.  drins;  ib.  3S,  1.  mamentu;  -  p,  305,  6,  1.  se;  - 
p.  30o,  13,  1.  es  anara;  ib.  3S,  1.  tots;  ib.  48,  1.  no  i;  -  p.  307,  4,  1.  ana- 
m,urara  ;  ib.  22,  1.  anighessin;  ib.  30,  1.  rassagiira'lu;  -  p.  308,  7-9,  1.  piigliessi; 
-  p.  309,  5,  1.  sa  an;  ib.  15,  1.  uìia  m.uljé;  ib.  23,  1.  vanùt;  -  p.  310,  21, 
1.  TTiun;  -  p.  311,  25,  1.  daspraghi^  tantu  sacrifìchéc;  ib.  31,  1.  tranchilus; 
ib.  32,  1.  dasubariengia  de  m.a;  -  p.  312,  2  e  altrove:  per  ma  ga  astic,  1.  ga 
ma  astic;  -  p.  313,  10,  1.  mamentu;  ib.  10,  1.  lis  din;  ih.  41,  1.  chi  helj;  - 
p.  314,  22,  1.  lus  damanaré;  -  p,  315,  1,  per  ti,  1.  ta;  ib.  1,  I.  donai;  ib. 
6,  1.  vols;  ib.  7  e  altrove:  per  mazzéu,  1.  mazzén;  ib.  22,  1.  tranchilu;  -  p. 
317,  13,  1.  tantas  cosas;  ib.  22,  1.  no  vols;  ib.  33,  1.  barrant;  ib.  34,  1.  Va 
pragàt;  ib.  44,  1.  asiu;  -  p.  318,  20,  1.  umpriva;  ib.  39,  1.  pusàt\  -  p.  319,  20, 
1.  angonis;  ib.  20,  1.  cors;  ib.  36,  1.  tun;  -  p.  333,  24,  1,  aspalla  (espatUa); 
ib.  28,  1.  greu  e  più  comune  grevu;  ib.  29,  1.  mela,  ma  non  usasi  che  nella 
voce  m,elacotò;  -  p.  334,  nota  1,  1.  gutera  goccia,  non  grondaja,  che  dicesì 
gualnisa;  ib.  cagera  non  sostantivo  {caga),  ma  aggettivo;  p.  e.  cucca  cagera^ 
cagna  abile  alla  caccia;  -  p.  335,  12,  1.  anvega  (più  comune  anviria,  cfr. 
n.  107);  ib.  14,  verga  (sardescara.  virgina);  -  p.  342,  29  (num.  77),  aggiungi: 
ma  qualche  rara  volta  lo  riassumono;  p.  e.  ben  pagàt,  un  bon  cunselj;  cfr. 
p.  325-6  e  Morosi  n.  68;  -  p.  358,  1.  3-4.  Ambora  ambora  significa  anche 
'spingi-spingi',  e  c'è  il  verbo  amburà  spingere;  perciò  va  piuttosto  confron- 
tato il  logud.  imbudadu,  spinta,  urto,  senza  poi  dire  che  l'altro  confronto 
importava  la  difficoltà  di  r  algh.  =  del  srd. 


LA  DECLINAZIONE 

NEI   NOMI   DI   LUOGO    DELLA    TOSCANA. 


B.    BIA.NCHI. 


SoMMAEio.  —  Avvertenza  preliminare.  —  §  I.  Varj  casi  mantenuti 
in  nomi  personali  e  comuni;  accusativi  plurali  in  -a.  —  §  II.  Nomi 
di  luogo  in  -{ a  -1  lat.  di  ragione  locativa.  —  §  III.  Nomi  di  luogo 
in  -z  =  lat.  -io.  La  stessa  corrispondenza  in  nomi  comuni;  e  spe- 
cialmente di  -ieri  di  contro  ad  -a rio.  —  §  IV.  L' -2  nei  nomi 
proprj  e  nei  comuni,  di  contro  all'  -i  tematico  del  latino,  e  sua 
ragione  flessionale.  —  §  V.  Nomi  di  luogo  e  nomi  comuni  in  -i, 
la  cui  base  latina  è  in  -ae  di  nom.  pi.  —  §  VI.  Genitivi  di  nomi 
personali  romani  in  costrutto  classico.  Nomi  in  -aula  ecc.  —  §  VII. 
Genitivo  di  nomi  personali  romani  in  costrutto  volgare.  —  §  Vili. 
Genitivo  di  nomi  latino-volgari  d'età  incerta.  —  §  IX.  Genitivi 
nei  tempi  cristiani.  —  §  X.  Nomi  latini  e  teutonici,  volti  in 
genitivo  a  tempo  dei  Longobardi  e  dei  Franchi.  —  §  XI.  Ge- 
nitivi di  età  certa,  tra  il  sec.  vili  e  il  xiii.  —  §  XII.  Nomi  mo- 
derni in  forma  di  genitivo.  —  §  XIII.  Scarsi  avanzi  di  genitivo 
plurale.  Di  -oro  che  s'incontri  con  -ario.  —  §  XIV.  Cenno  intorno 
ai  suffissi  -asco^  -c^go-,  -ina,  -éna,  -énna.  Finali  e  accenti  stra- 
vaganti. —  §  XV.  Appendice. 


30G  Bianchi, 


AVVERTENZA  PRELIMINARE. 

La  mìa  prima  intenzione  fu  quella  di  toglier  titolo,  per  questo  scritto, 
solamente  dal  genitivo;  ma  veduto  nel  processo  del  lavoro,  clie  nella  vocale 
caratteristica  di  questo  caso  venivano  a  confondersi  le  riduzioni  di  altre  forme 
flessionali  o  creazioni  affatto  nuove,  che  molte  erano  le  questioni  risolute 
0  tentate,  le  quali  richiamavansi  dalla  principale^  e  che  rimaneva  così  illu- 
strata una  buona  parte  della  lingua  arcaica,  somministrataci  dai  nomi  di 
luogo,  ho  dovuto  preferire,  come  più  comprensivo,  il  titolo  che  qui  so- 
prammetto. Il  genitivo,  nondimeno,  rimane  sempre  come  il  principale  argo- 
mento, nel  modo  che  è  stato  la  causa  e  la  occasione  di  questo  studio.  Difatti, 
stando  sempre  in  Toscana,  dove  il  popolo  ben  conserva  le  vocali  della  ter- 
minazione, non  potevano  mancare  di  risvegliare  la  mia  attenzione  tanti  nomi 
di  luogo,  che  tutti  i  giorni  mi  percotevano  le  orecchie,  e  che  non  solo  hanno 
la  desinenza  del  genitivo  latino,  ma  quel  che  piìi  monta,  l'evidente  signi- 
ficato di  questo  caso,  e  la  forma  tutta  italiana,  o  la  sostanza  storicamente 
moderna,  nel  corpo  della  parola.  Un  tal  fatto  mostràvami  chiaramente  che 
il  genitivo  durò  ancora  in  vita,  quando  già  il  latino  non  era  più  la  lingua 
del  popolo;  onde  io,  muginando  nella  mente  alcuni  di  questi  nomi,  potetti 
intuire  che  col  sussidio  dei  nomi  personali,  con  cui  essi  vanno  general- 
mente congiunti,  si  avesse  modo  di  tesser  la  storia  del  detto  caso  fino  al 
tempo  in  cui  l'italiano  ebbe  il  battesimo  letterario.  Fatto  il  piano  sopra  questo 
concetto,  restava  a  riempirne  il  disegno  con  pruove  storiche  ;  ma  un  tal  com- 
pito, pei  nomi  e  nomignoli  dei  luoghi  di  Toscana,  veniva  fortunatamente  più 
che  facilitato  dalla  grande  opera  del  Repetti  ^,  della  quale  bastava  all'uopo, 
con  nn  po'  di  pazienza  e  molta  riflessione,  fare  un  ampio  spoglio.  Questo 
io  feci,  non  solo  pel  genitivo,  ma  anche  per  aver  materiali  da  trattare,  quando 
si  presenti  la  occasione,  altri  argomenti. 

Toccando  il  merito  dell'opera  che  ci  serve  di  principal  fondamento,  diremo 
che  non  solo  il  naturalista  e  lo  storico,  ma  anche  il  filologo  ha  un  grande 
obbligo  di  gratitudine   verso  l' illustre  Autore  ;   il   quale  tuttavia,  di  fronte 


*  Dizionario  geografico  fisico  storico  della  Toscana,  contenente  la  descri~ 
zione  di  tutti  i  luoghi  del  Granducato,  Bucato  di  Lucca,  Garfagnana  e  Lu- 
nigiana,  6  volumi  in-4.''  a  due  colonne;  Firenze  1833-46,  Il  sesto  volume 
contiene  l'appendice,  che  manca  in  molti  esemplari. 


Toponomia  toscana:  Esordio;  367 

all'ultimo,  ha  scemato  di  due  terzi  le  sue  benemerenze.  Imperocché,  alle  sue 
vaste  cognizioni  di  scienze  naturali  e  di  statistica,  egli  congiungeva  una 
grande  erudizione  storica  ed  un  criterio  acutissimo,  cauto  e  sicuro,  che  gli 
fece  sfruttare  all'  uopo  suo  e  ben  digerire  una  gran  parte  della  gigantesca 
mole  degli  archivj  toscani;  ma  sebbene  egli  siasi  mostrato  abile  nello  asse- 
gnare il  vero  senso  ad  alcuni  nomi  di  luogo,  nondimeno  è  stata  tanta  la  sua 
incuranza  filologica,  che  ha  esiliato,  forse  per  sempre,  dagli  scaffali  della 
Crusca,  un  testo  che  non  era  difficile  comporre  italianamente,  con  grande  uti- 
lità del  vocabolario  ;  ed  ha  fatto  uso  di  una  ortografìa  che  è  una  vera  scellera- 
taggine agli  occhi  del  linguista.  L'unico  pregio  che  egli  abbia  in  questa  parte, 
è  quello  di  aver  mantenuto,  come  segno  di  pronunzia  distinta,  lo  j  tra  vocali 
(per  es.  in  Pian- Castagnai 6) ,  condannato  dalla  sordaggine  dei  grammatici 
nostri.  Nel  resto,  nessuna  distinzione,  od  indicazione  di  5  e  ^  sorde  o  sonore, 
di  e  ed  0  strette  o  larghe,  abbandono  quasi  totale  del  dittongo  z«o,  e  quel 
che  è  peggio,  bando  generale  agli  accenti;  dimodoché,  per  es.,  essendovi  più 
luoghi  di  nome  Castagnolo  o  -oli,  tu  non  rilevi  quale  sia,  e  dove  dicasi  Ca- 
stagnolo ^,  quale  e  dove  Castagnòlo  o  -nòlo;  essendovi  più  Campoli ,  non 
puoi  saperne  quale  venga  dal  basso  lat.  càmpulus,  e  quale  da  campus  Pauli. 
Ci  è  di  più  r inconveniente,  che  essendo  la  maggior  parte  piccoli  luoghi 
e  senza  commercio,  dei  quali  nessuno  profferisce  il  nome  dopo  poche  miglia 
di  distanza  da  essi,  anche  un  toscano  rimane  spesso  incerto  sulla  reale  pro- 
nunzia de'  loro  nomi;  e  chi  non  vi  presta  attenzione,  come  gli  agenti  di 
governo  toscani  e  non  toscani,  gli  sciatta  anche  dopo  avergli  uditi,  e  spesso 
con  la  consueta  stupida  pretensione  di  correggere  il  popolo  ignorante.  11 
Repetti,  il  quale  non  era  uè  un  disattento  né  uno  sciolo  (se  non  per  la  sop- 
pressione dell' M  di  tiò,  che  probabilmente  credette  illegittimo  perchè  man- 
cante, a  regola  di  grammatica,  nelle  carte  latine),  e  che  frugò  per  molti 
anni  ogni  cantuccio  della  Toscana,  avrebbe  potuto  con  la  medesima  spesa 
e  senza  perdere  altro  tempo  che  d'un  tratto  di  penna,  risparmiare  ai  posteri 
un  lungo  e  costoso  lavoro.  Maggior  risparmio,  ugualmente  senza  allungar 
tempo  né  accrescere  la  sua  spesa,  ci  avrebbe  procurato,  se  nello  spogliare 
una  massa  enorme  di  antiche  carte  ^,  ci  avesse  sempre  chiaramente  indicato 


^  Nelle  carte  lucchesi,  anteriori  al  mille,  incontrasi  non  di  rado  la  forma 
Castagnulo,  che  prova  l'accento  sdrucciolo;  ma  questo  è  tutt' altro  che  co- 
mune a  tutta  la  Toscana;  cfr.  il  pis.  e  lue.  muricciolo  contro  il  fior,  mu- 
ricciiiòlo. 

2  Gli  archivisti  da  me  interrogati  mi  dicono  invece  che  per  lo  più  egli  si 
valse  di  spogli  fatti  già  dai  loro  predecessori,  o  sopra  informazioni  da  lor 
avute;  ma  ben  si  rileva  che  fece  anchfe  molto  da  sé. 


S6S  Bianchi, 

quali  erano  le  forme  dei  nomi  scritte  in  quelle;  poiché  il  lettore  spesso  ri- 
mane incerto  se  egli  abbia  inteso  di  presentare  la  forma  volgare,  o  quella 
scritta  nel  monumento  da  lui  citalo,  o  se  sia  questa  ridotta  all'italiana;  e 
non  di  rado  apparisce  che  egli  traduca  in  latino  sopra  una  semplice  presun- 
zione, e  qualche  A'olta  al  contrario  e'  non  registra  la  vera  forma  latina,  o 
più  originale,  che  talora  si  rintoppa  a  caso,  e  per  fortuna,  in  articoli  disparati. 
Così  per  citare  un  solo  fatto,  all'art.  Gusciana,  od  Usciana,  ci  dà  l'antica 
variante  Jusciana,  e  tra  parentesi  le  fa  corrispondere  un  lat.  Juxiana,  che 
non  si  sa  se  egli  abbia  trovato  in  qualche  carta  non  citata,  od  in  qualche- 
duna  di  quelle  citate,  delle  quali  parlando  pone  in  corsivo  sempre  la  forma 
Usciana;  ma  tornandovi  sopra,  all'art.  Pachile  di  Fucecchio,  fa  credere  che 
Juxiana  si  legga  in  carta  lucchese  del  949,  contenuta  nel  t.  V.  par.  S.^ 
delle  Mem.  Lue.  (vedi  sotto),  dove  invece  (p.  226)  altro  non  si  legge  che 
prope  fluvio  Juscana,  così  scritto,  come  in  altri  casi  somiglianti  riscontrasi, 
in  luogo  di  Jusciana.  In  nessun  luogo  poi  nota  come  in  altra  carta  più  an- 
tica, da  lui  senza  dubbio  veduta  (ib.  V.  2.»  S92,  an.  887),  si  legge  Ucciana 
prope  fluoio  Arno  et  prope  rivo  Fabula  (così  spesso,  oggi  Evola).  Quello 
che  forse  piìi  importava  di  notare,  dimentica,  sotto  l'art.  Gusciana,  che  una, 
delle  carte  da  lui  citate,  e  che  è  la  più  antica  (an.  754),  era  stata  già  posta  a 
contribuzione  sotto  l'art.  Arsiccioli,  e  gli  avea  dato  la  forma  Auctiana  {prato 
juxta  paludem  Auctiane)  ^.  L'egregio  uomo  ha  trascurato  inoltre  di  notare, 
dove  l'uso  lo  ha  posto,  un  elemento  importantissimo,  com'è  l'articolo;  il  quale, 
tranne  quanto  ai  fiumi,  è  un  criterio  sicuro  per  conoscere  la  età  relativa 
di  molti  nomi  di  luogo:  per  es.  Arno  e  FArno,  Chiana  e  la  Chiana,  ma 
sempre  solo  Fiesole,  Cortona  ecc.,  nomi  etruschi,  Albiano,  Bibbiano,  Cascia 
(Via  Cassia),  nomi  romani,  e  via  discorrendo;  di  fronte  ai  quali  abbiamo 
per  es.  l'Incisa  o  V Ancisa  (=  la  ^ncisa,  cioè  taglio  fatto  dall'Arno),  nome 
che  non  potrebbe  essere  stato  applicato  ad  un  castello  prima,  a  dir  poco, 
dell'  ottavo  secolo  dell'  era  volgare  ^,  se  pure  l' articolo  non  vi  fu  aggiunto 
posteriormente  per  la  ragione  etimologica  sempre  sentita. 


^  Sotto  il  citato  art.  Padule  ecc.,  il  Repetti  avverte  che  la  carta  del  754 
ha  veramente  Auctione,  ma  che  egli  intende  Auctiane,  perchè  non  può  esser 
VUgione,  fosso  che  attraversa  il  suburbio  settentrionale  di  Livorno.  Tra  le 
carte  lucchesi  di  quell'anno  o  de'  più  vicini,  e,  se  ho  avuto  buon  occhio,  in 
tutto  il  secolo  vili,  non  ce  n'  è  una  che  faccia  menzione  dell'Usciana.  Ritrovo 
quella  carta  nel  Cod.  Dipi,  del  Brunetti  (parte  1.%  p.  552),  dove  prima  si 
legge  prato  vel  padule  Uctioni,  e  'poi  juxta  padule  Auctioni',  ma  è  tratta 
da  una  copia  dell' Arch.  Fior.,  a  dir  poco  di  due  o  tre  secoli  posteriore. 

^  La  lettura  di  più  centinaja  di  carte  toscane  di  quel  secolo,  la  maggior 
parte  rozzissime  e  quasi  volgari,  mi  fa  credere  che  neppure  allora  rimanesse 


Toponimia  toscana  :   Esordio.  369 

Per  rimediare  alle  disattenzioni  del  Repetti,  volli  ricorrere  direttamente, 
quando  già  era  innanzi  questo  lavoro,  alle  due  principali  raccolte  delle  carte 
toscane  più  antiche,  dalle  quali  egli  attinse  la  maggior  parte  delle  sue  piìi 
importanti  notizie.  La  prima  è  il  Codice  diplomatico  toscano  di  Filippo  Bru- 
netti in  tre  volumi  (Firenze,  1808-33)  con  dissertazioni,  dei  quali  il  secondo, 
che  forma  col  precedente  la  prima  parte,  contiene  83  carte  longobardiche, 
ed  il  terzo  (parte  2.»)  ne  ha  91  dei  tempi  di  Carlo  Magno,  giungendo  al- 
l'an.  813;  ma  essi  hanno  molte  carte  comprese  nella  raccolta  seguente.  Queste 
ed  altre  il  Brunetti  trasse  dall'Ughelli,  e  più  dal  Muratori,  disgraziatamente 
senza  riscontrarle  sopra  gli  originali,  perchè  non  gli  aveva  a  suo  comodo 
nell'Arch.  Diplom.  fìoreatino.  Il  più  degli  originali,  che  si  riferisce  quasi 
sempre  al  territorio  di  Chiusi  ed  a  grandissima  parte  della  Maremma,  viene 
dal  celebre  monastero  del  Mont'Amiata,  ben  noto  agli  eruditi  per  i  preziosi 
codici  di  qaesta  provenienza.  La  seconda  è  compresa  nelle  Memorie  e  Do- 
cumenti per  servire  alla  storia  del  Ducato  e  della  Diocesi  di  Lucca,  e  riempie 
quattro  volumi  in  4.°,  stampati  in  Lucca  dal  1818  al  -38,  e  cosi  indicati: 
t.  IV.  (1818),  t.  IV.  parte  2.=^  (1836),  t.  V.  parte  2.»  (1837),  t.  V.  parte  3.' 
(1838).  Tale  raccolta  è  tratta  dall'archivio  arcivescovale  di  Lucca,  che  è  il  più 
ricco  d'Italia  nel  rispetto  complessivo  dell'antichità  e  del  numero  delle  carte, 
quasi  tutte  originali;  poiché  essa  comprende  tutte  le  carte  anteriori  al  mille, 
avendone  130  dell'epoca  longobardica,  con  le  quali  e  le  seguenti  giunge  al 
n.°  293  nel  sec.  viii,  al  n.°  1046  nel  sec.  ix,  e  chiude  il  mille  col  n.°  1757;  ma 
arriva  anche  a  2000  con  una  scelta  delle  posteriori  fino  all'an.  1201,  e  con 
altre  anteriori  sparse  nelle  appendici  ^  Accresce  importanza  alla  raccolta  il 


stabilmente  fermato  1'  uso  dell'  articolo  ;  tanto  più  che  in  una  funzione  in- 
termedia vi  si  trova  spesso  usato,  specialmente  in  quelle  lucchesi,  il  pron. 
ipse  (cfr.  r  art.  sardo).  Ancor  più  dovette  ritardarsi  a  fissarlo  in  certi  nomi 
di  luogo.  Come  tali,  nel  senso  in  cui  gì'  intendiamo,  non  possono  considerarsi 
le  seguenti  designazioni,  che  solo  trovo  nel  Brunetti:  in  ilio  ortu  ad  ilio  fini 
suhtu  casa  in  carta  maremmana  del  774  (parte  1.",  630),  illa  cetina  da  illi 
noccli  in  e.  mar.  del  787  (parte  2.%  275),  castello....  qui  vocitatur  sulla  pina 
in  e.  amiatina  del  790  (ih.  283).  Per  quanto  sappia,  le  molte  Cetine  che  sono 
lungo  il  corso  dell'Arno,  non  hanno  articolo,  ma  neppure  vi  se  ne  intende 
il  significato  ;  tuttavia  lo  ha  il  Cetinale.  Avremo  a  suo  luogo  occasione  di 
spiegare  il  valore  di  queste  voci  (§  IV). 

^  Al  linguista  non  possono  queste  scelte  andare  troppo  a  sangue;  e  fa- 
rebbe molto  comodo  aver  tutte  le  carte  fino  al  1200;  ma  se  egli  è  discreto 
nel  caricar  di  robuccia  le  spalle  degli  eruditi  e  le  sale  delle  biblioteche, 
può  contentarsi,  per  i  secoli  posteriori,  degli  scritti  volgari,  e  quanto  alle 
carte  latine,  di  buoni  estratti. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  24 


870  Bianchi, 

fatto  che  Lucca  fu,  prima  del  mille,  la  principale  città  della  Toscana,  e  che 
i  suoi  lambardi  estendevano  lo  possessioni  per  gran  parte  dei  territorj,  che 
poscia  furou  dominio  di  altri  Comuni.  I  due  primi  dei  detti  volumi  furon 
pubblicati  dal  Bertini,  e  gli  altri  due  dal  Barsocchini,  che  ci  diede  anche 
le  varianti  e  le  correzioni  delle  carte  messe  alla  luce  dal  suo  predecessore. 
Non  ho  agio,  e  per  ora,  nemmeno  pratica  sufficiente  per  fare  un  esame  di- 
plomatico; ma  credo  poter  dire  che  alla  critica  filologica  mal  reggono  l'U- 
ghelli  ed  il  Muratori,  o  piuttosto  i  suoi  corrispondenti  toscani  ;  più  si  sostiene 
il  Bertini  ed  il  Brunetti,  e  meglio  di  tutti  il  Barsocchini.  Tuttavia  quest'ul- 
timo, e  molto  più  il  Brunetti,  non  di  rado  confondono  Va  e  Vu,  la  s  e  la  r, 
assai  somiglianti  nelle  carte  più  antiche,  e  come  vedremo  in  fine,  leggono 
in  qualche  asta  prolungata  una  l  che  dalla  fonologia  non  può  essere  ammessa. 
Per  le  carte  che  non  sono  contenute  in  queste  principali  raccolte,  mi  affido 
all'autorità  del  Bepetti,  e  ricorro  alle  altre  fonti  ond'egli  ha  attinto,  ed  agli 
originali  degli  archivj,  soltanto  quando  trattasi  di  fatti  decisivi  nei  principali 
problemi  che  mi  sono  proposto.  E  quanto  a  queste  ultime  ricerche  debbo  pub- 
blicamente ringraziare,  degli  ajuti  prestatimi,  Cesare  Guasti,  soprintendente 
all'Archivio  Centrale  di  Stato  in  Firenze  e  segretario  dell' Academia  della 
Crusca,  e  il  prof.  Cesare  Paoli,  addetto  al  medesimo  archivio;  i  quali  coti 
molta  cortesia  mi  hanno  prestato  libri,  ed  hanno  per  me  estratto  dalle  per- 
gamene i  passi  relativi  alle  questioni  che  loro  proponeva  ^. 

Ho  voluto  premettere  quanto  sopra  per  iscusarmi  delle  imperfezioni  di 
questo  mio  scritto,  ed  in  parte  per  avvertire  altri,  specialmente  stranieri, 
di  non  fidarsi  troppo  nel  disugare,  a  scopo  filologico,  un'opera  celebre  e  di 
merito  altissimo,  qual  è  il  Dizionario  del  Repetti,  ma  che  per  noi  deve  ri- 
farsi da  capo  a  fondo  ^  Essendo  oggi  fuori  di  commercio,  e  ridotta  rara,  fac- 


^  Il  Paoli  sta  ora  preparando  la  pubblicazione  delle  carte  dell'  viii  secolo, 
conservate  nell'archivio  fiorentino,  dov' egli  è  professore  di  paleografìa.  È 
desiderabile  che  un  uomo  così  esperto  nella  lettura  e  nella  critica  delle  carte, 
e  sul  quale  il  filologo  può  affidarsi  tranquillo,  estenda  questa  pubblicazione 
anche  a  quelle  contenute  negli  altri  archivj  toscani.  La  sua  carica  gli  dà 
un  certo  diritto  di  farsi  mandare  gli  originali,  per  non  istarsene  all'Ughelli, 
al  Muratori  e  ad  altri,  che  hanno  badato  al  senso  più  che  alla  forma  scritta 
degli  atti.  Quando  così  egli  facesse,  aprirebbe  un  bel  campo  da  sfruttarsi 
pei  nostri  studj. 

2  Anche  le  carte,  riprodotte  con  troppo  gretta  fedeltà,  possono  recar  con- 
fusione cosi  allo  straniero,  come  a  chi  non  è  della  provincia  a  cui  si  rife- 
riscono; poiché  mantenendovisi  le  iniziali  minuscole  ai  nomi  di  luogo  e  di 
persona,  questi  non  di  rado  mal  si  distinguono  dai  nomi  comuni.  Si  potrebbe 
salvare  la  fedeltà  e  la  chiarezza,  ponendo  per  iniziale  un  carattere  di  forma 
diversa. 


Toponimia  toscana:   Esordio.  371 

ciarao  voto  che  diasi  mano  ad  una  nuova  edizione,  non  da  uno,  ma  da  una 
società  di  dotti  ;  perchè  le  odierne  esigenze  non  permettono  ad  un  solo  opere 
più  0  meno  enciclopediche,  e  perchè  il  Repetti  fu  un  lavoratore  così  pode- 
roso che  tornerebbe  oggi  a  stancare,  per  piìi  e  più  anni,  un  filologo,  uno 
storico  e  diplomatico,  uno  statista  ed  un  naturalista  riuniti.  Ancor  più  desi- 
dereremmo che  ogni  regione  italiana  avesse  già  un  dizionario  degno  di  porsi 
accanto  a  questo  della  Toscana,  ed  atto  ugualmente  a  somministrare  un  buono 
e  ricco  materiale  alla  storia  della  lingua  e  de'  varj  dialetti,  non  che  a  spie- 
gare la  origine  di  molte  cose;  ma  Sventuratamente  non  ne  conosco  altro  che 
sia  principalmente  compilato  con  lo  spoglio  di  antichi  monumenti  '. 

Il  tema  che  ho  scelto  può,  in  gran  parte,  svolgersi  bene  senza  questi  de- 
siderati, perchè,  nel  presentarci  le  finali  dei  nomi,  aveva  un  limite  l'arbitrio 
del  Repetti,  e  perchè  i  fatti  raccolti,  e  bene  accertati,  sono  più  che  bastevoli 
a  provare  le  mie  conclusioni.  Si  può  fare  di  meno  anche  dei  nomi  di  molti 
loghicciuoli,  non  registrati  da  lui  perchè  non  sono  vocaboli  di  parrocchie, 
0  perchè  non  ne  fanno  menzione  gli  storici  o  gli  antichi  documenti,  e  che 
sono  però  meno  confacenti  alla  nostra  ricerca;  e  ciò  tanto  più  che  la  maggior 
parte  ripetono  nomi  già  noti,  o  sono  tratti  dalla  lingua  vivente  ^  Indico  la 
origine  immediata  dei  nomi  personali,  che  occorrono  quasi  sempre  in  quegli 
di  luogo,  lasciando  il  compito  di  svolgere  questa  parte  della  scienza  alla 
mano  ben  più  abile  del  prof.  Flechia,  che  se  lo  è  già  assunto  ad  onore  del 
nostro  Archivio.  Nondimeno,  ad  illustrazione  del  lavoro,  do  in  appendice  uno 
scelto  spoglio  di  accorciamenti  e  diminutivi  teutonico-latini  di  tali  nomi, 
anteriori  al  mille.  Per  le  voci  comuni,  e  per  i  soprannomi  che  se  ne  sono 
formati,  rimando  ai  noti  vocabolarj,  ancor  quando  non  ne  diano  una  defini- 
zione troppo  esatta;  soltanto  mi  soffermo  sopra  quelle,  di  cui  non  è  facile 
trovare  sufficiente  spiegazione. 

Il  modo  di  citare,  da  me  usato,  è  questo:  indico  con  Rep.  (Rep.) 
il  dizionario  del  Repetti,  con  M.  L.  (=  Memorie  Lucchesi)  la  raccolta  delle 


1  Rammento  che  nel  Congresso  geografico  internazionale,  radunatosi  io 
Venezia  nelle  vacanze  del  1881,  quando  avevo  già  steso,  ma  non  compiuto 
questo  lavoro,  fu  espresso  il  voto  per  la  compilazione  di  un  dizionario  geo- 
grafico italiano  dell'età  di  mezzo;  ma,  oramai  che  non  abbiamo  né  questo 
né  quegli  regionali,  gioverà,  per  far  meglio,  aspettare  che  ne  siano  fissati  i 
criteri  con  buone  monografie;  poiché  la  erudizione  storica  va  ancora,  in 
Italia,  troppo  disgiunta  dalla  linguistica,  e  non  è  nemmeno  per  sé  preparata 
ad  un'opera  tale.  Chi  avrà  la  bontà  di  seguirmi,  vedrà  che  la  scienza  nostra 
esige  molto  da  simili  dizionari,  e  sempre  rimane  di  difficile  contentatura. 

2  Pare  che  la  serie  che  più  soffra  per  la  mancanza  di  una  lista  completa, 
sia  quella  dei  nomi  di  origine  etrusca. 


sii  Bianchi, 

carte  lucchesi,  ma  poi  mi  limito  a  porre,  senz'altro,  IV.  o  V.,  parte  2.»  o  3.', 
per  accennare  il  numero  del  tomo,  la  parte  seconda  o  terza  di  esso,  le  quali 
formano  per  sé  stesse  tanti  volumi,  mentre,  citando  la  raccolta  del  Brunetti, 
prèmmetto  sempre  'Br.'  a  'par.  1."  o  2.»'.  I  numeri  che  seguono,  indicano  la 
pagina  del  volume  o  della  parte,  e  quegli  posti  tra  parentesi,  gli  anni  della 
carta,  quando  lo  stile,  ossia  la  enunciazione  del  fatto,  non  richieda  di  ac- 
cennare prima  1'  anno,  e  poi  di  porre  tra  parentesi  le  altre  indicazioni.  La 
raccolta  lucchese  mal  distribuita,  mi  obbliga  anche  a  citare  con  Dissert.  e 
con  app.  le  carte  riportate  nelle  note  delle  Dissertazioni  e  nelV  appendice  al 
tomo  IV.  Le  altre  opere,  che  ho  posto  a  contribuzione,  verranno  indicate  di- 
stintamente volta  per  volta  che  ne  avremo  l'occasione. 

Per  render  ragione  in  generale  delle  varie  forme  dei  nomi  di  luogo,  non 
ho  qui  uopo  di  disegnare  i  rispettivi  confini  delle  parlate  toscane;  poiché, 
la  fissazione  della  presente  forma  di  quegli,  risale  per  lo  più  ad  un'  epoca 
anteriore  alla  divisione  del  toscano  in  sottodialetti.  Difatti,  per  dire  soltanto 
delle  parlate  pisana  e  lucchese,  un  esame  critico  delle  carte  non  varrebbe 
a  distinguerle  dalla  fiorentina  nei  secoli  anteriori  al  mille;  solo  negli  ultimi 
decennj  del  secolo  x  appare  nel  lucchese  qualche  incostante  alterazione, 
che  lentamente  si  fa  normale  e  fissa  nei  due  secoli  posteriori,  mentre  il  fio- 
rentino si  tiene  fermo  all'antico  tipo  comune.  Piuttosto  le  carte  d'Arezzo  e 
di  Chiusi,  ed  un  po'  meno  quelle  di  Siena,  accennano  qualche  deviazione 
anteriore;  ma  questa  si  limita  a  vocali  alone,  o  brevi  toniche,  che  il  fior, 
e  quindi  l'italiano,  per  eccezione,  conserva  intatte  ^  Sopra  tale  argomento 


^  Tuttavia  la  critica  s' indurrà  difficilmente  ad  ammettere  che  certe  forme 
fussen  proprie  del  luogo  a  cui  si  riferiscon  le  carte.  Per  es.,  la  celebre 
carta  arretina  del  715  (Brun.  p.  1.»,  430  segg.),  contenente  un  lungo  esame 
di  testimonj ,  ha  più  forme  dialettali,  che  uno  non  saprà  se  attribuire  ad 
essi  testimonj,  se  al  notajo  od  al  suo  copiatore  dell' xi  secolo.  Tra  quelle  vi 
è  Basélica  e  Baseleca,  che  potrebbe  essere  stata  arretina  fin  d' allora ,  se 
Baselia,  inadodinos  (=raatuti-)  e  Oradorius  (quattro  volto),  non  ne  fa- 
cesseu  fare  tutto  un  mazzo  per  assegnarle  al  notajo  Guntheramo  misso  domni 
Liiitprandi  Regis,  che  vorrebbe  dire  un  lombardo.  Entrerà  in  questo  mazzo 
anche  l'arret.  possibile  Tedolus,  titolo  della  chiesa,  santo  da  cui  prende 
nome,  spiegato  a  vanvera  per  oraculus  dal  Brunetti.  Più  sicuramente  se- 
nese, 0  più  esattamente,  di  Toscanella,  è  concia  per  cuncta  (cfr.  sen.  j^onto 
T^eT  punto)  in  Br.  ibid.  488  (736).  Per  i  posteriori  cambiamenti  del  lucchese, 
cfr.  qui  Capannori  =  -ole  al  §  V,  Basirica  per  Basilica  in  V.  3.*  352,  488 
(975,  985),  Vico  Aiiseressore,  cioè  della  Serézzola,  in  IV.  2.*  app.  108  (1068, 
e  mi  pare  anche  un  po'  prima),  dove,  per  ss  da  z  (*AuseritiuIa,  dimin. 
di  A  user,  'Serchio'),  cfr.  il  lue.  e  l'ant.  pis.  pesso,  piassa  e  simili,  per 
pezzo,  piazza  ecc. 


Toponimia  toscana:   Esordio.  373 

tornerò,  se  avrò  agio  e  materiali  bene  acconci,  in  un  separato  lavoro,  e  qui 
invece  mi  contenterò  di  toccare  solamente  quello  che  occorre  caso  per  caso. 
Pili  che  esporre  una  geografia  dialettale  che  in  questa  trattazione  non  ha 
sede  opportuna,  gioverà  indicare  la  posizione  delle  valli  toscane  (che  ac- 
cenno con  'V.'),  le  quali  sono  mal  distinte  e  sì  possono  confondere,  o  che 
per  la  loro  poca  importanza  sono  mal  note  a  chi  non  si  picca  nella  minu- 
scola geografia.  Il  Valdarno  Superiore  (Vaici,  siqh)  da  presso  Arezzo  giunge 
alla  bocca  della  Sieve,  comprendendo  anche  la  Val  d'Ambra;  il  Valdarno 
Fiorentino  (Vaici,  fior.)  va  dalla  bocca  della  Sieve  fino  a  Montehipo,  e  com- 
prende le  valli  secondarie  della  Greve,  di  Marina  e  del  Bisenzio  ;  il  Valdarno 
inferiore  (Vald.  inf.)  si  distacca  dal  secondo  e  si  estende  fin  presso  a  Pon- 
tedera,  e  potrebbe  comprendere  ie  valli  della  Pesa,  dell'Elsa  e  dell'Evola  a 
mezzodì,  e  della  Nievole  e  della  Pescia  a  settentrione;  la  Versilia  rimane 
tra  le  bocche  della  Magra  e  del  Serihio,  la  Fine  tra  Livorno  e  la  Cecina; 
e  quindi  succedono  a  mezzodì  la  Cornia,  la  Pecora  e  la  Bruna,  e  dopo 
Grosseto,  i'Albegna  e  la  Fiora.  Valli  secondarie  interne  sono  quelle  della 
Lima,  influente  del  Serchio,  dell'Orda,  della  Merse  e  dell' Arbia,  influenti 
dell'Ombrone,  e  della  Paglia,  che  entra  nel  vecchio  stato  papale  e  finisce 
nella  Chiana.  In  tutte  queste  vallate  si  distendono  dialetti  della  medesima 
famiglia,  ma  se  ne  distaccano  notevolmente  quegli  della  Valle  di  Magra  e 
della  Vara,  che  ne  fa  parte,  e  più  ancora  quegli  della  Bomagna  toscana, 
compresi  nelle  valli  del  Reno,  del  Sauterno,  del  Lamone,  del  Montone  e  del 
Bidente  i. 


*  Questa  indicazione,  come  cenno  generalissimo,  non  si  dirà  opposta  al 
vero;  ma  recentissime  informazioni  pervenutemi  intorno  alle  parlate  delle 
più  alte  valli  del  Montone,  del  Savio,  della  Marecchra,  e  perfino  della  Fo- 
glia, mi  attestano  che  vi  prevalgono  i  caratteri  del  toscano,  e  quegli  appunto 
c'ie  contrastano  col  gallo-italico.  I  lettori  AgIV Archivio  non  saranno  tenuti 
a  digiuno  di  queste  notizie. 


374  Bianchi, 


§  I.  Si  sa  che  il  toscano,  e  conseguentemaate  l'italiano,  ha  fatto 
man  bassa  sulle  consonanti  finali  della  flessione  latina,  ed  ha  distrutto 
0  confuso  anche  i  casi  che  erano  distinti  per  la  vocale.  Quindi  riescirà 
gradito  il  sapere  (e  sarà  quasi  una  sorpresa)  che,  a  questa  regione 
dialettale,  è  rimaso,  per  virtù  di  particolari  condizioni  fonetiche  o  di 
singolari  combinazioni  sintattiche  e  semasiologiche,  qualche  'caso  fossile', 
che  ben  si  discerne  per  la  consonante,  o  per  la  vocale  di  desinenza, 
dalle  forme  comuni.  Son  noti  i  nomi  personali  Niccolos-o  e  Tommas-o, 
dove  la  persistenza  della  s  dovrà  attribuirsi  all'  accento  suU'  ultima 
(cfr.  p.  376,  e  §  XIV  fine);  e  senza  contare  il  poetico  speme  e  spene 
da  spem,  voce  e  forme  che  ora  non  sono,  e  probabilmente  mai  non 
sono  state  toscane,  debbono  prendersi  in  considerazione  le  bestemmie 
che  si  odono  nel  contado  fitn^entiuo,  e  che  sono  per  die,  per  dieni  e 
per  diane  e  per  los  deo,  i  quali  esempj  chiaramente  ci  manifestano  un 
accusativo  singolare  ed  uno  plurale.  La  prima  e  la  seconda  non  può  esser 
altro  che  il  nome  di  Lio  scambiato  con  diem,  per  iscrupolo  religioso  e 
per  decenza;  ed  un  parroco  di  campagna  che  spesso  esclamava  «  per  diem 
et  noctem!»  rientrava,  senza  avvedersene,  nel  sentimento  degli  antichi 
che  creavano  il  per  dieni  ^  Per  los  deo,  nel  modo  in  cui  si  pronunzia, 


^  Hon  può  dirsi  che  -eni  ed  -ani  siano  sillabe  qualunque,  messe  lì  tanto 
per  isfigurare  la  vera  voce,  come  potrebbe  credersi  di  diamine;  poiché  ueppur 
qui  le  ultime  sillabe  son  poste  a  casaccio,  avendovisi  una  mistione  di  diavolo 
con  domitie,  fatta  per  la  detta  causa.  Nemmeno  potrebbe  sospettarsi  che  la 
n  non  siavi  succedanea  di  una  m  tradizionale,  ma  invece  sia  corruzione  di 
una  m  accattata  da  preti  e  da  letterati:  perocché  in  Toscana,  e  credo  nella 
maggior  parte  d'Italia,  sia  nelle  scuole  sia  nelle  chiese,  si  ha  il  modo  ba- 
rocco di  pronunziare  le  consonanti  finali  del  latino,  raddoppiandole  ed  aggiun- 
gendovi un' e,  dicendosi  per  es.  Deummc,  e  diemjne,  il  quale  non  s'in- 
debolirebbe in  die>ii.  Tale  pronunzia  non  è  moderna,  come  lo  mostrano  i 
nomi  proprj  ridotti  da  antichi  scrittori  in  forma  volgare,  quali  Minosse  q.-osso, 
Febusso,  Anniballo,  Palamidesse  Ilot.lxu.YiSyì?,  Parisse  e  Parissi  Uàpii;  (cfr.  Nan- 
Nucci,  Tcor.  nomi  lin.  it.,  pp.  128131208);  ma  gli  esempj  popolari,  e  più 
antichi,  di  Davidde,  Melchiorre  e  Marchionne,  che  hanno  una  storia  speciale, 
non  m'inducono  a  crederla  anteriore  di  troppi  secoli  alla  nostra  letteratura. 
La  più  antica  vocale  ausiliare,  per  la  pronunzia  delle  consonanti 'finali,  do- 
vette essere  i  (cfr.  la  prostesi  a  st-  sp-  ecc.\  che  nel  sentimento  dell'italiano 
■è  il  minimo  di  suono  vocale,  come  si  vede  nei  nomi  delle  lettere  bi  ci  di 
ecc.;  e  da  prima  non  si  raddoppiarono  le  dette  consonanti.  Ciò  mostrano  i 
nomi  longobardici  in  -frid,  che  poi  divien  -frodi  al  nominativo  ed  agli  altri 


Toponimia  toscana:   §  I.  Varj  casi  che  sopravvivono.  37S 

potrebbe  anche  scriversi  per  lo  sdeo;  ma  che  la  s  sia  parte  organica 
dell'articolo,  e  non  disfigurativa  per  religioso  timore,  lo  mostra  la  in- 
tegrità della  vocale  tonica,  poiché  deo  vi  sta,  secondo  la  regola  schiet- 
tamente toscana,  che  a  dio  (pron.  ddio)  fa  corrispondere  gli  dei  \  a  rio 
rei,  a  mio  miei,  ed  in  modo  analogo,  a  tuo  tuoi,  a  suo  suoi,  a  bue  buoi, 
a  due  duoi  ^.  D'altra  parte,  lo  sfiguramento  di  x>er  Dio  è  per  zio,  che 
è  zio  {z  sordo)  assimilato,  per  il  metallo  della  consonante,  a  dio.  Il 
Nannucci  (o.  e.  321-24)  trova  alcuni  esempj  di  plurali  in  -o-^-os, 
ma  n'andrebbe  fatta  una  vagliatura  (cfr.  in  fine  del  §).  Un  altro  bel- 
l'esempio di  accusativo  plurale  si  ha  nel  proverbio  contadinesco  :  «  le 
sono»,  ed  anche  «l'è  terras  Dei,  a  seminar  otto  si  raccoglie  sei»,  lo 
che  dicesi  per  ischerzo  di  terre  sterili.  Neppure  questo  terras  Dei  può 
essere,  come  il  sizio,  il  passio,  il  de  profundis  ed  altri,  un  latinismo 
tolto  alle  sacre  funzioni,  perchè  i  preti  da  me  interrogati  non  ram- 
mentano che  nei  canti  e  nelle  lezioni  ecclesiatiche  s' incontri  tale  dizione, 
la  quale  non  si  trova  tampoco  nelle  Concordantiae   della  Volgata.  In 


casi.  Così  nelle  Mem.  Lue:  Wilifrit  e  Wilifrid  (t.  V.  par.  2.%  pp.  6  e  7, 
an.  720),  Gaidifrid  Gaidofrid  e  Gudofrid  per  la  medesima  persona  in  carta 
del  723  (ibid.  p.  10),  Sintifrid  in  e.  del  740  (p.  19),  Teutfrid  del  746  (23); 
ma  Gaufridi  in  e.  del  722  (9),  Sichifridi  del  737  (14),  Ermifridi  771  (76), 
e  tanti  allri,  quindi  le  forme  it.  Gottifredi  Nann.  194,  Manfredi  (Mainfridi 
in  e.  del  975),  Soffredi  da  Seifridi  del  767  (Mem.  cit.  p.  61),  o  dal  più  fre- 
quente Sicliif'idi  e  Sighifridi;  mentre  Tancredi  è  dal  fr.  Taìicrède.  Per  que- 
sto -/,  con  essi  vanno  gli  anticati  Davitti  da  David,  e  Maométti  da  Moliammed 
giustamente  pronunziato  Mahometto  (cfr.  il  flacone  dei  poeti)  dai  contadini 
toscani.  Pare  un  po'  strana  la  mutazione  di  -d  in  -t  (Davit  è  già  in  e.  del 
773,  ibid.  85),  mantenuta  dopo  la  epitesi  di  i,  per  l'appunto  in  questi  due 
nomi  orientali,  mentre  non  apparisce  in  tal  caso  nei  nomi  longobardici,  nei 
quali  avrebbe  dovuto  aspettarsi;  poiché,  se  si  hanno,  oltre  il  citato  Wi- 
lifrit, Alifret  e  Tunifret  (leggi  Tan.)  figli  di  Magni  fr  et  in  e.  del  772  (ib. 
78),  e  simili  altrove,  allorché  sopraggiunge  1'  -i  si  mantiene  il  d,  né  que- 
sto mai  si  raddoppia.  Del  resto,  vedi  Nann.  194  210,  la  nostra  Append.,  e 
qui  il  §  IV,  dove  si  ha  una  coincidenza  flessionale. 

'  Cosi  dea.  Chi  scrive  dii  qua  non  va  col  popolo,  almeno  con  quello  non 
sverginato  da  una  falsa  coltura  ;  sola  eccezione  i  per-dii  e  simili,  che  è 
quanto  dire  'le  bestemmie'.  —  [Veramente,  1'  i  di  dìo,  comunque  si  rifaccia 
la  sua  genesi  intrinseca,  dipende  dalla  qualità  dell'iato  (-éo  -éa  -éae  danno 
-io  -ia  -té)  ;  e  perciò  anche  il  rillesso  o  almeno  il  diretto  riflesso  italiano 
di  deos  avrebbe  ad  esser  dio.  Non  saranno  poi  popolari  la  dea  e  le  dee; 
cfr.  ria  rie,  ecc.  —  G.  I.  A.] 

'  [L'analogo  di  huoi  sarebbe  veramente  "dici.  —  G.  I.  A.] 


S76  Bianchì, 

essa  è  da  notarsi  ancora  la  conservazione  del  gen.  Dei,  che  nei  monti 
del  Vald.  sup.  ho  anche  udito  nella  esclamazione  fede  Lei  alternata 
col  fé  dde  Ddio!  Questo  è  un  prezioso  cimelio,  ma  più  curioso  di  tutti 
è  il  Hre  vias  quattordici  fa  quarantadaa',  che  si  ode  nel  contado  fio- 
rentino, e  probabilmente  altrove.  Quello  che  par  singolare  si  è,  che 
vias  si  usi  soltanto  dinanzi  a  quattordici  e  non  ad  altri  numeri,  per  quanto 
ho  potuto  indagare;  ma  che  la  s  sia  elemento  flessionale  di  via,  e  non 
una  giunta  puramente  fonetica  al  nome  numerale,  si  accerta  dal  fatto, 
che,  fuori  di  quella  locuzione  moltiplicativa,  non  si  aggiunge  la  s  né 
al  nome  del  14  né  a  quello  di  ver  un  altro  numero,  e  che  la  s  prefìssa 
ha  sempre,  nel  dialetto,  un  valore  preposizionale  o  rinforzativo,  che  lì 
non  ha  luogo  ^  —  Tra  i  nomi  di  luogo,  di  consonanti  finali  del  latino 
trovo  conservata  la  -s  in  due  soli,  nei  quali  tuttavia  è  rimasta  interna 
come  nel  nome  di  festa  Ognissanti  da  Omnes  Sancti^,  e  sono  essi: 
Fontisterni,  casale  nel  com.  di  Reggello  (Vald.  sup.),  che  è  chiaro  essere 
fontes  terni  o  t  e  r  n  a  e  ('Fontesterni'  in  e,  3  lug.  1039,  Rep.),  essendo 
più  luoghi  detti  la  Fonte,  le  Due  Fonti  ecc.,  come  la  Badia  delle  Tre 
Fontane  a  Roma;  e  Montisonda,  volgarmente  anche  Monte  dell'Onda 
(Rep.  ad  v.)  ^,  casale  in  V.  di  Sieve  presso  S.  Gaudenzio,  nel  qual  nome 
si  ha  conservato  l'unico  genitivo  in  consonante.  Finalmente  conservasi 
la  consonante  finale  dell'acc.  in  Monten-Domini  (v.  il  §  X,  e  cfr.  ug- 
e  unguano,  hoc  e  hunc  an.).  Abbiamo  dunque  già  veduto,  come  ci- 
melj  di  varia  specie,  due  nominativi  sing.:  Niccolos-o,  Tommas-o;  coi 
quali  vorrei  terzo  l'arret.  dusi  dux*;  e  un  quarto   ne  mandiamo  al 


^  Tale  s  è  ancor  più  curiosa  per  ciò,  che  in  vias,  secondo  io  credo,  non 
è  originaria  ma  analogica,  ossia  conflgurativa.  Poiché  la  originazioue  di  via 
'volta,'  da  via  'strada'  già  rigettata  da  altri  per  diversa  ragione  (v.  Caix, 
St.  etim.,  num.  528),  non  la  stimo  accettabile,  essendo  un  coutrosenso;  ma 
stimo  all'incontro  che  s' abbia  a  risalire  a  vicis,  e  porre  vice  *vige 
vie  (p.  e.  septe  vie-sépte;  cfr.  Arch.  IX  104-5  n),  e  così  legittimarsi 
Vi  it.  =  «  lat.  per  via  dell'iato  assai  antico.  Da  me  (fiata',  che  sempre  rimane, 
si  passò  a  via,  che  vuol  dire  all'analogia  della  1.^  deci.  Digià  anche  il  Nan- 
nucci  (p.  310)  avea  riconosciuto  in  via  la  forma  di  un  accus.  plur.,  per  le 
analogie  che  tosto  vedremo. 

2  Non  dubito  che  qui  la  tradizione  non  sia  spontanea.  All'incontro  jion 
così  nella  pronunzia  Spiritos-santo ,  troppo  frequente  nelle  orazioni  della 
Chiesa. 

'  Persone  vicine  al  luogo  mi  assicurano  che  la  forma  Montis-  è  sem- 
pre viva. 

*  [Ma  non  passerà,  poiché  ne  verrebbe  uno  i  =  e  s,  senza  dir  dell'i  epitctico  ; 


Toponimia  toscana:  §  I.  Varj  casi  che  sopravvivono.  377 

§  XIV;  due  gen.  sing.  :  Dei,  Montis-^,  due  accus.  sing.  :  dien-i,  Monten-; 
due  nomin.  plur.:  Ognis-,  Fontis-;  e  due  accus.  plur,:  terras,  vias. 

Sappiamo  che  i  plurali  feminili  della  1.^  deci,  vengono  dal  nominativo 
latino  *,  ma  ve  ne  sono  anche  in  -a,  cioè  in  accusativo  senza  la  -s  la- 
tina. Il  Nannucci  (303-14)^  ne  porge  più  esempj,  ma  senza  fare  quelle 
opportune  distinzioni  che  per  brevità  ci  vogliamo  risparmiare.  Riporto 
i  più  conchiudenti:  le  coppia  zona  polpa  balestra  guancia  fiuinana 
mina  tnusa  maglia  saetta,  che  sono  in  rima,  e  non  tutti  popolari;  le 
persona  mina  terra  mascella  giuntura  orecchia  unghia  o  ugna,  che 
sono  in  prosa  ed  anc'oggi  più  in  uso  via  via  che  si  scende  agli  ultimi 
notati.  Bella  coppia  da  aggiungersi:  le  tegola,  le  tetta,  del  suburbio  fio- 
rentino. Della  4.*  deci,  lat,  ci  dà  le  mano,  con  cinque  esempj  in  rima, 
ed  uno  in  prosa  di  dial.  romanesco  (*Framm.  stor.  rom. '),  e  pone  a 
confronto  lo  spagn.  las  ìnanos;  ma  la  nostra  forma  rimane  incerta 
tra  due  casi  *.  Circa  i  pi.  in  -a  della  1.^  deci.,  va  notato  che  i  nomi 
delle  membra  (  le  guancia  mascella  orecchia  )  erano  come  confortati 
dall'-a  dei  pi.  neutri  (le  braccia  tempia  ginocchia).  Quanto  poi  alle 
ulteriori  attinenze  tra  i  plur.  neutri  e  il  feminile,  è  ora  da  considerare 
la  storia  che  ne  è  fatta  dal  direttore  di  questo  Archivio  (VII  439  sgg.). 
E  poiché  al  tipo  la  corna  si  arriva  pur  in  regioni  neolatine  che  hanno 
il  pi.  fem.  in  -as,  non  vorremo  sostenere  che  la  conformità  dei  fem. 
pi.  it.  in  -a  coi  neutri  pi.  pure  in  -a  valesse  a  estendere  a  questi  l'ar- 
ticolo e  il  genere  feminile;  e  piuttosto  noteremo  che  in  scritture  del 
sec.  XIV,  appartenenti  a  Città  di  Castello  (sottodial.  arrotino),  tali  nomi 
hanno  sempre  l'art,  masc.;  ad  esempio,  i  nomina,  i  quattro  tempora^ 
i  ìnembra',  ma  le  sante  vagnieli  (cfr.  §  V). 


e   continueremo  a  vederci  la  riproduzione  della  voce  altoitaliana,  che  vene- 
tamente  è  dgze  ;  cfr.  Arch,  II  452.  —  G.  I.  A.] 

^  Due,  s'intende,  di  ragion  particolare;  cliè,  del  resto,  è  tutta  piena  di 
genitivi  la  presente  Memoria. 

*  Non  si  dimentica  la  diversa  opinione  del  Tobler  (Goti  g.  a.,  1872,  pag. 
1903  sgg.),  la  quale  pei*ò  non  ha  trovato  séguito,  né  a  dir  vero  ne  poteva 
trovare. 

^  L'opera  che  di  lui  spesso  citiamo,  per  lo  più  nei  primi  §§,  è  la  Teorica 
dei  nomi  della  lingua  italiana,  Firenze  1847, 

*  Un  acc.  plur.  è  manifesto  nella  frase  'aver  tra  mano',  che  equivale  ad 
'aver  tra  le  mani'.  E  poi  frequente  le  mano  nei  'Ganti  popolari  umbi'i',  rac- 
colti dal  Mazzatinti,  Bologna  1883. 


878  Bianchi, 

§  li.  Prima  di  venire  a  trattare  di  proposito  del  genitivo,  che 
termina  quasi  sempre  in  i  per  tutti  i  nomi  di  luogo  di  ogni  genere  e 
declinazione,  fa  d'uopo  toglier  di  mezzo  Vi  finale  di  ogni  altra  pro- 
venienza. Il  Diez  cita  (IP  11),  tra  gli  avanzi  di  casi  perduti:  Ascoli 
Asculnm,  Cingoli  Cingulum,  Rimini  Ariminum,  Tràpani  Drepanum,  ed 
altri  aventi  il  nom.  e  Tace,  in  -ium,  ai  quali  tosto  verremo;  più  con 
-i  di  contro  ad  -a,  Asti  Asta,  Cori  Cora,  Novi  Nova.  Tra  i  primi  ag- 
giungeremo Girgenti  Agrigentum  ed  Ofnco&' Ocriculum;  tra  i  secondi, 
Limi  Luna  \  e  anche  Firenze,  che  il  Diez  accoglie  altrove  (P  177), 
accanto  ai  nll.  che  danno  -i  di  contro  ai  lat.  -e  -ae  {Chieti;  Acqui  ecc.)  ^. 
In  tutti  i  quali  esemplari  (come  già  il  Diez  faceva,  quasi  inavvertita- 
mente, per  i^i'ren^e  =  Florentiae)  bisogna  risolversi  a  riconoscere  la 
permanenza  del  locativo  latino,  estrinsecamente  non  diverso  dal  ge- 
nitivo, e  non  già  dubitare  col  Diez  che  vi  si  possa  avere  anche  il  ge- 


^  Una  forma  più  antica  è  in  e.  hic.  dell'  843,  de  Lune  civitate  (IV.  2^  ap- 
pend.  5U).  E  ancora  si  aggiunga:  Terni  Inter  ani  na.  In  una  carta  deirS09 
(Br.  2^  381-3)  è  scritto  tre  volte  interquini,  ed  un'altra  -ino,  cioè  'in  Tar- 
quinia'; ma  è  dubbio  se  non  vi  si  debba  vedere  piuttosto  uno  strascico  del 
lat.  Tarquinii,  abl.  locat.  Tarquìniis  (Livio  I  34).  Somiglianti  sarebbero  : 
Capri  Capria,  Narni  Narnia,  Anagni  Anagnia,  Segni  Signia,  e  Atri, 
che  in  lat.  fanno  Atria;  ma  questo  -i^-ie  da  -iae  s'incrocia  con  -i  da  -io 
del  §  IH  e  con  -i=  -e  del  §  V.  Per  Lipari  Lipara,  è  da  considerare  che 
s'ha  Lipare,  Ainipri  (cfr.  Agathi,  §  XIV  in  f.,  ma  v.  anche  Giovanni  in  u. 
al  §  IV).  Merita  attenzione,  del  resto,  l'-i  ant.  ital.  in  più  nll.  greci  (Nanu. 
87,  169,  197).  Ateni  Athenae,  entra  con  Acqui  in  questo  §  ed  anche  in 
relazione  col  V  (v.  ivi  n."  1);  e  per  Greti  Kp-hr-ri,  s'invoca  la  pronunzia 
itacistica  dell'-*?  (cfr,  Arch.  IX  91).  Rodi  da  Bhodos,  come  anche  nome 
di  città,  potrà  essere  locat.  lat.  (§  II),  ma  con  questo  mal  si  spiegano,  SeW^ 
Seriphos,  Cipri  Gypros,  che  sono  isole,  né  il  significato  consente  ricor- 
rere ai  derivati  Seriphius  ecc.  Il  popolo  chiama  'vetriolo  di  Ciprio^  il 
■solfato  di  rame,  ed  è  Ciprio  la  forma  più  comune  per  l'Italia  centrale  nella 
raccolta  del  Papanti;  ma  Vi  vi  dev'essere  anorganico  come  in  nutria  (del 
resto,  per  -i  =  io,  v.  il  §  seg.).  Pari  Paros  e  Antipari  si  risentiranno  dell'it. 
pari  e  dispari.  Il  più  strano  è  Patrassi  (Nann.  193)  da  Patrae,  che  ac- 
cenna l'acc.  ìlxTpx;  (-uC,i  non  darebbe  ss). 

^  Oltre  Recanati  che  in  lat.  si  fa  Recinetum  (?),  il  Nann.  mostra  (192) 
borrenti  (Surrentum),  ma  è  in  rima,  e  non  è  per  lo  meno  la  forma  comune. 
Nella  stessa  posizione  è  Aquisgrani  (87),  di  cui  fa  egli,  col  solito  sistema, 
una  eteroclisia  di  Aquisgrana,  mentre  sarebbe  il  genitivo-locativo  di  Aqui- 
sgranum.  In  ogni  modo  vi  è  da  far  poco   conto   di  forme   che  non   sono 


Toponimia  toscana:  §  II.  L'-t  locai.  —  §  III.  L'-i  da  -io.  379 

nitivo  con  'civitas'  sottinteso  \  La  stessa  ragione  vale  per  Tivoli,  il  quale, 
novantanove  su  cento,  è  il  loc.  abl.  Ti  buri,  ma  tuttavia  compenetra 
in  altre  serie  di  nomi  proprj  e  comuni  (§§  lY  e  Y).  Foneticamente  sano, 
in  quegli  di  l.*^  deci.,  non  sarebbe  se  non  Firenze;  e  1'-?'  per  -e  della 
serie  Asti  Astae  ecc.  andrebbe  ripetuto  dalla  serie  amplissima  Ri- 
mini  ecc. 

§  III.  Dai  suindicati  vanno  distinti  i  nomi  in  -i,  che  in  latino  hanno 
il  nom.  e  Tace,  in  -ium.  Questi  potrebbero  considerarsi  in  forma  di  ge- 
nitivo, inteso  come  sopra,  ma  il  più  delle  ragioni  induce  a  riconoscervi 
una  desinenza  comune  a  più  casi,  tra  i  quali  il  genitivo  abbiavi,  o  nulla, 
o  la  parte  minore.  I  più  noti  sono:  Alatri  Alatriura,  Assisi  Asisium, 
Bari  Barium,  Brindisi  Brundisiura,  Chiusi  Clusium,  Trevigi  Tarvisium, 
meno  celebre  Sutri  Sutrium  ^;  ed  in  letteratura,  meno  comune  di  Spoleto 
Spoletum,  la  forma  Spoleti  o  Spiil.  Spoleti[u]m,  la  quale  è  in  Nann. 
p.  193,  ed  è  ancora  quasi  la  sola  usata  dai  barocciaj  e  mercanti  che 
vanno  e  vengono  tra  l'Umbria  e  la  Toscana  ^.  Ora  in  quasi  nessuno  di 
questi  nomi  si  riscontrano  gli  effetti  del  doppio  -^  che  il  genitivo  doveva 
aver  sopra  l'accento  o  sulle  consonanti  precedenti;  poiché  l'accento  di 
Brindisi  non  accenna  a  Brundisii,  Spoletii  sarebbe  divenuto 
Spolezj  o  -zi,  CI  u  sii  Chiuzi,  ed  A  si  sii  Assizi*,  e  non  potevano  ri- 
manere indiflferenti  se  non  Bari,  perchè  non  é  di  Toscana  (dove  "^Barii 
avrebbe  dato  Baji  o  Bai),  Alatri  e  Sutri,  che  nondimeno  in  quel  caso 
sarebbonsi  piuttosto  pronunziati  Alairj  e  Sutrj  con  J -^Ji.  Resta  d'in- 
ciampo Trevigi,  ma  questo  non  dee  venire  direttamente  da  Tarvisii, 
ed  apparisce  piuttosto   formato,   in  epoca  posteriore,   da   Trevigio  con 


sanzionate,  od  autenticate  dalla  tradizione  popolare.  Per  ì'-i  di  contro  ad 
-3,  agli  esempj  dieziani  s'aggiungono:  Esti  Ateste,  Triesti  Tergeste;  che 
però  non  sono  comuni,  ma  l'uno  è  di  Dante  e  l'altro  di  Machiavelli,  citati 
dal  Nannucci  (208),  che  insieme  riporta  Strati  Soracte  (Dante,  luf.  xxvii  95), 
la  cui  popolarità  si  rende  incerta  dal  nuovo  nome:  'Monte  S.  Silvestro'. 
»  V.  già  il  Picchia,  iu  Rio.  di  filol.,  IV  348,  e  cfr.  D' Ovidio,  Arch.  IX  90. 

*  Citato  però  questo  pure  dal  Diez,  P  li;  e  il  Flechia,  1.  e,  aggiunge 
Compiobbi  Com|iluviura,  Jesi  Aesium. 

^  Assai  notevole,  e  a  me  non  chiaro:  Giannutri,  lat.  Dianium,  greca- 
mente 'Artemisia'  Plin.  Ili,  12,  2,  isola  nel  mar  toscano. 

*  Nessuno  vorrà  vedere  un  effetto  di  questo  z  (-g-)  nello  scò  delle  lonnc 
antiche  Ascesi  e  Scesi  per  Assisi.  Altro  buon  esempio  sarà  qui  Pomponi, 
che  fu  casale  in  Casentino,  dietro  il  monte  della  Consuma.  Il  genit.  -onii 
avrebbe  dato  -oni. 


380  Bianchi, 

apocope  di  -o,  nel  modo  che  si  hanno  in  qualche  testo  le  antiche  forme 
letterarie  Bizanzi  e  Lagi  (Nann.  191-95;  cfr.  Flechia,  Riv.  di  filol., 
II  199),  e  quella  popolare,  e  più  importante,  di  Montici,  anticamente 
Montisci  o  Montiscio  (Rep.),  contrada  nel  Vald.  fior.  La  vera  ragione 
di  queste  figure  di  nomi  sta  nell'  assorbimento  dell'  -o  od  -u  della  base 
-10,  fenomeno  di  larga  storia,  i  cui  effetti  suWi,  che  rimaneva  all'uscita, 
domanderanno  attente  osservazioni  e  potranno  riuscir  varj  secondo  la 
varia  età  della  riduzione.  La  qual  riduzione  si  presenta,  com'è  noto, 
nell'antico  latino,  in  npp.  come  Aurelis,  Caecilis,  Clodia,  Ftdvis,  ed  è 
normale  nell'umbro,  per  es.  Fisim,  Jovi  Jovium,  tertim  ecc.,  e  nell'osco: 
Pupidiis  Popidius,  Stenis  Stenius,  ecc.  (v.  in  ispecie:  Bùcheler,  De- 
clinazione latina,  nella  trad.  di  Havet,  pp.  37-9).  Ma  noi  corriamo  a 
congeneri  esempj  italiani,  che  escludono  affatto  l'idea  del  genitivo. 

Il  fenomeno  che  si  osserva  in  Clodis  ecc.  continua,  cioè,  nel  basso 
latino  (v.  qui  in  nota),  si  fìssa  in  nomi  latini  di  luogo,  e  seguita  a  vivere 
in  nomi  comuni.  Abbiamo  difatto,  presso  Firenze,  S.  Salvi  da  Salvi us\ 
e  il  molto  importante  esemplare  S.  Vincenti  ossia  S.  Vincenzio  a  S.  Vin- 
centi, casale  in  Val  d'Ambra,  che  portava  il  vocabolo  di  Bonus  Pagus, 
com'è  indicato  nel  processo  del  715,  e  poi  di  S.  Vincenti  (Rep.).  Il  Nan- 
nucci  (196  n)  cita  il  P.  Ildefonso,  il  quale  attesta  di  avere  udito  dire 
S.  Vincenti  per  S.  Vincenzio,  e  prima  (169)  il  Nannucci  medesimo  aveva 
allegato  S.  Vincente  dal  Machiavelli  (che  lo  usa  in  rima),  e  confron- 
tato (173)  lo  spg.  S.  Vicente  e  S.  Borente,  che  hanno  le  apparenze  di 
caso  obliquo  di  3.^  deci.  ^,  Si  hanno  poi,  sempre  in  uso,  Nóferi  Onofrio, 
Zanohi  Zenobio,  ed  altri  (cfr.  Fleohia,  R.  d.  f.,  Il  199).  Di  formazione 
posteriore  al  latino,  abbiamo  già  veduto  Montici  e  Trevigi,  ed  il  Nan- 
nucci raccoglie  Bizanzi,   Lagi  ed    Ovidi  (prov.),   che   son  letterarj  ^, 


*  Questo  non  esclude  che  l'ordinario  Salvi  sia  più  spesso  accorciamento 
di  Diotisalvi,  come  ha  ben  visto  il  Flechia. 

^  Oltreché  in  Spoleti,  si  ha  dunque  la  integrità  del  t  anche  in  questi  due 
esemplari,  i  quali  tanto  più  son  concludenti,  in  quanto  non  ricorra  né  un 
S.  Vincens  né  un  S.  Lanrens  nel  martirologio  del  Baronie.  Del  resto,  tro- 
vasi già  ego  Vincenti  in  e.  lue.  del  764  (V  2^  52),  tre  volte  in  e.  dell'SoS 
(ib.  421-22),  e  Vicenti  incontrasi  in  altre,  ma  al  genitivo,  che  è  meno  con- 
cludente per  noi.  Si  ha  poi  ego  Vincentis  in  due  carte  di  Chiusi  ap.  Br. 
2*  224-4Ì  (anni  773-80).  Di  nuovo  in  e.  lue.  trovo  Teudosi  al  nomin  (V.  Ili; 
an.  783),  ego  Georgi  IV.  170  (791)  ed  ego  Grechori  IV.  2^  6  deH"append.' 
(802),  dove  la  seconda  gutturale  è  ridotta,  per  la  pronunzia  longobardica, 
da  sonora  a  sorda.  E  si  vegga  -endus  nell'Appendice. 

*  Bisonte  per  'solidus'  o  'aurens',  fatto  bgzantius  nel  barbaro  latino,  è  pro- 
babilmente estratto  da  bgzantinus. 


Toponimia  toscana:  §  111.  L'-i  da  -io,  S81 

Abruzzi,  che  ignoro  se  sia  una  licenza  del  Sacchetti  (ibid.  191-2),  e  da 
testo  romanesco:  Anastasi  e  Dionisi,  che  stando  accanto  a  Parisci  (■=  -gi 
°i  =  -sii),  parrebbero  di  fase  più  antica  (195-6),  mentre  più  moderno 
sarebbe  il  comune  Dionigi,  se  pure  in  questo  ed  in  Trevigi  non  si  ha 
una  riduzione  all'italiana  della  pronunzia  settentrionale,  per  la  normale 
corrispondenza  a  ^  di  5  sonora  (cfr,  Luigia  Alvisio  tv.  Louis)  \  Ma  quegli 
che  più  chiaramente  dimostrano  la  viva  continuità  del  fenomeno,  non 
solo  nella  decadenza  del  latino  ed  alla  nascita  del  volgare,  ma  anche 
dopo  il  pieno  svolgimento  di  questo,  sono  i  nomi  comuni  che  furon  già 
in  -io.  Così:  ingegni '^  in  genio,  usato  in  rima  da  Fra  Jacopone  (Nan- 
nucci  176);  gnorri,  ignarus  (183),  sul  quale  ritorneremo  al  §  XIII; 
nesci,  comune  col  provenzale  (190),  da  nescius,  che  dicesi  anche  sneci 
e  snecio,  e  in  qualche  parlata  (specialmente  nella  senese)  ned  (183); 
ant.  it.  acordi  (prov.  \à.)  adi  axicordio,  a  scJiitnbesci  °  a  schitnbeseio  'a 
sghembo'  (Crusca,  'Gloss. ");  e  ancora  fi  ^  fio  °  figlio  (180)  e  zi ^^  zio 
(183),  i  quali  per  l'uso  loro  hanno  poco  valore  dimostrativo,  entrando 
quasi  come  parti  di  voci  composte  (cfr.  n  =  ?no  =  r  i  v  u  s  in  Rimaggio  ^ 
ed  altri). 

Ma  un  esempio  d'antica  radice,  che  diventa  una  serie  numerosa  e 
come  una  regola  fìssa  per  certi  dialetti,  anche  in  ordine  al  perpetuarsi 
dell'  -i,  è  -ieri  {-iere)  od  -eri  da  -àri[o]  ^.  Il  Nannucci  fece  una  buona 


^  Tra  i  nomi  di  luogo  toscani,  si  potrebbe  qui  annoverare  Scandicci  e  Ri- 
stonchj  nel  contado  fior,  e  altrove,  ì  quali  nelle  antiche  carte,  0  nell'uso  di- 
verso de' luoghi,  variano  con  Scandiccio  e  Ristonchio ;  ma  gli  tralascio  in- 
sieme con  altri,  perchè  dovendosi,  a  spiegarne  la  ragione,  ricorrere  a  con- 
getture, tra  queste  non  sarebbe  la  più  assurda  quella  che  ammettesse  il 
contrasto  tra  il  singolare  e  il  plurale. 

^  Ancora  ha  il  Nannucci:  mi  da  medio,  anch'esso  componente  nell'ani. 
miluogo,  che  può  parere  di  dubbia  toscanità  (fr.  milieu),  ma  ha  accanto  a  sé 
il  rum.  mijl'oc  (dove  allo  slato  isolato  anche  il  rum.  ha  miez);  gli  antichi 
mei  e  jjei  'meglio'  e  'peggio',  che  non  sono  toscani,  e  vengono  da  mej  e  mei 
dell'  alta  Italia,  e  dal  prov.  jjeis,  se  non  dal  meridionale  pejo.  Del  resto,  egli 
allega  anche  il  romagn.  croi  per  crojo,  che  cita  anche  come  provenzale,  e 
di  questa  lingua  cita  molti  altri  esempj,  come  puoi  podio,  savi  ecc.,  cui 
si  potrebbero  aggiungere  i  gallo-italici  come  servizi  tee,  ma  sempre  avver- 
tendosi che  nel  provenzale  ecc.  il  dileguo  dell' -0  è  un  fenomeno  generale! 
Piuttosto,  e  per  la  Gallia  transalpina  e  per  la  cisalpina,  sarebbe  da  studiare 
la  permanente  nitidezza  dell' -z  che  proveniva  da  -10. 

^  [L'idea  di  ragguagliare  1'  it.  -ieri  -iere  col  lat.  -ario  per  via  di 
un'antica  forma  contratta  [-ari),   già  era  messa  innanzi  dal  D'Ovidio 


382  Bianclii, 

raccolta  di  voci  che  qui  spettano  (miste  però  con  altre  la  cui  desinenza 
in  -i  meglio  si  spiega  in  diverso  modo),  ricorrendo  a  scrittori  che  vanno 
dalle  Alpi  al  Lilibeo  (175-98),  e  distinguendo  i  testi  di  prosa  da  quegli 
di  verso.  Tale  distinzione  è  giusta  sotto  lo  aspetto  letterario,  perché 
più  scrittori,  o  per  imitazione  o  per  bisogno  del  verso,  hanno  deviato 


nella  sua  'Unica  forma  flessionale'  (cfr.  Arch.  II  416  ^^^.)j  p.  32-3. 
Non  era  proposta  matura  o  ben  rinfiancata,  e  la  critica  severa  non 
ha  trattato  bene  il  giovane  che  osava  accamparla.  Ma  io  credo  per 
fermo  che  esso  giovane  (il  quale  oggi  è  l'aorao  che  tutti  sanno)  indo- 
vinasse il  vero,  e  molto  mi  compiaccio  che  ora  il  nostro  Bianchi  riesca 
alla  medesima  affermazione  e  la  corrobori  così  felicemente.  L'argomento 
mio  proprio,  per  il  quale  mi  son  venuto  confermando  in  questa  sentenza, 
sta  nelle  vicende  di  alcuni  nomi  comuni,  che  per  ora  sono  oleo  cuneo 
hordeo,  o  veramente,  come  per  la  base  popolare  va  posto,  olio  cunio 
hordio  (ne  ritocco,  tra  altre  percezioni  congeneri,  in  Arch.  X  98-104). 
Non  pretendo  di  aver  maturato,  per  ogni  parte,  la  questione  che  qui 
sollevo,  specie  lo  studio  della  vocal  che  si  determina  all'uscita  degli 
esiti  neolatini;  ma  credo  tuttavolta  di  poter  dire,  che  le  numerose 
continuazioni,  alle  quali  alludo,  non  si  spiegheranno  se  non  per  1'  an- 
tica riduzione  di  óliu[m]  ciiniu[s]  órdiu[m]  in  óliifm]  óli[m], 
cùnii[s]  cùni[s],  órdii[m]  órdi[m].  Da  un  pezzo  VArchivio  tiene  in 
particolare  osservazione,  e  ricorda  con  parecchi  rimandi,  gli  esiti  la- 
dini uéli  òli  ole,  còni,  iidrdi  ordì  orde  (1  359  ecc.),  cfr.  piem.  òli\ 
coni,  ordi;  i  quali  contrastano  alle  norme  costanti  che  danno  fuej 
folio,  codoTi  cotonio,  miez  medio,  ecc.  Sin  che  restiamo  alle  Alpi, 
ci  può  distrarre  l'ipotesi  che  il  tipo  oìxli  rivenga  a  *h  or  di  co  (cfr. 
porti  portico);  ma,  a  tacer  d'altro,  l'ipotesi  più  non  si  regge  sul 
territorio  provenzale  e  catalano,  dove  è  ugualmente  ordi,  e  d'altronde 
lo  stesso  italiano  devia  per  olio  e  conio  dalla  norma  che  s'osserva  in 
foglio  cotogno  ecc.  Saremo  dunque  a  ragione  fontalmente  diversa,  tra 
il  prov.  ordi,  p.  e.,  e  il  frc.  orge,  questo  risalendo  a  ór  dio  come  l' it, 
orzo,  quello  a  ordì,  come  il  piem.  ordi;  e  se  per  la  Valraaggia  (Ti- 
cino) ritroviamo  insieme  ordi  e  òrz  (IX  203),  sarà  talquale  il  caso 
della  toponimia  toscana,  che  ci  offre  Vincenti  allato  a  Vincenzo.  Lo 
stesso  contrasto  si  ripete  tra  il  prov.  oli'^oU  (cfr.  oli  piem.  o  lad.) 
e  oljo  [ojo  ecc.),  a  cui  rivengono  tante  forme  dialettali  italiane;  né 
sarà  ormai  troppo  audace  il  pensare  che  i  tose,  olio  conio  presup- 
pongano antiche  forme  toscane  *o^t  '^coni  che  s'  a'ternafsero  con  oljo 
conjo.  Arriviamo  così  all'it.  -ieri  -iere  ecc.  di  contro  ad  -ario,  dove 


Toponimia  toscana:  §  IH.  U-i  da  -io.  383 

dall'uso  natio,  ma  non  è  necessaria  per  mostrare  la  realtà  d'un  fatto 
che,  per  un  pratico  di  più  dialetti,  non  ha  bisogno  di  pruove.  La  ita- 
lianità del  fenomeno  non  è  contraddetta  da  qualche  voce  di  origine 
straniera  che  è  tra  le  seguenti:  arcieri  in  verso,  balestrieri  ver.,  bar- 
bieri prosa  e  v,,  bicchieri  pr,,  cancellieri  pr.,  cavalieri  pr,  e  v.,  cervieri 
pr.  e  V.,  cimieri  pr.  e  v,,  consiglieri  pr.,  corrieri  v.,  denieri  v.  (prov. 
e  ant.  fr.  denier;  Fra  Guittone),  destrieri  v.,  dispensieri  v.,  forestieri 
pr.,  forzieri  v.,  gemmteri  v.,  giustizieri  pr.,  gonfalonieri  pr.,  grossieri 
V.,  guerrieri  v.,  imperieri  in  v.  del  Pulci  (ma  sarà  dal  nomin.  ant.  fr. 
empereres),  lanieri  in  poet.  sic.  "'sordido'  Wile'  (ant.  fr.  lanier  o  Zam.), 
levrieri  v.  (fr.),  luMnghieri  v.,  mercieri  v.  (sic.  vnirceri),  messaggieri  v. 
(orig.  fr.),  ostieri  v.,  parlieri  v.,  pensieri  v.  e  pr.,  e  malpensieri  pr., 
pregheri  v.  di  Giulio  (voce  merid.  da  precari um),  quartieri  e  sew- 
cZien'  V.  e  pr.,  sentieri  r.,  someri  =  sic.  su-  pr.  di  Fra  Guittone  (p.  747), 
sparvieri  v.,  taglieri  v.,  tavolieri  v.,  tesorieri  pr.,  usurieri  pr.  ;   agget- 


il  principale  e  duplice  problema  stava  o  sta  nel  mancare  o  nell'assot- 
tigliarsi,  contro  ogni  valida  analogia,  di  un  -o  latino  nei  riflessi  toscani, 
siciliani  ecc.,  e  nel  doppio  tipo  popolare,  che  largamente  s'incontra, 
il  quale  può  rappresentarsi  per  queste  coppie  toscane  :  argentiere  {-i), 
operajo;  pensiere  (-{),  granajo.  Orbene,  il  problema  si  dovrà  pur  risol- 
vere con  la  doppia  base  latina,  ponendosi,  da  un  lato:  -arius  -arium, 
-airiis  -airiim,  -seri,  sardo  -eri,  tose,  -ieri  (dove  si  collocherà  un  ac- 
cessorio o  analogico,  ma  antico:  -jero,  it.  -iero,  frc.  -ier,  fri.  -ir);  e 
dall'altro:  -airio  -arjo,  sardo  -arzu,  tose.  -ajo.  E  possiamo  anzi  inol- 
trarci e  domandare:  le  doppie  figure,  come  sarebbero  granosri  granarjo, 
oli  oljo,  coni  conjo,  ordi  ordjo,  rappresentano  esse  direttamente  due 
antichi  filoni  dialettali  diversi,  nell'uno  dei  quali  invalesse  la  disposizione 
osca  od  umbra  della  riduzione  dell' -io,  o  non  rappresentano  piuttosto 
(come  io  credo)  due  diverse  figure  che  eran  venute  a  alternarsi  nella 
declinazione  del  volgare  romano,  di  guisa  che  si  dicesse:  ad  hordi[m], 
de  hordjo;  ad  grana'ri[ni\,  de  grana'rjoì  —  Mi  devo  io  però  qui  fer- 
mare, tanto  più  che  le  difficoltà  o  le  affermazioni,  opposte  alla  rapida 
ipotesi  del  D'Ovidio  da  critici  insigni  (Tobler  in  Gott.  g.  a.  1872, 
pp.  1889  sg.;  Mussafia  in  Romania  I  498-9;  cfr.  Schuchardt,  KZ.  XXII 
172-4),  or  mi  pajono  tramontare  senz'altro.  Ma  bel  tema  sarebbe,  per 
UQ  giovane  romanista,  una  storia  generale  di  -aeius  -aria  -arium. 
Il  qual  pensiero  non  esclude  il  giusto  apprezzamento  di  quanto  già  s'è 
fatto,  specie  per  merito  del  Thomsen  (Mém.  d.  la  soc.  d.  ling.,  I  122-3) 
e  del  Neumann  (Zur  laut-  und  flexionslehre,  pp.  26  sgg.).  —  G.  I.  A.} 


38i  Biauclii, 

tivi  '  :  derrieri  'ultimo'  (prov.  derrier)  in  v.,  diriilurieri  pr.,  ingegneri 
V.,  leggien  v.  e  pr.,  lusinghieri  pr.  (vedi  sop.),  menzogneri  pr.,  pri- 
mieri V.,  verteri '=  veritiero  'vero'  in  v,  di  Bandino  Padovano;  nomi 
proprj  :  Berenghieri  in  rima,  Cesari  °Caesarius  in  pr.,  Ulivieri  in 
rima  e  fuori  di  rima,  e  per  assimilazione  Asideri  in  pr.,  da  Esidero 
e  Isideri  per  Isidoro  ^  Gli  esempj  poetici  sono  quasi  il  doppio  di  quegli 
prosastici,  lo  che  mostra  che  gran  parte  di  queste  forme  sono  il  pro- 
dotto di  una  comoda  imitazione.  Aggiugne  il  Nannucci  (184)  che  questa 
desinenza  è  tuttodì  in  uso  nel  Pistojese,  nel  Pisano,  nel  Bolognese,  in 
Sicilia  (con  -eri-  =  -ieri),  e  «  tra  '1  nostro  volgo  che  dice  camerieri,  bic- 
chieri, gonfalonieri,  mestieri,  barbieri  ecc.».  Il  volgo,  di  cui  parla 
l'insigne  filologo  in  questo  luogo,  parrebbe  che  fusse,  come  altrove, 
la  plebe  della  città  e  contado  fiorentino;  poiché  egli  era  nativo  di 
presso  Signa,  e  condusse  la  maggior  parte  della  sua  vita  in  Firenze; 
ma  in  questa  città  non  ho  mai  udito  al  sing.  camerieri  e  simili,  che 
è  la  forma  non  solo  dominante,  ma  esclusiva  dello  schietto  dialetto 
pisano  e  lucchese,  e  si  estende  in  tutta  la  bassa  vallata  dell'Arno  fino 
al  Monte  Albano,  inoltrandosi  ancora  nella  valle  superiore  dell'Ombrone 
pistojese^.  Il  Nannucci  dunque,  o  non  ha  badato  alla  patria  de'  varj 
parlanti,  o  non  ha  ben  distinto  quel  che  siavi  altronde  introdotto  nella 
vallata  di  sotto  Firenze.  Anche  il  Gigli,  che  aveva  in  odio  i  Fiorentini 
e  la  loro  loquela,  rimprovera  ai  medesimi  (Vocab.  cater.  s.  'pronunzia') 
questo  uso  àoiV-ieri  al  sing.;  onde  rileviamo  che  non  era,  come  non  é 
vizio  del  dial.  senese;  ma  egli  probabilmente  deve  aver  giudicato  dalle 
propaggini  del  dial.  fior,  nella  Val  d'Elsa,  dove  s'incrociano  alcuni  ca- 
ratteri del   pisano  e  del   lucchese  *.   Dalle  informazioni  che  ho  potuto 


^  S'aggiungono  per  -erio  -ério:  mostieri  pr.,  mosteri  mona-  in  v.  di  Giulio 
(ant.  fr.  e  prov.  'master  mostier). 

2  Ì!i eli'  Ajìjìendice  vedremo  questa  variazione  di  forma  in  qualche  nome 
teutonico,  siccome,  del  resto,  vedremo  il  lat.  -arius  incrociarsi  col  germ. 
-hari. 

*  Il  personale  Ranieri  è  stato  imposto,  in  questa  forma,  alla  Toscana  ed 
all'Italia,  dai  Pisani,  dei  quali  è  protettore  rinomato  il  santo  di  questo  nome. 
Una  car.  lue.  del  989  (V.  3^  644)  ha  tre  volte  Ragineri  al  nominativo,  ed 
una  sola  volta  -ius.  Di  qui  Rainerius,  un  vescovo  di  Lucca  del  sec.  XI, 
si  chiamò  Ragin.  e  Rangerius  (IV.  2^  161). 

*  Nella  parte  orientale  del  contado  fior,  una  sola  volta  ho  udito  ib-bicchieri 
=  il  b.,  da  un  lavoratore;  ma  che  tale  non  sia  la  regola  fissata  dal  dialetto, 
lo  mostra  anche  la  lingua  comune,  che  in  questa  parte,  come  in  tante  altre, 
lo  ha  seguitato. 


Toponimia  toscana:  §  III.  L'-i  da  -io.  38o 

attingere,  rilevo  che  la  detta  desinenza  non  è  in  uso  in  tutta  la  To- 
scana orientale  e  meridionale,  come  è  nelle  parti  vicine,  fino  al  Piom- 
binese  compreso  '.  L'  -^  del  riflesso  siciliano  non  conchinderebbe,  perchè 
l'antica  -e  si  confonde  in  quel  tipo  dialettale  con  l'antica  -i;  ma  è  al- 
l'incontro ben  notevole  V -ièri  del  leccese  (Arch.  IV  119,  cfr.  ib.  137), 
del  quale  dialetto  giova  ricordare  anche  Vrasi  Blasius,  Ntoni  An- 
tonius^.  Quanto  al  fiorentino,  se  teoricamente  deve  ammettersi  che 
in  epoca  anteletteraria  egli  pendesse  incerto  tra  le  due  forme  -iere 
ed  -ieri,  della  quale  ultima  fanno  testimonianza  pel  fiorentino  alcuni 
esempj  citati  dal  Nannucci,  egli  è  certo  tuttavia  che  ben  presto  si  de- 
terminò per  la  prima,  in  contraddizione  con  la  tendenza,  da  alcuni 
attribuitagli,  ^di  cambiare  Ve  finale  in  i,  mentre  all'inverso  la  seconda 
rimase  costante  in  parlate  che  in  altri  casi  pajono  mostrare  una  ten- 
denza contraria.  Ora,  1'  -e  che  poi  invale  nel  fiorentino,  per  lasciar 
1'  -i  al  plurale,  è  egli  meramente  analogico,  secondo  la  distribuzione 
che  s'ebbe  per  la  3.*  deci,  {forte  forti),  o  non  ce  ne  sarà  qualche  ra- 
gione più  recondita  e  importante'^  Sia  lecito  dire:  'sub  judice  lis  est' 
(cfr.  §  IV). 

La  tendenza  a  eliminare  Vo  di  -io  in  uno  stadio  posteriore,  della 
quale  abbiamo  veduto  qualche  esempio  (p.  381),  si  manifesta  pure  in 
qualcuno  dei  nomi  in  -ajo,  che  è  il  rappresentante  italiano  (tose.)  il 
più  caratteristico  di  -ari o;  ma  è  scarsissima  cosa.  11  Nannucci  (188-90) 
reca  testi  di  poeti,  dove  migliajo,  primajo,  Uccellatojo  (Dante),  'pajo 
(Berni),  debbono,  per  la  misura  del  verso,  profferirsi  migliai,  frimai  ecc.; 
ma  sbaglia,  però,  dicendo  che  non  sono  troncamenti  'come  comune- 
mente si  crede',  ma  voci  intere  ridotte  alla  desinenza  in  i.  Aggiugne 
ancora  le  forme  analoghe  :  pai,  stai,  cuoi,  ma  non  arreca  esempj  scritti 
che  di  quelle  ritroncate  in  cuo'  (Fazio  Uber.),  sta'  (Pucci),  pa'  (Buonar.); 
delle  quali  pa  e  sta',  =  pajo  stajo  e  paja  staja,  trovo  ancora  in  uso 
nel  contado,  ma  soltanto  in  mezzo  a  proposizione  senza  che  pausa  in- 
terceda. Quivi  si  diee,  sempre  nella  stessa  condizione  orale,  anche  pai  e 
si  raddoppia  la  prima  consonante  che  segue,  per  es.  pai  ddi  scarpe,  ma 


1  Tuttavolta  ritorna  -ieri  nell'alta  valle  del  Tevere,  dove  si  mutò  e  si 
muta  anche  in  -ivi.  Insistenti  ricerche  sopra  questo  -i-  =  -ie-  mi  hanno 
fatto  ritrovar  V-iri-  anche  nel  contado  d'Arezzo  (per  es.  enfermiri  'infer- 
miere' fu  ed  è  comune  alle  due  valli);  ma  aspetti  il  lettore  prima  di 
credere  clie  la  contrazione  in  -i-  sia  corsa,  nelle  due  parlate,  per  la  me- 
desima via  di  successione  fonetica. 

2  [Più  ancora  importante  F  -eri  del  logudorese.] 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  25 


S8G  Bianchi, 

nell'altro  caso  si  pronunzia  pa'  di  scarpe^  sta'  di  grano^.  Egli  ammette 
la  medesima  riduzione  nei  feminili  in  -ja,  e  reca  esempj  (83,  84)  di  gioi 
e  noi,  prov.  joi,  enuoi  enoi,  e  cita  senza  esempj  d'autore:  Pistoi  e  vec- 
chiai;  ma  il  fr.  prov.  Jot  viene  da  gaudio,  e  com'egli  stesso  annota 
senza  trarne  conclusione,  è  mascolino,  e  per  noja  egli  stesso  (684)  ci 
dà  l'ant.  it,  nojo,  a  cui  raffronta  il  prov.  msc.  enuoi  accanto  al  fem. 
enueia  ecc.  (cfr.  Arch.  IV  371-72),  mentre  Pistoi,  che  anch'io  ram- 
mento d'aver  sentito  in  antico  verso,  verrà  da  *Pistojo  =  Pistorium, 
e  vecchiai,  sia  forma  vera  o  supposta,  starà  per  '^veccMaJo,  forma  che 
certamente  deve  aver  preceduto  quella  comune  (cfr.  per  es.  gineprajo 
con  poponaja,  orticajo  con  ortica] a). 

§  IV.  Dai  nomi  di  luogo  potrebbe  arguirsi  che  l'italiano,  in  epoca 
anteletteraria,  mandasse  in  -{  tutti,  o  quasi,  i  nominativi  singolari  mia- 
scolini  e  feminili  della  terza,  i  quali  naturalmente  vanno  distinti  dai 
genitivi  in  -i,  sebbene  esternamente  coincidano.  Così  si  hanno  :  Anghiari, 
terra  in  Val  di  Tevere,  'Anglarium  già  Castrum  Angulare  '  (Rep.),  di 
cui  l'origine  sarà  piuttosto  campus  o  via  angularis,  che  difatti 
vi  è  tortuosa;  Campestri  ('S.  Romolo  a...'),  casale  in  Val  di  Sieve,  da 
campestris  masc.  (ForcelL);  Monte  Scalari,  già  detto  anche  'Monte 
Scalajo',  tra  il  Vald.  sup.  e  la  Greve;  Monte- Feg atese  o  -esi,  m.  sulla 
sinistra  del  torrente  Fegana^  in  Val  di  Lima;  Monte- Silvestri  (silve- 
stris  =  silvester  Nannucci  207),  casale  in  Casentino;  Monteverdi, 
castello  tra  la  Val  di  Cernia  e  quella  di  Cecina.  Sonovi  poi  di  sostan- 
tivi :  Calumala  e  Cali-,  callis  mala,  più  luoghi,  e  strada  in  Firenze 
(cfr.  §  Vili)  ;  Torri,  12  luoghi  sparsi  nel  dominio  di  tutte  le  parlate 
toscane,  dei  quali  la  maggior  parte,  se  non  tutti,  dev'essere  in  singo- 
lare, variando  alcuni  con  Torre;  e  del  pari  Valli,  quattro  luoghi,  in 
Maremma,  sopra  Firenze,  in  Val  d'Era  e  Val  d'Arbia,  e  più  Vallibuona 
sul  Cesto,  nel  confine  tra  Greve  e  Figline;  quindi  Calci,  contrada  di  più 
borgate  sotto  il  calcarlo  Monte  Pisano  ;  e  più  notevoli  -fonti,  monti,  ponti, 
avendosi  Fonti-buona  presso  l'Incisa,  Semifonti,  Semi-  e  Sommofonte, 


1  II  raddoppiamento  accenna  un  paj  di  fase  anteriore,  cfr.  fior.  rust.  ajtto 
cajddo  ecc.  =  alto,  caldo  ;  e  qui  tralascio,  per  ora,  una  questione  che  an- 
drebbe ampiamente  svolta. 

*  11  Repetti  dice  che,  probabilmente,  ha  preso  nome  dal  color  di  fegato 
delle  masse  argillose  diasprine  ;  m^,  sebbene  si  abbia  anche  un  luogo  Fega- 
taja,  è  anche  più  probabile  che  stia  per  Feganese  o  -esi,  e  che  la  detta 
circostanza  abbia  dato  occasione  ad  una  etimologia  popolare. 


Toponimia  toscana:  §  IV.  L'-i  di  noni.  sing.  387 

cast,  distrutto  in  Val  d'Elsa  (Nann.  208,  210);  Monti-Marciano  presso 
Loro  in  Vald.  sup.,  e  probabilmente  altri  che  il  Repetti  riduce  alla 
forma  comune;  Ponti  {^S.  Pietro  a'),  grosso  borgo  sulla  ripa  destra  del 
Bisenzio,  poco  distante  'dal  ponte'  che  attraversa  il  fosso  reale  (Rep.), 
altro  Ponti  che  fu  casale  in  Val  d'Ombrone  pist.  (secc.  xii,  xin),  Pon- 
tifogno  o  -i,  villaggio  sul  Resco  presso  Reggello  nel  Vald.  sup,,  Pun- 
lirosso,  per  'Ponte-rosso',  a  Figline*.  Vanno  sopra  queste  analogie: 
Castiglioni,  che  tra  tanti  di  questi  nomi,  è  la  forma  più  comune,  Mon- 
teroni  o  Montar-,  talvolta  -one,  borgo  in  Val  d'Arbia,  Moncione  o  -onij 
due  casali  vicini  nel  Vald.  sup.  (dove  tuttavia  si  dice  sempre  -oni), 
del  qual  vocabolo,  già  scritto  in  ce.  degli  an.  1078-84,  la  forma  an- 
teriore sarebbe  Montioni,  e  -oìi£,  con  cui  si  appella  una  torre  e  borgata 
in  Val  di  Pecora  (Mar.),  da  esaminarsi  in  seguito  (§  VII);  Portiglione 
0  -oni,  scalo  sul  littorale  di  Searlino  (Mar.)  ^;  Ozzori  o  Os0n"  =  Auser, 
il  fiume  Sarchio.  Sono  dubbj  :  Giovi  ('Castello'  e  'Borgo  di...'),  presso 
Arezzo,  alla  confluenza  dell'  Arno  e  della  Chiassa,  Marti,  villaggio  nel 
Vald.  inf.,  Velieri,  castello  in  Val  di  Nievole,  i  quali  potrebbono  an- 
ch'essere stati  genitivi^;  CJiifenti  '(ad  Confluentes),  borgata  alla  con- 
fluenza della  Lima  e  del  Serchio,  nome  così  alterato  fino  dai  primi  secoli 
dopo  il  mille'  (Rep.),  Gonfienti  o  Gon.,  casale  in  Val  di  Bisenzio  ('in 
loco  Confluenti',  car.  del  x  e  xi  sec.),  e  così  altri  due  luoghi  nel  Se- 


^  Non  vi  è  da  nascondere  che  la  concludenza  delle  ultime  tre  voci,  in 
composizione,  viene  un  po'  allegrgerita  dallo  es.  di  Coltibuono,  cioè  '  colto- 
buono',  casale  nel  Vald.  sup.  —  Si  possono  agli  esempj  del  testo,  e  quel 
che  più  monta,  fuori  di  composizione,  aggiungere:  Lerici,  nel  golfo  della 
Spezia,  Elei,  tre  luoghi  (a  Viareggio,  V.  di  Cecina  e  Valle  Tiberina),  da 
ilex  ilice,  e  al]ìi.  Si  noti  che  quest'ultima  voce  (=  Alpes),  nell'Appennino, 
e  ne'  suoi  principali  contrafforti,  è  nome  comune,  e  significa  la  parte  di 
montagna  superiore  alla  regione  della  vite  e  dell'olivo,  e  che  nell'inverno 
rimau  coperta  di  neve  (cfr.  la  Crusca  e  meglio  il  Rep.).  Lessi,  or  sono  venti 
anni  e  più,  alcuni  statuti  di  comunelli  montani  del  sec.  xv  (nel  Pratomagno, 
tra  il  Vald.  e  il  Casent.),  e  non  mi  rammento  se  vi  si  trovi  Alpi  al  nom, 
sing.,  ma  son  certo  che  vi  prevaleva  la  dizione  in  Alpi,  e  così  ancora  sì 
dicono  i  nll.  S.  Miniato  e  «S.  Trinità  in  Alpi.  Sull'uso  vario  di  questo  nome, 
cfr.  de  Alpe  in  e.  citata  in  n.  al  §  VII  n.»  15. 

^  Si  avverta  che  questi  ultimi  quattro,  come  plurali,  avrebbero  preso  l'ar- 
ticolo, il  quale  non  hanno. 

^  Il  dubbio  sorge  da  ciò,  che  può  esservi  stata  la  ellissi  di  'aedem'  o  'fa- 
num',  come  nelle  dizioni  latine  'ad  Apollinis',  'ad  Vestae'  e  simili;  meno 
probabile  1'  ellissi  di  'borgo',  'casale'  od  altro,  se  non  vi  è  prova  nelle  carte. 
Ho  uditoli  primo  nominarsi  Borgo  a  Giovi,  che  potrebb' essere  ad  Jovis. 


SS8  lìianclii, 

nese,  nei  quali  vocaboli  si  avrà  più  probabile  il  singolare,  comechè  il 
classico  latino  usi  anche  il  plurale.  —  Sono  figure  speciali:  Montagliari, 
casale  in  A^al  di  Greve,  Monte-Pescali  e  Monte-Pozzali,  l'uno  castello 
e  l'altro  poggio  in  Val  di  Bruna  (Mar.),  dei  quali  il  secondo  compo- 
nente può  essere  in  nominativo  od  in  genitivo  ^  Il  loro  suffisso  richiama, 
i  seguenti:  Linari,  quattro  luoghi  (uno  per  ciascuna  contrada,  in  Ro- 
magna, Val  di  Magra,  Val  di  Merse,  Vald.  inf.);  Migliavi,  tre  luoghi, 
de'  quali  uno  in  Val  d'Ambra,  l'altro  in  Val  d'Arbia,  ora  perduto,  il 
terzo  in  Val  di  Sieve;  Porcari,  cast,  nel  Lucchese  (an.  780,  942^); 
iSfeg'a^aK  ('Segalarium'  Rep.),  cast,  nella  Mar.  pisana  (car.  dei  1137-58), 
altro  che  fu  luogo  del  Vald.  sup.  (sec.  x),  ed  ora  è  nomignolo  di  po- 
dere presso  Figline  ^,  ed  un  terzo  che  fu  nel  vallone  della  Cascina  in 
quel  di  Pisa.  Questi  nomi  non  si  concilian  facilmente  con  le  forme  co- 
muni, stabilite  dall'uso  reale  delle  parlate  toscane;  perocché,  se  trag- 
gonsi  da  neutri  in  -arium  od  *-arim  (§  III),  per  es.  Segalari  da 
*secalarium  'seminato  di  segale',  si  ha  una  contraddizione  con  -ajo, 
-ieri  od  -iere,  delle  voci  comuni;  e  se  traggonsi  da  neutri  in  -are, 
fratello  di  -ale,  s'inciampa  nella  regola  e  letteraria  e  popolare,  che 
tali  sostantivi  di  loro  natura  neutrali,  come  altare  cartolare  casale  ca- 
stellare filare  luminale  [e  lupinule,  che  va  con  canapule  favule;  cfr. 
anche  -ile]  panicale  sagginale  Cetinale  ecc.  ^,  dei  quali  alcuni  servono. 


^  Nel  primo  caso  sarebbono  adiettivi,  col  significato  di  'piantato  di  peschi', 
'd'  agli',  'sparso  di  pozze',  nel  secondo  sostantivi,  che  varrebbero  'del  terreno 
piantato  di  ecc.'  A  favore  dell'  adiettivo  avrebbe  qualche  valore  una  e.  del 
1080  nelle  M.  L.  IV.  2=^  15S,  dove  si  legge  «  Actam  loco  in  Monte  infra  ca- 
stello ilio,  que  dicitur  Monte  Pescale».  Non  mi  par  conveniente  il  dis- 
sociar Pozzale,  quanto  al  senso,  dalla  famiglia  volgare  dei  nomi  in  -ale, 
per  richiamarlo  direttamente  al  lat.  puteal  'sponda  di  pozzo'  o  'difesa  di 
luogo  sacro'.  Tutto  dipenderà,  in  ogni  caso,  dalla  storia  e  dalle  naturali 
condizioni  de'  varj  luoghi. 

^  Nelle  carte  lucchesi,  degli  anni  indicati  dal  Repetti,  non  trovo  questo 
Porcari;  ma  incontro  un  castello  di  questo  nome  in  Marem,  (contado  di  Ro- 
selle)  in  e.  del  1051  (IV.  2*  131).  Del  resto,  son  tutti  nomi  di  chiaro  signi- 
ficato, e  questo  dev'  esser  sinonimo  di  j'^orcile  (cfr.  le  Porciglie,  villa  in  Vald. 
sup.);  in  Migliavi  si  combina  milium  e  milliarium,  che  di  nuovo  in- 
contreremo (§  X,  num.  86  n). 

^  Ci  ho  ritrovato  ancora  in  vita  segalave  'seminato  di  seg.',  ed  analoga- 
mente mocale  (v.  moco  nel  Voc),   che  serve  del  pari  qual  nome  di  luogo. 

*  Celina,  ed  anche  il  Cetinale,  a  cui  forse  connettonsi  Ciética  o  Ce.  e  Co- 
tona, è  nome  di  più  luoghi  sparsi  in  tutta  la  Toscana.  Il  Repetti  dice  che 
«  significò,  siccome  tuttora  nelle  nostre  Maremme  la  parola  colina  equivale, 


Toponimia  toscana:  §  IV.  L'-i  di  nom.  sing.  389 

come  rultimo,  quali  nomi  di  luogo,  terminano,  conforme  alla  origine 
loro,  costantemente  in  e,  nelle  parlate  stesse  che  sembrano  mutare  in 
i  questa  finale*.  Io  mi  terrei  fermo  ad  -arium,  ed  attribuirei  la  per- 
sistenza di  -ari  a  causa  semasiologica;  nel  senso,  cioè,  che  l'uso  con- 
comitante e  speciale  alla  'res  agraria'  del  suff.  sinon.  -are,  lo  infre- 
nasse a  quest'ultimo,  e  così  lo  sottraesse  alle  vicende  a  cui  nelle  altre 
serie  lessicali  va  incontro. 

Anche  dei  singolari  in  4  della  3.*  deci,  fece  il  Nannucci  abondante 
raccolta  (198-212).  Di  questi  tralascio  quegli  irrilevanti,  che  vengono 
da'  poeti  siciliani  o  da'  loro  imitatori ,  o  che  possono  avere  una  spie- 
gazione diversa.  Tra  i  sostantivi  usati  in  poesia,  ma  fuori  di  rima, 
egli  ci  dà  fonti  (Sacchetti),  citando  anche  il  lat.  fontis  al  caso  retto, 
conclavi  (Berni),  ed  in  esempj  di  prosa,  dugi^  preti,  sementi  (lat.  -is), 


a  un  campo  senz'alberi,  dove,  fatta  la  messe,  quindi  bruciata  la  stoppia,  suol 
lasciarsi  a  pastura  o  a  maggese»,  e  cita  la  carta  della  Bad.  Amiatina  deir812, 
nella  quale,  secondo  lui,  si  tratterebbe  di  una  cetina  per  il  pascolo  di  animali. 
Il  Brunetti  spiega  'vasca  o  conserva  de' pesci'  (da  cete!).  Mi  sono  accertato 
che  la  cetina  (in  Mar.  e  nell' Arretino)  è  un  bosco  ceduo,  od  un  boscaticcio, 
che  ogni  tanti  anni  si  taglia  e  se  ne  brucia  i  frutici  e  le  minute  legna,  per 
ingrasso,  e  vi  si  semina  la  segale  o  il  grano.  Altrove  dicesi  nrroncato,  e  salve 
le  circostanze,  non  ha  che  fare  propriamente  e  direttamente  col  pascolo  ne 
col  maggese;  che  altrimenti  sarebbe  un  pleonasmo  inutile  nelle  carte.  Di 
queste  la  più  antica  è  di  Toscanella  del  739,  che  ha  :  «  casa  cum  vinea  clausura 
oitiua  terra  ciillum  etc.  »  (Brun.  497);  e  seguono  poi;  dell' 800,  dal  Monte 
Amiata,  con  «  simul  et  pratis  cetinis  selbis  terre  etc.  »  (ib.  2»  320);  dell'SOO, 
eod.  1.,  «  pratis  cetinis  campis  etc.  »  (32'3);  lo  stesso- in  altra  dell' 801,  eod. 
1.  (329);  dell' 804,  eod.  1.  «simul  et  pratis  cetinis  selbis  terre  etc.  »  (34o)  ; 
deirSOe,  eod.  1.,  «prati  silbis  cetinis  pascuis  »  (364);  detto  an.,  da  Soana, 
«  silbis  cetinis  pasquis  »  (3o6);  dell' 808,  da  Chiusi,  «  pratis  cetinis  campis» 
(374);  id.  id.  in  e.  Amiat.  dell' 809  (386);  in  altra  id.  eod.  «  prati  silbis  ce- 
tinis pascuis»  (384);  altra  id.  eod.  «  vineis  pratis  cetiais  campis»  (388);  del- 
l'810,  eod.  1.,  «  bineis  e  id.  id.  »  (393);  dell' 8H,  eod.  1.  «  biueis  pr  silb.  ce- 
tinis pasc.  »  (394);  dell' 812,  da  Colonnata  (Toscanella),  «davo  tibi  cetina... 
ad  motiorum  decem  pasculi  »  (401).  Quanto  all'etimologia  di  ce^mfl',  non  ho 
che  una  mera  ipotesi,  per  ora,  la  quale  però  mi  conduce  imprima  a  regi- 
strare un  fatto  sicuro  e  nuovo,  ed  è  che  a  caedua  (silva)  risale  regolar- 
mente Gedda  ('S.  Pietro  a...'),  casale  in  V.  d'Elsa.  Or  sarà  egli  lecito  porre: 
*céddita  (cfr.  funditare  allato  a  fusiis;  Canello,  Riv.  di  fil.  rom.  I  14)  *cedi- 
tina  cetina  (cfr.  peto  =  p  e  d  i  t  o)  ? 

'  È  da  osservarsi,    che  nei  nomi  di  luogo  toscani  man  a  il  suff.  -ieri  od 
-iere  -«ero,,  salvo  qualche  tigura  di  più  moderna  applicazione  ai  luoghi,  quale 


3P0  Bianchi, 

siri  {ov'ìg.  fi'.),  vincitori;  tra  gli  aggettivi  registra  ubbidienti  (Brun.  Lat.) 
e  naturali  (Firenz.)  in  rima,  ed  in  prosa  iguali,  simili,  crudeli,  quali, 
stanti,  sufficienti,  pan  e  dispari  (i  due  che  sono  sempre  in  uso)  ;  e  pone 
in  questa  serie  anche  penzoloni,  carponi,  ginocchioni,  cavalcioni,  bac- 
chilloni,  girelloni  ecc.,  quasi  aggettivi  che  sieno  in  funzione  d'avverbj. 
Dei  nomi  proprj  tralascio  Capresi,  che  è  adoperato  solo  in  rima  dal 
Pucci,  e  non  è  conforme  all'uso  vivo,  siccome  sopra  ho  lasciato  al  Re- 
petti Candolesi,  casale  in  Casentino,  che  potrebb'essere  un  plurale  come 
Vallesi  [le,  alle),  casale  in  Val  di  Chiana,  mentre  Monte  Vallesi,  villa 
in  Val  di  Magra,  può  contenere  tanto  un  nominativo  quanto  un  ge- 
nitivo \  Degli  altri,  quegli  più  popolari,  e  quindi  più  conclusivi,  sono 
Chinienti,  una  volta  comune  per  Clemente,  Céseri  o  -ari,  Marti  (cfr. 


abbiamo  nel  Monte  delV  Uccelliera  nell'Appen.  pistojese.  —  I  nomi  in  -ale 
hanno  avuto  tutti  vita  nel  volgare;  e  vano  quindi  sarebbe  il  cercarvi  misteri 
preistorici.  Per  -ali  non  ho  se  non  Narnali,  conti  ada  in  Val  d'Ombrone  pist., 
ed  è  voce  oscura.  Si  potrebbe  ricorrere  a  marna,  ma  questa,  in  luogo  di 
Galestro  o  galestro,  è  di  dubbia  toscanità;  poiché  importa  molto  lo  avvertire 
che  quasi  tutte  le  voci  dei  dizionarj  latini,  le  quali,  come  marga  o  maria, 
hanno  certa  la  provenienza  celtica,  non  si  riscontrano  nell'uso  popolare  to- 
scano. È  vero  che  sotto  Vallombrosa  vi  è  un  luogo  detto  la  Marmia  e  Mar- 
ma, dove  poco  più  oltre,  verso  Pontassieve,  sono  allo  scoperto  grossi  strati 
di  galestro  turchino  cupo  ('marga  columbina,  eglecopala'  dei  Galli;  Plinio 
XVII  6);  ma  lì  in  quel  punto  è  invece  una  cava  di  alberese  fortissimo  (cal- 
carlo siliceo).  Il  Targioni,  seguito  dal  Repetti  all'  art.  Monsoglio,  villa  nel 
Vald.  sup.  verso  Arezzo,  dice  che  vi  è  una  qualità  di  terra  detta  margone, 
che  essi  spiegano  'schisto  marnoso'  ;  ma  so  per  certo  che  vi  significa  tutto 
r  opposto  di  marna,  poiché  il  margone  è  un  duro  pancone  di  rena  silicea 
e  di  minuta  ghiaja  d' alberese  forte,  generalmente  non  più  grossa  di  un  uovo, 
depositata  in  un  altipiano  quaternario.  È  uno  smalto  naturale,  simile  nella 
forma  al  sansino,  e  per  la  qualità  identico  al  greto  d' Arno ,  che  in  quel 
luogo  dicesi  parimente  margotte.  È  quindi  più  facile  che  questo  si  connetta 
con  mergo  e  mergus.  Trovo  finalmente,  mentre  si  stampan  queste  righe, 
sotto  r  alpe  tra  la  Sieve  ed  Arezzo,  ed  altrove,  che  margone  s'  usa  anche 
per  'gora'  o  'colta'  d' un  mulino,  e  lo  rivedo  in  tal  senso  ne'  campioni  ca- 
tastali; siamo  dunque  sempre  all'idea  di  (terreno)  'sommerso'. 

'  Tra  i  nomi,  la  cui  significazione  m'è  oscura  o  in  cui  m' è  dubbia  la  fun- 
zione dell' -z,  cito  ancora:  Cieceri  o  Ciesceri,  vico  perduto  sotto  Firenze  (e. 
del  1107);  Chiani  o  Chianni,  paesetto  nel  Vald.  arret.,  Chianni,  cast,  in  V. 
d'Era  ('castrura  Ciani,  Clanum'  nel  latino  del  Rep.),  ed  altro  in  V.  d'Elsa; 
Chianti,  nome  noto  che  riunisce  più  monti  e  più  vallate  contermini. 


Toponimia  toscana:  §  IV.  L'-i  di  nom.  sing.  391 

sopra),  *S^.  Pulinari  (=  Apoll-)  e  S.   Vitali  \  ed  altri  in  cui  l'analogia 
dei  nomi  in  -i  =  -i  s  s' incrocia  con  cause  diverse  ^ 

Ho  già  accennato  al  pensiero  che  quest'  -i  rappresenti  effettivamente 
il  nominativo  singolare  della  terza  declinazione;  il  qual  pensiero  im- 
porta, che  fonti  fonte,  a  cagion  d'esempio,  o  forti  forte,  da  pareggiarsi 
a  fonti-s  (arcaico  o  ripristinato)  fonte[m],  fortis  forte[m],  co- 
stituissero il  correlativo  italiano  della  declinazione  provenzale  o  ant. 
francese:  foìis  font,  forz  fort.  È  tale  idea  questa,  che  già  avrà  fatto 
inarcare  le  ciglia  al  lettore  dèli'  'Archivio',  perchè  sembri  andare  contro 
il  dogma  che  l'  ì  latino,  sia  egli  in  accento  o  fuori,  non  debba  avere 
altro  riflesso  neolatino,  o  anzi  volgare  romano,  che  non  sia  e  (cfr.  in 
ispecie,  Arch.  IX  84  sgg.).  Senonchè,  il  dogma  io  naturalmento  lo  ri- 
spetto, e  sono  perciò  convinto,  come  tutti  gli  ortodossi  del  sapere,  che 
p.  e.  gli  spagn.  vendes  e  jueves  siano  le  esatte  risposte  di  vendis  e 
J  o  V  i  s.  Ma  non  sono  punto  disposto  a  giurare  che  l'  e  it.  di  giovedì 
e  martedì  (cfr.  lunedi  lunae-)  sia  il  diretto  continuatore  dell' ^  di 
J  o  V  i  s  ecc. ,  e  punto  non  credo  che  l'  -i  dell'  it.  tu  leggi  non  sia  1'  i 
di  legis  e  provenga  senz'altro,  come  in  ispecie  vuole  il  D'Ovidio  nel 
luogo  teste  citato,  dal  tipo  di  quarta  (audis).  Ma  credo,  all'incontro 
(per  tacer  d'altro),  che  siamo  al  caso  di  badare  all'effetto  'del  suono 
che  era  attiguo',  distinguendo  cioè  tra  quegli  idiomi  che  serbino  questo 
suono  attiguo  e  quegli  che  lo  smarriscano.  In  altri  termini  (cfr.  Toblee, 
Gòtt.  g.  a.  1872,  p.  1904),  se  nos,  pos  post,  cras,  das,  sess  sex, 
hanno  dato  in  sillaba  tonica:  noi  poi  crai  dai  sei  (di  contro  a  ciò  sto 
dà  ecc.),  cosi  vendis  o  fortis,   nom.  e  gen.,  avranno  portato  a  sil- 


^  Il  Nannucci  ha  tralasciato,  come  troppo  noto  e  comune,  il  nome  di  Gio- 
vanni, -es,  della  cui  forma  abbiamo  documenti  fin  dall' viii  secolo:  per  es. 
ego  Joanni  in  e.  di  Chiusi  ap.  Brun.  2^  223  (775),  ed  in  altre.  Si  ha  poi 
Natali  al  nom.  in  M.  L.  V.  2.^  130  (788).  —  Circa  Giovanni,  non  mi  sono 
sfuggite  le  giuste  riflessioni  che  fa  il  D'Ovidio  (Arch.  IX  60  61  63  91)  intorno 
agli  effetti  della  pronunzia  itacistica  dell'v)  sulle  voci  italiane  portate  dai 
Greci;  ma  non  se  ne  può  far  conto  che  per  quelle  introdotte  in  età  ben 
più  tarda  dei  tempi  apostolici.  Come  pronunziassero  la  v  gli  Ebrei  éXX»j- 
vtì^Qvret,  e  per  qualche  secolo  almeno  i  loro  successori,  lo  vedremo  con 
Giuseppe  ed  Agnese  sotto  il  §  XIV. 

^  Particolare  considerazione  merita  c^w^z,  poiché  a  regola  duce  dovea,  nel 
volgare,  dar  doce,  che  difatti  ci  fu,  come  lo  dimostra  una  e.  lue.  del  753  in 
IV.  87,  dov'è  Alpert  doci  (in  funzione  d'accusativo).  Il  Redi  (Voc.  aret.) 
porge  dusi  'duca',  qual  forma  usata  nel  contado  d'Arezzo;  della  quale  s'è 
già  toccato  al  §  I. 


392  Bianchi, 

laba  atona  un'eco  di  s;  e  porremo,  alle  prime  origini  dell'italiano: 
vénde*  fòrte',  che  distano  assai  poco  da  véndi  fórti^.  Con  questa  con- 
siderazione comparativa,  avvalorata  dai  documenti  che  qui  addussi  e 
addurrò,  si  legittima  sin  d'ora,  o  almeno  si  coonesta,  io  spero,  la  mia 
opinione  che  il  tipo  fonti  forti  possa  direttamente  continuare  il  nomi- 
nativo (oltre  che  il  genitivo)  singolare  del  latino;  e  al  fonti  fonte  di 
antica  declinazione  singolare  italiana  io  appunto  alludeva  nel  §  III, 
toccando  di  un'  intima  ragione  per  cui  similmente  si  disciplinassero 
-ieri  e  -iere  nella  continuazione  di  -arius. 

§  V.  Dall'  -i  che  reputiamo  etimologico  (e  sempre  ancora  all'  in- 
fuori del  vero  genitivo),  passiamo  all' -z  da  -e  =  -ae;  e  serbando  a  poi 
gli  esempj  in  cui  si  risalga  all'  -a e  del  genitivo  di  prima,  ora  chia- 
miamo a  rassegna  quegli  per  cui  si  risale  all'-ae  di  nominativo  plurale 
della  declinazione  stessa,  i  quali  ricorrono  in  maggior  numero  ^  : 

1.  Acqui,  pieve  nel  Lucchese.  Si  legge  in  Aqqui  IV.  2.*  append,  35 
(ann.  823),  in  loco  ad  Aquis  ib.  47  (840)  e  'casirum  quod  vocatur 
AcquV  ib.  149  (1194);  cfr.  Acqui  =  Aquae  in  Piem.,  recato  al  §  II'. 

2.  Aniraccoli,  scritto  'Interaculas'  nel  sec.  vili'*,  borgata  nel  su- 


^  Se  legitis,  0  meglio  tenetis  e  auditis,  non  si  riflettono  per  teneti 
ecc.,  dovremo  dire  che  la  forma  dell'imperativo  qui  facilmente  s'insinuasse 
anche  nell'indicativo,  non  sussistendo  quell'ambiguità  che  si  sarebbe  avuta 
al  singolare  {tiene  per  tenes  e  tene t),  dove  è  anzi  l'imperativo  che  in 
parte  ricorre  all'indicativo  (tieni  per  tene).  —  E  anziché  dare  a  audls 
la  miracolosa  forza  da  fargli  assoggettare  e  tenes  e  legis  e  amas,  il 
vero  sarebbe  che  s' avessero  tre  tipi  con  1'  -i,  o  quasi  -i  {òdi,  tene',  légf), 
ai  quali  finiva  per  unirsi  anche   *àma^.   V.  ancora  Tornine  ecc.  al  §  XIV. 

2  Scarseggiano  gli  esemplari  dell' -ae  di  genitivo,  perchè  i  genitivi,  in 
massima  parte,  son  di  nomi  proprj  maschili,  come  indicanti  i  possessori  dei 
luoghi. 

^  La  costanza  di  forma,  nell'uso  e  nelle  carte  (in  parte  anteriori  allo 
-i  =  ae),  potrebbe  far  presumere  piuttosto  un  abl.  loc.  Aquis  nel  tose. 
Acqui;  presunzione  molto  piìi  probabile  per  quel  di  Piemonte.  In  Plinio 
(III  7)  leggo,  per  l'ultimo,  Aquis  accanto  al  nom.  Asta,  ma  non  so  quanto 
questa  lezione  possa  reggere.  Non  è  poi  storicamente  verosimile  la  conti- 
nuità tradizionale,  per  noi,  dell'abl.  Athenis  (§  II  n).  La  presunzione  sto- 
rico-morfologica starebbe  pur  contro  l'ammissione  dell'abl.  plur.  (tranne 
forse  qualche  eccezione)  negli  esempj  che  seguon  nel  testo;  al  che  confrad- 
dicono  ancora  le  stesse  varie  forme,  accertate  cou  l'uso  vivo  e  con  le  carte. 

*  Così  il  Rep.  per  rispetto  alla  sintassi  latina;  ma  in  verità  mi  son  sempre 


Toponimia  toscana:  §  V.  L'-i  di  uom.  pi.  fem.  393 

burbio  orientale  di  Lucca;  e  varrebbe  'tra  le  acquette',  cioè  in  mezzo 
ad  acque  basse  palustri,  acquitrini,  guizzaj  (cfr.  Tremedcue  e  simili^ 
Arch.  I  521). 

3.  Capannoli,  paesetto  del  Pisano  in  Val  d'Era  {de  Capannule,  in 
e.  del  1051  in  IV.  2.^  132);  CapannoH  id.  a  oriente  di  Lucca  («in 
fìnibus  Lucensis  loco  dicto  Capannole»,  del  745,  Rep.  ^). 

4.  Casi  ('Casium',  Rep.)  in  Val  di  Bisenzio,  che  sarebbe  in  e,  del 
1164;  Casi  e  Cassi  in  Val  di  Sieve,  casali  distrutti,  che  hanno  preso 
nome  da  ca.sae,  piuttostochè  da  Cassi us,  onde  sarebbe  venuto  Cascia 
e  Casci.  —  5.  Casale^  forma  registrata  dal  Rep.  per  varj  luoghi  del 
Casentino  e  delle  valli  della  Greve,  Sieve,  Ombrone  pist..  Era,  Vara 
ed  Orcia;  mentre  egli  ci  dà  Casali  o  -ole  per  uno  della  Val  di  Lima 
ed  altro  presso  Camajore  (Lue),  e  Casore,  già  Casale  'Casulae'  in  Val 
di  Nievole.  —  6.  Caselle,  stando  al  Rep.,  direbbesi  di  più  luoghi  nelle 
valli  della  Chiana  e  della  Sieve,  e  così  nel  Pist.,  dove  uno  solo  varie- 
rebbe  con  -li,  mentre  si  avrebbe  -li  e  -le  pei  medesimi  casali  nelle  valli 
della  Cecina  e  dell'Évola  (Vald.  inf.),  e  rimane  fisso  Caselli  nella  Vald. 
sup.  presso  Reggello. 

7.  Celli,  è  dato  dal  Rep.  per  un  casale  distrutto  in  Val  di  Cecina 
e  per  una  villa  in  Val  d'Era,  ma  soltanto  Celle  per  più  casali  posti  in 
Romagna,  Val  d'Ombrone  pist.,  Val  di  Paglia,  Chiana,  Sieve,  e  nel  Vald. 
sup.,  nel  qual  ultimo  luogo  si  dice  anche  Celli,  che  anzi  prevale  nei 
monti;  lo  che  ci  fa  la  spia  della  non  curanza  dell'insigne  erudito  versa 
queste  variazioni  di  forme  ^.  —  8.  Celiale,  casale  in  Val  d' Arbia,  ed 
altro  in  Val  di  Pesa;    CJlere   {Celleri,   posto  tra  parent.  dal  Rep.), 


imbattuto  nella  forma  del  nom.  plurale,  come:  Intracule  IV.  6o  (an.  718), 
Interaccule  ib.  91  (759,  cfr.  V.  2^  36),  -acchula  102  (764),  -achulehì?,  a  151 
(786).  C'è  anche  Insula  Interacculise  in  V.  2.^  309  (831). 

*  Importa  stabilir  l'età  delle  variazioni  di  forma.  L'ultima  carta  citata  è 
veramente  del  725,  ed  ha:  «in  loco  qui  vocatur  Capannule,  ^o^'dwm  m  Ga- 
stellione  »,  e  ripete  «  liic  Tuscia  tinibus  Lucensis...  in  Capannule  »,  che  così 
è  scritto  altre  due  volte  nella  relativa  concessione  del  vescovo  in  V.  2.^  11. 
Le  altre  da  me  vedute  hanno:  «loco  et  finibus  Capannure  i>  IV.  2.*  appen. 
104  (1059);  Capannule  quattro  volte  nel  placito  di  Matilde  del  1099  in  IV. 
(J,  7;  -ore  ed  -ole  IV.  l.^  124  (an.  1102),  -ole  ib.  149  (dipi.  d'Enrico  VI  del 
1194),  -ore  ed  -ole  IV.  204  (1198).  Quell'-orc  è  di  pronunzia  lucchese,  seb- 
bene applicato  da  Lucchesi  anche  al  castello  pisano.  Per  questo  si  ha  CapaU' 
noli  ('curtem  de...')  in  IV.  2  ^  le?  (1119). 

^  Quanto  al  valore  lessicale  di  queste  Celle,  così  sparse  in  Toscana  e  fuori, 
deve  dirsi  che  siano  le  'cellae  oleariae,  vinariae,  fruincntariac'  dei  Romani, 


394  Bianchi, 

casale  perduto  in  Val  di  Greve  (an.  1009-37);  Celloli  o  Cellori,  bor- 
gata in  Val  d'Elsa  presso  S.  Gimignano;  altro  -oli  nella  medesima 
valle  '.  —  Con  questi  afFamiglio:  Ceula,  pieve  perduta  nella  Lunigiana; 
Cyoli,  villa  nel  Vald.  pis.  ^;  C'yoli,  già  Ceoli  'Castrum  de  Ceulis',  cast. 
in  Val  d'Era  ^  ;  cfr.  Celle  dei  Fabbroni,  già  Ceule  in  e.  del  944  (Rep.), 
villa  presso  Pistoia  *. 


depositi  dei  frutti  campestri,  ed  abbiano  un  significato  parziale  e  meno 
comprensivo  delle  grance  senesi,  e  delle  comuni  ìnasse,  masserie  e  fattorie; 
piuttosto  che  credere  col  Rep.  che  siano  state  cappelle  dedicate  a  qualche 
divinità  ('sucella,  cellae'),  o  grotte  servite  di  ricovero  ad  eremiti;  i  quali 
casi  non  mancheranno,  forse,  ma  saranno  i  più  rari. 

.  ^  Si  esiterebbe  a  mandar  tra  questi:  Cedri  (?)  o  Ceddri,  già  'Villa  Ced- 
dre',  villa  in  V.  d'Era  (e.  del  1161,  Rep.),  da  Celleri,  che  passasse  in  *Celri 
poi  *Celdri  ecc.;  cfr,  ChiusdÀno,  nelle  antiche  carte  'Glusiinum',  che  sarebbe 
chiusolino,  terra  nel  Senese,  che  prese  nome  da  una  chiusa  secondaria  della 
V.  di  Merse.  0  penseremo  a  *Ceddole  da  Gedda  =  e  a  ed  uà  (v.  p.  389  n)? 

^  Questo  Cevoli,  crede  il  Rep.  che  sia  così  chiamato  dalla  nobil  famiglia 
pisana  dei  Ceuli.  Ma  sarà  piuttosto  la  famiglia  che  avrà  preso  nome  dal  feudo. 
Di  nomi  personali,  che  qui  si  possano  comunque  adattare,  non  ne  conosco, 
da  Celialo  in  fuori,  cosi  scritto  cinque  volte,  ed  una  volta  Cellulo,  in  una 
donagione  del  760  (IV.  92),  e  'Ursus  fil.  Celiali'  (che  è  il  medesimo)  è  in 
un  simile  atto  del  778  (ib.  13);  con  la  qual  forma  è  da  confrontarsi  Tendalo 
per  Téudolo  (ib.  94,  an.  761),  Cristo  falò  =  -^ph  oro,  frequente  nel  sec.  viii, 
poi  Cristofanus  in  V.  2.^  172  (an.  800),  ed  altre  simili.  Celialo  sarà  stato 
accorciamento-diminutivo  di  Domnicello  (Rr.  2.^  388,  an.  809),  come  Cillo 
e  Cillulo,  frequentissimi  nei  ss.  viii  e  ix,  da  D  omni cillo,  trovandosi  una 
casa  cou  terre  «iu  loco  Murriano  >  detta  'Cella  Domnicilli'  in  e.  del  937 
(V.  3.a  ISl). 

^  Sotto  questo  secondo  Cevoli,  rimanda  il  Repetti  a  Cigoli,  al  qual  luogo 
pone  tra  parentesi  'Ciculum,  già  Gastrum  de  Ceulis',  cast,  nel  Vald.  inf.,  e 
cita  una  carta  del  1194,  la  quale  però,  stando  alla  sua  lezione,  darebbe  'Ci- 
culum'  (cfr.  Moncigali,  al  §  X).  Superfluo  dire  che  tra  cevoli  e  cigoli  non 
può  cori  ere  alcuna  parentela.  Un  diploma  di  Enrico  VI  in  IV.  2.^  149,  che 
è  appunto  di  queir  anno,  e  deve  esser  quello  allegato  dal  Rep.,  ha  precisa- 
mente «  curtis  de  Ceuli  »,  a  cui  fa  un  bel  riscontro  (ibid.)  «  curtem  de  Col- 
leuli  »,  il  quale  evidentemente  sta  per  -elli.  Più  di  tre  secoli  innanzi  si  trova 
«  casa  et  res  illa  in  loco  Cieule  »  V.  2.*  487  (an.  867),  che  non  saprei  quale 
sia  tra  gli  antichi  possessi  della  Chiesa  lucchese;  ma  bastami  sapere  che  nelle 
carte  da  me  vedute  manca  la  finale  -is,  appiccatavi  da  uotari  più  recenti,  se 
non  dallo  stesso  Repetti. 

*  Intorno  a  questa  forma  di  nome,  cioè  ad  -eul-  =  -ell-,  dee  considerarsi 
che   incontrasi   unicamente  in  quella   parte   della  Toscana,   nella   quale   si 


Toponimia  toscana:  §  V.  L'-i  di  noni.  pi.  feni.  39o 

9.  Chiusi^  'Clusium  già  Clusa'  Rep.,  castello  in  Casentino.  Non 
ostante  che  chiusa  sia  nell'origine  un  neutro  plurale,  il  nome  locale  è 
certamente  un  feminile  di  questo  numero  '  ;  poiché  il  Rep.  ci  attesta 
che  ne'  primi  secoli  dopo  il  mille  si  appellava  Clusa,  essendo  situato 
tra  le  valli  del  Tevere  e  dell'Arno,  e  cita  un  istrumento  del  1119, 
in  cui  si  legge  «  actum  in  castro  Clusae  »  ,  ed  «  Orlando  de  Cluse  » 
in  car.  dei  1261,  1272  2. 

10.  Cincelli  'Centumcellae',  paesetto  nel  Vald.  arretino,  detto,  cioè 
'scritto',  Centocello  nei  primi  secoli  dopo  il  mille  (e.  del  1071,  ed  al- 
tre), Rep. 


aveva  la  tendenza  a  mutare  in  u  la  l  seguita  da  consonante,  per  es.  ant. 
lue.  antro  caudano  fauce,  ant.  pis.  sondo  mouto  caucina  auto  aufare,  per 
altro  soldo  ecc.  (Gaix  in  'Nuova  Antolog.'  sett.  1874).  I  quali  riscontri  non 
parrebbero  dir  molto,  per  ciò  che  non  vi  si  tratti  del  nesso  ll.  Ma  Ceula 
o  Cieula  sarà  esempio  assai  meno  isolato  che  non  sia  il  frc.  Gaule,  col  quale 
intanto  manderemo:  «  fil.  quondam  Gaiili  »  in  e.  lue.  dell' 848  in  V,  2.^  392, 
evidentemente  per  Galli,  non  facendo  ostacolo  il  n,  persan.  Gaudulo,  che 
per  la  fognazione  del  d  sarebbe  rimasto  fermo  a  Gavolo,  cfr.  Aivaldu  =  Ai- 
duald.  E  ancora  in  V.  2.^  133  Amanteulo  (an.  788),  fil.  Gimeuli  e  Radeuli 
(789)  per  *  Gunello  e  *Radello ,  accorciamenti  e  diminutivi  di  Guniperto , 
Radualdo,  Widerado  e  simili,  mentre  Alateulo  ibid.,  da  Alateu,  è  normale. 
Presso,  e  nella  medesima  regione,  sono  molti:  Casteoli  o  Casteooli,  'Casteulum' 
in  e.  del  1077,  castelletto  in  V.  di  Magra  (cfr.  Repetti  agli  artic.  Tresana  e 
Castiglion  del  Terziere  e  t.  VI.  app.),  Pozzévoli  o  Pozzeveri,  Tutheolum', 
borgata  nel  plano  orientale  di  Lucca  presso  il  già  lago  di  Sesto;  de' quali 
il  primo  viene  evidentemente  da  castelli,  ed  il  secondo  da  *pozzelli  o  -elle 
^pozze',  non  già  direttamente  da  puteus  e  Puteoli,  che  anche  alla  To- 
scana avrebbe  dato  Pozzuoli.  —  Noterò  in  quest'incontro,  per  la  serie  co- 
mune in  cui  entrano  mota  ra  a  1 1  h  a,  gogolo  g  a  1  g  u  1  u  s  :  sodo  s  o  1  i  d  u  s,  o 
piuttosto  da  saldo;  che  in  e.  di  Soana  (Marem.  ;  del  787  ap.  Br.  2.^  275)  è 
aprati!  cum  saudó'.  —  La  Chiana  poi  ci  porgerà  Camporsevoli  da  -elli  (§  Vili); 
e  confronteremo  -aula  nel  §  seg. 

^  [Ma  qui,  e  altrove,  sorge  il  quesito  se  non  si  tratti  del  tipo  di  sing. 
fem.,  secondo  l'analogia  di  cui  era  toccato  in  principio  del  §  II:  Asta  ecc.] 

2  II  Rep.  dice  che  Chiusa  o  Chiuse,  fino  dai  tempi  longobardici,  indicava 
una  stretta  e  profonda  gola  di  monti,  per  cui  si  serra  una  valle,  e  fin  dalla 
stessa  età  valse  termine  custodito  di  frontiera;  quindi  ancbe  bandita  o  parco 
circondato  da  siepi  ecc.,  e  steccato,  argine,  riparo  delle  acque  (cfr.  la  Cru- 
sca). Tuttavolta  la  sinonimia  generale  delle  carte  fa  credere  che  sia  stato 
ancor  più  frequente  il  significalo  di  'colto  ricinto',  a  cui  rispondeva  il  lon- 
gob.  gahagio,  come  poscia  vedremo.  Altre  forme  sono  C/uoso  =  clan sum, 
Cliiosi,  Chiusura  -e;  ed  ora  vedremo  il  sinonimo  serra. 


396  Bianchi, 

11.  Colo  gitole  o  -oli,  paesetto  nei  Monti  Livornesi.  Di  queste  Co- 
lognole  se  ne  ha  parecchie,  specialmente  nel  dominio  del  dialetto  pisano- 
lucchese.  Il  Rep.,  avvezzo  a  trattar  le  cose  romane  troppo  alla  grande, 
per  eccesso  di  cautela,  ne  attribuisce  l'origine  a  poderi  'che  fino  dai 
tempi  longobardici  solevano  darsi  a  colonia'  ;  ma  veramente  questi  nomi 
risalgono  appunto  ai  tempi  romani,  nei  quali  colonia  aveva  anche 
un  significato  assai  modesto  ^ 

12.  Combiate,  Combiati  nel  Malespini  (Nann.  88),  cast,  tra  la  Val  di 
Marina  ed  il  Mugello,  bene  spiegasi  per  ^cumfbjlatae  °  cumu\'dia.e. 
Il  Rep.  dà  anche  la  forma  Cambiate,  che  accennerebbe  origine  diversa, 
ma  non  ci  dir-e  se  sia  la  più  antica. 

13.  Crete  o  Creti,  tenuta  in  Val  Chiana,  voce  ben  nota.  Un  pos- 
sesso in  Crete  è  rammentato  in  e.  lue.  dell' 897  (IV.  2.^^  appen.  71); 
ma  è  già  Creti  in  e.  dell' 875  (V.  2.''  527),  e  «Cellari  prope  Creti» 
è  in  altra  del  991  (V.  3.^  549). 

14.  Filettori,  parrocchia  nella  valle  inferiore  del  Serchio.  Si  legge 
«de  loco  Filectule»  in  e.  dell'SSG  (IV.  30),  «in  loco  et  fundo  Fìletuli» 
in  altra  del  901  (V.  3.^  639).  Correrebbe  subito  alla  mente  fila  o  filetta 
di  piante,  ma  invece  è  il  lat.  filictum,  in  codd.  anche  fi  le  et  um, 
che  sta  a  fllicito  (leggi  -eto),  cioè  felceta,  di  una  e.  del  762  (IV.  96), 
come  sali  et  um  a  salceto.  Il  nome  locale  è  dunque  sinonimo  di  Fili- 
caja  e  Filigare  (cfr.  §  VI  princ.  in  nota). 


^  La  piccolezza  e  poca  importanza  dei  hioghi  ci  accerta  che  non  può  trat- 
tarsi di  colonie  in  grande,  intese  come  istituzione  politica  ed  amministrativa, 
ma  solo  di  case  e  terreni  assegnati  'colono  deducto',  ed  è  altrettanto  certo 
che  presso  i  Romani  'colonia'  significò  anche  la  casa  del  contadino  col  po- 
dere annesso.'Ha  questo  senso  appunto  nella  Tavola  Vellejate' spesso  citata 
dal  Rep.,  la  quale  concerne  in  gran  parte  la  regione  lui-chese,  dov'è  il  mag- 
gior numero  di  Colognole  (od  -ore,  con  pronunzia  posteriore).  Il  medesimo 
potette  seguitare  anche  dopo,  o  piuttosto  risorgere  nei  secoli  posteriori,  meno 
presso  il  popolo  che  presso  i  legisti  e  letterati;  ma  il  'dare  a  colonia',  nel 
senso  legale,  è  troppo  antico  e  troppo  moderno  pei  Longobardi,  che  lasciarono 
1  coloni  dove  gli  trovarono,  rendendo  comuni  contratti  da  quello  diversi.  È  vero 
che  casa  et  colonia,  che  oggi  dicesi  'casa  e  podere',  si  legge  in  e.  pisana  del- 
l'804,  che  il  Brunetti  {±^  342)  ricopia  dal  Muratori;  ma  non  parmi  d'aver 
letto,  in  altre  carte  toscane  di  quei  tempi,  questa  dizione,  e  se  è  facile  che 
in  qualche  raro  caso  mi  sia  sfuggita,  è  altrettanto  difficile  che  fusse  d' uso- 
comune.  Sotto  di  loro,  e  fin  molto  dopo,  casa  e  podere  si  disse  massa  (ed 
anche  casa  comprese  1' una  e  l'altro);  ìnassarius  e  aldio  si  disse  il  lavora- 
tore addettovi.  Contratti  allora  comuni  furono  l'affitto  ed  il  livello,  con  an 
nue  prestazioni,  parte  in  natura  ed  in  denaro,  e  parte  di  opere  manuali. 


Toponimia  toscana:  §  V.  Jj'-i  di  noni.  pi.  feni.  397 

15.  Forci,  casale  in  Val  di  Serchio,  parrebbe  da  furcae,  ma  veg- 
gasi  Monte-Forcoli  sotto  il  §  Vili. 

16.  Frósùii^,  'castrum  Frosinae'  Rep.,  villa,  già  castello  in  Val 
di  Merse  (ann.  1004).  Anche  il  Baronio  ('Martyr.')  dà  soltanto  la  fe- 
mina,  ma  fu  frequente  Fruosino  Euphrosynus. 

17.  Gavisern,  già  'Gaviserra',  casa  torrita  in  Casentino  (an.  1039-54); 
da  Gabii  *serrae  (se ree),  chiuse  di  Gabio.  Ci  torneremo  nel  §  se- 
guente. 

IS.Gì'oppo,  Groppoli  o  -ole,  più  luoghi  in  Val  di  Magra;  Grop- 
poli,  già  Grappare  (fino  al  xv  sec.  almeno),  castellare  in  Val  d'Ombrone 
a  tre  miglia  da  Pistoja,  del  quale  la  più  antica  carta  citata  è  del  1043. 
È  l'it.  groppo  0  gruppo,  applicato  a  rilievi  di  terreno;  e  vi  si  ha  il 
solito  incrociamento  del  neutro  col  feminino,  per  causa  del  plurale. 

19.  Macinìi  e  Macciuoli  {Maciiiole,  Rep.),  antica  pieve  (e.  del  941) 
col  titolo  di  S.  Gresci,  presso  le  sorgenti  della  Garza  ('Capo  Garza") 
in  Val  di  Sieve,  a  sette  miglia  da  Firenze,  nella  quale  ufiziò  quel  ce- 
lebre burlone  che  fu  il  piovano  Arlotto  de'  Mainardi.  Evidentemente 
è  diminutivo  di  macia  da  maceja^^  maceria,  per  I  da  ei  (è  loco  Ma- 
ceja  in  e.  lue.  deir848,  V,  3.^  399)  ^.  Le  Macie  e  la  Maceraja,  da  me 
conosciute  in  Valdarno,  sono  terreni  che  hanno  strati  di  pietra  scoperti, 
non  compatti  ma  sconnessi  e  rotti  in  modo  da  parer  rovine  di  fabbricati. 

20.  Nocchi,  luogo  del  Lucchese,  scritto  Noccle  in  e.  dell' 810  (V. 
2.*  22)  ed  in  altra  deir818  (IV.  2.^  23);  italianamente  dovrebbe  scriversi 
Nocchj,  cfr.  l'it.  nocchia  e  nocciuola,  avellana,  e  qui  1' 'Esordio'  p.  368  n. 

20.''  Norcenni,  villa  presso  Figline,  sia  *Nurtiénnae?  Cfr, 
Nortia  o  N  urti  a,  dea  etrusca. 

21.  Novale  [Case...)  in  Val  d'Omb.  sen.,  poi  Novali;  Nuovoli,  più 
luoghi  nel  Fiorentino  {-ali  anche  in  e.  del  981).  Credo  affini  Navegigola, 
o  -oli,  e  Novegiiia,  casali  in  Val  di  Magra,  da  *Nov-esio,  ecc. 


'  Avrebbe  dovuto  precedere:  Fgrli  ('S.  Niccolò  a...'),  già  a  Forle,  casale 
nel  Yald.  sup.  (Reggello).  Forle,  che  non  potrebbe  dirsi  posto  arbitrariamente 
dal  Rep.,  e  che  avrebbe  origine  da  un  neutro  plur.,  distoglie  dal  ricorrere 
a  Furnuli,  che  occorre  anche  nelle  carte  lucchesi.  Per  più  ragioni  non  con- 
viene foruli,  'armadj'  e  paese  della  Sabina,  e  forum  sarebbe  di  troppo 
per  quel  posto;  ma  la  vocale  potrebbe  spiegarsi  come  in  torlo  -tuorlo.  Non 
avrei  di  meglio  che  l'it.  foro. 

2  Altri  esempj,  per  ora,  di  ì  da  ei  ed  ai:  Salutìo  =  S.  Eleuterio  (per  -(y'o), 
pieve  e  torrente  in  Gasen.  ;  Palla  {Apulia  delle  carte),  che  dev'essere 
Apuleja,  contrada  presso  Lucca:  Fontia  (parrebbe  -ia),  presso  Carrara, 
da  Fonteja;  Fostìa  (Rep.  art.  'Dicomano')  sarà  fustaja;  Lupìa  sarà  lupaja 
(Vald.  sup.),  e  Stia  e  Staggia  nel  Gas.  furon  certo  *Stn.ja. 


398  Bianchi, 

22.  Pianézzole  -oli  cas.  nel  Vald.  iuf.  (1194);  -ssole  -li  Tlanesulae' 
Rep.,  cas.  nel  Vald.  pis.  (1153),  dove  è  mantenuta  l'antica  pronunzia  locale 
(ant.  pis.  e  lue.  piassa  spiazza);  da  planities,  la  cui  desinenza,  pur 
di  singolare,  poteva  determinare  un  incrocio  col  plur.  della  1.^  deci.  * 

23.  Piantravigne,  contrada  nel  Vald.  sup.,  che  dai  villani  dicesi  più 
spesso  Piantraigni,  e  vale  'pianura  intra  vineas'. 

24.  QuaracchJ,  'ad  Quaraclas,  quasi  Aquaraculae'  Rep.,  borgata 
presso  Brozzi  sotto  Firenze,  luogo  un  dì  paludoso.  Se  mai,  è  pi.  neutro,  e 
le  carte  offrirebbero  la  solita  riduzione  del  n.  plur.  al  fem.  sing.;  poiché 
quelle  citate  dal  Rep.  ci  danno:  ad  Quaracle  nell'866  (Lami  'Mon. 
Eccl.  fior.'  p.  602),  Quaracule  nel  1055,  e  digià  Quaracchi  nel  1079 
(carte  dello  Spedale  di  Bonif.). 

25.  Ripole,  'Ripulae'  Rep.,  casale  in  Val  di  Chiana  (ann.  1010); 
Ripoli,  o  -ole  che  oggi  non  si  ode,  ('Badia  a..')  nel  Vald.  sopra  Firenze; 
Ripoli  ancora:  un  cas.  nel  Vald.  inf,  presso  Cerreto-Gruidi  ('ad  Ripule' 
in  e.  lue.  del  902);  una  contrada  nel  Vald.  pis.;  un  cas.  in  Val  di  Pesa; 
e  uno  in  Val  Tiberina  (1188).  C  è  anche  Surripa,  contrada  che  fu  a 
^ Ripoli  del  Vescovo'  presso  la  Pesa  (1140-74);  id.  sul  monte  di  Cetona 
(1030);  e  quindi  Sorripole  o  Surr.,  cas.  perduto  in  Val  d'Elsa;  Sur- 
ripoU  0  Sarr.  (sub  Ripulis),  cas.  in  Val  d'Ombr.  pist.  (1162),  nel 
qual  nome  si  ha  tuttavia  il  diretto  avanzo  d'un  abl. 

26.  Roti  0  Ruoti,  cas.  in  Val  d'Ambra  (Vald.  sup.).  All'art.  'Badia 
a  Ruoti'  dice  il  Rep.  che  fu  fondata  dai  Ruoti  d'Arezzo  nel  1076;  ma 
questi  signori  potrebbero  invece  aver  preso  nome  dal  detto  luogo  di 
Val  d'Ambra  ^,  poiché  vi  sono  altri  due  casali  di  nome  Ruoti  in  Val 
Tiberina,  ed  un  terzo,  detto  Rota  o  Ruota,  nel  Vald.  sup. 

27.  Selvole,  e  -oli,  due  castelli  nel  Chianti;  altro  Selvoli,  cast,  nel 
Chianti  alto  in  Val  d'Arbia  ;  tuttavia  cfr.  il  §  IX,  num.  4. 

28.  Tatti,  'Tactae'  Rep.,  cast,  in  Val  di  Bruna  in  Marem.  (an.  1069, 
Tatte  nel  1188).  Sarebbe  facile   il   trarre   questo  vocabolo  dal  partic.  , 
di  tango,  ma  diffìcile  spiegarne  esattamente   la  ragione   dell'appli- 
cazione. 


^  In  V.  Tiberina  è  un  cas.  Pianezza;  e  uno  Pwnc^fófe, «che  ritorna  in  Val 
d'Era  (117S). 

2  Se  dal  cognome  Ruoti  avesse  tolto  il  vocabolo  la  Badia,  a  quello  avrebbe 
dovuto  preceder  l'articolo  {ai  o  a);  Roti  cogn.  viene  da  un  accorciamento  di 
Biionarrota,  come  ha  ben  visto  il  Flechia;  ma  arrogere  e  derivati,  tra  cui 
arrota,  non  ebbero  mai,  ne  hanno  presso  chi  sa  scrivere,  il  dittongo  -uo-.  Se 
i  documenti  anteriori  al  passato  secolo  hanno  veramente  il  dittongo  nei  no- 
stri nomi  di  luogo,  la  questione  parrebbe  risolta  a  favore  di  rota. 


Toponimia  toscana:  §  Y.  L'-i  di  uom.  pi.  lem.  399 

29.  Tocchi,  'Toclae  Castrum'  Rep. ,  due  Casali  in  Val  di  Merse 
(1179-87).  Può  supporsi  un  primitivo  Totlae,  da  congiungersi  col 
seguente  : 

30.  Tglle,  'Villanuova  a...,  o  Villa  Tolle',  fu  casale  tra  la  Val  di 
Chiana  e  la  Val  d'Orcia,  sul  poggio  di  Tglle,  altrimenti  detto  Toto- 
nella;  Villa  a  Tglli  di  Montalcino,  villata  in  Val  d'Ombr.  sen.  (1205)» 
L'identità  del  luogo  ci  spingerebbe  a  congiungere  etimologicamente 
Tolle  con  Totoriella,  risalendo  per  il  primo  a  *totulae,  che  anche 
sarebbe  la  base  di  Tocchi  (num.  29).  Circa  la  doppia  evoluzione,  come 
in  rocchio  e  ì^uUo  da  rotulo,  cfr.  Arch.  Ili  288.  Totula  potrebbe 
poi  essere  il  diminutivo  di  un  italico  tota  (osco  tauta  e  tonta,  umbr. 
tota),  e  valere  'cittaduzza'  o  'comunello',  quindi  anche  'castelluccio'^ 
'paesetto'.  Ma,  se  questo  fusse,  bisognerebbe  vedere  in  Tolle  {Tocchi), 
piuttosto  il  loc.  sng.  (§  II),  che  non  il  nom.  pi.  ^ 

31.  Toppole  o  -oli,  cas.  in  Val  Tiberina.  È  formato  dal  plur.  d'un 
neutro,  il  quale,  che  sia  l'it.  toppo,  grosso  tronco  d'albero  atterrato, 
rilevasi  dall'articolo  che  è  in  Pieve  al  toppo  della  Val  di  Chiana. 

32.  Torsoli  o  -ole,  cas.  nel  com.  di  Greve  (non  'Valle  di...',  com'  ha 
il  Rep.),  verso  le  sorgenti  del  Cesto  nel  piviere  di  Gaville  (1050-80). 
Il  Rep.  avrà  incontrato  la  seconda  forma  nelle  antiche  carte,  poiché 
non  l'ho  mai  udita.  Non  v'è  da  far  conto  dell' it.  tórsolo;  il  lat.  può 
darci  torsus  =  tortus,  avendo  il  sup.  torsum  e  il  comp.  detorsus; 
ma  non  può  stabilirsi  il  perchè  fu  imposto  un  tal  nome  (vie  torte  ?). 

33.  Tregole,  o  Tregoli  del  Chianti,  cas.  in  Val  d'Arbia  (1003). 
Tregola  si  lega  con  altre  voci  toscane  ed  italiane,  che  richiedono  non 
breve  illustrazione.  Per  ora  mi  basti  il  dire  che  il  significato  originario 
di  questa  voce  deve  esser  quello  à" intreccio  formato  di  rami,  frasche^ 
giunchi  o  stecche,  cioè  'graticcio',  'steccato'  e  simili. 

34.  Trecase  -asi,  o  Trica-  e  Triccasi,  cast,  distrutto  in  Val  di 
Cornia  (Marem.).  Parrebbe  dal  Rep.  che  leggasi  T ricasi  in  carte  degli 


'  Ne  va,  a  ogni  modo,  distinto  'S.  Frediano  di  Tolte'  nel  Lucch.,  scritto 
due  volte  Tomle  in  IV.  2.^  4  37  (an.  1091),  Tolte  due  volte  ivi  in  append. 
127  (UH),  de  Tolti  tre  volte  ibid.  143-46  (1181),  e  che  probabilmente  sarà 
lo  stesso  che  Tomaie  ibid.  149  (1194);  ma  ignoro  se  sia  il  loco  Tumolo  in- 
dicato in  e.  lue.  del  722  (V.  2.=^  8).  Le  varie  forme  si  spiegano  con  tumulum 
fatto  neutro,  quale  si  trova  in  iscrizioni,  e  quale  è  fatto  presumere  dalla 
sua  riduzione  ncll' it.  tomba  (bas.  lat.  tumba=:  tumbnla),  che  di  lì  verrà, 
piuttosto  che  dal  gr.  rup/So?.  Tuttavia,  la  voce  originaria  è  oggi  rappresen- 
tata da  tombulo  e  -oto  nel  contado  pisano,  e  da  tombttro  in  quel  di  Lucca. 


I 


400  lìianciii, 

anni  754-93,  1099;  ma  la  prima  ha  Trìcchase  ('M.  L.'  IV.  82),  e  quelle 
sotto  le  altre  due  date  non  contengono  questo  nome,  che  è  scritto  Tre- 
case  in  V.  2J^  43  (an.  761)  e  Tricase  ivi  385  (an.  847)  \ 

35.  Vaglie  o  Vagli,  villata  in  Val  Tiberina;  Vaglia  'Vallea'  Rep., 
borgo  in  Val  di  Sieve  (an.  1024-37-G6).  'Vallea'  delle  carte  è  un  lati- 
namento  notoriale,  da  non  confondersi  con  vallèa,  che  è  un  gallicismo  '  ; 
ma  per  la  posizione  del  luogo,  quel  nome  non  potrebb'  essere  che  un 
derivato  divallisi.  Ci  sono  altri  nomi  somiglianti  che ,  almeno  in 
parte,  accennano  origine  diversa, 

36.  Vallicelloli  'di  Chiusdino',  casale  perduto  in  Val  di  Merse,  da  -le. 

37.  Vaccaie  o  -oli,  villata  in  Val  di  Serchio,  quattro  miglia  a  ostro 
da  Lucca.  È  Vaccaie  in  carte  degli  anni  713  (V.  2.^  5),  719,  798  tre 
volte  (IV.  67,  180),  806,  837  (IV.  2.^  11,  32).  Avrà  preso  nome  da 
una  pastura,  o  meglio  da  una  cascina.  Credo  analogo  il  seguente: 

38.  Vecoli  o  -ole,  casale  in  Val  di  Serchio.  Credo  da  ovecula 
(ovis)  che  è  già  in  qualche  testo,  e  di  cui,  secondo  me  ed  il  Caix 
(opp.  cit.),  fu  variante  *o  v  a  e  u  1  a,  onde  il  fr,  ouaille  e  il  tose,  bacchio. 

Ora,  qual  è  la  sicura  storia  di  cotest'-i  nei  plur.  di  1.^  declin.?  Che, 
per  certi  esempj,  ci  entrasse  la  ragione  dell'ablat.-locat.  (p.  e.  Aquis, 
in  Acqui),  non  si  vorrà  negare;  ma  è  scarsa  vena.  L'  -i  di  pi.,  come 
ognun  sa  e  meglio  noi  ricordiamo  qui  appresso,  ha  del  resto  abondato 
e  abonda  pure   tra'  nomi  comuni   della   1.*;   e   che  sia,  generalmente 


*  Deve  'avvertirsi  che  nelle  antiche  carte  non  sempre  si  raddoppiano  le 
consonanti,  e  quando  son  doppie  si  ha  sempre  la  più  corretta  lezione,  come 
è  il  caso  del  e  in  quella  posizione;  poiché  il  toscano  piìi  schietto  pronunzia 
tré  ccase  =  tTes  casae.  Non  sarei  però  così  lesto  a  dire  che  il  raddoppia- 
mento che  ne  nasce  sia  prodotto  dalla  -5  precedente,  come  sicuramente 
avvenne  dopo  -t  e  -d  delle  proclitiche  et  e  ad.  Sono  questioni  da  riserbarsi. 

2  Deve  ritenersi  tale,  col  Canello  (Arch.  Ili  314),  finche  non  se  ne  hanno 
esempj  sicuramente  popolari.  Come  voce  toscana  verrebbe  da  vallaja,  che 
qual  nome  di  luogo  si  legge  in  carte  fìesolane  che  citeremo. 

®  Vaglia  si  formò  direttamente  dall'i  tematico  [valli  +  a],  come  sedia  da 
sedi-,  cagna  da  cani-  (*cani-a).  Qualche  dubbio  può  sorgere  rispetto  al 
Vaglie  della  V.  Tiberina,  potendovi  essere  una  tendenza  locale  a  far  -Iji  di 
-li;  poiché  a  città  di  Castello  si  dice  hacegli  budegli  stivagli  per  baccelli  ecc. 
(cfr.  Arch.  II  449);  ignoro  poi  se  questa  disposizione  fonetica  si  estenda  alla 
parte  già  toscana  di  quella  Valle  ;  ma  non  parmi,  ed  in  ogni  maniera  deve 
esser  moderna.  [Recentissime  informazioni  (ott.  1886)  mi  confermano,  che 
alle  sorgenti  del  Tevere  (comuni  di  Caprese  e  Pieve  S.  Stef.)  siamo  nel 
pretto  toscano,  come  già  ne  avevo  avuto  sentore]. 


Toponimia  toscana:  §  V.  L'-i  di  nom.  pi.  fem.  401 

parlando,  d'ordine  analogico,  nessuno  oserà  dubitare.  A  parlar  per  via 
d'esempj  :  le  personi  'personae'  s'è  di  sicuro  foggiato  sopra  le  fonti.  Ma 
sorge  incidentalmente  qualche  altro  quesito.  Allato  al  tipo  le  fonti  vi 
ebbe  le  fonte.  È  egli  analogico,  alla  sua  volta,  anche  il  tipo  le  fonti,  e 
cosi  i  piedi  [padrì  madn\  e  tutto  per  attrazione  del  tipo  boni,  come 
oggi  si  propende  a  insegnare  (cfr.  Arch.  IX  89-90),  ed  era  egli  storico 
il  tipo  le  fonte  fontes? 

La  lingua  comune  dei  primi  tre  secoli  spesso,  dunque,  presenta  ter- 
minati in  i  i  feminini  plurali  della  prima  deci. ,  come  lo  ha  mostrato 
con  gran  numero  d'esempj  il  Nannucci  (op.  cit.  pp.  259  a  281).  Di  questi 
bisognerebbe  al  solito  fare  una  buona  vagliatura,  scernendo  quegli  che 
a  comodo  del  verso  furon  foggiati  sul  siciliano  o  sopra  modelli  toscani 
realmente  usati,  o  che  si  spiegano  per  ragioni  diverse;  e  badiamo  in- 
tanto a  scegliere  i  più  sicuri  e  più  conchiudenti.   Sono  in  poesia,   ma 
fuori  di  rima,  i  sostantivi  :  le  costi  scali  spini  ;  ed  in  prosa  :   asti  bat- 
tagli eròi  lanci  orecchj  palmi  polipori  porti  selvi  unghj  veni',  aggettivi: 
alti  (che  accorda  con  'torri'  e  'voci'),  altrettanti  'voci',  biondi  'spighe 
risprendenti  e..',  ferrati  'porte',  gelati  'valli',  'i  mali  dì  e  le  inali  notti', 
^poveri  genti.,  ricchi  e  mondani  genti'  (senza  articolo),  parecchj  'pen- 
tole ecc.',  radi  'volte',  le  santi  'fonti',  'tanti  serpenti  di  tanti  ragioni', 
'le  torti  funi',  'parti  tutti  contente',  vaghi  (che  è  lungi  dal  relativo). 
Questa  desinenza,  benché  non  applicata  affatto  a  tutte  le  voci,  è  ancora 
in  uso  nel  contado  fiorentino,  e  sempre  più  via  via  che  ci  allentiamo 
dalle  città,   dalle  grosse  terre  e   dalle  strade  principali,   udiamo  alle 
vojtti  'a  volte',   le  spesi,  l'ori,  le  porti,  le  personi,  le  carti  e  simili; 
così  ancora,  ed  anzi  con  maggior  frequenza,  nell'Arretino,  nell'alta  valle 
del  Tevere  fino  a  Città  di   Castello   e  più  oltre..  Della  medesima,  più 
esemplari  che  altrove  abbiamo  incontrato  tra  i  nomi  locali  del  Luc- 
chese e  del  Pisano,  sebbene  in  quelle  parlate  io  non  abbia  avuto  occa- 
sione di  sentirla  viva;  più  rara  è  nei  nomi  della  regione  senese,   ma 
tale  differenza  dee  dipender  da  ciò,  che  questa  parte  ha  somministrato 
minor  numero  di  articoli,  antichi  e  moderni,  al  'Dizionario'  del  Repetti, 
il  quale  avrà  anche  trascurato  di  notar  le  varianti.  I  fatti  addotti  ba- 
stano a  provare  che  questa  oscillazione  tra  -i  ed  -e,  nei  nomi  della  prima, 
si  estese  un  tempo  a  tutta  la  Toscana,  e  più  oltre,  a  gran  tratto  del- 
l'Italia centrale,  ed  era  appunto  in  quei  luoghi  dove  oggi  predomina 
siffatto  la  -e  pur  nei  plurali  feminili  delia  terza.   Anche  di  questa  de- 
sinenza, che  oggi  prevale  quasi  senza  eccezione  lungo  la  parte  piana 
nel  corso  dell'Arno,  il  Nannucci  ha  raccolto  (pp.  241-59)  un  gran  numero 
d'esempj ,  i  quali ,  eccezion  fatta  de'  poeti  siciliani ,   appartengono  giù 
per  su  ai  medesimi  autori  che  terminarono  all'opposto  (cioè  in  -i)  i  fe- 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  26 


402  Bianchi, 

minili  plurali  della  prima  sopra  recati.  Ne  riporto  soltanto  alcuni,  fra 
le  voci  più  usuali:  le  forbice  carcere  'parte  vite  gente  chiave  noce  ron- 
dine', e  parimente  ai  piar.  fera,  gli  aggettivi:  feroce  felice  molle  celeste 
presente  vile  utile.  Ora  le  parlate  vive  che  hanno,  d'accordo  coi  gram- 
matici, le  viti  fonti  fedi  ecc.,  hanno,  al  contrario,  alle  volti,  le  spesi, 
le  personi  ecc.  ;  e  dove  si  dice  a  regola  alle  volte,  le  spese,  le  persone, 
si  sgarra  con  le  vite,  le  fonte,  le  fede;  cosicché  può  dirsi  che  un  dia- 
letto, uniforme  anche  nei  minimi  particolari,  è  venuto  da  questo  lato 
a  dividersi  in  due.  Il  tutto  però  si  spiega  con  la  tendenza  alla  unifor- 
mità di  cadenza  tra  i  congeneri,  sia  che  questa  si  configuri  sulla  prima, 
ovvero  sulla  terza  deci.,  come  apparisce  a  vista  d'occhio  in  molti  esempj, 
quali  poveri  genti,  le  santi  fonti.  Nelle  parlate  del  piano,  che  sono  in 
complesso  di  carattere  più  moderno,  allo  istinto  confìgurativo  si  accoppia 
la  spinta  dissimilativa,  che  in  tal  caso  si  spiega  nel  differenziamenta 
del  feminile  dal  mascolino:  per  es.  le  fonte  contro  i  fonti. 

La  regola  grammaticale  che  stabilisce,  per  la  prima  declinazione,  la 
schema  «la  persona,  le  persone»,  e  per  la  terza  «te  vite,  le  vitit^ 
non  ha  perciò  riscontro,  qual'è  così  fissata,  nell'uso  presente  del  dia- 
letto fondamentale,  e  di  quegli  che  in  parte  minore  contribuirono  a 
formare  la  lingua  comune,  e  neppure,  come  si  è  visto,  nei  loro  monu- 
menti storici  e  letterarj.  I  materiali  ci  erano,  e  ci  sono,  per  questo 
schema  come  per  un  altro,  ed  i  grammatici  non  crearono  nulla  di  nuovo; 
ma  tanto  questi,  quanto  i  più  accurati  scrittori  che  gli  precedettero, 
determinarono  la  scelta,  e  fissarono  quello  che  era  incerto  ed  oscillante, 
ma,  di  sicuro,  non  senza  l'ajuto  di  una  certa  prevalenza  quantitativa 
nell'uso  stesso  del  popolo.  La  nostra  grammatica,  disgraziata  in  più 
punti,  riuscì,  in  tal  parte,  felice;  e,  senza  avvedersene,  ritrasse  la  lingua 
ad  uno  stadio,  che  questa  aveva  percorso  prima  della  sua  letteratura. 
Questo  fatto  costituisce  uno  dei  termini  di  confine  meglio  distinti  tra 
la  lingua  parlata  e  quella  scritta,  e  può  insieme  somministrare  un  cri- 
terio per  render  meno  vaga,  che  è  quanto  dire  meno  falsa  ed  assurda, 
la  dottrina  che  ammette  una  lingua  scritta  non  mai  parlata. 

Che  poi  vi  sia  stata  un'  epoca  in  cui  la  stessa  plebe  toscana  distin- 
guesse i  feminini  plurali  della  prima  [persone)  da  quegli  della  terza 
[viti],  rilevasi  dal  fatto  della  coesistenza  delle  due  desinenze  tra  luoghi 
vicinissimi,  in  corpo  ai  medesimi  dialetti,  le  quali  non  possono  spiegarsi 
che  per  una  origine  diversa,  cioè  morfologicamente  distinta  ;  e  lo  ab- 
biamo veduto  dalle  antiche  carte  che  ci  presentano  -e,  laddove  poi  tro- 
viamo -i,  come  ad  esempio  in  Capannon  da  Capannole  ^  Non  può  in 


Il  fatto  potrebbesi  verificare  anche  meglio  dai  nomi  comuni  contenuti 


Toponimia  toscana:  §  V.  V-i  di  nom.  pi.  fem.  403 

alcun  modo  revocarsi  in  dubbio  che  il  plur.  fem.  sia  stato  una  volta 
costantemente  in  -e,  poiché  le  persone,  per  es.,  è  il  lat.  personae 
pronunziato  nel  modo  volgare.  Dunque  personi  è  tipo  tralignato,  por- 
tato all'analogia  di  viti  ecc.  Qualche  dubbio  può  all'incontro  sorgere 
rispetto  al  tipo  le  vite,  le  fonte  ecc.  della  terza  deci.,  voci  che  potreb- 
bonsi  presumere  direttamente  provenute  dalle  latine  vites  fontes  ecc. 
Senonchè,  io  pure  tengo  per  fermo  che  la  corrispondenza  tra  Ve  it.  e 
Ve  lat.  sia  qui  del  tutto  illusoria,  e  che  il  tipo  le  vite  altro  non  rap- 
presenti se  non  un'assimilazione  ai  feminini  plurali  della  prima  ;  poiché, 
a  tacer  d'altro,  avremmo  avuto  altrimenti  anche  i  monte  i  piede  ecc., 
di  che  non  è  alcuna  traccia. 

Ma  viti,  alla  sua  volta,  sarà  egli  meramente  analogico,  sullo  stampo 
di  buoniì  Questa  sentenza  a  me  pare  idealmente  incongrua  e  storica- 
mente superflua.  Lo  spiegare  viti  per  l'analogia  dei  mascolini  plurali 
della  seconda,  è  uno  sconoscere  affatto  l'istinto  popolare,  che,  al  contrario, 
tende  a  dissimilare  i  generi,  come  lo  mostrano,  entro  le  medesime  par- 
late, i  fonti  monti  ponti  pendenti,  gli  amanti  ecc.,  contro  le  fonte  vite 
vetrice  radice  ròmbice,  le  son  donne  piacente,  e  via  discorrendo.  Quanto 
poi  alla  ragione  o  alla  fonte  storica  dell' -z  di  viti  ecc.,  io  imprima  con- 
fesso di  non  sapere  stimar  trascurabile,  e  peggio,  il  nom,  ed  acc.  plur. 
in  -Ts  ■=>  -eis  della  terza  deci,  nel  latino  antico,  come  in  finis  fineis, 
ovis  oveis,  omnis  omneis,  docenteis  ed  altri,  e  noto  insieme  che 
1'  -is,  da  noi  incontrato  in  ognissanti  ed  in  Fontis-terni  (§  I),  dovette 
essere  l'esito  fissato  nel  latino  usuale  della  Toscana,  e  di  gran  parte 
almeno  dell'Italia  centrale,  siccome  quello  che  prevale  nelle  carte  lon- 
gobardiche, dove  il  plur.  della  3.^  deci,  si  modella  generalmente  sul 
tipo  partis  h eredi s.  Ma  più  e  meglio  vale  ancora  per  noi  la  con- 
siderazione, che  un  -és  latino  doveva  dare,  per  esito  italiano,  -e\  cioè 
un  esito  che  naturalmente  coincideva  con  quello  che  ponemmo  per  -ìs 
(p.  392),  e  tale  che  rasentava  1'  -i  ^ 


nelle  carte  anteriori  all'xi  secolo,  facendo  pur  conto  dell'influsso  gramma- 
ticale. Il  pili  antico  esempio  di  -i  è  dell' 87S,  in  Creti  (13),  ma  Crete  del- 
l'897  e  gli  altri  esempj  mostrano  che  l'assimilazione  alla  terza  era  rarissima 
allora,   ed   appena  cominciava  a  spuntare. 

^  Superfluo  ripetere,  che  anch'  io  eseludo  la  tendenza  meramente  fonetica 
a  cambiar  l'-e  in  -i,  da  alcimi  attribuita  al  fiorentino  (e  bisognerebbe  ag- 
giungerci il  pis.  e  il  lue,  per  lo  meno),  il  quale  troppo  spesso  si  contrad- 
direbbe. Sono  dunque,  per  questa  parte,  in  perfetta  concordanza  col  D'Ovidio 
(^rch.  IX  83  sgg.),  e  circa  i  noti  avverbj  (of/gi  ecc.)  aveva  io  a  questo  punta 


I 


404  Bianchi, 

§  VI.  Arriviamo  finalmente  al  genitivo  vero  e  proprio,  dì 
numero  singolare,  per  fermarvici  un  pezzo  (§§  VI-XII);  e  gioverà  pre- 
mettere, circa  la  forma  o  la  fonetica,  che  noi  non  separiamo  il 
genitivo  di  seconda  da  quello  di  terza,  perchè  la  separazione,  incomoda 
sotto  altri  rispetti,  non  varrebbe,  secondo  il  nostro  concetto,  a  distin- 
guere tra  forme  storiche  e  analogiche,  storico  essendo  per  noi  V-i  di 
un  ììionti  =  monti s  (v.  p.  392),  non  meno  o  poco  meno  dell' -^  di  un 
nuovi '^  novi.  Anche  i  non  numerosi  genitivi  di  prima,  o  assimilati  che 
sieno  a  quegli  di  seconda  e  terza,  o  variamente  discernibili,  non  for- 
meranno categoria  distinta. 

Di  nomi  di  luogo,  contenenti  un  genitivo  \  ne  abbiamo  un  tal  numero, 
che  possiamo  tesser  la  storia  di  questo  caso  per  tutte  le  età  che  esso 
ha  percorso.  Quantunque  presi  uno  per  uno,  raramente  possa  stabilir- 
sene la  età  precisa,  tuttavia  possono  distribuirsi  in  tante  serie 
successive,  ciascuna  delle  quali,  per  la  sua  intrinseca  formazione, 
per  impronta  fonetica,  o  per  le  condizioni  storiche  tra  le  quali  è  nata, 
e  che  sono  indicate  dai  nomi  personali,  rappresenti  uno  strato  crono- 
logico diverso.  Andando  dal  più  al  meno  antico,  noi  cominceremo  dunque, 
col  presente  §,  dalla  serie  che  meglio  presenta  i  caratteri 
del  classico  latino,  che  sotto  il  nostro  aspetto  è  il  primo  stadio 
onde  si  è  mossa  la  lingua. 


una  nota,  che  ora  quasi  parrebbe  una  ripetizione  di  certi  suoi  ragionamenti^ 
Mi  limiterò  a  serbar  di  quella  nota  la  modesta  osservazione,  che,  per  1'  -i  di 
indi  inde  io  mi  giovava  anche  dell'attrazione  della  proclitica  di. 

^  Nel  §  I  si  vedeva  qualche  esempio  di  genitivo  in  voci  comuni,  scempie. 
Parecchi  altri  se  ne  aggiungono  facilmente,  rimasti  punto  o  mal  distinti  in 
composti  di  voci  comuni.  Ma  per  ritornare  imprima  agli  esempj  in 
voci  scempie,  ne  vedrei  uno  tra  le  forme  che  il  Nanuucci  considera  ete- 
roclite, ed  è  nella  voce  ette,  usata  uelle  locuzioni  'non  ne  sa  un'  ette',  'non 
ti  stimo  un'  ette'  e  simili,  la  quale  egli  (p.  60)  ricondusse,  prima  del  Caix, 
al  lat.  betta  di  Feste,  che  ci  dà  l'esempio  di  'non  hettae  te  facto'  (cfr. 
fio  e  ci  fa  ciò).  Se  a  questa  etimologia  potrebbe  far  concorrenza  la  parti- 
cella et  [cfr.  'non  ne  sa  un  acca'  (h  lettera),  ristretta  però  al  verbo  sapere], 
il  genitivo  è  indubitato  in  porte  per  porte  (pp.  62,  63),  che  deve  avere  talora 
sconfinato  da  certe  locuzioni,  qual'  è  quella  da  lui  riportata  di  via  porte 
Sante  Marie;  di  che  è  da  tener  conto  per  la  nota  nell'Arch.  IV  174.  Que- 
sta mi  richiama  le  Sante  Marie,  cosi  detta  nel  contado  fior,  la  festa  del- 
l'Assunzione, per  la  Sante  ecc.;  cfr.  in  fr.  la  Saint  Barthélemy.  Parimente 
ho  per  un  genitivo  hore  (onde  il  troncato  or),  che  il  Nann.  (64)  riporta  da 
una  iscrizione  del  Camposanto  di  Pisa.  Imperocché,  secondo  il  mio  sentire 


Toponimia  toscana:  §  VI.  Genit.  in  costr.  classico.  405 

Qui  abbiamo  una  serie  di  nomi,  i  quali,  stando  in  gran  parte  al 
Repetti,  sarebber  composti  di  personali  romani  e  di  aula.  Aula  vi 
avrebbe  significato  'casa  signorile  di  campagna',  senso  molto  naturale, 
piuttostochè  'stalla'  o  'stabbiato',  valore  che  pure  ha  nel  greco  e  nel 
latino.  A  tempo  dei  Longobardi,  quando  già  era  o  divenne  impopolare 
la  voce  aula,  le  sarebbe  stato  surrogato,  nel  primo  senso,  il  germanico 
sala  col  suo  dimin.  saletta  (Rep.  ad  v.  ').  Hanno  questo  significato  anche 
il  Palagio  e  la  Palagina,  con  Palazzuolo  (senza  art.),  e  Petrgjo  da 
praetorium.  Ora  ecco  la  miglior  parte  della  serie,  nella  quale  con- 
tesseremo qualche  esemplare  congenere,  contenente  un  elemento  diverso. 

1.  Albdvola,  Albaola,  'Albania'  nelle  carte,  luogo  sul  Serchio  nella 


ora  ha  un  senso  così  generico  e  mal  determinato  nella  successione  del  tempo 
da  non  potere  da  sé  convenientemente  rappresentare  il  lat.  nunc;  e  lascia 
supporre  che  sia  la  riduzione  di  una  dizione  complessa,  o  di  voce  composta 
che  potrebbe  essere  stata  *a-ora  ha  e  ora  \ag-ora  ant.  spg.  e  portg.)  ;  cfr. 
la  mia  *Prep.  A'  p.  396  e  Arch.  VII  527-8.  Quindi  anche  ore^  che  quale  ge- 
nitivo di  partizione  di  già  limita  il  tempo,  sarà  l'  abbreviazione  d' un  modo 
di  dire,  quale  potrebbe  essere  nunc  bora  e,  analogo  a  tunc  temporis. 
Passando  ai  veri  composti,  il  Diez  dovea  certo  riconoscere  un  genitivo  in 
terre-moto,  e  ne'  nomi  de'  giorni,  lune-dì  ecc.;  ma  trattando,  nella  sua 
'Gram.',  dei  nomi  composti,  ne  parla  in  modo  da  lasciar  supporre  che  egli 
intendesse  la  funzione  di  genitivo,  in  uno  dei  componenti,  come  una  pura 
combinazione  logica,  indipendente  da  una  causa  formale.  Agli  esempj  che 
il  Maestro  adduce,  aggiungo  per  ora:  otyello,  fr.  ori-peau,  da  a  uri  pellis, 
'piedi- stallo,  sala-nwja  da  sali[s]-mu  ria? ,  ant.  terri^  fine  e  terria-  (non 
si  creda  terrea)  nel  Simintendi  da  Prato,  terra-fine  nella  Crusca  e  nel- 
r'Orosio'  del  Giamboni,  in  terre  fini  in  e.  del  785  (v.  qui  n°  15);  capo-scala 
piè-scala,  e  fa-legname,  reso  nel  barbaro  latino  per  fa  ber  lignaminis 
(quindi  *fave-  *fae-  fa-),  e  non  inteso  per  colui  che  fa  (facit)  legname, 
che  sarebiiesi  detto  del  tagliaboschi.  Terra-pieno  contiene  un  ablativo  (cfr. 
§  V,  1,  in  n.),  il  quale  si  ha  pure  nella  dizione  «  minestra,  carne  ecc.  amara 
sale  » . 

^  Tra  i  luoghi  di  questo  nome,  dei  quali  si  conservano  i  più  antichi  do- 
cumenti, il  Rep.  cita  Sala  di  Garfagnana,  fortilizio  ridotto  a  villa,  che  fu  di 
Walpiando  vescovo  di  Lucca  (sec.  viii);  Sala  di  Lari,  casale  nella  vallecoia 
della  Cascina  (877);  Saletta  dietro  Fiesole,  già  Sala  (890,  984).  A  questi  egli 
congiunge  Saletto,  nome  comune  a  tre  luoghi  della  bassa  Toscana;  ma  qui 
è  cer' amente  il  lat.  salictum,  come  rilevasi  da  più  carte,  delle  quali  ci- 
terò una  dell' 854  (M.  L.  IV.  2.^  47),  che  ha  «  terra  que  dicitur  ad  Salicto  », 
e  più  sotto  «casa  et  capanna  cum...  terris,  vincis,  salectis  et  pratis  ».  Cfr. 
il  §  prec,  n."  14. 


406  Bianchi, 

pianura  pisana.  Verrebbe  da  Albi  o  Albii  aula,  e  non  da  Alberti  a, 
come  vuole  il  Rep.  Troveremo  nell'Appendice  Albus  e  Albinus,  come 
nomi  di  Longobardi  o  Franchi,  ma  non  sono  entrati  in  formazioni  di 
questa  specie  (cfr.  u°  3)  ^ 

[2.  Arcidosso,  terra  nel  Montamiata,  posta  sulla  cima  d'un  poggio 
spianato;  arcis  dorsum.] 

3.  Bignóla,  già  'Albignaula'  (an.  1079),  casale  in  Val  di  Pesa; 
Albini  aula^  Il  Rep.  cita  un'  altra  forma  in  'Albini aula',  sotto  l'art. 
'Montalbino',  castelletto,  ora  villa  in  Val  d'Elsa,  il  quale  a  ragione 
egli  connette  col  vicino  casale  or  nominato  di  'Bignola'  ^. 

4.  Casciàvola,  ^Casciaula,  quasi  Cassii  o  Cassiani  (!)  aula'  dice  il 
Rep.,  che  cita  una  carta  del  970  {Casciaula  in  e.  del  1173);  è  una 
borgata  nel  Pisano,  a  tre  miglia  da  Cascina,  e  i  due  nomi  hanno  ma- 
nifestamente una  base  comune. 

5.  Celiaula  'Coelii  aula',  casale  e  pieve  in  Val  di  Pesa.  Il  Rep. 
ci  presenta  le  forme  Coeliaula,  ortografìa  poco  probabile  nelle  antiche 
carte,  e  Celicciaula,  ed  ha  Celiziaola  in  carte  deir893  e  1003;  da  un 
dim.  Co  elici  US. 


*  Avrebbe  dovuto  essere  Albjavola;  ma  la  disparizione  dello  -ji.,  per  dis- 
similazione, doveva  essere  avvenuta  in  una  forma  concorrente  ed  oscillante 
Albnjola,  legittimamente  ammissibile  sugli  esempj  di  Ca-  e  Gabàjole,  con- 
trapposte agli  altri  di  condizione  diversa  nel  n."  7. 

^  11  Flechia,  che  è  stato  il  primo  in  Italia  ad  aprire  alla  scienza  questo 
nuovo  campo  di  studj  sui  nomi  locali,  ed  a  stabilirne  i  criterj  con  due 
classiche  memorie  ('Di  alcune  forme  dei  nomi  locc.  dell' It.  sup.',  Torino 
1871;  'Nomi  locc.  del  Napol.  ecc.',  ibid.  1874),  si  vale  di  nomi  geutilizj  in 
-ius,  per  es.  Albinius.  È  questa,  di  certo,  una  spiegazione  ragionalissima; 
poiché  è  più  facile  che  la  permanenza  d'uno  stipite  nel  possesso  d'un  fondo 
valesse  a  fissarvi  il  proprio  nome.  Tuttavia,  sopra  questo  fatto  possono  in- 
sorgere molte  questioni  storiche:  sul  come,  per  es.,  gl'indigeni  trattassero 
i  nomi  romani,  scegliendo  nella  scala  del  'praenomen  nomen  cognomen  a- 
gnomen',  od  i  proprj  nel  ridurgli  a  forma  latina;  se  anche  un  nome  di  sin- 
gola persona,  ripetuto  ad  intervalli  nel  medesimo  stipite,  ed  anche  senza 
questa  ripetizione,  potesse  bastare  fin  d'allora,  come  bastò  do[io;  se,  avutosi 
Albianus  da  Albius,  potesse  imitarne  la  forma  anche  il  'fundus  Albi'. 
Io,  indicando  in  questo  §  la  forma  della  base  più  comune,  non  ho  inteso 
minimamente  di  risolvere  tali  quistioni,  tanto  più  che  qui  sono  pochissimi 
i  nomi  che  vi  darebbero  luogo. 

®  Ma  egli  si  arrischia  troppo  a  trarne  l' origine  dalla  gente  Albinia,  po- 
tendo venire  da  un  Albino  qualunque.  La  prima  sillaba  disparve,  perchè 
confusa  con  la  prep.  articolata. 


Toponimia  toscana:  §  VI.  Genit.  in  costr.  classico.  407 

[6.  Curicalle,  popolo  nel  comune  di  Greve;  ben  si  spiega  con  Curii 
callis  'via  d,  Curio'  ^] 

7,  Gabbiavola  e  -li  (^lae),  già  Gahbiaula  e  Gàbajole  (che  sarà 
stato  -àjole),  villa  in  Val  di  Pesa;  Gahbiòla  ('Caviaula  o  'Gabii  aula', 
Rep.),  casale  nella  medesima  valle,  detto  Gabiaula  in  e.  del  1075.  Il 
Rep.  ha  ancora  l'art.  Cabajole,  Cabiaula,  oggi  Gabbiavola,  vico  nella 
vicina  Val  d'Elsa  ^. 

[8.  Gaviseì-ri,  Gabii  o  Gavii  *serrae,  chiuse  di  Gabio  o 
Gavio;  v.  §  V,  n.°  17.] 

9.  Gresciaula  -avola,  o  Griciavola,  fu  una  delle  45  ville  del  di- 
stretto di  Prato,  in  Val  di  Biseazio  (an.  1213).  C'è  anche  Gì^eeiola, 
villata  in  Val  di  Magra.  Il  primo  elemento  sarà  per  avventura  stato 
Crassi-  ^;  cfr.  Picchia,  Nomi.  loc.  del  Nap.,  1.  cit.  in  n. 

10.  Magliola,  casale  in  Val  di  Magra,  accennerebbe  Manlii  aula. 
Hanno  il  nome  di  Magliano,  talora  Mu.,  5  casali  nel  'Diz.'  del  Repetti. 

11.  Marciola,  casale  in  Val  di  Pesa,  sarebbe  Marci  aula  (cfr. 
Marciano,  che  è  frequente).  Il  Rep.  dà  come  forma  latina  'Marcillula', 
che  ha  l'aria  di  essere  artefatta,  quale  traduzione  di  un  presunto  di- 
minutivo. Questo  in  ogni  caso  non  sarebbe  stato  che  un  aggettivo,  poiché 
non  parrai  che  vi  siano  nomi  di  donne  nei  fondi  romani  della  Toscana  ^. 

12.  Marola,  paesetto  sul  golfo  della  Spezia  (1208),  potrebbe  essere 
Marii  aula.  Si  guardi  al  luogo,  poiché  nella  vera  Toscana,  secondo 
la  regola  ordinaria,  avrebbe  fatto  Majaula  e  Majola  (cfr.  Majano 
4  luoghi,  se  riviene,  come  credo,  a  Marius,  piuttosto  che  a  Majus). 


1  Vorrebbesi,  a  rigore,  l' esito  Cuji-  o  Cojicalle.  Ma  si  ammetterà  di  leg- 
gieri la  disparizione  dello  j  di  ji  in  protonica  di  un  composto,  e  quindi  la 
conservazione  dell'  r  che  gli  precedeva. 

*  Trattandosi  di  carte  posteriori  al  ix  secolo,  cioè  di  quando  era  cessato 
l'influsso  longobardico,  che  preferiva  la  tenue,  le  forme  col  e-  debbono  es- 
sere saccenterie  di  notari  o  di  copiatori,  che  credettero  di  latinare  il  nome 
volgare,  come  si  farebbe  mutando  gastigare  in  casti-  ;  poiché  tra  i  nomi  pro- 
prj  romani  non  trovo  né  Gabio  né  Cavie,  o  simili,  e  di  piii  contrasta 
l'uso  vivente;  cfr.  anche  gabbia  =  caivea. 

*  Gricciano,  all'incontro,  che  fu  luogo  del  Lucchese  (IV.  "2.^  append.  42, 
an.  834),  peggio  scritto  altrove  Gridano,  accennerebbe  pel  doppio  e  a  *Grac- 
chianum  od  a  *Graecianum;  cfr.  Flechia  'Nomi  locali  JNapol.'  31.  Per 
lo  scrupolo  che  m'inspira  gragnuola  da  grandine,  tralascio  a  questa  iniziale: 
Gragnola,  casi,  in  V.  di  Magra,  che  ben  legherebbe  col  seguente,  per  la 
forma  dialettale,   e   con  tanti  Gragnano  ecc.  (ivi  ed  altrove)  da  Granius. 

*  Questa  è  in  ogni  modo  una  questione  da  riserbarsi.  Del  resto,  vedi  un 
-alula,  accolto  per  abbaglio  dal  Rep.,  al  n."  12.''. 


408  Bianchi, 

[13.  Montisonda,  cas.  presso  S.  Gaudenzio,   mentis   unda;  cfr. 
nella  medesima  valle  Onda  e  Londa,  e  v.  il  §  I.] 

14.  Nebiola,  anticamente  Nebiaula,  cas.  in  Val  di  Pesa,  sarebbe 
Naevii  aula;  cfr.  Nebbiano  e  Nibbiano,  più  luoghi. 

[15.  Ten^afìno,  luogo  nel  Vald.  inf.  in  com.  d'Empoli;  cfr.  ivi  anche 
Limite  ^] 

Sopra  queste  forme  di  nomi,  inchiudenti  il  riflesso  di  aula,  devesi 
osservare,  prima  di  tutto,  che  s'incontrano  in  una  regione  relativamente 
ristretta  e  continuata  ;  che  al  confine  del  dialetto  ligure  col  toscano, 
onde  sono  tre  esempj,  si  ha  -ola  (cfr.  Arch.  II  119);  che  nel  Pisano, 
onde  ne  abbiamo  due,  e  via  su  su  nella  Val  d'Elsa,  che  ne  dà  altri 
due,  trovasi  -avola,  scritto  -aula  nelle  antiche  carte;  che  nella  Val  di 
Pesa,  cui  appartengono  sei  esempj  compreso  uno  doppio,  e  dove  sempre 
più  entriamo  nel  dial.  fior.,  abbiamo  prima  -aula,  con  un  solo  -avola, 
e  quindi  il  più  moderno  -ola;  ma  che  più  oltre,  penetrando  nel  cuore 
del  dial.  fior.,  non  trovo,  per  quanto  posso  scorgere  nei  materiali  rac- 
colti, nò  l'una  né  l'altra  delle  forme  più  antiche,  tranne,  in  quel  di 
Prato,  il  perduto  Griciavola  (n.°  9),  che  sarà  o  sarà  stato  di  parlata 
montana  ^.  La  storica  inverosimiglianza  del  fatto  che  questo  aula, 
una  volta  ammesso  in  tale  applicazione,  non  siasi  esteso  a  più  ampio 
paese,  dà  ragione  di  supporre  che  altri  dialetti  toscani,  per  caratteri 
loro  proprj ,  più  o  meno  antichi,  abbian  nascosto  aula  sotto  forma 
diversa  o  alterata.  Una  riduzione,  da  potersi  considerare  ben  legittima, 
sarà  -ola  (cfr.  num.  3);  e  una  facile  alterazione  quella  in  -olla  [-olle]', 
con  sapor  diminutivo.  Ecco  intanto  cinque  esempj,  tra'  quali  i  più  pro- 
babili sono  i  primi  due: 

16.  Marignglle,  contrada  e  collina  due  miglia  a  libeccio  da  Fi- 
renze, con  due  parrocchie  (S.  Maria  e  S.  Quirico  a...).  Il  Rep.,  nell' 'Ap- 
pendice' al  'Diz.',  osserva  opportunamente,  quanto  alla  origine  e  vero 
nome,  che  in  una  carta  fior,  del  1040  si  legge  in  loco  Marignaule.  E 
chiaro  che  la  base  n'è  il  nome  pers.  Marinus  o  si  voglia  -inius*. 


1  Nota  il  Rep.  che  i  luoghi  detti  ad  fines,  e  ad  terrae  fines,  formavano  il 
confine  di  un  municipio,  d'una  colonia,  diocesi  o  provincia;  ma  potremmo 
vedere  da  qualche  esempio,  di  che  nella  n.  a  p.  405,  che  terre-fine  indicasse 
anche  il   confine   tra  proprietà  private. 

*  Sulla  schiena  dell'Appennino,  anche  in  provincia  di  Firenze,  non  vi  è 
avversione  al  v  tra  vocali;  cfr.  in  fine  di  questo  §. 

^  Un  prete  di  quelle  vicinanze  traeva  quel  nome  da  S.  Maria  in  dei s 
(tra  gli  olivi),  ma  è  locuzione  sapposta  e  costrutto  improprio  (cfr.  Pian-tra- 
vigne  e  Tra-colle'),  che  in  ogni  modo  avrebbe  prodotto. iUarmoZ/t  o  -oglie. 


Toponimia  toscana  :  §  VI.  Nomi  in  -olla.  40^ 

17.  GaJQle,  già  'Cajolum'  (?)  secondo  il  Rep.,  borgo  nel  Chianti; 
CagioUe,  cas.  nel  Vald.  inf.  Possono  entrambi  risalire  a  Caji  e  Gaji 
aulae  (cfr.  Cajano,  4  luoghi).  Potrebbero  unirvisi  Cagiole  e  Caggiole, 
cas.  in  Val  di  Chiana,  non  mai  Cagiolo  o  Caggiolo^  altro  id.  ibid.,  che 
deve  essere  -uolo.  Questo  va  certo  con  Cagio  (male  scritto  per  Gaggio), 
al  quale  art.  il  Rep.  dice  che  con  tal  vocabolo,  'approssimativo  a  quello 
di  Cafaggio',  e  con  Gagio  e  Gagiolo  ('Cagium',  'Cajolum')  id.  \  prima 
del  mille,  denominavasi  un  parco  o  recinto  ricoperto  di  foreste;  e  tra' 
più  antichi,  cita  documenti  del  730  e  754  ^.  Il  variare  della  sorda  con 
la  sonora  è  frequente  nelle  voci  longobardiche;  ma  un  nome  di  tal 
provenienza  non  si  sarebbe  mai  aggiunto  aula,  e  verosimilmente  nem- 
meno -ullus. 


^  Mentre  il  nome  romano  potea  figliare  Gajòle  e  Caggióle,  poi  Cagi-  (cfr. 
majo  ed  am-majare  con  tnaggio  da  majus),  il  longob.  gahagio  non  po- 
teva scendere  che  a  caggio  ed  altre  forme  con  gg  (v.  la  n.  seg.);  poiché 
rema  =  *re/ ma  =  regina,  guaina  ecc.  sono  di  evoluzione  più  antica,  e  fu 
anche  troppo  se  la  gutturale  teutonica  si  volse  in  palatina  (v.  Append.). 

*  Questa  voce,  in  tutte  le  sue  forme,  è  tanto  in  uso  nelle  carte,  ed  ha 
un'applicazione  così  diffusa  ai  luoghi,  che  non  conviene  abbandonarla  senza 
qualche  illustrazione.  Il  Rep.,  all'art.  'Gaggio,  Gajo,  Cajo,  Caggiolo,  Gag- 
gìolo,  Gajole',  nota,  con  variata  spiegazione,  che  furono  applicati  a  luoghi 
che  sono  o  sono  stati  foreste  con  naturali  pasture,  e  cita  una  carta  vero- 
nese dell'  Imp.  Arrigo  II  del  1014,  la  quale  avrebbe  «  tara  in  Gajo  quam  in 
caeteris  pascuis  »  ;  cfr.  Due.  s.  'gajum'.  Queste  chiuse  ai  boschi,  quando  ve 
n'erano  troppi,  sou  poco  verosimili:  ma  sotto  'Cafaggio'  e  'Cafaggiolo'  (cioè 
-uolo)  egli  dice,  in  mcdo  più  generico,  che  così  appellavasi  dai  Longobardi 
«una  più  0  meno  estesa  possessione  territoriale  vestita  d'alberi,  e  recinta 
da  siepi,  da  fossi  o  da  altri  ripari  ».  Or  guardiamo  un  po'  le  carte  lucchesi 
quanto  al  senso  e  quanto  alla  varia  forma  della  voce:  «  parte  mea  de  campo 
in  monte...  et  p.  mea  de  cahagio  sub  monte,  cum  vinea  quantum  in  eodera 
loco  mihi  ecc.  »  V.  2*  25  (747  ),  «  p.  m.  de  casa  et  cagio  et  vineas  »  ib.  43  (761), 
cafagio  e  gavagio  IV.  409  (768),  cahagio  V.  2^  83  (772),  cafagio  ib.  8S,  138  (773- 
78),  «  res  mea...  ad  Gahagio...  tam  terris  quam  et  vineis...  eulta  res  vel  incuUa  » 
ib.  153  (797),  «  terra  mea  advembrata  (=adm.,  qui  ed  altrove,  e  vale  'che  fa  corpo 
con...',  'compresa  in...',  poi  'confinante')  in  eaagio  S.  Donati  »  ib.  17i)  (803), 
«petia  de  terra  quod  est  gahagio  (così  scritto  5  volte)...  una  cum  omnibus 
arboribus  fructiferis  et  infr.,  una  cum  fossa  et  casa  (leggi  cesa  [=caesaj, 
come  in  altre,  che  deve  essere  stato  il  rinterro,  ossia  1'  arginello  fatto  con 
lo  sterro  della  fossa)  sua»  IV.  168  (790).  Due  secoli  dopo  si  scrisse,  ma 
non  si  pronunziò,  almeno  in  Toscana  (sic.  gaja  'siepe'),  cafajo  (V.  S.*'  612, 
an.  999),  e  più  tardi  cafadio,  ortografia  di  pura  presunzione  (cfr.  §  X,  n.»  86 


410  B  lancili, 

18.  Pagnolle,  nel  Vald.  sopra  Firenze,  cas.  con  cliicsa  parrocchiale 
(S.  Miniato),  detta  anticamente  in  Alpinìano  (1103-34).  Ma  un  Alpinus 
mal  converrebbe,  stante  Va  di  Pagnolle  (cfr.  Bignola,  num.  3);  e  con- 
gettura più  plausibile  sarebbe  Appiani  o  -anae  aula  e.  C'è  anche 
Pagnana,  Pagnano  e  Pignano,  col  quale  cfr.  il  detto  Alp.  e  Oppiasi 

19.  20.  Serpiolle,  cas.  presso  Firenze,  situato  in  collina,  lungo  il 
torrente  Terzolle.  Questo  passa  sotto  il  Ponte  a  Rifredi,  circa  tre  mi- 
glia romane  da  Firenze  antica.  Rigetto,  quanto  al  primo,  serpula  e 


li).  Di  qui  cafajario  ibid.  3S2  (97o),  dove  equivale  a  massario  in  senso  più 
ristretto,  ma  poi  valse  'campajo\  'guardiano'  (v.  la  Crusca).  Il  cafaggio  in 
altre  carte  è  detto  latinamente  clausura  :  «  ci...  ubi  casa...  vinca...  arboribus 
qui  de  omne  parte  cum  sepe  circundata  est  »  V.  2.^  23  (746),  e  cfr.  ivi  23 
infine;  a  clausura  de  viuea»  47  (762),  «Et  est  enim  ipsa  clausura  ubi  ipsi 
casa  et  ortalia  vel  vinca  posite  sunt  »  117  (78S),  e  cfr.  p,  153  in  f.  (798); 
«ipsam  clausuram»  due  volte  in  relazione  a  «vinca»  nel  IV.  180  (798), 
ma  in  una  mal  si  distingue  se  siavi  incbiuso,  o  semplicemente  annesso,  un 
■querceto  ed  un  oliveto.  Adunque  si  tratla  sempre,  o  quasi  sempre,  di  ter- 
reni colti,  mentre  gl'incolti  chiusi  saranno  stati  per  lo  più  prati  o  maggesi. 
—  Quanto  alla  origine,  ne  parlai  col  compianto  prof.  Caix,  poco  prima  che 
partisse  di  Firenze  per  non  più  tornarvi;  ed  egli  mi  diede  ragione  di  te- 
nerla per  teutonica,  facendo  tutt'  uno  di  gaggio  (è  però  da  rivedere  il  già 
cit.  art.  gajum  Due.)  e  cafaggio.  Ammise  per  l'ultimo  la  mutazione  di  7i  in 
/;  traendo  l'uno  e  l'altro  da  un  longob.  gahagi,  med.  alto  ted.  hege,  mod. 
hecke  e  gehege  'siepe',  'chiudenda'.  Io  ne  andai  d'accordo,  né  ora  mi  sgo- 
menta la  forma  gavagio;  perchè  questa,  che  avrebbe  dovuto  sostenersi  a 
lungo  di  fronte  a  gaha-  e  gaa-  che  duravano,  è  troppo  isolata,  dovechè  le 
altre  sono  troppo  frequenti  nelle  carte,  e  son  poi  radicalissime  nei  nomi  di 
luogo;  e  perchè,  se  non  è  facile  che  il  longob.,  benché  tendesse  alla  tenue, 
volgesse  in  f  nn  v  secondario,  non  ne  trovo  altri  esempj  nelle  antiche  carte 
toscane  (sotto  i  Franchi  una  sola  volta  scafino,  raro  scav.,  ma  popolare  sca- 
bino),  e  nemmeno  nel  toscano  anche  moderno,  che  sia  veramente  comune. 
^  I  nomi  comincianti  per  a,  primaria  o  secondaria,  seguita  da  consonante 
<loppia,  in  modo  clie  siavi  l'apparenza  della  prep.  ad,  articolata  o  no,  hanno 
sofferto  in  Toscana  l'aferesi  della  prima  sillaba,  quando  non  siano  troppo 
noti  (cfr.  il  n.o  3);  poiché  per  es.  *Appignano  (*Oppinianum)  si  senti- 
rebbe come  ad-Pi-,  Arezzo,  che  non  è  una  biccicucca,  è  stata  salvata  in  due 
maniere;  da'  suoi  abitanti,  col  mantenere  la  vera  lezione  originaria  Arrezzo 
(v.  'Arretium'  nel  Forcell.),  perchè  presso  loro  si  son  perduti  gli  effetti  del 
-d  di  ad  sulle  voci  seguenti,  e  Arezzo  varrebbe  a  Rezzo;  e  dagli  altri  to- 
scani, al  contrario,  con  lo  scempiare -rr-,  perchè  sentono  Arrezzo  =  ad  *Re- 
tium;  ma  nella  parte  Nord-Est  della  Toscana  torna  -rr-  in  arretÌ7to,  perchè 
non  vi  può  nascer  confusione  con  ad.  È   questa  la  ragione  per  cui  prefe- 


Toponimia  toscana:  §  VI.  Nomi  in  -olla.  411 

serpe,  sìrpea  'cestone'  ^  Serpula  Serpius  mi  sono  ignoti,  ma  non 
impossibili,  come  personali  ^ —  TerzQlle,  che  sarebbe  Tertii  aulae, 
può  contenere  il  nome  del  possessore,  ma  varrà  piuttosto  'ville  del 
terzo  (miglio)'. 

È  osservabile  che  quattro  nomi  in  -olle  son  nella  vallata  di  Firenze. 
In  altri  nomi,  che  danno  -olla,  cioè  il  tipo  di  singolare,  è  dubbio  il 
valore  e  l'origine  della  prima  parte  o  della  seconda,  senza  dire  che 
manca  più  volte  la  sicura  notizia  circa  la  pronuncia  dell' o.  Si  notino: 

21.  Mazzolla,  castelletto  in  Val  di  Cecina  (1080).  In  Toscana  non 
trovo  nomi  di  luogo  che  abbiano  a  base  un  Mattus,  un  Maccus  o 
M  acci  US,  onde  possa  supporsi  Maccii  aula  o  simile;  e  più  si  ha  la 
<lifficoltà  dell' a  u  in  o  in  una  regione  dove  si  stende  il  dialetto  che,  in 
simili  casi,  ha  dato  -avola.  In  Val  di  Magra  è  Mazzola  e  Mazzi  nella 
Val  di  Savio  (Romagna).  Tali  nomi  possono  essere  stati  tratti,  ad  in- 
dicare il  luogo,  da  una  qualità  di  terra  compatta,  ed  essere  quindi  della 
famiglia  di  matto  ('sasso  m-'),  mattone  ecc.  (v.  la  mia  'Prep.  A',  p.  197), 

22.  Perolla,  castellare  in  Val  di  Bruna  (Marem.).  A  orecchio  giudico 
sia  -glia;  e  se  non  ha  base  antilatina,  altro  non  saprei  vedervi  che 
un  dimin.  di  pera,  poiché  il  f  di  petra  rimane  intatto  nel  toscano. 

23.  Piastorla,  casale  in  Val  di  Magra;  qui  registrato,  nella  pre- 
sunzione che  sia  ^Piastrolla,  dimin.  di  piastra.  Si  noti  che  più  luoghi 
hanno  preso  nome  da  lastra  (base  comune  *p lastra). 

24.  Roncolla,  borgata  in  Val  d'Era  (Pisa).  Parrebbe  dimin.  da 
runca,  ma  questo  non  potrebbe  servire  a  designazione  di  luogo,  né 
potrebbe  aver  dato  Rgnco,  che  non  deve  andarne  disgiunto,  ed  è  no- 
mignolo molto  diffuso,  specialmente  nell'alta  valle  del  Tevere.  Voce 
importante  questo  ronco,  e  veramente  'italica',  la  qual  si  riproduce  nel 
mi),  rgnc  (berg.  rii,c),  friul.  ronc,  e  donde  provengono  gì'  it.  roncliione 
e  ronchioso  ^. 


risco  tal  forma,  con  meraviglia  di  qualche  lettore.  Ma  è  vero  che  dalla  con- 
fluenza della  Sieve  alla  foce  dell'Arno,  per  la  lontananza  ed  il  più  raro 
uso,  la  -r-  scempia  passò  da  Arezzo  ad  aretino,  che  per  conseguenza  entrò 
nell'uso  dei  classici  scrittori,  presso  i  quali  è  l'effetto  d'un  accidente  geo- 
grafico, e  non  d'un  giudizio  proprio,  nò  della  nativa  indole  del  loro  dialetto. 
^  Tali  nomi,  in  quanto  non  diventati  personali,  prenderebbero  il  suffisso 
^ajo  od  -eto;  cfr.  i  nll.    le   Giuncaje  e  Giuncheto. 

*  C'è   forse  base  etrusca,  come  senza  dubbio  occorre  in  Serpénna,  nome 
di  due  castellari,  uno  in  V.  d'Albegna  e  l'altro  in  V.  di  Merse  (cfr.  §  XIV  n). 

*  Si  confronti,  col  bell'articolo  del  Cherubini  s.  v.  e  con  la  dichiarazione 
del  PiRONA  s.  V.,  la  esposizione  seguente,  che  io  raccoglieva  testé  da  un  ta- 


412  Bianchi, 

25.  Si  ha  finalmente  Piana  dì  Battola,  contrada  in  Val  di  Magra, 
che  ricompare  sotto  la  forma  di  Batolla  nell'  'Append.'  del  Rep.  ;  e 
BettQlle,  fattoria  in  Val  di  Chiara  ('Casale  Betula'  in  e.  del  1040),  che 
verrebbe  secondo  il  Rep.  da  betulae,  che  egli  traduce  erroneamente 
per  'ontani' ^  Questi  nomi  (da  -onula)  staranno  molto  meglio  eoa 
Vettona,  oggi  Battóna  nell'Umbria. 

Il  Repetti  voleva  1'  -aula  anche  per  qualche  nome  in  -alla,  trattovi 
dagli  esempj  di  -avola.  Ma  era  ipotesi  illegittima  ed  infelice.  Di  nomi 
in  -alla  ne  ho  raccolti  28;  ed  il  complesso  delle  loro  analogie  mostra 
che  il  loro  suffisso  è  una  riduzione  di  '^-anla  «  -a nula  (cfr.  culla  lulla, 
cunula  lunula),  e  perciò  essi  dipendono  dai  moltissimi  in  -ano  ed 
-ana,  che  richiederebbero  una  speciale  trattazione.  Foneticamente,  può 
sorgere,  all'opposto,  il  quesito,  se  -aula  non  siasi  svolto  da  -alla,  di  che 
ritocchiamo  qui  appresso  ;  ma  fra  tanto  non  dispaccia  la  lista  dei  nomi 
in  -alla'. 

l.""  Bacialla,  contrada  in  Val  di  Chiana;  cfr.  i  molti  Baciano  e 
fasciano  ■=  Bassiano  da  Bassus. 

[2?  Barbianula,  villa  di  cui  si  fa  menzione  in  e.  lue.  V.  3.^  453 
(983);  da  Bar  bus,  nome  personale.] 


gliaboschi  d' Anghiari.  Dove  questo  valent'  uomo  sta,  i  luoghi  che  portano 
il  nome  di  Ronco,  hanno  terreni  con  massi  sporgenti  da  terra,  che  se  chia- 
mano ronchi,  per  asempio  c'è  un  piano  che  ha  un  gran  masso  ^ntu  'Z  m,ezzo 
che  ce  voi  le  scale  a  salivve,  e  se  dice  'Z  campo  del  ronco.  Sono  poi  ricorso, 
per  questa  voce,  anche  agl'immensi  spogli  che  possiede  la  Crusca;  e  va- 
lendomi della  cortesia  del  ca\^  Giov.  Tortoli  e  del  prof.  Isid.  Del  Lungo, 
che  sono  dei  dotti  compilatori,  seppi  che  nelle  schede  hanno  la  quasi  identica 
voce  Tonchio  nel  senso  di  'scoglio',  con  qualche  esempio,  ed  a  sua  volta 
verrà  essa  fuora  nel  gran  Vocabolario.  Questa  testimonianza  basta  per  tutte. 
Nel  Casentino  pare  che  manchi  il  significato  di  'masso  che  s'alza  in  fuora'r 
ma  vi  è  ronco  nel  senso  abbastanza  importante  di  'terreno  che  si  riempie 
di  sterpi,  si  ricolta  e  sì  sementa  ogni  tre  o  quattro  anni'.  Differisce  dalla 
cetiìvx  in  quanto  non  ha  ceduo;  è  appunto,  per  il  senso,  il  veteretum 
di  Columella  e  la  terra  rudis  di  Varrone,  e  per  questo  e  per  la  sostanza, 
il  runcalis  runca  runcora  ecc.  del  Du-Cange;  e  non  può  farsene,  per  l'an- 
tichità (vili  sec.)  e  per  altre  ragioni,  un  partic.  accorciato  del  lai  runcare 
(cfr.  Arch.  II  4ol) 

^  Il  doppio  t  non  si  concilia  col  celtico  latinato  betulla  o  betula,  la 
qual' ultima  forma  è  regolarmente  rappresentata  da  béola  dell'alta  Italia,  che 
a  sua  volta  ci  attesta  la  brevità  della  penultima  vocale.  L'ital.  betulla,  che 
non  vi  risponde  a  regola,  è  letterario;  difatti  tal  voce,  ai  contadini  e  bosca- 


Toponimia  toscana:   §  VI.  Nomi  in  -alla.  413 

3.^  Bibialla;  si  legge  in  e.  lue.  del  1073  come  secondo  nome  di 
*Musignano'  (Rep.  'Append.'  art.  'Musigliano').  La  e.  citata  è  in  IV. 
2.*  150;  ma  quel  luogo,  od  altro  che  sia,  chiamavasi  prima  Bibbia- 
nula  (V.  2.^  276,  an.  824).  Dee  venire  da  Baebius  o  da  Vibius;- 
cfr.  Bibhiano. 

A}"  Bugialla^  borgata  in  Val  di  Pesa, 

5.''  Capalle,  borgata  in  Val  di  Bisenzio;  dal  n.  e,  capanne;  cfr. 
Capannoli,  §  V. 

6.^  Cargalla,  cas.  in  Val  di  Magra. 

7.''  Cecialla,  podere  nel  Chianti  basso;  Seccialla,  id,  tra  l'Incisa 
e  Figline.  Può  essere  stata  loro  comune  la  forma  Ceccialla,  che  ben 
risale  a  Caecius  o  Caecus,  con  cui  stanno  Caecianus  e  Caeci- 
11  US.  Un  loco  Ciciano  è  in  V.  2^  423  (an.  853);  cfr.  'Cicciano',  'Ciciana' 
e  'Cicigliano'  nel  Rep.  * 

8.^  Farmalla,  nome  di  un  torrente  tributario  della  Parma,  che 
a  sua  volta  influisce  nella  Merse  (Siena);  è  dunque  Farma  volto  in  di- 
minutivo per  analogia  coi  nomi  in  -alla. 

9."^  Fibhialla,  casale  nella  Pescia  di  Collodi,  e  villaggio  in  Val  di 
Serchio.  All'art.  'Fibbiana',  paesetto  nel  Vald.  inf.,  il  Rep.  riporta 
anche  la  variante  Fabiana,  e  cita  una  e.  del  780.  Si  legge  loco  Fla- 
bianulo  in  IV.  183  (799),  ma  Flabbiannla  in  V.  3.^  451  (983) '^ 

IO.''  Fontalla,  podere  in  Val  di  Greve,  rammentato  dal  Rep.  sotto 
l'art.  'Percussina',  Un  terreno  in  Fontanula  è  indicato  in  carte  fie- 
solane  del  1028-32^;  dal  comune  fontana. 


juoli  toscani  da  me  interrogati,  non  è  nota  né  in  questa  né  in  altra  forma 
(cfr.  di  marna  al  §  IV  in  n.). 

^  Con  Seccialla,  dove  s~  dovrebbe  essere  per  dissimilazione,  va  anche  Sec- 
ciano.  Diverso  da  questo  un  -Sesano  =  S  extianus,  che  ci  risulta  da  curiose 
oscillazioni  grafiche  nelle  carte  della  causa  tra  i  vescovi  d' Arezzo  e  di  Siena 
(anni  7J4  15,  Brdn.  pp.  426  segg.):  «baptisterium  S.  Matris  Eccl.  in  Sesciano» 
(426),  «  Basilica  S.  Simpliciani  in  Sextano  »  (432),  «  Bap.  S.  Ipoliti  Ressiano  » 
(ih.),  «Bap.  S.Restitute  in  fundo  Resciano»  (435),  «  Bapt.  S.  Restitute  in  Fundo 
Uxiano  »  (445),  «  Bapt.  S.  Ipoliti  in  Sexiano  »  e  «  Bapt.  S.  Best,  in  Fundo 
Sesciano  »  (448-9).  Ci  veugon  da  copie  posteriori  al  mille  ;  la  vera  lezione  è 
quella  con  s-,  simile  a  R  nelle  antiche  carte,  e  peggio  letto  vi  è  1'  U-  per 
Se-;  laonde  male  il  Rep.  crea  un  'Resciano'  in  V.  d'Orcia. 

2  Pili  luoghi  diconsi  Fabbiana  e  -ano,  da  Fabius  o  da  Flavius  (a  cui 
di  preferenza  accennano  le  carte),  dal  quale  o  dai  quali  anche  Fibb.,  o  per 
r  -j-  di  Fiab.,  0  per  etim.  popolare  da  fibbia. 

8  Bargilli,  'La  Cattedrale  di  Fiesole',  Firenze  1883,  pp.  184,  189. 


414  Bianciii, 

11.'^  Gavignalla,  cas.  ia  Val  d'Elsa,  'quasi  Gavini  aula'  dice  il  Rep.; 
cfr.  'Gavignano',  altro  casale  nella  medesima  valle.  Gavius  e  Ga- 
b  ini  US  hanno  dato  nome  a  molti  luoghi  (cfr.  in  n."  7). 

[12.''  Il  Rep.  sotto  l'art.  'Moriano'  fa  cenno  di  Geminialula  (sic), 
luogo  presso  il  Serchio,  di  cui  si  farebbe  menzione  in  e.  lue.  del  975; 
ma  questa  (V.  3.*  353)  ha  Gominianula  e  Gum.  C'è  bene  Geminia- 
nula,  ma  in  un  inventario,  creduto  del  sec.  Vili  o  ix  (ibid.  630)'. 
Quanto  a  Gom-,  cfr.  Cornano  che  più  in  là  incontreremo,  la  gens 
Cominia,  e  Cominianum  nel  Sannio.] 

13.'*  Guarnialla,  cas.  perduto  nel  piviere  di  Pitiana  in  Vald.  sup,  * 

14.''  Marciana,  'quasi  Marci  aula'  (Rep.),  villata  in  Val  d'Elsa 
(1317),  e  cas.  perduto  nel  Vald.  arretino.  Marcianula,  vico  in  Val 
di  Serchio,  è  nell'indice  delle  'Mem.  Lue'  V.  3.^,  e  lo  ritrovo  in  IV. 
175  (an.  792).  Molti  luoghi  diconsi  Marciana  e  Marciano,  cfr.  Mar- 
ciala qui  sopra. 

15.''  Meszalla,  cas.  in  Val  di  Sieve  ;  viene  forse  da  un  nome  co- 
mune, quantunque  in  Valdarno  si  abbia  S.  Mezzano  (villa  Panciatichi) 
a  dispetto  del  Martirologio.  Il  Rep.  fa  Mezzana  sinonimo  di  Mezzùle, 
isola  di  fiume;  ma  più  luoghi  di  quel  nome  son  posti  in  poggio,  e  il 
significato  dev'esser  dunque  più  generale,  cioè  'via,  villa,  praedia,  arva 
mediana'.  C'è  difatti  via  Mezana,  così  ripetuto  cinque  volte  in  e. 
lue.  del  mille  circa  (V.  3.^  619)  3. 

16.''  Montalla,  cas.  in  Val  di  Chiana,  sulla  estrema  falda  del  monte 
di  Cortona.  Si  confronti  Montana  e  -ano,  più  luoghi  *. 

[17.''  Paccianula,  villa  perduta  nel  Vald.  pis.  (an.  970),  va  con 


^  Cosi  crede  il  Barsocchini,  ma  la  lingua,  e  specialmente  la  forma  de'  nomi 
personali,  non  me  lo  fanno  anteriore  al  X  sec,  onde  non  si  può,  in  ogni 
modo,  di  molto  allontanare. 

2  In  Vald.  molti  contadini  si  chiamano  il  Garnialla  {-alli  negli  atti  scritti) 
corrottamente  Garniarla  e  Gar/narla,  cognome  che,  senza  dubbio,  vien  dal 
luogo  d'origine. 

^  Tuttavia  dee  farsi  conto  del  nome  pers.  rom.  Mettus  o  Mettius,  il 
cui  derivato  può  essersi,  nella  pronunzia,  confuso  con  quegli  di  medio.  Un 
luogo  Metiano  s'incontra  più  volte  nelle  carte  lucchesi;  per  es.  in  V.  2.* 
178  (an.  802),  ib.  423  (853)  e  V.  3.^  348  (975).  Mezzano  e  Dim-  in  com. 
di  Greve,  ha  ^  sorda.  S.  Mezzano  è  Mezzana  nel  catasto.  Sui  nomi  di  Ro- 
mani, fatti  0  adattati  a  santi,  cfr.  San~Prugnano  e  Sprugnano  da  Sempron- 
e  Apron-,  e  v.  il  Rep.  all'art.  S.  Marcello. 

*  Del  primo  è  un  derivato  Montallese,  da  alcuni  supposto  'Mons  Alcxii', 
poggio  di  cui  porta  il  nomignolo  una   chiesa  di  pianura  in  quel  di  Chiusi. 


Toponimia  toscana;  §  VI.  Nomi  in  -alla.  415 

Paeciana,  villa  nel  Pist.  Pacianus  è  nel  *Martir,'  e  presuppone  Pa- 
cius;  ma  cfr.  anche  Paccius  in  Flecliìa,  1.  e.  40.] 

18,^  Panzalla,  contrada  in  Val  d'Ema  (Fir.),  può  essere  forma 
varia  di  Ponzalla,  cas.  in  Val  di  Sieve;  cfr.  Pontius,  e  i  nll.  Pon- 
zano, Panzano  ecc. 

[19.''  Pappiana  e  Pappianula,  paese  in  Val  di  Serchio,  è  nel  cif. 
indice^ della  Mem.  Lue;  Pappianola  ivi  IV.  36  (760).  La  base  è  P  a- 
pius;  cfr.  Papiano,  tre  luoghi.] 

20.^  Piomballa,  luogo  citato  dal  Rep.  sotto  l'art.  'Piteccio'  nel 
Pistojese.  Deve  aver  base  in  un  *p  1  u  m  b-a  n  o-. 

[2L''  Raòbianula,  nome  di  villa  che  si  legge  in  M.  L.  V.  3.* 
479  (984);  cfr.  Ravius  in  Picchia  ib.  45,  ma  c'è  anche  Rabius  (Cic.).] 

22,^  Rignalla,  villaggio  sopra  Firenze,  va  con  Rignano  e  -a,  che 
ben  si  spiegano  con  H  e  r  e  n  n  i  u  s. 

23.''  Ruballa,  cas.  in  Val  d'Elsa,  e  contrada  nel  piviere  dell' Antella 
nel  Vald.  sopra  Firenze.  Quest'  ultima  è  vicina  alla  valle  e  pieve  di 
Rubbiana.  Il  Flechia  ha  Rubius  ib.  45,  certo  da  *Rubus. 

[24.''  Urbanula,  paese  in  Val  di  Serchio,  è  nel  citato  indice,  e 
s'incontra  in  V.  3.^  447  (983).] 

25.''  Vajalla  *  d'Anghiari  ',  cas.  in  Val  Tiberina,  sta  con  Vajana 
e  -ano,  nomi  di  alcuni  luoghi;  da  Varianum,  e  questo  da  Varus. 

26.''  Valialla,  altro  cas.  in  Val  Tiberina,  si  congiunge  con  Va- 
liana  -ano,   Vagliano,  e  con  altri  che  ben  risalgono  a  Vellejanum. 

27.''  e  28.''  C'è  finalmente  Monte-Fioralli  e  Monte-Ficalli,  che  esa- 
mineremo nel  §  seguente.^ 

L'ipotesi  già  da  noi  scartata,  che  -alla  sia  un'alterazione  di  aula, 
parrebbe  potersi  giovare  del  fatto  che  i  nomi  da  noi  addotti  son  tutti 


^  Allargandosi  fuora  di  Toscana,  certamente  questo  ed  altri  §§  si  allun- 
gherebbero. Da  una  lista,  può  dirsi,  completa  di  nll.  di  Città  di  Castello, 
rilevo:  Terenzaula  in  e.  del  11S3  (Terentius),  Forgnaula  e  Forognone 
(*Feronius?)  negli  Statuti  (sec.  xiv  e  xv),  ^Terzalla  o  Terzauld  ib.  (v.  n.»  20), 
Canaule  (canae  aulae  'ville  bianche'?);  HIarignolle  o  MargnoUe^  e  -guano 
Stat.  (v.  n.»  16),  Ranzola  (Runtius  del  Flechia?)  più  d'una,  Yignolla  (Stai) 
e  -olle  (cfr.  Vinnius);  Pagialle,  "Rubbiello  o  Rubialla^  con  Rubiano  Stat. 
(v.  23.''),  Ruffianula  e  Ruffialla  ibid.  (Rufius);  Cortolla  ib.  sarà  dim.  di 
curtis.  Alcuni  di  questi  esemplari  sono  abbastanza  conclusivi,  ma  altri 
hanno  bisogno  di  riscontri;  talora  non  so  che  dica  con  quel!'  'o'  il  racco- 
glitore. Vedremo  poi,  a  suo  tempo,  che  quel  dialetto  è  turbato  da  elementi 
dirersi  e  da  corrcuti  opposte. 


41G  Bianchi, 

feniiiiili,  e  che  in  -allo  quasi  non  se  ne  trovai  dovechè  in  -ano  son 
molto  più  numerosi  che  in  -ana.  Ma  ciò  da  una  parie  può  spiegarsi 
con  la  relazione  a  'villa'  (ad  -ano  rispondendo  comunemente  'fun- 
dus'),  che  non  di  rado  precede  nelle  carte,  e  dall'altra  deve  molto 
più  attribuirsi  ad  una  tendenza  dialettale,  poiché  all'orecchio  del  po- 
polo riesce  più  gradito  -alla,  per  la  corrispondenza  vezzeggiativa  delle 
due  vocali  ^  che  non  -allo,  in  luogo  del  quale  si  preferì  -anello,  come 
in  Cisanello  Ascianello,  e  nei  comuni  ìnontanello  ìnanganello  ecc.  A 
stabilire  -anula,  qual  forma  originaria,  sta  la  pruova  storica  di  11 
antichi  esempj  di  questo  suffisso,  corrispondenti  appuntino  al  più  mo- 
derno -alla  (il  più  antico  -alla  è  in  Bibialla,  del  1073),  ed  il  trovar- 
sene alcuni  in  Val  d'Elsa  e  di  Pesa,  che  ci  hanno  dato  -avola  da  aula. 
Resta  invece  l'accennata  questione  inversa,  se  cioè  nel  basso  toscano, 
che  ci  ha  dato  -eulo  -evolo  da  -elio,  siasi  -aula  svolto  da  -alla '= -'^ aula  ^ 
-anula.  A  questa  supposizione  si  schiera  contro  l'ant.  lucchese,  il  quale, 
mentre  ci  mostra  -eulo  fino  dal  sec.  vili,  non  ci  ha  fornito  un'  -aula 


*  Abbiamo  incontrato  soltanto  Flabianulo,  che  in  altra  carta  finisce  in 
-a;  ma  ancora  m'imbatto  in  loco  Culianulo  (senza  dubbio  da  Aquil.,  cfr. 
AcuUiano  in  V.  2.^  1S6,  an.  798)  sui  confini  delle  diocesi  di  Luni  e  di  Lucca 
(IV.  2.^  appen.  50,  an.  843).  Gli  editori  difficilmente  avranno  confuso  a  con 
0,  che  ne  è  ben  distinto  nelle  carte,  e  piuttosto  dee  pensarsi  che  tali  nomi 
solo  col  tempo  si  configurassero  tutti  al  feminile,  che  per  sé  stesso  inchiude 
diminuzione  (cfr.  la  n.  seg.).  Giova  poi  osservare  che  l'abuso  dei  diminutivi 
in  -ulus  -ula,  come  in  campulo  silvula  villula  casula  terrula 
(terra  Russala  IV  180,  a.  798),  avea  preso  prima  del  mille  proporzioni 
enormi,  e  che  la  lingua  andò  poi  sempre  spogliandosi  di  questo  suffisso,  to- 
gliendolo anche  a  nomi  di  luogo.  Basti  il  dire  che  in  una  carta  del  76i 
(IV  94),  in  cento  e  più  nomi  di  servi  e  serve  tra  i  quali  Marcianula, 
non  se  ne  contano  dieci  che  sian  privi  di  questo  suffisso;  il  quale  non  era 
poi  aggiunto  particolare  a' nomi  di  schiavi,  poiché  se  lo  apponevano  spes- 
sissimo anche  i  padroni.  Che  anche  vi  concorresse  una  traduzione  del  longb. 
-to  -z-o? 

2  II  vezzo  qui  va  inteso  come  causa  di  una  leggiera  modificazione,  non 
della  creazione  analogica  di  un  suffisso,  qual  sarebbe  -allo  da  -elio  -olio  -uUo 
(cfr.  -occio  da  -accio  -uccio  -iccio).  Nel  caso  nostro  non  avrebbe  potuto  ciò 
farsi  che  per  quegli  scherzi  e  carezze  che  usansi  soltanto  verso  persone; 
difatti,  mentre  nei  nomi  comuni  quel  suffisso  fu  infecondo  (che  nemmen  lo 
contiene  farfalla),  si  ha  nei  casati  di  Menicalli  e  BecalU  da  Domenico, 
PieralU  da  Piero  e  Tinalli  da  Tino=zAgos-,  che  debbono  aver  avuto  lo  sti- 
pite in  -alla;  poiché  ho  udito  chiamar  Geppalla  un  Giuseppe.  Ma  anche 
qui  può  ricorrersi  ad  -ano  -anula,  che  nell'Append.  troveremo  applicato 
a  nomi  personali. 


Toponimia  toscana:  §  YI.  Nomi  in  -alla.  417 

né  wri -avola,  sebbene  qui  sia  di  tutti  il  più  sfruttato  \  ed  insieme  con 
gli  altri  dialetti  conduce  -anula  dall' viii  fino  alla  seconda  metà  del 
sec.  XI  (ed  oltre  ancora  lo  spingerà  negli  archivj);  e  più  assolutamente 
si  oppone  la  cronologia  fonetica ,  poiché  se  -elio,  che  nel  volgare 
ò  forma  primaria,  potette  subire  una  propensione  temporanea  e  par- 
ziale a  volgere  -II-  ad  -ul-,  non  é  lecito  porre  quest'  alterazione  per 
-alla,  prodotto  di  -anula,  il  quale  si  matura  quando  quella  tendenza 
erasi  estinta,  ed  era  il  lucchese  co'  suoi  affini  rientrato,  almeno  in 
questa  parte,  nella  corrente  comune  dei  dialetti  toscani  ^. 


*  Si  rammenti  che  il  territorio  lucchese  fa  distribuito,  nel  575  di  Roma, 
a  2000  colonni  romani  (Liv.  41,  e.  13),  in  51  jugeri  e  V^  a  ciascuno;  quindi 
più  difficilmente  che  altrove  vi  sorsero  latifondi  con  a  ala  e. 

2  II  trattamento  diverso  di  -l  +  cons.  e  di  u  tra  vocali  comprende  circa  la 
metà  delle  differenze  che  passano  tra  i  dialetti  toscani,  e  costituisce  un  sog- 
getto importantissimo  per  la  storia  della  lingua  comune.  La  inserzione  di  v 
tra  vocali  nel  basso  toscano,  laddove  il  fior,  lo  toglie  anco  quaud'è  etimo- 
logico, può  far  sorgere  il  dubbio  sali'  antichità  rispettiva  del  fenomeno,  e 
sulla  durata  integrità  di  aula  contro  l'esempio  di  altre  voci.  Giova  quindi, 
in  questa  parte,  dare  un  sagginolo  storico  dei  dialetti  toscani,  dalle  origini 
fin  circa  il  sec.  XV.  Nel  primo  periodo  unitario:  auro  tauro  pausa  ecc. 
sì  fanno  e  rimangono  oro  toro  posa  ecc.,  ma  caulis  dà  cavolo,  Paulus  Fa- 
volo, onde  Pagolo  (ant.  fior.),  e  forse  contemporaneamente  manualis  ma- 
novale ecc.;  nel  secondo  per.  unitario:  maltha  e  qualche  altro  divengon 
manta,  quindi  mota;  nel  terzo  per,,  il  fior.  sen.  arret.  restan  fermi  a  quei 
pochi  esemplari  ;  mail  bas.  tose,  s'inoltra  ad  antro  auto  Ecc.  da  altro  ecc.;  nel 
quarto  per,,  prima  di  Dante,  ma  verosimilmente  non  prima  o  poco  prima  del 
mille,il  fior,  toglie  il  -v-  nelle  forme  verbali,  facendojsofóa  semita  ecc.,  mentre  gli 
altri  rimangono  a  poteva  sentiva  ecc.  ;  dopo  (X^  e  XVI  sec.)  s'inoltra  sempre 
più  venendo  o  tornando  anche  a  caolo  Paolo  manuale,  mentre  il  bas.  tose, 
toma  lentamente  ad  altro  caldo  ecc.;  e  nello  stesso  periodo  la  Val  d'Elsa, 
almeno  la  bassa,  e  più  la  V  di  Pesa,  sono  attratte  nell'orbita  del  dial.  fior. 
La  ripugnanza  del  fior,  al  -u-,  se  nelle  prime  tre  epoche  non  fu  forte  ab- 
bastanza per  toglierlo  dov'era  organico,  dovette  almeno  raffrenarne  la  in- 
trusione; quindi  si  spiega  il  fior,  -olla,  -ola  della  Pesa  (prima  -aola)  e  al- 
tronde, come  -avola  si  spiega  per  l'opposta  tendenza  del  basso  toscano.  La 
durata  di  -aula  ha  poi  la  sua  ragione  nella  stabilità  fonetica  di  certi  nomi 
di  luogo,  che  si  sottraggono  alla  corrente  alterativa  delle  voci  cornimi;  per 
Archivio  glottol.  ital.,  IX.  27 


418  Bianchi, 

E  lasciando  per  ora  i  nomi  in  -alla  e  ogni  discussione  che  gli  con- 
cerna, è  degno  di  considerazione  il  fatto  che  nei  nomi  composti,  spet- 
tanti a  questo  §,  il  soggetto  è  posto  dopo  il  suo  compimento, 
come  nei  comuni  or-pello,  ragna-tela  (araneae...),  terra-/ine,  da  con- 
trapporsi al  Finisterre  di  Francia  (v.  p.  405  n.)  Questo  prova  la  po- 
polarità del  costrutto  classico,  che  dominò  in  un  periodo  anteriore  della 
lingua,  sebbene  uno  strascico  del  medesimo  si  mostri,  come  vedremo  al 
§  X,  anche  in  età  posteriore,  in  modo  più  sicuro  di  quel  che  lo  faccia 
presumere  l'una  o  l'altra  delle  voci  comuni. 

§  VII.  All'incontro  i  nomi  locali  aventi  il  genitivo  dopo  il 
nominativo,  come  usano  le  lingue  derivate,  debbono  considerarsi  in 
complesso  più  moderni,  quantunque  siansi  formati  nella  latinità 
ancora  vegeta,  come  quasi  tutti  i  seguenti,  parte  dei  quali  non 
potrebbe  esser  posteriore   al  secolo  terzo  dell'era  volgare, 

1.  Camarte  o  Camarzo,  'Camars  (?),  Campus  Martii'  Rep.  Di  un 
Campo  di  Marzo  (?)  presso  il  Mugnone,  come  riferisce  il  Rep.,  si  parla 
in  due  carte  della  chiesa  fiesolana  sotto  gli  anni  966  1032,  ma  l'ultima 
almeno,  pubblicata  dal  Bargilli  (op.  e.  188),  ha  campum  Martis; 
in  una  pergamena  della  Badia  di  S.  Miniato  al  Monte  (an.  1224)  si 
tratta  dell'affitto  di  una  pescaja  sull'Arno,  in  luogo  detto  Camartio 
seu  Campo  Mar t io.  Le  due  forme  originarie  del  nome  sono  dunque 
Campus  Martis  [Campo  Marti  nel  Villani,  Nann.  p.  209)  e  Cam- 
pus Martius  ^ 

2.  Campdvane,  nome  di  piviere,  ora  detto  dì  Laterina  (Vald.  sup.)^ 
nominato  dal  Repetti  sotto  1'  art.  '  Monsoglio'.  Molto  probabilmente  è 
campusAdvenas^. 


es.  il  lat.  ripa  è  sempre  Ripa  (così  anche  i  derivati)  nei  nomi  locali;  e  del 
resto,  pur  guai  voce  commi*,  non  sarebbe  mai  divenuta  riva  (d'uso  fre- 
quente anche  ripa),  se  non  era  maritata  a  rivus;  così  sempre  -ili a  (non 
-ilja  -iglia)  in  Italia,  Sicilia,  Marsilia,  che  i  'giornalisti'  hanno  ridotto  a 
Marsiglia.  —  Pel  -u-  l'arret.  andò  col  fior.,  almeno  nei  verbi:  voléa,  e  il 
non  QoT.  volia. 

'  Giova  notare,  per  questo  e  per  altri  eserapj  che  seguiranno,  come  il  ca 
dell'Alta  Italia,  per  casa,  non  s'incontra  che  in  nomi  di  luogo  recenti,  presso 
le  sorgenti  del  Tevere,  del  Reno  e  del  Serchio,  mentre  in  tutto  il  rimanente 
della  Toscana  ca  è  un  antico   accorciamento  di  campo.  Vedine  al  §  X,  10. 

*  Più  luoghi  accennano  questa  origine,  come  Avane  nel  Vald.  super.,  ed 
Avertano  nel  Chiauli,  il  quale  mostra  che  ad  vena  passò  ancora  in  cognome 
0  soprannome. 


Toponimia  toscana:  §  VII.  Gcnit.  lat.  in  costr.  volgare.  419 

3.  Campolopici,  cas.  perduto  in  Val  d'Ombr.  sen.  presso  Rapolano  ; 
pare  e.  Liipici,  cfr.  Lupus.  Questo  ed  Ursus  non  son  rari  anche 
tra  i  Longobardi,  e  leggo  Lopulo  in  e.  del  731  (M.  L.  V.  2.^  43);  naa 
il  -e-  mostra  un'  età  più  antica  (v.  §  X). 

4.  Campolucci,  'Campus  Luci',  Rep.,  villata  nel  piano  d'Arezzo, 
rammentata  in  e.  del  941;  campus  Lucii,  cfr.  n°  16. 

5.  Casalappi,  casale  in  Val  di  Cornia.  Il  Rep.  scrive  Casa-Lappi, 
e  suppone  che  sia  Casale  Episcopi(?)  dei  vescovi  di  Lucca  (sec.  viii). 
Sarà  ben  piuttosto  casale  Appii;  dove  non  fa  ostacolo  l'esser  la 
prima  una  voce  di  bassa  latinità;  poiché  il  Du-Cange  cita  sotto  quella 
una  carta  ravennate  dei  tempi  di  Giustiniano,  cioè  di  un'età  in  cui  i 
personali  romani  non  erano  ancora  andati  in  disuso  \ 

6.  Castel- Muzi  o  -Muzio,  che  appellavasi  C.  -Mozzo,  dice  il  Rep., 
è  un  castello  in  Val  d'Orcia.  La  forma  in  uso  (da  Mùcius  o  M li- 
ti us)  dev'esser  la  più  legittima,  e  quel  -Mozzo  non  sarà  che  una  falsa 
interpretazione  ^. 

7.  Colle-Agostoli,  contrada  in- Val  d'Arbia,  di  che  fa  menzione  una 
e.  del  987  (Rep,  'Append.');  collis  Augu stuli. 

8.  Fonte-Rutoli,  cas.  in  Val  d'Elsa  (1177).  Ci  è  qual  nome  proprio 
Rutilus  (cfr.  Rutilius),  che  facilmente  passò  in  Rutulus,  nome 
d'un  martire  in  Affrica  (an.  295);  v.  Baron.  'Mart.'  18  febb. 


1  In  e.  lue.  dell' 882  (V.  2.^  562)  lo  trovo  scritto  Casale  Appi,  e  Ca- 
sale Lapi  in  un  giudicato  dell' Iinp.  Lodovico  del  901  (V.  3.^  639);  e  pare 
che  sia  lo  stesso  che  Casale  Lapidi  del  t.  IV.  2.=^  102  (980),  siccome  tale  è 
certo  Casalappi  ivi  append.  162  e  id.  V.  3.^  678  (an.  1109).  Son  nomi  pro- 
prj  longobar.  :  Lapus  in  M.  L,  V.  2.^  70  (770),  Aipo  pel  gen.  ib.  107  (782), 
Appo  ib.  172  (890),  Laipo  nova,  due  volte  e  Laipi  al  gen.  ib.  268-9  (822)  ; 
ed  in  composiz.:  Galdilapo  (leggi  Gaud.)  ib.  14  (736),  Teudilapus  ib.  Ili 
(783),  Ferilapa  figlia  di  Feriialdo  =  Ferdualdo  IV.  187  (800),  cfr.  ibid.  'Dis- 
sert',  p.  413.  La  più  corretta  lezione  del  nome  di  luogo  è  quella  col  -pp- , 
e  deve  essere  una  falsa  interpretazione  quei  Lapidi.  Da  questo  e  da  Laijjì 
sarebbe  potuto  venir  Lapji;  che  sarebbe  così  rimasto,  perchè  lo  j  seconda- 
rio, 0  relativamente  moderno,  non  raddoppia  la  cous.  preced.;  cfr.  lapia  da 
api-s,  contro  appio  oppio  ecc.  Solo  fa  concorrenza  il  longob.  Appo,  che  però 
non  si  assodò  nell'uso.  Cfr.  §  X,  48. 

*  Air  incontro  sarebbe  irregolare,  per  la  forma  usata,  il  ritorno  d(  o  &\Vu 
di  un  germ.  mutz  (mozzo).  Piuttosto  potrebbe  dirsi  che  l'età  relativa  si 
renda  un  po' incerta  per  ciò,  che  Mucius  è  nome  di  due  martiri,  e  si  ha 
Muzziuli  al  gen.  sing.  in  due  carte  del  772  ap.  Br.  !.*•  624-26.  Intorno  alla 
età  in  cui  si  diffuse  l'applicazione  delle  voce  castello  a  nomi  di  luogo,  fa- 
remo cenno  in  uno  de'  §§  seguenti. 


420  Bianchi, 

9.  Gamhassi,  borgo  in  Val  d'Elsa.  Deve  essere  campus  Bassi, 
con  assimilazione  qualitativa  di  e  a  J;  cfr,  Gamheraldi  al  §  X. 

9.^  Giovagallo  o  Zov.,  *Juva  o  Jugam  Galli'  Rep.,  cast,  in  V.  di 
Magra,  è  stato  alterato  da  etim.  popolare;  cfi-.  n.°  15  in  n. 

10.  Montanino  o  Monte- Al-,  castello  ora  villa  in  Val  d'Elsa,  che 
il  Rep.  connette  a  ragione  col  vicino  casale  già  detto  Albini-aula, 
§  VI,  n.°  3. 

11.  Monte- Cascioli,  cast,  distrutto  nel  Vald.  fior.  (1006).  Il  Rep, 
dà  *Mons  Cassoli',  che  sarà  delle  carte,  ma  viene  da  *Cassiolus 
dim.  di  Cassi  US,  che  è  base  di  molti  nomi  locali  (v.  §  prec.  e  qui  n.°  27). 

12.  Monte-Fani  o  Montefani,  'Mons  Fani'  Rep,,  fu  nome  di  una 
montuosità  in  Val  d' E  vola  (Vald.  inf,  );  id.,  o  Monte-Fanno,  è  nome 
d'altra  montuosità  ne'  poggi  di  Fiesole,  È  noto  Fanum  (Fortuna e) 
nella  Marca,  mentre  in  Toscana  si  ha  Dofana  (Duo  Fana),  due  chiese, 
che  ebbero  origine  da  due  antichi  oratorj,  nel  piano  di  Montaperti  in 
Val  d'Arbia,  di  una  delle  quali  ('S.  Ansano  a  Dof,')  si  ha  memoria 
fino  dal  695  (Rep.).  Pei  primi,  quali  nomi  di  monti,  Faunus  parrebbe 
convenir  meglio  nell'ordine  ideale  ;  ma  nel  rispetto  fonetico,  manchiamo 
di  evidenza.  La  forma  con  nn  ricorda  Fannius  (da  *Fanno-),  onde 
s'ebbe  Fagno  e  Fagnano. 

13.  Monte-FìesoU,  è  così  detta  la  continuazione  del  monte  fìesolano, 
che  volge  a  destra  dell'Arno  verso  Pontassieve;  contiene  il  gen.  sing, 
Faesulae  in  luogo  di  -a rum. 

14.  Monte- Fior alli  o  -alle,  già  Monte-Ficalli  {-alla  in  doc.  del  1576), 
casale  in  Val  di  Greve.  Per  quanto  può  rilevarsi  dal  Rep.,  il  secondo 
nome  si  leggerebbe  in  carte  del  1085,  1119,  1123,  ed  il  primo  appa- 
rirebbe la  prima  volta  nel  1370;  ma  la  loro  forma  è  di  uno  stampo 
egualmente  antico,  e  sotto  lo  aspetto  storico  e  logico  parrebbe  piuttosto 
Ficalle  formato  per  analogia  sopra  Fioralle,  perchè  i  ficlii,  più  che  i 
fiori,  vi  avranno  col  tempo  costituito  la  principale  caratteristica  del 
luogo  ^ 

15.  Monte-Giovi,  nome  di  un  monte  e  castellare  in  Val  di  Sieve 
(1288);  altro  ò  un  castello  in  Val  d'Orcia  (1262).  Vi  è  chiaro  Jovis^. 


^  Mentre  qui  non  può  farsi  senza  un  nome  di  persona,  come  tale  non  si 
lia  Ficus  a  base  di  nomi  locali  toscani,  dovechè  Florus  è  frequentis- 
simo tra'  cognomi  romani,  onde  potea  formarsi  un  derivato  Floranulae 
(cfr.  §  prec). 

^  Il  Rep.  fa  una  grande  confusione  all'art.  'Giove  (?),  Giovi,  Giovo,  Monte-, 
detto  anche  del  Giogo  o  Giovo  (?)',  e  dice  che  vien  da  giogo  e  non  da  Giove. 
Aggiunge  che  portano  tuttora  il  nome  di  Zovo  o  Giovo  varie  sommità  del- 


Toponimia  toscana:  §  VII.  Genit.  lat.  in  costr.  volgare.  421 

16.  Monte-Lucci  o  Monte-Luci^  villa  in  Val  d'Ambra  (sec.  xi).  La 
prima  forma,  che  rappresenta  la  vera  pronunzia  popolare  [ce  =  Cj), 
contiene  il  gen.  di  Lucius,  mentre  la  seconda  lo  avrebbe  di  Incus; 
ma  questo  deve  essere  uno  de'  soliti  scempiamenti  delle  carte,  benché 
si  abbia  Monte-Luco  tra  le  valli  dell'Ambra  e  dell'Arbia.  Cfr.  n.°  4  ^ 

17.  Monterchi,  'Mons  ErcU  e  talora  Mons  HercuW  (Rep.),  terra 
murata  in  Val  Tiberina,  Actum  Monterclo  si  legge  in  una  carta  del 
1095.  È  dubbio,  dice  il  Rep.,  Montercle  di  una  e.  del  1092,  potendosi 
riferire  a  'Montecchio'  di  Val  di  Chiana;  ma  in  tal  caso,  soggiungo, 
sarebbe  scritto  Monticlo  o  -eclo.  È  chiaro  che  lì  si  tratta  di  Mons 
H  e  r  e  u  1  i  s  ^. 

18.  Monte-Rufoli  o  Monter-,  villa,  già  castello  in  Val  di  Cecina; 
da  un  Rùfiilus.  Il  longob.  Roffulus,  da  Rotfrid,  foneticamente  non 
vi  conviene. 

19.  Monte-Terzi^  'Mons  Tertius'  (Rep.),  poggio  nelle  pendici  vol- 
terrane, forse,  dice  il  Repetti,  dal  terzo  miglio,  come  Monte-Secondo, 
vicino  a  Volterra  ;  su  di  che  vedasi   Ter  zolle  nel  §  precedente  ^. 

20.  Monte- Vettidini  o  -olini,  'Mons  Vectulini'  (Rep.),  cast,  in  Val 
di  Nievole.  Nelle  poesie  del  Saccenti  leggo  M.  Vetturini.  Ricorreremo 


l'Appennino  di  Lunigiana  e  di  Garfagnana;  e  cita  a  sostegno  un  lodo  dato 
in  Sarzana  il  12  maggio  1202,  dove  si  legge  «  usque  ad  moutem  qui  dicitur 
Ji(va  ».  Cita  anche  un  istrumento  del  1322  sulla  confinazione  tra  il  distretto 
modenese  ed  il  lucchese,  lungo  la  criniera  dell'Appennino,  dove  è  segnalato 
il  confine  «  usque  ad  Jovum  Alpe  »;  e  in  altra  convenzione  tra  Lucca  e  Mo- 
dena, legge  «a  Zovo  Alpis,  idest  a  Zugo  Apennini».  Qui  prima  di  tutto 
pare  arbitrario  quel  -Giove,  che  ho  sempre  sentito  dir  -Giovi  nella  Toscana 
centrale  ed  orientale  (§  IV);  e  va  poi  distinto  dal  Giovo  e  Zgvo  della  Lu- 
nigiana ecc.  Nella  parte  bassa  delia  regione  fiorentina  si  ha  giogo  =]\xgvim, 
che  nei  monti  non  va  oltre  la  forma  intermedia  di  gigo.  All'art.  'Montagu- 
tolo  di  Gastra'  il  Rep.  cita  una  donazione  degli  libertini  d'Arezzo  all'abate 
di  S.  Trinità  in  Alpi  (an.  1008),  nel  quale  atto  si  legge:  «  intra  castilione 
et  Monte  Acutolo  usque  in  jovo  de  Alpe».  Questo  jovo  (giovo)  sarà  ant. 
arretino,  e  non  di  Gastra  (Vald.  sup.)  che  dà  gigo. 

^  Lucio  abl.  è  già  Luccio  due  volte  in  e.  lue.  del  771  (IV.  121),  e  si  ha 
prato  Lucci  in  altra  del  799  (V.  2,^  164).  La  durata  del  nome  personale 
potrebbe,  se  mai,  far  dubitare  della  età  relativa. 

*  Limgi  dal  luogo  si  pronunzia  -erchi,  ma  da  paesani  e  da  arretini  ho 
sentito  -erchi,  che  meglio  risponde  alla  é-  di  'Rpxyl-rii. 

^  Le  maggiori  probabilità  stanno,  anche  qui,  per  1'  epoca  romana,  ma  po- 
trebbe esser  nato  anche  in  tempi  posteriori. 


422  Bianchi, 

a  Veturius   oa  Vetulinus,   attribuendo   il   tt  all'  influsso   di 
V  e  e  t  u  s  ecc.,  o  di  vetta  cima, 

21.  Montieri,  'Castrum  Monterii,  già  Mons  Aeris'  (Rep,),  cast,  in 
V.  di  Merse,  luogo  ove  furono  antiche  cave  di  rame,  argento  e  piombo, 
dalle  quali  si  fa  menzione  in  carte  deir896  e  939  \ 

22.  Montoppio,  già  Montappio,  m.  presso  S.  Miniato  nel  Vald. 
inf.  Son  noti  ambedue  i  nomi  Oppius  ed  Appius^. 

23.  Pontremoli,  ^Pons  Tremulus  o  Pontremulus'  Rep.,  città  in  V. 


*  Non  è  presumibile  che  questo  nome  siasi  formato  in  tempi  posteriori 
ai  Romani,  quando  la  industria  dei  metalli  era  decaduta,  e  la  voce  aes  avea 
ceduto  il  posto  ad  aeramen.  —  Tolgo  poi  di  lista:  Montioni,  e  -one  {Mons 
Juni  Rep.),  torre  e  borghetto  in  V.  di  Pecora  (Marem.).  Nella  carta  lucchese 
del  771,  citata  dal  Repetti,  non  si  legge  Monte  Juni,  ma  in  loco  Montione 
(IV.  22  e  V.  2^  76),  ed  è  così  nelle  altre  da  lui  citate  del  772  (V.  2.*  8ì), 
783  (IV.  143),  807  (V.  2.»  201),  com'  è  «  Monast.  beati  S.  Salvatoris  in  loco 
Montione  n  in  e.  dell' 800  (V.  2.^  171)  non  citata;  Monte  juni  è  invece  in 
e.  dell'818  (ib.  2o2)  non  citata,  ed  «  Eccl.  S.  Prosperi...  in  loco  Casale,  ubi  di- 
citur  Monti  Juneo  »  in  quella  dell'  823  (ib.  283),  ma  «  Eccl.  S.  Prosperi  sita 
loco  ubi  vocitatur  Monteroni  finibus  Maritimense  »  nell'altra  dell'BSG  (ib.  440), 
ambedue  citate  dal  Repetti.  Nella  carta  più  antica  il  titolo  della  chiesa  è 
S.  Salvatore,  ma  deve  essere  il  medesimo  luogo  ;  in  ogni  modo  ci  basta  di 
avere  sotto  il  medesimo  titolo  la  doppia  forma  Monte  Juneo  e  Monteroni, 
della  quale  ultima  è  sorella  «  Monterioni  comitatu  popoloniense  »  nel  giu- 
dicato dell'  imper.  Lod.  del  001  (V.  3.*  639).  Altri  luoghi  hanno  il  nome  di 
Montione:  ì.°  un  casale  presso  Arezzo,  dal  Rep.  tradotto  Mons  Jonius,  e  che 
sarebbe  Monte  Jonio  in  una  carta  del  933,. da  lui  citata  insieme  con  altre  del 
967-96  e  1014,  le  quali  non  mi  è  dato  di  riscontrare,  mentre  di  lui  non  ho 
ragione  di  fidarmi  troppo;  il  2.»  è  una  borgata  del  Vald.  pis.;  il  3.°  fu  nome 
di  poggio  in  V.  di  Fine;  il  4.°  è  un  castello  nella  V.  del  Savio.  Un  compo- 
sto col  gen.  di  Juniiis,  onde  abbiamo  Giugnano  (Badia  di...\  ci  farebbe  ri- 
salire ai  tempi  romani,  poiché  più  tardi  incontro  una  sola  volta  un  Silvi- 
perto  fd.  Junii  (V.  3.^  91,  an.  916,  cfr.  il  casato  Giugni);  ma  la  grammatica 
ci  avrebbe  dato  Monzugni  o  Monciugni.  Monti-one,  accrescitivo  del  tema 
monti,  si  sarebbe  forse  mantenuto  per  la  vitalità  del  primitivo,  ma  a  stento, 
e  ne  abbiamo  di  regola  3Ionzone,  che  è  in  V.  di  Magra  ed  altro  in  V.  di 
Nievole,  e  Mondani  nel  Vald.  sup.  (cfr.  §  IV).  Monte  Juni,  -Juneo  e  -Jo- 
nio delle  carte,  sono  interpretazioni  notariali  d'  un  volgare  Montejoni,  da 
Montajone  (§  X  fine),  *-arj-one;  cfr.  Monteroni,  e  per  la  contrazione,  Pe- 
tr'iglo  da  Petrgjo. 

'  Un  Appulo  ed  un  Oppulo=  Opizo,  da  Atpert,  Otpert  e  simili  (v.  Append.), 
si  sarebber  mossi  troppo  tardi  per  raggiugnere  V-oppio  e  ^to/3^o  =  opulus 
e  populus. 


Toponimia  toscana:  §  VII.  Genit.  lat.  in  costr.  volgare.  423 

di  Magra  (sec.  xi).  Alcuni,  come  riferisce  il  Rep.,  traggono  questo  nome 
da  un  ponte  lungo  e  tremolo  sulla  Magra;  peggio  altri  da  Q.  Marzio 
Tremolo,  che  dice  console  nel  447  di  Roma,  laddove  i  Romani  non  pe- 
netrarono nei  confini  occidentali  dell'Etruria  prima  del  516.  Il  comune 
tremolo,  come  agg.,  non  si  sarebbe  volto  in  -i  per  discordare  con  ponte  ; 
e  quanto  al  nome  proprio,  basta  un  Remulus  qualunque. 

24.  Port' Ercole,  detto  Portus  Herculis  anche  dagli  antichi,  è 
nel  promon.  Argentaro  in  Mar. 

25.  Porto  Venere,  'Portus  Veneris,  o  Venerius'  dice  il  Rep.;  è 
presso  il  golfo  della  Spezia  ^ 

26.  Massa  Robiana  o  Massa  Rohbiani,  cas.  perduto  in  V.  d'Era 
(1207);  cfr.  Ruhalla  nel  §  prec. 

27.  Vicascio,  'quasi  Vicus  Cassii'  dice  il  Rep.,  cas,  presso  Calci 
nel  Pisano.  Mi  sembra  felice  la  originazione  assegnata  dal  Rep.,  perché 
in  Vico-Casci  facilmente,  per  dissimilazione,  potette  fognarsi  la  prima 
delle  due  sillabe  interne  ^  ;  e  quanto  alla  desinenza  in  -o,  ora  vedremo  ^. 


^  Non  crede  il  Rep.  che  questo  luogo  abbia  preso  nome  da  un  tempio  de- 
dicato a  Venere,  ma  sì  dal  santo  anacoreta  Venerlo,  che  nel  sec.  Vi  visse 
ritirato  nell'  isola  del  Tino  li  vicina  (il  Baronie,  'Martyr'.  13  set.,  dice  nella 
Palmaria).  Cita  una  lettera  di  S.  Gregorio  a  Venanzio  vescovo  di  Luui  (anno 
595),  nella  quale  si  rammenta  quel  santo  eremita,  dovechè  le  piìi  antiche 
carte  che  facciano  menzione  di  P.  Venere  sono  del  sec.  xii.  L'accento,  e 
r  analogia  di  altri  nomi  locali  tratti  da  deità  pagane,  danno  torto  al  Re- 
petti. 

*  Di  questo  sdoppiamento  sillabico  abbiamo  un  beli'  esempio  in  Sorbano 
=:Suburbanum,  luogo  vicino  a  Lucca  (§  XI,  3),  ed  un  altro  ne  vedremo, 
con  numerosa  prole,  sotto  il  §  X,  27.  Del  resto  haiino  base  nel  medesimo 
nome  il  n.  11  qui,  e  Casciavola  al  §  VI,  piìi  Cascio,  'Cascium  già  Cassium' 
Rep.,  cast,  in  Garfagnana,  rammentato,  egli  dice ,  in  e.  del  766  ;  sotto  il 
qual  anno  non  trovo  nulla  di  ciò,  ma  leggo  loco  et  fiindo  Cassio  in  e. 
lue.  dell' 84S  (V.  2.^  37S).  Di  un  Cassio  si  fa  menzione  nella  tav.  Vellejate, 
relativa  a  quei  luoghi. 

'  Potrebbe  mettersi  in  lista  campo  Coloìiii  (  =  -ae,  cfr.  §  V,  11),  luogo 
del  Vald.  fior.,  indicato  nella  cit.  carta  fies.  del  1032;  ma  vi  sarebbe  da  du- 
bitare intorno  a  Sommo- Cotogna  (983-94),  cast,  che  risiede  in  monte  nella 
valle  del  Serchio,  e  che  starebbe  per  summum  colonia  e,  'cima'  od  'al- 
tura della  colonia',  poiché  Summa-Colonia,  altra  forma  che  ci  presenta 
il  Rep,,  e  nella  quale  si  ha  l'accordo  dell' agg.  col  sost,,  deve  essere  la  più 
genuina.  Così  deve  ancora  considerarsi  Soìnmo-Comano,  cast,  in  V.  di  Ma- 
gra, anch'esso  posto  in  monte.  Un  altro  Cornano  è  nella  medesima  valle; 
Comana  è  nel  Vald.  inf,  ;   un  Dicomano  {  =  Di-C-,  Rep.)  è  in  V.  di   Siove, 


424  Bianchi, 

Ora,  nell'ordine  generale,  giova  che  imprima  qui  si  noti  l'assenza 
completa  della  -s  del  nominativo  nella  prima  parte  di  queste  combi- 
nazioni, non  solo  in  campo-,  ma  anche  in  fonie-,  monte-,  ponte-,  dove 
parrebbe  naturale  l'incontro  di  un  /b[n]s-  ecc.  A  spiegare  questo  fatto 
negativo  non  basterebbe  la  considerazione  che,  in  formazioni  avvenute 
durante  la  vita  del  latino ,  il  chiaro  significato  de'  primi  apposti  gli 
assoggettasse  ai  cambiamenti  poi  subiti  da  essi  nella  lingua  comune  ; 
poiché,  per  es.,  un  Mosfani,  un  Mo[ìi]sappio  e  un  Postremoli  avrebbon 
retto  contro  qualunque  scoglio ,  la  -s  innestandosi  al  secondo  apposto, 
che  rimaneva  oscuro.  Quindi  la  vera  spiegazione  non  si  può  ripetere 
altronde  che  dalla  prevalenza  che,  nel  latino  scadente,  prese  o  riprese 
la  vocale  tematica  -i  della  3.^  deci,  anche  al  nomin.  (fonti-s),  e  che 
pose  ovunque  la  sillaba  di  -s  nella  medesima  condizione  tonica  e  nella 
medesima  evidenza  che  avea  nella  seconda  (v.  §  IV).  Lo  stesso  fatto  si 
ripeterà  negli  esempj  che  verranno,  tra  i  quali  non  possono  mancarne 
di  molto  antichi;  che  vedremo  non  poterci  illudere  sopra  Mostesegradi 
e  Vallisonzi  (§  X),  e  qualche  altro.  Poi  dobbiamo  notare  la  naturale 
attrazione  di  alcuni  nomi  col  genitivo  alla  comune  desinenza  in  -e  ed 
in  -0,  come  Camarte,  Port' Ercole,  Porto  Venere  (nei  quali  appunto  si 
voleva  e  si  vorrebbe  da  altri  vedere  una  corretta  continuazione  dell'  -i  s 
di  genitivo,  di  guisa  che  questi  soli  fossero,  nella  loro  serie,  gli  esem- 
plari veramente  genuini  ;  cfr.  p.  391-2),  Vicascio,  Castel  Muzio.  Il  fatto 
di  tale  mutamento  ci  mette  in  dubbio  se  in  alcuni  casi  dobbiamo  con- 
siderare il  secondo  apposto  quale  un  aggettivo,  o  qual  genitivo  d'un 
sostantivo,  ridotto  alla  desinenza  comune.  Così  Monti- Marciano  può 
intendersi  mons  marcianus,  'appartenente  a  Marcius  oa  Mar- 
cus', oppure  come  venuto  da  mons  Marciani,  'm.  di  Marciano'; 
Camajano,  *  Campus  Majani'  (Rep.),  vico  perduto  nel  Vald.  arret.  (1080), 
e  cast,  distrutto  in  V.  di  Fine  presso  Livorno  (857),  può  essere  campus 
majanus,  'appartenente  a  Majo',  ovvero  e.  Majani,  e.  di  Majano '. 


ed  altro  fu  nel  Pisano;  nomi  lasciati  verosimilmente  da  veterani  di  Cuma 
o  da  coloni  indi  trasmigrati,  se  pur  non  furono  assunti  da  persone  per  imi- 
tazione, come  Cajetanus. 

^  Non  dimentichiamo  che  in  Toscana  possono  coincidere  le  propaggini  di 
Majus  e  di  Marius;  cfr.  Marola  al  §  VI.  Quanto  al  ca  =  campo,  oltre  il 
n.»  1  di  questo  §,  cfr.  Camajore,  terra  murata  nella  Versilia,  Campo  Ma- 
lore in  carte  antiche  (760,766),  e  cfr,  §  X,  19.  All'incontro  Camaggiore, 
villa  nella  V.  del  Santerno  in  Romagna,  sarà  piuttosto  'casa  maggiore'. 


Toponimia  toscana:  §  Vili.  Genit.  d'età  incerta.  425 

§  Vili.  Seguono  i  genitivi  di  nomi  che  hanno  una  base  che  si 
può  mostrare  o  presumere  nel  latino,  dei  quali  tuttavia  è  incerta  l'età 
dell'  applicazione  ai  luoghi ,  né  può  stabilirsene  per  criterj  fonologici 
l'antichità  relativa,  potendo  alcuni  esser  romani  de'  tempi  pagani,  altri 
de'  tempi  cristiani,  molti  posteriori  alle  invasioni,  e  parte  dell'  epoca 
dei  Comuni.  Il  loro  carattere  più  generale  è  la  italianità  della  forma, 
che  in  essi,  od  in  parte  di  essi,  può  essersi  svolta  in  tempi  successivi. 
Formano  una  serie  che  si  ribella  alla  classificazione;  e  nel 
comporla  non  mi  son  potuto  valere  d' altro  che  d' un  criterio  discre- 
zionale. Quasi  tutti  hanno  voci  corrispondenti  od  affini  nell'italiano  ;  e 
sebbene  questo  possa  talora  illudere,  ragioni  di  ogni  ordine  impongono 
di  tenervisi  stretti.  In  generale  la  origine  di  tali  nomi  è  material- 
mente chiara;  ma  non  è  sempre  agevole  il  distinguere  se  essi  abbiano 
indicato  cose  o  persone,  e  tanto  meno  si  può  discernere  la  ragione  o 
la  occasione,  per  cui  siano  stati  applicati  alle  persone  ed  ai  luoghi, 

1.  Calicarza  (i),  cas.  in  V.  di  Garza  (Sieve),  che  presupporrà  Ca- 
licarze=  Callis  '^Cardiae;  cfr.  Callhnala  al  §  IV  ^ 

2.  Caìn20ogiaUi,  cas.  nel  Vald.  sup.  Nel  giuramento  fatto  dai  Fi- 
glinesi  al  comune  di  Firenze,  il  25  apr.  1198,  si  legge  :  «  Viride  filius 
Gialli  de  Figine...  potestas  (altrove  'rector  et  dominus')  Figinensium^  » 
(doc.  in  Arch.  centr.  di  Fir.  'Capitoli',  voi.  26,  pag.  34).  Ignoro  se 
questo  Giallo  possedesse  in  quel  luogo,  che  è  sotto  l'alpe  di  Prato- 
magno. 

3.  Camporsevoli ,  cast,  in  V.  di  Chiana.  Urseolus  fu  in  alcuni 
luoghi  nome  personale  nella  età  di  mezzo  ;  la  origine  da  Orsello  sa- 
rebbe la  più  regolare,  sebbene  la  Chiana  non  ci  porga,  per  ora,  esempj 
simili  a  quello  di  Cevoli=  Celli,  §  V. 

4.  Capoliveri  o  -liberi,  'Caput  liberum'  (?)  Rep. ,  cas.  nell'isola 
d'Elba  (1235),  il  quale  deve  aver  preso  nome  da  un  Libero;  cfr.  S.  Li- 
berius  e  S    Eleutherius. 

5.  Colle-Galli  o   Colleg-,   cas.   in  V.  di  Greve;   altro  in  V.  d' E- 


'  caria,  se  non  è  voce  antilatina,  non  potrebbe  venire  se  non  dalla  base 
che  è  in  carduus,  come  ne  viene  scariare  =  ex-card-i-are,  cardare  con 
quell'  erba  spinosa,  termine  de'  gualchieraj  e  lanajuoJi,  e  s-carza,  'dipsacus 
fullonum'. 

*  Notabile  è  questo  sforzo  di  rappresentare,  con  gì  palatale  (in  mancanza 
di  meglio),  lo  -gghji-  del  fior,  rusticano  (F^V/^/yme  =  Figlinae),  un  suono 
di  mezzo  tra  il  gutturale  e  il  palatino;  del  quale  riparlo  altrove. 


426  Bianchi, 

vola  (e.  del  1200  circa).  Gallo  fu  nome  personale  tanto  nei  tempi  ro- 
mani, quanto  nell'età  di  mezzo;  ed  anche  il  gallo  del  pollajo  ha  dato 
nome  a  luoghi.  Ma  il  primo  è  scritto  anche  C-Galle,  ed  è  presentato 
dal  Rep.  nella  forma  di  Collecalli,  sotto  l'art.  'Greve';  vi  ò  dunque 
-callis,  cfr.  qui  il  n.°  1. 

6.  Colle-MuscoU,  castellare  in  v.  d'Era  (1060).  Par  che  vi  sia 
muse  US,  o  un  soprannome  personale  tratto  da  mas,  o  dal  muscolo 
umano;  cfr.  per  l'apparenza  Montopoli  §  X. 

7.  Colle-Patti  o  Collep-,  cas.  in  V.  d' Elsa.  Il  patto  contrattuale 
non  quadra  bene,  e  non  molto  il  pis.  patto  (anch'esso  da  p  a  n  g  o),  che 
■dicesi  d'erba  palustre  raccolta  per  far  lettiera  alle  bestie,  più  comune- 
mente pattume  e  pacciume,  ma  in  senso  più  generale.  Meglio  trovo  in 
e.  lue.  del  761  (V.  2.^  46)  il  crocisegno  d'un  prete  Pa^to,  che  a  mio  sen- 
tire fu  soprannome  di  uomo  tozzo  e  massiccio;  cfr.  Panzalla  al  §  VI 
e  l'Append, 

8.  Fonte- Chiusi ,  cas.  nella  V.  del  Savio  (Rom.).  Vale  'fonte  del 
chiuso'  o  'della  chiusa';  cfr.  §  V,  9. 

9.  Mazzagamboli,  già  Massa-Gamoli,  rocca  in  V.  di  Torà  nel  Pi- 
sano (1330).  Sopra  massa  vedremo;  mentre  dello  scambio  tra  s  e  z  nel 
dial.  pis.  abbiamo  già  incontrato  qualche  esempio  nei  §§  precedenti'. 
Andando  per  le  corte  diremo  per  ora,  che  Gamus  eGamala  son 
cognomi  romani,  e  che  Gamba  è  soprannome  italiano  di  chi  ha  una 
gamba  difettosa.  Credo  che  in  tutti  sia  il  medesimo  nucleo. 

10.  Miccioli  [Monte-].  All'  art.  '  Monte-Ficini  '  dice  il  Rep.  che  è 
una  prominenza  tra  le  valli  dell'Elsa,  dell'Era  e  della  Cecina,  ora  detta 
M.  Miccioli,  della  quale  si  fa  menzione  in  e.  del  1171.  La  variante 
del  nome  spiega  da  sé  che  micciolo  vale  'piccolo'  o  'piccino'  e  va  con 
miccino  e  micolino,  cfr.  mica^. 


*  Veramente  negli  altri  casi  è  z  che  si  cambia  in  ss,  e  non  all'opposto, 
come  nel  presente;  ma  giova  osservare  che  quando  il  pisano,  soggiacendo 
alla  potente  riazione  del  fiorentino  e  d'altri  dialetti  toscani,  lasciò  pesso 
posso  ecc.,  per  tornare  a  pozzo  pozzo  ecc.,  qualche  volta  passò  il  segno,  e 
disse,  per  es.,  penzione  per  pensione. 

'  Forme  identiche,  od  affini,  trovansi  usate  come  nomi  personali,  o  come 
aggettivi  comuni.  Così  un  Micciolo  è  ricordato  in  M.  L.  IV.  105  (an.  764); 
id.,  se  anche  è  di  persona  diversa,  fa  da  testimonio  in  V.  2.*  50  (763)  ;  poi 
vengono:  Micculo  ih.  90  (776),  Miculu  in  Br.  2.»  350  (804),  ego  Miciulo  in 
M.  L.  V.  2.*  367  (844),  fìl.  Micci  ib.  491  (870),  Clusura  Miccula  ib.  516  (874); 
cfr.  §  X,  29. 


Toponimia  toscana:  §  Vili.  Genit.  d'età  incerta.  427 

[11.  Moni' Arrenti,  cast,  in  V.  di  Merse.  Si  possono  proporre  due 
originazioni:  1.^  da  Arjento  ^  Argento ,  con  r  raddoppiata  per  assor- 
bimento dell' j,  ma  questa  sarebbe  una  mutazione  troppo  inoltrata  per 
un  j  cosi  nato  e  relativamente  moderno;  2.^  da  ad  e  '^Renti,  che  sta- 
rebbe per  '"^Lorenti^  come  Centi  in  carte  lucchesi  per  Vincenti,  cfr.  spg. 
Lorente  Vicente  al  §  III.] 

12.  Monte  Bagnoli  o  M.  Bagnolo  (leggi  -uoli  ecc.),  cas.  perduto 
nel  Vald,  fior.  (an.  1090,  1237);  balneolum  è  già  nel  latino. 

13.  Monte-Calvi  o  M.-Calvoli,  castellare  in  V.  di  Pesa  (1142-44); 
ce  ne  sono  altri  sei,  tra  cui  due  variano  con  -oli  (sec.  xii  e  xiii).  Calvo 
in  questi  è  soprannome  di  persona,  e  ne  vanno  distinti  i  Monti  che 
hanno  l'aggiunto  di  Calvo,  Calvino  o  Calvello,  col  quale  viene  indicata 
la  nudità  loro.  Ci  son  anche  le  Calvane,  mm.  tra  il  Bisenzio  e  la  Sieve. 

14.  Monte-Catini  o  Alontec-,  cast,  in  V.  di  Cecina  (1099,  1225); 
id.  e  Monte  Catino,  terra  in  V.  di  Nievole  (1079).  L'origine  della  voce 
è  chiara;  ma  catino  si  può  prendere  tanto  in  senso  di  Walle  concava' 
ossia  'bacino',  quanto  in  quello  proprio  di  vaso,  sia  che  vi  si  trovasse 
là  per  qualunque  cagione,  sia  che  vi  se  ne  fabbricasse;  e  ci  è  poi 
l'intreccio  con  un  nome  pers.,  come  più  chiaro  si  scorge  in  Catignano 
e  -igliano  da  Catini us. 

15.  Monte-Cerboli ,  castelletto  in  V.  di  Cecina  (1160).  Alcuni  lo 
hanno  tratto  da  Cerbero,  per  «  gl'infernali  bulicami,  fumacchj  e  lagoni 
del  sai  borace  »  ;  ma  questi  sembrano,  al  Targioni  ed  al  Repetti,  sco- 
perti per  ismotte  accadute  dopo  il  s.  xiii.  Meno  fantastico  è  il  lat. 
cervulus,  ed  Acerbus,  che  ho  letto  come  personale  in  carte  an- 
tiche \  Cfr.  M.  Corholi  al  §  XI. 

16.  Monte-Cerri  o  M.-Cerro,  nella  V.  del  Rabbi  (Rom.);  ha  il  gen. 
di  cerr US. 

17.  Monte-Fenali  o  -Fienali,  m.  nel  Chianti  tra  il  Vald.  e  la  V. 
d'Omb.  sen.  La  seconda  parte  potrebb'esser  un  agg.;  ma  siffatti  nomi 
in  -ale  sono  in  Toscana  generalmente  sostantivi,  ed  indicano  un  ter- 
reno destinato  al  frutto  espresso  dalla  base;  cfr.  §  IV,  e  qui  il  n.  28. 

18.  Monte-Fiore  o  M.  Fiori,  'Mons  Floris',  fortilizio  diroccato 
in  V.  di  Magra;  altro  Montefìore  fu  un  cast,  in  V.  d'Ombr.  pist.,  di- 
strutto dai  Fior,  nel  1228  (Rep.);  ed  un  terzo  {M.  Fiori)  è  nella  V.  del 
Santerno  (Rom.). 

19.  Monte-Forcoli,  cast,  in  V.  d'Era;   dove   si  ha  pure  il  casale 


^  cerho  per  acerbo  è  comune  tra  i  contadini  toscani;  cfr.  zerb  dei  dia- 
letti settentrionali. 


42S  Bianchi, 

Forcole  e  -oli,  che  anche  potrebbe  stare  con  Ford  nel  §  V.  Del  resto, 
Forcalo  fu  personale  nel  medio  evo  ^. 

20.  Monte- Gabbavi,  sprone  dell'Alpe  Apuana,  che  deve  aver  preso 
nome  da  un  terreno  sterile  e  nudo^;  cfr.  sopra  il  n.°  13. 

21.  Monte-Gemmoli  o  Monteg.,  m.  nell' Appenn.  di  Firenzuola; 
Monte-Gemoli  o  Monteg-,  cas.  in  V.  di  Cecina.  Viene  da  geminus, 
che  fu  anche  usato  qual  cognome  dai  Rom.,  piuttostochè  da  gemmula. 

22.  Monte  Granelli  o  Montegr. ,  cast,  nella  V.  del  Savio  in  Ro- 
magna. 

23.  Monte-Liscari,  o  Montoliscai,  cas.  in  V.  d'Arbia  (1089,  1101). 
La  doppia  forma  accenna  ad  un  gen.  di  -arium,  che  è  più  probabile, 
ma  non  esclude  l'uso  concorrente  di  due  agg.  in  -aris  ed  arius,  §  III 
e  IV.  Quanto  alla  base,  si  presentano  lisca  (aristula)  ed  esca  (da  at- 
taccar fuoco).  Ho  incontrato  L'-iscajo  come  nomignolo  di  luogo  ^. 

24.  Monte-Loro,  'Mons  Laurus'  Rep.,  cast,  nel  Vald.  fior.  (1042). 
Ho  udito  quasi  sempre  Monti-Loro.  Loro  sta  per  Lori,  ridotto  a  de- 
sinenza comune,  poiché  la  logica  non  permette  di  considerarlo  quale 
sost.  attributivo.  Ciò  dicasi  pure  del  seg, 

25.  Monte-Lupo,  cast,  nel  Vald.  inf.,  fabbricato  dai  Fior,  nel  1204 
per  opporlo  a  Capraja,  che  era  in  potere  dei  Pistojesi^. 


^  Una  e.  lue.  del  722  (V.  2.^  8)  ha  «  casa  Furculi  in  Massa  Tagiani  »  (dove 
Ta-  sarà  =  Tatiani),  in  cui  Fur.  è  senza  dubbio  nome  di  persona,  avendosi 
anche  un  servo  dì  nome  Furculo  in  e.  del  7o5  (IV.  86),  e  Furculu  al  gen. 
in  altra  del  793  ap.  Br.  2.^  296.  Accenna  ad  origine  da  tempi  romani  loco 
Furciana  in  M.  L.  V.  2.*  442  (857),  che  sarà  da  un  Furceus,  o  piuttosto 
da  un  Furicius,  che  starebbe  a  Furius  :  :  Publicius:  Publius;  quindi 
Furciana  come  M.  Pulciano  da  Public-. 

2  II  Rep.,  sotto  l'art.  'Gabbro,  Gabbreto,  Monte-Gabbro',  nota  giustamente 
come  sinonimi  'Monte-Fei'rato,  -Nero,  -Tignoso  -Rognoso,  -Pelato'  ecc.,  così  detti 
«da  un  terreno  sterile,  generalmente  di  tinta  verde-nera,  d' aspetto  ferrigno, di 
qualità  magnesiaca,  chiamato  gabbro  dai  naturalisti  toscani».  C'è  anche  il 
gabbro  rossastro,  che  è  un  galestro  compenetrato  di  ossidi  e  silicati  metal- 
lici. Gabbro  (sottin.  'terreno')  è  in  origine  un  agg.  e  vale  'spelato',  'nudo  di 
piante'.  I  naturalisti,  che  hanno  reso  mondiale  questa  voce,  non  si  son  cu- 
rati di  sapere  che  viene  dal  lat.  glaber,  e  che  a  Gabbreto  corrisponde  il 
plur.  glabre t a  di  Columella.  Per  la  l  sparita,  cfr.  caviglia  =  c\ai\ì cidi  ecc. 

^  Un'  Ischia-  da  aes-  o  esculus  non  converrebbe  affatto;  che,  invece 
di  ricorrere  a  dissimilazione,  per  evitare  -jajo,  sarebbesi  preferito  ischieto, 
voce  comunissima.  Credo  anzi  che  i  varj  Ischeto  Escheto  e  Scheto  che  ci  dà 
il  Rep.,  anco  quando  vengano  da  esculus,  abbian  preso  forma  dall'esca^ 
che  l'acevasi  con  una  specie  di  fungo,   nascente  sopra  alberi  boscherecci. 

*  E  volgata  opinione  che  cosi  lo  chiamassero  per  pompa  di  militare  alte- 


Toponimia  toscana:  §  Vili.  Geuit.  d'età  incerta.  429 

26.  Monte-Massi,  cast,  nella  Mar.  grossetana  (1076)  ;  altro  è  un 
luogo  tra  Cascia  e  Scò  nel  Vald.  s>up.,  e  M. Masso  è  m.  in  V.  d'Ema. 
Massi  potrebbe  anche  venire  dal  genit.  di  massa,  ma  per  regola 
dovrà  starsi  a  masso:,  cfr.  qui  il  n.°  36. 

27.  Monte-Morli,  cast,  perduto  in  V.  d'Elsa  (1140);  M.  Morlo  fu 
nome  di  m.  nell'Alpe  Apuana  (1260);  M.  Murlo,  fortilizio  in  V.  d'Om. 
pist.;  id.,  m.  tra  il  Vald.  e  il  Chianti.  Nel  Vald.  odo  sempre  Murlo, 
che  è  la  forma  più  corretta,  da  mùrulo,  che  varrebbe  'muriccio'  a 
sostegno  delle  pendici  coltivate;  cfr.  Div.  C,  Par.  16,  64. 

28.  Monte- Orgiali  o  Montor-,  'Mons  Orzalis'  Rep.,  cast,  nella  V. 
infer.  dell'Ombr.  sen.  ;  la  forma  -Orzali  sarebbe  in  una  carta  del  1188. 
Veggansi  qui  i  n.i  17  23  30  35  41. 

29.  Monte- Orsoli  o  Montor-,  m.  nel  Vald.  fior.;  altro  id.  e  villa 
in  V.  d'Elsa.  Ursulus  vale  'orsatto',  e  fu  usato  come  nome  pers.  che 
perdurò  nell'età  di  mezzo;  cfr.  n."  3. 

30.  Monte-Pescali ,  cast,  in  V.  di  Bruna  (Mar.);  da  'pesco,  cfr. 
n.°  28  ecc. 

31.  Monte-pescini,  e  corrottamente  M.  Pescino,  cas.  in  V.  di  Merse 
(1053);  dev'essere  stato  M.  Piscinae,  essendovi  molti  luoghi  che  da 
piscina  hanno  tratto  il  nome. 

32.  Monte  Pilli,  già  'M.  S.  Martino'  (1066);  Monte  Pilloli  (1085), 
m.  fra  il  Vald.  fior,  e  il  sup.  Più  luoghi  diconsi  Pillo,  Pilli,  a  Pilli, 
ai  quali  meglio  d'ogni  altra  voce  conviene  pin-ulo,  con  cui  trovasi 
indicato  un  luogo  del  Lucchese  in  V.  3.^  386  (an.  980)  ^ 

33.  Monte  Picini,  lo  stesso  che  Miccioli  del  n.°  10. 

34.  Monte-Poli,  cas.  in  V.  di  Sieve.  È  senza  dubbio  M.  Pauli 
(cfr.  S.  Polo),  ma  n'è  incerta  l'età  relativa,  essendo  il  nome  pers. 
romano  rimasto  sempre  in  uso. 

35.  Monte-Pozzali,  poggio  in  V.  di  Bruna;  v.  qui  17,  28,  e  ivi  le 
citazioni. 

36.  Monte-Sassi,  cas.  in  V.  di  Sieve  (1212)';  cfr.  qui  il  n.°  26. 

37.  Monte-Siepi,  m.  in  V.  di  Merse. 

38.  Monte-  Vivagni  o  -  Vivagno,  rocca  distrutta  in  V.  di  Sieve.  Sarà 
rit.  vivagno,  che  vale  'ripa'  o  'sponda',  e  potrebbe  aver  significato 
anche  vivajo  (più  luoghi  così,  cfr.  n.  31). 


rigia,  contrapponendo  il  lupo  alla  capra  ;  ma  in  tal  caso  sarebbesi  detto 
Lujjo  semplicemente,  Lupaja  o  Castel-lupo,  non  M.  Lupo,  che  deve  esser 
più  antico  del  castello  che  vi  fu  fabbricato  e  ne  tolse  il  nome. 

^  Per  la  stessa  ragione  fonetica,  Prulli  del  Vald.   sup.  si  richiamerà  a 
*Prunuli;  cfr.  di  -alla  nel  §  VI. 


430  Bianchi, 

39.  Montingégnoli ,  cast,  tra  le  valli  della  Cecina  e  della  Merse. 
Ingegno  vale  anche  'ordigno',  e  può  essere  stato  soprannome.  Ho  io 
udito  Talento,  così  adoperato. 

40.  Monf-Odoìi,  antica  parrocchia  in  V.  d'Evola;  cfr.  qui  il  n°  18. 

41.  Montoggioli,  montuosità  nell' Appenn.  di  Pietramala.  Qui  per 
ora  non  ho  alcuna  spiegazione  soddisfacente. 

42.  Montramito,  già  'Monte  Travante',  cas.  nella  marina  di  Via- 
reggio (1172).  È  mons  tramitis;  nel  contado  fior,  tràmite,  talora -o, 
indica  lo  spazio  frapposto  a  due  filari  di  viti. 

43.  PadulQsen,  antica  via  di  Pisa  presso  il  Duomo  (Rep.  IV  378). 
Èpalus  Auseris,  del  Serchio,  di  cui  un  ramo,  prima  del  mille, 
passava  presso  le  mura  occidentali  di  Pisa. 

44.  Piedemonti,  Piemonti  (Nann.  pp.  207,  211),  forme  anteriori  a 
Piemonte,  lat.  barbaro  Pede  Montis.  Questo  nome  fa  parte  ancora 
della  geografia  toscana,  essendo  così  chiamato  il  piano  posto  tra  il 
Monte  Pisano  e  l'Arno;  ed  avendosi  inoltre  limante  o  Pie-,  contrada 
in  V.  di  Bisensio,  id.  id.  e  Pomonte  (1116),  pieve  in  V.  di  Sieve,  sopra 
un  risalto  isolato  di  collina  ^ 

45^.  Pincioli  {Colle-);  da  quest'art,  il  Rep.  rimanda  a  Colle  Pin- 
zuto, dove  dice,  che  di  un  colle  dov'era  Casale  Pintioli  presso  Orciano 
in  V.  di  Torà,  si  fa  menzione  in  un  contratto  del  909.  —  Poggio  Pineis 
o  Pinci;  di  qui  il  Rep.  rimanda  a  'Montalceto'  in  V.  d' Ombr.  sen. , 
com.  d'Asciano;  ma  nulla  vi  trovo.  —  Pineis  [S.  Felice  in...),  prima 
detto  in  Avane  o  Avana  (§  VII,  2),  volgarmente  in  Pineis  o  in  Brolio, 
pieve  antica  in  una  piaggia  fertilissima  del  Chianti.  —  E  superfluo  av- 
vertire, che  la  -s  di  Pineis,  dataci  dal  Rep.,  è  una  saccenteria  di  pre- 
tucoli.  —  Poggio  Pinzi  è  una  delle  punte  del  Monte  Amiata.  Vanno 
qui  ravvicinati:  Pizzidimonte,  Pizzimonte  o  Pinzi  di  Monte,  cas.  in 
V.  di  Bisenzio,  posto  nella  punta  d'un  poggio;  Pizzo  d'Uccello,  punta 
dell' Appenn.  lucchese;  la  Pizzorna  o  le  -orne,  montuosità  che  fa  spal- 
liera alla  pianura  orientale  di  Lucca.  Come  nomi  comuni,  pincio,  pizzo 
e  pinzo  significano  'punta';  ma  i  primi  di  codesti  nll.  accennano  piut- 
tosto a  Pincio  o  Pinco  qual  personale  ^. 


^  La  forma  Pi-  renda  certa  questa  origine;  ma  so  per  tradizione  orale 
che  pò-  (da  post  nel  senso  di  pone)  usavasi  per  'dietro',  ed  un  terreno 
dicevasi  'posto  pavento^  o  ^a  p.\  quando  un  poggio  lo  riparava  dal  vento. 
Ho  udito  dopo  casa  per  'dietro  casa';  cfr.  addoparsi. 

2  Cfr.  Pinci  (gen.)  in  e.  lue.  del  744  (V.  2.*  21),  e  così  «Stantio  qui 
Pinco  vocatur»  in  e.  del  990  (ib.  S.^  611).  Sopra  questa  famiglia  di  voci,  v. 
la  mia  'Stor.  prep.  A',  p.  207. 


Toponimia  toscana:  §  Vili.  Genit.  d'età  incerta.  431 

45^.  Poggi-hagnuoli^  luogo  tra  il  Vald.  e  il  piano  d'Arezzo;  cfr.  il 
n.°  12.  Poggi '= 'poggio,  v.  §  IX,  27. 

46.  Poggio  Martiiri,  ant.  nome  di  Poggibonzi,  quando  risedeva  sul 
colle.  Del  secondo  nome  parleremo  sotto  il  §  XI.  Quanto  al  primo, 
giova  avvertire  col  Rep.  che  a  Volterra  c'era  un  Borgo  di  Marhiri, 
0  Marcoli,  fuori  di  Porta  Marcii,  del  quale  si  farebbe  menzione  in  un 
placito  della  Contessa  Matilde  del  1070.  Se  sta  la  variante  Marcoli, 
saremmo  indotti  a  pensare  a  marculus  =  martulus;  ma  altro  ve- 
ramente per  ora  non  dobbiamo,  se  non  astenerci  dall'  accumular  con- 
ghietture  \  solo  aggiungendo  che  il  Rep.,  sotto  l'art.  'Dicomano',  ram- 
menta in  luogo  detto  Costamartoli,  dal  quale  prende  nome  un  botro 
che  scende  in  Romagna. 

47.  Pomarance,  già  Ripo-  e  Ripamarance,  terra  in  V.  di  Cecina 
(1173-86,  1203).  Tra  parentesi  il  Rep.  presenta  anche  la  forma  di  Ri- 
pomarancio,  non  so  se  per  farne  un  rio  del  pomarancio.,  etim.  a  cui 
ha  preso  parte  il  popolo  col  togliere  il  n-;  ma  vi  è  la  forma  Ripa- 
che la  guasta,  ed  è  poi  tal  nome  da  credersi  più  antico  della  coltiva- 
zione dell'arancio  in  Toscana^.  Non  può  dubitarsi  che  il  primo  ele- 
mento sia  ripa^  laddove  nel  secondo  scorgo  il  gen.  d' un  derivato 
possessivo  in  -ico  (*Mauranicae),  come  Pisanica,  Paganico  ecc.,  'ap- 
partenente ai  Pisani,  app.  a  Pagano'  ecc. 

48.  Pontoì'me  o  -mo,  'Pons  Ormis',  borgo  presso  il  ponte  del  tor- 
rente Orme,  vicino  ad  Empoli  (780,  1120). 

49.  P^ato-Valle,  villata  sopra  Loro  nel  Vald.  sup.  (1240). 

50.  Ricasoli,  cast,  ridotto  a  villa  presso  Montevarchi,  nel  piviere 
di  Cavriglia  in  Vald.  sup.  (1067,  1182-91).  Il  P.  Ildefonso  (*Del.  degli 
erud.  tose.',  VII  221)  ci  dà  in  un  doc.  'S.  Maria  a  Ricasole\  che  è 
la  forma  più  antica  (§V);èrivus  casulae,  che  sarebbe  il  botro 
scorrente  sotto  il  castello  ^. 


^  Trovo  la  detta  contessa  «residente  in  loco  Martire»  in  im  placito  del 
1100  (M.  L.  IV.  2.a  app.  123),  ed  un  Campo  Martuli  in  e.  del  995  (V.  Z.^ 
646*,  dov'è  anche  un  Béritio  figlio  del  fu  Marte;  ed  abbiamo  un  esempio 
più  antico  in  Martalone,  che  potrà  leggersi  anche  -ulone,  ap.  Br.  1.^  54^ 
(anno  752). 

*  Pomarancio  e  -a  per  melarancio  ecc.  non  doveva  esser  popolare  in  To- 
scana, siccome  anc'oggi  è  voce  più  conosciuta  che  usata;  poiché  manca  alla 
vecchia  Crusca,  e  come  gentilmente  mi  dice  il  Tortoli,  manca  ancora  alla 
nuova,  nel  ricchissimo  archivio  preparato  pel  Voc.  che  è  in  corso  di  stampa, 
benché  sia  tal  parola  da  non  sfuggire  fra  tanti  libri  di  coltivazione  che 
vi  sono  spogliati. 

'  Da  questo  feudo  tolse  nome  una  famiglia  ben  nota.  —  Non  ho  aggiunto. 


432  Biauchì, 

51.  Valle -Baine,  rio,  o  meglio  borrata  in  V.  Tiberina,  dalla  quale 
prese  nome  un  casale  (S.  Pietro  a  Dame);  lat.  dama? 

Come  abbiamo  veduto  in  altri  del  §  prec.,  anche  g^ui  è  stato  smar- 
rito il  sentimento  del  genitivo  in  Calicarza,  M.  Fiore  e  -i,  M  Loro, 
M.  Lupo,  M.  Murlo  e  -i,  Montramito ,  Piemonte,  Pontorme,  Prato- 
Valle.  In  quest'ultimo  non  sarebbe  assurdo  intender  valle  per  sost.  at- 
trib.,  ma  stuona;  all'incontro  due  sost.  ben  quadrano  in  Monsoglio^  e 
Monte  Luco  (§  VII,  16),  come  possono  sentirsi  in  Monte- Vaso  presso 
Livorno  (an,  780)  e  Monte  Vasone  in  Y.  d'Elsa,  che  fa  anche  -oni,  il 
quale  può  spiegarsi  secondo  il  §  IV  ;  ma  in  questi  due  non  può  il  gen. 
escludersi  assolutamente. 

§  IX.  Qui  sottordino  i  genitivi  di  nomi  latini  o  biblici,  che  sono 
osi  posson  presumere  applicati  sotto  l'influsso  del  cristia- 
nesimo, in  età  cioè,  se  non  sempre  più  moderna,  almeno 
meglio  determinata  che  per  quegli  del  §  Vili.  È  l'età  per 
la  quale  passiamo  e  c'inoltriamo  nei  tempi  barbarici;  e  così  reputo 
che  questo  sia  il  posto  meno  disadatto  anche  per  quei  nomi  che  hanno 
origine  od  applicazione  ambigua,  tra  teutonica  e  latina. 

1.  Callagnolo,  'Callis  Angeli'  Rep.,  Casale  in  Casen.;  per  V -o 
V.  sopra. 

2.  CampalboU,  sobborgo  d'Asciano  in  V.  d'Ombr.  sen.,  campus 
Albuli.  —  Albus  Albius  Albinus  ecc.  son  personali  romani;  il 
terzo  è  nome  di  tre  santi  (dal  iv  al  vii  sec),  ed  è  col  primo,  con 
Albulo  Alpio  Alpulo  Alholfo  Alpogliiso  ecc.,  nome  proprio  sotto  i 
Longobardi  ed  i  Franchi;  v.  Append. 

3.  Campogiovanni,  casale  in  V.  di  Sieve  (1079). 

4.  Caposelvi,  già  Camposelvoli,  cast,  nel  Vald.  sup.  Può  intendersi 
'campo  della  selva',  il  cui  primo  elem.  sarebbe  poi  stato  confuso  con 


perchè  non  contiene  né  rio,  ne  un  gen.,  Ricetro  o  Riscetri,  'Gastrum  Rice- 
teri'  Rep.,  cas.  presso  Camajore  (Lucca),  scritto  Riscetulo  in  carte  del  984 
e  1099.  Questa  varietà  di  forme,  a  cui  deve  congiungersi  Resceto  o  Ra., 
cas.  nella  V.  del  Frigido  presso  Carrara,  conduce  manifestamente  ad  uji 
*rusceto  da  rusco,  che  per  'pugnitopo'  usasi  tuttora  nel  Pis.  e  nel  Lue. 

^  È  una  villa  nel  Vald.  sup.  in  prov.  d'Arezzo.  Il  Rep.  latineggia  *Mons 
Solii'.  Farebbe  più  comodo  Mons  Olei;  ma  senza  dire  che  sarebbe  l'unico 
esempio  di  -s  conservata  nel  nominat.  della  3.%  s' aggiunge  che  dovremmo 
essere  a  Mosoglio.  La  posizione  di  questa  villa  in  un  gran  masso  isolato, 
che  si  alza  sopra  un  altipiano  terroso,  mostra  che  qui  si  ha  solium  guai 


Toponimia  toscana:  §  IX.  Genit.  di  tempi  cristiaui.  433 

capo,  quasi  valesse  principio  o  termine  della  selva;  ma  abbiamo  il  rom. 
Sii  vi  US  (anche  un  santo),  Silvo  e  SilvolOy  che  stanno  con  Silverat, 
Silviperto  ed  altri  longobardi;  v.  ibid. 

5.  Colle-Carelli  o  Collec-,  castellare  in  V.  d'Era  (980);  Monte-Ca- 
relli 0  Montec-,  cas.  nel  Vald.  sup.;  altro  id.  è  castellare  in  V.  di 
Sieve  (carte  del  1048-91,  1104).  Carus  era  personale  presso  i  Ro- 
mani; ma  sebbene  questi  avessero  il  ben  noto  Marcellus,  un  dimin. 
in  -e  11  US  nel  caso  nostro  non  mi  sa  troppo  di  romano.  In  e.  lue. 
del  762  (IV.  96)  si  ha  casa  Carelli  e  poi  terra  de  filii  Carelli,  e  si  ha 
Cari  genit.  in  altra  del  738  (V.  2,^16),  il  quale  si  mostra  un  accor- 
ciamento di  Liutcari  Ildicari  Adalcliari  o  simile  ;  v.  ibid  ^ 

6.  Colle-Ramoli,  Villa  in  V.  di  Greve  (1028).  Si  presenta  facil- 
mente il  lat.  ramulus  'ramoscello',  ma  c'ò  Ramulus  delle  carte,  che 
apparisce  accorciam.  dimin.  di  Willeramus  Gunteramus  e  simili;  v.  App. 

7.  Colle-Rombolì  o  -Romoli,  cas.  in  V.  di  Torà  nel  Pis.  (1209)^. 
Il  nome  romano  si  diffuse  poi  per  il  santo  che  lo  portò,  ma  un  omo- 
fono suo  potette  trarsi  da  Romualdo;  cfr.  ibid,  e  il  num.  prec. 

8.  Colleviti,  o  CoUevitoli,  castellare  in  V.  di  Nievole.  Vitis  mal 
conviene,  che  piuttosto  avremmo  avuto  -vigni  (cfr.  §  V  23)  ;  e  sarà  il 
pers.  Vito,  lasciato  dal  santo  di  questo  nome,  che  fu  martire  sotto 
Diocleziano  ^. 

9.  Gattoli  (Monte-)  o  Monte-Gattori,  villa  in  V.  d'Ombrone  pist., 
detta  anche  M.  Gottari  e  -Gottoli.  1  nomi  locali  da  gatto  si  presen- 
tano in  veste  più  moderna  (per  es.  Villa  de'  gatti,  sopra  Fir.,  se  pur 
non  fu  dei  G.  famiglia),laddove  la  variazione  tra  «  ed  o  accenna  un 
accorciato  di  Gautpert  o  di  altro  Gaut-  (per  Va  cfr.  Gadifrìd  =  Gaud- 
nell'Append.,)  con  intreccio  di  qualche  Gottifredi,  il  cui  dimin.  it. 
Góttolo  risponderebbe  a  Gottitio  delle  carte. 

10.  Giglioli  (il/onte-),  m.  in  Romagna.    Apparisce  un  dimin.  di 


sost,  attrib.  —  Soglio  è  monte  nel  Casentino,  e  casale  di  V.  del  Montone 
in  Romagna. 

^  Caro  e  Belcaro  s'incontrano  spesso  a  tempo  dei  Comuni.  Non  ci  sedu- 
cono il  carellato,  che  nel  Vald.  è  la  chiusa  di  un  orto  ecc.,  né  altre  voci 
omofone.  —  Aspetto  più  romano  si  presenta  in  Caralle,  luogo  perduto  che 
il  Rep.  rammenta  sotto  l'art.  'Giuncàrico',  e  che  sarebbe  andato  al  §  VI. 

2  II  dial.  pis.  ha  camberà,  sembola  e  simili  per  cmnera  ecc.  Rgmbolo  per 
Romolo  fu  anche  forma  fior.,  e  non  interamente  sparita  dal  contado. 

»  C'è  Tito  in  e.  lue.  del  793  (IV.  172),  che  dovrà  distinguersi  da  Wito  in 
V.  2.^  130  (an.  788),  cui  foneticamente  corrisponde  Guito  ibit.  131,  ed  è  pro- 
nunzia longobardica  del  franco  "Wido,  onde  Guido.  Del  resto,  cfr.  qui  il  n.  28. 

Archivio  glottol.  ital.,  IX.  28 


434  Bianclii, 

giglio,  usato  qual  nome  o  sopran.  di  personal  Tra  i  nomi  diLongobardi, 
incontreremo  (ibid.)  Giliulo  Liliopinctus  e  Lilianfunsus;  cfr.  il  seg. 

11.  Gilione  {Castel-),  cast,  in  V.  Tiberina;  pare  che  C-  G-  così 
leggasi  anche  in  carta  del  10S3.  Cfr.  il  prec.  ;  ma  se  l'ortografia  con 
pura  l  è  esatta,  converrà  piuttosto  ricorrere  a  Gilio  °  Egidio:,  cfr.  §  III. 

12.  Monselvoli,  villa  in  V.  d'Ombr.  san.  ;  v.  il  n.  4. 

13.  Mont'Arfone,  o  Montarfoni,  cas.  nel  Vald.  arretino.  Non  ho 
nulla  di  sodamente  stabilito.  14.  Monte-Carelli,  v.  il  n.  5. 

15.  Monte-Chiari  o  Chiaro,  castellare  in  V.  di  Pescia  (V.  di  Nie- 
vole);  altro  M.  Chiaro  è  in  V.  di  Magra,  ed  un  terzo  è  villa  in  Y. 
d'Arbia.  Clarus  è  un  santo  del  V  sec.  (Martyr.  8  nov.),  e  seguitò 
questo  nome  pers.  fino  ai  tempi  moderni;  ma  negli  ultimi  due  luoghi 
può  essere  agg.  significante  'aprico'  o  'nudo'. 

16.  Monte- Fio  scoli  o  M.  Flosculi,  cas.  in  V.  di  Sieve,  rammen- 
tato in  una  provvigione  della  Rep,  Fior,  del  1290.  All'Art.  'Floscoli 
(Monte)',  il  Rep,,  che  lo  traduce  'Mons  Flusculi',  dice  che  è  nome  di 
casale  o  di  poggio  nella  delta  V.,  volgarmente  appellato  M.  Fruscoli 
0 -Foscoli\  Qui  il  'volgo',  come  quasi  sempre,  ha  ragione;  la  l  prima 
non  vi  ha  che  fare,  e  le  forme  popolari  rappresentano  giustamente  i  cogn. 
rom.  Fuscus  e  Fusculus,  che  durarono  nel  medio  evo  e  fino  ad  oggi  -. 

17.  Monte-Lonti,  villa  in  V.  d'Elsa,  a  un  miglio  da  Poggibonzi. 
È  da  rigettarsi  Leontii,  perchè  manca  l'è  ed  il  f  è  integro.  Il  piti 
probabile  è  ^Lunto,  regolare  dimin.  longob.  con  accorciam.  da  Luni-perto 
(anche  -chisi),  che  nel  x  sec.  prende  la  forma  di  Lùnizzo  (v.  App.). 

18.  Monte-Mori  d'Asciano,  cas.  in  V.  d'Ombr.  pist.  -  Maurus  è 
nome  rom.  e  di  più  santi  (v.  il  Baron.);  c'è  Moro  soprann.  per  'bruno', 
dai  quali  il  casato  Mori]  ma  moro  per  'gelso'  è  meno  conveniente^. 


^  Liliosa  fa  martire  sotto  i  Mori  di  Spagna  (Baron.  27  lugl.). 

^  La.  l  fa  appiccicata  alla  f  dalla  saccenteria  dei  uotari,  i  quali  avranno 
creduto  che  sotto  vi  fasse  il  lat.  flosculus,  corrotto  dalla  plebe  ;  ma  questa 
in  tal  caso  avrebbe  detto  fioscolo.  Foscoli  e  Fru-  stanno  bene  insieme;  cfr.  fo- 
sco infuscare  ed  infni-  'confonder  la  mente'.  Fuschulo  poi  è  soprannome 
di  un  'Sisemundo'  in  e.  lue.  del  1013  (IV.  2.^  120),  e  si  hanno  i  santi  F  u- 
sculus  e  Fuscianns,  dal  qual  ultimo  presero  nome  alcuni  indicati  nelle 
carte,  e  anche  ne  venne  Fuscio  che  par  variante  di  Fuscus  (ibid.  tSS,  an. 
800).  Altro  M.  Foscoli  è  in  V.  d'Era,  e  non  ebbe  nome  da  un  Foscolo  Scap- 
petta  (1101).  come  vuole  il  Tronci  (v.  Rep.). 

^  Qualche  derivato  di  Maurus  è  stato  trattato  nel  §  prec.  al  n.»  47;  e 
vi  sta  bene,  perchè,  come  vedremo  nell'Append.,  una  designazione  locale- 
in  -ano,  come  indicante  pertinenza  [:ersouale,  non  era  da  sospettarsi  for- 
mala in  tempi  barbarici. 


Toponimia  toscana:  §  IX.  Geuit.  di  tempi  cristiani.  435 

19.  Monte-Ràboli  o  Ravoli,  cas.  in  V.  d'Elsa  (ss.  xiii  e  xiv).  È 
noto  il  lat.  rabula,  'cavalocchio,  affannone',  che  può  supporsi  anche 
soprann.  d'uomo  rabino,  cioè  'stizzoso'  (cfr.  -alla,  §  VI,  21."^).  L'ipotesi 
di  un  franco  Rad-  o  Ratbert  avrebbe  contro  di  sé  la  variante  Ravoli. 

20.  Monte-Rantoli  o  Monter-,  ora  'M.  ^Martiri',  dopoché  nel  161  (> 
vi  furono  scoperte  ossa  di  martiri;  è  una  cappella  (S.  Giusto)  tra 
r  Ema  e  la  Greve.  S' ha  qui  forse  la  forma  longob.  di  Randolo,  ac- 
corciam.  di  Randualdo  o  simile  (v.  Append.). 

21.  Monte-Raponi,  villa  in  V.  d'Arbia  (998). 

22.  Monte-Riolo  o  M.  Orioli,  'Mons  Aurioli'  Rep.,  cas.  nella  V. 
del  Savio  in  Rom.,  posto  in  monte  tra  il  torrente  Para  e  il  Rio-Maggio. 
Dice  il  Rep.  che  in  una  e.  del  1026  leggesi:  «de  uno  castro  quod 
dicitur  Aiiriolus  ».  Sarebbe  A  u  r  e  o  1  u s  dimin.  di  A  u  r  e  u s,  che  si  trova 
come  nome  di  un  martire  del  V  sec.  (16  giugno)  ^ 

23.  Monte  S.  Maria,  'Castrum  Montis  S.  Mariae'  Rep.,  terra  in 
V.  di  Tevere  (s.  x).  Ha  il  gen.  volto  a  desinenza  comune;  cfr.  n.  28. 

24.  Monte  S.  Quirìco,  detto  Monsaquilici,  già  'S.  Quirico  in  Mon- 
ticello',  in  V.  di  Sarchio,  «  piccolo  monticello  che  abbraccia  una  po- 
polosa contrada  sotto  la  parrocchia  di  S.  Q.  a  Monsaquilici  ».  Cosi 
il  Rep.,  che  in  fine  usa  questo  nome  spezzandolo  in  Mon  San  Quilici, 
e  cita  una  e.  del  788  (IV.  162),  dove  se  ne  richiama  una  oggi  perduta 
del  767.  La  forma  pop.  Quilici  =  Qvlìtì ci  (gen.)  è  la  più  genuina  e 
la  vera  tradizionale  ^. 

25.  Monte  S.  Savino,  terra  in  V.  di  Chiana.  Una  e.  del  1073  ha: 
«infra  plebem.  >S'.  Savird  in  Barbajano  ».  Savini  sta  per  Sabini,  o 
prese  poi  la  finale  comune. 


^  Neil' A pp.  vedremo  Aurio  ed  Aurulo  tratti  da  Auriprando  e  simili,  iii;i 
non  un  derivato  in  -iólo,  che  è  meramente  possibile  in  nomi  teutonici  an- 
teriori al  mille,  i  quali  s'innestano  quasi  sempre  il  lat.  -ùlus.  L'autorif;i 
della  carta  non  puossi  rigettar  leggermente;  e  solo  potrebbe  supporsi  Riuol > 
qual  dimin.  di  no  =  rivus,  per  etim.  popolare  inteso  come  Or.  ed  Aur. 

^  È  ...Quirico  una  riduzione  posteriore  impastata  da  preti  e  letterati,  come 
lo  dà  a  dividere  il  Rep.,  il  quale,  all'art.  Tonte  a  M.  S.  Q.',  dice  che  'Monte 
S.  Quirico'  è  dal  popolo  chiamato,  per  contrazione,  Mon-San-Quilici.  Sopra 
questo  santo,  martire  sotto  Dioclez.,  v.  il  Baron.  'Martyr.'  al  16  giù.,  ed  il 
'Menolog.  Graec'  al  lo  luglio,  dove  (t.  HI,  p.  167)  ò  scritto  Ku/sizo;.  È  im- 
portante questo  nome  pel  qui-  da  xi*-,  e  più  pel  e  palatino,  il  quale  attesta 
che  non  fu  applicato  al  luogo  dopo  il  VII  secolo  almeno;  poiché  vedremo 
che,  in  tempi  posteriori,  il  suono  gutturale  dell'ultima  sillaba  si  mantiene 
nel  volgersi  dal  nominativo  al  genitivo.  Neppure  è  da  trascurarsi  la  pro- 
nunzia Chjirico,  0  quasi  Tjir.,  del  contado  fiofentino. 


43i5  lìiaiiclii,  Toponimia  toscana. 

26.  Petrì  {Monte-)  o  M.  Petri,  già  M.  Pretti,  è  una  diramazione 
dell'Alpe  Apuana  nella  Versilia.  M.  Preiii  è,  secondo  il  Rep,,  in  e.  lue. 
dell'877  (cfr.  V.  2.^  585,  an.  886),  detto  Silva  Preiti  in  carte  del  984- 
89-91  (v.  IV.  2.^  append.  93)  ^  ;  cfr.  Ponte-Petri  al  §  XI. 

27.  Poggitazzi,  casale  e  villa  nel  Vald.  sup.  (1288).  Si  presenta 
facilmente  Podium  Tatii  dal  nome  romano  (cfr.  Massa  Tagiani  a 
p.  428,  n.  1);  ma  c'è  Tatio  teutonico,  che  pare  accorciam.  dim.  di  Tau- 
derado  e   Tauduino^. 

28.  Sante  Marie  ('Monte-'),  cast,  in  V.  d'Ombr.  sen.  (Rep.,  Append.). 

29.  Vico-Vitri,  in  prima  fu  così  chiamata  'Calcinaja'  nel  Pisano 
(975),  forse  per  la  vetrificazione  delle  stoviglie  (?).  È  questa  una  sti- 
racchiatura del  Rep.;  poiché,  con  le  regole  e  coi  materiali  che  abbiamo, 
non  è  possibile  intender  questo  nome  che  quale  una  forma  contratta 
di  un  ant.  pis.  o  lue.   Vituri  =  Yitu\ì  dimin.  di  Vito  (cfr.  n.  8)^. 

Come  in  fine  dei  due  §§  precedenti,  anche  qui  può  notarsi  in  alcuni 
esemplari  la  riduzione  della  vocale  caratteristica  del  genitivo  alla  finale 
ordinaria  {nJ  10  13  22  23  24  25),  se  pure  i  grammaticuzzi,  ed  il  Re- 
petti stesso  non  hanno  avuto  la  stupida  pretensione  di  correggere  i 
contadini,  come  se  n'ha  indizio  ai  n.i  13  e  22,  e  si  vede  manifesto  al 
n.  24.  Quanto  a  Castel  Muzzi,  che  ben  potrebbe  entrare  in  questo  §, 
V.  §  VII,  6,  e  per  S.   Tornato '= -Siiìs,  il  §  XIV. 


1  prette,  anterior  forma  di  prete,  si  legge  anche  in  una  e.  fior,  del  12S7 
(RlCHA,  'Chiese  Fior.',  I  301),  ed  è  usato  come  pers.  in  e.  lue.  del  1107 
(IV.  2.a  append.  126). 

^  Si  profferisce  anche  -tazji,  che  sarebbe  più  corretto  per  un'origine  ro- 
mana ;  ma  anche  il  teut.  zo  =  to  prende  la  forma  -zio.  Potrebbe  Tazzo  essere 
stato  estratto  anche  dai  nomi  comiucianti  con  Tachi-;  v.  Append.  -  Poggio- 
è  divenuto  Poggi-  per  uniformità  di  cadenza  tra  i  due  componenti  ;  cfr.  qui 
Poggi-Bagnuoli  §  Vili,  43'',  e  Poggihonzi  §  XI,  5. 

^  Veramente  il  dial.  pis.  non  presenta  la  equazione  -oro  o  -wro  =  -ulo, 
ma  ne  è,  o  ne  fu  strettamente  assediato  dalla  Versilia  (v.  Riscetri,  p.  432  n), 
dal  Lucchese  (passim),  dalla  V.  di  Nievole,  e  V.  d'Elsa  fino  a  Volterra 
(§  VII,  46).  Si  osservi  poi  che  Calcinala  è  sulla  destra  dell'Arno,  ed  appar- 
tiene al  bacino  del  già  lago  di  Bientina  (regione  lucchese).  I  Pisani  sentono 
ancora  tra  le  opposte  rive  dell'Arno  qualche  differenza  dialettale,  di  cui 
nella  vicinanza  non  mi  sono  accorto. 

f  Continua  nel  prossirao  volume.] 


EMENDAZIONI  E  COMPLEMENTI 

ALLE 

'  OSSERVAZIONI  E  AGGIUNTE' 
DI  G.  MOROSI, 

CONCERNENTI  LA 

'  FONETICA   DEI  DIALETTI  GALLO-ITALICI  DI  SICILIA 
DI   G.  DE  GREGORIO. 


Il  eh.  signor  dott.  De  Gregorio  mi  ha  cortesemente  comunicato  gli 
appunti  che  gli  parve  di  dover  fare  a  parecchi  luoghi  delle  mie  'Os- 
servazioni e  Aggiunte'  (Arch.  Vili  407-421)  al  pregevole  suo  lavoro. 
Alcuni  riguardano  il  metodo  di  trascrizione  dei  suoni  sanfratellani,  circa 
il  quale  tra  me  e  lui  corre  qualche  divario.  Di  che  all'egregio  uomo 
parrà,  come  a  me,  non  opportuno  il  discutere,  trattandosi  di  quistione 
in  cui  ben  possiamo  non  aver  torto,  né  l'uno,  né  l'altro:  non  egli,  quando 
crede  che  per  certi  suoni  convenga  adottare  dei  segni  speciali;  non  io, 
se,  sull'esempio  di  autorità  ben  superiori  ad  entrambi,  ho  creduto  con- 
veniente di  usare  qualche  condiscendenza  all'alfabeto  e  all'ortografia 
italiana.  Oggetto  degli  altri  appunti  sono  parecchi  casi  di  trascrizione 
imperfetta  e  talvolta  errata  e  di  incoerenza  nel  metodo  stesso  di  tra- 
scrizione da  me  seguito  (casi  che  in  buon  dato  si  riducono  a  sbagli 
di  stampa,  sfuggiti  a  me  o  al  proto)  e  certe  inesattezze,  che  nessuno 
meglio  del  dotto  siciliano  poteva  avvertire,  per  ciò  che  riguarda  i 
termini  del  siculo  comune  che  ho  messo  a  riscontro  coi  sanfratellani: 
parte,  ad  ogni  modo,  del  mio  lavoro  che  ha  solo  importanza  secondaria. 
Accetto  subito  e  con  animo  grato  questi  appunti,  di  cui  ecco  il  tenore, 
ridotto  per  economia  di  tempo  e  di  spazio  in  forma  di  'Errata-corrige'. 

Pag.  407,  lin.  19:  cauchiera  per  carchiera  (com'è  scritto  a  p.  408, 
1.  5);  —  p.  408,  1.  16:  smereghia  per  zìner.,  e  1.  26:  paisdà  per  jjaii-. 
(e  pure  in  qualche  altro  caso  avrò  inavvertitamente  mantenuto  il  s 
etimologico,  invece  di  scrivere  z)',  ib.,  1.  18:  castena  per  cast.,  e  1.  28: 
schiela  per  schiela  (e  pure  in  qualche  altro  caso  andrà  corretto  in  s 
il  s  a  cui  segua  consonante);  ib.,  1.  25:  gaunu  per  garnu  (ma  giaun- 
nazza,  itterizia,  e  giaunnusa  itterico,  leggo  nel  'Vocabolarietto  delle 
voci  siciliane  dissimili  dalle  italiane'  di  Antonino  Traina);  ib,,  1.  33: 
cauchien  per  cardi.;  —  p.  409,  1.  26:  sdan  per  sdami  (ove  però  V~ic 


438  Morosi, 

ó  quasi  insensibile);  -  p.  411,  1.  20:  2-iears'ca  per  'pearsca;  ib.,  I.  22: 
nes  per  nies;  -  p.  412,  1.  10:  huzieha  per  hus.\  ib ,  1.  17-18:  jìair 
Xtaira  per  ])air  (che,  come  il  puom  delle  pp.  413,  421,  vale  per  l'albero 
e  per  il  frutto);  ib.,  1.  18:  inastai)  per  viastaij;  ib.,  1.  24:  incida  per 
inca-,  ib.,  1.  30:  nucuda  per  nuzOda;  ib.,  1.  33:  dintra  per  «ntra  (da 
trasportarsi  al  mira.  18)  ;  -  p.  413,  1.  27  :  7iav  per  nùov  o  nùav  (da 
trasportarsi  al  num.  24)  ;  -  p.  414,  1.  25:  vawp  per  vùorp  o  vùarp 
(da  trasportarsi  al  num.  28);  -  p.  416,  1.  9:  màard  per  meard  (com'è 
scritto  a  p.  411,  1.  20);  -  p.  418,  1.  17:  calàaver  per  calàaver  o  ca- 
ldav'r\  ib.,  1.  19:  avrbne  per  avrim  (che  s'ode  allato  ad  arbim,  e  a 
cui,  in  sicil,  meglio  che  apritimi  risponde  japritimi,  o,  a  Palermo, 
g rapitimi);  ib.,  1.  23:  cuvitu  per  guv.;  —  p.  419,  1.  19:  diria  per  jéria, 
e  nuòria  per  nuóira;  ib.,  1.  20:  darmiji  per  ddr^n.;  ib.,  1.  25:  ini  pen- 
tuoma  per  ni  p.\  ib.,  1.  27:  mai,  tau,  sau,  per  inai,  taui,  saui;  ib.,  1. 
38:  tenu  per  fie/zw;  —  p.  421,  1.  1:  hazzi  per  bazziì;  ib.,  1.  3:  fisedda 
per  /a/.;  ib.,  1.  18:  sandu  per  sand'au.  —  Va  inoltre  avvertito,  che 
allato  a  pera  della  p.  407,  1.  18,  s'ode  anche  per;  che  il  d  del  sicil. 
diddu  -a,  registrato  dal  Pitré  e  da  me  citato  a  p.  413,  1.  9,  o  ap- 
partiene alla  prepos.  [ad)  precedente  al  pronome,  o  si  riduce  ad  una 
epentesi  per  evitare  l'iato  (sicché  non  è  dimostrabile  che  esista  un  pro- 
nome sicil.  diddu  accanto  a  idda)  ;  e  che  in  sicil.,  più  comune  di  chirca, 
p.  416,  1.  25,  è  cricchia,  e  il  riflesso  di  'ecclesia',  ib.,  1.  29,  è  propria- 
mente eresia.  —  E  infine,  dall'elenco,  dato  a  p.  420-1,  delle  voci  pe- 
culiari al  sanfratellano,  non  comuni  cioè  col  sicil.,  vanno  espunte  le 
voci  seguenti,  che  in  questo  però  hanno  forma  pur  sempre  più  o  meno 
differente:  pwom  =  sicil.  pumu  (non  esiste  in  Sicilia,  come  il  sig.  De  Gr. 
m'informa,  milii,  né  mila;  jua  non  sarà  inutile  avvertire,  che  nel  su 
cit.  'Vocabolarietto'  si  registra  miladeci  'sorta  di  mela');  doc  (con- 
forme al  num.  19)  =  sicil.  liccu;  e  scars'tu,  schiegghia,  scMeTi,  e  sticchj 
(da  scriversi  scars'tu,  schiegghia,  schien,  sticchj),  corrispondenti  alle 
sicil.  scarsitutini,  scagghia,  sanu,  sticchiu.  —  Colgo  poi  quest'occasione 
per  chiarire  e  correggere  la  voce  zupd  che  a  p.  421,  1.  20,  ho  messo 
tra  le  sanfratellane  di  origine  incerta.  Significa  propriamente  una  trap- 
pola da  topi,  la  cui  parte  principale  è  un  pezzo  di  legno  o  una  pietra 
■assai  pesante,  sotto  cui  gli  incauti  animali  vengono  ad  essere  schiac- 
ciati. Va  scritta  zìipd  e  ricondotta  per  'cippone-'  a  'cippo-'.  Si  ha  qui 
dunque  un  nuovo  esempio  di  .sr  =  e  iniziale  e  di  influenza  della  labiale 
sull'atona  che  la  preceda. 


Dial.  gallo-ital.  di  Sicilia:  Eraeudazioui  e  complementi.  439 

Profitto  finalmente  dell'incontro,  per  offrire  al  lettore  la  Parabola  del  fi- 
(jliuol  prodigo,  in  dialetto  saui'ratellauo  : 

Na  vàuta  ghf  era  'n  am  ;  e  sf  am  avàja  dì  fghiùai.  U  chiù  gavu  diss  a 
sa  imàtri:  Bamm  la  pdàrt  d'ia  roba  che  nC  tùaca.  E  u  pàatri  sparti  ai  di 
fghiùai  la  raba  che  gK  tuchiava.  D' pùai  d'  na  pac  d'  gùarn  u  chiù  gavu 
ò'  accampàà  anu-càusa  e  s'  mieas  vC  viéag  e,  arr'vàin  hita  paias  duntda, 
ocnsumdà  tutt  u  sa  avdir  cu  la  mdàla  vita.  Cam  sfardda  anu-càusa,  gK 
fu  nta  cau  paias  na  grdan  scarsHu:  e  rau  cumimzàa  a  pruvér  i  uei  cT  a 
jn'sjéaria.  S'arsulvò  d''  motfr's  a  patra  cun  u  di  s'nàur  d'  cau  paias,  cK  u 
mannda  'nt  li  si  causi  a  guardér  i  pare.  Ma  rau  sdimpr  avàja  fààm  e 
d'zièava  àinc's  la  vàintr  d'ia  giéana  ch'i  pare  mangiéavu.  Ma  w'  ghf  era 
nudd  che  gK  n§  dasàja.  Aljduri  turnd'  'w  sàinz  e  diss  tra  d'  rau:  "Qudànt 
a,ni  d'  mi  pdàtri  jéan  pad  bundànt  e  jiea  zàd  mùair  d'  fdàm.  M  sUs, 
vc'àc  dna  mi  pàatri  e  gW  die  :  Pdàtri,  ùoa  offgnnù  a  u  Snar-Diea  e  a  vùai 
e  w'  miéart  chiù  d'  ess'r  camà  vas  fgghj  ;  ma  tratàm  cam  u  di  vas  ami.  „ 
E  aceusi  fo.  Sa  pdàtri  a  mdàla  pàina  u  viti,  jéab  cumpassià,  shi  abbrazzàà 
e  u  basiea,  e  diss  a  ghj  ami:  "  Purtài  zdà  d'  éab't  u  chiù  beu,  v'stìlu  e 
mgttàgghj  'n  anìau  a  d'i  e  i  cuagér  e  piéai;  ne  si  u  vr'iau  u  chiù  grdàs  e 
ammazzàlu;  e  mangùama  e  stùama  addiéagr,  perca  sf  fgghj  miea  avàja 
murù  e  arr'suè'tdà,  s'  avàja  perdù  e  s'  truvclà.  „  Nta  sf  mdintr  u  fgghj 
grdàn  era  n  campéna,  e,  cam  s'  assumdava,  cudàn  fu  v'zian  d'  ca  sana, 
sunti  u  chiéant  e  u  sa  cK  ghj  era  àintr.  Aljàuri  camàà  a  u  rf'  ghj  ami  e 
gK  dumandà  che  càusa  v'iàja  di  dcla  nuvHdà.  E  u  arzàn  ^  ghj  arr'spunnó: 
"La  chiéausa  d'  sta  nuv'tdà  è  cK  vas  frda  s'  turndà  e  vas  pdàtri  iea  fdàt 
aìnmazér  u  vr'iau  u  chiù  grdàs,  perca  vitt  'n  èutra  vàuta  turnér  u  fgghj 
viv  e  c'ieà  d'  salùr.  „  Cam  sunti  dcla  càusa,  rau  w'  vàus  trdàs  àintra. 
Aljàuri  nieas  sa  pdàtri  e  u  prija  <i'  anner  àintra  .e  d'  pigghièr  pdàrt  a  la 
féasta.  Ma  rau  diss:  "  Téanc  jéan  eh'  v§  serv,  n'  ùoa  mei  fdàt  na  man- 
chiéanza,  e  puru  «'  iea  succ'r'i  mei  d'  cumplemgntérm  '«  carvéau  p'  ferm' 
na  sampanieara  cun  ghj  amis.  Ara,  te'  cldùac,  a  mdàla  pàina  vonn  s'  éautr 
vas  fgghj  d'  puài  ch§  s'  mangiea  la  vasa  raba  'n  cumpania  d'  gàint  d'  mdàl 
affér,  te'  ddùac  ghj  ammazést  u  vr'iau  u  chiù  grdàs.  „  Sa  pdàtri  ghj  arr'- 
spàun  :  "  Tu  n'  jéai  mut'ivu  d§  danért,  p§rcó  jéai  stdàt  sàimpr  e  stei  ancàra 
cun  iea  e  anu-càusa  maja  è  tàua  'trCromma  *.  Ara  b'saha  fer  féasta,  p§rco 
ta  frdà,  eh'  era  mart,  turndà  n  vita,  ta  frdà,  eh'  era  pgrdù,  azzdà  u 
truvdàmu. ,, 


'  garzone  '  medesima  '  ecco-qua 


Ct.  Morosi. 


ERRATA. 


Pag.  103,  lin.  quartult.,  leggi:  per  vero,  o  anzi  affatto  illusorio). 

—  Pag.  191,  n.  2.  Uei  per  e  nelle  forinole  ENT  END,  s'ha  in  Val- 
lanzasca  (Arch.  I  253),  regione  che  poco  dista  dalla  Vallemaggia.  — 
Pag.  194-5,  num.  3.  Anche  il  mil.  gera  ghiaja  (ma  mornéra  mugnaja) 
ci  offre,  nel  suo  e  •=  ei,  il  diverso  trattamento  delle  basi  bisillabe  in 
cui  entra  -ARIO  (cfr.  il  piem.  gàira  e  v.  la  nota  a  pag.  226).  — 
Pag.  195,  1.  5  (2.^  parola):  1.  ceir.  —  Pag.  198,  num.  12  (v.  anche 
pag.  250).  L'i  di  cadriga  intrig  deve  ripetersi  dal  dittongo.  —  Pag.  208' 
1.  20  :  1.  chigdk.  —  Pag.  212,  num.  54.  Aggiungi  il  cr.  hrù'fca  «=■  lomb. 
brvfstia  spazzola.  —  Pag.  215;  num.  77.  Il  -7i  può  poi  passare  anche 
nell'interno  della  parola,  cosi  nel  mnz,  maizèna  malsana.  —  Pag.  220, 
1.  14:  1.  boì'degd;  —  1.  15:  1.  spai.  —  Pag.  221,  1.  10:  1.  strenz.  — 
Pag.  235.  Per  1'  'Umlaut',  in  quanto  tocchi  la  Sicilia,  cfr.  Hùllen, 
Vok.  d.  alt-  u.  neusic,  11-12.  Non  trattasi  più  dell' -z  nei  congiuntivi 
sardi,  che  son  ricordati  nell'Arch.  II  138.  —  Pag.  241,  1.  13:  1.  /lese. 

—  Pag.  249,  (2  n.),  1.  2:  1.  éjer.  —  Pag.  251,  1.  11:  1.  vjérman.  — 
Pag.  251,  n.  1.  In  cangila  ravviseremo  un  cawc?éra  =  candéla,  inbran- 
catosi  presto  (come  1'  -era  di  primavèra;  cfr.  p.  198  n)  tra  gli  -iéra  => 
-ària;  cfr.  pag.  198-9,  212.  Il  l  di  cangila  sarebbe  una  restituzione 
seriore.  —  Pag.  255,  1.  12:  1.  purtdve.  —  Pag.  258,  1.  34:  tolgasi 
gal.  —  Pag,  260,  1.  12:  1.  P^séven;  —  ib.:  1.  t^sessen;  —  1.  20:  per 
tgp,  1.  tup.  —  Pag.  350,  1.  14:  1.  sempre,  nell'algh.,  dell'-o.  —  Pag.  352, 
1.  15:  1.  num.  142.  —  E  v.  le  'Correzioni',  a  p.  364. 


INDICI    DEL    VOLUME. 


e.  SALVIONI. 


I,   S  TX  o  n  i. 


à  in  e  (à  e  e):  150;  nell'infin.  -are: 
196;  per  effetto  della  palatina  che 
gli  precede:  195-6;  per  effetto  della 
palatina  che  gli  sussegue:  193-4, 
249;  per  gli  effetti  di  i  nell'iato: 
192-3;  per  gli  effetti  dell'-i:  235  n, 
236-9. 

d  in  ie  i  :  150-51  ;  in  i  per  gli  effetti 
dell' -t:  239-40. 

d  in  uà.  uó  u:  149-50;  in  o:  150. 

a  atono  in  e:  74,  206,  253-4;  in  o  u 
nella  vicinanza  di  consonante  la- 
biale: 154,  207-8,  254. 

-a  in  -e:  209n,  255. 

-a  dileguato  nello  sdrucciolo:  209. 

-a  all'uscita  d'indeclinabili:  o4n,  164, 
255. 

Accento.  Invertito  fra  vocali  atti- 
gue: 30,  31,  55  n,  223,  250-51  n, 
235  n  («mìo.  348;  ritratto  sull'inf. 
nella  combinazione  del  futuro:  163; 
rimosso  per  cause  diverse:  61,  159, 
228,  229,  259,  348. 

Accidenti  fonetici  d'ordine  sintattico 
0  transitorio:  35,   36,  42-3,  71  n. 


96,  98,  99,  100,  195  (mi-enea), 
196,  211,  224-0,  257. 
Accidenti  generali:  180,  235-6  (pro- 
pagginazione dell'  -i  dietro  la  to- 
nica); 223  (epentesi  di  vocale);  158, 
223-4,  259,  342,  348,  346,  396,  408, 
417,  433n  (epentesi  di  consonante); 
52  n,  159  (prostesi  dij-);  159,  223 
(prostesi  di  v-);  205,  252  (prostesi 
di  vocale  provocata  dalla  sincope 
della  prima  vocale  protonica)  ;  337 
(prostesi:  ^s^-);  224,  347  (epit.  di 
consonante);  54n,  56n,  224,  374-5n 
(epit.  di  vocale);  55,  59, 161-2  (epit. 
di  -ne  -je  -me  -mese)  ;  225,  259 
(elementi  concresciuti);  154,  155, 
204,  348  (aferesi);  205  (dileguo 
della  prima  consonante  di  nesso 
iniziale,  causato  dalla  sincope  di 
prima  protonica)  ;  225,  348  ecc. 
(altri  dilegui);  423  (perdita  di  sil- 
labe intiere  per  isdoppianiento  sil- 
labico); 253-4  (assimilazione  tra 
vocali);  21 4n,  416, 429  (assimilazione 
tra  consonanti  attigue);  223,  253-4, 


442 


Indici.  —  1.  Suoni. 


259  (iissiniilazione  transullorla); 
206  11  (dissimilazioiie  tra  vocali); 
223,  342  ((iissimilazione  tra  con- 
sonanti attigue);  223,  259,  340,  341, 
342,  348,  345  (dissimilazione  Irau- 
suitoria);  225-6  (attrazione);  157, 
225,  259,  347,  348  (metatesi)  ;  39  n, 
76  (invertimento  tra  vocali  attigue). 

aé  in  ie  i:  151,  194;  v.  anclie  s.'-ano'. 

-ao  in  -r:  84;  in  i:  210,  236  (v.  an- 
che: 90,  392-403). 

ài  in  ei:  193,  194  n,  249,  250;  in  e: 
337. 

ai  utono:  194  n,  209,  226  n. 

aZ  +  cors.:  157  {mtuar),  196-7,  250, 
340,  386  n,  394-5  u. 

àn:  236;  ànt  àmp:  196,  238,  239. 

-ario:  151,  194-5,  226,  249-50,  334, 
881-6,  388-9,  397  n. 

-àto  -i:  193,  196,  249,  250. 

ÓM  intatto:  337;  in  o:  337,  408  sgg., 
417  n;  risolto  mediante  l'epentesi 
di  v:  417  n. 

au  atono  :  208  u,  338. 

-h-  in  V  :  222,  347. 

b-  in  V-:  222. 

hj  in  hg  :  209  n  ;  in  ^  :  339,  255  u. 

hi  intatto:  157;  in  br:  341. 

hr:  222,  347. 

e  (k)  fra  vocali,  in  g  :  217,  343,  344. 

e  (k)  preceduto  da  consonante,  in  e: 
217. 

-e  (k)  in  e:  217. 

c(k)  nelle  uscite  sdrucciole  -tico  -dico 
-nico  -lieo:  343-4,  219-20,  258. 

e  riflesso  per  u  catalano  :  344. 

e  intatto:  158,  218,  257;  in  s:  218; 
in  p:  257;  in  z:  438;  in  r:  344; 
in  s:  158. 

-e-  assorbito,  passando  per  J  i:  344. 

-e-  di  sillaba  protonica,  in  h:  344. 


-e-  in  g:  104-5  u. 

e  in  k:  197  n. 

ca:  158,  343;  a  forinola  tonica,  in 
ca:  216-7,  257;  a  formola  atona, 
intatto:  ib.  Cfr.  anche  s.  'ga". 

ce  ci  (che  chi)  coU'antico  suono  gut- 
turale, intatto  0  restituito:  158. 

che  old  di  base  romanza,  in  ce  ci: 
217. 

cj:  212,  256,  839. 

ci  intatto:  157,  340;  in  e:  841;  in  e 
g:  213;  in  cr:  340;  interno,  in  Ij: 
340-41. 

co  cii  in  co  cu:  217,  257. 

l 
cr  in  gr:  345.  V.  anche  s,  ^gr\  1 

cs:  214,  345. 

ci  assimilato:  158;  in jt:  344;  in  e  e: 

218,  257;  inp<:  158;  tace,  venuto 

all'uscita  0  davanti  a  consonante, 

il  secondo  elemento  del  nesso:  158. 
d  in  l:  346;  in  r:  345-6. 
d  riflesso  per  u  catalano  :  846. 
d  caduto  nei  nessi  Id  nd  finali:  222, 

258. 
-d-  dileguato:  221-2,  258,  346. 
d'c  in  q:  103;  in  i:  844. 
Dileguo  di  vocale  atona:  155,  204-5, 

205-6,  252,  258  n,  333. 
dj  in  i:   212;  in  i  -z:  156;  in  di: 

2.56;  in  j  :  212,  339;  in  g  (6):  339; 

secondario,  in  g:  212. 
-d  +  i:  156. 

é  in  ài  a  :  151  ;  in  i  ié:  151  ;  in  m  :  152. 
e  intatta:  334;  in  i:   60,  61,  62,  63, 

198,  250-1. 
è  in  ie  {i):  53,  197-8;  in  e:  334;  in 

i:  334. 
é  di  posizione,  in  ie  (i):  198-9,  251; 

in  i:  335. 
e  d'antica  posizione  romanza,  in  i: 

105  n. 


Indici.  — 

è,  primaria  o  secondaria,  nell'iato: 
29,  3S-6,  43  sgg.,  397  n. 

é  davanti  a  nasale,  in  i:  55. 

é  per  gli  effetti  dell'-?,  in  i:  240-44, 
260. 

é  nella  vicinanza  di  nasale,  di  la- 
biale e  di  l,  in  o:  200  n,  251. 

é  nelle  formolo  en  em  +  cons.,  in  i: 
199-200;  in  e:  334-3. 

e  atona,  in  a:  63  n,  66  n,  154,  206-7, 
2o4,  337. 

e  alona,  in  i:  68-9,  70,  73  n,  154, 
207,  254,  337-8. 

e  atona,  in  o  m  per  la  vicinanza  di 
suono  labiale:  70  n,  207,  254,  338. 

e  atona,  sincopata:  155,  204-5. 

-é  in  -e:  84. 

-e  in  -e:  84. 

-e  in  -a:  337. 

-e  in  -i:  83 ;  per  influenza  dell'i  della 
tonica:  93,  95. 

-e  in  -o:  155. 

-e  dileguata:  155,  210. 

-e  epitetica  in  nomi  proprj  d'origine 
greca,  latina,  biblica  e  longobar- 
dica: 374-5  n. 

Effetti  dell'iato:  33-4. 

èli  in  eul:  394-5  n,  416-417. 

én  é/H  +  cons.  :  199-200,  244,  334-5. 

-ério:  199,  334,  384  n,  397  n. 

yi:  60-61  n,  63,  391  n,  421  n. 

fj  in  ,s-:  255. 

fi  intatto:  157;  in  fj  :  387;  in  fr: 
341. 

g  preceduto  da  consonante,  in  ff  :  220. 

-g  dopo  consonante,  in  g:  220. 

-g-  in  g:  219,  258;  in  J:  219-20,  258. 

g  intatto:  221,  345;  in  i:  221;  in  d: 

258;  in  z:  159;  in  d  (=i):  159. 
-g-    fra    vocali,    dileguato:    220-21, 
345. 


I.  Suoni 


443 


-g-  in  j:  104  n. 

ga-  tonico,  in  ^a:  218;  atono,  intatto: 
218. 

gè  gi  (ghc  glii)  coli'  antico  suono 
gutturale,  intatto  o  restituito:  159. 

glie  ghi  di  ragione  romanza,  in  ye 
gi:  220. 

gì  intatto:  157;  in  gr:  341;  in  II: 
341;  g'I  in  jl:  221. 

gn:  345. 

gó  gii  in  go  gii:  220,  258. 

gr  in  gr  jr:  221,  258;  iniziale  in  r: 
345  u. 

gv:  221,  845. 

i  in  di  a:  152;  in  ci  e:  153. 

i  intatto:  335;  in  éi:  38  n;  in  e:  38  n. 

i  in  e:  201;  in  e:  335. 

«  di  posizione,  in  e:  201;  in  e:  335. 

;  davanti  a  j  g  n,  in  e  :  200-1,  251. 

■i  davanti  a  nas.  +  cons.,  in  e:  335. 

i  atono,  in  a:  63,  66  n,  153,  206-7, 
338;  in  e:  70  n,  72-3,  74,  75,  76, 
155;  in  o  u  per  la  vicinanza  di 
suono  labiale:  207,  254,  338,  438. 

i  atouo,   dileguato:  153,  204-5,  252. 

-7  intatto:  84;  in  -e:  72-3,  76. 

-z  in  -e:  84;  in  -*':  58,  391-2. 

-i  in  -e:  155. 

-i  all'uscita  d'indeclinabili:  92. 

té  in  i:  49-50-51,  151,  199,  385  n. 

Influenze  varie  della  vocal  finale, 
principalmente  di  -^,  nella  deter- 
minazione della  tonica:  40,  41,  44, 
45,  46,  50,  61,  63,  82,  156,  198  n, 
199,  201  n,  202,  203,  235-48,  252  n, 
260. 

Influenze  varie  dell'  i  nell'  iato  sulla 
determinazione  della  tonica  prece- 
dente :  33-4,  37  sgg.,  49,  61,  192-3, 
194  n,  199,  201,  203  (cfr.  anche  s. 
-ario). 


444  Indici.  — 

-zo  che  si   contrae   in   i:   90  n,   91, 

379-86. 
j  intatto:  156;  in  i:  210;  in  i:  156: 

in  d:  255;  in  g:  210,  338. 
j  davanti  a  consonante,  cade  s'è  se- 
condo  elemento   dei   dittonghi   ai 
(aj)  ecc.:  105  n. 
j  complicato:  v.  s.  ^bf  'cj',  ecc. 

l-  in  Ij:  339. 

l  dei  nessi  'cZ'  'jjZ'  ecc.  :  v.  s.  'cZ',  ecc. 

ì  in  r:  212-3,  340,  339-40-41,  372  n, 
393  n,  436  n. 

-l  ~ll:  256. 

Z  da  w  semivocalico   davanti  a  con- 
sonante :  340. 

-li  -Ili:  98-100,  210-11  n,  253,  400 n. 

Ij:  156,  210-11,  334,  338-9. 

Il:  80-81,  101,  157,  213,  340. 

Itr:  213. 

-m  in  il  nelle   desinenze  verbali  di 
1*  plur.:  257. 

mb  in  m:  343. 

mj:  339. 

ww  in  h:  101,   342;  in   nn  n:   100, 
342;  intatto:  158. 

-mp  in  m:  347. 

n-  in  n:  214,  257. 

rn  in  7n:  215;  in  w:  215;  in  n:  215; 
in  /e  g:  215  n. 

-w  in  n  nello  sdrucciolo:  257. 

-n  dileguato:   342;   nel  nesso  finale 
-In  (-rn):  342. 

n  in  w:  215  n. 

nd  in  nn  n:  343. 

-n^f-  in  n:  215  n, 

zm:  156,  211-2,  236,  253. 

nj:  156,  211,  339;  nj:  223. 

n'I  in  ZZ:  412  sgg.,  416,  429. 

K'm:  1S8,  342. 

nn  in  n:  101,  342. 

nV:  158,  223,  342. 


I.  Suoni. 

ns:  168,  200,  343. 

ó  in  «w  a:  153;  in  ud:  153;  in  wó: 

153;  in  u:  153. 
o  in  p  m:  201,  333;  in  o:  335. 
é  in  d:  201-202;  in  w:  336. 
ó  di   posizione,   in  ó:   202-3;  in   n: 

202n;  in  u:  336;  davanti  a  nas.  i 

cons.,  in  p:  336. 
o  in  p  t<:  232  n. 
p'  per  gli  effetti  dell'-t,  in  o  e:  244-5, 

260  ;  in  u  u  :  243-6. 
^  per  gli  effetti  dell'  -i,  in  ti  u  ìi 

245-7,  260;  in  o:  247-8. 
ò'  in  e:  201-2,  203,  251-2,  260. 
0  atono,  in  «  :  206  n ,   394  n  ;   in  e  : 

73,  74;  in  i:  208;  in  u:  153,  208, 

338;  dileguato:  135. 
-o  in  -p:  84. 
-ò  in  -p:  84. 
òi  in  OM  :  39  n. 

oZ+cons.:  213,  236,  256,  340,  395  n. 
-p-  in  h:  347;  in  v:  222. 
_p;:  339;  in  pò:  209. 
|)Z  intatto:   157;  in  pj:  213;  in  prt 

341. 
ps  in  s:  347. 
j3i  intatto:  159. 
gy:  158,  218,  345. 
r  davanti  a  consonante,  in  l:  341. 
-r  dileguato:  213,  341;  nel  nesso  -jr 

finale:  236. 
rj:  156,  339,  383  n;  v.  anche  s.  -ario, 
-ri-  :  341  n. 
rs  in  ss:  342. 
s  (1  f)  davanti  a  consonante,  in  z  s: 

214;  davanti  a  w,  in  s  z:  214. 
s  preceduto  da  liquida,  in  z:  214, 

257. 
-s  di  2*  singol.,  intatto:   158,   162, 

163,  350. 
-s  di  antichi  neutri,  intatto:  349. 


Indici.  — 

-s  di  accusai  plur.,  iulalto:  349;  re- 
liquie di  esso  in  Toscana:   374-5, 

-s  di  nominat.  plur.  in  Toscana:  376. 

-s  d'indeclinabili:  354. 

-a  riflesso  da  i:  97,  391. 

-s  che  nell'italiano  lasci  traccia  di 
sé:  391-2,  403. 

se  in  s  è:  2i4,  342;  rimane  od  è  re- 
stituita la  gutturale  (sk):  158. 

se  in  sé:  213,  217  n. 

sj:  156,  211,  339. 

Sonora  riuscita  finale,  in  sorda  :  253, 
258,  348. 

-ss-  in  è:  342. 

str:  213. 

sv-  in  sf-  sqv-:  214  n,  256. 

-t-  intatto:  159;  in  d:  159,  221,  345. 

t  riflesso  da  ti  catalano:  346. 

-t  caduto  0  uppena  sentito  nei  nessi 
It  tu  riusciti  finali:  159,  222,  343. 

t-c  in  g:  103. 

tj:  104  n,  156,  212,  236,  339. 

-t  +  i:  158,  210. 

fi  in  ci:  157. 

-tr-  in  clr:  346;  in  rr  r:  846. 


II.  Forme. 


445 


u  intatto:  154;  in  ói:  154;  in  o:  154, 
u  intatto:  204,  836;  in  ti,  quindi  in 

i:  204,  252, 
u  in  o  u:  204,  336;  in  o:  336, 
é  di  posizione,  in  p:  336. 
u  atono,  intatto:   156;  in   a:  206  n; 

in  e:  74;  dileguato:  156. 
-ù  in  -p  :  84. 
u'  in  i:  252,  260, 
u  atono,  in  i:  208,  254. 
zcó  in  u:  49-50,  52. 
V-  dileguato:  214;  in  ff:  157,  214. 
V  in  6:  342. 
-V-  dileguato:  55,  56-7,  58n,  157,  214, 

342,  347,  417-8. 
-u-,  per  gv,  in  g:  79  n,  214. 
-V  in  w:  214. 
vj:  156,  198  n,  251,  339. 
vn  in  nn:  252. 
««  in  pt:  459. 
w:  157,  214,  345. 
z  sardo,  in  e  algherese  :  359. 
z  in  ss:  372  n,  398,  426  n. 
i  sardo,  in  g  algherese:  359. 


II.  Forme, 


Nome. 

-(hio:  47,  211,  236. 

-emula:  412. 

-ch'io:  V.  il  I  di  questi  Indici, 

-ngine:  96  n. 

-àtico  :  96  n. 

-àto:  193,  196,  249,  250, 

-esimo:  69  n. 

-ilia:  418  n. 

-me  -ene:  342. 

-Mtco:  358  n. 


-issimo:  69  n, 

-t-ófo  -óZo:  201,  202,  336, 

-óne:  201,  212, 

-óno:  251  n,  335-6. 

-òso:  153. 

[-W  che  sia  ultima  risultanza  delle 
uscite  sdrucciole  -ulo  -ola  -ole, 
-Ida:  213.] 

Propagazione  analogica  e  scambio  di 
suffissi  e  finimenti  nominali:  37, 
60,  60-61  n,  96  n,  156,  157,  198  u, 
238  (araO,  254n,  408,  439. 


446 


Indici. 


Plurali  neutri:  54  n,  349,  377.     ^ 

Plurali  con  distinzione  interna:  v.  il 
I  di  questi  Indici,  s.  'Influenze'  ecc. 

Movimento  nella  tonica  dell'aggettivo: 
226-7,  e  V.  il  I  di  questi  Indici,  s. 
'Influenze'  ecc. 

-s  di  plurale:  v.  il  I  di  questi  Indici. 

Antico  tipo  flessionale  hordii  bordi 
liordio,  e  sue  continuazioni  neo- 
latine: 381-S3  n. 

Tipi  nominativali  :  8j,  160,  e  v.  il 
IV  di  questi  Indici  s.  'hebdomas', 
'rumor',  'scorpio',  'soror'. 

Nomin.  it.  sng.  del  tipo  Torti':  391-2; 
cui  si  contrappone  l'obliquo  'forte': 
ib. 

Nominativi  fossili:  102,  103  n,  104, 
874,  376. 

Accusativi  fossili:  374,  37S,  376,  377. 

Genitivi  fossili:  85,  376,  376-7,  404-5n. 

Genitivo  di  nomi  personali  romani 
in  costrutto  latino  :  408-18  ;  in 
costrutto  volgare:  418-24. 

Genitivo  di  nomi  latino-volgari  d'età 
incerta:  425-32. 

Genitivi  dei  tempi  cristiani:  432-6. 

Reliquie  di  ablativo:  405  n. 

Ablativo-locativo  in  nomi  locali:  39iìn, 
400. 

Locativo  in  nomi  locali:  90  n,  378-9. 

-a  nel  plur.  dei  fem.  della  1^  decli- 
nazione: 377. 

Nomi  locali  e  nomi  di  persona  in  -i: 
90-91,  378-81. 

Prodotti  analogici  nella  declinazione: 
89,  89-90,  160,  194  n,  197,  201, 
205  n,  211  n,  226,  239  n,  250,  235-6, 
258,  259,  349,  391-2,  401,  402-3. 

La  forma  del  plur.  adattata  al  siiig  : 
48  n,  194  n,  201,  211  n,  239  ii, 
25S-G. 


II.  Forme. 

La  forma  del  masc.  adattata  al  fem.: 

197  n,  253,  258,  259  n. 
L'-i  di  plur.  dei  masc.  della  2»   eli  e 

si  propaga   ai  masc.    della  3«:  89; 

e  quindi  ai  fem,  pure  di  3":  89-90. 
L'-i  di  plur.   dei  fera,   di  3*  che  si 

propaga  ai  fem.  di  1':  90,  392-403. 
L'-a  di  sing.   dei   fem.   di  1»  che  si 

propaga  ai  fem.   di   3":   160,  226, 

259. 
L'-e  di  plur,  dei  fem.   di   1*   esteso 

ai  fem,  di  3«:  401-3. 
L'-o  di  sing.  dei  masc.  di  2»  esteso 

ai  masc.  di  S":  160,  226. 
Assimilazioni    analogiche    tra    nomi 

locali:   90-91;    tra  nomi  proprj  di 

persona:  91. 

Peonome. 

Riflessi  di  'ego':  28  sgg. 

eccum-ille-ego:  30  n. 

Riflessi  di  'mihi',  'libi',  'sibi'  enfa- 
tici: 55,  56,  64;  aloni:  66  sgg. 

Riflessi  di  'me',  'te',  'se'  enfatici: 
54  sgg.;  aloni:  66  sgg. 

Riflessi  di  'ille':  80  sgg.;  di  'ilio': 
71-2  u;  di  'illl'  (dat.):  75  n,  76  n; 
di  'illi'  (nom.  pi):  100;  di  'illae': 
98  u;  di  'illis':  75  u,  76  n, 

'ilio'  retto  dalle  preposizioni  in  de 
0  preceduto  da  un  pronome  pre- 
fìsso {n-ello  ecc.,  m-clo  ecc.,  non 
ne-llo,  me-lo):  71-2  n. 

illic,  istic:  83. 

iste,  ipse:  82,  98. 

Riflessi  di  'nos',  j'vos':  41  u,  50,  37. 

Riflessi  di  'nobis',  'vobis':  56. 

ne  —  inde:  77  sgg. 

vi  (srd,  hi,  lomb,  glie)  -  ibi:  77  sgg., 
79  n. 


Indici.  — 

Riflessi  di  'rneus'  ecc.  :  43  sgg. 

Riflessi  di  'tuus'  ecc.,  'suiis'  ecc.: 
40,  41  sgg. 

-i  nel  nomiuat.  sing.  del  pronome: 
82,  98. 

altri:  98. 

ogni  unni:  100-1. 

'certani'  e  'certuni':  151,  154. 

Prodotti  analogici  nella  declinazione 
pronominale:  40n,  41  n,  47 n,  48 n, 
53-4n,  56n,  88,  62,  70,  82,  98,  100. 

Il  pronome  sufllsso  che  s' abbarbica 
indissolubilmente  alla  voce  ver- 
bale: 31,  225,  228  n. 

Articolo:  71-2  u,  100,  160,  20on,  349, 
368-9  u. 

Verbo. 

Prodotti  analogici  nella  conjugazione: 
34,  37,  38,  39  n,  63  n,  6Sn,  86,  87, 
88,  157,  163,  192-3,  229,  230,  231, 
233,  234,  259,  350,  351,  353, 

Verbi  della  1»  che  passano  alla  4"  :  86. 

L'infinito  in  -ere  che  passa  in  -ere: 
350. 

L'infinito  in  -ere  -ere  che  passa  in 
-ire:  350. 

L'imperf.  indicai,  e  cong.  della  1» 
nell'analogia  di  quello  della  2=>-3'^  : 
16^,  230. 

L'imperf.  indicat.  e  cong.  della  2='-3'' 
neir  analogia  di  quello  della  4=»  : 
34,  280. 

-ìa  =  -cbam  :  34. 

-la  =  habebam,  nel  composto  di  con- 
dizionale: 35. 

Perfetto  analogico  di  tipo  forte,  pas- 
sato all'analogia  del  tipo  debole: 
851. 


II.  Forme. 


447 


Perfetto  di  recente  formazione:  231-3. 
Il  perfetto  della  4»  esteso  all'intiera 

conjugaz.:  86. 
Il  partic.  pass,    della  1*  formato  sul 

tipo  dì  partic.   che  risulta  foneti- 
camente da  'facto'  ecc.:  233. 
Il  presente  cong.   foggiato   sul  tipo 

fonetico  'dìcam':  229-30,  259. 
-e  arcaico  it.  per  -i  nella  2*  sing. 

del  presente  indicat.  e  cong.  :  88-9. 
-émo  desinenza  unica  della  1'»  plur. 

dell'indicai,  pres.:  259. 
dea  steci,  dia  stia:  37. 
-ba  di  perf.,  fut.  e  condizion.:  231-3, 

233-4. 
-n  per  -m  nella  1*  plur.:  257. 
-s  di  2*  sing.:  v.  il  1  di  questi  Indici. 
-du  -éu  -iu  catalani,  per  -dtis  ecc.: 

346,  350. 
Seconde  persone  di  sing.  e  plui*.  con 

distinzione  interna:  v.  il  I  di  questi 

Indici  s.  'Influenze'  ecc. 
Rinforzi  del  tema  verbale:  162,  350. 

]\' UMERALI. 

duae  ecc.:  39.n,  41. 

irei:  63. 

sei:  97. 

'nove'  su  'otto,  sette':  186. 

'dieci'  su  'undici':  92-3. 

undici:  93. 

'dieci-due'    ecc.   per   'dodici'    ecc.: 

161,  170,  186. 
viginti:  72  n,  105  n. 
quadraginta,  ecc.:  72  n. 
secondo:  69  n. 
secudndo:  161. 
'terzo',  'nono',   'decimo'   su  'quarto', 

'quinto',  'sesto':  161. 
offien:  218. 


448 


ludici.  —  HI.  Funzione  e  Sintassi, 


nono  :  69  u,' 

Ordinali  in  -esimo:  69  n. 


Indeclinabili. 

-unqiie:  85  n, 

oggi:  403-4  n. 

'oggi'  su  'ieri':  92. 

'domani'  ecc.  su  'oggi',  'ieri':  92. 

'qua-hora':  209,  218. 

parimenti:  92. 

'altrimenti'  su  'parimenti':  92. 

volontieri  volontiers:  92. 

tardi:  92. 

lungi:  92. 

ecc'liic:  78. 


eccum-hlc-ibi:  9S. 

quivi:  9S. 

indi:  94-5,  404  n. 

quinci,  costinci,  ecc.:  93-' 

'quindi'  su  'quinci':  94. 

-ante,  anti,  anzi:  93  sgg. 

quà-sTc:  97. 

quasi:  96-7. 

forsi:  97. 

assai:  97. 

mai  ma:  97,  lOS  n. 

'a-l-agio':  192. 

'comente':  205. 

vora:  356  n. 

nemo'ta:  206. 

asasèn:  254. 


III.  Funzione  e   Sintassi. 


Piuccheperf.  indicai,  e  cong.  latino 
in  funzione  di  condizionale:  351;  - 
163,  200,  230-1,  233,  351-2-3-4. 

Infinito  in  funzione  di  sostantivo  : 
162. 

Il  tipo  'homo  cantat'  per  'cantaraus': 
227. 

La  3*  di  sing.  clie  funge  da  3»  di 
plur.:  227. 

Mascolini  passati  al  f eminile  :  226, 
349. 

Neutri  passati  al  feminile:  213,  226, 
349. 

Neutri  plur.,  coli'  articolo  al  masco- 
lino: 377. 

I  casi  indiretti  dell'obliquo  retti  da 
preposizioni  cui  non  ispetterebbero: 
56. 

Sostituzione  di  casi  nel  pronome:  64. 

II  dativo  per  l'accusativo:  67,  77. 


'raihi',  'tibi',   'sibi'  per  'me',  'te' 

'se':  64. 
'cui'  per  'quis':  64. 
'quem'  per  'quis':  64. 
'ipse'  per  'iste':  78. 
'ille'  pronome  onnipersouale  d'ogni 

genere  e  numero:  76. 
Avverbj    in   funzione   pronominale: 

77  sgg. 
Composti  aventi  il  compimento  dopo 

il  soggetto:  418  sgg. 
'tenere'  per  'avere'   (ausiliare):  351, 

357. 
'avuto'  per  'stato'  :  233,  259. 
'singolo'  per  'solo':  157, 
'geminiani'  per  'due':  20S. 
'imprendere'  per  'accendere':  173. 
'cercare'  per  'pettinare':  243  n. 
'meriggiare'  per  'ruminare':  224. 
'tratta'  per  'rete':  ISO. 


Indici.  —  IV.  Lessico. 


449 


'passero'  per  'uccello':  152,  177. 
'cugino'  per  'vicino':  152. 
'stazione'  per  'bottega':  1S3,  183. 
'unto'  per  'bagnato'-  154,  173. 
'teso'  per  'satollo':  200. 
'bruma'  per  'autunno':  252. 
'pollice'  per  'arpione':  207, 
'vano'  per  'molle':  213. 
'cervice'  per  'mestolo':  218. 
'ceppo'  per  'sgabello':  218. 


'sagrato'  per  'cimitero':  221. 
'monaco'  per  'sagrestano':  220, 
'non-so'  per  'forse':  232, 
'dopo'  per  'dietro':  430  n. 
'orlo'  per  'lungo'  (juxta):  356  n. 
'a-suo-senno'  per  'molto':  234. 
'un-mucchio'  per  'molto'  (cfr.  il  srd. 

meda;  Flechia):  206, 
'in-pari'  per  'assieme'  (cfr.  il  mnz. 

a  pàira):  354. 


IV.  Lessico  ^• 


acucula  221, 
advena  418  n. 
aes  422, 
agro-  221. 

uìyvnrio?  203  n,  220  n. 
airdm  208,  223. 
albo-  150,  173. 
alna  210. 
alnica  209. 
Alpes  387  n. 
alveo-  192. 
amóscino  -ino  61  n. 
dndia  223  n. 
dniea  342. 

animalio-  213  n,  256. 
annicella    204,    205. 
Aquileja  51  n. 
ardi  238. 
arcéde  53  n. 
argiglia  81. 
arrta  51. 
arrota  398  n. 
arzente  96  n. 
ascaruga  357. 


astulone-  157,  165, 
aula  405  sgg.,  418-6, 
dura  250  n. 

bacchio  400. 
baco-  258  n. 
basilica  166,  186,  372n. 
betell-ia  199,205,207. 
betulla  412-3  n. 
betull-ia  213, 
bisante  380  n. 
'bindolo'  212,  214. 
bordo h  215, 
boreas  133, 
botica  ecc,  63, 
'brivido'  260. 
brodicare  204  n. 
brudà  248. 
br ut-io-  204  n. 
bue  buoi  51-2, 
burratoria  254,  258. 
buttare  254  n. 
ca  418  n, 
caesa  409  n. 


caespite-  222n,  230,  257. 
can-ia  400  n. 
calle-  257, 407, 423,  432. 
calùh  238. 
camédru  242, 
camistro  153,  167, 
cdnam  347  n. 
cangila  231  n,  439. 
cap  216. 

ceditina  389  n. 
cellae  393-4  n. 
censa  62. 
cerea  198  n. 
cetina  388-9  n. 
chiusa  -e  395. 
choupo  39  n. 
cibaria  -o  214  u, 
cinciglio  81. 
colonia  396. 
colostro-  202, 
colur-io-  203  n. 
Confluentes  387. 
conmigo,  ecc.  62. 
conusco,  ecc.  62. 


1  Si  ricordano  le  raccolte  di  voci  che  sono  a  pp.  113-4,  117-26,  131-2, 
133,  134-3,  186,  333-6  n,  356-9,  l'indice  lessicale  del  veglioto  (pp  163-83) 
e  quello  del  catalano  d'Alghero  (pp.  339-63), 


Archivio  glottol.  it.,  IX. 


29 


48Ó 


Indici.  —  IV.  Lessico. 


convenitarfe  214. 
coopercula  114. 
corroHca  33.8. 
cgs  247. 
cousin  103  n. 
cozar  347. 
culex  103  n. 
xvvÓLy^ri  68. 
Clip  e  dia  258, 
cu  ti  e  a  2^8. 

8ixiict<7x.riv'jv  61  u. 
debéta  160,  170. 
deliquare  218. 
dessér  1S9. 
dici  225. 
digito-  105  n. 
dozzina  60-61. 
drosclo  133  n,  171. 

ette  404  n. 
ex-alare  257. 
ex-aurare  214. 
extonsoria  343. 

fabrilario-  334. 
fagitio-  221. 
falegname  406  n. 
fanum  420. 
favonio-  203. 
/e^m«  259. 
fensa  251. 
fersòra  153,  171. 
1Tb  eli  a  75. 
filaria  194  n. 
mieto-  218,  396. 
filonea  194  n. 
focale-  220. 
/bZpo  172. 
fracta'218. 
frugone-  220. 
fratre-  150. 
frictioria  153,  171. 
fructilia  218. 

grafc&ro  428  n. 


gaggio  ecc.  409-10. 
gahagio-  409-10. 
^^«^m  36. 
</ancf  218. 
ganivél  258. 
5far&  172,  218. 
gelido-  206,  253. 
genitare  252. 
^(/i'ra  439. 

/7r?.s«  ecc.  192,  212. 
glabro-  428  n. 
glire-  251. 

glomicello-  199,  205. 
gnorri  381. 
góva  210,  221. 
grl  211  n. 
'guaita'  150. 

ha  ed ó lo-  222. 
hebdomas  152,  155,  173. 
hebilla  75. 
hirundella  343. 

in  laminare  205. 
issa  ista  251. 

jaculo-  106. 
jédma  173. 
jer  53. 

juónziuol  150,  174. 
jugo-  420-21  n. 

lacidrch  ili. 
lamnàgia  252. 
laricto-  218. 
latino-  215. 
lendine-  342. 
lézard  254  n. 
liguràda  225. 
lisdri  254  n. 
locusta    191,   204,    208, 

220,  223. 
lópula,  ecc.  259. 
lupo-  204,  252. 
maceries  152,  d74,  397. 


madóm  258. 
maeuianum  68. 
male-habito-  253. 
ìnantile  61. 
margone  390  n. 
marna  390  n. 
ìnnssa  396  u. 
medili  154,  175. 
mejatòira  154. 
m,eltra  204. 
messone-  207. 
méttila  213. 
miniata  68. 
minta  -e  235. 
«ima  215  n. 
missédma  175. 
mwr  150,  175. 
woc-  236. 
modiólo-:  153. 
moé'lle  76. 
moZo  176. 
'mosto'  202. 
mulctra  204. 

'nappo'  176,  257. 

nena  176. 

wejjia  156,  159,  17G. 

nesci  381. 

nìbula  201. 

r«7^fl!  257. 

Wi'mo  61. 

nocchia  397. 

npZa  211,  222. 

nota  220. 

02 WM  256. 
ópico-  220. 
ora  404-5  D. 
orc^i  382  n. 
organo  177. 
orpello  405  n. 
'ostico'  258. 
oiiaillc  400. 
ovacula  400. 
ovecula  400. 


palpetla  341. 
panage  178  n. 
panais  178  n. 
panard  178  n. 
pari  91-2. 

pastinaca  178  a,  338. 
pastinare  177-8  n. 
patto  426. 
pavoria  2o5. 
pcodc  209. 
pèdi  co-  220. 
lìénzolo  96  n. 
pessulum  178. 
peslatòria  178. 
petiolo-  68. 
piàdena  179. 
picare  258. 
pila  177. 
pincio  430. 
;3ioZe<  209. 
j:);i'sa  251. 
pitgm  215. 
]jiù)ia  196. 
i^Zòwo-  251,  252. 
pomarancio  431  n. 
povento  430  n. 
praetorio-  405. 
'predella'  222. 
«presepe'  242. 
jjrwa  36. 
puits  103  n. 
pulvis  85. 

quaerere  191,  243  n. 
'quetschen'  257  n. 

radicócea  209,  220. 
raja  211  n. 
rasario-  334. 
regà    206,    220,    222  n 
(cfr.  il  prov.  araigar). 


ludici.  —  IV.  Lessico. 

rejicere  191,  218. 
réseau  102-3. 
réseuil  102-3,  105. 
résille  102,  103,  104. 
reti  a  102  sgg. 
retiare  105. 
retiaculo-  103-6. 
retzea  103-4. 
rezzuola  104-5. 
riva  418  n. 
rizza  105  n. 
robur-ia  203,  205. 
rais  102. 

ronco,  ecc.  411-2. 
rugia  224. 
rumor  208. 
rungilnd  210. 
rwsco  432  n. 

saettìa  36. 
'sala'  405. 
salamoja  405  n. 
salicto-  396,  405. 
salóttulo-  245. 
sanglo  181. 
sanguis  85. 

scamnio-101, 192,194. 
scorpio  202  n  (cfr.  però 

'scorpius'). 
secundare  206,  220. 
sedia  400  n. 
seme  60  n. 
sirv'in  259. 
skyi  191,  221-2. 
soror  153,  181. 
sororc    153,    181,    191, 

201,  204,  247,  260  n. 
sosómbra  253,  259. 
'spànnica'  223  n. 
spicca  213  n. 
splene-  213. 


451 

splen-ia   152  n,    156, 

182. 
splóima  154,  182. 
stagno  101. 
sterile-  241. 
sternio-  199. 
siidariólo-  153,  182. 
sùsàna  255. 

tecto-  199  n. 
tepulo-  197-8. 
titulo-  372  n. 
tomba  599  n. 
tota  paleoit.  399. 
'tra-gelo'  250. 
tramite  430. 
'tra-postare'  214. 
'tridente'  255. 
tumulo-  399  n. 
tup  260,  439. 
tutare  183. 

ucèna  218. 
uga  214. 

vall-ia  400. 
vasinicòla  61  n. 
védula  256. 
vèrzura  96  n. 
véscul  214. 
veterano  150,  185. 
via  376. 
viàla  133,  185. 
vice-  376. 
vimine  342. 

zanga  220  n. 
zbrissigà  220. 
Ì£?rt»i^Z  214. 
znen  205. 
2MÌ?(a:  438. 


4S2 


ludici.  —  V.  Varia. 


V.  Varia, 


Lingua  seri  Ita  e  lingua  parlata:  402. 

Speciali  convenienze  tra  sardo  e  ca- 
labro-siculo-leccese:  58. 

Caratteristiche  ladine  e  pedemontane 
in  dialetti  verbanesi:  190  91. 

Elementi  lessicali  slavi,  nel  veglioto: 
1S4  (picùrke,  pluchia,  sù/na),  ISon 
(trok,  vei),  156  n,  173  {Jane),  166 
{Inala,  boss,  cacùcié)^  168  (carna, 
ciócs),  169  (cojìnàr,  cassa,  cuma), 
170  (dermùn),  171  (dramudré),  172 
(gràbia,  gruba),  173  (isuàrse,jàsca), 

176  (niéna),  177  (pasmtr;  cfr.  però, 

177  n),  178,  179,  183,  185  (:umà), 
134,  185  {Zumàngie). 

Nomi,  comuni  e  proprj,  d'impronta 


longobardica,  in  antiche  carte  della 
Toscana:  372  n,  380  n. 

Nomi  proprj  longobardici:  374-6  n, 
419  n,  433,  434,  435. 

Parabola  del  figl.  prod.,  in  dial.  sau- 
fratcllano:  439. 

'contare'  che  si  immette  in  'condan- 
nare': 222. 

'bastone'  che  si  immette  in  'pastinaca': 
338. 

'fuste'  che  si  immette  in  'pastinaca': 
338. 

'disperdere'  che  si  immette  in  'spac- 
ciare': 337. 

Bibliografia:  115,  190,  262  n,  263, 
264  n. 


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V.9 


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